Same Mistake

di aniasolary
(/viewuser.php?uid=109910)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


same mistake

Same Mistake

I’m not calling for a second chance,
I’m screaming at the top of my voice,
Give me reason, but don’t give me choice,
Cos I’ll just make the same mistake again
James Blunt - Same Mistake

Belli i pomeriggi passati a dormire sul divano.

Quil con Claire, Paul da Rachel, Jacob a Seattle, Seth a fare quel corso inutile che non gli servirà mai, Rory mi ha piantato con un messaggio dopo una settimana, due paroline in inglese abbreviato.

Nessuna tragedia, per carità. Ho un sacco di numeri di telefono... mi basta seguire l’ordine alfabetico.

C’è solo un piccolo problema mutante che tengo sempre per me, ma per il resto tutto fila liscio.

Fila.

Liscio.

La pallina raggiunge la buca e punto.

Vittoria.

Senza vedere e senza sentire.

Non vedere e non sentire.

 


Jared leva il triangolo di plastica in cui sono racchiuse le palle da biliardo.

Vieni, vieni, vieni. La gialla si avvicina, piano. Colpisco, reazione a catena.

Buca.

«Sei proprio uno stronzo.» biascica, poi morde l’hot dog che ha in mano.

Rido, mentre lui si ingozza con il panino. Da quando sta con Kim non fa che dire cose strane. Trovare una ragazza, l’imprinting, sistemarsi.

Che palle.

«Allora, lei si chiama Charlotte Evans. Ha vent’anni e studia Lingue. »

«Mmh… lingue. Mi piace.»

«Intelligente, carismatica… »

«Che me faccio, idiota. Ci sono cose più importanti: come ce le ha le tette?»

Mi dà una gomitata, la senape scivola dal panino e cade sul pavimento. Si guarda intorno, con aria furtiva.

«Non l’ho mai vista. So solo che è mora.»

«Vuoi vedere che mi hai portato una cessa.»

«Io non ti faccio mai uscire con delle cesse.»

«Me la danno sempre molto presto, questo è sicuro. »

Mi appoggio alla stecca e inspiro l’aria che mi sta intorno.

Odore di tabacco, patatine e plastica dura.

Adesso anche fiori… lavanda.

Buono.

Lo senti.

C’è anche un po’ di limone.

Lo vedi.

«Senti, Kim mi aspetta.» Jared si guarda l’orologio. «Lei ti riconoscerà perché tu sei… “Quello con il tatuaggio del lupo sul braccio”. Lei avrà una “E” di Evans sulla giacca per farsi riconoscere.  Una vecchia giacca del liceo, di quando era nella squadra di pallavolo.»

«I preservativi ce li hai, no? »

«Embry, non sono cretino. »

«Certo. Per questo ti ho detto io come si mettevano.»

«Avevamo quattordici anni.»

«Quindici.»

«Fai il bravo.»

«Sì, mammina.»

Mammina imprintata.

Lo seguo con lo sguardo, si dirige all’uscita con la testa bassa, le mani nei passanti dei jeans.

Le ragazze gli guardano il culo.

Che cosa si perde.

Le è passato davanti senza degnarla nemmeno di uno sguardo. Non si può essere così coglioni. Nemmeno a chiederle scusa dopo esserle andato a sbattere.

Ma si è sniffato il cervello?

La vedi.

Il vento di fuori le fa muovere i capelli.

Lavanda e limone.

La senti.

La stecca sta per scivolarmi dalle mani.

Comincia a camminare.

Porca zozza, ed io dovrei avere un appuntamento con un’altra, stasera?

I capelli rossi e lucidi le ondeggiano sulle spalle. Ha la pelle chiarissima, di Forks.

Perché non l’ho mai vista prima?

Porca… porca… porca…

Perché sembra che stia camminando verso di me?

Oddio, sta camminando verso di me.

Bene.

Benissimo, come sempre.

 Sono pronto.

«Ciao… ehm… Ephraim? » Si sistema la borsa a tracolla sulla spalla.

 Il viso bianco e le guance rosa sotto la luce verdastra della sala giochi.

«Ehi.» Mi appoggio con il gomito alla stecca e la guardo, la testa inclinata. Niente male, anche da questa angolazione.

«Allora sei Ephraim?» ripete. Ha la voce morbida, va liscia sulla musica che è una meraviglia.

«Più facile, Embry.»

«’Palle… mi ha scritto il nome sbagliato…» Stropiccia il foglio che ha in mano e se lo mette in tasca, sembra che sia scocciata.

Ok, calmo…

Mi schiarisco la gola. «Tu come ti…?»

«Sì, lo so, avevi un appunto con mia cugina… Lotte Evans, giusto? Tu sei… “Quello con il tatuaggio”.» Ha gli occhi chiari, sembrano verdi.

Faccio per dire qualcosa, le sorrido. Lei mette le mani davanti a sé, come per proteggersi.

«No, no, no, non dirmi niente.» Fa un respiro profondo. «Questione numero uno: IO non sono disponibile a dare buca a tutti i ragazzi con cui Charlotte deve uscire perché fa pace con quel cazzone del suo ragazzo delle medie. Questa è l’ultima volta. Cioè, per farlo mi ha dato venti dollari, e mi servivano perché… insomma, una cosa mia, non la racconto alla gente che non conosco! Questione numero due: IO non entro nelle sale giochi, non mi piace. Quindi è del tutto un caso che io sia passata di qui, e che mia cugina sia riuscita ad incrociarmi per fare questa cosa. Questione numero tre: IO sono stanca di farle da segretaria e questa è, appunto, l’ultima volta. Ormai i venti dollari ce li ho e devo accontentarla perché non sarebbe carino fare il contrario. Mi dispiace, Ephraim… sì, cioè, Embry, ma stasera non uscirai con quella… cioè, con Charlotte. Mi ha detto di dirti che è dispiaciuta e che…»

«Che ne dici di respirare?» Mi metto a ridere e le sue guance diventano più rosse dei suoi capelli. «Comunque stasera non mi andava di andare ad un appuntamento al buio, quindi va bene così.»

Scrollo le spalle. Sembra davvero nervosa. La maglietta blu le mette ancora più in risalto la pelle chiara.

Sopra c’è scritto, in piccolo, “Fuck you”. Se non la guardassi proprio lì, forse non l'avrei notato. 

Possiamo farlo insieme, se vuoi.

Non riesco a smettere di sorridere.

«Allora i tuoi amici ti vogliono… fare accoppiare.»

Ma dov’eri, fin’ora?

«Afferrato.»

«Ti dà fastidio.» Si stringe nelle spalle, esile.

«Già.» Mi passo una mano fra i capelli.

Ma perché fa quella faccia dispiaciuta? Di solito le ragazze sbavano.

Forse dovevo vestirmi meglio, ma chi ci pensava…

«Ora però me ne devo andare. Altrimenti scoppia la terza guerra mondiale… »

«Ehi, un attimo.»

«Altrimenti viene a prendermi l’armata degli Stati Uniti con tanto di bombe e cannoni e Demi Moore travestita da Soldato Jane. Con tanto di musichetta in sottofondo… anzi, non mi ricordo la colonna sonora di quel film, ma io proporrei “This is War”, la canta Jared Leto che è un figo pazzesco! Ehm… scusa, quindi… »

Il mio sguardo scende sulle gambe, indossa dei pantaloncini corti, sento caldo. Mi ricordo di altri appuntamenti, di come ho fatto a trattenere una ragazza con me.

Non è così difficile, su.

Si lecca le labbra, Cristo.

Le piace Jared Leto ed io non gli somiglio, cazzo.

«Ma no, dai, non andare…» Occhi da cucciolo. Funzionano sempre.

«Lo so come siete voi ragazzi della riserva, trattate le ragazze… come i fazzoletti, prima li usi e poi li getti. O come i pannolini dei bambini, si buttano subito dopo. O come la carta igenica... »

«Come ti chiami?»

