Hello, is it me you're looking for?

di damnhudson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** They want sex. I want sex, ehy, do you want sex? ***
Capitolo 2: *** I promise you, we'll be always friends. ***
Capitolo 3: *** SPIEEES. ***
Capitolo 4: *** I love you, like a love song baby. ***
Capitolo 5: *** One Year. ***
Capitolo 6: *** Amore al formaggio. ***
Capitolo 7: *** Hello, Hudson! ***



Capitolo 1
*** They want sex. I want sex, ehy, do you want sex? ***


Day 1 : Movie/TV AU.

 

 They want sex. I want sex, ehy, do you want sex?

 

Santana e Finn si erano ritrovati accoppiati per fare quel compito settimanale al Glee Club.

Ovviamente per conto di Santana Lopez, questo era tutto inutile. Come la preparazione di uno show televisivo gli avrebbe insegnato qualcosa, e questo a cosa sarebbe servito nella vita? Shuester aveva solo risposto che l’organizzazione nella vita è tutto.

Finn dal canto suo, non voleva lavorare con una persona che trovava antipatica, che lo prendeva in giro, ma il fato aveva parlato. Cosa poteva farci lui?

Quindi, quel pomeriggio si trovarono sotto accordo di Santana in biblioteca – luogo che ancora oggi lasciava Finn sbigottito – per provare a fare qualcosa per quella settimana.

 

“Possiamo chiedere ad Artie di aiutarci con le riprese.”

Propose il ragazzo alto, guardando gli appunti della ragazza. Esattamente bianchi, un foglio bianco che non aveva nemmeno il segno di una cancellatura. Finn ci provava, ma a Santana non andava bene niente di quello che lui le proponeva. Almeno lui ci stava provando, mentre lei teneva solo a mettere bene i capelli, in quello che era l'unico boccolo nella coda perfettamente tirata all’indietro imposta dalla Sylvester.

“Questa è una buona idea, Hudson.”

Disse lei, rivolgendogli un sorriso veloce, mentre con la mano leggera andava a scrivere ‘Artie Abrams’ sul foglietto ormai non più bianco.

La calligrafia perfetta di Santana, si sposava perfettamente con la figura della ragazza, slanciata e meravigliosa.

Finn non si era mai soffermato più di tanto a notare quanto il sorriso di Santana fosse luminoso o a quanto le sue ciglia erano lunghe e nere. E i suoi occhi, erano qualcosa di veramente ipnotico.

Di tutta risposta, Santana sollevò lo sguardo e fece un movimento tipicamente afro-americano.

“Cosa c’è, Frankenteen? Ti si è impallato il disco?”

Chiese, seriamente, mentre lui faceva finta di niente, cercando di guardare altrove.

“Wow, ci sono un sacco di libri.”

Che stupido Finn Hudson.

 

“Hai pensato a cosa potremo fare, genio?”

Chiese Santana, guardando il ragazzo. Nemmeno lei si era mai soffermata a guardare, quando i lineamenti di Finn fossero leggeri e giovanili. Nemmeno quando lo sguardo dei due s’incontrò lei smise di analizzarlo. Finn, abbassando il suo, riprese a leggere un libro che aveva trovato nello scomparto dei ‘libri sullo showbusiness’. Secondo Santana avrebbe trovato qualcosa che avrebbe potuto aiutarli, quindi lui si stava impegnando nella difficile lettura di quel libro.

Che poi non era difficile, solo che Finn non era abituato a leggere. Una volta, per leggere un fumetto di cento pagine, ci aveva messo quattro mesi. Non si sa con quanta frequenza leggesse, ma questa volta si stava davvero impegnando.

“TROVATO!”

Esclamò poi Frankenteen, guardando Santana sussultare. La bibliotecaria, con un’occhiataccia, gli intimò di abbassare subito la voce, e lui, si lasciò scivolare sulla sedia. Gli metteva paura quella signora. Aveva una faccia da topo, e secondo Finn non parlava. Con tutto quel tempo speso in un luogo di silenzio – nemmeno fosse una chiesa – doveva aver perso l’uso della parola, la poverina.

“Spara, e non in senso letterale, ma in senso lato.”

Aggiunse Santana, subito.

“In ogni caso non avevo niente con cui spararti, anche se avrei potuto inventare una cerbottana su due piedi.”

“Il primo principio della fisica quantistica?”

Chiese, Santana, sorridendogli in modo aspro.

“Garibaldi.”

Disse allora Finn, finendo per ridere e facendo scivolare la latina in una risata con lui.

“Comunque, sesso! Diamo ai giovani quello che voglio vedere. Una scena di sesso. Auguriamo a tutti di usare il preservativo e tutti gli altri adeguati rimedi.”

Santa sbarrò gli occhi, guardando il ragazzo. Una scena di sesso, loro due?

“Ci sto.” Disse lei, ridendo. “Casa mia, alle otto.”

“ Santana. “ La richiamò lui. Lei si girò curiosa. “ Se è una scena di sesso, Artie non può esserci.”

 

Non sopportava più l’attesa Finn.

Si precipitò a casa di Santana mezz’ora prima. Aveva disdetto l’appuntamento con Artie e i era messo bene le sopracciglia con la saliva. Obiettivamente sì, faceva un po’ schifo, ma erano da mettere apposto e andava fatto in una maniera o in un’altra.

Si era preparato con cura, aveva preso una mentina per l’alito ed era uscito, pronto per girare quella scena di sesso, finta per passare un messaggio a tutti gli adolescenti. Certo, girare un messaggio del genere con Santana Lopez era un po’ utopico, ma avrebbe reso alla perfezione l’idea di come ci si doveva comportare. Della serie: Santana Lopez non approva i bambini.

Era quello che aveva detto lei stessa alla sua amica, quando tempo fa, era rimasta incinta di Noah Puckerman, il che era tutto dire. Nonostante Quinn non glielo avesse mai raccontato, lei poteva metterci la mano sul fuoco che aveva utilizzato la scusa del ‘come sei magra oggi!’ o ‘I tuoi occhi sono così belli oggi.’ Lo sapeva bene, perché aveva usato quelle stupidissime scuse anche con lei. Non che ne avesse bisogno, ma comunque era sempre bello sentirsi dire certe cose, soprattutto da uno come Noah Puckerman. Si stava giusto domandando Santana, appena uscita dalla doccia, mentre sistemava i capelli, se per lei fosse solo un video.

Beh, dopotutto Finn.. oh, beh, lei era stata qualcosa di importante per Finn, e lei si era sentita importante quando Finn scelse di perdere la sua  verginità con lei, ma niente di più. Forse.

 

Quando Finn suonò al campanello, si mise bene nella felpa e sentenziò brevemente su come presentarsi se qualcuno diverso da Santana gli avesse aperto la porta. Quando poi l’ispanica gli aprì, sospirò, stampandosi un sorriso sulla faccia.

“Entra e togliti i vestiti, orsetto del cuore. Ti sei dimenticato come si fanno certe cose? – sospirò guardandolo, mentre appariva confuso. – Scusa, Finn. Sono nervosa.”

Nervosa per cosa? Era solo un compito.

Certo, solo un compito. Infatti si era appostato fuori casa sua mezz’ora prima perché era solo un compito.

 

Si stesero sul letto di Santana, lei sotto, lui sopra come di comune accordo. Lui aveva comunque i pantaloni e lei la gonna. E non seppero bene quando fu il momento in cui smisero di fare finta, ma ad un certo punto tutto diventò dannatamente reale. I baci sul collo, le carezze, le paroline sussurrate all’orecchio di Santana e viceversa. Quello non era più solo un compito, per nessuno dei due, che apparivano tutto fuorché imbarazzati. Sembrava qualcosa che entrambi attendevano da tempo. Una volta che ebbero lanciato il messaggio con tanto di sorrisini finali, Santana si alzò. Finn rimase un po’ sbigottito, sembrava che le cose stessero andando bene, non solo per lui, per entrambi.

“Che cosa è successo?”

Domandò lui, schiarendosi la voce, cercando di risultare il meno affannato del solito.

“Ti aspettavi le coccole? Il nostro lavoro assieme è finito, ragazzino. A breve torna mio padre, se non vuoi che ti trovi, beh, sai dove è la porta.”
Lui si alzò, infilò di nuovo la felpa marcata McKinley e si lasciò la mora alle spalle, come se nulla fosse. Come se non gli importasse niente, a nessuno dei due forse. Santana si era tolta un sassolino dalla scarpa, e Finn c’era rimasto male, ovviamente.

 

Tre giorni dopo, i due continuavano ad ignorarsi, non si conoscevano, estranei. Anche quando il professore gli richiamò per presentare il loro progetto, rimasero distanti.

“Il nostro progetto è ricordarvi di non fare la fine di Quinn Fabray... - Disse Finn, guardando la classe. Brittany alzò la mano. – No, non in carrozzella.”

Disse subito, capendo le intenzioni della bionda con la manina alzata che sventolava quasi stesse salutando la coppia davanti a lei.

“Incinta!”

