La Profezia del Falco

di Beads and Flowers
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Newlin ***
Capitolo 2: *** Mallaidh ***
Capitolo 3: *** Iseut ***
Capitolo 4: *** Akaunon ***
Capitolo 5: *** Carey ***
Capitolo 6: *** Seabhag ***
Capitolo 7: *** Maretak ***



Capitolo 1
*** Newlin ***


La Profezia del Falco

 

 Lulley, lully, lulley, lully,
The faucon hath bourne my mak away.





 Era una ragazza molto strana. Occhi verdi e spenti, capelli castani e lucidi di sporco. Viveva nelle foreste, da sola, sugli alberi. Non aveva una grotta o una capanna in cui rifugiarsi durante la notte. Al villaggio si vociferava che, nei giorni di pioggia, lei rimanesse seduta sul ramo di una vecchia quercia. Non si muoveva, rimaneva perfettamente immobile, mentre le gocce d’acqua le pungevano la pelle nuda. La ragazza si copriva unicamente con un vecchio mantello polveroso. Era corto, non riusciva a nascondere completamente le forme immature della giovane. Ma lei non emetteva comunque alcun suono, neanche il minimo sussulto. Immobile, ferma, come un cadavere nella pioggia.
 Faceva impressione, incuteva timore.
 Paura.
 La gente del villaggio sputava a terra quando sentiva nominare il suo nome. Portava sfortuna. Era il nome di una miscredente, di un animale. Un nome che non aveva più nulla di umano.
 Mallaidh.
 Folle Mallaidh.
 Un nome antico, pericoloso come la tentazione più nera. Non andava in Chiesa. Alcuni dicevano che fosse atea, altri pagana, altri ancora che non sapesse cosa fosse la religione. Mallaidh sarebbe andata all’Inferno. Avrebbe camminato per sempre in un limbo di torture e dolore. Bambini, non vi avvicinate alla Folle Mallaidh. Vi tenterà con i suoi occhi verdi, vi strapperà via il cuore dal petto, vi condurrà all’Inferno.
 Non vi avvicinate a Mallaidh.
 E’ pericolosa.
 E’ una strega.
 

 Il nome di Mallaidh era giunto ad Newlin come quello di un mostro muta forma, non una semplice ragazza selvaggia. Era stata Iseut a parlargliene. Lei, a sua volta, ne aveva avuto notizia da una vecchia serva,  la quale conosceva una certa comare che ne aveva parlato con…
 Newlin aveva naturalmente riso ai pettegolezzi della sorella minore. L’anziana serva di Iseut era famosa per raccontare i più semplici avvenimenti aggiungendovi particolari incredibili e sconosciuti. Ma non erano che fantasie, sciocche fantasie infantili generate da menti legate alla loro superstizione. Newlin non voleva soffermarsi su di esse, non poteva. Aveva altro a cui pensare.
 Suo padre era vecchio e molto ammalato. Sarebbe morto, era questa l’unica certezza dei due fratelli. Newlin era il figlio maggiore e, alla scomparsa del genitore, avrebbe amministrato le terre di Seabhag. Avendo solo diciassette anni, percepiva questo compito come un dono rivoltante, che mai avrebbe voluto ricevere. Non voleva dire addio a suo padre, alla guida che gli aveva insegnato a vivere.   
 L’imminente perdita di suo padre era un pensiero doloroso e costante. Solo la caccia, unica vera passione di Newlin, riusciva a distrarre il giovane dal peso della straziante separazione. Il ragazzo era il felice possessore di uno dei più bei falchi di tutta l’Inghilterra. Il piumaggio incomparabile, la vista acuta e la salute perfetta erano le caratteristiche principali di Maretak.
 Il suo nome era antico quanto le leggende che giravano attorno alle foreste di Seabhag. Troll, fate e folletti convivevano, danzavano con il nome di un demone. Maretak. ‘Protettore che tutto uccide’. Newlin aveva battezzato così il suo falco in onore delle antiche credenze, ma anche per un disperato bisogno di giustizia e risposte. La sua fede in Dio non era assoluta, necessitava alcuni chiarimenti. Se il Signore era il creatore di ogni cosa, allora perché mai poneva fine alle vite degli uomini? Si trattava forse di una giustizia così arcana da non poter essere compresa dai mortali?
 Risposte, risposte. Non ve n’erano.
 La morte non era altro che un’infinita supposizione.
 “Maretak, Maretak… magu, maion et bodach” canticchiò tra sé e sé, attendendo con pazienza che i servi terminassero di sellare il suo destriero. Sua sorella Iseut era al suo fianco, le mani ai fianchi, un’espressione contrariata sul volto.
 “Noto con dispiacere che continuate ad intonare certe infantili canzoncine. Dovreste dimenticare le strofe dei nostri antenati, fratello mio, sono spesso portatrici di messaggi inutili e pericolosi. Non capirò mai perché avete battezzato il vostro falco da caccia con il nome di un dio pagano… I servi non eseguono a dovere i loro compiti: questa stalla odora di escrementi. Com’è ripugnante!”
 “I servi non hanno colpa. Le stalle non sono certo luogo adatto a dame raffinate come voi, sorella cara. E per quanto riguarda le antiche usanze dei nostri antenati, non ho nulla contro di loro. Anzi, le rispetto. La loro mitologia è vasta e piena d’insegnamenti, i loro dèi astuti e creatori di leggi giuste. Esse sono spesso simili a quelle emanate da Dio.”
 “Non bestemmiate in questo modo, fratello! Come osate paragonare la parola di nostro Signore a quelle dei demoni pagani? Se nostro padre vi sentisse, sarebbe alquanto addolorato dalle vostre insinuazioni.”
 “… Perché mi avete raggiunto qui nelle stalle? Non è mai stato un luogo di vostro gradimento.”
 “Volevo venirvi incontro.”
 “Per quale cagione?”
 “Per parlarvi delle vostre battute di caccia.”
 “Vorreste parteciparvi?”
 “Non esattamente. Un servitore mi ha informato delle vostre intenzioni sul visitare la parte ovest della foresta di Seabhag.”
 “Dovrei desistervi? Sono trascorsi numerosi anni da quando ho cacciato in quella parte di foresta. La selvaggina deve essere ricca e numerosa. Potrei portare a casa molta carne squisita, trofei meravigliosi e storie appassionanti. Perché mi sembrate contrariate, sorella? Vi era un tempo in cui le mie spedizioni vi donavano allegria.”
 “E’ come l’oppio, per voi, fratello caro. E’ peccato, poiché non uccidete per glorificare il Signore, ma per vostro puro divertimento. Vi nuoce, in quanto non potete farne a meno. Ma non sarò certo io a incitarvi ad abbandonare un’attività così dannosa per il vostro spirito. Piuttosto, volevo mettervi in guardia. Vi rammentate di quella… quella creatura di cui vi avevo parlato? La donna selvaggia che erra per le nostre foreste?”
 “Me ne rammento.”
 “Ebbene, si dice che ella dimori nella parte ovest della foresta. E’ probabile che voi non l’abbiate mai incontrata prima d’ora, in quanto vi siete concentrato principalmente sulla zona est. Ma vi rendete conto che questa volta sarà diverso. Mi raccomando, fratello, se doveste vedere quella strega, scappate. Scappate, non lasciate che vi induca in tentazione. Ho sentito storie terribili su dei giovani che, entrando nel bosco…”
 “Sì, cara Iseut. Voi avete udito delle storie. Nient’altro che storie. Sono stanco dei pettegolezzi della vostra serva, e voi dovreste essere abbastanza matura da riconoscere i fatti dalle frottole. Se questa Mallaidh esiste veramente, certamente non avrà la forma di un drago sputa fuoco. E nel caso fosse veramente un mostro, come affermate, vi assicuro che la distruggerò, portandovi la sua testa mozzata come trofeo. Avete altro da aggiungere?”
 “Sì, fratello.”
 Iseut si avvicinò ad Newlin, poggiando le labbra scarlatte sul suo orecchio. Le tremava la voce.
 “Vi scongiuro, mio Signore, tornate da noi. Nostro padre non ha molto tempo da trascorrere su questa terra. Egli vi vuole al suo fianco. Non può trovare conforto nelle parole di una donna, una figlia che non erediterà le sue terre. Tornate da noi, da lui.”
 Newlin corrugò la fronte. Sua sorella aveva introdotto un argomento spinoso. Il giovane uomo odiava visitare suo padre, vederlo debole e vecchio in quel letto di morte. Suo malgrado, riusciva a specchiarsi nello sguardo del genitore, a dirsi: ‘Un giorno, anche io…’
 Scosse la testa, montando agilmente a cavallo.
  “Sorella, dite ai servi che non tornerò prima di dopodomani. Sono desolato, ma dovrete desinare in solitudine, in questi due giorni. Vi prego, salutate nostro padre da parte mia.”
 “… Ma certo, fratello.”
 “Addio, Iseut.”
 “Addio.”
 

 I colori primaverili della foresta erano meravigliosi. Newlin era circondato da una festa di luce ed ombra, di verde e bruno. La luce del Sole filtrava attraverso le foglie, illuminando il suolo e i tronchi degli alberi. I fiori spuntavano timidamente dai fili d’erba. Il cielo che si specchiava nel ruscello richiamava l’immagine del Paradiso. I richiami delle rondini ricordavano i canti delle fate.
 Solo in quei momenti, Newlin riusciva a dimenticare ogni cosa. Ogni preoccupazione, ogni ricordo, ogni incubo. In quei momenti, il giovane riusciva davvero a sorridere con serenità.
 Il cavallo legato ad un palo conficcato nel terreno, i servi mandati all’ accampamento costruito per la notte, Newlin giaceva all’ombra di una grande quercia. Udiva le vicine acque del ruscello scorrere placidamente. Il suono era molto rilassante, conciliava il sonno, la pace. Il ragazzo portò la testa all’indietro, sorridendo con gli occhi chiusi.
 “Maretak, Maretak: magu, maion et bodach.
 Newlin aprì di scatto gli occhi. Si alzò velocemente in piedi, guardandosi attorno. Qualcuno… qualcuno aveva cantato la strofa della sua canzone preferita. Ma chi poteva mai essere? Quella melodia era stata ritrovata da Newlin in un antichissimo manoscritto della biblioteca di Seabhag. Nessuno, eccetto lui, poteva conoscerla, poiché era stata sepolta per centinaia di anni nella polvere del tempo.
 “Maretak, Maretak: magu, maion et bodach.
 Eccola nuovamente: una voce femminile, roca e stonata, cha cantava la musica sconosciuta del passato. Veniva da oltre il ruscello, nella parte più oscura della foresta. Newlin rimase perfettamente immobile, in allerta. La voce si stava avvicinando.
 
Maretak, Maretak: magu, maion et bodach,
 Dith dagovassa, anation ambicatassa.
 Essi capta et caranta.  Andedia thirona tarinca
 Orgeta deuxtonion,teutates anation.

 Newlin sgranò gli occhi, affascinato. Era incredibile: quella voce immatura cantava una canzone centenaria, con innaturale sicurezza. Persino alcune parole del testo, andate perdute col tempo sulla carta del manoscritto, erano state reinserite nella versione della voce femminile. Ora, finalmente, Newlin poteva dare un senso all’antica canzone.
 
 Maretak, Maretak: visiti il bimbo, l’uomo e l’anziano.
 Servitrice della morte, spirito che tutti sconfigge.
 Sei schiava ed amica. Punta di stella infernale.
 Assassina di dei ed umani, spirito protettore.
 
 Il ragazzo trattenne il respiro. Dall’oscurità della foresta, a passi lenti e titubanti, stava avanzando una figura. Era così esile da inizialmente apparire una semplice ombra, creata dai rami scheletrici degli alberi. Poi, a poco a poco, Newlin riuscì a distinguere un corpo magro e macchiato di fango, avvolto da un corto mantello nero.
 Istintivamente, indietreggiò di un passo. Riconobbe, nel volto scavato della ragazza, la descrizione d’Iseut nei confronti della Folle Mallaidh. Faceva davvero impressione. Il viso era macchiato e graffiato in diversi punti. Era leggermente spellato a causa del Sole estivo. Gli occhi verdi e socchiusi trasmettevano una tale vacuità, una tale follia selvaggia da instaurare nel giovane un fortissimo disagio.
 Mallaidh.
 Folle Mallaidh.
 Cammina, barcolla tra Inferno ed Oblio.
 “Orgeta deuxtonion,teutates anation”.
 La voce s’interruppe di scatto, ed un sussulto frantumò quell’atmosfera macabra, quasi fiabesca che si era creata tra i due. Ora la Folle Mallaidh ora lo guardava direttamente negli occhi. Paura. Tanta paura nei suoi occhi verdi, e spenti. Sembrano spiriti di fate calpestate.
 Newlin sorrise.



Angolo dell' Autrice:

Ehilà! Salve a tutti! Ebbene, sì. Rieccomi alla riscossa con le mie improbonibili storie romantiche. Be', guardate il lato positivo: almeno adesso non ho accompagnato le parole con gli improponibli testi delle mie canzoni scandinave preferite. E' un segno di miglioramente, giusto? Purtroppo no. In effetti, ascolto ancora quel genere di musica, e lo adoro. A dire il vero, sono peggiorata. Vedete la canzone chiamata 'Maretak'? Quella in celtico? L' ho composta io, con l'aiuto di un dizionario Celtico-Italiano. OK, è ufficiale, potete rinchiudermi in manicomio. Ehi, ma almeno vi ho messo una traduzione!
La canzone iniziale, invece, è una frase di 'Corpus Christi Carol', una canzone popolare Inglese che risale al 1504. La versione che preferisco è quella di Cècile Corbel, la mia cantante preferita. Ve la consiglio vivamente. Detto questo, quando aggiornerò? Spero presto, anche perché al momento non ho più scuse. Niente scuola o ex-ragazzo ad intralciarmi. A meno che non sopraggiungano indesiderati blocchi dello scrittore, dovrei aggiornare abbastanza presto.
Non mi rimane che ringraziarvi per aver letto ed invitarvi cordialmente a recensire. Naturalmente, sono ben eccette quelle positive, quelle neutre, quelle critiche, descrizioni sul vostro nuovo gattino, lamenti sulle pagelle andate male, urli isterici. Insomma, scrivete quello che volete, basta che recensiate! :D
Un bacio a tutti,
Beads.







 

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Capitolo 2
*** Mallaidh ***


 2- Mallaidh
 

He bare hym up, he bare hym down,
He bare hym into an orchard brown.



 Newlin sorrise, emozionato.
 Di fronte a lui, la Folle Mallaidh lo fissava con terrore. Nel suo sguardo pavido e sperduto, il ragazzo non lesse altro se non la voglia di fuggire. Avrebbe dovuto agire con calma e tranquillità, senza spaventarla ulteriormente.
 “Mia Signora, vi chiedo perdono. Non era mia intenzione spaventarvi. Io… la canzone che cantavate…”
 Newlin fu costretto ad interrompere subito le sue parole. Con uno scatto quasi felino, Mallaidh si era addentrata nell’oscurità della foresta, gli occhi verdi ancora sbarrati per la paura. Un piccolo grido fu tutto ciò che il ragazzo riuscì ad udire, prima di perdere completamente di vista la ragazza selvaggia.
 Era fuggita.
 Newlin non seppe come reagire. Da una parte, sapeva che avrebbe dovuto ringraziare il Signore per quell’improvvisa sparizione. In fondo, a detta di Iseut, la Folle Mallaidh non era altro che una strega, inviata da Satana per indurre gli uomini in tentazione. Dall’altra, però, il giovane si rendeva conto di essere attratto da quella ragazza. C’era qualcosa in lei, qualcosa di strano e misterioso. Come faceva a conoscere la lingua dei padri? La lingua di un passato sepolto e dimenticato?
 Voleva scoprirlo.
 Con il cuore in gola, attraversò agilmente il ruscello che lo separava dalla foresta in cui era sparita Mallaidh. Cercò di ricostruire il suo percorso, attraverso alcuni segni che la ragazza avrebbe potuto involontariamente aver lasciato dietro sé. Non trovò nulla, se non un ramo spezzato e qualche foglia smossa. Non sapeva che cosa fare, non poteva certo darsi per vinto senza neanche aver incominciato la ‘caccia’.
 Ad un certo punto, udì in lontananza le grida agitate di alcuni uccelli. Si stavano alzando in volo dalla chioma di un albero lontano. Qualcosa doveva averli spaventati. Sicuro di aver trovato la sua pista, Newlin corse in direzione dell’albero.
 Poco dopo, il giovane raggiunse la gigantesca quercia da cui erano fuggiti gli uccelli. La sua meraviglia fu tale da impedirgli di parlare. L’albero maestoso aveva i rami impreziositi da foglie autunnali, infuocate dalla luce del tramonto. I raggi del Sole illuminavano l’alta chioma, la quale sovrastava quelle di tutte le altre piante della foresta.  Numerose cordicelle erano state annodate con pazienza ai ramoscelli dell’albero. Ad esse erano legate delle pietre preziose. Riflettevano la luce del Sole, e splendevano come stelle terrestri.
 ‘Pare un albero interamente creato dall’oro e dalle gemme. Che sia un’opera di Mallaidh?’ si chiese Newlin. Il ragazzo non riusciva a capire. Dove si trovava la giovane selvaggia? Che si fosse addentrata ancora di più nella foresta? Eppure, non aveva lasciato alcuna traccia dietro sé.
 Newlin stava per procedere nell’esplorazione, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Si accorse della presenza di un piccolo squarcio di cielo azzurro, tra i rami infuocati di Sole ed il tronco dell’ albero. Era lì, un frammento di colore brillante, che in un attimo scomparve. Incuriosito, Newlin si avvicinò alla quercia. Corrugò la fronte, non capendo cosa fosse accaduto. Dove prima vi era stato quell’istante di azzurro e celeste, ora regnava il nero di un foro nel tronco dell’albero. Sempre più confuso, il ragazzo decise di arrampicarsi sulla sommità della quercia per esaminare quel largo buco nel tronco.
 Raggiungere il ramo più vicino al foro fu complicato e faticoso. La meta si trovava molto in alto, e la quercia era molto vecchia ed abitata da numerosi animaletti. Tra formiche, scoiattoli e fanelli, decisi a tutto pur di difendere la loro casa dagli intrusi, l’arrampicata di Newlin non fu esattamente agevole.  Ma ne valse la pena. Infatti, quando raggiunse il foro e guardò al suo interno, scoprì qualcosa di scioccante.
 L’albero era completamente cavo.
 Come era possibile? Se l’albero era vuoto, come facevano i rami ad essere coperti di foglie? Tutta quella faccenda non aveva il minimo senso… Newlin poggiò la mano all’interno della pianta, riflettendo. Toccò qualcosa di morbido. Sembrava essere… sì, era proprio un drappo. Un drappo azzurro, usato per bloccare l’entrata del foro. Ecco che cosa aveva visto in quell’effimero istante. Ma chi aveva posto in quel luogo il drappo? E dov’era Mallaidh?
 Purtroppo, Newlin lo intuì. In effetti, guardando il fondo dell’interno della quercia, si poteva distinguere una luce molto fioca. Il ragazzo si chiese come potesse raggiungere il fondo, e scoprì con sorpresa che la risposta era proprio di fronte a lui. Una robusta corda era stata fissata all’interno della pianta centenaria. Per raggiungere il fondo, non bisognava fare altro che calarsi nel buio, reggendosi ad essa.
 Con la massima cautela ed attenzione, il ragazzo prese a scendere lungo il tronco della vecchia quercia, udendo chiaramente i veloci battiti del suo cuore. Cosa avrebbe trovato in fondo a quel baratro? Che cosa emetteva quel fioco bagliore? Man mano che si avvicinava alla luce, ogni cosa attorno a Newlin si faceva più nitida e chiara. Alle pareti del tronco erano stati appesi altri drappi, tutti di colori molto chiari e visibili anche al buio. Su di essi erano raffigurati delle figure nere e slanciate, come ombre primordiali. Scene di caccia, di guerra, di vita quotidiana. Erano tutti puliti e ben curati, seppure fossero antichissimi. Che risalissero ai tempi antecedenti alla cristianizzazione d’Inghilterra? No, non poteva essere. Pochissimo era rimasto di quell’epoca: qualche maceria, antiche spade tradizionali o frammenti di pietre incise di rune. La lingua dei popoli antichi era stata dimenticata, solo qualche scarso appunto e delle piccole canzoncine erano ancora conservati nei manoscritti dei monaci. Eppure, quella ragazza… Mallaidh conosceva la canzone del Maretak. Conosceva la lingua dei padri.
 Che fosse in contatto con gli spiriti del passato?
 L’idea lo colse come il tradimento di un amico fidato. No, cosa andava a pensare? Quella ragazza era tutto, se non una strega. I graffi sul suo volto provavano la sua mortalità, la sua fuga la debolezza ed il terrore nei confronti degli uomini civilizzati. Selvaggia, certo, ma non strega.
 Eppure…
 Un urlo interruppe i suoi pensieri. Abbassò lo sguardo, e si rese conto di aver proseguito senza accorgersene, rapito dai suoi pensieri, ed aver raggiunto il fondo dell’albero. Con un piccolo balzo, toccò finalmente terra.
 Rimase incantato.
 La circonferenza del tronco della quercia secolare era davvero molto ampia. Le pareti erano completamente tappezzate da candidi arazzi, raffiguranti dolci cerbiatte e splendidi cigni. A terra era stato steso un tappeto di foglie secche, ed in un angolo vi era un giaciglio di soffice muschio. Al centro di quella grande tana umana, era stato posto su di un masso una lanterna accesa. Era stata probabilmente rubata al villaggio di Seabhag, essendo più moderno degli altri oggetti in quel luogo. Accanto al lume, vi era un vaso decorato con pitture nere e rosse, una ciotola d’acqua, un porta-gioie di legno intarsiato. Sul giaciglio di muschio, tremante e con gli occhi sbarrati dall’orrore, vi era la Folle Mallaidh.
 “Mia Signora… vi ho raggiunto…”
 In un istante, le parole di Newlin furono interrotte. Mallaidh aveva estratto dal giaciglio un pugnale di ferro battuto, decorato con rune antiche e ghirigori bluastri. Ora glielo puntava contro, le braccia tese e l’espressione minacciosa. Nel suo sguardo vi era la paura di un animale ferito, la ferocia di una belva selvatica e le preghiere di una schiava.
 “Seabhag mab, essi exopos? Emmi Mallaidh! Se derua moni esti! Emmi bellovesa… Ne ti lego moni kladios, orgetos ! Ueia ex ci! Essi an arjo anandognos, ci velo dusios. Orgetos! Ueia ex ci!”
 La voce era minacciosa, seppure terrorizzata. Il pugnale tremava nelle mani della giovane. I grandi occhi verdi erano fissi in quelli di Newlin, il quale non sapeva come comportarsi di fronte alla ragazza selvaggia. Scosse debolmente il capo, abbassando lo sguardo.
 “Non capisco…” mormorò.
 “Tanua! Orgetos… Assassino! Sei cieco, figlio di Seabhag? Io sono Mallaidh, la strega! La folle tentatrice! Questa quercia è la mia casa! Ed io non sono estranea all’omicidio… io non deporrò la spada di fronte a te, assassino! Ueia ex ci! Esci da qui! Sarai anche un signore tra gli stranieri, ma qui io non vedo altro che un demone! Un demone! Un assassino… Dusios et orgetos essi! Ueia!”
 “Io… io non sono un assassino, mia Signora. Perdonatemi, non avrei dovuto accedere alla vostra… dimora senza il vostro consenso. Sono desolato. Vi prego di perdonarmi, non volevo essere inappropriato.”
 “Ueia! Orgetos, Seabhag mab! Ueia!
 “Sì… sì, ora me ne vado…”
 Indietreggiando, gli occhi ancora a terra, Newlin urtò inavvertitamente qualcosa. Si girò di scatto, solo per vedere il vaso dipinto cadere a terra e frantumarsi. Dai cocci rotti, alla fioca luce del lume, il ragazzo poté appena distinguere una fine polvere chiara. Era simile a... a cenere.
 “Nage!”
 L’urlo disperato di Mallaidh ferì le orecchie di Newlin.
 No! No, nage! Nage! Mama! Mama Carey! Nage!
 La ragazza si alzò di scatto dal giaciglio, precipitandosi verso i resti del vaso. S’inginocchiò, urlando e gemendo di fronte alla creta frantumata. Raccolse con mani tremanti alcuni cocci. Accarezzò singhiozzando la cenere versata. Piangeva. Piangeva e tremava, come una bambina picchiata.
 “Mia Signora… sono davvero desolato, non volevo romperlo… se vi aggrada, domani tornerò con un vaso nuovo, identico a quello appena distrutto. Ve lo prometto, non riuscirete a notare la differenza.”
 “TANUA! Tanua, sta zitto! Sta zitto, assassino! Dimmi, perché l’hai fatto? Perché? Era tutto quello che restava di lei, e tu l’hai cancellato! Mia madre… mia madre me l’aveva detto… me l’aveva detto! Attenta al Falco, Mallaidh. Il Falco ti porterà rovina e dolore. Ti ucciderà, Mallaidh! Assassino, assassino… è il seabhag, è il Falco che ti porta!”
 “Io… io sono sinceramente desolato… oh, vi scongiuro mia Signora! Perdonatemi!”
 “Ti ho detto di andartene! Ueia! Ueia, orgetos Seabhag! Ueia!”
 Newlin, sconvolto dalla reazione della ragazza selvaggia, si diresse verso la corda con cui si era calato nella tana. Prese ad arrampicarsi fino all’apertura nel tronco. Una volta raggiunto il foro, scostò lentamente da esso il drappo azzurro, ed uscì. Le urla continuarono a riecheggiare dal fondo dell’albero, urla cariche di dolore e sofferenza. Ma perché? Per quale motivo il dolore di Mallaidh era così grande? Perché, se conosceva la lingua moderna, non spiegava agli abitanti di Seabhag di non essere folle e selvaggia? Era forse davvero pazza? E perché mai continuava a chiamarlo demone ed assassino?
 Il giovane scese dall’albero. Decise di tornare all’accampamento e di non rivelare a nessuno il suo incontro con Mallaidh. Una cosa era certa. Sarebbe tornato. Avrebbe portato via Mallaidh, via da quel luogo stregato e selvaggio. Voleva parlare con lei, renderla una donna per bene ed aiutarla a superare i pregiudizi degli abitanti di Seabhag.
 E, ad ogni costo, voleva scoprire che cosa nascondeva. Trovare risposte alle sue domande. Mallaidh era l’unica a conoscere la soluzione all’enigma del suo passato. Solo lei sapeva il perché. Perché era la donna selvaggia di Seabhag? E come conosceva la lingua del passato? Che cos’era quella cenere, quegli arazzi alle pareti della quercia, le pietre legate ai rami dell’albero? Perché Newlin era un assassino… perché il Falco era un demone?
 Prima di procedere verso la via dell’accampamento, il giovane si fermò. Le urla di Mallaidh erano cessate. Ora, dal tronco cavo della quercia, si levava un canto. Una voce stonata e roca, che tra i singhiozzi cantava una lenta nenia funebre.
 
