Amore, palloni, pannolini e...

di anais
(/viewuser.php?uid=17896)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amore, palloni, pannolini e... incomprensioni ***
Capitolo 2: *** Amore, palloni, pannolini e... la magia del Natale ***



Capitolo 1
*** Amore, palloni, pannolini e... incomprensioni ***


  AMORE, PALLONI, PANNOLINI e …

 

                                                            … INCOMPRENSIONI

 

 

Flebili gemiti reclamavano attenzione dal piccolo nido di cotone e lino.

Due manine paffute si agitavano verso l’alto come a voler acciuffare quei pesciolini colorati del carillon che penzolava sbilenco nella culla, e che si animavano ad ogni impercettibile movimento o al passaggio di qualche spirito notturno che vegliava su quell’anima innocente di bimbo.

Ma quando l’istinto ancestrale di ricerca del seno materno ritornò a farsi vivo e impellente, quegli allegri gorgheggi notturni, si trasformarono ben presto in un pianto sommesso prima, e in urla disperate poi.

E veloci corsero per i silenziosi corridoi della casa, per raggiungere la diretta interessata, che proprio in quel momento stava per cadere in quella che gli esperti definiscono fase rem del sonno.

Sanae aprì gli occhi.

Lo strano mosaico di ombre che la luce del lampione fuori in strada proiettava sul soffitto, le suggerì che stava ancora sognando, così le sue palpebre tornarono a ricoprire di tenebra le iridi assonnate.

Ma un altro vagito, ancora più insistente la fece scattare a sedere, con le coperte che volarono via da un lato.

“Daibu…” sussurrò con la voce impastata di sonno.

Guardò il display luminoso della sveglia accanto all’abatjour.

Era da poco passata l’una.

Tsubasa dall’altro lato sembrava non accusare minimamente gli strepiti del figlio, perché continuava a dormire placido, con il suo ineffabile sorriso sulle labbra.

Scese dal letto, infilò contemporaneamente vestaglia e pantofole e si diresse rapida verso la stanza del figlioletto, che di lì a poco avrebbe svegliato l’intero vicinato, eccezion fatta per il padre.

 

Vedere dalle sbarre la mamma che solcava la sua porta, ebbe su di lui un effetto calmante immediato, perché i suoi acuti degni di un tenore, si trasformarono in più orecchiabili lamenti supplichevoli.

“Amore della mamma, è venuta l’ora della pappa” disse, solleticandogli il pancino con le dita.

“Ghee… gheee..”.

Afferrata una mano di Sanae, Daibu cercava di tirarsi su con la schiena, diventando paonazzo dallo sforzo.

“Tesoro, sei ancora piccolino per queste cose!” e sollevatolo dalla culla, lo strinse al petto e sfiorò con le labbra la sua testolina su cui i ciuffetti di capelli spuntavano qua e là irregolari.

Il bambino avvinto dal tepore materno sembrò per un attimo aver dimenticato il motivo di tanto trambusto, ma prima che il suo stomaco richiamasse nuovamente l’attenzione, un tumido bocciolo gli solleticò la bocca.

Senza troppi complimenti, afferrò avido il seno della madre.

Sanae, presa la coperta di lana sferruzzata a maglia apposta per il piccolo dalla nonna, lo avvolse, delicatamente, per non disturbare la sua poppata e si avviò nel salone per accomodarsi sul confortevole sofà, che da un po’ di notti, aveva scoperto essere il giaciglio più comodo per l’allattamento.

Dalla strada, ogni tanto, proveniva lo stridio limoso di qualche macchina che sfrecciava sul selciato bagnato.

Afferrò il telecomando e accese il televisore nella speranza di trovare qualcosa che la intrattenesse, in attesa di ritornare sotto le agognate coperte.

Guardò abbastanza sbigottita lo schermo: a quell’ora di notte era difficile trovare qualcosa che non fossero seni e sederi in bella mostra, prosperose ballerine di lap dance, che invitavano goduriose a chiamare il numero in sovrimpressione, o, per chi avesse gusti diversi, uomini discinti che si accarezzavano ammiccanti.

L’alternativa era qualche programma culturale, fatto intenzionalmente allo scopo di conciliare il sonno dello spettatore, o telefilm anni ottanta in replica per l’ennesima volta.

Continuò a tastare i pulsanti fino ad incappare in un talk show che sembrava “normale”, visto che il presentatore e gli ospiti in studio erano vestiti.

“Ed ora amici e soprattutto amiche da casa, a grande sorpresa, abbiamo qui con noi una nota esperta sessuologa…  Madame Pompadour”

Uno scroscio di applausi di scena accolsero l’ingresso di una procace bionda, molto scollacciata, labbra rosse provocanti e  un paio di tacchi da almeno dieci centimetri.

“Beh non c’è che dire… si vede che sei un’esperta di sesso… ” pensò sorridendo.

Con fare molto seducente ghermì il microfono dalle mani del conduttore, salutando e ringraziando con voce suadente e un chiaro accento francese.

Sanae stava per spegnere, ma si bloccò nel momento in cui la donna, passando ad un tono più deciso ed aggressivo, si avvicinò con passo svelto alla camera, perché il suo viso riempisse il teleschermo.

“Ehi tu dico a te… casalinga frustrata che non riesci a dormire… o peggio che stai allattando tuo figlio, mentre tuo marito dorme come un angioletto nel vostro letto…  tu che ti alzi nel cuore della notte… e durante il giorno non fai altro che rassettare, lavare, cucinare e raccogliere i panni sporchi che lui ti lascia per casa… non sei stufa… non sei stufa di un uomo che dopo pochi anni di matrimonio neanche ti guarda più… e nella maggior parte dei casi si addormenta dopo averti dato un casto bacio sulla fronte… da quand’è che non fai l’amore con lui… e non mentire.. ecco proprio tu che vuoi dire basta a tutto questo… che vuoi risvegliare le voglie del tuo uomo… bene… allora ti consiglio di non cambiare canale”.

La telecamera restò ferma qualche secondo sullo sguardo ammaliante della donna… una musica dagli accenti  orientali, probabilmente il leitmotiv del programma, accompagnava lo sfumarsi dell’immagine.

 Daibu succhiava dal seno della mamma, incurante di tutto quello che c’era intorno, come in uno stato d’estasi; solo la manina ogni tanto stringeva piano la mammella su cui era poggiata.

Sanae intanto ponderava le parole della donna in tv, e per quanto cercasse di scacciare via quel pensiero, doveva ammettere con disincanto, che la descrizione fatta dalla sessuologa  non è che era così distante da lei.

Non che Tsubasa non la guardasse neanche più.

Anzi era sempre premuroso e attento, specie da quando era nato Daibu.

Le ripeteva di continuo di svegliarlo di notte anche solo per tenerle compagnia mentre allattava, visto che lui, col sonno pesante che si ritrovava difficilmente si sarebbe destato alle “sole” urla del bambino.

Ma Sanae lo trovava un sacrificio inutile, quand’anche si fosse alzato, restava solo lei  detentrice di quel nettare vitaminico che il figlio stava poppando ingordamente.

Però… in effetti.. da un po’ di tempo Tsubasa non le si avvicinava più così spesso, facendole capire di voler fare l’amore.

E’ vero… era in un momento del campionato molto delicato, per di più era in pensiero per dei fastidi muscolari e la sera rientrava a casa dagli allenamenti sempre molto stanco.

E proprio qualche notte prima sotto le coperte l’aveva baciata appassionatamente, stringendola al suo corpo nerboruto e caldo, ma poi, deludendo le sue aspettative, aveva spento il lume e si era voltato dall’altra parte e lei, un po’ per quella virginea timidezza che ancora si portava dentro, un po’ per timore che volesse riposare, non aveva avuto il coraggio di esplicitare i suoi intimi bisogni di donna.

Certo è che neanche lei se la passava meglio…

Daibu era molto esigente… difficilmente resisteva nel box per più di dieci minuti… e del seggiolone neanche a sentirne parlare, se non durante le prime pappine con cui puntualmente imbrattava l’intera cucina.

Per non parlare dei bavaglini da candeggiare, delle tutine che dovevano essere strofinate a mano per poter mandar via le macchie più impensabili e un marito che riportava a casa ogni giorno un non meno lercio completino da cui scrostare fango ed erba.

Per di più un amico giornalista dei genitori, direttore di un periodico di sport di Fujisawa le aveva chiesto di scrivere qualche articolo di resoconto della domenica di campionato spagnolo, conoscendo le sue competenze calcistiche e soprattutto perché essendo moglie di Tsubasa Ozoora, era in una posizione privilegiata in quanto a scoop ed anteprime. Ormai in Giappone l’interesse attorno alle prodezze dell’asso nipponico del Barça si era trasformato in un vero e proprio orgoglio nazionale per la nascente stella orientale.

Arrivava a sera che non vedeva l’ora di mettersi a letto, il prima possibile perché sapeva che nel momento più dolce del sonno, quello in cui stava veramente per cadere in quell’oblio che cancella ogni fatica della giornata, le urla del figlio sarebbero risuonate pretenziose per tutta la casa.

Contando bene dovette sconsolatamente constatare che era più di una settimana che non stavano insieme e che di certo non era il periodo più lungo di astinenza da quando era nato Daibu.

Quasi che il tempo della pubblicità fosse stato scandito apposta per quelle riflessioni, la voce elettrica della sessuologa riprese le fila del discorso da dove le aveva interrotte.

“Allora mie care amiche… avete fatto bene i vostri conti… quant’è un mese… tre settimane…”

Sanae tirò un sospiro di sollievo pensando che forse il suo non era un caso poi così grave.

“Immagino che durante la pausa pubblicitaria abbiate cercato di individuarne le cause… oh poverino lavora troppo è sempre stanco… ha già tanti pensieri per la testa… per non parlare di me sempre indaffarata nelle faccende domestiche e coi pupi da svezzare…”

Accompagnava le parole con un persuasiva mimica delle mani e del viso.

“Sciocchezze... datemi i vostri mariti e vi faccio vedere io se sono stanchi” disse portandosi eloquentemente una mano sulla coscia.

Sanae tutta rossa in viso, indignata da tanta sfrontatezza, ebbe un sussulto in avanti,  tale che il capezzolo sfuggì dalla bocca del piccolo Daibu, che infastidito dell’interruzione stava per mettersi a strillare. Ma la ragazza prontamente afferrò il suo seno e lo porse al piccolo, che riacciuffatolo fra le rosee labbra riprese il suo pasto.

“Cos’è vi ha dato fastidio sentire questa cosa… e allora perché non concentrate tutto questo fervore sui vostri uomini, invece di stare a piangervi addosso”.

Era veramente odiosa, ma doveva ammettere anche molto efficace.

“E’ inutile che date la colpa al suo lavoro… siete voi che dovete stuzzicare il suo appetito sessuale… prima che ci pensi qualche altra femmina”

Forse se non avesse avuto un figlio fra le braccia che non aveva alcuna intenzione di mollare il suo petto,  avrebbe tirato fuori quel temperamento bellicoso della sua infanzia, ormai mitigato dalla maturità degli anni,  per spaccare in mille pezzi il televisore.

“Bene iniziamo con la prima fase, quella in cui chiariamo un po’ la situazione: prendete uno specchio e guardate cosa vedete di fronte a voi”.

Sanae voltò il capo alla sua sinistra.

Vicino alla porta dell’ingresso, sull’etager in noce, uno specchio leggermente reclinato in avanti, offriva il riflesso della sua pallida figura, e di quel fagottino che aveva in grembo.

“Qual è l’immagine che vi rende? Alt… ve lo dico io… una donna sciatta… trascurata… troppo presa a fare la moglie e la madre, per essere amante” fece, sottolineando le parole come se il loro significato fosse poco chiaro.

Sanae non si trovò così da buttare come diceva la donna… in fondo si era alzata nel cuore della notte, ed era naturale che i suoi capelli fossero arruffati e gli occhi gonfi di sonno.

“Aspettate… fatevi guardare bene…”

Madame Pompadour strabuzzò gli occhi nella camera come se davvero potesse entrare nelle case delle telespettatrici.

Poi fece un passo indietro con aria stomachevole, come se le si fosse parato di fronte qualche essere ributtante: “Cos’è quell’orrore di pigiama di tre taglie più grandi e con gli orsetti del cuore disegnati sopra?”

Sanae abbassò lo sguardo sui propri indumenti… beh è vero a lei piaceva stare comoda a letto e non costipata in qualche camicia da notte di pizzo che magari le avrebbe pure fatto venire l’orticaria… e poi trovava le roselline ricamate sullo scollo della giacca molto romantiche…

“Non eccitereste un naufrago che non vede una donna da due anni, come volete che i vostri mariti vi cerchino sotto le coperte!”

Ma le parole di Madame Pompadour cominciavano a far vacillare l’autostima della ragazza, che riflessa nello specchio non vedeva di certo una bomba ad orologeria di erotismo, nonostante anche quel seno che faceva capolino dalla scollatura.

“Beh e non voglio neanche pensare alla biancheria che avete lì sotto, quella che praticamente lascia tutto all’immaginazione… ammesso che ci sia rimasto qualcuno che voglia immaginare”

Per quanto l’ amor proprio di Sanae pretendeva che lei desse fine a tutte quelle gratuite irrisioni, non le riusciva a schiacciare quel tasto rosso sul telecomando… forse per spirito autolesionista… forse perché per quanto fosse una sessuologa molto sui generis, quelle parole taglienti stavano insinuandosi subdole nello strato più profondo del suo subconscio. 

Madame Pompadour guardò ancor più raccapricciata l’obiettivo: “E da quant’è che non andate dal parrucchiere… davvero credete che i vostri uomini non siano stimolati da una chioma lucente e setosa” e così dicendo portò i lunghi capelli su di un lato carezzandoli amorevolmente.

La ragazza si toccò le punte che a stento scendevano sotto l’orecchio… effettivamente dal parrucchiere ci andava solo quando erano diventati troppo lunghi e fastidiosi

“Ah ho capito siete del partito… li porto corti, così sto fresca e si asciugano subito”.

Sanae avvertì una sensazione umida e appiccicosa sulla mano che reggeva il collo del bambino.

Daibu, con il latte che ormai formava un rigolino che scendeva giù dalla bocca e arrivava all’attaccatura della bavetta, respirava ormai a fatica pur tentando di continuare a succhiare il latte che generoso sgorgava dalla fonte materna.

“Piccolo… non ti ho fatto fare ancora il ruttino”

Allarmata lo tirò su e cominciò a dare piccoli colpetti sulla schiena, per agevolargli la digestione. Come tutta risposta ebbe una sonora eruttazione, con annesso rigurgito di latte, che disegnò una bella chiazza biancastra sulla sua vestaglia.

Sebbene  predisponesse sempre sulla spalla del ruttino un panno di lino per contenere eventuali e naturali rigetti, lo stato confusionale in cui la stava gettando quella molesta pseudo-psicologa le aveva fatto completamente dimenticare quella piccola abituale precauzione.

Rimise dentro il seno, e cacciò fuori l’altra mammella, che Daibu, per nulla soddisfatto del primo round, e alleggerito dell’aria emessa poco prima, si apprestava ad assaltare dopo un paio di tentativi andati a vuoto.

La voce sgradevole di Madame Pompadour continuava incessante il suo monologo sessuale.

“Allora donne volete veramente che i vostri uomini si infilino nel letto di qualche svaporata civetta per avere quello che voi non gli date… Se state pensando ancora alla risposta, allora mettete il pupo a nanna e andate anche voi a letto cercando di non pensare alla valchiria che domani monterà vostro marito… ma se la risposta è no… accendete domani la tv all’una e trenta e la vostra Madame Pompadour vi svelerà il segreto per far impazzire di piacere il vostro uomo…”

 

Daibu si era addormentato, con il visino soddisfatto di chi ha saturato fino all’ultimo centimetro il piccolo stomaco, senza più nemmeno la forza di trattenere il ciuccio.

Solo qualche singulto di sazietà ogni tanto sembrava importunare il suo profondo e modulato respiro.

Lo poggiò nella sua culletta, con sguardo tenero di mamma, rimboccandogli le coperte fino alla spalla e fissandole bene sotto il materasso.

E socchiusa meglio l’imposta per evitare che la luce della luna piena rischiarasse troppo la stanza, lasciò il piccolo angioletto a riposare sereno.

Entrò nella sua camera e lo sguardo immediatamente le cadde su quella massa informe sotto le coperte, croce e delizia della sua vita.

Si avvicinò.

Tsubasa era disteso su un lato, nell’identica posizione in cui l’aveva lasciato, beato a sognare il Pallone d’oro o la prossima finale di Champions League contro Genzo.

Il bottone al centro del pigiama era sfuggito alla sua asola, cosicché il succlavio e il pettorale premendo sul braccio su cui era coricato, si evidenziavano in tutto il loro turgore.

E vedere il marito in una posa così inconsapevolmente sexy fece sì che le parole di Madame Pompadour tornassero a ronzare nella sua testa.