Aggiunse Santana, sentendo grugnire Quinn. Ancora non aveva perdonato Puck per aver reso il suo corpo in quelle condizioni, ma a pensarci bene, al momento era molto messa peggio. Perciò, si lasciò scivolare per quanto potesse nella carrozzella e continuò a guardare il video. Ci fosse stato Jessie St.James avrebbe detto che quel video andava proibito per il crimine di fare schifo, ma ai due piaceva particolarmente, anche se non si erano ancora guardati in faccia. Ma evidentemente al professor Shue piacque, dato che si alzò per applaudire con foga.

“Capito ragazzi? Sempre, sempre, sempre il preservativo!”

Il Glee Club emise uno strano rantolio, come se facesse impressione parlare di questo con Will Shuester. Alla fine lui era come loro padre, e nessuno voleva parlare con un genitore di sesso.

 

“Che fai dopo la scuola?” Chiese Santana avvicinandosi all’armadietto di Finn, una volta che le lezioni si furono concluse. Finn, la guardò con un sopracciglio alzato, cercando di intuire ogni plausibile proposta da parte della ragazza.

Scrollò le spalle, e sorrise. “Niente, avrei passato il mio tempo ad allenare da solo. Se hai di meglio da proporre.”

Lei sorrise, avvicinandosi ancora di più al ragazzo.

“Possiamo andare a mangiare qualcosa, e passare del tempo assieme.”

Finn la fissò “Per poi mandarmi via, Santana? Okay, ci sono delle cose che devi sapere su di me. Non solo tu hai un orgoglio, non solo tu stai combattendo contro qualcosa. Tutti noi stiamo combattendo per il nostro futuro, per avere qualcosa che ci mantenga in vita, un lavoro, forse. Credimi quando ti dico che anche io vorrei passare questo ultimo anno senza che nessuno mi rompa le scatole. Ma sembra che tu voglia farlo per forza.”

Santana rimase pietrificata. Non credeva che Finn Hudson provasse tanto... odio? No, quello era qualcosa di più e lei lo sapeva bene. Era la sessa cosa che anche lei provava quando... oddio!

“Sai perché faccio certe cose, Hudson?” Chiese lei, vedendo che il ragazzo faceva un cenno negativo con la testa sorrise. “Perché mi piace averti intorno. Mi piace vederti sorridere, vedere i tuoi dentini così bianchi, lasciare lo spazio ad una smorfia, quando capisci che ti sto prendendo in giro. Sono innamorata di te, Finn. Completamente innamorata di te. E te lo dico lo stesso, anche se è troppo tardi, anche se sei innamorato di qualche bella e dolce biondina, o moretta che non sia io. Rachel Berry? Okay, mi andrà bene lo stesso. Sarà una bella batosta, ma prometto di non farle del male.” Disse lei, lasciandosi andare. Maledicendosi perché aveva promesso che non l’avrebbe mai detto a nessuno, tanto meno a Finn. “Puoi dire qualcosa, per favore?” Chiese, in maniera supplicante, quasi.
“Dovresti saperlo Santana. Se tu ti avvicinassi io non ti lascerei mai più andare via.”

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Ecco, questa è la mia prima esperienza con li week, spero di beccarne qualcuno che mi interessi, anche la volta prossima, come è andata con la Finntana. Siccome non so bene come funzionino, ne se devo aggiornare ogni giorno, vedrò di farcela.
So che ho iniziato in ritardo, ma prometto di portarla a termine, quindi chiunque si metta a segurla, non abbia paura, la concludero. :)
Fatemi sapere cosa ne pensate, allora. :)
Bacini.

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Capitolo 2
*** I promise you, we'll be always friends. ***


Day 2 : kid!Finntana.

 

I promise you, we'll be always friends.”

 

L’allora signora Hudson per badare alla sua famiglia, composta dall'unico figlio Finn, aveva bisogno di dedicare il suo tempo al lavoro. Lavoro di qualunque genere che potesse servirle per portare a casa un po’ di pane, per permettere a Finn di crescere sano e forte. Al momento ne aveva tre, più uno che non la retribuiva. Era un lavoro che a rendeva felice però. Era un canile molto povero quello in cui prestava servizio, uno di quelli dove i cani sono malati e nessuno li prende mai, nemmeno se si prova molta pena a guardarli. Se il suo salario glielo avesse permesso, li avrebbe portati tutti a casa sua. A Finn non sarebbe dispiaciuto, anche perché amava gli animali. Una volta gli aveva comprato un canarino, l’aveva chiamato Oliver, perché a detta di Finn, il colore del manto dell’uccellino gli ricordava un’oliva, detto questo poi implorò la madre di comprargli un barattolo di olive.

Quella sera, fu richiamata d’urgenza. Uno sceicco proveniente da chissà quale paese dell’Arabia, si era offerto per comprare quel canile e offrire una cura a tutti i cani lì dentro. E, a detta di Carole, c’era qualcosa di sospetto. Finn aveva otto anni, troppo pochi per essere lasciato da solo in casa e, nonostante la sua prestanza fisica facesse presagire che il ragazzo aveva dodici anni, ne aveva solo otto. Come sempre, quando succedevano queste cose, Carole si prese la briga di chiamare la vicina. Non era proprio la vicina, era la tata dei vicini. Per quanto Finn e Carole ne sapessero, la bambina che abitava lì aveva perso sua madre e da allora, aveva sempre avuto una tata. Finn, fin da sempre, ricordava che la donna aveva un aspetto portoricano, forse argentino – non ne conosceva la differenza, ma portava un accento spagnolo. Aveva un buon odore di arancio appena sbucciato, come se qualcuno avesse messo la buccia sul fuoco e quel aroma riempisse la casa, portava i capelli sempre legati in uno chinon, ben tirato sopra la testa. Il suo nome – quello della donna – è Marianna.

Carole e Marianna, passavano un sacco di tempo assieme, quando la seconda non doveva lavorare, in altre parole raramente. Doveva occuparsi di quella che era una sua figlia acquisita, aiutarla con la scuola, a lavarsi i dentini. La bambina, non aveva la fama di essere molto simpatica, forse era molto viziata essendo figlia unica, ma Marianna le voleva molto bene. D’altronde, si prendeva cura di lei sin da quando era in fasce. Nessuno sa molto sulla madre della bambina, Carole sapeva che si chiamava Rosa e che aveva lasciato il marito con una figlia troppo piccola da accudire. Non avevano mai fatto domande a riguardo. La cosa bella di quel quartiere era che tutti si facevano gli affari propri. Ovviamente, tutti sapevano che Christopher aveva perso la vita in modo onorevole.

In ogni caso, quando la bambina insistette affinché Marianna la portasse con se dagli Hudson, la donna sorrise cordialmente. Si sarebbero fatti compagnia, almeno, nonostante Santana non brillasse per simpatia. Le pettinò i lunghi capelli corvini in due trecce. La sua bellissima bambina, da grande sarebbe diventata una modella. Ne era sicura, era troppo bella per essere vera.

 

*

 

“Signora Hudson, siamo a casa.” Disse Marianna, entrando dentro casa, mentre teneva una mano dietro la schiena della bambina a cui nello stesso tempo teneva la mano. Con una faccia un po’ schifata, la bambina si guardava intorno. Non sapeva come Marianna facesse a stare per tutto quel tempo in una casetta così piccola e brutta, ma almeno non puzzava.

“Mamma è andata via, aveva che era veramente di fretta.”. Finn comparve da una stanza in fondo alla casa, camera sua forse. Sta di fatto che sembra annoiato. Inizialmente non notò la bambina, stava andando a prendersi un po’ di latte, ma quando Marianna tossicchiò spingendo in avanti la bambina che guardò la donna con fare confuso.

“Finn, lei è Santana.” – Finn si girò a guardare la ragazzina. “E’ la bambina cui bado da anni e anni.” Oh, ecco ora si spiegava. Ma a Finn, cosa importava?

“Latte?” Chiese, guardando la bambina.

“No, mi piacerebbe un tè.” Con fare educato rispose lei, mentre Marianna guardava i due molto fiera. Voleva bene a Finn, per questo ci teneva tanto che i due andassero d’accordo.

“Non ho la più pallida idea di come si possa preparare, mi dispiace, miss.”- Disse, Finn con un ghigno sulla faccia. Era una plateale presa in giro. Lui non beveva tè. Secondo sua madre quello era ‘nettare per i ricchi’. Avevano qualche bustina aromatizzata dentro la credenza, ma era per le occasioni speciali. – “Ripeto, latte?”

La bambina annuì lentamente, guardando il bambino che si arrampicava sulla credenza per prendere un bicchiere che sciacquò con cura prima di porgerglielo pieno di latte.

“Grazie Finn.”

“Prego Santana.”

 

*

 

Finn era tornato nella sua camera con fare stanco, anche se non aveva poi fatto niente di eccezionale. Si buttò sul letto e riaccese la tv, mentre sentiva le voci di Santana e Marianna provenire dal salotto. Anche loro stavano guardando la tv, ridendo e scherzando. Non si sentiva solo, lui c’era abituato. Sua madre non c’era quasi mai e la sua migliore compagna era la tv.

“Ciao, Finn. Ti va se giochiamo assieme?” Chiese, Santana entrando dentro la stanza dove Finn stava coricato.

“No.” Rispose brevemente.

“Che cosa fai qui tutto il tempo?” Chiese ancora Santana, saltando sul letto di Finn.

