This isn't a story about love, it's a story about herself. di GirlOnFire (/viewuser.php?uid=45990)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Quello che succede. ***
Capitolo 2: *** II. Come far crollare un mondo. ***
Capitolo 3: *** III. Radici. ***
Capitolo 4: *** IV. Ricordi, rimorsi e rimpianti. ***
Capitolo 5: *** V. Incubi e illusioni. ***
Capitolo 6: *** VI. Ragazzi e risse di alto borgo. ***
Capitolo 7: *** VII. Addii e nuovi inizi. ***
Capitolo 1 *** I. Quello che succede. ***
Spense il computer, con uno scatto e
sbuffò. Perché non
riusciva a contenere rabbia, ansia, sentimenti, tutto?
Perché le veniva così
difficile? Sembrava che tutti ci riuscissero tranne lei.
Chiuse gli occhi e portò le manine alle tempie, a
massaggiarle. Tanti respiri profondi ma questo le causò solo
più nervoso, un
senso di urto immane, come lo
definiva lei. Riaprì gli occhi e tirò di nuovo
fuori l’aria dai polmoni, prese
l’I-Pod che era sulla scrivania con le cuffie già
inserite, creò una di quelle
playlist con un massimo di cinque canzoni, quelle che si sentiva cucite
addosso
in quel momento e allontanò la sedia, alzandosi piano e
dirigendosi verso il
letto. Trascinandosi.
Spense l’abat-jour che le faceva da luce soffusa per tutta
la stanza e che teneva sul comodino e si rintanò sotto le
coperte. Il play
partì in automatico, come un riflesso incondizionato del suo
pollice. Il flusso
dei pensieri fu lasciato libero assieme alle frasi delle canzoni che le
risuonavano come martellate nel cervello, nei polmoni, nel cuore.
Il cuore. Il suo
cuore. Quello che avrebbe desiderato
Juliet per se stessa. Quello che non avrebbe mai avuto.
Non riuscì a dormire per l’ora successiva, pur
sforzandosi,
sentiva ogni minima cosa rimbombarle dentro, così si
limitò a spegnere la
musica e rigirarsi nel letto. Si ritrovò la mattina dopo con
un senso di
angoscia, dovuto agli incubi, le cui immagini le ripassava davanti ad
intermittenza mentre apriva e richiudeva gli occhi di scatto.
Nelle orecchie le sembrava di ascoltare ancora le note della
sera precedente e si affrettò a riprendere in mano
l’I-Pod rimettendo play e
alzandosi lentamente dal letto. Aveva lezione quella mattina, ma
probabilmente
avrebbe fatto tardi. E dire che abitava a pochi passi
dall’Università!
Mandò un messaggio al suo amico. – Tienimi il
posto! Arrivo
tra poco! J. –
Si preparò di fretta, legò i capelli in una
codina di lato,
lasciando libero il boccolo del ciuffo a ricaderle davanti, proprio
come
piaceva a lui, e con le forcine tenne fermi quei ciuffetti dietro che
non
stavano nella coda. Arrivò così, per il rotto
della cuffia prima del docente, e
andò a sedersi assieme tra Claudio e Giacomo, i suoi
compagni di avventure in
quegli ultimi due anni.
Due anni. Com’era cambiata in due anni? Tanto, forse troppo,
o forse solo in parte rimanendo la ragazza dolce ma con carisma. No, il
carisma
prima non esisteva, non sapeva neanche cosa fosse.
Cosa l’aveva cambiata? La morte della migliore amica forse,
avvenuta proprio due anni prima, poco dopo aver iniziato
l’Università, e dire
che volevano prendere casa assieme. Se l’avessero fatto forse
lei sarebbe
ancora viva, al sicuro, al suo fianco.
L’aveva cambiata l’ex ragazzo, facendole capire che
le
persone non sempre mantengono le promesse come faceva lei, che le loro
parole
il più delle volte erano dette solo per compiacere
l’altro, ma doveva
ringraziarlo. L’aveva fatta crescere e maturare anche, le
aveva insegnato a
parlare di tutto visto che lui era molto colto, peccato che molti dei
suoi
erano solo giri di parole e arabesque che abbellivano il tutto, lei
invece era
fin troppo pratica. Concisa e diretta, arrivava al punto, a volte in
maniera
letale, così come quando lui la lasciò al
telefono. Un messaggio e addio. Oh,
gliela fece pagare eccome.
Una gravidanza inaspettata giocò a suo favore,
l’aborto fu
la parte che la distrusse, così come il menefreghismo di lui.
Andando avanti, credendo che ormai non bastasse più colla a
rimettere in sesto i pezzi di se stessa,
che non bastasse più il filo nell’ago
per rattoppare il cuore, si rimise
in sesto continuando per la sua strada. Cambiata anche dalla gente che
aveva
conosciuto in quei due anni che volente o nolente le aveva lasciato
qualcosa di
loro.
Venne ripresa dalla voce di Claudio che le faceva vedere una
delle sue caricature. Rise e scostò il boccolo dal viso,
portandolo dietro l’orecchio,
lo sguardo vacuo rispetto al sorriso aperto.
‘Il
tuo sguardo è la tua
anima. Rispecchia te stessa.’
A volte aveva ancora quelle parole in
testa, quella
vecchietta che l’aveva fermata quando entrò in una
chiesa a vedere una mostra.
Le aveva preso una mano e le aveva detto quelle parole, continuando:
“Quanta
tristezza, agitazione, dolore, per una ragazza così
giovane.”
Le rimasero impresse, marchiate sulla pelle, quelle parole.
La verità sconcertante. Scappò fuori alla ricerca
di aria dopo che l’anziana
signora le aveva lasciato la mano.
