C'è una sorpresa per te.

di Abigaille_Abbie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Mi stesi sull’asciugamano con molta calma, mentre mi toglievo gli occhiali da sole. Il tempo era perfetto, e la mattina ci eravamo organizzati per fare una gita al mare tutti insieme; adesso, dopo esserci distribuiti su un pezzo di spiaggia non molto affollata –non il mio preferito, quello con gli scogli, perché a loro non piaceva, ma cosa non si fa per gli amici?- ed aver preso il sole per qualche minuto, avevano voglia di fare il bagno. Cris mi si avvicinò prendendomi per i piedi, pronto a buttarmi in acqua, ma in quel momento mi suonò il telefono, e con una risata lo fermai in quella posizione, mentre mi chinavo per prenderlo. Guardai un attimo il numero, che avevo memorizzato, e che conoscevo bene, anche se ormai da qualche mese non avevo più usato. Anzi, più di qualche mese. Pigiai il tasto di risposta guardandolo con aria sospettosa, mentre Cris mi guardava con aspettativa in faccia.

«Harry?» chiesi diffidente. Sentii una risata in sottofondo e scoppiai in un urlo di gioia.

«Annie!» esclamò la sua voce familiare (ma nemmeno troppo) dal telefono.

«Harry! Ciao!» lo salutai, mentre Cristian alzava gli occhi al cielo e si sedeva accanto a me.

«Annie!» ripeté, mentre sentivo dei rumori in sottofondo. Feci cenno a Cristian di smettere di borbottare frasi senza senso.

«Mi sa che l’hai già detta questa» commentai sorridendo a me stessa. Era strano sentirlo di nuovo al telefono, dopo un anno che ci aveva fatti un po’ allontanare. Quando uno dei tuoi migliori amici va vince un BRIT e va in tour, non è facile mantenere i contatti, anche se ci avevamo provato. Risentire di nuovo la sua voce e la sua risata al telefono fu… Strano, forse.

«Già…» disse lasciando in sospeso la cosa. Cris mi tirò per un braccio.

«Aspetta un attimo Harry.. Cris, vai tu, io vi raggiungo dopo» intimai al mio amico, tirandogli una ciabatta sulla schiena ed intimandogli di andarsene in acqua con gli altri; non sarei andata comunque, volevo starmene un altro po’ sull’asciugamano. Lo guardai allontanarsi e poi ritornai alla cornetta.

«Cris? Mi sono perso…» commentò Harry dall’altra parte.

«No scusa, sono in spiaggia con dei miei amici…» spiegai ma lui mi interruppe, pimpante.

«Che spiaggia?» mi domandò velocemente.

«Oh, quella vicino allo Starbucks sulla costa, dove andavamo da piccoli, ricordi?» dissi, mettendomi a gambe incrociate sull’asciugamano.

«Certo che si. Sei sugli scogli?» mi chiese, e mi venne da sorridere abbassando gli occhi.

«No, ai miei amici non piacciono…» sospirai afflitta, guardando desiderosa verso gli scogli, dall’altra parte della spiaggia.

«Sono degli assassini di bei pomeriggi allora» commentò, mentre sentivo dei rumori e il respiro che accelerava un po’.

«È quello che ho sempre detto anch’io ma, Harry, che sta succedendo?» domandai quando sentii dei rumori sempre più affannati. All’improvviso sentii silenzio.

«Harry..?» chiesi guardando sospettosa il telefono.

«Annie, sai, c’è una sorpresa per te» e attaccò.

«Che cosa…?» mormorai, staccandomi il cellulare dall’orecchio per osservarlo diffidente. Un’ombra mi si parò davanti agli occhi e alzai lo sguardo, guardando in alto.

Harry mi sorrise, le mani nelle tasche del costume, facendo un sorriso storto, incurvando un labbro solo, e guardandomi in controluce, il sole in faccia. Lo guardai un attimo impalata, dal basso all’alto, mentre avevo l’impressione che fosse un gigante.

«Io però so come passare dei bei pomeriggi con te» disse guardandomi, mentre aspettava che avessi una qualche reazione. Mi alzai un attimo lentamente e lo guardai, mentre mi fissava con le mani in tasca, forse un po’ imbarazzato, ma raggiante. Aprii la bocca, ma non dissi niente. Alla fine, sorridendo, mi slanciai verso di lui e lo abbracciai, buttandogli le braccia al collo e stringendolo forte; era bello poterlo riabbracciare dopo tanto tempo, anche se avevo il vago ricordo che le sue spalle fossero un po’ più mollicce e un po’ più piccole.

Barcollò un attimo all’indietro per il mio slancio, ma poi ridendo mi mise le mani sulla vita e mi strinse a sé, mentre io annusavo i suoi capelli alla mela e affondavo il viso nel suo collo.

Mi allontanò un secondo e mi guardò, raggiante, e all’improvviso mi prese da sotto la gambe, facendomi fare una capriola in aria e facendomi atterrare fra le sue braccia, come facevamo quando eravamo piccoli. Mi allontanai ridendo senza fiato, e guardandolo, riprendendo fiato.

«Non è proprio come prima eh?» commentai sorridendo, mentre lui si passava la lingua su un dente mentre sorrideva, con uno sguardo malizioso.

«No, in effetti no. Non sei proprio una piuma adesso» commentò guardandomi. Mi misi le mani sulla pancia e gli feci una linguaccia.

«E invece no. Ho una linea quasi perfetta» lo ammonii.

«Già… E’ la testa che ha qualche problema» commentò con aria grave. Io assunsi un’aria corrucciata. «Ho provato a farci qualcosa ma ormai…»

«Si, lo so, è un caso perso» annuì lui. Gli diedi un pugno sul petto, e quasi senza pensare ci incamminammo per la spiaggia a camminare, mettendo i piedi sull’acqua bassa. Lasciai l’asciugamano e i vestiti vicino alla borsa dei miei amici e lo seguii sul bagnasciuga, mentre ci bagnavamo le gambe schizzandoci con l’acqua del mare.

Dopo un attimo mi voltai verso di lui e gli chiesi, sorridendo: «Quindi?».

Si girò a guardarmi: «Quindi cosa?» sorrise.

«Che ci fai qui?» domandai mentre tentavo di legarmi i capelli senza usare nessun gommino.

«Come cosa ci faccio qui? Sono venuto a trovarti!» esclamò offeso, mentre si portava una mano al petto, ferito.

«Si, certo, e poi?» incalzai, mentre vedevo avvicinarsi gli scogli sempre di più.

«E poi sono tornato perché per un po’ non avremo più spettacoli e voglio stare a casa» mi guardò con un sorriso angelico. Strinsi le labbra e poi ricambiai.

«Stavolta l’hai scampata Styles, ma non contarci troppo» gli concessi, arrivando agli scogli che tanto ci piacevano. Erano vuoti, e pendevano a strapiombo sul mare; dietro avevano una pineta, accanto un viottolo da cui eravamo passati provenendo dalla spiaggia e davanti il cielo e il mare, con gli schizzi delle onde che ogni tanto ci raggiungevano, macchiandoci di schiuma.

«Io lo so perché l’ho scampata» disse sedendosi a terra. Mi avvicinai a lui e gli presi la borsa, rufolandoci dentro.

«E perché? … Non hai un asciugamano?» borbottai mentre cercavo di trovare un telo o qualcosa di simile nella sua borsa. Si avvicinò e me la prese di mano.

«Perché sono sexy. Non so se ho portato un qualcosa su cui possiamo stenderci» mugugnò mentre affondava un braccio nella sacca.

«In alternativa possiamo sempre usare la tua camicia». Si girò verso di me, fermandosi con una mano in aria, e guardandomi con un’aria a metà fra l’ammirato e il diffidente. Feci spallucce con fare naturale. «Era solo un proposta».

Stette un altro attimo fermo e poi sorrise con approvazione, tornando a cercare dentro con un mezzo sorriso soddisfatto. Alla fine tirò fuori una cosa che assomigliava vagamente a un pareo e la stese per terra. Lo guardai con un sorriso, mentre mi stendevo, lasciandogli un po’ di spazio.

«So che te lo sei provato Harry, adesso voglio solo sapere con chi. Ma soprattutto.. Come si fa» sorrisi ammiccante, mentre lui, alzatosi in piedi, prendeva in mano un telo invisibile, mostrandomi dieci modi diversi. All’ultimo mi tappai la faccia con le mani, ridendo.

«No, no, non voglio credere che si possa mettere anche così» dissi fra le risate, mentre cercavo di cancellarmi dalla mente l’immagine di Harry con il pareo messo in modo equivoco.

Annuì con forza e ridendo si stese accanto a me, mentre chiudevo gli occhi e prendevo il sole. Mi girai sulla schiena, a pancia sotto, e stesi le braccia sopra la testa, allungando una mano a toccargli i riccioli, arrotolandomeli intorno alle dita. Chiusi gli occhi e sospirai soddisfatta.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


«Mi era mancato tutto questo» sospirò, mentre si accomodava accanto a me sul pareo e avvicinava la testa alla mia, per non farmi allungare troppo le braccia mentre gli accarezzavo i capelli.

«Che cosa? Farti toccare i ricci?» mormorai ridendo contro la mia spalla, mentre sentivo il sole battermi sulla schiena.

«Anche, sì» gongolò lui, mentre io allungavo l’altra mano e mi sganciavo il reggiseno, per abbronzarmi in tutta la schiena senza strisce compromettenti. Senza alzarmi feci scivolare la fascia da sotto il pareo e me la misi accanto, mentre tornavo a rilassarmi. Lui si era irrigidito un attimo.

«Cosa?» domandai curiosa. Lui scosse la testa e fece spallucce; aprii un occhio per guardarlo meglio, e lui mi fece una boccaccia. Gli risposi tirando fuori la lingua.

«Come sono i ragazzi?» chiesi curiosa, nella testa le immagini di loro cinque che partecipavano a un sacco di manifestazioni con tante, molte ragazze urlanti.

«Ragazzi» rispose ridendo, e io gli tirai un pugno in faccia, che bloccò facilmente. «Sono veramente ragazzi. A parte Liam… Lui è il più responsabile, e a volte sembra un po’ una ragazza sai».

Pensai un attimo a Liam Payne e tossicchiai. «Insomma, a me non sembra poi tanto una femmina…» commentai con dei colpi di tosse abbastanza espliciti, e lui si girò di un fianco verso di me; me ne accorsi perché dalle palpebre chiuse vidi la luce del sole oscurarsi. Aprii gli occhi e lo guardai sorridendo, mentre mi fissava, avvicinandosi.

«Perciò tu pensi sia carino» affermò guardandomi. Feci un sorriso malizioso.

«Beh si, abbastanza» risposi inclinando la testa verso l’alto e schermandomi dal sole con una mano (attenta a non alzarmi troppo, altrimenti tanto valeva stare nuda).

«Interessante. E chi altri, mmmh, pensi sia carino?» continuò avvicinandosi con un sorriso criptico. Io finsi di doverci pensare a lungo, alzando gli occhi e guardandomi intorno, tanto per tenerlo un po’ sulle spine.

«Oh, non saprei. Carino in che senso? C’è il ragazzo carino tenero, e direi mio fratello Mike; c’è il ragazzo carino gentile, e direi Niall, o Cris; c’è il ragazzo carino esteticamente, e direi Liam, o Louis. C’è il ragazzo carino sexy, e direi…».

«Sì?» mormorò, avvicinandosi ancora e guardandomi negli occhi, un angolo della bocca sollevato a fare una fossetta sulla guancia. Era molto carino.

