You took my world and turned it upside down-

di HerEyesLightMyWay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** When our glances crossed ***
Capitolo 2: *** Don't let me down. ***



Capitolo 1
*** When our glances crossed ***


L’ho notata appena ho posato gli occhi sull’audience. Lei era lì, come una presenza intangibile che occupava tutta la stanza. Il mio sguardo spaziava sulla sala, e ho incontrato molte paia di occhi, ma nessuno mi ha inchiodata come i suoi. In una manciata di secondi sono stata costretta a guardare di nuovo in quel punto, ed eccola lì, di nuovo. Gli occhi piantati su di me, con un’espressione indecifrabile che mi ha fatta rabbrividire.

Ho finito il mio numero di ballo – quello che peraltro odiavo più di qualsiasi altro, e mi sono diretta dietro il banco, per iniziare a remixare una canzone anni ‘70 del mio repertorio, una delle mie preferite, con cui speravo di scaldare almeno un po’ il pubblico. Era totalmente demotivante. Da anni ormai facevo quel lavoro, la stripper DJ per certi club un po’ trasognati del Lower East di Manhattan, ma mai come quella sera il mio pubblico era stato tanto poco collaborativo. Eppure non ero più vestita del solito, sempre il solito bikini. Ogni tanto mi trovavo a domandarmi perché non potessi cominciare con certe perfomance più “sobrie”. Un paio di shorts, una maglietta dei Metallica. Ma poi mi disilludevo, chi credevo d’incantare? Probabilmente, anche se non era un granché da pensare, l’unica cosa che attirava i visitatori era il fatto che ballavo mezza nuda sul palco, non il fatto che remixavo vecchie canzoni ormai reputate obsolete da gran parte dei miei spettatori. Se il mio intento fosse stato quello di metter su spettacoli vestita di tutto punto, avrei fatto meglio a fare volontariato alla mena dei poveri. Dovevo sporcarmi un po’ le mani, se volevo guadagnarmi l’attenzione di quei depravati.

Tanto più che ormai, da quando non mi sono più fatta vedere a figura intera sculettando davanti a un palo, la maggior parte degli spettatori ha distolto l’attenzione da me. Per quel che me ne fregava, potevano anche uscire. Ma lei? Nello stesso attimo in cui l’ho pensato, mi sono sentita gelare. Se lei fosse uscita? Mi sembrava idiota pensarlo, ma nell’attimo in cui avevo sfiorato i suoi occhi con il mio sguardo, tutta la mia vita era parsa concentrarsi sulla sua approvazione. Se a lei fosse piaciuto il mio spettacolo, avrei potuto dirmi fortunata.

Per l’intera durata dello show non sono riuscita a staccare gli occhi da lei. Così stravagante, così curiosa. Due occhi grandi così, e una curiosità e interesse in una dose tanto grande da ammazzare un elefante adulto. Io ero abituata alla curiosità, ero abituata all’interesse, e tutte le attenzioni mi scivolavano addosso come acqua fresca. Ma non le sue. Appena sentivo i suoi occhi posarsi su di me, rabbrividivo e guardavo in sua direzione. Quella frangiona nera estremamente demodé, quegli occhiali enormi messi a mo’ di cerchietto. Chi cazzo era quella puttana? Che cosa voleva da me? Dal momento in cui mi aveva guardata, mi ero sentita strana, diversa. Non ero mai stata imbarazzata nel fare ciò che facevo, ma quando ho visto quegli occhi scuri scandagliarmi, quella lingua inumidirsi le labbra perfette prima di portarsi il bicchiere di whiskey alla bocca, il mio mondo è diventato lei. I suoi occhi. La sua attenzione. Avrei fatto di tutto per tenerla su di me.

Finii il mio show con il numero reputato da molti più imbarazzante e fastidioso, quello in cui dovevo ballare su una panchina montata sul mio palco in un angolo del St. Jerome’s. Onestamente, tra tutti i locali in cui mi ero esibita fino a quel momento, il St. Jerome’s era il più squallido, il più sporco e il più umile. Tanto più che non ero nemmeno l’attrazione principale. Sapevo di essere imbarazzante, ma me ne fregavo. Mi piaceva quello che facevo, era il mio mestiere, ed era divertente vedere le facce sorprese o infastidite degli spettatori. Ma lei, no. Quando, in un momento della performance, mi sono girata verso di lei, nei suoi occhi non c’era ombra di giudizio. Mi guardava. E mi è parso quasi di vedere una scintilla di ammirazione. Ammirazione? Per me? Ho sorriso cautamente mentre finivo il numero. Un paio di applausi risuonavano per la sala, e quando sono scesa dal palco con il fiatone, ho visto che lei era in piedi. Si era alzata, per me.

E’ venuta da me, era straordinaria. Capelli castano scuro e foltissimi, con quella frangia incredibilmente kitsch a incorniciarle gli occhi verdi. Un top tigrato sopra dei jeans stretti verde smeraldo, e tacchi quindici su decolleté rosse e laccate. Un pugno nell’occhio, ma appena l’ho guardata negli occhi c’era un orgoglio, una sicurezza che invidiavo con tutte le mie forze. Era quasi ridicola ma il suo sguardo fiero le dava un atteggiamento sicuro di sé e sfacciato. Era strana, e mi piaceva.

- Sei stata fantastica,- mi ha detto. Io ero basita, e mi sono guardata intorno cercando qualcuno che non c’era. Si era rivolta a me? Io ero fantastica? C’era un che di ironico nella situazione. Ero talmente stupita che non ho replicato.