Angolo dell’Autrice
 

Ehilà! Sì, come vedete, non ho desistito dallo scrivere la mia storiella. Devo ammettere di essere rimasta piacevolmente sorpresa dal numero di lettori e dal grande supporto di tutti voi! Un grazie speciale a Clitemnestra_Natalja  ed a Toshira_Chan per aver inserito la storia tra le seguite. Naturalmente, ringrazio anche DreamNini e Nana_Sensei per aver recensito.
Alcune note: la strofa iniziale della canzone è sempre di ‘Corpus Christi Carol’, di cui ho parlato nel primo capitolo. In questo capitolo, le parole sottolineate di Mallaidh sono in celtico. A proposito, una volta postato l’ultimo capitolo, scriverò nell’Angolo dell’Autrice i significati dei nomi dei personaggi.
Grazie ancora per il vostro appoggio, è veramente molto apprezzato! : )
Beads.
 

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Capitolo 3
*** Iseut ***


 
3- Iseut

In that orchard ther was an hall,
That was hanged with purpill and pall.


 

 Newlin trascorse quei mesi estivi nella reale biblioteca di Seabhag. Sua sorella Iseut non sapeva se rallegrarsene o essere preoccupata per lui. Egli, infatti, sembrava completamente assorto nei libri, rapito da una febbrile agitazione nel portare a termine una ricerca sconosciuta. E, se da una parte non passava più le sue giornate cacciando ed uccidendo, dall’altra era sempre rinchiuso in quelle sale di pietra fredda. Usciva solo di sera, quando tutti gli abitanti del castello dormivano profondamente. Quel ragazzo viveva nel segreto, aveva costruito attorno a sé una fortezza di chiavi e silenzio.
 Nessuno poteva accedere alla biblioteca, se non lui.
 Nessuno poteva osservare il proseguire della ricerca. Nessuno sapeva in che cosa essa consistesse.
 E così, l’Estate e l’Autunno passarono nel segreto e nell’angoscia. La malattia di Lord Hamon Seabhag andava peggiorando. Le sue labbra screpolate non chiedevano più acqua, i suoi occhi lucidi non mandavano più alcuna silenziosa preghiera. Iseut restava giornate intere al suo fianco, osservando, attendendo la morte di suo padre. Si sentiva impotente, incapace di rassicurare il genitore in quel momento di sconforto e sofferenza. Sapeva che voleva solo una cosa: la presenza di suo figlio Newlin.
 Sapeva che lei, una donna che mai avrebbe potuto portare avanti il nome dei Seabhag, non poteva essere di alcun conforto al moribondo. Un pensiero doloroso, al quale Iseut non sapeva come reagire. Infine, si ritrovava sempre a piangere, con il viso tra le mani, sconvolta da tutte quelle ombre che le giravano attorno. Lo spirito imprigionato di suo padre, quello invisibile di suo fratello, quello sconosciuto di sua madre. Ysabel Seabhag era morta a diciassette anni, pochi giorni dopo la nascita di Iseut. La bambina non l’aveva mai conosciuta, non si ricordava il suo volto. Tutti le dicevano che somigliava a sua madre, ma lei non aveva mai capito come questo fosse possibile. Ysabel, per lei, non era altro se non un personaggio delle fiabe, qualcosa di etereo ed innaturale, come la ragazza selvaggia nei boschi di Seabhag.
 La ragazza selvaggia…
 A quel pensiero, Iseut si alzò di scatto dal letto. Perché? Perché non ci aveva pensato subito? L’ambiguo comportamento di suo fratello era iniziato il giorno in cui era tornato dalla caccia ad ovest della foresta di Seabhag. Era lì che viveva Mallaidh. Inoltre, le pareva di ricordare che un servo le avesse detto che Newlin si fosse allontanato per un po’ dall’accampamento. Per qualche ora, nessuno l’aveva visto o era stato con lui. Che avesse incontrato…?
 Iseut doveva parlare con lui. Subito.
 Uscì dalle sue stanze e si diresse velocemente verso la biblioteca del castello. Il Sole era ancora alto, suo fratello non sarebbe uscito prima della notte fonda. Non importava, la ragazza avrebbe trovato un modo per parlare con lui, anche se avesse dovuto abbattere la porta della biblioteca. Quando, finalmente, si ritrovò di fronte al pesante portone di legno intarsiato, chiamò a gran voce il fratello.
 Dall’interno della stanza, nessuno rispose.
 Iseut riprovò a chiamare, Newlin, ma quando per la seconda volta non ricevette alcuna risposta, si avvicinò alla porta. Stava per poggiare l’orecchio su una delle due grosse ante, quando la porta venne aperta di scatto. Newlin, il volto pallido e l’espressione assente, guardava fisso di fronte a sé, come se non riuscisse a vedere la sorella. Iseut, ripresasi subito dalla sorpresa, gli si avvicinò.
 “Fratello, vi devo parlare.”
 “…”
 “Fratello? Non vi sentite bene?”
 “Come… oh, sorella cara… avete bisogno di qualcosa?”
  Il giovane pareva non reggersi in piedi. I suoi grandi occhi scuri erano lucidi e spaesati. Parlava in un sussurro, la voce lieve e roca a causa del lungo silenzio nel quale era vissuto per quasi quattro mesi. Sembrava quasi posseduto.
 Terrorizzata, Iseut poggiò delicatamente una mano sulla spalla del fratello. Doveva portarlo a letto, il ragazzo non stava bene. Newlin, dal canto suo, mosse bruscamente il braccio per allontanare la mano della sorella. Si girò di scatto verso di lei, animato da un’improvvisa determinazione.
 “Ditemi, sorella, in che ora della giornata ci troviamo?”
 Iseut, la voce tremante a causa della lacrime trattenute, mormorò debolmente:
 “E’ da poco passata l’ora del pranzo, mio Signore.”
 “Il Sole è dunque ancora alto?”
 “Certamente. Perché mai volete saperlo?”
 “Devo recarmi al villaggio. E’ importante. Dite ai servi di prepararmi un cavallo.”
 “Fratello, potrete recarvi domani a Seabhag. Siete stanco ed affaticato. Dovete riposare.”
 “Vi ringrazio la vostra apprensione, sorella cara… ma io sto bene…”
 “No, non state bene! Perché continuate a mentire a voi stesso? Ditemi, fratello, perché siete uscito improvvisamente dalla biblioteca, dove avete trascorso tutta l’Estate e l’Autunno, come un animale? Che cosa cercavate nei vostri libri? Rispondetemi, vi prego, io vi voglio solo aiutare. Ditemi… si tratta forse di qualcosa… qualcuno che avete incontrato durante le vostre battute di caccia? Lasciate che vi aiuti, fratello mio. Io vi amo, lo sapete bene. Voglio solo il vostro bene.”
 “Se davvero volete il mio bene, Iseut, allora tacete. Lasciate agli uomini il peso della scoperta, e sarete voi ad averne i vantaggi. Non dovete far altro che tacere.”
 Senza dare alla sorella la possibilità di obbiettare, il ragazzo si diresse verso le stalle. Iseut, totalmente interdetta, rimase accanto alla porta della biblioteca. Mai, prima d’allora, Newlin si era mostrato così evasivo nei suoi confronti. Sconsolata e delusa, la ragazza stava per ritornare nelle sue stanze, quando si accorse che la porta della biblioteca era ancora aperta. Accertatasi che nessuno fosse nei paraggi, entrò. Davanti a lei si trovavano scaffali e scaffali colmi di manoscritti. Su di un tavolo di legno vi erano diversi libri aperti ed un foglio di pergamena.
 Sicura di aver trovato la fonte delle sue risposte, Iseut si chinò sulla pergamena per leggerne il contenuto:
 
 
6 Luglio dell’anno del Signore MCXXIV: Stando alle informazioni trovate in un manoscritto, i primi componenti della famiglia Seabhag a portare questo nome comparvero circa duecento anni fa. Prima, nelle nostre terre, vi era un villaggio di pagani. Il nome del villaggio e sua della popolazione è sconosciuto. Non se ne parla in alcun manoscritto. Alcuni abitanti del villaggio pagano furono convertiti al cristianesimo con l'arrivo dei Seabhag. Non si fa alcun accenno agli abitanti non convertiti.  Cercherò in tutti i manoscritti della biblioteca per trovare qualche indizio su quest'ultimi. Che siano in correlazione con Mallaidh?

28 Agosto dell'anno del Signore MCXXIV:  Non credo che Mallaidh sia stata l'unica strega selvaggia delle nostre terre. Infatti, in un manoscritto sulla nobiltà inglese di circa cento anni fa, si può trovare un curioso paragone: 'Fu in quell'anno il clima primaverile ambiguo e variabile. Andava infatti contro natura, come la Strana Ailidh nelle foreste di Seabhag'.

2 Ottobre dell’anno del Signore MCXXIV: Non sono riuscito a trovare, in quasi quattro mesi di ricerca, altre informazioni sugli abitanti pagani di Seabhag. Ma ho un indizio: l’unica traccia su di loro si dovrebbe trovare nella caverna di Akaunon. Note: ‘Akaunon’, nella lingua dei padri, vuol dire ‘Pietra’. ‘Seabhag’, invece, vuol dire ‘Falco’. Perché la ragazza della Quercia ha paura del Falco? Teme forse gli abitanti di Seabhag? Perché crede che le porteremo sventura e dolore?

4 Ottobre dell’anno del Signore MCXXIV: Domani andrò a cercare altre informazioni nella caverna di Akaunon. Se non dovessi lì trovare tutte le risposte alle mie domande, tornerò da Mallaidh. E, se dovessi reputarlo necessario, la porterò con me a palazzo. Da ciò che sto apprendendo, non reputo di aver più alcun motivo per pensare che Mallaidh sia una ragazza selvaggia. Eppure, non sono ancora del tutto certo che ella non sia una strega.
 
 
 
Note dell’Autrice:
 
Uff puff (sono diventata un treno)! Dunque dunque... che dire? E' un capitolo breve e forse un po' pesantuccio, ma pur sempre essenziale per scoprire il mistero di Mallaidh e la profezia del Falco. Una piccola curiosità: nel Medioevo, i pasti erano sostanzialmente due: un sostanzioso pranzo ed una cena più leggera. Chi doveva compiere pesanti lavori manuali in genere faceva numerosi spuntini tra i due pasti. In Inghilterra, dove la storia è ambientata, la cucina nobiliare vedeva spesso impiegati, nei dolci e nei dessert, petali di violetta, rosa o sambuco. Della serie, viva la Dea Wikipedia! State tranquilli, il prossimo capitolo dovrebbe (attenzione, ho detto 'dovrebbe') essere un po' più movimentato. Newlin andrà nella caverna d'Akaunon ed incontrerà un nuovo personaggio. E, non temete, tra pochissimo avrete le fatidiche scene d'ammmmmore. Speriamo bene...
Ah, ne approfitto per ringraziare DreamNini e Morrigan, che hanno molto gentilmente recensito. Ricordate, le critiche sono sempre molto ben accettate, in particolar modo i consigli costruttivi. Quindi, non abbiate paura di lasciare qualche bandierina rossa o azzurra. Non mordo mica. :D
Grazie a tutti per aver letto, ed al prossimo capitolo!
Beads.

 

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Capitolo 4
*** Akaunon ***


4- Akaunon
 

And by that bede's side there standith a stone,
"Corpus Christi" wretyn theron.

 



 Il cavallo di Newlin era un magnifico sauro Red Dun. Era stato messo in palio come primo premio, in un torneo che il nobile ragazzo aveva vinto pochi anni prima. Era agile, forte e resistente. Si chiamava Terrowin. Fedelissimo al padrone, l’avrebbe condotto in qualsiasi luogo. In caso di pericolo, il cavallo avrebbe anche dato la sua stessa vita, solo per proteggere il proprio padrone.
 Il ragazzo amava il suo cavallo con tutto il cuore. A volte, aveva l’impressione che Terrowin e Maretak fossero gli unici a comprenderlo veramente. Amici fedeli, silenziosi e sinceri. Abili nello svolgere i loro compiti, dedicavano tutti i loro sforzi unicamente alla felicità di Newlin. Lui lo sapeva, ed era loro grato.
 A questo pensava il nobile giovane, mentre cavalcava velocemente attraverso i campi e le colline delle sue terre, impaziente di giungere al villaggio di Seabhag. Le nebbie autunnali scendevano dai monti ad ovest, coprendo ogni cosa con la loro eterea presenza. Tuttavia, all’orizzonte Newlin riuscì a distinguere le prime capanne di legno, pietra e fango. Il piccolo villaggio era circondato da muretti di pietra e staccionate, e per le sue vie di terra battuta si aggiravano dei vecchi contadini con i loro carretti. Vendevano ai passanti il contenuto dei loro cestini: nocciole, castagne e qualche mela asprigna. Al passaggio di Newlin, s’inchinavano tutti con grande rispetto. Alcuni si fecero il segno della croce, forse per esprimere il proprio dolore verso la morte imminente di Hamon Seabhag. Il nobile ragazzo, invece, cercò d’ignorare quei gesti ipocriti e carichi di falsa reverenza. Salutandoli con un semplice movimento della mano, proseguì all’interno del villaggio.
 Seabhag era un piccolo paesino di circa trenta case, costruite attorno ad una piccola chiesa di pietra. Le strade di terra battuta erano sporche e puzzavano di urina, di escrementi e malattia. Gli abitanti si aggiravano come ombre da una casa all’altra, dentro e fuori la Chiesa di Nostre Signore, attorno alla piccola piazza del mercato. Newlin chiese ad un ragazzino dove potesse trovare un luogo per far riposare Terrowin. Il bambino gl’indicò una locanda, fornita di scuderie, poco distante da lì.
 “Ti ringrazio, ragazzo. Ascolta, per caso sai dove risiede la famiglia Blacksmith?”
 “Certamente, mio Signore. La loro casa si affaccia sulla piazza del villaggio, a pochi passi dalla chiesa. Troverete alla porta l’insegna raffigurante un martello ed un’incudine.”
 “Ascolta. Recami questo favore, e ti donerò una moneta. Procedi pure fino alla casa dei Blacksmith e dì al padrone della casa che Sir Newlin Seabhag vorrebbe parlare in privato con sua figlia Emma. Io, nel frattempo, porterò il mio cavallo nelle scuderie della locanda. Ti raggiungerò in seguito.”
 Il ragazzo annuì, felice della fortuna che aveva avuto nell’ottenere una così generosa ricompensa. Newlin lo vide correre lungo le stradine del villaggio, un largo sorriso sulle labbra. Il nobile ragazzo scosse la testa, incapace di comprendere un tale entusiasmo per una semplice moneta. Si recò nella locanda, dove avrebbe lasciato Terrowin, e lì fu trattenuto per un po’ da una grassa locandiera dai modi gentili. La donna era disposta a tutto pur di farsi un po’ di pubblicità, ed il futuro signore delle loro terre doveva senz’altro essere una grande attrazione per tutti gli abitanti di Seabhag. Dopo un estenuante discorso sul raccolto, l’economia del villaggio ed un possibile matrimonio di Iseut, Newlin riuscì a separarsi dalla pedante signora. Si affrettò a raggiunger la casa dei Blacksmith.
 L’officina del fabbro di Seabhag era annerita dal fumo, ed il rumore dei martelli era assordante. Newlin entrò con circospezione, attento a non urtare nessuno di quegli strani utensili a lui sconosciuti. Non dovette attendere molto, che un omone completamente pelato gli si avvicinò con un inchino. Il volto era stato malamente pulito dal nero che lo imbrattava, probabilmente a causa del preannunciato arrivo di Newlin. Henry Blacksmith, questo il nome del fabbro, s’inchinò sorridendo al ragazzo. Accanto a lui, un bambino d circa otto anni si fece avanti e, con un gesto della mano, lo pregò di seguirlo nella stanza della sorella maggiore.
 Emma Blacksmith dormiva in una piccola stanzetta, accanto a quella dei suoi fratelli maggiori. Quando Newlin entrò, tuttavia, non fu la semplicità di quelle quattro pareti grigie, il giaciglio di paglia sporca, una minuscola finestrella a colpirlo. Invece, la ragazza di fronte a sé era veramente degna della lode di un principe. Il viso sottile, gli occhi grandi ed azzurri, i ricci capelli biondi lasciati sciolti sulle spalle. Il vestito sporco e macchiato metteva in risalto la figura perfetta e slanciata del suo corpo. Sedeva su un vecchio sgabello di legno, ed in mano teneva un rosario.
 “M- mio Signore…”
 La ragazza si alzò in piedi di scatto, esitò per pochi secondi e poi s’inchinò. I lunghi capelli le caddero sul viso, ma Newlin riuscì ad intravedere il rossore sulle guance di Emma. Leggermente a disagio, la pregò d’alzarsi. Non aveva mai fatto una simile richiesta, prima d’allora. Mai si era reputato indegno di un inchino. La ragazza alzò il viso, tremando. Sorrise, balbettando nervosamente.
 “M- mio Signore… ho saputo che mi desideravate…”
 “Come dite?”
 “Sì, insomma… volevate parlarmi…”
 “E’ così. Sedetevi, vi prego, mia Signora. Voi ora siete l’unica in grado di aiutarmi.”
 Il rossore sul volto di Emma fu tale che Newlin pensò che stesse per svenire. Ma la ragazza si sedette semplicemente sullo sgabello, aggiustandosi i capelli con un gesto impacciato. Newlin le sorrise.
 “Non dovete temere, mia Signora. Io conosco vostro fratello, lavora nelle mie scuderie. E’ stato lui a parlarmi di voi.”
 Emma si girò di scatto.
 “E che cosa vi ha detto?!”
 La sua domanda era quasi un urlo. La voce tremava di agitazione ed emozione.
 “Be’… mi ha detto che voi trascorrete molto tempo fuori dal villaggio. Anche nelle foreste che circondano Seabhag.”
 “Non faccio nulla di male, mio Signore. Io… io mi reco laggiù per raccogliere qualche mora, dei fiori… non dovete pensar male di me.”
 “Naturalmente, io non vi voglio giudicare, mia Signora. Ma, ditemi, è vero quello che si dice di voi? Che siete stata la prima a vedere la Folle Mallaidh?”
 La ragazza sgranò gli occhi, improvvisamente allarmata. Si segnò velocemente e baciò il rosario prima di annuire.
 “La strega… sì. Prima d’incontrarla, avevo già sentito parlare di lei. Mia madre è sempre stata contraria al mio vagare nei boschi. Da bambina, mi raccontava che tra gli alberi si nascondessero dei mostri terribili, donne nude e dai seni cadenti che mangiavano i bambini. Io ho sempre pensato che fossero solo delle storie. Non avrei mai e poi immaginato che… che ne avrei incontrata una.”
 “Vi prego, narratemi l’accaduto.”
 “D’accordo, mio Signore… ma tenete bene in mente che io non ho mai parlato con la miscredente. Appena ho visto quella… quella… cosa sono scappata via, urlando. Era terribile. Gli occhi erano verdi e spenti, pareva lo sguardo di una posseduta, di un demone. I capelli erano crespi ed intrecciati di fango. Ed il suo corpo… non ho mai visto una donna più priva di pudore. Vaga senza sosta per la foresta, completamente nuda. Si copre solo con un corto mantello. Mio Signore, io sono convinta che Mallaidh sia un demone. Sì, la personificazione della Lussuria. Chi altro potrebbe mostrare in tale modo le sue fattezze, anche quelle più intime, persino durante l’Inverno? Neanche le meretrici più volgari di Londra! Cammina sempre a piedi scalzi, anche nella neve. E parla da sola, in una lingua antica e sconosciuta. Le parole di Satana. Sì, mio Signore. La Folle Mallaidh è un demone, una strega. Spero non l’incontriate mai sul vostro cammino. Quel genere di mostro ha potere solo sugli uomini.”
 “Ma che cosa vi ha detto? Voi stessa l’avete ammesso. Siete una donna, non può avervi incantato o fatto del male. Che cosa vi ha detto?”
 “Buon Dio, non appena l’ho vista sono scappata via! Io, una semplice ragazza, soffermarmi alla presenza di una servitrice di Satana? L’ho vista guardarmi dall’alto in basso con i suoi occhi spenti, e… mi ha sorriso. Un ghigno diabolico, degno dell’Inferno. Ha sussurrato qualche parola incomprensibile, probabilmente un maleficio. Ho urlato. Sono scappata via.”
 “Vi ricordate, bene o male, che cosa vi ha detto?”
 “Erano parole strane, in una lingua a me sconosciuta: quella del Male.”
 “Non ricordate davvero nessuna parola di quella formula?”
 “No.”
 “E’ un vero peccato. Mi avreste aiutato moltissimo nella mia ricerca, e vi sarei sinceramente stato debitore.”
 “Dite davvero?”
 “Ma certamente!”
 “Allora… aspettate, aspettate! Io… qualche parola, sì… ricordo… tekmo… no, no, non era così… teksko, sì, teksko. Teksko ex ci, velo essiessi… Mio Dio, non ricordo… dogis? Topis?”
 “Teksko ex ci. Velo essi togis. E’ così?”
 “… Sì. Sì, è esattamente così. Ma voi come…?”
 Newlin sospirò, scuotendo debolmente la testa. Aveva passato quei quattro mesi in biblioteca cercando qualche straccio di insegnamento sulla lingua dei padri, ma aveva trovato ben poco. Eppure, quella frase era presente in una poesia nel libro dove aveva letto la filastrocca del Maretak.
 Ma non si trattava di un maleficio.
 Fuggi via da qui. Vedo che sei spaventata.
 Non aveva certo l’aria di essere una formula satanica. Forse si trattava di un consiglio, pronunciato con disprezzo e con sufficienza nei confronti di Emma. Nei confronti degli abitanti di Seabhag. Perché Mallaidh odiava tanto la gente di Newlin?
 “Emma Blacksmith, c’è un’altra cosa che vorrei chiedervi.”
 “Qualunque cosa, mio Signore. Sarò la vostra serva.”
 “Avete detto che trascorrete gran parte del vostro tempo fuori dal villaggio. Per caso, sareste in grado di condirmi alla caverna di Akaunon?”
 “Akaunon, avete detto? Certamente. Ma è un viaggio lungo, avremo bisogno di un cavallo e di un’intera giornata a nostra disposizione. Tornate domani mattina. Io so come raggiungere quel luogo per puro caso. Mi ero persa nei campi, qualche mese fa, e pensavo di non ritrovare più la via di casa. La mia disperazione è stata grande quando ho raggiunto una delle montagne ad ovest di qui. E’ lì che è situata Akaunon. Ma la mia gioia fu immensa, quando di fronte alla caverna trovai due sentinelle. Nei loro volti riconobbi due uomini di Seabhag.”
 Newlin aggrottò le sopracciglia, confuso.
 “Perché mai due sentinelle dovrebbero sorvegliare una semplice grotta?”
 “Naturalmente, per fare in modo che nessuno vi si addentri.”
 “E perché nessuno dovrebbe entrare in Akaunon?”
 “Non lo so. Nessun uomo di Seabhag può entrarvi. Ma può darsi che con voi facciano un’eccezione.”
 