«Devo scappare, sul serio. »

Si passa una ciocca dietro l’orecchio, si sistema la frangia.

«Su, dai, così ti posso trovare su pagine gialle.»

«Mi chiamo Ashley Stephens.»

«Embry Call.»

«Devo andare.» Fa qualche passo, lo sguardo fisso sulle sue scarpe. Mi metto davanti a lei e viene a sbattermi contro.

«Giochi a biliardo?»

Limone e lavanda.

«Senti, Embry… Conosco il golf, la pallavolo, il tennis, anche il football ma non il biliardo!»

Certo che è lamentosa. Si vede proprio che è una che studia. L’avrà finito il liceo? O forse va all’Università?

«Te lo insegno io.» Cerco di fare la voce dolce.

«Ho il cervello che si inceppa, sono lenta. Hai presente… “Il signore degli anelli”? Leggi cinquanta pagine, poi non leggi per due giorni e non ti ricordi una ceppa e devi sempre andarti a rivedere l’albero genealogico dei personaggi? » Gesticola con le mani. «Così! Una palla totale! Sì… ma io amo “Il signore degli Anelli”, non pensare che io… no, sul serio, per te sarebbe una perdita di tempo…»

«Non ho fretta.»

L’ombra di un sorriso nasce fra le sue labbra carnose. Resta in silenzio per un secondo ed io la guardo così, come se stessi osservando un paesaggio. Ha una fossetta vicino lo zigomo.

Le porgo la stecca, mi guarda. Appoggia la sua borsa – c’è la faccia di Spongebob sopra, fantastico! – su una sedia accanto a me.

Sorride ancora. «Lo faccio solo per tenerti contento, te l’ho già detto?»

Ho tutto il tempo del mondo.

«È bello sentirlo.»

***

«Ash! Ash, mi apri? Cazzo, Ash!» Sbraito, davanti alla porta di casa sua. Non mi perdonerà, stavolta. E non ho nemmeno un motivo da metterle di fronte per convincerla a farmi entrare e rivolgermi la parola. È mezzanotte e mezza, avremmo dovuto vederci alle otto e mi sono presentato solo mezz’ora fa. Ha ragione, tremendamente. Ed io sono un coglione. Un coglione che deve sempre obbedire al suo capobranco e stare di ronda ogni volta che viene richiesto.

La porta si apre.

Ashley.

Spingo con la mano.

«Ash?» chiamo il suo nome, la voce pacata.

Non farmi entrare da solo, Ash.

Faccio qualche passo.

Lei è già corsa via. L’altra volta si è chiusa in bagno, a chiave, e ci sono volute ore per convincerla ad uscire. Ha aperto la porta solo per cercare di prendermi a pugni, ma almeno sono riuscito a guardarla negli occhi. Bellissimi occhi verde prato, come la radura in cui mi sono svegliato dopo la trasformazione.  Quando ho capito che l’incendio aveva preso solo me e non quello che mi era intorno.

«Oh, Ashley…» Non mi risponde.

Spacca, spacca, spacca tutto. Ogni cosa che trovi si sgretola perché non ascolti la sua voce. Le tue bugie stanno diventando solo pioggia tossica, non lo vedi?

Le stai facendo del male.

Raggiungo la cucina.

È appoggiata al tavolo, il telecomando sotto il mento e i capelli alzati, qualche ciocca a caderle sul viso. Lo sguardo fisso sul televisore.

Le stai facendo male.

«Ash.»

Solo il silenzio.

Ecco la conseguenza. Quando ci siamo conosciuti mi ha colpito quanto parlava.

Tanto, tanto, tanto, a volte si imbrogliava lei stessa. Ma io la capivo benissimo e allora ridevamo della sua maglia con su scritto “Fuck you”. Sì, lei avrebbe voluto indossarla davanti ad un certo professore…

È assente, lontana, delusa.

Indifferente.

«Cazzo, non puoi farmi questo!» Spingo una sedia all’aria e mi pento perché lei sussulta. Viene fuori dal guscio in cui si è nascosta, con gli occhi socchiusi e la paura sul volto.

«Basta. Io non ce la faccio.» Abbassa il volume del televisore e appoggia il telecomando sul tavolo, piano, come se avesse tutto il tempo del mondo.

Ashley Stephens, futura biologa marina, rimane in silenzio per colpa mia. Mette a tacere tutte le parole, i riferimenti ai libri di fantasia e alle sfumature dei colori della barriera corallina. Si spegne davanti a me, mi toglie la facoltà di vedere con lucidità.

«A fare cosa, non ce la fai?»

«A stare con te. Con quell’altra organizzati meglio, se hai un appuntamento con me.»

«Altra? Quale altra?»

«Vaffanculo, Embry.»

Nei suoi occhi le fiamme si alzano. Mi mordo le labbra, sento il sangue nella bocca. Un’unica lacrima brilla sulla sua  guancia come un diamante, e basta a farmi sentire il Verme Licantropo più Coglione di tutto l’Universo.

«Ma no… Ashley, ma che dici?»

«Cosa vuoi che dica? Cosa fai? Passi tutto il tempo in sala giochi con i tuoi amici? Per quanto possano essere rompiballe, e invadenti e pieni di problemi, con fidanzate incinte, padri malati e disoccupati e tutte le cose che mi racconti… stai sempre con loro? Non ci credo. Passi tutto il tempo al negozio sportivo? Non ci credo. C’è un’altra? Sì, Embry, è molto più probabile, visto che la sera in cui i miei e mio fratello non sono in casa e possiamo stare soli tu… nemmeno ti degni di chiamarmi per dirmi che arriverai con quattro ore di ritardo!»

«Mi dispiace. È che Quil aveva un problema con la bambina piccola, Claire, e…»

«Fottiti, Embry.»

Stringo i pugni contro i fianchi e cerco di controllarmi. Non mi trasformerò, non lo farò, mi controllerò.

Ne sono capace. Ne sei capace.

La abbraccerò. La abbraccerai.

Le parlerò. Le parlerai.

Affonderò le mani nei suoi capelli. Ti aggrapperai.

Non posso lasciare che succeda veramente, io la amo.

Cazzo, io…

Io la amo.

«Ashley.» Le prendo la mano, si scosta. Dice tutte le parolacce che non mi ha mai detto in vita sua. È fantastica, lo so. Come quella volta in cui mi ha battuto a giocare a Bowling. Come quella volta in cui mi è andato di traverso un popcorn al cinema mentre la guardavo e ha chiamato la sicurezza. Come quella volta in cui l’ho accompagnata all’Università e mangiava caramelle su caramelle per calmare il nervosismo dell’esame.

Non sopporta che io la tocchi quando non lo vuole ed è proprio quello che sto facendo. Dio, quanto ti amo. Mi spara addosso tutti gli appellativi del mondo e mi viene da ridere se penso che potrebbe anche sputarmi in faccia. Altra? Ma che altra. Sono così coglione da essermi messo in questo guaio. Perché non è la prima volta che frequento una ragazza. Pizza, cinema, sesso a casa loro. Qualche bella seratina e poi ciao. Statti bene, Em. Anche tu.

Con lei non ce la faccio.

«Non c’è nessun’altra.» le dico. Lei si dimena ancora, piccola fra le mie braccia. La pelle umida della città e secca dello smog. Università, corso fuori sede a Port Angeles di questa mattina.

Da quanto tempo aspettavamo questa sera? Il bisogno di stare insieme aumenta sempre di più, anche adesso che lei mi odia da impazzire, da far impazzire me, da far perdere la testa a entrambi. È arrabbiata, non mi vuole più vedere, ma forse c’è ancora qualcosa che la tiene qui con me.

«Non è vero, sei solo uno stronzo! Ed io sono una cretina, una…. Una grandissima cretina… È finita.»

