Ti Auguro Di Raggiungere I Tuoi Sogni

di sonyx1992
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01- La vita ama i test a crocette (Federica) ***
Capitolo 2: *** 02- Un attimo che cambia 4 vite (Lea) ***
Capitolo 3: *** 03- Il mio doposbornia non comprende l'amnesia (Nicola) ***
Capitolo 4: *** 04- Temo di aver bisogno ancora del tuo aiuto (Mattia) ***
Capitolo 5: *** 05- Un nome scritto col pastello rosso (Federica) ***
Capitolo 6: *** 06- Visita al museo di 'Lea Marini' (Lea) ***
Capitolo 7: *** 07- La mia lingua ha consegnato le dimissioni alla mia bocca (Nicola) ***
Capitolo 8: *** 08- Distogliere lo sguardo e mordersi il labbro inferiore (Mattia) ***
Capitolo 9: *** 09- Non puoi ignorare la verità delle mie lacrime (Federica) ***
Capitolo 10: *** 10- Un pupazzo di neve con 2 bottoni neri al posto degli occhi (Lea) ***
Capitolo 11: *** 11- Il cammello che fuma consiglia di smettere (Nicola) ***
Capitolo 12: *** 12- E' inutile piangere sul latte versato e sui sogni infranti (Mattia) ***
Capitolo 13: *** 13- Quando si piange da soli i fazzoletti rischiano di mancare (Federica) ***
Capitolo 14: *** 14- Farsi abbracciare per consolare la gente (Lea) ***
Capitolo 15: *** 15- Non mi piace viaggiare (Nicola) ***
Capitolo 16: *** 16- Il cielo non è il solo a piangere (Mattia) ***
Capitolo 17: *** 17- La pioggia non durerà per sempre (Federica) ***
Capitolo 18: *** 18- Sogni assurdi interrotti da un bacio (Lea) ***
Capitolo 19: *** 19- La francese è più chiara dell'italiana (Nicola) ***
Capitolo 20: *** 20- Dondolarsi sul bordo della vita fa commettere pazzie (Mattia) ***
Capitolo 21: *** 21- Fiori d'Erika nel campo di grano (Federica) ***
Capitolo 22: *** 22- Se balli il dolore passa (Lea) ***



Capitolo 1
*** 01- La vita ama i test a crocette (Federica) ***


01- LA VITA AMA I TEST A CROCETTE

 

"Federica"

 

 

Natale è il periodo che preferisco. In assoluto.

Ogni anno io e Lea lo passiamo insieme, a casa mia, sedute davanti al fuoco a scaldarci e raccontare pettegolezzi e novità; non ci capitano spesso episodi come questo: abitiamo distanti l'una dall'altra e i nostri lavori ci tengono spesso lontane; ma il giorno della Vigilia di Natale lei riesce sempre a ritagliare un po’ di tempo dal suo lavoro all'officina del padre per venire a trovarmi.

"E non sai che ha fatto! È tornato, un'altra volta!! Se continua così mio padre lo ucciderà!" si mette a ridere, cercando di evitare di strozzarsi con un pop-corn.

Non lo ammetterà mai ma è innamorata di Nicola, dal tempo del liceo.

Partecipo anch'io alla risata della mia amica, immaginando la scena del signor Marini inseguire quel povero ragazzo lanciandogli dietro oggetti e minacciarlo di non tornare più ad importunare sua figlia.

Sono stati insieme una volta, ma poi lui l'ha tradita con un'altra, allora lei l'ha lasciato.

Ma il ragazzo non si è dato per vinto e sembra volersi guadagnare il perdono di Lea.

"Che programmi hai per domani?" chiedo cambiando discorso, mentre mi infilo in bocca una manciata di pop-corn.

Lei alza le spalle, "Il solito" risponde atona, "I miei vogliono che passi la giornata di Natale con la famiglia."

Sorrido divertita all'espressione contrariata di Lea.

"Tu invece?" mi sbircia lei, già intuendo la mia risposta.

"Indovina?" le domando ironicamente, lasciando che sia lei ad esprimere ciò che sospetta.

"Mattia" dice semplicemente, esponendo con quella sola parola tutti i suoi sospetti.

Sospetti che vengono fondati da un mio cenno affermativo.

Sbuffa, "Però non è giusto. Tu passi col tuo fidanzatino il Natale e a me tocca trascorrerlo sola con la mia famiglia. Mi toccherà sopportare la zia Milly. La conosci, sai quanto è noiosa!…"

Annuisco mentre lei continua a parlare, divertita dal suo atteggiamento rimasto infantile.

Già, la vita è ingiusta, non posso davvero darle torto. Ormai si sa che chi davvero si meriterebbe qualcosa di buono riceve come ricompensa solo qualcosa di spiacevole.

"Bè, potresti perdonare Nicola." Le suggerisco, distogliendo lo sguardo da lei e fissando il fuoco che con le sue fiamme si muove senza controllo.

"Ma sei scema?? Mai!!! Non dopo quello che mi ha fatto!" incrocia le braccia al petto, alzando lo sguardo indispettita dalla mia proposta.

Sorrido divertita, prendendo un'altra manciata di pop-corn dalla scodella.

"Come vuoi. Allora salutami zia Milly." Ribatto io, iniziando a ridere e lanciandole i pop-corn in faccia.

Lei inizia a ridere, cercando di ripararsi dalla frecciata di pop-corn con le mani e mettendosi in ginocchio inizia il contrattacco, rubandomi la scodella e rovesciandone il contenuto su di me, "Questa me la paghi, Alberti!" urla tra le risa.

Questa è la Vigilia che amo, quella che voglio passare ogni anno.

Io e Lea davanti al fuoco a lanciarci i pop-corn addosso e a ridere spensierate, distaccandoci completamente dal mondo esterno per una sera.

 

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La vita è troppo furba da lasciarsi ingannare così. Ogni momento, anche quello più spensierato e felice, è destinato a finire, lasciando il posto alla realtà di sempre.

 

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"Ancora non ci credo che mi abbandoni in questo modo!" Lea mi guarda imbronciata appoggiata al cancello di casa mia, mentre corro incontro a Mattia e lo saluto con un bacio a fior di labbra.

"Dai Lea, non ricominciare! Non morirai!!" le assicuro io, staccandomi dal mio amore e guardandola sorridendo.

Lei risponde sbuffando, incrociando le braccia al petto ed alzando lo sguardo contrariata, aumentando l'espressione della sua smorfia imbronciata.

"Mi sono perso qualcosa?" chiede Mattia, confuso dal comportamento della mia amica.

"Niente amore." Gli spiego io, "Solo una ragazzina capricciosa che non vuole passare il Natale con la sua famiglia!" continuo alzando apposta il tono della voce per farmi sentire dalla diretta interessata.

Lei mi fulmina con lo sguardo, continuando a tenere la sua faccia imbronciata.

"Ehi! Ragazzina capricciosa a chi??" si avvicina lei minacciosa.

Io la guardo fingendomi confusa della sua reazione e facendomi pensierosa.

"Mmm...tu!" le dico, puntandola con un dito e facendola imbestialire ancora di più.

"Tsk!" risponde lei, tornando nella sua posizione imbronciata, fingendosi offesa per le mie parole.

"Non sarebbe meglio che tu vada dai tuoi, ragazzina capricciosa?" la richiamo guardandola con aria di sfida, ricevendo l'ennesima occhiata fulminante dalla mia amica.

"Adesso vado, signora Stellari." Apostrofa le ultime parole apposta, sapendo bene l'effetto che provocano a me e a Mattia.

Come si aspetta Lea, mi sento avvampare le guance e sbirciando il mio ragazzo capisco che anche lui è arrossito a quell'appellativo.

Solo ieri sera le ho confidato che non vedo l'ora che Mattia mi chieda di sposarlo, in fondo è da molti anni che stiamo insieme e lui vuole quasi trasferirsi a casa mia, ma ancora non si è deciso a farmi la proposta.

"Stupida!" le rispondo io, tradita.

Lei mi risponde facendomi la linguaccia, mettendosi poi a ridere per la paralisi che ancora immobilizza il mio ragazzo e per saltellare come una ragazzina verso la sua macchina, una C3 grigia metallizzata.

La sbircio mentre continua a sorridermi attraverso il parabrezza, orgogliosa per la sua vendetta nei miei confronti.

Avvia il motore e si allontana dal viale di casa mia, mentre un silenzio di tomba sembra cadere tra me e Mattia, ancora immobilizzato, con l'espressione persa nel vuoto.

"Andiamo?" domando titubante poi, senza aspettare una risposta, mi fiondo nella sua Aygo blu; chiudo la portiera e prendendo un profondo respiro attendo che anche Mattia salga.

Qualche attimo di totale silenzio, poi il rumore della portiera che si apre e lui, il volto cadaverico e lo sguardo fisso nel vuoto che si siede sul sedile e afferra saldamente il volante, come se volesse avere qualcosa di saldo e sicuro a cui aggrapparsi.

Imbarazzata, resto in silenzio, aspettando che gli avvenimenti continuino da soli senza il mio intervento.

Quando Mattia sembra rilassarsi gira la chiave facendo rombare il motore e, dopo aver ingranato la marcia, guida la sua Aygo blu lontano da casa mia.

 

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Quando ero piccola, qualcuno a me caro mi augurò di raggiungere i miei sogni; avrei dovuto impegnarmi a fondo, prepararmi alle cadute, alle delusioni e alle lacrime...ma, una volta superato tutto questo ce l'avrei fatta e, il mio sogno, si sarebbe finalmente realizzato.

Che sogno meraviglioso!

 

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"Senti, amore, riguardo a quello che ha detto Lea stamattina…" provo ad aprire il 'Discorso Matrimonio', cercando di volgere a mio favore il tradimento della mia amica.

Lo sento irrigidirsi a quelle mie prime parole, mentre il suo sguardo torna a perdersi nel vuoto.

"Si, ecco…sai com'è fatta!! Scherza sempre quella cretina!!" rimedio alla situazione per nulla favorevole, maledicendo tra me il comportamento infantile di Lea che mi ha cacciato in questo guaio.

Mattia sembra rilassarsi e lo sento prendere un respiro di sollievo.

Inizio a dondolare uno sci dalla seggiovia dove siamo seduti, nervosamente e col rischio che lo sci si stacchi e che cada nella soffice neve che ricopre il terreno a qualche metro sotto di noi.

A quell'idea torno lucida e rimetto lo sci al suo posto, al sicuro, appoggiandolo sulla sbarra di metallo.

"Comunque non è una cattiva idea.." lo sento irrigidirsi nuovamente.

"Si, cioè…non che non ci abbia pensato all'idea di.." provo a fare il primo passo, mentre sento il volto che mi va a fuoco, quasi letteralmente: mi sento bollire.

"Ci siamo quasi, togli gli sci!" mi interrompe bruscamente lui, alzando poi la sbarra che ci tiene seduti.

Sbuffo amareggiata, mentre mi lascio scivolare fuori dalla seggiovia e nascondo parte del volto sotto la calda sciarpa che mi avvolge il collo, per non fargli vedere l'improvviso rossore che mi ha colta.

Poi, con una potente spinta con le racchette, iniziamo a scendere per le piste innevate, dimenticando ed evitando completamente l'appellativo datomi quella mattina da Lea.

"Signora Stellari." Ripeto tra me e me tra uno slalom e l'altro.

Non suona neanche male!

Comunque una cosa è certa: il 'Discorso Matrimonio' è ufficialmente chiuso.

 

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"Amore, il tuo telefono lo butto giù nella neve se non smette di suonare!" impreca nel sonno il mio ragazzo, girandosi dall'altra parte del letto matrimoniale.

Senza aprire gli occhi, tasto con la mano sul comodino, cercando distrattamente la causa di quel rumore fastidioso.

Lo afferro e schiaccio il pulsante per la risposta, portandomelo stancamente all'orecchio.

"Pronto?" domando debolmente, ancora intontita dal sonno.

Dall'altro capo sento ciò che non avrei mai voluto sentire in tutta la mia vita.

Mi alzo di scatto, mettendomi seduta sul letto ed appoggiando istintivamente una mano sulla bocca, come se mi volessi impedire di singhiozzare o urlare.

"Dove?" domando in preda alla disperazione, il cuore che batte forte per la paura.

Annuisco stupidamente, come se il mio interlocutore potesse vedermi, "Arriviamo subito."

Butto il telefonino sul letto e mi alzo di corsa, correndo all'armadio e tirando fuori i primi vestiti che mi capitano.

"Fede, che succede?" Mattia mi guarda nella penombra, le coperte che coprono dolcemente parte del suo corpo.

"Lea." Dico semplicemente, come se il nome della mia distratta amica potesse spiegare tutto, "Ha avuto un incidente." Aggiungo, per essere più chiara.

 

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Questa sera mi sono chiesta come mai la vita sia così crudele nei nostri confronti. Forse, prova una sottospecie di piacere sadico nel vederci soffrire nei momenti più felici che trascorriamo.

Pensateci: quando tutto sembra andarci bene accade sempre qualcosa, qualsiasi cosa, capace di rovinarci, anche solo in parte, quella felicità e quella gioia.

Come è accaduto a Lea. Non so cosa abbia fatto di così grave da meritarsi questo; dev'essere stato qualcosa di terribile però, se la vendetta è stata così crudele da rovinare l'esistenza della mia amica svampita.

Lea, non credo tu ti meritassi tutto questo.

 

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Coma. Trauma cranico. Basse percentuali di uscire da questo incubo.

Il mio cervello tenta inutilmente di rigettare tutte queste parole, queste informazioni, queste terribili notizie.

I medici restano freddi e distaccati mentre informano il signor Marini sulle condizioni della figlia.

Preferisco concentrarmi sulle loro espressioni e sul loro incredibile sangue freddo che pensare a Lea.

Mi chiedo come facciano a distaccarsi in quel modo… in fondo, si parla di una ragazza, giovane, senza problemi, che fino ad oggi ha vissuto la sua vita tranquilla e con normalità. Come possono restare così freddi ed inermi alla straziante scena del signor Marini? Il volto cadaverico e gli occhi spenti che puntano il vuoto: anche lui si rifiuta di ascoltare quelle parole.

Ma i medici continuano con le loro spiegazioni. Del resto, è parte del loro lavoro.

"Mi dispiace." Tenta un gesto di umanità quello che sembra più anziano dei 2 medici che ci stanno di fronte; ha la barba bianca ispida che gli da l'aria di essere anziano e gli occhi vuoti, svuotati da ogni emozione e nascosti dietro un paio di occhiali da vista; i capelli rari gli coprono parte del cranio e le mani ruvide stringono a forza una cartelletta.

Il signor Marini non reagisce a quelle parole, resta con gli occhi sgranati a fissare il vuoto.

Mattia mi stringe una mano, intuendo il mio dolore.

Lo guardo per un istante, lasciando che quel contatto plachi un po’ quell'enorme sofferenza ed incredulità.

Appare calmo e controllato, anche se la sua mano stretta a pungo sui jeans tradisce il suo stato d'animo.

"Possiamo vederla?" chiedo in un filo di voce, tornando a fissare il dottore dalla barba bianca.

Annuisce, mantenendo costantemente il suo professionale distacco dalla situazione.

 

La stanza è fredda, come i dottori che lavorano in quell'ospedale. Le pareti sono bianche, neutre, spoglie. Hai sempre odiato gli ospedali, penso tristemente tra me.

Resto sulla soglia per un istante, lo sguardo che studia le pareti fredde, senza avere il coraggio di posarsi su quel letto così terribilmente doloroso.

Ma non posso evitarlo. Ecco che i miei occhi si posano su di te e ne resto inorridita.

"Come è successo? Come ti hanno ridotta?" Penso disperata, le gambe che iniziano a farsi deboli proprio in quel momento in cui tu sembri aver bisogno di forza e sostegno.

Tremando e strisciando stancamente i piedi mi avvicino al tuo letto; si potrebbe pensare che tu dorma tranquillamente tra quelle bianche lenzuola, che sembrano riflettere la neutralità delle pareti e dei medici; si potrebbe ipotizzare che tu stia facendo chissà quali bei sogni, persa chissà dove nella tua fantasia.

Ma i tubi che partono dal tuo corpo tradiscono ogni ipotesi positiva.

Coma. Trauma cranico.

Non ho il coraggio di avvicinarmi. Sono la solita fifona, lo so. Tra le due sei sempre stata tu la più forte e coraggiosa; io sono sempre stata quella controllata, che prima di fare qualsiasi cosa ci pensa su almeno un miliardo di volte; ma in questo momento, avrei solo bisogno di un minimo di quel tuo coraggio per poterti stare vicino, per non fuggire o crollare sulle mie deboli gambe.

Le lacrime iniziano a pungermi gli occhi; e mi fa male addirittura cercare di tenerle indietro.

Mi porto un'altra volta la mano alla bocca, come ho fatto quando la debole voce del signor Marini mi ha messo al corrente di ciò che è successo.

Trattengo i singhiozzi, o almeno ci provo, ma questi sembrano più forti di me e mi scuotono il corpo con duri colpi, come se volessero farmi svegliare.

Resto come una stupida a metà strada tra te e la porta della stanza, le gambe paralizzate e troppo deboli per fare un altro passo.

E l'unica cosa a cui riesco a pensare è quanto sia ingiusta la vita.

Non è giusto. Non è giusto.

 

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Ci mette alla prova. Ci studia e poi, senza un preavviso, ci sottopone ad un esame, ad un test. Uno stupido test in cui devi crocettare una delle due risposte. Ho sempre odiato quel genere di compiti in classe, quelli in cui devi giocarti tutto, devi giocare contro la fortuna. Non basta studiare, non è sufficiente, perché le domande nascondono trucchi, indovinelli difficili da decifrare. La prima o la seconda? Quale delle due è quella giusta?

Noi ancora non lo sappiamo, ma quella crocetta è capace di cambiare il nostro destino, è capace di cambiare tutto.

La prima o la seconda? La penna batte nervosamente, indecisa, senza sapere quale segnare.

È l'esame al quale ci sottopone la vita, la realtà. Non può andare sempre tutto bene perché poi la vita diventa invidiosa di noi, della nostra fortuna e felicità. Per questo ci mette alla prova e ci inganna con i suoi trucchi, con i suoi inganni nascosti in quelle due scelte.

La prima o la seconda? Tu quale hai scelto? La prima o la seconda?

 

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Buonasera a tutti voi lettori di Efp. :)
Questo capitolo è un pò lungo (anzi, ho dovuto tagliare anche un pezzo!) ma dal prossimo saranno più brevi.
Allora che dire di questa storia: più che un racconto romantico tra due sole persone (che sarebbero Federica e Mattia secondo la trama), questo racconto è più spinto al tema dell'amicizia e delle vite di quattro persone, vale a dire: Federica, Lea, Mattia e Nicola (tutti intorno ai 25 anni come età). Ogni capitolo ha un punto di vista diverso e vanno a turno (il primo è Federica, il secondo Lea, il terzo Nicola, il quarto Mattia e poi si ripete...).
Loro quattro sono i protagonisti con lo scopo di 'raggiungere i propri sogni' come dice il titolo; e, l'evento accaduto a Lea li fermerà nei loro sogni o sarà solo una spinta a realizzarli? Questo sta a voi scoprirlo se avrete voglia di seguirmi!
Un bacio.

=Sony=

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Capitolo 2
*** 02- Un attimo che cambia 4 vite (Lea) ***


02- UN ATTIMO CHE CAMBIA 4 VITE

 

"Lea"

 

 

"Arriva sempre il momento per ogni cosa", mi ripetevi sempre, senza che io riuscissi veramente a capirti; e neanche ora ci riesco.

 

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Simona abbraccia Michele, appoggiando la testa sulla sua spalla e chiudendo gli occhi.

Li osservo invidiosa nello specchietto retrovisore, mentre la mia bellissima C3 sfreccia sicura sulla strada.

E' il giorno di Natale e siamo in fuga. O almeno, io lo sono, gli altri mi stanno solo accompagnando, forse bramosi di diventare testimoni della mia pazzia.

Il fatto è che sono stufa del solito Natale in famiglia, con zia Milly che neanche si ricorda chi sei ma, che appena ti riconosce, è capace di raccontarti tutta la tua vita, anche quei ricordi che credi di aver cancellato o di non aver addirittura vissuto.

Per questo sono fuggita, stanca di Nicola che ogni anno viene a casa di mio padre a cercare me e il mio perdono; purtroppo per lui, ha sempre trovato solo me che gli urlo dalla finestra di andarsene e di lasciarmi in pace, che qui il perdono che cerca non c'è.

Nel posto accanto al mio siede Fabio, un amico di Simona da quanto ho capito, oppure un conoscente di Michele, non ricordo; poco importa, dato che la sua unica utilità è quella di interpretare il ruolo del DJ nella mia macchina, scegliendo la musica che ci guida nella nostra fuga.

La radio si sintonizza su "Eri bellissima" di Ligabue.

Non male come DJ questo Fabio.

 

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Ancora 6 km alle piste da sci.

Simona è ancora appoggiata a Michele con gli occhi chiusi. Forse dorme.

Fabio, invece, accanto a me, sembra più nervoso: gli sudano le mani che cerca, invano, di asciugare sui suoi pantaloni di un colore rosso acceso, dello stesso colore del fuoco.

Lo sbircio di nascosto, curiosa di capire il motivo della sua agitazione.

Lui nota il mio sguardo ed arrossisce, distendendo le braccia davanti a sé imbarazzato.

Ora capisco.

Sorrido tra me e me, mentre il pensiero di un'eventuale storia con Fabio s'insinua nella mia mente; come DJ non è male ed inoltre, in questo modo, metterei definitivamente una pietra sopra Nicola; metaforicamente parlando, s'intende.

E mentre i 6 km diventano 5, un malinconico Raf sostituisce Ligabue con 'Dimentica'.

 

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Federica lo ripete sempre: "Ti auguro di raggiungere i tuoi sogni".

Chissà, forse un giorno ce la farò. Una cosa, però, è certa: quel giorno non è oggi.

 

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"Ma Fede lo sa che la stiamo raggiungendo per rovinare la sua vacanza?"

Simona mi guarda nello specchietto retrovisore, lasciando libera la spalla di Michele.

"Certo che no, ma per chi mi hai preso?", le lancio un'occhiata di sfida attraverso il vetro, animando così la sua felicità: a Simona sono sempre piaciute le sorprese, soprattutto quelle di quel genere, vale a dire: catastrofiche!

Le adora e la sua immaturità è uguale alla mia: irrefrenabile davanti a certe sfide.

Non è come quella di Federica: la sua, ormai, si è spenta ed ha lasciato posto a sentimenti più seri, maturi e decisamente noiosi, oserei dire.

Torno a guardare la strada, immaginandomi la scena della mia migliore amica con il suo adorato Mattia che ci vede apparire dal nulla; o meglio, dalla mia fantastica C3 grigio metallizzata.

Del resto, abbiamo un conto in sospeso io e lei, dato che, anche quest'anno, mi ha abbandonato a zia Milly ed ai suoi noiosi: "Ti ricordi?"

No che non mi ricordo, zia! Quante volte devo ripeterlo?!

Un cartello sfreccia veloce alla mia destra: 3 km all'albergo delle piste da sci.

Sono le 11 di sera, il Natale è quasi concluso e sono in fuga dalla zia Milly e dai suoi ricordi che nessuno ricorda.

Alla radio, Laura Pausini interpreta una fantastica 'Destinazione Paradiso'.

 

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Se i sogni sono strani, la realtà lo è ancora di più.

È stato sufficiente un attimo, per cambiare tutto. Un attimo per cambiare una vita intera; anzi, 4 vite intere.

Il solito sguardo invidioso nello specchietto ci ha catapultato fuori dalla realtà. Letteralmente.

La fuga è finita, il sogno pure, ma la sveglia ancora non è suonata.

Che si sia scaricata la batteria?

 

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Ho ricordi confusi di quegli ultimi attimi.

Ricordo quell'ultimo sguardo nello specchietto, che scrutava per l'ennesima volta la testa di Simona che era tornata al suo posto sulla spalla di Michele; ricordo le mani sudate di Fabio, in particolare la sinistra che cambiava la frequenza della radio, cercando una canzone un po’ più vivace di 'Destinazione Paradiso'; ricordo quei due fari, due accecanti luci nella notte di Natale che diventavano sempre più grandi, finché non ci hanno inglobato completamente.

Il resto è solo una serie confusa di rumori e suoni, che si intrecciano nella mia memoria: lo stridio dei freni, il chiasso assordante di un clacson, lo schianto e Laura Pausini, che in sottofondo canta di un viaggio dove il ritorno lo puoi fare solo in volo .

Poi, ancora un'immagine: io che guardo nello specchietto retrovisore la testa di Simona che si allontana dalla spalla di Michele e che cerca un riparo più sicuro.

Ed infine più nulla, solo ricordi sfocati che zia Milly saprebbe raccontare meglio di me se solo, ad una cena di Natale, le riporterete alla memoria il mio nome. Allora, a quel punto, vi terrà ad ascoltarla per ore intere e vi narrerà storie incredibili, di sogni infranti e di vite spezzate.

Ascoltatela, per favore; perché quella è la mia storia, è quello che è accaduto a Simona, Michele e a Fabio, il DJ, dalle mani sudate e dai pantaloni rosso fuoco, quella sera tinti di un colore più scuro, un rosso vermiglio, come il sangue. Il suo sangue.

Quello è il racconto di una fuga andata male, di uno scherzo infantile fallito, di una ragazza a cui era stato augurato di raggiungere i propri sogni ma che ancora era così lontana dal realizzarli.

Laura Pausini mi dice che in quel viaggio senza ritorno che ha citato prima, si vuole sedere accanto a me e vuole che le dica: 'Destinazione Paradiso. Paradiso città.'.

Buffo! Non ci sono mai stata in un posto chiamato così.

Infine, i miei pensieri vanno a Nicola. Sicuramente, anche questo Natale è venuto a casa mia a cercare me e il mio perdono.

Chissà, forse, questa volta ha trovato solo il mio perdono che affacciandosi alla finestra gli ha urlato di andarsene, di lasciarlo in pace, che lì, la Lea che cerca, non c'è più.

 

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Mia madre lo ripeteva sempre, ogni sera, ogni dannatissima sera, dopo avermi rimboccato le coperte e prima di schioccarmi in fronte il suo bacio della buonanotte: "Arriva sempre il momento per ogni cosa".

Non ho mai capito cosa volesse dire e nemmeno ora, mentre giaccio sull'asfalto freddo e macchiato con gli occhi vuoti e spenti, riesco a trovare un senso alle sue parole.

 

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Rieccomi subito col nuovo capitolo, dal punto di vista di Lea, che narra l'incidente avvenuto la notte di Natale.
Il prossimo sarà dal punto di vista di Nicola.
Credo di non avere nient'altro d'aggiungere, solo un'informazione: gli aggiornamenti per ora avverrano frequentemente, perchè per adesso riesco a scrivere almeno un capitolo al giorno ed ora ne ho completati quasi 7, quindi non dovrei avere problemi a pubblicarli velocemente...
Spero che questa storia vi incuriosisca almeno un pò e che mi lascerete una piccola opinione giusto per farmi sapere che ne pensate. ;D
Mi farebbe piacere.
A Presto!
Un Bacio.

 

=Sony=

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Capitolo 3
*** 03- Il mio doposbornia non comprende l'amnesia (Nicola) ***


03- IL MIO DOPO-SBORNIA NON COMPRENDE L'AMNESIA

 

"Nicola"

 

 

A sei anni sognavo di fare l'astronauta; a otto giuravo di diventare un pilota; a dieci immaginavo di esplorare il mondo intero.

Non so come sono arrivato a fare il banale impiegato d'ufficio.

 

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Quest'anno ho promesso di fare qualcosa di diverso.

È il 25 dicembre, il giorno di Natale, ma non è cambiato niente; ho ancora sette giorni ed uno di questi lo sto sprecando in ufficio: l'ultimo luogo in cui posso far iniziare questo grande cambiamento nella mia vita.

Sono seduto nel mio angolo, alla mia scrivania che è uguale identica a tutte le altre scrivanie nell'edificio, in mogano scuro con due chiazze di caffè che mi sono appena cadute.

Amo il caffè: mi fa restare sveglio in un mondo che mi fa solo addormentare con la sua monotonia.

Compilo esausto gli ultimi documenti della giornata per poi sbirciare, furtivo, l'orologio che con i suoi rintocchi sembra fare il conto alla rovescia al mio posto.

Sono le 17.45; solo quindici minuti alla libertà.

Gianfranco Savino, il mio capo, non crede nella religione; anzi, mi chiedo se abbia mai creduto a qualcosa nella sua vita.

Per lui il giorno di Natale è un qualsiasi altro insieme di 24 ore in cui si può lavorare; o meglio, si deve lavorare.

E se penso che perfino il Grinch, in questo gelido Natale, se ne starebbe volentieri chiuso in casa con una tazza di cioccolata bollente e con un bel fuoco a scaldargli i piedi, mi vengono i nervi a pensare di avere come capo un uomo come Savino; perfino il Grinch lo odierebbe, davvero.

Chiudo i fascicoli e li abbandono sulla mia scrivania di mogano, macchiata di caffè.

Infine, lascio che la mia testa cada sul ripiano in legno, provocando un rumore sordo quando la mia fronte entra in contatto col duro materiale; chiudo, poi, gli occhi, tirando un profondo sospiro di sollievo.

È il 25 dicembre, mancano meno di 7 giorni alla scadenza della mia promessa ed ancora non é cambiato niente nella mia inutile vita.

 

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Può sembrare strano, ma quello è uno dei giorni che è rimasto più chiaro e fresco nella mia memoria.

Tutti confessano di non ricordarsi nulla il giorno dopo, quando, in preda agli effetti collaterali più devastanti, vomiti tutto quello che hai fatto la notte prima.

Anch'io, come molti altri, ho passato così il primo giorno del nuovo anno: attaccato al water di casa mia, con il dopo-sbornia più terrificante del mondo; eppure, i miei ricordi erano rimasti lì, nella mia testa disordinata e non erano stati vomitati fuori insieme all'enorme quantità di alcool che avevo assunto durante l'addio all'anno appena passato.

Erano lì, aggrappati come me alla tazza del bagno e mi facevano compagnia, tenendomi la fronte e suggerendomi un rimedio a quell'esistenza tragica in cui ero caduto.

Un cambiamento. Fu allora, in quel momento, che giurai a me stesso di apportare qualche modifica a quell'inutile romanzo che mi ostinavo a chiamare vita.

 

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Sergio è l'amico di sempre, quello indimenticabile; di carattere difficile ed avventuroso, è uno di quegli amici che si fanno vedere una volta "ogni morte di Papa", come si suol dire.

Probabilmente, il Papa è appena morto perché il mio telefonino, appoggiato sulla scrivania, inizia a vibrare e fa partire la suoneria che ho impostato solo per Sergio: "Hold my hand" di Michael Jackson e Akon.

Canzone fantastica; quasi, mi dispiace interromperla.

Se non rispondo adesso, però, mi toccherà aspettare che muoia un altro Papa prima di ricevere un'altra chiamata dal mio amico.

"Ehi, Sergio!" lo saluto come se fosse passato poco tempo dall'ultima volta che ci siamo visti; quasi 12 mesi, ormai.

Strano che, questa volta, si sia fatto sentire così presto; i Papi, al giorno d'oggi, non se la devono passare tanto bene!

"Ehi, Nicola, vecchio mio!", mi chiama vecchio anche se sono più giovane di lui di 2 anni, "che programmi hai per la serata?".

La sua domanda mi lascia nel più totale disorientamento e, col cellulare bloccato sul mio orecchio, non so se confessargli i miei piani per la sera di Natale o se mentire.

 

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Sono cocciuto, lo so bene. Me lo hai sempre ripetuto, per poi scoppiare nella tua fragorosa e gioiosa risata di bambina.

Me lo ripeto io, ogni dannato Natale che mi fermo davanti a casa tua ed urlo il tuo nome alla città e al mondo, perché tutti sappiano quello che provo per te.

"Sei cocciuto!", me lo ripeti ogni stramaledetto 25 dicembre, affacciandoti alla tua finestra e cacciandomi via senza mezzi termini; ora, però, le mie orecchie piangono nel non sentire più quella risata infantile che mi aveva fatto innamorare di te.

Sono cocciuto, lo so, eppure non mi stancherò mai di sentirtelo dire.

 

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Il locale si chiama Roxy, come quello della "Vita spericolata" di Vasco.

Mi ritrovo qui, col mio amico Sergio e bevo del whisky come le star; in un certo senso, almeno.

Sapete, in realtà, non mi è mai capitato di sentire che le star usano incontrarsi in angusti locali con nomi banali a sorseggiare whisky. Che razza di star sono, scusate?

Io e Sergio non ci sentiamo affatto delle star, però, per qualche motivo, ci ritroviamo a ripetere la loro insolita usanza.

Il mio amico è cambiato in quei (quasi) 12 mesi in cui non ci siamo più visti: è più alto, più magro e, oserei aggiungere, più vecchio.

Mi racconta di viaggi esotici e di gente che non conosco; ride di avventure che non ho mai vissuto e di amori che non ho mai amato.

Poi, è il mio turno.

Gli racconto di uffici noiosi e di pratiche odiose; rido di un capo che perfino il Grinch odierebbe e piango di un amore che non riesco a non amare.

Ci ascoltiamo a vicenda, ci guardiamo una volta terminati i nostri resoconti ed, infine, facciamo scontrare i nostri bicchierini ed ingoiamo un altro sorso bruciante di whisky, sperando di ingoiare insieme anche quelle storie. Almeno, per quel che riguarda me.

In effetti, se fossi in lui, non vorrei mai dimenticare tutte le sue avventure sparse per il mondo.

 

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Fuggire ed andare lontano. Cambiare identità, ma soprattutto, cambiare il passato e ricominciare. Nessuno ti conosce, tu sei il solo a custodire la tua vita trascorsa ed i tuoi ricordi.

Che cosa magnifica!

 

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Se non sbaglio, si chiama Sara; o Lucia, forse?

Quando mi ha urlato il suo nome la musica era più alta della sua voce, quindi non sono riuscito a capire bene come si chiama.

Però è bellissima: occhi neri come la pece e capelli dello stesso colore che si agitano fuori controllo sulla pista da ballo; il naso è piccolo, sottile e la bocca altrettanto fine ed invitante; il corpo ha i lineamenti giusti, niente da ridire, perfino i seni un po’ piccoli, nell'insieme, appaiono perfetti.

Il sudore inizia ad imperlarle la fronte e ad inumidirle i capelli, rendendola ancora più invitante ai miei occhi rossi per il fumo dell'alcool.

Quanti bicchieri di whisky abbiamo ingoiato prima di ritrovarci lì, con quel bellissimo angelo dalla chioma scura e dai seni piccoli ma perfetti?

La corteggio, avvicinando il mio corpo a quello di Sara o Lucia e cercando di seguire il suo ritmo; balliamo insieme mentre le mia braccia la afferrano e la mia faccia affonda nella sua spalla, inalando un profumo dolce ed esotico.

Come i viaggi di Sergio, immagino.

E proprio il mio amico mi allontana da quel sogno, afferrandomi per un braccio e trascinandomi ad un tavolo; alzo il braccio libero e saluto la dolce ed esotica Lucia o Sara da lontano.

Quando siamo seduti, con la testa che mi gira, Sergio inizia ad urlarmi qualcosa, ma la musica è ancora troppo forte per permettermi di capire qualcosa in più di qualche sillaba confusa, così annuisco semplicemente.

Mi mostra della polverina bianca sul tavolo, divisa in 3 strisce più o meno uguali; prende una banconota da 20€ e, dopo averla arrotolata, la appoggia sopra alla polvere bianca e l'aspira nel naso.

