This isn't a story about love, it's a story about herself.

di GirlOnFire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Quello che succede. ***
Capitolo 2: *** II. Come far crollare un mondo. ***
Capitolo 3: *** III. Radici. ***
Capitolo 4: *** IV. Ricordi, rimorsi e rimpianti. ***
Capitolo 5: *** V. Incubi e illusioni. ***
Capitolo 6: *** VI. Ragazzi e risse di alto borgo. ***
Capitolo 7: *** VII. Addii e nuovi inizi. ***



Capitolo 1
*** I. Quello che succede. ***


Spense il computer, con uno scatto e sbuffò. Perché non riusciva a contenere rabbia, ansia, sentimenti, tutto? Perché le veniva così difficile? Sembrava che tutti ci riuscissero tranne lei.
Chiuse gli occhi e portò le manine alle tempie, a massaggiarle. Tanti respiri profondi ma questo le causò solo più nervoso, un senso di urto immane, come lo definiva lei. Riaprì gli occhi e tirò di nuovo fuori l’aria dai polmoni, prese l’I-Pod che era sulla scrivania con le cuffie già inserite, creò una di quelle playlist con un massimo di cinque canzoni, quelle che si sentiva cucite addosso in quel momento e allontanò la sedia, alzandosi piano e dirigendosi verso il letto. Trascinandosi.
Spense l’abat-jour che le faceva da luce soffusa per tutta la stanza e che teneva sul comodino e si rintanò sotto le coperte. Il play partì in automatico, come un riflesso incondizionato del suo pollice. Il flusso dei pensieri fu lasciato libero assieme alle frasi delle canzoni che le risuonavano come martellate nel cervello, nei polmoni, nel cuore.
Il cuore. Il suo cuore. Quello che avrebbe desiderato Juliet per se stessa. Quello che non avrebbe mai avuto.
Non riuscì a dormire per l’ora successiva, pur sforzandosi, sentiva ogni minima cosa rimbombarle dentro, così si limitò a spegnere la musica e rigirarsi nel letto. Si ritrovò la mattina dopo con un senso di angoscia, dovuto agli incubi, le cui immagini le ripassava davanti ad intermittenza mentre apriva e richiudeva gli occhi di scatto.
Nelle orecchie le sembrava di ascoltare ancora le note della sera precedente e si affrettò a riprendere in mano l’I-Pod rimettendo play e alzandosi lentamente dal letto. Aveva lezione quella mattina, ma probabilmente avrebbe fatto tardi. E dire che abitava a pochi passi dall’Università!
Mandò un messaggio al suo amico. – Tienimi il posto! Arrivo tra poco! J. –
Si preparò di fretta, legò i capelli in una codina di lato, lasciando libero il boccolo del ciuffo a ricaderle davanti, proprio come piaceva a lui, e con le forcine tenne fermi quei ciuffetti dietro che non stavano nella coda. Arrivò così, per il rotto della cuffia prima del docente, e andò a sedersi assieme tra Claudio e Giacomo, i suoi compagni di avventure in quegli ultimi due anni.
Due anni. Com’era cambiata in due anni? Tanto, forse troppo, o forse solo in parte rimanendo la ragazza dolce ma con carisma. No, il carisma prima non esisteva, non sapeva neanche cosa fosse.
Cosa l’aveva cambiata? La morte della migliore amica forse, avvenuta proprio due anni prima, poco dopo aver iniziato l’Università, e dire che volevano prendere casa assieme. Se l’avessero fatto forse lei sarebbe ancora viva, al sicuro, al suo fianco.
L’aveva cambiata l’ex ragazzo, facendole capire che le persone non sempre mantengono le promesse come faceva lei, che le loro parole il più delle volte erano dette solo per compiacere l’altro, ma doveva ringraziarlo. L’aveva fatta crescere e maturare anche, le aveva insegnato a parlare di tutto visto che lui era molto colto, peccato che molti dei suoi erano solo giri di parole e arabesque che abbellivano il tutto, lei invece era fin troppo pratica. Concisa e diretta, arrivava al punto, a volte in maniera letale, così come quando lui la lasciò al telefono. Un messaggio e addio. Oh, gliela fece pagare eccome.
Una gravidanza inaspettata giocò a suo favore, l’aborto fu la parte che la distrusse, così come il menefreghismo di lui.
Andando avanti, credendo che ormai non bastasse più colla a rimettere in sesto i pezzi di se stessa,  che non bastasse più il filo nell’ago per rattoppare il cuore, si rimise in sesto continuando per la sua strada. Cambiata anche dalla gente che aveva conosciuto in quei due anni che volente o nolente le aveva lasciato qualcosa di loro.
Venne ripresa dalla voce di Claudio che le faceva vedere una delle sue caricature. Rise e scostò il boccolo dal viso, portandolo dietro l’orecchio, lo sguardo vacuo rispetto al sorriso aperto.

‘Il tuo sguardo è la tua anima. Rispecchia te stessa.’

A volte aveva ancora quelle parole in testa, quella vecchietta che l’aveva fermata quando entrò in una chiesa a vedere una mostra. Le aveva preso una mano e le aveva detto quelle parole, continuando: “Quanta tristezza, agitazione, dolore, per una ragazza così giovane.”
Le rimasero impresse, marchiate sulla pelle, quelle parole. La verità sconcertante. Scappò fuori alla ricerca di aria dopo che l’anziana signora le aveva lasciato la mano.
“Il modo in cui ti distrai è impressionante!” La voce di Giacomo ridotta ad un sussurro nel suo orecchio la ridestò nuovamente. Se Claudio era sempre allegro, forse superficiale, e burlone, Giacomo era l’opposto, serio e grande osservatore, studiava tutto e tutti.
Sorrise di nuovo, Juliet, quasi colpevole dell’essere scoperta, come se adesso fosse alla mercé del suo amico, come se lui potesse vedere i suoi ricordi. Si sentì violata solo per un momento per poi ricordarsi che era pressoché impossibile leggerle la mente. Rincuorata da quel pensiero si decise a parlare.
“E’ che oggi arriva il mio migliore amico e sono eccitatissima!”
Suonava forse da ragazzina quella frase, ma a Giacomo bastò per fargli sfuggire un sorriso vedendola finalmente contenta mentre Claudio si impressionava della curva delle labbra assunta dal collega. Iniziarono a scherzare tra loro, cercando di non disturbare il resto della lezione, finchè dimenticarono di stare in aula e vennero buttati fuori.
Chiusero le porte dell’aula e scoppiarono a ridere. Fortuna che ho loro, pensò Juliet. Andarono a fumare una sigaretta insieme e poi si separarono. Prese il lettore dalla borsa, assieme alle chiavi e tornò a casa.
La prima canzone le rimbombò nelle orecchie e si ricordò perché si distraeva in continuazione quel giorno. Maledetta musica.
Entrò in casa facendo girare la chiave nella toppa e salutò le coinquiline. Di mangiare non se ne parlava, aveva bisogno di stare sola. In realtà mangiare quando stava lì per quattro giorni la settimana le sembrava quasi un optional da non stare troppo a contemplare. Faceva un pasto frugale al giorno, il pomeriggio o la sera.
Si rintanò in camera, com’era sua abitudine ed accese il pc, controllo mail, messaggi e poi andò dritta a studiare, mentre la mente era ancora in altri posti. Non si rese neanche conto che si era addormentata sul libro di Letteratura Italiana finché non bussarono alla sua porta.
Dio! Alex!  Il suo migliore amico era alla sua porta, chiusa dietro di lui, già in camera. Notò con uno sguardo rapido che aveva già sistemato la valigia e messo le lenzuola al letto accanto al suo. Come ho fatto a non accorgermi di nulla??   
Si alzò dalla sedie e gli fece le solite moine: baci, abbracci, una scossa ai capelli e un sorriso grande. Chi voleva prendere in giro? Gli altri, comuni mortali, si sarebbero di certo lasciati abbindolare, ma non lui.
“Che succede piccola?”
Che succede? Che succedeva? Juliet non aveva una risposta pratica. “Non lo so.”
Ogni suo ‘non lo so’ era come una pugnalata per chi teneva a lei, si sapeva che quelle tre parole dette da lei erano un misto di emozioni e pensieri inespressi, che forse neanche lei sapeva dargli il giusto nome. Sapeva però collocarli.
Illusioni. Amore. Problemi. Odio.
Quella la collocazione di ogni suo pensiero razionale e non in quel momento, e due persone a coronore il tutto: un lui e una lei.
“Sai che qualche volta dovresti spegnere il cervello?”
Le braccia di lui andarono alla vita sottile di Juliet, abbracciandola da dietro.
“Mi piacerebbe anche spegnere il cuore.”
Istintivamente, a quelle semplice frase, che semplice non era, l’abbraccio si strinse di poco. Alex sapeva cosa intesse. Non voleva realmente spegnere il suo cuore e lasciarsi morire, no. Voleva solo una tregua dall'amore.

Ma si puo' davvero trovare tregua con un sentimento così forte?

L’amore la distruggeva, la dilaniava pezzo per pezzo, perché lei era una di quelle persone che amava davvero, senza niente da volere in cambio, forse qualche attenzione, un paio di sorrisi, ma nulla di più.
Alex le piazzò un bacio sulla fronte.
“Shopping è quello che serve!”
L’occhiolino e la parola ‘shopping’ le fecero ricordare che se quel ragazzo non fosse stato assurdamente gay, se lo sarebbe portata a letto da anni, e sarebbe stata una gran bella storia d’amore.

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Capitolo 2
*** II. Come far crollare un mondo. ***