“Guardo la tv. Non ti sembrava ovvio?” Si girò a guardarla, mentre lei guardava la tv. Non era un programma interessante, forse era una cosa che solo i ragazzi potevano capire, perché lei no, non lo capiva.

“Sì, scusa, che domanda stupida.” Finn sorrise, tornando a guardare la tv, con fare annoiato.

“Uhm, San... Ripensandoci, mi piacerebbe giocare, hai qualche idea?” Saltò giù dal letto, aspettando che la bambina lo seguisse. Se Noah Puckerman l’avesse visto, l’avrebbe ammazzato di botte. Giocare con una bambina – per di più ricca – non poteva esistere. Almeno secondo Puck. Lui non aveva amiche, aveva solo una quantità di persone che facevano tutto quello che lui voleva. Era la legge della giungla, e a parte Finn, la seguivano.

“Hai mai giocato a moglie e marito?” – Chiese Santana, il bambino la guardò e scosse la testa con un cenno negativo, aspettando che la bambina gli spiegasse il gioco. – “Bene, noi ci fingiamo sposati. E’ la versione distorta di ‘mamma e figlio’ – fece agitando le manine in piccole virgolette – noi facciamo delle cose così, tipo far finta di andare a fare la spesa, o che so io.. insieme. Ti va?” Chiese, accennando ad una risata.

“Santana..”

“Sì?” Chiese la bambina, mettendosi le trecce davanti.

“Conosci Noah Puckerman?” Chiese Finn, guardandola.

“No, chi è?”

“Bene, giochiamo!”

 

 

*

 

“Tesoro, ti piace il prosciutto?” Chiese Finn, facendo finta di spingere un carrello, stavano in cortile, mentre Marianna li osservava dalla finestra principale. Santana lo aveva obbligato a chiamarla tesoro, ma a Finn, non conoscendone il vero e proprio significato, non importava. Santana annuì lentamente, mentre teneva tra le braccia un bambolotto tutto brutto che apparteneva a Finn, quando era più piccolo.

“Non piangere Mr. Noggle.” - Avevano deciso insieme di chiamarlo così, in realtà era il nome di un pupazzo che Finn aveva visto alla tv, e Santana acconsentì. Portò il bambolotto in alto, esponendolo alla luce del sole, e gli sorrideva, come se fosse un vero bambino. – “ Andrà tutto bene. Adesso papà ti compra il prosciutto e appena torniamo a casa, ti faccio un bel paninetto. Contento, piccolo?”
Finn, con una leggerezza d’animo che solo i bambini avevano, si girò verso Santana e gli sorrise, costringendo la bambina a sorridergli di rimando.

“Che carne prendiamo, caro?” La bambina gli passò il bambolotto, prendendo – fingendo – di prendere tra le mani il carrello. Finn strinse a se il piccolo, e gli sorrise. Lo trovava davvero brutto, a dirla tutta. Era tutto sporco di penna, perché no, lui non aveva niente da fare.

“Uhm, il pollo, il tacchino.. il cammello e perché no, la carota.”. Rispose Finn, sorridendole.

“Finn, la carota non è un tipo di carne, è una verdura.” Santana lo rimproverò con fare calmo, mentre aveva stampato un sorriso sul suo viso.

“Ops, non sono molto bravo in queste cose, scusa.” Si portò una mano dietro la nuca, e se la accarezzò, gesto tipico di quando era imbarazzato. Odiava sbagliare, specialmente davanti agli amici. Ormai per lui, Santana era una amica, e sentiva di volerle già un sacco di bene. Le cose tra bambini sono più semplici, ed è impossibile spiegare cosa leghi due bambini tra loro. La complicità forse. La pura innocenza.

“Si è fatto buio ed è arrivata tua madre.” Disse, Santana con fare triste mentre tornava dentro casa. Suo padre gli aveva sempre proibito di stare fuori al buio e senza nessuno che potesse controllarla.

“Oh.” Finn si strinse nelle spalle entrando dentro casa, si guardò intorno cercando di capire dove fosse Marianna che li chiamava dalla cucina. “Torni domani?”

“Non lo so. Ti faccio sapere, d’accordo?” Chiese, Santana. In qualche modo i due avrebbero trovato un modo per tornare a vedersi.

Avevano passato un buon pomeriggio assieme e anche se a Finn era sembrata antipatica, la bambina si era rivelata più interessante di quanto potesse sembrare.

Le voleva bene, quasi si conoscessero da sempre, quasi fossero sempre stati amici. Era quella l’amicizia che tutti – compresi gli adulti – dovrebbero provare e Finn sapeva che per la sua nuova amica Santana, valeva lo stesso perché le cose – compresa l’amicizia – si fanno in due e tra loro aveva funzionato alla grande.

 

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Mimimimi, ho portato a termine un altro capitolo della ma week.

Dopo essere stata fuori per le vacanze, mi sono dovuta arrangiare con qualche bozza trovata nel mio cellulare, perciò ne è uscito questo. Mi farebbe molto piacere se mi diceste cosa ne pensate. J Marti.

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Capitolo 3
*** SPIEEES. ***


Day 3: Personality Swap!

Finn Hudson, aveva cessato di essere un capitano di una squadra di football solo alla fine del liceo. Aveva preso in considerazione l'idea di accettare la borsa di studio proveniente dalla Columbia - per lo sport. - ma non si sentiva particolarmente all'altezza. Voleva dire! La Columbia. Era una della scuola più prestigiose a New York. Ne aveva parlato con i suoi, che seppur riluttanti avevano accettato la decisione del figlio. Erano sempre stati del parere che Finn avrebbe potuto cavarsela in ogni modo, per quello avevano lasciato che se la prendesse con calma nella sua vita.
Esattamente cinque anni dopo la conclusione del liceo, aveva rincontrato Santana Lopez, ad una festa. Nonostante tutte le domande che il ragazzo gli porse la ragazza non seppe spiegarli come mai si trovavano alla stessa festa, lo stesso giorno, portati esattamente dalla stessa persona. Il signor Harvey era un uomo d'affari molto conosciuto in America, e Finn lavorava per lui da qualche anno. La paga era buona e gli consentiva di avere un buon appartamento in South Dakota e di poter mandare un tanto ogni mese per aiutare i genitori ogni quanto poteva. Non si poteva lamentare della sua vita.
Dopo tre anni da quell'incontro, fece la proposta di matrimonio a Santana, la quale senza aspettare un momento gli rispose di sì. Ma nessuno dei due si conosceva a fondo. O meglio, sapevano esattamente a cosa andavano in contro, ma non alle eventuali verità che quella coppia avrebbe portato.

*

"Scusa, tesoro.." Disse Finn, poggiando un bacio sulla fronte della sua prossima sposa. "Sono n ritardo."
"Non preoccuparti, vieni, dobbiamo scegliere damigelle, vestiti, testimoni e smokings." Fece con un sorriso sul volto. Lo stesso che ogni giorno, pazientemente, portava quando il ragazza si scusava per il ritardo. Non si era mai lamentata per quello che Finn le faceva pesare, lo amava per quello che era compresi i ritardi alle cene importanti, o per le decisioni importanti. Con i capelli sciolti che le cadevano sulle spalle, Santana prese il foglio di appunti che stava compilando in precedenza, prima dell'arrivo del ragazzo.
"Okay, con cosa iniziamo?" Chiese lui, sedendosi al tavolo rotondo.
"Testimoni. Hai già scelto i tuoi?" Domandò.
" Puckerman e St.James." Disse lui. No, niente Sam Evans. Finn e Jesse erano diventati molto amici al matrimonio di quest'ultimo, quando si ritrovarono in bagno ubriachi fradici a fare la gara 'del pene più lungo'. Finn ne uscì molto distrutto quando scoprì che Jessie lo aveva - anche se di poco - più lungo. Comunque, si prese la sua rivincita quando si misurarono le tette, e come era ovvio a tutti, Finn vinse.
"Okay, allora lo scrivo. Finn, non si torna indietro." Avvisò lei, lui annuì.
"Lo so. Sono consapevole della scelta che sto facendo." Sorrise lui, stringendo la mano della ragazza in una presa stretta, come per trasmetterle tutte le sicurezze.
"Voglio vestirmi di rosso al mio matrimonio." Avvisò Santana. "Come al liceo. Devil in red dress." Kurt Hummel l'aveva definita così, quando si stava provando il vestito per il Prom. Oh, sembrava passato così tanto da l'ultima volta che vide i suoi amici, eppure non era poi così tanto.
"Così metterai tutti in difficoltà. Non ti va proprio il classico bianco nuziale, San?" Chiese Finn, divertito mentre guardava la ragazza armeggiare con una matita col gommino sopra.
"No, è...  anonimo!" Disse, ridendo lei.
" Oh beh..  - Finn si sporse per dare un bacio alla ragazza sulle labbra morbide che si ritrovava. - ..indovina un po' di chi è il matrimonio?! " Chiese, sorridendole dopo.
" Mio? Posso vestirmi come voglio? " Chiese lei, ricambiando il bacio di lui e saltellando composta sulla sedia. Finn le rivolse un sorriso sbilenco, mentre annuiva. A meno che non ci fossero delle leggi che vietavano il colore nelle chiese, quello era il suo matrimonio e si sarebbe vestita come avrebbe preferito lei.
" Chi sono i tuoi testimoni? " Chiese, Finn. Sapeva che Santana era ancora molto indecisa al momento sulla questione testimoni. Aveva conservato i rapporti con Quinn, ma non sapeva più niente di Brittany da un pezzo. Oh, avrebbe voluto rivederla così tanto, ma il suo lavoro non glielo permetteva.. il suo lavoro! Santana non rispose e riprese a scrivere qualcosa di comprensibile solo ai suoi occhi su quei fogli.  " San, vado a prendere del caffè, mi aspetti? " Chiese Finn, sorridendo. La ragazza annuì.
" Prendine un po' anche a me, per favore. "