Confuso, lo vedo alzare la testa di colpo e poi scuoterla iniziando a ridere, prima di porgermi i 20€ arrotolati.

Sara o Lucia ci raggiunge al tavolo e si appoggia alla mia spalla, guardandomi fisso negli occhi come se volesse stare seduta in prima fila per godersi al meglio lo spettacolo.

Mi passo la lingua sulle labbra, assaporando la notte di fuoco che mi aspetta con quella sirena dagli occhi neri, per poi imitare Sergio.

Aspiro la cocaina e poi do il via al mio cambiamento.

 

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La suoneria che ho impostato per te è "She's the one" di Robbie Williams; non so per quanto tempo ho aspettato, invano, che il telefonino me la facesse sentire almeno una volta.

Ma, finalmente, ora sembra che quel momento sia giunto.

Scorgo il cellulare rimasto sul tavolo che vibra e con la schermata illuminata; non sento la voce di Robbie ma un sesto senso mi dice che sei te. Per questo non corro a prenderlo in preda all'ansia e non rispondo.

Distolgo lo sguardo dal tavolo e mi rituffo negli occhi della mia nuova musa che non ha un nome preciso ma che, per la prima volta mi fa passare un Natale diverso da quelli passati sotto casa tua, al freddo.

Non c'è dubbio, ancora oggi rimpiango quell'istante, quella mia cocciutaggine che mi ha abbandonato in quel momento e ti ha lasciato sfuggire per sempre dalle mie mani. Non sono più cocciuto, sono un vero e proprio imbecille.

 

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E come la mattina del primo dell'anno, mi ritrovo aggrappato alla tazza nel mio bagno e ci vomito dentro tutto.

La dolce fata dal nome ancora ignoto è svanita nel nulla questa mattina, all'alba, credendo di essersi alzata silenziosamente e di essere fuggita in un alito di vento, senza svegliare nessuno, non accorgendosi, però, che io non dormivo affatto; ma l'ho lasciata comunque andare via.

Come l'ultima volta che mi ero dato appuntamento col water, i miei ricordi non vengono vomitati insieme a tutto il resto; è strano, ma il mio dopo-sbornia non comprende l'amnesia.

Ricordo che Sergio se n'è andato con un'amica di Sara o Lucia, una certa Elisa; o Elena, forse e mi ha salutato con un cenno complice.

Probabilmente è stato nominato un nuovo Papa, perché qualcosa mi dice che non lo vedrò più ancora per un po’.

I suoi 20€ li ho tenuti io e li ho usati per comprare un regalo alla mia fata: una borsa taroccata di un marocchino notturno, se non sbaglio.

In effetti, quello era il primo che vedevo che vendeva borse di notte e mi ha fatto anche un po’ pena pensare che non ne avrebbe vendute molte con tutte quel buio; così ne ho comprata una non solo per la mia sirena ma anche per far piacere a lui; due piccioni con una fava.

Chiudo gli occhi, lottando contro l'emicrania che mi sta letteralmente uccidendo.

Ho mantenuto la mia promessa; ho portato quel piccolo cambiamento necessario alla mia vita, evitando di trascorrere il solito Natale come un imbecille ubriaco e disperato che urla il nome della sua amata sotto una finestra.

Come se Robbie avesse intercettato il mio pensiero, inizia a cantare "She's the one" e fa vibrare il mio telefonino, che mi fa compagnia sul pavimento.

Lo prendo e schiacciando il pulsante della risposta me lo porto all'orecchio, pronto a sentire la sua voce che mi cerca.

Ma, dall'altro capo, non c'è lei, ma qualcun altro: "Sono Federica".

E tutto il mondo mi crolla addosso.

 

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A dodici anni pensavo ad una carriera più altruista, come quella del dottore; a quattordici fui spinto verso la chimica; a sedici cambiai ed intrapresi la strada del giornalista; a diciotto ti ho conosciuta ed ho abbandonato tutto per te.

Ecco come mi sono ritrovato a fare il banale impiegato d'ufficio.

 

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Amati lettori, rieccomi con il terzo capitolo, raccontato dal punto di vista di Nicola. La narrazione è ancora ferma all'incidente di lea, ma dal prossimo, cioè quello di Mattia, andrà avanti.
Spero vi sia piaciuto questo capitolo e che mi vogliate seguire in questa storia. ;)
Nel prossimo capitolo succederà qualcosa nel rapporto tra Federica e Mattia e vedremo come andrà a finire tra loro 2. Mattia chiederà finalmente a Federica di sposarlo??
Al prossimo capitolo, lettori. (Lasciate un commentino, vi prego!!! ;( )
Un bacio.

=S=

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Capitolo 4
*** 04- Temo di aver bisogno ancora del tuo aiuto (Mattia) ***


04- TEMO DI AVER BISOGNO ANCORA DEL TUO AIUTO

 

"Mattia"

 

 

Paul Valéry, nel 1800 scriveva il modo migliore per realizzare un sogno.

Io, oggi, lo contraddico; il modo migliore per realizzare un sogno è quello di svegliarsi? Quanto ti sbagli, mio caro Paul. Forse, non sei abituato a vivere nella realtà quotidiana per affermare questa sciocchezza.

L'unico modo per realizzare un sogno è quello di spegnere la sveglia e continuare a dormire.

 

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Federica è esausta. Lo vedo nei suoi gesti, nei suoi occhi arrossati e nel suo lento camminare per i corridoi bianchi.

Vorrebbe fuggire, glielo leggo in faccia, nelle sue occhiaie che sembrano diventare ogni ora sempre più profonde; ma non può e lo sa bene, per questo che continua a trascinarsi stanca in quelle lunge ed infinite corsie fino al reparto di terapia intensiva.

Ed io la seguo come se fossi la sua ombra, che le luci a neon dell'ospedale hanno fatto fuggire; io resto qui e sostituisco quella parte di sé che l'ha abbandonata, reggendola al suo posto.

Penso che ci dev'essere dell'ironia in tutto questo, che se uno ci pensa bene si accorge di quanto sia bizzarra la vita, con il suo alternarsi di felicità e tristezza e con il suo lento scorrere degli eventi.

Sembrano passati mesi dalla chiamata in piena notte del signor Marini ma, quando guardo il calendario appeso ad una parete, mi stupisco che non sia passato neanche un giorno; anzi, neanche 12 ore.

Sono le 9 di mattina del 26 dicembre e sono trascorse solo poco più di 9 ore dalla notizia che ci ha messo al corrente che tutto stava morendo, che i nostri sogni si stavano frantumando con Lea e con la sua vita.

Federica mi cerca con la mano e si appoggia a me, aggrappandosi alla mia felpa quando arriviamo a destinazione, alla fine del nostro viaggio in quei lunghi, spogli e neutri corridoi dell'ospedale.

 

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E' quasi buffo pensare che non ricordo l'ultima cosa che ci siamo detti, io e te. La mattina di Natale non ci siamo parlati, tu troppo concentrata a prendere in giro la mia ragazza ed io troppo teso e preoccupato di non portare a termine il nostro piano; ecco, forse, è stata quella l'ultima cosa che abbiamo fatto insieme, la nostra ultima discussione.

E se è buffo pensare che neanche ricordo qual è stata la nostra ultima frase, mi capirai se mi appare sul volto un sorriso amaro, quando mi rendo conto che sei stata proprio tu a rovinare tutto.

Scusa, forse non dovrei dirti queste cose dato che anche te, se ci ragionassi bene, ti rammaricheresti nel pensare di avermi fatto perdere l'occasione che avevi progettato da tempo.

 

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Questa volta ha voluto che ci fossi anch'io con lei; mi ha confessato che prima non era riuscita a muoversi e ad avvicinarsi più di qualche passo.

Tuttavia, penso che il mio unico compito, lì, sia quella di sostenerla, non di spingerla; infatti, non mi risulta affatto che nei compiti di un'ombra ci sia quello di spingere qualcuno verso qualcosa di così doloroso e nocivo per la sua salute.

Mi innervosisco e mentre Federica resta aggrappata a me, muoviamo passi incerti in quella stanza bianca e fredda; mi vengono addirittura i brividi per quanto si gela in quel luogo; ma hanno acceso il riscaldamento, almeno?

Tutto è avvolto dal silenzio più totale, interrotto, a tratti, da un suono regolare, un 'bip' lento quanto soffocante, che aumenta l'ansia ad ogni rintocco.

Vorrei dire che mi ricorda tanto il rintocco di un orologio o perfino il suono ridondante di una spia, che vuole richiamare la tua attenzione; purtroppo, però, questo è diverso da ogni spia o orologio che abbia mai sentito ed è troppo lento.

Il battito del tuo cuore viene ripetuto da una macchina come se tentasse di ricordarci che non è ancora finita, nonostante la tua immobilità sembra dirci tutt'altro.

 

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"La speranza è un sogno ad occhi aperti", ripeteva il vecchio Aristotele.

Probabilmente, abbiamo ancora tutti gli occhi chiusi, allora.

 

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Quando arriva, la prima cosa che fa è fiondarsi nei corridoi che abbiamo appena percorso noi, svanendo dietro un angolo.

Federica resta a guardare il punto dov'è scomparso, sperando forse di vederlo riapparire subito con qualche buona notizia; in silenzio, spera anche che almeno lui sia in grado di superare quella barriera invisibile che sembra esserci a metà della stanza e che ha bloccato sia lei che me.

Sono una nullità come ombra; non sono stato in grado di accompagnarla verso quel letto, di avvicinarsi al corpo addormentato di Lea.

Abbiamo ceduto entrambi e ci siamo allontanati, abbandonandoci esausti sulle sedie color verde fosforescente all'ingresso del reparto.

Pochi istanti ed il corpo di Nicola ricompare all'angolo, trascinandosi verso di noi; probabilmente, il resto di lui è rimasto nella camera di Lea perché quello che striscia i piedi sembra solo un involucro vuoto.

Si siede accanto a me, sprofondando in una delle sedie color verde fosforescente, restando in silenzio, aspettando che il resto di sé, rimasto indietro, raggiunga il suo corpo per rianimarlo ancora.

 

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La sua testa è ancora immobile e gli occhi sbarrati puntano qualcosa d'indefinito davanti a lui.

Provo a seguire il suo sguardo ma incontro solo un muro bianco e neutro; chissà lui, invece, cosa ci vede!

Penso che se non ci fosse quella sedia di plastica sotto di lui, si sarebbe già accasciato a terra senza forze.

Mi alzo in piedi, distendendo i muscoli intorpiditi ed estraggo il mio pacchetto di Winston da una tasca; me ne porto una alla bocca e dopo tendo il pacchetto di sigarette verso di lui.

Lui mi guarda confuso, il corpo ancora un involucro vuoto e poi rifiuta: "Non fumo."

Infine, si alza e si trascina verso la macchinetta del caffè, posizionata accanto alle sedie verdi.

Resto a guardarlo mentre compie i suoi gesti come neanche un robot saprebbe fare meglio, la Winston tra le mie labbra che sta aspettando solo di essere accesa.

Dopo aver premuto qualche pulsante ed aver inserito delle monetine, infila le mani nelle tasche dei pantaloni e fissa il bicchierino vuoto di plastica che, lentamente, viene riempito.

Quando il liquido scuro smette di scorrere, lo sguardo di Nicola sembra aspettare ancora qualcosa, perché resta immobile nella stessa posizione.

Sto per andarmene, quando dei singhiozzi arrestano la mia fuga; mi volto e trovo Nicola che piange davanti alla macchinetta del caffè, singhiozzando come un bambino.

Federica si scolla dalla sedia su cui ormai sembrava aver messo radici ed abbraccia Nicola, cingendogli le braccia intorno al collo ed alzandosi in punta di piedi, costringendolo a piangere sulla sua spalla.

Federica è sempre stata bassa di statura.

 

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Ero venuto a chiederti aiuto; non so perché scelsi proprio te, forse perché sei la persona che le sta più vicina o forse quella più pazza e coraggiosa; ed in quel momento sentivo che mi mancavano tutte e due quelle qualità per poter proseguire.

Mi hai aiutato a scegliere le mie mosse, hai progettato con me ogni particolare del piano.

Alla fine, mi sono accorto che non avrei potuto fare di meglio e non mi sono pentito di essermi abbassato a chiederti aiuto.

Quindi, se ora hai bisogno di me, non esitare a chiamarmi; io arriverò subito, anche se sarò distante chilometri.

Chiamami, davvero, non aver paura che io ti prenda in giro per la tua debolezza.

Tu non l'hai fatto, io non lo farò.

 

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Sto accompagnando Federica a casa; alla fine si è convinta a staccare per un attimo e ad allontanarsi dall'ospedale.

Ho offerto un passaggio anche a Nicola ma l'ha rifiutato come ha rifiutato una delle mie Winston; tra l'altro quella che ho fumato io, appena uscito dall'ospedale, si è consumata subito; forse è meglio che cambi marca.

Federica ha messo radici sul sedile della mia Aygo come ha fatto con la sedia fosforescente dell'ospedale.

Si sostiene la testa con un braccio mentre osserva il paesaggio che scorre veloce fuori dalla macchina.

Sembra quasi che ci troviamo su una macchina del tempo, mentre guardiamo le altre vite che, fuori dal finestrino, continuano a correre veloci ed ignare che le nostre sono rimaste indietro, che sono salite su questa macchina del tempo, incapaci di proseguire.

Quando arrivo a casa di Federica, la aiuto a togliere le valige dalla macchina e gliele porto in casa.

Poi, restiamo sulla soglia, lei appoggiata allo stipite della porta, io ancora capace di stare in piedi senza alcun sostegno.

Ed è in questo momento che mi rendo conto che qualcosa è cambiato: siamo tornati entrambi timidi, introversi, incapaci di condividere l'un l'altro i propri sentimenti. Temo di non essere nemmeno più in grado di dirle "Ti amo", per quanto mi sento bloccato.

Mi passo le mani sui vestiti per calmare il mio nervosismo e perché sto sudando.

Nel toccarmi una tasca della giacca sento qualcosa al suo interno, che fa spessore; conosco molto bene quell'oggetto.

Ma, ormai, l'occasione mi è scivolata dalle mani come a Lea è sfuggito qualche particolare al suo piano perfetto.

"Ciao." Mi saluta lei e non posso far altro che ricambiare il suo freddo saluto, mentre Federica chiude la porta, lasciandomi fuori dalle sue emozioni.

Estraggo dalla tasca l'involucro del mio futuro, ormai svanito.

Lo apro ed inginocchiandomi a terra lo mostro alla porta di Federica e, finalmente, trovo il coraggio per chiedere: "Mi vuoi sposare?".

 

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Hai visto, Lea? Ho portato comunque a termine il nostro piano, nonostante la fine che ci aspettavamo non è la stessa.

Ma, almeno, così, ti sentirai un po’ meno in colpa quando ti renderai conto di non aver calcolato questo piccolo imprevisto nel nostro piano, che è stato capace di rovinare tutti i nostri progetti.

Ho fatto del mio meglio.

È inutile che continui ad accusarti di questo fallimento, dato che l'unico colpevole, qui, sono io.

Temo di aver bisogno ancora del tuo aiuto. Ti dispiace?

Ho bisogno di te per organizzare un nuovo piano, questa volta più perfetto, che consideri anche la mia vigliaccheria.

Spero che sarai ancora disposta a prestarmi un briciolo del tuo coraggio e della tua pazzia.

 

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Buongiorno a tutti ed eccovi il quarto capitolo.
Purtoppo la storia di Mattia e Federica è arrivata, ormai, ad una rottura.
Come vedete, comuqnue, il personaggio di Mattia tende ad essere un pò...egoista per così dire, superbo, più che altro...incapace, cioè, di assumersi le sue colpe. In effetti, in questo capitolo 'accusa' Lea per il loro piano fallito (che era quello della dichiarazione, per chi non lo avesse capito); tuttavia, alla fine il personaggio cambia e si rende conto che è stata la sua insicurezza a rovinare tutto.
Ora come continuerà la storia tra Mattia e Federica?
Il prossimo capitolo tornerà al punto di vista del primo quindi, forse, lo scoprirete.
Vi preannuncio la presenza di un nuovo personaggio, non sconosciuto a Federica che, probabilmente, la spingerà a prendere una decisione riguardo a Mattia.
Ora ci tengo molto a ringraziare
LaFolie108
che ha commentato la storia e che l'ha messa sia tra le preferite che tra seguite. :) ^^

Infine un saluto a tutti voi ed un pensiero al grande Marco Simoncelli, un ragazzo che si è sempre dimostrato una persona stupenda ed un grande campione! Un saluto anche a te, caro Sic! <3

Baci.

=S=

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Capitolo 5
*** 05- Un nome scritto col pastello rosso (Federica) ***


05- UN NOME SCRITTO COL PASTELLO ROSSO

 

"Federica"

 

 

Ricordo ancora molto bene la prima volta che mi innamorai.

Ero giovane ed ancora abitante di quel mondo delle favole che ci tiene per mano quando siamo piccoli; e lui era per me come un sogno irraggiungibile, qualcosa di così lontano e sfuggevole da farmelo desiderare con tutta me stessa.

Era un desiderio di crescere in fretta, di staccarsi dalla mano delle favole e di continuare il cammino da sola, per raggiungerlo.

Ma, scherzo della vita, se io crescevo lo faceva anche lui, tenendo sempre la stessa distanza tra noi due.

 

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Vorrei segnarmi l'ora ed il giorno di oggi, ma ormai, ho perso totalmente la cognizione del tempo.

Sono passati mesi, forse, ma se guardo fuori dalla mia finestra la neve è ancora lì per ricordarmi che è ancora inverno.

Chiudo la porta a chiave e scendo nel garage, dove mi aspetta la mia GranPunto celeste, ansiosa di ripetere lo stesso percorso che abbiamo fatto, ormai, non so quante volte.

Giro la chiave ma il motore si lamenta e protestando si spegne.

Appoggio la testa sullo schienale, chiudendo gli occhi e pregando la mia macchina di non rivoltarsi adesso, non ora in cui ho bisogno di qualcuno che non mi faccia arrendere.

Compassionevole, acconsente al mio terzo tentativo e mi accompagna in quel viaggio che conosciamo entrambe a memoria.

 

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Mi chiedo cosa ci vengo a fare in questo posto, se ancora non ho trovato il coraggio per non far tremare e bloccare le mie gambe quando mi avvicino a te.

Ci dev'essere qualcosa di terribilmente sadico in quest'aria, che mi impedisce di stare lontana da questo posto.

Forse, è perché penso che tu hai sempre odiato gli ospedali, quindi non credo tu ti trovi a tuo agio in questo luogo troppo disinfettato e pulito.

Già, dev'essere per questo che non riesco ad abbandonarti e che voglio starti vicino, per condividere con te questo insensato odio verso gli ospedali.

 

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"Signorina Alberti!"

L'infermiera del reparto mi raggiunge, fermandomi.

E' una donna carina, giovane, col corpo sottile, le gambe lunghe come due stecchini e col mento schiacciato.

"E' venuta ancora a trovare la signorina Marini?"

Alzo un sopracciglio, domandandole nei miei pensieri se ci potrebbe essere mai un altro motivo che mi porta a venire in quel luogo; lei, però, sembra non avere il potere di leggere nella mia mente, quindi mi sforzo di annuirle gentilmente.

"Purtroppo le devo chiedere di aspettare qui: in questo momento la signorina Marini ha un'altra visita e le regole dell'ospedale impediscono a più persone di entrare nella stanza."

Mi spiega tutto con calma e precisione, restando sempre distaccata dalla situazione; un po’ come i due medici che ci hanno spiegato le condizioni di Lea; un po’ come tutto il personale in quel luogo, più che altro.

Annuisco di nuovo e mi siedo su una delle sedie sistemate nella sala d'attesa, scelte di colore verde, probabilmente pensando di riuscire a portare un po’ di speranza nei visitatori.

Per passare il tempo penso chi potrebbe essere venuto a far visita a Lea; mi volto verso l'angolo del corridoio che porta alla sua stanza, mentre inizio a fare la lista dei possibili visitatori: il signor Marini è il primo che escludo: si è categoricamente rifiutato di voler vedere la figlia in quello stato, a causa della sua indole debole e sensibile; Mattia non lo sento da un po’, giorni forse (dico 'forse' perché ho perso semplicemente la cognizione del tempo). Non posso negare che le cose con lui non vadano affatto bene, ultimamente; infine, concludo che la sola persona che possa essere là dentro sia Nicola: Lea, però, andrebbe su tutte le furie se venisse a saperlo.

E, mentre il mio sguardo aspetta che l'ex della mia migliore amica sbuchi da quell'angolo, qualcun altro appare dal corridoio al suo posto, camminando tranquillo.

Gli occhi azzurri ed i capelli biondi, cortissimi; la bocca che, appena mi vede, si distende in un sorriso; il corpo snello e lanciato che si muove con sicurezza verso di me.

Quando me lo ritrovo davanti, ancora non mi rendo conto che il mio primo amore sta aspettando che mi alzi per abbracciarlo.

 

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La vita ha di quelle casualità che perfino io, certe volte, fatico a prevedere e a capire; ha aspettato l'istante di crisi con Mattia, l'attimo di smarrimento con Lea e il ricordo di un amore confessato in una lettera scritta con i pastelli.

E come se fosse successo solo ieri, mi torna in mente il suo nome, che avevo avuto cura di scrivere con il pastello rosso: Davide.

 

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Davide sembra essere quella valvola di sfogo che aspettavo da tempo; si sieda nella sedia accanto alla mia, il cui verde, per la prima volta da quando la vedo, sembra davvero infondere speranza.

Osservo l'uomo accanto a me e rimango stupita dai suoi lineamenti che si sono ben definiti, dal suo volto liscio e rasato e dai suoi occhi, che sono sempre rimasti gli stessi.

Mi domando come mi veda lui, dopo tutti quegli anni in cui non ci siamo più visti: gli sembrerò più grande, forse, più matura e meno bambina; oppure ai suoi occhi una bambina la sarò sempre, dato che ha sempre 6 anni in più di me.

Lui mi parla con tranquillità, come se tutta la lontananza che si è creata tra noi, l'avesse cancellata quando mi è venuto incontro e mi ha abbracciato.

Mi rivela le sue preoccupazioni e la sua sensazione di essere vecchio; rido e gli dico che avere 30 anni non vuol dire affatto essere anziano, ma solo un adolescente un po’ più grande e maturo; lui mi ringrazia per il mio tatto, confessando poi di non ricordarsi affatto i giorni in cui aveva la mia età, l'anno dei suoi 24.

Io, invece, temo che me li ricorderò per sempre.

E così, alla fine, anche noi cadiamo nella realtà e l'argomento esce spontaneo quanto fuori tema: "E cosa mi dici della mia sorellina?"

La sua faccia si fa cupa mentre aspetta una mia risposta ed i suoi occhi azzurri sembrano offuscarsi un poco.

Non riesco a rispondere a quella domanda, il fiato che mi si spezza appena lui chiama la mia amica: "la mia sorellina", 3 semplici parole che mi fanno ricordare il piccolo e pestifero Cupido, artefice del mio primo amore.

 

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Organizzava incontri, seguiva il fratello maggiore imitando una spia e poi mi riferiva tutto. Non che io glielo chiedessi, davvero. Anzi, spesso arrossivo e mi rifiutavo di ascoltare i suoi imbarazzanti racconti di quando il fratello maggiore usciva dalla doccia con i capelli ancora gocciolanti oppure di quando dormiva, abbracciando il cuscino.

In silenzio, però, la ringraziavo di tutte quelle preziose informazioni, di quei piccoli segreti che solo la spia migliore al mondo poteva procurarsi.

Come Cupido le mancavano l'arco e le frecce ma lei amava farsi chiamare un 'Cupido Moderno' dai mezzi tecnologici ed innovativi; ormai, l'arco e le frecce erano cosa da Medioevo, troppo antiquate.

Perfino quella lettera, quella piccola confessione d'amore, indirizzata ad un Davide che era così importante da meritare il proprio nome scritto col pastello rosso, era stata ripiegata con cura e consegnata da quel piccolo messaggero dell'amore.

 

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Ho provato a fermarlo, ma invano: gli ho ricordato le regole, ma lui, in risposta, mi ha sorriso complice, mandandole al diavolo; gli ho confessato che non ci sono riuscita neppure le altre due volte che c'ho provato ma, anche lì, il suo sorriso complice ha fatto la sua comparsa e mi ha consigliato di provarci una terza volta. La terza è sempre quella giusta.

Mentre percorriamo i lunghi e stretti corridoi il cuore inizia a battermi forte e la paura, quella brutta codarda, si aggrappa a me e mi trascina indietro.

Ma la mano di Davide è più forte e coraggiosa; del resto, è fratello di Lea.

Ed è nel momento in cui metto piede in quella stanza, con quel 'bip' che inizia a rimbombarmi nelle orecchie, che mi rendo conto di aver trovato il coraggio e la forza che chiedevo a Lea. Probabilmente, è stata proprio lei a mandarmi Davide.

Mi tiene per mano ed insieme ci avviciniamo al letto dalle lenzuola bianche.

E, meraviglia, la barriera s'infrange.

Chiudo gli occhi e, quando li riapro, sono accanto al letto di Lea e la mia mano, prima prigioniera di quella di Davide, ora è appoggiata sopra quella della mia migliore amica.

Davide si siede su uno sgabello, mentre mi guarda, orgoglioso della sua vittoria.

Ed io, incapace di trattenere ancora quell'enorme dolore, mi porto la mano libera sulla mia bocca come ho fatto la sera di Natale e, chiudendo a forza gli occhi, lascio che le mie lacrime escano copiose, liberandomi da tutto quel peso che mi porto dentro.

 

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Non potevi farmi regalo più grande, piccolo Cupido: mandarmi Davide è stato come far apparire un arcobaleno dopo la tempesta.

E, per ricompensa, ti rivelerò un segreto che non ti ho mai rivelato: ricordi la risposta di Davide alla mia dichiarazione con i pastelli? Tu, da buona amica, non l'hai letta e me l'hai portata, come il tuo giuramento da messaggero ti ordinava di fare.

Sai cosa diceva?

Su un foglio bianco, tuo fratello aveva risposto, utilizzando un pastello blu: "Ti auguro di raggiungere i tuoi sogni."

 

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Domando scusa a tutti per l'enorme ritardo!
Purtroppo gli aggiornamenti li dovrò fare meno frequentemente anche perchè inizio a rimanere indietro con i capitoli (ho finito giusto il settimo, per intenderci!). Spero che avrete la pazienza per seguirmi lo stesso.
Il capitolo di Federica mi è servito per introdurre questo nuovo personaggio: Davide, il fratello maggiore di Lea, che ha 30 anni, mentre si è scoperto che Lea e Federica ne hanno 24.
Cosa accadrà tra Federica e Mattia ora che è tornato questo "primo amore di lei"?? Lo vedrete nel seguito, naturalmente...xD
Vi saluto, carissimi.
Al prossimo capitolo (dal punto di vista di Lea)!!
Kiss Kiss

=Sony=

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Capitolo 6
*** 06- Visita al museo di 'Lea Marini' (Lea) ***


06- VISITA AL 'MUSEO DI LEA MARINI'

"Lea"

 

 

Devo ammettere che la cosa a cui non ho mai pensato nella mia vita, è la morte; certo, non nego di averci dedicato un piccolo pensierino o qualche insignificante fantasia ma, una volta passato quell'attimo di titubanza ed incertezza nella vita, sono andata avanti.

Del resto, è così che bisogna fare, no? Altrimenti che vita vivremmo se fossimo in perenne conflitto con la sua scontata ed inevitabile fine?

 

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Vorrei dirvi che intorno a me vedo bianco o nero, o che mi trovo in un inquietante tunnel dalla luce ambigua ad un'estremità; però, in realtà, io non la sto vivendo affatto così.

Sono con gli occhi chiusi in uno stato di assoluta pace.

Mia nonna me lo ripeteva sempre: "Se pecchi andrai all'inferno!" e poi afferrava il rosario e lo stringeva forte tra le mani, come se l'inferno stesse proprio per arrivare a prenderla e punirla di aver rivelato quell'enorme segreto.

Io la guardavo comprensiva e, dalla mia fanciullezza ingenua, l'avrei voluta tranquillizzare, chiedendole: "Nonna, ma tu hai mai visto com'è l'inferno? Forse, è un posto incantato e meraviglioso; magari, addirittura meglio del paradiso!".

Tuttavia, mi trattenevo e lasciavo che lei continuasse ad aggrapparsi a quel rosario che non era altro che una stupida collanina, non un'ancora di salvezza.

Sapete, credo che i vecchi siano molto più ingenui dei bambini, a volte; si lasciano ingannare dalle favole peggio dei giovani.

Eppure qui, in questo nulla, sono in pace, che sia l'inferno o il paradiso o nessuno dei due.

Però all'improvviso, qualcosa dentro di me mi inganna e mi fa aprire gli occhi per vedere se non è solo un sogno; che stupida, così non faccio altro che svegliarmi ed allontanarmi da questo stupendo luogo!

Temo di essermi fatta abbindolare troppo dal rosario di mia nonna.

 

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La vita, per me, è stata lo scenario più incredibile della mia esistenza: alti e bassi, cadute e risalite… con il suo continuo alternarsi mi ha fatto provare emozioni che non avrei mai conosciuto senza il suo aiuto.

Ed è proprio per questo che ho imparato a viverla con coraggio, a recitare davanti a quello scenario senza la "paura da palcoscenico" che colpisce molti attori.

Perché, in fondo, cos'altro si doveva aspettare la vita da me? In mano avevo solo un copione dalle pagine vuote e con il titolo "Vivi", quindi, non potevo fare altrimenti.

 

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Come dicevo poco fa, la decisione di aprire gli occhi è stato uno degli errori più gravi che abbia mai fatto; forse, sarebbe stato meglio un pizzicotto, anche se, probabilmente, l'effetto sarebbe stato uguale.

E mi sveglio.

La sensazione di pace e di totale benessere si allontana da me, rifugiandosi, forse, nei sogni di qualcun altro che non si è ancora svegliato.

"Ed ora che faccio?" mi domando, mentre mi guardo intorno e non capisco da che parte devo andare.

Se almeno ci fosse una sottospecie di guida! Mi accontenterei anche di una di quelle radioline con la voce registrata che ti danno al giorno d'oggi nei musei, avete presente? Quelle che, dopo aver schiacciato il pulsante d'avvio, ve le dovete portare all'orecchio ed una voce finta vi guida in quell'enorme luogo a voi sconosciuto.

Purtroppo non ne vedo nei dintorni, peccato.

Questo museo fa proprio schifo.

 

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Provo a camminare un po’, giusto per muovermi da dove sono, per non restare ferma e per continuare ad agire; ho provato anche ad addormentarmi di nuovo prima di prendere questa decisione, ma il sonno, ormai, mi era passato completamente.

E, durante la visita in quello sconosciuto museo, finalmente trovo la reception: ora potrò avere una di quelle radioline!

Mi avvicino e sporgendomi sul bancone mi affaccio per cercare un addetto del museo; ma non c'è nessuno.

Fortuna, però, che le radioline le hanno lasciate; scavalco il bancone e ne afferro una, schiacciando il pulsante d'avvio e portandomela poi all'orecchio, in attesa della voce registrata della mia guida.

Cazzo, non va. Ma proprio a me devono capitare tutte le sfortune?!

Provo con le altre, ma con tutte è la stessa storia: hanno lasciato lì solo le radioline scariche.

Questo museo è peggio di quanto pensassi.

 

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E all'improvviso, quando mi rendo conto che non c'è nessuno in quel museo, nemmeno una voce registrata chiusa in una radiolina di plastica, mi sento sola. Terribilmente sola, forse come non mi sono mai sentita prima.

Uff, ecco, se c'è una cosa che davvero odio è la solitudine. È l'unica in grado di spegnere il mio coraggio; perché, se mi rendo conto di essere la sola a recitare su quel palcoscenico, inizio a sentirmi dispersa, fuori luogo e dimentico, immancabilmente, tutte le mie battute.

 

---------------

 

Me ne sto andando, sto uscendo dal museo rimasto, probabilmente, senza fondi, vista la sua mancanza di materiale e personale.

Esco sulla strada e guardo la targhetta che hanno appeso accanto alla porta: "Museo di Lea Marini".

Accidenti, mi hanno addirittura dedicato un museo, anche se non è che se si sono messi d'impegno poi più di tanto per metterlo in funzione.

Mi giro per andarmene definitivamente, quando i miei piedi colpiscono qualcosa, che si allontana da me di poco più di un metro; e mi guarda.

Finalmente un barlume di speranza!

Raccolgo una radiolina che dev'essere fuggita a qualcuno del personale che se n'è andato, lasciando nel museo solo quelle scariche.

Schiaccio il pulsante d'avvio e me la porto all'orecchio; e, miracolo, la voce della mia guida inizia a farsi sentire!

Contenta, saltello per tornare dentro al museo ed iniziare la mia visita ma, subito, mi blocco di nuovo: mi accorgo che il timbro di voce della mia guida è bizzarro, strano; quasi debole ed incerto.

Ma che razza di guida è? A me ne serve una forte e che mi sappia spiegare dove sono!

La voce femminile piange e pronuncia il mio nome singhiozzando; stringo la stretta sulla radiolina, tenendola attaccata al mio orecchio per cogliere ogni respiro di quel suono registrato.

Sussulto, chiudo gli occhi e poi li riapro, di nuovo, svegliandomi anche da questo sogno: "Federica!".

 

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Che sciocca, non mi ero resa conto di essere ancora in un sogno! Credevo di essermi svegliata la prima volta che avevo aperto gli occhi, ma mi sbagliavo.

Fortuna che la voce di Federica mi ha riportato alla realtà.

Ora sono sveglia e pronta a consolare la mia migliore amica, come ho sempre fatto, del resto. Non posso abbandonarla, devo andare da lei e capire cosa la fa stare così male e poi risolvere tutto, come sempre.

Al diavolo quel bellissimo ed irripetibile sogno!

 

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Eccomi qui con il nuovo capitolo, cari lettori, dal punto di vista di Lea.
Finalmente si è svegliata: è uscita dal coma.
Ora come andrà? Sarà tutto tornato alla normalità ora che è lei è salva?
Lo vedrete più avanti, non dal prossimo capitolo, che è dal punto di vista di Nicola, ma da quello di Mattia (dove si intuirà qualcosa) che tra l'altro ho appena finito di scrivere.
Nel prossimo capitolo, invece, la vita di Nicola subirà un altro cambiamento...uno dei tanti che seguiranno...
Ora vi lascio, nella speranza che qualcuno di voi lasci un piccolo-piccolo-piccolo commentino...^^
Grazie a tutti voi che leggete questa mia insignificante storia! ;)
Un Bacio.

=Sony=

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Capitolo 7
*** 07- La mia lingua ha consegnato le dimissioni alla mia bocca (Nicola) ***


07- LA MIA LINGUA HA CONSEGNATO LE DIMISSIONI ALLA MIA BOCCA

 

Nicola”

 

 

Sono giunto ad un compromesso con Federica: mi ha promesso di non chiamarmi più col tuo cellulare ed io, in cambio, le avrei dato il mio numero di telefono.

Anche se ora, così, ho un nuovo problema a cui pensare: decidere una suoneria per la tua migliore amica.

Tu lo sai, io e Federica non siamo mai stati molto amici ed il nostro rapporto non è di certo migliorato quando io e te ci siamo lasciati, quindi non è che la conosca molto.

Trovare una suoneria adatta a lei sarà un compito davvero arduo.

 

-----------------

 

Sono nel mio ufficio, come sempre.

Capodanno è passato silenzioso, in punta di piedi, senza farsi vedere da me, sentendosi probabilmente in colpa per il cambiamento che mi ha fatto promettere di fare dopo il nostro ultimo incontro.