E per un attimo immaginò una valchiria bionda e procace che si dimenava su di lui.

Si tolse la vestaglia di dosso come una furia scagliandola contro la vicina sedia, anche perché cominciava a farsi insistente l’odore del latte rigurgitato da Daibu, mentre le ciabatte facevano una fine non migliore, scaraventate una all’aria e una sotto il letto.

Lei era in piena crisi esistenziale, svegliata nel cuore della notte, spossata dall’allattamento e ancor di più dai perversi giochi psicologici di quella sessuologa da strapazzo e lui… che faceva… se la dormiva alla grande…

Probabilmente se la casa fosse crollata, sarebbe morto nel sonno..

Concentrò tutte le forze che aveva in corpo per rimettersi a letto nel modo più elefantesco che potesse.. E un piccolo sussulto di soddisfazione si lasciò sfuggire quando atterrata sul materasso, vide il corpo di Tsubasa smosso dal contraccolpo e uno dei suoi occhi aprirsi a metà per capire quanto stesse accadendo.

“Arbirtrooo… ma questo.. è fallo…” mormorò, ruotando a pancia in su e riprendendo il suo sogno al ventunesimo del secondo tempo.

Ancora più inferocita si girò dall’altro lato tirandosi addosso tutte le coperte e lasciando il marito completamente scoperto.

 

*****

 

Tsubasa sentì correre lungo il corpo un brivido freddo.

Gli sembrava di avere tutti i muscoli intirizziti, come se avesse dormito esposto alle intemperie della notte.

Ma tastando avanti sé, sentì il soffice piumino d’oca avvolgerlo fino all’altezza del petto.

Non poteva sapere che Sanae, prima di alzarsi a preparare la colazione, lo aveva rincantucciato ben bene sotto le coperte, pentitasi, infatti, di averlo lasciato scoperto, quantunque non avesse ancora smaltito l’umiliazione della notte. Non aveva neppure dimenticato di aprire un po’ lo scuro, per far sì che i chiarori mattutini irrompessero gradatamente nella camera agevolando il suo risveglio.

Entrò in cucina e trovò il piccolo Daibu nel seggiolone, che si divertiva a sbatacchiare un pupazzetto a forma di dinosauro, di quelli che fischiettano se tastati.

Ma l’attenzione del piccolo fu subito distolta dal papà in avvicinamento.

E fatto volare via il giochino, cominciò dall’emozione a battere le manine come le aveva insegnato la mamma, donando il primo splendido sorriso tutto gengivale della giornata.

“Ma come siamo allegri stamattina” e così dicendo lo sfilò dal seggiolone e se lo portò su di un braccio, mentre con l’altro gli sistemava il bavaglino, finitogli sulla faccia.

Sanae era ai fornelli.

Tsubasa si avvicinò da dietro e la baciò sul collo: “Buongiorno!”

“Buongiorno” disse senza voltarsi.

Si sedette sulla sedia insieme a Daibu, che già aveva trovato un nuovo passatempo: infatti dal pigiama del padre un impertinente filo di cotone dell’imbastitura non voleva farsi catturare.

Restò lì ad osservare la moglie intenta nelle ritualità della prima colazione.

E quando lei si abbassò per pescare dal cassettone in basso i cereali, lo sguardo di Tsubasa cadde sul suo fondoschiena avvolto dalla vestaglietta rosa.

E la sensazione fu quella di un fitta al basso ventre che lui ben conosceva.

Da quando era nato Daibu sapeva che le giornate della moglie difficilmente avevano attimi di relax.

Una perfezionista come lei non avrebbe mai perdonato a se stessa di lasciare un letto sfatto o un cesto della biancheria pieno. La casa doveva essere sempre in ordine e il figlio sempre profumato di talco e vaniglia. Né avrebbe mai messo a tavola qualche cibo surgelato o preconfezionato.

E questo anche a costo di togliere tempo a se stessa e di giungere a sera con la forza solo di trascinarsi a letto.

Di una governante non ne voleva proprio sapere… una cosa del genere avrebbe ferito il suo orgoglio di donna di casa.

E l’unica cosa che lui poteva fare, quando la sua spossatezza diveniva palese, era lasciarla in pace … sotto le coperte… per quanto a volte la forzata astinenza diveniva davvero difficile da imporsi.

Proprio come qualche sera prima, quando l’aveva stretta a lui con tutta l’intenzione di fare l’amore, ma poi vedendo il suo volto stanco aveva preferito demordere, e l’assenza di ogni protesta di lei gli avevano confermato che forse era meglio così.

Sanae gli sistemò avanti la colazione.

“Grazie” le sussurrò, scostandole una ciocca di capelli che le era finita davanti agli occhi mentre si abbassava a prendere dalle sue braccia Daibu.

Per Sanae resistere a quello sguardo dolce che le aveva rubato l’anima ormai da tempi immemori  era impossibile. “Prego” fece sorridente.

Si sedette di fronte a lui, che stava per affondare la prima cucchiaiata nei cereali, e aperta la vestaglia tirò fuori un seno da offrire ad uno scalpitante pupo.

Tsubasa restò con la bocca semiaperta e il cucchiaio a mezz’aria.

Forse non si sarebbe mai abituato a vedere la moglie denudarsi con così tanta scioltezza.

Sapeva che era dettato dall’istinto materno, e che quindi risultava naturale anche per una ragazza riservata e pudica come la sua Sanae, che ancora arrossiva quando le sue carezze a letto si facevano più ardite.

E forse era proprio per questo che ogni volta vederglielo fare, gli portava letteralmente il sangue a ribollire nelle vene.

E per un attimo invidiò il figlio aggrappato a quel seno rotondo e gonfio di latte.

 

*****

Sanae aveva passato la giornata a rimuginare sul suo rapporto con Tsubasa,

Mentre rivoltava col mestolo il minestrone, meditava sulle raggelanti possibilità profilatele all’orizzonte da Madame Pompadour.

Suo marito era un calciatore bello, famoso e ricco, la ghiotta preda per qualche attricetta in cerca di notorietà o di un bel diamante da sfoggiare con le amiche.

E  lei avrebbe potuto fargli fare quelle esperienze a letto che un’ingenua ragazza di provincia quale si sentiva, non poteva neanche immaginare senza arrossire.

Forse la verità è che se da un lato avevano bruciato le tappe, in quanto a matrimoni e figli, dall’altro avendo avuto un fidanzamento per lo più telefonico, telematico e cartaceo, non avevano approfondito certi aspetti della loro vita assieme, se non dopo essersi sposati.

E fra Brasile, il giro dell’Europa e la gravidanza, infortuni, tornei e ritiri… beh non è che poi c’era stato tutto questo tempo per il sesso.

Non aveva dubbi sul fatto che Tsubasa provasse le stesse sue meravigliose emozioni nel fare l’amore, però effettivamente si rendeva conto che forse non gli sarebbe dispiaciuto se lei avesse avuto un po’più di audacia… di intraprendenza.

“… siete voi che dovete stuzzicare il suo appetito sessuale…”

Già Madame Pompadour aveva ragione.

Se ci pensava bene era sempre lui a dover prendere l’iniziativa… o quasi.

Sentì le chiavi ruotare nella toppa.

Tsubasa entrò, poggiando la borsa accanto all’uomo morto, e riponendo le chiavi nella casetta in legno, affissa al muro all’uopo.

Sanae stava imboccando Daibu: “Oh, guarda un po’ chi arriva… il paparino”

Il piccolo cominciò già ad esagitarsi nel seggiolone e quando Tsubasa si affacciò in cucina cacciò un urletto di gioia.

“Sanae mi lavo le mani così continuò a farlo mangiare io, mentre tu finisci di preparare la cena…”

“D’accordo… grazie”

 

Per Daibu la pappa era fatale.

Col pancino pieno, le palpebre cominciavano subito a calare… a stento si reggeva sul seggiolone.

“Dai, tesoro della mamma, un altro minutino e ti porto a letto…”

Mentre terminava la cena, Sanae si voltò verso il televisore, acceso sulla solita trasmissione preserale che presentava filmati amatoriali di incidenti spettacolari e salvataggi miracolosi.

Ogni tanto però una avvenente presentatrice spezzava la routine delle riprese, per spiegare brevemente il contenuto dello spezzone successivo.

Cavolo era sintonizzata su quel canale praticamente ogni sera e non si era mai accorta di quale maliarda avevano messo lì a presentare.

Pelle color d’ebano su curve mozzafiato; labbra carnose e occhi da gatta; riccioli soffici che incorniciavano il viso; trovarle un difetto non era difficile… ma impossibile.

D’istinto si voltò verso Tsubasa che guardava interessato, mentre consumava la cena.

Non bastava la valchiria bionda a insinuarsi nei suoi incubi… ora anche la pantera nera.

Tsubasa, sentendosi osservato, ricambiò lo sguardo della ragazza, con un sorriso: “Qualcosa non va Sanae?” fece con sguardo incolpevole.

“No no” mentì.

 

Si sentiva irrequieta.

Guardò il display lampeggiante: le ventidue e cinquantaquattro

Prese in mano la sveglia e la puntò: l’una e venticinque.

Si sentiva stupida… tremendamente stupida… ma forse era perché viveva a migliaia di chilometri da casa, senza una mamma o un’amica vicine a cui chiedere consiglio, che la spingeva a cercar risposte da quella esecrabile sessuologa.

Spense il lume e si coricò, ricoprendosi fino al naso con la coperta.

Dopo un po’ Tsubasa si infilò dall’altro lato.

Avvertì alle spalle la sua calda presenza, sempre più vicina e la sua pelle rabbrividì a quel sensuale contatto.

Ma pregò ardentemente che non avesse proprio quella sera strani pensieri… perché lei era troppo preoccupata e irrigidita per lasciarsi andare.

Sentì la mano del marito carezzarle il fianco e risalire intrepida lungo le costole, fino a stringerle un seno

Sanae si voltò verso di lui, sospirando con gli occhi semichiusi, nella speranza di sembrare già mezza addormentata.

Le labbra di Tsubasa si posarono leggere sulla sua bocca, dopodichè, come una lumaca che rientra nella sua conchiglia, riprese posto nella sua parte di letto.

La sua virilità stava subendo qualche duro colpo di troppo.

Va bene la stanchezza, però un secondo rifiuto, per quanto tacito, stava cominciando ad impensierirlo.

Forse lui non era così travolgente e passionale come lei avrebbe desiderato? Forse avrebbe preferito che le saltasse addosso e basta? Magari non era stanchezza, ma pura e semplice assenza di desiderio?

Guardò il suo viso nell’oscurità della notte… l’innocenza del suo sguardo… i suoi dolci sorrisi… la sua ingenuità era linfa vitale per lui… la forza per correre in campo… per reagire alle sconfitte… per affrontare ogni avversario gli si parasse di fronte… per segnare un altro goal.

Però non gli sarebbe dispiaciuto se qualche volta avesse osato un po’ di più con lui… lasciandosi andare nell’intimità a qualche gesto più ardito… a qualche carezza più temeraria.

 

*****

 

Sanae reagì al suono metallico della sveglia, come un rapace che si getta su una carogna in decomposizione.

Ma fu dettato da un riflesso incontrollato nei fumi del sonno, non certo dalla possibilità che Tsubasa potesse svegliarsi… per così poco.

Si alzò quatta, e sgattaiolò nel corridoio in direzione della stanza del piccolo.

Nell’avvicinarsi udì i suoni più belli che potevano arrivare alle orecchie di una madre: Daibu gorgheggiava allegro, sputacchiando saliva, facendo un discorso incomprensibile e insieme meraviglioso.

Con la manina stringeva il ciuccio dalla parte della tettarella, cercando goffamente di succhiarne l’impugnatura.

“Gheee.. ghee”

“Amore già sei sveglio… dai su” fece prendendolo in braccio “questa notte non importuniamo i vicini!”

Una finestra del salone era rimasta semiaperta e il vento faceva ondeggiare le tende in una danza ritmica e sensuale.

Sanae aveva già attaccato al seno Daibu, che aveva afferrato la mammella dopo qualche attimo di esitazione, forse frastornato dal fatto che quella notte non era stato necessario dar fiato alle trombe.

Accese subito la tv.

Il talk show era già iniziato e dovette attendere i discorsi vacui di un paio di ospiti insulsi, prima che

fosse annunciata lei.

Madame Pompadour.

La sessuologa.

La donna che l’aveva portata a mettersi in discussione.

Quando entrò in studio, la bocca di Sanae si aprì in una smorfia di sorpresa e incredulità.

Sembrava una donna completamente diversa rispetto alla sera precedente.

Sobria nei vestiti e nel trucco, capelli raccolti in uno chignon, misurata nel parlare e nel gesticolare.

“Buonasera amiche mie… sono contenta che vi siate sintonizzate di nuovo per ascoltare i miei piccoli consigli”.

Che l’avesse sognata la sua Madame Pompadour!

“Forse oggi il mio look vi ha lasciato perplesse… ma non vi preoccupate… non è un caso… siamo passate alla seconda fase del nostro percorso assieme!” disse con una dolcezza che ben si accordava con il suo accento francese.

“Mi spiace se ieri sono stata così aggressiva… ma era indispensabile per scuotervi e portarvi a riflettere su voi stesse e sul vostro rapporto di coppia… spero di non avervi turbato troppo…”

Quasi senza pensare nemmeno a quello che faceva, trattandosi di un gesto ormai automatico, si portò sulla spalla Daibu per il ruttino.

Solo quando sentì il flato e una sensazione calda, si ricordò di quanto di nuovo aveva dimenticato:

“Oh… il pannetto..”

Vabbè, un’altra vestaglia da lavare… pazienza… ora aveva ben altro a cui pensare.

Madame Pompadour si accomodò su uno sgabello.

“Molto spesso ci si lasciamo prendere dalla routine della vita, dalle mansioni di tutti i giorni… spesa, cucina, panni da lavare… e ci dimentichiamo di curare un po’ noi stesse, di coccolarci e di ritagliare qualche piccolo spazio per le nostre esigenze. E questo inevitabilmente si riverbera sulla nostra vita di coppia, perché siamo nervose, stanche e ci sentiamo meno attraenti per i nostri uomini…”

Adesso sì che sembrava una vera psicologa… calma… pacata… e con quel fare così caldo… come se conoscesse la storia di una per una le sue telespettatrici.

“Così non va bene… perché finiamo per diventare insoddisfatte, di noi stesse, di chi ci è accanto…”

Sanae guardò Daibu che ormai era lì lì per addormentarsi, con un viso rilassato di chi non conosce preoccupazioni e problemi.

Era vero… per correre dietro alla casa, a Daibu, allo stesso Tsubasa, aveva annientato se stessa, aveva posposto tutte le sue esigenze per essere una moglie, una madre, una casalinga perfetta… per di più senza che nessuno glielo chiedesse… non di certo Tsubasa che le ripeteva sempre di non strafare, e stava per finire sbranato quando aveva timidamente accennato alla possibilità di una colf… non certo Daibu, per il quale era sufficiente poppare regolarmente e avere anche il più insignificante dei giochini a portata di mano… e a cui non importava nulla  se la tutina aveva una qualche macchietta, o il bavaglino ero un po’ troppo bagnato di saliva.

 “Dovete volervi bene… solo così vi sentirete attraenti… sexy… belle… e se ne accorgerà anche lui..”

“Ben detto” disse, alzando il pugno con aria di chi voleva raccogliere quella sfida.

“E allora perché domani non vi concedete un bel bagno negli oli profumati… non andate dal parrucchiere.. potreste passare in qualche negozio di lingerie, e acquistare qualcosina di seducente per stimolare la sua fantasia… osate.. lasciate da parte le inibizioni… e fategli capire che siete voi le padrone del suo cuore e del suo corpo..”

Sanae era affascinata dalla grazia di quella donna, dalla delicatezza della voce, dal modo incantevole con cui muoveva le mani e il corpo.

“Sono sicura che in cuor vostro sapete che cosa lui vuole e cosa volete dargli… non abbiate paura di tirare fuori la vostra femminilità… di lasciarvi andare a cose nuove e ardite.. travolgetelo con tutta la passione che avete in corpo… e vi assicuro non ci sarà valchiria che potrà sperare di essere sfiorata anche solo con lo sguardo… perché lui avrà occhi solo per voi..”

 

Era di nuovo sotto le coperte… per nulla assonata… a ripensare alle parole di Madame Pompadour, e nel contempo guardava il suo Tsubasa, che dormiva quieto, con la stessa espressione del figlio disegnata sul volto.

No che non avrebbe permesso a nessuna di avvicinarsi a lui… lui era suo… lo era sempre stato… ed era lei che doveva soddisfare ogni suo desiderio…

Si avvicinò… gli baciò le labbra… come a ripetere a lui la promessa che aveva fatto a se stessa.

 

*****

 

Tsubasa scese dalla macchina, tirandosi dietro il voluminoso borsone, chiudendosi alle spalle la portiera, e dirigendosi a passo spedito verso l’ascensore.