«Johnny Deep» affermai pronta, mentre era a qualche centimetro da me. Continuò a guardarmi con quella sua aria assorta, mentre sorrideva di più.

«Ah, Johnny Deep quindi?» mi domandò con un sorriso più ampio. Io annuii convinta, mentre facevo per girarmi anch’io su un fianco; ricordandomi del reggiseno accanto a me rinunciai, limitandomi a sollevare un po’ in alto la schiena mettendo le braccia incrociate davanti al mio petto, ed appoggiandomi sui gomiti. Intanto, lui non si era ancora spostato, così lo guardai.

«Johnny Deep, certo. Ha il fascino del trasformista» spiegai, continuando a guardarlo in tralice.

«Ti piacciono i ragazzi dalle tante facce?» domandò, sempre vicino. Mi morsi un attimo le labbra, pensandoci, e sorrisi.

«Può darsi, anche se me ne basta una» risposi, spostandomi i capelli su una spalla, e lasciando scoperta l’altra. Lo sguardo di Harry scivolò dal mio viso al mio collo, per passare alle spalle e alla schiena nuda. Strinse un attimo le labbra, e mentre continuava a fissarmi la schiena (per lo meno, penso fosse stata la schiena) si portò una mano al fianco, avvicinandosi anche con il corpo.

«Dico, lo prenderai mai un po’ più di sole?» commentò a bassa voce. Io mi buttai giù nella posizione di prima, spiaccicandomi contro la terra e mettendo la testa fra le braccia incrociate che avevo spostato in alto; chiusi gli occhi dopo avergli fatto un’altra linguaccia.

«Probabilmente no. Ma come vedi, l’intenzione è buona» gli risposi. «Inoltre» aggiunsi «la pelle d’avorio è la carnagione dei nobili».

«Perciò saresti una dell’aristocrazia…» sghignazzò, mentre iniziava a giocherellare con uno dei lacci che mi tenevano legate le mutande del costume. Il cuore mi fece una capriola.

«Solo qualche goccia di sangue blu… Ma è l’origine, che conta» replicai, attenta a non far accelerare il respiro; in fondo eravamo amici da tanto, era del tutto naturale una cosa del genere… no?

«Allora il tuo sangue puzza». Risi e gli tirai un calcio, piegando la gamba destra dietro di me.

«Come osi plebeo! Inchinati al mio cospetto e… Mmmh, fatti perdonare!» esclamai con voce imperiosa, mentre sghignazzavo.

«Un massaggio sarebbe di suo gradimento signora?» mi propose, girato su un fianco. Aprii gli occhi e lo guardai seria: «Harry, fallo e ti do dieci dollari».

Scoppiò a ridere e si avvicinò, iniziando a massaggiarmi le spalle, mentre io mi ributtavo giù con un bel sospiro soddisfatto. Le sue mani erano morbide, e mi accarezzavano gentili il collo e le spalle, scendendo piano piano lungo tutta la spina dorsale, passando per la vita, e i fianchi…

«Stiamo ancora parlando di massaggi vero?». Dovevo ammettere che il tutto era rilassante, anche se le mani di Harry sul mio corpo avevano un effetto tutt’altro che tranquillizzante. Le dita iniziarono a sfiorare delicate la schiena, delicate ma sicuramente non timide, seguendo prima il contorno della spina dorsale, poi quello delle scapole e infine il profilo che dalla spalla arrivava fino al fianco, passando per la vita. Sospese la mano lungo quel percorso, prima di ritornare alle spalle.

«Certo» rispose candidamente, e io mi limitai ad un neutro ‘mmmh-mmmh’. Continuò a massaggiarmi per un po’. «Sai che dopo dovrai restituirmi il massaggio vero?» disse.

Io, mezza addormentata, l’ascoltavo per metà. «Si, si.. Cosa? No! Harry, togli le mani dalla mia schiena!» appena mi resi conto del ricatto. Lui scoppiò a ridere e io feci una complicata torsione del collo per arrivare a vederlo in faccia. Lo guardai con aria di rimprovero, ma il suo sguardo, dopo un attimo, si spostò di poco dietro la mia testa; strinse le labbra a contenere una risata ma poi scoppiò a ridere.
Lo guardai confusa, girando la testa a destra e a sinistra. Allungò una mano e indicò qualcosa dietro di me. Tenendomi le braccia al petto mi girai verso dove mi aveva indicato, in tempo per vedere un cane afferrare il mio reggiseno e portarlo via verso la pineta, a corsa, le gambe che zampettavano di qua e di là (avrei voluto torcergliele, quelle zampe). Mi girai verso Harry, dandogli una scrollata con un braccio, mentre con l’altro cercavo di coprirmi, tirando su il pareo.

Lui stava ancora ridendo, buttato sulla sabbia, e lo dovetti chiamare più di due volte prima che si rinvenisse.

«Harry corri! Prendi il… Insomma vai!» lo incitai, mentre si alzava e andava verso il cane, con un passo che non mi sembrò poi indice di una tanta fretta di recuperare il mio reggiseno…

Ma non poteva volere che rimanessi senza, no?

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Il cane (la razza canina si era appena guadagnata uno degli ultimi posti nella scala delle mie preferenze animali) era andato verso il confine della pineta, e si era fermato vicino a una sagoma, probabilmente quella del padrone, che mi sembrava indubbiamente maschio. Il ragazzo si chinò, afferrando il reggiseno e guardandolo stupito e, mentre Harry lo raggiungeva, io mi affrettai a mettermi a gambe incrociate sugli scogli, il pareo avvolto malamente intorno al petto.

Harry si avvicinò al padrone, iniziando a parlarci e dicendo cose che, da quella distanza, non potevo sentire. Scoppiarono due risate ma poi, quando il ragazzo si girò verso di me, mi guardò e disse qualcos’altro a Harry, ridendo come se trovasse la sua battuta divertente, vidi le spalle di Harry che si irrigidivano (che poteva aver detto?) e la mano che si allungava verso il reggiseno; si scambiarono ancora qualche battuta e poi Harry tornò verso di me, il reggiseno in mano, tenuto a distanza dal corpo. Mano a mano che si avvicinava riuscivo a vedere meglio il suo sorriso. Nel frattempo si era alzato un po’ di vento, e il pareo mi svolazzava intorno.

Arrivò con il costume in mano, a qualche metro da me. visto che non si decideva a darmi il mio pezzo di sopra mi alzai, tentando di tenere l’asciugamano, coprirmi e non inciampare nello stesso tempo… Ovviamente, il pareo volò via ad un soffio di vento un po’ più forte, lasciandomi mezza nuda davanti a un ragazzo dalla mentalità inaffidabile.

Mentalità che lo spinse ad alzare le braccia al cielo e fare un enorme segno di ‘Ben fatto’ al vento, puntando il pollice in alto con un sorriso soddisfatto.

Cercai di coprirmi come meglio potevo (si paga una licenza alla nascita per situazioni come questa?) e mi avvicinai a Harry, le braccia strette davanti al corpo.

Lo guardai carica di aspettativa, mentre aspettavo che mi consegnasse la fascia. Alla fine, ammiccando verso il ragazzo che si stava addentrando nella pineta, sorrise, sovrappensiero.

«Si chiamava Tom» mi informò. Io annuii poco convinta, gli occhi puntati sul reggiseno, tipo uno di quei cani da caccia che fiutano la preda e la tengono sott’occhio.

«Interessante» borbottai, e mi avvicinai di un passo, pronta a fare la mia mossa fulminea per afferrare il reggiseno. Harry però doveva essersi reso conto delle mie intenzioni, perché iniziò, con mosse apparentemente casuali, a far roteare il reggiseno in aria.

Se non fossi stata così in imbarazzo avrei trovato la cosa decisamente equivoca.

«Il suo cane si chiamava Louppie.. Nome strano per un cane vero?» continuò sorridendo. Io alzai una gamba e gli diedi una botta con il piede.

«Veramente non molto. E poi, ricordati che sta parlando il padrone di Hamster» replicai avvicinandomi ancora. Lui rise.

«Proprio per questo. Io sono il re dei nomi. E poi..». Lo interruppi, ormai ero vicinissima.

«Harry».

Abbassò un po’ lo sguardo, ma non troppo, dato che ero quasi alta quanto lui (più o meno, ecco).

«Sì?» mi chiese con aria innocente.

«Se non ti dispiace vorrei avere il mio reggiseno».

Fece scorrere lo sguardo sul mio corpo, lentamente, come la carezza di un gatto.

«A dire il vero un po’ mi dispiace». Fece un mezzo sorriso quasi colpevole ma soddisfatto, e io allargai gli occhi. Poi, cercando di mantenere un tono normale, ed allontanandomi di un passo, conclusi: «Mi sa che sopporterò il tuo dolore, ecco».

Lui mi guardò ancora un attimo, poi mi tese il costume con una faccia disgustata.

«Bleeh. Fossi in te però non me lo metterei» mi disse. Vidi la bava del cane colare dal mio costume, tutto mordicchiato (era anche uno dei miei costumi preferiti accidenti), e mi allontanai con un passo, facendo una smorfia di disgusto.

«Che schifo» dissi guardandolo con orrore. «E dire che era anche uno dei miei costumi preferiti» dissi con rimpianto, guardandolo triste.

«Se ti può consolare, stai molto meglio senza» mi disse. Lo fulminai, e alzò le mani in segno di resa, sorridendo.

«Ehi, stavo cercando di essere d’aiuto». Mi avvicinai, tentata di chiedere un abbraccio per essere confortata, ma sapevo già che non  c’era rimedio: costretta a rimanere in topless per sempre davanti a un amico troppo provocante. Mi avvicinai un altro po’, tanto per fare, mentre mi guardavo intorno alla ricerca di qualcosa con cui coprirmi.

«Posso darti la mia maglietta» mi disse, con tono serio. Lo guardai confusa.

«E per farci cosa?» domandai.

«Per coprirti» rispose, e senza darmi il tempo di replicare si tolse la maglietta bianca con lo scollo tondo che stava portando. La girò, e mentre era impegnato a metterla a posto, io mi detti il tempo per esaminarlo.

Durante quell’anno in cui non ci eravamo visti era cambiato, e non poco, e avevo ragione ad aver creduto che le sue spalle fossero un pochino più graciline, prima. Riuscivo a vedere il contorno degli addominali, i muscoli sul petto che salivano fino alle spalle, e le braccia, più forti di prima, che in quel momento si stavano contraendo per girare la maglietta. Anche la curva del collo era cambiata, ma non potei fare a meno, sfruttando il tempo in cui non mi guardava, di abbassare le sguardo ai suoi fianchi, dove due linee incavate, sembravano scavate con le dita, portavano fino al bordo del costume, andando unendosi sotto il tessuto. Strinsi le labbra, prendendo un respiro e facendo salire lo sguardo fino ai suoi pettorali, pronta a distoglierlo prima di sembrare equivoca, ma purtroppo non feci in tempo, e quando si girò alzai velocemente la testa, abbastanza in fretta per vedere un lampo di compiacimento negli occhi e nella postura delle spalle.

Inclinai di poco la testa, come a dargliene merito, incurvando verso l’alto le labbra ed alzando un po’ le sopracciglia, fissandolo con espressione a metà tra lo stupore e l’approvazione; poi gli feci cenno di passarmi la maglietta, anche se non avevo idea di come sarei riuscita a metterla, ma lui scosse la testa, avvicinandosi di un passo.

«Te la metto io» mi propose. Io mi fermai un secondo, interdetta, a fissarlo, ma quando alzò le braccia, innocente, glielo accordai, avvicinandomi di un passo.