Me ne sto appoggiato allo schienale della mia sedia, la testa rivolta verso l'alto, mentre i fascicoli sono ancora intatti sulla scrivania di mogano scuro.

Le mie iridi scure riflettono il neutro soffitto sopra di me ma le mie orecchie sono tese, pronte a cogliere al volo quel cigolio fastidioso che affligge la porta della sala riunioni da mesi, ormai.

Forse, è meglio che vi informi che i cambiamenti della mia vita non sono ancora finiti.

 

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Ho sempre pensato che Federica sia una di quelle persone difficili da decifrare, troppo diversa da me e dal mio carattere, al quale è assolutamente incompatibile.

Per questo motivo trovo tanta difficoltà nel trovare una suoneria adatta a lei.

Ho bisogno di distrarmi, di allontanarmi da tutto ciò che mi circonda per concentrarmi sulla sua canzone.

Mi tappo le orecchie con le cuffie, mentre il mio i-pod scorre la musica, mentre aspetto quel brivido piacevole che mi percorre tutte le volte, aiutandomi a scegliere anche questa volta.

 

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Il Grinch non è l'unico ad odiare Gianfranco Savino.

In ufficio, l'8% condivide la sua opinione ed il restante 92% la nasconde bene dietro a lingue troppo abituate a leccare fondoschiena; mio malgrado, la prima volta che arrivai in quell'ufficio, fui assoldato dalla maggioranza, obbligando la mia lingua a vergognarsi di se stessa finché, un giorno, non ha consegnato le dimissioni alla mia bocca; e, quel giorno, è oggi.

Ho rifiutato la sua richiesta di licenziamento, promettendole che, d'ora in poi, non avrebbe più leccato il culo di nessuno; ed, ormai, dovreste saperlo che sono un uomo di parola.

Ve l'ho detto che i cambiamenti non sono ancora finiti.

 

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Capretti. Caffè?”

I miei occhi sbattono le palpebre ma la testa evita lo sforzo di abbassarsi per riconoscere la voce grave e monotona che mi ha appena chiamato.

Luigi Scalvenzi è il capo della fazione dei 'Leccaculo', colui che mi ha assoldato appena ho messo piede in quel luogo.

Qualche settimana fa quelle due parole sarebbero state come una molla che mi avrebbe lanciato dalla sedia fino alla macchinetta del caffè, pronta a distribuirmi la sua droga quotidiana; tuttavia, ora, non mi fanno nessun effetto; perfino il soffitto bianco mi sembra più interessante di una passeggiata in ufficio con il mio comandante per arrivare ad una stupida macchinetta, luogo d'incontro di tutti i membri del club dei 'Leccaculo'.

Non mi va...” mi lamento col soffitto che resta in silenzio alla mia risposta; un po' come Luigi.

Abbasso, finalmente, la testa per vedere se sia già andato via ma lui è ancora lì che mi guarda con quella sua espressione da ebete e col suo corpo possente.

Che schifo: ogni fibra del suo corpo sembra contenere da sola tutto ciò che, improvvisamente, inizio ad odiare.

Oh-oh! Capretti che rifiuta un caffè!”

Ci credo, brutto stronzo, visto che te lo fai offrire sempre!

Mi trattengo stringendo i pugni e ritorno con la testa buttata indietro, guardando di nuovo il soffitto bianco.

Infine, un'illuminazione: riabbasso lo sguardo ed accetto l'ultimo invito del capo dei 'Leccaculo'.

 

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Sono immobile: lo sguardo fisso sulla porta scura, le orecchie tese, una mano nella tasca dei pantaloni mentre l'altra accompagna il bicchiere col caffè alla mia bocca.

Alle mie spalle, i miei compagni formano un semicerchio intorno alla macchinetta, forse scommettendo con lei su quanti fondoschiena possono arrivare a leccare in un solo giorno; Luigi Scalvenzi punta su 9.

Le mie iridi scure sono pazienti, calme, mentre la mia testa si ripete per la terza volta il piano; non devo commettere errori.

Luigi Scalvenzi mi appoggia malamente una mano sulla spalla, come se barcollasse perché ha bevuto troppo caffè, che lui, a quanto pare, considera come un potentissimo alcolico: “Capretti, giuro che la prossima volta il caffè te lo offro io.”

Va al diavolo, brutto figlio di puttana.

La mano nella mia tasca si chiude di nuovo a pugno, stritolando un anti-stress invisibile.

E, finalmente, quando ormai i miei nervi sono al limite della sopportazione, il mio udito coglie quel cigolio fastidioso e la porta scura si apre.

Mi tolgo la mano di Luigi dalla spalla e guardo il 92% dell'ufficio con un sorriso di soddisfazione sul volto: “Preferirei restare senza caffè a vita piuttosto che offrirne ancora uno a voi, brutti Leccaculo di merda.”

Vi sembrerà una minaccia ridicola ma io, il caffè, lo amo davvero e non vi rinuncerei per nulla al mondo in una situazione normale; ma, ora, sono davvero disposto a tutto.

Non mi trattengo per memorizzare le reazioni dei miei ex-compagni e mi avvicino a Gianfranco Savino, appena uscito dalla sala riunioni; appena mi trova a bloccargli la strada mi guarda con cipiglio severo, intimandomi a spostarmi dalla sua strada, ma ormai non mi ferma più niente, o meglio, non mi sposta più niente.

Al diavolo lei e il suo lavoro del cazzo. Preferisco licenziarmi piuttosto che accettare le dimissioni della mia lingua.”

Ancora non ci credo di aver detto quelle parole per davvero; ma l'ho fatto e non me ne pento.

Ritorno dai miei ex-compagni e gli dico addio con un cordiale: “Mi state tutti sul cazzo.” e poi me ne vado.

Finalmente.

Il Grinch sarebbe orgoglioso di sapere che ha un nuovo membro nel suo gruppo.

 

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A 27 anni trovo il coraggio di riprendere in mano le redini della mia vita e con un colpo deciso con i talloni nei suoi fianchi, la faccio partire al galoppo verso il mio nuovo futuro.

Tranquilla, non mi dimentico di te; prima passerò a prenderti e, una volta che mi avrai finalmente perdonato, cavalcheremo insieme nelle immense praterie.

 

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Fuori piove, ma sono senza ombrello; mi metto entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni e sbuffando, fisso il cielo plumbeo che continua a perdere acqua da tutte le parti; mi toccherà aspettare che smetta di piovere per completare la mia fuga.

Le macchine sfrecciano veloci e sicure nonostante l'asfalto bagnato, come se i guidatori non si fossero neanche accorti che sta piovendo; beati loro.

A me, invece, tocca prendere sempre la metro o i servizi pubblici per spostarmi, quindi un ombrello mi è davvero necessario per arrivare alla stazione.

Una macchina arresta la sua corsa e si ferma sul lato della strada; la portiera si spalanca ed una donna inizia a correre verso di me, dimenticando di aver lasciato la macchina ancora accesa e completamente incustodita: “Nicola!!”.

Federica mi raggiunge e si ferma a qualche metro da me, preferendo restare sotto la pioggia.

La guardo inebetito sempre con le mani nelle tasche, non capendo proprio perchè sia venuta a cercarmi.

Lea si è svegliata.”

 

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Non ci crederai, ma ci sono riuscito: ho trovato la canzone per Federica.

Pioggia scendi su di noi, lava l'anima dal male, finché ogni traccia sparirà, pioggia sopra la città, su milioni di persone, scie di fari, fumo, corse al riparo e su ogni storia, cruda realtà, sulla serenità, su un sorriso, un dolore, sulla gioia”.

Bella, vero?

Si, hai ragione, lo ammetto, ho mentito: più che una canzone adatta alla tua migliore amica, questa è per ricordare questo bellissimo giorno di pioggia, in cui ho saputo che tu ti sei svegliata.

 

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-----------------

Buongiorno a tutti voi!!
Purtroppo sono di fretta e non posso fermarmi..
Voglio solo chiedere scusa per qualche brutta parola che ho scritto in questo capitolo...l'ho fatto per esprimere al meglio i sentimenti di Nicola ed anche perchè, come dice il titolo: la sua lingua ha consegnato le dimissioni alla sua bocca...;D
Ho voluto che Nicola, in questo settimo capitolo, si distaccasse un attimo dalla situazione di Lea per portare avanti la sua vita.
Penso che d'ora in poi pubblicherò, in media, un capitolo a settimana...
I prossimi 3 li ho già scritti, però devo ancora sistemare bene soprattutto quello di Federica, perché c'è qualcosa che non mi convince molto...
Anticipando qualcosa vi dico che parlerà del risveglio di Lea e delle conseguenze del suo incidente...
Nella speranza che lasciate qualche piccolo parere riguardo a questa storia, vi saluto e...
...al prossimo capitolo! ;)
Un bacio.

=S=
 

P.S.: La canzone alla fine è di Raf e s'intitola: "La danza della pioggia"

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Capitolo 8
*** 08- Distogliere lo sguardo e mordersi il labbro inferiore (Mattia) ***


08- DISTOGLIERE LO SGUARDO E MORDERSI IL LABBRO INFERIORE

 

Mattia”

 

 

Sono davanti al computer con gli occhi che riflettono lo schermo e con le mani bloccate.

Odio questi momenti, questi attimi di paralisi in cui mi incanto davanti al foglio bianco di Word, mentre la sbarra sta in cima alla pagina e lampeggia.

Sono i momenti in cui perdo l'ispirazione, in cui la mia vita subisce una paralisi che immobilizza anche le mie idee.

Amo scrivere. È la cosa che amo di più, credo.

È la passione che mi ha guidato dalla mia adolescenza e che ora mi accompagna nei miei passi.

Ma cosa succede quando il foglio resta bianco e quella sottile sbarretta continua a lampeggiare? Anche la mia vita vivrà una situazione di stallo?

 

---------------

 

La mia vita è diventata monotona, noiosa; non che prima fosse stata tanto diversa ma un po' più attiva, quello sì; quello è ciò che mi manca adesso.

Sono seduto sul divano di casa mia e sono solo.

La televisione è l'unica che mi fa compagnia e, devo essere sincero, non è che sia il massimo come anti-solitudine; fidatevi, vi consiglio di non affidare il vostro abbandono ai personaggi finti che vivono nei film; in particolar modo, quelli romantici.

I compagni dei film d'amore sono i peggiori, capaci solo di incrementare il vostro dolore, di moltiplicarlo per 100 volte.

Purtroppo per me, il periodo che sto vivendo adesso non solo mi rende solo, ma autolesionista; metaforicamente parlando, almeno: non posso fare a meno di guardare quegli stupidi film d'amore, con i due innamorati che si ritrovano dopo tutte quelle assurde peripezie. Ridicolo!

I titoli di coda mi salvano, interrompendo giusto in tempo la scena del 'bacio finale', tipica del genere romantico; come se un bacio potesse sistemare tutto e promettere un amore eterno ai due protagonisti; ma in che mondo vivono quelli che si inventano certe storie? Non nel mio, questo è certo.

Afferro il telecomando, cercando un altro film d'amore con cui tormentarmi.

Non fraintendetemi, lo sto facendo solo per ricordarmi ciò che sto perdendo e chi mi sto lasciando sfuggire dalle mani.

 

--------------

 

Qualcosa vibra e mi fa sussultare all'improvviso.

Mi metto seduto sul divano e mi guardo in giro, spaesato, non ricordando, in un primo momento, dove mi trovo.

Il mio sguardo cade sullo schermo che sta trasmettendo i soliti film.

Mi devo essere addormentato.

Con la mano, tasto i cuscini alla ricerca del mio cellulare che, imperterrito, continua a vibrare.

Ma chi può essere a quest'ora? Ma poi, che ore sono adesso?

Pronto...”, la mia voce è ancora impastata dal sonno ed uno sbadiglio fa intuire al mio interlocutore che mi sono appena svegliato; o forse no.

La ragazza al telefono inizia a riempirmi di domande, senza lasciare il tempo al mio sbadiglio di concludersi.

La mia bocca si blocca a metà strada mentre il mio cervello collega la voce che sento all'unica ragazza che mi viene in mente con quella vivacità.

Non è possibile...”, penso e lo dico pure al mio telefonino, anche lui incredulo di ciò che sta accadendo.

Forse sto ancora sognando.

 

---------------

 

Potevo aspettarmi di tutto, ma non quello.

Non mi potevo aspettare una chiamata da lui, che aveva avuto addirittura il coraggio di rifiutare una delle mie Winston.

Da lei, però...la mia testa non mi lascia in pace e mi riempe di domande, anzi, si riempe di domande. Perché non mi ha chiamato? Perché non mi ha avvisato di ciò che è successo?

Ti sei svegliata e Federica non mi ha detto niente.

Ho dovuto aspettare che tu stessa mi chiamassi per venire a sapere tutto.

 

----------------

 

Quando arrivo c'è solo lei che mi aspetta.

Appena mi vede entrare mi dice che Federica se n'è andata insieme a Nicola.

Sono ancora confuso ed intontito dalla velocità degli ultimi eventi ma, per fortuna, le mie gambe riescono a muoversi autonomamente e mi avvicino al suo letto.

Lea mi rivolge un grande sorriso quando le sono accanto, come se fossi arrivato al traguardo di una lunga ed interminabile gara.

La guardo ed ancora sono incredulo nel vederla sveglia; non riesco proprio a farmene una ragione.

Mi lascio cadere sullo sgabello, le gambe esauste ed i miei occhi verdi sempre fermi nei suoi azzurri, un poco spenti.

Vorrei chiederle un mucchio di cose, esporle i miei dubbi, liberandomi, così, da tutte la domande che mi riempiono la testa. Lei sa perché Federica non mi ha avvisato? È stata proprio lei a chiederle di chiamarmi? Ha dovuto avvertire anche Nicola?

Quando mi hai messo giù all'improvviso, mi sono preoccupata.”, Lea mi sorride, contenta di vedermi lì, accanto a lei.

Hai ragione, scusami. Non me l'aspettavo. Appena ti ho riconosciuta sono corso qui...”

Per te”, vorrei aggiungere ma mi fermo, perché so che, in realtà, vorrei dirle “Per lei”. Per Federica.

Lei sembra intuire qualcosa, forse dal mio sguardo che si allontana dal suo o dal mio vizio di mordermi il labbro inferiore quando sono nervoso.

Cerca di nuovo il mio sguardo e quando lo ritrova mi interroga silenziosa, inarcando le sopracciglia.

Penso che anche lei tituba nel farmi certe domande e che, quindi, si trattiene.

Quindi...?”, cambia discorso lei, tornando a fissarmi con il suo sorriso.

Mi chiede di rispondere alla valanga di domande che mi ha rivolto appena ho risposto al telefono: “Com'è andato il nostro piano?”, mi domanda di nuovo, ansiosa di una risposta; mi spiega che non si ricorda di quello che è successo la notte di Natale ma che, all'improvviso, ha avuto un flash e si è ricordata che, quella sera, voleva venire da me e da Federica per rovinarci la serata; per questo mi ha chiamato.

Un senso di sconforto mi assale alle sue parole e mi costringe a distogliere di nuovo lo sguardo e a mordermi di nuovo il labbro inferiore; odio questo vizio.

Penso che un po' è colpa mia e di Federica se Lea ha avuto l'incidente; chissà se ha rivelato anche alla sua migliore amica l'intenzione di farci uno scherzo quella sera, portandola a rischiare la vita.

Torno a guardarla negli occhi per chiederglielo ma il suo sorriso mi fa intuire che non ha raccontato niente a Federica; del resto, lei la conosce meglio di me.

Allora?”, è impaziente di avere una risposta alla sua domanda, che ancora non le ho dato; forse, solo perché sto scegliendo tra la possibilità di mentirle o tra quella di dirle la verità.

Lei non è come Federica, lei può sopportarla la realtà.

Abbiamo fallito”, le rispondo, per poi correggermi subito: “Ho fallito”.

 

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Solo ora mi viene da chiedermi perché non ti ho guardata bene quando sono entrato; forse, avrei dovuto cogliere le tue emozioni, le tue sensazioni in quel momento; o, come minimo, domandarmi perché fossi così tranquilla nonostante quello che ti è successo. Possibile che tu non ti sia accorta di niente? Ancora non te l'hanno detto?

Del resto, da sola non te ne puoi accorgere: a fatica, per via dell'anestesia, riesci a muovere la testa e le braccia, quindi, come puoi renderti conto che la tua vita non tornerà mai più quella di prima?

 

----------------

 

Qualcosa non va?”

Torno a guardarla, mentre lei cerca, invano, di leggermi il pensiero.

Fortuna che non è mai stata brava ad indovinare le preoccupazioni degli altri.

Tranquillo, Mattia: ci penserò io; creerò un piano ancora più perfetto di quello precedente!”

Crede che stia pensando ancora al nostro progetto fallito.

No, Lea, non ti devi più preoccupare di questa cosa.”

Lei mi guarda dubbiosa, inarcando di nuovo le sopracciglia, come se si sforzasse di leggermi nella mente; poi, sembra arrendersi ed acconsente silenziosa alla mia richiesta.

Alza lo sguardo, puntando il soffitto bianco e neutro dell'ospedale, per poi voltare la testa dall'altra parte, dove la macchinetta dai 'bip' ridondanti continua il suo lavoro.

Resto silenzioso accanto a lei, aspettando paziente che torni a fissarmi; ho bisogno di un suo sguardo e del suo sorriso vivace; ed, in silenzio, prego anche perché mi dia una piccola dose del suo coraggio.

Quando torna con la testa rivolta verso di me, però, né il suo sorriso, né la sua vivacità ci sono; sono scomparsi e temo che non ci sia più neanche il suo coraggio.

Mi guarda e mi lancia domande silenziose che mi feriscono come vere e proprie frecce: i suoi occhi scrutano nei miei e, per la prima volta, temo che abbia imparato a leggere nel pensiero.

Come sono? Sto bene?”

Non posso evitarlo: alle sue domande sono costretto di nuovo a distogliere lo sguardo e a mordermi il labbro inferiore.

 

---------------

 

Alla fine anche tu ti sei resa conto che non tutto è tornato come prima: qualcosa manca. Ho cercato di far finta di niente ed ancora adesso ti mentirò, perché sono troppo codardo per essere sincero e per riuscire a sopportare la tua nuova realtà.

Forse Federica e Nicola sono fuggiti anche loro per questo motivo, perché hanno avuto paura della tua reazione.

È meglio che me ne vada anch'io, allora?

Scusa se ti dico che voglio rimanere; non ho la forza di alzarmi da questo sgabello e di uscire da questa stanza, dove la mia vita mi aspetta per mettere in chiaro le cose con Federica.

Dovrò sforzarmi per mentirti, evitando di distogliere lo sguardo dal tuo e di mordermi il labbro inferiore.

Torno a guardarti e rispondo alla tua domanda, obbligando le mie labbra a tendersi in un sorriso che spero sia abbastanza resistente da non crollare: “Tranquilla, andrà tutto bene”; è un po' banale come risposta, lo so, per nulla chiara a risolverti i tuoi dubbi.

Fingi di tranquillizzarti come ti ho chiesto, forse solo per calmare me.

Poi, sei tu che distogli lo sguardo e ti mordi il labbro inferiore.

Non sono bravo a mentire; a quanto pare, l'unica cosa che so fare è trasmettere agli altri quell'orribile vizio.

 

-----------------

Scusate per il ritardo di questo capitolo!
Lo confesso: ho voluto aspettare a pubblicarlo nella speranza che 'il blocco dello scrittore' che mi colpisce TUTTE le volte (insopportabile! -.-) si 'sbloccasse', per così dire....niente da fare.
Ho scritto fino al 10 (compreso, naturalmente) ma ora non riesco più a scrivere un capitolo intero ma solo pezzi frammentari dei capitoli successivi e che non riesco a mettere insieme.
Il caso è disperato!!! Scusate!!!
Purtroppo non so bene quando pubblicherò il IX capitolo!!
Spero che porterete pazienza...^^''
(e che questo capitolo vi sia piaciuto, naturalmente! [anche se ci dovrebbe essere qualche errore...è da un pò che non lo rileggo e 'revisiono', quindi sicuramente ce ne saranno...])
Al prossimo capitolo!! :)
Kisses


 

=Sony=

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Capitolo 9
*** 09- Non puoi ignorare la verità delle mie lacrime (Federica) ***


09- NON PUOI IGNORARE LA VERITA' DELLE MIE LACRIME

 

Federica”

 

 

Ci sono episodi, nella nostra vita, che ci sorprendono e cambiano tutta la trama.

Non sono affatto rari questi eventi e spesso oltre a modificare tutto, lo peggiorano.

Sei d'accordo con me, vero? Del resto, è quello che è successo a te.

Eppure, tu non ti sei resa ancora conto che qualcosa è cambiato, che l'incidente che hai avuto ha lasciato in te delle tracce indelebili ed indimenticabili.

Tocca a me essere coraggiosa questa volta, stare accanto a te, prendere la tua mano nella mia e spiegarti tutto; ti dovrei consolare con parole confortevoli, dirti che non tutto è finito perché io sono qui, accanto a te, pronta a restituirti tutto il coraggio che mi hai prestato negli anni.

Starti accanto e sostenerti, cercando in tutti i modi di allontanare il tuo dolore.

Spero tanto di riuscirci.

 

----------------

 

Sto accompagnando Nicola a casa.

Ha insistito a lungo per rimanere in ospedale ma Lea non ne voleva sapere così l'ho convinto a rientrare per riposarsi un po' e a ritentare più tardi; nonostante Lea sia appena uscita dal coma, vale a dire da una situazione in cui ha rischiato di morire, non vuole ancora perdonare Nicola. È incredibile quanto sia testarda.

Quando mi fermo davanti a casa sua, lo saluto sorridendo, mentre lui, un poco abbattuto per l'ostinazione di Lea, scende dalla mia GranPunto celeste ed entra in casa, chiudendosi la porta alle spalle.

Se mi sembra incredibile fino a che punto arriva la testardaggine di Lea, potrete immaginare quanto resto stupita, ogni volta, dall'amore ostinato di Nicola per lei.

Non è come me e Mattia. O, almeno, non più.

 

---------------

 

Ci incontriamo per i corridoi dell'ospedale ed è come se ci incontrassimo per la prima volta: entrambi imbarazzati, entrambi timidi ed incapaci di esprimere i propri sentimenti.

Ci fermiamo uno di fronte all'altro e ci guardiamo in silenzio, finché io non cedo, abbassando lo sguardo a terra.

Mattia si mette una mano nei capelli imbarazzato ed indeciso, il volto turbato; infine, mi passa accanto silenzioso, come se fossimo due estranei che si incontrano casualmente ma che, alla fine, ognuno capisce di dover continuare la sua strada.

Continuo a percorrere i corridoi ed entro nella stanza di Lea che, appena mi vede, mi rivolge il suo solito sorriso vivace.

Fortuna che il suo carattere non è cambiato dopo l'incidente.

 

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No, non dirmelo, Fede...”

Distolgo gli occhi da lei per non vedere la sua espressione di rimprovero dipinta in volto.

...davvero non avevi detto a Mattia che mi ero svegliata dal coma?!”.

Annuisco colpevole davanti al mio giudice inclemente e severo che, subito, esordisce in uno sbuffo contrariato: “Sei un caso disperato!”, mi accusa la mia migliore amica, colpevolizzando il mio carattere difficile.

Purtroppo, sono fatta così: non dico di averlo fatto apposta a non avvisare Mattia ma, semplicemente, mi sono fatta prendere dall'avvenimento e non ci ho pensato!

E così, vuoi farmi credere che ti sei ricordata di Nicola ma non di Mattia?!”, ribatte Lea, accusatoria.

Torno a guardarla colpevole; lei smette di tormentarmi, intuendo che sono senza difese alle sue accuse.

Mi sorride ed appoggia una mano sulla mia, che giace silenziosa e, a sua volta, colpevole sul bordo del letto: “Tranquilla, ci penserò io a sistemare tutto”, si batte l'altra mano, chiusa a pugno, sul petto, vantandosi delle sue doti di Cupido.

Le sorrido di rimando, accondiscendendo il suo carattere vivace e testardo.

 

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Questi attimi di sconforto che ci sorprendono, uscendo all'improvviso, ci fanno del male; ci fanno soffrire.

Sto attenta al tuo sguardo, ad ogni tuo minimo movimento, per essere certa che tu non ti accorga dell'imprevisto che ancora regna in questa storia.

Non posso farcela da sola e, grazie a te, non lo sono affatto.

Davide viene in mio soccorso, o questo è quello che credo; perché ancora non conosco ciò che ha in programma la realtà ed ancora non so che vuole che sia proprio io a distruggere i tuoi sogni; io, che imitando tuo fratello, ti ho augurato di raggiungerli.

 

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Davide interrompe i nostri pettegolezzi e i nostri ricordi, ricchi di risate e lacrime.

Entra nella stanza e dopo aver sorriso ad entrambe dice che mi vuole parlare in privato.

Lasciamo Lea da sola nella stanza, mentre lui mi accompagna lungo i corridoi fino alla reception, dove un sconvolto signor Marini è seduto in una delle sedie verde fosforescenti.

Riconosco, in uno dei due dottori che sono in piedi di fronte a lui, i lineamenti freddi e rugosi del medico anziano che ci aveva informato delle prime condizioni di Lea.

Mi siedo accanto al signor Marini, imitata da Davide, che si siede accanto a me; infine, tutti e tre alziamo lo sguardo sui due dottori che sembrano impazienti di metterci al corrente delle ultime novità.

Siete i parenti?”, domanda quello più giovane, dall'aria ancora inesperta ed incapace di affrontare quel mondo ammalato e morente in cui ha voluto lavorare.

Il signor Marini resta immobile ed inerme e Davide risponde al suo posto: “Si. Io sono il fratello, mentre lui è il padre.”

Sento lo sguardo del giovane medico che si posa su di me, interrogandosi sulla mia parentela con Lea.

Anche lei è di famiglia”, lo rassicura Davide, intercettando il suo sguardo e mettendo fine ai suoi dubbi.

Arrossisco, mentre lui lotta per me contro il giovane dottore, dichiarandomi come 'una di famiglia'.

Bene. Allora, seguitemi tutti e tre.”

Il dottore anziano, senza aspettare un nostro consenso, si allontana dalla reception, incamminandosi nel corridoio che porta al suo ufficio.

 

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E' una situazione molto difficile”, esordisce il dottore, come se quella frase potesse riassumere tutto; in realtà, a me sembra non chiarire proprio niente di tutta quella situazione.

Cosa c'è di tanto difficile?”, Davide prende in mano la situazione al posto di suo padre, che ancora non sembra essersi reso conto di non essere più seduto su una delle sedie verde fosforescente nell'ingresso del reparto, “Ormai l'operazione l'avete fatta, non possiamo tornare indietro e semplificare tutto per mia sorella, per farglielo accettare con calma.”

Il medico annuisce calmo, appoggiando i gomiti sulla scrivania ed incrociando le dita delle mani davanti al volto, come se volesse nascondere le sue espressioni; meglio non mostrarsi troppo 'umani' in queste situazioni delicate.

Non è questo che la rende una situazione difficile, infatti”, ribatte l'anziano con tranquillità, riuscendo a gestire con assoluta calma tutta la situazione; chissà quante volte ha ripetuto quelle frasi e quei gesti per nascondere le sue espressioni, quei respiri regolari e quella voce controllata e sicura per tenere tutto sotto controllo!

Il dottore apre una cartelletta e la sfoglia mentre con lo sguardo vuoto sembra assorbire le informazioni necessarie per continuare a parlare: “Trauma cranico, due fratture costali, ustioni...”.

Il mio cervello si rifiuta di ascoltare l'elenco pronunciato dalle labbra fredde del medico che sembra stiano pronunciando più che altro una lista della spesa.

I brividi mi percorrono in tutto il corpo e mi costringono a stringere le braccia intorno al petto, se non per il freddo, per proteggermi da quell'orribile elenco pronunciato con tranquillità e freddezza.

Alzo lo sguardo su Davide, curiosa di vedere se anche lui è turbato da tutta quella tranquillità e dal distacco assunti dal dottore; e, come sempre, mi stupisco della sua maturità e forza: gli occhi azzurri sono immobili sul medico, pazienti di incontrare quello sguardo gelido immerso nella lettura per interrogarlo; le labbra sono serrate, chiuse come se non volessero far uscire nemmeno un sospiro o un piccolo sussurro che possa interrompere o anche solo disturbare quell'analisi scientifica.

Mi faccio coraggio e cerco di imitarlo, tornando a fissare l'uomo seduto dietro la scrivania, ormai giunto alla fine dell'elenco.

Quando arriva all'ultimo punto, il più terribile e cruciale, si interrompe mentre gli occhi si alzano dai documenti e le labbra si bloccano, restando leggermente socchiuse, con le ultime parole dell'elenco che non vengono pronunciate e restano morenti su quella bocca; un attimo di pausa che sembra durare una vita e 4 dei miei respiri più profondi e nervosi, poi, finalmente, le labbra ruvide si sbloccano e riprendono ad emettere la voce neutra ed atona del dottore: “...come ha preso, la paziente, quest'ultima notizia?”.

E, per l'ennesima volta, resto sconvolta: con la coda dell'occhio, colgo lo sguardo di Davide cedere di fronte ad una semplice domanda e cadere fino al pavimento bianco ed immacolato, sconfitto e debole. Tutto il suo coraggio e la sua forza svaniscono, evaporano, si dissolvono nel nulla, stritolati nel suo pugno che ora è chiuso sui suoi pantaloni.

E quando vedo scomparire anche quella piccola fonte d'energia alla quale mi appoggiavo fiduciosa, è la fine.

Ricomincio a tremare e i miei occhi imitano quelli di Davide, cadendo a terra, forse trovando il pavimento bianco ed immacolato un buon argomento con cui distrarsi.

Come faranno a tenerlo così splendente, come se nessuno ci avesse mai camminato sopra? E le luci al neon sul soffitto sono state messe apposta per creare quell'illuminazione riflessa sulle piastrelle di marmo?

No, ma chi voglio prendere in giro? Non funziona, non più.

Tutti noi siamo andati avanti più di due settimane a fingere che tutto andasse bene e che, il vero problema, fosse il risveglio di Lea e non le vere conseguenze dell'incidente.

Ma, prima o poi, quelle favole e storielle che ci raccontavamo l'un l'altro, sarebbero dovute sparire e l'illusione che tutto si sarebbe sistemato sarebbe scomparso con loro.

Un po' com'è successo al coraggio di Davide, che ancora non riesce a ritrovarlo per riprendersi. Vorrei tanto aiutarlo a cercarlo, chissà, forse è caduto qui vicino e posso vederlo!

Niente, non lo trovo, le luci a neon dell'ospedale fanno troppa luce e mi impediscono di cercare bene.

Il dottore sembra intuire tutto e torna ad immergere il suo sguardo glaciale nella cartelletta di Lea, forse sperando di trovarci una soluzione o magari anche un consiglio da darci.

Ed è in questo momento che accade qualcosa di strano, qualcosa che ancora oggi non mi spiego: stringo i pugni e non so grazie a cosa, forse al coraggio di Davide che ho scorto, mentre si nascondeva impaurito tra i documenti di Lea stretti nelle rugose mani del medico, oppure per colpa della consapevolezza di dover sostenere la mia migliore amica in questo momento...fatto sta che alzo coraggiosamente la testa e fisso, sicura di me, il dottore anziano: “Glielo dico io.”

 

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E' arrivato il momento di essere coraggiosi.

E' arrivato il momento di non avere paura.

Aiutami! Ti prego, sorridimi quando entrerò di nuovo nella tua stanza e stringimi la mano quando mi fermerò accanto al tuo letto; spero basti questo per farmi forza; o, almeno, che non abbia l'effetto contrario: mi auguro che i tuoi occhi ed il tuo sorriso vivace non mi bloccheranno, bruciandomi le parole in gola e facendomi perdere il fiato.

No, niente può fermarmi: tu devi sapere cosa ti sta accadendo e devo essere io a dirtelo perché poi possa essere subito lì a sostenerti nel caso di un tuo cedimento.

L'anestesia e le lenzuola bianche ti hanno impedito di comprendere la realtà ma, Lea, la verità è che niente, per te, sarà più come prima: “Ti hanno dovuto amputare una gamba.”

Il tuo sorriso si spegne, la tua mano lascia la mia e tuoi occhi mi guardano increduli, incapaci di comprendere la sincerità nelle parole che vengono pronunciate da una bocca; tuttavia, non sono in grado d'ignorare la verità delle lacrime che mi escono dagli occhi.

E, così, proprio io che ti ho augurato di raggiungere i tuoi sogni, ora te li infrango.

 

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Eccomi qui, amati lettori con il nono capitolo.
In realtà questo non mi ha mai convinto granché...ho provato a modificarlo un po' ma ancora non è così soddisfacente come speravo...cmq eccolo lo stesso!! :D
Spero tanto che qualcuno di voi lasci un piccolo, piccolo commentino...:3
Il prossimo capitolo (il decimo) è l'ultimo che ho scritto per ora...ho tentato di scrivere l'undicesimo, quello di Nicola ma ancora risulta essere un'impresa un pò troppo ardua...
Spero di non farvi aspettare troppo cmq...;)
nel caso anticipo con gli auguri di Buon Natale a tutti voi e a tutti i membri di EFP!!! :*
Un bacio.

 

=Sony=

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Capitolo 10
*** 10- Un pupazzo di neve con 2 bottoni neri al posto degli occhi (Lea) ***


10- UN PUPAZZO DI NEVE CON DUE BOTTONI NERI AL POSTO DEGLI OCCHI

 

Lea”

 

 

Non capisco.

 

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Forse sto ancora sognando. Già, non può esserci altra spiegazione.

Mi guardo in giro alla ricerca della reception del museo che mi hanno dedicato, delle radioline rotte, di quella che ha scontrato i miei piedi e che mi ha svegliato definitivamente... Niente.

Possibile che non stia sognando? Che tutto questo sia la realtà?

Provo a sbattere le palpebre e, quando le riapro, Federica è ancora qui, accanto al mio letto e piange, aggrappandosi alla mia mano.

Mi hanno amputato una gamba”, ripeto automaticamente.

 

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Non capisco.

Non può essere vero.

 

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Vattene”, tolgo il sostegno della mia mano alla mia migliore amica e distolgo lo sguardo da lei, voltando la testa dall'altra parte.

Lei smette di piangere e cerca di nuovo la mia mano, invano.

Non posso più consolarla, non ne sono più in grado; tutta la mia forza è svanita in 5 semplici parole tremate dalle sue labbra e ripetute dalle mie, incredule.

Vattene”, le ripeto calma, stringendo i denti per indurire quelle parole e farle capire che non posso esserci per lei in questo momento.

Finalmente, sembra recepire il mio messaggio e si allontana dal mio letto, lasciandomi sola.

Ma a cosa sto pensando? Non è affatto Federica ad aver bisogno di sostegno in quest'istante. Sono io che necessito di aiuto.

 

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Tutto è svanito, scomparso, tagliato insieme alla mia gamba destra.

Vorrei evitarlo ma i miei occhi sono troppo curiosi e disubbidiscono agli ordini; anche le mie mani sono fuori controllo ed una di queste scopre da sotto le lenzuola il mio corpo.

A causa dell'anestesia, faccio fatica ma il mio sguardo riesce a raggiungere comunque quel punto, quell'estremità che si interrompe troppo in fretta per essere normale: sotto al mio ginocchio destro non c'è più niente, solo altre lenzuola bianche.

 

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Non sto piangendo, tranquilli.

I miei occhi non sono umidi e le mie guance non sono pallide, ma del loro solito colorito roseo; il mio sguardo, però, è perso nel vuoto e non so nemmeno io cosa stia fissando: forse la macchinetta che segnala la frequenza dei battiti del mio cuore; forse va oltre, si affaccia alla finestra ed ammira, incantato, il paesaggio invernale.