Il cellulare di Finn continuava a squillare, non poteva rispondere così davanti a Santana... anche perché era l'altro cellulare, quello nero, quello che non era autorizzato a mostrare a nessuno, quello che racchiudeva il suo vero lavoro, un lavoro di cui nessuno era a conoscenza, tranne il suo amico Jessie St.James che lavorava con lui.
"Jessie, che c'è?" Chiese, portando un dito sopra lo schermo lucido del cellulare non appena si fu chiuso in cucina.
"Oh, senti.. non fare quel tono seccato con me, anche a me costa fatica chiamarti da questo cellulare." Disse Jessie, con un tono decisamente alterato. "Devo dirti una cosina."
"Oh, no, non fare così." Disse Finn. Sapeva che quando Jessie parlava così c'era qualcosa che non stava andando. " Non posso spostarmi di casa, ho un matrimonio in preparazione e ho già usato tutte le scuse possibili e immaginabili."
"Devi, oh Cristo, devi incontrare un personal trainer per buttare via quella ciccia, inoltre non so come facciano a lasciarti lavorare con tutta quella pancia che ti porti dietro. Non sei stanco quando corri? " Chiese Jessie in un sussurro.
"Simpatia! Mi hai chiamato per chiedermi queste cose o per dirmi qualcosa di serio? " Chiese allora Finn.
" We got a probleeeem. " Canticchiò Jessie, ridendo. Anche lui aveva esaurito le scuse da utilizzare con Rachel. Anche lui aveva una vita, un figlio da crescere, un lavoro a teatro che gli prendeva tutto il tempo. Eppure aveva anche quella doppia vita, quella che faceva parte di lui da quattro anni ormai, uno in più di Finn che ne contava solo tre. Il signor
Harvey infatti, aveva mandato Jessie a chiamare Finn per farlo accedere alle nuove informazioni sull'identità che avrebbe utilizzato quando sarebbe diventato una spia. Jessie gli aveva insegnato praticamente tutto ed era per quello che alla fine avevano legato così tanto, non c'erano altri motivi plausibili per cui estromettere Sam Evans dai suoi testimoni se non per quello. Gli aveva coperto le spalle più volte, durante le missioni e a volte, anche salvato la vita.
"Quale con precisione?"
"Mi fa molto ridere il tono serio che assumi quando si tratta di lavoro." Lo schernì Jessie. Finn sapeva che era solo per allontanare l'ansia della nuova missione, stava temporeggiando.
"Sei un coglione." Finn rise, mentre Jessie tossicchiava. Non era abituato a sentire queste parole forti usate contro di lui.
"Un pallino di demerito, Hudson."
"Missione." Gli ricordò Finn.
"Giusto, come sei curiosa, signorina." Jessie rise, poi tornò serio. "Praticamente un'associazione simile alla nostra, ci minaccia. Dobbiamo distruggerla, e mi sembra anche inutile dirtelo, no?"
"A quando pare." Disse, Finn. "Dove e quando?"
"Sotto casa mia, come sempre. A dopo."
Finn non rispose nemmeno e chiuse la chiamata. Si passò una mano tra i capelli castani e sospirò, prese le due tazze di caffè e iniziò a sorseggiare il suo, con tranquillità. Santana stava in giro per la stanza, mentre cercava tutte le sue cose per metterle nella sua borsetta. Si avvicinò a Finn con un fare stranamente angelico e gli rubò un bacio.
"Ho sentito Brittany e indovina un po'? E' qui a New York con la sua compagnia di danza, abbiamo deciso di vederci!" Finn ebbe appena il tempo di annuire che la ragazza lasciò la casa, chiudendosi la porta alle spalle. Finn non sapeva se seguirla o meno, tutti sapevano del flirt che aveva avuto con la ragazza, non sapeva se avesse dovuto preoccuparsi, se.. oh, Dio. Finn Hudson combatteva contro le associazioni 'cattive' con Jessie St.James, non poteva farsi queste fottute paranoie. Ma dove aveva messo le chiavi della macchina? Si portò velocemente verso il tavolo della cucina, dove vide qualcosa di molto simile al suo cellulare nero, quello che usava per lavoro. Lo squadrò, senza toccarlo, se c'era una cosa che aveva imparato col suo lavoro era non toccare le cose senza guanti appositi, anche se questo faceva molto CSI. Si concesse dieci minuti per guardarlo ancora, anche se dopo avrebbe dovuto guidare in fretta e furia per arrivare puntuale sotto casa di Jessie. Si infilò i guanti trovati per caso in cucina e aprì il telefonino. Una loro foto nello sfondo, questo non voleva dire niente, anche lui ne aveva una sul suo nero. Si allontanò velocemente da quel cellulare, se Santana avesse avuto qualcosa da dirgli glielo avrebbe detto, senza problemi.

"Ciao Jessie."
"Hudson." Il ragazzo davanti a lui, un po' molto più basso di Finn, aveva messo il suo solito smoking nero. Finn ne indossava uno a sua volta, lo dovevano portare sempre, perché in fin dei conti il loro lavoro aveva bisogno di uno smoking e poi la verità era che stavano molto bene vestiti così.
"Credo che Santana.... " Finn si interruppe quando la vide proprio davanti ai suoi occhi con Brittany. " Nasconditi, stupido." Tirò giù Jessie, che cadde col sedere a terra.
"Cosa? Cosa ti ha fatto la latina?" Chiese Jessie, mentre cercava di pulirsi il sedere.
"Mi tradisce con Brittany!" Poi indicò davanti a loro le ragazze che camminavano con passo svelto cercando di non attirare l'attenzione.
"Ma sei cretino?" Chiese Jessie in un sussurro.
"Perché mai?"
"Secondo te ad un passo dal matrimonio, dopo che ha avuto tre anni per farlo, ti tradisce?" Chiese Jessie, con la bocca spalancata. "Sei sempre più stupido."
Finn guardò davanti a se, cercando di nuovo Santana che però era sparita. Solo la bionda era rimasta e assieme a lui c'era un ragazzo che a teneva per mano. Jessie gli diede uno scappellotto all'altezza della nuca, e capì che sì, era stato davvero un idiota a dubitare della sua fidanzata ora si odiava.
"Andiamo, Hudson!" Disse Jessie, riportandolo alla realtà. Annuii e si guardò intorno, alzandosi da dietro la macchina dietro cui erano nascosti.
"Sai che la gente al liceo pensava che avessimo una relazione?" Chiese Finn, allisciandosi il completo nero che indossava quel giorno, mentre parlava con Jessie con una naturalezza che non si sarebbe mai aspettato visto tutti i problemi che avevano avuto in precedenza.
"Ah, sì? Io pensavo che tu ne avessi una con Evans e Puckerman. Sai, una cosa a tre." Disse Jessie, ridendo sotto i baffi. L'unica cosa che Jessie si ricordava del McKinley era il dolore che la sua attuale moglie gli aveva fatto provare, ma quel liceo aveva riservato davvero tanto dolore a tutti i ragazzi del Glee Club. A Finn quasi quasi mancava cantare, quasi.. Anche perché a contatto col pericolo stava decisamente meglio, anche se era un po' masochismo questo.
"No, se avessimo avuto una cosa a tre avremmo chiamato anche te, tranquillo." Disse Finn, facendo scoppiare a ridere il ragazzo che aveva vicino. Finn si girò per guardarlo, com'erano cambiate le cose. La persona che più odiava al mondo ora era il suo compagno di lavoro, un lavoro che solo lui conosceva, un lavoro molto difficile. A Finn ed a Jessie nello stesso momento squillò il cellulare, che presero entrambi con velocità, portandolo all'orecchio.
"Pronto?" Chiesero in coro, stupendosi.
"Il vostro nemico è una donna.. un gran pezzo di donna a dirla tutta." Il loro capo gli avvisava. Nel mondo delle spie, le spie non avevano sesso. Non potevano non combattere contro di lei per paura di farle male. Sarah Walker ne aveva preso di colpi e Finn lo sapeva bene, dato che seguiva con avidità quel telefilm americano.