«Non è vero… non c’è nessun’ altra. È che sono incasinato… e mi dispiace, veramente. Mi dispiace, mi dispiace… per favore, non mandarmi via…» Io mi trasformo in lupo, Ash, è per questo che scotto. Potrei finire per bruciarti, per favore, non fare troppe domande. Facciamo i controlli lungo i confini, a ogni ora del giorno. Vi proteggiamo dai vampiri ed è un segreto, amore, non posso dirtelo, Sam me l’ha proibito.

«Vattene.»

«Ashley.»

«Vattene.»

«Ti prego.»

«Vattene!»

Continuo a stringerla e avvicino il mio viso al suo, per cercarla, trovarla, averla ancora. Non riesco più a trattenermi. Nemmeno quando la sua mano raggiunge il mio viso in un veloce, rumoroso, doloroso schiaffo sulla mia faccia. Non mi ferma nemmeno questo. Solo una specie di sorpresa iniziale, perché sento che è davvero presa dalla rabbia, o troppo ferita, o ancora invasa da quell’inutile complesso di non riuscire mai a farsi volere bene. Così quella mano la afferro, odore di mare, qualcosa di chimico ma lavato via bene. Amore mio, lavanda e limone. La ragazza che non smette mai di parlare e che ha pianto di dolore quando siamo caduti dalla moto e che ora annaspa sotto le mie dita. Ora che poso la bocca bollente sul suo collo e poi tocco la sua lingua con la mia.

È sempre la stessa storia, faccio sempre lo stesso errore.

«Embry…»

«Tu non vuoi che me ne vada. Non lo vuoi.»

Silenzio.

Ecco, così è un pugno nello stomaco. Quando non mi risponde e mi nega quell’insopportabile e bellissima parte di lei.

Non riesce a trattenere il tremore, quando le accarezzo la pelle che va dal viso a quella che le copre il colletto della camicetta.

Limone e lavanda, capelli rossi sul petto. Pelle bianca, il riflesso della piovosa penisola Olimpica.

Adesso è finita.

Sento la sua bocca sulla mia, le sue mani fra i miei capelli. Ventidue anni, tre più di me. Sento solo che se dovessi pensare a una ragazza con cui immaginarmi nel futuro lei sarebbe accanto a me, sempre.

Andiamo a sbattere con i denti, gemo. La amo, la amo, la amo. Se aspetto ancora potrei morire. La vita oggi c’è, forse domani sarà solo una parolina da scrivere su una maglietta, come “fuck you” la prima volta in cui l’ho incontrata. Mi faccio avanti, le nostre bocche ancora l’una sull’altra. Sento il suo respiro sul mio viso, le fermo le mani dietro la schiena e le sbottono la camicetta. Affondo la bocca sul suo petto e ancora giù, più giù, la stoffa stretta fra le mie mani, come se stessi per cadere. Ashley muove la mani su di me, solleva l’orlo della mia maglietta. 

Ci guardiamo un’ultima volta. L’orologio segna un’ora improbabile, notte fonda, notte di vecchi film in televisione, popcorn. Sta piangendo. Dio, perché sta piangendo? Avremmo potuto rimanere abbracciati sul divano tutto il pomeriggio, a fare i cretini, i fidanzati. Due persone che si amano anche se non se lo sono mai dimostrati veramente e nemmeno se lo sono detti.

Forse questa volta non ha davvero niente da dire o non sa come dirlo o come organizzare i suoi discorsi da monologhi teatrali. Ma le parole affondano nella gola,  adesso che la faccio sedere sul tavolo e le sfilo i jeans, e le sue mani su di me mi fanno rabbrividire. Le bacio le guance rigate dalle sue lacrime, mi faccio spazio fra le sue gambe.

In silenzio, perché è notte, notte fonda.

Io sono libero solo adesso. Ed ho caldo e freddo nello stesso momento, ora che lei si aggrappa alle mie spalle, e si lascia amare. Mi muovo e la stringo con le mani e la bacio ancora. Sul collo e sulla bocca, e non mi fermo.

Non è finita.

Prendo tutto di lei, tutto quello che mi può dare.

Non c’è nessuna fine.

Si inarca ed io mi perdo a guardare il suo collo bianco, lei che non dice più niente e mi lascia il comando. Una collanina che scende sul suo petto, una “A” argentata che brilla sulla sua pelle.

Sono troppo lento, forse. E la cullo e mi lascio cullare dal suo respiro, la luce fioca, il buio.

Ti amo, ti amo, ti amo.

Facciamo sempre lo stesso errore e… Cazzo, non capisco più niente. Non capisco più niente da quando l’ho baciata e ora sta succedendo. Stringe le gambe intorno al mio bacino, forte. Le mie mani sono sulle sue ginocchia, a tenerle strette. E spingo e tremo e la amo. Ancora, sempre, non voglio smettere. La sua pelle, le sue mani, le sue labbra.

Sento i suoi denti graffiarmi la spalla. Adesso sono troppo veloce, troppo forte, troppo menefreghista da chiederle che cosa vuole. Sento la sua carezza sulla nuca, mi abbasso, occhi negli occhi. Continuo e lei li chiude e li vedo lo stesso, verdi come la radura che mi ha salvato, perché anche lei mi tiene vivo ogni giorno. Li chiude in una smorfia che ho visto altre volte, qualche parola stretta fra i denti. Mi sento percosso da qualcosa che mi fa sentire freddo, i brividi partono dalla mia spina dorsale e volano sul cervello. Ogni cosa si spegne, non esiste più niente. Mi sto solo muovendo e non potrei parlare nemmeno se lo volessi.

Adesso può sentirmi. Le sto dicendo tutto.

Sono suo, lei è mia, non mi importa chi sono, chi è lei, cosa c’è nel mio sangue, cosa c’è nel suo, cosa posso fare, dove posso andare, quanto posso dire. Non importa, mi sta amando, mi sta baciando, non mi fermo. Sento il suo grido e l’onda mi percuote e mi toglie il respiro, non sono più io e ritorno me stesso con lei.  E il buio diventa una luce bianca, la tempesta del mare, e il fuoco che esplode nel lupo, io e lei e basta.

Fuggo in un urlo che mi fa sentire nuovo, mentre lei si accascia sul tavolo ed io non me ne accorgo e quasi la schiaccio, le mani ai lati della sua testa.

Apro gli occhi, lei sotto di me, alla luce della televisione con l’audio bassissimo. Pubblicità di una crema dimagrante.

Squallido.

Fra le sue gambe, a sfiorare un libro ancora aperto, odore di evidenziatore, lacrime di rabbia.

Fra le sue gambe, su un tavolo.

Squallido.

Mi stacco da lei, veloce. E la vedo coprirsi con quelle mani che mi fanno andare in fibrillazione. La camicetta è finita sulla sedia, dall’altra parte. Non ho nemmeno avuto la decenza di togliermi tutto, lei ha ancora i capelli legati. Ho i pantaloni abbassati che mi fanno inciampare e mi faccio schifo da solo. Me li alzo, lei ha ancora l’affanno. Prendo la camicetta e gliela porgo, senza dire niente.

«È… È tardi, io…»

La voce mi muore nella gola.

Non è vero che mio nonno si è ammalato, non l’ho mai conosciuto.

Mi dispiace tanto, Embry.

Non è vero che la ragazza di Paul è rimasta incinta, lei studia fuori città.

Che casino, mi dispiace.

E non è vero che Quil aveva bisogno di aiuto con Claire. Sa cavarsela benissimo da solo.

