Melancholia - a world's ending

di ObliviateYourMind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Justine ***
Capitolo 2: *** Claire ***



Capitolo 1
*** Justine ***


MELANCHOLIA

a world's ending

 

 

JUSTINE'S POV

 

Io e Michael eravamo in ritardo. Ed io ho sempre odiato far attendere le persone, specialmente se si tratta della mia famiglia durante il giorno del mio matrimonio. Cercai di inspirare profondamente riempiendomi i polmoni d'ossigeno, ma era difficile farlo, stretta com'ero nel corpetto del mio abito da sposa. Quando finalmente intravidi il vialetto ghiaiato che conduceva fino a casa di mia sorella Claire riuscii a calmarmi.

Presto però, la situazione di fece dapprima imbarazzante, poi addirittura comica. Il nostro autista non riusciva a posizionare l'auto in modo che passasse attraverso la stretta stradina, e così cominciò a compiere mille manovre. Michael mi guardava in modo interrogativo mentre aspettavamo di avanzare, mentre io mi resi conto che ne avremmo avuto ancora per un bel po', e non riuscii a trattenermi dal sorridere.

«Senta, ehm... - provò a dire Michael – Sì, sì, guardi, può venire ancora un po' più indietro se vuole, credo che le sia utile un metro in più.»

Niente da fare.

«È in un'altra città, è lontano chilometri!», disse Michael ridendo.

Restammo su quella macchina per almeno un'ora. Pensai subito a mia sorella: doveva essere furiosa.

 

 

«È inutile che stia qui a dirvi quanto siete in ritardo!».

Ecco, lo sapevo che si sarebbe arrabbiata. Ma non era colpa nostra, in fondo. E poi era stato divertente. Mi sentii improvvisamente sconfortata al pensiero di dover vedere tutte gli invitati e di essere costretta a sorridere per tutta la sera. Claire mi informò sull'andamento della serata, che era stata organizzata nei minimi dettagli con l'aiuto di uno dei wedding planner più costosi del mondo.

E poi la vidi. Era una stella, più luminosa di tutte le altre.

«Che stella è quella?», chiesi.

Era davvero insolita, ed io mi ci sentivo attratta in una maniera impressionante.

Antares, mi disse John. Quello era il nome della stella misteriosa. Rossa come il fuoco, un minuscolo puntino nel cielo.

 

 

«Ce l'abbiamo fatta!» urlai, e tutta la sala esplose in un fragore di applausi che quasi mi stordiva.

Dopo aver salutato e baciato molte persone, intravidi mia madre, seduta a tavola. Non stava festeggiando.

 

Jack voleva uno slogan. Proprio quella sera, durante la festa per il mio matrimonio. Mi sforzai di sorridere, non potevo fare altrimenti. Gli occhi di tutti erano puntati su di me, si aspettavano che mi comportassi in un determinato modo.

«La mia azienda ha guadagnato un nuovo art director. E sei tu, Justine». Io? Ma perché stavamo parlando di lavoro persino in un momento del genere? Mi alzai in piedi mentre tutti gli ospiti commentavano ad altra voce ciò che era appena successo.

 

Quando arrivò il momento dei discorsi, come al solito mia madre si fece notare per il suo cinismo. Mi chiesi il perché dovesse sempre mettermi in imbarazzo. A volte la odiavo con tutta me stessa.

«Perché ti sei presa il disturbo di venire?». A quanto pare mia sorella la pensava esattamente come me.

Mi sentii improvvisamente triste. E non era normale, in un giorno come quello. Nessuna delle persone che mi circondava sembrava capirmi veramente, nemmeno mio marito. Tutti sorridevano, sembravano felici. Ma come facevano?

 

Promisi a Claire che non avrei fatto nessuna scenata. Non ero convinta di riuscirci.

Decisi di uscire, sentivo il bisogno di respirare un po' d'aria fresca, ma soprattutto, di starmene in pace con me stessa, senza dover necessariamente fingere di stare bene. Presi il golf cart e percorsi l'enorme campo. Diciotto buche, mica roba da poco.

 

Ogni modo era buono per “evadere”. Anche portare a letto Leo e restarmene sdraiata lì, al buio, oppure chiudermi in bagno ed immergermi nella vasca piena d'acqua bollente. Sperai che i miei pensieri si dissolvessero nel vapore, ma ciò non avvenne.