*

"Finn, occhio, le donne sono furbe e utilizzano gli spazi. " Gli ricordò Jessie, mentre si guardava intorno un po' spaventato. Ma non perché aveva paura di una ragazza, lui non aveva paura di nessuno, ma appunto per i consigli che aveva appena dato a Finn. Le donne sapevano utilizzare meglio gli spazi perché erano più piccole e sapevano nascondersi meglio dietro a qualsiasi cosa. Cosa che Finn Hudson, per esempio non avrebbe mai potuto fare dato che era alto quanto la torre Eiffel. Non era un dettaglio a loro favore quello e non lo sarebbe mai stato.
"Attenzione, ricordati di Audrey a casa e Rachel." Finn, sorrise Jessie abbasso lo sguardo sulla sua pistola.
"Ha appena imparato a camminare, Finn.. Non fare stupidaggini, per favore." Disse, Jessie rivolgendogli un sorriso al volo. Ce l'avrebbero fatta, come sempre. Erano loro due, si guardavano le spalle.
"Uh e se il mio testimone di nozze, escine vivo!" Lo avvisò Finn, ridendo a bassa voce mentre continuava a guardarsi intorno. Quel posto metteva i brividi, era uno stabilimento fatto in mattoni rosso sangue, o forse quello era davvero sangue, chissà.
"Che onore, ma ora basta con i sentimentalismi.. Cazzo! Alla tua destra!" Non finì di dirlo che si udì un suono di uno sparo e Finn che si nascondeva dietro una macchina tirando fuori la sua pistola che aveva accuratamente caricato mezz'ora prima. Adorava la sua pistola, era nera e grigia, fu la prima cosa che gli consegnarono quando entrò a far parte di quella grande organizzazione.
"Un pallino di demerito, Jessie caro!" Finn con tutta la sua corpulenza, si alzò e sparò nel punto da cui proveniva il primo sparo. Se lo sentì di averla mancata, c'erano cose che percepiva.
"Che diavolo...?" Urlò una ragazza. A Finn scese un colpo. Conosceva quella voce, Dio se la conosceva.
"Santana?" bisbigliò Jessie. Allora Finn non si era sbagliato, spostò lo sguardo su Jessie e annuì. Merda, merda, merda. Cosa avrebbe fatto ora? Non poteva ucciderla, non poteva farsi vedere.
"Cosa faccio?" Chiese Finn. "Dio, sono fottuto."
"Solo oggi due pallini di demerito. - Jessie, allargò la sua bocca in un sorriso, ma poi tacque. - scusa, esci allo scoperto, qualcosa che sapete solo voi. Capirà. "
"Sei geniale." Disse, Finn. A quel punto, Finn si mise a pensare. " Devil in red dress. " Urlò. Sperò che lo sentisse.
" Hudson? " Chiese lei. Il cuore le batté fortissimo, sentendolo parlare. Era impossibile che entrambi fossero lì, in quella situazione, Dio. Che casino.
"Ti credevo con Brittany, che ci fai qui? " Lui a quel punto saltò fuori, fregandosene della copertura, del fatto che Jessie lo stesse odiando al momento. Era la sua donna quella, come poteva stare coperto, qualcuno l'avrebbe uccisa sicuramente. O qualcuno avrebbe ucciso lui. Il colpo arrivò quando Finn non se lo aspettava per niente, si era appena sollevato da terra, aveva abbassato la pistola e la guardia quando il compagno di Santana lo beccò all'altezza della spalla, lasciando che il sangue zampillasse fuori. Finn svenne, Santana si guardò intorno, trovò Jessie che corse incontro al ragazzo a terra.
" Chiama un'ambulanza, Lopez! "


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Da " le doppie identità dei miei figli. " Scusate il galoppante ritardo, si chiama scuola. XD Spero che vi piaccia. Marti. (:

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Capitolo 4
*** I love you, like a love song baby. ***


Day 4 : Pregnancy/Babies/Family

 

« Ciao papààà. »

Squillò la bambina non appena vide il suo papà varcare la porta. Finn era stanco, e anche oggi, aveva lavorato le sue tredici ore senza doversi lamentare. Si abbassò leggermente per prendere in braccio la sua bambina e lei gli strinse le braccia al collo. Quello era il momento preferito di Sofia, quando il suo papà tornava, e, anche se era troppo stanco, l’uomo le riservava sempre un po’ di tempo che spendevano come sua figlia voleva. A volte guardavano la tv, altre costruivano castelli con le lego. Sofia aveva quattro anni, era nata dall’amore di Finn e Santana, esattamente dodici anni dopo che avevano deciso di stare assieme. Non era una gravidanza programmata, anzi il loro intento era quello di divertirsi, e fare l’amore come ricci, ma poi successe. Santana ancora ricordava quel momento, ricordava la ‘paura’ negli occhi di Finn, e soprattutto il gridolino che aveva lasciato sfuggirsi quando Santana gli assicurò che era seria.

Finn si concesse una doccia, prima di dedicarsi completamente alla sua bambina, che richiedeva le sue attenzioni. Lasciò che l’acqua scivolasse contro la sua pelle, e che il rumore che il getto provocava sopprimesse il rumore dei suoi pensanti pensieri. Anche oggi aveva dovuto ingoiare il sapore amaro della sconfitta, aveva lasciato che qualcuno gli mettesse i piedi in testa. Finn Hudson aveva imparato ad essere forte, a lasciare che qualcuno lo credesse troppo debole per reagire e farlo nel momento più giusto. Aveva imparato col tempo che sfidare persona che risultavano più forti di lui non aiutava ad ottenere qualcosa subito, bensì, l’allontanava solamente. Aveva imparato l’arte della pazienza col tempo.

« Allora cosa facciamo oggi papà? » Chiese Sofia, mentre Finn entrava nel grande salone perfettamente ordinato da Santana.

« Aspetta un secondo angelo, non ho ancora salutato la mamma. »

« Non c’è. » annunciò la bambina, sempre col sorriso sulle labbra. Quel sorriso era la cura ad ogni tristezza, in un secondo la nube che attanagliava la testa di Finn sparì, lo lasciò libero, così si chinò per prendere in braccio la sua bambina e darle un lungo e affettuoso abbraccio.

« Che cosa ho fatto? » Chiese cingendo il collo del suo papà, sempre fortissimo per lei. La verità era che Finn, col suo lavoro non era fortissimo. Aveva i nervi a fior di pelle, i reni che imploravano pietà e aveva sviluppato un’allergia alla polvere mai avuta prima. Quel cantiere in cui lavorava lo uccideva giorno dopo giorno, eppure mai si era lamentato. Aveva sempre fatto il suo lavoro, perché quello era il suo dovere. Far crescere la sua bambina sana e forte e dare la vita che aveva promesso a Santana e per questo ci voleva impegno. Anche se l’ispanica signora Hudson, alla fine non chiedeva molto e questo era da ammettere.

« Che cosa preferisci fare ora? Possiamo giocare con le lego, vedere un cartone o anche un film. » Propose Finn, senza rispondere alla precedente domanda della bambina. Non c’era assolutamente bisogno di ricordarle che era la sua vita, che le voleva un bene da morire, perché era chiaro a tutti che ogni padre provava sentimenti simili per sua figlia, e quelli di Finn erano così. Tanto, troppo amore per un topino di quattro anni, che era abituato a chiamare Sofia, sua figlia. Gli aveva illuminato l’esistenza, senza dubbio.

« Lego! »

Finn sorrise, mettendo giù la bambina e portandola in camera sua, dove le lego stavano poggiate sulla scrivania in una barattolo rosso come il vestito di Santana al primo prom a cui erano andati.

 

***

« Che cosa sta succedendo, papino? » Chiese Santana, entrando nella stanza della bimba. Aveva trovato Finn seduto su uno sgabello, mentre guardava sua figlia dormire, la cameretta avvolta dal buio e un silenzio sovrano. Si avvicinò al corpo immobile del suo uomo e lentamente gli massaggiò le spalle, scoprendo che aveva tutti in nervi accavallati. C’era qualcosa che stava turbando il suo pensiero. Non si erano visti per tutto il giorno a causa del lavoro di lui e quando era rientrato lei non c’era, quindi avevano dovuto aspettare per incontrarsi e per rivolgersi quelle quattro parole che si dicevano prima di crollare in un sonno esasperato, sperando che la mattina dopo non arrivasse mai, affinché il giovane Finn potesse recuperare tutto il sonno che aveva perso svegliandosi alle cinque di mattina. Finn odiava quel cantiere del cazzo, odiava starnutire perché c’era troppa polvere. Odiava il fatto che, tutte quelle persone li dentro avessero il suo stesso identico umore. Erano sottopagati e sfruttati. Com’era normale che fosse dovessero lavorare solo otto ore, al massimo, ma lì si sfioravano le quattordici ore. Aveva preso l’abitudine di segnare le ore che faceva durante il mese sopra il calendario, regalatogli dal farmacista della farmacia sotto casa loro.

« Niente, sono solo stanco... » Fece Finn, sorridendo e alzandosi dallo sgabello. Santana attese che suo marito ebbe rimboccato le coperte a sua figlia e che lasciasse la stanza, pronta poi a seguirlo, pronta ad ascoltarlo.

Quando Finn fu fuori dalla stanza, si passò la mano sul viso con fare frustrato, sospirò e si buttò sopra il divano, accendendo la televisione. Santana si sedette di fianco a lui, silenziosa, aspettando il momento propizio. Si sarebbe aperto lui. Aveva imparato a conoscerlo. Non bisognava forzarlo a parlare, sennò non l’avrebbe fatto. Attese che il primo inning della partita di baseball si concluse, ma lui ancora non parlava.

« Hai litigato ancora con Mills? »

« Come sempre, quando non mi vanno giù le tredici ore che devo lavorare per forza, Santana. » Rispose, Finn. Non staccò lo sguardo dalla tv per nessuna di quelle frasi che disse alla ragazza affianco a lui. Lei parve non perdere la speranza.