- Voglio dire,- ha continuato lei, - così sicura di te, così fuori di testa. Il modo in cui te ne freghi di tutto e di tutti, cazzo, è fottutamente grandioso.- Un mezzo sorriso mi è fiorito sulle labbra. Davvero mi reputava fottutamente grandiosa? Le ho indicato un tavolo e siamo andate a sederci. Lì lei ha ordinato un whiskey e io della birra.

- Davvero,- continua lei, - è stata una delle performance più pazzesche che io abbia mai visto. E’ l’unione di arte e seduzione,- va avanti sorseggiando whiskey come se fosse gazzosa, - e non sono mai riuscita a trovare entrambe in una sola persona. Sfioravi il volgare senza uscire dal provocante, voglio dire, fantastico- continuava trascinando un po’ le parole, e io mi sono persa nei suoi discorsi. Più colta di quanto sembri, mi sono detta. Io non sarei riuscita a condurre un discorso con tutti quegli aggettivi e descrizioni, tanto più che quando ero sul palco non pensavo a cosa facevo, lo facevo e basta, figuriamoci se mi mettevo a pensare di essere provocante senza “sforare nel volgare”. Dopo un po’ di macchinazioni, mi ha spiegato che anche lei era una performer, e che quella sera aveva imparato più da me che da chiunque altro nella sua vita, e che voleva essere come me. Quando l’ha detto mi ha guardata fissa negli occhi, con i suoi di quel verde scuro sottolineati dal frangione a farla sembrare quasi sempre imbronciata. – Esibiamoci insieme. Io canto e suono la tastiera. Settanta e trenta per il primo mese, se ti piaccio continuiamo sessanta e quaranta. Ci stai?

Io ho sorriso, ero piacevolmente sorpresa, poi le ho teso la mano. – Ci sto.
Lei mi ha sorriso di rimando. – Sei Colleen, giusto?
Io ho scosso la testa, - Io sono Starlight. Lady Starlight.
Lei ha annuito con vigore, - Piacere di conoscerti, Starlight. Io sono Stefani.

Stefani. Quel nome mi ha rimbombato in testa per parecchi minuti anche dopo che lei se n’era andata. Stefani. L’ho ripetuto a mezza voce per vedere come suonava detto da me. Stefani.

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Capitolo 2
*** Don't let me down. ***


- No, è uno schifo,- commenta sdraiandosi sul materasso. – Non va bene così, è uno schifo. Dobbiamo ricominciare da capo,- ripete.
Io sospiro, e ruoto gli occhi. – Stef, non posso credere che non ti vada bene nemmeno questa volta. Non ne posso più di provare, davvero.
Lei mi fulmina con lo sguardo, con quei suoi grandi occhi verde scuro che m’inchiodano ogni volta che mi sfiorano.
– Quante volte ti ho detto che non mi devi più chiamare Stefani? Io sono Gaga. Quel nome faceva schifo. Esattamente come questa esibizione. – io ruoto gli occhi di nuovo per farle percepire il mio disappunto, non ne posso davvero più di provare, e riprovare.
Le avrò proposto almeno venti numeri, e lei li ha bocciati tutti, uno per uno.
- Almeno puoi dirmi cos’hanno che non vanno?- chiedo esasperata. E’ tutto il giorno che proviamo e a lei non va bene nulla. Santa pazienza.
- Niente va, ecco cos’è che non va. E’ sempre la solita cazzata, capisci? Due ragazze che ballano sculettando su un palco in biancheria intima. Sarà irriverente, sarà ribelle, ma è già visto e rivisto! Il pubblico è abituato a cose del genere. Ci vuole più innovazione, dobbiamo stupirli.
Io sbuffo. – Sarà come dici tu, ma io è da dieci anni che faccio le stesse cose e mi è sempre andata bene.- lei mi fulmina con lo sguardo.
– Se per te ‘’andare bene’’ è lo stesso di ‘’rimanere per tutta la vita a vivere alla giornata facendo spettacolini insulsi nei sobborghi di Manhattan’’, allora sì, stiamo andando alla grande! Io voglio qualcosa di più Starley, lo capisci? Mi sono stancata di vivere nell’ombra. Di andare nel panico ogni volta che qualche locale ci caccia. C’è stato un periodo della mia vita in cui avevo così pochi soldi che potevo a malapena comprare una cazzo di bottiglia di vino da quattro dollari, e ci sto ricadendo, e per te questo vuol dire che va tutto bene? Per me non va tutto bene, cazzo. Anzi, va malissimo. La mia vita non è qui, Starley, la mia vita è sotto i riflettori. Io sarò una stella, e sai perché? Perché non ho proprio nulla da perdere.
Ed eccoci che ci risiamo con le manie di protagonismo. – La vita non è tutta rose e fiori, tutta in bianco o nero, Stef …
- Gaga – mi corregge lei, acida.
- … Gaga. Bisogna anche accontentarsi di quello che arriva. Sai che vorrei che i tuoi sogni si realizzassero, ma devi anche preparare un piano di riserva nel caso in cui qualcosa andasse storto.
- Da quando sei diventata un guru di saggezza, Starley?
- Da quando ho dodici anni più di te.
Lei ride amaramente, poi prende la borsa e fa per uscire. – Dove vai?- la fermo.
Lei mi osserva di sottecchi.– Ad aspettare Judy. Se vieni con me, grandioso. Sennò, rimani pure qui ad aspettare il tuo grande momento. Ma ti dico una cosa, Starlight. Io sarò una star. E non mi arrenderò finché tutti conosceranno il mio nome.
Detto ciò, si divincola e scivola via, scomparendo dietro la porta.
Improvvisamente prosciugata, mi siedo sul letto sfatto. Sono davvero caduta così in basso?

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