A proposito, chissà se c'è ancora la neve! Mi hanno detto che sono rimasta in coma per 2 settimane e 3 giorni, quindi probabilmente ci sarà ancora quella soffice e bianca sostanza a ricoprire tutto!

Amo la neve, sapete; l' ho amata fin da piccola, quando, insieme alla mia famiglia, andavo in un parchetto vicino a casa mia a costruire un buffo pupazzo di neve, dallo sguardo sempre troppo triste e vuoto; è strano, non siamo mai riusciti a farne uno che ridesse insieme a noi.

Almeno, quest'anno, potrò fargli compagnia nella sua tristezza, sedermi accanto a lui ed imitarlo nel suo sguardo vuoto e gelido, condividendo il suo dolore e il freddo che ora gela anche me.

Ho freddo, forse perché le lenzuola sono ancora spostate da sopra il mio corpo oppure perché l'anestesia inizia a perdere il suo effetto?

Spero tanto di no perché non voglio sentire le fitte in quell'estremità mancante, non voglio che il mio cervello mi mandi dei messaggi, delle domande, chiedendomi cos'è successo e perché il nostro corpo sia rimasto senza una gamba.

Lui, ancora, fatica a ricordare la sera in cui l'abbiamo persa.

 

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Simona abbraccia Michele ed appoggia la testa sulla sua spalla; Fabio cambia frequenza alla radio, mostrando le sue magnifiche doti da DJ.

Laura Pausini, però, è ostinata e non vuole smettere di cantare quella triste canzone, vuole finirla, vuole arrivare alle ultime strofe, alle ultime battute.

Cos'è che le dovevo dire?

Ah, già: “Destinazione Paradiso. Paradiso città.”

Accidenti, mi sa che ci siamo persi, allora.

Qualcuno ha una cartina?

 

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Qualcuno entra nella stanza e si siede accanto a me, sullo sgabello vicino al mio letto.

Quando volto la testa, due occhi del mio stesso colore e lineamenti troppo simili ai miei mi guardano dolcemente.

Davide accenna un sorriso che si spegne subito, appena si accorge che il mio volto non risponde allo stesso modo: le mie labbra sono immobili ed imperturbabili, come quelle del pupazzo di neve.

Vorrei ricordarglielo, riportargli alla memoria quei felici giorni invernali della nostra giovinezza trascorsi al parco ma mi trattengo, perché forse, insieme, gli risveglio un brutto passato, un penoso presente ed un futuro che sembra prometta solo di peggio.

Molto meglio restare in silenzio ed imitare il pupazzo di neve che osserva, impassibile, le vite che passano davanti ai due bottoni neri che stanno al posto dei suoi occhi.

Chissà perché proprio dei bottoni! Forse, per essere certi che non versino lacrime.

 

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Il mio cervello è andato a cercare i documenti di quella sera; forse, ha trovato qualcosa, qualche particolare in più da aggiungere al suo resoconto.

Mi parla di due luci che hanno illuminato la notte di Natale.

Stupidamente, gli chiedo se non si confonde con le lucine con cui decoriamo sempre l'abete di plastica che giace per tutto l'anno nella nostra soffitta e che compare nel nostro salotto solo per una settimana.

Mi risponde di no, descrivendomi quelle due luci come qualcosa di più grande, di più accecante; le paragona a due fari di una macchina.

 

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Ora, sembra essere il turno di mio padre; però sembra avere troppa paura per affrontarmi da solo: entra quando Davide è ancora seduto sullo sgabello vicino al mio letto e si nasconde dietro di lui.

A sua volta, non dice niente e resta in silenzio; la loquacità non dev'essere una caratteristica di famiglia.

Addirittura, non ha la forza di sostenere il mio sguardo o, forse, i suoi occhi non riescono a sostenere la realtà che le lenzuola bianche hanno scoperto e le sue iridi nere, per nulla simili a quelle mie o di Davide, ma uguali ai due bottoni del nostro pupazzo di neve, cadono a terra, senza forze.

Da lui non abbiamo ereditato neppure il nostro coraggio.

 

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Era mia madre quella coraggiosa, quella pronta a tutto; forse, un po' troppo pronta a tutto, dato che è morta quando io ero piccola, a causa di un tumore.

Se avete dubbi su questa mia affermazione, dovreste rivalutare la parola “coraggioso”, perché esserlo non significa dimostrarlo solo vivendo la vita senza paura e titubanza, ma affrontare anche i suoi ostacoli con tenacia, anche se poi non si riesce a scavalcarli come si deve. Mia madre era la persona più coraggiosa al mondo però è inciampata in uno di quegli ostacoli ed è caduta a terra.

 

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E' sopravvissuto anche Michele”, Davide trova, finalmente, il coraggio per parlare anche se le sue parole non mi consolano neanche un po': il fatto che abbia specificato che anche Michele, il proprietario della spalla su cui la testa di Simona si appoggiava, sia sopravvissuto, mi fa capire che sia l'unico e il solo ad essere ancora vivo.

E Simona? E Fabio, il DJ?

Vittime di uno stupido scherzo che mi si è rivolto contro.

È colpa mia: avrei dovuto prevedere che la spalla di Michele non era solo un sostegno comodo ma anche un riparo sicuro ed avvisare, così, la mia amica Simona, la quale invece ha pensato di trovare un altro riparo, sicura che l'avrebbe salvata; avrei dovuto confessare a Fabio che i DJ non mi sono mai piaciuti, che se la tirano troppo per i miei gusti, così avrei potuto invitarlo gentilmente a starsene a casa e passare il suo Natale facendo il DJ per qualcun altro.

Ma perché cazzo non gliel'ho detto?!

Simona non si siederà più sui sedili posteriori della mia C3, accanto al suo amato Michele ed impaziente di accompagnarmi a fare qualche scherzo.

Addio, amica infantile! Addio, DJ dalle mani sudate!

Appena sarò fuori di qui, costruirò due pupazzi di neve in più per voi due, così potremo sederci tutti e 4, (io, voi e il pupazzo della mia infanzia con i bottoni neri al posto degli occhi) a fissare con sguardo vuoto e freddo quelle vite che vanno avanti senza di noi.

 

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Ho bisogno di aiuto ma non voglio nessuno; lo so, è un po' auto-contraddittorio come concetto ma è quello che provo; è quello che voglio.

Ricordate quando ho paragonato la vita ad una recita improvvisata, con tanto di copione bianco del genere 'presa per il culo'?

Ecco, voglio informarvi che ho appena cacciato via il mio pubblico, ho licenziato gli altri attori, abbassato il sipario e strappato il copione.

Andatevene tutti a casa: lo spettacolo è concluso.

Voglio restare sola.

 

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Buongiorno a tutti!!! Eccovi l'ultimo capitolo che ho scritto, quello di Lea!!!
Purtroppo ora sono un pò di fretta quindi vi devo lasciare subito.
Prima di andarmene, però, voglio augurare a tutti voi un MERAVIGLIOSO ed INDIMENTICABILE 2012!!! Auguriiiii!!!! :)
E, infine, vi lascio con la promessa di scrivere al più presto il capitolo di Nicola!!!! Ora mi metto d'impegno e lo scrivo, davvero!!!
Un bacio.

=Sony=

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Capitolo 11
*** 11- Il cammello che fuma consiglia di smettere (Nicola) ***


11- IL CAMMELLO CHE FUMA CONSIGLIA DI SMETTERE

 

Nicola”

 

 

Accendo la radio, la mia canna e lascio che le mie emozioni scorrano con la musica e con il fumo sospirato dalle mie labbra.

Sono triste. Sono felice. Sono confuso.

Non capisco quello che sta succedendo e quello che dovrei provare in questo momento.

Buffo! Parlo dei miei sentimenti come se fossi obbligato a provare qualcosa in ogni situazione. A volte, invece, preferirei non provare assolutamente niente e starmene in disparte, osservando distaccato ciò che accade intorno a me.

Sarebbe tutto più semplice o, forse, più complicato. Perché a non provare niente, non si rischia di smettere di vivere?

It's time for wakin' up now, it's time to take my rags. I'm leavin' my own town now, I'm leavin' with my bags”.

Ora è tempo di svegliarsi, è tempo di prendere i miei stracci. Sto per lasciare la mia città, la sto per lasciare con i miei bagagli”.

Ho bisogno di andarmene.


 

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Non amo molto i colori vivaci; per questo motivo, quando ho dovuto scegliere tra un azzurro cielo e un giallo canarino per pitturare le pareti di casa mia, ho preferito prendere le due latte di vernice e buttarle via entrambe.

Preferisco i muri bianchi.

Non mi piace abitare in una casa che dia l'aria di pesantezza, con pareti occupate da quadri, o colori sgargianti, o disegni fantasiosi.

Una parete bianca, neutra, che mi faccia scorgere, tra qualche anno, anche qualche crepa dovuta al tempo, è l'unica cosa che voglio.

Ed è proprio grazie a questo particolare che, ogni volta che entro nella mia dimora, ho l'istinto di respirare a pieni polmoni l'aria che mi circonda e di distendermi e rilassarmi dopo una dura giornata.

Il bianco rende tutto più luminoso e più sincero, oserei dire.

Non nasconde niente con il suo colore, nemmeno quelle crepe che il tempo fa comparire sui muri.

Tuttavia, questa volta, neppure la sincerità e la chiarezza di quel bianco è capace di sciogliere la mia confusione e il mio smarrimento.


 

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Questa canzone che sta trasmettendo la radio mi colpisce in pieno petto. Purtroppo, non riesco a trovare parole migliori per esprimere la sensazione che, improvvisamente, si fa largo tra la mia confusione e mi colpisce al cuore.

Bum! Come uno vero e proprio schianto.

E il risultato dell'incidente non è il dolore, ma la sensazione di essere compreso, di non essere l'unico ad avere questo insensato desiderio di andarmene.

I close the doors behind me, into the hills I go” .

Chiudo la porta dietro di me, vado per le colline”.

La canzone è Long way di 77 Bombay Street.


 

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Le pareti di casa mia sono tutte bianche con una sola ed unica eccezione; anche perché si sa: l'eccezione conferma la regola.

Nella mia camera da letto una sola parete ha avuto l'onore, il privilegio e la sfortuna di essere addobbata: il soffitto.

Costretto ad essere diverso dalle altre pareti per un mio capriccio.

Il muro delle cartoline”, l'ha chiamato Lea la prima volta che l'ha visto, lanciandosi poi sul mio letto a pancia in su, ammirando estasiata la quantità di cartoline appese al soffitto.

Viaggi compiuti da altre persone, luoghi raggiunti con aerei che non ho mai preso e con esperienze mai vissute da me; semplicemente, scorci di vite che non ho mai potuto vedere in diretta. Ho sempre chiesto agli altri di registrare per me quelle vacanze e di mandarmi poi la cassetta o il dvd da mettere nel videoregistratore per guardamele a casa, in compagnia dei miei muri bianchi e sinceri.

E loro, quelle cartoline appese al soffitto, sono l'unico biglietto di viaggio che ho usato nella mia vita. Apro il cassetto accanto al letto e tiro fuori una canna che conservo sempre per queste occasioni. Mi sdraio sul letto e buttando lo sguardo sul soffitto inizio a viaggiare, senza dimenticare prima di accendere la radio per avere il giusto sottofondo dei film.

Barcellona, Madrid, Lisbona...poi via, oltre l'oceano, a salutare la statua della libertà di New York mentre si attraversa il fiume Hudson su un battello. Poi si torna in Italia, in località turistiche come in Costa Smeralda o a Riccione. E, dopo aver preso il sole sulle spiagge mediterranee, si riparte, questa volta per l'oriente: India, Cina, Giappone..e si continua così, con nomi di città esotiche e immagini sorridenti.

Infine il mio sguardo si posa sull'ultima cartolina, quella al centro, la più insignificante e la più importante di tutte, spedita dal mio amico Sergio tempo fa.

Sergio non è il tipo da cartoline. Lui i viaggi li vive sulla propria pelle e non ci tiene molto a farli rivivere ad altre persone. Tuttavia, quella volta, ero rimasto sorpreso nello scorgere, nella cassetta delle lettere, quella bizzarra cartolina e, dietro, la sua scrittura incomprensibile: “questo dovresti proprio venire a vederlo”.

Ancora adesso ho qualche dubbio su cosa dovrei proprio vedere: il cammello che fuma nella cartolina o la Tunisia?

Solo Sergio poteva mandarmi una cartolina con un cammello che, come me in questo momento, si sta fumando una canna; ma non sono sicuro che esista davvero.

E anche se esistesse, quella cartolina risale ormai ad anni fa: quel cammello fumatore probabilmente è già morto per un tumore ai polmoni o qualcosa del genere.

Ma se, invece, Sergio voleva che vedessi la Tunisia?

Questo dovresti proprio venire a vederlo”.

Certo, qualsiasi cosa l'abbia spinto a mandarmi una cartolina e a mostrarmi la sua calligrafia incomprensibile, dev'essere sicuramente incredibile!

E, immancabilmente, la mia curiosità e la mia voglia di partire, aumentano all'infinito.


 

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Di solito mi fermo qui, alla cartolina col cammello che fuma.

Oggi, però, accade qualcosa di più.

La classica goccia che fa traboccare il vaso e lo fa cadere, spargendo i suoi pezzi dappertutto.

Alla radio il dj lancia la nuova canzone: è in inglese ma non ho difficoltà a cogliere quelle parole che aspettavo da tempo.

Una spinta, un incitamento, e forse anche la canna ha aiutato questa goccia a far cadere il vaso, perché all'improvviso la mia voglia di partire non riesco più a contenerla e prende il sopravvento.

La canzone è Long Way di 77 Bombay Street.

Ed ora, per la prima volta nella mia vita, ne sono sicuro: il momento è arrivato.

Aspettami Sergio, perché questo cammello fumatore o questa Tunisia sto proprio per venire a vederli.


 

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Devo smetterla di farmi le canne.

O, almeno, dovrei diminuire almeno un po' la dose.

Questa volta perfino il cammello di Sergio mi ha consigliato di smetterla. Proprio così!

Si è tolto la sigaretta dalle labbra, mi ha guardato e ha detto: “Questo dovresti proprio venire a vederlo ma, prima, smetti di farti le canne!”.


 

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I keep on walking, I keep on walking, I’m alking walking on...”

Continuo a camminare, continuo a camminare, sto camminando...”


 

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Buongiorno!!
Mi scuso per il ritardo ma alla fine il capitolo sono riuscita a scriverlo!
Nicola si è completamente distaccato dalla vicenda di Lea e ha preso la decisione di realizzare i suoi sogni. Per questo motivo decide di partire.
Comunque sia ci sono ancora Mattia e Federica con Lea...ma cosa succederà? Decideranno anche loro di abbandonarla per realizzare i loro sogni? E Lea li ha persi completamente con la notizia di aver perso una gamba? E Nicola tornerà??
Quante domande...xD...comunque dovrete aspettare per le risposte perchè i prossimi capitoli devo ancora scriverli!!! ;P
Un abbraccio a tutti voi!
Con affetto.

 

=Sony=

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Capitolo 12
*** 12- E' inutile piangere sul latte versato e sui sogni infranti (Mattia) ***


12- E' INUTILE PIANGERE SUL LATTE VERSATO E SUI SOGNI INFRANTI

 

Mattia”

 

Sono fragili. Si rompono facilmente.

Devo fare attenzione ad ogni passo, ad ogni movimento; perfino la presa delle mie mani non dev'essere né troppo forte, né troppo tremante.

Salgo i gradini con cautela, la scatola con i bicchieri appoggiata contro al mio petto, appena sotto al mento, per cogliere con lo sguardo le trappole che si celano ad ogni passo.

Ormai manca poco: il mio appartamento è al terzo piano ma l'ascensore, come al solito, non funziona.

I soliti meccanismi che si arrugginiscono o il solito tecnico pigro che non ama il suo lavoro.

Comunque sia, ormai, sono quasi arrivato e le trappole che ho visto sono riuscito ad evitarle tutte. Mi mancano pochi gradini.

 

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La camera è diventata terribilmente silenziosa e l'aria più pesante.

Spesso mi sembra che mi manchi il respiro e sono costretto a muovermi il colletto del maglione per riprendere un po' di fiato.

Federica, negli ultimi tempi, si vede raramente da queste parti; e Nicola, poi, è come se fosse scomparso nel nulla. Il che è strano se ripenso a quando Federica mi aveva raccontato della sua ostinazione e fissazione per Lea.

Sembra quasi che ora che l'ha raggiunta, ora che ha l'occasione per starle più vicino non la voglia più; come qualcosa che desideri ma una volta che l'ottieni...cosa te ne fai?

Forse, però, mi sbaglio e giudico male semplicemente qualcosa che non conosco e che non ho mai vissuto.

Anche Lea sembra non averci fatto molto caso.

Passa la maggior parte del tempo con la testa girata verso l'altro lato, verso la finestra, come se stesse aspettando che qualcosa passi lì fuori e che sistemi tutto.

Magari, aspetta che Nicola entri da lì.

Alzo anche io lo sguardo verso i vetri ma l'unica cosa che vedo è il bianco che ricopre ogni cosa e che ancora continua a cadere sulle strade.

Nessuna traccia di Nicola.

Bè, del resto, siamo al quarto piano.

 

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Come al solito, sono troppo sicuro di me.

Gli ultimi passi li sento come i più sicuri e i più stabili: è impossibile che ci siano trappole anche in questi ultimi gradini! Così mi rilasso, distendo i muscoli e allento la presa delle mani sulla scatola con i bicchieri.

Stupido! Neppure la scritta “fragile” mi ha avvertito del mio sbaglio.

La trappola scatta senza che me ne accorga: 2 bambini corrono giù per le scale e mi arrivano addosso.

Cadono, cado, cade la scatola.

E il grido del vetro spezzato ci paralizza tutti e 3.

I bambini guardano prima me, poi la scatola che ancora giace inerme e non si è rialzata, poi ancora me; infine abbassano lo sguardo a terra colpevoli.

Ed io, mi sento perso, sconfitto.

GAME OVER.

 

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Usciamo?”

Distolgo lo sguardo dalla finestra, posandolo su Lea.

Lei mi guarda, mi chiede di esaudire il piccolo desiderio pronunciato dalle sue labbra tremanti e già si prepara ad alzarsi, facendo leva sulle braccia.

Non vuole aspettare una mia risposta perché, qualunque essa sia, non può far scomparire il bisogno che improvvisamente sente di alzarsi e di andarsene da questa stanza.

Forse, perfino lei non riesce più a sopportare il silenzio soffocante che ha messo radici qui.

Evito di risponderle e mi alzo dallo sgabello, afferrandole un braccio ed aiutandola ad alzarsi.

Lei si sforza di mettere giù i piedi dal letto, dimenticandosi per un istante che uno di questi non riesce più vederlo; l'altro tocca il pavimento da solo e resta lì, immobile, attendendo invano che il suo compagno lo raggiunga.

Gli occhi di Lea guardano giù e soffrono al posto del piede sano, che non può mostrare il suo dolore e la sua solitudine.

Non ha più la forza di alzarsi verso di me e di continuare; il coraggio si alza e abbandona Lea sul bordo del letto, indifesa ma, soprattutto, indecisa: quel bisogno di andarsene non è forse così importante, non è forse così necessario.

Ma il coraggio di Lea non delude mai e anche se ha abbandonato lei, non ha abbandonato me.

Quasi mi stupisco di me stesso mentre le mie braccia l'afferrano, la prima che si aggancia sotto al suo ginocchio, la seconda che le passa dietro la schiena ed, insieme, la sollevano dal bordo del letto e corrono a cercare il suo coraggio.

Non può essere andato tanto lontano.

 

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Resto seduto sugli ultimi gradini, accanto alla scatola circondata dai vetri e cerco di ricordarmi il valore dei bicchieri che ho perso.

Mancavano pochi passi, pochi gradini.

La scritta “fragile” mi ricorda che la colpa è mia, che lei non c'entra niente, che lei mi aveva avvisato del pericolo ma io non l'ho voluta ascoltare.

Tuttavia, come dice il detto: è inutile piangere sul latte versato; anche se qui di latte non ce n'è, ma solo vetri frantumati.

Mi alzo in piedi e mi chino a raccogliere la scatola con la scritta “fragile”.

Bisogna solo trovare la forza per raccogliere i pezzi e ripartire.

 

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Nonostante l'abbiano spalata, la neve ricopre anche il sentiero che attraversa il parchetto sotto l'ospedale. È ostinata la neve: la togli, ma se lei vuole tornare, torna lo stesso.

Fa freddo e il maglione non mi ripara abbastanza; per un attimo rimpiango di aver dato il mio giubbino a Lea ma, appena la vedo tremare anche con quello sulle spalle, torno in me e glielo sistemo meglio.

Mi guardo in giro circospetto, timoroso di incontrare lo sguardo severo di qualche infermiera; sarò sincero: non sono sicuro di avere il permesso per portare Lea a fare una passeggiata nel parco.

E quando anche la sua sedia a rotelle si incastra nella neve sul sentiero, rifiutandosi di proseguire, il mio timore aumenta e mi blocca.

Lea coglie la mia paura e spinge da sola le ruote con le mani per andare avanti e superare quella neve fastidiosa.

È ostinata, come la neve: la fermi, ma se lei vuole proseguire, prosegue lo stesso.

Camminiamo ancora un po', lei seduta sulla sua sedia con il mio giubbino sulle spalle, io dietro di lei che fingo di spingerla, perché in realtà mi sto aggrappando a lei per avere un po' di coraggio; è Lea che ci trascina entrambi su quel sentiero avvolto dalla neve, sono le sue mani rosse per il freddo che spingono quell'odiosa sedia su quell'impervia stradina, è il suo coraggio che abbiamo raggiunto che da forza ad entrambi.

All'improvviso, si ferma e le sue dita sottili restano chiuse sulle ruote della sedia.

Guarda alla sua destra, verso un cumulo di neve formato da chi l'ha spalata dalla stradina e mi chiede di fermarci qui: “Fammi scendere, Mattia.”

Titubo un istante ma, codardo nel rinnegare il suo desiderio, la prendo in braccio e cammino verso il cumulo di neve.

Mettimi giù”, ordina lei ancora una volta.

Resto immobile e la tengo tra le mie braccia, trovando la forza per ribellarmi: “Ma c'è la neve!”, protesto debolmente.

Lei mi guarda dritto negli occhi, così vicino che la mia testa cerca istintivamente di allontanarsi, e Lea mi ordina di nuovo di lasciarla giù.

Sbuffo ma mi arrendo.

La appoggio a terra, delicatamente, facendo attenzione ad ogni suo brivido e al mio giubbino che le sta lasciando scoperte le spalle.

Lei, una volta a terra, si stacca da me e si trascina con le mani verso il cumulo di neve.

La prende tra le dita ed inizia a modellarla, schiacciandola, togliendola, dandole una forma.

Resto a guardarla incredulo, inginocchiato a terra, con la neve che mi bagna i pantaloni e mi gela le ginocchia.

Cosa vuoi fare?”, le domando.

E lei non mi risponde, troppo concentrata nel suo lavoro o troppo imbarazzata per confidarmi quel suo improvviso ed inspiegabile desiderio; resta in silenzio, aspetta qualcosa, continua a lavorare, le mani che diventano così rosse che ad un certo punto è costretta a toglierle e a soffiarci sopra; si ferma e lo sguardo resta immobile sul cumulo di neve.

Aspetta, aspetta qualcosa, aspetta che le ripeta la domanda: “Cosa vuoi fare?”.

E lei si appoggia una mano sulla gamba senza piede, la appoggia perché le fa male, la appoggia perché le manca e poi mi lancia un sussurro, la sua risposta: “Voglio costruire un pupazzo di neve.”

 

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I sogni sono come i bicchieri: si rompono facilmente.

Vengono chiusi in una scatola su cui viene scritto “fragile” come ammonimento, per ricordarci di quanto sia facile perderli.

Tu prendi la scatola tra le mani, stai attenta ad ogni passo, stai attenta alla stretta sul contenitore, lo appoggi al petto, giusto sotto al mento, per poter cogliere le trappole sul cammino.

Ma stai attenta!

Anche quando mancano pochi gradini i pericoli sono lì, in agguato, nascosti dietro l'angolo, celato dentro due bambini che giocano sulle scale.

Ti incontrano, vi scontrate, cadete; e cadono i sogni.

E quella scatola con la scritta “fragile” ti dimostra la sua fragilità lasciando che i tuoi sogni si frantumino.

GAME OVER.

I tuoi sogni sono distrutti, non vedi? Sono lì, a terra, spezzati in miliardi di pezzi, ormai inutili se non per ferire e tagliare chi posa un piede sopra di loro.

Ed ora cosa fai?

Ti siedi, li osservi, pensi a come andare avanti.

È inutile piangere sul latte versato e sui sogni infranti.

Ti alzi, ti tiri su con le braccia e ricominci, raccogli la scatola, rimetti insieme i pezzi di vetro e vai avanti; cammini fino alla tua destinazione, poi ti fermi e ti siedi di nuovo, vicino ad un cumulo di neve, e con le mani rosse ed infreddolite, inizi a modellarla, a schiacciarla, a toglierla.

Cosa fai?

Voglio costruire un pupazzo di neve”, mi rispondi.

Ed io osservo la scatola accanto a te, con dentro i tuoi sogni infranti.

Ci guardo dentro e mi accorgo che tra i cocci di vetro un bicchiere è ancora intero; si, te lo giuro, non lo vedi? È ancora lì, si è salvato!

Sorrido perché i tuoi sogni ci sono ancora, nascosti tra i pezzi di quelli infranti, ma ci sono ancora.

Quindi, ti aiuto a costruire il pupazzo di neve.

 

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Rieccomi già qui! :)
Il capitolo l'ho scritto subito perché mi è uscito spontaneo.
Ora devo vedere se ho ancora abbastanza ispirazione per continuare subito o se invece mi tocca aspettare ancora un pò.
Allora, come avrete notato, Mattia è rimasto con Lea e ha messo da parte i propri sogni per "riaggiustare" quelli di lei.
Federica, invece, non si fa vedere da molto tempo. Ma perché? Possibile che lei, la migliore amica di Lea, l'abbia abbandonata a se stessa e al suo dolore?
Lo vedrete nel prossimo capitolo, sul quale qualche idea ce l'ho già però non è ancora tutto chiaro e limpido.
A presto, lettori!
Un bacio!
=Sony=

 

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Capitolo 13
*** 13- Quando si piange da soli i fazzoletti rischiano di mancare (Federica) ***


13-QUANDO SI PIANGE DA SOLI I FAZZOLETTI RISCHIANO DI MANCARE

 

Federica”

 

E' difficile pensare a te, in questi giorni difficili.

Sai, Simona, Lea ha paura ed è terrorizzata.

Chissà, forse, se tu fossi ancora qui, sapresti meglio di me come starle accanto e farla riprendere dallo sconforto che l'assale.

Pensa a te, in continuazione.

Le abbiamo detto che l'incidente non è avvenuto per colpa sua, che il vero colpevole aveva pensato bene di bere qualche bicchiere in più quella sera e poi di mettersi a guidare la sua macchina per le strade innevate; gliel'abbiamo detto.

Ma non credo ci abbia ascoltato veramente quando cercavamo di rassicurarla.

Lei è ancora convinta di averti uccisa.

E, allora, cosa aspetti?

Tocca a te entrare nella sua stanza adesso, sentire nelle orecchie il silenzio delle sue paure e ricevere, nel cuore, la sua fragilità.

Forse, allora, sarà tutto più semplice per lei accettare la realtà.

Perché ti avvicinerai a lei, ti siederai sullo sgabello accanto al suo letto e la costringerai a staccare gli occhi da quella finestra.

Lei ti guarderà e allora piangerete insieme, perché dividere il dolore in due è più semplice, è più facile da sopportare.

Ed io?

Bè, io starò fuori dalla stanza, non troppo lontano, magari giusto appoggiata accanto alla porta, abbastanza vicino per sentire le vostre lacrime, ma non troppo per non farmi vedere da voi perché un dolore troppo condiviso è un dolore che troppi capiscono e che più, nessuno, può curare.

 

 

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La neve sta scomparendo, come se fosse sotto l'effetto di un incantesimo.

Un sole primaverile compare timido in un cielo ancora gelido e scioglie la polvere bianca che l'inverno ha lasciato dietro di sé.

Mi affaccio alla finestra dell'ospedale e guardo laggiù, in basso, dove un pupazzo di neve inizia a soffrire il caldo e bagna l'erba intorno a lui.

Nonostante tutto, però, sembra sia l'unico ad opporsi ai primi calori primaverili, l'unica macchia di gelida neve che ancora tenta di sopravvivere.

E, accanto a lui, la mia migliore amica gli fa compagnia e lo incita a continuare nella sua lotta.

Non arrenderti!

Se ne sta lì, seduta su una coperta adagiata sull'erba bagnata e sembra imitare il pupazzo di neve, sciogliendosi sotto quel sole; e, accanto a lei, siede Mattia che l'ha aiutata a costruire il loro nuovo amico, che ha fatto diventare le sue mani rosse per il freddo per mettere la neve nel punto più giusto e che si è preso perfino un raffreddore pur di costruirlo.

Sorrido silenziosamente ricordando i suoi improvvisi starnuti rompere l'inquietante silenzio nei corridoi dell'ospedale, mentre andava da Lea pronto per prenderla in braccio e portarla a trovare il loro nuovo amico, che era il solo in grado di consolarla, offrendole uno sguardo di bottoni e un legnetto al posto del naso.

Tutti e 3 siedono sul prato ed aspettano qualcosa; aspettano che il pupazzo si sciolga completamente e che li lasci soli sull'erba bagnata; 2 di troppo e 1 in meno; tristi nel sentirsi troppo soli e troppo indifesi; perfino un po' troppo fuori luogo seduti su quella coperta a fissare un prato bagnato.

Lea è la più agitata e si tira la gamba sana contro il petto, appoggiandovi poi sopra il mento: lei non vuole che arrivi quel momento, vuole solo che il pupazzo resti sempre accanto a lei, freddo ed in silenzio; vuole solo potersi alzare di nuovo e camminare come prima; vuole che sotto il ginocchio destro ci sia ancora qualcosa da toccare e che, proprio ora, non le faccia perdere l'equilibrio, facendola cadere indietro.

Ma, se il pupazzo non può muovere le sue braccia di legno per salvarla, Mattia è lì accanto a loro, pronto a prenderla e, appoggiandole una mano sulla schiena le fa ritrovare l'equilibrio che andava perdendo.

Stringo i pugni e continuo ad osservarli dalla finestra della camera vuota di Lea, mentre un sentimento insolito mi afferra il cuore.

Sono gelosa.

 

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Quanti anni mi daresti?”

Mmm...18?”
Ed un broncio infastidito compariva sul tuo volto: avresti voluto apparire più grande, più matura; invece sembravi sempre e solo come una ragazzina, impacciata ed insicura, con la sola voglia di crescere.

Ma ora non crescerai più, resterai la bambina di sempre; continuerai a mettere il tuo broncio contrariato ogni volta che qualcuno proverà ad indovinare la tua età ma che, immancabilmente, sbaglierà.

Perché quella faccia? Quanti ne hai in realtà?”

24”, rispondevi tristemente e con un sospiro amaro.

E non sei felice che sembri più giovane? Ah, vedrai, tra qualche anno rimpiangerai questa fortuna!”

Non la rimpiangerò affatto!”

Già, tu eri davvero strana, particolare.

Ti piaceva essere più grande, non avresti mai voluto tornare piccola, bambina, dove ancora qualcuno decideva per te.

Volevi essere indipendente, camminare da sola ed anche se poi inciampavi non importava, potevi sempre rialzarti.

Ma, allora, cosa è successo?

Dimmi, Simona, perché sei ancora a terra? Perché non ti rialzi più?

Questa volta è più difficile, ora sì che avresti bisogno di tornare bambina e che qualcuno venga in tuo soccorso a darti una mano.

Sei rimasta sola nella tua indipendenza e neppure Michele riesce ad aiutarti.

Lui che era il solo a poterti chiamare “Bambina” senza ricevere una tua smorfia contrariata; lui, che si è rialzato ma non ti ha aspettato, è andato avanti senza voltarsi, senza accorgersi che tu non c'eri più.

 

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Michele è diverso dopo l'incidente; be, praticamente, lo siamo tutti.

Lui, però, lo è in un modo particolare.

Non è mai stato un tipo solare, che corre in tuo aiuto quando ne hai bisogno o robe simili; da quando aveva conosciuto Simona, esisteva solo per lei.

Adesso, però, lei non c'è più. Quindi, mi chiedo: per chi vivrà, ora, Michele?

L'incidente non gli ha causato molti danni al fisico; non gravi almeno: un braccio rotto, qualche ustione e traumi poco gravi.

Ha un cerotto sulla fronte, appena sopra l'occhio, che lo fa sembrare quasi buffo; quasi bambino.

Eppure lui un bambino dice di non esserlo mai stato, non conosce quel modo di sentirsi, quel modo di entrare nel mondo per la prima volta; forse è per questo che stava bene con Simona. Si completavano: una bambina che voleva crescere, un adulto che non ricordava la sua infanzia.

Ora, mentre sta seduto sul bordo del letto a fissarsi il suo braccio ingessato, sembra proprio un bambino caduto e con il ginocchio sbucciato: aspetta che qualcuno venga a soffiarci sopra per cacciare via il dolore.

Niente, non c'è nessuno.

Entro nella sua stanza ma non ho il coraggio di farmi avanti: resto sullo stipite a guardarlo, le braccia incrociate sul petto come per difendermi dalla folata di tristezza che mi arriva da lui.

Entri pure, signorina, non faccia la timida!”

Un vecchietto mi sorride dal fondo della stanza, una gamba ingessata appoggiata sopra le lenzuola e gli occhi velati dalla cataratta che cercano di identificarmi.

Michele alza lo sguardo su di me, ma non sembra affatto stupito di vedermi lì, bloccata sullo stipite della porta.

Ricambio il sorriso del vecchietto e, facendomi forza, mi avvicino al letto di Michele, sedendomi al suo fianco.

Lea è ancora giù con quel pupazzo?”

Michele alza lo sguardo su di me, sforzandosi di sorridere; ma il ginocchio sbucciato torna a bruciargli, costringendolo ad abbassare di nuovo lo sguardo.

Si, anche se ormai si sta sciogliendo”, commento tristemente.

Ma io mi riferivo a Mattia!”

Alza di nuovo lo sguardo e le sue pupille tornano di nuovo a sorridermi, divertite.

Stupido!”.

Lui si lascia sfuggire una risatina, per poi tornare con lo sguardo basso ed abbattuto.

Ed è buffo con il suo alternarsi di sguardi, con quella pupilla scura che prima piange e poi sorride.

Penso che sia strano trovarci qui, io e lui, seduti uno vicino all'altro su un letto, lui che è sempre esistito solo per Simona.

Quando c'era lei niente sembrava più importante per loro due.

Del resto, cosa importa del mondo e della vita quando ci si innamora? Al diavolo ogni cosa, al diavolo tutto.

Michele sospira, è stanco, non sa quanto ancora potrà resistere: un'ora? Un giorno? Non lo sa...Ma lui sospira, ha bisogno di svuotarsi, di buttare fuori l'aria e di ricominciare, magari di riempirsi di nuovo, con un'aria più fresca e pulita.

In questa città, però, c'è solo smog.

E quella pupilla continua con il suo gioco, accendendosi e spegnendosi, cercando di stare dietro ai pensieri di Michele.

Mattia è dolcissimo con Lea, non dovresti prenderlo in giro”, continuo abbassando di un poco la voce, mentre lo strano sentimento di prima si allarga dentro di me.

Hai ragione...”, risponde lui sorridendo debolmente.

Questa volta cambia qualcosa: Michele si tocca il braccio ingessato con la mano sana e poi alza la testa, guarda il soffitto sopra di noi.