“Il modo in cui ti distrai
è impressionante!” La voce di
Giacomo ridotta ad un sussurro nel suo orecchio la ridestò
nuovamente. Se
Claudio era sempre allegro, forse superficiale, e burlone, Giacomo era
l’opposto,
serio e grande osservatore, studiava tutto e tutti.
Sorrise di nuovo, Juliet, quasi colpevole dell’essere
scoperta, come se adesso fosse alla mercé del suo amico,
come se lui potesse
vedere i suoi ricordi. Si sentì violata solo per un momento
per poi ricordarsi
che era pressoché impossibile leggerle la mente. Rincuorata
da quel pensiero si
decise a parlare.
“E’ che oggi arriva il mio migliore amico e sono
eccitatissima!”
Suonava forse da ragazzina quella frase, ma a Giacomo bastò
per
fargli sfuggire un sorriso vedendola finalmente contenta mentre Claudio
si impressionava della curva delle labbra assunta dal collega.
Iniziarono a
scherzare tra loro, cercando di non disturbare il resto della lezione,
finchè
dimenticarono di stare in aula e vennero buttati fuori.
Chiusero le porte dell’aula e scoppiarono a ridere. Fortuna che ho loro, pensò
Juliet.
Andarono a fumare una sigaretta insieme e poi si separarono. Prese il
lettore
dalla borsa, assieme alle chiavi e tornò a casa.
La prima canzone le rimbombò nelle orecchie e si
ricordò perché
si distraeva in continuazione quel giorno. Maledetta musica.
Entrò in casa facendo girare la chiave nella toppa e
salutò
le coinquiline. Di mangiare non se ne parlava, aveva bisogno di stare
sola. In
realtà mangiare quando stava lì per quattro
giorni la settimana le sembrava
quasi un optional da non stare troppo a contemplare. Faceva un pasto
frugale al
giorno, il pomeriggio o la sera.
Si rintanò in camera, com’era sua abitudine ed
accese il pc,
controllo mail, messaggi e poi andò dritta a studiare,
mentre la mente era
ancora in altri posti. Non si rese neanche conto che si era
addormentata sul
libro di Letteratura Italiana finché non bussarono alla sua
porta.
Dio! Alex!
Il suo migliore amico era alla sua porta,
chiusa dietro di lui, già in camera. Notò con uno
sguardo rapido che aveva già
sistemato la valigia e messo le lenzuola al letto accanto al suo. Come ho fatto a non accorgermi di nulla??
Si alzò dalla sedie e gli fece le solite moine: baci,
abbracci, una scossa ai capelli e un sorriso grande. Chi voleva
prendere in
giro? Gli altri, comuni mortali, si sarebbero di certo lasciati
abbindolare, ma
non lui.
“Che succede piccola?”
Che succede? Che
succedeva? Juliet non aveva una risposta
pratica. “Non lo so.”
Ogni suo ‘non lo so’ era come una pugnalata per chi
teneva a
lei, si sapeva che quelle tre parole dette da lei erano un misto di
emozioni e
pensieri inespressi, che forse neanche lei sapeva dargli il giusto
nome. Sapeva
però collocarli.
Illusioni. Amore. Problemi. Odio.
Quella la collocazione di ogni suo pensiero razionale e non
in quel momento, e due persone a coronore il tutto: un lui e una lei.
“Sai che qualche
volta dovresti spegnere il cervello?”
Le braccia di lui andarono alla vita sottile di Juliet,
abbracciandola da dietro.
“Mi piacerebbe anche spegnere il cuore.”
Istintivamente, a quelle semplice frase, che semplice non
era, l’abbraccio si strinse di poco. Alex sapeva cosa
intesse. Non voleva
realmente spegnere il suo cuore e
lasciarsi morire, no. Voleva solo una tregua dall'amore.
Ma
si puo' davvero trovare tregua con un sentimento così
forte?
L’amore la distruggeva, la
dilaniava pezzo per pezzo, perché
lei era una di quelle persone che amava davvero, senza niente da volere
in
cambio, forse qualche attenzione, un paio di sorrisi, ma nulla di
più.
Alex le piazzò un bacio sulla fronte.
“Shopping è quello che serve!”
L’occhiolino e la parola ‘shopping’ le
fecero ricordare che
se quel ragazzo non fosse stato assurdamente gay, se lo sarebbe portata
a letto
da anni, e sarebbe stata una gran bella storia d’amore.
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Capitolo 2 *** II. Come far crollare un mondo. ***
Le aveva detto che non aveva fame, ma
Kate, la sorella
maggiore, era testarda quasi quanto lei, se non di più. Si
ritrovò così in
cucina a pranzare con le due sorelle e la madre, cercando di ingoiare
ogni
boccone pur di non doversi subire le occhiatacce della ragazza che
aveva i suoi
stessi capelli corvini.
Un paio d’ore combatteva con il tenere il pranzo dentro lo
stomaco, ma quando andò in bagno non ci riuscì e
si ritrovò con il viso troppo
vicino alla tazza del wc. Buttò tutto fuori.
Si mise a sedere, con le spalle al muro, sentendo il freddo
delle piastrelle del bagno dietro di lei, cercando di ritrovare un
attimo di
sollievo. La gola le bruciava e avrebbe voluto far passare quel dolore
all’istante, ma non riusciva. Cerco così di
alzarsi, portarsi al lavabo e
lavarsi i denti, sciacquarsi il viso magari.
Juliet sapeva di sembrare uno zombie non appena riaprì la
porta, non si aspettava invece lo sguardo indagatore di Hayley la
sorellina,
quella che lei aveva sempre voluto proteggere quando invece succedeva
il
contrario. Quella ragazzina era troppo furba e schietta per essere una
diciassettenne! Resse il suo sguardo e la sorpassò con fare
tranquillo mentre tornava verso
la camera sua.