 

Michael non poteva capire. Credeva che uno stupido pezzo di terra potesse servire a sollevarmi il morale, a liberarmi dalla sofferenza. Povero illuso. Come al solito mi sforzai di sorridere e di sembrare gentile. Ormai era diventata una brutta abitudine.

 

Anche i discorsi fatti con John mi sembrarono noiosi. Lui sottolineò il fatto che la festa gli fosse costata moltissimo e che avrei dovuto impegnarmi di più per non rendere tutto inutile. Io però non provavo compassione, lui era ricco sfondato, qualche migliaio di dollari in meno non gli avrebbe di certo cambiato la vita. Poi, arrivò mia sorella ad accusarmi. Diceva che avrei dovuto stare più vicina a Michael, e che lui aveva tentato di mettersi in contatto con me per tutta la sera, ma che io l'avevo ignorato. Tutto ciò non era vero. O perlomeno, le cose non apparivano come erano in realtà. Era ovvio che non riuscissi a stare vicina a mio marito, se lui non si sforzava nemmeno di capirmi. Ne parlai anche con mia madre, ma anche lei, come tutti gli altri, sembrava capace solo di rimproverarmi.

Mi misi a piangere. Qualcosa non andava.

Sentivo che qualcosa stava cambiando, e forse c'entrava la stella rossa che avevo visto qualche ora prima.

Non me ne preoccupai più di tanto.

 

Il ricevimento andava avanti, sembrava non finire più. Mi sentivo gli occhi di Claire puntati addosso, era come se il suo sguardo mi seguisse per tutto il salone.

 

Un telescopio. C'era un telescopio nel campo da golf. Serviva per guardare i palloncini bianchi ricoperti di scritte che liberammo nell'aria. Tutti applaudivano e sorridevano felici, ma io non riuscivo a concentrarmi. Sentivo che l'equilibrio dell'universo stava cambiando. Sapevo che presto sarebbe successo qualcosa di pericoloso, ma non potei che esserne felice. Tanto ormai il mio mondo era già crollato.

 

 

Così, mi sembrò naturale licenziarmi. Non avrei più potuto offrire nulla all'azienda di Jack, e sinceramente non mi interessava neanche farlo. Era ora di smetterla con i rapporti fasulli, sorretti da una serie di comportamenti ipocriti ed falsamente altruisti. Era ora di pensare a me stessa.

 

«Poteva essere tutto diverso», mi disse Michael prima di andarsene.

Già, potevo continuare a fingere di stare bene e di amarlo.

«Sì. Poteva essere tutto diverso – risposi, - però Michael...cosa ti aspettavi?».

Lui mi diede ragione e se ne andò a bordo della sua auto.

 

Il mattino seguente, Claire mi svegliò. Stavo dormendo su un divanetto, e la stanza era illuminata di una strana luce azzurrognola.

Mia sorella voleva fare un giro a cavallo, ed io accettai. Magari poteva servire a distrarmi da quanto era successo la sera precedente.

Attraversammo il campo da golf che a quell'ora era immerso nella nebbia, ma quando arrivammo al ponticello, il cavallo di Claire lo attraversò senza problemi, mentre Abraham si rifiutò di proseguire.

Infuriata, cominciai a insistere con forza perché camminasse, ma sembrava come piantato a terra.

Mi arresi e sollevai lo sguardo verso il cielo. Antares era scomparsa.

 

 

 

 

 

 

 

Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Lars Von Trier; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Angolo dell'autrice: ho deciso di scrivere questa fanfiction perché il film mi ha veramente colpita. L'ho trovato molto interessante, e la personalità dei protagonisti, così come gli avvenimenti, si presta molto alla scrittura di una storia. Ho voluto provare a immaginare che cosa potevano pensare Justine e Claire nei momenti salienti che portano all'inevitabile scontro tra la Terra e Melancholia. Se non l'avete mai fatto comunque, vi consiglio di guardare il film perché merita :)

detto questo, buona lettura! Spero che vi piaccia, e in ogni caso le recensioni sono bene accette :D

Giulia

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Capitolo 2
*** Claire ***


CLAIRE'S POV

 

 

Guardai il cielo, seduta sul divano di pelle a lato della vetrata.

Mia sorella Justine sarebbe arrivata da un momento all'altro, ed io non facevo altro che pensare a lei.

Mi chiedevo se la sua condizione fosse migliorata o meno. Presto l'avrei scoperto.