Mi chiedo dove voglia arrivare con le sue pupille scure, fin dove vuole salire e chi vuole raggiungere.

Simona manca, Simona non c'è.

La sua assenza è forte, soffocante, perfino ora, mentre siamo semplicemente seduti sul bordo di un letto si sente il suo peso che ci opprime.

Lei era come Mattia: c'era sempre quando qualcuno aveva bisogno di lei, era perfino disposta a rinunciare al suo sogno d'indipendenza pur di aiutare gli altri.

Sbagli a cercarla lassù...”, gli sussurro piano fissando il pavimento e dondolando le gambe dal bordo del letto.

Lui abbassa la testa e cerca il mio sguardo, si lascia il braccio malato e continua a fissarmi.

Se fosse da qualche parte sarebbe giù con Lea, non credi?”

Alzo lo sguardo e fisso le sue pupille, ci entro dentro con le mie ed aspetto di vederle sorridere di nuovo.

Loro ridono, ridono perché sono felici, sanno che ho ragione: Simona potrebbe essere solo giù nel parchetto a fissare il pupazzo di neve che si scioglie, stando accanto a Lea e aiutandola a riprendere l'equilibrio ogni volta che quella sua maledetta gamba mancante glielo fa perdere.

Ed è strano il sorriso di Michele, è diverso, è nuovo; fa capolino dagli occhi lucidi per il dolore e si allarga in tutto il suo viso.

Non alza più la testa verso l'alto, vuole alzarsi con tutto il corpo, vuole andare a vedere Simona, vuole sedersi anche lui a fissare il pupazzo di neve mentre si scioglie.

Si alza in piedi e mi tende la mano sana, vuole che vada anch'io con lui, ha bisogno di me, forse teme di non trovarla, di non vederla bene sotto quel sole primaverile.

Le sue pupille non piangono più, sorridono e basta. Sono belle quelle pupille scure, sono asciutte, non sono più quelle di un bambino che si è fatto male; sembrano quelle di uno che si è rialzato, ha raccolto il suo braccio rotto e il suo ginocchio sbucciato ed ora è in piedi, è pronto a camminare, ad andare avanti; tira su col naso, si asciuga gli occhi lucidi e continua a vivere.

Non ha più bisogno di qualcuno che soffi sulla sua ferita, il dolore l'ha cacciato via da solo, l'ha messo in un angolo e gli ha ordinato di stare lì, buono ed in silenzio.

E' buffo questo nuovo Michele, ha capito per chi vivere.

Lei non c'è più ma lui vive lo stesso, vive per gli altri, per Lea e forse anche per me; vive per tutti, vive anche per il pupazzo di neve che presto si scioglierà, lasciando una macchia bagnata sul prato.

E penso che Simona ne sarebbe contenta.

 

 

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E' successa una cosa strana, oggi, sai?

Ho aiutato qualcuno. Si è ripreso grazie a me.

Questa volta non sono stata in disparte, ascoltando senza parlare, ma ho detto la mia, mi sono fatta coraggio e le parole sono uscite da sole, automaticamente.

Fin troppo semplice, non credi?

Se l'avessi saputo prima!

Penso che non sarebbe andata così, sarebbe cambiato tutto, o se non tutto almeno qualcosa, qualche piccolo particolare che poi si rivela essere sempre importante.

Insieme a te e Lea avrei pianto anch'io, sarei entrata anch'io nella stanza ed avrei pianto con voi, perché così le lacrime sarebbero state più leggere da sopportare e i fazzoletti sempre a portata di mano.

In effetti, quando si piange da soli, i fazzoletti rischiano di mancare.

Dividere il dolore, invece, sarebbe stato più semplice, più facile.

E se non era rimasto più nessuno per curarlo, che importa?

Ci saremmo arrangiate da sole. Avremmo soffiato via le nostre lacrime dentro i fazzoletti e ci saremmo curate per conto nostro, mettendo un cerotto sui nostri ginocchi sbucciati.

Ma, soprattutto, ci saremmo rialzate insieme, noi 3, per continuare il nostro cammino.

E, forse, sarebbe stato tutto diverso.

 

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Buongiooooorrrnooo a tuttiiii (anche se diluvia...)!!!!!!!!!
E' passato un bel pò di tempo da mio ultimo capitolo di questa storia, l'ispirazione mi aveva abbandonato, quindi non potevo fare altrimenti che aspettare di vederla riapparire!!
Ebbene, non è tornata del tutto, da questo capitolo "forzato" lo vedrete bene...ho fatto fatica a scriverlo e, anche se è abbastanza soddisfacente, non lo è del tutto.
Vi devo lasciare perché devo andare a mangiare, sto morendo di fame!!! :P
Non so quando pubblicherò il prossimo...presto, tardi, mai...bo!!!!!!!! Spero solo che l'ispirazione mi torni completamente, illuminandomi con la sua luce divina!!
Un abbraccio a tutti!!
=Sony=
 

 

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Capitolo 14
*** 14- Farsi abbracciare per consolare la gente (Lea) ***


14- FARSI ABBRACCIARE PER CONSOLARE LA GENTE

 

Lea”

 

 

Ed è strano non averti più.

Guardare nello specchietto retrovisore e scorgere solo Michele, che si tiene il braccio rotto con la mano sana.

Mi manchi, da morire.

Ogni volta che guardo indietro mi coglie un'ansia improvvisa nel non vederti lì, accanto a chi amavi più di ogni cosa al mondo.

Perché hai lasciato la sua spalla? Perché ti sei allontanata proprio in quel momento?

Saresti ancora viva se fossi stata abbracciata a lui, ti avrebbe protetto, vi sareste salvati entrambi.

Ma i due fari improvvisi ti hanno terrorizzato, ti hanno obbligato a chinarti per nasconderti dietro al sedile di Fabio.

Lui che neanche conoscevo; lui che non saprò mai se era amico tuo o solo un conoscente di Michele.

A volte mi chiedo cosa ci facesse lì. Cosa c'entrasse lui con il mio scherzo, con la mia fuga. Possibile che avessimo davvero il disperato bisogno che un dj ci sintonizzasse la radio?

Avremmo potuto benissimo farne a meno, rinunciarci. Avrei cambiato io le canzoni, anche se le mie doti non sono paragonabili al dj dai pantaloni rosso fuoco; oppure, avrei anche potuto spegnerla quella maledetta radio; almeno, così, Laura Pausini sarebbe stata zitta ed avrebbe fatto il suo viaggio in paradiso con qualcun altro.

Ed invece, chissà! Forse ora siete tutti e due lassù a guardare me, Michele e le vite che vanno avanti senza di voi, domandandovi come mai la mia sia ancora qui ferma ad aspettarvi.

 

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“Ricordi quando Simona era voluta andare a pattinare in quel palazzetto del ghiaccio? Non era capace, ma era la solita testarda...”

Michele si sdraia sulla mia coperta, la quale improvvisamente è diventata talmente piccola da costringere Mattia a sedersi sul bordo, bagnandosi con l'erba bagnata.

Federica si siede dalla parte opposta, non vuole stare vicino a lui, vuole sedersi anche lei sul bordo e preferisce fissare il suo ragazzo di nascosto.

Ma, almeno, è ancora il suo ragazzo?

Quando Michele parla, lei lo guarda, pensa a Simona, sorride; e Mattia la imita.

Ma io non ho voglia di sorridere e, tanto meno, di ricordare.

Alzo lo sguardo sul pupazzo che sembra d'accordo con me, mentre i due bottoni neri iniziano a scivolare sulla sua faccia bagnata, raggiungendo il legnetto che sta al posto del naso.

Lui non ne ha di ricordi, perché io dovrei volerne?

Ricordare è doloroso, ricordare è brutto.

Affondo il volto nel ginocchio sano, cercando di nascondermi, di proteggermi dalle parole di Michele.

Lui se ne accorge e muove lo sguardo su di me, facendo attenzione al braccio ingessato che viene protetto dalla mano sana, stretta su di lui.

Mi guarda e si arrende subito, si stanca di fissare una ragazza che non vuole ascoltarlo e, allora, continua a parlare al cielo, che magari lui è un interlocutore migliore di me.

Era caduta appena aveva messo piede sul ghiaccio ma non si era arresa...era davvero incredibile!”.

Forse non sa che non riesco a tapparmi le orecchie, che se lui parla io sono costretta a sentirlo e faccio fatica a non scivolare sul viale dei ricordi dolorosi; è difficile per me stare in piedi ora che ho una gamba sola che mi regge.

Michele se ne frega, lui vuole solo imitare la zia Milly e i suoi ricordi cancellati da tutti.

Inizia con un episodio e finisce col raccontare tutta la vita che ci sta intorno; però lo fa con gli occhi chiusi, persi chissà dove, magari in uno di quei ricordi e non si accorge del dolore che risveglia, delle lacrime che iniziano a scivolare sui volti di chi l'ascolta.

Nessuno vuole ricordare quelle cose ed io non voglio ricordare Simona.

Smettila, Michele, smettila!

Ma lui non mi sente, resta sdraiato a guardare il cielo, aspettando una risposta dalla sua innamorata, aspettando che lei gli mandi un segno.

Io, invece, mi rifiuto di alzare la testa, so già che un suo segno non lo vedrò mai; preferisco tenere la faccia affondata nel ginocchio, restando con gli occhi chiusi, senza alcuna possibilità di restare delusa dalle parole mute della mia amica morta.

 

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Sapete una cosa? Ho voglia di piangere!

Lasciatemi sola, vi prego, quando sono in pubblico le mie lacrime non vogliono uscire: sono molto timide, non vogliono recitare sullo scenario della mia vita finché il sipario non è calato completamente.

L'unica che le aveva conosciute era Simona.

Con lei loro uscivano lo stesso, non erano più timide, si facevano coraggio ed uscivano.

E lei mi stringeva nel suo abbraccio, un abbraccio infantile, strano: invece di far appoggiare la mia testa sul suo petto era lei quella che si chinava e si aggrappava a me.

Aveva paura di cadere lei, quando piangevo io.

E faceva ridere quel suo modo di consolare la gente facendosi abbracciare, quel suo nascondere la sua faccia nel mio petto; era quasi incomprensibile.

Sembrava volesse consolare più se stessa, pareva quasi fosse lei quella triste.

Ora, però, lei non c'è più, capite?

Come posso piangere per Simona se lei poi non si aggrapperà più al mio petto per consolarmi?

 

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Una protesi di alluminio giace vicino al pupazzo di neve, appoggiandosi a lui.

Apro gli occhi, la guardo e soffro; è brutta quella gamba nuova, quella sostituta della parte mancante del mio corpo, quello strano aggeggio che dovrebbe riuscire a completarmi.

Chiudo gli occhi, di nuovo, perché, a questo punto, è meglio non vedere più nulla, no?

Il passato mi ferisce, il presente mi fa vedere un futuro ancora più doloroso.

Meglio restare con gli occhi chiusi e mandare tutto via, lontano, dove non possono più nuocermi.

Impossibile.

E quando siamo andati in piscina...”

Michele continua, i ricordi fluiscono in lui ed escono spontanei dalle sue labbra.

Smettila, non voglio ricordare...”

Le mie parole invece escono confuse, soffocate, spente.

Ma Michele le sente lo stesso. Anche Federica e Mattia le hanno colte e, tutti e due, ora mi guardano e provano compassione per me.

A Michele invece fanno male quelle parole, lo feriscono, lo fanno titubare: sento che si mette seduto e quando riapro gli occhi per guardarlo il suo sguardo è crollato a terra, mentre la sua mano sana è sempre lì che stringe il braccio rotto.

Ricordare da solo non gli piace. Vorrebbe farlo con qualcuno ed il massimo sarebbe farlo con me, perché io posso comprenderla la sua malinconia, posso capirla la sua sensazione di vuoto.

Mattia e Federica, invece, non riescono ad interpretarla bene, la vedono e basta; possono immaginarla, magari, supporre qualcosa, ma niente di certo e niente di vero.

Perché loro non la vivono, non la sentono dentro, la scorgono solo sulla pelle, in superficie, nascosta in brividi inquietanti, in tremolii nascosti o in un pallore preoccupante.

La mia migliore amica continua a guardarmi, questa volta i miei brividi l'hanno davvero terrorizzata, ha colto alla perfezione il tremolio delle mie parole ed ora non gli resta che individuare il colorito freddo della mia pelle.

Cerca di capirmi, di entrarmi dentro, di interpretare il mio dolore; non so se ci riesce ma mi mette paura: sembra quasi che ce la faccia.

Per impedirglielo la precedo e sono io che distolgo lo sguardo da loro 3, alzandolo sul pupazzo di neve.

Lui, almeno, non mi guarda e non mi giudica.

E Federica non lo capisce quel mio distogliere lo sguardo, quel mio non voler ricordare, quel mio dolore che non condivido con nessuno; i suoi occhi seguono i miei e cadono sul nostro amico bianco.

La mia protesi resta ferma, immobile, non è suo il compito di rompere il silenzio che è calato all'improvviso, lei deve solo star lì ad aspettare; aspettare che io la prenda e che la incastri sotto il mio ginocchio destro, affinché mi regga in piedi, mi faccia camminare; è quella la sua unica funzione, non serve a nient'altro.

E la coperta su cui siamo seduti diventa sempre più piccola.

 

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Non vorrei ferirti, Michele, devi credermi!

Ma ricordare fa male, lo so bene.

Zia Milly non lo sa, invece, per questo che lei continua a raccontare episodi dimenticati senza sosta; per lei i ricordi sono importanti, come lo sono per te.

Ma allora spiegami perché dovrebbe essere così bello ricordare, perché dovrei farlo, perché tu e zia Milly siete così ostinati e testardi in questa cosa!

Non pensi sia meglio dimenticare?

Il pupazzo non ricorda niente e, guardalo, non soffre.

Però, è vero, forse hai ragione, ora che lo osservo meglio lui non sorride nemmeno.

Ormai manca poco alla sua fine, i bottoni scivolano sempre più, ha poche possibilità per ricordare, per sorridere e per piangere.

Se ne andrà anche lui come Simona e Fabio.

Quando alzerò la testa, quando volgerò lo sguardo su di lui, non ci sarà più, non sarà più lì a cambiare le canzoni nella mia macchina o ad appoggiarsi alla spalla di Michele.

Dietro di sé lascerà solo una macchia bagnata, l'unico ricordo che conserveremo di lui.

Ma farà male quel ricordo, ci ferirà e tu, Michele, seduto nei sedili posteriori della mia C3, mi racconterai di lui, lui che ci ha lasciato soli.

Ricordi quando Simona è caduta mentre pattinava? E quando è entrata in piscina ma non sapeva nuotare?”

Ed io questa volta sarò costretta a ricordare, perché la radio è spenta e non c'è più nessuno che può accenderla ed alzare il volume per nascondere la tua voce.

Io ti ascolterò e penserò a Simona, che era davvero un'imbranata, che non era brava in niente, che non si decideva mai a confessarti che tutte quelle cose le faceva solo per te!

A lei non piaceva pattinare, nuotare le faceva paura, ma a te piacevano quelle cose, volevi farle con lei e lei non poteva tirarsi indietro.

Non voglio deluderlo!”, mi confessava sempre e poi si appoggiava al mio petto, ci affondava la sua faccia e si faceva abbracciare.

Infine alzava la testa e mi guardava con quel suo sorriso sulle labbra che sembrava spiegare sempre ogni cosa!

Invece non spiegava proprio niente, ma come si poteva non acconsentire al suo inspiegabile desiderio di renderti felice?

Le dicevo che la capivo, quando non la capivo affatto.

E a lei, Michele, non piaceva andare in macchina, le faceva paura, non si fidava, la sua sorellina era morta in un incidente anni prima e questo la bloccava.

Lei non voleva raccontare a nessuno la sua paura, la nascondeva bene dietro a desideri fitti e a sogni altissimi; un giorno non sopportava più quel peso, lo sentiva lo stesso dietro tutti quei muri insormontabili; mi si era buttata tra le braccia e mi aveva confessato tutto.

Lei era in macchina con la sorella; lei si era salvata perché si è chinata dietro il sedile del padre; sua sorella, invece, era rimasta lì, a guardare la strada che si interrompeva troppo in fretta e a chiedersi come mai i suoi genitori stavano andando verso un albero.

Ma è una storia lunga, Michele e forse anche più dolorosa della nostra.

Simona veniva raramente in macchina con me; ma, quella sera, non aveva avuto esitazioni nel seguirti mentre salivi.

E' colpa mia; io sapevo di quell'incidente, conoscevo il suo istinto di ripararsi dietro il sedile per salvarsi ma, soprattutto, vedevo che tutti quei rischi li correva per te.

Non voglio deluderlo!”, mi diceva con lo sguardo ed io cosa potevo fare?

Tanto non sarebbe successo niente, no? Quante probabilità ci potevano essere che l'incidente sarebbe stato vissuto di nuovo dalla nostra Simona?

Mi sbagliavo, eccome.

Ma tu, Michele, queste cose non le sai; questi ricordi non li conosci.

Non vedi, perfino la tua Simona ha esitato nel raccontarti i suoi!

Lei voleva crescere, voleva solo essere più grande perché quella paura la lasciasse, finalmente; lei non voleva indipendenza, non voleva che la gente indovinasse la sua età, voleva solo dimenticare i suoi ricordi.

E non è meglio così? Non soffriresti nel sentirli se io, ora, alzassi la testa dal mio ginocchio e te li raccontassi?

Vedi? È meglio non ricordare certe cose, è meglio dimenticarle o tenerle nascoste da qualche parte dentro di noi.

Ma è tutto inutile questo mio parlare, tu ,tanto, non li capisci questi concetti, tu sei uguale identico a zia Milly: vuoi solo che gli altri ricordino.

 

-------------------

 

Il pupazzo mi guarda, io affondo di nuovo la testa nel ginocchio, Michele è perso con il suo cielo e Mattia pensa solo a lei, ormai: lei che è seduta dall'altra parte della coperta, sul bordo opposto; troppo impegnata a cercare di capirmi per accorgersi dei suoi sguardi.

Federica ha altro a cui pensare che a se stessa; prima di recuperare Mattia vuole recuperare me.

É strana questa Federica, non la riconosco più.

Non è più interessata a mostrarsi matura, a stare in disparte tenendo i suoi sentimenti nascosti; pensa ad altri sogni questa mia nuova amica, pensa a realizzarli, a viverli sul serio.

Però, vuole che io sia lì con lei, questa volta; desidera che ci aiutiamo a vicenda.

Cosa è successo a questa Federica che, all'improvviso, riesce a capirmi e si alza per raggiungermi?

 

-----------------
 

All'improvviso, Michele, t'interrompi.

Distolgo lo sguardo dalla strada, la mia C3 viaggia sicura questa volta e ti osservo riflesso nello specchietto.

E qualcuno è vicino a te e si fa abbracciare.

Simona appoggia la testa sul tuo petto, facendo attenzione al tuo braccio rotto e spostando delicatamente la mano sana.

Si fa stringere da te, da te che all'improvviso stai in silenzio e la guardi.

Non sembri stupito nell'averla lì ma i tuoi occhi iniziano a bagnarsi, bagnano pure il tuo sorriso malinconico e cadono su Simona, che se ne sta tranquillamente coccolata dalle tue braccia.

E finalmente mi fai capire il vero motivo dei tuoi ricordi; ricordare per riportare indietro chi amiamo e non c'è più; ricordare per sfogarsi, per abbattere quei muri fittizi che abbiamo costruito e che, prima o poi, crolleranno da soli; ora capisco perché Simona si è fatta abbracciare da me, quel giorno e mi ha liberato i suoi ricordi.

Una mano si posa sulla mia spalla.

Abbasso lo sguardo, guardo verso destra e accanto a me siede di nuovo Fabio; ha indosso sempre i suoi pantaloni rosso fuoco ma questa volta non è più nervoso, le mani non gli sudano più, sono diventate sicure e pure lui mi sorride.

Siamo ancora qui, tutti e quattro, come prima, come quando andava ancora tutto bene, quando ancora la mia gamba destra potevo toccarla e vederla.

Ma è solo un attimo e tutti scompaiono, annebbiati dalle mie lacrime.

Hai visto, Michele, cosa hai combinato con i tuoi ricordi?

Sei riuscito pure a risvegliare i miei, ad abbattere i miei muri, dopo tutti gli sforzi che avevo fatto per costruirli.

 

---------------------

 

Federica non aspetta più.

Si alza, allontana Michele e si getta su di me.

Le sue braccia mi stringono, costringendomi ad affondare la faccia nella sua maglia per soffocare i miei singhiozzi improvvisi ed inaspettati.

Sto piangendo, le lacrime sono infinite, non si fermano più, si sono fatte coraggiose ed ora escono copiose e mi allagano il volto.

Sono un mare queste lacrime, sono uno sfogo enorme, mi svuotano completamente.

Federica non è come Simona, lei fa la forte per consolare la gente, non si fa piccola, piccola tra le loro braccia, non si fa stringere; questa volta sono io che imito la ragazza di Michele, la nostra amica imbranata che non si decideva a dirgli che non sapeva nuotare; questa volta sono io che consolo la gente facendomi abbracciare.

Il pupazzo di neve è stanco pure lui di trattenersi: i suoi occhi si staccano e cadono in un momento, con un contatto sordo col terreno.

Non ha più gli occhi ma, ora, piange pure lui; piange per Simona che non c'è più, per Fabio che neanche conosceva; piange per un dj dalle mani sudate e per una ragazza che avrebbe fatto di tutto per il suo ragazzo: avrebbe nuotato, avrebbe pattinato e sarebbe perfino morta.

E Mattia allunga le braccia verso me e Federica, ci abbraccia entrambe, obbligando la mia migliore amica a piangere, a sua volta, nel suo maglione.

 

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Ed è un momento, un attimo solo.

Dal nulla mi sorge una domanda strana, che non c'entra nulla, che non dovrebbe riguardare tutto questo: “Dov'è Nicola? Perché non è qui, a farsi abbracciare insieme a noi?”

 

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Ok, questo è un capitolo davvero, davvero penoso. Lea non se lo meriterebbe ma di meglio non posso fare, in questo momento. :(
Purtroppo, vi dovrete accontentare.
Comunque, come quello di Federica, anche questo è dedicato a Simona che in effetti era davvero un'amica un pò strana, speciale per tutte e due, forse più legata a Lea che a Federica dato che le ha confessato anche dei suoi ricordi dolorosi.
Qui Lea ha capito il vero significato di quei ricordi; del perché uno sente il bisogno di raccontarli; del perché la sua zia Milly e il suo amico Michele non esitano nel riportarli al presente: principalmente lo fanno per alleggerire il loro peso, come aveva fatto Simona raccontando i suoi a Lea; ma lo si fa anche solo per avvicinarsi a quelle persone che non ci sono più ma che ci hanno fatto vivere episodi indimenticabili.
Questo Lea l'ha capito solo ora, lei che vedeva nei ricordi solo un peso e un dolore enorme.
E, alla fine, Michele la costringe a ricordare e il risultato sono le lacrime, lacrime che non era mai riuscita a versare ed ora, invece, vengono liberate facilmente, anche se Simona non c'è per accoglierle con un abbraccio.
Però Federica è lì, al suo fianco, non esita a spostare Michele pur di raggiungerla in tempo; e l'abbraccia soltanto, neanche come faceva Simona, con il suo modo strano e difficile da capire.
E' un abbraccio semplice, affettuoso, comune...al quale si unisce anche Mattia.
E, alla fine, Lea si accorge che manca qualcuno in questo quadro.
E' solo un attimo, ma l'assenza di Nicola la sente.
E lui ora dove sarà? Sarà già partito? Se ne va senza salutare nessuno, senza nemmeno dirlo alla sua Lea?
Nel prossimo capitolo lo scoprirete. ;)
Ora vi lascio, buonanotte a tutti, miei cari!
Con affetto.
=Sony=

 

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Capitolo 15
*** 15- Non mi piace viaggiare (Nicola) ***


15- NON MI PIACE VIAGGIARE

 

Nicola”

 

 

Ed è difficile partire; lo è più di preparare le valigie.

Per quello, in fondo, non ci vuole molto: basta schiacciarle bene, comprimerle, fare in modo che tutto ci stia e poi dargli il colpo finale chiudendole.

Ma partire...per quello ci vuole di più; ci vuole coraggio.

 

------------------


L'aeroporto è pieno di gente che si spinge fra loro e che fa strisciare le valigie su delle rotelline.

Sembrano corridori, in ansia per la prossima gara.

3, 2, 1...via!

L'uomo con la giacca rossa supera la donna magrolina con gli occhiali e l'uomo con la ventiquattrore, passando in seconda posizione; ma ecco che una famiglia lo raggiunge, ben 5 membri, signori! 5 membri! L'uomo aumenta la velocità ma, ormai, è tardi, viene raggiunto e superato dalla famiglia che si fionda al check-in!

Vittoria, signore e signori! La famiglia di 5 membri ha vinto!

E i 5 ora sembrano ridere sotto i baffi mentre le loro pesanti valigie vengono caricate lentamente, provocando le lamentele degli sconfitti che sicuramente arriveranno in ritardo per l'aereo.

Sbuffo scoraggiato da quella triste partenza e, con la mia valigia, mi metto dietro a quella fila, aspettando pazientemente che i vincitori scendano dal loro podio.

 

------------------

“Dimmi, Nicola, dove ti piacerebbe andare? Se potessi scegliere di partire proprio ora, in questo momento...dove andresti?”

Lea chiude gli occhi, stringendosi a me che sono pronto per accoglierla nel mio abbraccio.

Dove andrei, dici? Perché questa domanda?”

Senti, non è giusto rispondere così! Non fare il furbo, dimmi dove vorresti andare e basta!”.

Si allontana, incrociando le braccia e facendo la sua buffa smorfia infastidita.

A volte, è proprio una bambina.

Fingo di pensarci su seriamente, appoggiando l'indice sotto al mento per assumere un'espressione seria e concentrata.

Mmmm...vediamo...”

Intanto Lea apre gli occhi e mi sbircia di nascosto.

Proprio da nessuna parte”, concludo sorridendole, allontanando il mio dito dal mento.

Ma come sarebbe?! Ci sarà pure un luogo dove vorrai andare, no?”

Lea non mi crede, insiste per una risposta, non sa che l'unico posto dove vorrei essere è qui con lei.

Non mi piace viaggiare”, le mento con un sorriso, divertito dalla sua innocenza.

 

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“Signore, deve togliersi tutto quello che ha addosso di metallo, ha capito?”

Una donna mi si avvicina, fermandomi mentre mi preparo a passare sotto una specie di porta fasulla.

I capelli biondi sono raccolti dietro la testa, facendo risaltare un'ampia fronte e due grandi occhi scuri.

Quello è un metal detector”, indica la strana porta in mezzo all'aeroporto, con due uomini che aspettano dall'altra parte.

Certo, mi scusi.”, inizio a slacciarmi l'orologio, il bracciale e mi tolgo le chiavi e il portafoglio dalle tasche, “dove devo metterli?”.

La ragazza sbuffa spazientita dalla mia ignoranza per poi indicarmi un cestino di plastica: “lì dentro”, mi spiega con una cortesia forzata; infine, decide di abbandonarmi al mio triste destino, andando a richiamare altri viaggiatori alle loro prime armi.

Passo sotto la porta con un poco di ansia immotivata ma il silenzio in cui giace quella soglia al mio passaggio mi fa tranquillizzare.

I due uomini mi restituiscono i miei averi, augurandomi un fasullo “buon viaggio”, al quale ricambio con un altrettanto finto: “grazie”.

Secondo traguardo passato.

E la mia mente ancora non ha pensato ai saluti.

 

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“Perché sei qui?”

Federica mi ha detto che ti sei svegliata. Sono venuto per...”

Te ne puoi andare.”

Lea mi interrompe senza pensarci. Sa già cosa vorrei dire e non lo vuole sentire.

Mi demoralizzo ma non mi arrendo e, invece di obbedire al suo ordine, mi avvicino al suo letto.

Ho detto che puoi andartene”, mi ripete lei, pensando stupidamente che forse non l'ho sentita.

Non voglio”, le rispondo io, restando in piedi accanto a lei.

Lea stacca gli occhi dalla macchinetta che rintocca i battiti del suo cuore e li fissa nei miei, tremanti.

Un silenzio pesante cala tra noi e sembra dividerci; non posso permetterlo.

Sai, mi sono licenziato...”, le dico titubante.

Ma a lei non interessa e preferisce tornare a seguire il suono ripetitivo della macchina.

Perché non te ne vai?”, mi domanda lei, persa nei suoi pensieri.

Non voglio.”

Mi hai fatto soffrire”.

Le sue parole mi costringono ad abbassare lo sguardo sulle sue lenzuola bianche.

Lo so bene, Lea, non c'è bisogno che me lo dici.

Era bella?”

Perché vuoi parlare di questo? Perché vuoi che continui a farti soffrire?

Era più brava di me a...fare...l'amore?”

Le parole le muoiono in gola e mi fanno tremare, mi fanno morire.

Cosa devo fare? Devo mentire? Devo dirti la verità? Perché mi stai chiedendo queste cose, per quale motivo? Forse, vuoi darmi una seconda possibilità, è così?

Sai bene che non riuscirò a sfruttarla e che, qualunque cosa ti risponderò, tu soffrirai.

No, non era niente.”

E, come previsto, tu non lo sopporti.

Le tue sopracciglia si piegano per trattenere le lacrime che spingono sui tuoi occhi umidi.

So cosa pensi: “non era niente, ma allora perché mi hai tradito?”
Ma hai paura e non mi dici niente, preferendo restare in silenzio a cercare di contenere il tuo dolore.

Ed io non so cosa fare se non andarmene, uscendo dalla tua camera d'ospedale: tutto ciò che dico, tutto ciò che faccio ti fa solo del male. Forse è meglio che me ne vada sul serio, cercando di chiudere dentro la mia valigia anche il male che ti ho fatto.

 

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“Ciao.”

Una mano mi si para davanti, disturbando i miei pensieri.

Una ragazzina è in piedi davanti a me con il braccio teso, in attesa di una cordiale risposta da parte mia.

I suoi capelli sono corti, a caschetto e le labbra fini, sottili, sono tese in sorriso caloroso. A giudicare dall'aspetto deve avere 21, massimo 23 anni.

Sono titubante nell'accettarle la mano, dato il mio carattere chiuso ed introverso.

Ma la sua insistenza non mi dà alternative.

Piacere.”

Le rispondo abbassando la voce e stringendole la mano.

Dove vai di bello?”, mi domanda restando sempre di fronte a me.

La guardo, studiando la sua pelle abbronzata che crea contrasto con la sua camicia azzurra e la sua gonna bianca.

In Tunisia.”

Wow, ottima scelta! Non c'è posto migliore per passare una bella vacanza”, si siede accanto a me senza chiedermi niente, sicura di sé e del suo sorriso.

Ci sei mai stata?”, le chiedo. Non so perché mi stia intrattenendo con una sconosciuta che non ha niente di meglio da fare che importunare delle persone che non conosce; ma qualcosa in lei mi attrae: il suo carattere solare, forse, oppure i suoi occhi azzurri cielo; come la sua camicia e come quelli di Lea.

No”, risponde lei con semplicità, “Ma anche io ci sto andando”.

Non riesco a trattenermi e le sorrido, così, senza un motivo.

Strano, non sono uno che sorride facilmente.

Come ti chiami?”, le chiedo.

Chiara.”, risponde lei.

E mi colpisce quel nome perché non le si addice per niente: Chiara con la pelle scura, è strano, è un ossimoro.

Tu?”

Nicola”

E lei sorride, il mio nome le piace e, chissà! Forse le piaccio anche io.

 

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Pensavo che partire fosse difficile. Mi sbagliavo.

Sono uno stupido, un vero stupido. Mi odierai, ma ne hai tutto il diritto, credimi.

Chiara dalla pelle scura mi ha reso vittima del suo incantesimo.

Il bagno dell'aeroporto è scomodo e sporco; ma non per noi due; non per me e per Chiara.

La spingo contro il muro e la sollevo, spingendomi contro di lei, che mi abbraccia la vita con le sue gambe.

Restiamo vestiti, non serve mostrarci nudi l'uno all'altro.

Mi abbasso la lampo dei pantaloni e lei si alza la gonna candida.

Ed entrare in lei è facile, veloce, semplice. Non mi crea problemi, di nessun tipo.

Lei sospira, suda insieme a me, mi sente dentro di lei e sorride con le sue labbra fini.

Non c'è amore tra noi, c'è solo sesso. È diverso ed è sbagliato.

Apro gli occhi e mi sembra quasi di vederti in lei, nei suoi occhi azzurri, nel suo sorriso felice e nella sua voce tremante: “Era più brava di me a fare l'amore?”.

Perché me lo chiedi ora, Lea? Perché vuoi rovinare tutto? Io volevo riavvicinarmi, volevo solo sedermi accanto al tuo letto e tenerti la mano, come una volta; dirti che non andrei mai da nessuna parte perché il mio unico posto è lì, accanto a te. Perché hai voluto rovinare tutto?

E tu mi conosci, sai che non sono coraggioso, sai che ho paura e sono timido, introverso. Invece, hai preteso una risposta più forte da parte mia, una decisione sicura che ti avrebbe eliminato ogni dubbio; ma non è arrivato nulla, solo un soffocato alito di voce: “no, non era niente.”

Maledizione, perché?!

Dentro di me morivo in quel momento, credimi, te lo giuro! Le parole che volevo dirti mi uccidevano, lottavano per uscire; ma il mio corpo le ha tenute indietro, lasciandosi logorare da loro.

Ora, però, sono stanco.

Non era più brava di te, Lea, a fare l'amore. Nessuno è più bravo di te. Nemmeno Chiara dalla pelle scura. Perché tu tremi ogni volta che entro in te; hai paura, chiedi di fermarmi, di rallentare perché non ti senti pronta; ed invece è il solito attimo che ti tradisce, che ti fa titubare. Subito dopo le tua mani mi graffiano la schiena e mi avvicinano al tuo corpo. Vuoi che continui, non hai più paura ma tremi ancora. Mi fa impazzire questa tua titubanza, questo tuo fermarmi e poi attirarmi a te; questo tuo tremare e quei tuoi occhi cielo che si mischiano nei miei. Nessuna donna è come te; tu sei l'unica con cui ho fatto l'amore.”

Questa è la verità ma, allora, dimmi, Lea? Cosa sarebbe cambiato? Queste parole ti avrebbero fatto soffrire, perché per te il sesso è amore e non si fa con la prima Chiara dalla pelle scura che si incontra. Ed io sono stanco di farti soffrire, di ripeterti che ti amo e poi tradirti con la prima che incontro!

Non ho il diritto di riaverti.

Scusa, l'ho capito solo ora; se me ne fossi accorto prima avrei risparmiato quelle notti a chiamarti dalla finestra, quell'insistere per starti accanto e per avvicinarmi al tuo letto, quell'amarti in continuazione senza motivo.

E tu mi spingi via, tremi, hai paura che ti faccia male, che ti faccia soffrire; mi chiedi di rallentare perché non ti senti pronta. E no, non lo sei per davvero.

 

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E non è giusto partire così; a qualcuno devo pur dirlo.

Me ne vado all'estero. Non so quando tornerò.”, scrivo sul cellulare e poi cerco nella rubrica il suo numero.

Rileggo il messaggio, pensando che forse dovrei aggiungere qualcosa; un saluto, un cenno, un minimo gesto di cortesia.

Saluta Lea da parte mia e dille che la amo.”

Titubo, cancello l'ultima parte del messaggio e lo invio a Federica.

 

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“Dimmi, Nicola, dove ti piacerebbe andare? Se potessi scegliere di partire proprio ora, in questo momento...dove andresti?”
“Proprio da nessuna parte, Lea. Lo sai, non mi piace viaggiare.”