Erano passati tre giorni da quando aveva visto Alex e
sembrava che tutto fosse tornato come prima, normale. Ma in
realtà cos’era
normale per lei? Accantonare i pensieri, cercare distrazioni.
Allontanarsi dai suoi
veri problemi facendo vinta che non esistessero, ecco cosa era normale per lei. Ma a casa non aveva
Alex a distrarla, no, aveva le sorelle che cercavano di analizzarla,
proprio
come stava per fare Ley.
Dire che Kate e Hayley erano così diverse tra loro, ma fin
troppo simili a Juliet pur non volendolo ammettere. Magari non si
assomigliavano fisicamente se non per qualcosa, ma caratterialmente
erano fin
troppo uguali. Juliet sembrava addirittura quasi la fusione tra le due,
avevo
preso il meglio e il peggio di entrambe e racchiusi nel suo animo.
Non appena si richiuse la porta alle spalle si mise al pc e
iniziò a leggere le prime righe di un libro che aveva
trovato in pdf. Si
concesse perfino un goccio d’acqua vista l’arsura
della gola. Ma quell’attimo
di solitudine sembrò svanire non appena sentì i
piccoli tocchi delle nocche della
sorellina contro la sua porta.
Voleva evitarla perché sapeva che evitandola avrebbe anche
evitato i suoi problemi, così collegò le cuffie
al pc e fece partire la
riproduzione casuale, senza dargli troppa importanza. Se fosse entrata
l’avrebbe vista con le cuffie e Juliet avrebbe ancora avuto
la scusante della
musica troppo alta che non le avrebbe permesso di sentire
alcunché.
Ma sentiva eccome invece, la musica era talmente bassa che
potè ascoltare la voce roca di Kate: “Si
è chiusa di nuovo in camera con la musica a palla
vero?”
Come si sbagliava.
“Credo di sì… Oppure ci sta
evitando…”
Gli occhi nocciola, quasi dorati, di Juliet rotearono.
Perché
doveva essere così astuta sua sorella?
“Mi sa che hai ragione Ley.. Cosa vuoi fare?”
“Parlarci. Adesso. Entrambe.”
Oltre ad essere
astuta, quella ragazzina, era fin troppo risoluta.
Probabilmente se non
fossero state le sorelle, le sue migliori amiche, le sue confidenti
più
accorte, le avrebbe odiate.
Non ebbe modo di bloccare il loro ‘attacco’, che le
due
entravano in camera sua. Non si girò neanche a guardarle, ma
si affrettò ad
alzare di botto la musica fino a farle sanguinare le orecchie e quasi
le
ringraziò quando gliele tolsero.
“Ehi!”
Indignata,
fingendo, le rimproverò. “Cosa diavolo pensate di
fare? Non si può più
ascoltare musica in santa pace in questa casa?”
“No.” La maggiore le rivolse un sorriso. A volte
sembrava
che lo facesse apposta, solo per farla innervosire di più.
La calma e la
tranquillità che aveva nel negare le cose o nascondere i
suoi stessi sentimenti
la infastidiva più di ogni altra cosa, perché a
volte la faceva sentire una
nullità senza che se ne accorgesse davvero.
Nel frattempo Ley ssi era seduta sul materasso aspettando
che la raggiungessero le sorelle. Juliet sbuffò e si
alzò, ritrovandosi ai lati
le due ragazze.
“Che c’è…?”
Hayley parlava poco solitamente, stava quasi sempre in
disparte, ma quando lo faceva usava un tono a cui non riuscivi a
resistere.
Adesso avevo usato quello del: ‘ti prego Juliet, mi sento
morire mentre fingi
di stare bene quando so, quando sappiamo tutti, che stai morendo
dentro”. Come
riuscivano ad essere così connesse a lei, ancora non
riusciva a spiegarselo,
sapeva solo che a volte quelle irruzioni che all’inizio la
irritavano,
diventavano i suoi salvavita.
“Io sono… confusa, ecco.”
L’ultima volta che aveva detto una cosa del genere
c’era
solo Kate che le spiegava che era normale fare
“certi” pensieri, “certe”
esperienze, che anche lei lo era stata, ma le consigliò di
capire bene prima di
professarsi qualcosa.
L’ultima volte
che aveva sentito una cosa del genere, a dirla era proprio la minore.
Alla fine
si aiutarono a vicenda capendo che quel ‘qualcosa’
veniva definito
bisessualità.
Le sorelle la guardarono un attimo confusa, finchè Kate
sospirò.
“Non sai chi scegliere, eh?”
Le sorelle sapevano che c’era questa ragazza, Ginevra, che
le veniva dietro e con la quale usciva. C’era scappato anche
qualche bacio tra
le due in realtà e un ti amo della rossa sussurrato alla
mora.
“Ti
amo, lo sai, vero?”
“Sì, l’ho sempre
saputo.” Juliet sorrise alla rossa e continuò a
camminare mano nella mano con
lei, mentre sentiva un macigno posarsi sul suo petto. Quella sera,
tornata a
casa, si buttò a letto e pianse tanto pensando a quanto
fosse orribile come
persona. A quanto sapesse fingere un sentimento come l’amore,
illudendo la
ragazza che l’amava davvero.
Sospirò
e negò con il capo. Sentì la mano di Ley posarsi
sulla sua e la testolina di lei posarsi sulla sua spalla. Quello era il
modo
della sorellina per dirle che qualunque scelta avesse fatto, qualunque
cosa
fosse accaduta, lei ci sarebbe stata per lei.
Kate era diversa in questo, preferiva dirle le cose che
esprimerle, forse perché le veniva più facile.
Proprio come con quella domanda.
“Lei è… è dolcissima, bella,
coccolosa quasi. Ma lui.. mi
riempie la testa. Ogni pensiero, ogni volontà di fare
qualsiasi cosa, viene
annullata se c’è lui di mezzo. Cose se il mio
mondo gli girasse attorno, e Dio
se so che è sbagliato, ma non ci posso fare nulla.”