Non se la rimette, quella camicia. Nuda e con le guance rosse di calore, la usa come coperta. Il suo sguardo mi trova ed io non riesco a sostenerlo. Non ho più fiato, non ho parole, non ho un modo per dirle che ora, qui, per me, è la cosa più importante che ho. Perché voglio cominciare da quella cosa e non posso…

Scappa via e mi do l’ordine di essere più veloce. Cerco di avere gli stessi pensieri di un Alpha, di immaginare la voce di Sam che mi dice puoi farlo, puoi dirle la verità. Ma non ce la faccio e sento solo la mia voce del cazzo, piccola, sottile,  prostrata al volere di un altro capo. Che non dà ordini e esprime solo desideri che non verranno mai ascoltati.

E così sarà sempre,  fin quando lei non si sarà completamente stancata, o arresa a quest’evidenza.

Uno stupido che è abituato ad avere tutte le ragazze che vuole e che chissà per quale motivo non si è stufato di lei, anche se sono passati.. quanti, sette mesi? Un vero record. Arriva agli appuntamenti con quattro ore di ritardo e si impegna talmente tanto che alla fine riesce pure a scoparsela.

Siamo fottuti entrambi.

Perché se uno di noi avesse il coraggio di chiudere sarebbe meglio, soprattutto per lei. Ma questo coraggio non ce l’ha nessuno e facciamo sempre lo stesso errore. Allora ci sono lacrime e rabbia e bugie e amarsi in fretta, ovunque ci capiti.

E rimango zitto, con le mani fra i capelli, come un pazzo che sta per rompere qualcosa, quel vaso sul mobile, quella statuetta a forma di angelo, quel bicchiere di cristallo fuori dalla cristalliera. Posso dare un pugno alla finestra, mordermi le labbra fino a sentire la carne più profonda fra i denti.

È tardi.

Te la sei fatta e hai detto solo “È tardi”.

Fa male, Cristo, fa male tutto. Fa male questo, vederla correre, sentire i suoi singhiozzi. Col cazzo che ascolto di nuovo Sam. Lascio il branco se non mi dice di sì, la prossima volta. Chi se ne frega se non è imprinting, chi se ne frega se lui non ci vede niente di speciale. È tutto quello che ho, per la miseria. Devo dirglielo.

Mi sono appoggiato al muro con la schiena. Respiro affannosamente, la aspetto. Sento l’acqua che scorre dal bagno, è veloce. Sento il rumore degli schizzi sullo specchio, la sua voce. Ancora singhiozzi e lacrime, lacrime e lacrime. Io che vorrei abbracciarla e dirle che va tutto bene, vorrei dirle che lei non ha niente che non va, che il problema sono io soltanto. Questa non è  una cavolata che si dice per liberarsi di una ragazza, è vero ed è per farla restare con me.

Quanto tempo passa? L’orologio segna un’ora improbabile che è la nostra, l’unico momento che ho trovato per raggiungerla.

Sono passate ore? Quante ore?

Mi viene incontro con la maglietta blu e la borsa con la faccia di Spongebob. Mi abbraccia perché l’ho solamente aiutata a portare i libri in macchina. Sta sorridendo perché le ho detto che è la ragazza più bella che io abbia mai conosciuto, ha “Il signore degli anelli” sotto il braccio. Lascia che le dia un bacio, alla luce del sole.

So solo che sono scivolato a terra, lo sguardo fisso verso un punto indefinito del pavimento. Il rumore dell’orologio mi accende i nervi, è tutto inutile…  è tutta colpa mia. Che cosa ha fatto per sopportare questo? Le sue foto incorniciate mi stanno di fronte, appese al muro. Lei da bambina che abbraccia un peluche con suo fratello in culla, lei a quindici anni alla gara di tiro con l’arco, lei con la toga del diploma a fare una linguaccia che non ci azzecca niente. Splendida e lontana da me, l’unica cosa buona che può succedere è che tutto finisca.

Ma fa troppo male.

Esce dal bagno con un accappatoio, i capelli sciolti e lunghi che le scendono sulle spalle.

«Vattene, Embry.» La sua voce è roca, si spezza come se avesse il raffreddore, come se stesse ancora piangendo.

«Non voglio. »

«Abbiamo chiuso, elimina il mio numero dalla tua pienissima rubrica.  Questa passerà alla storia come la tua storia più lunga. Va tutto, bene. Ok. Va tutto bene. Va tutto bene. Va tutto bene…»

«Non è vero.»

Cerca di chiudermi in faccia la porta della sua stanza ma io sono molto più forte. Un altro sforzo e la spalanco completamente.

«Vattene! La capisci la mia lingua?»

La mia donna sembra una bambina che vuole solo dormire, è esausta, non vuole ascoltarmi, non vuole vedermi. Io la vedo, la sento.

«Io ti amo.»

L’ho detto.

Sì, l’ho detto. La amo. Ora lo sa. Poi saprà il resto, glielo dirò. Quando tutto il casino sarà finito chiederò a Sam, e se mi dice di no chi se ne frega, mi faccio un branco a parte, chiederò a Jacob. Non posso vivere così, ed io voglio stare con lei, voglio diventare logorroico come lei, raccontarle ogni cosa come lei fa con me.

È immobile, una statua di ghiaccio. Gli occhi serrati.

Entro nella sua stanza.

«Ti amo.» Le accarezzo i capelli. Apre quei suoi occhi meravigliosi, gonfi di lacrime.

«Lasciami stare.» Si allontana.

«Ash, dai.»

«Non mi toccare. Non mi toccare.»

La abbraccio. Si dimena per poco perché è debole e piccola e non sopporta che io la tocchi quando non vuole. Ma poi si lascia prendere. La tengo stretta al mio petto, i capelli bagnati che si sparpagliano sulla mia pelle. Freddo e acqua e lavanda, limone.

«Hai ragione, hai tutte le ragioni del mondo a volermi male.»

La sento tremare fra le mie braccia.

«Sei solo un cretino.»

«Lo so. »

«Smettila, ok?»

«Di fare cosa?»

«Di essere così.»

«Come? »

Mette le sue mani sul mio petto, per spingersi indietro, ma non ce la fa. Potrei essere di nuovo pronto per quello, ma devo controllarmi. La amo, il punto è questo.

«Così.» Chiudo gli occhi al suono della sua voce.

«Dimmi di più.»

«Mi fa male la gola.»

Sospiro. Poso la mia bocca sulla sua guancia bagnata di acqua, profumo di fiori.

«Ti amo.»

Alza lo sguardo, le sopraciglia inarcate. Sta cercando di farmi dire qualcosa senza chiedermelo. Fa sempre così, quando non parla.

«Dico sul serio.»

Le mie mani scendono sui suoi fianchi, a stringerla di più. Spero solo che la smetta di farmi parlare, perché non avrei molto da dire per sembrare migliore del Peggio che sono.

Faccio un respiro profondo.

«Sono un fidanzato orrendo.»

Non avremmo nemmeno dovuto incontrarci, quella sera. Ma ero stato così bravo da farmi avere il suo numero. Poi ha cominciato a parlarmi di quello che è veramente, e là sono rimasto imbambolato. Ad ascoltare quella voce squillante che è la sua. Non avrei potuto impedire tutto il resto nemmeno se l’avessi voluto. Ci sono voluti due mesi e mezzo per un bacio, altri tre per avere quello che ho sempre ottenuto subito. So solo che mi sono sentito il ragazzo più felice della terra, quasi non avessi mai provato una cosa simile.

«Sì, sei orribile.» La tengo stretta, lei mi sussurra qualcosa,  sempre la stessa cosa che io non capisco comunque. Che cosa mi sta dicendo? Il  tessuto dell’asciugamano è così fastidioso che potrei strapparlo.

«Ash?»

«Mhm?»

«Quando tornano i tuoi? »

«Fra due giorni.»

Sorrido.

«E devo studiare.» Mi si attorciglia lo stomaco, mentre penso che preferirebbe studiare biologia invece di stare con me.

«Lascia perdere i libri.» Le bacio il collo, la mia mano scende dove l’accappatoio copre la sua pelle. Tremo insieme ai suoi brividi. «Ti amo.»

