Hello, is it me you're looking for? di damnhudson (/viewuser.php?uid=131226)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** They want sex. I want sex, ehy, do you want sex? ***
Capitolo 2: *** I promise you, we'll be always friends. ***
Capitolo 3: *** SPIEEES. ***
Capitolo 4: *** I love you, like a love song baby. ***
Capitolo 5: *** One Year. ***
Capitolo 6: *** Amore al formaggio. ***
Capitolo 7: *** Hello, Hudson! ***
Capitolo 1 *** They want sex. I want sex, ehy, do you want sex? ***
Day 1
: Movie/TV AU.
“They want sex. I want sex, ehy, do you want sex?”
Santana
e Finn si erano
ritrovati accoppiati per fare quel compito settimanale al Glee Club.
Ovviamente
per conto di
Santana Lopez, questo era tutto inutile. Come la preparazione di uno
show
televisivo gli avrebbe insegnato qualcosa, e questo a cosa sarebbe
servito
nella vita? Shuester aveva solo risposto che l’organizzazione
nella vita è
tutto.
Finn
dal canto suo, non
voleva lavorare con una persona che trovava antipatica, che lo prendeva
in
giro, ma il fato aveva parlato. Cosa poteva farci lui?
Quindi,
quel pomeriggio si
trovarono sotto accordo di Santana in biblioteca – luogo che
ancora oggi
lasciava Finn sbigottito – per provare a fare qualcosa per
quella settimana.
“Possiamo
chiedere ad
Artie di aiutarci con le riprese.”
Propose
il ragazzo alto,
guardando gli appunti della ragazza. Esattamente bianchi, un foglio
bianco che
non aveva nemmeno il segno di una cancellatura. Finn ci provava, ma a
Santana
non andava bene niente di quello che lui le proponeva. Almeno lui ci
stava provando,
mentre lei teneva solo a mettere bene i capelli, in quello che era
l'unico
boccolo nella coda perfettamente tirata all’indietro imposta
dalla Sylvester.
“Questa
è una buona idea,
Hudson.”
Disse
lei, rivolgendogli
un sorriso veloce, mentre con la mano leggera andava a scrivere
‘Artie Abrams’
sul foglietto ormai non più bianco.
La
calligrafia perfetta di
Santana, si sposava perfettamente con la figura della ragazza,
slanciata e
meravigliosa.
Finn
non si era mai
soffermato più di tanto a notare quanto il sorriso di
Santana fosse luminoso o
a quanto le sue ciglia erano lunghe e nere. E i suoi occhi, erano
qualcosa di veramente
ipnotico.
Di
tutta risposta, Santana
sollevò lo sguardo e fece un movimento tipicamente
afro-americano.
“Cosa
c’è, Frankenteen? Ti
si è impallato il disco?”
Chiese,
seriamente, mentre
lui faceva finta di niente, cercando di guardare altrove.
“Wow,
ci sono un sacco di
libri.”
Che stupido Finn Hudson.
“Hai
pensato a cosa
potremo fare, genio?”
Chiese
Santana, guardando
il ragazzo. Nemmeno lei si era mai soffermata a guardare, quando i
lineamenti
di Finn fossero leggeri e giovanili. Nemmeno quando lo sguardo dei due
s’incontrò
lei smise di analizzarlo. Finn, abbassando il suo, riprese a leggere un
libro
che aveva trovato nello scomparto dei ‘libri sullo
showbusiness’. Secondo
Santana avrebbe trovato qualcosa che avrebbe potuto aiutarli, quindi
lui si
stava impegnando nella difficile lettura di quel libro.
Che
poi non era difficile,
solo che Finn non era abituato a leggere. Una volta, per leggere un
fumetto di
cento pagine, ci aveva messo quattro mesi. Non si sa con quanta
frequenza
leggesse, ma questa volta si stava davvero impegnando.
“TROVATO!”
Esclamò
poi Frankenteen,
guardando Santana sussultare. La bibliotecaria, con
un’occhiataccia, gli intimò
di abbassare subito la voce, e lui, si lasciò scivolare
sulla sedia. Gli
metteva paura quella signora. Aveva una faccia da topo, e secondo Finn
non
parlava. Con tutto quel tempo speso in un luogo di silenzio –
nemmeno fosse una
chiesa – doveva aver perso l’uso della parola, la
poverina.
“Spara,
e non in senso
letterale, ma in senso lato.”
Aggiunse
Santana, subito.
“In
ogni caso non avevo
niente con cui spararti, anche se avrei potuto inventare una cerbottana
su due
piedi.”
“Il
primo principio della
fisica quantistica?”
Chiese,
Santana,
sorridendogli in modo aspro.
“Garibaldi.”
Disse
allora Finn, finendo
per ridere e facendo scivolare la latina in una risata con lui.
“Comunque,
sesso! Diamo ai
giovani quello che voglio vedere. Una scena di sesso. Auguriamo a tutti
di
usare il preservativo e tutti gli altri adeguati rimedi.”
Santa
sbarrò gli occhi,
guardando il ragazzo. Una scena di sesso, loro due?
“Ci
sto.” Disse lei,
ridendo. “Casa mia, alle otto.”
“
Santana. “ La richiamò
lui. Lei si girò curiosa. “ Se è una
scena di sesso, Artie non può esserci.”
Non sopportava più
l’attesa Finn.
Si
precipitò a casa di
Santana mezz’ora prima. Aveva disdetto
l’appuntamento con Artie e i era messo
bene le sopracciglia con la saliva. Obiettivamente sì,
faceva un po’ schifo, ma
erano da mettere apposto e andava fatto in una maniera o in
un’altra.
Si
era preparato con cura,
aveva preso una mentina per l’alito ed era uscito, pronto per
girare quella
scena di sesso, finta per passare un messaggio a tutti gli adolescenti.
Certo,
girare un messaggio del genere con Santana Lopez era un po’
utopico, ma avrebbe
reso alla perfezione l’idea di come ci si doveva comportare.
Della serie: Santana
Lopez non approva i bambini.
Era
quello che aveva detto
lei stessa alla sua amica, quando tempo fa, era rimasta incinta di Noah
Puckerman, il che era tutto dire. Nonostante Quinn non glielo avesse
mai
raccontato, lei poteva metterci la mano sul fuoco che aveva utilizzato
la scusa
del ‘come sei magra oggi!’
o ‘I tuoi occhi sono così
belli oggi.’ Lo
sapeva bene, perché aveva usato quelle stupidissime scuse
anche con lei. Non
che ne avesse bisogno, ma comunque era sempre bello sentirsi dire certe
cose,
soprattutto da uno come Noah Puckerman. Si stava giusto domandando
Santana,
appena uscita dalla doccia, mentre sistemava i capelli, se per lei
fosse solo un video.
Beh,
dopotutto Finn.. oh,
beh, lei era stata qualcosa di importante per Finn, e lei si era
sentita
importante quando Finn scelse di perdere la sua
verginità con lei, ma niente di più.
Forse.
Quando
Finn suonò al
campanello, si mise bene nella felpa e sentenziò brevemente
su come presentarsi
se qualcuno diverso da Santana gli avesse aperto la porta. Quando poi
l’ispanica
gli aprì, sospirò, stampandosi un sorriso sulla
faccia.
“Entra
e togliti i
vestiti, orsetto del cuore. Ti sei
dimenticato come si fanno certe cose? – sospirò
guardandolo, mentre appariva
confuso. – Scusa, Finn. Sono nervosa.”
Nervosa
per cosa? Era solo
un compito.
Certo, solo un compito. Infatti si era appostato fuori
casa sua mezz’ora
prima perché era solo un compito.
Si
stesero sul letto di
Santana, lei sotto, lui sopra come di comune accordo. Lui aveva
comunque i
pantaloni e lei la gonna. E non seppero bene quando fu il momento in
cui
smisero di fare finta, ma ad un certo punto tutto diventò
dannatamente reale. I
baci sul collo, le carezze, le paroline sussurrate
all’orecchio di Santana e
viceversa. Quello non era più solo un compito, per nessuno
dei due, che
apparivano tutto fuorché imbarazzati. Sembrava qualcosa che
entrambi
attendevano da tempo. Una volta che ebbero lanciato il messaggio con
tanto di
sorrisini finali, Santana si alzò. Finn rimase un
po’ sbigottito, sembrava che
le cose stessero andando bene, non solo per lui, per entrambi.
“Che
cosa è successo?”
Domandò
lui, schiarendosi
la voce, cercando di risultare il meno affannato del solito.
“Ti
aspettavi le coccole?
Il nostro lavoro assieme è finito, ragazzino. A breve torna
mio padre, se non
vuoi che ti trovi, beh, sai dove è la porta.”
Lui si alzò, infilò di nuovo la felpa marcata
McKinley e si lasciò la mora alle
spalle, come se nulla fosse. Come se non gli importasse niente, a
nessuno dei
due forse. Santana si era tolta un sassolino dalla scarpa, e Finn
c’era rimasto
male, ovviamente.
Tre
giorni dopo, i due
continuavano ad ignorarsi, non si conoscevano, estranei. Anche quando
il
professore gli richiamò per presentare il loro progetto,
rimasero distanti.
“Il
nostro progetto è
ricordarvi di non fare la fine di Quinn Fabray... - Disse Finn,
guardando la
classe. Brittany alzò la mano. – No, non in
carrozzella.”
Disse
subito, capendo le
intenzioni della bionda con la manina alzata che sventolava quasi
stesse
salutando la coppia davanti a lei.
“Incinta!”
Aggiunse
Santana, sentendo
grugnire Quinn. Ancora non aveva perdonato Puck per aver reso il suo
corpo in
quelle condizioni, ma a pensarci bene, al momento era molto messa
peggio.
