Perdere la propria anima

di Persephone Lupin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Segreti nel buio ***
Capitolo 2: *** I confini di Hogwarts ***
Capitolo 3: *** Occhi penetranti e domande altrettanto ***
Capitolo 4: *** Acque turbolente ***
Capitolo 5: *** SOS ***
Capitolo 6: *** Fotografie, giornali ed una proposta pericolosa ***
Capitolo 7: *** Occlumanzia, un Ordine e un Giuramento ***
Capitolo 8: *** La spia ***



Capitolo 1
*** Segreti nel buio ***


Eccomi qui! Sono sempre io, FRC Coazze ^^  Per chi attendeva il seguito di “Un incubo”, beh, eccolo qui! Ci ho messo un po’ a cominciare la traduzione, perdonatemi, ma è un periodo che ho parecchio lavoro a casa e la scrittura è passata in secondo piano, e nei ritagli di tempo faccio quel che posso. Tra l’altro, anche la mia storia originale è rimasta in sospeso perché non posso dedicarle il tempo di cui avrebbe bisogno, quindi al momento è in letargo in attesa di tempi migliori (questo per chi nel caso mi seguisse come autrice).

Poi, passiamo ai dati tecnici: qui potete trovare tutte le storie di Persephone Lupin. La storia in lingua originale la trovate qui in inglese e qui in tedesco.
 

Il titolo originale della storia è “Shedding one’s soul” ed è stata pubblicata nel 2003, quindi in un periodo di cui di Severus non si sapeva ancora nulla. Ora, ovviamente, tutto ciò che viene ipotizzato nella storia è AU.

Per chi non avesse letto il prequel può trovarlo qui: “Un incubo” (il rating è rosso).

Ora via lascio alla lettura.
 

 

Capitolo 1.  Segreti nel buio

(Secrets in the dark)



 

Severus Snape entrò nella casa cupa in Knockturn Alley dalla porta di servizio. Con solo la fioca luce emanata dalla punta della sua bacchetta a illuminare i suoi passi e attento a non far rumore, salì su per la scala. Un incontro con il suo - probabilmente ubriaco - padre non era esattamente quello che desiderava dopo la sua ultima missione per il suo padrone. Certo, aveva avuto successo, come sempre, e aveva assolto il proprio compito in molto meno tempo del solito. Ma era stato molto faticoso, e per il momento il suo unico desiderio era quello di recuperare il sonno perso di diverse notti.

C'era ancora luce in soggiorno. Severus poteva vederla attraverso le fessure della vecchia porta di legno. E poteva sentire le voci ovattate di Scelestus Snape e Caligula Malfoy. Chissà  quale diavoleria stavano complottando quei due questa volta? La curiosità ebbe la meglio su di lui, ed egli strisciò cautamente fino alla porta. Ma ciò che stava per udire avrebbe sconvolto il suo mondo...

«...e il meglio è che lui non sa nulla. Non il più piccolo sentore di un sospetto. Riesci a crederci? Abbiamo recitato la parte dei perfetti genitori, la povera defunta Sylvia ed io, no?»

La risata ebbra di Scelestus riempì la stanza sudicia. L'ubriaco non notò l'espressione disgustata sul volto del suo ospite, né l'ascoltatore silenzioso nel corridoio buio.

Caligula Malfoy disprezzava quel suo compagno Mangiamorte dal profondo del suo cuore, ma una volta ogni tanto era costretto dalla necessità ad accompagnarsi a quella brutta copia di un Purosangue. Quella volta era venuto a prendere alcuni ingredienti speciali per una certa pozione illegale che solo Scelestus poteva fornirgli. E il bastardo non era disposto a consegnare gli oggetti costosi senza condividere prima con Caligula una bevuta. Il whisky da quattro soldi gli bruciò la gola facendolo tossire. Ma la storia sembrava interessante, un segreto indicibile che avrebbe potuto fruttargli qualcosa in futuro, chi poteva sapere? Così, Scelestus e Sylvia non erano i genitori di Severus. Chi l’avrebbe mai pensato? Con quei suoi capelli neri e unti, la pelle pallida e il naso adunco il ragazzo aveva l'aspetto di una miscela piuttosto sfavorevole dei suoi genitori - no, non i suoi genitori, se ciò che Scelestus aveva appena detto era vero e non uno sproloquio senza senso di un vecchio ubriacone.

«Chi sono i suoi genitori, allora, e cosa è successo loro?»

«Vuoi saperlo, caro amico. Ma è top secret, ordini dall’alto.» Scelestus scoppiò in un risata folle. «La curiosità ti ucciderà uno di questi giorni, caro Caligula.»

«E un eccesso di segretezza potrebbe uccidere te, Scelestus Snape. Ma comunque, io non ti credo. Cosa potrebbe esserci di così speciale riguardo alle origini del ragazzo che l'Oscuro Signore stesso avrebbe dovuto interessarsi alla vicenda?» Quello era il modo migliore per superare in astuzia il lurido, auto compiaciuto bastardo: fare finta di non credere nell'importanza delle informazioni. Aveva già spifferato il segreto abbastanza in fretta, l’untuoso bastardo.

«Tu non mi credi?» Scelestus si avvicinò, il suo respiro carico d’alcool quasi soffocò l'uomo più giovane. «E se la Sua Altezza in persona avesse scaricato il ragazzo al suo servo più fidato e leale e a sua moglie? E se il Signore Oscuro fosse suo padre?»

Nel buio del corridoio, Severus trattenne il respiro.

«Non stai dicendo sul serio. Ti sei fatto un whisky di troppo!»

«Prendere o lasciare, allora. Ma posso dire, ci sono delle tombe là fuori… tre tombe. Il nostro Signore ha fatto un lavoro minuzioso quando ha recuperato il suo ragazzo da quella puttana Sanguesporco che era sua madre e dai suoi genitori. Tra l’altro, sono sicuro che tu la conoscessi. Frequentava Hogwarts gli stessi anni di te e Tom. Una bellezza. Il suo nome era Helena Evans, Grifondoro.»

Caligula rimase a bocca aperta. Sapeva quello che era accaduto tra il suo compagno di classe e compare Serpeverde, l’allora Tom Riddle, e Helena Evans. Ma non sapeva ci fossero state conseguenze. E mai e poi mai avrebbe sospettato che tali conseguenze sarebbero potute andare sotto il nome di Severus Snape.

«Puoi provarlo?»

«Guarda i due negli occhi e avrai la tua prova.» Scelestus si protese ancora di più verso di lui, il suo naso a pochi centimetri da quello di Malfoy. «E… Severus parla il Serpent...»

Il giovane, di cui i due maghi in salotto stavano parlando, si appoggiò pesantemente contro la porta, troppo stordito per pensare o muoversi, quasi non ricordava come respirare. Il Signore Oscuro era suo padre. L'unica persona che aveva mostrato interesse, colui che gli aveva comprato la sua bacchetta quando aveva solo tre anni, che gli aveva donato quei libri affascinanti pieni di magia nera, che gli aveva dato una pacca sulla spalla quando era riuscito a lanciare la maledizione Imperius su un topo all'età di sette anni. Il suo ammirato padrino che gli aveva spiegato il concetto di potere. E lo stesso che gli aveva insegnato a torturare e uccidere al suo comando. Senza pensare. Quell’uomo era in realtà suo padre. E quel padre lo aveva scaricato in quell’inferno di abusi a Knockturn Alley. Con un "padre" che lo aveva picchiato regolarmente quando era ubriaco, e, quando sobrio, gli aveva scagliato contro il suo sarcasmo feroce. Ancora allora, non sapeva dire cosa fosse peggio. Aveva imparato presto come sgattaiolare silenziosamente per la casa, come rendersi invisibile mischiandosi tra le ombre - i suoi santuari - che la casa tetra forniva in abbondanza. Solo per evitare di attirare le attenzioni di suo “padre”. A volte, era riuscito a tenersi fuori dai piedi per giorni. Quelli erano i momenti in cui era stato fortunato. Ma poi di nuovo, il "padre" lo avrebbe cercato come valvola di sfogo per la sua collera ubriaca. Oppure avrebbe chiesto il suo aiuto nel laboratorio di pozioni.

Severus aveva sempre amato il laboratorio. Era l'unica stanza in tutta la casa che era tenuta pulita e ordinata, anche se somigliava più ad un sotterraneo che ad una stanza. C’erano calderoni disposti su tavoli di pietra liscia; fiale di tutte le dimensioni, forme e colori posti ordinatamente su scaffali di legno, e ingredienti di tutti i tipi accuratamente conservati in cassetti, scatole, e cestini. Altri poi venivano conservati in numerosi barattoli di vetro su altre mensole di legno. Quei vasi di vetro con i loro contenuti misteriosi immersi in liquidi senza nome gli avevano sempre fatto venire i brividi quando era un ragazzino, ma al tempo stesso possedevano uno strano fascino che lo attirava a loro, sempre più vicino. Ora, all'età di ventidue anni, e con una padronanza delle pozioni che superava di gran lunga quella di suo “padre”, conosceva il contenuto di tali vasi a memoria ed era rimasto poco mistero intorno ad essi in realtà, tuttavia poteva ancora sentire il leggero brivido lungo la schiena, l'ondata di fascino, quando li guardava. Se non fosse stato per la presenza minacciosa di suo “padre” e il pestaggio che inevitabilmente lo attendeva dopo la sessione di lavoro – più che altro senza ragione alcuna - avrebbe potuto essere felice nel laboratorio di pozioni.

Neanche sua “madre” era mai stata di qualche aiuto. In principio, aveva litigato con il marito a favore del figlio un paio di volte, ma per la maggior parte del tempo era rimasta a fissare qualcosa che solo la sua mente stordita poteva vedere ed era a malapena consapevole dell’esistenza del figlio. Se non fosse stato per Ickly, la vecchia elfa domestica, Severus sarebbe sicuramente morto di fame e trascuratezza molto tempo prima di frequentare Hogwarts. Quando sua “madre” era morta durante il suo secondo anno di scuola - molto probabilmente di overdose di una qualche pozione – lui non aveva sentito nulla, non faceva alcuna differenza che lei ci fosse o meno dal momento che non era mai stata lì per lui. Per lui non era stata più di uno splendido soprammobile che aveva perso da tempo la sua utilità ed era stato infine messo da parte.

Ma la morte della vecchia Ickly, quello stesso anno, lo aveva lasciato devastato. Allora era stato veramente solo e alla mercé di suo “padre”. Avrebbe voluto che quell’estate quelle vacanze non fossero mai venute. Invece, erano arrivate inevitabili come la rivoluzione della Terra che continuava a girare e ruotare lungo suo cammino senza fine intorno al sole. L'unica speranza che allora gli impediva di cadere nella disperazione era che il suo padrino magari sarebbe passato a trovarlo una volta o due durante la pausa estiva e avrebbe portato nuovi libri e, se fosse stato molto fortunato, gli avrebbe insegnato delle nuove fatture.

Il suo padrino. Avrebbe potuto avere una famiglia amorevole, o almeno una madre e dei nonni che si prendevano cura di lui; avrebbe potuto vivere nella luce se non fosse stato per il suo “padrino”, che era in realtà suo padre. Che aveva ucciso la sua vera famiglia. Che lo aveva condannato a una vita all'inferno. Che aveva fatto di lui il suo schiavo senz'anima. Un assassino, spietato come il suo stesso padre. Che fosse maledetto quel bastardo!

Si sentiva male, nauseato. Non sentì i passi silenziosi avvicinarsi alla porta. Non notò che Malfoy aveva abbassato la maniglia. Quando improvvisamente la porta si spalancò, Severus perse l’equilibrio e cadde nel soggiorno all'indietro con un sussulto di sorpresa. Malfoy e Snape erano non meno stupiti del giovane mago che era caduto sul pavimento davanti ai loro piedi.

«Che diavolo ci fai qui, maledetto figlio di una cagna?» Scelestus chiese, torreggiando minacciosamente sul “figlio” a terra. Afferrò lo sbalordito Severus per il collo, lo strattonò verso l’alto e lo sbatté dolorosamente contro il muro preso da furia palese.

Sebbene Severus fosse un paio di centimetri più alto del suo vecchio, essendo di una corporatura piuttosto magra e snella non fu in grado di combattere fisicamente il robusto, corpulento Scelestus, che era, a dispetto delle sue abitudini di bevitore e dei suoi quasi sessanta anni, forte come un bue e sempre pronto a caricare.

«Che cosa hai sentito, lurido spione?» ringhiò Snape senior pericolosamente. «Rispondi!»

«Ma non vedi che non può rispondere? Lo stai strozzando, il ragazzo.» Caligula sogghignò. Sembrava apprezzare genuinamente il dramma che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi.

A malincuore, Scelestus allentò la morsa soffocante intorno alla gola di Severus e aspettò con impazienza che il giovane avesse recuperato un po’ la mancanza di ossigeno.

«Ora, rispondi a tuo padre: cosa hai sentito?»

Una rabbia terribile e un odio sconfinato improvvisamente gonfiarono il petto di Severus.

«Tu non sei mio padre, maledetto, inutile bastardo!» sputò con vigore e, con un rapido movimento imprevisto, si liberò dalla presa di suo “padre”, estrasse la bacchetta e fece volare Scelestus dall’altra parte della stanza.

«Come osi?!» Scelestus era di nuovo in piedi dopo pochi secondi, la sua bacchetta pronta.

La cosa si prospettava interessante, un duello padre-figlio… anzi, non padre-figlio, dopo tutto. Caligula fece alcuni passi indietro, ben lungi dal tentare di fermare quella divertente performance. Scelestus sembrava aver smaltito la sbornia per l’eccitazione, ed era conosciuto per essere un duellante esperto che non dava alcuna importanza alle regole. Di cosa il giovane Severus fosse capace non poteva ancora dire; ma, considerando ciò che suo figlio Lucius gli aveva raccontato sul suo compagno di Serpeverde, Severus sapeva il fatto suo.

Le fatture volavano nell’aria veloci come fulmini. Presto, passarono a maledizioni sempre più oscure, e la furia omicida crebbe negli occhi di entrambi gli uomini.

«Crucio!» Scelestus gridò, già ansimando pesantemente.