 Terrowin galoppava nei campi di Seabhag, verso il monte d’Akaunon. Non era abituato a trasportare più di una sola persona, ed a stento sopportava la presenza di Emma Blacksmith. La ragazza non era evidentemente abituata a cavalcare, e si reggeva a Newlin, stringendo tanto le braccia attorno alla sua vita da smozzargli il respiro. Il ragazzo non si lamentava. Si era accorto di quanto lui fosse importante per Emma, anche se le attenzioni della ragazza nei suoi confronti lo annoiavano leggermente. Tuttavia, anche nella sua incredibile bellezza, non avrebbe mai potuto eguagliare il fascino che Mallaidh aveva avuto su di lui.
 E’ un demone. E’ la personificazione della Lussuria.
 Pazza, selvaggia, strega. Un’arpia che l’avrebbe portato via, nel mondo delle tenebre e della pazzia. Sarebbe stato così semplice credere in questo. Ogni problema sarebbe stato risolto con un piccolo ordine: ‘Catturatela. Datele fuoco.’ Ma, allora, perché mai Newlin era invaso da un tale desiderio di scoprire qualcosa di più su quella ragazza? E perché lei, una strega, un demone, aveva incitato Emma a scappare, se davvero il suo aspetto le incuteva timore? Perché, quando lui era entrato nella sua casa, lei aveva avuto così tanta paura di lui? Che cos’era la cenere in quel vaso?
 Dovette interrompere i suoi pensieri, rendendosi conto che Terrowin non poteva più procedere. Di fronte a loro vi era l’alta salita che conduceva alla montagna. Un terreno scosceso ed irregolare, qualche masso e centinaia, migliaia di alberi morti. Erano tutti coperti da vischio. Una pianta velenosa, anche se alcuni dicevano che avesse delle proprietà benefiche per lo spirito.
 “Dobbiamo procedere a piedi, mia Signora. Venite, vi aiuto a scendere dal mio destriero.”
 “V- vi ringrazio.”
 Sembrava più che felice di abbandonare Terrowin in quel luogo. Newlin legò il cavallo ad un alto masso, caduto lì vicino decine di anni fa, nella paura che potesse mangiare il vischio sugli alberi. Lui ed Emma proseguirono lungo la salita, in silenzio. La nebbia era ovunque, ed era difficile procedere nella fitta coltre che creava. Newlin aiutava Emma a salire, tenendola per mano. Anche nella bruma, il giovane poté distinguere il vivo rossore sulle guance della ragazza. Sorrise, divertito. Si ripromise che quello sarebbe stato il loro ultimo incontro. La ragazza sembrava dimenticarsi della differenza di rango tra loro due. Lui non avrebbe mai corteggiato una popolana, per quanto bella ed affascinante potesse essere.
 Dopo circa due ore di cammino, giunsero a destinazione. La grotta d’Akaunon era circondata da pioppi morti e coperti di vischio. Aveva un’entrata abbastanza grande, e di fronte ad essa erano sistemate due guardie. In mano avevano delle semplici lance, la loro espressione era annoiata. Non appena videro i due ragazzi avanzare verso la grotta, si stiracchiarono e sorrisero.
 “Ciao, Emma! Sei venuta a farci visita?”
 “Ciao Caleb! Ciao John!”
 La ragazza si girò sorridendo verso Newlin, indicando i due giovani.
 “Mio Signore, permettetemi di presentarvi Caleb e John Hawley, i fratelli della famiglia Hawley. Sono i figli del sarto di Seabhag, ed amici di mio padre. Qualche anno fa, si sono offerti volontari per sorvegliare Akaunon.”
 “Ah ah! E rimpiangiamo ogni giorno la nostra scelta.”
 A queste parole, sembrarono accorgersi della presenza di Newlin. Subito cessarono di ridere e s’inchinarono profondamente, attendendo un qualche ordine. Il nobile ragazzo si fece avanti, sorridendo, e chiese ai due giovani se gli era concesso visitare la grotta.
 “Certamente, mio Signore. Qui siamo ancora nelle terre di Seabhag, e questa è una vostra proprietà. Anche se l’entrata è proibita agli abitanti del villaggio, voi siete naturalmente un’eccezione. Ma temo che Emma non vi potrà seguire.”
 “Così sia. Vorrei anche porvi una domanda, se mi è concesso: perché la grotta è sorvegliata da ben due guardie?”
 “La risposta è all’interno, mio Signore. Se volete seguirmi, vi farò visitare la grotta.”
 Caleb, il più giovane dei due fratelli, afferrò una torcia posta accanto ai piedi di John e, dopo averla accesa, entrò nella grotta. Newlin sorrise ad Emma, e seguì il ragazzo, tenendosi vicino alla torcia della sua guida. I due ragazzi non dovettero attendere molto, prima che la luce del Sole li abbandonasse completamente. Ogni cosa che circondava la luce della torcia era avvolta dall’oscurità. Ombre minacciose sembravano seguirli, sussurrare antichi segreti tra le pietre della grotta. All’improvviso, qualcosa attirò l’attenzione di Newlin. Su una parete della grotta c’era un’incisione: la testa di un cervo, avvolta da un cerchio di rune.
 “Che cos’è?” chiese Newlin, con voce tremante.
 Caleb avvicinò la torcia all’incisione, e sputò a terra.
 “Segni blasfemi. La grotta ne è piena.”
 “Ma chi avrebbe mai fatto una cosa simile?”
 “I pagani. Coloro che abitavano queste terre, prima dell’arrivo dei Seabhag e della cristianizzazione.”
 Newlin sgranò gli occhi, incredulo. Aveva forse trovato la fonte delle sue risposte?
 “Continuiamo a camminare, ve ne prego. Potete dirmi qualcosa di più sui primi abitanti di queste terre?”
 “Certamente. Questo era il loro luogo di culto. Quando le loro barbare usanze erano ancora in uso, si riunivano in questo luogo per invocare spiriti maligni, sacrificare giovani animali e prigionieri di guerra. Alcuni di loro praticavano magia nera. Altri imparavano a memoria formule pericolose. Coltivavano e veneravano la pianta del vischio, credevano avesse dei poteri magici o qualcosa di simile.”
 “Il vischio? Una pianta velenosa?”
 “Sì. Erano pazzi, a mio parere. La consideravano al pari della quercia, dicevano che fosse un dono dei loro dèi pagani. Oloaiacet, lo chiamavano, oppure Maretak.”
 Newlin si girò di scatto.
 “Avete detto Maretak?”
 “Sì. Era anche il nome della loro tribù, e di queste terre. Consideravano questa regione fertile, poiché sulle foreste morte delle montagne cresce il vischio. Da non credersi. Poi, un giorno, la famiglia francese dei Faucon s’impossessò della regione. Alla vista dei loro stendardi, sui quali vi era raffigurato un falco, i pagani chiamarono i membri della famiglia Seabhag. Credo che nella loro lingua maledetta voglia dire…”
 “Falco.”
 “Esatto. La maggioranza degli abitanti di Maretak si convertì al Cristianesimo. Furono i fortunati che compresero quanto dolore avrebbe continuato a recare loro la miscredenza. Abbandonarono questa grotta, piena di rune maledette ed incisioni sataniche. Da allora, nessuno vi si addentra più. Almeno, nessun abitante del villaggio.”
 “Oh. Dunque è per questo che la sorvegliate. Non volete che gli abitanti possano ricordarsi delle loro origini pagane. Questo, in effetti, può essere da molti considerato un luogo di magia nera… sì, anche di satanismo.”
 Caleb scosse la testa, sorridendo.
 “Solo parte di quello che avete affermato è vero, mio Signore. Questo luogo è sempre stato interdetto agli abitanti di Seabhag, è vero, proprio a causa del suo scopo originario e di queste incisioni. Ma il nostro popolo la sorveglia solo da dieci anni.”
 Si fermò, all’improvviso. Si trovavano in un ampio spazio, dopo il lungo corridoio che avevano percorso. Le mura erano interamente coperte da rune ed anomale incisioni. Di fronte a loro, ad un certa distanza, v era un profondo buco nel pavimento, sormontato da un’alta parete oscura. Newlin non capì se anche su di essa vi fosse inciso qualche simbolo.
  “Questo è il luogo più terribile della grotta, dove magia nera e sfortuna sono talmente presenti da essere impresse nelle pietre. Quello laggiù è un fosso, un pozzo profondo in cui i sacerdoti miscredenti gettavano i corpi martoriati dei loro sacrifici. Di fronte a voi, mio Signore, è la risposta alla vostra domanda.”
 Newlin si avvicinò, incerto, verso il pozzo profondo. Guardò al suo interno, ed una forte vertigine lo scosse. Non riuscì a vederne il fondo.
 “Continuo a non capire. Questo pozzo è effettivamente prova di spargimenti di sangue e terribili sacrifici, degni di essere puniti con la morte e l’Inferno. Ma perché sorvegliare questo luogo, se non per il ricordo di un passato pagano? E’ forse caduto un bambino in questo pozzo, dieci anni fa?”
 “No, mio Signore. La risposta non è nel pozzo, ma sulla parete di fronte a voi.”
 Il ragazzo innalzò la torcia, in modo da illuminare la parete nascosta dall’ombra. Newlin sussultò, indietreggiando istintivamente.
 La parete era completamente ricoperta di sangue.



Angolo dell'Autrice.
 
D'accordo, potete linciarmi, se proprio ci tenete. Insomma, qualche giorno fa vi ho dato un capitolo di mezza pagina, oggi ve ne do' uno di sei. Non prendetevela con me, ma con il Dio Loki che mi ha reso completamente fuori di testa. Sono più pazza di Mallaidh, è ufficiale. ù_ù
Quindi, non so se non avete capito qualcosa della storia o del capitolo. Se qualcosa non vi è chiaro, chiedete pure! :)
Quindi nel prossimo capitolo scopriremo perché la parete è coperta di sangue, perché Mallaidh è una ragazza selvaggia, che cosa ne è stato dei pagani di Maretak, cos'era la cenere nel vaso rotto da Newlin, perché Mallaidh odia tanto Seabhag e Newlin e... avremo il secondo incontro con Mallaidh, e nascerà l'ammmoooreee. Ciò mi rende stranamente depressa.
Oky doky, vado a mangiare i cereali di mio fratello!
A presto! :)

 


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Capitolo 5
*** Carey ***


5- Carey

And in that hall ther was a bed,
Hit was hangid with gold so red.

 




Ghirigori precisi, cerchi perfetti. Semplici decorazioni dipinte col sangue. Erano poste a cerchio, attorno ad un piccolo disegno. Una semplice scenetta, raffigurante la razzia di un villaggio. Alcune piccole capanne di pietra, protette da una fortificazione di legno. Fuori dal villaggio, uomini e donne tiravano sassi e frecce infuocate sulle capanne, e sulle persone inginocchiate al suo interno. Donne, uomini, vecchi e bambini che piangevano, urlavano, pregavano con gli occhi pieni di terrore. Una sola donna, in piedi, al centro de disegno, sorrideva. Un ghigno pazzo, folle. Tra le braccia stringeva un neonato.
 “Raffigura la purificazione di coloro che si ribellarono alla cristianizzazione, mio Signore. Non volevano abbandonare i loro modi primitivi e le loro religioni blasfeme, ignorando la parola di Dio. Ma vennero giustamente puniti per il loro incorreggibile egoismo. Furono tutti rinchiusi nelle mura del loro villaggio, ed i soldati appiccarono il fuoco. ”
 Newlin scosse la testa, incredulo.
 “Vennero uccisi tutti… anche le donne e i bambini?”
 “Be’… sì. Certamente, mio Signore.”
 “Questa non può essere la parola di Dio.”
 “Come avete detto?”
 “… No, nulla. Temo di non capire. Perché io non ho mai udito prima questa storia?”
 “Mi dispiace, mio Signore. Non lo so.”
 “Ma se tutti i pagani furono allora uccisi, e nessun cristiano si è mai addentrato all’interno di questa grotta, chi è stato a raffigurare questa strage sulla parete?”
 “Il giorno descritto in quest’immagine, i membri della famiglia Faucon ed i loro seguaci non riuscirono a trovare una delle figlie del capo villaggio. Lei e le sue discendenti, nate da rapporti peccaminosi con eventuali stranieri passanti per il nostro villaggio, da allora in poi vissero nelle foreste. Noi non siamo mai riusciti a catturarle, seppure recentemente Emma Blacksmith sia entrata in contatto con una di loro.”
 “Come dite? Vi è tutt’ora una pagana nelle foreste di Seabhag?”
 Caleb annuì.
 “Certamente. Si tratta della Folle Mallaidh.”
 “Mallaidh? E’ stata lei a fare tutto questo?”
 “No, certo che no. Vedete, mio Signore, la mia famiglia sorveglia questa grotta soltanto da dieci anni. Mallaidh, allora, non era che una bambina. E’ stata un’altra donna selvaggia a commettere quest’imperdonabile peccato. Nella speranza di catturare lei o le sue discendenti, da allora questa grotta è sempre stata sorvegliata, e nessun abitante del villaggio può accedervi.”
 “Un’altra donna selvaggia? Chi?”
 “La Pazza Carey.”
 “Carey? Questo nome… mi suona famigliare…”
 “Si tratta della madre di Mallaidh.”
 
 “Mama! Mama Carey!”
 “Mallaidh!”
 La bambina aveva solo quattro anni, ma sapeva già arrampicarsi velocemente, slanciandosi con agilità da un albero all’altro. Corse in lacrime verso la madre, la quale era appollaiata sul ramo più alto di un noce. La ragazza raggiunse la figlia e la strinse a sé, calmando con dolci carezze i singhiozzi della bambina.
 “Mama… catoues… catoues ci!”
 “Velo, Mallaidh, velo. Essi agikoua? Eimu. Eimu do hem.”
 La giovanissima madre (non poteva avere più di sedici anni) si alzò in piedi, barcollando per il peso della bambina che reggeva. Aveva tranquillizzato Mallaidh, promettendole che sarebbero subito tornate a casa, ma in realtà anche lei era spaventata. Alcuni soldati di Seabhag le avevano viste. Doveva assolutamente affrettarsi, e raggiungere la Grande Quercia. Lì sarebbero state al sicuro.
 Dopo molte ore di corsa, Carey incontrò finalmente i rami addobbati della sua casa. Si arrampicò agilmente sul tronco ed entrò nel foro dell’albero, baciando prima il drappo di tela azzurra che proteggeva la tana. Si calò nel tronco cavo, aiutandosi con la corda, cercando di non fare alcun rumore. Sua figlia si era addormentata tra le sue braccia. Carey l’adagiò dolcemente nel giaciglio di muschio, e si diresse verso il Vaso delle Ceneri. Voleva rivolgere una preghiera di ringraziamento alle sue antenate, le quali avevano protetto lei e la bimba da un possibile pericolo. Prese ad intonare una piccola litania, quando un forte dolore al petto le impedì di proseguire. S’interruppe, portandosi le mani al cuore. La malattia non faceva altro che peggiorare, e lei non sapeva a chi chiedere aiuto. Dopo tanto tempo, incominciava a temere qualcosa che non fosse gli abitanti di Seabhag. Carey scosse la testa, e riprese a pregare.
 “Mama” Mallaidh si era svegliata “Mama, immi agikoua.”
 “Naige, Mallaidh. Naige. Catoues, hinc hodie…’’
 Rimase in silenzio. Suo figlia era sempre stata terrorizzata dai soldati di Seabhag. Ma loro non erano mai riusciti a trovare la Grande Quercia. Quello era un luogo sacro, e solo i predestinati potevano accedervi. Sorrise, con tenerezza, e si sdraiò accanto alla bambina.  
 “Vuoi che ti racconti una storia?”
 “Naige, mama. Immi agikoua!”
 “Se velo. Neue… hinc de Liath?”
 Il viso della bimba s’illuminò, e la madre sorrise vittoriosa. Quello della principessa Liath era il racconto preferito di Mallaidh. Forse perché, almeno in parte, era una storia vera. La ragazza strinse a sé la figlia, e prese a raccontare:
 “Nei tempi antichi, Mallaidh, Liath era la figlia minore del nostro capo villaggio. Quando i Figli del Falco, i Seabhag Mab, razziarono Maretak ed i suoi abitanti, Liath e sua madre riuscirono a scappare nelle foreste. Ma erano inseguite dai soldati dei Faucon, i quali riuscirono a catturare la madre di Liath, ma non la bambina. Liath era molto coraggiosa, non piangeva mai, e non cessò di correre quando sua madre venne catturata… e così dovrai fare tu, bimba mia, se per caso gli abitanti di Seabhag dovessero catturarmi. Come Liath, dovrai scappare. Più velocemente che puoi, verso la Grande Quercia. Essa protegge il nostro popolo da migliaia di anni, ed è sempre stata a noi sacra. In essa scorre l’energia vitale degli spiriti, e dunque non muore mai, seppure il suo tronco sia completamente cavo. Quando Liath si rifugiò qui, giurò davanti ai suoi antenati che avrebbe vendicato la sua famiglia. Si ferì una mano e fece scorrere il suo stesso sangue. Con questo sacrificio, si mise in contatto con degli spiriti, i quali le rivelarono in che modo l’avrebbero aiutata. Avrebbero fatto sì che uno straniero, un viaggiatore di passaggio per le foreste di Seabhag, trovasse la Vecchia Quercia. Solo lui, il predestinato favorito dagli spiriti, avrebbe potuto dare un figlio a Liath degno di portare avanti la gente di Maretak. Il clan sarebbe risorto, una volta avuto un figlio maschio. Ma, stranamente, Liath mise al mondo una bambina. Essendosi già unita ad un uomo, il quale l’aveva abbandonata per continuare il suo viaggio, Liath seppe che il prossimo predestinato si sarebbe dovuto unire a sua figlia. Eppure, anche lei generò una femmina. E continuò ad esser così, per duecento anni. La prossima a dover sostenere la prova sarai tu, Mallaidh. Se l’uomo che ti sarà mandato dagli spiriti ti donerà un figlio maschio, saprai che il tuo bambino sarà colui che dovrà uccidere tutti i membri della famiglia Seabhag, e riportare il nostro popolo alla gloria che gli spetta.”
 La bambina annuì, seria.
 “Per questo hai dipinto col sangue la parete di Akaunon?”
 “Sì. Voglio ricordare agli uomini di Seabhag il loro destino. Non dubitarne mai, amore mio. Loro moriranno tutti, e noi avremo la nostra vendetta… ma ora dormi, Mallaidh. Vedo bene che sei stanca. Devi aver avuto così tanta paura, nella foresta. Ma ora è tutto finito, siamo al sicuro. Dormi, Mallaidh, sunos. Sunos.”
 “Naige, mama! Dimentichi la parte del Falco! E’ la parte più importante!”
 “Immi sunoua, Mallaidh! Sono stanca, e poi la Profezia del Falco è solo una leggenda, non è importante.”
 “Ti uediiumi, Mama!”
 “… D’accordo. Dunque, amore mio, ricordati sempre: se, per qualche disgrazia, l’uomo che entrerà nella Quercia sarà un discendente della famiglia Faucon, tu non dovrai per alcuna ragione darti a lui, ma dovrai difenderti. Poiché, se doveste accoppiarvi, la Profezia vuole che tutti gli sforzi delle nostre antenate saranno vani. Dalla vostra unione non nascerebbe un bambino degno di riportare alla gloria il nostro clan, e la benedizione degli antenati ci abbandonerebbe. Il nostro popolo non potrà mai più essere riportato in vita. Ora basta, sono davvero stanca. Mi fa male il petto.”
 La bimba annuì nuovamente, chiudendo gli occhi. Carey le poggiò una mano tra i capelli, sorridendo. Non sapeva se quella parte della leggenda fosse vera, e non le aveva mai dato troppo peso. I reali di Seabhag non si erano mai avvicinati a loro, presi com’erano dalla politica e dalla guerra. Il vero pericolo risiedeva nella superstizione degli abitanti del villaggio. L’unica cosa veramente importante era che Mallaidh allevasse da sé il proprio figlio, senza l’influenza di alcun uomo. Sapeva che sua figlia ci sarebbe riuscita, era una brava bambina.
 Le baciò la fronte, iniziando a cantare l’antichissima canzone del Maretak:
 