Perciò, si lasciò scivolare per quanto potesse
nella carrozzella e continuò a
guardare il video. Ci fosse stato Jessie St.James avrebbe detto che
quel video
andava proibito per il crimine di fare schifo, ma ai due piaceva
particolarmente, anche se non si erano ancora guardati in faccia. Ma
evidentemente al professor Shue piacque, dato che si alzò
per applaudire con
foga.
“Capito
ragazzi? Sempre,
sempre, sempre il preservativo!”
Il
Glee Club emise uno
strano rantolio, come se facesse impressione parlare di questo con Will
Shuester. Alla fine lui era come loro padre, e nessuno voleva parlare
con un
genitore di sesso.
“Che
fai dopo la scuola?”
Chiese Santana avvicinandosi all’armadietto di Finn, una
volta che le lezioni
si furono concluse. Finn, la guardò con un sopracciglio
alzato, cercando di
intuire ogni plausibile proposta da parte della ragazza.
Scrollò
le spalle, e
sorrise. “Niente, avrei passato il mio tempo ad allenare da
solo. Se hai di
meglio da proporre.”
Lei
sorrise, avvicinandosi
ancora di più al ragazzo.
“Possiamo
andare a
mangiare qualcosa, e passare del tempo assieme.”
Finn
la fissò “Per poi
mandarmi via, Santana? Okay, ci sono delle cose che devi sapere su di
me. Non
solo tu hai un orgoglio, non solo tu stai combattendo contro qualcosa.
Tutti
noi stiamo combattendo per il nostro futuro, per avere qualcosa che ci
mantenga
in vita, un lavoro, forse. Credimi quando ti dico che anche io vorrei
passare
questo ultimo anno senza che nessuno mi rompa le scatole. Ma sembra che
tu
voglia farlo per forza.”
Santana
rimase
pietrificata. Non credeva che Finn Hudson provasse tanto... odio? No,
quello
era qualcosa di più e lei lo sapeva bene. Era la sessa cosa
che anche lei
provava quando... oddio!
“Sai
perché faccio certe
cose, Hudson?” Chiese lei, vedendo che il ragazzo faceva un
cenno negativo con
la testa sorrise. “Perché mi piace averti intorno.
Mi piace vederti sorridere,
vedere i tuoi dentini così bianchi, lasciare lo spazio ad
una smorfia, quando
capisci che ti sto prendendo in giro. Sono innamorata di te, Finn.
Completamente innamorata di te. E te lo dico lo stesso, anche se
è troppo
tardi, anche se sei innamorato di qualche bella e dolce biondina, o
moretta che
non sia io. Rachel Berry? Okay, mi andrà bene lo stesso.
Sarà una bella
batosta, ma prometto di non farle del male.” Disse lei,
lasciandosi andare.
Maledicendosi perché aveva promesso che non
l’avrebbe mai detto a nessuno,
tanto meno a Finn. “Puoi dire qualcosa, per
favore?” Chiese, in maniera
supplicante, quasi.
“Dovresti saperlo Santana.
Se tu ti avvicinassi io non ti lascerei mai più andare
via.”
-------------------------------------
Ecco, questa è la mia
prima esperienza con li week, spero di beccarne qualcuno che mi
interessi, anche la volta prossima, come è andata con la
Finntana. Siccome non so bene come funzionino, ne se devo aggiornare
ogni giorno, vedrò di farcela.
So che ho iniziato in ritardo, ma prometto di portarla a termine,
quindi chiunque si metta a segurla, non abbia paura, la concludero. :)
Fatemi sapere cosa ne pensate, allora. :)
Bacini.
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Capitolo 2 *** I promise you, we'll be always friends. ***
Day 2 : kid!Finntana.
“I promise
you, we'll be always friends.”
L’allora
signora Hudson
per badare alla sua famiglia, composta dall'unico figlio Finn, aveva
bisogno di
dedicare il suo tempo al lavoro. Lavoro di qualunque genere che potesse
servirle per portare a casa un po’ di pane, per permettere a
Finn di crescere
sano e forte. Al momento ne aveva tre, più uno che non la
retribuiva. Era un
lavoro che a rendeva felice però. Era un canile molto povero
quello in cui
prestava servizio, uno di quelli dove i cani sono malati e nessuno li
prende
mai, nemmeno se si prova molta pena a guardarli. Se il suo salario
glielo
avesse permesso, li avrebbe portati tutti a casa sua. A Finn non
sarebbe
dispiaciuto, anche perché amava gli animali. Una volta gli
aveva comprato un
canarino, l’aveva chiamato Oliver, perché a detta
di Finn, il colore del manto
dell’uccellino gli ricordava un’oliva, detto questo
poi implorò la madre di
comprargli un barattolo di olive.
Quella
sera, fu richiamata
d’urgenza. Uno sceicco proveniente da chissà quale
paese dell’Arabia, si era
offerto per comprare quel canile e offrire una cura a tutti i cani
lì dentro.
E, a detta di Carole, c’era qualcosa di sospetto. Finn aveva
otto anni, troppo
pochi per essere lasciato da solo in casa e, nonostante la sua
prestanza fisica
facesse presagire che il ragazzo aveva dodici anni, ne aveva solo otto.
Come
sempre, quando succedevano queste cose, Carole si prese la briga di
chiamare la
vicina. Non era proprio la vicina, era la tata dei vicini. Per quanto
Finn e
Carole ne sapessero, la bambina che abitava lì aveva perso
sua madre e da allora,
aveva sempre avuto una tata. Finn, fin da sempre, ricordava che la
donna aveva
un aspetto portoricano, forse argentino – non ne conosceva la
differenza, ma portava
un accento spagnolo. Aveva un buon odore di arancio appena sbucciato,
come se
qualcuno avesse messo la buccia sul fuoco e quel aroma riempisse la
casa,
portava i capelli sempre legati in uno chinon, ben tirato sopra la
testa. Il
suo nome – quello della donna – è
Marianna.
Carole
e Marianna,
passavano un sacco di tempo assieme, quando la seconda non doveva
lavorare, in
altre parole raramente. Doveva occuparsi di quella che era una sua
figlia
acquisita, aiutarla con la scuola, a lavarsi i dentini. La bambina, non
aveva
la fama di essere molto simpatica, forse era molto viziata essendo
figlia
unica, ma Marianna le voleva molto bene. D’altronde, si
prendeva cura di lei
sin da quando era in fasce. Nessuno sa molto sulla madre della bambina,
Carole
sapeva che si chiamava Rosa e che aveva lasciato il marito con una
figlia
troppo piccola da accudire. Non avevano mai fatto domande a riguardo.
La cosa
bella di quel quartiere era che tutti si facevano gli affari propri.
Ovviamente, tutti sapevano che Christopher aveva perso la vita in modo
onorevole.
In
ogni caso, quando la
bambina insistette affinché Marianna la portasse con se
dagli Hudson, la donna
sorrise cordialmente. Si sarebbero fatti compagnia, almeno, nonostante
Santana
non brillasse per simpatia. Le pettinò i lunghi capelli
corvini in due trecce.
La sua bellissima bambina, da grande sarebbe diventata una modella. Ne
era
sicura, era troppo bella per essere vera.
*
“Signora
Hudson, siamo a
casa.” Disse Marianna, entrando dentro casa, mentre teneva
una mano dietro la
schiena della bambina a cui nello stesso tempo teneva la mano. Con una
faccia
un po’ schifata, la bambina si guardava intorno. Non sapeva
come Marianna
facesse a stare per tutto quel tempo in una casetta così
piccola e brutta, ma
almeno non puzzava.
“Mamma
è andata via, aveva
che era veramente di fretta.”. Finn comparve da una stanza in
fondo alla casa,
camera sua forse. Sta di fatto che sembra annoiato. Inizialmente non
notò la
bambina, stava andando a prendersi un po’ di latte, ma quando
Marianna
tossicchiò spingendo in avanti la bambina che
guardò la donna con fare confuso.
“Finn,
lei è Santana.” –
Finn si girò a guardare la ragazzina.
“E’ la bambina cui bado da anni e anni.”
Oh, ecco ora si spiegava. Ma a Finn, cosa importava?
“Latte?”
Chiese, guardando
la bambina.
“No,
mi piacerebbe un tè.”
Con fare educato rispose lei, mentre Marianna guardava i due molto
fiera.
Voleva bene a Finn, per questo ci teneva tanto che i due andassero
d’accordo.
“Non
ho la più pallida
idea di come si possa preparare, mi dispiace, miss.”- Disse,
Finn con un ghigno
sulla faccia. Era una plateale presa in giro. Lui non beveva
tè. Secondo sua
madre quello era ‘nettare per i ricchi’. Avevano
qualche bustina aromatizzata
dentro la credenza, ma era per le occasioni speciali. –
“Ripeto, latte?”
La
bambina annuì
lentamente, guardando il bambino che si arrampicava sulla credenza per
prendere
un bicchiere che sciacquò con cura prima di porgerglielo
pieno di latte.
“Grazie
Finn.”
“Prego
Santana.”
*
Finn
era tornato nella sua
camera con fare stanco, anche se non aveva poi fatto niente di
eccezionale. Si
buttò sul letto e riaccese la tv, mentre sentiva le voci di
Santana e Marianna
provenire dal salotto. Anche loro stavano guardando la tv, ridendo e
scherzando. Non si sentiva solo, lui c’era abituato. Sua
madre non c’era quasi
mai e la sua migliore compagna era la tv.
“Ciao,
Finn. Ti va se
giochiamo assieme?” Chiese, Santana entrando dentro la stanza
dove Finn stava
coricato.
“No.”
Rispose brevemente.
“Che
cosa fai qui tutto il
tempo?” Chiese ancora Santana, saltando sul letto di Finn.