Ma Severus con un liscio, balzo felino, riuscì a schivare la maledizione, e ora toccava a lui l’attacco.

«Ora basta! Expelliarmus!» I combattenti vennero sbalzati all’indietro, le loro bacchette volarono nell’aria.

«Non interferire, Malfoy!» Severus ruggì mentre tentava di rialzarsi, la sua attenzione e la sua rabbia ora rivolte all’uomo biondo che sorrideva beffardo e che gli aveva strappato la bacchetta.

«Non posso permettere che vi uccidiate a vicenda, non credi? Per quanto mi sarebbe piaciuto lo spettacolo. Ma che cosa dovrei riferire al Signore Oscuro se mancherete alla prossima riunione? É per il vostro bene, sai, e anche per il mio.» E con un gesto elegante della sua bacchetta, Caligula evocò delle grosse corde che si avvolsero strettamente attorno alle braccia, petto e gambe di Severus.

Nel frattempo, Scelestus era strisciato verso la sua bacchetta, inosservato. Avrebbe ucciso il ragazzo, nient’altro importava. La follia cieca aveva preso il sopravvento.

«Avada Kedavra!» La luce verde esplose dalla punta della bacchetta di Scelestus. Ma, istintivamente, Severus si lasciò cadere giusto in tempo evitando l’Anatema che Uccide per pochi, miseri centimetri.

E poi, esplose l’inferno. Severus non sapeva come potesse farlo, ma tutto ad un tratto la sua ira rovente deflagrò in un impeto tonante di bolle di energia. Le corde che lo legavano volarono in aria lacerate in centinaia di brandelli sfrigolanti e, con il fragore di un tuono, metà del soffitto crollò sui suoi aggressori, le pesanti travi di legno che bruciavano come le torce del purgatorio.

Tutta la stanza prese immediatamente fuoco. Severus, esausto da quella potente dimostrazione di magia senza bacchetta, inciampò verso la porta, attraverso polvere, fumo e fiamme, ignorando le urla frenetiche di dolore provenienti da colui che aveva chiamato padre mentre le fiamme lo consumavano. Malfoy, almeno, aveva trovato una morte più rapida.

Arrivato in cortile, le gambe gli cedettero e cadde nell'erba bagnata. Le fiamme si stavano già diffondendo al secondo piano, contorcendosi come viticci di fuoco e protendendosi nel cielo notturno.

Presto sarebbe arrivata gente. Doveva andarsene. Ma andare dove? Cosa diavolo avrebbe dovuto fare ora? Severus non riusciva a pensare, né tantomeno a concentrarsi. Voleva uscire fuori, fuori di lì, fuori da quell’incubo. E voleva vendicarsi. Suo padre lo aveva tradito… ora lui avrebbe tradito suo padre. Stranamente, il pensiero ebbe su di lui un effetto calmante. Almeno, aveva uno scopo ora. Gli rimaneva da progettare una strategia ancora. Ma non adesso. Un po’ più tardi, quando la sua testa avrebbe smesso di farsi credere pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Ora doveva andare via. Doveva andarsene.

Troppo provato per osare Smaterializzarsi, si trascinò lentamente in piedi. Senza guardare indietro all’inferno di fiamme che aveva creato, Severus chiamò a sé gli ultimi residui di energia rimastigli e, barcollando, uscì dal giardino.

Senza meta, andò alla deriva le strade avvolte dalla notte, indifferente al freddo e alla pioggia battente. Infine, si ritrovò in un parco senza nome e crollò su una panchina di legno logoro. Chiuse gli occhi. Ma il sonno non venne, solo immagini della sua vita da Mangiamorte, delle incursioni, del caos, fiamme e sangue. I volti delle persone che aveva torturato e ucciso. Le urla. E, sopra a tutto, la fredda, minacciosa voce e l'acuta risata fanatica del suo padrone. Di suo padre. Voleva vomitare dal disgusto e dal disprezzo di se stesso.

Come lo odiava ora… odiava se stesso; odiava il marchio che lo legava al Signore Oscuro per sempre. Il marchio del male, del peccato e della dannazione impresso a fuoco nella sua carne. E anche se sapeva fosse inutile, anche se sapeva che non sarebbe mai svanito, prese a graffiare e lacerare il marchio sul suo avambraccio sinistro con denti e unghie, accogliendo il dolore. Ma i semplici graffi non bastavano. Nelle tasche del suo pesante mantello da viaggio trovò il coltellino che usava per raccogliere le erbe e tagliò il marchio sanguinante che ancora gli ghignava maligno in faccia. Tagliò in profondo.

La mattina fredda e tetra di dicembre trovò Severus sul terreno umido, mentre lentamente si risvegliava dall’incoscienza. La testa gli pulsava e sentiva un dolore paralizzante pulsare attraverso il suo braccio sinistro. Non sapeva dove fosse, né perché fosse ancora vivo. Rabbrividì per il freddo, il suo mantello intriso d’umidità non forniva alcun sollievo. Si sentiva più infelice che mai prima di allora, aveva le vertigini e la nausea, e voleva soltanto rannicchiarsi come un riccio e morire dimenticato da Dio in quel parco.

Ma c'era qualcosa che doveva fare prima. Prima di arrendersi - vendetta. Sì. Si aggrappò a quella parola come a un'ancora di salvezza. E improvvisamente, l'immagine di un vecchio mago, con lunghi capelli bianchi, la barba folta e scintillanti occhi azzurri dietro gli occhiali a mezza luna, si formò nella sua mente. Dumbledore. Albus Dumbledore. Il preside. Certo. Lui avrebbe ascoltato. Se si fosse rivolto al Ministero lo avrebbero gettato ad Azkaban senza pensarci due volte, o avrebbe subito il Bacio del Dissennatore sul posto. Non che lui non se lo meritasse. Lo sapeva. Il Bacio sarebbe addirittura stato il benvenuto. Avrebbe posto fine a quel caos di emozioni, ai ricordi terribili che continuavano a inondare la sua mente dopo che la rivelazione della sera prima aveva spezzato le sue difese mentali. Ma prima voleva provocare più problemi possibili a Voldemort. Riferire al nemico tutto ciò che sapeva. Dumbledore avrebbe ascoltato prima di condannare, e avrebbe saputo cosa fare…


 


 

Note alla traduzione

Come sempre, la traduzione non è letterale, ma cerca di mantenere lo stile della storia originale. I nomi ho dovuto lasciarli in inglese, anche perché avevo dovuto farlo con il prequel quindi non potevo cambiare così, di punto in bianco. Anche se mi trovo personalmente molto male con i nomi originali.

Altro da dire non avrei, quindi… aspetto i vostri commenti :)

 
 

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Capitolo 2
*** I confini di Hogwarts ***



Scusatemi, scusatemi, scusatemi! Mi dispiace avervi fatto attendere tanto per questo capitolo. Davvero, scusatemi tantissimo. Spero di riuscire a trovare il tempo per riprendere a tradurre e postare i prossimi capitoli in tempi decenti.

Nel frattempo, spero che questo breve capitolo vi piaccia. :)


  

Capitolo 2. I confini di Hogwarts

(Hogwarts bounds)




 

Presa la sua decisione, Severus si alzò tremante in piedi, combattendo contro le vertigini e il dolore. La La smaterializzazione non era la scelta migliore visto il suo stato. Rimaneva il Nottetempo. Il viaggio gli avrebbe anche dato il tempo di usciredal suo torpore mentalee riflettere bene sulla sua decisione. Pianificare cosa dire a Dumbledore. Costruire una strategia. E il primo strategico passo, probabilmente, era quello di asciugarsi e rimettersi in ordine. Perché non aveva un incantesimo impermeabilizzante prima di correre sotto la pioggia? E il sangue sulle sue vesti e mani, anche se era soltanto suo (per una volta)non avrebbe fatto una buona impressione.

Le sue mani cercarono la bacchetta a tentoni. Non era nelle sue tasche. Dannazione! La bacchetta era rimasta sepolta e bruciatain quella casa maledetta che era stata la suacasa. Insieme al suo amato'padre'. E a quello di Lucius. Questo pensiero, almeno,gli portòuna certa soddisfazione. Dueutiliscagnozzi in menoper il Signore Oscuro. Ma essere privo di bacchetta era una brutta cosa, si sentiva quasi nudo senza di essa. Non poteva farci nulla, per ora. Ed aveva risparmiato al Ministero il disturbo di spezzarla...

Il Nottetempo. Per fortuna poteva essere richiamato senza bacchetta. Severuslanciòil segnale richiesto e,con un tonfo,il pullman apparve dal nulla aduna velocità terrificante. Il giovane fu costretto a balzare velocementeall'indietro per evitare di essere travolto. Dannato pazzo d’un autista! L'autobus si fermò con lo stridore dei freni, e la porta si aprì.

Quando Severus entrò, con gli occhi dell’anziano autista quasi saltarono fuori dalla loro sede. Se non ci fosse stata l’ormai chiara luce del sole, avrebbe giurato che quel giovane mortalmente pallido, fradicio di pioggia e insanguinato era un vampiro in fuga. Ma non aveva sentito parlare di una razza di vampiri resistenti alla luce. Quindi doveva esserci sicuramente una spiegazione meno pericolosaper quell'aspetto insolito. Probabilmente una lotta da ubriachi con un amico? La sua empatica curiositàe bonarietà presero di nuovo il sopravvento dopoil primo shock.

«Accidenti, amico, hai unaspetto terribile. T’ha tirato sotto un autobus?» La sua battuta si perse completamente davanti al mago oscuro.

«Fatti gli affari tuoi!»scattò Severus, lanciando all’autista uno sguardo omicida.

«Mi dispiace, signore, non volevo intromettermi! Dove è diretto, comunque?»

«Hogwarts».

«Ci vorrà un po’ di tempo, allora. Meglio che si metta comodo. Gradisce una cioccolata calda? Cioccolato? Caramelle? Riviste? Cuffie?»

Ruggendo un “no” e quasi lanciando i soldi della tariffa al loquace autista, Severus si portò all'estremità posteriore del bus, il più lontano da quell’uomo disgustosamente gioviale.

C’era un buon gruppetto di passeggeri, per lo più le streghe con i loro figli ache andavano a fare shopping natalizio. Lo osservarono tutto, ma uno sguardo era sufficiente a fare in modo che i bambini, che lo fissavano intontiti, spostassero subito lo sguardo terrorizzati. Perfino sussurrare sembrava troppo pericoloso in presenza di quell’uomo sinistro.

Severus trovò un posto appartato in un angolo buio e vi si sedette. Quando il pullman ripartìcon uno scatto improvviso, rischiò di inciampare borbottando maledizioni tra sé e sé. Tutto ciò,sicuramente,non avrebbe aiutato con la sua nausea. Doveva concentrarsi duramente per non vomitare. Probabilmente sarebbe stato meglio se si fosse disteso. Cautamente, Severus si alzò di nuovo e allungò le gambe su uno dei sottili materassi che non era ancora stato ritirato dopo la corsa notturna. Così andava meglio. Ma era ancora bagnato fino alle ossa e aveva tanto freddo che i suoi denti cominciarono a battere. Quando quell’odioso di un autista avanzò verso la parte posteriore dell’autobus e lasciò cadere una coperta sull'uomo tremante -per fortuna senza dire una parola– Severus riuscì a indirizzargli soltanto una debole occhiata prima di acciambellarsi sotto la coperta di lana.

«Ehi, amico, meglio che ti dia una mossa. Siamo ad Hogwarts ora.»

Hogwarts. Severus aprì gli occhi allontanandosi da un sonno inquieto,pieno di immagini di fuoco e morte. Quando si era diplomato, quattro anni prima, era sicuro che non avrebbe mai più rimesso piede all’interno dei confini di Hogwarts. Non se poteva farne a meno. La scuola era stata una casa per lui molto più di qualsiasi altra avesse avuto prima, quello era vero. Ma era stato un sollievo riuscire finalmente ad allontanarsi dagli idioti che erano i suoi compagni di classe e dalle occhiate diffidenti degli insegnanti; prevalentemente incompetenti, comunque. Per non dimenticare gli scherzi umilianti di San Potter e dei suoi discepoli e lo scintillio snervante negli occhi del preside. Anche se era di gran lunga preferibile alla fredda, penetrante ira in quegli stessi occhi che sembravano mettere a nudo il loro bersaglio umano fino alle ossa.

Rabbrividì. Essere sottoposto a quello sguardo non era qualcosa che smaniava di subire una seconda volta, però, molto probabilmente, avrebbe dovuto affrontare quello e anche qualcosa di peggio prima che il giorno finisse. Potter, naturalmente, non era mai stato l'obiettivo della rabbia calma di Dumbledore. Nemmeno quello stupido idiota di Sirius Black o il lupo mannaro. No, era stato Severus a subire la misura intera dopo essere stato quasi ucciso dalla 'Santissima Trinità'. Erano nobili Grifondoro loro, dopo tutto. E lui non era altro che uno scellerato, viscido Serpeverde.

Se solo fosse partito per l'America dopo il diploma, o l’Australia, Alaska magari. Qualsiasi cosa sarebbe stato meglio che rimanere. Rimaneree unirsi ai Mangiamorte insieme a molti dei suoi compagni di Casa. E tornare a quella casa maledetta in Knockturn Alley per aiutare suo ‘padre’ a preparare pozioni per il Signore Oscuro. Oppure acquistare ingredienti rari per gli esperimenti del suo padrone. Ma allora era già troppo a fondo coinvolto: avrebbe fatto di tutto per ottenere un riconoscimento dal suo padrino e padrone. Era appena tornato da una di quelle imprese, questa volta aveva dovuto recuperare una qualche lumaca marina che si diceva possedesse un veleno molto potente. Aveva ancora il barattolo con l'animale sotto formalina in tasca...

E ora stava tornando a Hogwarts di sua spontanea volontà. Che ironia. Stava tornando da quel sorridente e fiducioso vecchio pazzo di un Preside, come molti credevano. Ma Severus sapeva di più. Aveva visto la bestia sopita negli occhi di Dumbledore. Dio ve ne scampi se quella fiera dovesse liberarsi.