Le aveva detto che non aveva fame, ma Kate, la sorella maggiore, era testarda quasi quanto lei, se non di più. Si ritrovò così in cucina a pranzare con le due sorelle e la madre, cercando di ingoiare ogni boccone pur di non doversi subire le occhiatacce della ragazza che aveva i suoi stessi capelli corvini.
Un paio d’ore combatteva con il tenere il pranzo dentro lo stomaco, ma quando andò in bagno non ci riuscì e si ritrovò con il viso troppo vicino alla tazza del wc. Buttò tutto fuori.
Si mise a sedere, con le spalle al muro, sentendo il freddo delle piastrelle del bagno dietro di lei, cercando di ritrovare un attimo di sollievo. La gola le bruciava e avrebbe voluto far passare quel dolore all’istante, ma non riusciva. Cerco così di alzarsi, portarsi al lavabo e lavarsi i denti, sciacquarsi il viso magari.
Juliet sapeva di sembrare uno zombie non appena riaprì la porta, non si aspettava invece lo sguardo indagatore di Hayley la sorellina, quella che lei aveva sempre voluto proteggere quando invece succedeva il contrario. Quella ragazzina era troppo furba e schietta per essere una diciassettenne! Resse il suo sguardo e la sorpassò con fare tranquillo mentre tornava  verso la camera sua.
Erano passati tre giorni da quando aveva visto Alex e sembrava che tutto fosse tornato come prima, normale. Ma in realtà cos’era normale per lei? Accantonare i pensieri, cercare distrazioni. Allontanarsi dai suoi veri problemi facendo vinta che non esistessero, ecco cosa era normale per lei. Ma a casa non aveva Alex a distrarla, no, aveva le sorelle che cercavano di analizzarla, proprio come stava per fare Ley.
Dire che Kate e Hayley erano così diverse tra loro, ma fin troppo simili a Juliet pur non volendolo ammettere. Magari non si assomigliavano fisicamente se non per qualcosa, ma caratterialmente erano fin troppo uguali. Juliet sembrava addirittura quasi la fusione tra le due, avevo preso il meglio e il peggio di entrambe e racchiusi nel suo animo.
Non appena si richiuse la porta alle spalle si mise al pc e iniziò a leggere le prime righe di un libro che aveva trovato in pdf. Si concesse perfino un goccio d’acqua vista l’arsura della gola. Ma quell’attimo di solitudine sembrò svanire non appena sentì i piccoli tocchi delle nocche della sorellina contro la sua porta.
Voleva evitarla perché sapeva che evitandola avrebbe anche evitato i suoi problemi, così collegò le cuffie al pc e fece partire la riproduzione casuale, senza dargli troppa importanza. Se fosse entrata l’avrebbe vista con le cuffie e Juliet avrebbe ancora avuto la scusante della musica troppo alta che non le avrebbe permesso di sentire alcunché.
Ma sentiva eccome invece, la musica era talmente bassa che potè ascoltare la voce roca di Kate:  “Si è chiusa di nuovo in camera con la musica a palla vero?”
Come si sbagliava.
“Credo di sì… Oppure ci sta evitando…”
Gli occhi nocciola, quasi dorati, di Juliet rotearono. Perché doveva essere così astuta sua sorella?
“Mi sa che hai ragione Ley.. Cosa vuoi fare?”
“Parlarci. Adesso. Entrambe.”
Oltre ad essere astuta, quella ragazzina, era fin troppo risoluta. Probabilmente se non fossero state le sorelle, le sue migliori amiche, le sue confidenti più accorte, le avrebbe odiate.
Non ebbe modo di bloccare il loro ‘attacco’, che le due entravano in camera sua. Non si girò neanche a guardarle, ma si affrettò ad alzare di botto la musica fino a farle sanguinare le orecchie e quasi le ringraziò quando gliele tolsero.
“Ehi!” Indignata, fingendo, le rimproverò. “Cosa diavolo pensate di fare? Non si può più ascoltare musica in santa pace in questa casa?”
“No.” La maggiore le rivolse un sorriso. A volte sembrava che lo facesse apposta, solo per farla innervosire di più. La calma e la tranquillità che aveva nel negare le cose o nascondere i suoi stessi sentimenti la infastidiva più di ogni altra cosa, perché a volte la faceva sentire una nullità senza che se ne accorgesse davvero.
Nel frattempo Ley ssi era seduta sul materasso aspettando che la raggiungessero le sorelle. Juliet sbuffò e si alzò, ritrovandosi ai lati le due ragazze.
“Che c’è…?”
Hayley parlava poco solitamente, stava quasi sempre in disparte, ma quando lo faceva usava un tono a cui non riuscivi a resistere. Adesso avevo usato quello del: ‘ti prego Juliet, mi sento morire mentre fingi di stare bene quando so, quando sappiamo tutti, che stai morendo dentro”. Come riuscivano ad essere così connesse a lei, ancora non riusciva a spiegarselo, sapeva solo che a volte quelle irruzioni che all’inizio la irritavano, diventavano i suoi salvavita.
“Io sono… confusa, ecco.”
L’ultima volta che aveva detto una cosa del genere c’era solo Kate che le spiegava che era normale fare “certi” pensieri, “certe” esperienze, che anche lei lo era stata, ma le consigliò di capire bene prima di professarsi qualcosa. L’ultima volte che aveva sentito una cosa del genere, a dirla era proprio la minore. Alla fine si aiutarono a vicenda capendo che quel ‘qualcosa’ veniva definito bisessualità.
Le sorelle la guardarono un attimo confusa, finchè Kate sospirò.
“Non sai chi scegliere, eh?”
Le sorelle sapevano che c’era questa ragazza, Ginevra, che le veniva dietro e con la quale usciva. C’era scappato anche qualche bacio tra le due in realtà e un ti amo della rossa sussurrato alla mora.

“Ti amo, lo sai, vero?”
“Sì, l’ho sempre saputo.” Juliet sorrise alla rossa e continuò a camminare mano nella mano con lei, mentre sentiva un macigno posarsi sul suo petto. Quella sera, tornata a casa, si buttò a letto e pianse tanto pensando a quanto fosse orribile come persona. A quanto sapesse fingere un sentimento come l’amore, illudendo la ragazza che l’amava davvero.

Sospirò e negò con il capo. Sentì la mano di Ley posarsi sulla sua e la testolina di lei posarsi sulla sua spalla. Quello era il modo della sorellina per dirle che qualunque scelta avesse fatto, qualunque cosa fosse accaduta, lei ci sarebbe stata per lei.
Kate era diversa in questo, preferiva dirle le cose che esprimerle, forse perché le veniva più facile. Proprio come con quella domanda.
“Lei è… è dolcissima, bella, coccolosa quasi. Ma lui.. mi riempie la testa. Ogni pensiero, ogni volontà di fare qualsiasi cosa, viene annullata se c’è lui di mezzo. Cose se il mio mondo gli girasse attorno, e Dio se so che è sbagliato, ma non ci posso fare nulla.”
Buttò fuori quelle parole, sapendo di fare torto a Ginevra, ma seppur sentendosi legata alla rossa, lei sapeva anche di essere completamente persa del migliore amico della sorella maggiore, Daniel.
Fu la volta di Kate di sospirare, chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie. Quante volte l’aveva persuasa a distrarsi? Adesso il suo consiglio sembrava ritorcerle contro.
“Ne sei davvero sicura?” Kate aveva paura della risposta.
“Sì, ho passato mesi a pensare che fosse solo una cotta passeggera, distraendomi con Pièrre e sembravo esserci riuscita, finchè non ho conosciuto Gin e lui mi era accanto mentre avevo problemi con Pièrre e frequentavo Gin e poi abbiamo iniziato ad uscire assieme e… c’era qualcosa nei suoi occhi, nei suoi abbracci… Tutto era cambiato… e..”
“Te ne sei innamorata senza sapere come, vero?” Hayley prese la parola e Juliet non potè far altro che annuire, abbassando il capo, sentendosi colpevole.
L’avrebbe dovuto capire già quando stava con Pièrre e uscivano con Daniel e Kate. Sembrava sempre più felice a parlare, abbracciare, stare accanto a Dan che il suo ragazzo, ma sembrava davvero innamorata di quel ragazzo dagli occhi azzurro cielo.
In realtà Juliet sembrava sempre essere realmente innamorata  per poi scoprire che in realtà riusciva ad amare i primi tempi e basta. Forse erano le persone che la facevano stancare, ma lei da parte sua non riusciva a lasciarle e quindi soffriva e faceva soffrire in un rapporto a senso unico che si trasformava poi in un rapporto dove nessuno dei due voleva realmente stare.
Alla fine si era lasciato con quel ragazzo con la scusa di Gin, quando in realtà lo faceva più per chiarirsi le idee e capire cosa provava per Daniel, ma Juliet sembrava non dare tempo al suo cuore che stava già complicando le cose con la ragazza dai capelli corti e rossi che alla fine iniziò ad illudere.
L’unica speranza per Juliet adesso, era che Dan non si innamorasse e non facesse innamorare nessuna di lui.
“Che devo fare…?”
“Nulla, si sta vedendo con una.”
Kate si alzò e uscì dalla stanza come nulla fosse mentre lei rimaneva pietrificata, gli occhi sgranati e la bocca spalancata, come riflessi incondizionati.
Il mondo le era crollato addosso e quasi non sentiva le braccia di Ley stringersi attorno a lei, sussurrandole qualcosa all’orecchio.
Non era più nella sua camera, non aveva nessuno attorno. Nella sua mente, Juliet era nel nulla, nel limbo. Si librava in aria, tra le nuvole, in caduta libera in un cielo infinito e il suo cuore aveva quella bruttissima sensazione che ha quando sei sulle montagne russe, nel punto più alto e sai che stai per cadere e ti senti morire.
Sì, Juliet si sentiva morire.

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Capitolo 3
*** III. Radici. ***


Era quello il mio problema, piangevo. Piangevo troppo, sempre. Bastava una frase, di un libro, una canzone, detta da qualcuno per me che contasse e mi ritrovavo a far scendere lacrime sulle guance.
Avevo iniziato quand’ero nata, proprio come tutti i bambini, è quello che in fondo segna che il neonato è vivo, il mio problema era che non sono mai riuscita a fermarlo quel pianto disperato.
Avevo continuato da piccola, capricciosa com’ero, avevo imparato che se versavo un po’ d’acqua salata ottenevo ciò che volevo, poi alle medie se piangevo i ragazzi mi venivano vicino e mi confortavano. Al liceo potevo semplicemente evitarmi qualche interrogazione scomoda. Avevo imparato che con il pianto sapevo anche fingere qualche dolore, qualche problema.
Avevo imparato a recitare alle elementari, nelle recite scolastiche. Avevo continuato con le amiche nei giochi dove si doveva impersonare qualcuno. Da allora le maschere non erano più state un problema, le scambiavo così facilmente che dimenticavo che nel fondo c’ero io, la mia vera natura, essenza, anima.
Sbuffai e asciugai l’ultima lacrima mentre pensavo a quelle cose. Avevo smesso non appena finito il liceo di indossare maschere. Avevo smesso per me stessa, avevo smesso per chi amavo veramente.
Alcuni sono scappati dopo aver visto com’ero davvero, altri sono rimasti affascinati dal mio vero io, altri ancora invece sono rimasti sulle loro prima di capire che ero una di quelle persone che una volta che ci entri in contatto, ti entrano dentro.
Io metto radici. Le metto nel cuore, nel cervello, nelle mani delle persone. Le metto in loro, ma pochi riescono a metterle in me. Forse perché io sono come un’ape. Ricordo che quel paragone lo aveva fatto Nelly, sorrisi a pensare al nome – le mie due più care amiche di infanzia lo avevano uguale.

“Sei come un’ape tu. Passi di fiore in fiore e ci rimani il tempo di fargli godere della tua presenza. Se saranno fortunati gli prenderai il polline delicatamente, ma se non lo saranno… potresti rovinare i loro petali con il tuo pungiglione affilato.”
C’avevo messo un po’per capire cosa realmente volesse dire quella frase. Ci arrivai solo la mattina dopo, nel mio letto, proprio dov’ero adesso.
I fiori sono le persone, il polline i loro mali che cerco di portare a galla ed eliminare una volta per tutte per alleggerirli o farmene carico io stesso. Ma era l’ultima sentenza a farmi paura. Il mio pungiglione, il mio veleno da scagliare contro colore che mi volevano schiacciare, che mi volevano uccidere. Coloro che non avrei esitato a colpire di rimando.
Pensando a tutte quelle cose avevo persino dimenticato l’incubo che mi aveva fatta  svegliare piangendo. Come se fosse una cosa inusuale per me.
C’erano mattine che trovavo la mascherina che usavo per dormire umida, altre zuppa. Proprio come quel giorno, eppure la sera prima…
 

Flashback:

Era rimasta sveglia fino alle 3.07 solo per lui, stava per spegnere il pc quando la chat trillò. Era lui.
In realtà poteva anche immaginarselo che mezz'ora dopo che Kate rientrasse, lui l’avrebbe cercata in chat, lo faceva sempre.
Era ubriaco. Avevano parlato del più e del meno per un'ora e lui se n'era uscito con qualcosa che lei stentava a leggere.