“Guardo
la tv. Non ti
sembrava ovvio?” Si girò a guardarla, mentre lei
guardava la tv. Non era un
programma interessante, forse era una cosa che solo i ragazzi potevano
capire,
perché lei no, non lo capiva.
“Sì,
scusa, che domanda
stupida.” Finn sorrise, tornando a guardare la tv, con fare
annoiato.
“Uhm,
San... Ripensandoci,
mi piacerebbe giocare, hai qualche idea?” Saltò
giù dal letto, aspettando che
la bambina lo seguisse. Se Noah Puckerman l’avesse visto,
l’avrebbe ammazzato
di botte. Giocare con una bambina – per di più
ricca – non poteva esistere.
Almeno secondo Puck. Lui non aveva amiche, aveva solo una
quantità di persone
che facevano tutto quello che lui voleva. Era la legge della giungla, e
a parte
Finn, la seguivano.
“Hai
mai giocato a moglie
e marito?” – Chiese Santana, il bambino la
guardò e scosse la testa con un
cenno negativo, aspettando che la bambina gli spiegasse il gioco.
– “Bene, noi
ci fingiamo sposati. E’ la versione distorta di
‘mamma e figlio’ – fece agitando
le manine in piccole virgolette – noi facciamo delle cose
così, tipo far finta
di andare a fare la spesa, o che so io.. insieme. Ti va?”
Chiese, accennando ad
una risata.
“Santana..”
“Sì?”
Chiese la bambina,
mettendosi le trecce davanti.
“Conosci
Noah Puckerman?”
Chiese Finn, guardandola.
“No,
chi è?”
“Bene,
giochiamo!”
*
“Tesoro,
ti piace il
prosciutto?” Chiese Finn, facendo finta di spingere un
carrello, stavano in
cortile, mentre Marianna li osservava dalla finestra principale.
Santana lo
aveva obbligato a chiamarla tesoro, ma a Finn, non conoscendone il vero
e proprio
significato, non importava. Santana annuì lentamente, mentre
teneva tra le
braccia un bambolotto tutto brutto che apparteneva a Finn, quando era
più
piccolo.
“Non
piangere Mr. Noggle.”
- Avevano deciso insieme di chiamarlo così, in
realtà era il nome di un pupazzo
che Finn aveva visto alla tv, e Santana acconsentì.
Portò il bambolotto in
alto, esponendolo alla luce del sole, e gli sorrideva, come se fosse un
vero
bambino. – “ Andrà tutto bene. Adesso
papà ti compra il prosciutto e appena
torniamo a casa, ti faccio un bel paninetto. Contento,
piccolo?”
Finn, con una leggerezza d’animo che solo i bambini avevano,
si girò verso
Santana e gli sorrise, costringendo la bambina a sorridergli di rimando.
“Che
carne prendiamo,
caro?” La bambina gli passò il bambolotto,
prendendo – fingendo – di prendere
tra le mani il carrello. Finn strinse a se il piccolo, e gli sorrise.
Lo
trovava davvero brutto, a dirla tutta. Era tutto sporco di penna,
perché no,
lui non aveva niente da fare.
“Uhm,
il pollo, il
tacchino.. il cammello e perché no, la carota.”.
Rispose Finn, sorridendole.
“Finn,
la carota non è un
tipo di carne, è una verdura.” Santana lo
rimproverò con fare calmo, mentre
aveva stampato un sorriso sul suo viso.
“Ops,
non sono molto bravo
in queste cose, scusa.” Si portò una mano dietro
la nuca, e se la accarezzò,
gesto tipico di quando era imbarazzato. Odiava sbagliare, specialmente
davanti
agli amici. Ormai per lui, Santana era una amica, e sentiva di volerle
già un
sacco di bene. Le cose tra bambini sono più semplici, ed
è impossibile spiegare
cosa leghi due bambini tra loro. La complicità forse. La
pura innocenza.
“Si
è fatto buio ed è
arrivata tua madre.” Disse, Santana con fare triste mentre
tornava dentro casa.
Suo padre gli aveva sempre proibito di stare fuori al buio e senza
nessuno che
potesse controllarla.
“Oh.”
Finn si strinse
nelle spalle entrando dentro casa, si guardò intorno
cercando di capire dove
fosse Marianna che li chiamava dalla cucina. “Torni
domani?”
“Non
lo so. Ti faccio
sapere, d’accordo?” Chiese, Santana. In qualche
modo i due avrebbero trovato un
modo per tornare a vedersi.
Avevano
passato un buon
pomeriggio assieme e anche se a Finn era sembrata antipatica, la
bambina si era
rivelata più interessante di quanto potesse sembrare.
Le
voleva bene, quasi si
conoscessero da sempre, quasi fossero sempre stati amici. Era quella
l’amicizia
che tutti – compresi gli adulti – dovrebbero
provare e Finn sapeva che per la
sua nuova amica Santana, valeva lo stesso perché le cose
– compresa l’amicizia –
si fanno in due e tra loro aveva funzionato alla grande.
-------------------------------------
Mimimimi,
ho portato a
termine un altro capitolo della ma week.
Dopo
essere stata fuori per le vacanze, mi sono
dovuta arrangiare con qualche bozza trovata nel mio cellulare,
perciò ne è
uscito questo. Mi farebbe molto piacere se mi diceste cosa ne pensate. J Marti.
|
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Capitolo 3 *** SPIEEES. ***
Day 3: Personality
Swap!
Finn Hudson, aveva
cessato di
essere un capitano di una squadra di football solo alla fine del liceo.
Aveva preso in considerazione l'idea di accettare la borsa di studio
proveniente dalla Columbia - per lo sport. - ma non si sentiva
particolarmente all'altezza. Voleva dire! La Columbia. Era una della
scuola più prestigiose a New York. Ne aveva parlato con i
suoi,
che seppur riluttanti avevano accettato la decisione del figlio. Erano
sempre stati del parere che Finn avrebbe potuto cavarsela in ogni modo,
per quello avevano lasciato che se la prendesse con calma nella sua
vita.
Esattamente cinque anni dopo la conclusione del liceo, aveva
rincontrato Santana
Lopez,
ad una festa. Nonostante tutte le domande che il ragazzo gli porse la
ragazza non seppe spiegarli come mai si trovavano alla stessa festa, lo
stesso giorno, portati esattamente dalla stessa persona. Il signor
Harvey era un uomo d'affari molto conosciuto in America, e Finn
lavorava per lui da qualche anno. La paga era buona e gli consentiva di
avere un buon appartamento in South Dakota e di poter mandare un tanto
ogni mese per aiutare i genitori ogni quanto poteva. Non si poteva
lamentare della sua vita.
Dopo tre anni da quell'incontro, fece la proposta di matrimonio a
Santana, la quale senza aspettare un momento gli rispose di
sì.
Ma nessuno dei due si conosceva a fondo. O meglio, sapevano esattamente
a cosa andavano in contro, ma non alle eventuali verità che
quella coppia avrebbe portato.
*
"Scusa, tesoro.."
Disse Finn, poggiando un bacio sulla fronte della sua prossima sposa.
"Sono n ritardo."
"Non preoccuparti, vieni, dobbiamo scegliere damigelle, vestiti,
testimoni e smokings." Fece con un sorriso sul volto. Lo stesso che
ogni giorno, pazientemente, portava quando il ragazza si scusava per il
ritardo. Non si era mai lamentata per quello che Finn le faceva pesare,
lo amava per quello che era compresi i ritardi alle cene importanti, o
per le decisioni importanti. Con i capelli sciolti che le cadevano
sulle spalle, Santana prese il foglio di appunti che stava compilando
in precedenza, prima dell'arrivo del ragazzo.
"Okay, con cosa iniziamo?" Chiese lui, sedendosi al tavolo rotondo.
"Testimoni. Hai già scelto i tuoi?" Domandò.
" Puckerman e St.James." Disse lui. No, niente Sam Evans. Finn e Jesse
erano diventati molto amici al matrimonio di quest'ultimo, quando si
ritrovarono in bagno ubriachi fradici a fare la gara 'del pene
più lungo'. Finn ne uscì molto distrutto quando
scoprì che Jessie lo aveva - anche se di poco -
più
lungo. Comunque, si prese la sua rivincita quando si misurarono le
tette, e come era ovvio a tutti, Finn vinse.
"Okay, allora lo scrivo. Finn, non si torna indietro."
Avvisò lei, lui annuì.
"Lo so. Sono consapevole della scelta che sto facendo." Sorrise lui,
stringendo la mano della ragazza in una presa stretta, come per
trasmetterle tutte le sicurezze.
"Voglio vestirmi di rosso al mio matrimonio." Avvisò
Santana. "Come al liceo. Devil
in red dress."
Kurt Hummel l'aveva definita così, quando si stava provando
il
vestito per il Prom. Oh, sembrava passato così tanto da
l'ultima
volta che vide i suoi amici, eppure non era poi così tanto.
"Così metterai tutti in difficoltà. Non ti va
proprio il
classico bianco nuziale, San?" Chiese Finn, divertito mentre guardava
la ragazza armeggiare con una matita col gommino sopra.
"No, è... anonimo!" Disse, ridendo lei.
" Oh beh.. - Finn si sporse per dare un bacio alla ragazza
sulle
labbra morbide che si ritrovava. - ..indovina un po' di chi
è il
matrimonio?! " Chiese, sorridendole dopo.
" Mio? Posso vestirmi come voglio? " Chiese lei, ricambiando il bacio
di lui e saltellando composta sulla sedia. Finn le rivolse un sorriso
sbilenco, mentre annuiva. A meno che non ci fossero delle leggi che
vietavano il colore nelle chiese, quello era il suo matrimonio e si
sarebbe vestita come avrebbe preferito lei.