In silenzio, Severus scese dall'autobus e si avvicinò all’imponente cancello di ferro della scuola. Con un cigolio, le enormi ante si aprirono. Era ormai tardo pomeriggio, e continuava a piovere leggermente. Severo pregò il cielo -o l'inferno, qualunque dei due avesse esaudito il suo desiderio- che gli studenti e il personale fossero ancora troppo occupati con le lezionie non stessero affollandosi nell’atrio e nei corridoi. L’ultima cosa che voleva sperimentare ora era imbattersi in uno stormo scorrazzante di ragazzini del primo anno. Tirandosi su il cappuccio per proteggersi dalla pioggia e dagli sguardi curiosi, procedette lungo la strada verso l’ingresso principale. Sentiva ancora il freddo e le vertigini, e più si avvicinava al castello, più diventava nervoso. Quando raggiunse il grande portone di legno era sul punto di farsi prendere dal panico, riusciva a stento a trattenersi dal voltarsi e correre via. Suona quel campanello, maledetto vigliacco, si rimproverò. E, con mani tremanti, eseguì il suo stesso ordine.

Oh gioia! Di tutti gli insegnanti doveva proprio essere Minerva McGonagall, il severo Capo Casa di Grifondoro, a rispondere alla chiamata. Lo studiò dalla testa ai piedi attraverso la porta socchiusa, inarcando le sopracciglia in legittimo sospetto.

«Lei chi è, signore, e quali affari la portano qui? Parli!» La sua voce era esattamente graffiante e rimproverante come Severus la ricordava dalla sua carriera scolastica. Non mostrare il tuo nervosismo, ora, ritrova il controllo! Si fece forza contro il suo sguardo penetrante.

«Severus Snape. Ho bisogno di parlare con il professor Dumbledore.»

Snape. Quel nome fece suonare un campanello. Un campanello d'allarme, a dire il vero. Lo ricordava, il ragazzo. Molto intelligente, ambizioso, ed estremamente arrogante. Un solitario che passava il tempo con sé stesso e i suoi libri, quando non era impegnato nella sua scandalosa e personale faida con James Potter e i suoi compagni Grifondoro. Niente di buono da aspettarsi in questi termini. Un astuto, infido, viscido Serpeverde, senza dubbio. E non era sangue quello sul suo mantello?

«Di cosa intendi parlare col preside, signor Snape?» chiese lei bruscamente.

«Non sono af....» No, non va bene. Non va bene per niente. Non devi insultare o urlare contro la professoressa. Ti farebbe una bella lezione sul modo di comportarsi e poi ti sbatterebbe la porta in faccia. Calmati e riprova.

«É strettamente personale.»

«Devi capire, signor Snape, che questi sono tempi pericolosi e concitati. Non posso lasciarti entrare nella scuola e permetterti di occupareil tempo prezioso del Preside senza verificare la legittimità della richiesta. Dunque, signor Snape?»

Nessuna risposta.

«Allora, signor Snape, devo chiederti di andartene.» Con determinazione, cominciò a chiudere la porta.

«Aspetti, professoressa! É importante, urgente. Per favore...» L’evidente disperazione nella voce del giovane fece vacillare l’austera insegnante.

«Vuoi prendere una decisione ora e dirmi cos’è questa storia, signor Snape?»

«Non posso». La sua voce era roca, quasi un sussurro. Non vi era molto del Serpeverde orgogliosoe arrogante che lei ricordava ora. Con gli occhi fissi a terra, le mani tremanti e palesemente combattendo con le lacrime, il suo ex allievo le ricordava un ragazzino del primo anno spaventato in attesa della punizione. Il, solitamente ben nascosto, lato materno della professoressa McGonagall prese il sopravvento, il lato che provava perfino un po’ dipietà per un Serpeverde perduto.

«D'accordo, signor Snape, ti lascerò parlare col Preside, ma solo ad una condizione: devi affidarmi la tua bacchetta per tutto il tempo di permanenza a Hogwarts.»

«Non ho la bacchetta.» La sua risposta calma la colse di sorpresa.

«Non hai la bacchetta?» chiese incredula. «E credi davvero che crederei a questa sciocchezza?»

«L'ho perduta». Occhi neri fissavano intensamente quelli di lei. Quel ragazzo sembrava aver perso molto di più che la sua semplice bacchetta. Doveva chiamare Madama Pomfrey? Però, poteva essere importante. Presa che ebbe la sua decisione, lasciò infine entrare Severus.

«Seguimi, e niente trucchi!» 





  

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Capitolo 3
*** Occhi penetranti e domande altrettanto ***


Lo so, lo so… avevo detto che avrei cercato di pubblicare questo capitolo il prima possibile. Ho fallito miseramente… è passato un mese -.-
Spero possiate scusarmi e che il capitolo sia di vostro gradimento.

 


 

Capitolo 3. Occhi penetranti e domande altrettanto

(Piercing eyes and piercing questions)




 

Il percorso verso l’ufficio del preside sembrava durare ore. Il solo mettere un piede davanti all'altro era uno sforzo terribile. Allo stesso tempo, Severus, ancora, non era davvero preparato a ritrovarsi in piedi di fronte al gargoyle di pietra che sorvegliava l'ingresso al regno di Dumbledore. Cosa diavolo avrebbe dovuto dire al preside? Avrebbe ascoltato? Non c’era modo di tornare indietro ormai.
 

«Biscotti al ginger.»
 

Il gargoyle prese vita, balzò di lato, e il muro alle sue spalle si divise in due rivelando una scala a chiocciola che si arrampicava senza problemi verso l'alto, come una scala mobile.
 

«Seguimi». La professoressa McGonagall fece un passo sulla scala che saliva. Il solo guardare quel movimento a spirale fece tornare le vertigini a Severus. Chiuse gli occhi e seguì la professoressa con cautela. Si sentiva male, ma non sarebbe stato il caso di vomitare in faccia a Dumbledore o svenire davanti alla porta.
 

Infine, raggiunsero di nuovo una base stabile.
 

«Aspetta qui e non fare scherzi». La McGonagall bussò alla porta di quercia con il battente d’ottone a forma di grifone mentre teneva d’occhio Severus. Il ragazzo sembra malato. Ha sicuramente la febbre, se non qualcosa di peggio. La porta si aprì silenziosamente. Con un cipiglio preoccupato sul suo volto, Minerva entrò nell'ufficio del suo superiore e sussurrò qualche parola di avvertimento alle orecchie di Albus. Il volto del Preside era grave quando questi invitò Severus ad entrare.
 

«Puoi lasciarci soli ora, Minerva. E grazie.»
 

«Sei sicuro, Albus?»
 

«Credo di poter far fronte a un giovane senza bacchetta, non ti pare?» Un sorriso giocò intorno agli angoli della sua bocca, ma non raggiunse gli occhi. Una sola occhiata a Severus, nel suo mantello bagnato e sporco di sangue, lo aveva convinto che quella non sarebbe stata una piacevole discussione davanti a un té coi biscotti. Il giovane era nervoso e spaventato. E Albus percepiva un forte sentore di colpa e disperazione misti a disgusto.
 

«Prego, accomodati, signor Snape.» Ma il giovane parve non aver afferrato quelle parole. Alzò lentamente gli occhi verso lo sguardo indagatore del vecchio mago e sussurrò:«Sono venuto a costituirmi.»
 

«CostituirtiDumbledore sostenne lo sguardo come se stesse osservando in profondità l'anima del suo ex studente, leggendo i suoi pensieri e sentimenti, svelando tutti i segreti oscuri, mettendo a nudol a sua intera vita. Rabbrividendo, Severus distolse lo sguardo.
 

«Di quali crimini sei colpevole?» Dumbledore chiese con voce neutra.
 

«Sono un Mangiamorte.»
 

E da lì cominciò un interrogatorio doloroso. Sembrò durare per ore. Severus aveva finalmente accettato la sedia che Dumbledore aveva evocato al suo fianco. Si sentiva stordito e doveva concentrarsi duramente per seguire la rapida successione di domande. Ma lui avrebbe risposto nel modo più sincero possibile. Dare più informazioni possibili su Voldemort e i suoi Mangiamorte. Fornire ai suoi nemici un vantaggio decisivo, cosicché un giorno avrebbero potuto sconfiggere il mostro. Essendo un membro della cerchia interna, sapeva molte cose, tutto quello che uno poteva sapere considerando che Voldemort non si fidava di nessuno tranne se stesso.
 

Dopo essersi unito ai Mangiamorte, Severus aveva percorso una rapida salita verso la cerchia più interna dell'organizzazione, nonostante la sua giovane età. Nessuno dei suoi compagni di classe aveva ottenuto tanto, nemmeno Lucius Malfoy. Il merito veniva prima del nome e della ricchezza tra i Mangiamorte, e il Signore Oscuro era stata la prima persona, in tutta la sua vita, a riconoscere la mente brillante di Severus, il suo talento e la sete di conoscenza, così come la sua volontà di non essere più soggetto ad altri, ma di essere quello al potere. Ma ora aveva Severus scoperto che tutto ciò era stato solo un’illusione, come tutta la sua vita era stata una menzogna. Non era altro che uno strumento volontario di terrore. Aveva torturato ed ucciso. Probabilmente non con il piacere sadico che molti dei suoi complici mostravano durante un’incursione, ma con freddo calcolo. Aveva creduto nella causa, nel loro leader. Aveva dovuto ingoiare la dottrina della superiorità del sangue puro fin dalla prima infanzia. Aveva disprezzato Mezzosangue, Sanguesporco e Babbani con tutto il cuore. E ora tutto questo era andato in frantumi. Egli stesso era un Mezzosangue. Ed era un assassino.
 

Il volto di Dumbledore era segnato dalla rabbia repressa e dalla fatica. Quello che aveva sentito lo faceva stare male. Come poteva quel ragazzo, a malapena un uomo, semplicemente sedersi lì e confessare le atrocità più terribili in una voce calma e distaccata? Avrebbe potuto schiaffeggiarlo. E perché mai era venuto lì, da lui, in primo luogo? I Mangiamorte non venivano da te per aprirti il loro cuore – sempre che ne avessero uno - senza chiedere qualcosa indietro. Erano sempre informazioni in cambio del perdono, di una nuova identità, di una nuova vita negli Stati Uniti. Quanto odiava quella feccia che otteneva di andarsene via impunita. E, il più delle volte, le informazioni acquisite erano piuttosto insignificanti. Ma quel ragazzo era diverso. Egli non solo aveva dato informazioni dettagliate e profondamente importanti di come l'organizzazione del terrore operava, di come la mente di Voldemort lavorava, ma non aveva ancora menzionato alcuna richiesta, nemmeno una volta.
 

«In somma, signor Snape, perché mi hai detto tutto questo?»
 

«Ha ucciso la mia famiglia.»
 

«Credevo che tua madre fosse morta per problemi cardiaci molti anni fa. E tuo padre, di certo, è ancora vivo e vegeto?»
 

«No, è morto. Ma non erano i miei genitori, comunque.» Non era stato solo il giorno prima che aveva sentito la conversazione in salotto? Sembrava secoli fa. Lontano, molto lontano. Tutto sembrava essere sempre più lontano, remoto e offuscato. Anche il Preside che sedeva dietro la scrivania a solo un paio di metri di distanza. La voce di Dumbledore scorreva e rifluiva come onde su una qualche lontana costa rocciosa. Il debole ronzio nella parte posteriore della sua testa era diventato una cacofonia di suoni esasperante e lampi incandescenti di luce disturbano la sua vista. Stava scivolando...
 

«Severus?» Dumbledore si precipitò verso il suo ex allievo e lo afferrò mentre crollava a terra.
 

«Severus?» Il giovane mago tra le sue braccia non rispose. Era caldo al tatto e palesemente delirante. Con un sospiro, l’anziano professore trasformò magicamente la sedia in un divano e delicatamente lo adagiò sopra. Un Mangiamorte malato di cui preoccuparsi, quello era esattamente ciò di cui aveva bisogno oltre tutte le sue preoccupazioni e il suo lavoro. Poteva contattare il Ministero e consegnarlo, era un assassino, dopo tutto, e non meritava di meglio. Ma qualcosa trattenne Albus dal farlo, la vaga sensazione che ci fosse ancora speranza per il ragazzo, che non era del tutto malvagio. Che avrebbe potuto meritare una seconda opportunità. Un piano cominciò a prendere forma nella sua mente.
 

«Non c'è bisogno di affrettare una decisione.» Albus mormorò a se stesso. Il ragazzo non era in condizionidi fuggire o causare grossi problemi per i prossimi giorni. Meglio dormirci  su. C’erano ancora alcune domande senza risposta, comunque. Ma avrebbero dovuto aspettare. Gettò un po’ di Polvere nel camino.
 

«Poppy, puoi venire nel mio ufficio un momento?» chiese il Preside appena il volto di Madama Pomfrey apparve tra le fiamme.
 

«Come desideri, Albus.» E pochi minuti dopo, la Medimaga bussò alla porta dell'ufficio.
 

«Prego, entra. So che sei occupata con vari casi di influenza, ma temo di avere un lavoro urgente per te, Poppy.» Sorridendo in tono di scusa, indicò la forma scura sul divano.
 

«Cosa è successo, Albus?»
 

«É crollato durante un prolungato interrogatorio.» Un breve sguardo al paziente fu sufficiente a suscitare l'ira della Medimaga.
 

«Albus, come hai potuto interrogare il ragazzo? Anche un cieco si sarebbe accorto che ha una brutta febbre. E guarda i suoi vestiti, sono zuppi di pioggia e sangue! Avresti dovuto chiamarmi subito!» Dumbledore le lanciò un’occhiata colpevole.
 

«Mi dispiace, ma c’erano questioni importanti da discutere subito. Allora, che cos’ha che non va il ragazzo?»
 

Sempre con cipiglio indignato, Madama Pomfrey puntò la sua bacchetta verso Severus, muovendola lentamente su e giù per la lunghezza del suo corpo. Il viso pallido del ragazzo era coperto di sudore, tutto il suo corpo tremava per il freddo.
 

«Sembra polmonite con febbre alta e brividi», disse annunciando i risultati del suo esame medico. «E ha perso non poco sangue. La sua pressione sanguigna è troppo bassa, e ciò spiega il suo svenimento.»
 

«Quindi, è suo il sangue sul mantello? Ho pensato...»
 