 Maretak, Maretak: magu, maion et bodach,
 Dith dagovassa, anation ambicatassa.
 Essi capta et caranta.  Andedia thir-
 
 La voce di Carey s’interruppe all’improvviso. Un forte dolore al petto la colse inaspettatamente.  Si portò una mano alla gola, e tossì un paio di volte. Quando ritrasse la mano, la ritrovò sporca di sangue. Cercò di alzarsi per raggiungere una scatola poco lontana, piena di erbe medicinali, ma ricadde ansante sul giaciglio. Urlò. Avvertì il corpo di Mallaidh che si agitava nel sonno, la sua vocina spaventata che la chiamava nelle tenebre. Il dolore era atroce, la ragazza non riuscì neanche a rassicurare la sua bambina.
 “Mallaidh...”
 “Mama Carey! Mama!”
 “Mallaidh… ti cara, moni na… ti cara… moni dial... dial...”
 “Mama! Naige… Mama!”
 Bianco.
 Rosso.
 Nulla.
 
 Mallaidh aprì gli occhi.
 La neve cadeva ovunque, attorno a lei. Il gelo dell’Inverno ricopriva ogni cosa: il ramo spoglio della Grande Quercia su cui era seduta, le pietre preziose che (sostenute da fili leggeri) proteggevano la tana, il suolo, le foglie morte, il corpo nudo della ragazza ed il suo corto mantello. Una brava bambina obbediente, che non si muoveva, non si agitava al contatto doloroso con i fiocchi di neve. Respirava appena, osservando il vapore dei suoi sospiri innalzarsi verso il Cielo invernale.
 Ogni cosa era morta. Faceva freddo.
 L’aria non era così gelida, quando sua madre aveva sputato sangue, quando aveva chiuso gli occhi per l’ultima volta. Il muschio era tiepido e morbido sotto i loro corpi nudi, e la corteccia dell’albero le proteggeva dal freddo della notte. Eppure, sua madre era morta comunque. E lei, una bambina di quattro anni appena, aveva dovuto bruciare il suo cadavere e vivere da sola, nei boschi. Le ceneri di sua madre erano state unite a quelle delle loro antenate, nel vaso distrutto dallo straniero.
 A quel pensiero, la ragazza non riuscì a trattenere le lacrime. Si portò le mani al viso, singhiozzando. No, non doveva piangere. Doveva essere forte, come Liath. Non piangere, Mallaidh…
 “Mama… ti uediiumi, ti prego, perdonami. Ho avuto paura, ero arrabbiata, e ho scacciato via il predestinato, l’inviato degli antenati. Colui che, forse, avrebbe potuto darmi un figlio degno di riportare il popolo dei Maretak alla loro gloria. Non ho avuto abbastanza coraggio, ero terrorizzata da ciò che non conoscevo. Ti prego, ti prego perdonami. Lui non tonerà più, mai più, e tutto sarà stato vano…”
 Forse era veramente pazza, come dicevano gli abitanti di Seabhag. Parlava da sola, rivolgendosi ad uno spirito morto. Chissà se le storie che sua madre le raccontava corrispondevano a verità? E se fossero state tutte leggende, favole da raccontare alle bambine spaventate? Che cosa avrebbe fatto Mallaidh? Come avrebbe riportato il suo popolo alla gloria, senza un uomo disposto a donarle un figlio? Chi si sarebbe unito a lei, una strega pazza e selvaggia?
 Nessuno.
 Lei aveva fallito. Il suo popolo sarebbe svanito per sempre, con la sua morte.
 Un rumore improvviso alle sue spalle la fece sussultare. Sgranò gli occhi, riconoscendo il tenue rumore degli zoccoli di un cavallo sulla neve. Era sorpresa, ma non si girò in direzione di colui che, lei ne era certa, era tornato per lei.
 “Mia Signora… Mallaidh. Sono desolato, non ho potuto fare a meno di tornare.”
 La sua voce… sì, era lui. Non c’era alcun dubbio. Doveva essere un qualche miracolo degli spiriti, l’avevano ricondotto a lei. Le avevano dato un’altra possibilità. Senza girarsi, e cercando di controllare l’emozione nella sua voce, la ragazza rispose con sufficienza:
 “Sei tornato, Seabhag mab. Posso solo immaginare che cosa desideri da me.”
 “Risposte, mia Signora. Nient’altro che risposte alle mie domande.”
 “… Desideri entrare nella mia casa?”
 “Nella quercia?”
 “Ho freddo. Sono rimasta immobile nella neve per molti minuti. Se volete, potete seguirmi.”
 La ragazza si alzò in piedi, appoggiandosi al tronco della quercia e girandosi in direzione di Newlin. Il corto mantello di Mallaidh era bagnato, ed il suo corpo nudo tremava vistosamente. Tuttavia, la strega sorrise timidamente al giovane visitatore, ed entrò nella sua tana.
 Newlin non seppe davvero come reagire alle parole della ragazza. Era venuto lì con la certezza di trovare una ragazza feroce e combattiva, pronta a tutto pur di difendere il suo onore. Era sicuro che, per convincerla a rivolgergli la parola, avrebbe dovuto pregare e chiedere perdono a Mallaidh numerosissime volte.  Invece, la ragazza l’aveva semplicemente invitato ad entrare nella sua tana, come se fosse un amico di vecchia data. Sembrava intimidita da qualche cosa, forse temeva la spada al fianco del cavaliere. Newlin legò il suo cavallo ad un vicino abete e lì la sua spada. Si arrampicò velocemente sulla quercia, ed entrò nella tana umana.
 Scese lentamente lungo il tronco cavo, aiutandosi con la corda. Quando toccò terra, fece molta attenzione a non urtare nulla, ricordandosi della reazione di Mallaidh quando il giovane aveva rotto il vaso. Il piccolo lume nella lanterna era stato acceso, ed illuminava ogni cosa nella quercia. Gli arazzi erano appesi alle pareti, come sempre. Il vaso che Newlin aveva urtato non c’era più, ma al suo posto vi era un nuovo contenitore di ferro battuto. Aveva l’aria di essere molto antico.
 Newlin si girò in direzione del giaciglio di muschio, dove Mallaidh aveva poggiato il suo mantello bagnato. Alla vista di quel corpo nudo ed immaturo, il ragazzo distolse immediatamente lo sguardo, troppo imbarazzato per proferir parola. Mai i suoi occhi si erano posati sul corpo nudo di una donna. Il disagio era grande. Avvertì una mano posarsi sulla sua spalla, ed alzò lo sguardo, convinto che Mallaidh si fosse avvolta in un qualche drappo o mantello. Invece, la ragazza era ancora nuda, seduta sul giaciglio di muschio. Tremava. Nei suoi grandi occhi verdi, Newlin lesse un evidente terrore. Non sembrava il comportamento di una esperta meretrice, eppure le sue intenzioni erano chiare. Colto da un’improvvisa delusione, Newlin scosse la testa.
 “Io non voglio questo, Mallaidh. Vi prego, ditemi che non è ciò che desiderate veramente.”
 La ragazza si alzò in piedi di scatto. Afferrò rudemente una mano del giovane, e la poggiò sul suo piccolo seno cadente. Nel suo sguardo si era accesa una forte determinazione, seppure la paura fosse ancora visibile nell’instabilità della sua presa.
 “Fallo in fretta, e poi vattene. Io non ho paura. Temi forse una donna, Seabhag mab? Il popolo che voi vi ostinate a chiamare ‘civilizzato’ ha forse guerrieri così pavidi? E’ per questo che vi siete alleati con la famiglia Faucon, nel tempo che fu? Non riuscivate neanche a prender possesso di una donna, e temevate la forza dei guerrieri degni di questo nome. Dunque, ci attaccaste nel sonno, distruggendo tutto ciò che eravamo. Traditori, non meritate il nome di Maretak.”
 “No, Mallaidh, voi non capite.”
 “E quindi, traditore figlio di traditori, dimostra che mi ritrovo in errore. Mostrami il tuo grande coraggio, ed unisciti a me nel Sacro Rito. Dopo che avrai dimostrato a questa pazza selvaggia il tuo valore, potrai tornare al tuo villaggio, ed io ti pregherò di non riavvicinarti mai più a me. Potrai lasciarmi per sempre, sola nella mia pazzia, ed ignorare quello che ti ostini a chiamare peccato.”
 Newlin non sapeva cosa dire. Mallaidh era convinta che lui fosse un semplice abitante di Seabhag? Improvvisamente animato da una forte indignazione, afferrò le spalle nude di Mallaidh, e la guardò dritto negli occhi.
 “Mia Signora, vi prego, voi non meritate questo! Discendete dal più valoroso dei guerrieri di Maretak, siete una donna di sangue reale! Eppure, vi ostinate a vivere nelle selve, impaurita da un conflitto centenario, che non dovrebbe più avere alcun valore. Venite con me, mia Signora. Vi porterò via da qui, in un mondo nuovo e stupendo. V’insegnerò gli usi ed i costumi della mia gente, e voi potreste insegnarmi i vostri. Non vi chiederò di rinunciare alle vostre usanze, ne’ alle vostre credenze. Insieme, possiamo rendere Seabhag uno dei luoghi più belli al mondo. Venite con me, mia Signora, e vi renderò la mia regina. Regina di Seabhag, di Maretak. Io voglio voi, Mallaidh, e nessun’altra. Dal primo istante che vi ho vista, ho capito di desiderarvi. Voglio conoscervi, amarvi e possedervi. Mia Signora, se verrete con, vi prometterò ogni felicità, ogni onore. Vi darò ogni cosa: corona, figli ed amore, se verrete con me. Venite con me. Non meritare tutto questo. Venite con me.”
 Mallaidh lo guardava negli occhi, visibilmente turbata dalle parole di Newlin. Tutto si sarebbe aspettata, ma non un’offerta di matrimonio da un Seabhag mab. E non un figlio di Seabhag qualsiasi, ma un discendente dei Faucon. Nella mente di Mallaidh risuonarono le parole di sua madre Carey: Dalla vostra unione non nascerebbe un bambino degno di riportare alla gloria il nostro clan, e la benedizione degli antenati ci abbandonerebbe. Eppure, sua madre non aveva mai dato troppo peso alla Profezia del Falco, e Newlin era l’unico uomo ad aver mai trovato la Grande Quercia. Aveva già rischiato di perderlo una volta, poteva correre nuovamente un simile rischio? Il giovane non sembrava avere cattive intenzioni. Se l’avesse seguito, non avrebbe dovuto rinunciare a praticare la sua religione, e sarebbe stata comunque al sicuro.
 Le avrebbe dato dei figli.
 Quanto sarebbe stato conveniente crescere suo figlio nella casa del proprio nemico? Certamente, se il bimbo fosse stato un maschio, lei avrebbe potuto vivere al suo fianco ed infondergli nel cuore l’odio e l’avversione nei confronti dei Seabhag mab. In più, lei avrebbe conosciuto meglio il suo nemico. Ma come avrebbe fatto ad allevare una femmina secondo i suoi costumi? Era a conoscenza di quello strano rituale a cui molte delle bambine cristiane si sottoponevano, anche in giovane età. Venivano recluse in un cubo di pietra, insieme a mille altre, e passavano la loro vita recitando infinite preghiere e vestendo di nero, non vedendo mai la luce del Sole o il verde delle selve. Certamente, questa non era la vita che lei desiderava per sua figlia.
 “Devi giurarmi che non mi sottrarrai i miei figli. Non voglio che mia figlia prenda i voti, o che il mio bambino uccida in nome di una croce. Voglio che vengano educati secondo le mie credenze, e tu sai bene che questo, per te, equivarrebbe a dannarli per sempre. Desideri l’Inferno, per i tuoi successori?”
 “Sono proto a rinnegare Dio, per voi.”
 “Stai mentendo. Che cos’è, un trucco per condurmi fuori dalla foresta e bruciarmi nella pubblica piazza, come la strega che sono? Dammi una prova della tua convinzione, Seabhag mab. Solo allora ti seguirò.”
 Newlin parve esitar un attimo, ma subito dopo chiese con risoluzione:
 “Se è possibile, sono anche disposto a sposarvi qui, in questo momento, sotto il rito pagano. Stando alle credenze del mio popolo, questo sarebbe sufficiente per dannare per sempre il mio spirito. Sono disposto a rinunciare al Paradiso, per voi. Mia Signora, io vi amo.”
 Le prese una mano e, portandosela alle labbra, la baciò delicatamente. Fu un gesto quasi timido, reverenziale. Alzò timidamente lo sguardo, e vide che Mallaidh rifletteva sulla sua richiesta.
 “E sia. Non vi sono Druidi, in queste terre, ma la mia gente praticava anche un rito che non ne richiedeva la presenza. Venite.”
 Si avvolse il corpo in un arazzo raffigurante un cervo dormiente sotto i rami di alcuni abeti. Si avvicinò alla pietra al centro della tana e, tolta ogni cosa che vi era sopra, vi lasciò solo la lanterna accesa, il nuovo Vaso delle Ceneri, un semplice sasso, un piccolo bastoncino posto verticalmente ed una ciotola d’acqua. Si rivolse in seguito a Newlin, e gli tese dei leggeri fili rossi e bianchi.
 “Dobbiamo intrecciarli. Insieme.”
 “… D’accordo.”
 Mentre intrecciavano insieme quei fili in una piccola corda, Mallaidh spiegò sottovoce:
 “I fili indicano i due sessi che si completano. Quando questa corda sarà terminata, la legheremo al bastoncino di fronte al lume. Il fuoco al suo interno farà muovere la corda, e così otterremo l’elemento dell’Aria. Il lume rappresenta il Fuoco, nella ciotola vi è l’Acqua. Il sasso è la Terra.”
 Quando ebbero completato la treccia, Mallaidh estrasse un piccolo pugnale e si inflisse un profondo taglio sulla mano. Velocemente, bagnò col sangue la pietra che simboleggiava la Terra, e disse a Newlin di fare lo stesso.
 “Ora giura sui tuoi antenati e sull’amore che ci lega, che mi proteggerai e che adempierai i tuoi doveri di marito. Giura sull’Acqua, sul Fuoco, sulla Terra e sull’Aria. Giura sul tuo spirito, che bagna col sangue quella pietra, che sarai il mio Uomo, e che non ti unirai ad altri se non me.”
 “Lo giuro, Mallaidh.”
 “Ed io giuro, sui miei antenati e sull’amore che ci lega, che sottostarò a te e che adempierò i miei doveri di sposa. Giuro sull’Acqua, sul Fuoco, sulla Terra e sull’Aria. Giuro sul mio spirito, che bagna con sangue questa pietra, che sarò la tua Donna, e che non mi unirò ad altri se non te.”
 La ragazza selvaggia prese le mani del nobile tra le sue, e lo guardò negli occhi.
 “Ora dobbiamo unirci nel Sacro Rito” sussurrò, e si stese sul giaciglio di muschio. Newlin la guardò, respirando a fondo. Quello era l’ultimo passo, poi non vi sarebbe più stato ritorno. Desiderava a tal punto quella donna da rinnegare il suo Dio?
  Sorrise, timidamente, e si sdraiò accanto alla sua sposa.
 
 
 Angolo dell’Autrice:
 
 Buon Solstizio d’Estate a tutti voi o, come direbbe Mallaidh, buon Litha.
 OK, d’accordo, non ho completamente mantenuto la mia promessa. Diciamo che l’amore è sbocciato solo a metà, ma non temete, presto anche Mallaidh si renderà conto che Newlin non è un suo nemico, e che non desidera solamente il suo corpo. Sì, sono rose e fioriranno (oserei dire molto presto, sicuramente nel prossimo capitolo, ma mi sembrava un po’ troppo brusco passare dal ‘nemico giurato’ all’ ‘eterno amore’). Comunque, nel prossimo capitolo Mallaidh uscirà finalmente dalla foresta e si recherà al palazzo di Seabhag. Come reagirà il padre di Newlin, ma soprattutto Iseut, alla notizia del matrimonio (immagino che i due sorvoleranno sul fatto che sia stato un matrimonio pagano ;D) ? Mallaidh, nel frattempo, è decisa a tutto pur di ottenere vendetta per il suo popolo. Questo matrimonio (che, come ho detto, porterà all’amore) sarà sufficiente per porre fine alla sua sete di sangue? I suoi voti, in fondo non riguardano Iseut e gli abitanti del villaggio, solo Newlin. La ragazza selvaggia riuscirà a riappacificarsi con i Seabhag mab? Ci sono uccelli che emettono feci a forma di cuore? Questo e molto altro nel prossimo capitolo!
 A presto,
 Beads.
 P.S. Grazie a tutti voi per i vostri commenti ed il vostro sostegno! Vi sembra che la storia prosegua bene? C’è qualcosa da migliorare o che non vi è chiaro? Fatemelo sapere, magari con un commento o un messaggio privato! :D

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Capitolo 6
*** Seabhag ***


6- Seabhag
 

By his bedside kneeleth a maid
And she weepeth both night and day

 
 

 Iseut si coprì il volto con una mano, e cercò invano di trattenere le lacrime. Accanto al letto di suo padre, un prete recitava sottovoce una lunga preghiera. I molti servi del palazzo, a capo chino e con le mani giunte, ripetevano cantilenando le parole del prete. Alcuni reggevano in mano delle piccole candele, la cui luce ricordava la presenza dei fuochi fatui nei cimiteri abbandonati. Spiriti danzanti sulle tombe. E anche quella stanza, quel letto di fronte al quale tutti pregavano, era una tomba.
 Lord Hamon Seabhag era morto.
 I suoi occhi erano stati chiusi, il volto coperto da un drappo di candida seta. Eppure, nella mente di Iseut, il ricordo dello sguardo perso ed implorante di suo padre era ancora ben vivido. La sua morte era stata lenta e dolorosa, ed il suo più grande desiderio era stato ignorato. Tutto quello che Lord Hamon aveva desiderato era vedere suo figlio, sussurrargli qualche parola di addio, vedere nel suo volto un futuro promettente e rassicurante. Ma Newlin era da molti giorni partito nella foresta, da solo, ordinando alla sorella di non inviare nessuno alla sua ricerca. Iseut aveva tentato in tutti i modi di convincerlo a rimanere a palazzo, almeno in quelle settimane in cui la malattia di suo padre era peggiorata.
 Ma il fratello, come in preda ad una febbrile agitazione, aveva risposto bruscamente che vi erano cose più importanti al mondo della malattia di un vecchio infermo. Di fronte allo sdegno di Iseut a quell’affermazione, Newlin aveva scosso la testa con irritazione, e si era diretto verso le stalle in silenzio. Erano passati ormai quindici giorni dalla loro discussione, e Newlin non era più tornato. Nel frattempo, suo padre era morto, ed Iseut era più sola che mai.
 La ragazza si chiese quando suo fratello sarebbe tornato a palazzo. Newlin aveva ragione, lei non riusciva a comprenderlo. Che cosa vi poteva essere di più importante della morte del proprio padre? Che cosa stava accadendo a Newlin? Perché non era ancora tornato dalla foresta?
 Seppure Iseut fosse irata con lui, era anche molto preoccupata. La foresta, d’inverno, era un luogo pericoloso. I lupi scendevano dai monti alla ricerca di cibo, gli assalti dei briganti si facevano più frequenti, il freddo della neve poteva uccidere un uomo. Forse, sarebbe stato meglio inviare degli uomini alla ricerca di Newlin, ponendo così fine a quell’incomprensibile mistero. Il nuovo Signore di Seabhag doveva tornare a casa, e prendere in mano il potere sul suo feudo.
 Iseut uscì in silenzio dalla stanza del padre. Non riusciva più a trattenere le lacrime, e non voleva che qualcuno la vedesse piangere.
 