D: Ma io ti amo!
J: Sì, tesoro, ok AHAHAH
D: Sono serio u.ù

E in cuor suo sperava che lo fosse realmente, e poi com’era il detto? Quando si è ubriachi si tende a dire la verità? Oppure no. Sospirò e alla fine stremata, dopo un’ora a parlare con lui lo salutò.

J: Anche io. Buona notte Dan.

Gli fece un cuore e spense il pc mordendosi il labbro. L’indomani lui avrebbe letto e lei sarebbe stata nei guai.

Fine Flashback.

Juliet sbuffò sonoramente e si rigirò dall’altre parte, scostando quella mascherina che ogni sera la chiudeva dalla luce del mondo esterno e cercò di scacciare i pensieri della conversazione della sera prima. Aveva quasi paura a prendere in mano il telefono e leggere gli sms. Aveva paura ad accendere il pc per vedere se aveva qualche messaggio lì.
Un senso d’ansia la pervase e si mise supina, massaggiando le tempie e sfregando gli occhi. Se quello era il suo inizio di giornata si aspettava una conclusione da film dell’orrore.
Si costrinse ad alzarsi e notò solo allora che la casa dormiva. Erano le 5:00 del mattino e lei si era svegliata per un incubo, piangendo.
“Ma tu guard-“. Avrebbe imprecato in tutte le lingue del mondo se avesse potuto, ma si costrinse a stare zitta. Parlare da soli le sembrava  un gesto di pazzia, e a lei mancava solo quella.
Andò prima al bagno e si sciacquò anche il viso con dell’acqua ghiaccita, andò poi in cucina e prese l’acqua –ripensandoci forse era il caso di prendere il latte – e lo trangugiò direttamente dalla bottiglia. Tornò in camera, ma nel momento in cui apriva la maniglia le venne in mente un’idea, folle, ma che doveva assolutamente fare.
Prese i vestiti dal suo armadio e tornò in bagno, cercando di fare meno rumore possibile fece una doccia, tamponò i capelli in un asciugamano e si rivestì. Fece trovare tutto al suo posto, così come aveva trovato e tornò in cucina già vestita. Preparò la colazione per tutti, cercando di perdere tempo e poi tornò in camera a fare la borsa.
Era arrivato di prendere il cellulare in mano. Nessuna chiamata, nessun messaggio. D’altronde era andata a letto tardi e si era svegliata prestissimo, avrebbe dovuto sapere che non avrebbe mai trovato nulla ad attenderla. Sospirò, quasi sollevata per poi ricordarsi che la giornata era ancora lunga.
Alle 7:00 quando sentiva le prime sveglie decise di scrivere un biglietto per spiegare che andava da Alex e  poi avrebbe mangiato con lui e Nelly, entrambe visto che condividevano un appartamento in centro, e probabilmente sarebbe rientrata in tarda serata a meno che non fosse rimasta a dormire dalle amiche. Al pensiero preparò un piccolo zaino con una maglietta per il giorno dopo, qualcosa per la sera, il pigiama e l’essenziale per rimanere fuori a dormire.
Andò a prendere le scarpe dallo scaffale e infilò dei tacchi nello zaino, lasciò il biglietto in cucina e sgattaiolò fuori prima che i suoi aprissero la porta della camera da letto.
Prese lo scooter della sorellina e sapeva che Kate sarebbe stata costretta ad accompagnarla a scuola, ma meglio quello che se le avesse preso la macchina.
Sfrecciò in direzione di casa di Alex e mise il vivavoce al cellulare mentre lo chiamava, sapendo che era sveglio, pronto per prepararsi ad un’altra tediosa giornata scolastica, giornata che lui non avrebbe affrontato. Non oggi, almeno.
“Cazzo.. rispondi.”
Juliet stava di nuovo imprecando, proprio come appena sveglia, ma fortunatamente stavolta le sue ‘preghiere’ vennero esaudite. Una voce gracchiante all’altro capo del telefono: “Pronto…?”
Il sonno gli impastava la voce, se fosse stato ancora a letto l’avrebbe potuta uccidere, lei lo sapeva bene.
“Alex, oggi niente scuola. Fatti trovare alla fermata del bus, così hai l’alibi con tua madre, ti aspetto lì. Al…ho bisogno di te.”
Bastavano quelle quattro parole, con un tono di voce afflitto, amaro che lui aveva chiuso la chiamata. Risponderle? Perdita di tempo. Si conoscevano talmente tanto che quel telefono chiuso in faccia sapeva che poteva solo significare che lui si era prontamente alzato dal suo letto e allontanato da Morfeo per prepararsi in tutta fretta e correre da lei.
Mezz’ora dopo lo aspettava alla fermata. Dieci minuti dopo che lei era arrivata, lui le dava un bacio in fronte, metteva il casco che Juliet le porgeva e prendeva in mano la guida dello scooter mentre lei gli teneva stretti i fianchi. Non che avesse paura, solitamente non si aggrappava a nulla, ma quel giorno ne aveva bisogno.
Tra i due anche chiedere ‘dove si va?’ sembrava superfluo, ed ecco che Alex, facendo inversione ad u, scappava via dal suo paesino e tornava in città portando a fare colazione la sua migliore amica. Juliet sbuffò quasi quando si ritrovò davanti al bar che aveva frequentato ogni mattina per cinque anni prima di salire le scale ed arrivare in una stanza del secondo piano del suo liceo. Alex rise e ripartì sfrecciando verso il centro e lei sorrise lasciando un bacio tra le scapole del ragazzo, un gesto per ringraziarlo.
Juliet con lui era sempre molto restia, forse in realtà lo era con tutti ma non voleva ammetterlo perché questa sarebbe stata solo un’altra cosa da aggiungere a quell’infinita lista di difetti che si era affibbiata.
Ogni volta che faceva un gesto come quello sapeva che il ragazzo l’avrebbe abbracciata e mai più lasciata, per la gioia.
Si fermarono in un bar del centro e Alex aveva un sorriso più largo e Juliet non fece altro che sorridere di rimando.
“Bello sto sorriso dipinto.”
Rise e girò la testa di lato, sospirando, guardando a terra. Gli rivolse di nuovo lo sguardo. “Odio il fatto che tu mi conosca, lo sai? Il fatto che tu riesca a leggermi negli occhi come se avessi i pensieri in bella vista, alla mercè di tutti.”
“Ehi, io non sono tutti!”
Indignato Alex aprì il menù e lei rise di nuovo, sinceramente. Ordinarono i soliti cornetti – nutella bianca per lui, marmellata di albicocche per lei – il cappuccino e il caffè.
“Come fai a non berlo, dio santo? Tu sei una di quelle ragazze strane cara mia!”
Detto da lui, strana, non le dispiaceva, forse perché disadattati lo erano un po’ entrambi, o semplicemente ci si sentivano.
Consumarono la loro colazione senza prendere l’argomento. Solo a metà mattinata, quando si sedettero sulla loro panchina, ai giardinetti, mentre lui guardava il sole tra le fronde della quercia dove ci avevano inciso le loro date più importanti e i loro nomi, lei parlò.
“Gli ho detto ti amo.”
Alex sussultò e la guardò, puntando il suo sguardo nel profilo di lei. No, non l’avrebbe affrontato quello sguardo, non ne sarebbe stata capace. Non c’era giudizio, ma l’avrebbe squadrata, l’avrebbe spogliata e lei si sarebbe sentita indifesa. Adesso, non poteva permetterselo.
Egli sospirò e tornò a guardare le fronde. Chiuse gli occhi e fece la domanda che si aspettava.
“Lei, illudendola? O lui?”
Non le dava fastidio l’illudendola. Le dava fastidio che con lui non avesse detto nulla.
Gli raccontò la conversazione e lui sospirò sonoramente, giusto nel momento in cui la suoneria di Juliet si spandeva nell’aria.
Daniel. Chiuse gli occhi e si voltò a guardare Alex. Un’occhiata disperata, mentre il peso nel suo cuore sembrava più pesante.
Rimasero immobili, per quello che a Juliet sembrò un tempo indefinito mentre sapeva bene che erano i due minuti standard della chiamata senza risposta. Alex la abbracciò e la cullò tenendosela stretta, cercando di calmarla, confortandola. Ma non c’era nulla che nessuno avrebbe potuto fare per posticipare la telefonata.
Daniel provò a richiamarla altre quattro volte. Non rispose a nessuna. I messaggi? Sette. Non li controllò.
Chiamò le ragazze per far sì che la raggiungessero a pranzo e accompagnò Alex a casa.
“Ehi… Fammi sapere, ok?”
Non era quello che le voleva dire, ma se lei non dava parecchie dimostrazioni d’affetto, lui invece era il tipo che le parole se le teneva per sé.
La ragazza annuì piano e sfrecciò di nuovo verso il centro pronta ad incontrare le sue amiche.

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Capitolo 4
*** IV. Ricordi, rimorsi e rimpianti. ***


Mi chiamo Juliet Bennett.
Ho da poco compiuto 20 anni.
Sono nata a Brighton e tuttora ci vivo.
 Sono stata ferita troppe volte.
Mi feriranno ancora.

 

Juliet aprì piano gli occhi mentre cercava di attivare il cervello per capire il senso di quelle frasi che si stava ripetendo senza accorgersene, finchè con gli occhi non scorsi il libro che stavo leggendo in quei giorni. ‘Ci manca che mi mandino in un’arena a farmi ammazzare con altre 23 persone e siamo apposto.’ Pensò che nei panni dell’eroina di quel libro non ci si sarebbe proprio trovata bene. Forse si sarebbe offerta volontaria per Kate e Hayley, ma poi si sarebbe rifugiata tra le braccia dello sfortunato ragazzo del suo stesso distretto.
Ad ogni modo doveva capire perché si era alzata in un letto che non era il suo, così come la stanza in cui si trovava non era la sua, finchè non si accorse di Nelly dormire nel letto a fianco al suo e Nell che entrava nella stanza cercando di non fare rumore.
Doveva aver appena fatto la doccia visto che aveva un turbante a coprire i lunghi capelli corvini.
Quelle due in comune avevano solo il nome, ecco perché alla mora toglieva sempre la ‘y’ dal nome, così da distinguerla dalla ragazza dai capelli biondo cenere accanto a lei, che si stava lentamente svegliando.
La sera prima Juliet e le sue due migliori amiche avevano fatto tardi, andando a ballare e continuando a bere e fumare nella camera degli ospiti delle due, che condividevano un appartamento in centro.
Dal mal di testa che aveva la mora, dovette ammettere che non c’era andata giù leggera la notte precedente, di sicuro nessuna di loro tre l’aveva fatto. Ognuna  per un motivo diverso.
Juliet cercò di alzarsi e rimettersi in piedi salutando con la mano Nell che prendeva l’asciuga capelli e che le sorrideva tranquillamente, lo stesso gesto che rifece a Nelly che sfregava gli occhi per riuscire a svegliarsi.
Si sarebbero ritrovate tutte e tre in cucina, poco dopo, adesso però la mora che si era alzata e si stava stiracchiando emettendo strani versi, sentiva solo il bisogno di infilarsi in uno dei due bagni dell’appartamento, svuotare la vescica e fare una doccia che la liberasse da quella puzza di fumo mischiato all’alcool.
Le ci volle solo l’acqua calda a bagnarle i capelli per riportare in vita pezzi di conversazione della sera prima.