«Hai pensato, Albus?»
 

«Ogni tanto penso, Poppy.» Albus ridacchiò. «Ma sono piuttosto contento di aver pensato sbagliato questa volta.»
 

Con un colpo di bacchetta, Madama Pomfrey rimosse il mantello di Severus insieme con gli indumenti più esterni. La manica sinistra della camicia era inzuppata di sangue.
 

«Albus! Guarda!» La Medimaga disse senza fiato quando vide i tagli profondi ed i graffi sul suo avambraccio. «Credi abbia voluto togliersi la vita?»
 

«Non lo so, Poppy. Ma potrebbe essere. Sembrava molto sbilanciato, ad essere onesti.» La preoccupazione sul volto di Madama Pomfrey si accentuò.
 

«Povero ragazzo… É meglio trasferirlo subito in infermeria, così che possa prendermi cura adeguatamente delle sue ferite e della febbre.»
 

«No, Poppy. Non possiamo. É un Mangiamorte.» Il volto di Madama Pomfrey si rabbuiò, i suoi occhi si spalancarono per l'orrore. «Nessuno deve sapere che è qui. Per la sua stessa sicurezza. Non ho ancora capito esattamente perché è venuto a Hogwarts e non so come comportarmi rispetto a tutto questo, ma deve essere tenuto segreto in ogni modo» disse Dumbledore con convinzione.
 

«É un ex studente, non è vero?» Chiese Madama Pomfrey a malincuore.
 

«Sì, Severus Snape, Serpeverde.»
 

Snape. Certo. Come aveva potuto non riconoscere il giovane mago? Le aveva fatto guadagnare qualche ciocca in più di capelli bianchi. Non avrebbe mai dimenticato i giorni e le notti che aveva trascorso al capezzale di un Serpeverde dodicenne mortalmente pallido con il nome di Severus Snape, temendo per la sua vita. Era successo subito dopo la festa di benvenuto. Uno degli ultimi studenti a lasciare la Sala Grande, un Serpeverde pelle e ossa, era improvvisamente crollato a terra, gemendo piano e stringendo il suo addome. L'appendicite acuta era stata la prima cosa che le fosse venuta in mente allora, o magari uno scherzo di cattivo gusto. Ma era qualcosa di peggio. Quando era arrivata al fianco del  ragazzo questi era già incosciente e con una insufficienza epatica acuta. Era una brutta situazione perché le potenti pozioni curative che doveva somministrargli, a loro volta, avrebbero avuto un effetto negativo sul suo fegato danneggiato. Quindi, aveva dovuto essere molto cauta con le cure. Ce l’aveva fatta alla fine, ma c’era mancato poco. E lui aveva ottenuto una lieve insufficienza cronica dell'organo.
 

La Medimaga aveva avuto i sospetti peggiori su cosa avesse causato la pericolosa ferita ed i molti lividi che ricoprivano il corpo del ragazzo, ma lui aveva ostinatamente insistito sul fatto che era caduto per le scale. I suoi genitori non si erano mai fatti vivi per venire a visitare il figlio gravemente malato, nemmeno una volta. Non avevano proprio risposto ai gufi urgenti di Hogwarts. Niente regali, niente biglietti di buona guarigione. Come se a loro non importasse affatto. E neppure ci furono amici che vennero a visitarlo o a portare Cioccorane e caramelle. La solitudine del ragazzo aveva tagliato a fondo il cuore compassionevole della Medimaga, e lei si era ripromessa di tenere un occhio comprensivo su di lui. Ma dopo che Severus era stato dimesso dall'ospedale, la strega si era presto dimenticata della sua promessa a causa degli impegni. E Severus non era più stato seriamente malato dopo quell'incidente.
 

«Albus» Madama Pomfrey ritornò al presente allontanandosi dai suoi pensieri. «Temo che questo sarà più complicato di quanto abbia previsto in un primo momento. Di solito, posso curare questi sintomi nel giro di due, tre giorni al massimo, ma in questo caso... non mi è possibile utilizzare una pozione curativa forte n alto dosaggio a causa del fegato debole del ragazzo.»
 

«Ma puoi curarlo, sì?» 
 

«Credo di sì, ma ci vorrà molto più tempo e cure.»
 

«Beh, Poppy, come posso aiutarti, allora?"




 

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Capitolo 4
*** Acque turbolente ***




Capitolo 4. Acque turbolente

(Troubled waters)




 

Quando Severus si svegliò si ritrovò di fronte gli occhi azzurri di Albus Dumbledore.

«Come ti senti oggi, Severus?» C'era sincera preoccupazione nella voce del vecchio mago.

Severus avrebbe voluto rispondere, ma non emise alcuna voce. Solo un incomprensibile, gracidare stridulo seguito da un forte attacco di tosse che lo colse di sorpresa, e lo lasciò senza fiato.

«Calmati, calmati ora. Ecco, figlio mio, bevi un po’. Questo ti farà bene.» Il Preside fece scivolare un braccio attorno al collo del mago malato e lo spinse ad alzare il capo verso una tazza fumante di tè alle erbe. Severus sentiva l’odore di salvia e miele. Aveva sete. Avrebbe bevuto un fiume intero. Ma dopo qualche sorso era già troppo stanco per bere ancora. Chiuse gli occhi e si lasciò cadere tra i cuscini morbidi, la preoccupazione del Preside era come una coperta calda che lo avvolgeva.Lo aveva chiamato 'figlio'...

Quando si svegliò la seconda volta, Dumbledore non era lì. Ma poté distinguere una figura risposare russando piano su una poltrona davanti al caminetto. Il mite sole invernale brillava attraverso la stretta finestra, e lui poteva vedere il cielo: una striscia di azzurro immacolato. Come gli occhi di Dumbledore. La camera, a lui sconosciuta, era piccola e poco arredata. In ogni caso, non era sicuramente uno dei reparti dell’infermeria, di questo era sicuro. Oltre alla foto di una qualche solitaria costa frastagliata e di un mare agitato - in netto contrasto con il bel tempo che c’era fuori- non c’erano oggetti personali. Una camera per gli ospiti, forse? Sul comodino si trovavano molte fiale piene di varie pozioni curative e, notò rincuorato, una tazza di tè. Era lo stesso infuso con salvia e miele di prima, ed era ancora caldo.

Severus si tirò su a sedere e afferrò la tazza. Si sentiva anche molto affamato, tutto ad un tratto. Ma non aveva desiderio di svegliare la strega addormentata. Così, si appoggiò alla testiera godendosi il tè e la quiete. Sarebbe finita presto, ne era sicuro. Lo avrebbero interrogato ancora una volta risvegliando tutte quelle immagini di case in fiamme, di Babbani che si contorcevano in agonia, di maghi e streghe uccisi in un lampo di luce verde. E il Marchio Nero a guastare, blasfemo, il buio vellutato del cielo notturno. No, non doveva pensare a quelle cose, per il momento. Avrebbe assaporato il breve periodo di tranquillità che gli era stato concesso prima di tornare al suo inferno personale. Ancora pochi minuti di pace...

Ma la bestia nella sua mente era sveglia ormai, e già vomitava un'ondata di accuse e senso di colpa che non poteva essere arginata. L'alluvione avanzò su di lui in tutta la sua forza, senza pietà. Severus chiuse gli occhi, tremando nel tumulto di emozioni, gocce di sudore apparvero sulle sue tempie e sulla fronte. Gemette esasperato.

Il suono di singhiozzi soffocati mescolati a dolorosi colpi di tosse la svegliarono dal sonno.

«Severus?» La professoressa McGonagall chiese piano, lo sguardo rivolto verso il luogo da cui provenivano i suoni. Il mago malato aveva seppellito il viso tra i cuscini bianchi, tutto il suo corpo tremava.

«Severus, che cosa c’è?» Minerva si avvicinò al letto e pose un braccio intorno alle spalle dell'uomo distrutto dal dolore.

«Il Bacio. Voglio il Bacio» sussurrò lui con voce roca, sopprimendo un ennesimo rantolo di tosse.

«Non sai quello che stai dicendo! Stai di nuovo delirando, Severus!»e sclamò la professoressa, profondamente colpita dalla richiesta del giovane.

«No, me lo merito. Ho fatto cose terribili. Vengono per tormentarmi...» Altri singhiozzi e colpi di tosse.

«Ti prego, cerca di calmarti, o starai male di nuovo. Vado a chiamare Madama Pomfrey. Lei saprà darti qualcosa per farti dormire.»

Quando la Medimaga entrò nella stanza del malato, trovò il suo paziente tra le braccia di Minerva squassato da una tosse lacerante. Era pallido, il suo viso smunto reso lucido dal sudore dalle lacrime ancora fresche, i suoi occhi neri come la pece erano febbrili e pieni di angoscia e disperazione.

La Medimaga aveva una certa idea su ciò che stava succedendo nella mente agitata del suo paziente. Aveva parlato molto durante i suoi sogni febbrili, incoerentemente, il più delle volte, ma lei aveva comunque appreso molte cose su di lui. Come lei avesse, effettivamente, ragione riguardo ai forti sospetti che aveva nutrito nei confronti del padre di Severus, per esempio. Il ragazzo non mai era caduto giù per le scale: era stato picchiato così forte che era quasi morto a causa delle ferite. Procurategli dal suo stesso padre. Aveva parlato con Albus dei suoi sospetti allora, ma nessuno dei due aveva mai fatto nulla per proteggere il bambino dalla sua famiglia violenta. Perché non avevano fatto nulla? Perché lui era solo un Serpeverde senza speranza? Perché era cresciuto a Notturn Alley e, prima ancora di entrare ad Hogwarts, conosceva più maledizioni che la maggior parte degli studenti dell’ultimo anno? Avevano abbandonato il bambino fin dall'inizio, lei, Silente, e il resto dello staff, e adesso era diventato un Mangiamorte, un assassino marchiato da Voi-sapete-chi. Lei aveva visto l’orribile marchio diventare nitido sul braccio fasciato, chiaro e viscido come sempre...

Com’è che si chiamava? - Effetto Pigmalione, ecco come. Una profezia che si autorealizza. Tutti loro si erano aspettati di vedere Severus soccombere alle Arti Oscure, cercare il nemico, e lui aveva adempiuto alle loro aspettative. E loro non avevano mai fatto nulla per impedirlo, nessuno di loro. Erano colpevoli anche loro?

«Penso proprio che dovrò scambiare due parole con Albus sulla questione» mormorò Poppy tra sé e sé, quindi si avvicinò al letto ed estrasse una fiala con un liquido azzurro dalle tasche del suo grembiule.

«Tieni, bevi questo, ragazzo mio. Allontanerà gli incubi e allevierà la tosse.» Si trattava di un forte sonnifero combinato ad un sedativo per la tosse, qualcosa di molto più potente dello standard nel quale si sentiva tranquilla, ma il giovane era talmente scosso che un intruglio dolce di valeriana non sarebbe servito a nulla. Avrebbe dovuto monitorare attentamente il suo sonno per potere rilevare subito eventuali effetti negativi sul suo fegato e prendere le dovute contromisure. Un'altra notte insonne, insomma. Sospirò. Per fortuna, presto ci sarebbero state le vacanze di Natale e solo una manciata di studenti sarebbe rimasta a scuola, e lei avrebbe avuto tutto il tempo per recuperare il sonno. Quando quel pasticcio fosse finito.

«Puoi andare ora, Minerva, non vuoi perdere l'ultima partita di Quidditch, vero? Grifondoro contro Corvonero, dico bene?»

«Hai già vegliato tutta la notte, Poppy, dovresti riposare.»

«Lo farò, lo farò. Severus dormirà come un angelo fino a domattina, come minimo; potrò farmi qualche sonnellino. Non preoccuparti. E goditi la partita!»


Oplà! Stavolta non vi ho fatto aspettare molto. Il capitolo è molto breve, ma molto denso. Interessante il riferimento all’effetto Pigmalione. Nulla di più vero, purtroppo, per Severus :(

Al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 5
*** SOS ***



Capitolo 5. SOS

(S.O.S.)




 

Il brontolio del suo stomaco lo svegliò tardi la mattina seguente. Il delizioso profumo di cannella e vaniglia gli solleticava il naso. Lentamente, Severus aprì gli occhi. Ancora la stessa stanza. La stessa immagine sopra il letto, ma il mare ora era calmo e gabbiani fluttuavano sulle onde briose. Non c'era nessuno nella stanza oltre a lui, ma un vassoio con del fragrante, cremoso porridge era stato posato sul comodino. Insieme con l’usuale tazza di infuso di salvia e tè. Si mise a sedere e afferrò quel piatto irresistibile. Il sapore era ancora meglio del profumo. Non ricordava di aver mai mangiato qualcosa di così gustoso.

Poteva sentire mormorii sommessi provenire dalla sala adiacente. Era la voce del preside? Sì, ne era convinto. Identificò un’altra voce, femminile, come quella della professoressa McGonagall. Ma c’erano altre voci, voci che non riusciva a riconoscere. Il basso ronzio e la calda sensazione di sazietà nel suo stomaco gli fecero tornare il sonno. Si assopì su una nuvola di vaniglia e cannella.

Nel frattempo, la discussione nell'ufficio del preside aveva preso su una nota più aspra. Alastor Moody, rinomato veterano degli Auror, e Sirius Black, uno dei membri più giovani dell'Ordine della Fenice, erano in piedi e stavano animatamente cercando di distogliere Dumbledore dal piano che questi aveva appena delineato.

«Lui stesso ha ammesso di aver contribuito alla tortura e all'omicidio di almeno mezza dozzina di Babbani innocenti, per non parlare dei tre Auror del Ministero e delle loro famiglie! Come puoi anche solo pensare di lasciare libero quel maledetto Mangiamorte, Albus?»

«Non ho mai detto che l’avrei lasciato libero, Alastor. Ho solo chiesto di prendere in considerazione la possibilità di offrire al signor Snape una seconda possibilità a condizione che questi lavori per noi come spia. Dato che può rispondere alle rimanenti domande in modo soddisfacente ed è disposto a schierarsi al nostro fianco e pronunciare il giuramento. E questo è quanto.»