Buttò fuori quelle parole, sapendo di fare torto a Ginevra,
ma seppur sentendosi legata alla rossa, lei sapeva anche di essere
completamente persa del migliore amico della sorella maggiore, Daniel.
Fu la volta di Kate di sospirare, chiudendo gli occhi e
massaggiandosi le tempie. Quante volte l’aveva persuasa a
distrarsi? Adesso il
suo consiglio sembrava ritorcerle contro.
“Ne sei davvero sicura?” Kate aveva paura della
risposta.
“Sì, ho passato mesi a pensare che fosse solo una
cotta passeggera,
distraendomi con Pièrre e sembravo esserci riuscita,
finchè non ho conosciuto
Gin e lui mi era accanto mentre avevo problemi con Pièrre e
frequentavo Gin e
poi abbiamo iniziato ad uscire assieme e… c’era
qualcosa nei suoi occhi, nei
suoi abbracci… Tutto era cambiato… e..”
“Te ne sei innamorata senza sapere come, vero?”
Hayley prese
la parola e Juliet non potè far altro che annuire,
abbassando il capo,
sentendosi colpevole.
L’avrebbe dovuto capire già quando stava con
Pièrre e
uscivano con Daniel e Kate. Sembrava sempre più felice a
parlare, abbracciare,
stare accanto a Dan che il suo ragazzo, ma sembrava davvero innamorata
di quel
ragazzo dagli occhi azzurro cielo.
In realtà Juliet sembrava sempre essere realmente
innamorata per poi
scoprire che in realtà riusciva ad amare i primi tempi e
basta. Forse erano le
persone che la facevano stancare, ma lei da parte sua non riusciva a
lasciarle
e quindi soffriva e faceva soffrire in un rapporto a senso unico che si
trasformava poi in un rapporto dove nessuno dei due voleva realmente
stare.
Alla fine si era lasciato con quel ragazzo con la scusa di
Gin, quando in realtà lo faceva più per chiarirsi
le idee e capire cosa provava
per Daniel, ma Juliet sembrava non dare tempo al suo cuore che stava
già
complicando le cose con la ragazza dai capelli corti e rossi che alla
fine
iniziò ad illudere.
L’unica speranza per Juliet adesso, era che Dan non si
innamorasse e non facesse innamorare nessuna di lui.
“Che devo fare…?”
“Nulla, si sta vedendo con una.”
Kate si alzò e uscì dalla stanza come nulla fosse
mentre lei
rimaneva pietrificata, gli occhi sgranati e la bocca spalancata, come
riflessi
incondizionati.
Il mondo le era crollato addosso e quasi non sentiva le
braccia di Ley stringersi attorno a lei, sussurrandole qualcosa
all’orecchio.
Non era più nella sua camera, non aveva nessuno attorno.
Nella sua mente, Juliet era nel nulla, nel limbo. Si librava in aria,
tra le
nuvole, in caduta libera in un cielo infinito e il suo cuore aveva
quella
bruttissima sensazione che ha quando sei sulle montagne russe, nel
punto più
alto e sai che stai per cadere e ti senti morire.
Sì, Juliet si sentiva
morire.
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Capitolo 3 *** III. Radici. ***
Era quello
il mio
problema, piangevo. Piangevo troppo, sempre. Bastava una frase, di un
libro,
una canzone, detta da qualcuno per me che contasse e mi ritrovavo a far
scendere lacrime sulle guance.
Avevo iniziato quand’ero
nata, proprio come tutti i bambini, è quello che in fondo
segna che il neonato
è vivo, il mio problema era che non sono mai riuscita a
fermarlo quel pianto
disperato.
Avevo continuato da
piccola, capricciosa com’ero, avevo imparato che se versavo
un po’ d’acqua
salata ottenevo ciò che volevo, poi alle medie se piangevo i
ragazzi mi
venivano vicino e mi confortavano. Al liceo potevo semplicemente
evitarmi
qualche interrogazione scomoda. Avevo imparato che con il pianto sapevo
anche
fingere qualche dolore, qualche problema.
Avevo imparato a
recitare alle elementari, nelle recite scolastiche. Avevo continuato
con le
amiche nei giochi dove si doveva impersonare qualcuno. Da allora le
maschere
non erano più state un problema, le scambiavo
così facilmente che dimenticavo
che nel fondo c’ero io, la mia vera natura, essenza, anima.
Sbuffai e asciugai l’ultima
lacrima mentre pensavo a quelle cose. Avevo smesso non appena finito il
liceo
di indossare maschere. Avevo smesso per me stessa, avevo smesso per chi
amavo
veramente.
Alcuni sono scappati
dopo aver visto com’ero davvero, altri sono rimasti
affascinati dal mio vero
io, altri ancora invece sono rimasti sulle loro prima di capire che ero
una di
quelle persone che una volta che ci entri in contatto, ti entrano
dentro.
Io metto radici. Le
metto nel cuore, nel cervello, nelle mani delle persone. Le metto in
loro, ma
pochi riescono a metterle in me. Forse perché io sono come
un’ape. Ricordo che
quel paragone lo aveva fatto Nelly, sorrisi a pensare al nome
– le mie due più
care amiche di infanzia lo avevano uguale.
“Sei come un’ape tu. Passi di fiore in fiore e ci
rimani il
tempo di fargli godere della tua presenza. Se saranno fortunati gli
prenderai
il polline delicatamente, ma se non lo saranno… potresti
rovinare i loro petali
con il tuo pungiglione affilato.”
C’avevo messo un po’per
capire cosa realmente volesse dire quella frase. Ci arrivai solo la
mattina
dopo, nel mio letto, proprio dov’ero adesso.