 

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Buonasera a tutti!! :)
Ebbene, il comportamento di Nicola è un pò complicato e forse difficile da capire.
Lui ama Lea, profondamente; tuttavia, continua a tradirla con altre donne che per lui non sono nemmeno importanti e che a malapena conosce (ad esempio Chiara di questo capitolo o la tipa della discoteca). Non può fare a meno di far soffrire Lea ma di conseguenza ne soffre pure lui.
Alla fine, la tragica decisione: vuole completamente rinunciare a Lea, partire senza quasi dirle niente (se non attraverso il messaggio a Federica), cercando di dimenticarla. Così spera che anche lei si dimenticherà di lui e che smetterà di soffrire per colpa sua.
Però non sa che lei lo cerca (capitolo 14), che ha bisogno di lui e che lo vuole vicino.
Quindi verrà a saperlo, Nicola? Glielo dirà Federica? Tornerà per stare vicino a Lea oppure non tornerà mai più?
A lui non piace affatto viaggiare, l'ha fatto solo per lei, per starle lontano quindi forse deciderà di tornare!
Ma, chissà, vedrete nei prossimi capitoli!
A proposito, il prossimo sarà dal punto di vista di Mattia e vi anticipo che finalmente metterà le cose in chiaro con Federica; andrà bene o si lasceranno definitivamente?
Ahahah...quante domande...
A presto!! :)
Un bacio! :*
=Sony=

 

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Capitolo 16
*** 16- Il cielo non è il solo a piangere (Mattia) ***


16- IL CIELO NON E' IL SOLO A PIANGERE

 

Mattia”

 

Apro gli occhi e la pioggia mi costringe a richiuderli.

Piove e non me n'ero neanche accorto.

Le braccia restano incrociate dietro la mia testa, affinché il mio volto sia in linea retta col cielo; le nuvole si inseguono, giocano tra loro, si prendono e poi iniziano a piangere, versando le loro lacrime su di me.

Resto muto, in silenzio, perdendomi nel flusso dei miei pensieri.

Il parco è vuoto oggi; la pioggia costringe tutti a restare a casa.

Sono solo, nessuno è qui, insieme a me, a guardare l'immenso grigio che sovrasta la città.

Ed il cielo non è il solo a piangere.

 

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I suoi lunghi fili neri la seguono, senza allontanarsi di un centimetro più del necessario.

Mi sembra di sentire ancora il loro profumo anche da qui, da lontano, mentre la osservo uscire dalla stanza di Lea.

I suoi occhi scuri brillano come le stelle e mi fanno battere forte il cuore.

Federica mi vede, mi sorride e mi saluta con la mano, prima di corrermi incontro per salutarmi come si deve.

Ciao, Mattia!”

E' strano; è tutto troppo normale. Abbiamo la memoria così corta?

Ehi!”, ricambio il suo saluto con titubanza, cercando di fermare il tremolio della mia mano.

La nascondo nella tasca dei pantaloni quando si rifiuta di smettere.

Te ne vai?”, le domando, perché il silenzio che è sceso tra noi è quasi imbarazzante e ci spinge quasi a ricordare.

Lei annuisce.

Ti accompagno”

Lei mi ferma: “Non ce n'è bisogno, lo sai! Sei appena arrivato; non star lì a scendere con me. Vai da Lea, piuttosto.”

Non mi arrendo perché non è giusto dimenticare.

No, ho voglia di fumarmi una sigaretta e di parlare con te.”, le dico per poi incamminarmi verso l'uscita dell'ospedale, fingendo di non notare l'improvviso rossore che ha colto le guance di Federica.

 

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Ricordare fa male, ti brucia la pelle e ti fa tremare il cuore; per questo Lea voleva evitarlo, chiedendo a Michele di smetterla con i suoi ricordi.

Se vuoi ricordare, fallo per conto tuo, per favore!

E, poi, all'improvviso, scoppia in lacrime; la testa è schiacciata sul suo ginocchio ma i singhiozzi la scuotono lo stesso; e, prima che me ne accorga, le braccia di Federica la circondano e cercano di trattenerli, di soffocarli; non ci riesce e le lacrime bagnano il volto anche a lei.

Mi alzo, mi avvicino a loro e ci penso io a cacciare indietro quei singhiozzi e quei ricordi dolorosi che Lea non vuole ricordare.

Le mie narici si immergono nei ricci scuri di Federica e godono del loro profumo.

Soffocando il dolore di Lea, riporto al presente i miei problemi con la ragazza che amo.

E la scatolina nella tasca della giacca diventa sempre più pesante.

 

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La Winston si illumina tra le mie labbra, lanciando poi nell'aria volute scure di fumo.

Di cosa vuoi parlare?”

Federica è diventata più nervosa da quando siamo usciti fuori dall'ospedale; è agitata e si guarda i suoi piccoli piedi, esili e delicati.

Aspiro il fumo e lo tengo fermo nei miei polmoni: “Di niente”, le rispondo buttando fuori l'aria grigia.

Lei alza la testa, non mi capisce; ma non le va di sforzarsi e mi lascia fare, abbandonandomi nei miei pensieri che non comprende.

Ti fa male fumare”, sorride lei, trovando il coraggio di avvicinarsi a me, appoggiandosi al muretto dell'ospedale per poi guardarmi con i suoi occhi scuri pieni di stelle.

Ed io smetterei immediatamente di fumare, in questo preciso momento, semplicemente in cambio di qualcuna di quelle piccole luci.

Spiacente, le stelle dei suoi occhi non sono in vendita.
Alzo lo sguardo al cielo aspirando di nuovo dalla mia sigaretta.

Hai ragione.”

 

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“Federica, eccoti!”

Un tizio esce dall'ospedale ed interrompe i nostri attimi di serenità e solitudine.

E' alto e i capelli sono chiari, biondi e corti, in perfetta armonia con i suoi occhi azzurri; il mento è pronunciato e le mani sono sicure, forti, mentre afferrano Federica per un braccio.

E qualcosa mi punge il cuore.

Davide”, lo chiama lei ed un sorriso appare sul suo volto delicato, illuminando ancora di più i suoi occhi scuri.

Abbiamo un problema con il soggiorno per Lea a casa di mio padre.”

Ma certo, ora è più chiaro: è il fratello di Lea, avrei dovuto capirlo da quegli occhi e da quelle mani sicure.

L'appartamento è al terzo piano e non c'è l'ascensore. È troppo difficile per Lea andare ad abitare lì.”

Mi sento di troppo in questa conversazione e, sinceramente, non vedo l'ora di spegnere la mia sigaretta per tornarmene dentro l'ospedale.

E cosa possiamo fare?”, domanda lei, preoccupata per l'amica.

Davvero, non lo so...potrebbe venire da me ma non sarei mai a casa per via del lavoro ed in più io abito lontano da qui; sarà difficile per voi venire a trovarla”

Nel “voi” dovrei essere compreso anch'io; o, almeno, penso.

Andiamo prima a casa di tuo padre e poi decidiamo cosa fare.”

Ok, perfetto, ottima idea, Fede.

Scendono gli scalini dell'ospedale ignorandomi completamente.

Mattia, tu non vieni?”

Guardo giù e Federica è lì sotto che mi aspetta, con le guance che sono tornate rosse e con i ricci che le incorniciano il volto.

Sorrido consolato dalla sua considerazione e spegnendo la sigaretta sotto la suola, scendo i gradini dell'edificio, mentre la punta fastidiosa lascia libero, per un attimo, il mio cuore.

 

------------------

Ricordi il nostro primo incontro?

Io ero sdraiato nel parco che c'è appena fuori città, quello in cui non ci va nessuno e che è completamente deserto quando piove.

Ero solo, sdraiato sull'erba bagnata, a fissare il cielo plumbeo che piangeva su di me.

Non ce l'hai proprio un ombrello?”

Mi sei avvicinata con un ombrellino bianco e di piccole dimensioni; ti sei inginocchiata accanto a me, proteggendomi dalla pioggia e bagnandoti a tua volta.

Quell'ombrello era davvero piccolo!

Io ti ho guardata confuso, sorpreso ma, soprattutto, imbarazzato.

Eri solo una ragazzina allora, con i ricci lunghi, più lunghi di ora, che ti cadevano sulle spalle, sporgendosi su di me, mentre tu mi fissavi con i tuoi occhi sorridenti e pieni di stelle.

Erano bellissimi quegli occhi, mi facevano battere forte il cuore, mi facevano impazzire l'anima; avrei voluto guardarli in eterno, perdermi dentro di loro e non uscirne più.

Ehi, Fede!! Sbrigati che piove!”

E Lea era laggiù, in fondo al sentiero che costeggia il prato; ti ha costretto ad alzare lo sguardo e a voltarti verso di lei, portandomi via per un tempo interminabile quei meravigliosi occhi.

Si, arrivo!”, le hai risposto.

Non mi hai più guardato, ti sei rialzata e con una mano ti sei tolta i fili d'erba che si erano attaccati, biricchini, alle pieghe della tua gonna.

Ti sei ricomposta per bene, come se fossi davanti allo specchio prima di uscire, anche se invece davanti a te c'ero solo io, sdraiato ancora a terra a guardarti spaesato.

Scusa, vado”, mi hai detto con la tua voce da bambina, per poi correre spensierata verso la tua amica, rincorrendo i tuoi 16 anni.

Quel giorno, il nostro incontro è stato talmente bello che perfino il cielo aveva smesso di piangere.

 

--------------------

Non è come mi aspettavo, per niente. Era meglio se non venivo, se restavo all'ospedale con Lea.

Il mio cuore torna ad essere ferito dalla punta appena scendiamo dalla macchina.

Il sorriso che Davide rivolge a Federica, la loro complicità, gli occhi di lei che si perdono in quelli di lui; ogni cosa mi ferisce.

Parlano tra loro, studiano la casa, pensano ad una soluzione per Lea e per quella sua stupida gamba di alluminio che la fa zoppicare e che non la aiuterà mai a fare 3 rampe di scale.

Ed io, in tutto questo, non ci sono; il pacchetto è ormai vuoto e quella tra le mie labbra è l'ultima Winston che mi rimane.

Mi chiedo cosa ci faccio qui, dove dovrei essere, perché non riesco più a tenermi stretto la luce degli occhi di Federica.

E lei è la sola che potrebbe avere una risposta alle mie domande.

Peccato che in questo momento sia dentro, insieme a Davide.

 

--------------------

Escono e sembra che non si siano accorti della mia presenza.

Allora è deciso, Lea verrà a stare da me”

Sei sicura, Fede? Non ti crea problemi?”

No, assolutamente. Abito al primo piano, lo sai; non c'è bisogno di un ascensore per entrare in casa mia.”

Federica gli sorride e scherza con lui.

Schiaccio nervosamente la sigaretta sotto la scarpa, cercando di trattenere il dolore che mi sta dilaniando il cuore.

Bene, allora possiamo andare?”, non riesco, però, a nascondere il mio tono scocciato.

Federica lo sente e mi guarda sorpresa; ma, forse, è solo stupita di vedermi lì fuori ad aspettarla.

Saluta Davide con un cenno ed un sorriso, l'ennesimo e poi mi segue verso la mia Aygo, in silenzio.

 

---------------------

“Dobbiamo parlare”, esordisco titubante, le mani strette sul volante e lo sguardo fermo sulla strada.

Federica sussulta e si stringe le gambe l'una contro l'altra, gettando le sue stelle fuori dal finestrino.

Arriviamo a casa sua, fermo la macchina, la spengo; ma non ho il coraggio di guardare lei e lei non ha il coraggio di guardare me.

Sai, Fede...io, prima, pensavo al nostro primo incontro”, deglutisco nervosamente, appoggiando la testa contro il sedile e fissando il tettuccio della mia Aygo.

Te lo ricordi ancora?”

Lei ci pensa su in un attimo di silenzio poi si volta verso di me ed annuisce.

Pioveva e tu eri senza ombrello”.

Già...”, commento, immaginandomi di essere ancora su quel prato a fissare il cielo lacrimoso.

Abbasso lo sguardo su Federica ed è lo sbaglio più grande che potessi fare: i suoi occhi, questa volta, mi fanno male e tutte le stelle sono cadute, scomparse da quello sfondo nero.

Cosa sta succedendo?

Mi avvicino a lei, lentamente, tenendo una mano appoggiata al volante per sostenermi e chiudo gli occhi; lei non fugge al tocco delicato delle mie labbra, che la sfiorano sull'angolo della sua bocca.

Un attimo e poi si allontanano.

Scusami”, guardo con malinconia quegli occhi, quegli occhi che non vedrò più allo stesso modo, quelle stelle che si sono attaccate al blu cielo degli occhi di Davide mentre le mie, verdi, sono rimaste sdraiate sul prato a guardarli con dolore ed invidia.

E mi fa male vederla capire le mie parole, soffocare le lacrime che vogliono bagnare quelle stelle, aprire la portiera di corsa e fuggire da me che l'ho fatta piangere.

Perdonami, mia dolce stellina, ma io non ti amo più.

 

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Il cielo versa le sue lacrime sul prato del parco e su di me.

Fortuna che oggi piove; che il parco è deserto; che la macchina sono riuscito a parcheggiarla qui vicino.

Sono solo, non c'è nessuno.

Aspetto un ombrellino bianco che mi copra, delle stelle che illuminino i miei occhi; aspetto il suo sorriso e nel frattempo continua a piovere.

Ma il cielo non è il solo a piangere.

 

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Buonasera a tutti voi, cari lettori silenziosi!!
Ebbene eccomi già qui, con il capitolo di Mattia, non sono riuscita a trattenermi e l'ho scritto subito.
Allora, che dire: un comportamento un pò strano questo Mattia, lui innamorato perso di Federica, che ha sofferto come un cane dall'inizio della storia...ma è stato proprio lui a fare la mossa finale e a lasciare la sua bella.
La lascia perché è geloso di Davide, perché non sopporta più gli atteggiamenti di Federica (il fatto che lo ignori un attimo prima e che poi lo cerchi) o forse perché non capisce più niente questo Mattia!!! Fatto sta, comunque che la lascia.
E non è tutto: come avete letto, lui dice che non la ama.
Vi dico subito che non è vero (scusate se ve lo anticipo ma lo faccio per mettervi il cuore in pace! ù.ù). Mattia ama moltissimo Federica, forse più di quanto Nicola ami Lea (Eh, bè, direte, che scoperta! Nicola tradisce Lea con la prima che incontra); per Mattia questa è solo una fase di confusione, diciamo, in cui non capisce più niente e in cui crede solamente di non amarla più. Ma si sbaglia. Il problema è...se ne accorgerà in tempo? E Federica nel frattempo cosa farà? Cercherà di riconquistarlo o si dedicherà al suo primo amore, vale a dire Davide?
Ehhh...ancora molti capitoli vi separano dalla risposta a queste domande, o forse no, dato che non li ho ancora scritti...ahahahah...
Comunque sia, entrambi i protagonisti maschili di questa storia (Mattia e Nicola) hanno un modo strano di amare, difficile da capire e, per certi versi, da accettare. Ma si faranno riscattare, state tranquilli!! ù.ù
Nel prossimo capitolo non so bene di cosa parlerò...ho qualche idea a riguardo ma nulla di preciso...sarà dal punto di vista di Federica quindi ancora centrato sulla non-più-coppia Federica\Mattia con l'aggiunta di Davide.
Quindi abbiate pazienza e pubblicherò anche quello appena lo scriverò!!
Un bacio a tutti ed un ringraziamento speciale a colei che mi segue sempre, in ogni capitolo, supportandomi e dandomi l'ispirazione per continuare!! Grazie davvero wingedangel!! Non so cosa farei senza di te!! :)
A presto!
Con affetto.
=Sony=

 

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Capitolo 17
*** 17- La pioggia non durerà per sempre (Federica) ***


17- LA PIOGGIA NON DURERA' PER SEMPRE

 

Federica”

 

 

Un bacio. L'ultimo, il più delicato, il più tremante.

Le sue labbra toccano le mie e poi Mattia si allontana, apre gli occhi e mi guarda, cerca qualcosa nei miei.

Non trova niente.

Scusami”, mi dice e mi basta per capire tutto.

È finita, non è così?

 

-------------------

Lea mi guarda, gli occhi grandi fermi su di me, la bocca leggermente dischiusa in un moto di sorpresa.

E'...è...finita?”

Non ci crede o, meglio, non ci vuole credere perché ha sempre pensato che io e Mattia fossimo destinati a stare insieme per sempre.

Ed invece no, a quanto pare.

Annuisco per l'ennesima volta, tenendo lo sguardo basso ed affranto.

Mi sento a pezzi ed ho gli occhi gonfi, che mi bruciano; per quanto ho pianto?

Le lacrime le ho esaurite, non ho più niente da versare fuori, più niente da piangere.

Eppure, i miei occhi mi bruciano ancora, mi pungono forte le palpebre come se avessi ancora qualcosa da buttare fuori; ma invece niente, restano asciutti.

Lea si alza in piedi, facendosi forza con le mani che appoggia sul letto; ormai si è abituata a quella sua gamba nuova anche se vederla lì, infilata sul suo ginocchio, sembra ancora difficile da accettare.

Ma Lea non ci pensa, non in questo momento; forse è stanca di pensare ai suoi di problemi; è finalmente arrivato il momento di tornare ad essere se stessa e di preoccuparsi per i miei.

Ecco, forse è per questo che Mattia mi ha lasciato; forse l'ha fatto proprio per Lea, per farle ritrovare il suo ruolo di consolatrice perfetta.

Ma chi sto prendendo in giro? Perché devo continuare ad illudermi così, a fingere che ci sia una spiegazione razionale capace di mettermi in pace il cuore e di alleviare il bruciore dei miei occhi?

Mattia mi ha lasciato definitivamente e perfino Lea l'ha capito, spingendo il suo corpo malato ad alzarsi alla mia altezza per potermi abbracciare, circondandomi il collo con le sue braccia ed appoggiando la sua fronte sulla mia spalla.

Mi stringo a lei, affondo la mia faccia vicino al suo collo e chiudo forte gli occhi che ancora mi bruciano.

Le lacrime, però, le ho proprio finite.

 

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Ansima forte e si ferma.

Si sdraia al mio fianco, sul letto che ci accoglie entrambi tra le sue lenzuola di seta.

I nostri respiri si seguono e si rincorrono, andando allo stesso tempo.

Lui mi guarda e perfino nella penombra colgo il suo sguardo su di me.

Mi studia, osserva il mio corpo ed ammira la mia nudità, con la mia pelle pallida ed i miei seni piccoli.

Mi vergogno e mi copro con un braccio, alzando gli occhi verso il soffitto.

Lui mi si avvicina, torna su di me, si mette in mezzo tra me e il soffitto e poi si china sul mio corpo, spostandomi il braccio.

I suoi baci mi sfiorano dappertutto, lasciando dietro di sé brividi di piacere; mi bacia sotto i seni e poi sale, tocca anche loro con le sue labbra, non vuole che provi vergogna, quel gesto mi fa capire che ama anche la loro forma.

Io resto inerme sotto i suoi colpi e getto la testa indietro, affinché il mio collo sia invitante per lui.

I baci arrivano anche lì e mi fanno letteralmente impazzire.

Non mi trattengo e lo stringo a me con le mie mani strette sulla sua schiena calda; lo avvicino, il suo petto si scontra col mio e il suo volto affonda nel mio collo.

Proteggimi, nascondi il mio corpo dagli altri, celalo sotto il tuo.

Non ci sono parole nella nostra danza; la musica è troppo forte e ci fa solo scivolare su quel letto, nel silenzio dei nostri sospiri.

Ci abbracciamo, ci guardiamo, ci tratteniamo uno vicino all'altro, per diventare una cosa sola, un'anima unica.

E lui all'improvviso tituba, volge lo sguardo fuori dal letto, verso la sua giacca rimasta a terra; io prendo subito il suo viso con la mia mano e riporto il suo sguardo su di me.

Infine ci sdraiamo di nuovo uno accanto all'altro, nel letto matrimoniale dell'albergo.

Un Natale indimenticabile”, sussurro io piano, facendo perdere le mie parole nel vuoto della stanza buia.

Lui sospira, è stanco, è felice ma il suo sguardo cade ancora una volta verso la giacca che giace a terra; un attimo e torna su di me: “Già...è perfetto”.

Le sue labbra cadono sulle mie e le baciano, incastrandosi su di loro.

Lea quel giorno mi aveva chiamato “signora Stellari” facendomi arrossire davanti a Mattia; era poi partita verso casa sua, sorridendomi dal parabrezza della sua C3 grigio metallizzata.

Mattia mi aveva portato a sciare ma mi aveva costretto a chiudere il “discorso matrimonio” bloccandolo sul nascere.

In quel momento noi non lo potevamo sapere ma, come potevamo immaginare che in quegli istanti Lea subiva un incidente e che Simona perdeva la vita? Come potevamo sapere che Michele avrebbe perso la sua innamorata e che un ragazzo a noi sconosciuto sarebbe stato balzato fuori dall'auto, morendo sul colpo? Perché non abbiamo indovinato che quella volta sarebbe stata l'ultima per me e Mattia? Che non ci sarebbero più stati brividi, respiri che si inseguivano, baci prepotenti e sguardi innamorati?

Ci addormentiamo così, uno accanto all'altra, ignari di tutto, inconsapevoli della nostra prossima fine.

E il telefono squilla nel pieno della notte.

 

--------------------

Il cellulare vibra nella mia tasca mentre esco dalla stanza di Lea.

La durata del tremolio è breve quindi è un messaggio; posso leggerlo anche più tardi.

Ora, l'unica cosa che mi interessa è distendere le mie labbra in un sorriso credibile e di celare al meglio il rossore dei miei occhi, per salutare Davide che mi aspetta in fondo al corridoio.

Peccato che non ho la più pallida idea di come nascondere il gonfiore dei miei occhi!

Vabbè, poco importa, posso comunque farcela senza troppi intoppi, dato che almeno le mie labbra si sono decise a distendersi in un sorriso.

Davide mi sta di fronte ed abbassa lo sguardo su di me.

Tutti mi dicono che sono bassa, Mattia me lo ripeteva in continuazione e con Davide riesco a malapena ad arrivare alle sue spalle.

Come stai?”

La sua voce mi fa quasi rabbrividire; è profonda e nasconde una dolcezza incredibile.

Bene...”, gli mento, pregando di essere convincente.

Lui ci crede alle mie parole, perché mi risponde con un sorriso.

Ti va di andare a bere qualcosa nel bar giù di sotto?”

Annuisco alla sua richiesta, cercando di eliminare ogni pensiero nocivo dalla mia testa e di nascondere ancora quegli occhi che mi bruciano.

Niente da fare.

Lui prima di incamminarsi con me, estrae qualcosa dalla tasca della giacca e me lo porge.

Io lo guardo, prima sorpresa, poi sentendo il mio volto andare letteralmente a fuoco, imitando i miei occhi brucianti per le lacrime, mentre la mia mano tremante afferra il suo fazzoletto candido.

Prima asciugati le ultime lacrime”, mi dice lui con il suo sorriso.

Mi tocco le guance con le mani e le sento bagnate.

Credevo di aver svuotato tutto, di essermi liberata completamente di ogni liquido che potesse essere versato dalle mie palpebre ed, invece, ecco che loro erano lì, a bruciarmi gli occhi, aspettando solo il momento giusto per uscire allo scoperto.

Il rossore resta sul mio volto, perché Davide continua a sorridermi con una punta di ironia.

Mi asciugo le ultime lacrime ed insieme andiamo al bar dell'ospedale.

 

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Lea mi guarda, mi sorride divertita e poi nasconde le sue labbra dietro la tazza fumante.

L'hai proprio lasciato, eh?”

Lui non gli è mai piaciuto ma, da buona amica, cerca di nascondere la sua felicità affondandola nella cioccolata calda.

E' inutile che lo nascondi, Lea. So bene che Luca non ti è mai andato a genio!”

Eh, bé! Era così difficile da capire? Sai che io detesto i ragazzi appiccicosi, quelli che ti stanno sempre addosso...”pucci-pucci”, “cucciolino”, “dolcetto di miele”...bleah!!”

La mia amica sfoga tutto il suo disgusto sventolando un tovagliolino di carta.

Certo, lo so bene. A te piacciono come quel tipo, quello dell'ultimo anno. Com'è che si chiama? Nino...Nando...”
“Nicola!!"

Eh, si giusto, Nicola. Il classico tipo tenebroso e dannato...”

Lea arrossisce violentemente alle mie parole. Presa in pieno.

S-smettila, Fede!! A me non piace affatto quel tipo, va bene?? Io sarò libera per sempre! Niente ragazzi. Libera!”

Allarga le braccia per mostrarmi la sua idea di libertà: un paio di ali per volare da qualsiasi parte.

Rido divertita, mentre con la cannuccia, inizio a bere il mio té freddo al limone.

Ciao!”

Io e Lea alziamo lo sguardo nello stesso momento.

Un ragazzo moro è in piedi vicino al tavolino e tiene i suoi occhi verde smeraldo fissi su di me; poi, il suo sguardo cede e cade sul mio té freddo.

E tu chi saresti?”

Lea è la prima ad interrompere lo strano silenzio ed ora lo guarda interrogativa.

Il ragazzo si agita, fissa Lea e le porge una mano tremante.

Oh, si, scusa. Io sono Mattia, piacere.”

Deve avere 18 anni. Non di più.

Lea non accetta la sua mano e continua a guardarlo circospetta.

Il moro, nel frattempo, va sempre più in panico e per recuperare un minimo di tranquillità, torna a concentrarsi su di me.

Si, scusate...naturalmente voi non vi ricordate di me”.

Lea annuisce alle sue parole e prende un altro sorso dalla sua tazza di cioccolata.

Ci siamo incontrati al parco, quello che sta fuori città. Pioveva e...e...”

Farfuglia imbarazzato, si mette una mano tra i capelli scuri e poi distoglie di nuovo lo sguardo da me, mordendosi il labbro inferiore con un moto di nervosismo.

All'improvviso, ricordo di averlo già visto: “Certo, ho capito chi sei! Il tizio che se ne stava sdraiato sotto la pioggia, giusto?”

Sento lo sguardo confuso di Lea che si rivolge a me in cerca di spiegazioni; la ignoro, restando sul ragazzo dagli occhi verdi; tanto anche lei sa di avere una pessima memoria e che è inutile che sprechi tempo a ricordarle quell'episodio.

Mattia mi guarda pure lui, forse sorpreso che mi ricordo di quell'episodio e poi mi rivolge un sorriso tremante.

Piacere, Federica.”

Tendo la mano verso di lui che, dopo un attimo di titubanza, accetta nervosamente.

Quello è uno di quei giorni indimenticabili, che ti restano dentro, incastrati in fondo al cuore e al cervello ed è impossibile levarli.

Avevo 16 anni, avevo rotto con Luca e, ora, avevo perfino avuto la fortuna di rincontrare il ragazzo triste che avevo riparato con il mio ombrello, mentre, sdraiato sul prato del parco, si lasciava bagnare dalla pioggia.

 

------------------

“Ha iniziato a piovere”.

Davide guarda fuori dalla finestra del piccolo bar dell'ospedale e mi distoglie dai miei ricordi.

Ma è solo un attimo; subito, i suoi occhi blu mare tornano ad immergersi nei miei, facendomi battere forte il cuore.

Sei triste?”, mi chiede, interrogandosi forse per i miei occhi rossi e pungenti.

Distolgo lo sguardo, amareggiata: “Scusami, sono problemi personali...”.

Lui annuisce comprensivo e si lascia cadere contro lo schienale della sedia.

Tranquilla. L'importante è che tutto si risolva al più presto.”

Abbasso le sopracciglia, per ridurre al minimo le vie d'uscita alle mie lacrime e ai cocci del mio cuore spezzato.

Purtroppo, temo non sarà così semplice”, rispondo io, con titubanza.

Non voglio parlare con lui di Mattia, ma allora perché non me ne sto zitta a soffocare il mio dolore in silenzio?

Certo, non è mai semplice. Ma la pioggia non durerà per sempre.”

Alzo di nuovo lo sguardo e Davide è tornato a fissare le gocce d'acqua che si scontrano contro il vetro.

E da quando hai tutta questa saggezza?”, gli sorrido io.

Ehi, è da tanto che non ci vediamo più, sai? In questi anni sono molto maturato!”, mi sorride contento, appoggiando le braccia sul tavolo per sporgersi verso di me.

Arrossisco, di nuovo e cerco di pensare ad altro, guardando l'orologio.

Le 19.30.

Scusami, Davide, ma è tardissimo. É meglio che vada.”

Mi alzo senza aspettare una sua reazione e, infilandomi la giacca, lo saluto e corro fuori dal bar.

Lui fa in tempo solo ad alzare il braccio, ricambiando, con un cenno ed un sorriso, il mio frettoloso “a domani”.

Corro fuori dall'ospedale e mi appoggio al muro dell'edificio, riparato da una tettoia.

Ma cosa sto facendo? Sono forse impazzita? Mattia mi ha appena lasciato ed io penso a Davide...in quel modo! In quel modo che mi fa arrossire, che sembra aggiustare i pezzi del mio cuore rotto, che sembra asciugare i miei occhi gonfi.

Mi guardo tra le mani e il suo fazzoletto candido è ancora lì, ho dimenticato di ridarglielo e me lo sono tenuto senza volerlo, senza desiderarlo.

O non è così?

I ticchettii della pioggia risuonano intorno a me, nascondendo i miei respiri affannati ed i singhiozzi che, improvvisamente, iniziano a scuotere il mio cuore confuso.

 

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In quel parco non ci va mai nessuno. È troppo scomodo per chi vive qui.

Molti preferiscono quello che c'è al centro, nel cuore della città, l'unica e vana macchia di verde che ancora sopravvive al progresso.

Lea ed io passeggiavamo senza pensieri, nascoste sotto i nostri ombrelli, chiacchierando e con i pensieri che andavano ad un ragazzo che mi chiamava “cucciola”, “tesoruccio”, o altri nomi terribili che Lea imitava con disgusto ma che sprecherei solo tempo a riportarteli tutti.

E tu eri lì, sdraiato in quel prato come uno che...ecco, esattamente non so a chi potevi somigliare! Nemmeno il più disperato dei barboni si sdraia in un prato ad accogliere la pioggia con il suo corpo.

Ho ignorato Lea e sono venuta verso di te senza pensarci.

Non ce l'hai proprio un ombrello?”

Mi sono chinata su di te, riparandoti con il mio.

E tu mi hai guardato con quegli occhi; quei due verdi smeraldi che non mi sono sembrati subito così speciali ma che, per qualche inspiegabile motivo, mi sono rimasti dentro.

E il modo in cui mi guardavano! Sembravano entrarmi dentro, penetrarmi fino alle viscere e mi facevano arrossire terribilmente.

Tutto è iniziato da lì, da quel momento, da quel parco dove non ci va mai nessuno.

Non so per quanto tempo sono rimasta lì, inginocchiata accanto a te sull'erba bagnata; ma, all'improvviso, i ticchettii delle gocce d'acqua hanno smesso di tormentare il mio ombrellino e i tuoi capelli fradici.
E un tuo sorriso è apparso timido ed invisibile.

La pioggia non durerà per sempre.

 

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Prendo il telefono e schiaccio il pulsante per aprire la piccola busta che si illumina sullo schermo.

Un messaggio, da Nicola: “Me ne vado all'estero. Non so quando tornerò.”

E nel momento in cui lo leggo so già che Lea ne morirà.

 

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E così, eccomi qui, con il capitolo di Federica.
E' un capitolo un pò particolare, con i pensieri ed i ricordi di Fede (quelli sottolineati) che vanno a ritroso nel tempo, dal momento della rottura con Mattia, alla loro ultima volta insieme, al loro "secondo incontro" ed, infine, al primo, già descritto nel capitolo precedente.
Questo perché la mente di Federica è come se vuole creare un contrasto con quello che le sta accadendo e, mentre nella realtà la sua storia con Mattia è finita, lei, nella sua mente, torna indietro al loro primo incontro.
Inoltre, questo ultimo ricordo coincide con il pezzo di Davide, quello in cui lei si rende conto che nonostante stia soffrendo per Mattia pensa al fratello della sua migliore amica in un modo particolare...ma sarà mai possibile?! Lei che supera così facilmente la fine della sua storia che si porta dietro da anni?
Eeee...ed invece sembrerebbe di si, comunque la certezza l'avrete nei prossimi capitoli.
Poi...qui Lea assume solo un ruolo marginale, che nella realtà abbraccia Fede mentre nei suoi ricordi fa solo da 'spettatrice', diciamo, tra lei e Mattia.
Ma il messaggio che Fede riceve da Nicola riporta la scena su di lei e nel prossimo capitolo vedrete se Fede le dirà del messaggio e, nel caso, come reagirà alla notizia che il suo Nicola potrebbe non tornare più.
Ok, il capitolo è abbastanza lungo ma se continuo così le note lo saranno ancora di più!! :D
Penso di aver detto tutto o, almeno, le cose più importanti.
A presto!!! :)
Un bacio.
=Sony=


P.S.: quando, nel secondo pezzo sottolineato, Mattia continua a guardare la sua giacca è perché c'è dentro l'anello che vuole dare a Federica; ma lei, questo, non lo sa. :)

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Capitolo 18
*** 18- Sogni assurdi interrotti da un bacio (Lea) ***


18- SOGNI ASSURDI INTERROTTI DA UN BACIO

 

Lea”

 

 

La mia C3 viaggia tranquilla, come sempre.

Le mie mani sono strette sul volante e la guidano sulle strade innevate.

Guardo nello specchietto retrovisore e Simona è lì, che si fa stringere da Michele. Ha paura la mia amica, ha paura di cadere.

La musica inizia a riempire l'aria; non distinguo le parole, non riconosco la canzone ma riesce a calmarmi, a tranquillizzarmi.

Mi volto verso Fabio e lui mi sorride.

Dove andiamo, Lea?”, Simona si sporge verso di me, appoggiandosi al sedile del dj e mi chiede della nostra destinazione.

Fabio mi precede e risponde al mio posto: “Ma che domande fai? Stiamo andando a prendere Nicola, no?”
Nicola?

Simona torna da Michele e si appoggia alla sua spalla.

La neve cade copiosa, ma la mia C3 non se ne preoccupa e continua a viaggiare tranquilla.

La radio canta ma a Fabio la canzone non piace; cambia stazione e le sue mani tremano.

 

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Apro gli occhi ed uno sfondo bianco mi sovrasta.

Accanto a me, Federica mi dà le spalle e continua a dormire serenamente.

È strano ritrovarmi avvolta dalle sue lenzuola, appoggiare la testa su uno dei suoi cuscini, restare sdraiata nel suo letto a due piazze.

Mi ricorda i tempi del liceo, quando mi fermavo da lei per la notte e, insieme, ci infilavamo sotto le coperte con la compagnia di due torce che illuminavano le nostre risate ed i nostri pettegolezzi.

Bei tempi. L'ultima volta che l'abbiamo fatto era la Vigilia di Natale.

Mi faccio forza con le braccia e mi metto seduta.

Butto fuori le gambe dal letto, scoprendole da sotto le lenzuola bianche.

Una manca. Non mi ci abituerò mai.

Mi metto a cercare la protesi che è diventata la sua sostituta. Lei giace a terra, vicino al comodino; durante la notte deve aver perso l'equilibrio e quindi è caduta.

È così lontana, così irraggiungibile.

Allungo il braccio ma riesco solo a diminuire di un poco le distanze tra me e lei.

Ho troppa fiducia in me stessa, nella gamba che mi è rimasta, nella mano che è ancora appoggiata sul letto perché mi sporgo troppo e perdo l'equilibrio, cadendo come la mia protesi questa notte.