«Ammetteresti l’untuoso bastardo nell'Ordine? É un maledetto, viscido, infido Serpeverde! Ci venderebbe al suo dannato padrone appena lascia questo posto!» Sirius sbuffò, tremante di frustrazione.

«Siediti e datti una calmata, amico. Sul serio!»  James Potter aveva messo una mano sulla spalla del suo migliore amico e, con fermezza, lo costrinse nuovamente sulla sua sedia. « Albus non farebbe mai qualcosa di avventato o pericoloso. Lo sai. E noi abbiamo veramente bisogno di una spia tra le fila di Voldemort. Non siamo stati in grado di prevenire una singola incursione finora, salvare una sola vita, a dispetto di tutto il sudore e il lavoro che abbiamo riversato nell’Ordine. Voldemort ci batte in astuzia da anni. La cerchia interna dei Mangiamorte. Pensaci! Una spia potrebbe fare la differenza, potrebbe darci un vantaggio, per una volta, non capisci?»

«Ma perché tra tutti proprio Snivellus? Ti fideresti di lui?»

«No… ma mi fido di Albus Dumbledore, e se lui si fida del ragazzo...»

«Se sei stato un assassino, sarai sempre un assassino. Questo è quello che dico io» brontolò Alastor, il cui occhio magico ruotò pericolosamente nella sua sede.

«Non ho mai detto che mi fido del giovane signor Snape. Ma ho scoperto un paio di cose sul ragazzo che mi hanno portato a chiedermi se avesse mai avuto una scelta. Deve ancora guadagnarsi la nostra fiducia, ma sono pronto a dargli un’occasione, una seconda possibilità. E oserei dire che lui la accetterà». C'era convinzione nella voce di Dumbledore.

«E se tu lo lasci andare e lui uccide ancora? Quelle morti sarebbero sulla nostra coscienza!»

«Alastor, sono sicuro che Severus non farebbe mai una cosa del genere. Non ho mai visto nessuno così pieno di sensi di colpa e rimorso, come questo giovane. Ha persino chiesto il Bacio del Dissennatore.»

«Avrei volentieri soddisfatto la sua richiesta. Questo è ciò che un Mangiamorte merita, rimorso o no. Non riuscirai a persuadermi, Albus!»

«Non ne ho intenzione, Alastor. Ma per quanto riguarda gli altri? Minerva è con me, lo so. James?»

«Se mi dai la certezza che non verrà messo a parte di tutte le informazioni essenziali sull'Ordine della Fenice, io sono per una seconda possibilità.»

«Non una parola sull'Ordine uscirà dalle mie labbra. E tu Alice?  Frank?» Dumbledore sorrise ai neo coniugi Longbottom.

«Seconda possibilità». La risposta arrivò in sincrono.

«Emmeline? Dedalus? Elphias? Remus?»

I maghi annuirono il loro consenso.

«E tu, Sirius?»

«Dannazione, no!» il mago ruggì, ancora sconvolto. «Lasciare libera la feccia dell’umanità?! Non dirai sul serio!»

«Oh no, sono serissimo invece.»[1] Dumbledore si sforzò di sorridere. Poi, rivolgendosi agli altri membri del gruppo più centrale dell'Ordine, continuò: «Quindi siamo nove contro due per una seconda possibilità, se ho detto bene. Vi informerò circa l'esito delle mie ulteriori trattative con il signor Snape il più presto possibile, allora. Siete certamente consapevoli della delicatezza della situazione, per cui non fatene parola con nessuno. Nemmeno con Lily o Peter.» C’era un leggero ammonimento nella voce del Preside mentre il suo sguardo incrociava gli occhi del noto trio composto da James Potter, Sirius Black e Remus Lupin.

«Abbiamo le labbra cucite» assicurò James, e Remus annuì. Ma Sirius era ancora schiumante di rabbia. Quando ebbero lasciato l'ufficio del Preside, affrontò il suo migliore amico.

«C’è stato un tempo in cui non ci avresti pensato due volte a lanciare quel pezzo di merda piagnucolante in pasto ai Dissennatori! Sei cambiato, James, sei cambiato molto da quando hai sposato Lily.»

«Allora è arrivato il momento che ti trovi una moglie, amico, se questo è ciò che comporta!» James ridacchiò e diede una calorosa pacca sulla spalla al suo amico scontento. «Ci sono molte belle ragazze là fuori che ti aspettano, mio vecchio Felpato, acchiappane una e inizia una dinastia!»

«Il problema è che ce ne sono troppe. Non posso sceglierne solo una e spezzare il cuore a tutte le altre!» Sirius fece un largo sorriso. Non poteva restare arrabbiato a lungo con il suo amico. «E la Potterdinastia, a proposito?»

«Ci stiamo lavorando.» Un sorriso sognante si impose sull’espressione di James. «Tu sarai il primo a saperlo, promesso.»



Camminava lungo una bella spiaggia. L'oceano giaceva calmo e scintillante sotto la luce del sole. Una leggera brezza accarezzava il suo viso e lasciava deboli tracce di sale sulle sue labbra. Il paesaggio sembrava in qualche modo familiare, ma era sicuro di non essere mai stato lì prima di allora. Stormi di gabbiani volavano in circolo nell’aria o fluttuavano sulle acque d'argento. Vagò per un po’, assaporando la pace e la quiete del luogo. Improvvisamente, un'ombra scura si allungò sulla terra. Nuvole nere si addensavano, oscurando in fretta il sole e l'azzurro del cielo. I gabbiani gridarono e scomparvero. Un vento freddo colpì Severus in faccia, ma lui non poteva voltarsi e correre in cerca di un rifugio. Era pietrificato sul posto, respirava pesantemente affrontando la tempesta e fissando il mare in orrore. Le allegre onde blu si erano trasformate in plumbee pareti d'acqua schiumante che avanzavano verso di lui inevitabilmente. Tra l'ululato della tempesta, udì una voce fredda e minacciosa: «Non puoi scappare da me, Ssseverusss! Tu sei mio, la mia creatura, legata al buio. Tu porti il mio Marchio. Non ti lascerò mai andare!»  E con queste parole, le onde si ripiegarono su di lui. Severus lottò per la sua vita contro l’assalto furibondo di acqua e tempesta, lottando per un singolo, rantolante respiro.

« Aiuto!»  gridò disperatamente allungando la mano. Con sua grande sorpresa, essa si scontrò con qualcosa di tiepido e vivo. Si aggrappò a quel qualcosa con tutte le sue forze. La tempesta lo percuoteva, gli schiaffeggiava il volto. Ma ora c’era un'altra voce, in un primo momento appena udibile attraverso la tempesta assordante, ma poi sempre più forte e insistente.

«Severus, svegliati! É solo un brutto sogno! Severus!» Albus Dumbledore aveva cercato di svegliare il giovane che si dibatteva e scalciava selvaggiamente, arrivando a scuoterlo e schiaffeggiarlo gentilmente, ma senza alcun risultato. Sembrava essere imprigionato in un incubo terribile, la sua mano stringeva convulsamente la coscia di Albus nel sonno agitato.

«Severus!» Infine, le palpebre con la lunghe ciglia nere del ragazzo cominciarono a muoversi e Severus aprì gli occhi colmi di panico.

«Aiutami, Preside» sussurrò, il terribile sogno ancora persistente nella sua mente, «sto affogando.»





Note alla traduzione.

1."Let that human filth go free? You can't be serious!"
"No, I'm Albus."


Qui c’era il gioco di parole serious-Sirius che, ovviamente non potevo mantenere in italiano. Quindi ho dovuto modificare la battuta di Albus. In italiano non è granchè, ma...

 

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Capitolo 6
*** Fotografie, giornali ed una proposta pericolosa ***



Capitolo 6. Fotografie, giornali e una proposta pericolosa

(Pictures, papers and a perilous proposition)





 

Dumbledore posò una mano rassicurante su quella che ancora stava stringendo la sua coscia.

«Ti aiuterò, Severus, se tu sarai disposto ad aiutare noi. E se la smetti di strizzarmi la gamba.» Sorrise di fronte allo sguardo confuso negli occhi del giovane ed il modo in cui le guance si imporporarono quando questi si rese conto a cosa si stava aggrappando.

«Mi dispiace, signore, io...»

«Lo so, ragazzo mio, non ti preoccupare, vivrò.» Dumbledore estrasse un grande fazzoletto e una scatola piena di caramelle dalle tasche dei suoi abiti di seta. «Ecco, ragazzo mio, una bella soffiata di  naso e una caramella al limone fanno la differenza, come dico sempre io.»

Dopo essersi soffiato il naso un paio di volte, aver preso due caramelle al limone e un'altra tazza di tè alle erbe, Severus si sentiva molto meglio, quasi rilassato. Come il mare ora calmo nella foto sopra il letto.

«Professor Dumbledore, stavo pensando a quella foto. So che suona strano, ma in qualche modo era nel mio sogno, o io ero nella foto – non saprei dire - e improvvisamente il tempo è cambiato...» rabbrividì al ricordo.

«Oh sì, l'immagine cambia spesso. A volte mi chiedo se questo possa essere in qualche modo legato allo stato d'animo delle persone che si trovano in questa stanza. Se questo è vero, sembra che tu stia molto meglio in questo momento.» Severus annuì, sempre contemplando l'immagine. Quando parlò di nuovo, una nuvola scura apparve all'orizzonte.

«Ho sentito la sua voce. Ha detto che non avrei mai potuto scappare da lui, mai...»

«La voce di chi? Di tuo padre… o di Voldemort?» Severus fece una smorfia quando Dumbledore pronunciò il nome temuto. Poi si voltò e guardò il preside negli occhi.

«Il Signore Oscuro è mio padre» disse con malcelato odio e disgusto di sé stesso. Dumbledore rimase di stucco.

«Stai dicendo sul serio?»

Un brusco cenno affermativo del capo.

«Ma come è possibile? Intendo... quindi Tom Riddle ha avuto una relazione con tua madre, è così?»

«Sylvia Snape non era mia madre.»

«Il suo nome era Helena Evans, una Nata Babbana di Grifondoro.»  Ora c'era solo dolore e nostalgia nella voce di Severus.

Helena Evans. Il professor Dumbledore ricordava bene la tragedia familiare che aveva occupato le prime pagine sia dei giornali Babbani che della Gazzetta del Profeta più di venti anni prima, quando il Marchio Nero aveva balenato su Londra per la prima volta. Quattro vittime, Andrew e Achillea Evans, la loro figlia Elena e il piccolo figlio di questa, Perseus. Quasi contemporaneamente, il ricordo di Helena, mortalmente pallida in un’ala dell’infermeria, gli affiorò alla mente. La ragazza aveva preso una pozione abortiva che aveva quasi ucciso sia la madre che il bambino, ma entrambi erano stati salvati contro ogni previsione. E poi l'immagine di una bella ragazza con scintillanti riccioli rossi che danzava felicemente il valzer tra le braccia di un giovane dai capelli scuri e gli occhi neri di nome Tom Riddle. Il Ballo del Ceppo. É stato allora che doveva essere accaduto. Tutto aveva un senso ora. Perché Helena fosse così disperata, perché la famiglia Evans fosse stata uccisa. Tom Riddle aveva messo Helena incinta, probabilmente l'aveva violentata, e poi era venuto a reclamare il figlio. Il cadavere del bambino non era mai stato trovato...

«Come fai a saperlo?» chiese Dumbledore guardando il giovane mago, incredulo. É vero, ha gli stessi occhi neri...

«Ho ascoltato una conversazione tra Scelestus Snape e Caligula Malfoy l'altro giorno.» E poi, Severus raccontò ciò che aveva scoperto quella fatidica notte di soli pochi giorni prima. Dumbledore non interruppe quel racconto esitante, si limitò ad annuire di tanto in tanto. E, a poco a poco, il vecchio preside cominciò a capire perché Severus fosse venuto ad Hogwarts; lo sconfinato odio che doveva aver provato per il suo Padrone e per Scelestus Snape dopo la rivelazione di quell’oscuro segreto; il tumulto di emozioni alla consapevolezza che la sua vita non era stata altro che una bugia...

Quando Severus ebbe finito il suo racconto, Dumbledore si alzò e si diresse verso il suo ufficio in silenzio. Dopo pochi minuti, tornò con alcuni giornali e un annuario di Hogwarts nelle mani. Senza dire una parola, passò uno dei giornali al giovane a letto. In prima pagina vi era l'immagine di una casa in fiamme, le lingue di fuoco ardenti verso il cielo. Il titolo diceva: "Due maghi uccisi da un incidente di laboratorio? Caligula Malfoy, capofamiglia della rinomata famiglia Malfoy, una delle vittime.”

«Non è stato un incidente, vero?»

«No» rispose Severus con forza. «Sono stato io, e non mi pento di aver ucciso quei bastardi, anche se non capisco come sia successo.» Quindi raccontò a Dumbledore del duello e di come il soffitto in fiamme fosse crollato appiccando il fuoco tutt’intorno.

«Sei consapevole che ciò che hai fatto quella notte nel campo della magia senza bacchetta è da considerarsi eccezionale?» Il preside gli lanciò uno sguardo inquistore. «Sei un mago molto potente, Severus. Sono felice che tu non sia più mio nemico.» Dumbledore sorrise allo sguardo perplesso sul volto del giovane. Si era evidentemente aspettato una reazione del tutto diversa al suo oscuro racconto.

«Quali altre abilità insolite possiedi, ragazzo mio?»

«Sono abbastanza bravo con le pozioni.» Chinò lo sguardo sulle sue mani, abbassando la voce fin quasi ad un sussurro. «E posso parlare con i serpenti...»

«Un Rettilofono... considerando il fatto che sei un diretto discendente di Salazar Serpeverde, da parte di tuo padre, direi che non mi sorprende affatto.»

«Dicono sia un brutto segno. Il marchio della pura malvagità...»