Lui ne fece un altro, la maglietta fra le mani. Sentivo il suo respiro sulla faccia, e mi strinsi di più le braccia al petto.

Fece per alzare le braccia ma lo fermai appoggiando una mano contro il suo petto, senza togliermi dall’intricata posizione in cui ero. Mi guardò, la maglietta fra le braccia, il petto che premeva sulla mia mano e il respiro che mi riscaldava il viso.

«Mani a posto» lo ammonii semplicemente, guardandolo con serietà. Era una promessa. Fece un mezzo sorriso e distolse lo sguardo, prendendo la maglietta e mettendola sopra la mia testa. Fece passare la mia testa per il collo ed abbassò un po’ l’orlo, in modo che potessi districarmi dall’incrocio delle braccia per farle passare dalle maniche. La maglietta non mi copriva ancora la pancia, e le sue mani, per darmi il tempo di infilare le mie nei buchi giusti, si erano appoggiate sulle mie costole, ancora fra le dita l’orlo della maglietta, pericolosamente vicine e tanto morbide e calde. Alzai un attimo lo sguardo, e senza dire niente abbassò tutta la maglietta, mentre le mani accarezzavano la mia vita, precedendo il tessuto nel percorso del corpo. Arrivò ai fianchi, e poggiò le mani sopra il laccio del costume, coprendomi la pelle con i suoi palmi. Sembrò avere la tentazione di fare qualcosa, e sentii che le sue braccia mi attiravano a lui, le mani sui miei fianchi che li adattavano ai suoi, premendomi contro di lui. Alzai un attimo lo sguardo, incontrando i suoi occhi, e dopo avermi tenuta un altro attimo contro di lui (sentivo le ossa del suo bacino su di me, e non solo quelle) alzò le mani, in posizione di resa. Nonostante questo, però, non si spostò, rimanendo così, contro di me, le mani alzate e i fianchi sui miei, il petto caldo contro le mia braccia (che, mi ero accorta solo in quel momento, erano appoggiate contro la sua pancia), le labbra piene un po’ socchiuse, il respiro un po’ accelerato, i capelli riccioluti a incorniciargli il viso e gli occhi, socchiusi, fissi sulle mie labbra. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Io gli diedi un piccolo colpetto sul petto e mi allontanai con un passo, sorridendo incerta.

«Non devi essere un tipo forte con le promesse» commentai sorridendo, e lui fece spallucce.

«A volte sono bravo» commentò. Io scossi la testa.

«Naa. Non siamo stati lontani così tanto!» dissi io ridendo, e poi, tanto per fare, feci una ruota sulla sabbia. La maglietta però mi risalì su, e io me la abbassai subito, arrossendo.

«Insomma.. Tu sei cambiata parecchio» disse, mentre si avvicinava. Io cominciai a camminare sul bordo degli scogli, che davano al picco sul mare; allargai le braccia per non cadere.

«Tu dici? A me non sembra poi così tanto» replicai, mentre alzavo una gamba come un’equilibrista per non perdere l’equilibrio. Mi era sempre piaciuto fare giochi pericolosi di quel genere, e stare sul bordo degli scogli, in quel momento, mi faceva sentire una bambina. Stare con Harry poi, lì con me, che scherzava, facendo il giocoliere con dei batuffoli di erba, era..
Bello, e molto naturale.

«Si invece. Sei diversa.. Anche, mmh, esteticamente. L’unica cosa è la testa, l’ho detto. Per quella, non c’è rimedio..» sorrise, aggiungendo un altro batuffolo alla ruota.

«Sssh, che mi disconcentri. Vuoi provare?» lo invitai, mentre facevo un salto e atterravo qualche metro più avanti, sempre sul bordo degli scogli.

Scosse i riccioli, ma io sbuffai. Mi chinai e presi una spugna di mare incastrata fra due sassi e, prendendo bene la mira, la lanciai forte verso di lui, colpendolo a una spalla. Quando sobbalzò iniziai a ridere, continuando a camminare sugli scogli.

Si portò una mano alla spalla e, abbandonando le sue palline improvvisate, corse verso di me, prendendo la rincorsa e ridendo come un matto. Io lanciai un urlo ed iniziai a correre, per non farmi prendere. Scappai dentro la pineta, dove Harry accelerò, raggiungendomi. Riuscì quasi a prendermi ma poi, con due agili mosse (i boy scout erano serviti a qualcosa) mi arrampicai su un albero, ridendo senza fiato. Da una posizione avvantaggiata lo guardai dall’alto verso il basso, aggrappata ai rami dell’albero, ridendo, e gli feci una linguaccia, vittoriosa. Strinse le labbra e poi, a sorpresa, fece un salto e mi raggiunse sull’albero, mettendo i piedi sui rami vicino al mio, e sporgendosi verso di me. Stavamo ridendo come dei pazzi, perché imitò il verso di una scimmia; con sorprendente agilità si dondolò sul suo ramo e mi raggiunse sul mio, mettendo le braccia sopra di me, e avvicinandosi, mettendo la lingua fra le labbra per non perdere l’equilibrio. Indietreggiai un po’ con la schiena, quanto potevo non cadendo.

«Una cosa che non è cambiata è che sei una frana.. Sono sempre più veloce di te» mormorò, avvicinandosi ancora. Io gli feci una pernacchia e scesi dall’albero con un salto, correndo verso gi scogli. Rimase un attimo a guardarmi, un’espressione strana, e poi scese, correndo per inseguirmi. Mi voltai ed iniziai a correre all’indietro, e anche se rallentavo, e lui si avvicinava sempre di più era divertente vederlo correre. A petto nudo. Già, divertente.



«Mi sa che sei rimasta sola» disse, guardandosi intorno. Effettivamente aveva ragione: i miei amici mi avevano abbandonato sulla spiaggia, prendendosi, oltretutto, le mie cose, compreso il cellulare, così che non potevo nemmeno chiamare Cris per farmi dare un passaggio a casa.

«Non sola: accompagnata dalle presenze celesti che stanno costantemente con me» replicai, mentre scuotevo vigorosamente la maglietta, cercando di farla asciugare più in fretta: ogni volta che la lasciavo andare mi si appiccicava addosso, facendomi sentire come avessi una seconda pelle. E poi, tutte le volte che succedeva una cosa del genere Harry appariva un po’ distratto nella conversazione.

«E che ti soffiano nella testa…» aggiunse, soffiandomi in un orecchio. Gli diedi una botta sulla pancia e salii su una roccia lì accanto, per avere una visuale della situazione dall’alto.

Purtroppo era vero: se n’erano andati tutti, lasciandomi al mio destino con quello. E dire che mi ero anche fatta dare un passaggio…

«Infatti. Senti Harry, non è che potresti prestarmi il cellulare? Faccio una chiamata veloce per farmi venire a prendere…» chiesi sovrappensiero, guardandolo speranzosa. Lui scosse la testa, sorridendomi, invitante e familiare.

«Scherzi? Ti accompagno io» propose, le mani in tasca, che mi guardava dal basso. Lo guardai stupita, poi dovetti ricordarmi che aveva preso la patente, era maggiorenne come me, e non dovevamo più fare autostop lungo la strada perché nessuno dei due poteva guidare. Eravamo entrambi grandi e maturi (più o meno).

Accorgendomi di essere stata sovrappensiero per un po’ annuii velocemente e scesi dallo scoglio, continuando a farmi aria con la maglietta, ed avviandomi verso il parcheggio delle macchine, seguita da Harry. Il bagnino sulla cima della casetta di controllo in alto sembrava una di quelle polene che si vedono sulla prua della nave, proteso verso il mare a controllare che non ci fossero infortuni. Quando lo dissi a Harry questo scoppiò a ridere, fermandosi per fargli una foto. Salimmo in macchina, un’Audi (al che io alzai un sopracciglio, stupita da tanto lusso –ma chi volevo prendere in giro, era milionario lui-) metallizzata, e scossi la sabbia rimasta fra i miei piedi nella terra del parcheggio d’auto là vicino; fatto tutto (e sventolata ancora un altro po’ la maglietta bianca all’aria aperta) gli diedi il via libera per partire.

I capelli sventolavano per l’aria del finestrino aperto e il sole, nonostante fosse tardo pomeriggio, batteva forte, costringendoci a socchiudere gli occhi. Sorrisi a me stessa e mi dissi che quella era la prova del nove: continuavo a conoscerlo, nonostante tutto, se gli occhiali da sole stavano ancora nella tasca della portiera accanto al sedile del passeggero, sotto qualche fazzoletto o qualche straccio non esattamente pulito. Mi chinai e, senza fare troppo la schizzinosa, infilai la mano nella tasca accanto al mio sedile, tastando oggetti di ogni tipo; prima di afferrare gli occhiali da sole (si!, lo conoscevo ancora, e lui non era cambiato) mi punsi con qualcosa di appuntito e sconosciuto, e tirai fuori di scatto la mano, portando con me gli occhiali da sole, lasciandomi sfuggire un grido.

Osservai contrariata il buchino nel dito mentre Harry si girava verso di me, dando di tanto in tanto un’occhiata alla strada.

«Cosa diavolo tieni in quella tasca ragazzo?» chiesi, mentre facevo per succhiarmi il dito; guardai la polvere sulla pelle e cambiai idea, limitandomi a guardarlo con disapprovazione.

«Hai fatto l’antitetanica?» mi domandò sorridendo. Lo fulminai con un’occhiata.

«Suppongo di sì» risposi, anche se in verità mia madre, convinta sostenitrice della cura delle malattie attraverso metodi biologici, doveva avermi fatto sostenere ben pochi vaccini.

«Bene, allora puoi stare tranquilla. Qualsiasi cosa ci fosse stata lì dentro, non ti ferirà» concluse soddisfatto, ritornando alla strada. Alzai gli occhi al cielo con un sorriso e reclinai la testa
all’indietro, chiudendo gli occhi e infilandomi gli occhiali da sole. La maglietta mi aderiva alla pelle, bianca e trasparente, ed il sole e il vento non erano ancora riusciti ad asciugarla del tutto; mentre inarcavo un po’ la schiena girai la testa verso di lui, sempre a occhi chiusi.

«Harry?» dissi, mentre il vento mi scompigliava i capelli.

«Sì?».

«Guarda la strada». Lo sentii sghignazzare ma poi percepii che effettivamente si girò, e mi rilassai. Passammo un altro po’ di tempo a parlare, finché non lo bloccai precipitosamente nello svoltare verso la via per casa dei miei genitori (se lo ricordava ancora!), intimandogli di proseguire dritto per un altro po’. Lui mi guardò confuso.

«Non vivo più con i miei» dissi, indicandogli dove andare.

«E dove vivi adesso?» mi domandò, mentre girava dietro un McDonald; gli feci cenno di proseguire dritto per qualche altro chilometro, seguendo le curve della strada.

«Con Cris in un appartamento non troppo lontano dal centro, vicino al parcheggio del cinema Movieborn..» risposi, mentre mi ricomponevo in una posizione un po’ più civile, pronta a scendere di macchina.

«Con Cris?» esclamò, la voce un po’ trasfigurata. Aprii gli occhi e lo guardai, stranita. «Voglio dire.. State insieme?» domandò, mentre la voce assumeva un tono più tranquillo; le spalle erano contratte e non capivo cosa gli fosse preso. Aveva un tono forzatamente in modalità conversazione, e decisi di fare finta di niente; probabilmente aveva i suoi pensieri per la testa, e voleva solamente continuare a parlare del più e del meno, come della mia presunta relazione con Cris. Gli appoggiai una mano sulla curva del collo, sentivo la pelle calda sotto il palmo. Da quando eravamo piccoli, ci calmavamo con il contatto fisico, magari tenendoci per mano, o semplicemente toccandoci il viso, il collo.