La sento serena sulla mia bocca, sul palmo delle mie mani, negli occhi, in ogni attimo.

In ogni sospiro.

Stupido, bellissimo, inevitabile errore.

 

 

Si mette addosso una maglietta blu, e sembra proprio che sia quella maglietta, come scordarla. Si gira ed io mi costringo a tenere gli occhi chiusi. Il materasso cigola, si è seduta accanto a me, io la vedo anche se sono con le palpebre chiuse. 

La sento, la vedo.

«Alzati, pigrone!» Questo è un vero e proprio spintone. Apro gli occhi e sì, la maglietta è proprio quella. C’è scritto “fuck you” in piccolo, vicino al seno.

«Dkjhgkdjhfdjghj.» Mi rigiro fra le lenzuola.

«Mhm?»

«Ti prego, non dirmi che ho sognato.» La mia voce è impastata di sonno, ma tengo gli occhi aperti lo stesso.

«Sei a casa mia.»

«Nel tuo letto.»

Sorrido così tanto da stirarmi la faccia.

«Forza, mi servi.» Indossa solo quella maglietta e un paio di mutandine, e quelle gambe lunghe e bianche sono davanti a me. La parola “fuck” sopra tutto questo splendore non mi aiuta per niente. Lo so, non cambierò mai.

«Puoi usarmi come più ti piace.»

«In pasto agli squali.»

«Diventerò un sirenetto.»

«Si dice tritone!»

«Ah, eh, scusa. Non sono io quello Nerd, qua.»

«Non sono Nerd. Nerd sono quelli che giocano ai videogiochi, i maghi del computer, sono capaci di entrare in un sistema di sicurezza, crackare, huckerare…»

«Lo so, amore. E anche se lo fossi mi piaceresti comunque.»

Mi abbraccia sì, ancora, piccola. Non voglio alzarmi mai più da questo letto. Va tutto bene, va tutto benissimo. Se incrocio di nuovo Sam ricominceranno i guai. Mi farà domande su domande, e dirà sempre le stesse cose…

«Dolce per essere stronzo. Ed io ne ho conosciuti parecchi, di stronzi. Il primo è stato in prima media, oddio, non puoi immaginare quanto odio quando…»

La zittisco con un bacio, e non mi stacco da lei fin quando respirare diventa l’unica cosa a cui possiamo aggrapparci per tenerci in vita. Anche se voglio che la mia vita sia lei.

«Ti amo, te l’ho già detto?»

Ride. Facciamo sempre lo stesso errore.

Ormai non abbiamo scelta ma chi vuole averla? È semplicemente il motivo per cui sono qui.

«È bello sentirlo.»

*

*

*

*

Embry e Ashley

Dedicato a Noemi, perché lo ama, perché è sempre disponibile per sclerare e perché la adoro :)) 

Grazie davvero, tata <3 <3 <3

Allora, questo è un missing moment di Destiny heart, ma si può leggere pur non conoscendo la storia, non ci sono spoiler. Certo, scometto che chi ha letto l'ultimo capitolo di Destiny heart vorrà farmi fuori dopo questo XD Comunque credo che Embry dovrebbe sdebitarsi con Noemi perché lei gli sta procurando diverse relazioni. A Embry piacciono le rosse, ormai è canon... lo abbiamo deciso noi XD. Faccio parte di un gruppo che si chiama Embry's Angels, quindi tutto quello che è successo in questa storia è stato deciso dalla provvidenza divina di Santo Pino di Forks *i cori degli angeli cantano*

Spero che questa one-shot vi sia piaciuta, a me è piaciuto tanto scriverla <3 Se volete potete lasciarmi la vostra opinione <3 Vi consiglio di ascoltare la canzone che vi ho linkato all'inizio, Same Mistake di James Blunt, io la adoro :)

Grazie davvero per aver letto <3 <3 <3

EDIT. Una mia amica mi ha convinto. Una volta terminata Destiny heart continuerò la storia di questi due ragazzi. In realtà già ci pensavo, voglio ancora scrivere di loro <3.

EDIT. Questo primo capitolo è arrivato secoso al contest [MULTIFANDOM & ORIGINALI FLASH CONTEST] show your best- solo storie edite di Postergirl <3 <3 e ha vinto il premio "miglior scena rossa" *.*

premio

Grazie davvero.


Ania <3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 ***


same mistake 2

2.

Sono le dieci e cinquantuno.

Tìn.

Sono le dieci e cinquantadue.

Tìn.

Sono le dieci e cinquantatre.

Tìn.

«Ashley? »

Seguo la voce e Mary è davanti a me. Scuote la testa, una ciocca nera le finisce davanti agli occhi in tutto il suo disordine.

«Vuoi che mangi le tue patatine?» Annuisco senza nemmeno pensarci. Mi toglie la vaschetta di mano così velocemente che mi sfiora il cellulare che ho poggiato sul tavolino. L’unica cosa a cui cerco di pensare è non cadere, ti prego.

Dio… sta cadendo!

Tìn.

Si sente il rumore del campanellino delle ordinazioni. Riesco ad afferrare il cellulare con tutte e due le mani e trattengo il fiatone in corpo.

Si sente l’odore di fritto della pizzeria.

«Tu sei proprio svitata.» Mary addenta una patatina e mi passo una mano fra i capelli.

Il sorriso mi scompare dal viso in un attimo.

Tìn.

Non chiamerà.

 

L’aria umida di fuori mi arriva in fronte, sospiro. Aspetto di sentire nella mia tasca una vibrazione che so benissimo, non arriverà mai.

«Ma mi spieghi che cavolo ti prende?» Mary prende le chiavi della sua auto dalla borsa e mi guarda, le sopraciglia inarcate.

Non ci sarà nessun “buon giorno”, “buonanotte”, “ciao”, “che fai?”.  

Lui è andato, disperso.

Estinto.

«Ma che cosa vuoi che mi prenda? Io volevo dirtelo, ma se mangi le patatine fritte è normale che non ti si abbassi il colesterolo. E ho capito che è una cosa di famiglia, ma non puoi sempre aggrapparti a quello che dice tua nonna. Vedi, non ti dice cose costruttive. Se ci fosse stato Albus Silente sicuramente ti avrebbe detto qualcosa come… »

«Ash. »

«Sono le scelte che facciamo, Harry, – in questo caso, Mary – che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità. »

«Ash. »

«So che tu reputi i libri fantasy robetta per bambini, ma no, non è assolutamente così. “Harry Potter” è la saga per eccellenza, per qualunque età, qualunque persona. Non puoi giudicare una persona una bamboccia perché legge “Harry Potter”, capisci? E quello che dice Albus Silente non te lo dirà mai nessuno, capisci? Nessuno! E lui è morto alla fine del sesto libro e ho pianto tanto, tanto, tanto… »

«Ash, ma non la senti la vibrazione del tuo cellulare? »

«Cosa?! » Mi metto la mano in tasca e lo afferro. Sullo sfondo ci sono io in una mia deplorevole smorfia. «Non c’è nessun messaggio. »

«Appunto.» Mary apre la portiera. Sbuffo e mi infilo nella macchina, le gambe al petto.

“Mi dispiace, piccola. Ti prometto che stasera ci vediamo.”

“ Alle otto?”

“Alle otto, minimo.”

 È arrivato a mezzanotte.

«So bene quanto sia stato eccitante tastare ogni superficie liscia di casa tua con un ragazzone di La Push a riempire il vuoto che hai dentro… »

«… Mary! »

«Io studio filosofia e tu biologia. Trai le somme. Sapevi che sarebbe andata così, no? »

No, non so niente. So solo che adesso piove; comincia a piovere e lui non è sulla strada, bagnato di pioggia. Ad aspettare di fronte all’università scrosciante d’acqua solo per parlare con me. Mi trattengo, non lo guardo, poi c’è la sua macchina e so che non voglio nient’altro che la sua bocca.