«No, Severus. Essere un Rettilofono non è un male in sé. É un dono raro. Tocca al mago decidere come usare questo dono.» Dumbledore imprigionò gli occhi di Severus in un'intensa occhiata azzurra. «Non disprezzare te stesso per il tuo retaggio. Non sei legato al male attraverso il tuo sangue. Anche se ci fosse qualcosa di simile ad una depravazione innata - cosa che dubito fortemente - lo puoi combattere. E non dimenticare che tua madre era una Grifondoro. Porti anche i suoi geni.» Il vecchio mago aprì l’annuario. I diplomati del 1960. Sotto l'immagine di una ragazza bella, eppure pallida e dagli occhi tristi, con i capelli rossi ricci, Severus poteva leggere il nome di Helena Evans nei colori rosso e oro di Grifondoro. Lei gli sorrise, poi distolse il viso e scoppiò in lacrime silenziose.

«Madre?» La voce di Severus era rotta dall'emozione. Ma lei non si voltò.

C'erano altre immagini. Una di una sorridente e felice Helena in abiti rossi e dorati che stringeva la Coppa di Quidditch. Un’altra la ritraeva in mezzo ad un gruppo di studenti, tutti che mostravano con orgoglio la loro spilla da Prefetto. E una del Ballo del Ceppo: Helena tra le braccia di un giovane dai capelli neri... Lo stomaco di Severus si rivoltò quando si rese conto di chi fosse il partner di sua madre nel ballo. La versione più giovane del Signore Oscuro - suo padre.

Chiuse il libro seccamente. Quella foto era troppo. Lei aveva un'aria così felice, così innocente, del tutto inconsapevole di ciò che le sarebbe accaduto di lì a poco: che quello stesso oscuro ragazzo a cui stava sorridendo avrebbe ucciso a sangue freddo uccidere lei ed i suoi genitori. Come odiava quel mostro!

Dumbledore gli passò un altro giornale. Ancora una volta, c'era una casa in fiamme, ma quelle fiamme non si muovevano. Un giornale babbano. Era comunque uno spettacolo spaventoso. La casa dei suoi nonni. La Gazzetta del Profeta dello stesso giorno mostrava una foto di famiglia. Una coppia sulla cinquantina con la figlia ed il figlio, entrambi coi capelli rossi come il padre, la moglie del figlio un una bimba con gli stessi capelli rossi in braccio, e un bambino dai capelli neri tranquillamente addormentato tra le braccia disua nonna. La mano di Severus cominciò a tremare mentre lui guardava quei volti sorridenti. La sua famiglia. Tutti morti. A causa sua. Ma erano davvero tutti morti? Incapace di parlare, lanciò al preside uno sguardo interrogativo mentre indicava le persone identificate come suo zio, zia e cugina.

«Orestes e Rose sono morti qualche anno fa in un incidente aereo, temo, ma la bambina è ancora viva. É cresciuta, naturalmente, come te. In verità, la conosci. Era una studentessa qui a Hogwarts.»

Una strega. Il suo nome era Evans. Capelli rossi, un paio di mesi più grande di lui, Nata Babbana – non c’era dubbio, doveva essere Lily Evans. Lily Evans era sua cugina. La bella ragazza con gli occhi di smeraldo brillanti che avevano cercato di aiutarlo una volta, quando Potter e la sua banda gli avevano tirato uno scherzo particolarmente umiliante. E lui l'aveva chiamata 'Sanguesporco' nella sua rabbia ribollente. E ora, la sua unica parente in vita era sposata proprio con lo stesso James Potter. Gemette esasperato.

«Avere Lily Evans come cugina non può essere tanto male, suppongo.» Dumbledore sorrise, i suoi occhi scintillavano.

«No, è solo… Potter sarà entusiasta di sapere che siamo in teoria imparentati» Severus sbuffò, roteando gli occhi.

«Entusiasta quanto te» Il preside ridacchiò. Poi tornò serio. «Probabilmente, sarebbe saggio tenere questa cosa tra noi fino alla fine della guerra. Per la tua stessa sicurezza.»

«Oh, credo che sarò abbastanza al sicuro ad Azkaban.» Severus cercò di far suonare la frase casuale, ma non gli riuscì del tutto.

«Non andrai ad Azkaban, Severus. Ho altri piani per te.» Dumbledore sembrava molto sicuro di sé, più sicuro, in realtà, di quanto lui stesso si sentisse. E se avesse giudicato male le intenzioni di Severus? Se il ragazzo non fosse pronto per quella missione pericolosa? Poteva lui, Dumbledore, consegnarlo al Ministero dopo quei lunghi giorni e notti passati a vegliare preoccupato sul giovane mago al suo capezzale? Non poteva negarlo, in qualche modo aveva finito con l’affezionarsi al ragazzo a dispetto di ciò che questi aveva fatto, di ciò che questi era stato...

«Ti ho detto, Severus, che ti avrei aiutato» continuò Dumbledore. «Ma abbiamo bisogno del tuo aiuto in cambio. Abbiamo estremo bisogno di una spia all'interno della cerchia di Voldemort. Ed io vorrei che tu fossi questa spia.» Severus impallidì. Una missione suicida. Era quello che volevano da lui. Avrebbero potuto lasciarlo ai Dissennatori, al Bacio, almeno in questo modo gli avrebbero concesso una morte rapida, mentre la morte di un traditore nelle mani del Signore Oscuro... rabbrividì. Aveva assistito a diverse esecuzioni di questo tipo ed il ricordo ancora gli gelava il sangue. E le vittime non erano spie, volevano semplicemente andarsene, andare via, come quello sciocco di Regulus Black.

«So che sarà difficile e pericoloso - estremamente pericoloso - ma non te lo chiederei se non credessi che tu possa farlo. Come ti ho detto, sei un mago molto potente, Severus. Confido nelle tue capacità.» Dumbledore fece una pausa per lasciare che le sue parole venissero assorbite. «Non sei tenuto a decidere ora, però. Prendi il tempo che ti serve. Poppy non ti lascerà andare tanto presto, comunque. Non fino a quando non sarai pienamente guarito.» Sorrise incoraggiante al giovane, poi uscì dalla stanza, chiudendo la porta con dolcezza.

I pensieri presero a girare nella testa di Severus. Dumbledore aveva fiducia nelle sue capacità. Aveva fiducia in lui. Ma lui meritava la fiducia del preside? E se avesse fallito? Lui stesso non aveva fiducia in se stesso. Ma c'era alternativa? Probabilmente no. Marcire ad Azkaban non era in ogni caso una prospettiva molto appagante. Come spia sarebbe stato in grado di ottenere la sua vendetta, per lo meno, e avrebbe perfino avuto modo di redimersi. Un gioco mortale, senza dubbio. Ma valeva la pena di tentare...

«Lo farò!» Presa la sua decisione, chiuse gli occhi e finalmente si addormentò.






E con questo mancano solo più due capitoli alla fine della storia...

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Capitolo 7
*** Occlumanzia, un Ordine e un Giuramento ***


Capitolo 7. Occlumanzia, un Ordine e un Giuramento

(Occlumency, an Order, and an Oath)


Era quasi buio quando Severus si svegliò. Non c’era da stupirsi che avesse nuovamente fame. Non c'era nessuno nella stanza, ma poteva sentire voci provenire dall’ufficio di Dumbledore. Doveva chiamare qualcuno? Prima che potesse decidere, tuttavia, la porta si aprì e Madama Pomfrey entrò nella stanza.

«Ah, sei sveglio, Severus. Bene. Tempo per le medicazioni, quindi. E per un controllo approfondito.» Quando la Medimaga vide il disappunto sul volto del giovane mago, aggiunse con un sorriso: «e per la cena. Ma non prima che io abbia finito con te.»

Le pozioni avevano un gusto orribile, ma, in qualità di esperto nel campo, Severus sapeva che peggiore era il gusto maggiori erano la potenza e l’efficacia. Bevve le pozioni obbediente, sperando di potersi finalmente liberare di quella sua tosse fastidiosa. Il Preside li raggiunse nel momento in cui Madama Pomfrey stava iniziando il suo esame.

«Allora, Poppy, come sta il ragazzo?» Gli occhi di Dumbledore brillavano incoraggianti.

«Molto meglio, direi. La febbre è scesa a trentotto e mezzo, ed i polmoni sono quasi completamente liberi, e non ci sono quasi più tremori. Ancora qualche giorno di riposo a letto e tornerà come nuovo» rispose la Medimagac on un sorriso di compassione. «Ora, fammi vedere il tuo braccio, per favore.»

Severus fece una smorfia. Si era completamente dimenticato del Marchio. Sotto la manica bianca della camicia da notte dell’infermeria, il suo avambraccio era ancora bendato. Che cosa avrebbe trovato sotto le bende bianche? Il Marchio era tornato?

«Oh sì, è tornato, ragazzo mio» disse il Preside, come se avesse letto i suoi pensieri. «E non è una cosa negativa del tutto se vorrai considerare la mia precedente proposta.» Vero. Il Marchio doveva essere integro e senza macchia se doveva ritornare dal Signore Oscuro come spia. Un Marchio mutilato avrebbe sollevato seri sospetti.

Madama Pomfrey tolse le bende con un colpo della sua bacchetta. Ed eccolo lì a sbirciare verso di lui: il teschio e il serpente, il marchio di Caino che non se ne sarebbe mai andato. Mai. Un paio di cicatrici rosa e sottili, che attraversavo il Marchio incrociandosi, erano le uniche reminescenze del suo disperato tentativo di rimuoverlo.

«Applica questo unguento una volta al giorno e le cicatrici svaniranno completamente in un batter d'occhio» gli consigliò la Medimaga. «Vuoi che rimetta le bende, Severus? Non che sia necessario, in realtà.»

«No» fu la riluttante risposta. «Suppongo sia meglio che mi abitui di nuovo a questa vista, comunque.»

«Questo è lo spirito, ragazzo mio» intervenne Dumbledore, gli occhi scintillanti. «Allora, lo farai?» Severus annuì. «Quindi immagino abbiamo molto da discutere - dopo cena, direi...»

Il delizioso brodo di pollo aveva aiutato molto nell’alleggerire lo spirito di Severus. Il Preside non era ancora tornato, così il giovane afferrò di nuovo l'Annuario,che si trovava ancora sul comodino. Forse c’erano altre foto di sua madre? Sfogliò le pagine. Un sacco di immagini di Quidditch. E lei era lì: volava in alto in groppa alla sua scopa, la Pluffa stretta saldamente sotto il braccio, le ciocche rosse che danzano nel vento. Una Cacciatrice. Fece un cenno verso di lui, poi afferrò la Pluffa con la mano destra e la fece volare attraverso l’anello con facilità.

«Ah, hai trovato qualche altra foto» osservò la voce affabile del Preside. Severus era talmente immerso nell’immagine in movimento di sua madre che non aveva sentito bussare alla porta. «Non farti disturbare dalla mia presenza, ragazzo mio, abbiamo un sacco di tempo.»

«Era così bella - e felice ...»

«Sì, Severus, lo era davvero. E brillante. Una degli studenti di maggior talento in Trasfigurazione che io abbia mai avuto. E una grande Cacciatrice. É stato uno shock per tutti noi quando abbiamo saputo dell'omicidio.»

«Non le somiglio molto.» C'era una nota di rammarico nella sua voce.

«No, non proprio. Fatta eccezione per quei tuoi riccioli» disse il Preside, sorridendo furbo a Severus. Uno sguardo confuso apparve sul volto del giovane mago.

«Riccioli? Ma - Merlino, quanto a lungo sono stato male, professore?» Non potevano essere passati più di alcuni giorni, vero? Però l'effetto della pozione per la stiratura dei capelli non avrebbe ancora dovuto essersi esaurito. Doveva durare per dieci giorni, e l'aveva applicata solo il mattino prima del suo ritorno a Notturn Alley. Scelestus Snape aveva sempre odiato i suoi riccioli ribelli e gli aveva fatto usare la pozione fin dalla prima infanzia. Era così abituato ai suoi capelli lisci e unti che riusciva a malapena a immaginarsi di nuovo coi riccioli. E cosa avrebbe detto il Signore Oscuro se lui si fosse Materializzato alla prossima riunione nelle vesti di una versione oscura di un angelo orpello?

«Due settimane a oggi. Sei stato molto malato, Severus, e delirante per molti giorni. Non ricordi molto di tutto questo, suppongo, ma ci hai fatto passare molte notti insonni...»

«Io —io non avevo idea Pensavo fossero solo pochi...» balbettòS everus, le sua mani presero a tremare.

«Severus, stavi male e ci siamo presicura di te. Minerva, Poppy ed io. É tutto a posto. Non c’è nulla da preoccuparsi» lo rassicurò il Preside.

«No, è che — il Signore Oscuro mi aspettava per il rapporto giorni fa. Sarà furibondo...»

«Ti punirà per il tuo ritardo?» Gli occhi di Dumbledore si oscurarono preoccupati.

«Ne può star certo. Cruciatus, molto probabilmente. É la sua preferita.» Severus deglutì a fatica.

«Severus, ascolta, non sei tenuto a tornare da lui se non sei pronto. Puoi lasciare il Paese, iniziare una nuova vita in America...»

«E lei mi lascerebbe andare?» C'era autentica sorpresa nella voce del giovane mago. «Sono un assassino, dopo tutto.»

«Potrei sistemare i documenti e averli pronti entro due, tre giorni» Dumbledore continuò imperterrito.

Un momento di silenzio assoluto.

«No, Preside. Farò quello che mi ha chiesto» Severus disse infine, indicando l'immagine nell’Annuario. «Per lei».

«Tua madre sarebbe fiera di te, Severus — come lo sono io». Guardò il giovane mago profondamente negli occhi scuri. Un altro momento di silenzio.

«Cosa sai dell’Occlumanzia, Severus?» il Preside chiese improvvisamente.

«É la difesa magica della mente contro la penetrazione esterna. Ho letto sull’argomento.»

«Ma l’hai mai provata da te?»

«No, non consapevolmente, almeno.»

«Allora vale un tentativo» propose Dumbledore. «É una capacità che potrebbe rivelarsi utile nei tuoi rapporti futuri con Voldemort.» Severus fece una smorfia alla menzione del nome temuto. Poi annuì.

«Cosa devo fare?»

«Devi concentrarti a fondo e svuotare la mente da tutti i pensieri e le emozioni. Al mio tre io lancerò il Legilimens» spiegò Dumbledore. «Credi di riuscirci ora?»