“Sei sicura che non sia una delle tue solite sbandate? E poi non frequentavi quella biondina… com’è che di chiamava?”
Nelly cercò lo sguardo di Nell che le ricordava il nome della biondina in questione, mentre io sbuffavo.
“Mani che tremano, rossore sulle guance e farfalle nello stomaco non appena gli parlo, che sia una stupida chat o un telefono o di persona. Primo pensiero al mattino e… anche l’unico nome che gemo quando mi masturbo.”
Le due ragazze scoppiarono a ridere mentre io roteavo gli occhi.
“L’autoerotismo fa bene alla salute…?” Non ero molto certa di quella frase, ma ero quasi arrivata al mio limite di alcool e quindi ci stava che sparassi qualche cavolata di troppo. 

“Bacialo. Che ti frega? Un giorno che siete soli prendi e lo baci.” Nelly era quella pratica, ma neanche Nell scherzava.
“Jù… Non possono essere solo tue fottute seghe mentali, ok?” La cosa la faceva incazzare, il fatto che io mi sminuissi sempre, che davo la colpa ai miei sogni da ragazzina che forse ingigantivano la realtà quando così non era.
“Non lo sono. Ok? Cazzo, potrei parlare con tua sorella e farmi dire come  si comporta con le altre e si renderebbe conto anche lei che non è normale che tenere la mano la sorella della propria migliore amica non è normale, o starle appiccicato come un orso al barattolo di miele. Per non parlare del ti amo detto da ubriaco. Jù, porca troia, svegliati. Quelle cose non si fanno o si dicono a tutte.”

Lavò via lo shampoo dai capelli e il sapone dal corpo mentre rimuginava sulle parole dell’amica d’infanzia.
Forse avrebbe dovuto seguire il consiglio di Nelly e baciarlo davvero, magari lui si sarebbe finalmente reso conto di quello che aveva davanti.
Sì, l’avrebbe baciato.
Uscì dalla doccia con quel pensiero in testa e ritrovò le amiche a colazione, mentre gli comunicava la bella notizia.
“Botta di vita!” Scherzò Nelly, sdrammatizzando il tutto come suo solito.
“Beh, direi che era ora, no?”
Nell la inchiodò con lo sguardo e Juliet le sorrise sincera, mettendo a tacere entrambe le amiche che da quel sorriso capirono che era finalmente decisa a farlo davvero.
Peccato che la felicità provata quella mattina svanì non appena uscì da casa delle sue due migliori amiche. Camminando lungo la via del centro si imbatté in Dan e stava per salutarlo quando una ragazza dai capelli arancioni gli gettò le braccia al collo e lo baciò appassionatamente.
Probabilmente se la ragazza avesse avuto qualcosa in mano, le sarebbe caduto all’istante. Invece si ritrovò a immobilizzarsi, come se non potesse muoversi perché aveva messo radici.
Le ci volle tutta la concentrazione di questo mondo per riuscire, passo dopo passo, a raggiungere una viuzza secondaria per togliersi quei due che si mangiavano la faccia a vicenda dalla mente. Imboccata la strada iniziò a correre a più non posso, come se non ci fosse un domani, come se arrivata allo scooter avesse un ancora di salvezza. Ma sarebbe stata in grado di guidare in quello stato di shock?
La risposta la ebbe non appena alla prima curva stava per sbandare. Si fermò un attimo e sospirò, componendo il primo numero che le venne in mente in quel momento, quello che non avrebbe mai dovuto chiamare. Il suo numero.
Lei, si chiamava Summer. Si erano conosciute ad un concerto dove suonavano degli amici comuni e avevano iniziato a parlare, o meglio a provocarsi a suon di battutine finchè non avevano testato per bene la stronzaggine dell’altra, solo allora si strinsero la mano e si presentarono.
Quella stretta ebbe un forte impatto sulle due, ma mentre Summer capì che era stato un colpo di fulmine, per Juliet le cose erano diverse. Lei aveva una ragazza che l’attendeva a casa, Crystal, e aveva intuito che già le cose tra loro non andavano bene per via dell’avvicinamento con Dan.
Dopo quattro cocktail, un paio di birre e tre shots però aveva dimenticato la rossa Crystal e gi occhi camaleontici del bel ragazzo. Ricordava invece la mela verde del lucidalabbra della ragazza da quelle labbra soffici e carnose che premevano contro le sue, la sua lingua che spingeva per entrare dentro la sua che si schiudeva carezzando quella stessa lingua con la sua.
Ricordava le mani di lei intrufolarsi dentro la sua maglietta che vagavano fino a stringere i suoi abbondanti seni tra le mani. Ricordava di come la sua mano si infilava sotto la gonna della bionda che stava baciando, stuzzicandola e provocandola con le dita. Ricordava di come quella sveltina contro il muro in un vicoletto buio vicino al bar fosse stata la più eccitante della sua vita e di come per lei la cosa si sarebbe chiusa lì.
Per lei. Non per Summer.
Dopo quell’avvenimento Juliet chiuse con Crystal, trovando nel tradimento solo la scusa per mollare la rossa per la quale aveva dato tutto, che aveva amato dal primo all’ultimo giorno, perfino nel momento in cui l’aveva lasciata. Aveva riso, pianto, era stata malissimo per quella ragazza così particolare ma che in un certo senso riusciva a renderla felice nel dolore. Ma Juliet era arrivata al limite quando ebbe compreso che il dolore stava superando l’amore. Nella sua mente però, e anche nel cuore,  Cry sarebbe rimasta l’unica ragazza che avesse mai amato veramente.
Summer avrebbe voluto rimpiazzarla. Juliet non gliel’avrebbe lasciato fare facilmente, eppure, in quel momento la lasciò fare mentre accettava di uscire con lei, le ricambiava qualche bacio e le rispondeva ‘anche io’ a qualche ‘ti amo’ sfuggito troppo in fretta.
Stava sbagliando su tutta la linea anche in quel momento, mentre aspettava che Summer le rispondesse.
“Juliet?”
“Sum!”
“Piccola!” la voce dolce e melodiosa di lei la fece calmare, addolcire, quasi sorridere a quella parola, quando era Summer la più piccola tra loro, di due anni, ma non importava poi tanto.
“Ehi.” Anche la sua si scaldò, quasi in un sussurro. “Disturbo?”
“Tu, mai.”
Juliet si rese conto che stava sbagliando anche in quel momento ad usarla, ma era più forte di lei: doveva dire a qualcuno ciò che provava, anche se fosse stata la persona sbagliata.
“Manchi.. Manchi tanto. Vorrei poterti vedere, stringere magari.. Posso?”
“Mi piacerebbe! Ma oggi non posso proprio, ho una visita. Te l’avevo anche detto…”
Probabilmente era vero, gliel’aveva detto, ma Juliet non prestava mai molta attenzione a quasi nulla e la sua sbadataggine era risaputa a meno che di mezzo non ci fosse qualcosa di importante per lei.
Non si prese neanche la briga di dirle ‘richiamami appena finisci, non farmi stare in pensiero.’
“Oh, okay. Sarà per un’altra volta… Ciao Sum.”
Riagganciò così, senza aspettare risposta mentre aveva raggiunto lo scopo di calmarsi e riuscire a guidare fino a casa.
“Ho già mangiato!” Gridò non appena mise piede dentro, sfrecciando in camera sua, cercando di evitare il pranzo della sorella, forse cercando di evitare lei in realtà, lei e la minore.
Fece invece una cosa che non avrebbe dovuto fare in quel momento, per nessuna ragione al mondo: accendere il pc ed andare alla ricerca di notizie su quei due.
Il pensiero di Dan non l’aveva lasciata, forse l’aveva accantonato nel tragitto, ma non lasciata del tutto.
Trovò quello che cercava: foto. E ogni carezza, ogni bacio, ogni sguardo languido, ogni mano stretta era uno strappo al cuore.
Foto dopo foto. Strappo dopo strappo. Lacrima dopo lacrima.
Non si era neanche resa conto di quando avesse iniziato a piangere. Non si rese neanche conto di come era arrivata al profilo della sua ex.
“Come sei bella…”
Le parole le uscirono di bocca senza che se ne accorgesse e iniziò a piangere più forte. Avrebbe solo voluto tornare indietro di due anni, quando aveva conosciuto la rossa Crystal ad una festa per maturandi. Lei in realtà era infiltrata, essendo la sorella di quello che metteva a disposizione la casa.
Avevano incrociato gli sguardi per quasi tutta la sera e si erano ritrovate da sole sul balcone a fumare una sigaretta, scambiandosi un sorrisino imbarazzato finchè non si presentarono ed iniziarono a parlare. Finirono la serata su quel balcone a scmbiarsi i numeri mentre i compagni di Juliet la chiamavano da dentro perché dovevano andare: nessuna delle due si era accorta che stava per albeggiare.
Avevano parlato tanto al telefono, si erano cercate assiduamente per messaggi ed iniziarono ad uscire quasi ogni giorno dopo la maturità della mora.
Si misero insieme quell’estate e Juliet non si era mai sentita così compresa, amata, felice come allora.
Sapeva che quella felicità la provava solo quando parlava con Dan.
Singhiozzò per minuti interi, forse perfino un’ora, su quella scrivania, inondando la sua maglietta finchè non sentì Kate bussare alla sua porta.
‘No, non adesso. Non tu.’ Avrebbe voluto gridare, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu andare verso il letto, togliere le scarpe e buttarsi dentro le coperte, fingendo di dormire mentre piangeva ancora, e per una volta, la sorella la lasciò stare.
Ce l’aveva anche con lei in quel momento. Perché non le aveva detto che Dan aveva la ragazza? Se non l’aveva fatto era perché non lo sapeva? Impossibile, era la sua migliore amica.
In quel momento si rese conto che la sua luce si stava spegnendo lentamente, che si era ritrovata vuota nel giro di una mattinata, che si era trasformata in una di quelle lucine al neon delle insgene, che lentamente si fulminano e che fanno quello strano rumore prima che si spengano del tutto.
Sarebbe rimasta invisibile al mondo. Proprio come lo era per lui.

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Capitolo 5
*** V. Incubi e illusioni. ***


La porta sbatté forte e Juliet aprì gli occhi di scatto, svegliandosi.
Si alzòpiano dal letto, sentendo dei rumori –gemiti? – provenienti dal corridoio ed aprì la porta della sua camera. La scena peggiore della sua vita le si parò davanti.
Li vedeva baciarsi, sbattersi l’un l’altro contro il muro, mentre cercavano di arrivare alla fine del corridoio dove vi era la camera di Kate. Lo guardava prendere le cosce  di sua sorella, issandola finchè lei non incrociava i talloni dietro la vita di lui, sfregando i bacini.
Il mondo, a quell’immagine, le crollò addosso. La sorella maggiore che stava per scoparsi il ragazzo che Juliet amava. Si sentiva tradita, da entrambi, ma più dalla bruna che sembrava mangiare la faccia del ragazzo, bruna che si trasformò ben presto in Crystal, poi in Summer, in Nell, perfino in Alex e di nuovo Kate.
La porta sbatté forte e Juliet aprì gli occhi di scatto, svegliandosi.
Il cellulare vibrava, mentre le arrivava un messaggio e le si rendeva conto di aver fatto un brutto sogno, l’ennesimo in quelle notti. 