E nulla mi sostiene dalla parte destra cosicché la mia fronte si scontra con il comodino e poi tutto il mio corpo scivola giù, cade a terra, sdraiandosi, a faccia in su, accanto alla protesi di alluminio.

Appoggio una mano sulla fronte, chiudo gli occhi, dischiudo la bocca in un lamento di dolore soffocato.

Lea!”, il rumore sveglia Federica che mi cerca.

Quando apro gli occhi, la mia amica è inginocchiata sul bordo del letto e si sporge verso di me.

Lei non lo perde l'equilibrio. Lei non cade.

Scende dal letto, appoggiando i suoi due piedi per terra e mi aiuta a rialzarmi.

Ritorno sulle sue lenzuola e mi ci sdraio a faccia in giù, con le gamb...la gamba che penzola dal bordo. Non mi ci abituerò mai.

Cerco di soffocare il dolore alla fronte schiacciandolo contro le coperte ma l'unica che non respira più sono io.

Mi allontano di qualche centimetro per riprendere fiato ed una macchia rossa sporca le lenzuola.

Mi giro, guardo ancora verso il soffitto, mentre il liquido caldo continua a scivolare dalla mia fronte.

Oddio.”

Fede si spaventa, il sangue l'ha sempre impressionata.

Scompare dalla mia visuale e prende un fazzoletto, che mi appoggia sulla testa, per tamponare la ferita.

La guardo ed i suoi occhi scuri sono tristi, preoccupati.

Il loro nero diventa liquido, sembra sul punto di sciogliersi; ma si trattiene.

Sto bene...”, cerco di tranquillizzarla, ma non devo essere molto convincente: gli occhi della mia migliore amica non si trattengono più ed iniziano a gocciolare, rigando le sue guance.

E, per creare contrasto, la sua bocca sorride, tendendo leggermente le labbra per contrastare le lacrime; ma è un sorriso strano, leggero, malinconico ed è probabile che sia più triste degli occhi di Federica.

Sei la solita”, mi dice lei ed io non la capisco ma sorrido lo stesso, per ricambiare.

Fingo di comprendere le sue parole quando, invece, proprio non trovo loro un significato. “Sei la solita”, mi dice...Ma ha visto bene il mio corpo? L'ha guardato? Ha dimenticato, forse, di ciò che ho perso?
Perché a me non sembra proprio di essere la solita.

 

---------------------

“Ma perché dobbiamo andare a prendere Nicola?”

Simona è la solita curiosa e non riesce a frenarsi nel pormi le sue domande, appoggiandosi sempre al sedile di Fabio.

Perché a Lea manca.”

E' Michele, questa volta, che risponde al posto mio ed ora mi guarda con un sorriso complice attraverso il vetro dello specchietto.

Simona lo guarda, prima seria, poi sorridendo furbescamente si appoggia di nuovo al sedile di Fabio: “Sbagli, mia cara Lea: in amore vince chi fugge!”, dice ad occhi chiusi, agitando l'indice davanti a sé.

Resto zitta, muta ma in fondo so che ha ragione.

Tuttavia, sono stanca di fuggire; per una volta, una sola, correrò il rischio di perdere.

 

--------------------

Federica apre la porta ad un Davide che è veramente cresciuto in questi ultimi anni; sembra proprio un uomo, ormai, anche se gli occhi da bambino li ha sempre luminosi sul suo volto.

Mio fratello si avvicina, sedendosi accanto al divano nel quale sono sdraiata.
“Cos'hai fatto alla fronte?”

Mi tocco con una mano lo strano spessore formato dal cerotto.

Niente”, sbuffo io, mettendo il broncio e guardando da un'altra parte.

Lui sorride; ormai è abituato al mio atteggiamento infantile.

Federica si appoggia allo schienale del divano e porge un bicchiere d'acqua a Davide, che la ringrazia.

Si guardano e si sorridono. Nulla di strano; se non fosse per il volto di Federica, che sembra liberarsi da ogni stress e distendersi in un velo di felicità.

Non dovresti essere a lavorare?”

Torno a concentrarmi su Davide, che sembra non aver notato affatto il cambiamento della mia amica ed ora beve a sorsi il suo bicchiere d'acqua.

Lui non mi risponde ma mi si avvicina e, guardandomi serio, mi colpisce sulla fronte con l'indice.

Ahia!”, mi lamento portandomi le mani sul punto colpito, fortunatamente scelto abbastanza lontano dal taglio.

E' domenica, sciocca”, mi dice lui, guardandomi amareggiato.

Accidenti, sto perdendo la cognizione del tempo qui dentro.

Però, non posso darla vinta a colui che mi ha tormentato per tutta la mia infanzia, che non ha mai esitato nel rimproverarmi con quei suoi fastidiosi buffetti sulla fronte, che mi ha sempre considerato sempre e solo una bambina.

Non sono sciocca!!”, ribatto sicura di me.

Si, invece!”, risponde lui.

No!”

Si!”
“No!!”

Federica ci interrompe nel cercare di nascondere una risata divertita: “Siete proprio buffi.”

La guardo scocciata, pronta a ribattere, in quanto io non sono affatto buffa, massimo è Davide ad esserlo!

Ma mi trattengo, di nuovo: gli occhi della mia amica sono concentrati su Davide e sembrano studiarlo in ogni particolare, dalla punta dei capelli alle labbra rosee.

Mi lascio andare in un sospiro amareggiato: per quanto ancora dovrò continuare a distrarre mio fratello per liberarlo degli occhi della mia migliore amica?

Ormai mi resta solo una carta da giocare.

 

--------------------


“Guardate che Nicola è partito.”

Finalmente, riesco anch'io ad aprire bocca in questo assurdo viaggio sulla mia C3.

Lo sguardo dei tre si sposta su di me ma è Simona la prima ad esporre i suoi dubbi con delle parole: “E dove è andato?”
“Non lo so”, le rispondo io, “è stata Fede a dirmelo. E' andato all'estero.”
“Oh, no! Quindi ci tocca viaggiare così tanto?! Ma io sono stanca e poi tu, Lea, lo sai, a me non piace andare in macchina!”

Simona si lascia andare in una confessione inaspettata. Guardo allarmata nello specchietto, ma Michele è sempre lì, a guardarla con occhi sognanti, come se non avesse sentito bene le sue parole. Meglio così.

Ma qualcos'altro attira la mia attenzione, qualcosa di strano e che non capisco.

Vorrei voltarmi ma sono costretta a tenere lo sguardo sulla strada, così mi limito ad osservare nel vetro riflettente e ad esporre i miei dubbi con la mia voce: “Michele, quand'è che ti sei rotto il braccio?”.

 

--------------------

L'officina di papà è nel centro della città, vicino ad un piccolo parco verde, quasi per creare un contrasto con la natura.

Fede parcheggia la macchina vicino all'entrata e scende, imitata da Davide e da me, che ancora ho bisogno che mio fratello mi sostenga.

Appoggio le stampelle a terra e mi tengo in piedi con quelle: la gamba nuova non è ancora abbastanza forte per reggermi da sola.

Mio padre ci vede e ci viene incontro con un abbraccio; quello che dà a me è più insicuro: ha paura di farmi cadere, lui, per la sua troppa forza.

Si pulisce le mani su uno straccio che è ancora più sporco e che lascia solo altro olio nero sulla sua pelle ruvida.

Sono belle quelle mani, sono la cosa più bella che ha; mi ricordo ancora quando, da piccola, mi stringevano protettive e mi alzavano forti come nient'altro; ora, invece, sono solo ruvide e stanche come tutto il corpo di mio padre.

Lui si scopre, apre il suo guscio e mi dice che gli manco; ma la sorpresa non fa in tempo a colpirmi che lo strato di ghiaccio torna a rivestirlo e lo obbliga ad aggiungere: “c'è tanto lavoro da quando non sei più qui ad aiutarmi”.

Spera che ci creda a quel suo disperato salvataggio, quindi sorrido.

Tuttavia non sono venuta qui per lui.

Davide e Federica mi guardano, come in attesa che dica qualcosa.

Vuoi andare, allora?”

Davide è il solito coraggioso e non vuole perdere tempo.

Annuisco.

Allora vengo con te”, continua lui, per poi guardare Federica, aspettando, forse, un suo consenso.

Lei non dice niente, resta immobile ad immergersi nei suoi occhi; non è sicura di riuscire a restare lì da sola, ad aspettarci; è molto apprensiva.

Però io mi stanco di stare in piedi immobile e il ginocchio tagliato inizia a farmi male con quella protesi infilata su di lui.

Senza aspettare oltre, alzo le stampelle ed inizio a zoppicare malamente.

Davide mi raggiunge e mi sostiene, camminando al mio fianco.

Ce la posso fare, la strada non è lunga: la casa di Nicola è praticamente attaccata all'officina di mio padre.

 

-------------------

Il campanello suona a vuoto.

Se ne dev'essere proprio andato”, commenta Davide, forse solo per far smettere il mio dito di appoggiarsi sul pulsante situato sotto la scritta: “Capretti Nicola”.

No, non è possibile, Nicola non può avermi fatto questo, non può essersene andato dopo tutto quello che abbiamo passato.

Mio fratello non lo conosce bene, ecco perché dice queste cose. E Federica...bé, Federica si è sbagliata, ha letto male il suo messaggio, l'ha decifrato senza attenzione. Capita, a volte.

Il ginocchio mi fa troppo male, inizio a cedere.

Raggiungo il muretto accanto al cancello in tempo e mi ci siedo per riprendere fiato e per avere un po' di sollievo.

Davide mi imita, sedendosi accanto a me.

Cosa sta succedendo tra te e Federica?”.

Lui mi guarda sorpreso, gli occhi blu fissi nei miei.

Dai, non fare il finto tonto! Non dirmi che non hai mai notato gli sguardi che ti rivolge!”.

Le sue sopracciglia si piegano, corrucciando la sua fronte.

Non è possibile, ma quanto sono stupidi i fratelli maggiori?!
“Davvero non ti sei accorto di niente??”, gli domando incredula e lui distoglie lo sguardo, ancora confuso e colpevole senza capirne veramente il motivo.

Chiudo la mano a pugno e gliela picchio sulla testa, provocando un finto lamento da parte sua.

Sei proprio uno sciocco!”, lo accuso io, in parte anche per vendicarmi di quando aveva chiamato me in quel modo.

Lui si strofina con una mano il punto colpito, spettinandosi i capelli biondi e resta in silenzio, senza rispondermi, ancora incredulo per le mie parole.

Fede...prova qualcosa per me?”, mi domanda con una voce dubbiosa ed insicura.

Io sospiro, amareggiata sempre più, per poi abbassare lo sguardo sulla mie gambe che penzolano dal muretto: “Temo proprio di si”, rispondo tristemente.

Ho sempre pensato che Mattia fosse il solo nei pensieri della mia amica ma la rottura con lui ha provocato qualcosa in lei, qualcosa che l'ha spinta a cercare l'affetto di qualcun altro; e, a quanto pare, il suo cuore ha scelto mio fratello come riparatore dei suoi pezzi rotti.

Davide non dice più niente, resta con lo sguardo basso e con la mano a massaggiarsi la testa.

Infine alza gli occhi al cielo e sospira.

 

------------------


“Lea, ma che domande fai?”.

Simona si intromette, mettendo la sua faccia tra lo specchietto e Michele.

Non ricordi? Michele si è fatto male nell'incidente!”
“Incidente?”

Ma si, l'incidente, quello in cui io e Fabio siamo morti, no?”

Non capisco, cosa sta succedendo? Cosa sta dicendo Simona? Perché Fabio non dice niente, perché non cambia più la stazione della radio?
Mi volto verso di lui ma non c'è più; al suo posto, qualcun altro, qualcuno che non avrei mai immaginato.

Nicola, cosa ci fai qui?”.

Lui mi guarda e sorride, i suoi occhi neri come la pece che si riflettono nei miei.

Sono qui per te”, mi risponde lui.

Torno a guardare nello specchietto retrovisore e anche Simona e Michele sono scomparsi; al loro posto, Federica si appoggia a Mattia, spargendo i suoi ricci scuri sulla sua spalla.

Cosa sta succedendo?!

Nicola continua a guardarmi, nota la mia confusione e cerca di darmi una spiegazione: ”Non ricordi? Siete venuti a prendermi”.

Io non capisco, lo guardo con un'aria sempre più confusa: “E dove sono Simona, Michele e Fabio?”

Lui non mi risponde, mi guarda e sta zitto, con quel sorriso che gli colora il viso.

Devi stare attenta alla strada”.

Mi volto e due fari illuminano il paesaggio.

Si ingrandiscono, ci stanno per avvolgere.

Il cuore mi batte forte ed il fiato si fa corto; abbasso il piede destro sul freno ma non sento niente, la mia gamba non schiaccia niente.

Guardo giù e il ginocchio destro si interrompe, dopo di lui non c'è più nulla.

Nicola, non posso fermarmi!! Nicola!”

Moriremo. Moriremo tutti.

Ed io, ancora una volta, non sono in grado di fare niente.

Una mano si appoggia sul mio ginocchio malato; è calda, forte, morbida...è la mano di Nicola.

Alzo lo sguardo per parlare, per gridare ai miei amici di scendere, di salvarsi: Federica e Mattia ancora non si sono accorti di nulla e continuano ad abbracciarsi l'un l'altro.

Ma le labbra di Nicola zittiscono ogni mio suono: si appoggiano sulle mie e le fanno stare zitte con un bacio.

I fari ci avvolgono completamente, ci accecano.

Ma noi chiudiamo gli occhi, ci lasciamo trascinare in quel bacio e niente ci può più ferire.

Quando li riapro sono nel letto di Federica ed un soffitto bianco mi fa da sfondo; la protesi di alluminio giace a terra, probabilmente durante la notte è caduta e, fra poco, farà cadere anche me, facendo scontrare la mia fronte contro il comodino.

 

-------------------

“Ho fatto un sogno strano stanotte.”

Imito lo sguardo di Davide e mi perdo nel cielo blu.

Era bello?”, mi chiede lui ed io penso alla mia C3, a Simona, Michele, Fabio, alla neve che cadeva copiosa, a Nicola, Federica, Mattia, ai due fari e a quel bacio che ha zittito tutto.

Non lo so”, concludo appoggiando la schiena contro la ringhiera.

Davide capisce, appoggia una mano sulla mia e poi la stringe; ha le mani di papà, lui, forti e sicure come quando ero bambina.

Ti va di raccontarmelo?”

 

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Buonasera!!!!!!!!! :)
Eh, si! Capitolo un pò lungo, anche se mi sembra meno pesante rispetto a quello precedente di Fede.
Mmm...allora, più che essere concetrato su Lea\Nicola come avevo precedentemente detto, questo è un capitolo dedicato anche a Davide\Federica...più che altro fa vedere la stupidità di Davide...ahhh...i fratelli maggiori...davvero un caso disperato! ù.ù
Comunque, ebbene si, signore e signori, Davide non si era accorto di nulla dei sentimenti di Federica e sentirselo dire da Lea lo sconvolge un poco...ma quindi che significa?? Cioè, lui non dice niente, non dice se ricambia, se non ricambia...sta solo zitto lasciando tutto nel mistero!!! Mah, questo Davide...ù.ù
Nel prossimo capitolo la loro storia non potrà continuare, in quanto sarà Nicola a parlare e a continuare le sue avventure...sarà ancora con la sua Chiara dalla pelle scura? L'avrà abbandonata? Sarà in Tunisia a vagabondare? Oppure deciderà subito di tornare da Lea??
Bah...sempre un mucchio di domande.
Vi lascio, amati lettori.
A presto!
Un bacio.
=Sony=

 

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Capitolo 19
*** 19- La francese è più chiara dell'italiana (Nicola) ***


19- LA FRANCESE E' PIU' CHIARA DELL'ITALIANA

 

Nicola”

 

 

Sognare. Chiudere gli occhi e liberare la mente.
Il telefono vibra e mi costringe a riaprirli.

Un messaggio. Da Federica.

Schiaccio il pulsante per aprirlo e le sue parole mi fanno sorridere con dolcezza; niente poteva essere più giusto e perfetto per me in questo momento, mentre mi trovo a ballare sull'orlo di un precipizio: da una parte Lea e le urla disperate che cercano il suo perdono; dall'altra il vuoto, l'ignoto, il partire e il non tornare, il viaggiare in continuazione, tenendo la bocca ben chiusa e senza più cercare il perdono di nessuno.

La migliore amica della mia ex ragazza mi fa proprio sorridere e per un attimo smetto di danzare sull'orlo del nulla.

Ti auguro di raggiungere i tuoi sogni”.

Solo che ancora non so se sono caduto nel vuoto o se sto ancora aggrappato in superficie, urlando il mio amore.

 

-------------------


Hammamet si affaccia sul mare, come Chiara, in questo momento, si appoggia al balcone della stanza d'albergo per guardare la spiaggia.

Andiamo giù?”

Il suo tono è infantile e in quanto tale sembra non voler ammettere obiezioni.

Mi volto dall'altra parte del letto sfatto, dandole le spalle.

Lo sto facendo per me; la mia pelle è bianca, quasi latte e il sole di Hammamet non è tanto clemente con quelli come me; di certo, non sono come Chiara dalla pelle scura: a lei, il sole sorride e basta.

Lei sbuffa e si stanca di stare con uno dalla pelle sensibile come la mia: “Senti, io vado. Tu fai quello che ti pare”.

Quello che mi pare, dici?

 

---------------------

La città è riempita da urla incomprensibili di gente del posto, mischiate alle risa dei turisti e ai flash delle macchine fotografiche.

Un cammello che fuma, però, ancora non l'ho visto; sapevo che non mi sarei dovuto fidare di Sergio.

Il caldo è quasi soffocante, ti costringe a cercare un'ombra in cui ripararti, anche se la differenza di temperatura non è molta.

Il borsone da viaggio pesa e la cinghia mi fa male alla spalla; ma continuo a sopportare il dolore, cercando di ignorarlo.

Non amo la monotonia; ho bisogno di muovermi, di non restare fermo, di continuare ad agire, a viaggiare o, forse, a fuggire?

Mi fermo e mi volto indietro, pensando stupidamente di poterla vedere da qui mentre se ne sta sdraiata sulla spiaggia col suo telo azzurro e la sua pelle scura.

Lei non è diversa dalle altre, lei non è riuscita ad arrivarmi in fondo, a tenermi lì con lei; l'unica cosa che ha ottenuto è che le voltassi le spalle, ignorando le sue richieste.

Le altre non hanno avuto neanche quello; solo dei respiri contenuti per poter fuggire in silenzio e il fruscio dei miei vestiti che tornavano a coprire il mio corpo.

Ma è giusto quello che sto facendo? Abbandonare così Chiara dalla pelle scura?

Forse potrei inviarle un messaggio, spiegarle tutto, scriverle: “Ehi, è finita. È stato bello ma ora ognuno per la sua strada, ok?”.

Niente, non ho il suo numero.

Rileggo il messaggio di Federica: “Ti auguro di raggiungere i tuoi sogni”.

È buffo, ancora mi fa battere forte il cuore.

Infine, continuo il mio cammino con il borsone che mi fa male alla spalla e con qualcos'altro che mi brucia il cuore.

Sono stufo della Tunisia.

 

---------------------

Mi chiedo come stia Lea, come stia procedendo la sua vita con la gamba nuova, se sta pensando a me.

No, dovrei smetterla, ormai l'ho superata: Lea è un capitolo chiuso.

Eppure ancora non riesco a togliermela dalla testa: lei dagli occhi azzurri, lei che ride per ogni cosa, lei che piange per amore, che dice di avermi dimenticato ma sta affacciata alla finestra ad aspettare che io passi sotto ad urlare il suo nome.

Lea dai capelli biondi, che vuole restare bambina, che ha sofferto troppo in questa vita ma continua ad andare avanti, con un sorriso bagnato dalle lacrime, come quella volta.

Ci sono andato a letto, Lea.”

E lei si fa cupa ma non reagisce, lo sapeva già ma non voleva dirlo, voleva che restasse solo un pensiero, un suo timore. Ed invece sono stato io a trasformarlo in parole.

Alza lo sguardo coraggiosa, sa che non dev'essere lei quella che si deve sentire in colpa ma, invece, non ce la fa, non riesce più a reggere il mio, non mi conosce, chi sono diventato?

E così ride, nervosamente, un sorriso forzato, duro, secco.

Ride per nascondere le lacrime di dolore che, all'improvviso, iniziano a scivolarle sul volto, lacerando il suo cuore ferito.

E fa male tutto questo e non lo capisco: perché lei è così diversa dalle altre? Perché Chiara dalla pelle scura non mi ha fatto lo stesso effetto? Perché ancora la cerco, chiamandola da sotto casa sua, disperato, colpevole, in cerca solo di un impossibile perdono?

 

-----------------------

Le sedie dall'aeroporto sono scomode ma mi danno un po' di sollievo, liberando la mia spalla dalla cinghia della borsa.

Lo sguardo è puntato verso l'alto, dove un tabellone luminoso indica i vari voli; quello per l'Italia parte tra 4 ore.

Spero che mi bastino per prendere una decisione sicura e definitiva.

Ripenso al messaggio di Federica e cerco, per la prima volta, di analizzarlo.

Raggiungere i propri sogni...ma non è quello che facciamo tutti?

Eppure è così strano, non capisco, credevo di inseguirli con l'aereo ed invece ancora non li ho trovati; anzi, se possibile, mi sembra solo di essermi allontanato da loro.

Ma quali sono i miei sogni?

Mi infilo le cuffie dell'ipod e faccio partire la musica, per riempire il silenzio dell'aeroporto, affollato di gente.

Lucio Battisti suona la canzone del sole.

E il sole, qui ad Hammamet, non manca di certo.

Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi le tue calzette rosse; e l'innocenza sulle gote tue, due arance ancor più rosse.”

E Lea mi manca, come al solito.

 

-----------------------

Mi alzo e la cinghia della borsa ritorna a torturarmi la spalla (“E le tue corse, l'eco dei tuoi no, oh no! Mi stai facendo paura”).

Cammino a passo deciso e sicuro: ormai so quello che devo fare; i miei sogni, certo, ancora non mi sono chiari ma il mio cuore sa come agire e da chi deve tornare (“Dove sei stata, cos'hai fatto mai?”).

Ma, il destino non è d'accordo con lui.

Il borsone picchia contro qualcosa o qualcuno e lo fa cadere a terra.

Una ragazza.

Odio queste coincidenze, queste fatalità ridicole che mi trascinano con loro e mi spingono a porgere la mano alla ragazza per aiutarla ad alzarsi.

Maledetto borsone; maledetto destino.

Lei mi guarda e, a mia sorpresa, rifiuta la mia offerta, alzandosi da sola.

Mais regarde où tu vas!!”.

La osservo muto, senza sapere che rispondere; il francese a malapena lo capisco, figurarsi a parlarlo; ma la ragazza non si arrende ed aspetta le mie scuse, tenendo le sue iridi scure nelle mie ( “E d'improvviso quel silenzio fra noi e quel tuo sguardo strano”).

Scusa”.

E lei non lo capisce l'italiano, lo vedo dalla sua faccia e dalle sue sopracciglia nere che si curvano in modo buffo.

Sorry”, le traduco imbarazzato.

E lei si calma, rilassa i muscoli e mi guarda, come in attesa di qualcos'altro.

What's your name?”

Lei sorride, era quello che stava aspettando: “Claire”.

Questa volta, il destino si è davvero superato: una Chiara francese, è assurdo.

E questa non ha la pelle scura, lei ce l'ha bianca come la mia, colore latte, chiara per davvero.

Nicola”, mi presento porgendole la mano, che lei accetta senza pensarci.

Alzo lo sguardo verso il tabellone luminoso e la scritta “Rome-Italy” è ancora lì che mi aspetta; ma sotto di lei ne compare un'altra, terribile, che mi fa tremare e titubare: “Paris-France”.

Ritorno su Claire dalla pelle di latte e ricambio il suo sorriso, ma ormai ho preso la mia decisione e non ci penso più.

I miei sogni aspetteranno.

 

---------------------

 

Io non conosco quel sorriso sicuro che hai; non so chi sei, non so più chi sei, mi fai paura oramai, purtroppo.”
Oddio, Lea, perdonami, sono davvero un imbecille.

 

---------------------
 

Giudico questo mio capitolo corto, frettoloso e, in parte, deludente per quello che mi aspettavo. Ma non è male lo stesso, lo immaginavo peggio una volta finito...:D
Nicola è il solito cretino, aveva deciso di tornare a casa da Lea ma gli è bastato il solito "incontro-scontro del destino" per fargli cambiare idea e trattenerlo ancora all'estero.
Ora è il turno della Francia! Scusate se non mi sono trattenuta molto sulla Tunisia ma non cis ono mai stata quindi per me era molto difficile inventarmi qualcosa di più preciso.
Ah, non è importante da sapere ma la parte in francese: "Mais regarde où tu vas!" significa "ma guarda dove vai!"...non è niente di che e non è così necessario avere la traduzione ma vabbè...
Eh, Nicola, Nicola...ormai sei un caso disperato! Io non so davvero più che fare con te! ù.ù
Anche se vi informo che questa Claire non è come tutte le altre...:) lei sarà davvero molto utile per l'immaturo Nicola. :)
Spoiler sul prossimo capitolo? Purtroppo temo non vi piacerà. Mattia e una ragazza che non vi dico chi faranno qualcosa...che non vi piacerà, insomma!! Sono sempre stata molto in dubbio su questa cosa e inizialmente l'avevo esclusa senza pensarci troppo (Mattia non è come Nicola, lui è già maturo ecc ecc...) però alla fine mi è tornata quest'idea e, a quanto pare, sono proprio decisa ad usarla.
Comunque vedrete quando lo scriverò e pubblicherò. :)
Penso di aver concluso.
Vi saluto, miei adorati lettori.
Vi voglio bene! <3
E Wingedangel ti adoro, come sempre!!!! :) :) :*
A presto col capitolo tragico di Mattia! :D
=Sony=

 

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Capitolo 20
*** 20- Dondolarsi sul bordo della vita fa commettere pazzie (Mattia) ***


20- DONDOLARSI SUL BORDO DELLA VITA FA COMMETTERE PAZZIE

 

Mattia”

 

 

Ti ha dimenticato”.

Non sarebbe bello se fosse così? Avere un peso in meno sul cuore?

Mi sentirei decisamente meglio se sapessi che Fede è andata avanti, ha fermato il suo pianto e non si è voltata indietro.

Ma tu non sei capace di mentire e fai fatica a capire quello che gli altri pensano.

Sei certa che io voglio conoscere la verità e non una bugia che mi faccia stare meglio.

 

--------------------

Le giornate si inseguono monotone e noiose.

Mi appoggio alla scrivania, togliendo le mani dalla tastiera del computer per affondarci dentro il volto.

Fare il giornalista free-lance non è molto proficuo; ma è un lavoro che mi piace quindi lo faccio.

Eppure, questi “blocchi dello scrittore” continuano ad assalirmi, a tormentarmi e obbligano le mie dita a prendersi una pausa.

Tranquille, riprendiamo dopo.

Già, ma quando? Qui il tempo passa, le settimane scivolano via come burro, sciogliendosi sotto un sole sempre più estivo ed afoso, mentre le mie mani sono sempre lì che tremano, immobili, incapaci di continuare.

 

---------------------

E ad andare avanti io non ci riesco; sono bloccato come le mie dita.

Tu lo sai bene, mi conosci, sai come sono fatto, sai che anche se sono stato io a lasciarla non riesco a dirle del tutto “addio”.

Per te è stato diverso, non puoi capirmi: tu lo odiavi, lui ti aveva ferito, che senso aveva restare ancora insieme a Nicola?

Per me, invece, non è così: Federica non mi ha colpito così profondamente ed io non ho smesso di amarla come credevo.

È dura andare avanti. Non ci riesco.

 

---------------------

Prendere un po' d'aria fresca mi farà bene; è da tanto che non faccio una passeggiata.

Mi metto le mani nelle tasche e, cercando di tenere alta la testa e il cuore, cammino sul marciapiede con passo spensierato.

Bè, spensierato non in senso letterale; ma è comunque un inizio e da qualcosa si deve pur incominciare.

La città è abbastanza affollata e il sole bollente costringe le persone ad uscire di casa, cercando sollievo tra l'ombra degli edifici.

Mi fermo alla fermata dell'autobus e mi siedo su una delle panchine, per prendere un attimo di pausa dall'afa estiva.

Un uomo dalla pelle scura sta in piedi, dandomi le spalle e si dondola sul bordo del marciapiede; mossa pericolosa con le macchine che sfrecciano veloci e che se ne fregano di lui; ma a lui non interessa e gli piace sfidare la vita, non demorde e continua a dondolarsi.

Il pullman dev'essere in ritardo, perché un altro uomo dalla barba corta si guarda continuamente l'orologio da polso, sperando che le lancette si muovano più velocemente.

Mi sento un po' in colpa a starmene qui fingendo di aspettare l'autobus, occupando il posto sulla panchina che spetterebbe a qualcun altro.

Ma, ormai, è troppo tardi per alzarmi: il mezzo arriva e, sbuffando prepotente, si arresta alla fermata, costringendo l'uomo di colore a fermare il suo gioco pericoloso per allontanarsi.

Improvvisamente, sento il bisogno di fare qualcosa, una pazzia o un gesto avventato, dondolarmi anch'io sul bordo di un marciapiede per giocare con la mia vita: mi alzo dalla panchina e, invece di andarmene con le mani nelle tasche, salgo sul pullman diretto al centro della città.

 

--------------------

Mia madre si meraviglierebbe di me e mi guarderebbe con rimprovero; lei così orgogliosa per aver educato i suoi figli al rispetto delle regole e delle persone, resterebbe inorridita nel vedermi salire su un pullman senza biglietto.

E forse è proprio per questo che, ad ogni fermata, mi coglie l'improvvisa ansia di veder salire il controllore per darmi la mia meritata multa e il giusto rimprovero.

E, invece, niente, non sale nessuno.

Mia madre non lo saprà mai.

 

---------------------

Nel centro della città c'è più rumore; il suono dei clacson fa dà sottofondo ad un progresso marcio ed in decadenza; i muri dei palazzi si decompongono nel tempo e l'umidità cattura la loro vernice.

Continuo la mia passeggiata con le mani nelle tasche dei pantaloni e il solito passo spensierato; questa volta, per davvero: è da quando sono salito su quell'autobus senza biglietto che non penso più a niente e mi godo semplicemente ciò che mi circonda.

La gente si rincorre per le vie, senza riuscire a prendersi; due bambini invece, riescono a catturare la coda di un gatto randagio, che subito soffia infastidito e fugge via; i piccioni zampettano rapidi ed incerti, catturando nel loro becco briciole di pane cadute fuori da un bar; le persone parlano, ridono, sorseggiano caffè insieme e poi prendono strade diverse.

Una ragazza dai capelli ricci sorride ad un uomo biondo che si appoggia sul tavolino del bar che sta dall'altra parte della strada.

Non è possibile.

Federica prende la tazzina con le mani e se la porta delicatamente alle labbra; di fronte a lei, quel ragazzo, quello dell'ospedale, il fratello di Lea...come cazzo si chiamava?

Davide, certo.

Stringo i pugni con forza e cerco di trattenere l'ondata di gelosia che mi assale.

Non posso fare niente, lei non mi appartiene più, lei è libera di ritrovare la felicità che le ho rubato con chi vuole.

Ma Davide...

Va così da un po' di tempo...”

Mi volto di scatto e Lea è dietro di me, che si appoggia ad un bastone e che osserva anche lei i due al bar.

Io abbasso lo sguardo a terra, cercando di contenere il più possibile i miei sentimenti.

Non può farmi così male, non DEVE farmi così male! L'ho lasciata io, non ho nessun diritto di essere geloso e di soffrire così.

Provo a distrarre i pensieri e torno con lo sguardo su Lea, ancora persa a fissare suo fratello e la sua migliore amica.

Dove stai andando?”

Lei si accorge del mio improvviso cambiamento, del mio disperato tentativo di ignorare la scena del bar e lo accetta con due occhi azzurri e dolci.

A dir la verità ero da mio padre fino a poco fa”, indica un'officina in fondo alla strada, “ma mi stavo annoiando così stavo...”, si blocca per un istante, come se dovesse pensare bene al seguito, calibrare bene le parole per farle apparire credibili, “...stavo andando a fare un giro”.

Non ce la fa e la guardo, curioso di sapere le sue vere intenzioni.

Lei tituba, non sa ancora se fidarsi, del resto il nostro rapporto è diventato più saldo solo nel periodo della sua permanenza in ospedale; ma, infine, si arrende, sa di potersi fidare, sa che ormai siamo amici: “...sto andando a casa di Nicola”, confessa e poi il suo sguardo si spegne.

Non era partito?”
Lei annuisce con un movimento debole, quasi impercettibile se uno non la conosce bene, ma io, ormai, la capisco abbastanza da poter cogliere i suoi tentennamenti.

Allora cosa aspetti?”, mi sforzo di sorriderle e allontano completamente la mia mente dal bar di fronte alla strada, stringendo i pugni per un'ultima volta, “Andiamo?”.

 

---------------------

Nicola è partito ma non è ancora tornato.

Lea suona qualche volta il campanello sul cancello ma niente, non risponde nessuno.

Sospira amaramente e si trascina sul muretto che costeggia la casa, sedendosi sul bordo e dondola una delle due gambe, quella sana.

Mi metto di fronte a lei con le mani nelle tasche e dopo averla osservata per qualche istante in attesa di qualche sua parola, alzo la testa sulla casa di Nicola, disabitata.

E' via da molto, non è vero?”

E lei abbassa la testa, appoggia le mani sul bordo e continua a dondolare la gamba sinistra, mentre l'altra sta immobile, troppo dolorosa da sforzare in quel movimento ripetitivo.

Torno a fissarla e mi ricorda l'uomo di colore alla fermata dall'autobus, che oscilla sul marciapiede mentre aspetta il suo mezzo di trasporto; Lea è uguale, sembra giocare anche lei con la sua vita, correre il pericolo, rischiare.

Da quanto tempo vieni qui, Lea?”

La sua gamba smette di muoversi e la sua testa si abbassa ancora di più verso il basso.

Da un po'...”, risponde lei con un sussurro incerto, troppo timida per mostrare i suoi sentimenti.

Nicola l'ha ferita, l'ha tradita; lei l'ha lasciato, l'ha dimenticato, ha rifiutato le sue scuse ed ora è qui, ad aspettarlo.

Ma lui non tornerà mai, lo sa bene, eppure è “da un po'” che viene qui a suonare il campanello, a sedersi sul muretto e a dondolare la sua gamba.

Ma perché? Perché non va avanti, non continua la vita per conto suo, non cerca qualcuno che non la faccia soffrire così? Come mai, all'improvviso, Lea sente il bisogno di avere Nicola con sé?

Non capisco tutto questo, non comprendo questo suo inutile lottare e questo suo dondolare sul bordo per avere qualche brivido in più nella vita.

Mi avvicino a lei, le alzo il mento con una mano e il suo volto è bagnato dalle lacrime che continua a versare per un Nicola che non tornerà più.

La spingo indietro, la sua testa si appoggia alla ringhiera sopra al muretto e le mie labbra si avvicinano alle sue.

Ci baciamo.

 

---------------------

Non so perché l'ho fatto. Forse per Davide, per Nicola, per Federica. Per chi non ricambia il nostro amore. Per chi ci fa soffrire e finge di non accorgersene.

 

---------------------

Lei mi allontana e mi tira uno schiaffo.

Il bruciore si allarga sulla mia guancia e mi costringe ad allontanarmi da Lea e ad appoggiare una mano sul punto colpito.

Stupido!”, inveisce lei e le lacrime continuano a rigarle il volto.

Resta seduta sul muretto, le gambe immobili, gli occhi cielo che cercano spiegazioni nei miei verdi.