" Chi sono i tuoi testimoni? " Chiese, Finn. Sapeva che Santana era
ancora molto indecisa al momento sulla questione testimoni. Aveva
conservato i rapporti con Quinn, ma non sapeva più niente di
Brittany da un pezzo. Oh, avrebbe voluto rivederla così
tanto,
ma il suo lavoro non glielo permetteva.. il suo lavoro! Santana non
rispose e riprese a scrivere qualcosa di comprensibile solo ai suoi
occhi su quei fogli. " San, vado a prendere del
caffè, mi
aspetti? " Chiese Finn, sorridendo. La ragazza annuì.
" Prendine un po' anche a me, per favore. "
Il cellulare di Finn continuava a squillare, non poteva rispondere
così davanti a Santana... anche perché era
l'altro
cellulare, quello nero, quello che non era autorizzato a mostrare a
nessuno, quello che racchiudeva il suo vero lavoro, un lavoro di cui
nessuno era a conoscenza, tranne il suo amico Jessie St.James che
lavorava con lui.
"Jessie, che c'è?" Chiese, portando un dito sopra lo schermo
lucido del cellulare non appena si fu chiuso in cucina.
"Oh, senti.. non fare quel tono seccato con me, anche a me costa fatica
chiamarti da questo cellulare." Disse Jessie, con un tono decisamente
alterato. "Devo dirti una cosina."
"Oh, no, non fare così." Disse Finn. Sapeva che quando
Jessie
parlava così c'era qualcosa che non stava andando. " Non
posso
spostarmi di casa, ho un matrimonio in preparazione e ho già
usato tutte le scuse possibili e immaginabili."
"Devi, oh Cristo, devi incontrare un personal trainer per buttare via
quella ciccia, inoltre non so come facciano a lasciarti lavorare con
tutta quella pancia che ti porti dietro. Non sei stanco quando corri? "
Chiese Jessie in un sussurro.
"Simpatia! Mi hai chiamato per chiedermi queste cose o per dirmi
qualcosa di serio? " Chiese allora Finn.
" We got a probleeeem. " Canticchiò Jessie, ridendo. Anche
lui aveva esaurito le scuse da utilizzare con Rachel. Anche lui aveva
una vita, un figlio da crescere, un lavoro a teatro che gli prendeva
tutto il tempo. Eppure aveva anche quella doppia vita, quella che
faceva parte di lui da quattro anni ormai, uno in più di
Finn che ne contava solo tre. Il signor Harvey infatti, aveva mandato
Jessie a chiamare Finn per farlo accedere alle nuove informazioni
sull'identità che avrebbe utilizzato quando sarebbe
diventato una spia. Jessie gli aveva insegnato praticamente tutto ed
era per quello che alla fine avevano legato così tanto, non
c'erano altri motivi plausibili per cui estromettere Sam Evans dai suoi
testimoni se non per quello. Gli aveva coperto le spalle più
volte, durante le missioni e a volte, anche salvato la vita.
"Quale con precisione?"
"Mi fa molto ridere il tono serio che assumi quando si tratta di
lavoro." Lo schernì Jessie. Finn sapeva che era solo per
allontanare l'ansia della nuova missione, stava temporeggiando.
"Sei un coglione." Finn rise, mentre Jessie tossicchiava. Non era
abituato a sentire queste parole forti usate contro di lui.
"Un pallino di demerito, Hudson."
"Missione." Gli ricordò Finn.
"Giusto, come sei curiosa, signorina." Jessie rise, poi
tornò serio. "Praticamente un'associazione simile alla
nostra, ci minaccia. Dobbiamo distruggerla, e mi sembra anche inutile
dirtelo, no?"
"A quando pare." Disse, Finn. "Dove e quando?"
"Sotto casa mia, come sempre. A dopo."
Finn non rispose nemmeno e chiuse la chiamata. Si passò una
mano tra i capelli castani e sospirò, prese le due tazze di
caffè e iniziò a sorseggiare il suo, con
tranquillità. Santana stava in giro per la stanza, mentre
cercava tutte le sue cose per metterle nella sua borsetta. Si
avvicinò a Finn con un fare stranamente angelico e gli
rubò un bacio.
"Ho sentito Brittany e indovina un po'? E' qui a New York con la sua
compagnia di danza, abbiamo deciso di vederci!" Finn ebbe appena il
tempo di annuire che la ragazza lasciò la casa, chiudendosi
la porta alle spalle. Finn non sapeva se seguirla o meno, tutti
sapevano del flirt che aveva avuto con la ragazza, non sapeva se avesse
dovuto preoccuparsi, se.. oh, Dio. Finn Hudson combatteva contro le
associazioni 'cattive' con Jessie St.James, non poteva farsi queste
fottute paranoie. Ma dove aveva messo le chiavi della macchina? Si
portò velocemente verso il tavolo della cucina, dove vide
qualcosa di molto simile al suo cellulare nero, quello che usava per
lavoro. Lo squadrò, senza toccarlo, se c'era una cosa che
aveva imparato col suo lavoro era non toccare le cose senza guanti
appositi, anche se questo faceva molto CSI. Si concesse dieci minuti
per guardarlo ancora, anche se dopo avrebbe dovuto guidare in fretta e
furia per arrivare puntuale sotto casa di Jessie. Si infilò
i guanti trovati per caso in cucina e aprì il telefonino.
Una loro foto nello sfondo, questo non voleva dire niente, anche lui ne
aveva una sul suo nero. Si allontanò velocemente da quel
cellulare, se Santana avesse avuto qualcosa da dirgli glielo avrebbe
detto, senza problemi.
"Ciao Jessie."
"Hudson." Il ragazzo davanti a lui, un po' molto più basso
di Finn, aveva messo il suo solito smoking nero. Finn ne indossava uno
a sua volta, lo dovevano portare sempre, perché in fin dei
conti il loro lavoro aveva bisogno di uno smoking e poi la
verità era che stavano molto bene vestiti così.
"Credo che Santana.... " Finn si interruppe quando la vide proprio
davanti ai suoi occhi con Brittany. " Nasconditi, stupido."
Tirò giù Jessie, che cadde col sedere a terra.
"Cosa? Cosa ti ha fatto la latina?" Chiese Jessie, mentre cercava di
pulirsi il sedere.
"Mi tradisce con Brittany!" Poi indicò davanti a loro le
ragazze che camminavano con passo svelto cercando di non attirare
l'attenzione.
"Ma sei cretino?" Chiese Jessie in un sussurro.
"Perché mai?"
"Secondo te ad un passo dal matrimonio, dopo che ha avuto tre anni per
farlo, ti tradisce?" Chiese Jessie, con la bocca spalancata. "Sei
sempre più stupido."
Finn guardò davanti a se, cercando di nuovo Santana che
però era sparita. Solo la bionda era rimasta e assieme a lui
c'era un ragazzo che a teneva per mano. Jessie gli diede uno
scappellotto all'altezza della nuca, e capì che
sì, era stato davvero un idiota a dubitare della sua
fidanzata ora si odiava.
"Andiamo, Hudson!" Disse Jessie, riportandolo alla realtà.
Annuii e si guardò intorno, alzandosi da dietro la macchina
dietro cui erano nascosti.
"Sai che la gente al liceo pensava che avessimo una relazione?" Chiese
Finn, allisciandosi il completo nero che indossava quel giorno, mentre
parlava con Jessie con una naturalezza che non si sarebbe mai aspettato
visto tutti i problemi che avevano avuto in precedenza.
"Ah, sì? Io pensavo che tu ne avessi una con Evans e
Puckerman. Sai, una cosa a tre." Disse Jessie, ridendo sotto i baffi.
L'unica cosa che Jessie si ricordava del McKinley era il dolore che la
sua attuale moglie gli aveva fatto provare, ma quel liceo aveva
riservato davvero tanto dolore a tutti i ragazzi del Glee Club. A Finn
quasi quasi mancava cantare, quasi.. Anche perché a contatto
col pericolo stava decisamente meglio, anche se era un po' masochismo
questo.
"No, se avessimo avuto una cosa a tre avremmo chiamato anche te,
tranquillo." Disse Finn, facendo scoppiare a ridere il ragazzo che
aveva vicino. Finn si girò per guardarlo, com'erano cambiate
le cose. La persona che più odiava al mondo ora era il suo
compagno di lavoro, un lavoro che solo lui conosceva, un lavoro molto
difficile. A Finn ed a Jessie nello stesso momento squillò
il cellulare, che presero entrambi con velocità, portandolo
all'orecchio.
"Pronto?" Chiesero in coro, stupendosi.
"Il vostro nemico è una donna.. un gran pezzo di donna a
dirla tutta." Il loro capo gli avvisava. Nel mondo delle spie, le spie
non avevano sesso. Non potevano non combattere contro di lei per paura
di farle male. Sarah Walker ne aveva preso di colpi e Finn lo sapeva
bene, dato che seguiva con avidità quel telefilm americano.
*
"Finn, occhio, le donne sono
furbe e utilizzano gli spazi. " Gli ricordò Jessie, mentre
si guardava intorno un po' spaventato. Ma non perché aveva
paura di una ragazza, lui non aveva paura di nessuno, ma appunto per i
consigli che aveva appena dato a Finn. Le donne sapevano utilizzare
meglio gli spazi perché erano più piccole e
sapevano nascondersi meglio dietro a qualsiasi cosa. Cosa che Finn
Hudson, per esempio non avrebbe mai potuto fare dato che era alto
quanto la torre Eiffel. Non era un dettaglio a loro favore quello e non
lo sarebbe mai stato.
"Attenzione, ricordati di Audrey a casa e Rachel." Finn, sorrise Jessie
abbasso lo sguardo sulla sua pistola.