Era stato piuttosto deconcentrato e nervoso per tutti gli allenamenti.

Lo sapeva bene Gonzales che avrebbe avuto gli stinchi indolenziti per un paio di giorni, per  tutti i pestoni che aveva preso.

Sanae gli era sembrata molto strana quella mattina.

Era preoccupato… erano un paio di giorni che aveva quella impressione… forse c’era qualcosa che non andava di cui lei non gli aveva parlato… e aveva tutta l’intenzione di scoprirlo a cena.

Entrò in casa. Mentre si accingeva a risalire il piccolo scalino che dava nel salone, sussultò ritrovandosi Sanae davanti, che cintogli il collo con le braccia, di slancio lo baciò, così ardentemente da fargli quasi perdere l’equilibrio.

Il borsone scivolò giù dalla spalla per finire a terra, permettendogli di avere il braccio libero per stringerla forte.

E quando lei scostò le labbra dalle sue, Tsubasa la tirò nuovamente a sé… perché di quei baci caldi e appassionati non ne avrebbe avuto mai a sufficienza... non gliene sarebbero bastati dieci, cento o mille.

Fu lei di nuovo a staccarsi.

“Mi sei mancato” gli sussurrò, mentre le loro bocche ancora vicine e umide, pulsavano desiderose di un altro intimo contatto.

Ma lei, divincolatasi dal suo abbraccio, dopo avergli rivolto un ultimo sguardo ardente, si allontanò, senza aggiungere altro.

Tsubasa restò lì fermo per qualche secondo.

Quel bacio così travolgente e inaspettato lo aveva gettato in una specie di incosciente oblio… dei pensieri che lo avevano assillato per tutto il giorno… della stranezze della moglie… dei suoi rifiuti a letto.

L’unico richiamo che sentiva ora era quello forte e martellante della sua mascolinità.

Entrando in cucina notò il seggiolone stranamente vuoto.

“Oggi l’ho portato al parco qui vicino… si è divertito da matti con tutti quei bimbi che lo intrattenevano… era talmente stanco che ha lasciato anche un po’ di pappa” esclamò Sanae, che aveva letto i pensieri del marito.

La risposta che ebbe fu un suono gutturale di assenso.

Tsubasa era troppo concentrato a guardare l’ancheggiare della moglie, che si muoveva da un lato all’altro della cucina, fra spezie, pelati e passaverdura, dandogli per lo più le spalle, e impedendogli di ricercare nelle espressioni del viso qualche indizio che gli svelasse cos’era quella tensione palpabile che aleggiava nell’aria.

E quando il suo sguardo cadde su quello che riteneva essere il fondoschiena più bello che avesse mai visto, uno sfrontato lembo di pizzo nero che fuoriusciva tentatore dai pantaloni a vita bassa, chiamò a rapporto tutti i suoi ormoni.

Sanae sapeva che l’accoglienza fuori dall’ordinario che gli aveva riservato, aveva già creato una strana atmosfera di novità e di attesa, di sguardi sfuggenti e di pensieri proibiti.

E mentre stava provando, senza però riuscirci, a raggiungere un barattolo riposto sull’ultimo piano della credenza, avvertì un calore diffuso avvolgerla da tergo, mentre una mano forte le cingeva la vita, e l’altra, arrivando più in alto afferrava solida quanto la sua media statura non le aveva permesso di prendere.

La ragazza allungò avanti a sé le mani sul barattolo offertogli come un  dono, poi reclinando un po’ la testa in modo da premere sul suo petto gli sussurrò flebilmente: “Grazie”.

E nello spostarsi verso i fornelli, per districarsi da quel labirinto di muscoli, si strusciò sul corpo di Tsubasa, che non si spostò di un millimetro, per sentire appieno le curve della moglie che stuzzicavano audaci i suoi punti più sensibili e il profumo dei suoi capelli, che inebriava i suoi sensi ormai in allerta.

Per quanto il suo istinto gli dicesse di strapparle i vestiti da dosso e di farla giacere sul tavolo, quel clima di maliziosa attesa lo indusse ad aspettare mansueto la prossima mossa che lei avrebbe fatto.

Non la perdeva di vista un attimo, perché ogni suo movimento, delle mani, del collo, del bacino sembrava misurato per fargli perdere completamente lucidità.

E stanco di fare violenza a se stesso la tirò, forte e delicato al contempo, per un braccio, per costringerla a voltarsi, e per impadronirsi di quelle labbra vogliose almeno quanto le sue.

Nel baciarla con tutto il marasma di sensazioni che gli fremevano in corpo, la spinse contro il mobile in cui era incastonato il lavabo, per costringerla a sentire completamente la sua eccitazione.

Sanae che mai avrebbe creduto di poter così facilmente tirare i fili dei sensi del marito, così come un burattinaio fa con le sue marionette, per quanto avrebbe voluto abbandonarsi completamente, per far sì che lui potesse disporre del suo corpo come meglio credesse, con le mani puntate sul suo petto, lo allontanò.

“E’ pronta la cena” fece con un’aria innocente e per questo ancor più stuzzicante.

Questa volta era lei a voler condurre le danze… era lei la predatrice che avrebbe deciso quando attaccare.

E Tsubasa la assecondò col sorriso di chi voleva stare al gioco: “D’accordo”.

 

Sanae alzava e abbassava lo sguardo dal piatto, come per rincorrere, nascondersi, sfidare ripetutamente quello di Tsubasa  puntato costantemente su di lei.

La televisione era come al solito accesa, e nessuno dei due si era mostrato minimamente interessato a riportare l’audio, che era stato abbassato durante la pappa di Daibu, a decibel comprensibili.

“E’ andata bene la tua giornata.. Sanae?”

Chiese portandosi alle labbra un altro boccone.

“Si grazie e a te?” gli rispose sorridendo.

“Come al solito!”

Sanae non credeva di potersi ritrovare così bene in quelle vesti di seduttrice… di riuscire a cogliere ogni  tumulto di lui di fronte al  suo piglio malizioso o a un movimento del suo corpo più flessuoso e conturbante.

Sotto il tavolo, con la gamba accavallata, strusciava sul suo polpaccio, con movimenti lenti e accattivanti e lui, per nulla dispiaciuto della cosa, l’aveva avvicinata per agevolarla in quelle fusa da gatta in amore.

Nello sparecchiare assieme ogni minima occasione fu sfruttata per sfiorarsi in contatti fintamente fortuiti, per rivolgersi occhiate di fuoco e parole a fior di labbra.

Tsubasa si avvicinò a lei che stava sciacquando i piatti per sistemarli in lavastoviglie.

Le pose le mani sui fianchi e con il suo respiro che le solleticava il lobo dell’orecchio le mormorò: “Vado a controllare Daibu, poi ti aspetto sul divano”.

Lì infatti, davanti a qualche film, se non c’era nessuno speciale sul calcio o qualche interessante incontro, nella normalità dei casi, si trascorreva il dopocena. Ed era lì che aveva intenzione di far abbassare le carte alla moglie, perché la partita che stavano giocando volgeva alle battute finali.

 

Tsubasa era stravaccato sul sofà , con la testa chinata indietro sullo schienale, le gambe incrociate e allungate avanti e le mani leggermente infilate nelle tasche dei jeans, in posizione di chi si stava stufando di aspettare: e infatti il suo sguardo era puntato non certo sul teleschermo, ma sull’oggetto di un desiderio che stava diventando incontrollato e irrefrenabile e che si muoveva ancora in cucina fra pentole e stoviglie varie.

Tutta quell’attesa era più che sufficiente… e promise a se stesso, che se non fosse arrivata sul divano entro tre minuti, sarebbe lui andato a prenderla.

Ma Sanae si appropinquò felina.

Appoggiatasi con un ginocchio sul sofà e con una mano sulla spalla di Tsubasa si allungò per raggiungere qualcosa che era poggiato sul mobile alle spalle del marito, permettendogli di inalare il profumo degli oli essenziali con cui aveva idratato la pelle.

E proprio nel momento in cui Tsubasa ormai aveva deciso di dire addio ad ogni forma di autocontrollo, vide la ragazza accomodarsi tranquillamente e iniziare a sfogliare la guida tv.

Rimase interdetto per qualche secondo, prima di capire di essere diventato un balocco per trastullarsi, nelle mani della moglie.

Sanae dal canto suo prese a commentare come ogni sera i film che sarebbero passati in televisione, non degnandolo neppure di uno sguardo: “Stasera su Tele Cinco c’è quel film con Josh Hartnett che vedemmo al cinema a Fujisawa, ti ricordi, con….”

Afferrata con una mano la rivista, Tsubasa la strappò dalle mani della moglie, facendola volare dietro la tv, e prima che lei potesse protestare la sua bocca si era già avventata sul collo della ragazza, con le dita che intanto disegnavano linee di fuoco sul suo decoltè.

“Ma tesoro…” cercò di opporsi con voce che tradiva quanto gradisse quelle attenzioni.

E quando la mano di lui incontrò sotto il maglioncino di filo, il setoso e  graffiante pizzo della sua biancheria, riempita dal seno reso generoso dalla gravidanza, ormai senza freni la ricoprì con tutto il suo fisico, perché neppure un centimetro del suo corpo sfuggisse alla sua presa.

Sanae dopo un debole tentativo di resistenza, dovette arrendersi e offrire in sacrificio al suo dio greco la bocca, per fargliela baciare, sfregare e torturare come non mai dalle sue labbra e dalla sua lingua.

Avrebbe voluto ancora per un po’ tenerlo in suo pugno… ma non aveva più forze per arginarlo..

Ma proprio in quel momento il suono inopportuno del telefono li riproiettò nella realtà.

Tsubasa sembrava non volersi muovere di lì, ma sotto le insistenze della moglie si rimise a sedere mentre Sanae col corpo ancora cinto dalle braccia di lui, afferrò il cordless sul  tavolinetto.

“Pronto” fece cercando di riportare i suoi toni a livelli di normalità.

E dopo aver sentito la voce del suo interlocutore aggiunse: “Ciao Roberto… tutto bene?”

Al sentir pronunciare quel nome, Tsubasa contrasse il viso, seccato, sospirando profondamente e lasciando che la testa reclinasse indietro sulla spalliera del sofà.

Sanae non avrebbe mai pensato di poter vedere suo marito infastidito da una telefonata del suo guru e maestro spirituale.

Gli porse il telefono senza nascondere un sorriso divertito: “E’ Roberto” disse come se lui non avesse già capito, giusto per canzonarlo un altro po’.

“Pronto… sì ciao…”. E giù a scambiarsi i soliti convenevoli.

Tsubasa non era per nulla interessato agli argomenti della conversazione, non aveva nemmeno la lucidità per seguirli, ma la sua venerazione per Roberto gli impediva di troncarlo e rimandarlo a qualche altra volta.

E Sanae ancor più compiaciuta andò, mentre lui parlava, a stuzzicare il lobo del suo orecchio, con baci e morsetti ripetuti.

Tsubasa ormai si limitava a replicare con si, no, forse privi di senso… inebetito sotto i colpi della moglie.

Con ancor più impertinenza però, la ragazza smise con tutta l’intenzione di lasciarlo là a sorbirsi la telefonata.

Ma la morsa serrata di lui non dava segno di volerla liberare.

“Roberto.. attendi un attimo in linea per favore..” e così premuto il mute sul cordless e lasciatolo scivolare su un cuscino, riagguantò bene la moglie “..tu non ti muovi di qui..” fece con tono autoritario.

Dopodichè riafferrò il telefono per proseguire la conversazione.

Quegli occhi di brace e quell’accento dittatoriale nella sua voce la fecero ancor più accalorare e così, da bambina ubbidiente, invece di dibattersi, lo strinse di più, mettendosi a cavalcioni, in modo tale da poter riprendere più comodamente a torturargli il collo.

Tsubasa era concentrato solo a posizionarsi in modo da raccogliere ogni vibrazione di Sanae, deciso ormai a liquidare in qualche modo Roberto.

Ma quest’ultimo gli chiese di appuntarsi il numero di non sapeva chi… per fare non sapeva bene cosa…“Si ora me lo segno.. aspetta..”

Cercando di riassumere il controllo di se stesso, si guardò attorno alla ricerca di carta e penna: ma gli unici fogli che intravedeva erano quelli della rivista che era stata lanciata all’aria e che ora giaceva alle spalle della televisione… e di penne neanche l’ombra.

Sanae che da quella posizione riusciva a sentire le parole di Roberto, si staccò da lui, questa volta col suo consenso, e andò a recuperare dal cassetto dell’etager un foglietto e una biro; si piegò sulle ginocchia per appoggiarsi al tavolinetto che separava il divano dal tv color, pronta al dettato.

“Ok vai…” facendole cenno di scrivere “855.. 79.. 822..”

Mentre lei rimetteva il cappuccio alla penna, Tsubasa seguiva guardingo i suoi movimenti per capire che intenzioni avesse.

E quando la vide alzarsi furtiva, certo che volesse approfittarne per sottrarsi di nuovo a lui, con un rapido scatto cercò di afferrarle il braccio.

Ma Sanae, più lucida e più veloce, prima che potesse agguantarla, si era già tolta dal suo raggio d’azione e raggiunta la porta lo lasciò dov’era, non prima però di aver raccolto il suo sguardo terribilmente e sensualmente minaccioso.

 

La conversazione con Roberto, per quanto ridotta ai minimi termini, continuò per alcuni minuti.

Riagganciato il microfono e ricollocato il telefono sulla base, si diresse scattante verso la camera da letto… ora niente gli avrebbe impedito di prendersi quello che la moglie impertinente e sfrontata fingeva riluttante di non volergli dare.

Entrato nella stanza convinto di dover ingaggiare una nuova lotta, se la ritrovò di fronte con indosso una lucida, nera, corta, sexy vestaglietta di seta.

Si avvicinò adagio a lei, mentre i suoi occhi infiammati di passione erano un richiamo ancor più forte del canto delle sirene per Ulisse.

Afferrati i due fili della cintura, Tsubasa ne tirò lentamente uno, affinché il nodo si slacciasse.

Risalì, con le dita che sfioravano la stoffa e la sua pelle… prima il ventre.. poi il seno… e infine raggiunte le spalle, lasciò che la veste scivolasse impercettibile lungo il suo corpo, per avvolgersi su se stessa sul pavimento.

E nel vedere quell’audace corpetto di pizzo, che quasi non conteneva le sue forme, e quegli slip trasparenti che lasciavano ben poco all’immaginazione, e della cui visione furtiva in cucina serbava ancora il ricordo, pensò di non essersi mai accorto che sua moglie non era una comune terrestre, ma una divinità inarrivabile di bellezza e sensualità.

Sanae, irruentemente, inaspettatamente, passionalmente lo costrinse a coricarsi sul letto, per risalire lungo il suo corpo come una pantera che annusa una preda indifesa.

E dopo che autoritaria gli aveva sfilato il maglione e i jeans, senza che lui cercasse di opporsi in alcun modo, cominciò a seviziare il suo collo, e più giù il suo pettorale, discendendo verso luoghi mai saggiati prima.

Tsubasa per quanto sorpreso di tanta audacia e di tanto mestiere, lasciò che il suo corpo godesse appieno di quelle nuove sensazioni, di quel piacere che la moglie generosamente e appassionatamente gli stava dando.

E quando se la ritrovò sopra, dopo essersi lei stessa sfilate le mutandine, fremente come non mai di prendersi quello che voleva, la circondò con le braccia per strapparle via quel delizioso corpetto e lasciare che i suoi seni potessero danzare liberi al ritmo dell’amore.

Ne afferrò uno, mentre con l’altra mano premeva sul fianco di lei.

Strinse delicatamente quella coppa piena e turgida, per acciuffare fra le labbra il capezzolo gonfio e bagnato, e sentire sotto il palato il sapore di quell’essenza meravigliosa, che incontrollata usciva ad ogni pressione della mano e della bocca.

Che stupido che era stato a pensare che a causa dell’allattamento, potesse darle fastidio o dolore una cosa del genere:  i suoi gemiti di piacere di certo non deponevano per il contrario.

Sanae afferrò il suo collo e si avvicinò al suo orecchio: “Ricordati bene che tu sei mio… solo mio..” disse con voce rotta dal piacere.

Tsubasa ubriacato da tanta possessività, le afferò le natiche e la rivolse sul letto per riportarla nella posizione da maschio dominante, dopo che lei come una mantide religiosa le aveva imposto il suo volere. 

E mentre spingeva in lei, a un centimetro dalla sua bocca, gli fece: “No cara… guarda che sei tu che sei mia” mentre ancora più forte la possedeva, per raggiungere insieme le vette e i parossismi del piacere.

 

La sua mano scendeva e risaliva dolce e lenta lungo la guancia.

Sanae coperte le sue nudità con il lenzuolo, era poggiata sulla spalla di Tsubasa con gli occhi chiusi e il respiro ormai tornato regolare.