 Erano passati molti giorni dal matrimonio di Newlin e Mallaidh. Poiché il ragazzo era convinto che la moglie avesse bisogno di un po’ di tempo per separarsi dalla sua casa ed imparare al meglio certe usanze e costumi di Seabhag, i due erano rimasti per un po’ alla Grande Quercia. Avevano trascorso il loro tempo parlando sottovoce sul giaciglio di muschio nella lingua di Newlin, principalmente riguardo alla vita meravigliosa che avrebbero trascorso a palazzo, della felicità che avrebbero provato insieme e dei progetti che avrebbero realizzato col tempo. A dire il vero, in genere a parlare era Newlin. Il suo più grande desiderio, le diceva, era quello di rendere Mallaidh la sua signora, esplorare le origini della sua famiglia e sottrarla alla sua vita selvaggia. Voleva donare alla sua amata una vita serena e piena di amore, offrirle tutte le comodità che la sua epoca poteva offrire, porre fine all’astio tra la sua sposa ed il villaggio di Seabhag.
 Mallaidh, d’altro canto, sembrava ignorare completamente i discorsi di Newlin. Quando il suo sposo le parlava, con un tono dolce e carezzevole, lei non gli rivolgeva neanche lo sguardo. Sdraiata nel suo giaciglio di muschio, appollaiata tra i rami della Grande Quercia, carezzando il cavallo di Newlin o raccogliendo frutti di bosco nella foresta. Sempre, il suo sguardo era perso nel vuoto, i suoi occhi verdi socchiusi ed immersi in pensieri profondi. Sapeva che, avendo sposato Newlin, lei stessa non avrebbe mai potuto nuocere il suo sposo. Aveva giurato sui suoi antenati e sugli elementi che governavano il Cosmo, e la sua promessa le impediva di versare il sangue del figlio di Seabhag. Ma, se dalla loro unione fosse nato un maschio, l’influenza di Mallaidh avrebbe potuto indurre suo figlio a distruggere le vite del genitore e della sua famiglia, vendicando così l’antica strage di Maretak.
 Sopportava quindi in silenzio le attenzioni pedanti di Newlin, il cui amore dichiarato appariva alla ragazza come una semplice scusa per vivere un’avventura al contatto con il diverso. Sapeva che il suo corpo nudo (per quanto fosse scheletrico ed immaturo), le sue usanze pagane e la sua lingua straniera lo attiravano e lo eccitavano, come un fiore sconosciuto nel vaso di una bambina. Non avrebbe mai donato il suo cuore ad un uomo simile.
 Quello che Mallaidh voleva veramente era traslocare il prima possibile nel palazzo di suo marito, per studiare così al meglio le usanze e le debolezze del suo nemico. Così, una notte, stretta tra le braccia protettive di Newlin, mormorò:
 “Mon donios, quando mi condurrai nella tua casa?”
 A quelle parole, un sorriso raggiante comparve sul volto di Newlin. Il ragazzo si chinò sulla fanciulla, baciandole con dolcezza i capelli castani. Mallaidh s’irrigidì, e lasciò che il giovane le carezzasse teneramente il corpo nudo, seppure il tocco del ragazzo la disgustasse profondamente.
 “Presto, mia Signora, molto presto. Saremo per sempre insieme, ve lo prometto. Voi imparerete ad amare la vostra casa, e sarete felice, ricca, bellissima. Con l’aiuto degli abiti e dei cosmetici più adatti a voi, mia sorella provvederà alla vostra immagine, vestendovi e nutrendovi in modo tale da cancellare ogni traccia della vita selvatica che avete condotto finora.”
 “… Non capisco. Cos’ha il mio aspetto che non va?”
 “Be’, vedete… avete sempre vissuto in maniera primitiva. Il vostro fisico è così magro, a causa della vostra povera alimentazione e del costante contatto con l’acqua piovana. Tuttavia, sono difetti dovuti semplicemente dovuti ad uno scorretto stile di vita, nulla che i trucchi di mia sorella non possano cancellare. Vi prometto, mia Signora, che grazie ad Iseut voi sarete la donna più bella d’Inghilterra, e tutti s’inchineranno a voi.”
 Mallaidh non capiva perché mai si desse tanta importanza al proprio aspetto fisico. Lei aveva sempre vissuto da sola, nascosta tra le ombre della foresta di Seabhag. Non aveva mai dovuto rendere conto a nessuno della propria immagine.
 Non si era mai specchiata nelle pochi fonti d’acqua a cui aveva accesso, e non conosceva il suo stesso riflesso. Non l’aveva mai trovata un’occupazione veramente necessaria, e non poteva giudicarla come indispensabile o ridicola. Semplicemente, il pensiero non le era mai passato per la testa. Non diede dunque troppo peso alle parole di suo marito, toccando un altro argomento piuttosto delicato.
 “Credi che tua sorella non avrà nulla da ridire sulla nostra unione?”
 Newlin esitò un poco, prima di rispondere:
 “Sono sicuro che, con il tempo, imparerà ad accettare la vostra presenza a palazzo.”
 “Con il tempo?”
 “Sì, esatto.”
 “… Immagino che tu abbia ragione. Il tempo cura tutte le ferite, anche le più profonde. Ed Iseut, con i suoi cosmetici, forse potrà coprire persino le cicatrici.”
 Partirono due giorni dopo, in tarda mattinata. Mallaidh, avvolta completamente dal lungo mantello di Newlin, portava con sé soltanto la sua cappa scura ed un po’ di cibo. Aveva rimosso il suo giaciglio di muschio dalla tana, per evitare che marcisse o attirasse gl’insetti. Ogni altra cosa all’interno della Quercia non doveva essere rimossa, poiché sacra e benedetta dagli antenati per proteggere i figli di Maretak.
 Newlin fu molto sorpreso dal comportamento di Mallaidh. La ragazza non piangeva, non era assorta in pensieri colmi di malinconia. Nel suo sguardo vi era la fierezza e la determinazione di un guerriero. Il figlio di Seabhag non poteva saperlo, ma la sua compagna era determinata a tornare alla Grande Quercia, un giorno, quando la sua vendetta sarebbe stata compiuta. In groppa a Terrowin, la ragazza selvaggia guardava dritto davanti a sé, e sorrideva al pensiero di quel momento tanto sognato.
 Dopo molte ore di viaggio, marito e moglie lasciarono alle loro spalle le ombre scure della foresta e, percorrendo un lungo sentiero di terra battuta, giunsero al Villaggio di Seabhag. Il villaggio sembrava completamente avvolto dal colore nero. Ogni abitante era vestito a lutto, ad ogni finestra era appeso un drappo scuro. Ovunque regnava un silenzio assoluto, quasi irreale. Il disagio dei due giovani sposi era palpabile, nessuno dei due capiva che cosa stesse succedendo.
 Mallaidh, avvolta interamente dal lungo mantello di Newlin, teneva il capo abbassato e nascosto dal cappuccio scuro. La sua istintiva paura per gli estranei la metteva ora a dura prova, e sussultava all’avvicinarsi di un qualsiasi passante. Newlin la rassicurava come poteva, sorridendole o sussurrandole parole di conforto. Ma in verità anche lui era turbato. Le persone che lo riconoscevano s’inchinavano profondamente al suo passaggio, ma il ragazzo si rese presto conto che tutti cercavano d’ignorare il suo sguardo, come se si vergognassero di qualcosa. Qualcosa la cui sola menzione era proibita.
 Ad un certo punto, Newlin udì una voce commossa risuonare dalle gradinate della Chiesa. Era una voce femminile, e molto familiare al nobile ragazzo.
 “Mio Signore! Il mio Signore è ritornato al villaggio!Perché nessuno s’inchina davanti a lui, il nostro Signore, il nostro nuovo padrone? Figli di Seabhag, rimuovete quei drappi scuri dalle vostre finestre, ed appendete ghirlande di fiori. Cessate all’istante il vostro lutto, ed indossate gli abiti della festa. Il nostro Signore è tornato da noi, e saprà governarci esattamente come fece Lord Hamon: con bontà, e giustizia!”
 Si trattava di Emma Blacksmith, i cui lunghi capelli dorati erano avvolti da un velo nero come la notte. Indossava un abito scuro ed in mano teneva un mazzo di candidi fiori. Sorrideva, ed indicava Newlin e Mallaidh come se fossero degli eroi tornati dalla guerra. Tutti gli abitanti presenti nella piazza, dopo qualche istante di esitazione, decisero di dare ascolto alla loro compaesana e, sfoggiando dei sorrisi leggermente impacciati, prese ad applaudire il loro nuovo Signore, inchinandosi ed acclamando a gran voce il suo nome.
 Newlin non riusciva a capire. Perché mai i suoi sudditi lo avevano accolto prima in maniera così misera, ed in seguito così esagerata? Perché Emma si riferiva a Lord Hamon come se non potesse più governare? E perché quei colori così scuri addobbavano la città?
 Newlin aveva un terribile presentimento, ma non voleva prestargli troppa attenzione. Stava per chiedere delle spiegazioni, quando avvertì una presenza alle sue spalle. Si trattava di Mallaidh che, intimorita dalle grida del popolo, era scesa da cavallo e stava ora cercando di nascondersi come poteva dietro l’unica presenza che le era familiare. Avvertendo l’intenso timore della compagna, Newlin non urlò ne’ parlò con voce alterata dall’ira. Attese pazientemente che Emma si avvicinasse a loro, il volto della giovane innamorata illuminato da un sorriso radioso, per sussurrare con una leggera punta d’irritazione parole velenose:
 “Che cosa accade qui? Lascio le mie terre per qualche giorno, solo per trovare al mio ritorno dei sudditi che paiono aver dimenticato il rispetto verso i propri padroni! I pochi che s’inchinavano al mio passaggio, mi rivolgevano certe occhiate da poter essere riservate ad una tomba. Sono servite le parole di una piccola sguattera farneticante per ridestare la sanità nelle loro menti.”
 Emma sgranò gli occhi, ed indietreggiò istintivamente di qualche passo.
 “F- farneticante? Mio Signore, io non capisco…”
 “E perché parlate di mio padre come se già fosse nella tomba? Lurida plebea, rispondimi.”
 “M- mio Signore… voi non… non…”
 Le sue parole continuavano ad essere pronunciate con un tono di voce calmo e misurato, per non spaventare troppo Mallaidh. Ma il suo sguardo era carico d’ira e disperazione, non voleva credere alla terribile verità che era stata improvvisamente tessuta attorno a lui. I nodi setosi di un morbido drappo, posto attorno al collo per strangolare i sogni. Newlin avvertì le sue gambe tremare.
 “Vi prego, Emma.” sussurrò “Vi prego, cessate ora questo gioco. Vi prego, vi scongiuro.”
 Emma lo guardò, ed il dolore nei suoi occhi sgranati svanì all’istante, per lasciar posto all’incredulità.
 “Voi… voi non sapete, mio Signore? Non sapete, vero, che vostro padre… Lord Hamon…”
 “Vi prego… non pronunciate quelle parole.”
 “… Non lo farò. Sono desolata, mio Signore. Non sapevo che voi foste a conoscenza del suo trapasso. Le mie parole al vostro popolo sono state quelle dell’Ignoranza. L’Ignoranza priva di colpa alcuna, che è pure causa di tutte le angosce del mondo. Non parlerò. Il lutto è già presente nel vostro silenzio.”
 Gli applausi continuavano, mentre Newlin cercava di trattenere le lacrime. Il senso di colpa era acuto ed opprimente. Il ragazzo si maledì per non esser stato accanto al genitore nelle sue ultime giornate di vita. Non disse nulla per far allontanare Emma, e lei non si mosse. Lo guardò in silenzio, lo sguardo carico di pena e commiserazione. Mallaidh, dal canto suo, sembrava essersi un poco calmata, e si allontanò da Newlin per risalire in groppa al cavallo. Non essendo a conoscenza del dolore che animava l’animo di Newlin, gli toccò una spalla con la punta del piede nudo, mormorando:
 “Mon donios, eimu! Essi agikoua, mon donios! Andiamo via! Eimu!
 A quelle parole, Emma sussultò. Si girò di scatto verso la ragazza in groppa a Terrowin, ed indietreggiò istintivamente. Non riusciva a distinguere il volto coperto della ragazza, ma riconobbe immediatamente la sua voce. Aprì la bocca per cercare di parlare, ma la richiuse subito dopo, non trovando le parole per esprimere la sua sorpresa ed il suo terrore.
 Si precipitò da Newlin, afferrandogli un braccio e strattonandolo con forza.
 “Mio Signore! Mio Signore, è la strega! E’ la selvaggia! Fate qualcosa! Fate qualcosa, la strega ci maledirà tutti!”
 Newlin si scosse, e guardò le due ragazze. Dopo un poco, parte della sua tristezza svanì, ed il giovane indossò un sorriso affettuoso. Il pensiero di avere, per lo meno, ancora Mallaidh al suo fianco lo rallegrava non poco. Sebbene soffrisse immensamente per la morte di suo padre, non avrebbe mai potuto mostrare le sue lacrime di fronte a delle donne, per giunta più piccole di lui. Doveva sforzarsi di non piangere, e mostrare al suo popolo che anch’egli sarebbe stato un bravo Signore, forte e sicuro di sé.
 “Sì, si tratta proprio di Mallaidh, mia Signora. La mia spedizione nella foresta era finalizzata al suo ritrovamento. E ora, mia cara Emma Blacksmith, voi tutti potete gioire davvero ad una notizia carica di letizia. Io e Mallaidh ci siamo uniti nel sacro matrimonio, e siamo ora sposati. Lei è la vostra nuova padrona, la vostra Signora che regnerà su di voi e vi proteggerà.”
 Negli occhi di Emma, il mondo parve crollare in un istante.
 “La mia nuova… padrona? V- vostra… moglie?”
 “Esatto. Ed è tutto merito vostro. Se voi non mi aveste aiutato nell’indagare sul suo passato, probabilmente non sarei mai riuscito a meritarmi la sua fiducia. Dico sul serio, non ce l’avrei mai fatta senza di voi. E’ tutto merito vostro, Emma Blacksmith… vi ringrazio.”
 Newlin strinse tra le braccia la ragazzina, la quale guardava fisso davanti a sé, incredula, distrutta dalle parole del giovane.
 “Voi… voi vi siete innamorato di lei… di lei… e per causa mia?”
 “Certamente, mia cara, è tutto merito vostro. State tranquilla, il vostro servizio non verrà dimenticato. Meritate un premio, per il favore che ci avete reso. Darò alla vostra famiglia tre monete d’argento, e voi sarete assunta a palazzo. Anzi, ora che ci penso, visto che voi due non siete esattamente delle estranee, che ne direste di divenire la damigella della mia consorte? Vi piacerebbe. Indossereste abiti eleganti e mangereste bene. Sì, sono proprio sicuro che sia una buona idea. Mia moglie, in fondo, non conosce altra donna al mondo, se non voi.”
 Emma era così scioccata e distrutta da non poter emettere fiato. Distolse debolmente lo sguardo, posandolo poi con esitazione su Mallaidh. La ragazzina, la quale aveva riconosciuto a sua volta la dolce Emma, la guardava ora dall’alto in basso, da sotto il cappuccio, con un perfido sorriso di scherno sulle labbra.
 “Oh oh! Mon donios, mi ricordo di questa fanciulla. Ma credo che con la tua proposta, tu l’abbia messa a disagio. Sei stato davvero diabolico nel proporle di servire una folle strega come me.”
 Udendo il modo irrispettoso con cui Mallaidh si rivolgeva a Newlin, Emma non sapeva se urlare d’ira in direzione della strega oppure scoppiare a piangere. Ma, quando udì le parole che Mallaidh pronunciò in seguito, la ragazza non poté far altro che sussultare di paura.
 “Teksko ex ci. Velo essi togis… Hai ancora paura, figlia dei Traditori? Perché non fuggi via? Eh eh, non è adorabile? Oh, sì, Seabhag mab. Portiamo la bimba al palazzo con noi. Non vedo l’ora di divertirmi un po’ con lei.”
 “Come desiderate, mia Signora.”
 Il sorriso di Mallaidh era veramente diabolico. Degno di una strega.
 
 Poiché le era stato ordinato dal suo Signore, Emma non poteva certo rifiutare di servire Mallaidh a palazzo. Si recò dunque dalla famiglia per salutare i suoi cari e per radunare le poche cose che possedeva. Poi, in silenzio, barcollando lentamente dietro i due sposi, accompagnò Newlin e Mallaidh nel loro viaggio.
 Nel tardo pomeriggio, il nuovo Signore di Seabhag e le due ragazze giunsero al castello. Vennero immediatamente accolti da un gran numero di servitori, i quali si affollarono attorno a Newlin acclamandolo e ponendogli una gran quantità di domande. Il ragazzo, stanco ed abbattuto dal grave peso della notizia del padre, allontanò subito i servi ed ordinò di preparare una stanza per Mallaidh ed un giaciglio per Emma. Un momento dopo, però, ci ripensò e decise di accompagnare personalmente la sua sposa nel suo nuovo alloggio.
 Attraversarono le sale ed i corridoi di pietra, mentre Newlin mostrava alla sua compagna i giardini, le decorazioni, i mobili di legno pregiato, le stoffe colorate delle tende, gli abiti che indossavano le sguattere e le damigelle. Infine, giunsero nella stanza di Mallaidh, dove un letto era stato preparato. Il ragazzo le mostrò con entusiasmo il baldacchino, il fuoco nel camino, gli arazzi alle pareti. Mallaidh invece non pronunciò alcuna parola. Si sedette tranquillamente sul letto, guardandosi attorno con disinteresse.
 “E qui, invece, abbiamo la… Mia Signora? Non… Non vi piace?”
 La ragazza alzò semplicemente le spalle.
 “Bued orgetos, oinos diion.”
 Newlin sgranò gli occhi. Perché sua moglie diceva che, un giorno, tutto quel castello sarebbe stato distrutto? Si sedette accanto a lei, sfiorandole una mano.
 “Farei qualsiasi cosa per voi, mia Signora. Qualsiasi.”
 “Sei triste, non è vero? Hai paura che io ti deluda?”
 “No, non è questo. Forse oggi non avete compreso, con tutta la confusione della folla, una notizia terribile. Mio padre è morto, oggi. Ed io non ero lì accanto a lui.”
 “… E questo ti rende triste?”
 “Be’… certo che sì. Si trattava pur sempre di mio padre.”
 “Io non ho mai conosciuto mio padre. Ma ho visto mia madre morire davanti ai miei occhi. Non faceva altro che sputare sangue e lanciare gemiti di dolore. Il giorno dopo ho dovuto bruciare il suo cadavere, da sola.”
 “… Dev’essere stato terribile.”
 La ragazzina annuì.
 “Sì. Ricordo la sua pelle, quando bruciava. Puzzava, ed era diventata tutta nera. Alla fine, sono rimaste soltanto le ossa. Le ho frantumate e le ho mangiate. Ho mangiato le ossa di mia madre. Poi, ho versato le sue ceneri nel vaso di terracotta.”
 “… Sono ancora desolato per averlo frantumato.”
 “Fai bene ad essere dispiaciuto, Seabhag mab. Sono disposta a perdonarti, ma non scorderò mai ciò che hai fatto. Comunque, quello che sto cercando di dirti è che forse sei stato fortunato a non assistere alla morte del tuo genitore. Non è un ricordo facile da dimenticare. Rimane sempre lì, nei tuoi pensieri. E non va mai via.”
 La ragazza si morse le labbra.
 “Ti ringrazio per avermi mostrato la tua casa, Newlin. E’ molto bella. E mi dispiace per la morte di tuo padre.”
 “Non pensateci, mia Signora. Non dovete preoccuparvi del mio lutto. Occupatevi solamente della vostra felicità.”
 “Tu non sai cosa può rendermi felice, Seabhag mab. Non puoi saperlo.”
 La ragazza si voltò verso di lui, sorridendo.
 “Ma sei comunque una brava persona. Sai… in questi giorni, sei stato molto gentile con me. Più di quanto lo sia mai stato qualsiasi straniero. Sei riuscito a sorprendermi. Appartieni ad una popolazione crudele e sanguinaria, le cui azioni passate sono imperdonabili. Mia madre è morta pronunciando la parola ‘vendetta’, e questo io non lo posso dimenticare. Condivido l’odio che lega i Maretak ai Seabhag. Ma non odio te.”
 Avvicinò timidamente il viso al suo, sussurrando le parole in un soffio.
 “Tu… mi piaci.”
 Lo baciò velocemente, e subito si ritrasse. Si toccò le labbra, sorridendo con una punta di vergogna. Newlin, invece, le rivolse uno sguardo raggiante e vittorioso. Le sfiorò una guancia con una carezza, ma subito dopo si alzò in piedi, dirigendosi verso la porta.
 “Perdonatemi, devo recarmi da mia sorella Iseut. Emma Blacksmith ha avuto istruzioni precise sul disfare il suo bagaglio e recarsi da voi non appena avrà terminato. Potrete trascorrere un po’ di tempo insieme, fino all’ora di cena. Allora vi sarà mandata un’altra serva, per avvertirvi. Mi raccomando, preparatevi per incontrare mia sorella. Vi farò mandare alcuni dei suoi vecchi abiti, scegliete pure quello che vi piace di più. Se avete bisogno di qualsiasi cosa, chiedete pure ad Emma oppure ad una delle serve del palazzo. A presto, mia Signora.”
 Non appena Newlin uscì, chiudendosi la porta di legno alle spalle, Mallaidh si slacciò il mantello e lo distese sul pavimento. Due lacrime le scorrevano sul volto. Si coricò su quel giaciglio improvvisato, disdegnando il duro materasso a cui non era abituata. Si rannicchiò tra le pieghe del mantello, nuda e piangente, strofinandosi il corpo con le manine ossute.
 Ad un certo punto, si fermò. Rimase perfettamente immobile, gli occhi chiusi e le labbra serrate. Ad un certo punto, incominciò a ridere. Una piccola e sottile risata, che divenne sempre più forte e rumorosa. Sembrava la risata di una pazza, una bimba folle ed abbandonata tra i rifiuti di una città.
 Mallaidh incominciò a parlare con sua madre.
Mama… Mama Carey, non devi temere per il mio onore. Il Seabhag mab è un uomo affascinante e gentile, e credo di essermi innamorata di lui. Tuttavia, per quanto egli possa essere una brava persona, io non dimenticherò mai i miei doveri di figlia di Maretak. Mama Carey, io amo quell’uomo, ma la mia fede verso la vendetta è maggiore del mio amore. Soffocherò il mio affetto per Newlin, insegnerò nostro figlio ad odiare suo padre. Ed egli erediterà il potere su Seabhag, e la riporterà al suo antico splendore, e la nostra gente tornerà a vivere. Oh, madre, madre cara! Pur di esaudire il tuo desiderio, il nostro desiderio, sono disposta a rinunciare a qualsiasi cosa. Anche all’unico uomo che mi abbia mai amato.”
 