Scusa”, riesco a dirle in un sussurro di voce, distogliendo lo sguardo e continuando a massaggiarmi la guancia colpita.

Io...io sto aspettando Nicola, non capisci?!”, lei piange, si tocca con le dita le labbra baciate e guarda anche lei da un'altra parte, “e poi...poi Federica non ti ha dimenticato...”.

Sussulto a quelle parole, sorpreso, le immagini del bar che si ripetono nella mia mente.

Non è vero, lei pensa a tuo fratello e...”

Smettila!!”, urla lei tra i singhiozzi, interrompendo le mie parole, “loro non stanno insieme e lei è ancora innamorata di te!!”, continua a sfogare il suo dolore senza sosta, buttandolo contro di me, “ma cosa ne sai tu? L'hai mai sentita piangere di notte, mentre finge di dormire?! Sussurrare il tuo nome tra le lacrime e poi nascondere gli occhi rossi il giorno dopo? Tu non sai niente, Mattia!! Le non ti ha dimenticato...”.

Le sue parole mi colpiscono come frecce e mi fanno un male cane.

Perché mi dice tutto questo?

Non potrebbe mentire, dire semplicemente “Lei ti ha dimenticato”?

Non sarebbe bello se fosse così? Avere un peso in meno sul cuore?

Mi sentirei decisamente meglio se sapessi che Federica è andata avanti, ha fermato il suo pianto e non si è voltata indietro.

Ma tu non sei capace di mentire e fai fatica a capire quello che gli altri pensano.

Sei certa che io voglio conoscere la verità e non una bugia che mi faccia stare meglio.
O, forse, è semplicemente questo il tuo obbiettivo: farmi soffrire, farmela pagare per quel bacio che ti ho appena rubato.

Ti interrompi e respiri forte, soffocata dalle tue lacrime.

Io resto con lo sguardo basso, la mente affollata dai dubbi e dalle tue parole.

E tutto accade in un lampo.

Il tuo bastone cade con un rumore sordo mentre tu ti stacchi dal muretto facendo forza con le braccia; mi circondi il collo con le mani, aggrappandoti a me per stare in piedi e, tra le lacrime, mi restituisci il mio bacio.

 

---------------------

E dondolarsi sul bordo della vita la rende più eccitante, ti mette i brividi, ti dà adrenalina e ti fa commettere pazzie.

 

---------------------
---------------------

Ed ebbene si, sono già qui e voi mi dovete ancora sopportare.
In questo capitolo sono arrivata perfino io ad odiare Mattia ed il finale, inizialmente, era diverso, con Lea che fuggiva via e così...ma alla fine l'ho cambiata...almeno in questo modo i 2 si dividono la colpa, diciamo, ecco...ù.ù
Una relazione tra Mattia e Lea l'avevo davvero esclusa tempo fa ed invece alla fine ho voluto tentare e scriverla...
Vedrete in seguito se la loro storia durerà e come reagirà Federica alla notizia (se verrà a saperlo, naturalmente...).
Lea dice a Mattia che Federica pensa ancora a lui e soffre ancora, non l'ha dimenticato (e poi lo bacia ma vabbè...ù.ù [come potete notare Lea mi ha deluso in questo capitolo]), però Fede continua a stare con sto Davide e possibile che lui, sapendo dei suoi sentimenti da Lea, ricambi??
Ne siete certi?? Ed io vi dico che lo vedete nel prossimo capitolo, che chiarirà (almeno dovrebbe) tutto ciò che riguarda la possibile storia Davide\Federica...
Purtroppo temo dovrete aspettare un pò, devo ancora scriverlo ma in questo momento non ne ho voglia perché so già che sarà lungo...:\
Quindi alla prossima EFP!!!
Un grazie ad WINGEDANGEL (non smetterò mai di ringraziarti e adorarti!! ;) ).
Un abbraccio. :3
=Sony=

 

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Capitolo 21
*** 21- Fiori d'Erika nel campo di grano (Federica) ***


21- FIORI D'ERIKA NEL CAMPO DI GRANO

 

Federica”

 

 

Com'è lei?
Bè, lei non è come me; sicuramente è più alta, in questo non ci sono dubbi; poi, forse è anche più bella ma, non lo so, dipende dai gusti; certo, una cosa è sicura: lei lo ama più di me; lo vedo dai suoi sguardi, dal suo tremare, da quel cuore che batte solo per lui e non come il mio, che vive sempre per due persone.

 

------------------

Davide mi guarda, i suoi capelli come il grano, gli occhi come il cielo e il suo solito sorriso che mi riporta bambina.

Ed erano belli quegli anni in cui la vita era un gioco, in cui innamorarsi era una favola e in cui scrivere una lettera con i pastelli non sembrava una cosa così stupida.

Mi porto la tazza alle labbra e bevo un sorso di cappuccino, tenendo le miei iridi immobili nelle sue.

Lui sorride, senza motivo, sorride e basta, forse mi trova buffa o non lo so; comunque

sia, quel suo gesto mi fa arrossire, come quando avevo 10 anni e lui mi dedicava anche solo un misero secondo della sua incantevole vita.

Perché sorridi?”, gli domando curiosa.

Perché mi è venuta in mente una cosa...”, risponde lui con naturalezza.

Infine, non si trattiene più e, lasciate delle monetine sul tavolino, mi afferra la mano e mi costringe a seguirlo.

E, forse, crescere non è poi così brutto.

 

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Il campo è enorme e lunghe spighe di grano lo rivestono, pungendoci la pelle quando ci sdraiamo sopra di loro, con il riso sulle nostre labbra rosee.

Lui torna serio, si volta verso di me, mi tocca la bocca con le sue dita soffici e poi osa avvicinarsi, rischiare, per sfiorarla con la sua.

È solo un tocco il suo, talmente leggero da essere quasi impercettibile, ma è in grado di farmi mancare il respiro e di interrompere il mio riso.

Chiudo gli occhi, li riapro e le sue iridi sono sempre lì, immobili, immerse nelle mie, impedendo loro di fuggire, di allontanarsi, di nascondersi in questo campo di grano immenso.

Ed un profumo delicato ci invade, avvolgendoci dolcemente.

 

-------------------

Fruga in una scatola nascosta in un vecchio armadio, lasciandomi seduta sul letto, imbarazzata.

La sua stanza nella casa del padre è sempre rimasta la stessa, con i suoi toni adolescenziali e vecchie fotografie appese alle pareti.

Mi guardo in giro a disagio, ricordando i momenti della mia infanzia in cui mi ci intrufolavo con Lea, per portar via qualcosa di suo; non necessariamente un oggetto, mi bastava rubare un particolare visivo, un profumo, cogliere anche solo con gli occhi un suo segreto.

Per Lea, invece, non era così: entrare nella stanza del fratello maggiore significava un'opportunità unica per fargli qualche dispetto o per preparare qualche scherzo, per poi riderne di gusto una volta uscite.

Era senza speranze, la mia migliore amica!

Davide, finalmente, trova l'oggetto della sua ricerca ed esultando si alza in piedi e mi si avvicina, un foglietto colorato stretto in una mano.

Ecco qua...”, me lo porge, per poi sedersi al mio fianco impaziente di cogliere la mia reazione.

Io, però, già prima di aprirlo, so già il suo contenuto; lo ricordo bene. Del resto, come dimenticare quelle parole, quei battiti impazziti del mio cuoricino, quelle speranze e pensieri sulla sua reazione?

Il pastello rosso mi si era rotto quella volta, per la troppa foga con cui avevo scritto quel bigliettino.

Il nome “Davide” è circondato da cuoricini rossi, alcuni troppo grassi e storti, altri piccoli, tremanti, con il tratto incerto.

E sotto il suo nome quella richiesta, quella domanda che a rileggerla mi fa arrossire terribilmente e, quasi, mi spinge a non notarla e a chiudere la lettera per fermare quei ricordi infantili e vergognosi.

Ma le mie labbra sono sciocche, loro vivono il momento, non gli importa cosa possono causare quelle parole dopo quasi 15 anni: “mi vuoi sposare?”; e il pastello rosso, in quel punto, mi si era proprio rotto.

Oddio!!”, chiudo la lettera e mi nascondo il volto rosso con entrambe le mani, vergognandomi di me stessa; o meglio, della me stessa di 10 anni.

Davide dovrebbe ridere in questo caso, scherzarci su, prendere in giro quella bambina che voleva solo sognare; ed invece niente, se ne sta zitto, serio, quasi come se non ci fosse più.

Ma invece c'è, c'è ancora e la sua voce arriva subito per confermarmelo: “no”.

Alzo la testa e il suo sorriso non c'è davvero più e i suoi occhi sono proprio seri.

Cosa 'no'?”, gli chiedo confusa.

Ricordi la mia risposta a questo biglietto?”.

Riabbasso lo sguardo sul pezzo di carta e fingo di pensarci su qualche istante.

Ti auguro di raggiungere i tuoi sogni”.

Lui annuisce, non è sorpreso che me la ricordi, ma non è questo il significato del suo “no” e, quindi, continua: “Non sono io il tuo sogno”.

 

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Come mi sono sentita in quel momento?
Nuda, senza difese, terribilmente scoperta davanti a lui.

Davide ha capito tutto, ha capito perfino più di me.

 

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“Perché?”

Non era quello che avrei voluto chiedergli; in effetti, pensavo di sdrammatizzare, di sciogliere un po' la tensione con un “Ehi, ma per chi mi hai preso? Mica dicevo sul serio quando ti ho chiesto di sposarmi!”; ma i suoi occhi me l'hanno impedito: loro non vogliono scherzare, loro vogliono solo essere seri, seri come non mai.

Quindi, niente, ho messo da parte la mia ancora di salvezza e mi sono buttata con quella domanda, rischiando tutto, anche più di quello che possa immaginare.

Ma lui non risponde, non si aspettava quella domanda e, allora, i suoi occhi cedono, perdono il coraggio guadagnato con quel “no” e si arrendono.

Non mi piace questo Davide, non lo voglio; dov'è il suo coraggio, la sua forza?

Butto a terra il biglietto e mi sporgo verso di lui, gli prendo il volto con le mani e lo costringo a guardarmi, ad avvicinarsi a me e a dirmi la verità.

Lui non mi lascia il tempo necessario, si toglie le mie mani di dosso e si allontana da me, alzandosi in piedi, prima che il mio gesto ci portasse a qualcosa di doloroso.

C'è un'altra”, confessa lui debolmente, senza il coraggio di guardarmi.

Ma non è quello che mi fa male e non ne capisco il motivo; penso alle sue parole, al suo “no”, al suo “non sono io il tuo sogno” e voglio sapere cosa c'è dietro.

Mi alzo in piedi a mia volta e mi avvicino di nuovo a lui, lo prendo per una spalla e lo costringo a guardarmi, questa volta senza rischiare troppo, senza avvicinarmi a lui a livelli imbarazzanti ma, soprattutto, senza lasciarmi allontanare di nuovo.

E lui, questa volta, è più sicuro, ha deciso di dirmi tutto, basta nascondersi, basta mettere da parte il suo coraggio! Mi guarda e risponde alle mie domande prima che gliele ponga: “Io non provo nulla per te, se non un semplice sentimento d'affetto”.

Penso che la sua frase sia banale, la dicono tutti, quante volte l'abbiamo sentita? È una scusa, solo una scusa; ma Davide non sta mentendo, lui non mente mai, ed il suo sguardo deciso me lo conferma; non tentenna lui nel confessarmi il suo affetto fraterno e me lo dice con spontaneità, perché tanto ha una scusa di riserva, no? Perché, comunque sia, lui ha “un'altra”.

Mi sento improvvisamente stanca o...spaesata, sì, è questa la parola giusta: spaesata, come se questo non fosse il mio posto, non dovrei essere qui, questa è la stanza del fratello maggiore di Lea ed io mi ci sono intrufolata per fargli qualche dispetto.

Mi siedo sul letto e lui mi si avvicina, tenendosi sempre a debita distanza.

Stai male?”

Ed io alzo di nuovo la testa e non lo riconosco più; non capisco la sua domanda che mi sembra stupida; noto il biglietto caduto per terra e quella domanda è lì, scritta col pastello rosso che si è rotto e quanto ho pianto quella volta, era il mio colore preferito e l'avevo perso per una stupidissima e vergognosa lettera.

Ma quella frase ha resistito, conserva i resti di quel pastello, quel colore andato in pezzi, che mi ha distrutto il cuore, mi ha baciato e poi mi ha chiesto “scusa”.

No”, rispondo a Davide e poi sorrido.

Perché quella frase non è altro che lo stupido sogno di una bambina che ora non c'è più, è cresciuta e si è fatta nuovi sogni.
Davide lo sapeva bene, per questo mi aveva risposto in quel modo “ti auguro di raggiungere i tuoi sogni”, perché sapeva che loro sarebbero cresciuti, cambiati e che dopo 15 anni lo avrebbero dimenticato.

Mi chino e raccolgo il bigliettino, conservandolo con cura tra le mie mani.

Lei come si chiama?”.

Davide non risponde subito e la mia domanda lo lascia spiazzato.

Erika”, dice, per poi aggiungere: “E tu, Fede, come si chiama il tuo?”.

Ed io sorrido, di nuovo, rileggo il biglietto per l'ennesima volta e ripenso ai suoi occhi verde smeraldo, che mi guardavano meravigliati mentre la pioggia li bagnava.

Ed è lui il mio nuovo sogno, non ho dubbi, l'ho sempre saputo, dal momento in cui l'avevo scorto entrare nel bar e avvicinarsi con imbarazzo al tavolo dove sedevamo io e Lea.

Lui mi ha baciato, mi ha chiesto scusa e poi mi ha lasciato fuggire; ma io ho sbagliato, perché non l'ho perdonato, accettando le sue scuse.

Mattia”, rispondo infine, piegando il bigliettino.

 

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Erika non l'ho mai vista, non so com'è, quanti anni ha, come porta i capelli e se è più alta di me.

Ma Davide la ama. Lo vedo dai suoi sguardi, dal suo tremare, da quel cuore che batte solo per lei e, ora, come il mio, vive per una persona sola.

 

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Nel campo di grano ci siamo solo noi due e, all'improvviso, inizia a piovere.

L'acqua non ci infastidisce, bagna solo i nostri capelli, i nostri volti e le mani che accarezzano l'altro.

Un profumo delicato si alza nell'aria umida, mischiandosi all'odore del grano.

Apro gli occhi e mi metto seduta, guardandomi intorno, allontanandomi per un istante da lui che resta sdraiato e mi guarda, attendendo con pazienza che torni al suo fianco.

Le spighe di grano si alzano fitte e il vento le scuote; fiori d'erica si mischiano fra loro e, il viola, crea un forte contrasto con l'oro.

Sono strani insieme ma stanno bene, si amano, sono perfetti l'uno nell'altro e il profumo dell'erica si mischia a quello del grano.

Nessuno dei due, ora, ci distrae più; torno sdraiata e Mattia mi sorride, sapeva che sarei tornata da lui, mi avrebbe anche aspettato in eterno se avesse dovuto ed ora è contento, sono qui, a baciarlo, ad interrompere le sue insensate scuse, a riparare il mio vecchio pastello rosso per scrivere nuovi sogni e ad immergermi nei suoi smeraldi verdi, mentre fiori di erica colorano il campo di grano.

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Buonasera a tutti voi!!
Eccovi il capitolo 21, che chiude, definitivamente ed in modo un pò frettoloso (lo so...-.-) la storia tra Federica e Davide...a dir la verità il capitolo era stato progettato in modo diverso, ma alla fine mi è uscito così e non ho potuto farci niente...accontentatevi!!
Federica si è accorta di non provare niente per Davide, o meglio, che quello che provava per lui era solo una cosa del passato, di quando era bambina, ma ora ha nuovi sogni, vale a dire stare con Mattia.
Ma lui la accetterà di nuovo? Lui ha baciato Lea nell'ultimo capitolo, riuscirà a superare quell'attimo di "cedimento" e di perdonare Fede??
Il prossimo capitolo è tutto per Lea e farà qualcosa di...drastico...e tenterà in molti modi di dimenticare Nicola, soprattutto grazie all'aiuto di un nuovo personaggio, sconosciuto per lei (per ora), ma non per un altro personaggio di questa storia...ma chi sarà?? E come spingerà Lea nella sua nuova vita??
Vi informo che i capitoli in totale sono 28, quindi questi che seguono sono gli ultimi 3 prima dei 4 finali e decisivi!!!
Abbiate pazienza, che li leggerete e anche questa storia arriverà alla sua fine.
Un bacio a tutti, un ringraziamento unico e speciale a Wingedangel (S.) per il suo sostegno in ogni capitolo. GRAZIE. <3
Con affetto.
=Sony=

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Capitolo 22
*** 22- Se balli il dolore passa (Lea) ***


22- SE BALLI IL DOLORE PASSA

 

Lea”

 

Il mio diciannovesimo compleanno è il giorno che più ricordo; come se si fosse fossilizzato nella mia testa, mettendo radici e restando lì, senza più staccarsi.

Nicola mi amava, Federica era sempre presente, Simona si lasciava stringere e mio padre era il solito timido che non concede molti abbracci gratuiti.

Quella volta, però, ne avevo ricevuti perfino 4. E zia Milly si era quasi trattenuta con i suoi ricordi, preferendo stare in silenzio a registrarne di nuovi con i suoi vecchi occhi stanchi.

Simona attirava l'attenzione su di sé e Nicola non era venuto; il solito asociale; per lui ogni scusa era buona per non partecipare a qualche festa, la mia compresa.

Quella volta, però, mi aveva sorpreso; un mazzo di rose bianche, appena arrivate, portavano la sua firma e il suo bigliettino: “stasera mi farò perdonare”.

Simona aveva riso, Federica era arrossita al mio posto e mio padre, bè, naturalmente non l'ho fatto leggere a mio padre!

 

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Quest'anno c'è qualcosa di diverso; sarà perché compio 25 anni, perché c'è meno aria di festa o perché, questa volta, Simona non c'è e Davide tenta, invano, di sostituirla.

Zia Milly mi scruta dal divano, seduta accanto a mio padre che si rigira nervosamente un bicchiere vuoto tra le mani; Davide mangia la sua fetta di torta gettando, di tanto in tanto, un'occhiata verso la finestra e verso Federica che vi si affaccia, aspettando di vedere arrivare qualcuno.

Ma chi? Simona è impossibile, Michele aveva un impegno e Fabio lei neanche lo conosceva.
“Mattia non viene?”

Sussulto ma cerco di nasconderlo ingoiando a fatica un pezzo di torta: “No”.

Ma zia Milly è furba e lei è una vera esperta a capire quando uno mente; soprattutto quando quel qualcuno è la sua nipotina Lea, rimasta senza una gamba.

 

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Penso a quanto sia ridicolo questo momento; più in generale, a quanto sia diventato stupido ricordare questo giorno.

È il mio compleanno; ma, ammettiamolo: è da un po' che ci siamo dimenticati cosa si dovrebbe festeggiare veramente in questa occasione e per cosa, invece, lodiamo il festeggiato.

Buon compleanno!”, mi dicono.

Tanti auguri!”, aggiungono, ma i loro sguardi mentono insieme alle loro labbra, diventando complici in questa amnesia.

Anni fa, in questo stesso giorno, in uno dei tanti 7 agosto che hanno preceduto questo, sono nata io, facendo il mio ingresso nel mondo.

Ma, oggi, pochi ricordano questa cosa e, lo ammetto, perfino io fingo di essermene dimenticata.

Semplicemente perché così è molto più facile; perché, in effetti, quando ci complimentiamo con il festeggiato, non ci riferiamo al suo ingresso in questo mondo ma, più precisamente, al fatto che sia sopravvissuto a questa vita ancora una volta; ancora per un anno.

Auguri!”, ce l'hai fatta.

Grazie” , rispondo, fiera di quella mia piccola vittoria annuale sulla vita.

Questo giorno è una piccola soddisfazione che ci diamo; niente di più e niente di meno.

Eppure, mi rendo conto che quest'anno è stato diverso, che questa ennesima battaglia con la vita mi ha lasciato un segno e qualche ferita di troppo.

Quest'anno ho rischiato di perdere, ho rischiato di non farcela.

La protesi che sostituisce la mia gamba destra me lo ricorda e me lo rinfaccia.

Ma, oggi, non ci voglio pensare, non voglio riportare alla mia mente la battaglia dell'ultimo anno in cui sono stata colpita e che ha lasciato sul mio corpo un segno indelebile.

Oggi dev'essere un giorno speciale, come tutti i 7 agosto che l'hanno preceduto.

Oggi ho bisogno solo di quella piccola soddisfazione che mi rassicuri del fatto che io abbia vinto ancora una volta, che io non abbia ceduto durante l'ennesimo scontro.

Buon compleanno!”

Ma, è davvero così? Ho davvero vinto?

Grazie”

Non ne sono sicura.

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Esco dalla casa di mio padre e respiro l'aria a pieni polmoni, liberandomi dall'agitazione in cui mi ha messo Federica.

Tutto è così difficile da farmi capire di essere sola: Nicola non c'è, Simona è morta, Mattia vorrà starmi sicuramente lontano dopo quel che è successo e la mia migliore amica non può più essere la confidente di una volta.

Sarebbe bello dirglielo, ridere insieme, urlare dalla gioia per il bacio rubato ad un ragazzo...già, se solo quel ragazzo non fosse il suo ex di cui è ancora innamorata.

Non posso, come la prenderebbe?

È stato meglio fuggire, da lei, da un Davide silenzioso, un padre timido ed una zia Milly che, nonostante la cataratta, ha uno sguardo che ti perfora.

Vado a prendere un po' d'aria”.

E loro ti sorridono senza capire, ma acconsentono perché davanti ad una gamba mancante non si può non acconsentire; questo l'ho imparato negli ultimi mesi.

La gente non ti sa dire di no quando vede che hai perso qualcosa.

Mi appoggio alla ringhiera e mi massaggio il ginocchio destro che, all'improvviso, ha iniziato a darmi fastidio. Strano.

Lo guardo e penso a Nicola che non è ancora tornato, alle sue rose che quest'anno si è dimenticato di spedire; penso a cosa stia facendo, dove, con chi...

No, all'ultima è meglio che non ci pensi.

Tu sei Lea?”

Alzo gli occhi di scatto ed un mazzo di rose mi si para davanti agli occhi; e sono bianche, bianche come la neve che cadeva la notte dell'incidente, bianche come il pupazzo che ho costruito vicino all'ospedale.

Ed è incredibile come Nicola abbia riempito mesi di assenza nei miei pensieri con dei semplici fiori.

 

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Il profumo delle rose mi invade e mi manda in estasi; adoro le rose e Nicola lo sa bene.

Apro il bigliettino con i brividi che mi percorrono, con l'ansia di leggere il suo messaggio.

Ed invece, niente, la delusione mi sopraffale.

Questo non l'ha scritto Nicola” e guardo lo sconosciuto che alle mie parole sussulta e per scusarsi si passa una mano tra i capelli sorridendo.

Ops!”

Chiudo il biglietto e gli restituisco le rose, scocciata.

Ehi, non prendertela! Si, il messaggio non l'ha scritto Nicola, ma credevo che un “ti amo” andasse più che bene.”

E no, invece, non va bene! Perché non l'ha scritto lui, perché non era quello che volevo, perché le parole “sono tornato” non ci sono su quel pezzo di carta.
Ma lui non lo sa e, quindi, continua a sorridermi e mi restituisce le rose: “Ok, anche se il messaggio non è suo, almeno accetta le rose!”.

Come conosci Nicola?”, gli domando, rifiutando di nuovo i fiori candidi.

Siamo amici di vecchia data e ieri mi ha chiamato chiedendomi questo favore.”

Quale favore?”

Portarti le rose, naturalmente!”

Torno a guardare i fiori ed arrossisco perché penso che Nicola si sia ricordato di me, del mio compleanno e della sua usanza di regalarmi quel genere di fiori.

Titubo ancora un poco, indecisa, ma alla fine le accetto.

Lui sembra contento perché si mette le mani sui fianchi ed alza il mento, soddisfatto di aver portato a termine il suo compito.

Non ti ho ancora perdonato per aver finto che le avesse comprate Nicola”, ribatto io con un sorriso scherzoso.

Lui ricambia il sorriso, forse se l'aspettava, quindi alza la mano per un cenno di saluto e se ne va, dandomi le spalle.

Allora stasera mi farò perdonare!”

E mi chiedo se Nicola gli abbia raccontato anche del mio diciannovesimo compleanno.

 

-------------------

Quella era la mia prima volta. Per lui no, chissà quante ce n'erano state prima.

Sapeva come muoversi e non lasciava il tempo al mio corpo d'indugiare.

Nei preliminari era stato molto attento e preciso: prima le candele, poi i petali sparsi per terra, il profumo d'incenso, le sue mani che mi afferrano sicure e la sua lingua che assaggia il mio corpo.

Ma i brividi mi percorrono lo stesso, nonostante lui cerchi di tenerli fermi; sono brividi di piacere, che mi percorrono prima ancora che lui mi spogli e mi faccia sdraiare sopra di lui.

Lascia fare a me”, mi sussurra e poi mi muove, mi guida su di lui, perché lui sa come fare, l'ha fatto chissà quante volte prima, ha più esperienza di me e cerca di non farmi soffrire.

Il dolore c'è lo stesso, non può evitarlo; ma va piano, è tranquillo, mi lascia il tempo che voglio, le paure che chiedo e poi va in fino in fondo, forte e deciso.

Buon compleanno”, sussurra dolcemente e la sua voce si perde nei nostri sospiri.

Apro gli occhi e lo guardo e penso che si, mi piace da impazzire, forse addirittura lo amo e perché no? Anche il sesso con lui è una cosa meravigliosa.

 

--------------------

Mi porta in un locale dalla musica alta, che ti tappa le orecchie e nasconde la tua voce, costringendoti ad urlare per farti sentire; a volte, non basta nemmeno quello e l'unica cosa che ti resta da fare è startene muta, a gesticolare per farti capire e a subire quello che ti succede intorno.

Mi porta ad un tavolino dove ci sono altri 2 ragazzi, un moro e una rossa.

Il moro si alza, mi stringe la mano, mi invita a sedermi e poi si siede accanto alla rossa passandole un braccio intorno al collo.

Uno il cacciatore, l'altra la preda mostrata a tutti per fare bella figura.

Sono Lorenzo!”, urla il moro e alla rossa invece non piace urlare, preferisce allungarsi verso di me per dirmi il suo nome con il tono di voce più normale: “Marta”.

Io non sono capace di parlare come lei, bassa ma col tono giusto per farmi sentire, quindi urlo, come Lorenzo: “Lea!!”.

E i due annuiscono, fingendo, forse, di aver capito il mio nome.

Probabilmente, quando ricorderanno questa serata, si sbaglieranno perché in realtà hanno sentito male ma avevano vergogna di farmelo ripetere, quindi diranno agli amici che mi chiamavo “Bea” o forse anche “Lucia” che non c'entra niente.

Ma non importa.

Il mio amico delle rose si siede accanto a me e guarda quelli che ballano sulla pista, sotto le luci della discoteca che li sballa e con in mano bicchieri di qualcosa che li porta fuori più delle luci e della musica messi insieme.

Ehi, ragazzi, oggi è il compleanno di Lea!!”, dice il ragazzo delle rose e Lorenzo esulta, mentre Marta si limita ad un debole sorriso.

Allora dobbiamo festeggiare!! Andiamo a ballare!”, propone Lorenzo e già si alza, senza aspettare un consenso.

Faccio cenno di no con la testa perché è molto più semplice che urlare e non farmi capire ma a loro non basta, non piacciono i rifiuti e quello delle rose insiste: “Dai, perché?! Come faccio a farmi perdonare se non vieni nemmeno a ballare?”.

Ed io vorrei dirgli che andrei volentieri, mi è sempre piaciuto ballare, muovermi senza troppi pensieri sulla pista da ballo, ma la gamba finta me lo impedisce e mi farebbe male.

Ma è dura da spiegare, quindi ripeto il mio cenno negativo e poi mi sforzo di urlare: “Ho male a una gamba!”.

Guarda che ballando il dolore passa”, scherza lui ed io non so più come dirglielo ma non voglio mostrargli quell'orrore di alluminio sotto al ginocchio; con che occhi mi guarderebbero?

Quindi mi alzo, cedo, rischio la mia gamba malata sperando di sopportare il dolore e poi cosa sarà, un ballo soltanto, no? Poi mi siederò e fingerò di essere stanca.

Accetto la mano dell'amico delle rose e mi butto sulla pista da ballo, con la protesi che già mi fa male.

 

-------------------

Lorenzo mi porge qualcosa da bere, mi si avvicina all'orecchio e mi dice di berlo in un sorso, altrimenti brucia troppo e mi fa vomitare.

Ascolto il suo consiglio ma il liquido chiaro mi brucia lo stesso la gola e mi fa strabuzzare gli occhi; non sono abituata all'alcool.

Lui ride per la mia faccia e, lasciato il bicchierino sul bancone, torna sulla pista da ballo e danziamo insieme.

La gamba mi fa un male cane ma più bevo e più il dolore è sopportabile, anche se la testa inizia a girarmi.

Mi chiedo dove sia finita Marta, non capisco perché non è qui a muoversi con Lorenzo; perché ci sono io al suo posto? Perché il dolore alla gamba inizio a non sentirlo più ma muovermi si fa sempre più difficile?
Sono costretta ad appoggiarmi alle braccia di Lorenzo, ad afferrarlo, ad abbassare il volto su di lui perché la testa mi gira e la protesi inizia a non reggermi più.

E lui mi afferra, ci sostiene entrambi, mi muove sulla pista da ballo sicuro e deciso; chissà quante volte l'ha fatto prima; chissà con chi; chissà dov'è finito il mio amico delle rose e Nicola.

 

---------------------

La sua macchina è scomoda e in due non ci stiamo proprio.

Siamo costretti ad accucciarci, io sotto, lui sopra.

La testa mi gira, la gamba non la sento più e la lascio cadere a fianco dei sedili posteriori perché a piegarla proprio non ci riesco.

I jeans la coprono ma Lorenzo mi vuole spogliare; non sa cosa l'aspetta sotto il ginocchio destro.
Però, voglio sapere come reagirà, quindi gli do' una mano e lo aiuto a sfilarmi i pantaloni.

Lui non la vede la mia gamba, non la nota, neanche la tocca; le sue mani sono già prese a sfiorarmi la pancia e a togliermi la maglietta.

E la testa mi gira e a fermarlo non ci riesco; sono stanca e non mi reggo in piedi e non posso più aspettare Nicola.

Di lui, ormai, avrò soltanto delle rose in dono ogni anno.

Lorenzo ha fretta, ha paura che qualcuno ci veda, ci interrompa, che l'alcool mi lasci libera di allontanarlo.

Si abbassa la lampo e mi toglie le mutandine, senza sfilarmele del tutto dalle gambe.

Non vuole essere delicato, lui, vuole farla finita subito, ha paura che Marta ci scopra, che si infuri, che lo lasci e che non lo perdoni più, urlando dalla sua finestra di lasciarla in pace e di andarsene.

E fa male tutto questo, mi fa pensare a Nicola, mi fa passare la sbornia, mi fa tornare il dolore alla gamba e mi spinge ad allontanare Lorenzo.

Lasciami...non voglio!!”

Ma lui è sordo, forse ha ancora la musica della discoteca nelle orecchie e quindi se non urlo non mi sente.

Lasciami!!!”

Niente, si vede che non ho la voce abbastanza alta.

La portiera dietro di lui si apre di colpo e qualcosa lo trascina via.

Lorenzo, possibile che sei il solito coglione?? Lea è la ragazza di Nicola. Tornatene dentro da Marta, va, che è ubriaca e ti cerca”.

Si sbaglia, non è vero, Lea non è la ragazza di Nicola, forse quella voce non lo sa ma lui l'ha tradita, allora lei l'ha lasciato e gli ha rinnegato ogni perdono.

Il ragazzo delle rose mi afferra per un braccio e mi tira seduta, mi riveste con dolcezza e poi mi carica in spalla.

Deve averla vista la mia gamba ma allora perché non mi guarda inorridito e disgustato?

È dolce questo amico, Nicola è fortunato ad averlo, ad avere qualcuno che è ancora qui e che ha potuto portarmi il suo regalo di compleanno.

La testa mi gira e chiudo gli occhi per tenere tutto fermo intorno a me, perché il nero non si muove e il nero non giudica né me né la mia gamba finta.

L'amico delle rose mi fa sedere sul sedile della sua macchina e mi allaccia la cintura.

La sua dolcezza è finta ed esagerata ma fa comunque piacere, perché mi ricorda Nicola e le sue attenzioni durante la mia prima volta.

Il ragazzo guida e sta in silenzio, mi sta portando a casa, da Federica che, in ansia, mi ha visto salire in macchina con uno sconosciuto, che ha guardato giù dalla finestra mentre cercavo di non zoppicare, che ha sospirato nel vedermi fingere un sorriso per farla stare serena: “Tranquilla, è solo una serata con dei nuovi amici”.

Già, e chissà che dirà nel vedermi in questo stato.

Ma non ci voglio pensare ora, c'è tempo per quello e quindi mi volto verso il ragazzo che guida e lo guardo per qualche istante, in silenzio e attendendo che le mie labbra si sentano pronte per parlargli: “Come ti chiami?”, le lettere scivolano tra i denti e sulla lingua, ma ancora riesco ad avere abbastanza controllo e a renderle comprensibili.

Sergio”, risponde lui e poi accende la radio per riempire un po' il silenzio.

Sergio, il ragazzo delle rose, l'amico di Nicola che mi ha salvato da Lorenzo e dalla sua fretta, che ora mi prende in braccio facendo attenzione alla gamba destra e chiama Federica al citofono.

È tardi e lei ci impiega un po' a rispondere ma poi apre la porta, lo fa entrare, lascia che Sergio mi abbandoni sul letto, mi copra con le lenzuola e mi sposti una ciocca di capelli che mi si era posata sul volto.

Buon compleanno”, dice e poi se ne va, esce dalla stanza.

Lo fermo, lo chiamo indietro e lui si blocca, mi guarda, aspetta che gli parli.

Dì a Nicola che lo aspetto”.

E lui sorride e annuisce.

 

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“Che dici? Mi sono fatto perdonare?”
Ancora no, Nicola, ancora no.

Ma ora ti aspetto ed è qualcosa in più, forse questa volta non mi vedrai più alla finestra a cacciarti via ma sarò giù, ad aspettarti e a correrti incontro per abbracciarti e darti il bentornato.

Perché se balli il dolore passa, il cuore non brucia più, la gamba ti da meno fastidio; perché mi manchi, Nicola e ti rivoglio con me.

 

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Salve a tuttiiii!!!
Perdonatemi ma questa volta non ho molto tempo per fermarmi...ci ho impiegato secoli a scrivere questo capitolo e quindi ora mi tocca fuggire!!!
Vi dico solo che il capitolo di Nicola comprenderà anche questa chiamata che farà a Sergio (se non vi ricordate di lui è l'amico che lo chiama "una volta ogni morte di Papa") e della sua nuova fiamma Claire!!! ;)
Ci tengo molto a ringraziare (cosa che non ho fatto prima, perdonatemi!):


1 - LaFolie108
2 - wingedangel

che hanno messo la storia tra le preferite;

1 - SiriaJ
2 - wingedangel

tra le ricordate;

1 - GNG 4ever
2 - LaFolie108
3 - SiriaJ
4 - wingedangel

tra le seguite;

Ed inoltre LaFolie108 e wingedangel per averla commentata!!! :) (Sbaglio o tu, S (Wingedangel), sei un pò dappertutto??? ahahahah)

Grazie di cuore, davvero, mi fa un piacere enorme!!!
Vi adoro tutti!!
Un bacio.
=Sony=

 

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