«Dio ce ne scampi!» esclamai con un’espressione inorridita. Poi tornai seria. «No, ovviamente no. Voglio dire, siamo amici da tanto, e poi conviviamo.. Magari uno dei due ci ha pensato, qualche volta, ma non abbiamo mai preso seriamente in considerazione l’idea» spiegai. Provai a immaginarmi una vita a fianco di Cris e mi ritrassi velocemente: a volte ero indisposta nei suoi confronti semplicemente trovandomelo di fronte. Quel ragazzo riusciva a suscitarmi fastidio e affetto allo stesso tempo, e a volte la convivenza era difficile; non che io, con il mio carattere, non ci mettessi del mio, ma anche lui… E ovviamente, poi, c’erano tutte quelle complicazioni esterne che sembravano attratte da Cris come le api sono attratte dal miele.

Effettivamente, però, quel giorno ero stata anche troppo carina, non avevo detto parolacce, non mi ero arrabbiata, non mi ero chiusa in silenzi ingiustificati (per gli altri. Giustificatissimi per me); forse, aver rivisto Harry mi aveva ricordato com'ero prima di tutto il casino con Cristian e con Josh, dello sfratto di Ella e del lavoro e dei corsi serali.

«Bene. Nel senso, okay» disse, e, vedendo che non rispondevo, assorta com’ero nei miei pensieri, mi passò una mano davanti alla faccia, per riscuotermi un attimo. Sussultai e mi girai verso di lui, guardandolo sovrappensiero.

«Che c’è?» di domandò. Scossi la testa, indicando con il dito l’ultima svolta per arrivare fino a casa mia.

«Niente, stavo pensando» risposi con un tono forzatamente naturale, mentre le carte nel soggiorno mi balzavano in mente come disegni spolverati dalla polvere.

«Pensavi a Cristian?» chiese, con un tono forse un po’ sornione. Mi girai di scatto a guardarlo infastidita. Era come se ogni metro che ci avvicinavamo a casa mi allontanasse dal bel pomeriggio passato insieme, e dal carattere affidabile e allegro che avevo avuto in sua presenza. Ero stata falsa? Se così era stato, non mi era sembrato, perché avevo trovato tutto naturale, di una spontaneità che, negli ultimi tempi, avevo un po’ perso. Pensare di averla sempre avuta, quella parte affabile, sempre sarcastica e ironica, ma affabile, durante tutto quel tempo mi fece infastidire ancora di più; perché avevo dovuto riscoprirla solamente in presenza di Harry? Non aveva molto senso.

«No. Perché dovete sempre collegarmi a Cris? Ho anche una vita mia» scattai stizzita, aggredendolo. «Fermo qui» dissi bruscamente, e scesi di macchina non appena si fermò. Mi girai verso di lui, sorridendogli e salutandolo con la mano, prima di andare a corsa verso casa, senza girarmi indietro. Suonai ripetutamente al citofono, molte volte, e sentii la porta scattare; entrai dentro, nel buio, e accostai la porta. Mi fermai un attimo nell’ingresso, immersa nel buio, la rampa di scale che saliva verso l’alto, nel vuoto, guardando fissa davanti a me; chiusi un attimo gli occhi e sospirai.

Aprii di scatto la porta e corsi sulla strada, pregando che non se ne fosse già andato. Bene. Dio mi aveva ascoltato per questa volta. A piedi scalzi, corsi sull’asfalto, mentre vedevo dai
finestrini il suo braccio muoversi per mettere in moto la macchina, ed andarsene, la faccia ferita.

«Harry! Harry!» urlai, per farlo fermare. Arrivai fino al finestrino dalla sua parte, da quello del guidatore, e lo esortai, da fuori, a tirarlo giù, mentre mi guardava, diffidente e sospettoso.

Appena ebbi spazio sufficiente mi insinuai nell’apertura del finestrino, che continuava ad abbassarsi, allungandomi verso di lui per guardarlo faccia a faccia, le braccia nell’abitacolo, accompagnate da metà del busto; ero mezza dentro la sua macchina.

«Scusa» dissi, più calma e più a bassa voce. Allungai una mano e, come prima, gliela misi sul collo, abbracciandolo per quel che potevo con il palmo. Salii con le dita fino ai riccioli, mentre parlavo, sempre lasciando la pelle della mano a contatto con quella del suo collo.

«Non volevo… E’ un momento un po’ così. Scusa» ripetei di nuovo, guardando preoccupata verso la finestra. Qualcosa si stava muovendo, e vidi una tenda scostarsi; la luce uscì dalla finestra e una sagoma si affacciò.

«Non importa. Va tutto bene?» mi domandò, e sperai che mi avesse perdonato. Guardai verso l’alto.

Fanculo.

Era da un sacco che non facevo qualcosa come piaceva a me.

Pochi minuti non avrebbero ucciso nessuno, tantomeno lui.

Un ultimo sguardo verso l’alto, poi tornai a Harry con una mossa risoluta dei capelli, voltando di proposito le spalle alla sagoma alla finestra.

Gli sorrisi.

«Sì. Tutto alla grande.. Oggi sono stata bene» dissi, guardandolo con un sorriso. Lui rispose con il suo, le fossette sulle guance, adorabili e forse un po’ sorprese.

«Dovremmo rifarlo» propose, guardandomi con i suoi occhi verdi, mentre avevo ancora la mano sul suo collo, mezza infilata nella macchina.

Dalla luce della casa vidi la tenda chiudersi, e poi riaprirsi, e mi resi conto che non avevo le chiavi di casa per farmi riaprire.

Magari la libertà andava acquistata a piccoli passi.

«Sicuro. Ci sentiamo Harry» sorrisi, e mi allungai verso di lui per dargli un bacio sulla guancia. Uscii dalla macchina e mi avviai verso casa, ancora sorridendo. Si sporse dal finestrino,
le braccia appoggiate sulla portiera.

«Ti chiamo?» mi domandò, sporgendosi ancora verso di me.

«Certo» risposi, mentre lo salutavo un’ultima volta con la mano. Aprii la porta, accostata, ed entrai dentro, sentendo il rumore del portone richiudersi dietro di me e immergendomi nel buio.






SPAZIO AUTRICE

Ho appena scoperto che si può mettere uno spazioa utrice perciò eccomi qui!! Scusate se nonv i ho scritto prima,
ma grazie per le recensioni e per leggere questi capitoli!!
Speroc he vi piacciano ;) Se vi piacciono, o anche se non vi  piacciono (sono aaaaapertissima a critche)
scrivetemi una recensione!! :D Grazie a tutti!! 

Abbie

Ps. Lo so che questi acpitoli sono un po' delle cacche di cammello! xx

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Le chiavi tintinnarono nella serratura, dopo che le ebbi prese da sotto il tappetino dove le tenevamo sempre nascoste, ed entrai in casa, sbattendo la porta mentre le sfilavo dalla porta.

Sentii il bisogno di urlare un ‘Sono a casa!’ anche se probabilmente il suono incessante del campanello doveva averlo avvisato abbastanza, e andai subito in camera mia, desiderosa di togliermi quella maglia bianca e umidiccia di dosso. Sbattei la porta e me la sfilai camminando, mentre mi buttavo sul letto, con solo le mutande del costume. Mi ci lasciai cadere rumorosamente, con un sospiro stanco; tutte quelle corse avevano messo a dura prova il mio corpo pigro.

La porta si aprì di scatto e io rotolai veloce a pancia sotto, pronta per coprirmi. Guardai stizzita verso Cris, che troneggiava sulla porta imponente, guardandomi in modo abbastanza alterato.

«Dovresti prendere il vocabolario…» dissi con tono irritato.

«Per fare?» domandò; non sembrava essere in una delle sue giornate migliori.

«Cercare la parola bussare» scattai, prendendo una maglia dal comodino e arrotolandola davanti alle mie nudità, mentre mi alzavo verso di lui. Alzò gli occhi al cielo.
«Non c’è bisogno che ti copri, ti ho già visto nuda» disse in tono annoiato.

«Questo non ti da l’autorizzazione di entrare in camera mia quando ti pare» replicai, girandomi di spalle e mettendomi il maglione. Mi girai verso di lui con un sospiro, spostandomi i capelli dalla fronte in un gesto stanco. Perché dovevamo litigare? Quella mattina eravamo partiti così bene… «Che c’è Cris?» domandai.

«Devo parlarti» mi rispose, entrando in camera. Scossi la testa avviandomi verso il bagno, la camminata strascicata di quando sei in casa e non ti importa di cosa pensano quelli che stanno con te, talmente abituati a te da non farci caso.

«Devo fare la doccia. Ne parliamo dopo a cena, che dici?» cercai di tagliar corto, afferrando un asciugamano dall’armadio.

«Un attimo, su. Poi vai a lavarti». Sospirai (ancora) e mi buttai sul letto, l’asciugamano fra le mani.

«Allora dimmi» lo esortai con una mossa della mano, mentre mi stendevo sul letto, la stanchezza addosso. Avevo voglia di dormire, in quel momento, ma l’istinto della doccia era stimolato dal sale sulla pelle, e dalla sabbia, che graffiava, e avrei voluto addormentarmi in una vasca d’acqua dolce, con tante bolle e tanta schiuma.

«Dove sei stata oggi?» mi chiese, appoggiandosi sulla mia scrivania, la mano dietro a sostenerlo.

Che t’importa? «Sugli scogli» risposi, secca.

«Ah. Eri con Styles?» mi domandò. Lo guardai irritata, alzandomi dal letto.

«Cos’è questo, un interrogatorio?» domandai aspramente, mentre con gesti insofferenti iniziavo ad agitarmi nella camera, sentendo le pareti che si chiudevano intorno a me. «Comunque si» conclusi, per non litigare. Non ne avevo la forza.

«Potevi chiamare» mi disse, mentre aprivo la porta per andare in bagno; mi venne dietro, i passi risuonavano sul pavimento con una cadenza lenta.

«Potevi cercare» replicai girandomi verso di lui. Eravamo vicini, e gli misi una mano sulla spalla. «Senti Cris, anche se a volte sto con Harry non vuol dire che non.. Siamo più io e te» dissi, guardandolo negli occhi; era alto solo qualche centimetro più di me, e non dovevo alzare lo sguardo per avere un contatto visivo. Strinsi la mano su di lui e lo abbracciai; con un sospiro rispose al mio abbraccio, affondando il viso nei miei capelli. Guardai sopra la sua testa, fissando la parete davanti a me, concentrandomi sull’intonaco scrostato sul muro, la vernice accumulatasi in piccoli grumi lungo il piano, i punti graffiati dal legno scuro della scrivania, dalle cornici delle foto appoggiate al muro, dalle grucce dei vestiti che ne avevano scalfito la superficie. Strinsi le labbra e aspettai che si staccasse, che le sue spalle si rilassassero, che mi mormorasse nei capelli ‘Dici sul serio?’ e che se ne andasse, stendendosi sul divano o andando a preparare la cena.

«Veramente?». La sua voce mi sfiorò l’orecchio e mi venne la voglia di scrollarmelo di dosso; trattenendo un sospiro annuii con un sorriso, anche se non poteva vedermi. Si staccò e, dopo avermi dato un buffetto sulla guancia, andò in soggiorno, lasciandomi il tempo di andare in bagno.

Mi facevo schifo.