«Ci proverò». Severus chiuse gli occhi per qualche secondo, un'espressione di profonda concentrazione sul suo volto. Al 'tre' riaprì gli occhi, e il Preside lanciò l’incantesimo per leggere nella mente. Immagini cominciarono a dibattersi nella mente di Severus in rapida successione. Sylvia Snape in camicia da notte con lo sguardo fisso al muro; una stanza tetra, quasi una stia, con nient'altro che un vecchio letto d’ottone e un baule di legno; un Scelestus Snape ubriaco che bloccava un ragazzo pelle e ossa dai capelli scuri contro la parete, con una mano, colpendolo duramente in faccia con l'altra. Il sangue schizzò mentre il ragazzo cadeva a terra tenendosi il naso rotto, gli occhi spalancati per il terrore. No, non voleva vedere. Aveva abbandonato quei capitoli della sua vita per il bene quando aveva incendiato la sua casa in Notturn Alley due settimane prima. Si concentrò. Svuota la tua mente, allontana le tue emozioni. Il flusso di immagini rallentò, esse divennero sempre più lontana e sfocate. Una qualche forza intrusa tirava e succhiava la sua mente, ma quando lui cominciò a combattere per trattenere i ricordi, anche quella forza cessò. Ora la sua mente era vuota e calma, un’esperienza totalmente nuova e piacevolmente tranquilla. Era come galleggiare al di sopra dei problemi e delle fatiche, dei pericoli e dei dolori di questo mondo. Avrebbe potuto farlo per sempre...

«Severus?» La voce di Dumbledore lo schioccò fuori dal suo stato quasi di trance e lo riportò alla realtà.

«Preside».

«Sono impressionato. Sei un Occlumante nato, Severus. Con un po' di pratica presto dovresti essere in grado di controllare questa abilità e usarla a tuo vantaggio. E a nostro vantaggio.» Poi uno sguardo di preoccupazione attraversò il viso del vecchio mago. «Sei esausto, figliolo. É meglio che ti lasci dormire di nuovo un po’, o Poppy mi farà una dura lezione sul non sovraffaticarti».

Era vero. Era esausto. L'esercizio sembrava aver prosciugato tutte le sue forze e una plumbea sonnolenza filtrava attraverso il suo corpo fin nelle sue ossa. Si lasciò cadere tra la morbidezza dei suoi cuscini, chiuse gli occhi pesanti, e si addormentò quasi subito.



«Dove andraia vivere, Severus? Hai già qualcosa in programma?» chiese Dumbledore, sorseggiando la sua cioccolata calda. Stavano facendo una tarda colazione insieme nella stanza di Severus dopo un’altra faticosa lezione di Occlumanzia. Ma quel giorno, Severus non era affaticato dalla pratica neanche metà di quanto era stato il giorno prima, e stava decisamente migliorando. Al terzo tentativo era riuscito a bloccare il Legilimens quasi istantaneamente. Le immagini dalla memoria del Preside erano allora apparse di fronte agli occhi della sua mente. Dumbledore a cinque anni... Entrambi si erano fatti una bella risata vedendo il piccolo Albus cercare di raggiungere il barattolo dei biscotti sopra la credenza della cucina. Il golosone aveva finito col rimaner bloccato sull’armadio dopo che la sua 'scala', una precaria nonché ondeggiante costruzione di sedie e sgabelli, era crollata da sotto i suoi piedi. Ma aveva conquistato i biscotti...

Severus sospettava profondamente che Dumbledore gli avesse mostrato quella particolare memoria di proposito. Il Preside sicuramente era un esperto sia di Legilimanzia che di Occlumanzia e difficilmente avrebbe permesso ad un principiante di curiosare a vanvera nella sua mente. E vedere il vecchio mago senza barba e occhiali e le guance sporche di cioccolato aveva certamente allentato ogni tensione residua. Una colazione come si doveva, con uova e pancetta, aveva aiutato molto anch’essa.

«No, non proprio» rispose Severus, «anche perché ero fondatamente convinto che la questione non si sarebbe posta...» Un sorriso ironico.

«A volte le cose vanno meglio del previsto.» Gli occhi azzurri scintillarono. «Anche una brutta polmonite può avere i suoi meriti.» Severus annuì pensieroso. La sua malattia gli aveva effettivamente dato il tempo di riprendere il controllo sulle sue emozioni, di venire a patti con una nuova lealtà. E aveva dato a lui e ed al Preside il tempo prezioso per riconsiderare. Se non fosse stato per la sua malattia, sarebbe probabilmente finito ascontare una condanna a vita ad Azkaban al momento. Rimaneva la questione della sua futura residenza. Per dirla tutta, era un completo spiantato. Non possedeva altro che glia biti che indossava quando era scappato dalla casa in fiamme. Niente casa, niente soldi, niente lavoro… nemmeno una bacchetta. E il patrimonio del defunto Scelestus Snape probabilmente non consisteva in altro che debiti. Non molto con cui cominciare.

«Credo che dovrò trovare un lavoro, prima di tutto. E stare da — alcuni amici, nel frattempo». Solo che non aveva nessun amico a cui chiedere asilo. I Serpeverde con cui si accompagnava quando era a scuola erano tutti membri di antiche e disgustosamente ricche famiglie Purosangue. I Malfoy, i Lestrange, gli Avery, solo per citarne alcuni nella top ten del 'Chi è chi' della società magica. Gli Snape se ne stavano da qualche parte al fondo. Lui era stato accettato solo perché quello che gli mancava in denaro lo aveva in cervello. Ed era molto più facile copiare i suoi che fare loro stessi quei compiti noiosi. Inoltre, avevano paura di lui e della sua vasta conoscenza di fatture e maledizioni oscure. No, non poteva chiedere asilo a nessuno di loro, anche se erano tutti compagni Mangiamorte ormai. Sarebbe stato troppo umiliante. E non poteva chiedere neanche a Dumbledore. Doveva all'uomo già più di quanto meritasse, molto di più di quello che avrebbe potuto ripagare in breve tempo. Avrebbe sistemato la cosa. Ma aveva bisogno di una bacchetta. Un mago senza bacchetta è inutile quanto un Boccino d'Oro senza ali… o un Maestro di Pozioni senza calderone. Gli sarebbe mancato il suo laboratorio in Notturn Alley, si rese improvvisamente conto, a dispetto di tutti i ricordi dolorosi. Dopo il diploma ad Hogwarts, aveva avuto il laboratorio quasi tutto per sè la maggior parte delle volte, mentre il vecchio Snape beveva e giocava d’azzardo con i suoi amici. E da quando aveva preso il Marchio Nero, il suo diciottesimo compleanno, e ucciso per la prima volta — una donna babbana catturata per la sua iniziazione — Snape non aveva più osato toccarlo. Le ore e ore passate da solo in compagnia solo di scintillanti calderoni e beute pulite, probabilmente, erano state le più felici della vita, fino ad ora...

«Un Galeone per i tuoi pensieri, Severus» Dumbledore interruppe le sue riflessioni silenziose, gli occhi scintillanti ironicamente.

«Non credo valgano tanto... anche se potrei avere bisogno di soldi. Non ho la bacchetta...»

«Oh, sì, una bacchetta.» Un altro scintillio di blu. «Stavo cominciando a chiedermi se avresti mai portato a galla l’argomento.» Dumbledore si versò un'altra tazza di cioccolata fumante. «In ogni caso, ho già fatto qualche pensiero sulla cosa. Che ne dici di una in ebano, 12,5 pollici, Corda di Cuore di Drago?» Con grande sorpresa di Severus,il Preside estrasse una bacchetta sottile e scura da una delle sue tasche. Una bacchetta identica a quella che aveva perso. Come faceva il vecchio mago a sapere?

«Ho pensato potrebbe far sorgere sospetti se usassi una bacchetta diversa tutto ad un tratto. Quindi, meglio attenersi alle vecchie caratteristiche. Provala.»

La bacchetta era perfetta. Morbida e piacevolmente fresca nella mano, il diametro e la lunghezza erano ideali, esattamente come quella vecchia. Ma la scarica di magia, quando lui la agitò dolcemente nell’aria, era ancora più forte ed esplose in una raffica di splendide scintille verdi e argento che piovvero sul suo letto e su un Dumbledore sorridente. Doveva essere la Corda di Cuore di Drago…

«Noto che il mio informatore non si era sbagliato. E una manifestazione di colori molto Serpeverde... É tua, ragazzo mio.»

«Ma ...»

«Niente “ma”. E nessuna domanda. Prendila e basta. E usala bene.» Severus annuì, sinceramente confuso dal regalo inaspettato. Improvvisamente, emise un rantolo mentre si afferrava l'avambraccio sinistro.

«Che cosa c'è, Severus?» C'era una nota d’agitazione nella voce del Preside.

«Il Marchio. Sta chiamando. Devo Materializzarmi al suo fianco all'istante» Severus ansimò a denti stretti, poi si rilassò un po'come se il dolore iniziale fosse lentamente scemato. Ma sapeva che sarebbe tornato presto, e con intensità crescente, se non avesse risposto alla chiamata.

«Severus, non posso lasciarti andare ancora. Io mi fido di te, ma gli altri no.»

«Gli altri chi?» Severus lo interruppe precipitosamente. Non poteva aspettare ancora a lungo.

«I membri dell'Ordine della Fenice. Sono il loro capo. Devi entrare nell'Ordine e prestare giuramento prima che io possa lasciarti andare.»

Un giuramento. Grande. Esattamente quello di cui aveva bisogno ora. Non che non fosse disposto a entrare nell'Ordine, ma un giuramento non era sicuramente qualcosa che si potesse fare in un minuto. Spesso si trattava di formule e cerimonie prolisse, e il tempo stringeva. Dumbledore non poteva davvero intendere di impedirgli di rispondere alla chiamata per un tempo così lungo. Il dolore sarebbe diventato devastante. E il Signore Oscuro lo avrebbe sicuramente ucciso se si fosse Materializzato così in ritardo.

«Faremo in fretta. Solo l’essenziale» disse Dumbledore, come rispondendo ai suoi pensieri. «Accio Calice dell'Ordine Segreto!»

Un calice meravigliosamente lavorato fluttuò attraverso la porta aperta e si posò sul comodino. C’era ogni tipo di antica runa inciso nell’onice, e le maniglie erano plasmate nella forma di una Fenice. Era pieno di una sostanza iridescente, il colore in continuo cambiamento dall'oro al rosso scarlatto.

«Ecco, Severus, devi scrivere il tuo nome — il tuo vero nome — su questo pezzo di pergamena con la penna di Fenice, aggiungere alcune gocce di sangue al liquido, e quindi gettare la pergamena nel calice». Dumbledore passò a Severus il detto armamentario, che aveva estratto da un'altra tasca del suo abito, insieme adu n piccolo coltello d'oro decorato con una testa di Fenice. Severus esitò solo un secondo prima di scrivere 'Perseus Evans' sulla pergamena, poi si incise velocemente un dito e lasciò che alcune gocce di sangue cadessero nel calice. Il liquido prese a roteare con crescente rapidità, ora rosso come il suo sangue. Quando la pergamena venne inghiottita nei vortici, bolle d'oro vennero a formarsi sulla superficie turbolenta. Improvvisamente la sostanza si gonfiò e prese fuoco.

«Professore!» Severus rimase a bocca aperta. Quello non doveva essere come le cose dovevano andare. Aveva sbagliato qualcosa? Che cosa cosa sarebbe successo se il calice lo avesse rifiutato? Se non l’avesse voluto nell'Ordine? Ma Dumbledore si limitò a sorridere. Dopo alcuni secondi, il calice si calmò di nuovo e, sul tavolo, giaceva una scintillante piuma di Fenice.

«É tua» spiegò Dumbledore, «il segno dell'Ordine della Fenice. Tienila sempre con te e nascondila bene. Meglio se la trasfiguri in qualcosa di poco appariscente. Quando hai bisogno di contattarmi, evoca un fuoco e getta la piuma tra le fiamme. Ora è meglio che ti prepari. Torno tra un minuto.»

Severus si alzò, combattendo la vertigine causata dal movimento improvviso, e cominciò a vestirsi. I suoi abiti era stati puliti e ricuciti, e la sua maschera da Mangiamorte era ancora al suo posto all'interno di una tasca segreta. Vi mise assieme la piuma. Non c'era tempo per trasfigurarla ora. Il suo intero braccio pulsava dal dolore, ormai, ed ebbe difficoltà ad abbottonare i pantaloni e la camicia. Se solo avesse potuto Smaterializzarsi sul posto, ma non c'era verso di Smaterializzarsi o Materializzarsi ad Hogwarts. C’era bisogno di una lunga passeggiata fino al bordo della Foresta Proibita. Altri minuti preziosi che andavano persi...

Ma Dumbledore aveva pensato a tutto. Entrò precipitosamente nella stanza portando con sé un manico di scopa in una mano e una piccola fiala di vetro nell’altra.

«Ecco, figliolo, questo si occuperà dei tuoi capelli. E la scopa ti porterà oltre le barriere Anti-Materializzazione di Hogwarts in modo rapido e invisibile. Non devi tornare ad Hogwarts, bada bene. Contattami dopo l'incontro nel più breve tempo possibile, ma solo se sei sicuro che nessuno possa origliare la nostra conversazione. E, ancora una cosa prima di decollare. Hai presente i fiori del Murtlap, Severus?»

«La curiosa escrescenza sul Murtlap? Danno resistenza a maledizioni ed incantesimi, ma sono piuttosto rari e costosi.»

Con un gesto elegante della sua bacchetta, Dumbledore appellò un piccolo barattolo di vetro contenente qualcosa di rosa e simile ad un fiore galleggiante in un liquido lattiginoso. Lo porse al giovane mago.

«Ecco, Severus, potresti trovarlo utile per la prova che ti attende. Prendine solo pochissimo alla volta, non vuoi che ti crescano peli delle orecchie viola, vero?»

«No di certo, professore.» Nonostante l’aumentare del dolore, Severus riuscì a fare un debole sorriso mentre infilava il prezioso barattolo in una delle ampie tasche del suo mantello da viaggio. «E grazie —per tutto.» Aprì la grande finestra e montò a cavallo della scopa.

«Buona fortuna, Severus.» C'era sincera preoccupazione negli occhi e nella voce di Dumbledore. «E sii al sicuro.»