 “Mio Signore, bentornato. La Signora Iseut m’incarica di dirvi che siete da lei atteso nella cappella del castello. Se voleste seguirmi, sarei felice di accompagnarvi.”
 “Grazie, Eliza. So bene dove si trova la cappella.”
 “Non lo mettevo in discussione, mio Signore.”
 Newlin osservò per qualche istante l’austera serva. Eliza era la vecchia nutrice di Iseut e, per quanto il ragazzo riusciva a ricordare, sul suo volto non era mai comparso un sorriso. Era la vedova di uno stalliere deceduto pochi anni addietro, e tutti i suoi figli erano morti di malattia o di parto. La vita non era stata certo clemente con lei.
 “Allora, incamminiamoci.”
 Scesero velocemente le scale della residenza fortificata del castello ed attraversarono il cortile. Quando giunsero alla porta della cappella, Newlin fece cenno ad Eliza di aspettare fuori, ed entrò da solo nella piccola Chiesa. Iseut era inginocchiata davanti all’altare, il volto nascosto tra le mani ed i pensieri immersi in una profonda preghiera. Il nero dei suoi abiti risaltava sulla sua pelle chiara, e la sua espressione sofferente era un chiaro segno del lutto che aveva caratterizzato quegli ultimi giorni.
 “Sono tornato, sorella. Sono tornato da voi.”
 La voce di Newlin riecheggiò nella sala di pietra. Gli occhi delle immagini alle pareti della cappella fissavano i due giovani, in maniera così severa da mettere a disagio il nuovo arrivato. Il silenzio tra i due fratelli era grave ed assoluto, tanto che Newlin riuscì a percepire il sussurro delle candele nell’oscurità della Chiesa. Iseut non si alzò per accoglierlo, ne’ parlò subito al fratello maggiore.
 “Sorella… Io non potevo prevedere la morte di nostro padre.”
 “Lo avete abbandonato per questo.”
 “… Sono desolato.”
 “Desolato? Ditemi, fratello, non sapete far altro che scusarvi, tenere segreti e mentire? Avete abbandonato vostro padre per una strega selvaggia, senza confessare a nessuno le vostre intenzioni dettate dalla lussuria. Ma ora che ci avete rivelato i vostri peccaminosi segreti, posso assicurarvi che avrei preferito che li aveste mantenuti celati nella vostra coscienza.”
 “Vorrei che voi riusciste a comprendere l’amore che mi lega a Mallaidh.”
 “Capisco anche troppo bene. Voi avete abbandonato nostro padre per il piacere di una prostituta.”
 “Non so cosa vi abbia raccontato la vecchia Eliza, sorella cara, ma certamente deve aver arricchito il suo racconto con particolari ben lontani dalla realtà. Mallaidh non è una volgare meretrice, è la mia sposa. E, per tanto, siete tenuta a portarle rispetto. E la vostra Signora, adesso, rammentatelo.”
 Iseut si alzò in piedi di scatto, facendo cadere dalla panca su cui era inginocchiata una preziosa copia della Bibbia. La ragazza avanzò verso Newlin di qualche passo, la mani serrate in due pugni ed i suoi veli neri fluttuanti all’eco vuoto della Chiesa. I suoi occhi socchiusi in due fessure sembravano voler dannare il fratello ad anni di sofferenze infernali.
 “Che io possa bruciare viva prima di sottostare a quella strega! Credete forse, fratello, che quella donna segua il volere di Dio? Quale prete è stato così sciocco da unirvi in matrimonio, di fronte agli occhi di nostro Signore? Un pazzo, senz’altro! Un pazzo cieco e privo di morale, probabilmente indegno di compiere qualsiasi sacramento. Chi altro avrebbe potuto unire in matrimonio un figlio di Dio con una strega?”
 Newlin si morse le labbra. Non doveva lasciarsi sfuggire alla sorella che il suo non era stato un matrimonio cristiano, ma pagano. Sarebbe stata la fine di Mallaidh.
 “Sorella, posso assicurarvi che la mia sposa vuole sfuggire dal suo stato di selvatichezza e povertà. Non oserà farci del male, poiché il suo più grande desiderio è stipulare la pace tra se stessa e Seabhag. Ed è vostro dovere, in quanto cristiana, aiutare i più bisognosi che chiedono aiuto. La carità è tra i primi insegnamenti di Gesù, o non riuscite a rammentarlo?”
 “Io aiuto chi posso aiutare, fratello. La folle strega che ospitate nella nostra casa è complice di Satana, ed il suo cuore è incapace di perdonare. Sono convinta, inoltre, che le sue parole di pace e bontà non sono altro che bugie. Come può una strega, figlia di streghe, parlare onestamente di amore e fratellanza?Vi ha illuso, fratello. Le sue parole non sono altro che menzogne.”
 Lo schiaffo di Newlin interruppe lo sfogo di Iseut. Mentre la ragazza cadeva a terra, stupita, si rese conto che suo fratello non l’aveva mai colpita, fino ad allora. Il dolore era fastidioso, e feriva il suo orgoglio. Quando il suo corpo toccò il duro pavimento della Chiesa, il dolore fu sordo e terribile. Iseut scoppiò a ridere.
 “Ah! Allora… allora avevo ragione! Lei… lei vi ha stregato, fratello. Siete davvero perso nei suoi occhi vuoti e folli, come quelli di un folletto. Oh, allora… allora lasciate che ve lo dica, fratello! Sarete senz’altro un signore feudale giusto e nobile… oh, sì, senz’altro! Insomma, ammirate il vostro primo atto da padrone di Seabhag: avete colpito una donna indifesa, in una Chiesa! E questo perché? Eh?! Perché?!”
 “…”
 “Perché la vostra sorellina minore ha saputo guardare nei vostri occhi, e dirvi con franchezza quello che voi vi ostinate ad ignorare. Siete stato ingannato, fratello. Siete stato ingannato, ed il vostro amore per quella donna è un’illusione. Spero solo che voi possiate destarvi, e capire quanto siete stato sciocco. Per quanto mi riguarda, io non ho intenzione di posare il mio sguardo su questa strega. Da oggi in poi consumerò i miei pasti nelle mie stanze, e da quest’ultime non uscirò mai. Tra un mese mi recherò al convento di St. Lauren*, dove prenderò i voti. Ho deciso di offrire la mia vita al Signore, poiché a Seabhag non mi resta altro in cui credere. Spero di non incontrarvi mai più, mio Signore. Addio.”
 “Hai solo quindici anni, appena un anno in più di Mallaidh. Come puoi prendere una decisone simile in così giovane età?”
 “La scelta è vostra. Potete maritarmi subito, a chi ritenete più adeguato. Non mi opporrò alla vostra decisione, se avete già scelto per me un marito. Non ho il diritto di andare contro il vostro volere. Tuttavia, io vi imploro di assecondare il mio desiderio. Rimanendo qui, non potrei che farvi soffrire. E lo stesso destino avrebbe il mio sposo. Nel convento non farei del male a nessuno, consentirei anzi alla mia famiglia di avere l’appoggio della Chiesa. Logicamente, credo che sia la risposta migliore.”
 “… Forse avete ragione.”
 “Con permesso, mio Signore.”
 
 Qualcuno bussò alla porta di Mallaidh. La ragazza selvaggia alzò di scatto lo sguardo, fissando il portone come se fosse stato un nemico pericoloso.
 “… Chi è? An uelor weid nepos. Non voglio vedere nessuno, va via!”
 “… Mia Signora, sono… sono Emma Blacksmith.”
 “Emma? Oh, la figlia dei Traditori… prego, entra.”
 La ragazzina entrò tremando nella stanza, tra le braccia una gran quantità di ricchi abiti femminili. Alla vista di Mallaidh, nuda sul mantello disteso sul pavimento, indietreggiò istintivamente di qualche passo. Eccola. Era lei, l’incarnazione del suo peggiore incubo: un demone ladro e tiranno, che le aveva sottratto il suo Signore, il suo primo amore. Una strega selvaggia, il cui posto era una pira accesa, non le ricche stanze di un palazzo. E lei, una fanciulla onesta e perbene, avrebbe dovuto servire un simile demonio?
 ‘Se sottostarò a questa strega, sarò la serva di Satana. Ma se non lo farò, andrei contro gli ordini del mio Signore. Io… io amo il mio Signore Newlin. Lo amo davvero. Voglio esaudire ogni suo desiderio. Per fare questo, devo obbedire alla strega. Ma… ma non voglio… La strega è cattiva, ha portato via da me il mio Signore Newlin. Il mio Signore non mi guarda più. Guarda solo la strega, e lei l’ha portato via da me. Via da me.
 “Serva, vedo che porti con te i doni del mio Signore.”
 “… Sì, mia Signora.”
 “Sembrano pesanti ed ingombranti. Indossate tutti abiti di questo genere, qui?”
 “… Solo chi è ricco e bello, mia Signora.”
 “Oh, certo! Non si può essere belli senza trucchi, abiti e stoffe preziose, non è vero? Bene, allora, figlia dei Traditori, mostrami la bellezza che il mio Signore desidera da me. Vieni avanti, e poggia pure gli abiti sullo scomodo giaciglio di stoffa e lenzuola. E’ così duro e fastidioso che preferisco dormire sul pavimento. Ma non credo che il Seabhag mab sia dello stesso parere. Prego, vieni avanti.”
 Emma non avanzò.
 “Hai paura di me, figlia dei Traditori?”
 “…”
 “Perché non scappi via?”
 “… Io…”
 “Scappa, se hai paura. Dirò al mio Signore di cacciarti per le sue terre, come un coniglio da divorare crudo alla luce della Luna. Scappa, scappa! Non hai paura di me?”
 “I- io non ho… non paura…”
 Mallaidh sorrise.
 “E allora avvicinati, e poggia quegli abiti sul giaciglio di stoffa. Sbrigati, non ho tutto il giorno a disposizione dei tuoi sogni ad occhi aperti. Vedrai il mio Signore questa sera, a cena. Non c’è bisogno che tu fantastichi su di lui.”
 Emma arrossì vistosamente, ed attraversando a piccoli passi e a capo chino la stanza di Mallaidh, poggiò sul letto a baldacchino i cinque abiti tra cui Mallaidh poteva scegliere. Il primo, di un verde intenso e scuro, era intessuto in oro ed argento, in modo da ricordare la luce delle stelle attraverso i rami di una foresta. Il secondo vestito era viola, con rosse foglie di pruno ricamate sugli orli.  Un altro abito bianco era decorato da complicati arabeschi neri e grigi, mentre il quarto aveva dei soli dorati ricamati su una stoffa blu notte.
 L’ultimo abito era senz’altro il più bello. Era un semplicissimo vestito grigio, le cui sfumature variavano dal candore di una perla preziosa, all’etera luce della Luna, al pallido splendore dell’argento. Il taglio era semplice ed elegante. I merletti che decoravano gli orli sembravano cuciti dalle delicate fate invernali. Era degno della più bella principessa dei Ghiacci, della più sapiente tra le Stelle.
 Emma guardava incantata quei vestiti, rapita dal valore delle stoffe preziose e le elaborate fantasie che le decoravano. Passava timidamente una mano sugli abiti, immaginando di poterli indossare ed apparire di fronte al suo Signore come una principessa d’incantevole bellezza. Sicuramente Newlin l’avrebbe notata, ed avrebbe respinto quella strega malvagia dalla sua vita… per rimanere con Emma.
 “Ti piacciono questi abiti, non è vero?”
 “Oh… sì, Signora.”
 “Quali sono i due che preferisci?”
 “C- come avete detto?”
 “I due che preferisci. Scegline due.”
 Sorpresa, Emma passò velocemente lo sguardo da Mallaidh ai vestiti, dai vestiti a Mallaidh.  Non era affatto certa di aver capito bene, perché mai la sua Signora le aveva chiesto un’opinione sull’abito che avrebbe dovuto indossare? Timidamente, indicò prima l’abito viola, e subito dopo quello argentato.
 “Preferisci quello grigio?”
 “Sì, signora.”
 “… Mi piace” affermò Mallaidh, sollevando l’abito dal letto. Sembrava pronta ad indossarlo, quando si girò di scatto verso Emma, sorridendo.
 “Se ti piace, lo puoi indossare tu.”
 Emma sgranò gli occhi, incredula.
 “Come… come avete detto?”
 “Hai detto che ti piace, non è così? Non ti piacerebbe indossarlo?”
 “Io… io non potrei mai… Sono solo una serva…”
 “Ma certo che puoi! Saresti carinissima con questo vestito, e tu sapresti portarlo senz’altro molto meglio di me. Coraggio provalo!”
 “Davvero… davvero posso indossarlo, Signora?”
 “Sì, Emma. Consideralo un regalo da parte mia. Un regalo speciale, da un’amica speciale.”
 Emma non riusciva a crederci. Il sorriso di Mallaidh, le sue parole… sembravano sincere. Forse si era sbagliata sul suo conto. Forse la sua Signora non era una persona così cattiva come aveva creduto. Una persona malvagia non le avrebbe mai fatto un regalo così bello come quel vestito. La figlia dei Traditori sorrise, leggermente a disagio, cosciente dei terribili pettegolezzi che aveva iniziato sul conto di quella ragazza. In fondo, non ne aveva avuto il diritto.
 “Vieni, cara, vieni accanto al fuoco. Siamo ancora nella stagione invernale, e so bene quanto i corpi dei figli di Seabhag non siano abituati al freddo di questa stagione. Oh… ma temo che il fuoco sia molto debole. Forse… forse dovremo alimentarlo con qualcosa.”
 Emma annuì.
 “D’accordo, mia Signora, chiamerò subito qualcuno per farci portare della legna.”
 “La legna non è necessaria” mormorò la ragazza, fissando le fiamme di fronte a sé. Il suo sorriso era cambiato, tutta la mielosa dolcezza e la sospettosa gentilezza erano improvvisamente sparite nel nulla. Erano tornate la malizia e la folle vendetta.
 Mallaidh strinse a sé il vestito, scoppiando a ridere.
 Gettò l’abito tra le fiamme del camino.
 Bruciò velocemente. Il grigio del tessuto si confuse in pochi minuti con quello delle ceneri. Il fuoco divampò in fiamme imponenti, illuminando il volto ridente di Mallaidh. Le risa selvagge della ragazza riecheggiavano per la stanza, mentre lei gridava con quanto fiato aveva in gola:
 “Forza, figlia dei Traditori! Gabi!Gabi! Vieni avanti, e indossa il tuo bell’abito argentato! Non devi far altro che prenderlo, figlia dei Traditori! Forza! Prendilo!”
 Emma non riusciva a parlare, a respirare. Fissava il vestito bruciare, e nella sua mente apparve la terribile immagine delle anime dannate all’Inferno. Lei stava servendo il Diavolo. Se non avesse fatto qualcosa, la Folle Mallaidh avrebbe gettato anche lei nelle fiamme infernali. L’avrebbe distrutta, e Newlin con lei.
 Doveva fermare quella folle strega.
 Doveva salvare se stessa, e Newlin.



 
Note dell’Autrice:
 
*Saint Lauren (Santa Laura) è la protettrice degli orfani.
 
Angolo dell’Autrice:
 
Potrei dire che ero in vacanza.
Potrei dire che ero impegnata con gli spettacoli in cui dovevo comparire.
Potrei dire che i miei genitori mi hanno tolto il PC per qualche giorno.
Ma tutte queste scuse non basterebbero a giustificare questo bestiale ritardo, quindi siete ufficialmente autorizzati a linciarmi. La realtà resta sempre e comunque la stessa: ho fatto un ritardo di circa un mese, e vi ho ripagato con un capitolo orribile, e di notevoli dimensioni (almeno per quanto riguarda questa storia). Quindi... nulla. Questo è il capitolo. Sì, Mallaidh è innamorata di Newlin, ma preferisce di gran lunga la vendetta in nome dei suoi antenati, e di sua madre. Iseut andrà nel convento di Saint Lauren, e Newlin rimarrà sempre fedele alla sua sposa. Emma, invece, è decisa a tutto pur di togliere di mezzo Mallaidh (sì, lo so, Newlin è stato davvero cattivo a sceglierla come dama di compagnia di Mallaidh). Come farà? Che cosa succederà?
Lo scopriremo insieme nell'ultimo capitolo... il prossimo.

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Capitolo 7
*** Maretak ***


7- Maretak

And yn that bed ther lythe a knyght,
His wowndes bledyng day and nyght.



Emma sfiorò appena il pizzo che decorava l’esterno della culla, e sussultò. Si guardò attorno con circospezione, terrorizzata all’idea di essere scoperta. Non doveva trovarsi lì, in quella stanza, con quel bambino. Se Mallaidh fosse entrata, per controllare le condizioni di Arlen, nessuno avrebbe potuto prevedere la reazione della strega nel vedere la Figlia dei Traditori accanto a suo figlio.
Un figlio.
Emma non riusciva davvero a capire come un fatto simile fosse accaduto. Newlin si era dunque unito davvero alla ragazza selvaggia, senza dubbio sotto l’influenza di qualche maleficio. Tutti avevano creduto che Mallaidh, avendo una così gracile costituzione, avrebbe avuto un travaglio molto difficile e pericoloso. Quante ore aveva trascorso Emma, pregando il Signore affinché la sua padrona morisse nel dare alla luce il bambino? Evidentemente erano state tutte insufficienti. Non solo la folle selvaggia aveva partorito con successo e senza troppe complicazioni, ma non aveva neanche urlato una volta, rimanendo in piedi durante tutto il travaglio.
E così, era nato quell’essere. Un essere che veniva lodato incessantemente dal padre, e soffocato dalle attenzioni della madre. Mallaidh non permetteva a nessuno di rimanere da solo con il piccolo Arlen. La ragazza si era praticamente rinchiusa nelle sue stanze, lì ricevendo ospiti, consumando pasti ed allattando il figlio. Era un miracolo che Emma avesse trovato la stanza vuota. Non avrebbe mai più avuto un’occasione come quella.
Voleva vedere il bambino, sfiorarlo, toccarlo, prenderlo in braccio senza dover prima chiedere il permesso a Mallaidh. Ed Arlen era lì, che dormiva tranquillamente nella culla, forse sognando il volto di sua madre. Era davvero un bel bambino. I pochi capelli rossi ricordavano quelli di Newlin e, sotto le palpebre chiuse, i suoi occhi erano verdi come quelli della ragazza selvaggia. Emma sfiorò il suo morbido viso, e sorrise.
In fondo, era proprio un bel bambino.
Lo sollevò dalla culla e lo prese in braccio. Fissò quel volto sereno ed ignaro di ogni pericolo, affascinata da tanta innocenza. Poteva quel bimbo essere il figlio di un demone? Strinse a sé l’infante, tremando. Se soltanto quel bambino fosse stato suo, Newlin le avrebbe rivolto tutte le attenzioni che meritava. Le avrebbe donato ricche vesti e preziosi gioielli, le avrebbe sorriso come sorrideva a Mallaidh. L’avrebbe chiamata ‘moglie’, rivolgendosi a lei come la donna che amava sopra ogni altra cosa al mondo.
Se soltanto quel bambino fosse stato suo.
“Lascialo.”
Emma si girò di scatto verso la porta, lanciando un piccolo grido di sorpresa. Mallaidh era lì, gli occhi fissi sul bambino, il volto contratto dall’ira. Emma non sapeva cosa fare, come comportarsi in quella situazione. La padrona si avvicinò lentamente alla serva, intimandola con un gesto della mano a riporre Arlen nella sua culla. Emma si affrettò ad obbedire, per poi dirigersi a capo chino verso l’uscita. Tremava di vergogna e timore. Non voleva assolutamente restare da sola con Mallaidh, non ora che era stata sorpresa nel disubbidire alla sua padrona.
“Dove credi di andare?”
Mallaidh afferrò il braccio di Emma, costringendola a fermarsi. La stretta provocava molto dolore alla ragazza, la quale poteva avvertire le unghie della strega conficcate nella propria pelle. Chiuse gli occhi, sforzandosi di ignorare il fastidio e la paura.
“Se oserai avvicinarti ancora al mio bambino, io ti farò spellare viva.”
Emma non riuscì a rispondere. Distolse lo sguardo dalla sua padrona, e fuggì via dalla stanza. Mallaidh attese pazientemente che l’eco dei suoi veloci passi svanisse nella fretta della fuga, maledicendo in cuor suo la Seabhag na, la figlia di Seabhag. Quando non riuscì a percepire altro suono che il respiro di suo figlio, si diresse lentamente verso la culla del bimbo. Prese in braccio il piccolo Arlen, sedendosi sul letto a baldacchino.
Med mab, sualli Arlen, quella sporca traditrice non ti toccherà mai più. Te lo prometto, dovrà prima passare sul mio cadavere. Ricordati, figlio mio, noi siamo prigionieri in un palazzo di sangue, costruito sulle ossa dei nostri antenati. E qui non vi è nessuno che ti ami, al di fuori di tua madre. Ne’ la Seabhag na, ne’ la sorella di tuo padre, ne’ i servi o i nobili ospiti. Tutti odiano ciò che sei. E che cosa sei, se non il frutto del grembo di una strega, ai loro occhi? Persino tuo padre, illuso dall’amore che mi lega a lui, non riesce a comprendere cosa sia veramente importante per i figli di Maretak. Oh, figlio mio, nel tuo sangue scorre il nostro destino: crescendo nell’odio verso tuo padre, ignorando l’amore che lui ci dona ogni giorno, uccidendo lui e tutti gli altri Seabhag mab. Solo in questo modo potrai riportare Maretak al suo antico splendore. Ed io per questo perderò il mio amato sposo, ma rimarrò fedele al mio Arlen, al mio antico giuramento.”
La ragazza baciò con passione la fronte del bambino, stringendolo a sé. Da molto tempo ella ripeteva quelle parole al figlio, in modo che il suo destino gli fosse chiaro dal primo giorno di vita. In quel modo, entrambi avrebbero sofferto di meno, il giorno in cui la vendetta avrebbe portato via la vita di Newlin.