Sotto il getto potente della doccia calda cercai di scrollarmi di dosso la sensazione di essere finta, falsa, di non essere vera. Si potevano lavare via i pensieri su te stessa? Tentai, lavandomi con forza dovunque, mentre le gocce di acqua bollente mi solcavano il viso simili a lacrime, lasciando una traccia di calore lungo la pelle, un misto di fastidio e piacere.

Scivolai lungo la parete nascondendo la faccia fra le ginocchia, il getto d’acqua che dall’alto acquistava forza e mi batteva, ritmato e potente, sulla schiena, scivolandomi fra i capelli e le gambe.

Non riuscivo a ricordare una volta in cui fossi stata me stessa, in cui non avevo finto un sorriso o trattenuto la rabbia. Qualche minuto prima avevo solo avuto la conferma di quanto fossi sempre stata falsa.

Ma non ero così. Io lo sapevo. Riuscivo a ricordare, ce la facevo, una volta in cui ero stata bene con me stessa, senza l’indifferenza o la rabbia… Alzai di scatto la testa ma quando l’acqua mi finì nell’occhio la riabbassai, arrendendomi sconfitta.

Avevo bisogno di Harry.

Volevo semplicemente chiamarlo e parlare, come non avevamo fatto da tanto tempo prima di quel giorno. Era una persona di cui improvvisamente sentivo la necessità. Era un amico che mi faceva stare bene.

Un amico…

Una voce, e con un sospiro mi tirai su, chiudendo l’acqua e avvolgendomi nell’asciugamano, completamente bagnata. Andai in camera, i capelli gocciolanti.

«Arrivo!» urlai verso la cucina, il profumo di riso allo zafferano che arrivava fino in camera mia. Mi buttai sul letto a braccia aperte e chiusi gli occhi, tentata di dormire. In quel momento, il cellulare si illuminò, la luce nel buio da sotto le palpebre. Allungai una mano e me lo portai davanti al viso, poi aprii gli occhi e guardai.

Un nuovo messaggio, da ‘Harraaayy’, come l’avevo soprannominato nel suo momento di White Eskimo.

Sana e salva?

Sorrisi e risposi velocemente.

Apparentemente sì.. Per ora.

Tempo qualche secondo e il display si illuminò nuovamente. Guardai il messaggio con la lingua fra le labbra.

Era tanto arrabbiato?

Fissai un attimo il telefono, incerta su cosa rispondere. Si? Non era vero. No? Nemmeno quello.

Colui-che-non-deve-essere-nominato non si è ancora espresso.

Risposi quindi cripticamente, sempre con il sorriso sulle labbra, sperando che capisse il giusto.

Non pensavo fossi in combutta con Voldemort.

Scoppiai in una risata.

Pensavi male..

Appoggiai il telefono sul letto e mi misi il pigiama, pronta per andare a cena, ma nell’attimo in cui stavo per andare in cucina vidi lo schermo del telefono accendersi di nuovo. Lo presi, un piede fuori dalla porta, e lessi il messaggio con il sorriso sulle labbra e uno strano senso di compiacimento.

Non posso essere smontato così tutte le volte. Mi distruggi moralmente.

Risi l'ultima volta e risposi, prima di andare a tavola e mangiare quello che Cris aveva coraggiosamente definiuto riso commestibile.


HARRY.

Il cellulare mi vibrò nella tasca e lo tirai fuori sovrappensiero mentre Louis mi tirava dei popcorn fra i capelli, guardando un film che avevo visto un miliardo di volte ma che, a quanto pareva, gli altri non avevano ancora visto. Tranne Liam, ma lui se l'era cavata uscendo con Danielle, e mi aveva lasciato solo con quei tre, agitati per un finale che si prospettava pieno di colpi di scena.

In realtà era un finale tremendo, del genere che piacevano a Zayn. Quando Niall trattenne il fiato per un colpo di scena (la mamma rivelava al figlio che suo padre era sempre stato nei servizi segreti, o una cosa simile) alzai gli occhi al cielo, abbassando gli occhi nel leggere il messaggio, da Annie.

Bentornato a casa :)

Sorrisi impercettibilmente, sfiorando con il polpastrello la tastiera del telefono, incerto su cosa rispondere. Mi lasciava sempre senza parole, e la sua arte del sarcasmo si era affinata nei mesi in cui ci eravamo sentiti. Non me la ricordavo così pungente. Né così divertente, a dirla tutta. E alta, flessuosa, con le labbra piene arricciate in una smorfia che si rilassava solo con il sorriso, i capelli lunghi ramati, riflessi rossicci alla radice e più sul biondo alle punte e gli occhi..

L'ho già detto che mi eri mancata?

Digitai sovrappensiero, e quasi senza accorgermene lo inviai, mentre fissavo stupito il cellulare, traditore. Reclinai la testa all'indietro picchiando contro il divano e trattenendo uno sbadiglio, stanco nonostante tutto. Magari il giorno dopo avrei potuto chiedere a Ann di uscire. Saremmo potuti andare al cinema, oppure a cena fuori in quel ristorante che tanto ci piaceva.. Il cuscino mi colpì sul viso.

«Che caz...?!» mi riscossi, cercando di individuare chi mi aveva tirato quel colpo a tradimento. Mi aspettavo Louis, invece era Niall che si stava sganasciando dalle risate. Zayn era decisamente troppo preso dal film.

Lou, invece, cantilenante come un bambino piccolo fece una faccia presumibilmente tenera, e canticchiò non proprio a bassa voce:

«Harry pensa a una ragazzaaaaaaa! Harreeeeeeey pensa ad una ragazzaaaaaaaa! Harreeeeeeey non è più fra nooooi» recitò, mentre Niall rideva, sull'orlo delle lacrime. Zayn distolse lo sguardo dallo schermo per puntarlo su di noi, mentre Louis mi sfilava di mano il cellulare. Mi alzai di scatto per toglierglielo di mano, ma fece in tempo a leggere l'ultimo messaggio di Annie, saltellando esagitatamente sul divano, mentre io cercavo di atterrarlo per recuperare il telefono, preoccupato da quel che i ragazzi avrebbero potuto dire.

Insomma, loro erano capaci di fare dell'ironia su tutto.

SAVHANNA


Più o meno un centinaio di volte :)

Mi stesi accanto a Cris sul divano, poggiando la testa sulle sue ginocchia e raggomitolandomi contro la spalliera del divano, stanca e un po' malconcia a causa del sole. Lasciai il cellualre sul tavolo e guardai un attimo il mio amico. Da quando ero arrivata in casa avevo in mente un pensiero fisso, ma avevo quasi paura di fare la domanda a Cristian. Feci un respiro profondo e alzai lo sguardo assonnato.

«Senti.. Lo vedi ancora mmh.. Josh?» tentai, quasi sperando che non mi sentisse. Lo sentii immobilizzarsi e chiusi gli occhi, rannicchiandomi sul divano e sperando in una risposta alquanto improbabile; e se anche avesse risposto non penso avrebbe detto quello che volevo, avevo bisogno di sentirmi dire. 

All'improvviso desiderai non averglielo chiesto. Lo desiderai quando capii che la risposta era si, che lo vedeva ancora, che tutte le incazzature di quei mesi non erano servite a niente, che le minacce, i rischi, erano meno importanti, erano irrilevanti rispetto alla voglia di vedere.. Quello.

Afferrai di nuovo il cellulare, bisognosa di tenerlo fra le mani, almeno per fare qualcosa, mentre lo sbloccavo e ribloccavo a intermittenza, non guardando quello che facevo, passando le dita sullo schermo per pulirlo, mentre il sistema touch che non sapevo usare proprio per niente chiamava gli ultimi contatti recenti.
 

HARRY.
 

«Più o meno un centinaio di volte!!» gridò Louis a tutta la stanza, mentre io affondavo la faccia nel divano e cercavo di non ascoltarlo, mentre però sorridevo per la risposta di Ann. 

Dovevo ammetterlo, mi freddava ogni singolissima volta. Smontava tutta la mia ilarità, ecco cosa faceva quella ragazza.

Liam entrò in casa, un sorriso ebete sulla faccia, proprio mentre il cellulare (il mio cellulare) squillava, la suoneria con il parlottio confidenziale di Lou che Niall mi aveva costretto a mettere che suonava intermittente. Mi alzai e cercai di recuperare il telefono, intimando a Louis di ridarmelo immediatamente. Stranamente me lo restituì senza fiatare, cosa che mi fece guardare preoccupato il numero sulle schermo, mentre i ragazzi si giravano verso di me, il silenzio improvviso nella stanza.

«Ehm.. E' Annie» dissi imbarazzato, e risposi alla chiamata, portandomi il telefono all'orecchio.

«Ann?» la salutai, ma non ottenni risposta. All'inizio pensai che mi avesse attaccato, ma poi sentii un parlottio in sottofondo (mi sembrava fosse la sua voce, insieme a quella di qualcun'altro), che cresceva mano a mano d'intensità. Tesi l'orecchio, sentendomi un po' uno spione, ma la curiosità era troppo forte. Dalla cornetta distinsi Annie che proseguiva una frase di cui non avevo afferrato il senso, ed incrociai le gambe per stare più concentrato sule sue parole, intimando ai ragazzi di fare silenzio.

«...sopporto, è sgarbato, violento, rude e ogni volta che entra qui dentro si comporta come se fosse a casa propria, mentre non ha nessun diritto di..»

Un'altra voce, maschile questa volta, e sembrava a metà fra l'irritato e l'infervorato.

«Hai troppi pregiudizi Sav, con lui ti sei fasciata la testa...»

Il tono di voce di Ann salì d'intensità e, anche se tentava di mostrarsi fredda e distaccata, sentivo dal timbro che in realtà era molto agitata. La conoscevo troppo bene. Lou fece per chiedermi qualcosa ma lo zittii malamente, continuando a tendere l'orecchio, uno strano presentimento che saliva su per lo stomaco.

«Fasciata la testa? Lui mi ha.. Presa, e portata in camera sua e.. Se non ci fosse stata Marine io sarei rimasta alla sua.. E tu te ne sei fregato! Cazzo!». Iniziò a montare la nausea mano a mano che mi rendevo conto del significato di quello che stava dicendo. «Cris, non mi piace ritornare su questo argomento ma io.. Non posso sopportare.. Averlo sempre intorno.. E a te che non frega assolutamente niente.. Accidenti!». Sentii qualcosa muoversi, poi il cellulare cadde a terra, dei rumori, Cristian che borbottava qualcosa, Annie che gli rifilava un incazzato «Ma sta zitto» e che prendeva il cellulare.

«Ma che.. Harry?!» domandò, la voce più forte e chiara al telefono. Era ovvio che mi aveva chiamato per sbaglio, e non aveva idea che avessi sentito tutta la conversazione fra lei e Cristian. 

Strinsi i pugni, improvvisamente una strana rabbia in corpo, e senza parlare chiusi la chiamata, il respiro accelerato, le spalle rigide, i muscoli contratti.

«Harry, che cosa è successo?» mi domandò Liam, cauto, nel silenzio generale. Mi alzai, furibondo, e arrivai alla porta di corsa.

«Buonanotte a tutti» ansimai, salendo su per le scale. 

Mi ha presa e portata in camera sua e.. 

Sbattei la porta battendo un pugno contro il muro.

Evidentemente, ero stato via troppo a lungo.
 
