"Ha appena imparato a camminare, Finn.. Non fare stupidaggini, per
favore." Disse, Jessie rivolgendogli un sorriso al volo. Ce l'avrebbero
fatta, come sempre. Erano loro due, si guardavano le spalle.
"Uh e se il mio testimone di nozze, escine vivo!" Lo avvisò
Finn, ridendo a bassa voce mentre continuava a guardarsi intorno. Quel
posto metteva i brividi, era uno stabilimento fatto in mattoni rosso
sangue, o forse quello era davvero sangue, chissà.
"Che onore, ma ora basta con i sentimentalismi.. Cazzo! Alla tua
destra!" Non finì di dirlo che si udì un suono di
uno sparo e Finn che si nascondeva dietro una macchina tirando fuori la
sua pistola che aveva accuratamente caricato mezz'ora prima. Adorava la
sua pistola, era nera e grigia, fu la prima cosa che gli consegnarono
quando entrò a far parte di quella grande organizzazione.
"Un pallino di demerito, Jessie caro!" Finn con tutta la sua
corpulenza, si alzò e sparò nel punto da cui
proveniva il primo sparo. Se lo sentì di averla mancata,
c'erano cose che percepiva.
"Che diavolo...?" Urlò una ragazza. A Finn scese un colpo.
Conosceva quella voce, Dio se la conosceva.
"Santana?" bisbigliò Jessie. Allora Finn non si era
sbagliato, spostò lo sguardo su Jessie e annuì.
Merda, merda, merda. Cosa avrebbe fatto ora? Non poteva ucciderla, non
poteva farsi vedere.
"Cosa faccio?" Chiese Finn. "Dio, sono fottuto."
"Solo oggi due pallini di demerito. - Jessie, allargò la sua
bocca in un sorriso, ma poi tacque. - scusa, esci allo scoperto,
qualcosa che sapete solo voi. Capirà. "
"Sei geniale." Disse, Finn. A quel punto, Finn si mise a pensare. " Devil in red dress. "
Urlò. Sperò che lo sentisse.
" Hudson? " Chiese lei. Il cuore le batté fortissimo,
sentendolo parlare. Era impossibile che entrambi fossero lì,
in quella situazione, Dio. Che casino.
"Ti credevo con Brittany, che ci fai qui? " Lui a quel punto
saltò fuori, fregandosene della copertura, del fatto che
Jessie lo stesse odiando al momento. Era la sua donna quella, come
poteva stare coperto, qualcuno l'avrebbe uccisa sicuramente. O qualcuno
avrebbe ucciso lui. Il colpo arrivò quando Finn non se lo
aspettava per niente, si era appena sollevato da terra, aveva abbassato
la pistola e la guardia quando il compagno di Santana lo
beccò all'altezza della spalla, lasciando che il sangue
zampillasse fuori. Finn svenne, Santana si guardò intorno,
trovò Jessie che corse incontro al ragazzo a terra.
" Chiama un'ambulanza, Lopez! "
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Da " le doppie
identità dei miei figli. " Scusate il
galoppante ritardo, si chiama scuola. XD Spero che vi piaccia. Marti.
(:
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Capitolo 4 *** I love you, like a love song baby. ***
Day
4 : Pregnancy/Babies/Family
«
Ciao papààà. »
Squillò
la bambina non
appena vide il suo papà varcare la porta. Finn era stanco, e
anche oggi, aveva
lavorato le sue tredici ore senza doversi lamentare. Si
abbassò leggermente per
prendere in braccio la sua bambina e lei gli strinse le braccia al
collo.
Quello era il momento preferito di Sofia, quando il suo papà
tornava, e, anche
se era troppo stanco, l’uomo le riservava sempre un
po’ di tempo che spendevano
come sua figlia voleva. A volte guardavano la tv, altre costruivano
castelli
con le lego. Sofia aveva quattro anni, era nata dall’amore di
Finn e Santana,
esattamente dodici anni dopo che avevano deciso di stare assieme. Non
era una
gravidanza programmata, anzi il loro intento era quello di divertirsi,
e fare
l’amore come ricci, ma poi successe. Santana ancora ricordava
quel momento,
ricordava la ‘paura’ negli occhi di Finn, e
soprattutto il gridolino che aveva
lasciato sfuggirsi quando Santana gli assicurò che era seria.
Finn
si concesse una
doccia, prima di dedicarsi completamente alla sua bambina, che
richiedeva le
sue attenzioni. Lasciò che l’acqua scivolasse
contro la sua pelle, e che il
rumore che il getto provocava sopprimesse il rumore dei suoi pensanti
pensieri.
Anche oggi aveva dovuto ingoiare il sapore amaro della sconfitta, aveva
lasciato che qualcuno gli mettesse i piedi in testa. Finn Hudson aveva
imparato
ad essere forte, a lasciare che qualcuno lo credesse troppo debole per
reagire
e farlo nel momento più giusto. Aveva imparato col tempo che
sfidare persona
che risultavano più forti di lui non aiutava ad ottenere
qualcosa subito,
bensì, l’allontanava solamente. Aveva imparato
l’arte della pazienza col tempo.
«
Allora cosa facciamo
oggi papà? » Chiese Sofia, mentre Finn entrava nel
grande salone perfettamente
ordinato da Santana.
«
Aspetta un secondo
angelo, non ho ancora salutato la mamma. »
«
Non c’è. » annunciò la
bambina, sempre col sorriso sulle labbra. Quel sorriso era la cura ad
ogni
tristezza, in un secondo la nube che attanagliava la testa di Finn
sparì, lo
lasciò libero, così si chinò per
prendere in braccio la sua bambina e darle un
lungo e affettuoso abbraccio.
«
Che cosa ho fatto? »
Chiese cingendo il collo del suo papà, sempre fortissimo per
lei. La verità era
che Finn, col suo lavoro non era fortissimo. Aveva i nervi a fior di
pelle, i
reni che imploravano pietà e aveva sviluppato
un’allergia alla polvere mai
avuta prima. Quel cantiere in cui lavorava lo uccideva giorno dopo
giorno,
eppure mai si era lamentato. Aveva sempre fatto il suo lavoro,
perché quello
era il suo dovere. Far crescere la sua bambina sana e forte e dare la
vita che
aveva promesso a Santana e per questo ci voleva impegno. Anche se
l’ispanica
signora Hudson, alla fine non chiedeva molto e questo era da ammettere.
«
Che cosa preferisci fare
ora? Possiamo giocare con le lego, vedere un cartone o anche un film.
» Propose
Finn, senza rispondere alla precedente domanda della bambina. Non
c’era
assolutamente bisogno di ricordarle che era la sua vita, che le voleva
un bene
da morire, perché era chiaro a tutti che ogni padre provava
sentimenti simili
per sua figlia, e quelli di Finn erano così. Tanto, troppo
amore per un topino
di quattro anni, che era abituato a chiamare Sofia, sua figlia. Gli
aveva
illuminato l’esistenza, senza dubbio.
«
Lego! »
Finn
sorrise, mettendo giù
la bambina e portandola in camera sua, dove le lego stavano poggiate
sulla
scrivania in una barattolo rosso come il vestito di Santana al primo
prom a cui
erano andati.
***
«
Che cosa sta succedendo,
papino? » Chiese Santana, entrando nella stanza della bimba.
Aveva trovato Finn
seduto su uno sgabello, mentre guardava sua figlia dormire, la
cameretta
avvolta dal buio e un silenzio sovrano. Si avvicinò al corpo
immobile del suo
uomo e lentamente gli massaggiò le spalle, scoprendo che
aveva tutti in nervi
accavallati. C’era qualcosa che stava turbando il suo
pensiero. Non si erano
visti per tutto il giorno a causa del lavoro di lui e quando era
rientrato lei
non c’era, quindi avevano dovuto aspettare per incontrarsi e
per rivolgersi
quelle quattro parole che si dicevano prima di crollare in un sonno
esasperato,
sperando che la mattina dopo non arrivasse mai, affinché il
giovane Finn
potesse recuperare tutto il sonno che aveva perso svegliandosi alle
cinque di
mattina. Finn odiava quel cantiere del cazzo,
odiava starnutire perché c’era troppa polvere.
Odiava il fatto che, tutte
quelle persone li dentro avessero il suo stesso identico umore. Erano
sottopagati e sfruttati. Com’era normale che fosse dovessero
lavorare solo otto
ore, al massimo, ma lì si sfioravano le quattordici ore.
Aveva preso l’abitudine
di segnare le ore che faceva durante il mese sopra il calendario,
regalatogli
dal farmacista della farmacia sotto casa loro.
«
Niente, sono solo stanco...
» Fece Finn, sorridendo e alzandosi dallo sgabello. Santana
attese che suo
marito ebbe rimboccato le coperte a sua figlia e che lasciasse la
stanza,
pronta poi a seguirlo, pronta ad ascoltarlo.
Quando
Finn fu fuori dalla
stanza, si passò la mano sul viso con fare frustrato,
sospirò e si buttò sopra
il divano, accendendo la televisione. Santana si sedette di fianco a
lui, silenziosa,
aspettando il momento propizio. Si sarebbe aperto lui. Aveva imparato a
conoscerlo. Non bisognava forzarlo a parlare, sennò non
l’avrebbe fatto. Attese
che il primo inning della partita di baseball si concluse, ma lui
ancora non
parlava.
«
Hai litigato ancora con
Mills? »
«
Come sempre, quando non
mi vanno giù le tredici ore che devo lavorare per forza,
Santana. » Rispose,
Finn. Non staccò lo sguardo dalla tv per nessuna di quelle
frasi che disse alla
ragazza affianco a lui. Lei parve non perdere la speranza.
«
Raccontami. » Sussurrò.
Finn spense la tv, e si girò a guardarla.