 

Come se non fosse bastata la malattia di mia sorella a rendere brutta la situazione, si diceva in giro che un pianeta, Melancholia, si stesse avvicinando alla Terra, sempre di più. John sosteneva che ci sarebbe soltanto passata vicino, e che avremmo avuto modo di ammirare quello “spettacolo della natura” per la prima ed unica volta in vita nostra, dato che si trattava di un fenomeno straordinario. Io però non mi fidavo di mio marito. Su internet continuavo a leggere pareri che andavano contro ciò che la scienza “seria” affermava: secondo loro Melancholia, quello stupido pianeta, avrebbe certamente incontrato la Terra sul suo cammino. Saremmo morti tutti quanti nel giro di pochi giorni. Non sapevo a chi credere.

 

Justine arrivò, in taxi. Il suo aspetto era veramente orribile. Non avrei mai immaginato che una ragazza solare come lei potesse piombare in una depressione simile.

Non voleva mangiare, non voleva lavarsi: la sola vista dell'acqua la rendeva irritabile. Spesso scoppiava a piangere durante la cena, blaterando cose apparentemente senza senso. Leo mi chiedeva cosa succedesse, ma come potevo io spiegargli qualcosa che nessuno capiva? E lei dormiva, dormiva tutto il giorno.

 

Intanto io cominciavo ad essere veramente ossessionata da quel pianeta. Ogni tanto controllavo i siti che ritenevo più affidabili, e nessuno smentiva ciò che in precedenza aveva affermato.

Un giorno, accadde una cosa molto strana. Io e Justine ci trovavamo nell'orticello, dopo pranzo, e stavamo raccogliendo delle bacche dentro grandi ciotole di porcellana bianca. All'improvviso, minuscoli fiocchi bianchi cominciarono a scendere e si depositarono velocemente sui nostri vestiti. Era neve. Che strano. Doveva essere l'influenza di Melancholia, comunque. Si stava avvicinando, e quel pensiero non mi mise per niente di buon'umore.

 

Mia sorella si rifiutava di portare fuori Abraham. Dovetti insistere parecchio per convincerla.

Quando arrivammo al ponticello, vicino alla diciottesima buca, il suo cavallo però non volle andare oltre, proprio come era successo qualche mese prima, dopo il matrimonio di Justine. Non seppi spiegarmi il perché si comportasse così. Forse anche lui, come tutti noi, sentiva che c'era qualcosa che non andava.

«Eccolo, è lì... il passaggio ravvicinato» disse Justine.

Seguii il suo sguardo, e constatai che aveva ragione: il pianeta maledetto, Melancholia, era proprio lì, davanti a noi, luminoso ed evidente come mai prima d'allora.

 

Una notte, i nitriti dei cavalli nella scuderia mi svegliarono. Quando uscii a prendere una boccata d'aria fresca, vidi mia sorella. Si stava dirigendo verso il campo da golf. Lei sparì dietro gli alberi, ed io la seguii. La trovai stesa a terra, sulla riva del fiume, completamente nuda; la sua pelle era avvolta solamente dalla luce bluastra di Melancholia. In quel momento, arrivai a pensare persino che forse era Justine che stava attirando verso di sé il pianeta, che era lei l'artefice di tutto. Avevo ancora più paura; anzi, ero terrorizzata, ma volevo credere con tutta me stessa a John.

 

"TERRA E MELANCHOLIA, DANZA DI MORTE". Quelle lettere spiccavano sullo schermo del computer come fossero di fuoco.

«Domani sera Melancholia ci passerà vicino; dopodiché non la vedremo mai più.» disse John.

«Tu dici...tu dici che non ci colpirà?» gli chiesi io, la voce tremante.

«No, è sicuro» mi ripose lui.

Gli chiesi se fosse possibile che tutti gli scienziati avessero sbagliato i calcoli, ma lui tentò di rassicurarmi in ogni modo, senza riuscirci.

 

Comprai delle pillole, per precauzione. Sempre meglio essere previdenti.

 

I discorsi che faceva Justine mi spavaentavano a morte. Diceva che non dovevamo addolorarci per la Terra, perché lei era cattiva. Diceva anche che la vita esiste solo qui, e che noi tutti siamo soli. Cosa significava tutto ciò? Lei sapeva qualcosa di cui nessun altro era a conoscenza? Mi fissava con occhi persi, sembrava quasi in preda ad una sorta di estasi. Parlava a me, ma non con me.


La notte del passaggio ravvicinato arrivò, e fortunatamente andò tutto per il meglio. Il pianeta ci passò accanto, meraviglioso nella sua luce, e poi si allontanò.