Mi passo una mano fra i capelli e sento il fuoco nelle guance anche senza toccarlo. Chiudo gli occhi, una canzone d’amore alla radio che Mary non si è ancora azzardata a cambiare.

«Sì.» Scuoto la testa. Il mio riflesso nel vetro è solo capelli di fiamme e occhi verdi sbavati dalla pioggia.

«Non ti chiamerà.» Mary armeggia con lo specchietto. «E nel frattempo tu ti darai alla pazza gioia. »

«Pazza gioia? Intendi fare sesso? Ma ti rendi conto della persona con cui sta parlando? Io non sono quel tipo di ragazza, non lo sono mai stata, insomma, lo sai. E sai anche che non lo farei nemmeno se si presentasse davanti a me Jared Leto, o Paul Walker, o Kurt Cobain pace all’anima sua di figo. Perché io sono una ragazza che ha ancora quei valori che la società si ostina a catalogare come morti e sepolti… »

«Io ho bisogno di dimagrire e domani mattina andremo a fare footing sulla spiaggia. » Mary si ferma al semaforo. La luce rossa si riflette sui suoi lineamenti rigidi, è tedesca in tutto e per tutto, non solo per le origini. Ed io sono sicura che la mia mascella sia finita a terra.

«Quale spiaggia? »

 

***

Chi vuoi che ci sia, alle sette di mattina, a Novembre, a LaPush?

Nessuno.

Ma siamo arrivate in spiaggia solo alle dieci. Forse è stata colpa mia, mi sono alzata tardi, ma Mary non ha fatto obiezioni.

«È la seconda volta che ti fermi, Ashley.» Mary corre dieci metri davanti a me, le sue scarpe da ginnastica che creano un’orma profonda nella sabbia bagnata.

«Forse sono stanca? » Prendo la bottiglietta dell’acqua dalla borsa e comincio a bere. Mary continua a correre. Corre veloce e non dà nemmeno il minimo accenno a voltarsi verso di me. Do un’occhiata al cellulare chissà perché.

È il suo modo di lasciarmi? No, perché se è così va bene. Avrei preferito una cosa faccia a faccia, ho un’intera collezione dell’Enciclopedia di “Esplorando il corpo umano” da buttargli addosso. Perché non  dormo, e non respiro e non vivo se non ho almeno una risposta, un segno dall’altra parte. Non posso avere nemmeno questo?

“Quando tornano i tuoi?”

“A momenti.” Ma parlo poco e le mie labbra sono ancora sulle sue. Il divano non è mai stato così scomodo in due eppure so che potrei restare così per sempre. Mi mordicchia le labbra.

“Vuoi che ci becchino?” Rido, sospiro. Mi bacia il collo e lo odio, lo voglio, non lo sopporto. Si stacca da me con un gemito, mi dovrò mettere una sciarpa per una settimana per questi segni rossi. Si alza dal divano e recupera i jeans, la maglietta. “Ti chiamo io.”

E sorride in un modo che fa morire, i capelli che gli cadono davanti agli occhi.

Lo vedo, come mi ha chiamato. La borsa a tracolla mi scivola dal braccio e la aggredisco con un calcio. 

‘Palle. Non è colpa della borsa. Embry. Perché non mi molla? Perché ci tiene tanto a fare sesso proprio con me? Perché non si scoccia di starmi a sentire? Perché si lascia insultare?

‘Palle. 

E tanti calci.

Nella borsa c’è il cellulare, cretina!

Alzo lo sguardo.

Ci sono tre ragazzi.

Senza maglietta, –  è Novembre, ma come fanno? – hanno tutti la stessa carnagione bronzata e riflessa dal sole.

Un ragazzo lascia il gruppo e si dirige verso la riva.

Aguzzo la vista.

Tutti i raggi del sole si moltiplicano verso di lui, e un sorriso bianco splende più di ogni cosa perché mi sta guardando ed io potrei sprofondare perché è troppo lontano.

Embry.

Sto correndo e mi sto divertendo.

«Ashley? »

Mi sento volare e lo stomaco balla e ogni cosa trema mentre lui mi prende per i fianchi e sono fra le sue braccia, così piccola e forse leggera da essere sollevata almeno per metà dalla sua spalla.

«Mettimi giù! »

I miei pugni vanno a finire su quella schiena tesa che ora si sforza per me, perché i miei piedi lottano nell’aria per scendere giù. Sta infrangendo la legge di gravità per tenermi così, lo metteranno in prigione? Lo spero, almeno questa volta avrà una buona scusa.

«Mettimi giù, idiota! Non voglio essere neanche minimamente toccata da uno come te! Ti sto mandando messaggi da due settimane e non ti degni nemmeno di rispondermi. Mettimi giù, stronzo che non sei altro!»

Ecco la terra friabile sotto le mie scarpe. La testa mi gira e il cielo è troppo vicino, un soffitto troppo basso. 

«Anche tu mi sei mancata, piccola. »

No.

Mi sta abbracciando.

Allaccia le sue mani alla mia schiena e respira sul mio collo. Ed è gioia e euforia anche se è silenzioso, perché non capisco. Non capisco perché continuo a dirgli stronzo, e ti odio, ancora e di nuovo. Ma lo abbraccio e ha il profumo più buono del mondo, foresta e menta, mare e salsedine.

«Dovevi aspettare che ci incontrassimo per caso? » gli chiedo.

«Niente è per caso. »

Sbuffo. E sciolgo l’abbraccio così lentamente che posso leggere la sua delusione come se se la fosse dipinta con l’inchiostro. Quanto mi fa male quando mi guarda.

Ricomincio a correre.

«Ash. »

«Diciassette messaggi.»

«Lo so. »

Continuo a correre e non è più footing. Sto solo scappando da quello che non voglio incontrare perché mi farà male, inciamperò e sanguinerò e non voglio guarire perché non voglio ammalarmi. È lui che mi ha detto ti amo, non sono stata io. Non voglio più vederlo se continua così e non riesce a capirlo. Non voglio più vederlo, perché non riesco a dirlo?

«E allora? Tornatene da dove sei venuto. »

«La spiaggia è… pubblica? »

«Io non sono pubblica. » Sospiro. Sono stanca di correre, di correre via da lui, correre da lui, correre e correre e “correre” è tutta la mia vita da quando lui ci è entrato dentro. Non gli basta spingere e farmi vedere il mondo, costruisce favole in cui non potrò mai credere e le fa cadere davanti ai miei occhi con tutte le cose che non mi dice.  

«So anche questo. »

«Ma a me sembra che non te ne importi. Volevo vederti ma mi hai fatto perdere tutte le speranze. Odio essere trattata così.»

Non so come succede.

Cos’era, una corteccia? Che ci fa una corteccia in spiaggia? Sento il sapore della sabbia in bocca, l’acqua che mi bagna i vestiti e prego tutti i santi e i folletti che conoscono. 

Ti prego, dimmi che non è vero.

«Puh. » Sputo fuori la sabbia. Dio, che schifo. Ci mancava solo questo. Un’altra onda mi travolge.

Voglio morire.

«Ehi.... sta' attenta, ti sei...»

Mi metto in piedi, così almeno non sembro davvero morta. Non mi farò seppellire nella sabbia. Sento Embry che mi prende la mano e il suo petto mi percuote, perché sta trattenendo una risata.

«Dov’è finita Mary? » dico. La cerco con lo sguardo e vedo la sua chioma nera. Sta parlando con un ragazzo e si volta solo per farmi l’occhiolino.

Ma che stronza.

Embry ride senza contegno.

Ma che stronzo.

Perché sulla terra c’è questa miriade di stronzi?

«Ashley, tu mi fai morire.» Si passa una mano fra i capelli e un leggero venticello mi fa sentire il freddo nel punto in cui l’acqua mi ha bagnato. Incrocio le braccia.