SPAZIO AUTRICEEEE


Holaaa :D Questo è il primo serio spazio autrice che scrivo (quello di prima non vale gnè gnè) e durerà molto poco perché mia mamma mi sta uccidendo!
E' da mezz'ora che sto rileggendo quest6o capitolo per vedere se ci ho fatto ripetizioni eccetera ma è taaardi e il mio sistema nervoso reagisce a rilento :D
A me non piace moltissimissimo questo capitolo, però è venuto così, e poi mi serviva un po' per introdurre i problemi di Annie :))
Spero siate comprensivi con me, è la mia prima FF :DD
E poi, so che è lungoooo e noioooooso, però se me lo dite voi in una PICCOLA E BELLA RECENSIONE avrete il mio amore eterno :D Anche se
saranno RECRITICHE! (Recensioni Critiche!) Ahahha , sucsate, è sera, ho sonnooo


Grazie per le recensioni che mi scrivete, mi fate sorridere *w* 

Buonanoooootte VI ADORO :)

Ovviamente vi adorerò ancora di più con una piccolissima recensioneee.... Ehehehhe

Abbie

PS: Non siate troppo duri con me! D:

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


SAVHANNA

Trattenendomi dallo sputarci dentro consegnai il cappuccino alla donna che da qualche minuto stava aspettando al bancone, picchiettando le unghie laccate di rosso sul piano del tavolo, ed alitandomi in faccia quello che doveva essere un buono e attraente profumo di vaniglia (attraente per chi, un formichiere?). Senza contare che avevo sempre odiato i profumi dolci; perché una ragazza sentiva il bisogno di profumare come un budino?

Sorrisi alla donna e mi rivolsi verso un altro ragazzo, che mi diede il suo scontrino bruscamente. Trattenni uno sbuffo e andai a servirlo, preparandogli il caffè e gridando a Megan, in cucina, di prendere un'altra brioche alla marmellata. Si affacciò e mi guardò torva.

«Lo sai che la politica dello Starbucks prevede gentilezza?» mi apostrofò. Feci spallucce.

«Infatti io sono una cameriera ribelle» replicai, facendo una linguaccia alla sirena del logo della catena dove ormai da qualche mese lavoravo i giorni dispari della settimana.

Intanto il ragazzo si era seduto, e mi feci largo fra la ressa delle persone dentro il negozio per portargli le cose, riflettendo sull’impazienza delle persone. Avrebbe potuto aspettare un altro po’ no? Mi avrebbe risparmiato metri di fatica.. Cioè, si sarebbe risparmiato di aspettare, ecco.

Alla cassa, feci il resto a una coppietta che doveva aver litigato, e ritornai al bancone, il posto dove preferivo stare in assoluto: stavo a contatto con le persone, ma separata da loro da una solida barriera in legno (che mi impediva di ferirle fisicamente, a volte); servivo tutti ma non mi muovevo troppo, preservando il mio corpo da sforzi inutili. Era una postazione perfetta.

Mi affacciai di nuovo alla cucina. «Cambia musica, Meg!» le gridai, ma quando quella sbuffò andai io stessa allo stereo, perdendomi l’entrata di parecchie persone nel locale; di solito mi piaceva vedere chi entrava e che faccia aveva quando lo faceva. Di chi era triste, poi, mi piaceva vedere l’espressione che cambiava mangiando o bevendo.

Misi il mio CD preferito e tornai al bancone dondolando la testa a ritmo, ballando un pochino mentre arrivavo al mio posto. Alzai la testa, sempre canticchiando, e guardai il nuovo cliente con uno sguardo interrogativo; mi sorrise. Era un ragazzo parecchio bello, notai, con un sorriso contagioso. Mi era vagamente familiare.

«Sì?» chiesi, facendo un gesto con la mano ad indicare tutta la merce commestibile esposta.

«Vorrei due caffè in tazza grande e.. Ehm, cosa avete come cibo da mmh pasticceria?» mi domandò grattandosi la testa confuso. Io sgranai gli occhi.

«Più o meno tutto il negozio» risposi con un mezzo sorriso, in un tono abbastanza ovvio.

«Sì, giusto… Non è che potresti farmi un vassoio con dolci e cose del genere?» chiese con le mani in tasca.

Aah, qui ci voleva la capacità di capire i gusti del cliente. Dovevo iniziare a fargli domande psicologicamente utili tipo ‘Il cibo del tuo gatto è umido o secco?’ per capire se preferiva ciambelle o pasticcini?

«Che ci metto?» tentai l’ultima volta.

«Fai tu. Noi siamo al tavolo all’angolo.. Potresti portarci la roba là?» sorrise.

«Certo, ma di’ che pagherai lo stesso anche se non ti piacciono i dolci che scelgo» strinsi gli occhi sorridendo.

«Va bene, prometto che pagherò» rise, e se ne andò al tavolo. Mi misi davanti a tutti gli scaffali pieni di dolci e, dopo aver preso un vassoio, ce ne misi due di ognuno. In fondo, aveva detto che avrebbe pagato tutto, perciò… Gli risparmiai quegli orribili dolcetti alla menta e alle carote (come facevano le persone a trovarli buoni?) e, presi anche i due caffè, mi avviai verso il tavolo che mi aveva indicato, quello più appartato e vicino alle finestre che davano sulla strada, la penna in bocca e il blocchetto con tutto quello che gli avevo preso incastrato fra vassoio e braccio.

Individuai il ragazzo, che era in un tavolo da cinque con una sedia vuota (ma con sopra un giacchetto), che stava scherzando con gli altri tre, buttando la testa all’indietro e tappandosi la bocca, mentre un altro ragazzo biondo era rannicchiato su sé stesso, vibrando dalle risate. Quando arrivai un altro dei quattro (mi sembrava vagamente familiare anche lui) alzò lo sguardo su di me e, come scusandosi del comportamento degli altri (sembrava un genitore, ahah), mi fece cenno di posare tutto lì.

Lo feci, poggiando prima le due tazze di caffè e poi, maldestramente, anche il vassoio, cercando di non far cadere i dolci. Non lo fecero ma, in compenso, mentre la porta del bagno si apriva e ne usciva qualcuno, diretto verso di noi, mi cadde il blocchetto a terra. Con uno sbuffo, buttandomi un ciuffo di capelli indietro, mi chinai a terra a raccoglierlo, ma qualcuno mi precedette, e una mano mi porse il blocchetto in un gesto gentile. Alzai la testa e quasi non andai a sbattere contro il viso di Harry, a un centimetro dalla mia faccia.

Rimasi a guardarlo qualche secondo, balbettante, i nasi che si sfioravano, le sue labbra atteggiate in un sorrisetto sorpreso, gli occhi verdi a poca distanza dai miei. Mi alzai velocemente, accomodandomi il grembiule che avevo legato intorno ai fianchi, scordandomi di riprendermi il blocchetto.

«Ann» mi salutò non del tutto sorpreso, sorridendo con calore, alzandosi a sua volta.

«Ciao» risposi mettendomi le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni. Gli sorrisi, mentre mi giravo verso Meg che mi chiamava. Le feci segno di darmi altri cinque minuti… Ormai, doveva esserci abituata, ai miei cinque minuti.

Feci qualche passo indietro, come ad andarmene, ma lui si avvicinò, sempre sorridendo.

«Che ci fai qua?» mi chiese, avvolgendomi un polso con le dita ed invitandomi verso il loro tavolo. Lo assecondai a metà, guardando un po’ incerta verso il bancone, mentre un’altra cameriera si destreggiava fra la cassa e i tavoli (dove avrei dovuto essere io, e non era buono!). Strinsi le labbra, ma mi diedi solamente cinque minuti, e mi arresi, seguendolo tenendo d’occhio le cucine. Se fosse uscita una donna formosa armata di mestolo pronta a riprendermi e ricordarmi di quanto si dovesse essere ligi al dovere, mi sarei dovuta nascondere..

Vedendomi reticente si voltò verso di me, sempre tenendomi per il polso.

«Che c’è, hai paura di me?» domandò sorridendo incerto, e io spostai lo sguardo da una Megan infuriata a lui, scuotendo la testa.

«Non di te, di lei!» sussurrai concitatamente, nascondendomi dietro di lui ed indicando con fare circospetto l’imponente cuoca. Lui voltò la testa sorridendo sotto i baffi, un po’ confuso, e non appena la individuò la indicò a sua volta, chiedendomi conferma con un sorrisetto.

«Lei?» sussurrò, imitando il mio tono cospiratorio. Annuii con un sorriso. Si girò verso di me, facendomi segno di aspettare con la mano, e si diresse con passo deciso verso il bancone, insinuandosi agilmente fra la calca di persone. Agganciò subito Megan con uno sguardo affascinante, con molto charm, poggiando le mani sul bancone e, apparentemente senza rendersene conto (bah!, senza rendersene conto), avvicinandosi a lei. Parlarono qualche minuto, in cui lui riuscì a strapparle un sorrisetto imbarazzato e, stentavo a crederci, un risolino civettuolo (dov’era il tanto affidabile mestolo di Meg? Dov’era andato? Era bastato un riccio a scioglierla?). Poi, come se niente fosse, tornò verso di me, un sorrisetto compiaciuto in viso.

«Hai un quarto d’ora di pausa» sussurrò soddisfatto al mio orecchio, prima di mettermi un braccio intorno alla vita e portarmi verso il tavolo dei suoi amici. Li salutai con un sorriso abbastanza disinteressato, ma comunque cordiale. Allungai il collo per vedere i dolci che avevo portato loro.

Quello biondo, con la bocca piena, accorgendosi del mio sguardo si voltò verso di me. «Lou hafsdefto cfhe li fhai scfelti te. Shono veramfente buofi!!» biascicò con la bocca tutta piena, mettendosi inutilmente una mano davanti alla faccia. Sorrisi impercettibilmente mentre mi avvicinavo un po’, per vedere cos’è che avevano lasciato nel vassoio. Harry ancora mi temeva per la vita, perciò non potevo allontanarmi tanto.

«Annie, ti presento Louis, Niall, Liam e Zayn. Anche se forse li conosci già… Per lo meno Liam» aggiunse in un sussurro rivolto a me, precisamente al mio orecchio. Alzai lo sguardo verso di lui, facendogli una linguaccia, e mi avviai verso la sedia che teoricamente sarebbe dovuta essere sua. Mi sedetti e lo salutai da lì con un sorriso. Scoppiarono a ridere tutti, ma io continuai a tenere gli occhi incollati a quelli di Harry.

 
 

«Merda! La mia pausa è finita dieci minuti fa!» esclamai, tirandomi in piedi di scatto e facendo sobbalzare Harry, con cui avevo finito per condividere la sedia nell’ultima mezz’ora, parlando con la sua band. In realtà erano tutti molto simpatici e, se fossi riuscita a togliermi quei pregiudizi che avevo in testa (ahah, e chi se li toglieva quelli?), sarebbero stati anche abbastanza simpatici. Ovviamente in mezz’ora, parlando principalmente di dolci e di me non si poteva scoprire molto.

In realtà inizialmente avevamo iniziato parlando di musica, e tutti ci erano rimasti male scoprendo che non ero una fan della loro band. Tutti tranne Harry ovviamente che, preso posto accanto a me a circondandomi la vita con un braccio (doveva essere un vizio che aveva, quello), aveva alzato gli occhi al cielo e fatto segno di non fare caso a me, che ero un po’ strana. Con quest’affermazione si era meritato una mia occhiataccia e la curiosità di Louis, che aveva domandato chi fossi.

«Scusate ragazzi. Questa è Annie» aveva detto subito Harry. Aveva fatto per aggiungere altro, ma poi aveva stretto le labbra e aveva guardato i ragazzi.

«Annie? La Annie di ieri sera, quella del m…» fece per dire quello biondo, Niall, ma Liam, senza staccare lo sguardo da me gli aveva ficcato in bocca un altro pasticcino, spiaccicandoglielo sulla faccia. Tutti continuarono a sorridere affabilmente.