Le tirò su il mento e le baciò le labbra socchiuse: “Mi sa che ti ho un po’ trascurata ultimamente… non avevo capito proprio niente… ”

“No non è vero… è colpa mia… mi tengo troppe cose dentro.. e a volte non le ammetto neanche a me stessa” disse lei riaprendo gli occhi.

La contemplò col più tenero degli sguardi innamorati: “Sono io lo stupido che pensava che fossi troppo stanca per avere il desiderio per certe cose…”

Sanae arrossì leggermente: “Si… però io non ho mai fatto nulla per farti pensare il contrario!”

La sua piccola Sanae: passionale e temeraria sotto i fumi del piacere un attimo prima, timida e innocente ora che la razionalità aveva ripreso il controllo.

Un lamento riecheggiò nel corridoio.

Tsubasa tese l’orecchio: “Ma è Daibu?”

Sanae si voltò verso la sveglia, per valutare se effettivamente fosse arrivata l’ora della pappa: “Mi sa che è ancora presto!”

Ma un altro vagito più prepotente si aggiunse al primo.

“E’ Daibu” confermò la ragazza.

“Aspetta te lo porto qui”.

Tsubasa, si alzò, ma prima che raggiungesse la cameretta accanto, il piccolo stava già urlando selvaggio e disperato.

Sanae dal letto sorrideva al pensiero della potenza che quel piccolo fagottino riusciva a sprigionare. Lo sentì improvvisamente acquietarsi, segno che il padre era giunto a destinazione.

E quando rientrò nella camera da letto col figlio in braccio, le chiese stupito: “Ma… piange in questo modo ogni notte?”

“No… solitamente peggio… questo era solo il do” fece Sanae con aria di chi, assieme ai vicini, assisteva quotidianamente al concerto di strilli e strepiti.

“Ma… come faccio a non sentirlo… non è che sono malato… una malattia del sonno?”

“Ah può darsi… secondo me non ti sveglieresti neppure se un elefante si coricasse al tuo fianco” disse sorridendo ai ricordi della notte precedente.

E mentre lei si tirava su per posizionarsi per la pappa del figlio, Tsubasa guardò seriamente Daibu: “Ehi mocciosetto, ricordati che sono metà per ciascuno… non è tutta roba tua”

Sanae divertita allungò le braccia per farselo passare: “Dammi il pupo… e comunque si da il caso che questa è roba mia… e decido io a chi, come e quando darle!” fece insolente.

Tsubasa che intanto si stava rimettendo al suo fianco sotto le coperte, le rivolse uno sguardo di disapprovazione e si avvicinò al suo orecchio: “Te l’ho detto già…. tu sei mia… glielo concedo giusto perché è nostro figlio” rimettendosi un attimo dopo sul cuscino, mentre Sanae lo osservava con aria di chi fingeva di sottomettersi al suo padrone, ben sapendo chi era in realtà a comandare.

Mentre Daibu succhiava sereno, la ragazza accarezzò con una mano la gota del marito, visibilmente attratto dalle braccia di Morfeo: “Amore dormi… Wakabayashi è già pronto fra i pali a ricevere i tuoi tiri da fuori area… non farlo aspettare..”

“Ma chi ti dice che sogno queste cose…” rispose un po’ offeso.

“Sesto senso femminile…” rispose compiaciuta.

“Sanae…”

“Sì..”

“Ti amo…”

“Ti amo anch’io…”

 

Tsubasa era ormai partito per il mondo dei sogni e il fischio d’inizio era stato dato; Daibu, non diversamente, si era assopito appagato dalla poppata, e ormai dormiva tranquillo nella sua culla.

Nell’attraversare il corridoio, lo sguardo di Sanae cadde sul monitor del tv color, nel salone. Sotto, il display del videoregistratore segnava l’una e trentacinque… l’ora di Madame Pompadour.

Dopo un attimo di indecisione si portò nel salottino.

Accese e lei era lì… bella e radiosa come il giorno precedente.

“… l’amore è come una pianta, va coltivata, innaffiata, curata, altrimenti rischia di inaridire e di morire. Ha bisogno della luce del giorno, ma che non siano raggi troppo forti e violenti… di fresca acqua per dissetare le sue radici… di sapienti mani che recidano le foglie secche… sono le stesse cure che dovete offrire al vostro uomo… tepore, ma  anche ventata di aria fresca…  passione e devozione, ma anche dolcezza e comprensione … senza mai dimenticarvi di voi stesse e di meritare le stesse identiche attenzioni che gli donate ogni giorno…”

Era davvero rilassante stare ad ascoltarla.

Il presentatore ripresa la conduzione dello show, invitò Madame Pompadour a leggere qualche messaggio delle spettatrici a casa.

“Grazie per tutte le belle parole che mi avete scritto… ci terrei molto a leggere questo sms… Dolce Madame Pompadour grazie dei suoi consigli… grazie per avermi fatto capire di dover prendermi cura anche di me stessa qualche volta… di ascoltare le mie emozioni e quelle di chi mi è accanto… la pianta del mio amore è verde e rigogliosa più che mai…grazie  S.N. Mia cara S.N. io ti ho permesso soltanto di guardare il meraviglioso mondo che è dentro di te e di eliminare le inutili barriere che avvincevano il grande amore che nutri per tuo marito…  null’altro… è solo a te, alla splendida persona che non ho dubbi sei, che devi dire grazie”.

Sanae guardò lo schermo del suo cellulare e cancellò il messaggio appena inviato.

Serena e rilassata come non mai spense il televisore, per andare finalmente a dormire sonni tranquilli.

                                      

                                                 

  *** Anais  ***

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Amore, palloni, pannolini e... la magia del Natale ***


 

 AMORE, PALLONI, PANNOLINI E...

                                                       

                                                                          LA MAGIA DEL NATALE

 

 

 

Il Natale è una festa magica, perché ognuno di noi sente il desiderio di rinascere dentro, di far fiorire nel proprio cuore dei sentimenti nuovi, di ricevere e di donare un po’ di pace e  serenità.

Ed è in questo giorno che più forte si avverte la necessità di stare accanto alle persone che si amano, di far capire quanto siano importanti e speciali per noi, e quanto abbiamo bisogno del loro sostegno.

 

 

* * * * *

 

 

*  24 dicembre  *

Flash elettrici e bagliori fulgidi si stagliavano nel plumbeo cielo invernale, creando un gioco di luci e di sagome scintillanti i cui riverberi filtravano, opachi e schermati, attraverso i nembi violacei carichi di pioggia, che minacciosi impedivano alla volta stellata di rifulgere.

E quelle scariche elettrostatiche lasciavano immaginare che, al di sopra di quel manto ombroso, si stesse consumando uno degli scontri mitici fra Zeus e qualche altra divinità, che incauta o inesperta, aveva osato lambire l’eterea fanciulla prescelta dal sommo dio per soddisfare e affondare in essa la lussuria della sua pur umana carne.

Sanae era seduta su una gelida panchina con gli occhi rivolti in alto ad osservare quel tetro, ma allo stesso tempo accattivante spettacolo naturale.

Nonostante il suo caldo cappotto, sentiva ormai l’umidità penetrarle fino alle ossa; i piedi le dolevano dal freddo e dalla stanchezza; le dita delle mani, per quanto avvolte nella lana dei suoi candidi guanti, erano divenute rosse e screpolate; e anche il suo umore non poteva dirsi dei migliori.

Quell’anno l’inverno aveva deciso di mettersi d’impegno e scatenare temperature polari che non si raggiungevano da almeno quarant’anni; ed erano in molti a sperare che le perturbazioni aumentassero per passare le feste in una città imbiancata di neve.

Erano ormai le 18:45, sconfitta e demoralizzata, torturava pensierosa l’orlo della sua gonna: non era riuscita a trovar nulla di speciale da regalare a Tsubasa, in quel giorno di Vigilia di Natale.

Le strade di Barcellona erano gremite di persone: guardando l’orizzonte, una massa indistinta ed ondeggiante di volti sorridenti avanzava lentamente, assorti davanti alle vetrine addobbate, stretti nei loro caldi soprabiti invernali, soddisfatti degli ultimi acquisti da sistemare sotto l’albero prima della mezzanotte.

La città era uno scintillio di luci e di colori, che facevano da contraltare a quel firmamento offuscato ed arrabbiato. Le lampadine fluorescenti rischiaravano a giorno le strade ed era impossibile inoltrarsi in qualche viuzza laterale che non fosse inondata dalle musiche natalizie e da bancarelle piene di leccornie e di piccoli souvenirs, assaltate da esaltati astanti.

Aveva spulciato tutti i negozi del centro, dalle piccole botteghe ai grandi magazzini, ma non era riuscita ad acquistare nulla; pochi passi prima di raggiungere la cassa per pagare, e si accorgeva di avere fra le mani una chincaglieria qualsiasi, spinta solo dal desiderio di non tornare a casa senza nessun dono per il marito da mettere ai piedi del grande abete. Così puntualmente tornava indietro per riporre sul proprio scaffale l’insulso e banale oggetto, che sarebbe presto finito nella sporta di qualche altro ritardatario come lei.

Per ironia della sorte, doveva constatare che era stato molto più semplice fargli regali da ragazzina, quando non aveva che poche centinaia di yen in tasca, e bastava qualche filo colorato da intrecciare, o un dolce impastato con tanto amore, che adesso che, grazie al cachet stellare di Tsubasa, avrebbe potuto con tutta tranquillità entrare nella gioielleria più cara della città, per acquistare un rolex, un paio di gemelli con brillanti, o qualsiasi altro monile inaccessibile ai più.

Ma che poteva importare di cose del genere al suo capitano?

Non gliene era mai fregato nulla della moda, dei vestiti eleganti, dei party, o di qualsivoglia altro aspetto che connotasse la vita mondana degli altri giocatori del suo calibro. Lui era e sarebbe stato sempre e soltanto un innamorato cronico del pallone e pensava, con una punta di fierezza mista a speranza, della sua manager e del loro bimbo.

A che cosa gli sarebbe servito l’ennesimo maglione o peggio ancora una cravatta?

Non certo per andare a cena fuori o al cinema, visto che da quando era nato Daibu e con l’ossessione dei giornalisti, quelle cose, già prima sporadiche, erano ormai ricordi lontani.

E di questo non era affatto dispiaciuta, perché, a dispetto di quello che avrebbero potuto pensare occhi esterni, ciò non significava affatto che la loro vita di coppia fosse monotona o che lui non fosse una persona estremamente dolce e romantica.

Eh già! Il suo Tsubasa non era come tutti gli altri uomini che cadevano nei più banali clichè della cena a lume di candele, delle passeggiate sulla spiaggia al chiaro di luna o del film d’amore in una sala vuota.

Chi poteva dire di aver avuto per biglietto di buon Natale un intero prato sommerso di neve  o una dichiarazione d’altri tempi, con tanto di inchino regale e pegno d’amore, in uno stadio vuoto, illuminati solo dal riflettore puntato su di loro come in una rappresentazione di Romeo e Giulietta.

E le chiacchierate fino a notte tarda a parlare di schemi di gioco e di nuovi talenti, o ad assistere insieme a qualche scontro fra titani del calcio, che fosse dagli spalti del Nou Camp o dal più confortevole divano di casa loro.

Per non parlare di tutti i goal e le vittorie che le aveva dedicato, baciando e puntando al cielo la fede.

Certo... tutto era direttamente o indirettamente legato ad una sfera bianca... ma lei lo amava così, se ne era innamorata anche e soprattutto per la sua infinita passione per il calcio, per la determinazione ad arrivare, per l'impegno profuso senza sosta, per la volontà ferrea dimostrata negli anni.

Si ritrovò a sorridere a quei pensieri, ma un altro bagliore foriero di pioggia, la ridestò: “Ecco sto sfarfallando con la mente, invece di pensare al fatto che non ho nulla da regalargli…” riflettè fra sé e sé, rialzandosi da quel duro blocco di ferro, mentre le vie cominciavano a sfollarsi, e tutti si accingevano al rientro nelle proprie abitazioni per i festeggiamenti.

“Stupida… così impari a ridurti all’ultimo giorno!”

Come un cilicio per far penitenza, così con quelle parole cercava di autopunirsi per essere stata, a suo parer, fatua e superficiale.

 

Si sentiva distrutta e intravedere da lontano il cancello della loro villa, in cui da poco si erano trasferiti, ma che già aveva quella familiarità ritemprante, sembrò darle quel po’ di forza che le serviva per arrivare alla porta di casa.

Già pregustava il caldo ambiente domestico, il crepitare del legno nel camino, il profumo di pino silvestre che si mescolava a quello di crostata alle amarene che aveva sfornato nel pomeriggio, i dolci acuti di Daibu, e gli occhi amorevoli di Tsubasa.

Sospirò ancora una volta al pensiero di ritornare a mani vuote.

Tra le strette sbarre riuscì ad intravedere la macchina del marito ferma nel vialetto, ma dalle finestre non proveniva barlume alcuno; solo al piano di sopra, si accendevano ad intermittenza le luci di quel babbo natale opalescente attaccato ai vetri della cameretta del piccolo Daibu.

Ma per il resto nessun altro segno di vita si scorgeva nel buio della notte.

Entrata all’interno si diresse subito verso l’ ingresso e girate le chiavi nella serratura, aprì la porta e infilò la mano alla ricerca dell’interruttore.

“Tsubasa” gridò, mentre gli appliques risvegliavano dal buio il salone e la sua voce produceva una piccola eco che si perdeva prima di raggiungere il piano superiore.

Il camino era spento e la casa, in quelle ore di assenza, si era raffreddata.

Guardò sul ripiano di marmo del mobile accanto alla porta d'ingresso, sul quale Tsubasa riponeva solitamente le chiavi, dopo averle tolte dalle tasche.

Al loro posto un piccolo post-it portava la grafia del calciatore: “Arrivo in centro a fare gli auguri a Gonzales e ad altri amici, torno presto. Tsubasa”.

Dunque,  dopo essere rientrato, era uscito di nuovo, questa volta a piedi.

“Speriamo solo che abbia coperto bene Daibu, fa così freddo stasera!”

Ma, in effetti, Tsubasa era un padre premuroso, che sapeva prendersi cura del figlio molto più di quanto sapesse fare di se stesso. Per questo, c’era piuttosto da domandarsi se lui si fosse ricordato di prendere per sé i guanti e la sciarpa.

 

Ravvivato il camino, dopo aver smosso la cenere e riportato in vita i tizzoni ancora ardenti che attendevano soltanto qualche virgulto secco da divorare nelle fiamme, Sanae prese a preparare la cena, che quella sera doveva essere tradizionalmente speciale, canticchiando un allegro motivetto, sulla base del rumore di pentole e piatti.

E quasi senza accorgersene, indaffarata nelle sue adorate attività culinarie, le lancette dei minuti dell’orologio compirono un giro completo, segnando un’altra ora in quella frenetica giornata.

Quando però se ne rese conto, decise di fare una chiamata sollecitatoria al suo maritino, dato che, conoscendolo, avrebbe potuto perdere la cognizione del tempo essendo con persone con cui poteva lasciarsi andare ai suoi discorsi preferiti… calcistici ovviamente.

Si affacciò nel salone e vide che il cordless non era la suo posto, anzi, riflettendoci, non lo vedeva in giro da un po’.

Pigiò il pulsante sulla base, e solo tendendo l’orecchio, riuscì a sentire impercettibilmente il trillo che proveniva di certo dal piano superiore.

E quasi come una caccia al tesoro salì le scale cercando di avvicinarsi alla fonte, fino a giungere in bagno, dove il rumore era più insistente: con sua meraviglia lo ritrovò nella cesta della biancheria dove riponeva, pronti all’uso, gli asciugamani puliti.

Agitandolo con una mano, esclamò: “Ah ora ricordo come sei finito qui dentro..."

 

 

 

*  21 dicembre  *

Drinn drinn…

Il sonoro squillo del telefono echeggiava per le stanze di casa Ozora.

“Pronto” fece la voce profonda e rasserenante del giovane capofamiglia.

All’altro capo del filo, risuonò un’argentina ugola: “Tsubasa sei tu sono la mamma di Sanae, come stai.. tutto bene?”

La signora Nakazawa era probabilmente la donna più bonaria e pacata della faccia della Terra, sempre allegra e spensierata, ai limiti della frivolezza secondo Sanae, non aveva mai in alcun modo tentato di intralciare il loro rapporto, nonostante ce ne sarebbero stati di buoni motivi per dissuadere la figlia diciannovenne a chiudere dentro una valigia i suoi sogni e portarsela dietro in giro per il mondo al seguito del capitano giapponese.

“Bene, grazie… volete parlare con Sanae vero… spero non si sia già infilata sotto la doccia”

Così dicendo si diresse lesto verso il bagno patronale annesso alla camera da letto.