A: Da grandi poteri, derivano grandi responsabilità. Giorno mondo. :3

Juliet si era svegliata con un messaggio del genere praticamente da quando aveva conosciuto Annie, e dopo non qualche litigata, erano diventate amiche.
Erano uguali in pratica, tranne quando pensavano a discorsi filosofici, anche se alla fine giungevano alla stessa conclusione. E come se non bastasse sembravano uguali anche d’aspetto.
I messaggi di buongiorno di Annie, ormai erano diventati qualcosa di essenziale per lei, e sapeva che se non ne riceveva uno, doveva iniziare a preoccuparsi.
Quelle semplici frasi a volte davano a Juliet la carica giusta per quella mattina, altre la lasciavano a riflettere per un po' sull'aforisma stesso e alla fine se ne usciva con qualche sua conclusione ben studiata, altre le mettevano semplicemente il buonumore e poi c'erano quei giorni in cui odiava l’amica e quei messaggi.

A: Se due cuore sono innamorati, nulla li allontanerà. Giorno.

Oggi era decisamente uno di quei giorni.
Sospirò guardando il piccolo display del samsung che aveva tra le mani, mentre ancora si trovava sotto le lenzuola e ripose il telefono nuovamente nel comodino, dov'era fino a quando non si era svegliata di scatto con la fronte imperlata di sudore.
In quel momento ricordò l’incubo, e cercò un qualche significato, per poi ricordarsi che aveva davvero visto Dan baciare un’altra, una che non era lei, che non aveva neanche una vaga somiglianza con lei.
Si rigirò nel letto e si coprì fino alla testa. Avrebbe voluto piangere, invece richiuse gli occhi mentre immagini di tre persone le invadevano il cervello.
Dan, Crystal, Summer.
Le venne in mente perfino Annie e la sorella Charlotte. Forse avrebbe dovuto chiamarle.
Aveva conosciuto Annie per sbaglio, ad una festa in maschera. Si erano vestite uguali e tutte scambiavano la ragazza per lei, creando solo una serie di buffi equivoci finché non si ritrovarono faccia a faccia. Da lì iniziarono l’odio e le litigate, che a poco a poco, conoscendosi, divennero amicizia e abbracci.
Perfino nelle storie d’amore erano simili: Annie aveva conosciuto questo ragazzo, Joe, d’estate. Si erano messi insieme, un idillio durato un mese e poi erano iniziati i guai. Entrambi con i sentimenti vaganti, dispersi, semplicemente perché quel mese era stato intenso per entrambi.
Juliet aveva conosciuto Joe, uno scapestrato di prima categoria, ecco cos’era. Scoprì dopo che era il cugino di Dan e si rese conto solo allora di quanto fosse piccolo il mondo, così piccolo che scoprì presto che la sorellina di due anni più piccola di Annie, che aveva la stessa età di Juliet, era diventata la migliore amica di sua sorella Ley. Inutile dire che fece amicizia anche con lei.
A volte uscivano addirittura tutte e quattro insieme. A volte Juliet e Dan uscivano io e Dan con Annie e Joe.
Le mancava l’estate. Tantissimo.
Com'era arrivata fino a quel punto?
Sbuffò e tolse piano piano la coperta, fino a scalciarla con i piedi, mentre rimaneva ancora a letto. Sentì dei piccoli tocchi contro la porta e stropicciò gli occhi mentre gracchiava: “Avanti!”.
“Disturbiamo?”
La voce di Ley, Charlotte ed Annie suonò in contemporanea, facendole ridere. Risata a cui Juliet non poté far altro che unirsi.
“Abbiamo con noi caffè al caramello, uno alla mente e due frappuccini alla fragola e le ciambelle al cioccolato!”
Solite ordinazioni per tutte e quattro ogni volta che facevano colazione fuori o si ritrovavano ad uno Starbucks della città.
Mentre si alzava piano e si metteva a sedere, a gambe incrociate, sul letto, vedeva Annie entrare per prima mentre sventolava il sacchettino con le ciambelle.
“Buongiorno dormigliona!”
L’amica le diede un leggero bacio sulla guancia, mentre anche le altre entravano e si mettevano comode: chi nel letto, chi sulla sedia, chi sul davanzale della finestra come Charlotte.
“Uhm.. Buongiorno.”
Juliet tentò di sorridere, ma le uscì una smorfia e le tre si guardarono. Non voleva essere studiata, non di prima mattina almeno così si stiracchiò e si alzò dal letto.
“Vado a svuotare la vescica e arrivo! Non mangiate tutto, eh!”
“Ma: vado a pisciare non ti piaceva?”
La voce squillante di Charlotte fece ridere tutte. Era grazie a lei se Juliet e le altre avevano il titolo di ‘Principesse sul Tir’. Semplicemente combinava l’aspetto da ragazze per bene alle frasi da scaricatrici di porto.
La mora scosse il capo e andò al bagno, tornò in men che non si dica che già le tre si erano materializzate in cucina, luogo da cui proveniva la musica. Le raggiunse e passo almeno la mattinata a non pensare.
Quando Ley e Charlotte lasciarono da sole Juliet ed Annie, per andare a fare shopping e pranzare fuori, la più grande fermò un attimo la sorellina.
“Kate…?”
L’incubo della mattina ancora vivo.
“E’ con Dan, perché?”
Quello che non voleva assolutamente sentire, adesso era un dato di fatto. Sapeva che la sorella non provava nulla per Dan e che lui, a quanto ne sapeva aveva la ragazza, ma l’idea di loro due assieme adesso le faceva solo male.
“Nulla..” Sorrise.
“Juls, non me la bevo, lo sai. Sei stata strana tutta la mattina, e non me ne sono accorta solo io. Tendi ad esagerare, a ridere troppo e fare più battute del solito quando vuoi mascherare il tuo malessere. Non chiedo mai nulla, lo sai, ma mi fa male vederti così. Devi… devi cercare di risolvere, in un modo o nell’altro.”
Hayley diede un bacio alla sorella e chiuse la porta di casa dove  ad attenderla, mentre aspettava l’ascensore, c’era la sua migliore amica.
Juliet sospirò e tornò in cucina. Sapeva bene che anche Annie capiva ogni sua mossa, così la fece tornare in camera sua e le raccontò l’incubo.
“Secondo me hai paura di perderlo per chiunque, soprattutto hai paura che si possa innamorare di qualcuno a te caro e tu dovrai solo fare la ragazza felice per lui e la lei di turno.” Annie sbuffò. “E’ tutto sempre troppo complicato, se le persone parlassero non ci sarebbero problemi. Si eviterebbero un sacco di disguidi e forse nascerebbero più storie d’amore.”
“Così come tu parli con Joe?”
Colpo basso, lo sapeva bene. Ma Annie non si faceva abbattere di certo dalle frecciatine dell’amica.
“Cerchi sempre di distrarre l’attenzione da te. Però in realtà hai ragione, al solito abbiamo lo stesso problema. Dovremmo parlare a quei due.”
“Beh almeno voi due non avete nessuna persona in mezzo ad  ostacolarvi. Vi ostacolate voi stessi e basta. Vi ritenete sempre più che amici ma meno che fidanzati, eppure questa friend zone non vi ha portati ad un cazzo se non a stupide gelosie e  continui litigi. Cosa vi blocca?
Vi blocca la paura, la stessa che attanaglia me dal parlare a Dan, porca troia.”
Come sempre, quando si infervorava, Juliet parlava a manetta e così le uscivano anche le parolacce, alla quale ormai l’amica era più che abituata. Sentiva più spesso la parola ‘minchia’ da lei che dal suo ex.
“Hai ragione.” La voce di Annie era quasi sfinita, o forse lo era soltanto lei a pensare che non voleva più passare altri mesi a litigare costantemente con Joe solo per gelosie futili quando non stavano neanche insieme. Ma almeno lei poteva litigare con lui, Juliet, pensò, invece doveva solo starsene zitta e tenersi tutto dentro perché Dan non sapeva nulla.
“E’ dura per te, vero? Il… il non poter vivere allo scoperto, il doverti tenere tutto dentro. Anche se in realtà sei un libro aperto e che sei gelosa marcia lo vediamo tutti.” Sospirò. “Il problema è che non potete stare senza parlarvi e senza trovare una soluzione che ti faccia stare bene. Ed hai ragione, anche per me e Joe è lo stesso, perché stare in questa ‘friend zone’ come la chiami tu, senza prendere posizione non porterà a nulla se non a sconforto e basta. Anche rabbia e mere e fittizie illusioni di felicità. Forse aveva ragione Schopenahuer: si vive in bilico tra sofferenza e gioia. Noi invece dobbiamo puntare solo a quest’ultima.
Sai che ti dico? Oggi chiamo Joe e organizziamo una serata a quattro e non accetto no come risposta.”
Juliet fu lieta, solo in parte, di poter tornare ai vecchi tempi. Ma ce l’avrebbe fatta a sostenere una serata con Dan che parlava della sua ragazza?
Passò la giornata a torturarsi con quella domanda, mentre nel frattempo si preparava sentiva Annie che sarebbe venuta con Joe e Dan che sarebbe venuta a prenderla.
E Dan fu puntuale, come sempre. Lei invece scese in ritardo, perché non si sentiva perfetta.
Vide Kate salire mentre lei scendeva. Come se si passassero il testimone con il ragazzo.
La sorella maggiore rimase un attimo a bocca aperta vedendo la sorellina in un vestito corto, i capelli raccolti in una coda, il trucco leggero ma ben curato e le scarpe alte ai piedi.
“Sei… sei splendida Giulietta.”
Giulietta. La chiamava così solo quando tendeva a sottolineare quello che diceva, come a volerlo imprimere nella testa di Juliet. E lei sorrise. L’abbraccio e quello che la sorella le sussurrò fu solo una spinta in più alla decisione che aveva preso con Annie, prima che l’amica se ne andasse.
“Dopo che ti vedrà gli passerà la confusione.”
Era confuso, confuso probabilmente tra la sconosciuta e lei.
Kate continuò a salire le scale e Juliet a scenderle.
La bocca aperta di lui non appena lei chiuse il portone di casa, le ricordò la sorella e sorrise raggiante mentre entrava in macchina.
Passarono la serata più bella e divertente della loro vita e finirono in una pasticceria vicino casa di Juliet, a cinque minuti di strada.
Quando si salutarono tutti e quattro, Annie e la ragazza si diedero un’occhiata d’intesa e poi Juliet tornò da Dan.
“Posso andare a piedi dopo, sai?”
"E lasciare una bella ragazza da sola? Non se ne parla.” Era serio e lei contenta.
“Mi trovi bella?” Lo chiese ingenuamente, ma ardeva per una risposta soddisfacente.
“Sempre.”
Gli avrebbe voluto dire tante cose, addirittura “ti amo” ma si limitò a sorridergli, a guardarlo negli occhi, prendere coraggio e baciarlo.
Sapeva che in quel momento anche l’amica avrebbe baciato Joe, ma adesso volevo solo pensare alle labbra di Dan che si muovevano contro le sue.
Non sentì altro che le sue labbra. Non sentì le mani di lui stringere la vita di lei come aveva programmato.
Aprì gli occhi, non appena si staccarono e lui non aveva quello sguardo innamorato che aveva capito quello che aveva davanti.
Ma sentiva la delusione crescere in lei, gli occhi velarsi di lacrime mentre iniziava a correre verso casa.
Lui non la rincorse.