«E ti chiami Annie? Di nascita?!» chiese curioso Louis. Io scoppiai a ridere, insieme a Harry.

«In realtà sì. Poi però alla gente è venuta la strana fissa di chiamarmi Savhanna, non so perché» commentai scherzosamente.

«Però sarebbe più logico chiamarti Sav, se il tuo nome è veramente Savhanna» intervenne Zayn.

«In effetti tutti mi chiamano Sav… A parte Harry. Già Harry, perché mi chiami Annie?» domandai improvvisamente curiosa, girandomi verso di lui, che nel mentre mi aveva messo una mano sulla spalla e l’altra su un fianco. Guardò un attimo a terra ma poi fece spallucce, alzando lo sguardo verso di me.

«Così» rispose semplicemente, ma io incrociai le braccia.

«Che razza di risposta sarebbe?» lo apostrofai, puntandogli un dito al petto. Fece nuovamente spallucce ma poi sorrise a metà, e due fossette gli comparirono in volto.

«Perché Annie è più.. Insomma, è più carino, ecco. Mi ricorda te» aggiunse arrossendo a metà, sempre con quel mezzo sorriso assorto in volto. Restai a guardarlo un attimo sbalordita, poi mi girai, sentendo di più la presenza della sua mano sul fianco.

Alla fine, eravamo (erano) finiti a parlare di dolcetti, e io mi ero accorta troppo tardi di aver sforato ancora una volta. Una volta in piedi salutai tutti con la mano e li lasciai, compreso Harry, con un ‘Ci vediamo!’. Mi avviai verso il bancone ma, arrivata allo sportellino che mi permetteva di andare nella parte destinata ai camerieri mi sentii prendere per mano, e mi girai velocemente, mentre il proprietario della mano tentava di fermarmi attirandomi a sé.

Il risultato fu che finii, per la seconda volta in una giornata, quasi addosso a Harry, che mi trattenne sempre con la mano, che teneva sopra la mia. Alzai lo sguardo.

«Allora è un tuo problema» dissi sorridendo, un po' incerta, rivolta alle iridi verdi sul suo viso. Quando sorrise abbassai lo sguardo sulla sua bocca, per poi tornare a fissare in alto.

«Ti sei dimenticata il blocchetto» soffiò guardandomi. Io abbassai lo sguardo, titubante, verso il pacco di fogli che mi stava porgendo. Lo presi e, dopo un sorriso, feci per voltarmi, ma lui mi bloccò di nuovo.

«Annie?» ‘Perché è più… Insomma è più carino ecco’’.

«Sì?» chiesi.

«Leggi il blocchetto» disse con una mezza risata. ‘’Mi ricorda te’’.

Automaticamente abbassai lo sguardo verso il blocchetto. Sulla prima pagina, con la sua solita calligrafia elegante, c’era scritto, nell’angolo in alto a destra:

Esci con me?

Lo guardai dopo qualche attimo, alzando lo sguardo titubante. Lui continuava ad avere quel mezzo sorriso, le fossette assonnate, e mi guardava in tralice, in attesa della mia risposta, non proprio sicuro.

«Come amici?» domandai piuttosto ingenuamente. Si avvicinò un po’.

«Se vuoi così…» soffiò.

A quel punto l’immancabile mestolo di Megan mi arrivò sul fondoschiena. Sussultai e mi girai verso di lei, fulminandola con lo sguardo, ma non accettava compromessi. Con uno sguardo di scuse rivolto a Harry mi avviai al bancone, tornando indietro con una penna. In volata, con Megan che mi fulminava con lo sguardo, mi affrettai a scrivere sul blocchetto. Mi alzai e gli stampai un bacio sulla guancia, prima di tornare a servire un doppio macchiato.

 

HARRY

Si alza e mi da un bacio sulla guancia, l’odore dei suoi capelli che mia arriva in testa, anche se ha solo una coda di cavallo mezza sfatta. Se ne va veloce, lasciandomi il blocchetto in mano. Abbasso lo sguardo e trovo, minuscolo nel centro del foglio, una piccola frase.

Va bene. Ma non portarmi in quel pub in centro. E' così sciatto!

Rido.

C’è da chiedersi come abbia fatto a scrivere tanto in fretta.






 

*Hogwarts*
Saaaalve a tutti :D Innanzituttoo volevo partire con il ringraziarvi
uno per uno, da chi mi ha messo nelle preferite, nelle ricordate, nelle seguite, i recensori
e anche tutti gli altri lettori silenziosi che leggono la mia storia :)
Vi ringrazio per le 7 recensioni,
sono tutte positive e io sono sempre, ogni volta che le leggo,
ryctvuhovcxam,vdyguhjytdrzdxcfgvbni *-*
Coomuqnue, per parlare di cose più serie, ho finito questo capitolo
alle due e mezza di notte, rendetevi conto, quindi perdonatemi
se fa un tantino schifo, le prossime volte cercherò di scrivere anche qualcosa di più sensato nello
spazio riservato all'autore v.v
Passando a Harry e Annie (nooon è tenero, che lui la chiami Annie mentre gli
altri la chiamano Sav?), lui le ha finalmente chiesto di uscire..
Ma la loro prima uscita sarà un pochino diversa da come entrambi se la aspettavano!
Ovviamente non voglio darvi anticipazioni, sarà tutto nel
prossimo capitolo! 
(fa molto vendita promozionale!)
Un grazie particolare alla mia amica SARA, che adoro
(si Sara, ti adoro), e che tutte le volte controlla, supervisiona e coirregge i miei
capitoli, dandomi anche qualche idea|
Ti voglio bene!!
Ma voglio bene a VOI!, che leggete la mia storiaa :)))
Sonoo cooooosì contenta dfi aver deciso di meterla online!! :DD
Vi adoooooro

Mi raccomando, se vi è piaciuto, non vi è piaciuto, vi ha fatto cagare o vomitare
abbiate la pietà di scrivermelo in una piccola recensione, che mi incentiva!! :DD

-Abbie-

PS: voi come ve la immaginate Savhanna? Io ho una qualche ideaa ^-^

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


SAVHANNA

 
«SAV! TI SUONA IL TELEFONO!».

«E RISPONDI!» urlai di rimando a Cristian, senza smettere di leggere il libro che avevo in mano, talmente consumato da avere alcune pagine staccate dalla rilegatura, stesa sul letto e ancora in pigiama. Avevo quasi finito il capitolo, e non avevo intenzione di alzarmi.

«Ma è il tuo! Vieni a prenderlo!» sbraitò il mio coinquilino, probabilmente steso sul divano a non fare niente. Gli risposi di portarmelo in camera, alzando gli occhi al cielo, e mentre i passi di Cris si avvicinavano sentii la suoneria rimbombare per la casa, i Linkin Park leggermente distorti da quella scatoletta metallica. Entrò tenendo il cellulare a distanza, come se fosse una bomba a mano estremamente pericolosa. Lo guardò con disgusto.

«Non puoi cambiare suoneria? È terribile questa canzone!» brontolò, mentre il telefono continuava a squillare.

«Ma ti pare? Piuttosto, rispondi! Ho quasi finito il capitolo» continuai ridendo, mentre con uno sguardo spaventato si portava il telefono all’orecchio, senza guardare chi stesse chiamando. Mentre lui partiva con un semplice ‘Pronto?’ io tornai al mio libro, e ai tre cognomi di Catherine.

«Cristian. Tu?» sentii dire con tono diffidente a Cris. Con un sospiro chiusi il libro, voltandomi verso di lui e guardandolo interrogativa; non sapevo davvero chi avrebbe potuto chiamarmi, dato che Ella sarebbe tornata dalla Svizzera lunedì, ed era solamente sabato quel giorno, e non c’erano molte altre persone che avrei voluto sentire. Poteva tranquillamente essere Cris a gestire la situazione.

«Ah» disse brusco questo, per poi ascoltare un altro attimo, con l’impressione di desiderare fare ben altro. Irrigidì le spalle e si voltò verso di me.

«Si. Aspetta» sputò, e, tappando il microfono del cellulare, mi guardò.

«Che c’è?» domandai interrogativa.

«C’è Styles giù. Avete un appuntamento, dice». Lo guardai un attimo con sguardo vuoto, poi, improvvisamente, realizzai.

«Merda!» mimai con la bocca, saltando in piedi. Mi affacciai dal balcone in camera mia, vedendo una familiare testa riccioluta vicino ad un’Audi metallizzata, il telefono all’orecchio. Con un’aria da criminale colto sul fatto, (o peggio, da animale beccato dai fanali di una macchina ad attraversare la tangenziale) mi voltai verso Cristian.

«Digli che sono giù fra cinque minuti!» mormorai concitata. Mi squadrò dalla testa ai piedi, soffermandosi sul mio pigiama e sui capelli legati in un ciuffo alla casalinga. Alzò un sopracciglio.

«E’ giù fra cinque minuti» ghignò beffardo, prima di attaccargli e buttare il telefono sul letto.

Io, intanto, ero partita in bagno, e tentavo di vestirmi, pettinarmi e lavarmi i denti allo stesso momento. Mi guardai un attimo allo specchio sospirando desolata e scesi di corsa le scale, salutando prima Cris con una stretta sul braccio. Mi fermò mentre stavo per imboccare la rampa.

«Avete un appuntamento quindi». Non sembrava affatto felice. Ma che gli importava?

«Più o meno.. Un’uscita da amici, ecco» specificai, inclinando la testa di lato.

Lui rise amaro. «Certo. Scommetto che è da amico che ti ha chiesto di uscire, vero?». Lo fulminai con lo sguardo.

«Ah-ah, bella battuta. Divertiti oggi. Ti ho lasciato le lasagne nel forno, mangia quelle» conclusi con una linguaccia.

«Non torni per cena?» chiese sconvolto. Alzai gli occhi al cielo, cercando di non scocciarmi troppo.

«Sono solo le sei Cris. Quanto vuoi che ci stia, due ore e mezza?» sbottai infastidita. «Fai qualcosa stasera» conclusi, scendendo le scale e chiudendo la porta con un tonfo.

Harry era in fondo alla strada, le mani in tasca, appoggiato alla macchina con la testa china. Quando lo vidi mi venne un tuffo al cuore.

 
«Ne vuoi parlare?». Una voce, roca e familiare, mi fece riemergere dal mio torpore, aprendo uno sprazzo di lucidità nella nebbia bianca della barriera che mi avvolgeva, come in un bozzolo, separandomi dall’esterno. Un divano bianco, due mani lunghe e affusolate che si districavano dalla loro posizione abituale per avvicinarsi a me, al mio viso, un ricciolo castano nella mia visuale.

Harry.

Provai a rispondere ma, non trovando la bocca, tacqui, affondando in quell’annebbiamento in cui ero caduta da quando la mia faccia aveva iniziato a gonfiare e bruciare terribilmente.



 

HARRY

Ero seduto su quel divano insieme a lei da un’infinità e, sebbene solitamente fossi abbastanza paziente, quella volta non riuscivo a stare fermo. Nell’ultima mezz’ora avevo aperto la bocca almeno dieci volte, pronto a prendere la parola e dire qualcosa, qualsiasi cosa per spezzare quel silenzio in cui si era avvolta da quando la rabbia (e il mio pugno) avevano preso il sopravvento sulla razionalità, ma poi l’avevo richiusa altrettante volte, sconsolato.