«
Gli ho ricordato che era
troppo per un essere umano lavorare tredici ore andando avanti e
indietro
tirando i colli che arrivano – Finn sospirò, un
sospiro lungo e triste. – Mi ha
detto che questo lavoro non è per le femminucce, non
è per i cantanti. –
continuò. Solo perché una dannata volta era stato
trovato mentre cantava ‘Losing my
religion’ in
memoria dei vecchi tempi, che gli mancavano
davvero molto. – Io non sono un cantante. Cerco solo di dar
da mangiare alla
mia famiglia, che cosa c’è di sbagliato, San? A
volte vorrei solo piazzare un
pugno sull’occhio di quel rompicazzo di un campo dittatore,
così capirebbe, ma
non posso. Non posso lasciare che la mia famiglia cali a picco,
così, mi
arrendo, mi giro di spalle, apro il portafoglio e cerco la foto,
l’unica, che
ho tua con Sofia. E capisco che non posso far tornare il Finn di un
tempo, non
posso perché poi saremo perduti. » Ora si sentiva
dannatamente meglio, aveva
parlato con Santana di questa situazione che lo opprimeva, anche se
gliene
parlava in pratica sempre. Ma ne aveva bisogno e lei lo capiva, lo
stava sempre
ad ascoltare.
«
Sei l’uomo più
fantastico del mondo, Finn Hudson. Ti amo tanto. » Lei
sorrise dolcemente,
dandogli un bacio a fior di labbra.
«
Ti amo anche io, Snix. »
Proprio come al liceo, anche se Finn non ricordava in che occasione lo
disse.
«
Se fosse stato un
maschio, come l’avresti voluto chiamare? » Chiese
Santana curiosa. Si erano
divisi i nomi. Lei avrebbe scelto il nome della bambina e lui quello
per il
maschio. Per stare al passo con le sue origini, scelse Sofia. Era un
nome
latino, un po’ spagnolo, ma la sua bisnonna si chiamava
così e lei volle
ricordarla.
«
Nash. » Finn sapeva bene
come avrebbe chiamato suo figlio. Aveva pensato anche di adattarlo alla
bambina. Forse Sofia Nashina non
sarebbe stato male, ma poi avrebbe fatto la stessa fine di Drizzle,
cestinato!
Perciò lasciò che fosse sua madre a sceglierlo.
«
Nash è un bel nome. Come
ti è venuto? » Chiese lei curiosa.
«
Il chitarrista degli Hot
Chelle Rae. Nash Overstreet. » Santana avrebbe
dovuto saperlo. Amava quella band sin
da quando erano al liceo.
«
Credo che Nash stia per
arrivare, allora… » Gli prese la mano e la
poggiò sul suo piccolo pancino, al
momento. Questo voleva dire che era incinta vero? Anche se era troppo
presto
per sapere il sesso del bambino lei era incinta. Era felice, Finn
Hudson. Era
davvero felice, come una Pasqua, anche se avrebbe dovuto lavorare per
forza e
per sempre in quello squallido cantiere dove veniva sfruttato.
« Sarai un
ottimo papà. » Concluse, l’ispanica.
«
Credo solo che Sofia
sarà gelosa. Tu ti dovresti dividere tra il piccolo e
ipotetico Nash e io dovrò
lavorare ancora di più, dici che ce la faremo? »
Chiese Finn, un ditino
preoccupato per la sua – al momento – figlia unica.
Non voleva farle mancare
niente. E anche se non le mancava niente effettivamente, non voleva
iniziare
adesso, con la nascita di un altro bambino.
«
Siamo dei genitori
perfetti, Hudson. Ce la faremo, proprio come abbiamo fatto. –
Disse Santana,
ridendo. Amava quando Finn si preoccupava in questa maniera per la loro
bambina.
Lo trovava sexy, quasi. – Magari, però...
– iniziò di nuovo, all’attacco.
–
dovremmo ridurre ancora di più la nostra
intimità… » Finn la guardò
scandalizzato mentre l’ispanica li davanti a lui si spostava
i capelli dal
collo, mostrando il suo seno scoperto dalla scollatura audace e si
mordeva il
labbro.
«
Non vorrei sembrarti un
ninfomane, ma credo che si debba recuperare già da ora tutto
il tempo che
perderemo. » Santana rise, mentre il ragazzo già
si era buttato sulle labbra
morbide della donna che ogni giorno aveva accanto. Della donna che tra
nove
mese gli avrebbe dato un altro bambino, che avrebbe senza dubbio amato
quanto
Sofia. Senza differenze. Si amavano ed erano felici, anche se lui ogni
tanto,
tornava stanco e avvilito dal lavoro. Gli Hudson erano felici e da tre,
stavano
per diventare quattro.
Tutto questo parlare di tredici ore mi
ricorda
il mio papà che si spacca la schiena per noi figli ingrati.
I love my daddy.
Okay, finalmente sono
riuscita ad aggiornare. Mi viene difficile, oltre che per la scuola,
per la
poca ispirazione che sto avendo al periodo. Ho tipo ventordici OS
aperte, ma
non riesco a fare niente. Sto perdendo la mia vena artistica
ç_ç
Grazie a chi ha commentato
le altre tre, perché siete con me e mi spingete ad aprire un
documento word
ogni volta. Siete senza dubbio fondamentali. Love u.
Alla prossima. <3
|
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Capitolo 5 *** One Year. ***
One Year.
( day 5. )
Era un anno. Era davvero
passato un anno da quando Finn Hudson, all’interno della sua
macchina, era
stato preso in pieno. Era un anno che Santana viveva
nell’ombra dei ricordi
passati e lasciati dall’assenza di Finn. Stava
bene, certo che stava bene. Lei era Santana Lopez, stronza
per eccellenza,
cocapitano delle cheerleader. Aveva solo perso Finn Hudson. E chi era?
Era solo
il compagnetto inutile di quell’inutile Glee Club. I due si
parlavano a stento,
non doveva aver avuto problemi a dimenticarlo. O meglio, si,
c’era la
possibilità che ci stesse male ma non più di
tanto.. Non erano grandi
conoscenti. Si mentiva Santana Lopez. Mentiva a se stessa ogni giorno
quando si
guardava allo specchio e si ripeteva che stava bene, non stava bene. Il
suo corpo,
la sua mente, era distrutto. Tutto era distrutto in lei. Intorno a lei,
soprattutto. Si guardava intorno e l’unica cosa che notava
era un vuoto che la
accompagnava in classe, un vuoto che l’accompagnava agli
allenamenti delle
Cheerios, un vuoto sapere che il Glee Club aveva cessato
d’esistere perché
senza Finn Hudson nulla aveva più un dannatissimo senso.
Non si fermavano nemmeno
più a parlare, non si chiedevano più come
stavano, non si guardavano nemmeno
più in faccia. Puckerman, il grande e forte Noah Puckerman,
aveva cambiato
scuola, proprio l’ultimo anno, usando una giustificazione che
nessuno mai si
sarebbe aspettato: ‘Stare qui mi fa
schifo, mi manca il mio migliore amico.’ Tina non
smetteva di piangere,
nonostante il loro rapporto non fosse uno dei più stretti e
Rachel Berry aveva
smesso di parlare. Il che era tutto dire. Stavano male, davvero. E
adesso, a
differenza di un anno da quando Finn li aveva lasciati soli, niente era
cambiato. Questa situazione era davvero triste.
Aveva preso male a
tutti, ma a Santana Lopez, la distrusse completamente. I due avevano da
poco
ripreso ad uscire assieme. Erano così carini, credevano che
sarebbero arrivati ad
essere felice come entrambi meritavano. Dopo l’ennesimo
tradimento da pare di
Rachel, Finn aveva capito che la cosa doveva concludersi per forza, e
Santana
aveva capito che Brittany teneva ancora il piede in due scarpe,
così lo fece
anche lei, iniziò a vedere Finn fuori da scuola, riscoprendo
quei sentimenti
tanto assopiti per il Titani.
Odiava tutte le persone
che le stavano intorno, quelle che volevano provare per forza a parlare
con
lei, quelle che volevano che si sfogasse in qualche maniera, anche
prendendo
tutti ad urla, compresi loro stessi. Lei non aveva voglia di urlare,
solo di
piangere, di pensare a quanto tempo avesse buttato via con Finn. Si
rifiutava
di rispondere a qualunque domanda iniziasse con ‘Come’ e finiva con ‘Stai’.
Come diavolo doveva stare? Le era appena venuto a mancare uno degli
affetti più
importanti di tutta la sua vita. Le mancava moltissimo. Le mancavano le
sue fossette,
quando sorrideva allegro, anche il suo modo di essere impacciato nei
momenti
meno opportuni. Voleva vederlo ancora per una volta. Una soltanto,
anche nel
momento più imbarazzante, avrebbe voluto sentire la sia voce
ancora una volta,
i suoi piedi poco abituati danzare. Invece viveva solo di ricordi, che
col
tempo iniziavano a sbiadire, come se fossero stati messi in lavatrice,
lasciati
al sole ad asciugare, e colare. I suoi ricordi colavano. Lasciavano che
le
scivolasse tutto dalle mani senza che se accorgesse davvero. Ma lei lo
sentiva.
Sentiva che tutto stava finendo.
Era passato un anno, ma
era sempre più difficile andare avanti. Ogni giorno che
passava, ogni mese,
ogni ora che Santana ero obbligata a passare da sola, era un inferno.
Il tempo
non stava guarendo le ferite che quella morte aveva provocato, no, il
tempo
stava solo mettendo del sale su quella ferita abnorme, la stava facendo
bruciare,
sanguinare allo stesso tempo. Non sarebbe mai guarita da quella ferita,
lo
sapeva ora, mentre si guardava allo specchio e notava quanto il suo
corpo fosse
scalfito da quell’assenza. Quanto al suo viso mancasse un bel
sorriso..