Sanae proprio in quel momento stava richiudendo dietro di sé la porta in plexiglas del box, ma la voce di Tsubasa richiamò la sua attenzione e con la testa sporta all’infuori vide il marito tenderle il cordless.

“Pronto… ehi mamma…”

Era contenta… sapeva che i genitori li avrebbero raggiunti per il Natale, rivedendo così finalmente Daibu, visto che la prima e l’unica volta era stata poco dopo la sua nascita.

Sanae poi amava particolarmente le festività natalizie, l’allegria che inondava le strade,  i canti, le nenie, i regali, gli addobbi, e soprattutto il fatto di circondarsi del calore della famiglia e delle persone care, in un momento in cui si ha più voglia di tenerle strette a sé.

Mentre ascoltava la madre con un gomito appuntato al fianco, si accorse che Tsubasa era rimasto lì a guardare il suo corpo completamente ignudo e non dava impressione di volersene andare e non certo perché desideroso di ascoltare la conversazione fra le due donne.

“Quindi dovreste arrivare il ventiquattro … fra tre giorni?”

Arrossita come se fosse sotto la lente di un microscopio, con la mano richiudeva il box con aria eloquentemente volta a far capire che lo spettacolo era terminato.

Non che le dispiacesse tutto quell’interesse, ma vederlo lì a scandagliare ogni centimetro della sua pelle, avrebbe finito per farle dimenticare quanto di importante aveva da riferire alla madre.

Ma un ginocchio furfante le impediva di far scorrere lo sportello sul suo binario.

“Mamma non ti scordare di portami le cose che ti ho detto… ti faccio tornare in Giappone a piedi.. ti ho fatto la lista, non puoi sbagliare”.

Con la mano libera cercava di fare il solletico su un fianco a Tsubasa per fargli perdere l’equilibrio e nell’attimo in cui scostò la gamba, con violenza tirò la porta, andandola a richiudere proprio su una mano di lui, che era rimasta attaccata alla struttura in allumino, che formava lo scheletro della cabina.

Il capitano non potè trattenere un urlo di dolore.

“Sanae ma cos’era…” chiesela signora Nakazawa.

“Niente…era.. era Daibu”.

Con titubanza si riavvicinò al portello, e lo riaprì molto lentamente, cercando di sbirciare fuori per valutare la situazione... Tsubasa doveva essersi fatto "alquanto" male.

E infatti era lì a tastarsi la mano dolente, con sguardo truce e le lacrime agli occhi per il male infertogli.

Sanae,  mortificata, allungò il braccio e catturategli le dita le portò alla bocca, sfiorandogliele con le labbra in un bacio lieve e consolatorio.

Ma lasciatagli andare la mano, e riconcentrandosi sulla telefonata, richiuse di nuovo decisa il portello di vetro.

“Si… si mamma sto sentendo… ah e non dimenticare che Yukari deve portarti il mio regalo di Natale… ovviamente tu le darai quello che io ti ho spedito per lei...”

"Sanae guarda che non mi sono ancora rincitrullita..."

"Beh con te non si sa mai.." fece ilare.

Intanto però cercava di capire se Tsubasa fosse ancora lì fuori:  infatti,  il vetro del box con le sue cesellature impediva di vedervi attraverso... tutt’al più avrebbe potuto scorgerne l’ombra... ma l'assenza di movimenti percettibili la portarono a concludere che evidentemente se ne era andato via un po’ offeso, a leccare le sue ferite come un cane bastonato.

“Va bene allora ci vediamo il ventiquattro… ciao mamy, salutami papà!”

Guardò per qualche secondo il cordless... non vedeva l'ora che loro arrivassero... per Daibu, per la casa nuova, per la cena luculliana che aveva intenzione di preparare la sera della Vigilia.... e anche semplicemente perchè le mancavano tanto.

Riaprì la porta del box, ma prima che riuscisse a metter piede fuori, si ritrovò Tsubasa avanti, nudo, che strappatole il telefono di mano, lo fece atterrare nel cesto della biancheria.

“Ma, che stai facend…” borbottò Sanae, mentre veniva spinta, senza troppi complimenti, all’interno della cabina.

“Faccio la doccia insieme a te!” disse, con una spontaneità disarmante, aprendo l’acqua, e facendole così finire il getto caldo giusto in faccia.

Sanae avvilita da quell’improvviso spruzzo, buttò avanti le mani, nel tentativo di difendersi: “Scemo...” 

 Riavvitò subito il pomello, mentre scostava le ciocche di capelli che le si erano appiccicate agli occhi:  "…e se si sveglia Daibu… chi lo sente…”

“Dai non ti preoccupare.. si è appena addormentato… rilassati” e afferrando il docciaschiuma e il guanto di crine le sussurrò, con aria maliziosa: “.. girati che ti insapono la schiena… tesoro!”

E intanto faceva scorrere a fiotti il fluido denso e profumato sul palmo guantato.

Sanae, con le braccia incrociate, lo guardò inarcando un sopracciglio: “Mi sa che ti ha fatto male vedere ieri sera  Casablanca…” e con aria fiera, quasi come se gli stesse concedendo un grande onore, si voltò di spalle: “…comunque cerca di fare almeno un buon lavoro… Humprey”

Avvertì il contatto ruvido e stimolante del guanto sulla natica: “Ma non dovevi lavarmi la schiena!” chiese, reclinando un po’ il capo verso lui.

Tsubasa, continuando con lenti movimenti circolari, passando da un gluteo all’altro, si fece più sotto, vicino al suo orecchio: “Lo sai che io parto sempre dal fondo…” disse con voce languida.

E risalendo lungo la colonna vertebrale, con tocco dolce ma deciso: “… per poi tirare dritto per il centrocampo ..”

Sentiva le sue dita, al di sotto del guanto, percorrere lente ogni piccolo anello vertebrale, ed ogni volta una scarica di piacere le pervadeva tutto il corpo, tanto che le sue mani puntate sui fianchi, scivolarono docili lungo il bacino, prive di forza per resistere.

La sua mano arrivava al collo, il suo viso si spostava all’altro lobo: “… e quando sono circondato dagli avversari…” e intanto aveva solcato la spalla e compiva lente rotazioni intorno a un seno “… allora con un dribbling, penetro in profondità…” stringendole l’altra mammella.

Sanae in silenzio, ascoltava rapita la strategia del suo capitano, la cui lingua deliziosamente assaggiava ogni punto raggiungibile del suo collo.

“… poi quando meno se l’aspettano…” e scendendo giù verso l’ombelico “..entro in area di rigore e…”

E mentre l'altra mano si posava sul suo fianco, lentamente, giunto col guanto fra le sue gambe, esercitò una decisa pressione: “… e insacco la rete!”

Sanae, completamente lasciatasi andare a quella danza di fuoco che sul suo corpo si era scatenata al passaggio di quella mano grande e forte, sussultò al tocco energico nella sua intimità.

E come risvegliata di colpo si staccò da lui e si voltò, finendo con la schiena contro le mattonelle fredde della parete.

“Girati” gli disse con aria maliziosamente imperativa, accompagnando la voce al movimento della dita “è venuto il mio turno…” prendendo il docciaschiuma.

Tsubasa accogliendo di buon grado quell’ordine le tese la spugna.

“No no… non mi serve” gettandosela all'indietro.

E lasciando che il liquido schiumoso le riempisse una mano, cominciò a sfregarle stuzzicante: “Allora vuoi voltarti!”

E non appena Tsubasa fu di spalle, con tutte e due le mani afferrò i suoi glutei sodi da adone.

“Sai… io invece preferisco il gioco aggressivo..” e così dicendo lasciava che le sue unghie si sostituissero al tocco gentile dei polpastrelli.

Non per graffiare la pelle, ma per tormentarla dolcemente, per stimolare ogni vaso sanguigno, per far sì che ogni centimetro della cute dilatasse i suoi pori: “…senza troppe perdite di tempo in palleggi e giochi di gambe…”

E risalendo i lombi, passando sotto le sue braccia, arrivando all’addome solido: “… senza lasciarsi irretire dagli schemi difensivi degli avversari…”

Con le labbra morbide sfiorava le sue scapole, facendolo rabbrividire ad ogni contatto, premendo con i seni su di lui. Le dita invece giocherellavano birichine nei solchi  dei suoi addominali.

“… da buon centravanti di sfondamento, che arriva rapido in area…” e intanto i palmi, impavidi e audaci scendevano più giù…

Ma un attimo dopo lo aveva sciolto da quell’abbraccio: “Ops… il triplice fischio…” rivolse il bocchettone della doccia verso di lui “… mi spiace l’incontro è finito…” aprendo l’acqua e inondandolo col suo zampillo.

Tsubasa, ancor più eccitato da quel getto caldo, rivoltatosi verso di lei, la spinse contro le pareti: “Guarda che la partita è appena iniziata!” e tirandole una gamba sul suo fianco, le catturò le labbra in una morsa stretta e voluttuosa.

E continuarono quel gioco d’amore sotto lo scroscio dell’acqua bollente,  nella schiumosa essenza di vaniglia e pesca, fra spinte infuocate, baci ardenti, gemiti soffocati, mani desiderose e insaziabili di ogni intima esplorazione, sensi esaltati e deliziati del massimo piacere.               

 

 

 

Si ritrovò con i gomiti poggiati sul marmo del lavandino e il volto piuttosto arrossato, persa in quei suoi pensieri, proibiti e sospirati.

Ma riprendendo coscienza di sé, compose rapidamente il numero del cellulare di Tsubasa: “Va bene.. ora mi senti”.

La voce registrata le comunicava che il telefono non era raggiungibile. E prima di spazientirsi decise di attendere altri dieci minuti, consentendo al marito di salvarsi in calcio d’angolo.

Riscese al piano di sotto e camminando nella penombra, rischiarata dalle linguelle di fuoco del camino, dribblando l'arredamento del salone, si avvicinò alla finestra. Scostata la sottile tenda di lino, gettò l’occhio in strada sperando di veder arrivare un giovane dal passo svelto, con in braccio un piccolo ranocchietto.

Ma salvo qualche macchina che sfrecciava sull’asfalto e qualche passante distratto, di Tsubasa e Daibu neppure l'ombra.

Riprovò almeno altre tre volte a comporre il numero del cellulare: niente… sempre quella affettata voce femminile, che si rammaricava per la non raggiungibilità del telefono.

“Ti avevo detto che avremmo cenato alle otto e mezza... E’ mai possibile che anche la sera della Vigilia pensi al calcio…” non trovando altre spiegazioni in quel ritardo.

Ma all’irritazione andava sostituendosi, abbastanza inconsapevolmente, un latente stato di agitazione.

Erano quasi le nove… in strada probabilmente c’erano rimasti lui, quell’altro fanatico di Gonzales, e il suo povero piccolino, coinvolto già a quella tenera età in discorsi astrusi di schemi, tecniche di gioco e strategie; e non era un caso che le prime paroline che aveva imparato, dopo mamma, papà e pappa, erano palla, goal, e passa…

Lo stava deviando spudoratamente… aveva già tre palloni e una porta a misura di bambino prima ancora che imparasse a camminare…

“Deve iniziare subito… il pallone sarà il suo migliore amico” ripeteva divertito Tsubasa, mentre lei gli rispondeva mordace che avrebbe preferito che Daibu fosse più sensibile al fascino femminile che ad una palla, in modo che la sua futura manager non avrebbe dovuto faticare a conquistarlo com’era stato invece per la manager del padre.

Dopo un vano tentativo di intrattenersi in qualche inutile faccenda, si ritrovò di nuovo avanti alla finestra, con le braccia incrociate e gli occhi incollati alla strada, mentre la sua figura veniva ogni tanto proiettata sui vetri dai fari delle poche auto in movimento.

Anche il cellulare di Gonzales era spento o non raggiungibile.. magari così potevano chiacchierare indisturbati e tranquilli delle loro importantissime e evidentemente improrogabili questioni, quali l'imminente partita con il Real o i prossimi quarti di Champions League.

Il suo respiro caldo aveva formato uno strato sottile di condensa; con un dito disegnò un piccolo cuore, seguendo un istinto della sua adolescenza, con all'interno tre lettere. Un tempo ne erano solo due... ma adesso, accanto alla S e alla T, c'era anche, più piccolina, la lettera D. 

Il piede cominciò a tamburellare nervoso sul pavimento, mentre, all’incirca ogni venti secondi, il suo sguardo cadeva ora sull’orologio a pendolo, ora sul display del lettore dvd, come se così potesse far scorrere il tempo meno velocemente.

Un’idea forse strampalata, forse no, le stava maturando nel cervello, nonostante cercasse di tenerla a freno..

Ma quando lesse sul video lampeggiante la scritta 21:15, senza pensarci più, afferrò il cappotto, le chiavi e il cellulare e si precipitò fuori casa, soddisfando quel richiamo che non poteva più essere represso.

Montò in macchina, quella di Tsubasa perché la sua era giù nel garage,  e si avviò in strada.

 

Raggiunse quello che per il marito poteva essere il centro di Barcellona... scrutando attentamente ogni angolo, buio o illuminato che fosse.. soffermandosi su ogni figura le si parasse di fronte.. seguendo un percorso dettato puramente dagli impulsi del suo istinto.

Effettivamente le vie non erano completamente deserte e desolate come se le aspettava; ma probabilmente chi era per la strada aveva già cenato e si avviava a trascorrere la mezzanotte da qualche amico.. 

Ad un tratto qualcuno attirò la sua attenzione: schiacciò violentemente il pedale del freno, facendo incollare gli pneumatici all'asfalto. E sentendo sgommare dietro di lei, vide dallo specchietto retrovisore l’auto che seguiva, inchiodarsi a sua volta al suolo per evitare di tamponarla, e l’uomo che era al volante imprecare.. perlomeno da quanto le pareva dal labiale.

Ma ributtò l’occhio verso quanto l’aveva portata a bloccarsi: abbassò il finestrino dal lato del passeggero e diede un paio di colpi di clacson. Una donna dalla carnagione olivastra, con accanto un uomo slanciato e un paio di pupi al seguito, fu richiamata dallo strombazzamento.

L’allegra famigliola Rivaul si avvicinò all’auto.

“Sanae, ciao… ma che fai in giro a quest’ora tutta sola?” chiese la donna.

“Ciao ... ecco sono in pensiero per Tsubasa e Daibu, sono usciti verso le sette, credo, e non sono ancora rientrati” e rivolgendosi con voce speranzosa all’asso brasiliano “… mi ha lasciato un biglietto in cui diceva di andare a salutare Gonzales e altri ragazzi della squadra, ma si è fatto tardi e sono un po' preoccupata”

“Ah sì mi avevano detto che dovevano vedersi per gli auguri” fece con la sua solita aria austera l’uomo “… io non sono andato, perché noi siamo abituati a cenare presto.. sai con i bambini… e poi perché abbiamo appuntamento con amici…” dove in quel momento evidentemente si stavano dirigendo.

Un’espressione di delusione si disegnò sul volto della ragazza, anche se cercò di non lasciarla troppo a vedere: “Beh grazie lo stesso, e Buon Natale” agitando la mano in segno di saluto.

La moglie di Rivaul poggiò una mano sulla portiera, abbassandosi per guardare meglio Sanae: “Sta tranquilla, si saranno messi a chiacchierare e avranno perso la misura del tempo… la famiglia di Gonzales non è qui e probabilmente essendo solo, neanche lui si è reso conto che si è fatto un pò tardi… lo sai come sono fatti questi qui” disse sorridendo in direzione del marito, che ricambiò dolce.

“Si deve essere così” risuonò la voce di Sanae per nulla convinta delle sue stesse parole e di certo non rincuorata da quel tentativo di conforto.

Dopo averli salutati e aver di nuovo augurato loro buone feste, riprese il suo giro di perlustrazione.

Ma con la rabbia che cominciava a rifarsi viva, e questa volta più impetuosa e dirompente: “Gonzales è solo…. non si sarà accorto… tanto non ha nessuno che lo aspetta” diceva a voce alta, stringendo forte il volante fra le mani “…sono tutti uguali questi calciatori…” scimmiottando la moglie di Rivaul “…. un corno… tuo marito era là con te… sono io l’unica deficiente in giro per Barcellona la sera della Vigilia, perchè ho un marito incosciente… eh no… ma stavolta non te la faccio passare liscia…” e modulando la voce con un'intonazione dolciastra “..oh scusami tesoro, mi dispiace tanto… non avevo l’orologio…” per riprendere subito dopo un tono furente “.. e io come la stupida che subito mi faccio intenerire dai tuoi occhi strappabaci… ah ma se viene la febbre a Daibu, come minimo ti faccio dormire sul divano per una settimana!”

Presa dalla rabbia e dalla stizza di quei pensieri, il suo piede premeva deciso sul pedale dell'acceleratore, come a voler scaricare l'adrenalina che aveva in corpo.

Ma si bloccò nuovamente nel trovarsi di fronte al parco dove solitamente portava Daibu, nelle loro passeggiate mattutine.