Non sapevo come approcciarmi a lei. Non sapevo come si riscuoteva una persona in stato di shock dopo essere stata aggredita nella sua stessa casa, picchiata e… Dovevo calmarmi. Rischiavo di non rispondere nuovamente delle mie azioni, di perdere il controllo. Come era già successo. Ma dovevo farlo per lei, aveva bisogno di me. Ha bisogno di me. Ripetei questa frase nella mia mente nove volte, accompagnandola da profondi respiri, chiudendo e riaprendo i pugni; dovevo convincermi che avesse bisogno di me. Avrei potuto picchiare quel bastardo in un altro momento, e non da solo. I ragazzi mi avrebbero potuto accompagnare, anche se avrei dovuto essere io a farlo. Per tutto quello che mi aveva fatto.

No.

Per tutto quello che le aveva fatto.

Perché se in tanti anni di rancore, di rabbia e di dolore, ogni volta, trovandomelo davanti, non lo avevo preso a pugni, era perché sapevo di essere più forte, superiore (anni di autoconvinzione). Ma quando quella sera avevo visto le lacrime sul suo viso (lei! Che non piangeva mai!), il labbro gonfio, lo zigomo arrossato, il sangue sul mento e sulla bocca, avevo perso la testa.

«Ne vuoi parlare?» dissi, senza nemmeno accorgermene, il tono a stento  calmo, incapace anche di raggiungere quell’apparente tranquillità con cui solitamente si doveva parlare alle persone sotto shock. Tutto questo l’avevo letto una volta su uno dei tanti volantini antipanico (solitamente quello successivo ad una caduta in acqua) che Zayn lasciava continuamente sparsi per casa. Se la persona stava tanto in silenzio, c’era scritto, non era un buon segno. O almeno, non lo era per Annie. Dopo che l’avevo portata a casa (la mia casa, fortunatamente sgombra dagli altri quattro) non aveva proferito parola, non si era mossa. Ma ogni volta che avevo provato ad avvicinarmi, ogni singola volta, si era irrigidita, o spostata impercettibilmente, semplicemente impedendomi il contatto con lei.

Non potevo più accettare quella situazione, non ce la facevo.

Presi un respiro e decisi di osare, anche a costo di beccarmi uno schiaffo in faccia, o di scatenare una reazione di pianto (che ritenevo improbabile comunque), o di farla sprofondare nuovamente nel silenzio. Mi girai verso di lei, passandomi una mano tremante fra i capelli per cercare di calmarmi, e allungando l’altra verso la sua, sfiorando con leggerezza le sue dita.

Come previsto si irrigidì, ritraendo la mano, ma io la afferrai prontamente con entrambe le mani. Cercai di essere abbastanza deciso, ma non rude. Non volevo ricordarle lui. Alzai lo sguardo verso di lei, che lo aveva improvvisamente rivolto verso un punto imprecisato dietro di me. Sembrava lucida.

«Savhanna. Annie. Sono io. Sono Harry» dissi, cercando di stabilire un contato visivo con lei. Non rispondeva, così le presi anche l’altra mano, racchiudendola insieme all’altra nella stretta delle mie. Le tenni salda e, visto che non si ribellava, dopo un attimo di esitazione intrecciai le mie dita alle sue. Il cuore mi batteva. Forse non avrei retto se avesse rifiutato anche quel contatto. Io non intrecciavo le dita delle mani a nessuno.

Ma non lo fece. Puntò lo sguardo sulle nostre mani intrecciate, e dopo un attimo alzò gli occhi su di me, lucidi, consapevoli, guardandomi. Rimasi fulminato. Forse la brillantezza del suo sguardo, quella dura consapevolezza nei suoi occhi, la luce dura ma non afflitta che le illuminava il viso, mi disarmarono. Mi sgretolai. Avrei voluto baciarla. Baciarle il labbro arrossato, con delicatezza, senza farle male, senza spaventarla. Avrei voluto poterle mettere le mani sulla vita e stringerla a me, farle sentire che c’ero, che ero lì per lei, che lei era lì con me.

Mi pestai un piede per controllarmi.

«Stai bene?». Che domanda cretina. Perché diavolo le avevo chiesto una cosa così banale, così scontata? Mi avrebbe allontanato di nuovo, si sarebbe rifugiata nel suo silenzio, e non sarei più riuscito a smuoverla dalla sua posizione. Stavo per dire qualcos’altro, per riparare al danno che sicuramente avevo fatto, quando aprì la bocca, come per prepararsi ad articolare una frase.

«Ho paura» sussurrò con voce chiara, abbastanza calma, controllata. Sembrava stesse perdendo nuovamente coscienza di sé.

Le strinsi ancora di più le mani, avvicinandomi a lei sul divano. «Di che cosa?» domandai ansioso. Sperai che non fosse troppo tardi, sperai di non averla persa.

«Di essere toccata» rispose a voce più alta. La voce le si spezzò improvvisamente sull’ultima parola della frase, facendola tacere senza respiro. Annaspò qualche attimo, guardandomi, e infine mi crollò addosso, il corpo completamente scosso da singhiozzi violenti.

Grazie. Grazie Dio grazie.

La sua fronte premuta sul mio petto, le nostre mani intrecciate. Iniziai a tremare, rischiando di crollare, di spezzarmi. Volevo solamente stringerla di più a me, mentre iniziavo a singhiozzare anch’io, forse per il sollievo di non averla persa, di aver avuto una qualche reazione da lei, forse per la rabbia verso di lui, forse per la mia completa inutilità in tutto quello. Sapevo che non stava piangendo, nonostante il suo corpo fosse scosso da singhiozzi, rotti e violenti. Tenendo una mano intrecciata alla sua, mi aiutai con l’altra per avvicinarla a me, farle adagiare la testa fra il mio collo e la mia spalla; dopo un attimo di esitazione mi decisi a farla sedere sopra le mie gambe, il petto rivolto verso il mio; affondai il viso nei suoi capelli, tentando di calmarmi.

Chiusi gli occhi, ma quasi non sobbalzai quando sentii le sue gambe avvolgersi intorno alla mia vita, il suo bacino contro i miei fianchi. Mi lasciai sfuggire un gemito soffocato, ed immersi ancora di più il viso nei suoi capelli, annusandoli, placando il tumulto ad ogni respiro, ogni profumo, ogni singhiozzo. Fu la prima di noi due a smettere di essere spezzata da violenti scossoni, e, con lo scopo di tranquillizzarmi (e no, non mi era sfuggito il modo in cui i ruoli si erano ribaltati fra noi), iniziò ad espirare sulla pelle del mio collo, facendo respiri lenti e profondi, ogni volta avvicinandosi a me con il bacino, premendomelo contro.

Non capivo se si rendeva conto dell’effetto che mi faceva. Placando i miei singhiozzi aveva iniziato a farmi tremare, ogni volta di più, ogni respiro di più, ogni movimento di più. Dovevo baciarla. Dovevo, ma non potevo. Strinsi i pugni, cercando di trattenermi, ma incontrai le sue mani, racchiuse fra le dita della mia. Sussultai mentre con lentezza esasperante mi portava le braccia sopra la testa, sollevandole. Si allontanò un istante dal mio collo, le mani in alto sopra di noi, e mi fissò; ero al limite della sopportazione. Non c’era espressione giocosa, né maliziosa, nel suo viso un po’ gonfio per le botte, nel suo labbro spaccato, nel suo zigomo violaceo. Allungai il viso e posai le labbra sulla sua guancia danneggiata, dolcemente, attento a non farle male. Sussultò quando la toccai, ma non si allontanò. Proseguii, delicatamente, coprendo di soffici baci tutto il livido sulla parte sinistra del suo viso; la sentivo respirare nel mio orecchio, respiri brevi ma profondi, che ogni volta mi solleticavano la pelle, spingendomi a baciarla di più, a stringerla di più, a volerla di più. La spinsi ancora di più contro di me, assecondando le sue mosse con movimenti del bacino, mentre lei abbassava le braccia, per portare anche l’altra mia mano sul suo fianco; mi circondò il collo con le dita. Mi chiesi se da lì riusciva a sentire le pulsazioni accelerate del mio cuore. Le mie labbra intanto, armate di volontà
propria, continuarono a seguire i contorni del suo viso, passando, delicate ma bramose, sulla curva della mascella, fino ad arrivare alla parte di pelle sotto l’orecchio, più sensibile. Quando sentì il mio respiro sfiorarla, si irrigidì.

Scosse lentamente la testa. «No» mormorò decisa. Le diedi un altro bacio, la scia umida che avevo lasciato sulla sua pelle ben visibile, consapevole che non era la cosa giusta da fare. «Harry. Basta» disse a voce un po’ più alta.

«Non vuoi» le dissi, consapevole di come la mia frase fosse un’affermazione. Era giustificata, era pienamente giustificata. Ma allora perché faceva male?

«Non voglio essere toccata». Lasciai cadere le braccia sul divano, togliendole dai suoi fianchi. Lei tolse le mani dal mio collo, districandosi dall’elaborata posizione di gambe in cui ci eravamo inconsciamente uniti, e si sedette accanto a me sul divano, meno distante della volta precedente, ma abbastanza da non toccarmi.

Sospirai tremando, ed affondai la faccia fra il divano e il suo braccio, attento a non far sfiorare le nostre pelli.











*Hogwarts*

Beeene, lo so che è passato un tempo infinito dall'ultima volta che ho
aggiornato, ma sono stata in Svizzera, in un college, e non ho potuto scrivere il capitolo.
Questo capitolo 7 è stato un vero e proprio supplizio,
sia per quanto riguarda la montatura (ho ancora un saacco di pezzi dell'appuntamento
sparsi qua e là nel computer, e nei prossimi capitoli li metterò sicuramente)
sia per quanto riguarda il come scriverlo.. Ero indecisa se usare il flashback o no.
Comuqnue, spero che abbiate intuito, più o meno, cos'è successo durante
l'appuntamento di Savhanna e Harry.. Qualcuna ha anche capito
cosa ha fatto di tatnto grave Harry?
Questo ed altro nel prossimo capitolo, che vi chiarirà decisamente le idee!
Lo so che questo capitolo è esageratamente
luuuuuuungo, troppo troppo lungo.. Me ne rendo
conto e cercherò di scorciare i prossimi, per farli più corti..
Ah! Dai prossimi capitoli (non so se l'otto o il nove)
il rating diventerà Arancione , perchè
Annie e Harry hanno bisogno di esprimersi ^^
Detto questo, i ringraziamenti!
Ringrazio TUTTE le persone che hanno messo
questa storia fra le preferite, le ricordate e le seguite: vi adoro!
Ringrazio i lettori silenziosi, perchè le letture di questi capitoli
sono molto massicce ^^
Vorrei ringraziare particolarmente quelli che hanno recensito la mia storia:
non solo avete sempre espresso opinioni positive, ma mi avete
scritto anche delle bellissime cose!!
Ma soprattutto volevo ringraziare, ancora una volta,
la mia  cara SARA, che si è dovuta leggere tutti i pezzi scollegati
di questo capitolo, che mi ha aiutato a metterli insieme,
che mi da le idee per continuare, perchè da sola io mi fermerei .-.
Io sono la mano, che scrive, ma lei è la mente..Mi da le idee e mi appoggia
in quello che s viluppo di mia volontà, ricordandomi sempre
il tema! Quidni grazie Sara ti voglio bene!
E, Sara, scusa se al pigiama party ti h fatto rimanere sveglia fino
alle quattro e mezzo, ti ho spalmato del dentifricio nei capelli
e non ti ho fatto più dormire fino alle sei!

Ti adoro!
Vi adoro tutti!
Se vi piace questa roba di coso, se non vi piace, vi fa schifo, lasciatemi
una piiicccola recensione, vi adoro!

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