Finn Hudson non sarebbe
mai ritornato ed ora come ora, nemmeno il suo sorriso più
bello.
____________________________________________________
#DAMNHUDSON'S
CORNER.
Mi vergogno particolarmene di
questo day. Non sapevo cosa scrivere e non avevo mai scritto una os che
avesse come tema principale l'Angst.
Sono 674 parole, effettivamente poche dato quanto in genere sono lunghe
le altre, boh, non so nemmeno cosa dire. Non mi piace per niente e sono
convinta che nemmeno a voi piacerà, a chiunque la legga.
#foreveralone.
Un abbraccio. :)
|
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Capitolo 6 *** Amore al formaggio. ***
Amore
al formaggio.
(
Day six. )
Finn e Santana si erano
sposati a Las Vegas un
anno prima. Certo, erano un po’ ubriachi e inebriati da tutti
i soldi che
stavano vincendo, ma i loro sentimenti erano veri. Si amavano per
davvero,
quindi, anche se per Finn quello era un matrimonio farlocco, lo
accettava,
almeno era sposato con la donna che amava. Santana aveva sempre detto
che non
era tipa da matrimonio in bianco, con un grande banchetto a cui tutti i
loro
amici avrebbero partecipato, no, lei preferiva che tutti sapessero che
Finn era
di sua proprietà ma che non facessero un grande matrimonio.
Era un po’ spaventata a detta di Finn. Noah Puckerman
continuava a ripetere, in
maniera scherzosa sempre, che Santana era preoccupata per i soldi. Uno
smoking
fatto su misura costava. Ma Finn, oltre che ridere, sapeva che
c’era un qualche
altro problema di fondo. Non si chiese mai perché,
lasciò che i sentimenti di
Santana facessero il proprio corso, quando avrebbe voluto
sposarsi in
maniera ‘ufficiale’ l’avrebbero fatto.
Lui per lei era sempre pronto. Per ora
bastava che si amassero con tutto il cuore, e questo lo facevano
già. Vivevano
una bella vita i due assieme. Nessuna preoccupazione, un lavoro che
poteva
mantenere entrambi, e una voglia di vivere pari a qualunque altra
persona della
loro età e beh, si, un’attiva
vita
sessuale.
Erano
la famiglia
Hudson-Lopez. Si amavano alla follia ed erano tranquilli. Ogni tanto
litigavano
ma il sesso arrabbiato sistemava sempre tutto e poi era una gran bella
soddisfazione far arrabbiare Santana se poi si sfogava così.
Quindi si, non
aveva niente di cui lamentarsi, perché erano felici.
Entrambi, o meglio, questo
è quello che credeva Finn fino ad un paio di giorni prima.
Erano
le sette di sera e
Finn aveva appena terminato il suo ultimo turno allo studio ambientale
in New
York. Si era catapultato a casa perché era davvero molto
stanco. Aveva parlato
tutto il giorno con persone che non sapevano distinguere un albero
millenario
da uno centenario. Che diavolo di scuola avevano fatto per trovarsi
così
incompetenti? Comunque non vedeva l’ora di togliersi le
scarpe e buttarsi sul
letto della sua camera, abbracciare Santana e schiacciare un pisolino
fino a
cena. Ma non fu quello che trovò. Non appena mise piede a
casa, il ragazzo salì
in camera trovando la porta socchiusa e Santana che parlava al
telefono. Kurt,
Brittany, Quinn? Chi?
«No,
non è come dici tu.
Non mi voglio sposare – Santana singhiozzava, mentre parlava
al telefono. Non
poteva essere incinta, avevano usato le precauzioni! –
è lui che non vuole. Se
avesse voluto l’avrebbe già fatto, me lo avrebbe
chiesto. Oh, Quinn. »
Finn
si sporse un po’ per
cercare di intravedere la figura di Santana ma quella schizzava da una
parte
all’altra della stanza, agitata più che mai. Lei aveva assicurato che non voleva
sposarsi perché ‘non
sono fatta da abito bianco.’ Lei
aveva detto ‘Andiamo Finn. Ci siamo
già sposati a Las Vegas, che bisogno
c’è di fare
una cerimonia del genere? È solo uno spreco di soldi.’
Lui si era solo
adeguato alle decisioni che lei aveva preso per entrambi e senza mai
lamentarsi. Che diavolo avrebbe dovuto fare? Al momento si sentiva
circondato
da idioti, compresa Santana, si. Diavolo. E si, oggi aveva le
imprecazioni
facili, ma dopo quello che aveva sentito, cos’altro poteva
dire di diverso? Ora
si sentiva anche uno stupido, e iniziava a far parte della cerchia
d’idioti che
lo circondavano.
Santana
aveva chiuso al
telefono, si era guardata allo specchio constatando che il suo trucco
era
appena colato del tutto, quindi con passo veloce si avviò
verso la porta, trovandoci,
però Finn che la fissava.
«
Che succede? » Chiese,
guardandola.
«
Non ti ho sentito
arrivare. Ci sei da molto? » Iniziò a
preoccuparsi, magari aveva sentito
qualcosa che aveva detto e non voleva mandare tutto a puttane, anche se
era
convinta che lui non la volesse sposare.
«
No, sono appena tornato.
» E lui d’altro canto non voleva litigare,
perché era stanchissimo, davvero.
Non ne aveva la forza.
Il
mattino seguente,
quando fu riposato abbastanza da affrontare quella situazione ci penso
su,
ammettendo a se stesso che non era stato uno dei migliori in quella
relazione.
Non aveva fatto capire a Santana che la amava tanto da volerla sposare,
era
colpa sua. Finn era noto per prendersi le colpe, lo faceva da tutta una
vita
così, questa volta gli venne meglio farlo. Santana comparve
sulla porta del
bagno nel momento in cui, pensieroso, si faceva la barba. Si
girò a guardarle e
le rivolse un sorriso.
«
So che ieri hai sentito
tutto quello che dicevo a Quinn. »
Finn
sbatté delicatamente
la lametta sul lavandino per pulirla dai residui della sua barba. Si
prese del
tempo prima di rispondere alla domanda non tanto domanda di Santana; si
lavò la
faccia accuratamente togliendo ogni residuo di schiuma da barba e poi
si passò
anche il dopobarba, quell’odore che faceva impazzire Santana,
che però al
momento non sembrava avere tanta voglia.
«
Si, ho sentito. » Disse
solo. Si era preparato un intero discorso da fare alla latina, ma nel
momento
più opportuno non gli arrivò niente di sensato da
dirle, quindi lasciò che le
parole gli si strozzassero in gola. Santana gli sorrise, non seppe
perché Finn.
Forse voleva che lo sentisse, forse lei voleva davvero questo
matrimonio.
«
Ero convinto che tu non
lo volessi. »
«
Io voglio le stesse cose
che vuoi tu, Finn. Io voglio te più di qualunque altra cosa.
E se a farti
felice sarà la mia persona con addosso un vestito bianco,
avrò un vestito
bianco. Perché io ti amo, e so che tu mi hai lasciato il mio
tempo quindi è ora
di ripagarti per tanta pazienza. »
Ecco,
quello era un discorso
organizzato non come quelli di Finn, profondi nella sua testa di tre
parole
nella realtà. Sorrise, senza rendersene conto. Lei aveva
capito la sua presa di
posizione, l’aveva apprezzata e questo era quello che
più contava per lui,
davvero. Finn si guardò intorno un attimo, cercando un
qualunque elemento
rotondo.
«
Aspettami un secondo
qui, immobile. Non ti muovere. » Il ragazzo scese velocemente
le scale, andando
in cucina e aprendo uno di quei pacchetti di patatine al formaggio e
rotondi,
certo, non era la cosa più romantica del mondo, ma al
momento quello che
entrambi volevano era una promessa d’amore continuo.
Tornò dunque di fretta
alla ragazza che lo accolse con un sorriso. Si mise in ginocchio e
scoprì la
patatina in modo che Santana, vedendola, scoppiasse a ridere.
«
Santana Lopez… Vorresti
farmi l’onore di diventare mia moglie a tutti gli effetti?
» Chiese con un
sorriso e un sussurro mentre guardava gli occhi della ragazza
assottigliarsi,
in modo tale da vederlo meglio.
«
Ti amo tantissimo, Finn
Hudson. » Con un cenno della mano che Finn aveva in mano,
infilò l’anello di
formaggio che aveva ancora in mano e che si, puzzava. Santana si
portò il dito
alla bocca, mangiandosi l’anello e scoppiando poi a ridere
come passo
successivo.
«
Hai appena mangiato la
nostra promessa!! » Le fece notare Finn, divertito.
«
Quella la conservo
ancora nel mio cuore, quella che mi hai fatto a Las Vegas quando eri
ubriaco le
batte tutte, compreso un anello di formaggio. » Fece cenno al
ragazzo di
alzarsi stampandogli un bacio sulle labbra fini. « per quanto
sia buono! »
________________________________________________________________________________________________________________________
damnhudson's corner.
Ci ho messo meno di quanto
mi aspettassi a fare questo capitolo. Doveva essere per forza
l'argomento che
non mi piaceva, perché era difficile scriverlo per una che
vomita arcobaleni
[cit] come me.
Spero vivamente che vi sia piaciuto questo capitolo, in modo da poter
andare
avanti, tranquillamente.