« Raccontami. » Sussurrò. Finn spense la tv, e si girò a guardarla.

« Gli ho ricordato che era troppo per un essere umano lavorare tredici ore andando avanti e indietro tirando i colli che arrivano – Finn sospirò, un sospiro lungo e triste. – Mi ha detto che questo lavoro non è per le femminucce, non è per i cantanti. – continuò. Solo perché una dannata volta era stato trovato mentre cantava ‘Losing my religion’  in memoria dei vecchi tempi, che gli mancavano davvero molto. – Io non sono un cantante. Cerco solo di dar da mangiare alla mia famiglia, che cosa c’è di sbagliato, San? A volte vorrei solo piazzare un pugno sull’occhio di quel rompicazzo di un campo dittatore, così capirebbe, ma non posso. Non posso lasciare che la mia famiglia cali a picco, così, mi arrendo, mi giro di spalle, apro il portafoglio e cerco la foto, l’unica, che ho tua con Sofia. E capisco che non posso far tornare il Finn di un tempo, non posso perché poi saremo perduti. » Ora si sentiva dannatamente meglio, aveva parlato con Santana di questa situazione che lo opprimeva, anche se gliene parlava in pratica sempre. Ma ne aveva bisogno e lei lo capiva, lo stava sempre ad ascoltare.

« Sei l’uomo più fantastico del mondo, Finn Hudson. Ti amo tanto. » Lei sorrise dolcemente, dandogli un bacio a fior di labbra.

« Ti amo anche io, Snix. » Proprio come al liceo, anche se Finn non ricordava in che occasione lo disse.

« Se fosse stato un maschio, come l’avresti voluto chiamare? » Chiese Santana curiosa. Si erano divisi i nomi. Lei avrebbe scelto il nome della bambina e lui quello per il maschio. Per stare al passo con le sue origini, scelse Sofia. Era un nome latino, un po’ spagnolo, ma la sua bisnonna si chiamava così e lei volle ricordarla.

« Nash. » Finn sapeva bene come avrebbe chiamato suo figlio. Aveva pensato anche di adattarlo alla bambina. Forse Sofia Nashina non sarebbe stato male, ma poi avrebbe fatto la stessa fine di Drizzle, cestinato! Perciò lasciò che fosse sua madre a sceglierlo.

« Nash è un bel nome. Come ti è venuto? » Chiese lei curiosa.

« Il chitarrista degli Hot Chelle Rae. Nash Overstreet. » Santana avrebbe dovuto saperlo. Amava quella band sin da quando erano al liceo.

« Credo che Nash stia per arrivare, allora… » Gli prese la mano e la poggiò sul suo piccolo pancino, al momento. Questo voleva dire che era incinta vero? Anche se era troppo presto per sapere il sesso del bambino lei era incinta. Era felice, Finn Hudson. Era davvero felice, come una Pasqua, anche se avrebbe dovuto lavorare per forza e per sempre in quello squallido cantiere dove veniva sfruttato. « Sarai un ottimo papà. » Concluse, l’ispanica.

« Credo solo che Sofia sarà gelosa. Tu ti dovresti dividere tra il piccolo e ipotetico Nash e io dovrò lavorare ancora di più, dici che ce la faremo? » Chiese Finn, un ditino preoccupato per la sua – al momento – figlia unica. Non voleva farle mancare niente. E anche se non le mancava niente effettivamente, non voleva iniziare adesso, con la nascita di un altro bambino.

« Siamo dei genitori perfetti, Hudson. Ce la faremo, proprio come abbiamo fatto. – Disse Santana, ridendo. Amava quando Finn si preoccupava in questa maniera per la loro bambina. Lo trovava sexy, quasi. – Magari, però... – iniziò di nuovo, all’attacco. – dovremmo ridurre ancora di più la nostra intimità… » Finn la guardò scandalizzato mentre l’ispanica li davanti a lui si spostava i capelli dal collo, mostrando il suo seno scoperto dalla scollatura audace e si mordeva il labbro.

« Non vorrei sembrarti un ninfomane, ma credo che si debba recuperare già da ora tutto il tempo che perderemo. » Santana rise, mentre il ragazzo già si era buttato sulle labbra morbide della donna che ogni giorno aveva accanto. Della donna che tra nove mese gli avrebbe dato un altro bambino, che avrebbe senza dubbio amato quanto Sofia. Senza differenze. Si amavano ed erano felici, anche se lui ogni tanto, tornava stanco e avvilito dal lavoro. Gli Hudson erano felici e da tre, stavano per diventare quattro.

 

 

 

 

 

Tutto questo parlare di tredici ore mi ricorda il mio papà che si spacca la schiena per noi figli ingrati. I love my daddy.
Okay, finalmente sono riuscita ad aggiornare. Mi viene difficile, oltre che per la scuola, per la poca ispirazione che sto avendo al periodo. Ho tipo ventordici OS aperte, ma non riesco a fare niente. Sto perdendo la mia vena artistica ç_ç
Grazie a chi ha commentato le altre tre, perché siete con me e mi spingete ad aprire un documento word ogni volta. Siete senza dubbio fondamentali. Love u.
Alla prossima. <3

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Capitolo 5
*** One Year. ***


One Year.

( day 5. )


Era un anno. Era davvero passato un anno da quando Finn Hudson, all’interno della sua macchina, era stato preso in pieno. Era un anno che Santana viveva nell’ombra dei ricordi passati e lasciati dall’assenza di Finn. Stava bene, certo che stava bene. Lei era Santana Lopez, stronza per eccellenza, cocapitano delle cheerleader. Aveva solo perso Finn Hudson. E chi era? Era solo il compagnetto inutile di quell’inutile Glee Club. I due si parlavano a stento, non doveva aver avuto problemi a dimenticarlo. O meglio, si, c’era la possibilità che ci stesse male ma non più di tanto.. Non erano grandi conoscenti. Si mentiva Santana Lopez. Mentiva a se stessa ogni giorno quando si guardava allo specchio e si ripeteva che stava bene, non stava bene. Il suo corpo, la sua mente, era distrutto. Tutto era distrutto in lei. Intorno a lei, soprattutto. Si guardava intorno e l’unica cosa che notava era un vuoto che la accompagnava in classe, un vuoto che l’accompagnava agli allenamenti delle Cheerios, un vuoto sapere che il Glee Club aveva cessato d’esistere perché senza Finn Hudson nulla aveva più un dannatissimo senso.

Non si fermavano nemmeno più a parlare, non si chiedevano più come stavano, non si guardavano nemmeno più in faccia. Puckerman, il grande e forte Noah Puckerman, aveva cambiato scuola, proprio l’ultimo anno, usando una giustificazione che nessuno mai si sarebbe aspettato: ‘Stare qui mi fa schifo, mi manca il mio migliore amico.’ Tina non smetteva di piangere, nonostante il loro rapporto non fosse uno dei più stretti e Rachel Berry aveva smesso di parlare. Il che era tutto dire. Stavano male, davvero. E adesso, a differenza di un anno da quando Finn li aveva lasciati soli, niente era cambiato. Questa situazione era davvero triste.

Aveva preso male a tutti, ma a Santana Lopez, la distrusse completamente. I due avevano da poco ripreso ad uscire assieme. Erano così carini, credevano che sarebbero arrivati ad essere felice come entrambi meritavano. Dopo l’ennesimo tradimento da pare di Rachel, Finn aveva capito che la cosa doveva concludersi per forza, e Santana aveva capito che Brittany teneva ancora il piede in due scarpe, così lo fece anche lei, iniziò a vedere Finn fuori da scuola, riscoprendo quei sentimenti tanto assopiti per il Titani.

Odiava tutte le persone che le stavano intorno, quelle che volevano provare per forza a parlare con lei, quelle che volevano che si sfogasse in qualche maniera, anche prendendo tutti ad urla, compresi loro stessi. Lei non aveva voglia di urlare, solo di piangere, di pensare a quanto tempo avesse buttato via con Finn. Si rifiutava di rispondere a qualunque domanda iniziasse con ‘Come’ e finiva con ‘Stai’. Come diavolo doveva stare? Le era appena venuto a mancare uno degli affetti più importanti di tutta la sua vita. Le mancava moltissimo. Le mancavano le sue fossette, quando sorrideva allegro, anche il suo modo di essere impacciato nei momenti meno opportuni. Voleva vederlo ancora per una volta. Una soltanto, anche nel momento più imbarazzante, avrebbe voluto sentire la sia voce ancora una volta, i suoi piedi poco abituati danzare. Invece viveva solo di ricordi, che col tempo iniziavano a sbiadire, come se fossero stati messi in lavatrice, lasciati al sole ad asciugare, e colare. I suoi ricordi colavano. Lasciavano che le scivolasse tutto dalle mani senza che se accorgesse davvero. Ma lei lo sentiva. Sentiva che tutto stava finendo.

Era passato un anno, ma era sempre più difficile andare avanti. Ogni giorno che passava, ogni mese, ogni ora che Santana ero obbligata a passare da sola, era un inferno. Il tempo non stava guarendo le ferite che quella morte aveva provocato, no, il tempo stava solo mettendo del sale su quella ferita abnorme, la stava facendo bruciare, sanguinare allo stesso tempo. Non sarebbe mai guarita da quella ferita, lo sapeva ora, mentre si guardava allo specchio e notava quanto il suo corpo fosse scalfito da quell’assenza. Quanto al suo viso mancasse un bel sorriso..