I fiori sono le
persone, il polline i loro mali che cerco di portare a galla ed
eliminare una
volta per tutte per alleggerirli o farmene carico io stesso. Ma era
l’ultima
sentenza a farmi paura. Il mio pungiglione, il mio veleno da scagliare
contro
colore che mi volevano schiacciare, che mi volevano uccidere. Coloro
che non
avrei esitato a colpire di rimando.
Pensando a tutte
quelle cose avevo persino dimenticato l’incubo che mi aveva
fatta svegliare
piangendo. Come se fosse una cosa
inusuale per me.
C’erano mattine che
trovavo la mascherina che usavo per dormire umida, altre zuppa. Proprio
come
quel giorno, eppure la sera prima…
Flashback:
Era rimasta sveglia fino alle 3.07
solo per lui, stava per
spegnere il pc quando la chat trillò. Era lui.
In realtà poteva anche immaginarselo che mezz'ora dopo che
Kate rientrasse, lui l’avrebbe cercata in chat, lo faceva
sempre.
Era ubriaco. Avevano parlato del più e del meno per un'ora e
lui se n'era uscito con qualcosa che lei stentava a leggere.
D: Ma io ti amo!
J: Sì, tesoro, ok AHAHAH
D: Sono serio u.ù
E in cuor suo sperava che lo fosse
realmente, e poi com’era
il detto? Quando si è ubriachi si tende a dire la
verità? Oppure no. Sospirò e
alla fine stremata, dopo un’ora a parlare con lui lo
salutò.
J: Anche io. Buona notte Dan.
Gli fece un cuore e spense il pc
mordendosi il labbro.
L’indomani lui avrebbe letto e lei sarebbe stata nei guai.
Fine
Flashback.
Juliet sbuffò sonoramente
e si rigirò dall’altre parte,
scostando quella mascherina che ogni sera la chiudeva dalla luce del
mondo
esterno e cercò di scacciare i pensieri della conversazione
della sera prima.
Aveva quasi paura a prendere in mano il telefono e leggere gli sms.
Aveva paura
ad accendere il pc per vedere se aveva qualche messaggio lì.
Un senso d’ansia la pervase e si mise supina, massaggiando
le tempie e sfregando gli occhi. Se quello era il suo inizio di
giornata si
aspettava una conclusione da film dell’orrore.
Si costrinse ad alzarsi e notò solo allora che la casa
dormiva. Erano le 5:00 del mattino e lei si era svegliata per un
incubo,
piangendo.
“Ma tu guard-“. Avrebbe imprecato in tutte le
lingue del
mondo se avesse potuto, ma si costrinse a stare zitta. Parlare da soli
le
sembrava un gesto
di pazzia, e a lei
mancava solo quella.
Andò prima al bagno e si sciacquò anche il viso
con dell’acqua
ghiaccita, andò poi in cucina e prese l’acqua
–ripensandoci forse era il caso
di prendere il latte – e lo trangugiò direttamente
dalla bottiglia. Tornò in
camera, ma nel momento in cui apriva la maniglia le venne in mente
un’idea,
folle, ma che doveva assolutamente fare.
Prese i vestiti dal suo armadio e tornò in bagno, cercando
di fare meno rumore possibile fece una doccia, tamponò i
capelli in un
asciugamano e si rivestì. Fece trovare tutto al suo posto,
così come aveva
trovato e tornò in cucina già vestita.
Preparò la colazione per tutti, cercando
di perdere tempo e poi tornò in camera a fare la borsa.
Era arrivato di prendere il cellulare in mano. Nessuna
chiamata, nessun messaggio. D’altronde era andata a letto
tardi e si era
svegliata prestissimo, avrebbe dovuto sapere che non avrebbe mai
trovato nulla
ad attenderla. Sospirò, quasi sollevata per poi ricordarsi
che la giornata era
ancora lunga.
Alle 7:00 quando sentiva le prime sveglie decise di scrivere
un biglietto per spiegare che andava da Alex e
poi avrebbe mangiato con lui e Nelly, entrambe visto che
condividevano
un appartamento in centro, e probabilmente sarebbe rientrata in tarda
serata a
meno che non fosse rimasta a dormire dalle amiche. Al pensiero
preparò un
piccolo zaino con una maglietta per il giorno dopo, qualcosa per la
sera, il
pigiama e l’essenziale per rimanere fuori a dormire.
Andò a prendere le scarpe dallo scaffale e infilò
dei tacchi
nello zaino, lasciò il biglietto in cucina e
sgattaiolò fuori prima che i suoi
aprissero la porta della camera da letto.
Prese lo scooter della sorellina e sapeva che Kate sarebbe
stata costretta ad accompagnarla a scuola, ma meglio quello che se le
avesse
preso la macchina.
Sfrecciò in direzione di casa di Alex e mise il vivavoce al
cellulare mentre lo chiamava, sapendo che era sveglio, pronto per
prepararsi ad
un’altra tediosa giornata scolastica, giornata che lui non
avrebbe affrontato.
Non oggi, almeno.
“Cazzo.. rispondi.”
Juliet stava di nuovo imprecando, proprio come appena
sveglia, ma fortunatamente stavolta le sue
‘preghiere’ vennero esaudite. Una
voce gracchiante all’altro capo del telefono:
“Pronto…?”
Il sonno gli impastava la voce, se fosse stato ancora a
letto l’avrebbe potuta uccidere, lei lo sapeva bene.
“Alex, oggi niente scuola. Fatti trovare alla fermata del
bus, così hai l’alibi con tua madre, ti aspetto
lì. Al…ho bisogno di te.”
Bastavano quelle quattro parole, con un tono di voce
afflitto, amaro che lui aveva chiuso la chiamata. Risponderle? Perdita
di
tempo. Si conoscevano talmente tanto che quel telefono chiuso in faccia
sapeva
che poteva solo significare che lui si era prontamente alzato dal suo
letto e
allontanato da Morfeo per prepararsi in tutta fretta e correre da lei.