Ma lui era già partito.



E così siamo arrivati quasi alla fine: il prossimo sarà l'ultimo capitolo.

Chiedo scusa se doveste trovare delle parole appiccicate. Non so perchè l'html di efp me le appiccichi così. Mi tocca staccarle una ad una e potrebbe essermene scappata qualcuna, anche nei capitoli precedenti.



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Capitolo 8
*** La spia ***


Capitolo 8. La spia

(The Spy)



 



Nell'istante stesso in cui Severus si Materializzò nel cerchio dei Mangiamorte, la maledizione lo colpì in pieno petto. Un dolore lancinante esplose nel suo corpo, un flusso di lava incandescente incendiò ogni singolo neurone provocando spasmi e tremori violenti fino a che, in fine, le sue ginocchia cedettero ed egli cadde sul pavimento di dura pietra, contorcendosi per il dolore lancinante.

Non urlare. Non devi urlare, era tutto ciò a cui riusciva a pensare mentre stringeva forte la mascella, i denti che tagliavano in profondità il suo labbro inferiore. Ogni fibra del suo corpo sembrava in fiamme, agognava a gridare in agonia, ma lui non avrebbe dato al mostro quella soddisfazione. Severus era stato sottoposto alla Cruciatus prima di allora, poiché era uno dei passatempi preferiti del Signore Oscuro scagliare la maledizione contro tutti i suoi seguaci, di tanto in tanto, e senza alcun motivo apparente se non quello di dimostrare il suo potere assoluto. Ma allora era sempre stato per non più di qualche secondo. Anche se non riuscivi mai a farci davvero l’abitudine, era tollerabile, in un certo senso. Ora, il dolore non sarebbe cessato, si sarebbe sempre più intensificato, perché la maledizione era stata ripetuta due, tre volte, e sempre nuove ondate di dolore spazzavano il suo corpo.

«Sei in ritardo, Sssseverussss. Ti ho aspettato per giorni» sibilò Voldemort. Poi, la sua voce si trasformò in un ruggito, «Nessuno fa aspettare il Signore Oscuro. Mai! Crucio!»

Quando finalmente la maledizione venne interrotta, Severus era sul punto di svenire. Il sangue gocciolava dal labbro martoriato, ansimava e tossiva violentemente, tremava dappertutto per le conseguenze della Maledizione Senza Perdono.

«Spero ricorderai bene questa lezione, Sssseverussss. E farai in modo di non deludermi mai più.»

«Non succederà, Padrone,» Severus riuscì a gracchiare tra i colpi di tosse, mentre tentava di rialzarsi in piedi.

«E qual è la tua giustificazione, se è lecito?» il Signore Oscuro chiese con voce pericolosamente bassa.

«Stavo male.» Non esattamente una buona giustificazione, dacché Severus sapeva che Voldemort si aspettava che i suoi seguaci comparissero innanzi a lui in qualsiasi condizione. Ma almeno non era una bugia. Le menzogne sarebbero venute dopo - se ci fosse  stato un dopo.

«Oh, il povero piccolo Ssseverusss era malato?» Voldemort sogghignò. «Dovresti essere grato che non ti mostri cosa significa realmente “stare male”- o forse dovrei?»

Non avrebbe implorato pietà, no. Implorare non l’avrebbe aiutato comunque. Solo i patetici leccapiedi come Karkaroff e altri del suo calibro l’avrebbero fatto. Non c’era nulla di guadagnato, se non il disprezzo del Padrone e dei compagni Mangiamorte. Non sarebbe caduto così in basso...

«Qualunque cosa voi pensiate è giusta, mio ​​Signore.» Severus strinse i denti in attesa di un altro Crucio. Ma esso non venne.

«Abbiamo cose importanti da discutere, non c’è tempo per giocare. Dov'è tuo padre?» Occhi neri annoiati affondarono in occhi altrettanto neri, cercando di penetrare la mente del giovane mago, i cerchi rossi intorno alle pupille scure brillavano pericolosamente lanciando brividi lungo la schiena di Severus.

Svuota la mente. Non pensare a nulla. Non lasciare che ti legga, per l'amor di Merlino, o sei finito. Puoi farlo. Severus cercò di calmarsi, ma ora tremava più a causa della paura che dalla Cruciatus. Per fortuna, nessuno sembrò accorgersene.

«Non - non è qui?» Severus cercò di sembrare sorpreso e si guardò intorno tremante per la prima volta, come se cercasse suo padre. Il posto di Scelestus era vuoto, come si aspettava, ma quello di Caligula era già stato occupato da un sostituto. Lucius?

«No, non è qui, e ho creduto tu fossi in grado di dirmi cosa è successo.» C'erano diffidenza e una minaccia mortale nella voce del Signore Oscuro. «Tu sei suo figlio!»

Maledetto Bugiardo. Certo non sono suo figlio, come tu dovresti dannatamente sapere molto bene. L'odio che zampillava nel petto di Severus ebbe un effetto calmante. Non si sarebbe tradito, non avrebbe confessato nè strisciato a quattro zampe verso il suo Padrone, non avrebbe leccato l'orlo della sua veste e pregato per la sua misericordia e il suo perdono. Non avrebbe deluso Dumbledore, fosse anche morto per questo.

«Non sono stato a casa per settimane. Ma non mi sorprenderebbe fosse troppo ubriaco per Materializzarsi, mio ​​Signore», mentì con facilità. Riuscì persino a inserire una punta di sarcasmo, suo marchio di fabbrica che gli era valso molti nemici tra i suoi coetanei a scuola e tra i suoi compagni Mangiamorte, i quali lo temevano per la sua lingua veloce e caustica. Ma il Signore Oscuro era stato piuttosto soddisfatto fino ad ora, anche se Severus non era sicuro che insultare il defunto Scelestus di fronte al suo Padrone fosse un’idea saggia. Probabilmente no. Scelestus era il suo primo e più devoto seguace, dopo tutto.

«Tuo padre non mi hai mai fatto aspettare come hai fatto tu, ragazzo!» Tuonò Voldemort, il viso contorto in una rabbia gelida. «Crucio!»

Decisamente non è stata una buona idea, fu l'ultimo pensiero che emerse nella mente di Severus prima che il dolore, peggiore che mai, inondasse nuovamente la sua coscienza. Tutto annegò in una nebbia di fuoco ardente. Qualcuno, in lontananza, gridava in agonia. La voce era in qualche modo familiare, ma non riusciva ad identificarla. O forse era lui ad urlare? Poi, il mondo si oscurò mentre lui scivolava nell'oblio.

Severus tornò lentamente alla realtà ore dopo. Quando aprì gli occhi, vide il tetro sole invernale risplendere debolmente attraverso le finestre piene di polvere. I Mangiamorte sembravano essersene andati, ma la sua vista era così annebbiata che non poteva essere sicuro. L’intero suo corpo era dolorante, ogni movimento provocava nuovi lampi di dolore. C'erano pozze di sangue sul pavimento, ed i suoi abiti in alcuni punti ne erano zuppi. Ma era vivo. E sano di mente. Era qualcosa, almeno. Non voleva pensare a quanto peggiore sarebbe stato il suo calvario se non fosse stato per il boccone di Murtlap che aveva mangiato poco prima di Smaterializzarsi ai margini della Foresta Proibita.

«Ah, hai deciso di svegliarti, finalmente.» La voce strascicata risuonò nella camera enorme. «Cominciavo a pensare che sarei dovuto rimanere in questo buco per tutto il giorno e la notte a osservare la tua patetica carcassa.» Severus riconobbe la voce all’istante, non poteva sbagliare. Lucius Malfoy, figlio di Caligula Malfoy. Erano stati compagni di stanza durante tutti gli anni a Hogwarts, e nonostante l'arroganza e la fastidiosa alterigia di Lucius, erano diventati una specie di amici. Non come Potter e Black, l’inseparabile ed insopportabile duo, ma in una luce Serpeverde. E, stranamente e nonostante nessuno l’avrebbe mai ammesso, ciò includeva la lealtà.

«Luc?» fece Severus debolmente. Cercò di alzarsi in piedi, ma cadde di nuovo con un gemito.

«Bel pasticcio in cui ti sei cacciato stanotte. E, naturalmente, sono io tapino a dover raccogliere i pezzi,» disse Malfoy con voce strascicata. «Che diavolo pensavi di fare, Sev? Irritare stupidamente l'Oscuro Signore quando tutti sapevano che era dell’umore più ripugnante da quando i nostri gloriosi padri son riusciti a farsi saltare in aria, o qualsiasi cosa sia accaduto.» Non sembrava essere particolarmente preoccupato dalla prematura scomparsa del padre. «O intendi davvero dirmi che tu non sai come sono morti? Sev? Mi stai ascoltando?» Nessuna reazione. Severus aveva chiuso di nuovo gli occhi, aveva goccioline di sudore sulla fronte e la sua pelle pallida aveva acquisito una sfumatura verdastra. Con sincera preoccupazione sul suo volto - fenomeno estremamente raro per un Malfoy - Lucius attraversò la stanza e si inginocchiò al fianco del suo amico.

«Sev, che cosa c'è che non va? Rispondimi!»

«Sto male». Severus si piegò in due, le mani strette attorno alla vita, il suo respiro ridotto a rantoli stracciati. Lucius non esitò. Mise a sedere il suo amico gemente e lo tenne saldamente mentre questi vomitava bile e sangue. Estrasse perfino un fazzoletto per asciugare il volto umido di Severus dopo la sua traversia.

«Grazie, Luc,» Severus riuscì a dire dopo un po'. Era ancora appoggiato stancamente contro il mago biondo, il quale tentava invano di evitare che le sue vesti di seta si sporcassero di sangue.

«Beh, è meglio uscire di qui in fretta. Questi tagli devono essere adeguatamente medicati. Non vogliamo che la famiglia Snape si estingua ora, giusto? Son ben poche le famiglie Purosangue rimaste.»

Se solo tu sapessi...

«Riesci a reggerti in piedi? O devo usare un Mobilicorpus su di te?» Malfoy fece un sorrisetto. Sapeva perfettamente che Severus avrebbe preferito strisciare a quattro zampe piuttosto che essere di nuovo sottoposto a quell’incantesimo. Tutto ciò aveva a che fare con Potter e Black e uno dei loro scherzi, naturalmente. Durante il quarto anno, Severus aveva cercato di entrare nella squadra di Quidditch di Serpeverde, come Cacciatore, e si era esercitato in segreto la sera prima delle prove. Era abbastanza bravo a volare, eppure nessuno credette alla storia che Black e Potter avevano lanciato una fattura sulla sua scopa quando si risvegliò in infermeria con una gamba rotta. Al contrario, i due avevano ottenuto venti punti ciascuno per averlo salvato! E, naturalmente, si erano assicurati che ci fossero parecchi studenti attorno che vedessero la sua figura incosciente fluttuare verso l’infermeria sotto la punta della bacchetta di Potter. Presto, tutta la scuola venne a conoscenza la versione di Potter della storia e, ancora una volta, tutti si erano fatti una bella risata a spese di Severus. Quello pose fine alle sue ambizioni in campo Quidditch.

«Non t’azzardare,» sputò Severus e, tremante, riuscì con fatica a rimettersi in piedi. Con Lucius che per metà lo trascinava e metà lo portava, raggiunsero lentamente l'ingresso della casa fatiscente e attraversarono la linea anti Materializzazione.

«Visto che la tua casa è in rovina, proporrei di portarti alla Villa. Abbiamo un sacco di camere, e il nostro elfo domestico può sistemarti. Sicuramente vorrai essere in buona forma per il raid di sabato. Alastor Moody festeggia il suo cinquantesimo anniversario di lavoro, e noi dobbiamo assolutamente fargli visita e congratularci, non ti pare?» Ma prima che Severus potesse rispondere, il biondo aveva fatto Materializzare entrambi alla sede della famiglia Malfoy.

Dobby, l’elfo domestico di Lucius, aveva fatto un lavoro notevole. Severus si sentiva già molto meglio, comodamente sdraiato tra le fresche ed incredibilmente leggere lenzuola di seta, le sue ferite pulite e bendate, ed un forte pozione analgesica che scorreva nelle sue vene, lo rendevano piacevolmente stordito e assonnato. Tutto sommato, avrebbe potuto andare peggio. Avrebbe potuto essere morto, per esempio, o pazzo. Pensandoci bene, la fiumana di Crutiatus poteva anche avergli salvato la vita. Se il Signore Oscuro avesse condotto un interrogatorio approfondito, invece, forse non avrebbe avuto scampo, occlumante nato o meno. E di certo, non se gli avessero fatto bere del Veritaserum. Quindi, c’era un lato positivo della Cruciatus, chi l’avrebbe mai pensato?

Era vivo, e aveva anche qualcosa di importante da riferire a Dumbledore. Avvertirlo della programmata incursione contro Moody cosicchè l'Ordine avrebbe potuto contrastare i pani del Signore Oscuro, per una volta. L'unica cosa che lo preoccupava era che probabilmente avrebbe dovuto tenersi fuori dalla linea di fuoco se si fosse arrivati ad uno scontro. Senza destare sospetti. Inoltre, non poteva deludere Lucius: erano amici, dopo tutto. Ma di certo il Preside avrebbe inventato qualcosa. Sì, l'avrebbe fatto. Ci si poteva fidare del vecchio mago. Avrebbe dovuto saperlo fin dall'inizio. Ma meglio tardi che mai. E Dumbledore si fidava di lui, era fiero di lui. Lo aveva chiamato figlio - e l’aveva inteso davvero. Forse sarebbe addirittura sopravvissuto al gioco della spia - con l'aiuto di Albus Dumbledore, il più grande mago di tutta la Gran Bretagna, probabilmente del mondo intero. Dumbledore avrebbe pensato a qualcosa...

E con questi pensieri rassicuranti,Severus si addormentò.



 

Fine

 


 
Ed ecco qui, con questo siamo arrivati alla conclusione di questa storia. Spero l'abbiate apprezzata e che la traduzione sia stata comprensibile e piacevole.
Sicuramente tradurrò altre storie di Persephone Lupin in futuro, quindi state all'occhio ;)

Grazie per aver seguito la storia e aver recensito. :)

~FRC Coazze

 

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