Sembrava così inanimato in quel momento, senza le strida gioiose dei bambini, e con il vento che lasciava mestamente oscillare l'altalena di legno, dalla quale Daibu non voleva mai scendere per far divertire anche gli altri. Afferrava con una tale forza la catena che reggeva il sedile, che per staccarlo ce ne voleva, così come per calmarlo dopo.

Guardò afflitta intorno a sè, per poi lasciar cadere in avanti la testa, sul volante.

Certo Tsubasa era distratto, ma non a qual punto. E poi perchè il cellulare era spento... possibile che non si fosse reso conto che lei poteva essere maledettamente preoccupata da quel ritardo.

E senza più scuse, senza continuare a mentire a se stessa, dovette sconsolatamente accettare quell'ipotesi che il suo cervello aveva avanzato da un pò e che le ronzava come un moscone fastidioso nelle orecchie, ma che lei per tutto quel tempo si era ostinata ad ignorare.

Era possibile che fosse capitato qualcosa che gli impedisse di contattarla...

Il solo pensiero di un incidente la gettava in uno stato di disperazione totale, al quale le sembrava di non riuscire a reagire.

E restò con il capo rivolto sul volante per qualche minuto.

Chi poteva chiamare...

Lì a Barcellona non avevano nessuno di così intimo, salvo Pinto e sua madre, che probabilmente a quell'ora stavano aprendo il panettone.

Avvisare i genitori di Tsubasa sarebbe stato folle... come minimo gli faceva venire un colpo... e poi a che pro, visto che erano all'altro capo della terra.

Lo stesso valeva per i suoi, anzi, probabilmente sua madre avrebbe fatto bene ad attaccarle il telefono in faccia, visto come l'aveva trattata due giorni prima.

E cominciò a farsi strada l'idea in lei, che forse, tutto quello che le stava capitando, fosse la punizione per quella sceneggiata infantile e stupida.

                                                                          

 

 

*  22 dicembre  *

"Come non venite più... mamma stai scherzando vero!" esclamò rabbiosa, ma anche incredula, come se non riuscisse a convincersi di aver compreso bene quelle parole.

"Sanae... dai.. non farne una tragedia, non è colpa di nessuno, tuo padre ha un  impegno di lavoro il 24, che è venuto fuori solo oggi e che non può rimandare purtroppo..."

"E chi è questo stupido che ha scelto proprio la Vigilia di Natale.... e poi credo che la famiglia debba avere una certa priorità sul lavoro "continuò imbestialita come non mai "..avete anche già comprato i biglietti..."

Ma ormai la sua voce era velata da una profonda delusione perchè, quantunque stesse insistendo e sbraitando, sapeva perfettamente di non poter far nulla per cambiare le cose. Non c'era nessuno da convincere. La decisione era stata presa.

"Magari vediamo di venire a gennaio!" fece dispiaciuta la donna.

"Si come no, gennaio del 2019, quando Daibu sarà già maggiorenne!"

Si sentiva profondamente ferita, perchè quei giorni erano stati carichi di attesa per il loro arrivo programmato da tempo e passati a fare preparativi per una degna accoglienza.

"Va bene... ci sentiamo allora!" e così dicendo riagganciò senza neanche aspettare la risposta.

Tsubasa, sul divano con Daibu fra le braccia, aveva assistito impotente alla conversazione, rammaricato di dover vedere gli occhi di Sanae ricoprirsi di un velo di tristezza e delusione.

E dopo che aveva riagganciato collerica, come un dardo che schizza fuori dalla sua balestra, si fiondò in camera da letto, richiudendo, anzi sbattendo violentemente, la porta alle sue spalle, con così tanta forza da far tremare i lampadari e far sobbalzare il piccolo Daibu, assorto nei suoi pensieri inconcludenti di bimbo.

"Mi sa proprio che dobbiamo andare dalla mamma!" mormorò greve Tsubasa, alzandosi e caricandoselo su di un braccio.

Diede due delicati colpetti all'uscio, prima di aprirlo e ritrovarla seduta sul letto, con lo sguardo rivolto al pavimento e le braccia conserte.

"Posso?" domandò con garbo.

"E' anche camera tua... non devi chiedermi il permesso" rispose senza nemmeno voltarsi a guardarlo, con voce piatta.

Entrato, Tsubasa le si avvicinò e mise giù Daibu, che ne approfittò per sedersi subito a terra, atterrando sul soffice pannolino, mentre continuava a stringere la pallina di stoffa che aveva per le mani.

Si affacciò col viso, per cercare di sbirciare i suoi occhi nascosti sotto la frangetta: "Hai voglia di parlarne?"

"No" fu la risposta lapidaria che gli diede, mentre voltava il capo dall'altro lato per impedirgli di guardarla in faccia.

Ormai conosceva la sua Sanae a menadito, e per questo decise di non insistere e restare in silenzio seduto accanto a lei, perchè di lì a qualche secondo sarebbe esplosa come una granata a cui era stata tolta la linguetta.

E quando nella sua testa con il count down arrivò a zero, lei cominciò il suo sfogo.

"Ma ti pare possibile una cosa del genere? Non vedono Daibu da mesi... la loro figlia da mesi... e che fanno.. mandano tutto all'aria, per un appuntamento di lavoro, manco che mio padre fosse il Primo Ministro del Giappone, da cui dipendono gli equilibri del mondo.."

La voce stava cominciando a tremare dal nervosismo.

Sentì la mano dolce di Tsubasa accarezzarle i capelli "Sanae dai, non è colpa loro, sarà sicuramente qualcosa di importante, altrim..."

Ma non riuscì a finire quel pensiero.

"Importante... importante... più della propria famiglia.." urlò balzando in piedi "..sai mi sembra di tornare indietro... quando saltavano i nostri appuntamenti per i tuoi di impegni... forse perciò sei coì comprensivo tu... c'è sempre qualcosa di più importante di Sanae!"

Ma una lacrima, cogliendola impreparata, le rigò il volto, perchè si rese conto di aver tirato fuori una cattiveria gratuita, fatta apposta per prendersela con l'unica persona con cui poteva, che invece era lì a cercare paziente di consolarla.

Per quanto quella frecciata l'avesse colpito in pieno, Tsubasa si levò dal letto e le afferrò il viso con le mani. Tirandola verso di sè, la cinse con un braccio, mentre con le dita, ancora sul suo volto, asciugava quella perlina trasparente: "Facciamo così, se i tuoi genitori entro gennaio non riescono a venire a Barcellona, ti porto io in Giappone prima di primavera.. che ne dici?" disse convinto.

Sanae nascose la faccia nel suo petto stringendosi a lui, sentendosi ancor più vile e meschina: "Scusami... me la sono presa con te quando non c'entravi proprio nulla... mi spiace..."

E dopo aver tirato su col naso, alzò gli occhi:  "Non voglio che mi fai queste promesse... hai il campionato e non devi distrarti con le scemenze che mi girano per la testa!"

"La promessa te l'ho fatta e resta valida.. però tu cerca di stare tranquilla e goderti il Natale... d'accordo?" mentre con le dita le sfiorava la pelle del viso.

La risposta fu un bacio schioccante sulla sua bocca: "Va bene.. e poi almeno verranno i tuoi e Daichi per Capodanno... almeno Daibu starà un pò in compagnia" fece sorridendo.

Sanae era fatta così: capace di perdere le staffe improvvisamente e tirare fuori la grinta di un leone che non mangia da dieci giorni.. ma allo stesso modo di acquietarsi e ritornare docile e tenera, nel giro di qualche secondo.

E mentre Tsubasa stava per riappiccicarsi alle sue labbra, lei si staccò sobbalzando: "Cavolo il dolce è ancora in forno..." e slegandosi da lui, corse via, sparendo dietro la porta.

Lui la seguì con lo sguardo, per poi rivolgersi al piccolo: "Eh Daibu, mi sa proprio che dobbiamo fare alla mamma un bel regalo di Natale!"

Il bambino, dopo aver ascoltato attento le parole del padre, tirò via il ciuccio: "mà-mà.. talè".

Tsubasa sorrise, riafferrandolo da terra: "Bravo... dai proviamo... Bu-on Na-ta-le"

"Bò.. talè" ripetè deciso.

"Bravissimo" facendolo volare in alto, e riacciuffandolo saldamente, per poi avviarsi verso la porta: "Bu-on Na-ta-le"

"Bò.. talè" continuò divertito.

                                                                                           

 

 

Rimmessasi in movimento, si ritrovò, non per puro caso, di fronte all'ospedale Saint Paul, dove erano stati spesso lei e Tsubasa, sia per gli acciacchi di quest'ultimo, sia quando aveva partorito il suo dolce angioletto.

Deglutì nel vedere l'insegna luminosa e quella croce rossa, che in quel momento rappresentava tutte le sue paure che prendevano forma.

E per quanto tremasse al solo pensiero di entrare lì dentro, fermò l'auto e facendo appello a tutto il suo coraggio si incamminò verso l'ospedale, mentre una pioggerella sottile si posava delicata sul suo capo formando uno strato sottile come di brina.

Entrando avvertì subito quel pungente e inconfondibile odore di disinfettanti.

Si avvicinò alla reception, guardandosi attorno con aria smarrita e disorientata, senza avere in testa neanche cosa chiedere a quell'infermiera che già aveva rivolto lo sguardo verso di lei.

"Buonasera" disse cordialmente la donna.

"Salve.." e dopo qualche secondo d'indecisione, l'espressione materna e bonaria di quegli occhi che la puntavano, la spinsero a continuare ".. ecco.. volevo sapere se per caso al pronto soccorso sono arrivate.. due persone.."

Sentiva un nodo alla gola che le impediva di continuare. Pronunciare quella frase a voce alta e non sottovoce nel suo cervello, gliene faceva cogliere davvero il significato.

La donna dovette comprendere lo stato di agitazione di Sanae: "Aspetti un attimo.." e così dicendo si concentrò sul monitor posto di fronte a lei "Guardi nelle ultime cinque ore sono arrivate al pronto soccorso sei persone e tutte con nomi occidentali.. vuol dirmi chi cerca?"

La ragazza si sentì immediatamente più leggera: "No, non fa nulla... ma non è che avete collegamenti anche con gli altri ospedali della città.. sa per.."
"No... non possiamo sapere chi giunge nelle altre strutture... mi spiace.."

"Non fa nulla... non si preoccupi... grazie e... buon Natale".

 

Infilò le mani nelle tasche del cappotto, stringendosi nelle spalle e affondando il viso nella sciarpa, mentre allontanatasi dal nosocomio, si dirigeva verso la macchina.

Per quanto sapere che non erano lì poteva essere consolante, soltanto una delle sue mille preoccupazioni era stata così dissipata, visto che, oltre al fatto che vi fossero altri ospedali sparsi per la città, ciò non escludeva possibilità ugualmente preoccupanti.

Ancora la pioggia stava venendo giù, ma questa volta con goccioloni grossi e pesanti.

Sanae sembrava non farci caso di nuovo assorta sul video del suo cellulare con la speranza che le desse qualche segno di vita.

E senza capire come, sentì soltanto i piedi slittare in avanti e il terreno mancarle sotto.. e dopo un  attimo di senso di vuoto, ricadere  pesantemente sul proprio sedere.

Qualche secondo di smarrimento, in cui non aveva ben capito se era lei ad aver cambiato prospettiva, o erano i palazzi ad essere divenuti improvvisamente più grandi, dopodichè ebbe la forza di maledire ancora una volta il destino: “Dannazione ci mancava solo questo ora..” mentre le mani affondavano in  pochi millimetri di acquitrino.

Era scivolata in una pozzanghera formatasi in un punto sconnesso del marciapiede e ora sentiva l’acqua limacciosa, penetrarle nella gonna e nelle calze, fino a raggiungere la pelle calda.

Cercò di far leva su un braccio per tirare su almeno la schiena, ma si rimise in piedi più facilmente di quanto potesse pensare… troppo facilmente.

Infatti accanto a lei una figura alta e smilza la aveva aiutata a rialzarsi.

“Ehi stai bene?” fece una voce gentile.

Era un ragazzo più o meno della sua età, che le sorrideva quasi a volerla confortare del capitombolo occorsole.

Si portò una mano sul dolorante fondoschiena e con voce fievole rispose al suo interlocutore: “Grazie… si… si” fece con le lacrime che le salivano agli occhi, un po’ per la botta, un po’ per la vergogna, un po’ per la gentilezza del passante, ma soprattutto per il peso che portava nel cuore.

Il giovane si accorse chiaramente che quella piccola ragazza orientale era turbata fortemente da qualche cosa.

Afferrò l’ombrello che aveva lasciato cadere a terra per aiutarla a rialzarsi e la ricoprì, nonostante rassomigliasse già ad un pulcino bagnato.

“Senti io sto andando da degli amici a giocare a carte. Abitano qui vicino… se vuoi puoi salire ad asciugarti!”

Sanae fece un mezzo passo indietro, un po’ frastornata dalla proposta che alle sue orecchie risuonava piuttosto ardita.

E lui se ne accorse perché subito precisò: “E’ casa di una amica.. ci sono anche donne” fece con una mano avanti quasi per scusarsi della sua impertinenza.

Sanae abbozzò un mezzo sorriso: “Ti ringrazio ma non fa nulla… ora andrò a casa.. e…” ma le parole le morirono in bocca. Andare a casa… senza aver trovato Tsubasa e Daibu… come poteva….

“Ti è successo qualcosa... se posso aiutarti…” disse gentilmente l'uomo, colpito dal viso sconvolto di Sanae.

E come se fosse una liberazione poterlo dire a qualcuno, anche se ad un perfetto sconosciuto...  come se quell'angoscia tenuta repressa per tutto quel tempo potesse finalmente balzare fuori libera e incondizionata... cominciò a piangere disperatamente portandosi le mani al volto: “Ecco… io.. io non riesco a trovare mio marito e mio figlio..”

 

Si erano seduti su un muretto lì vicino.

Sanae aveva tentato di scrollare via un po’ di acqua dai suoi vestiti e di riprendere un po’ di compostezza.

“Se vuoi ti accompagno al Commissariato di Polizia, qui vicino c'è una delle sedi… magari lì possono aiutarti” le propose dopo aver ascoltato la sua storia.

“Mi dispiace è la Vigilia di Natale e tu dovresti essere dai tuoi amici… magari se puoi indicarmi come arrivarci..”

“No dai insisto… a Natale dobbiamo essere tutti più buoni” fece, ridendo e  portandosi una mano sulla testa, in una posizione a lei molto, molto familiare.

“Grazie.. Almandos" mormorò, mentre i battiti del suo cuore erano accelerati di fronte all’immagine di Tsubasa, che all’improvviso le si era parata avanti agli occhi. 

 

Erano giunti davanti al portone d’ingresso della locale sede di Polizia.

Sanae, come avvinta da una sorta di timore riverenziale, restò un attimo ferma a guardare l’imponente palazzo ottocentesco, in cui il rosso pompeiano delle pareti, smunto dall’incedere del tempo, si mescolava ai non meno sbiaditi colori dei fregi, e dei trionfi floreali che un tempo dovevano essere di un vivo giallo paglierino ed oro.

Nei toni cupi di quella uggiosa notte, la sua facciata imponente sembrava essere pronta a prender vita, per inghiottirli nelle sue fauci.

Ma, scacciata quella sensazione, entrò decisa.

Un agente, dopo averli identificati indicò loro l'ufficio al quale rivolgersi.

Entrarono in una stanza non molto ampia, piuttosto umidiccia. Era arredata scarnamente; in molti punti sulle pareti, la pittura lasciava intravedere l’intonaco sottostante; qualche foto di appartenenti all’arma, affissa al muro rompeva la monotonia di quel bianco un po’ sdrucito.

Ma su due oggetti cadde l’attenzione della ragazza.

Giusto di fronte all’entrata era affisso il gagliardetto blaugrana del Barcellona F.C.

Quei colori non potevano che ricordargli ancora una volta i volti amati: quello di Tsubasa, imperlato di sudore, che sfrecciava concentrato nel Campe Nou, e quello del figlioletto, che già aveva la sua maglietta su misura con la scritta Daibu Ozora ed il numero 10, per l’orgoglio del suo papà.

Sul lungo bancone che divideva in due la sala, era invece poggiata una rigogliosa Stella di Natale.

Un impiegato corpulento appollaiato sul proprio sgabello, con gli occhiali da presbite calati sul naso, leggeva svogliato un librone che aveva avanti a sé, con la testa flaccida, retta pigramente dalla mano, mentre con l’altra portava alla bocca una tazza fumante di chissà quale intruglio. Dietro di lui un altro agente, cliccava concentrato di fronte al proprio notebook.

“Buonasera” fece timidamente Sanae.

Ma forse la sua voce uscì troppo fioca.

Anzi sembrava che il loro ingresso fosse stato del tutto impercettibile ai loro sensi, perché nessuno dei due diede segno di essersene accorto.