Mezz’ora dopo lo aspettava alla fermata. Dieci minuti dopo
che lei era arrivata, lui le dava un bacio in fronte, metteva il casco
che
Juliet le porgeva e prendeva in mano la guida dello scooter mentre lei
gli
teneva stretti i fianchi. Non che avesse paura, solitamente non si
aggrappava a
nulla, ma quel giorno ne aveva bisogno.
Tra i due anche chiedere ‘dove si va?’ sembrava
superfluo,
ed ecco che Alex, facendo inversione ad u, scappava via dal suo paesino
e
tornava in città portando a fare colazione la sua migliore
amica. Juliet sbuffò
quasi quando si ritrovò davanti al bar che aveva frequentato
ogni mattina per
cinque anni prima di salire le scale ed arrivare in una stanza del
secondo
piano del suo liceo. Alex rise e ripartì sfrecciando verso
il centro e lei
sorrise lasciando un bacio tra le scapole del ragazzo, un gesto per
ringraziarlo.
Juliet con lui era sempre molto restia, forse in realtà lo
era con tutti ma non voleva ammetterlo perché questa sarebbe
stata solo un’altra
cosa da aggiungere a quell’infinita lista di difetti che si
era affibbiata.
Ogni volta che faceva un gesto come quello sapeva che il
ragazzo l’avrebbe abbracciata e mai più lasciata,
per la gioia.
Si fermarono in un bar del centro e Alex aveva un sorriso
più largo e Juliet non fece altro che sorridere di rimando.
“Bello sto sorriso dipinto.”
Rise e girò la testa di lato, sospirando, guardando a terra.
Gli rivolse di nuovo lo sguardo. “Odio il fatto che tu mi
conosca, lo sai? Il
fatto che tu riesca a leggermi negli occhi come se avessi i pensieri in
bella
vista, alla mercè di tutti.”
“Ehi, io non sono tutti!”
Indignato Alex aprì il menù e lei rise di nuovo,
sinceramente. Ordinarono i soliti cornetti – nutella bianca
per lui, marmellata
di albicocche per lei – il cappuccino e il caffè.
“Come fai a non berlo, dio santo? Tu sei una di quelle
ragazze strane cara mia!”
Detto da lui, strana,
non le dispiaceva, forse perché disadattati lo erano un
po’ entrambi, o
semplicemente ci si sentivano.
Consumarono la loro colazione senza prendere l’argomento.
Solo a metà mattinata, quando si sedettero sulla loro
panchina, ai giardinetti,
mentre lui guardava il sole tra le fronde della quercia dove ci avevano
inciso
le loro date più importanti e i loro nomi, lei
parlò.
“Gli ho detto ti amo.”
Alex sussultò e la guardò, puntando il suo
sguardo nel
profilo di lei. No, non l’avrebbe affrontato quello sguardo,
non ne sarebbe
stata capace. Non c’era giudizio, ma l’avrebbe
squadrata, l’avrebbe spogliata e
lei si sarebbe sentita indifesa. Adesso, non poteva permetterselo.
Egli sospirò e
tornò
a guardare le fronde. Chiuse gli occhi e fece la domanda che si
aspettava.
“Lei, illudendola? O lui?”
Non le dava fastidio l’illudendola.
Le dava fastidio che con lui non avesse detto nulla.
Gli raccontò la conversazione e lui sospirò
sonoramente,
giusto nel momento in cui la suoneria di Juliet si spandeva
nell’aria.
Daniel. Chiuse gli
occhi e si voltò a guardare Alex. Un’occhiata
disperata, mentre il peso nel suo
cuore sembrava più pesante.
Rimasero immobili, per quello che a Juliet sembrò un tempo
indefinito mentre sapeva bene che erano i due minuti standard della
chiamata
senza risposta. Alex la abbracciò e la cullò
tenendosela stretta, cercando di
calmarla, confortandola. Ma non c’era nulla che nessuno
avrebbe potuto fare per
posticipare la telefonata.
Daniel provò a richiamarla altre quattro volte. Non rispose
a nessuna. I messaggi? Sette. Non li controllò.
Chiamò le ragazze per far sì che la
raggiungessero a pranzo
e accompagnò Alex a casa.
“Ehi… Fammi sapere, ok?”
Non era quello che le voleva dire, ma se lei non dava
parecchie dimostrazioni d’affetto, lui invece era il tipo che
le parole se le
teneva per sé.
La ragazza annuì piano e sfrecciò di nuovo verso
il centro
pronta ad incontrare le sue amiche.
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Capitolo 4 *** IV. Ricordi, rimorsi e rimpianti. ***
Mi chiamo Juliet
Bennett.
Ho da poco compiuto 20 anni.
Sono nata a Brighton e tuttora ci vivo.
Sono stata ferita
troppe volte.
Mi feriranno ancora.
Juliet aprì piano gli
occhi mentre cercava di attivare il cervello
per capire il senso di quelle frasi che si stava ripetendo senza
accorgersene, finchè
con gli occhi non scorsi il libro che stavo leggendo in quei giorni. ‘Ci manca che mi mandino in
un’arena a farmi
ammazzare con altre 23 persone e siamo apposto.’
Pensò che nei panni dell’eroina
di quel libro non ci si sarebbe proprio trovata bene. Forse si sarebbe
offerta
volontaria per Kate e Hayley, ma poi si sarebbe rifugiata tra le
braccia dello
sfortunato ragazzo del suo stesso distretto.
Ad ogni modo doveva capire perché si era alzata in un letto
che non era il suo, così come la stanza in cui si trovava
non era la sua, finchè
non si accorse di Nelly dormire nel letto a fianco al suo e Nell che
entrava
nella stanza cercando di non fare rumore.