Quando però mio marito propose di brindare “alla vita”, capii che c'era qualcosa di strano. Lo immaginavo: le nostre vite erano in pericolo ma lui era stato così vigliacco da non volerlo ammettere. Il mio cuore cominciò a martellare rumorosamente contro le costole. Pensavo a Leo, a mia sorella. Alla nostra bella casa. Tutto perduto, tutto.

«In realtà mentre noi parliamo si allontana, solo che non riesci a vederlo a occhio nudo. Tieni, appoggialo al torace» mi disse John, porgendomi il geniale strumento creato da mio figlio.

Aveva ragione, Melancholia si stava effettivamente allontanando. Scoppiai a piangere dal sollievo: forse eravamo salvi.

 

Il mattino seguente, quando uscii di casa, trovai John chino sul telescopio. Io mi sedetti al sole e mi addormentai quasi subito. Quando aprii gli occhi, lui non c'era più. Provai a misurare la circonferenza di Melancholia con il fil di ferro, poi aspettai un minuto e controllai. Era più grande, si stava avvicinando.

Ma come?! Non doveva essersi allontanato per sempre? I calcoli di John erano sbagliati? Precipitai nel panico più assoluto. Chiamai mio marito a gran voce, ma poiché non rispondeva decisi di cercarlo.

John si trovava nella scuderia. Era a terra, steso sul fieno. Morto. Aveva ingoiato le mie pillole.

 

Presi in braccio Leo, decisa a fuggire. Non ero convinta che sarebbe servito a qualcosa. Salii in auto, provai a mettere in moto, ma invano. La macchina non funzionava. Nel frattempo, una pioggia scrosciante aveva iniziato a cadere. Provai anche con l'altra macchina, ma non ci fu niente da fare.

«Claire! Si può sapere che... Claire!»

Non c'era tempo per le spiegazioni. Dovevamo scappare e basta.

Presi il golf cart, sistemai velocemente Leo sul sedile e tentai di convincere Justine a seguirci, ma lei non volle. Era tranquilla lei, fin troppo. Partii comunque, ma una volta giunta al ponticello, anche l'ultimo mezzo di trasporto a mia disposizione mi abbandonò.

Eravamo perduti.

Presi in braccio mio figlio, che tremava come una foglia. Camminai velocemente sull'erba, lo sguardo rivolto al pianeta. La pioggia si tramutò in grandine. Mi guardai attorno spaesata, non sapevo cosa fare. Ormai rassegnata, mi sedetti per terra e mi misi le mani tra i capelli. Dovevo prepararmi all'inevitabile.

 

Io volevo andarmene serenamente. Volevo morire assieme ai miei cari, magari bevendo un bicchiere di vino, seduta in veranda. Ma lei no. Oh no, Justine trovava stupide le mie idee. Lei era così insensibile, a volte.

«Io volevo solo che fosse piacevole...» dissi.

A volte la odiavo con tutta me stessa.

 

Mi sedetti sull'erba, sotto la capanna fatta di rami, quella che Justine e Leo chiamavano “la grotta magica”.

Quasi non riuscivo a rendermi conto che quelli erano gli ultimi minuti della mia vita. L'ultima volta che gli occhi miei e di mio figlio vedevano la luce. Guardai Leo, e le lacrime cominciarono a scendere copiose lungo le mie guance calde. Non avrebbe avuto un futuro. Non avrebbe potuto avere una famiglia, mai. E mia sorella, allora? Delusa dal suo sogno d'amore, ormai infranto, non avrebbe più trovato nessuna consolazione.

Provai a chiudere gli occhi, ma non ci riuscii. Desideravo guardare mia sorella per l'ultima volta. Justine afferrò dolcemente la mia mano e la strinse forte.

Un boato quasi assordante e la luce che si faceva sempre più forte mi dissero che era arrivato il momento.

Con gli occhi colmi di lacrime, volsi lo sguardo in alto, verso Melancholia.

E prima ancora di rendermene conto, era tutto finito.

 

 

 

 

Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Lars Von Trier; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Angolo dell'autrice: quella di Claire è forse la parte più toccante di tutto il film, e non è stato facile per me immedesimarmici. Spero comunque di essere riuscita a rendere bene i diversi momenti della storia. Mi farebbe piacere leggere qualche commento/recensione... ad ogni modo, ringrazio in anticipo chi leggerà questa mia fanfiction. 

A presto, Giulia.

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