“Prego” risuonò nella stanza la voce afona dell’addetto. Ma non alzò lo sguardo dalla carta che stava leggendo, rimanendo nella stessa identica posizione.

Almandos si accorse che Sanae era ancora piuttosto intimorita: “Agente, buonasera, la signora è qui per denunciare una scomparsa” fece sicuro, rivolgendole un’occhiata fiduciosa.

“Da quant’è che non si fa vivo?” chiese quasi infastidito dell’interruzione delle sue cose, alzando lo sguardo sulla giovane, da sopra le lenti.

Il ragazzo fece un cenno col capo in direzione di Sanae, incoraggiandola, affinché lei stessa rispondesse a quella domanda.

“Ecco… sono più o meno.. un’ora e mezza… forse due ..”

“Ahhhh…”. L’agente si lasciò andare ad una risatina soffocata, mentre  il collega, di dietro, abbozzò un sorriso, sempre imperturbabilmente rivolto al monitor.

La ragazza sentiva le lacrime nuovamente fremere per venir fuori dagli occhi, e solo la vergogna le trattenne.

“Un’ora e mezza! Signorina, ma lo sa che ci vogliono almeno ventiquattr'ore per iniziare a decidere se intervenire o no… e poi, è sicura che il suo fidanzato non volesse trascorrere la Vigilia di Natale con qualcun'altra?” disse grossolanamente, con un filo di malizia negli occhi.

“Non è il mio fidanzato… sono mio marito e mio figlio” rispose in preda ad un sussulto di collera.

“Ebbè, magari avete litigato e lui è tornato da sua madre!”

Sanae era sconvolta da come quell’uomo stesse formulando una serie di stupide e, fra l’altro, impossibili congetture senza neanche degnarsi di ascoltare la sua storia. Il cuore le batteva forte. Il suo labbro inferiore era scosso da un fremito, che a malapena riusciva a controllare. E si stava convincendo che i suoi tratti somatici, il suo accento molto incerto, i suoi vestiti in disordine, per non dire sporchi, sminuissero ancor di più la sua credibilità di fronte a quello strafottente agente.

“Mi scusi ma lui non è il tipo da farmi stare in pensiero, Tsub…”

Fu interrotta violentemente dall’uomo: “Uhhhh… signora è la vigilia di Natale, già è pesante stare qui a lavorare… vada a casa, tanto adesso non possiamo intervenire… vedrà che domani mattina a suo marito gli passa e torna col bambino e trascorrerete un bel Natale tutti insieme..”

Almandos irritato anche lui dall’insolenza dell’uomo, intervenne deciso, piuttosto accalorato: “Senta, ma non mette in conto che possa essergli accaduto qualcosa!”

“Si… magari è stato investito dalla slitta di Babbo Natale!” fece scoppiando in un’altra fastidiosa risata, questa volta supportata da quella del suo collega, che per la prima volta alzava gli occhi dallo schermo.

Improvviso, inaspettato e autoritario un pugno ben piantato sul bancone, fece sobbalzare tutti i presenti, nonché la piccola Stella di Natale che vi si trovava sopra, che oscillò pericolosamente sul suo sottovaso, e la tazza ormai vuota dell’agente, il cui cucchiaino restò lì a vibrare per qualche secondo. 

La piccola Anego non si sarebbe fatta mai trattare in quel modo irrispettoso e volgare, specie se c’era in gioco la sicurezza delle persone che aveva di più care al mondo.

La sua voce decisa e arrabbiata fece tremare le pareti: “Mi ascolti bene… ora lei si prende il nome di mio marito e di mio figlio, e fa quello che la sua veste di agente di Polizia le impone, altrimenti  le assicuro che le farò passare una Vigilia di Natale, che non avrebbe potuto immaginare nemmeno nel più mostruoso dei suoi incubi” fece col dito puntato alto contro di lui.

L’uomo deglutì, alquanto frastornato, di fronte al repentino cambio di tono di Sanae e alla determinazione che aveva nell’espressione del viso; e dopo un attimo di esitazione, riassumendo il suo fare indolente, afferrò un pezzo di carta e una penna, con tutta l’aria di chi voleva far finta di accontentarla, pur di togliersela dalle scatole: “Va bene mi dia il nome di suo marito… anche se prima di domani non si può fare niente..” 

Come un pavone che apre la sua ruota variopinta, per mostrarla agli occhi stupiti degli spettatori, così il petto di Sanae si gonfiò, per pronunciare quel nome nel modo più tronfio che potesse, per meravigliare gli orecchi di chi finora l’aveva soltanto derisa: “TSUBASA OZORA”

La biro dell’agente sporcò impercettibilmente di china il foglio: “Tsuba…”

Si fermò interdetto.

Alzò gli occhi inebetito.

E con voce tremula: “Tsuba.. Tsubasa Ozo..Ozora.. il calciat….”

“Si” continuò ancor più vanagloriosa “TSUBASA OZORA, IL REGISTA DEL BARCELLONA!”

Almandos si girò verso la ragazza, con gli occhi fuori dalle orbite e il mento che quasi arrivava alle ginocchia: “Tu sei la moglie di Tsubasa Ozora… porca putt..” tappandosi la bocca con la mano, per evitare che venisse fuori un’esclamazione non proprio principesca “..dicevo io che ti avevo visto da qualche parte!”

Sanae, ormai in preda alla forza della disperazione, incrociò le mani al petto: “Sa… non credo proprio che la dirigenza del Barça sarà contenta di sapere che è accaduto qualcosa ad un suo giocatore… ANZI.. al fondamentale pilastro della squadra, visto che Rivaul è infortunato… pagato fior di quattrini… per non parlare dei tifosi.. e tutto ciò a causa di un agente privo di zelo!”

L’uomo, assolutamente spiazzato e rintronato dalla rivelazione, cambiò decisamente atteggiamento: “Signora si calmi… ora vediamo che possiamo fare..”

L’altro poliziotto guardava ancora in direzione di Sanae con la stessa espressività di un pesce lesso o di una trota marinata.

“Senta non mi metta nei guai con i superiori… lo so.. sono stato sgarbato…ma vede spesso viene gente che vuole solo farci perdere tempo” fece non nascondendo il timore di prendersi un bel congedo a tempo illimitato.

E le parole pronunciate in modo così supplichevole fecero subito breccia in quel cuore puro e innocente, che di certo non era abituato ad andare in giro a fare minacce e a tirar fuori il nome di Tsubasa per avere trattamenti speciali. Anzi, la cosa la imbarazzava non poco.

“Io non ho nulla contro di lei… voglio solo trovare mio marito e mio figlio!”

La voce della ragazza uscì di nuovo tanto dolce e remissiva, che dovette far sentire l’agente davvero un verme per il comportamento di poco prima: “Signora, facciamo così, avverto subito una volante…  se suo marito è ancora in giro per Barcellona, lo troveranno…” e sorridendo “.. poi.. non c’è bisogno neanche dell’identikit!”

Sanae, dopo aver spigato quanto era successo, tirò fuori dalla tasca  un foglietto di carta: “Va bene.. questo è il mio numero di cellulare… se dovesse esserci qualche novità. Allora … grazie” sussurrò col capo chino, facendo per andarsene, ma aggiunse “..mi spiace per prima… davvero..”

Ma l’uomo non la fece finire: “Mi devo scusare io… comunque ora vada a casa, vedrà che si è trattato solo di un contrattempo”

Sanae accennò un sorriso: “Beh, anche se state lavorando… Buon Natale”

“Buon Natale a lei signora” esclamò sincero l’agente, realmente toccato da così tanta dolcezza e forza unite insieme in quei profondi occhi a mandorla.

 

Sanae prese una profonda boccata, come a voler rinvigorire di quell’aria pungente il proprio spirito.

Si voltò verso il ragazzo che aveva accanto: “Almandos, io ti ringrazio, la mia macchina è lì” disse indicandola col dito “ti ho già fatto perdere troppo tempo”

“Non lo dire neanche Sanae… e poi cavolo sei la moglie del mio mito!” fece divertito.

“Beh quando vorrai venirci a trovare… così te lo farò conoscere…”

“Magari… sai come moriranno dall’invidia i miei amici quando gli dirò di essere stato invitato personalmente dalla moglie di Tsubasa Ozora…” ma nel finir di pronunciare quelle parole vide il viso della ragazza incupirsi nuovamente.

Le prese le mani: “Sanae.. sta tranquilla… tuo marito è uno che non si arrende mai… che si rialza sempre, anche con le ossa rotte, e che continua a giocare con la stessa determinazione fino all’ultimo secondo… per questo è così amato da noi tifosi… ed è per questo che sono sicuro che lui e tuo figlio stiano bene” disse con convinzione.

“Grazie Almandos” rispose alla sua stretta “… grazie veramente!” senza riuscire ad aggiungere altro, per paura di ritornare a piangere.

“Beh io vado allora… buona fortuna Sanae” indugiando ancora un attimo, dopo averle liberato le mani “… se non fossi sposata.. con Tsubasa Ozora.. ti avrei lasciato il mio numero di telefono… ciao” disse correndo via, alzando il braccio in segno di saluto e subito dopo prendendo a cantare a squarciagola l’inno del Barça **“Tot el camp és un clam som la gent blaugrana, tant se val d'on venim, si del sud o del nord ara estem d'acord…” **

Sanae guardò andar via quel così gentile e simpatico ragazzo, pensando che in circostanze diverse, sarebbe di certo arrossita di fronte a quell’ultima frase.

Ma non in quel momento.

 

Cos’altro poteva fare a quel punto.

Telefonare per l’ennesima volta sarebbe stato perfettamente inutile: la segreteria di casa probabilmente era andata in tilt per tutti i messaggi lasciati e il cellulare di Tsubasa aveva registrato senza dubbio i suoi tentativi di chiamata.

L’unica scelta logica e sensata era quella di ritornare a casa e sperare di risvegliarsi nel suo letto, accorgendosi che in realtà tutto quello che le era successo era solo un sogno…. un brutto sogno.

Rimessasi alla guida dell’auto, si avviò verso la sua abitazione.

Le strade, lentamente, stavano tornando a ripopolarsi: piccoli gruppi che si apprestavano a raggiungere altri amici per festeggiare e per giocare a carte, si mescolavano a famigliole felici che si recavano alla Messa di mezzanotte, mentre giovani innamorati si incontravano dopo aver cenato con i propri parenti.

Tutti volti sorridenti, allegri, sereni.

Ed era in mezzo ad essi che ogni tanto le sembrava di scorgere il suo piccolo Daibu o Tsubasa… ma era un attimo… un solo attimo prima che i tratti occidentali del viso facessero cadere quella momentanea illusione e la rispingessero di nuovo giù, in quel baratro di angoscia e disperazione.

Ma una sensazione di estasi e smarrimento la rapì all’immagine di lontano della Sagrada Familia, che si ergeva maestosa come una montagna innevata in mezzo al deserto.

Sontuosa nelle sue torri che svettavano verso l’alto nell’aspirazione al divino; mistica nei tanti personaggi tormentati ed emaciati delle decorazioni che circondavano il Cristo crocifisso; sacra nelle parole della liturgia e delle Scritture, ricamate e incastonate nelle facciate imperiose.

L’istinto, ormai unico padrone del suo corpo, le dettò di fermare l’auto e di incamminarsi verso la cattedrale.

 

Entrò.

Un penetrante profumo di incenso misto a quello delle fioriture che adornavano gli ambulacri colpì il suo olfatto, quasi al punto di farle lacrimare gli occhi.

Si udiva il suono dell'organo, ma non duro e squillante come avveniva nelle chiesette di campagna, ma ovattato e diffuso, perchè le onde sonore si perdevano in quegli anfratti della complessa struttura e in quelle mille cavità scolpite nel marmo.

Sanae sentiva quasi mancarle il respiro per la sacralità e il misticismo che si avvertiva nitido.. in quella chiesa.. in quella notte.

Si avviò in una delle navate laterali, per arrestarsi di fronte ad un ritratto della Vergine con in braccio il Bambin Gesù.

Si inginocchiò sulla panca che era posta ai piedi della pittura, e incrociò le mani sulla bocca...

... pregando che non fosse accaduto loro nulla...

... supplicando che Tsubasa e Daibu stessero bene...

... implorando di lasciarle quanto di più prezioso avesse nella vita.

"Signora" sentì una voce fine alle sue spalle.

Si voltò. Era un uomo alto e grosso, con barba lunga e cappello, piuttosto sporco in viso: "Signora, mi dai qualche moneta..."

Sanae guardò quegli occhi gentili e si frugò nelle tasche: "Mi spiace... non ho altro..." fece, porgendogli pochi centesimi.

"Signora... non essere triste... stai tranquilla" e rivolgendosi al dipinto "Lei ascolta sempre le preghiere di tutti... specie quelle delle altre mamme" disse, strizzandole l'occhio, per poi allontanarsi subito dopo.

La ragazza lo seguì con lo sguardo, mentre si allontanava barcollando, chiedendosi quali altri singolari incontri avrebbe fatto in quella notte.

Ma preferì tornare un altro po' su quei profondi occhi di speranza e amore, di carità e dolcezza infinita.

 

Uscì in strada.

Guardando in alto intravide qualche sprazzo di firmamento stellato comparire fra le nuvole scure.

Si era chiesta spesso perchè, da quando era a Barcellona, si sentiva ancor di più legata alle festività del Natale.

Solo ora aveva compreso.

In Giappone, dove la maggior parte della popolazione era di fede scintoista, il Natale era semplicemente una festa pagana, in cui si attendeva l'arrivo di quel vecchietto canuto e bianco, che portava doni ai bambini buoni, e in cui i negozianti erano felici di incrementare i loro introiti.

Ma in Spagna era diverso... era in quella terra profondamente cristiana che poteva respirarsi il vero significato della Nascita: davvero si avvertiva la voglia di far fiorire dentro di sè nuovi sentimenti, di essere più gentili e aperti agli altri. E lei quella sera lo aveva constato personalmente, grazie ad Almandos, che si era offerto spontaneamente e generosamente di aiutarla... grazie a quell'agente, nei cui occhi era riuscita a leggere vero rammarico... grazie a quel barbone, che senza nemmeno conoscerla le aveva saputo infondere speranza e sollievo.

E quegli attimi in chiesa erano riusciti a farla sentire un pò alleggerita dal peso della disperazione.

Portò una mano alla bocca, mentre con l'altra teneva saldamente il volante: "Un momento... ma come faceva  quel barbone a sapere che sono mamma..."

La fede era nascosta dai guanti, e per di più tutti le davano non più di diciott'anni...

E un pensiero, balordo e improvviso, la turbò nuovamente.

Si chiese se non fosse a lei che era successo qualcosa... se non fosse morta e vagava per la città come un'anima in pena...

 

La sua casa sembrava circondata da un velo di tristezza, avvolta com’era in quel raggelante e buio silenzio.

Non fece caso al fatto che le lanterne in giardino erano spente, neanche quando disattivati i fanali dell’auto, nessuna altra luce restò ad illuminare la piccola villa.

Si tirò fuori dalla macchina, cercando di non farsi assalire di nuovo dal panico, specie dopo la delusione di ritrovare l’abitazione come l’aveva lasciata, perché, per quanto fosse certa che Tsubasa non fosse rientrato, la speranza nel suo cuore non aveva mai smesso di pulsare fiduciosa.

E si ritrovò a ricompiere quei gesti, che aveva fatto già tante volte, ma che in quel frangente assumevano un valore del tutto nuovo e diverso.

Girò le chiavi nella toppa, infilò il braccio per fare luce...

Questa volta però l’interruttore non diede il suo impulso elettrico: Sanae riprovò ad accendere e spegnere, in un gesto convulso e stizzoso, ma non ottenne risultato alcuno.

Ma prima che la cogliesse una nuova crisi di pianto, vide una luce, un fioco e flebile albore proveniente dalla camera da letto al piano superiore, che seppur timido, balenò nei suoi occhi come un raggio di primavera che penetra prepotente fra i bianchi e soffici cirri.

E senza pensare a nulla, senza aver paura di trovar pericolo, corse in direzione di quella fiammella di speranza.

Salì rapida le scale, senza aver nemmeno chiuso l’uscio di casa, tirandosi sul corrimano, con la parte posteriore ancora dolorante, e con il cuore che batteva furioso.

Entrò nella stanza custode dei momenti più intimi della sua vita coniugale, e la ritrovò illuminata alla pallida luce di una candela rossa, posta accanto all’abatjour, dal suo lato di letto.

Decifrare le sensazioni di quei momenti non sarebbe stato per lei possibile, perché ormai le sembrava quasi di sognare e di non aver più cognizione e padronanza del suo corpo.

Un piccolo foglietto bianco spuntava di sotto la bugia.

Si avvicinò a quella piccola fonte di luce, si sedette sul letto, tirando fuori quella che aveva tutto l’aspetto di una lettera, e quando lesse sul retro le parole “Per Sanae”, riconoscendo la grafia di Tsubasa, calde lacrime sgorgarono abbondanti, battendo per quei sentieri ormai già indelebilmente tracciati.