Doveva aver appena fatto la doccia visto che aveva un
turbante a coprire i lunghi capelli corvini.
Quelle due in comune avevano solo il nome, ecco perché alla
mora toglieva sempre la ‘y’ dal nome,
così da distinguerla dalla ragazza dai capelli
biondo cenere accanto a lei, che si stava lentamente svegliando.
La sera prima Juliet e le sue due migliori amiche avevano
fatto tardi, andando a ballare e continuando a bere e fumare nella
camera degli
ospiti delle due, che condividevano un appartamento in centro.
Dal mal di testa che aveva la mora, dovette ammettere che
non c’era andata giù leggera la notte precedente,
di sicuro nessuna di loro tre
l’aveva fatto. Ognuna per
un motivo
diverso.
Juliet cercò di alzarsi e rimettersi in piedi salutando con
la mano Nell che prendeva l’asciuga capelli e che le
sorrideva tranquillamente,
lo stesso gesto che rifece a Nelly che sfregava gli occhi per riuscire
a
svegliarsi.
Si sarebbero ritrovate tutte e tre in cucina, poco dopo,
adesso però la mora che si era alzata e si stava
stiracchiando emettendo strani
versi, sentiva solo il bisogno di infilarsi in uno dei due bagni
dell’appartamento,
svuotare la vescica e fare una doccia che la liberasse da quella puzza
di fumo
mischiato all’alcool.
Le ci volle solo l’acqua calda a bagnarle i capelli per
riportare in vita pezzi di conversazione della sera prima.
“Sei
sicura che non
sia una delle tue solite sbandate? E poi non frequentavi quella
biondina… com’è
che di chiamava?”
Nelly cercò lo sguardo
di Nell che le ricordava il nome della biondina in questione, mentre io
sbuffavo.
“Mani che tremano,
rossore sulle guance e farfalle nello stomaco non appena gli parlo, che
sia una
stupida chat o un telefono o di persona. Primo pensiero al mattino
e… anche l’unico
nome che gemo quando mi masturbo.”
Le due ragazze
scoppiarono a ridere mentre io roteavo gli occhi.
“L’autoerotismo fa
bene alla salute…?” Non ero molto certa di quella
frase, ma ero quasi arrivata
al mio limite di alcool e quindi ci stava che sparassi qualche cavolata
di
troppo.
“Bacialo.
Che ti
frega? Un giorno che siete soli prendi e lo baci.” Nelly era
quella pratica, ma
neanche Nell scherzava.
“Jù… Non possono
essere solo tue fottute seghe mentali, ok?” La cosa la faceva
incazzare, il
fatto che io mi sminuissi sempre, che davo la colpa ai miei sogni da
ragazzina
che forse ingigantivano la realtà quando così non
era.
“Non lo sono. Ok?
Cazzo, potrei parlare con tua sorella e farmi dire come
si comporta con le altre e si renderebbe
conto anche lei che non è normale che tenere la mano la
sorella della propria
migliore amica non è normale, o starle appiccicato come un
orso al barattolo di
miele. Per non parlare del ti amo detto da ubriaco. Jù,
porca troia, svegliati.
Quelle cose non si fanno o si dicono a tutte.”
Lavò
via lo shampoo dai capelli e il sapone dal corpo mentre
rimuginava sulle parole dell’amica d’infanzia.
Forse avrebbe dovuto seguire il consiglio di Nelly e
baciarlo davvero, magari lui si sarebbe finalmente reso conto di quello
che
aveva davanti.
Sì, l’avrebbe baciato.
Uscì dalla doccia con quel pensiero in testa e
ritrovò le
amiche a colazione, mentre gli comunicava la bella notizia.
“Botta di vita!” Scherzò Nelly,
sdrammatizzando il tutto
come suo solito.
“Beh, direi che era ora, no?”
Nell la inchiodò con lo sguardo e Juliet le sorrise sincera,
mettendo a tacere entrambe le amiche che da quel sorriso capirono che
era finalmente
decisa a farlo davvero.
Peccato che la felicità provata quella mattina
svanì non
appena uscì da casa delle sue due migliori amiche.
Camminando lungo la via del
centro si imbatté in Dan e stava per salutarlo quando una
ragazza dai capelli
arancioni gli gettò le braccia al collo e lo
baciò appassionatamente.
Probabilmente se la ragazza avesse avuto qualcosa in mano,
le sarebbe caduto all’istante. Invece si ritrovò a
immobilizzarsi, come se non
potesse muoversi perché aveva messo radici.
Le ci volle tutta la concentrazione di questo mondo per
riuscire, passo dopo passo, a raggiungere una viuzza secondaria per
togliersi
quei due che si mangiavano la faccia a vicenda dalla mente. Imboccata
la strada
iniziò a correre a più non posso, come se non ci
fosse un domani, come se
arrivata allo scooter avesse un ancora di salvezza. Ma sarebbe stata in
grado
di guidare in quello stato di shock?
La risposta la ebbe non appena alla prima curva stava per
sbandare. Si fermò un attimo e sospirò,
componendo il primo numero che le venne
in mente in quel momento, quello che non avrebbe mai dovuto chiamare.
Il suo numero.
Lei, si chiamava
Summer. Si erano conosciute ad un concerto dove suonavano degli amici
comuni e avevano
iniziato a parlare, o meglio a provocarsi a suon di battutine
finchè non
avevano testato per bene la stronzaggine dell’altra, solo
allora si strinsero la
mano e si presentarono.
Quella stretta ebbe un forte impatto sulle due, ma mentre
Summer capì che era stato un colpo di fulmine, per Juliet le
cose erano
diverse. Lei aveva una ragazza che l’attendeva a casa,
Crystal, e aveva intuito
che già le cose tra loro non andavano bene per via
dell’avvicinamento con Dan.