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Capitolo 6
*** VI. Ragazzi e risse di alto borgo. ***


Il cellulare le squillò per l’ennesima volta quella settimana, e lei, esasperata, alla fine spense il telefono.
“Chi era?”
Nelly, curiosa di natura aveva cercato di sbirciare il display dell’amica, ma lei non gliene diede proprio tempo, le lanciò invece un’occhiataccia. Occhiataccia che divertì invece Nell, a  volte si chiedeva come la coinquilina non arrivasse subito alla soluzione. Ogni comportamento di Juliet era talmente palese che ormai chiedere le sembrava quasi una perdita di tempo.
“Daniel, ovvio. Chi altro ha il potere di farle spegnere il telefono?”
Il divertimento della sua voce fece solo aumentare il nervosismo della bruna seduta tra le sue due migliori amiche, mentre sbuffava sonoramente e prendeva in mano il suo frullato al cioccolato. Ricordò solo dopo che aspettava  una chiamata di Alex e così, roteando gli occhi e tenendo le labbra impegnate a succhiare la bevanda dalla cannuccia, riaccese il telefono.
Una chiamata persa, un messaggio che l’avvisava della suddetta chiamata e altri cinque, tra cui tre solo del ragazzo.

D: Ti prego, Juls, rispondi.
D: Juliet, dobbiamo parlare.
D: Juliet! Giuro che vengo a casa tua se non rispondi!

Casa sua. Juliet l’aveva evitata dalla mattina dopo quel bacio la sua casa, aveva liquidato persino le sorelle dicendo che Alex aveva casa libera e sarebbe stato da lui. In realtà era una bugia bianca, perché Juliet era rimasta dal suo migliore amico solo quel paio di giorni in cui la madre di lui era fuori per lavoro, ma poi si era fatta ospitare dalle amiche di sempre. L’unica che conosceva tutta la storia, a parte quei tre era Annie, che raccontando la storia a Charlotte non fece altro che farla sapere anche alla sorella. Pensò che alal fine era meglio così, almeno non avrebbe dovuto ripercorrere la delusione, le lacrime, l’essere corsa a casa più forte che potesse mentre fino all’ultimo si aspettava due mani che la facessero girare, due braccia che la stringessero forte a sé.
Sospirò di nuovo e Nelly le carezzò i capelli mentre lei guardava gli altri due messaggi.

A: Dimmi dove sei, ti raggiungo. Ah, ho una bella notizia anche!

H: Sorellona… Manchi, quando torni a casa? E’… è venuto Dan a cercarti prima… Penso abbia litigato con Kate, si urlavano contro e lei l’ha sbattuto fuori.

“Oddio…”
I sospiri e gli sbuffi sembravano ormai susseguirsi, così mentre rispondeva al messaggio di Alex, si prese la briga di spiegare cos’avesse adesso alle amiche che la guardavano incuriosita.
“Dan è andato a casa mia. Ha litigato con Kate a quanto pare, si sono urlati contro… E dio solo sa se c’entrassi solo io. Ma adesso mi sento in colpa. Non dovevano litigare, soprattutto se tutto è nato da me. Porca troia, quei due sono amici dia tempi delle elementari!”
Le due ragazze si guardarono tra loro prima di sospirare. Sentirsi sempre in colpa, anche quando non c’entrava nulla, era una delle caratteristiche dominanti del carattere di Juliet. ‘Così forte eppure così fragile’, glielo ripetevano in continuazione.
“Sai che aggiusteranno le cose, sono grandi e vaccinati.”
“E poi se sono rimasti amici fino ad ora, ci sarà qualcosa di forte che li lega, vedrai che si sistemerà tutto.”
Rassicurarla adesso sembrava la priorità, a farla divertire probabilmente avrebbe pensato Alex, o meglio a farle pensare ad altro. Quel ragazzo sembrava sempre così pieno di nuove notizie e gossip succulenti, che ormai anche per le due Nelly era indispensabile un incontro con lui almeno una volta ogni due settimane.
Così mentre le due pensavano a far passare il senso di colpo alla ragazza che avevano sempre trattato come la più piccolina, solo perché sembrava sempre costantemente da proteggere, il ragazzo parcheggiava la moto e si affrettava a raggiungere le tre al bar.
“E’ qui la festa?”
Esordì così Alex, mentre vedeva le facce lunghe delle tre sedute al tavolo dove stava prendendo posto mentre chiamava con un cenno la cameriera e ordinava un mocaccino.
Nell, alla spicciola, gli spiegò cosa si fosse perso mentre lui attentamente ascoltava e di tanto in tanto guardava Juliet che invece sembrava intenta a giocare con i capelli di Nelly, come se quel gesto la tenesse fuori dalla discussione che la riguardava. Quello era un altro suo difetto: cercava di escludere quello che di brutto poteva capitarle, semplicemente perché la poteva solo ferire ulteriormente quando nella vita aveva avuto già un brutto passato. Solo da un paio d’anni si era ripresa del tutto grazie all’aiuto dei vecchi amici che non l’avevano mai abbandonata e l’aiuto dei nuovi, e beh, anche Crystal aveva fatto la sua parte, amandola come si meritava davvero, dandole attenzioni costanti, o almeno all’inizio.
“Oh beh, avremmo tempo per parlarne meglio e capire, no? Adesso invece concentriamoci sull’evento dell’anno! Il ballo ‘Sogno di una notte di mezza estate’ organizzato dal Club dei nostri genitori.”
“Un ballo, organizzato dal Club dei ricconi..?”
Nell alzò il sopracciglio mentre sentiva le parole del ragazzo a cui potavano l’ordine, mentre Nelly rideva alle sue stesse parole. L’unica che sembrava davvero interessata era proprio Juliet.
“Un ballo? Shakespeare?? Oddio santo devo trovarmi un vestito!”
“Tesoro, hai tutto il tempo, è a Ferragosto! Ma se proprio vuoi fare shopping e festeggiare.. possiamo sempre organizzare una delle nostre feste in qualche discoteca con piscina, no?”
Ecco cosa serviva a tutti quanti: una bella festa, e di sicuro non serviva solo a Juliet, o Ales o le due Nelly, ma anche a Kate, a Hayley e alle sue amiche Wonders: Annie e Charlotte.
“Ho.la.messaggeria.vuota. Juliet! Vuota, cristo santo! Perché sono capitolata anche questa volta? Perché?”
Dopo essere stata al bar con gli amici e aver passato la notte con Alex a mangiare gelato e parlare di vestiti e qualche lieve accenno a possibili accompagnatori, cercando accuratamente di evitare ‘il nome con la D.’, Juliet era andata a casa Wonders, e come se lei e Charlotte si fossero scambiate le case, Juliet rimase a dormire con Annie mentre la biondina Wonders andava a dormire da Ley.
Annie si lamentava che al contrario dell’amica, non aveva ricevuto alcuna risposta da Joe, e dire che lei aveva ottenuto non solo una risposta al bacio ma anche molto altro, così come ogni volta che nella sua vita c’era di mezzo il ragazzaccio dalle belle parole e il buon carattere che mostrava solo quando voleva ottenere qualcosa.
“Perché in realtà non te lo sei mai tolta dalla testa, e.. An, ammettiamolo, è uno dei migliori che tu abbia mai scopato!”
Juliet rise, cercando di sdrammatizzare mentre l’amica le dava un leggero buffetto in testa e spegneva le luci prima di andare a dormire, facendo partire, a basso volume, le canzoni nell’i-pod.
…but you didn’t have to cut me off, make out like it never happened and that we were nothing, and I don’t even need your love but you treat me like a stanger and it feels so rough.”
Juliet si ritrovò a canticchiare a bassa voce quella canzone che aveva segnato la fine della relazione con Crystal, il problema era che adesso non le ricordava la ragazza, ma Dan.
L’aveva tagliato fuori, non gli aveva dato spiegazioni. Lo stava trattando da estraneo, così come Crystal trattava come un’estranea lei, adesso? Sì.  
Sbuffò e tirò su il lenzuolo fin sopra la testa, per poi uscirla subito dopo e guardare il tetto, mentre i suoi occhi si erano ormai ambientati all’oscurità.
“Perché dev’essere tutto così complicato?”
“ Cosa?”
“Le cose che non possiamo dire, che invece dovremmo dire, ma che dimostriamo comunque e che le persone potrebbero, dovrebbero capire!”
Seguì un attimo di silenzio, mentre sperava che Annie avesse capito cosa intendesse, e probabilmente sì. Erano talmente tanto simili che anche Annie a volte non diceva alcune cose che avrebbe dovuto dire, sperando che attraverso futili dimostrazione l’altra persone a cui si rivolgevano le attenzioni, capisse cosa intendesse. Peccato che questo era il modo di lavorare di un cervello femminile.
I maschi erano molto più semplici.
“Juliet….” La voce dell’amica era strana, forse anche adesso le avrebbe voluto di re mille cose, ma alla fine sdrammatizzò tutto.
“Meno canne la prossima volta, eh? Buona notte!”
Risero entrambe mentre prendevano sonno, ognuna dal proprio lato del letto.
Il giorno dopo Juliet tornò a casa, dovendo affrontare la sorella Kate, non avendone la benché minima voglia, ma ormai aveva già la consueta nausea e mal di testa che precedevano ognmi discussione, così, non appena infilò la chiave nella toppa si armò di coraggio pronta a fronteggiare tutto.                                                                         
Che poi Kate non l’avrebbe mai giudicata, mai colpevolizzata, non le passò neanche per la testa, eppure la sorella davvero non si sarebbe mai permessa, non conoscendola a memoria, come fosse un’altra parte di lei.
Juliet lasciò le sue cose in camera e poi andò a bussare in camera della sorellona, non aspettò risposta e la trovò a telefono, l’altra semplicemente le fece segno di entrare e stare muta mentre ascoltava intenta cosa le dicessero dall’altro capo del telefono.
“Oddio, e che ti dico? Dan, smettila. Basta, ci siamo chiariti, ok? E’ questo l’importante, ora lascia solo che mia sorella torni a casa e poi me la sbrigo io, come ho sempre fatto. Ho bisogno di riaverla a casa o non si potrà mai concludere un bel niente. Per favore, una buona volta, metti da parte la tua testardaggine e la tua poco maturità del caso e fammi chiudere.”
Juliet ascoltò tutto con il fiato sospeso, sussultando appena sentendo il nome del ragazzo.
“Non è qui. E qualora tornasse all’improvviso mi assicurerei che tu fossi l’ultimo a saperlo, non voglio altre scenate. Ora, scusami, ma ho mal di testa. Ci sentiamo dopo.”
Kate non aspettò risposta mentre chiudeva di scatto la chiamata, massaggiandosi le tempie e sospirando.
Il mal di testa della ragazza non era mai un buon segno, mai, e Juliet lo sapeva, si convinse che forse non era il momento, ma prima che potesse scappare via la sorella la raggiunse ai piedi del letto, dov’era seduta, e le prese una mano tra le sue.
“Così l’hai baciato alla fine. Anche se io te l’avevo sconsigliato. Ricordo che ne parlavi l’estate scorso, ma alla fine non l’avevi fatto. Lo fai ora che ha… boh, l’amichetta la chiamerei. Ci scopa e basta. Me l’ha detto Hayley che li hai visti, ne ho pure parlato con Nell ed Annie.  Dio solo sa quanto possa fidarmi di quelle ragazze quando si tratta di te. *
Sospirò e a Juliet per poco non venne da piangere sentendola.
“Io… scusa.”
“E che ti dico, amore? Non devi scusarti di quello che provi, ma adesso lui è confuso, più di prima forse. E non gli rispondi. Non sa che pensare. Te ne sei pentita? Era una scommessa? Sì, è addirittura arrivato a pensare a questo. Penso solo che dovresti affrontarlo, anche se non vuoi, ma so già che non lo farai, solo… quando ne hai l’occasione… non respingerlo, ok?”
La bruna annuì lievemente con il capo prima di buttarsi tra le braccia della sorella e scoppiare a piangere. Ne aveva bisogno, si era tenuta tutto dentro senza poter parlarne con le sorelle e la cosa la distruggeva. E come per magia, in stanza, si materializzò anche Ley, gettando prima un’occhiata a Kate che le avrebbe spiegato tutto dopo.
Juliet non seppe quando si addormentò in camera della sorella dopo aver bagnato la maglietta sua e di Ley, ma sapeva che doveva prepararsi per quella sera.
Alex l’aveva avvisata che avevano organizzato la festa per quella sera e che ci sarebbero state tutte, aveva già preso i biglietti.
Voglia non ne aveva neanche minimamente, ma qualcosa le diceva che sarebbe stata una serata interessante e che se non fosse andata se ne sarebbe di sicuro pentita.