Finn Hudson non sarebbe mai ritornato ed ora come ora, nemmeno il suo sorriso più bello.

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#DAMNHUDSON'S CORNER.
Mi vergogno particolarmene di questo day. Non sapevo cosa scrivere e non avevo mai scritto una os che avesse come tema principale l'Angst.
Sono 674 parole, effettivamente poche dato quanto in genere sono lunghe le altre, boh, non so nemmeno cosa dire. Non mi piace per niente e sono convinta che nemmeno a voi piacerà, a chiunque la legga. #foreveralone.
Un abbraccio. :)

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Capitolo 6
*** Amore al formaggio. ***


Amore al formaggio.

( Day six. )

 

 Finn e Santana si erano sposati a Las Vegas un anno prima. Certo, erano un po’ ubriachi e inebriati da tutti i soldi che stavano vincendo, ma i loro sentimenti erano veri. Si amavano per davvero, quindi, anche se per Finn quello era un matrimonio farlocco, lo accettava, almeno era sposato con la donna che amava. Santana aveva sempre detto che non era tipa da matrimonio in bianco, con un grande banchetto a cui tutti i loro amici avrebbero partecipato, no, lei preferiva che tutti sapessero che Finn era di sua proprietà ma che non facessero un grande matrimonio.
Era un po’ spaventata a detta di Finn. Noah Puckerman continuava a ripetere, in maniera scherzosa sempre, che Santana era preoccupata per i soldi. Uno smoking fatto su misura costava. Ma Finn, oltre che ridere, sapeva che c’era un qualche altro problema di fondo. Non si chiese mai perché, lasciò che i sentimenti di Santana  facessero il proprio corso, quando avrebbe voluto sposarsi in maniera ‘ufficiale’ l’avrebbero fatto. Lui per lei era sempre pronto. Per ora bastava che si amassero con tutto il cuore, e questo lo facevano già. Vivevano una bella vita i due assieme. Nessuna preoccupazione, un lavoro che poteva mantenere entrambi, e una voglia di vivere pari a qualunque altra persona della loro età e beh, si, un’attiva vita sessuale.

Erano la famiglia Hudson-Lopez. Si amavano alla follia ed erano tranquilli. Ogni tanto litigavano ma il sesso arrabbiato sistemava sempre tutto e poi era una gran bella soddisfazione far arrabbiare Santana se poi si sfogava così. Quindi si, non aveva niente di cui lamentarsi, perché erano felici. Entrambi, o meglio, questo è quello che credeva Finn fino ad un paio di giorni prima.

 

Erano le sette di sera e Finn aveva appena terminato il suo ultimo turno allo studio ambientale in New York. Si era catapultato a casa perché era davvero molto stanco. Aveva parlato tutto il giorno con persone che non sapevano distinguere un albero millenario da uno centenario. Che diavolo di scuola avevano fatto per trovarsi così incompetenti? Comunque non vedeva l’ora di togliersi le scarpe e buttarsi sul letto della sua camera, abbracciare Santana e schiacciare un pisolino fino a cena. Ma non fu quello che trovò. Non appena mise piede a casa, il ragazzo salì in camera trovando la porta socchiusa e Santana che parlava al telefono. Kurt, Brittany, Quinn? Chi?

«No, non è come dici tu. Non mi voglio sposare – Santana singhiozzava, mentre parlava al telefono. Non poteva essere incinta, avevano usato le precauzioni! – è lui che non vuole. Se avesse voluto l’avrebbe già fatto, me lo avrebbe chiesto. Oh, Quinn. »

Finn si sporse un po’ per cercare di intravedere la figura di Santana ma quella schizzava da una parte all’altra della stanza, agitata più che mai. Lei aveva assicurato che non voleva sposarsi perché ‘non sono fatta da abito bianco.’ Lei aveva detto ‘Andiamo Finn. Ci siamo già sposati a Las Vegas, che bisogno c’è di fare una cerimonia del genere? È solo uno spreco di soldi.’ Lui si era solo adeguato alle decisioni che lei aveva preso per entrambi e senza mai lamentarsi. Che diavolo avrebbe dovuto fare? Al momento si sentiva circondato da idioti, compresa Santana, si. Diavolo. E si, oggi aveva le imprecazioni facili, ma dopo quello che aveva sentito, cos’altro poteva dire di diverso? Ora si sentiva anche uno stupido, e iniziava a far parte della cerchia d’idioti che lo circondavano.

Santana aveva chiuso al telefono, si era guardata allo specchio constatando che il suo trucco era appena colato del tutto, quindi con passo veloce si avviò verso la porta, trovandoci, però Finn che la fissava.

« Che succede? » Chiese, guardandola.

« Non ti ho sentito arrivare. Ci sei da molto? » Iniziò a preoccuparsi, magari aveva sentito qualcosa che aveva detto e non voleva mandare tutto a puttane, anche se era convinta che lui non la volesse sposare.

« No, sono appena tornato. » E lui d’altro canto non voleva litigare, perché era stanchissimo, davvero. Non ne aveva la forza.

 

Il mattino seguente, quando fu riposato abbastanza da affrontare quella situazione ci penso su, ammettendo a se stesso che non era stato uno dei migliori in quella relazione. Non aveva fatto capire a Santana che la amava tanto da volerla sposare, era colpa sua. Finn era noto per prendersi le colpe, lo faceva da tutta una vita così, questa volta gli venne meglio farlo. Santana comparve sulla porta del bagno nel momento in cui, pensieroso, si faceva la barba. Si girò a guardarle e le rivolse un sorriso.

« So che ieri hai sentito tutto quello che dicevo a Quinn. »

Finn sbatté delicatamente la lametta sul lavandino per pulirla dai residui della sua barba. Si prese del tempo prima di rispondere alla domanda non tanto domanda di Santana; si lavò la faccia accuratamente togliendo ogni residuo di schiuma da barba e poi si passò anche il dopobarba, quell’odore che faceva impazzire Santana, che però al momento non sembrava avere tanta voglia.

« Si, ho sentito. » Disse solo. Si era preparato un intero discorso da fare alla latina, ma nel momento più opportuno non gli arrivò niente di sensato da dirle, quindi lasciò che le parole gli si strozzassero in gola. Santana gli sorrise, non seppe perché Finn. Forse voleva che lo sentisse, forse lei voleva davvero questo matrimonio.

« Ero convinto che tu non lo volessi. »

« Io voglio le stesse cose che vuoi tu, Finn. Io voglio te più di qualunque altra cosa. E se a farti felice sarà la mia persona con addosso un vestito bianco, avrò un vestito bianco. Perché io ti amo, e so che tu mi hai lasciato il mio tempo quindi è ora di ripagarti per tanta pazienza. »

Ecco, quello era un discorso organizzato non come quelli di Finn, profondi nella sua testa di tre parole nella realtà. Sorrise, senza rendersene conto. Lei aveva capito la sua presa di posizione, l’aveva apprezzata e questo era quello che più contava per lui, davvero. Finn si guardò intorno un attimo, cercando un qualunque elemento rotondo.

« Aspettami un secondo qui, immobile. Non ti muovere. » Il ragazzo scese velocemente le scale, andando in cucina e aprendo uno di quei pacchetti di patatine al formaggio e rotondi, certo, non era la cosa più romantica del mondo, ma al momento quello che entrambi volevano era una promessa d’amore continuo. Tornò dunque di fretta alla ragazza che lo accolse con un sorriso. Si mise in ginocchio e scoprì la patatina in modo che Santana, vedendola, scoppiasse a ridere.

« Santana Lopez… Vorresti farmi l’onore di diventare mia moglie a tutti gli effetti? » Chiese con un sorriso e un sussurro mentre guardava gli occhi della ragazza assottigliarsi, in modo tale da vederlo meglio.

« Ti amo tantissimo, Finn Hudson. » Con un cenno della mano che Finn aveva in mano, infilò l’anello di formaggio che aveva ancora in mano e che si, puzzava. Santana si portò il dito alla bocca, mangiandosi l’anello e scoppiando poi a ridere come passo successivo.

« Hai appena mangiato la nostra promessa!! » Le fece notare Finn, divertito.

« Quella la conservo ancora nel mio cuore, quella che mi hai fatto a Las Vegas quando eri ubriaco le batte tutte, compreso un anello di formaggio. » Fece cenno al ragazzo di alzarsi stampandogli un bacio sulle labbra fini. « per quanto sia buono! »


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damnhudson's corner.

Ci ho messo meno di quanto mi aspettassi a fare questo capitolo. Doveva essere per forza l'argomento che non mi piaceva, perché era difficile scriverlo per una che vomita arcobaleni [cit] come me.
Spero vivamente che vi sia piaciuto questo capitolo, in modo da poter andare avanti, tranquillamente.
Sta iniziando a piangermi il cuore dato che il prossimo capitolo è l'ultimo, ma almeno avrò concluso e potrò dedicarmi a nuovi progetti. :D
Magari fatemi sapere se vi è piaciuto, e scusate per il titolo demenziale, sono specializzata in quello XD

- Bacini, Marti.