Emma corse a perdifiato giù per quell’infinita rampa di scale, attraverso stanze umide ed abbandonate, lungo corridori bui e deserti. Correva, gli occhi dilatati dal terrore e la rabbia. Era furiosa con se stessa per quello che stava facendo.
Stava fuggendo.
Fuggire?
Fuggire dove?
Dove vai, piccola Emma?
Dove corri? Da chi stai fuggendo?
Dalla strega.
Emma cadde a terra, tremante e piangente sotto il peso delle minacce di Mallaidh. Perché? Perché era stata così codarda? Avrebbe potuto fare qualcosa, qualsiasi cosa per far capire alla sua padrona che lei non la temeva, che era superiore alle sue idee primitive.
Di questo passo, non riuscirai mai a farla fuori. Che cosa ne penserà Newlin di te, sciocca ragazza?’
Emma scosse la testa, cercando di allontanare quegli orribili pensieri dalla mente. Eppure, in cuor suo sapeva che il suo più grande desiderio era proprio eliminare Mallaidh, spargere il suo sangue impuro, mostrarle la sua vera forza. Forse, in quel modo, Newlin sarebbe stato finalmente liberato dal suo maleficio. Il suo Signore avrebbe riconosciuto il suo vero valore, l’avrebbe apprezzata.
Amata.
Emma si rannicchiò su se stessa, tremando e carezzandosi da sola i capelli biondi. Come poteva lei, una semplice ragazza innocente, uccidere una sua coetanea? A dire il vero, sarebbe stato difficile, ma non impossibile. In fondo, Dio era dalla sua parte, l’avrebbe protetta. Mallaidh era un’infedele, il solo fatto che esistesse era un errore di Natura.
Sì, doveva ucciderla.
Doveva farlo.
Si alzò in piedi, tremando, e congiunse le mani in una preghiera. Subito dopo, si diresse verso le cucine. Se doveva veramente eliminare Mallaidh, avrebbe dovuto farlo subito. Un coltello, o una qualsiasi altra lama sarebbero state sufficienti al suo scopo.
Una lama da conficcare nel cuore della strega. Bagnare le pietre del castello con il suo sporco sangue, farla urlare come un maiale dalla pancia squartata. Sì. Era questo che doveva fare.
Era così tremendamente semplice.

Newlin stava salendo a passi veloci le scale che portavano alla stanza di Mallaidh. Finalmente, dopo quella durissima giornata di lavoro nell’amministrazione del proprio feudo, avrebbe potuto riabbracciare la sua amata compagna ed il loro legittimo erede. Il solo pensiero gli riempiva il cuore di gioia. Affrettò il passo, un sorriso raggiante dipinto sul volto.
Mallaidh, Mallaidh!
I suoi splendidi occhi verdi, che prima vagavano per le stanze del palazzo con straziante malinconia, dalla nascita del bambino si erano accesi di una forte determinazione e sicurezza. Come un animale che protegge i suoi cuccioli, la ragazza selvaggia non permetteva a nessuno di toccare il figlio primogenito senza il suo preciso consenso. Mentre qualsiasi altra nobildonna avrebbe certamente affidato il bambino ad una nutrice, per godersi la lussuosa vita destinata alle mogli dei feudatari e dei ricchi proprietari terrieri, Mallaidh sembrava vivere unicamente per la sua creatura, occupandosi di lui per tutto l’arco delle sue giornate. A volte, Newlin si sorprendeva nell’essere leggermente geloso nei confronti di Arlen, il quale riceveva incessanti attenzioni da parte di Mallaidh, più di quante Newlin avrebbe mai potuto sognare. Ma, al pensiero che quello fosse effettivamente il suo… il loro bambino, nulla riusciva più a turbarlo o a rattristarlo. Era padre, e marito devoto. Nulla poteva renderlo più felice.
Si fermò all’improvviso, allarmato da uno strano rumore alle sue spalle. Si girò di scatto, giusto in tempo per vedere la figura scarna e tremante di Emma Blacksmith che, il capo chino e le mani dietro la schiena, cercava di ridiscendere la rampa di scale senza farsi notare dal suo padrone. Probabilmente si stava recando da Mallaidh per assisterla in qualche cosa, ma vedendo che il marito della sua padrona si stava recando nella stanza della ragazza selvaggia, non aveva voluto interferire.
Sorridendo, Newlin si rivolse alla sua serva:
“Madama Blacksmith! Vi prego, non fuggite in questo modo alla mia presenza. Voi sapete bene che non vi sarò mai ostile. Ditemi, mia cara, come state?”
La ragazza si strinse nelle spalle, non osando alzare lo sguardo verso il suo padrone.
“Sto bene. Vi ringrazio, mio Signore.”
“Mi stavo giusto recando dalla mia amata consorte, avete per caso qualche messaggio che posso recapitarle a nome vostro?”
“No… nulla.”
“… D’accordo.”
Il silenzio calò tra i due giovani. Il disagio era evidente. Newlin si rese conto che c’era qualcosa che la serva gli stava nascondendo. Qualcosa che era dipinto nella sua espressione, qualcosa di percepibile e contemporaneamente invisibile. Qualcosa di terribile.
Newlin sospirò, abbassando lo sguardo. Era notevolmente imbarazzato, si vergognava della sciocca azione che aveva compiuto tanti mesi addietro. Nonostante fosse a conoscenza del profondo amore che Emma nutriva nei suoi confronti, non solo l’aveva respinta con disprezzo, ma l’aveva persino assunta come dama di compagnia di sua moglie. Un gesto ignobile, e senz’altro crudele, che fino a poco tempo prima il ragazzo aveva attribuito all’improvvisa morte del padre. Ma ora sapeva che il suo unico intento era deridere Emma per l’amore sciocco ed immaturo che provava nei suoi confronti, ponendola in maniera brusca di fronte alla dolorosa realtà. Certamente, si trattava di un’azione necessaria. Una serva non si sarebbe mai potuta unire ad un signore feudale, era qualcosa d’impensabile.
Eppure, Mallaidh era ancor meno di una serva.
Mallaidh era… diversa. La sua vita non era legata alle rigide regole della società, non aveva una famiglia il cui onore poteva essere messo in discussione dalle decisioni della ragazza. E Newlin era veramente innamorato di lei. Non avrebbe rinunciato alla sua amata per nulla al mondo.
Ciò non giustificava comunque il comportamento spregevole che Newlin aveva utilizzato nei confronti di Emma. Il giovane era consapevole del suo sbaglio, ed era pronto a rimediare come poteva, chiedendo perdono alla ragazza.
“Mia Signora,” disse, scendendo lentamente i gradini verso la serva “Io… io vi devo le mie scuse. Non avrei mai dovuto assumervi a palazzo, quel giorno. Per lo meno, non avrei dovuto ordinare in maniera categorica la vostra presenza. Voi avevate accennato esplicitamente al vostro terrore nei confronti della mia sposa, qualche settima prima del mio matrimonio. Ed io, non tenendo per nulla di conto i vostri sentimenti, vi ho incoscientemente ordinato di servire la mia Signora al castello. Vi dissi che la mia decisione era dettata dal timore per la mia sposa, sola in una casa di sconosciuti, e che, essendo a conoscenza di un vostro precedente incontro, vi giudicavo la fanciulla adatta ad essere assunta come sua dama di compagnia.”
“Siete un marito responsabile, mio Signore.”
Newlin si fermò di fronte alla ragazza, guardandola con più attenzione. La giovane dai capelli biondi teneva ancora le mani dietro la schiena, contro il muro. Il ragazzo non si era mai accorto di quanto fosse pallida. Il suo sguardo era evasivo, il suo silenzio tombale. Sembrava combattere contro il forte desiderio di fuggire via, lontano da Newlin. Sfogare la propria sofferenza, urlando e piangendo contro il suo Signore. Newlin le sfiorò con fare pensoso una guancia, scuotendo lentamente la testa.
“Eppure, ho commesso un grave torto nei vostri confronti. Ero a conoscenza del vostro timore verso la mia sposa, ma ho deciso di ignorarlo. Forse, voi potreste considerare questo mio spregevole atto come una reazione alla morte di mio padre, ma non è così. So bene quanto voi mi amiate, mia Signora. Sono a conoscenza del vostro affetto, e ve ne sono grato. Ma non posso accettarlo.”
“Basta! Basta, vi prego… tacete…”
“No. Ascoltatemi. Dovete capire che non sono irato con voi. Posso comprendere che il vostro cuore vi sussurri incessantemente il mio nome. Siete accecata dalla passione e non riuscite a comprendere quanto la nostra unione sia impossibile da realizzare. La distanza che vi è tra noi è troppo grande, e le somiglianze che ci accomunano sono troppo numerose. Vi prego di perdonarmi, mia Signora, ma il vostro desiderio è destinato a divenire l’effimero ricordo di una fantasia. Non c’è nulla che voi possiate fare al riguardo.”
“Voi… voi non capite!”
“E invece capisco fin troppo bene, poiché anch’io sono stato innamorato. Lo sono tuttora. Sono caduto in un amore eterno che per sempre mi legherà a Mallaidh. Spero davvero che voi possiate comprenderlo. Io non posso amarvi, ma sarò sempre legato a voi da un affetto profondo, come quello che lega un fratello ad una sorella. Mia cara Emma, riuscite a capire ciò che provo?”
“Io… io…”
“Riuscite a comprendere?”
“Voi… voi non…”
“Io non vi amo.”
Il ragazzo cercò di sorridere, mentre si chinava con dolcezza sulla serva e l’avvolgeva in un abbraccio consolatorio. Cercò d’ignorare i suoi singhiozzi, le lacrime che ora scendevano copiose dal pallido volto. Newlin avvertì il corpo della ragazza sussultare, le mani muoversi tremanti da dietro la schiena ed aggrapparsi, in un gesto disperato, alle spalle del padrone. Il ragazzo capì che Emma voleva confessare qualcosa, ma che era troppo scossa o spaventata per farlo. Le carezzò teneramente i capelli, sussurrandole con dolcezza:
“Cosa volete dirmi? Parlatemi, mia Signora, vi prometto che non sarò irato con voi.”
“Mio Signore… io…”
“Sì?”
“… Mi dispiace.”
“Cosa dite? Non avete ragione di vergognarvi per un sogno.”
“Oh, Dio maledica il giorno in cui io sognai la vostra mano! Ma non è stata la mia ingenuità ad esser la causa della mia sofferenza. Se davvero non mi volete, e così sia. Ma che voi possiate morire, prima che io vi lasci nelle mani di quella strega!”
Prima che Newlin potesse comprendere le parole della ragazza, un acuto dolore lo colpì alla schiena. Un dolore che ricordava vagamente il freddo del ghiaccio o del ferro. La lama di un coltello. Il giovane non riusciva a capire, era confuso. Il dolore si stava facendo atroce, e le gambe del ragazzo non riuscirono più a sostenerlo. Cadde a terra, in una pozza oscura e vagamente familiare. Newlin non capì subito di che cosa si trattasse, ma quando vide il colore vermiglio che tingeva rapidamente i suoi abiti, riconobbe il suo stesso sangue.
Cercò di urlare, di chiamare aiuto. Aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Si agitò, colto dal panico, ed altro sangue uscì dalla sua ferita. Una nuova fitta di dolore lo costrinse a fermarsi, per cercare di prendere fiato.
Non riusciva a respirare.
Alzò debolmente lo sguardo. Emma Blacksmith sedeva accanto al suo corpo sanguinante. La pallida mano della ragazza carezzava delicatamente quella pozza oscura, le sue fragili dita erano macchiate di sangue. Sorrideva.
“E così sia. Voi non mi amate, non mi avete mai amato. Va bene così”
La ragazza scosse lentamente la testa, i suoi occhi azzurri fissi sul corpo ferito di Newlin. Si chinò su di lui, baciandogli con dolcezza i capelli, per poi premere con forza la lama del coltello nella ferita. Il giovane sussultò. Il dolore era così forte da annebbiarli la vista. Presto non fu in grado di vedere nulla, se non il volto delicato di Emma, deformato da una folle risata.
‘Perché? Era una ragazza così dolce…’
Il ragazzo avvertì il suo corpo tremare. Il dolore era veramente insopportabile, atroce. Non riusciva più a vedere nulla, fuorché le tenebre. La morte lo stava portando via, Newlin riusciva a percepirlo. Lo trovava ingiusto. Terribilmente ingiusto. Avrebbe voluto vedere il volto di Mallaidh un’ultima volta. Ma ormai il suo tempo era finito.
Chiuse gli occhi.

“Newlin! Nage… Newlin, Newlin, no, ti prego! Nage, nage!”
Emma alzò gli occhi verso l’alto delle scale, sorridendo. Mallaidh, gli occhi sgranati dall’orrore e le mani tra i capelli castani, fissava sconvolta il cadavere di suo marito. La serva scoppiò a ridere, battendo le mani come una bambina felice. Afferrò con mano tremante i capelli di Newlin e mostrò a Mallaidh il suo volto cadaverico e sporco di sangue.
“Sorpresa!” urlò allegra.
“Tu… cosa hai… cosa hai fatto…”
“Vi amava davvero, sapete? Lui vi amava sopra ogni altra cosa al mondo.”
“L’hai… l’hai ucciso…”
“Oh, sì, mia cara. L’ho ucciso. L’ho ucciso con questo.”
La ragazza estrasse il coltello dalla schiena di Newlin. La lama era bagnata, gocciolava sul cadavere del morto.
“Era destinata a voi, sapete? Avreste avuto un trattamento davvero molto speciale, mia Signora. Ma se voi due siete davvero così innamorati, allora che possiate raggiungere l’Inferno insieme!”
Lanciò il coltello contro Mallaidh. La ragazza selvaggia ebbe bisogno di qualche istante per riprendersi dalla sorpresa, e non riuscì a muoversi in tempo per schivare la lama. Il coltello la colpì ad un braccio. Mallaidh urlò di dolore, anche se sapeva di essere stata molto fortunata. L’arma cadde ai suoi piedi, lasciando un taglio largo, ma non profondo.
Si girò di scatto verso Emma, i verdi occhi accecati dall’ira.
Orgeta, Deiouona na! Assassina, figlia del Male, come hai osato? Tu, bastarda, hai avuto il coraggio di ferire Mallaidh! Ma la figlia di Carey non morirà oggi! Sarò io a toglierti la vita, Seabhag na!”
Raccolse il coltello ai suoi piedi e, dall’alto delle scale, si slanciò contro Emma. Anni vissuti in continuo movimento tra gli alberi di Seabhag le garantivano un sicuro vantaggio contro la sua avversaria. Afferrò con decisione i capelli della serva, portandole indietro la testa e cercando di ferirla al collo. La fanciulla cristiana aveva però le mani libere e riuscì a bloccare in tempo il gesto di Mallaidh, conficcandole le unghie nella pallida carne. Mallaidh fu così costretta a lasciare la presa, distratta dal dolore. Emma si liberò definitivamente della sua avversaria, assestandole un poderoso calcio sul viso ed approfittando della reazione di Mallaidh per alzarsi e cercare di fuggire. Scese velocemente i gradini delle scale, dirigendosi verso le stalle del palazzo. Se fosse riuscita a raggiungere suo fratello, avrebbe potuto facilmente ottenere un cavallo per allontanarsi in tempo da Seabhag, senza essere catturata dalle guardie. Conosceva le terre del feudo meglio di chiunque altro.
Aveva una piccola possibilità di salvezza.
E voleva aggrapparsi ad essa, con tutta la sua forza. Voleva avere fede nella vita, come l’aveva avuta nell’amore. Fino all’ultimo istante, aveva amato Newlin, aveva creduto nel suo dolce sguardo. E, quando le parole del ragazzo avevano distrutto il suo sogno, avevano anche cancellato tutto ciò a cui ella credeva. Se voleva continuare a vivere, Emma doveva rinascere.
Emma aveva fede in se stessa. Sarebbe sopravissuta.
Avrebbe dimenticato tutto ciò che era, tutto ciò in cui aveva creduto, tutto ciò che l’aveva fatta soffrire. Sì, avrebbe smesso di soffrire. Non avrebbe provato più alcun dolore. Ne’ al cuore, ne’ alla testa. Già, la testa. Perché le faceva così male? Provava un grande dolore… alla testa…
Il sangue uscì lentamente dal cranio di Emma, macchiando i suoi bei capelli biondi. Cadde a terra, il coltello che aveva utilizzato per uccidere Newlin conficcato nella testa. Non ebbe il tempo di pensare, ne’ di provare terrore per il buio che l’avvolgeva.
Capì solo di essere morta.
Mallaidh guardò il cadavere della Seabhag na afflosciarsi a terra e cadere per le scale di pietra. Quella stupida era scappata senza cercare di rimpossessarsi del coltello. Era stata fortunata. Se l’avesse presa viva, le avrebbe fatto passare le pene dell’Inferno pur di ucciderla nella maniera più disumana possibile. Al quel pensiero, abbassò mestamente lo sguardo sul cadavere di Newlin. In quell’istante, riuscì a vedere tutti i suoi piani andare improvvisamente in fumo. Senza la protezione del suo Signore, che cos’era? Una folle selvaggia dal passato oscuro, priva di fascino, ricchezza o virtù. Le avrebbero concesso di tenere il piccolo Arlen, o sarebbe stata costretta a lasciare il palazzo e le terre di Seabhag? Che cosa sarebbe stato di lei?
Cadde in ginocchio, accanto al cadavere di Newlin. Gli sfiorò con delicatezza le labbra esangui, il pallido viso dai tratti ancora immaturi. Gli occhi erano chiusi, come se in un ultimo, sciocco desiderio il ragazzo avesse voluto nascondere la sua fine allo sguardo della moglie. Mallaidh sorrise, scuotendo debolmente la testa. Si chinò sul corpo del marito, baciandogli con tenerezza la fronte.
“Perché? Perché sei andato via così presto, mon donios? Non era questo il momento, non era questo il modo.”
Strinse tra le mani il viso del ragazzo, baciando le sue pallide labbra. Lacrime trasparenti, silenziose come le stelle nel cielo, rigarono il volto della Folle Mallaidh. Era sola, ora ne era consapevole. Non aveva mai avvertito la solitudine nella foresta di Seabhag, dove gli spiriti dei suoi antenati sembravano guidarla e proteggerla dalle fronde della Grande Quercia. Ma ora, ora che aveva conosciuto l’amore sincero ed incondizionato di qualcuno, ora che tutto ciò in cui aveva creduto era stato portato via da lei, ora Mallaidh capiva di amare Newlin sopra ogni altra cosa al mondo.
“… Avrei imparato… avrei imparato ad amare il nostro caro bambino più del Seabhag mab. Io… io ci sarei riuscita. Anche se il mio amore verso Newlin era così perfetto, anche se mi rendeva così felice. Io avrei fatto qualsiasi cosa, pur di portare a termine il mio sogno. Ci riuscirò, adesso? Sarò in grado di continuare a vivere, senza la forza che quest’uomo mi dava? Come posso continuare a vivere senza di lui, Mama Carey? Come? Per questo la Profezia del Falco mi è stata tramandata come una leggenda? Perché nessuna antenata avrebbe mai potuto credere che una figlia di Maretak sarebbe stata così stupida da innamorarsi di un Seabhag mab? Oh, come posso essermi innamorata di lui, perché sto piangendo sul suo cadavere? Perché? Perché le sue fredde labbra non mi ricordano la Morte, ma solo le lunghe notti di passione trascorse insieme? Mama Carey, dimmi perché sto piangendo sul cadavere del mio nemico. Il nemico che mi ha illusa con la nascita di un amore pallido e morente, come la dea Atenoux, la Luna nel cielo. Ed io che credevo che tutto sarebbe andato bene… Povera illusa. Tutto è perduto. Il mio amore è morto, e non tornerà mai più da me.”
Appoggiò il capo sul freddo corpo del giovane, e chiuse gli occhi. Era esausta. Il braccio ferito stava incominciando a farle davvero male. Doveva fermare l’emorragia in qualche modo, ma in quel momento era troppo stanca persino per alzare lo sguardo. Avvertì, dal fondo delle scale, alcune serve urlare e chiamare aiuto alla vista del cadavere di Emma. Presto qualcuno sarebbe venuto, ed avrebbe portato via Newlin da lei. Per sempre.
Ecco. Già poteva udire i passi veloci degli uomini chiamati dalle schiave. L’urlo di un ragazzo alla vista del cadavere di Emma. Doveva trattarsi di suo fratello, quello che lavorava nelle stalle.
“Mia Signora! Mia Signora, che cosa è accaduto?”
Era la voce agitata di un uomo. Mallaidh sospirò, ed alzò lo sguardo verso il gruppo di uomini appena arrivato. Cinque guardie, alcune ancelle spaventate ed il fratello di Emma. Il ragazzo piangeva come un bambino, ma i suoi occhi erano accesi con l’ira che provava nei confronti di Mallaidh. La ragazza distolse lo sguardo da lui, rivolgendosi invece verso la guardia che le aveva rivolto la parola.
“… Andatevene via, an uelor weid nepos. Non voglio vedere nessuno.”
“Mia Signora, il padrone Newlin e la giovane Emma Blacksmith sono morti. Dovete dirci che cosa è accaduto.”
Ite, Borrach! Siete sordi? Vi ho detto di andarvene! Non voglio vedere nessuno, figli di Seabhag, nessuno! Siete forse così crudeli da non permettere neanche ad una povera vedova di piangere per la morte del proprio marito?”
“Piccola strega, come osi chiedere una cosa del genere, quando sei stata tu ad uccidere Newlin ed Emma! Bastarda, figlia di Satana, meriti di morire torturata per ciò che hai fatto!”
Mallaidh si girò di scatto verso il fratello di Emma, sorridendo.
“Parli in difesa di tua sorella, forse? E’ stata lei ad uccidere il mio sposo. So bene quanto la figlia di Seabhag fosse gelosa del mio matrimonio con il suo amato Signore.”
“Sta mentendo! Sta mentendo, vi dico! Uccidetela! Mandatela al rogo!”
Il ragazzo si slanciò contro Mallaidh, ma una delle guardie riuscì a trattenerlo.
“Sai bene che non possiamo accusarla della morte di tua sorella e del padrone senza avere delle prove. Non c’erano testimoni quando gli omicidi sono avvenuti.”
Essi exopos, catus? Sei forse cieco, soldato? La verità è di fronte ai tuoi occhi. E’ stata Emma ad uccidere Newlin. Io ho soltanto cercato di difendere la mia vita e quella di mio figlio. Sono stata io ad uccidere la Seabhag na.”
Il capo delle guardie spostò il suo sguardo sulla ragazza, non credendo ad una così spontanea confessione. Ma al fratello di Emma non bastava.
“La strega continua a mentire! Perché mai mia sorella avrebbe dovuto uccidere il signore di Seabhag? Era una ragazza dolcissima, devota alla famiglia e piena di virtù. Quale demone l’avrebbe posseduta per farle compiere un omicidio? Non ne sarebbe stata in grado, vi dico! Non ne sarebbe stata in grado.”
“Contempli i tuoi ricordi, Seabhag mab, non il cadavere tra le mie braccia. Emma ha ucciso il vostro Signore, ed io ho ucciso la vostra preziosa assassina. Sono pronta a sopportare le sciocche regole di Seabhag, che non concedono ad una vedova la propria vendetta. Ma che tutto il vostro villaggio sia maledetto, quando il mio nome sarà infangato con la falsa accusa di un delitto mai commesso.”
La più anziana delle guardie chinò il capo, per poi mormorare:
“Poiché la moglie del nostro Signore ha confessato, sarà punita per la morte della povera Emma. Ma, fino a che non avremo le prove contro di lei per l’assassinio del padrone Newlin, che sia rinchiusa nelle sue stanze, con suo figlio, nell’attesa di un verdetto. In ogni caso, la folle strega di Seabhag sarà punita per l’omicidio di Emma Blacksmith. Quando e come, ciò verrà deciso da Madama Iseut, la quale sarà avvertita al più presto di quanto è accaduto. Portate questa donna nelle sue stanze.”
Due guardie si avvicinarono a Mallaidh, l’aiutarono ad alzarsi e la scortarono fino alla sua camera. Prima di entrare, la ragazza si voltò un’ultima volta verso il suo sposo, per poi entrare a capo chino nella sua stanza. Alle sue spalle, la porta venne chiusa a chiave.
Mallaidh si avvicinò lentamente alla culla di suo figlio. Arlen dormiva serenamente nel suo lettino, le paffute manine che stringevano le coperte ricamate molti anni addietro. La madre si chinò per carezzare i capelli del bambino, così simili a quelli di suo padre. La ragazza scosse violentemente la testa a quel pensiero, come per cancellare i ricordi che la legavano a Newlin. Doveva dimenticarlo, doveva guardare al futuro. Che cosa sarebbe accaduto a lei e a suo figlio? In che modo sarebbe stata punita?
Non aveva più la protezione di Newlin, in quel momento. Sarebbe riuscita a portare a termine la sua vendetta? Aveva abbandonato la sua casa, la protezione dei suoi antenati, si era addentrata in un mondo ostile e sconosciuto, aveva perso l’unica persona che avesse mai amato, ucciso la colpevole di quell’omicidio. E tutto questo, per che cosa? Per essere esiliata o torturata, e vedere il suo bambino ucciso di fronte ai suoi occhi?
In quel momento, le vennero in mente le parole di sua madre Carey:
Se l’uomo che entrerà nella Quercia sarà un discendente della famiglia Faucon, tu non dovrai per alcuna ragione darti a lui. Tutti gli sforzi delle nostre antenate sarebbero stati vani. Dalla vostra unione non nascerebbe un bambino degno di riportare alla gloria il nostro clan, e la benedizione degli antenati ci abbandonerebbe. La memoria del nostro popolo svanirebbe con la tua morte, e la gloriosa vendetta che ci spetta ci sarebbe negata per sempre.
Mallaidh scosse la testa, gli occhi verdi sgranati di fronte a quel terribile presentimento.
“No… no, mama Carey, tu… tu credevi che si trattasse di una semplice leggenda… mi hai sempre detto che la Profezia del Falco non era altro che una storia, una leggenda, un racconto di fantasia per esprimere il nostro odio contro il popolo di Seabhag! Il mio piano era perfetto, non avrei mai e poi mai potuto prevedere la morte di mio marito. Se solo quella sporca assassina fosse rimasta al suo posto, nulla di tutto questo sarebbe successo. Il mio piano era perfetto, perfetto… la Profezia del Falco non è altro che una leggenda… una stupida leggenda… non può essere vero!”