Si preparò con calma, facendosi una doccia, scegliendo il suo vestito migliore nero, abbondando con il trucco oro come gli accessori e i particolari delle scarpe altissime. I capelli trattenuti dall’elastico della coda ed uscì dalla stanza raggiungendo le sorelle. I ‘sei bellissima’ si sprecarono tra loro e con le amiche, quando le raggiunsero in discoteca, mezzanotte spaccate.
Passare una serata con Nell e Nelly e i rispettivi ragazzi, così come con Alex, Annie e Charlotte e le sorelle era come un sogno, erano così rare le volte che passava il tempo con tutti, se non c’era un festa di mezzo, che si disse che quella sera avrebbe dovuto dimenticare tutto e tutti.
E così fece davvero. Tra balli, fiumi di alcool bevuti al loro tavolo, o al bancone, o offerti da sconosciuti che provavano a ballare con lei, quasi non si accorse che un’ora dopo i primi balli Dan e le sorella Hilary e Cherisch erano arrivati con Joe e il fratello Mark. Di sicuro loro avevano visto il gruppo dal quale Juliet si era staccata per ballare con un tipo biondo dagli occhi color ghiaccio: Sean, aveva detto di chiamarsi.  
Come se non bastasse spuntarono anche Crystal e le sue amichette, delle vipere di prima categoria e Summer con un paio di amiche. Sembrava che il destino avesse portato tutti lì, lì per Juliet.
Peccato che lei era talmente brilla da non accorsergi che, mentre cercava di tornare al suo tavolo, si scontrò con  la nuova ragazza di Crystal, di cui non ricordava minimamente il nome. Gli occhi le si sgranarono mentre la ex si avvicinava alle due. Un moto di indifferenza nel cuore. Fu quello il momento in cui Juliet capì che in realtà Cry era solo un fantasma ormai dimenticato.
“Divertitevi ragazze!” 
Lo gridò per sovrastare la musica, mentre un minimo di lucidità si faceva strada nel suo cervello, dando un’occhiata in giro e rendendosi conto dei guai che sarebbero successi, e perché non cominciarli proprio lei?
Andò dritta spedita da Joe, prendendolo per il colletto mentre parlava con Cherish, che sconvolta cercava di salutarla.
“Cos’è, ci provi anche con lei adesso, eh? Prima Annie, poi Cherish. In mezzo quante altre ci sono state? Oh, e hai cercato ancora di portarti a letto tuo fratello? Mi fai schifo! SCHIFO! Hai un bel visino, bello quanto brutto è il tuo carattere che illude chiunque. Sei solo belle parole. Non sai neanche cosa sei. Ti scoperesti qualsiasi ragazzo pur di avere il tuo cazzo dentro il buco di qualcuno e poi fai le moine alle ragazze. Datti na regolata e pensa a chi ti ama davvero!”
Le era salita la rabbia parola dopo parola, mentre sapeva che quelle parole rivolte a lui, l’acidità del suo tono, era mirata anche ad altri. Ma al momento sperava solo che Joe sistemasse le cose con Annie, rendendosi conto di quello che stava perdendo, dopodiché andò da Cherish, la prese a braccetto e la portò in pista.
“Juls! JULS NO. Non so ballare!”
La ragazza fece finta di non sentire l’amica mentre le si strusciava contro, cercando di farla sciogliere, sapendo di attirare l’attenzione di quelli che conosceva e di alcuni ragazzi lì vicino.
Uno dei quali era proprio Sean a cui a fine serata scrisse il numero sul braccio. Fu quello che fece scattare il casino vero e proprio.
La mano di Dan quasi non la vide mentre Sean cadeva all’indietro dopo il colpo diretto alla mascella. Si sentirono però le parole urlate contro, sovrastando la musica, ammutolendo il resto della sala dove c’era solo la gente più in della città, come ad ogni festa a cui partecipavano.
I ragazzi furono buttati immediatamente fuori dal locale, e sapevano che la festa, per loro, finiva lì. Per loro ma non per Summer e Crystal che guardarono Juliet da un’altra prospettiva, come una preda succulenta per la quale si battevano tutti.
I guai erano appena cominciati.
“Si può sapere che t’è preso?”
Juliet era uscita dal locale, oltrepassato gli amici e preso Dan per un braccio, mentre controllava che l’altro non gli avesse fatto male nello scontro a cui avevano dato luogo dopo il primo pugno. Passò le mani sul labbro leggermente spaccato del ragazzo e lui rise.
“Che c’è di divertente, idiota?”
“Prendi a pugni qualcuno o qualcosa! Te lo ricordi, eh Juliet?”
Sì, lo ricordava. Ricordava di come un pomeriggio dell’estate scorsa, mentre lei le moriva dietro, era satura di tutto e avrebbe solo voluto sfogare il tutto, di come lui le aveva detto che allora avrebbe dovuto prendere a pugni qualcuno o qualcosa e di come lei avesse risposto ‘non sarebbe male’, per poi abbassare lo sguardo.
Ricordava anche cosa pensava in quel momento. Prendermi a pugni sul petto potrebbe aiutarmi? Lenirebbe il mio stesso dolore? Dolore che provo anche solo con una frase, una nota, una canzone, un gesto, uno sguardo? No. Non sarebbe la soluzione migliore. Lo sapevo bene, mi dovevo guarire da sola, piangendo forse o liberandomi. Ma non potevo.
Si era resa conto allora di essere nel suo limbo personale. Lo stesso limbo nel quale, un anno dopo, era ancora invischiata fino al collo.

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Capitolo 7
*** VII. Addii e nuovi inizi. ***