Sta iniziando a piangermi il cuore dato che il prossimo capitolo
è l'ultimo, ma
almeno avrò concluso e potrò dedicarmi a nuovi
progetti. :D
Magari fatemi sapere se vi è piaciuto, e scusate per il titolo demenziale,
sono
specializzata
in quello XD
- Bacini, Marti.
|
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Capitolo 7 *** Hello, Hudson! ***
Finntana
Week
- day 7 (deleted
scenes)
Non credo di aver capito a
pieno questo giorno della week, e spulciando un po’ da
qualche parte, ho
trovato un prompt… Il che non so se possa andare bene, ma
boh, ci provo. (: Ci
vediamo alla fine del capitolo per i ringraziamenti, okay? <3
______________________________________________________________________________________________
Santana
Lopez era abituata
al lusso più sfarzoso, suo padre era un dottore… uno di quelli veri a detta sua. Un
chirurgo plastico, infatti.
Guadagnava abbastanza bene – guadagnava moltissimo in effetti
e questo dava il
diritto a Santana – o almeno, lei credeva di avere il diritto
– di sfottere
tutti quelli più poveri rispetto a lei. Rachel Berry vedeva
Santana come la
versione femminile di Jessie St.James, il che era tutto dire. Cattiveria allo stato puro. Non che
Santana non ci avesse pensato a sbattersi Jessie su qualche pianoforte
nell’aula
del Glee, eh, ma a Berry lo aveva sempre marcato stretto.
Ora l’aveva perso di
vista, era andato all’università UCLA a quanto ne
sapeva, dato che quella
chiacchierona non smetteva mai di parlarne.
Quel
pomeriggio aveva un
appuntamento con Puckerman. Era una sveltina in realtà. E
toccava a lei andare
da lui, per quanto casa del ragazzo fosse una baracca che cadeva a
pezzi –
letteralmente il sesso con lui era il migliore sulla piazza; quindi
quando
ricevette il messaggio del giovane Noah Puckerman non se lo fece
ripetere due
volte e montò in macchina. Si era messa un bel vestitino,
nero e bianco.
Attirava l’attenzione di tutti i ragazzi che le passavano
affianco e questo
stimolava la sua vanità. Guidava velocemente
perché era in ritardo di circa
dieci minuti e sebbene non le importasse niente del ritardo non vedeva
l’ora di
far scontrare il suo corpo con quello del ragazzo che la stava
aspettando. La
sua immaginazione lo figurava con una birra in mano, mentre guardava
una
partita di football americano già data in tv, magari in
boxer, mentre l’aspettava
ansioso per la sua stessa ragione. I ragazzi erano molto più
simili di quanto
loro stessi sapessero. Fissati col sesso, con le macchine e…
beh, effettivamente
erano davvero poche le cose che avevano in comune! Ma tanto i due non
erano
soliti parlare molto, facevano ciò che dovevano si
rivestivano ed ognuno andava
per la propria strada.
Non
appena Santana ebbe
imboccato la curva che portava a casa di Puckerman, sentì un
rumore che le fece
presagire il peggio. – Porca puttana!
– Si lamentò, mentre scendeva dalla macchina e
andava a controllare la ruota.
Tutti i suoi propositi erano corretti e la sua gomma posteriore si era
bucata!
Gran bel lavoro. Si guardò intorno, mentre cercava un posto
dove far riparare
la sua stupidissima auto! Insomma, era impossibile non trovare
un’officina
nella strada di casa Puckerman? Ne aveva bisogno davvero, e non voleva
sporcarsi il vestitino gentilmente offerto da papà,
andiamo… Si guardava
intorno ancora speranzosa quando un’insegna le apparve
davanti agli occhi. “Molto
più che auto!”
Sicuramente
il nome non
era uno dei migliori, e dentro ci sarebbe stato un maniaco. Era
combattuta all’idea
di entrare dentro. Le avrebbe fissato le tette e c’era anche
abituata, ma da
parte di ragazzini brufolosi e con la sua età o meno, ma non
da uomini adulti
maniaci. Ma doveva arrivare da Puckerman, per forza. Cacciò
fuori un forte
respiro e sorrise al mondo, come era solita fare quando aveva paura e
Marisol –
la sua tata – non era vicino a lei a stringerle la mano. Lei
era Santana Lopez,
non si sarebbe fatta fermare da un maniaco. E poi aveva sempre con se
lo spray
al peperoncino piccante messicano, importato direttamente –
appunto – dal Messico.
- È permesso? – chiese con
voce roca abituandosi alla poca luce che rifletteva dentro
l’officina sporca e
mal odorante. Un ragazzo altissimo si presentò davanti,
facendola sussultare e
sorridere allo stesso tempo.
-
Porca puttana! Tu lavori
qui? – Chiese Santana ancora, guardando il ragazzo che con
uno strofinaccio
bianco cercava di pulire le sue manone.
-
Santana Lopez, qual buon
vento? – Chiese Finn Hudson guardandola mentre si poggiava ad
un’auto a cui
stava lavorando prima che la latina entrasse dentro il suo mondo.
-
Una ruota bucata lungo
questa strada, puoi aiutarmi? – Domandò la ragazza
al ragazzo. Cercava di estromettergli
uno sconto, le sarebbe andata di lusso se il padre non avesse scoperto
che
aveva di nuovo bucato una ruota. Era una cosa di tutti i giorni per
Santana
quasi. La fretta era consuetudinaria per quanto la riguardava. Era
sempre in
ritardo, quindi si trovava a dover correre sull’autostrada
per arrivare almeno
con un ritardo accettabile.
-
Roba da niente. Ma non
sperare in uno sconto ‘amicizia’. – Disse
subito il ragazzo, conoscendo
Santana.
-
Non hai risposto! –
Disse la mora saltando sopra una superficie apparentemente pulita, dopo
che ci
ebbe passato la manina per spolverarla. Finn si girò a
guardare la ragazza, non
capendo di cosa parlasse ricordandosi solo ora della sua educatissima
esclamazione mentre entrava dentro l’officina.
-
Il denaro è buono e poi l'officina
appartiene a Burt. Probabilmente, se non dovessi andare al college,
rimarrà a
me. Tanto Kurt non se la filerebbe mai un’officina, quindi ci
passo più tempo
possibile e imparo il mestiere alla svelta. Sono portato per i motori.
–
Rispose il ragazzo, mentre si piegava verso l’auto e con un
aggeggio tolse la
ruota. – Immagino ci sia da cambiarla, quindi la spesa non si
estende solo alla
mano d’opera, anche alla nuova ruota che ti
monterò sopra. – La avvisò Finn
ancora. Santana si strinse nelle spalle semplicemente.
-
Procedi Hudson. - sorrise.
– Pensavo che qui dentro ci sarebbe
stato un maniaco che mi avrebbe fissato le tette e invece trovo solo
Finn
Hudson, fantastico! – Le era andata sicuramente bene,
effettivamente.
-
Posso? Sarò discreto! –
disse Finn alzando lo sguardo. Santana nemmeno sapeva che Finn
conoscesse
determinate parole, beh, tanto meglio.
-
Finn! – Si limitò a
ridere. – Mi farai uno sconto? –
-
Smettila di svenderti! –
Continuò a fare il suo lavoro Finn, mentre le loro risate si
amalgamavano
assieme, creando un rumore naturale e bello da sentire.
-
Ho cambiato a ruota, e
signorina, puoi avere più cura dell’olio per
favore? Guarda, se ti costa tanto
ti aiuto io. La porti da me ogni mese… si, ti
farò uno sconto – disse subito,
vedendo lo sguardo della mora posarsi su di lui. – anche se
puoi permetterti il
meccanico. -
aggiunse ancora, ridendo.
-
Macchè, ho sentito papà
parlare con Marisol… Dice che vuole tagliarmi i viveri!
Morirò. – Disse seriamente.
Una scenetta molto drammatica. Magari anche lei sarebbe entrata
nell’accademia
della recitazione, come lui.
-
Andiamo, non si sta
malissimo a fare qualche lavoretto estivo. Conosci gente
nuova… - ma Santana lo
interruppe bruscamente con una risata.
-
Hudson, fai il pipistrello
qui dentro e le uniche persone che conosci sono uomini vecchi ai quali
è
partito il motore. –
-
In genere è il
radiatore, ma grazie per aver tentato! – la corresse Finn,
sorridendole.
-
Ora devo andare, grazie
mille per la velocità con cui hai operato, Finn! –
Salutò con la manina, mentre
Finn le sorrideva.
-
Dovere! –
Detto
questo la ragazza
lasciò i soldi sopra la superficie che aveva pulito col suo
vestitino, lasciano
l’officina soddisfatta del lavoro che Finn aveva fatto alla
sua auto. Forse, ma
forse, aveva messo qualche dollaro in più, convita che Finn
non se accorgesse!
damnhudson’s
corner.
Dannazione,
l’ho portata a
termine. Sono così orgogliosa di me.
Ringrazio mia madre, mio
padre, mio fratello… No, scherzi a parte. Ringrazio la mia
fantasia che non mi
ha mai lasciato sola, anche se ogni tanto
ci tentava.
Grazie a tutti quanti
coloro che hanno seguito questa raccolta di oneshot a tema Finntana.
Siete
stati essenziali! ♥
Ah, ringrazio __Sabotage (
Giulia ♥ ) per aver creato il nome di
Marisol nel nostro gdr.
Lei è la nostra Santana. ( Magari fateci un salto, ci serve
qualche personaggio
in più http://www.facebook.com/pages/Gioco-Di-Ruolo-Gleek-Always-x2/322872921059433
)
Tranquillissimi, ho da finire
‘Letters
to Finn’, ma sto già programmando
un’altra settimana. Visto che al momento ho
il calendario delle ships sotto mano, quindi non vi lascio soli
MUAHAHAHA.
Sarete costretti a leggere qualcosa di mio per tutto l’estate
dato che l’ho
programmata verso la scrittura.
Comunque
niente, grazie di cuore a
tutti coloro che ci sono stati. Vi voglio benissimo.
Marti.
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