«E allora muori! » Cerco di togliere via la sabbia che mi si è appiccicata ai vestiti. «Chi me lo doveva dire. Lotte avrebbe fatto affari con te, lei che ama questo tipo di relazioni ma io non lo so, non capisco niente… devo finire la tesi e leggere quel libro e non ti voglio vedere...Tu e la tua faccia di bronzo! Smettila di ridere sei… sei… »

Tremendamente bellissimo quando i capelli gli si scompigliano e lui sorride?

No!

«Lasciami indovinare… » Si porta la mano al mento, poi la fa scendere sul suo petto, come se non si curasse di niente. Come fa a non avere freddo? «Volevi dire stronzo, vero?»

Mi mordo le labbra. Trovo una ciocca di capelli da intrecciare al mio dito e non distolgo lo sguardo dai suoi occhi, nocciola caramellata che scende lenta su di me. «No. » Nocciola caramellata che si scioglie su di me.

«Echinometra mathaei!»

Ben detto.

«Eh? »

«Ah! » Cerco di dargli uno schiaffo ma mi schiva. Sbuffo e mi vanno i capelli davanti agli occhi. Ho freddo, mi abbraccia e un brivido mi prende la schiena. Il freddo passa con un battito di ciglia e non riesco a staccarmi da lui. «È la razza di un riccio di mare! Ed è davvero orribile.»

«Vuoi leccare la parte dolce?» 

Apro la bocca per dirgli qualcosa di memorabile ma il massimo che mi viene fuori è solo uno schiocco di lingua.

Si lecca le labbra.

«Scemo. » Sospiro. Sento dolore quando mi stacco da lui e mi stringo la borsa vicino alla coscia. Sto tremando. «Devo andare.»

«No.» E nella sua voce non ci sono più scherzi. Cerco di ignorarlo, perché continuo a tremare?

«Mary?» La mia amica è troppo indaffarata a… flirtare?

«Vieni con me, dai. »

«No! » Embry cerca di afferrarmi per il braccio ma io mi scosto. «Non verrò a casa tua! L’ho già vista da qualche parte, questa scena. Lui che la porta a casa e lei che è tutta bagnata e infreddolita e lui che dice cose tipo “stingiti a me, baby” e lei – che sarei io – dovrebbe guardare lui con gli occhi da pesce lesso per poi… »

«Ma zitta mai, tu, eh?»

Sono così impegnata a lasciarmi andare ad una risata che mi ritrovo intrappolata nella sua presa. Sì, lui sa addirittura camminare veloce. Sorpassiamo i suoi amici, ridacchiano. 

«Lei è la rossa che invade sempre i tuoi pensieri? » dice qualcuno. 

«Sì, e che pensieri! » È la voce di qualcun altro.

Benissimo. Embry deve aver raccontato delle cose di noi… e se ha raccontato delle cose di noi o è perché sono importante o perché se l’è voluta tirare.

La seconda, ne sono certa.

Embry mi spinge in macchina e mette in moto. Batto i denti, cerco di sistemarmi i capelli. Guardo nello specchietto retrovisore. La riga che mi sono fatta stamattina è un zig zag imprecisato. Ho ancora un po’ di sabbia sulla guancia e… oddio…

«Io volevo chiamarti. » Embry stringe la mani sul volante e guarda davanti a sé. «Ho avuto dei problemi e sul serio, Ash, io volevo chiamarti ma… »

«Potresti cominciare a parlarmi di questi tuoi problemi. » 

Incrocio le braccia e aspetto.

Lui deglutisce.

Imbocca una curva.

Si passa una mano fra i capelli, il suo profilo accarezzato dai capelli castani chiari che non sento sotto le dita da due settimane sullo sfondo del finestrino.

Parcheggia.

«Sono davvero estasiata dal tuo discorso.» 

Esco dall’auto e la pioggia mi bagna. Corro sotto il portico e lui addirittura riesce a superarmi. Dai suoi capelli cade qualche goccia. Gli bagna la mascella, scende sul collo, e poi sul petto.

«Non posso parlarne. » Apre la porta, entro in casa e quasi non riesco a concentrarmi su quello che dovrei. È la prima volta che metto piede in casa sua. Mi prende per il braccio e incontro di nuovo i suoi occhi. «Questo non significa che tu non sia importante. »

Certo.

Ed io ci credo davvero, no? Ne so abbastanza su di lui. Abbastanza per essere sicura che queste sono frasi fatte, molto probabilmente usate per diecimila ragazze. Ma perché dobbiamo sempre arrivare a questo punto?

Poteva dirmelo chiaramente. Gli avrei detto di no e punto. Ciao.

«Ma vai a cagare. »

«Veramente il bagno è di là. Vuoi toglierti la sabbia di dosso?»

«Posso anche farlo a casa mia. »

«O posso aiutarti io. »

«A fare cosa? »

«A toglierti i vestiti.»

«Ah-ah, molto, molto simpatico e brillante e divertente… »

«Mi manchi. » E me lo dice con una voce che viene fuori piano, è lenta e vibra fra i muri, raggiunge le mie orecchie e tremo di nuovo.

Anche tu.

Sospiro. Non so come mi ritrovo fra le sue braccia e lui mi respira sul collo come se questo fosse sempre stato il suo posto e anche il mio. Le sue mani premono sulla schiena, mi ritrovo schiacciata contro il muro e non riesco a smettere di rabbrividire. Embry alza lo sguardo, socchiude le labbra come per passarsi la lingua sopra.  Ma insieme alla bocca socchiude gli occhi e mi respira addosso. Le sue labbra sono morbide sulla mia, e la sua lingua mi tocca e non so che cosa faccio, come mi ritrovo alta quanto lui, a sostenermi alle sue spalle. Le mie mani fra i suoi capelli, setosi, qualche nodo sotto le mie dita.

Geme.

Apro gli occhi e la sua pelle è bollente sotto le mie mani.

Che cosa sto facendo?

«Vado… vado…»

«Ash… »

Mi chiudo la porta del bagno alle spalle e la chiudo a chiave. Respiro forte. Non ci credo. Stava per succedere di nuovo. Dio, lo voglio. Una volta ogni due settimane, ogni giorno, ogni minuto... ma… cosa mi sta succedendo? Perché è nei miei pensieri in ogni secondo?

Mi spoglio.

Perché non vedo l’ora di risentirlo, e mi arrabbio quando non mi dice perché non mi ha chiamato e vorrei che fosse sempre la verità, vorrei che parlasse davvero con me…

Entro nella doccia.

Perché non lo fa? Che cosa succede nella sua vita? Ho fatto qualcosa che non dovevo? Dio, voglio aiutarlo. Voglio esserci per lui, ma perché lui non c’è? Entra nella mia vita ed è un uragano, mi lascia con il suo odore addosso, il ricordo dei suoi baci e la sua voce che mi striscia nel sonno. È così perfetto quando finalmente riesco a dimenticarmi di mandarlo a quel paese. E invece…

Mi metto un accappatoio addosso.

Sul lavandino ci sono solo due spazzolini. Uno blu e uno rosa.

Uno blu e uno rosa.

Convive con un’altra!

«Ash, mia madre ha lasciato dei vestiti puliti sul cesto. »

Oh, grazie al cielo.

Mi avvicino al cesto e la prima cosa che prendo è una camicia tremendamente larga. Il resto sono jeans in cui potrei entrare per intera. «Ma questa è roba tua.»

«Scusa ma non ho la taglia Small. » Sbuffo. «In nessun campo. »

Mi rimetto almeno la biancheria intima e una camicia a quadri, azzurra come la maglietta che avevo quando ci siamo visti la prima volta. Dio, la maglietta che ho messo quel giorno alla sala giochi. Figuriamoci se lui se la ricorda.

È così bello.