 

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Capitolo 7
*** Hello, Hudson! ***


Finntana Week - day 7 (deleted scenes)
Non credo di aver capito a pieno questo giorno della week, e spulciando un po’ da qualche parte, ho trovato un prompt… Il che non so se possa andare bene, ma boh, ci provo. (: Ci vediamo alla fine del capitolo per i ringraziamenti, okay? <3

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Santana Lopez era abituata al lusso più sfarzoso, suo padre era un dottore… uno di quelli veri a detta sua. Un chirurgo plastico, infatti. Guadagnava abbastanza bene – guadagnava moltissimo in effetti e questo dava il diritto a Santana – o almeno, lei credeva di avere il diritto – di sfottere tutti quelli più poveri rispetto a lei. Rachel Berry vedeva Santana come la versione femminile di Jessie St.James, il che era tutto dire. Cattiveria allo stato puro. Non che Santana non ci avesse pensato a sbattersi Jessie su qualche pianoforte nell’aula del Glee, eh, ma a Berry lo aveva sempre marcato stretto.
Ora l’aveva perso di vista, era andato all’università UCLA a quanto ne sapeva, dato che quella chiacchierona non smetteva mai di parlarne.

Quel pomeriggio aveva un appuntamento con Puckerman. Era una sveltina in realtà. E toccava a lei andare da lui, per quanto casa del ragazzo fosse una baracca che cadeva a pezzi – letteralmente il sesso con lui era il migliore sulla piazza; quindi quando ricevette il messaggio del giovane Noah Puckerman non se lo fece ripetere due volte e montò in macchina. Si era messa un bel vestitino, nero e bianco. Attirava l’attenzione di tutti i ragazzi che le passavano affianco e questo stimolava la sua vanità. Guidava velocemente perché era in ritardo di circa dieci minuti e sebbene non le importasse niente del ritardo non vedeva l’ora di far scontrare il suo corpo con quello del ragazzo che la stava aspettando. La sua immaginazione lo figurava con una birra in mano, mentre guardava una partita di football americano già data in tv, magari in boxer, mentre l’aspettava ansioso per la sua stessa ragione. I ragazzi erano molto più simili di quanto loro stessi sapessero. Fissati col sesso, con le macchine e… beh, effettivamente erano davvero poche le cose che avevano in comune! Ma tanto i due non erano soliti parlare molto, facevano ciò che dovevano si rivestivano ed ognuno andava per la propria strada.

Non appena Santana ebbe imboccato la curva che portava a casa di Puckerman, sentì un rumore che le fece presagire il peggio. – Porca puttana! – Si lamentò, mentre scendeva dalla macchina e andava a controllare la ruota. Tutti i suoi propositi erano corretti e la sua gomma posteriore si era bucata! Gran bel lavoro. Si guardò intorno, mentre cercava un posto dove far riparare la sua stupidissima auto! Insomma, era impossibile non trovare un’officina nella strada di casa Puckerman? Ne aveva bisogno davvero, e non voleva sporcarsi il vestitino gentilmente offerto da papà, andiamo… Si guardava intorno ancora speranzosa quando un’insegna le apparve davanti agli occhi. “Molto più che auto!”

Sicuramente il nome non era uno dei migliori, e dentro ci sarebbe stato un maniaco. Era combattuta all’idea di entrare dentro. Le avrebbe fissato le tette e c’era anche abituata, ma da parte di ragazzini brufolosi e con la sua età o meno, ma non da uomini adulti maniaci. Ma doveva arrivare da Puckerman, per forza. Cacciò fuori un forte respiro e sorrise al mondo, come era solita fare quando aveva paura e Marisol – la sua tata – non era vicino a lei a stringerle la mano. Lei era Santana Lopez, non si sarebbe fatta fermare da un maniaco. E poi aveva sempre con se lo spray al peperoncino piccante messicano, importato direttamente – appunto – dal Messico.

 
- È permesso? – chiese con voce roca abituandosi alla poca luce che rifletteva dentro l’officina sporca e mal odorante. Un ragazzo altissimo si presentò davanti, facendola sussultare e sorridere allo stesso tempo.

- Porca puttana! Tu lavori qui? – Chiese Santana ancora, guardando il ragazzo che con uno strofinaccio bianco cercava di pulire le sue manone.

- Santana Lopez, qual buon vento? – Chiese Finn Hudson guardandola mentre si poggiava ad un’auto a cui stava lavorando prima che la latina entrasse dentro il suo mondo.

- Una ruota bucata lungo questa strada, puoi aiutarmi? – Domandò la ragazza al ragazzo. Cercava di estromettergli uno sconto, le sarebbe andata di lusso se il padre non avesse scoperto che aveva di nuovo bucato una ruota. Era una cosa di tutti i giorni per Santana quasi. La fretta era consuetudinaria per quanto la riguardava. Era sempre in ritardo, quindi si trovava a dover correre sull’autostrada per arrivare almeno con un ritardo accettabile.

- Roba da niente. Ma non sperare in uno sconto ‘amicizia’. – Disse subito il ragazzo, conoscendo Santana.

- Non hai risposto! – Disse la mora saltando sopra una superficie apparentemente pulita, dopo che ci ebbe passato la manina per spolverarla. Finn si girò a guardare la ragazza, non capendo di cosa parlasse ricordandosi solo ora della sua educatissima esclamazione mentre entrava dentro l’officina.

- Il denaro è buono e poi l'officina appartiene a Burt. Probabilmente, se non dovessi andare al college, rimarrà a me. Tanto Kurt non se la filerebbe mai un’officina, quindi ci passo più tempo possibile e imparo il mestiere alla svelta. Sono portato per i motori. – Rispose il ragazzo, mentre si piegava verso l’auto e con un aggeggio tolse la ruota. – Immagino ci sia da cambiarla, quindi la spesa non si estende solo alla mano d’opera, anche alla nuova ruota che ti monterò sopra. – La avvisò Finn ancora. Santana si strinse nelle spalle semplicemente.

- Procedi Hudson. -  sorrise. – Pensavo che qui dentro ci sarebbe stato un maniaco che mi avrebbe fissato le tette e invece trovo solo Finn Hudson, fantastico! – Le era andata sicuramente bene, effettivamente.

- Posso? Sarò discreto! – disse Finn alzando lo sguardo. Santana nemmeno sapeva che Finn conoscesse determinate parole, beh, tanto meglio.

- Finn! – Si limitò a ridere. – Mi farai uno sconto? –

- Smettila di svenderti! – Continuò a fare il suo lavoro Finn, mentre le loro risate si amalgamavano assieme, creando un rumore naturale e bello da sentire.

 

- Ho cambiato a ruota, e signorina, puoi avere più cura dell’olio per favore? Guarda, se ti costa tanto ti aiuto io. La porti da me ogni mese… si, ti farò uno sconto – disse subito, vedendo lo sguardo della mora posarsi su di lui. – anche se puoi permetterti il meccanico. -
aggiunse ancora, ridendo.

- Macchè, ho sentito papà parlare con Marisol… Dice che vuole tagliarmi i viveri! Morirò. – Disse seriamente. Una scenetta molto drammatica. Magari anche lei sarebbe entrata nell’accademia della recitazione, come lui.

- Andiamo, non si sta malissimo a fare qualche lavoretto estivo. Conosci gente nuova… - ma Santana lo interruppe bruscamente con una risata.

- Hudson, fai il pipistrello qui dentro e le uniche persone che conosci sono uomini vecchi ai quali è partito il motore. –

- In genere è il radiatore, ma grazie per aver tentato! – la corresse Finn, sorridendole.

- Ora devo andare, grazie mille per la velocità con cui hai operato, Finn! – Salutò con la manina, mentre Finn le sorrideva.

- Dovere! –

Detto questo la ragazza lasciò i soldi sopra la superficie che aveva pulito col suo vestitino, lasciano l’officina soddisfatta del lavoro che Finn aveva fatto alla sua auto. Forse, ma forse, aveva messo qualche dollaro in più, convita che Finn non se accorgesse!

 

 

damnhudson’s corner.

 

Dannazione, l’ho portata a termine. Sono così orgogliosa di me.
Ringrazio mia madre, mio padre, mio fratello… No, scherzi a parte. Ringrazio la mia fantasia che non mi ha mai lasciato sola, anche se ogni tanto ci tentava.
Grazie a tutti quanti coloro che hanno seguito questa raccolta di oneshot a tema Finntana. Siete stati essenziali!

Ah, ringrazio __Sabotage ( Giulia ) per aver creato il nome di Marisol nel nostro gdr. Lei è la nostra Santana. ( Magari fateci un salto, ci serve qualche personaggio in più http://www.facebook.com/pages/Gioco-Di-Ruolo-Gleek-Always-x2/322872921059433 )

Tranquillissimi, ho da finire ‘Letters to Finn’, ma sto già programmando un’altra settimana. Visto che al momento ho il calendario delle ships sotto mano, quindi non vi lascio soli MUAHAHAHA. Sarete costretti a leggere qualcosa di mio per tutto l’estate dato che l’ho programmata verso la scrittura.

Comunque niente, grazie di cuore a tutti coloro che ci sono stati. Vi voglio benissimo.
Marti.

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