I giorni passarono lentamente, in attesa dell’arrivo di Iseut. Tutti, al villaggio di Seabhag, si chiedevano quale punizione avrebbe dovuto soffrire la strega, e se la ragazza selvaggia sarebbe stata giudicata come colpevole di entrambe gli omicidi avvenuti al castello. Mallaidh passava le sue giornate chiusa nella sua stanza, assieme al piccolo Arlen. Non le era permesso uscire, ne’ le fu concesso di partecipare al funerale di suo marito.
E venne il giorno in cui Iseut raggiunse le terre di Seabhag. Visitò la tomba del fratello, discusse animatamente della sua morte con alcuni consiglieri e saggi del villaggio. Chi era la vera colpevole di quell’omicidio? La folle e sanguinaria strega che aveva sempre vissuto nelle foreste, oppure la dolce e solare fanciulla di Seabhag, il cui innocente sorriso era noto a tutti gli abitanti del villaggio?
Alla ragazza selvaggia non fu permesso di presenziare al suo processo. Fu costretta ad attendere nelle sue stanze, dove avrebbe incontrato per la prima volta la sua cognata, dalla cui labbra sarebbe stato pronunciato il verdetto.
L’ora della verità giunse prima del previsto. Mallaidh stava giocando con Arlen, muovendo sopra la sua culla un piccolo pupazzo d’argilla, riempito di sassolini per imitare il suon di un sonaglio, quando udì il rumore di una chiave che veniva girata nella porta della sua stanza. Si girò, ed i suoi occhi incontrarono quelli di Iseut Seabhag.
La giovane sorella di Newlin vestiva dell’abito monacale, nero come il lutto che caratterizzava i giorni di Mallaidh. L’espressione di Iseut era addolorata, ma allo stesso tempo trasmetteva tutto l’odio che la giovane provava per la moglie di suo fratello. La ragazza selvaggia tremò di paura, consapevole che il suo destino era racchiuso nelle mani di quella donna. La porta si richiuse alle spalle di Iseut, e lo scontro cominciò.
La giovane monaca esitò un poco, prima di avvicinarsi lentamente alla cognata. Si fermò a pochi passi da lei, fissando a lungo tutto ciò che la ragazza era: i poco curati capelli castani, le mani pallide e ossute, le labbra screpolate, le guance scavate. I suoi grandi occhi verdi erano fissi nei suoi, colmi di terrore e di curiosità per ciò che sarebbe accaduto. Questo era il demone della lussuria che aveva incantato Newlin?
“Voi, dunque, siete la fanciulla di cui mio fratello si è infatuato.”
“Sì, Signora.”
“Ammetto che il vostro aspetto è peculiare, ma per certi versi v’immaginavo… diversa.”
“… Mi dispiace non essere all’altezza delle tue aspettative, swesor.”
“Come avete detto?”
“… E’ una parola della mia gente. Vuol dire ‘sorella’.”
“Io non sono tua sorella.”
“Ma condividete il mio dolore per la scomparsa di Newlin. In questo lutto, e nell’amore che ci legava al mio sposo, eravamo come sorelle.”
“… Queste non sono le parole di un’assassina. Eppure, sei stata tu ad uccidere mio fratello e la giovane serva che era con lui.”
“No, Signora. L’omicidio di Emma fu, come dite voi, opera mia. Ero sconvolta per la morte di Newlin. Ma il sangue del mio sposo non è stato versato per mano mia.”
Iseut abbassò lo sguardo, per poi scuotere debolmente la testa.
“A che servono le tue menzogne, strega? Hai già causato abbastanza dolore in questa casa. Non puoi scampare al tuo destino. Anche se la tua unica colpa fosse l’omicidio di Emma, la tua pena sarebbe la morte.”
Mallaidh sussultò. Avvertì le energie abbandonarla in pochi istanti, lo sconforto lapidarle lo spirito fino a farlo sanguinare. Cadde in ginocchio, unendo le mani in simbolo di preghiera.
“Vi prego, mia Signora!” urlò “Farò qualsiasi cosa, ma non toglietemi la vita! Ho agito senza sapere, la mia morale non mi ha vietato la vendetta. Ho ucciso colei che mi ha sottratto l’uomo amato, l’ho fatto per vendicare mio figlio, l’onore della nostra famiglia! Vi prego, per gli dèi che ci proteggono, io…”
“Non bestemmiare invocando le tue divinità pagane, lurida strega! Continui ad infangare il nome di mio fratello mentendo su ciò che è accaduto. Oh, ma pagherai, pagherai con la tua stessa vita e la sofferenza con cui essa ti verrà sottratta! Per i tuoi peccati di omicidio a danno di Emma Blacksmith e Lord Newlin Seabhag, per aver indotto un giovane innocente nella tentazione della lussuria, per aver praticato la stregoneria e riti legati a religioni fasulle e blasfeme, tu morirai oggi stesso, purificata dal dolore. Verrai bruciata viva, Folle Mallaidh! Il tuo sepolcro non sarà segnato da alcuna lapide, il tuo nome sarà dimenticato e le tue ossa divorate dai vermi.”
Mallaidh urlò di terrore, e si precipitò alla culla di Arlen. Il bambino si era svegliato e, sentendo la madre gridare, scoppiò in un pianto disperato. La madre lo sollevò dalla culla e lo strinse a sé, le mani tremanti ed il viso rigato di lacrime trasparenti.
“Donne e uomini di Seabhag, che siate maledetti! Come… come potete essere così crudeli? Uccidere una madre assieme al suo bambino, accusandola di una colpa che non ha mai commesso. Arlen non ha fatto nulla di male. Volete privargli della sua vita, dopo avergli sottratto quelle dei suoi genitori? Come osate fare questo ad un bambino? Un bambino!”
Iseut parve sorpresa.
“Certamente il bambino non verrà ucciso! Lurida strega, osi anche accusare un infante di una colpa che solo tu hai commesso? Vergognati! Ad Arlen non sarà fatto alcun male, ma crescerà sotto la protezione di un signore feudale qui vicino, per divenire il giusto governatore di Seabhag. Gli verranno insegnati tutti i precetti della cavalleria e del Cristianesimo, così che il suo cammino sarà illuminato dalla grazia del Signore.”
Mallaidh impallidì vistosamente. Nei suoi occhi la rabbia ed il diniego erano evidenti.
“La grazia del Signore… voi… voi lo farete diventare un cavaliere? Non gli verrà insegnato alcunché sulle usanze della mia gente, sulle tradizioni del mio popolo?”
“A che cosa gli servirebbe una tale perdita di tempo? Ciò che chiedi confonderebbe soltanto le idee al figlio di mio fratello. Non sono altro che sciocchezze.”
“Sciocchezze! Quelle ‘sciocchezze’ scorrono nel suo sangue! E’ il suo destino! Non potete mutare il suo destino, assassini che non siete altro! Non potete! Per lui sarebbe una punizione peggiore della morte stessa!”
“Smettila di protestare, sciocca ragazza! Una pira sta venendo preparata sulle colline vicino al castello. Ti saranno cocessi venti minuti per dire addio a tuo figlio e per affrontare il pensiero della morte. Allo scadere del tempo, alcune guardie ti scorteranno al luogo dell’esecuzione. Preparati. E non cercare di fuggire, ci sono guardie ad ogni porta del castello. L’unica via di fuga è la tua finestra, ma dove potresti andare? Non ci sono appigli alle pareti, e la tua stanza è posta così in alto che, precipitando dalla finestra, moriresti. Fatti coraggio, ora. Questa è la tua ultima ora.”
Iseut uscì dalla stanza, senza guardare negli occhi la ragazza selvaggia. Mallaidh non sapeva che cosa fare, era presa dal panico più totale. Stringendo al petto il proprio bambino, invocò a gran voce il nome della madre:
“Madre! Madre, ti prego, aiutami! Ci deve essere qualcosa che posso fare! Qualsiasi cosa, per salvare il mio popolo, per portare a termine il mio destino! Ti prego, qualsiasi cosa! Una via d’uscita da questo incubo, un miracolo degli dèi… ti prego… ti prego, io… non può finire in questo modo… non può…”
Mallaidh si avvicinò lentamente alla finestra, ignorando il pianto del figlio. La ragazza si affacciò fuori dalla finestra, per vedere alcuni uomini riuniti su una collina poco lontana dal castello. Stavano preparando una pira, trasportando la legna dalla foresta di Seabhag e cospargendola di olio. Quello non era un miraggio, ma la cruda e spietata realtà.
Mallaidh sarebbe stata bruciata su quella pira. Le sue urla avrebbero risuonato per quelle colline, attraverso le foreste e le montagne d’Inghilterra. E con lei, il suo popolo sarebbe svanito per sempre. Maretak avrebbe cessato di esistere.
“Arlen. Arlen porterà avanti le tradizioni, il nome di Maretak. Lui può farlo, lui… Ma che cosa dico? Mio figlio è solo un bambino, e mai potrebbe ricordarsi delle parole di sua madre. Oh, Mallaidh, non tentare di illuderti con le tue stesse bugie. Probabilmente, Arlen crescerà senza sapere che il nome di sua madre era Mallaidh, figlia di Carey, discendente dalla nobile Liath di Maretak. Ignorerà il suo destino, la vendetta di cui solo io sono a conoscenza. Non sarà il figlio della mia gente, ma solo un’ombra ignara del suo passato.”
La ragazza spostò lo sguardo da quegli uomini al suo bambino. Si morse le labbra fino a farle sanguinare, ignorando il dolore. Non sapeva che cosa fare. Era terrorizzata. Avrebbe voluto fuggire via da quel luogo, tornare nella foresta, dove nessuno avrebbe mai potuto farle del male. Non voleva morire in quel modo orribile, sarebbe stato fin troppo doloroso.
Non puoi fuggire, Mallaidh.
Non puoi sfuggire alla morte.
Puoi solo salvarti dalle fiamme.
Coraggio, Mallaidh.
Sai cosa devi fare.
Salva te stessa.
Salva tuo figlio.
La ragazza strinse a sé il corpicino avvolto dalle candide coperte. Arlen continuava ad urlare, inquieto, avvertendo il terrore della madre. Mallaidh scosse violentemente la testa, e scoppiò a piangere. No, non poteva farlo, non ne aveva le forze. Quale madre sarebbe potuta andare contro l’amore verso il proprio bambino? Nessuno era così insensibile.
Se non lo salverai, Mallaidh, quello che stringi ora tra le tue braccia non crescerà mai per divenire tuo figlio. Non sarà altro che l’ombra effimera del tuo amore. Un’ombra priva di passato. Priva di ciò che è veramente. Hai già rovinato tutto con l’amore che provavi per il Seabhag mab, Mallaidh. Vuoi gettare altro fango sul sogno dei tuoi antenati, privando tuo figlio dell’onore che spetta al figlio di Maretak?
Mallaidh sussultò a quel pensiero. L’orrore di ciò che sarebbe accaduto l’aveva forse resa cieca? Solo ora capiva che, in fondo, non vi era altra soluzione. La sola idea la terrorizzava, ma in quale altro modo avrebbe potuto evitare il rogo ed il nuovo destino di suo figlio, al quale persino la morte era preferibile?
No.
Non c’era altra via di uscita.
Mallaidh sapeva che cosa doveva fare.
Era pronta.
Strinse Arlen a sé, cullandolo dolcemente. Il bambino non aveva ancora cessato di piangere. Mallaidh sorrise, e baciò il figlio sulla fronte, parlandogli con voce calma e carica di affetto. Non doveva avere paura. Non tra le braccia della sua mamma.
Sualli Arlen, figlio mio. Io tengo a te più di qualsiasi altra cosa al mondo. Non permetterò che siano i figli di Seabhag a crescerti, vedrai. Io e te, bambino mio, scamperemo insieme alle fiamme del nemico. Ti prego, Arlen, non piangere. Va tutto bene. La mamma è qui.”
Mentre gli parlava, la ragazza prese ad arrampicarsi sul davanzale della sua finestra. Stringeva il bambino tra le braccia, per allontanare la paura. Era con lui. Era con suo figlio. Lo stava salvando.
Si alzò in piedi sul davanzale, il vuoto ad un passo dai suoi piedi. Le vertigini scuotevano il corpo della ragazza, facendola tremare senza controllo. Davanti ai suoi occhi, Mallaidh riusciva a vedere le imponenti torri del palazzo, le alte mura che lo circondavano, il sentiero che tagliava attraverso le colline e conduceva al villaggio. La pira, sulla collina, era pronta, e molti erano i curiosi che si avvicinavano al luogo della futura esecuzione. Mallaidh distolse in fretta lo sguardo. Ignorò qualsiasi cosa che le ricordasse i figli di Seabhag, qualunque casa, qualsiasi persona.
Chiuse gli occhi.
Sparire, tutto doveva sparire nel nulla. Il castello, il rogo, il villaggio. Non esistevano più. C’erano solo le verdi colline, circondate da catene di antiche montagne. La grotta di Akaunon sorvegliava i segreti di Maretak, protetta dalle piante di vischio. La Grande Quercia, ad ovest della foresta di Seabhag, dominava sugli altri alberi del bosco. Lì gli antenati di Mallaidh avevano pregato e vissuto per migliaia di anni. In quella selva, su quelle montagne, attraverso le colline e le pianure della vallata, il canto della sua gente risuonava ancora nel vento.

Maretak, Maretak: magu, maion et bodach,
Dith dagovassa, anation ambicatassa.
Essi capta et caranta. Andedia thirona tarinca
Orgeta deuxtonion, teutates anation.

“Ma… ma! Mama!”
Mallaidh aprì gli occhi, e guardò dove la manina di suo figlio indicava. All’orizzonte, sopra tutti gli altri alberi della foresta, la chioma della Grande Quercia era appena visibile. Ma Mallaidh avrebbe riconosciuto ovunque la sua casa. Sapeva che al suo interno gli arazzi erano ancora appesi alle pareti, e che le ceneri delle sue antenate erano custodite nel loro vaso di ferro battuto. Mille pietre preziose erano ancora legate ai rami dell’albero, rilucenti alla luce del Sole.
Tutto era come doveva essere.
Mallaidh sorrise, e si lanciò nel vuoto.
Lontano, all’orizzonte, la minuscola figura di un falco sorvolava la foresta di Seabhag. Un piccolo punto nel cielo grigio, l’inevitabile fine di un sogno.
 

Lulley, lully, lulley, lully
The Faucon hath bourne my mak away














Angolo dell' Autrice:

OK, perfetto, siete autorizzati ad uccidermi. Dopo un finale del genere, poi… ma sappiate che è sempre stato il finale che mi ero imposta. Certo, uccidere sia Newlin, Emma, Arlen e la mia adorata Mallaidh è stato difficile, ma… Il finale era già programmato. Infatti, si può dire che la storia sia nata proprio da questo finale e da questa canzone:

http://www.youtube.com/watch?v=nPO79hhskkM

 La riconoscete? Sì, è proprio di ‘Corpus Christi Carol’, le cui strofe erano poste all’inizio di ogni capitolo (in ordine sparso, secondo il contenuto dei capitoli). Si tratta, come ho già detto, di una canzone popolare Inglese risalente al 1504. La versione che ha ispirato questa storia è quella di Cécile Corbel, la mia cantante preferita, che forse riconoscerete come la voce nella musica del film 'Arietty', dello studio Ghibli. Tuttavia, il video che ho proposto è quello che ascoltavo ogni volta che scrivevo 'La Profezia del Falco'. Ho scelto questa anche perché la versione di Cécile è praticamente introvabile su You Tube.

Alcune note e curiosità:

La famiglia Maretak prende il suo nome dalla parola celtica per ‘Vischio’, una pianta oggi considerata velenosa e nociva, ma sacra e portatrice di fortuna per i Celti. ‘Seabhag’ e ‘Faucon’, invece, vogliono entrambi dire ‘Falco’.
Il nome ‘Mallaidh’ è di origine irlandese e significa ‘Tristezza’. Si pronuncia ‘Mahlli’ ed è il nome da cui proviene l’ormai comune ‘Molly’. Mallaidh è un nome tuttora utilizzato in America ed in alcune parti dell’Irlanda, seppure sia piuttosto inusuale.
‘Newlin’, invece, è un nome proveniente dal Galles il cui significato è ‘Nuova Sorgente’. Il nome di Emma vuol dire ‘Universale’ ed ha origine germanica. ‘Arlen’, il figlio di Mallaidh e Newlin, è un nome di origine celtica che vuol dire ‘Giuramento’. Anche per questo Mallaidh dice “Rimarrò fedele al mio Arlen, al mio antico giuramento.” E’ una specie di gioco di parole… sottospecie.
Alcuni di voi avranno notato che ho precisato all’inizio del capitolo come Mallaidh rimanga in piedi durante tutto il travaglio. Non si tratta di un errore di distrazione. Infatti, le donne del Medioevo partorivano in piedi o sedute. Partorire nel proprio letto, sdraiate, è una moda partita nel Quattordicesimo secolo, per iniziativa delle nobili che non volevano partorire come le serve o le contadine più povere.
Il pupazzo d’argilla che Mallaidh agita davanti alla culla di Newlin esisteva veramente, e svolgeva il ruolo di un moderno sonaglio. Era d’argilla per conservarlo meglio e per tramandarlo di generazione in generazione senza doverne fabbricare uno nuovo.
Probabilmente il mio racconto è pieno di errori, anche gravi, riguardo la Storia medievale e celtica. Mi sono presa moltissime libertà, soprattutto per quanto riguarda la civiltà di Mallaidh. Chiaramente, mi sono informata il più possibile sull’argomento, e spesso alcune mie scelte che si allontanavano dalla realtà erano scusabili per il semplice fatto che si trattava di tradizioni della gente di Maretak, non dei Celti in generale. Cose come il matrimonio sono, dunque, in parte vere, in parte di mia fantasia. In genere, i matrimoni dei Celti richiedevano un druido. La tradizione di mangiare le ossa dei propri cari alla loro morte è, invece, un’usanza tipica delle civiltà antiche del Sud America, che ho adottato per il popolo di Mallaidh unicamente per rendere il racconto un po’ più interessante. I Celti non mangiavano veramente le ossa dei propri defunti, ma cremavano davvero i loro corpi. Potete trovare altre informazioni sul magiare le ossa dei defunti nelle antiche civiltà del Sud America nel libro ‘La Terra degli Invisibili’ di Franco Perlotto.

Grazie per tutti coloro che mi hanno seguito e che sono stati al mio fianco!
Un bacio a tutti,

Beads.

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