Che diavolo ti è saltato in mente eh?
La voce di Kate si sentiva per tutta casa e fece far capolino alle teste di Juliet e Hayley, dalle loro stanze.
“Tu avrai finalmente preso una decisione, ma adesso cerca di aspettare i suoi tempi e la sua confusione, perché, bello mio, lei ti ha aspettato per anni!”
Per poco non si mise a urlare mentre chiudeva il telefono in  faccia al suo migliore amico e tornava mesta in camera sua con il suo caffè ormai freddo, cosa che la fece solo urtare maggiormente.
Ley e Juls invece cercarono di chiudere velocemente le porte delle loro stanze, senza fare rumore, ma Kate sembrava avesse un sesto senso per queste cose.
“Venite fuori, scemine.”
Stava attraversando il corridoio. Il tono di voce era calmo e dolce. Che fosse un tranello? No, con loro in effetti non riusciva mai ad alterarsi abbastanza, forse perché si era sempre sentita in dovere di non richiamarle ad alta voce, sempre in dovere di dargli l’esempio che i genitori assenti non gli avevano insegnato.
Le due brune uscirono nuovamente dalle camere, stavolta per entrare in quella della sorella maggiore che sbuffava mentre cercava di finire quel caffè ormai senza gusto. Nessuna parlava, anche se le più piccoline fremevano dalla voglia di chiedere qualcosa in più sulla telefonata. Sulla decisione.
“Allora, a quando la prossima festa?”
Juliet e Hayley si guardarono stranite, non capendo perché Kate non arrivasse subito al sodo mentre intavolava una conversazione sulla festa avvenuta prima. Juliet sapeva già che quello era solo un modo per vedere se poteva realmente parlare con loro oppure decidere che non erano ancora pronte per quella discussione.
“Beh, il pugno è stato forte. Si sa come sta il ragazzo almeno?”
Gli occhi della ragazza con i capelli più scuri tra le tre erano puntati in quelli dorati di Juliet. Ecco cosa voleva realmente sapere, se si sentisse o meno con quel ragazzo.
“Sean sta bene, non ha nulla di rotto, è colato solo sangue dal naso, ma nulla di grave. Forse gli è partito un capillare.”
“Sean… Uhm.”
Un sorriso, sarcastico forse, ma un sorriso che non era il suo, preoccupò sia Juliet che Ley che era quella che ci stava capendo sempre meno.
“Si può sapere a che diavolo di gioco state giocando? Mi sono persa al ‘bella festa’.”
Le altre due risero e alla fine gettarono le asce di guerra, per così dire, per parlare normalmente.
“Sono solo giochetti mentali Ley, in cui la nostra Giulietta casca sempre, vero Giulia?”
Adesso quei vezzeggiativi le stavano stretti mentre li prendeva come offese. Digrignò i denti e annuì solo con il capo mentre Kate arrivava al punto saliente della questione.
“Dan lascerà quella… ragazza. Non ricordo il nome sinceramente, non si è mai fatta notare più di tanto in realtà. Penso che però tu e lui dobbiate parlare, o no? Dan, dopotutto ha tirato un pugno a quel tipo o sbaglio?”
“Beh, non che Dan si sia preso la briga di darmi spiegazioni! Ultimament, in realtà, non si è proprio fatto sentire.”
“COSA?!?”
Le due sorelle erano sbigottire. Ley era rimasta con la boccuccia aperta mentre l’espressione di Kate non presagiva nulla di buono con quella fronte aggrottata, simbolo che stava pensando. A cosa? Non era dato saperlo per il momento.
Alla fine tornarono ognuno nella propria camera con i propri pareri dopo che Juliet aveva annuito e lasciato la stanza senza aggiungere altro.
Chiamò invece le amiche di sempre, su Skype, alle quali confidò cose che le sorelle non potevano neanche immaginarsi. O forse sì, ma di sicuro erano dubbi che si sarebbero tenute per loro finchè non avessero visto nulla di concreto.
Gli occhi azzurri di Nell erano quelli che contrastavano maggiormente con tutti gli altri che li avevano castani o al massimo tendenti al verde scuro. Tutti occhi che la scrutavano.
“Non ho capito bene, ripeti.”
Nell, seduta al fianco di Nelly nella cucina della casa che condividevano, era quella che aveva bisogno di analizzare passo passo tutto mentre invece Juliet farfugliava confusa e si perdeva nei discorsi.
“Crystal, Summer e Sean, –sospirò – si sono fatti sentire tutti e tre. Sean è dolcissimo e mi ha chiesto di uscire. Summer voleva capire cosa succedesse e… ieri mi ha chiamata.
In un certo qual modo abbiamo risolto. A quanto pare una di quelle della festa gli ha confessato che è innamorata di lei, e Sum sembra ricambiare un po’ quindi siamo rimaste amiche. E poi…”
“E poi c’è Crystal..”
Gli occhioni verde scuro di Annie la guardarono comprensiva. Si disse che appena avesse finito con tutte loro, le avrebbe parlato a solo.  
“Sì.. Crystal. Mi ha detto che rivedermi le ha fatto scattare qualcosa, che le cose con Meredith non vanno poi così bene, che mi pensa ancora… Siamo uscite assieme l’altra sera…
Io… penso che sia sincera stavolta. Cioè, so che non dovrei fidarmi delle sue parole, ma il suo sguardo non mentiva, ve lo giuro!”
“Juls… ti prego. Sappiamo tutte come le sue parole ti ingannavano, i suoi baci ti rassicuravano e i suoi occhi ti prendevano in giro continuamente. Davvero vuoi ritrovarti in quella situazione?”
Nelly adesso era esasperata, solitamente era quella che sdrammatizzava, ma vedere anche solo la lontana possibilità che l’amica potesse farsi del male a causa della ex, era qualcosa che non doveva accadere. Non di nuovo. Soffriva già troppo per Dan, senza che volesse ammetterlo. Crystal era, doveva essere, storia vecchia. Morta e sepolta.
“Lo so… ma…”
“No. Juliet Bennett, apri le orecchi e stammi a sentire.”
Nell aveva bloccato i vari ‘se’ e ‘ma’ dell’amica, ormai conoscendola come le sue tasche, sapendo che avrebbe cercato una giustificazione solo per darsi altre false speranze ed illudersi.
“Se uscirai di nuovo con lei e lei ti prenderà la mano, ti bacerà, sai già che finrà male. Finirà che tu tornerai da lei, che ti prenderà in giro e che comunque non riuscirai ad amarla come dovresti perché non ti sai contenere. La ameresti di nuovo con tutta te stessa e non ti merita, cazzo. Quando lo capirai che certa gente non ti merita. Non merita neanche un briciolo della tua considerazione, ed invece tu, buona quanto sei dolce, elargisci la tua bontà in maniera generosa. Gli altri non lo fanno. Sii egoista una buona volta. E ora non venirmi a dire un altro ma perché giuro che lo dico a Kate e poi sono cavoli amarti tuoi.”
Detto questo Nell si alzò e lasciò a Nelly il timone. La conversazione era comunque conclusa, non aveva da aggiungere altro nessuno perché sapevano tutte quando la ragazza dai capelli corvini avesse ragione.
Si salutarono mestamente e Juliet chiamò Annie, proprio come si era promessa.
“Ehi..”
“Ehi, piccola, tutto ok? Sai che Nell lo fa per il tuo bene..”
“Sì, sì, lo so. Sono io la stupida… Ma non ti ho chiamato per questo.”
“Ah. Joe..?”
“Sì.”
Juliet le spiegò quello che ricordava della sera ed Annie le disse che si era sentita con Cherish che ricordava esattamente parola per parola.
Cherish. La conoscevano tramite le sorelle che andavano nella sua stessa classe al linguistico e poi era anche la sorellina di Dan. In realtà i Callagher erano tre: Dan, il più grande, il ventiquattrenne già in carriera, Hilary che ne aveva ventidue e che sembrava avere una cotta, ricambiata, per Kate, e che studiava lingue e poi la piccolina, Cherish, che di anni ne aveva diciotto e al contrario dei fratelli castani, era bionda cenere.
Era una di quelle belle ragazze timide, che a prima vista non noti, ma che appena inizi a conoscere ti entrano nel cuore in maniera viscerale. Forse era per questo che Juliet ci aveva fatto amicizia in poco tempo diventandone la confidente.
In realtà Juliet era un po’ amica di tutti, e questo a volte la faceva prendere in antipatia dagli invidiosi. Ma lei quasi non ci faceva caso, perché l’invidia non sapeva neanche cosa fosse.
Ad ogni modo ringraziò mentalmente la bionda per aver avvisato Annie.
“Ho sbagliato? Pensi che abbia esagerato?”
Annie quasi la mandò a quel paese quando sentì che l’amica aveva paura di aver sbagliato. La adorava invece, ogni singola parola era stata uno smacco e lui da quel momento l’aveva cercata giorno per giorni, peccato che adesso Annie aveva quasi perso interesse in quel ragazzo che si sentiva il James Dean della sua generazione.
Finirono la chiacchierata a ridere e scherzare e per qualche ora Juls la smise di pensare a tutto. Solo la sera ricordò di dover affrontare altri problemi.
Il telefono non faceva altro che squillare mentre le chiamate di Dan e di Crystal si susseguivano. Non sapeva se dovesse rispondere e a chi. Alla fine decise di affrontare prima lei.
Rispose e dopo pochi minuti di convenevoli, prese coraggio e parlò.
“Crystal… Aspetta, ascoltami. Devo dirti una cosa importante.” Juliet prese un sospiro prima di continuare. “Sai.. prima che ci risentissimo a volte ti pensavo, altre no. E quando lo facevo c’erano volte in cui l atua assenza faceva ancora male perché mi mancavi e mi assaliva la tristezza, perché ti ho sempre amata davvero tanto. Mancavi e..  poterti rivedere, stare insieme a te come i primi tempi mi ha fatto capire il perché. Ma purtroppo quello è il passato. Tu, sei il mio passato e io sono andata avanti, così come hai fatto tu mettendo con Meredith due settimane dopo esserci mollate. Non mi meritavo nulla di quello che hai fatto. E tu non ti meritavi me.
Il problema sai qual è? Alla fine di una storia? Che ti convinci sempre che sia la persona giusta, ma il momento ad essere sbagliato. Invece, mi chiedo ‘e se fosse il momento ad essere giusto e la persona ad essere sbagliata?’
Ho dato l’amore a qualcuno che non se lo meritava quando ero in grado di amare.
Quindi… è finita anche stavolta. Non ti dico: ehi, rimaniamo amiche, ok? So già che non lo faremo, nessuna delle due è in grado di farlo, ma va bene così. Solo… sappi che come ti ho amato io, non lo farà mai nessuna e anche se ti sembra una frase fatta, sai anche tu che è così, perché io ci ho messo il cuore, l’anima, nella nostra storia, mentre tu calcolavi tutto freddamente.
Adesso penserai che ti sto recriminando di cose passate, ma non è così, credimi. Sto solo analizzando tutto per farti capire che la nostra non sarà mai una relazione sana.
Mi ha fatto piacere comunque rivederti. Stammi bene.”
Chiuse il telefono così, senza aggiungere altro, senza aspettare di essere richiamata. Se Nell aveva ragione, sapeva bene che non avrebbe più sentito Crystal per molto tempo ancora. Si sarebbero salutate per strada se si fossero incrociate, ma nulla più.
Come al solito, in quei momenti, prese il pc e fece partire la musica. Come a volerle ricordare quello che era appena accaduto, la sua playlist fece partire la canzone di un gruppo semi sconosciuto che era stata proprio la rossa a farle consocere.
La ricercò su internet e la postò sul social network dove era solita chattare con Dan.

Such a pretty face, but such an ugly mess.
It's a dedication, a dedication.
This is dedicated to you.

Anche se non lo vedrai, anche se non te lo diranno, è per te. Sì, per te.
Io non ho dimenticato, nulla, mai. E ti odio. No, non mi sei indifferente, non lo sarai mai. Eri l'amore, adesso sei l'odio. O forse no, perché quando si tratta di te sono sempre incoerente.
Ma adesso è venuto davvero il momento di dirti addio.
Ti ho amato, tanto, davvero, ma non lo saprai mai perché anche se te l'ho detto, tu non hai mai capito quanto fosse reale.

Aveva iniziato a scrivere pensando a lei, alla fine si era resa conto che aveva in mente Dan.
Riaprì l’ultima chat avvenuta con lui e vide il suo “ma io ti amo” con la risposta di lei e quel cuore. Sospirando, decise che era il momento di dovergli scrivere, di affrontarlo in un modo o nell’altro. 

J: Ti amo anche io, sai? E lo dico davvero stavolta. Sai perché ne sono fermamente convinta adesso? Perché sono incazzata con te,per aver dato il pugno a quel tipo senza spiegazioni, perché ti ho visto mentre ti baciavi con un’altra! Ma ti amo. Sì, ti amo. Non è amore questo? Amarti anche quando dovrei odiarti, anche quando non dovrei stare a rimuginare su ogni segnale ambiguo che mi lanci? Io non so più che fare, forse ha ragione Kate, dovremmo affrontarci, ma non sono sicura di essere pronta ad accettare un rifiuto, se è quello che mi darai.

Chiuse il pc con uno scatto, esausta, rendendosi solo conto in quel momento che era scesa la sera e che Kate la chiamava per cenare.
Il volto della bruna aveva mille espressioni, ma le sorelle non chiesero. Probabilmente la maggiore aveva sentito Annie e Nell, la più piccola Charlotte che aveva parlato con la sorella, quindi poteva immaginarselo. I genitori… beh, loro non si accorgavano mai di nulla.
Finì la cena in silenzio e tornò in camera. Venne raggiunta poco dopo da Ley che le diceva che al telefono c’era Cherish.
Era curioso, credeva che Cherish e Ley avessero degli screzi visto che sembravano entrambe avere una cotta per Mark, il fratello di Joe e cugino di secondo grado della bionda, eppure probabilmente erano lo stesso amiche, troppo buone entrambe per odiare davvero l’altra rivale.
Andò a rispondere e dopo pochi minuti Cherish le chiese dal nulla qualcosa che non si aspettava.
“Ti fanno sempre tanto soffrire, eh?”
“E’ una condizione a cui ti abitui.”
La voce di Juliet sembrava quasi programmata.
“Davvero? Sei abituata alla sofferenza? Al dolore? Tanto da non sentirlo neanche più? Tanto da non sentire più nulla?
A me non sembra. Soffri da cani ogni volta che c’è Dan di mezzo, o Crystal in questo caso. Sì, ho parlato con Annie e… si è lasciata sfuggire alcune cose mentre si sfogava per Joe.
Juliet, ti conosco bene, e sai perché soffri? Perché tu mezze misure non ne usi con i sentimenti. Cioè non ne usi neanche con le persone in effetti, ma quello è un altro discorso.
Dovresti… dovresti semplicemente sfruttarli con chi ci tiene davvero, al momento giusto."
Le sembrava di parlare con Nell.
"Ti odio."
"Ti voglio bene anche io, stupida sentimentale dal cuore rosso."
"Eh?"
Juliet non capì, anche se rideva per il ti voglio bene. Non odiava Cherish, era ovvio, ma di sicuro odiava il modo in cui tutte sembravano così sicure di loro, mentre lei non lo era di nulla.
"Non mi dire che non sai che ognuno di noi ha il cuore di un colore differente!"
"Questa poi. Mi ero fermata al filo rosso del destino io!"
"Bene, allora tu mi spieghi la storia del filo e io dei colori!"
Bastò quello per far risollevare il morale a Juliet, cosicché non appena chiuse andò subito a letto senza pensieri brutti o tristi che le occupassero la mente. Dopotutto doveva anche pensare al ballo organizzato dal Club, e sapeva bene che lì sarebbero sorti latri guai.

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