Ma questa volta quelle piccole sfere luminose, che bagnarono la carta porosa che aveva fra le mani, erano di sollievo… e di consapevolezza che il suo piccolo Daibu e il suo papà stavano bene… e che tutti i suoi incubi si erano dissolti per incanto.

Estrasse il foglio racchiuso nella busta, e cominciò a leggere, dopo aver cacciato via le lacrime con il palmo della mano.

 

Mia cara Sanae,

spero che in questo momento non sarai troppo arrabbiata con me, per ascoltare quello che ho da dirti, perché davvero sento, più che mai, il bisogno di aprirti il mio cuore.

Sarà che nella vita non ho avuto troppo tempo per fermarmi a riflettere e per dedicarti tutte le attenzioni che avresti meritato, ma in questo momento così magico, in cui null’altro potrei chiedere alla vita, perché ho una donna e un bambino meravigliosi, e la mia carriera è ai suoi massimi splendori, sento che è giusto bloccarsi un attimo per tracciare un bilancio della mia... della nostra esistenza.

Purtroppo sono perfettamente consapevole di non poter far nulla per te, che ricambi tutto l’amore e la dedizione che mi hai dato in questi anni.

Perché non c’è modo di ripagarti di tutte le difficoltà che hai passato a causa mia: dall’amore a distanza quand’ero in Brasile, a tutti i momenti in cui ti ho trascurata per i miei impegni, fino all’averti trascinato per mezzo mondo, lontano dalla tua patria e dai tuoi affetti.

Soprattutto perchè so che non hai mai rimpianto un solo secondo di esserti innamorata proprio di uno che non poteva accontentarsi di fare l’impiegato o qualsiasi altro lavoro “normale”, ma che si era messo in testa di diventare il calciatore numero uno al mondo.

Vederti triste in questi giorni, mi ha fatto davvero male, perché so quanto ami il Natale e come avresti desiderato passarlo con la tua famiglia e con i tuoi amici, perché per quanto ti piaccia vivere a Barcellona, o meglio per quanto ti piaccia vivere sotto lo stesso tetto con me, capisco quanto la lontananza dalle altre persone a cui vuoi bene ti pesi.

Ed è per questo che spero veramente che questo mio piccolo regalo di Natale riporti quel sorriso sul tuo volto che amo sopra ogni altra cosa.

Quindi amore mio asciuga quei lacrimoni che sicuramente stanno bagnando questa lettera, e che di certo non saranno i primi né gli ultimi della giornata, e vai alla finestra.

Tsubasa

 

Ripiegò il foglio poggiandolo sul letto.

Si avvicinò a piccoli passi... non avvertiva più la stanchezza di quella serata passata in giro per la citta, e aprì la finestra che dava sul giardino, sul retro della casa, lentamente, nello scombussolamento più totale dei suoi organi.

Avvertì tagliente l’aria fredda e ancora carica di umidità sugli occhi e sulle guance bollenti per tutte le lacrime spese.

Il giardino era completamente al buio. Senza l'illuminazione delle lanterne non si riusciva a distinguere nulla con poche stelle.

Guardando meglio, le sembrò di poter vagamente scorgere qualche ombra… nulla di più.

Ma una piccola luce si accese in un angolo del giardino.

Due persone reggevano in mano una candela e Sanae dovette strofinarsi gli occhi per mettere a fuoco i loro visi.

Un sussulto fece sobbalzare il suo petto: “Mamma… papà…”

Fu la madre a parlare a voce alta: “Bambina mia.. buon Natale. Pensavi veramente che non saremmo venuti a trovare te e Tsubasa, e soprattutto a vedere il nostro splendido nipotino? Te l’avevamo promesso e siamo qui, perché ricordati che ci manchi tanto anche tu e che non è facile neanche per me e per tuo padre saperti lontana. Ma siamo sicuri che te la cavi magnificamente, perché sappiamo quanto sei in gamba..” e senza riuscire a celare l’emozione “.. e sappi che siamo orgogliosi di te”.

Sanae, ancora una volta, non potè impedire ai suoi occhi di dare sfogo a tutti quegli stati d'animo che si agitavano convulsi, sollevando e abbassando il suo petto in respiri affannosi e mozzati.

“Buon Natale” aggiunse il signor Nakazawa, anche lui con voce tremante di commozione.

Dopodichè soffiarono sulla candela e il giardino sembrò ancor più buio di prima.

Non ebbe il tempo però di mettere in ordine i suoi pensieri che una nuovo chiarore, dal lato opposto, fece luce.

Questa volta Sanae riconobbe subito i genitori di Tsubasa e il piccolo Daichi: “Sanae, buon Natale. Credo che dei genitori non possano augurarsi di meglio per il proprio figlio. Grazie di esserti sempre presa cura di lui, di consigliarlo per il meglio, e di amarlo in modo così assoluto e incondizionato. E grazie di averci dato un meraviglioso nipotino!”

Alle parole della donna, si aggiunsero gli auguri del signor Ozora e di un sorridente Daichi.

E di nuovo la candela fu spenta.

Sanae sentiva di non poter dir nulla…. era così forte l’emozione, che sole le lacrime calde sul viso e i singhiozzi incontrollati le permettevano di mantenere il contatto con la realtà.

Un nuovo bagliore in fondo al giardino.

"Yukari!" urlò nella sua mente.

Aveva i lucciconi agli occhi e le mani incrociate avanti: “Amica mia, buon Natale dal profondo del mio cuore. Sono qui per ricordarti che potrai fuggire anche nel posto più sperduto e nascosto della Terra, ma non riuscirai mai a liberarti di me, perché sarai sempre la mia migliore amica e io ti voglio troppo bene”

Ma  allo spegnersi di quella fiammella e all'accendersene di un'altra, gli occhi si Sanae si sbarrarono dallo stupore.

Accanto a Pinto che le urlò un rimbombante buon Natale, e a sua madre, un uomo alto e grosso si ergeva: era quel barbone che aveva incrociato in chiesa.

E quando afferrò quella barbetta ispida tirandola via, contemporaneamente a quel cappellino di lana calato sugli occhi non potè che stupirsi ancor di più: "Gonzales".

"Eh eh... te l'avevo detto che sarebbe andato tutto per il meglio... buon Natale Sanae!" esclamò con il pollice in alto, puntato verso di lei, prima che il soffio di Pinto spegnesse la candela. 

Neanche cento milioni di parole avrebbero potuto rendere il senso delle sue emozioni quando la nuova candelina che fu accesa, fu messa nelle mani di un piccolo, tenero fagottino imbacuccato di tutto punto, da sciarpa, cappello e guanti che con la sua vocina deliziosamente acuta, gridò: "mà-mà... bò talè" mentre la nonna guardinga stava attenta a non farlo scottare,

"Buon Natale amore mio.." sussurrò fra le lacrime.

Non potè godere per molto di quella magnifica vista, che aveva cercato spasmodicamente per tutta la sera, perchè Daibu, come tutti i bimbi, adorava spegnere i fuocherelli di candela, fiammifero, accendino o di qualunque altra natura. E così subito dopo averle augurato buon Natale, soffiò rapido sulla fiamma, riportando il giardino nell'oscurità.

Solo un suo urletto divertito, continuò a scaldare il cuore della sua mamma.

Con gli occhi scorse rapido il giardino, in attesa di quella che doveva essere l'ultima candela...

Quella di colui che aveva progettato tutto quello...

Quella dell'amore della sua vita....

Ma sentì un brivido correrle lungo la schiena... e nel vetro della finestra vide un'ombra riflessa, dietro di lei.

Quando, nel rigirarsi, trovò di fronte a sè l'uomo che riusciva sempre a stupirla e farla innamorare ogni giorno di più di lui, senza smettere mai, scoppiò in un pianto dirotto, portando entrambe le mani alla bocca, nel tentativo di porre un freno ai singulti.

"Beh.. io volevo farteli in privato gli auguri... anche se ormai penso che mi resta soltanto da dirti ... che.. ti amo"

La voce di Tsubasa era molto emozionata... vederla piangere così disperatamente di gioia, gli stringeva il cuore... sentiva un nodo alla gola e non riusciva a muovere le gambe per avvicinarsi a lei.... quelle stesse gambe che non avevano mai tremato nemmeno di fronte all'avversario più temibile.

Ma non fu importante... perchè Sanae si gettò al suo collo, e solo nell'attimo in cui ritrovò quelle braccia forti, potè dire di aver veramente cancellato via ogni paura e preoccupazione.

"Tu sei pazzo... sei completamente pazzo... e io ti amo ancor più pazzamente"

Ora sentiva solo le calde labbra di Tsubasa sulle sue guance, che baciavano le lacrime una per una, per asciugare il suo viso e scaldare la sua bocca.

"Mi dispiace Sanae" disse staccandosi da lei "..non doveva andare così... l'aereo dal Giappone ha fatto ritardo... contavo di arrivare molto prima.. e farti preoccupare giusto un pochino... per rendere più dolce la sorpresa".

E con la mano le carezzava il capo ancora freddo per tutta l'acqua e l'umidità che aveva preso.

"L'idea mi è venuta pochi giorni fa e solo per un puro caso siamo riusciti a organizzare la cosa..."

Sanae allungò le dita sul suo volto, per carezzare la diafana pelle di Tsubasa,  guardandolo come se niente di più meraviglioso potesse esistere al mondo.

"Per questo ti ho messo alle calcagna Gonzales... perchè controllasse che non ti accadesse nulla..." e mettendo una mano avanti "... però non chiedermi dove ha preso quella barba finta... io non ne so niente e stata tutta inventiva sua... " mormorò divertito.

"Non è vero..." sussurrò delicatamente.

Tsubasa non capendo a cosa si riferisse, scosse la testa: "Cosa.. non è vero?"

"Quello che hai scritto nella lettera... che non puoi ricambiarmi... non è vero... perchè nessuno mi avrebbe fatto mai felice, come riesci a fare tu..."  e lo baciò profondamente per fargli capire quanto fossero vere e sincere quelle parole "...nessuno potrebbe farmi sentire amata come mi fai sentire tu..." 

Ma nello stringerla forte a lei, Tsubasa inconsapevolmente andò a tastare il suo fondoschiena livido.

Al suo sussultò allentò la presa.

"Ecco... sono caduta" spiegandogli poi come quella pozzanghera impertinente le avesse tirato quel brutto scherzo.

Inevitabilmente Tsubasa non potè non sorridere, di fronte al suo cipiglio di bambina imbronciata per la bua.

"Povera piccolina" prese a baciarle il collo e a carezzarla dolce sulla parte dolorante "...allora dopo ti devo fare un bel massaggino.." fino ad arrivare di nuovo alle sue labbra, baciandole con trasporto e passione.

Si staccò malvolentieri e restando ad un millimetro da lei le sussurrò: "Dobbiamo scendere per forza, dagli altri?" chiese sospirando. 

Sanae sorrise,  strofinandosi ancora contro la sua bocca: "Beh hanno fatto solo diecimila chilometri di viaggio... possono aspettare un altro pò"

"A proposito" con un tono molto più serio ed accigliato, l'afferrò per i fianchi, scostandola un pò "Gonzales mi ha detto che guidi come una pazza scatenata... e che per starti dietro ha dovuto fare un centinaio di infrazioni..."

Sanae arrossì un pochino: "Ma ero preoccupata... potevo mai stare a pensare al tachimetro o ai cartelli stradali... mi sarà sfuggito qualcosa...ero troppo concentrata a cercare te e Daibu!"

Tsubasa mugugnò ancora severo.

Ma lei nel ripensare a quanto veramente era stata preoccupata, esclamò rabbuiata: "Se fosse successo qualcosa a te o a Daibu... io.."

Si sentì sollevare in aria da Tsubasa, che la alzò all'altezza del suo viso: "Ehi... non le voglio neanche sentire queste cose.. chiaro"

E la risposta fu un cenno con la testa, prima di rifinire rincollata, ancora una volta, ancora come sempre, sulle sue labbra.

 

Dei passettini veloci si udirono nel corridoio avanzare lesti per raggiungere la camera da letto: "Mà-mmà"

Daibu correva con andatura sbilenca e dondolante, con la nonna dietro pronta a placcare ogni eventuale perdita di equilibrio.

"Tesoro della mamma..."

Sanae si inginocchiò per cingere il suo tenero piccolino e riempirlo di baci fino a consumarsi le labbra, mentre le lacrime si mischiavano all'umore della sua boccuccia di rosa sempre rorida. 

"Mà-mma bò talè"

"Amore, buon Natale anche a te" disse stringendolo forte a sè e rialzandosi con lui in grembo.

E con avvinto il suo dolce fardello, si avvicinò alla sua di madre e la circondò con un braccio: "Mammina scusami..." fece, poggiando il viso sulla sua spalla "... ti ho trattato proprio male.."

"Oh... non ti preoccupare.. tanto so che sei una brontolona..." abbracciandola a sua volta, col tepore che solo una madre può emanare.

"Ora però scendiamo, che anche gli altri vogliono vederti... e poi c'è il camino da accendere, che in giardino ci siamo congelati" e tirandosi in braccio Daibu "Vieni dalla nonna passerotto, così la mamma si riposa un pò.." e si incamminò fuori in direzione delle scale.

Sanae si voltò verso Tsubasa, tendendogli la mano: "Allora scendiamo?"

Lui prontamente gliela afferrò: "Andiamo" disse dopo averla baciato sulla fronte.

E qualche altra lacrimuccia finì per scendere ancora nel ritrovarsi in mezzo a tutte le persone che amava, a quelle che c'erano e ci sarebbero sempre state nella sua vita.. anche se in un altro continente... perchè determinati legami non temono neanche distanze incommensurabili.

Abbracciò stretto prima il suo papà, poi Yukari... poi la famiglia di Tsubasa. Colpì con un buffetto Gonzales, che con la sua trovata le aveva fatto addirittura pensare di essere morta... strinse a sè il piccolo Pinto e la sua mamma.

E ogni tanto cercava in quel salone, gremito come doveva essere la sera della Vigilia di Natale, lo sguardo di Tsubasa, che la osservava con occhi scintillanti di felicità e amore. 

 

                                                                                            *****               

 

Un melodioso canto, che giungeva da fuori, nonostante il vociare allegro di casa Ozora, arrivò a solleticare l’udito di Sanae.

Senza essere vista, si avviò verso la porta d’ingresso e uscì fuori nel vialetto.

Erano le campane che annunciavano la mezzanotte… che annunciavano che Lui era venuto al mondo, col suo messaggio di pace e di speranza.

E la mente di Sanae volò a quella dolce Signora, a quella Vergine Madre che le aveva dato consolazione e conforto, e che come lei poteva stringere ancora una volta fra le braccia Suo Figlio.

“Grazie….” sussurrò, portandosi le dita alle labbra.

In quel momento avvertì un’avvolgente sensazione di calore: Tsubasa le aveva circondato le spalle con uno scialle di lana. E la tenne stretta per un po’, ascoltando insieme a lei il dolce suono delle campane che riecheggiavano per le strade di Barcellona.

“Tsubasa…”

“Dimmi”

“Io… non ti ho regalato nulla….”

Si sentì stringere più forte: “Vederti felice.. è questo il regalo più bello che puoi farmi..”

Sanae, dopo aver raccolto il suo sguardo ricolmo d'amore, poggiò il capo sul suo petto, come già mille altre volte aveva fatto, che fosse per trovare sollievo, gioia, passione, sfogo o protezione, o come in quel momento, semplicemente per ascoltare i battiti del suo cuore insieme ai rintocchi di quella  notte magica di Vigilia.

Alzarono gli occhi in alto.

Un fiocco di neve stava scendendo, dondolando ai flutti leggeri del vento, lottando per evitare di dissolversi prima di arrivare a toccare il suolo.

Sanae allungò la mano per farlo finire sul suo palmo: immediatamente al contatto tiepido della pelle si sciolse, trasformandosi da bianco cristallo in liquida perla trasparente.

Sorrisero di fronte a quel piccolo dono del cielo.

“Buon Natale Sanae!”

“Buon Natale… amore mio!”

 

*** Anais ***

 
 
Credit:** Il verso è tratto  dall''inno ufficiale del Fútbol Club Barcelona,  "Cant del Barça" .  Testi di Jaume Picas e Josep Espinàs.

 

Tanti auguri di felice anno nuovo a tutti i lettori di EFP, specie al fandom di CT e in particolare.. ad Alex_Kami: ti auguro che l'anno nuovo ti porti tutti i successi che meriti, grazie di avermi accolta affettuosamente; a Sakura_chan, a Lithys e a Rossy: grazie ancora per gli incoraggiamenti a continuare; a Riru, Shelia, Elisa, Eos75 grazie per le recensioni all'altra ff, e anche a Erika_B. che mi ha contattata personalmente.

E un augurio speciale alla cara Betta (OnlyHope).

FELICE 2007!

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=105257