Esco dal bagno, sono a piedi nudi e non penso a niente. Sono solo tanto stanca di arrabbiarmi per i ritardi, le volte in cui non mi risponde al telefono, quella che poi dimentica tutto un paio d’ore dopo in cui l’ha rivisto. Il punto è che un paio d’ore non è ancora passato, ma il cuore mi canta nel petto quando mi appoggio alla porta, sulla soglia della sua camera, e i suoi occhi sono un po’ arrossati, ugualmente splendono contro il riflesso della tv.

Gioca alla playstation e mi viene da ridere.

«Ehi.» Mi sorride.

«Ehi. » Non gli sorridere, non gli sorridere, non gli sorridere…

Sorrido.

Continua ad armeggiare con il joystick.

«Il bagno è libero.» dico.

«Vuoi ancora che vada a cagare? »

Sbuffo, i miei capelli sono ancora umidi. Sento l’eco del gioco che fa “Game over”. 

Mi giro verso la televisione.

«Ma hai perso? »

«Mi hai distratto. » Una luce che ho già visto altre volte si accende nei suoi occhi. Si alza dal letto ed io resto lì, attaccata al muro quando so che, se voglio davvero allontanarmi da lui, dovrei pensarci subito.

Ma non ci penso.

Mi prende per le spalle e mi sfila la camicia, la fa cadere a terra. Chiudo gli occhi  e la sua bocca è sul mio collo, a sussurrare. 

«Se ti potessi contattare con il pensiero sarei con te in ogni momento. »

Sei già con me in ogni momento.

Gli accarezzo i capelli e non so cosa mi succede. Trattengo le lacrime. Perché mi guarda in questo modo? Non ci stiamo lasciando. È vero che gliel’ho detto tantissime volte ma non ci riesco, non ce la faccio, è lui, è Embry, ed io sono fottutamente incasinata.

Che cosa gli succede? Lo vedo stare male, che cos’è che lo strema così tanto?

«Se solo… »

Mi bacia. Mi bacia e gli mordo le labbra e sento di dimenticare. Dimenticare. Ogni cosa diventa nebbia e lui diventa nitido e vero nei miei pensieri, ancora di più. Come se non lo fosse già sotto le mie mani. Si passa la lingua sulla bocca e prende ad accarezzarmi. Le mie gambe sono intorno al suo bacino e non vedo più niente.

Lasciati guardare, voglio vederti. Passo troppo tempo a sognarti.

«Guardami. »

E lo guardo. Mi mordo le labbra mentre la sua mano mi raggiunge, e il ritmo è più veloce e lo sento sempre più forte. Gli graffio le spalle con le unghie e sento solo che potrei urlare se non finisce. Sono stanca di sognarlo, voglio che esista davvero.

Ora è dentro di me e dico il suo nome. Lo sto chiamando mentre spinge ed è forte. Lo sto cercando, mi sta cercando con tutte le sue forze. Lo sento e le lacrime mi attraversano il viso. Scende con la bocca sul mio petto ed io stringo, e lui spinge. E ancora, e sempre più forte. 

E non smettere perché deve essere abbastanza per restare anche quando tu sarai andato via. 

Inarco il collo, cerco la sua bocca. Dio, quanto dovevo aspettare per averlo qui con me? E perché mi sento così? Stiamo facendo l’amore e mi fa male perché mi manca. Mi manca tutte le volte e ora siamo insieme e mi manca. Perché non mi dice altro che questo. Come può amarmi così senza dirmi davvero la verità? Sono così sua che sento le sue mani come il fuoco e mi sta lasciando dei marchi che non si cancelleranno mai.

Mi graffia le cosce con le sue mani, non si ferma. Va veloce e forte e mi guarda, trova la mia bocca, resta con quegli occhi aperti con le ciglia lunghissime e voglio baciare anche solo quegli occhi per averli per sempre.

Mi lascio andare e lui mi sta seguendo. Posso sentirlo, gli sfugge un ringhio sul mio seno. Non posso credere di essere arrivata a questo. Ci guardiamo. Come fa a continuare anche se è finita? Sono sua sempre, anche quando sono solo occhi e sguardi. Mi lascia mettere i piedi a terra, piano. Ed io mi sento scivolare ed ho le lacrime agli occhi ed un sorriso ebete in viso perché lo amo da troppo tempo e non posso dirglielo perché altrimenti sarà vero e allora mi farò davvero del male.

«Stai bene? »

Ma che mi prende? Prendo il suo viso fra le mani e lo bacio. Lo bacio a lungo e lui bacia me. «Sto bene. » E lo bacio di nuovo. E lo voglio di nuovo. E lo amo. Quanto dovrò aspettare la prossima volta, un mese? Lo bacio ancora. E cade qualcosa perché Embry ha allungato le gambe e lui è altissimo. Rido. Mi solletica il collo con il suo naso. Morde. Lo amo. Recupero la camicia, forse abbiamo finito. Forse no perché lui torna su di me. Il pavimento è freddo, lui è caldo e ha il sorriso più vivo del mondo.

«Hai perso al settimo livello. Ora dovrai ricominciare tutto di nuovo. »

«Ne valeva la pena. »

«Ma mi fai capire che hai di strano? C’è un letto a un metro da noi eppure finiamo sempre… »E mi bacia di nuovo ed ha un sapore che non riuscirò mai a dimenticare. Lo tocco. Sospira e lo scopro. Mi accarezza i capelli, il viso. Mi sfiora con le mani e la luce che gli ho visto prima negli occhi ora non mi fa nemmeno vedere bene, perché è tremendamente luminosa.

«Ti amo. »

Mi si chiude lo stomaco. Le farfalle volano e mi fanno il solletico. Embry mi guarda, la sua bocca scende fino al collo, e poi sulla pelle vicino al seno. Dio, lo amo anch’io.

«Embry… »

«Embry, sono a casa… mi aiuti con le buste? »

Embry si sposta improvvisamente, mi passa la biancheria e la camicia. Dio mio, dimmi che non sta succedendo davvero.

«Embry? »

«Sì, mà… un attimo… »

«Embry, Embry, ti prego, fai qualcosa, per favore, non posso restare qui mezza nuda… » E lo dico a voce così bassa che credo che nessun altro che sia un essere umano possa sentirmi. Eppure mi guarda e sono sicura che il suo rossore sia solo una piccola sfumatura del mio. Mi metto in piedi e mi prende per le spalle. È il momento meno opportuno per un abbraccio, lo so, eppure non faccio altro che aderire il mio corpo al suo.

«Ok, ok, ci sono… » biascica fra i miei capelli.

«Embry? »

Questa voce non è la mia.

Questa voce non è di Embry.

Questa voce è tremendamente vicina. 

Voglio un mantello dell'invisibilità!

*

*

*

*


Tanti auguriii a te! Tanti auguri a Noemi, tanti augurii a te! <3
                     Questo che questo capitolo è il tuo regalo di compleanno <3

Trascorrilo al meglio, gli anni passano ma sarai giovane sempre,

con i poster appesi in camera e la voglia di vivere e di sognare,

che ti renderà sempre speciale <3 <3 <3

Sei una forza della natura, carissima <3

Ti voglio bene

Et Voilà, ecco il secondo capitolo di questa storia, lo aspettavate?

Un grazie speciale ad Eryca, che ha letto questo capitolo prima di tutti e mi ha dato la sua benedizione ** passate a leggere la sua storia originale, non ve ne pentirete <3
Spero che vi sia piaciuto, mi sono divertita tanto a scriverlo <3, perché io sono una ragazza seria (...) e ho scritto cose serie (...) e va be', si fa per dire XD Dal punto di vista emotivo, vi dico che adoro Embry e Ashley insieme, e spero che piacciano anche a voi. Questa storia è nata come one shot ma ecco che diventa una long! <3 

Grazie a tutti quelli che mi lasceranno una recensione, sono proprio curiosa di sapere che cosa ne pensate <3

Grazie mille a tutti voi

Ania <3



Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1100567