Dopo quattro cocktail, un paio di birre e tre shots però
aveva dimenticato la rossa Crystal e gi occhi camaleontici del bel
ragazzo.
Ricordava invece la mela verde del lucidalabbra della ragazza da quelle
labbra
soffici e carnose che premevano contro le sue, la sua lingua che
spingeva per
entrare dentro la sua che si schiudeva carezzando quella stessa lingua
con la
sua.
Ricordava le mani di lei intrufolarsi dentro la sua
maglietta che vagavano fino a stringere i suoi abbondanti seni tra le
mani.
Ricordava di come la sua mano si
infilava sotto la gonna della bionda che stava baciando, stuzzicandola
e
provocandola con le dita. Ricordava di come quella sveltina contro il
muro in un
vicoletto buio vicino al bar fosse stata la più eccitante
della sua vita e di
come per lei la cosa si sarebbe chiusa lì.
Per lei. Non per
Summer.
Dopo quell’avvenimento Juliet chiuse con Crystal, trovando
nel tradimento solo la scusa per mollare la rossa per la quale aveva
dato
tutto, che aveva amato dal primo all’ultimo giorno, perfino
nel momento in cui
l’aveva lasciata. Aveva riso, pianto, era stata malissimo per
quella ragazza
così particolare ma che in un certo senso riusciva a
renderla felice nel
dolore. Ma Juliet era arrivata al limite quando ebbe compreso che il
dolore
stava superando l’amore. Nella sua mente però, e
anche nel cuore, Cry
sarebbe rimasta l’unica ragazza che
avesse mai amato veramente.
Summer avrebbe voluto rimpiazzarla. Juliet non gliel’avrebbe
lasciato fare facilmente, eppure, in quel momento la lasciò
fare mentre
accettava di uscire con lei, le ricambiava qualche bacio e le
rispondeva ‘anche
io’ a qualche ‘ti amo’ sfuggito troppo in
fretta.
Stava sbagliando su tutta la linea anche in quel momento,
mentre aspettava che Summer le rispondesse.
“Juliet?”
“Sum!”
“Piccola!” la
voce
dolce e melodiosa di lei la fece calmare, addolcire, quasi sorridere a
quella
parola, quando era Summer la più piccola tra loro, di due
anni, ma non
importava poi tanto.
“Ehi.” Anche la sua si scaldò, quasi in
un sussurro. “Disturbo?”
“Tu, mai.”
Juliet si rese conto che stava sbagliando anche in quel momento
ad usarla, ma era più forte di lei: doveva dire a qualcuno
ciò che provava,
anche se fosse stata la persona sbagliata.
“Manchi.. Manchi tanto. Vorrei poterti vedere, stringere
magari.. Posso?”
“Mi piacerebbe! Ma
oggi non posso proprio, ho una visita. Te l’avevo anche
detto…”
Probabilmente era vero, gliel’aveva detto, ma Juliet non
prestava mai molta attenzione a quasi nulla e la sua sbadataggine era
risaputa
a meno che di mezzo non ci fosse qualcosa di importante per lei.
Non si prese neanche la briga di dirle ‘richiamami appena
finisci, non farmi stare in pensiero.’
“Oh, okay. Sarà per un’altra
volta… Ciao Sum.”
Riagganciò così, senza aspettare risposta mentre
aveva raggiunto lo scopo di
calmarsi e riuscire a guidare fino a casa.
“Ho già mangiato!” Gridò non
appena mise piede dentro,
sfrecciando in camera sua, cercando di evitare il pranzo della sorella,
forse
cercando di evitare lei in realtà, lei e la minore.
Fece invece una cosa che non avrebbe dovuto fare in quel
momento, per nessuna ragione al mondo: accendere il pc ed andare alla
ricerca
di notizie su quei due.
Il pensiero di Dan non l’aveva lasciata, forse
l’aveva accantonato
nel tragitto, ma non lasciata del tutto.
Trovò quello che cercava: foto. E ogni carezza, ogni bacio,
ogni sguardo languido, ogni mano stretta era uno strappo al cuore.
Foto dopo foto. Strappo dopo strappo. Lacrima dopo lacrima.
Non si era neanche resa conto di quando avesse iniziato a
piangere. Non si rese neanche conto di come era arrivata al profilo
della sua
ex.
“Come sei
bella…”
Le parole le uscirono di bocca senza che se ne accorgesse e
iniziò a piangere più forte. Avrebbe solo voluto
tornare indietro di due anni,
quando aveva conosciuto la rossa Crystal ad una festa per maturandi.
Lei in
realtà era infiltrata, essendo la sorella di quello che
metteva a disposizione
la casa.
Avevano incrociato gli sguardi per quasi tutta la sera e si
erano ritrovate da sole sul balcone a fumare una sigaretta,
scambiandosi un
sorrisino imbarazzato finchè non si presentarono ed
iniziarono a parlare. Finirono
la serata su quel balcone a scmbiarsi i numeri mentre i compagni di
Juliet la
chiamavano da dentro perché dovevano andare: nessuna delle
due si era accorta
che stava per albeggiare.
Avevano parlato tanto al telefono, si erano cercate
assiduamente per messaggi ed iniziarono ad uscire quasi ogni giorno
dopo la
maturità della mora.
Si misero insieme quell’estate e Juliet non si era mai
sentita così compresa, amata, felice come allora.
Sapeva che quella felicità la provava solo quando parlava
con Dan.
Singhiozzò per minuti interi, forse perfino
un’ora, su
quella scrivania, inondando la sua maglietta finchè non
sentì Kate bussare alla
sua porta.
‘No, non adesso. Non
tu.’ Avrebbe voluto gridare, ma l’unica
cosa che riuscì a fare fu andare
verso il letto, togliere le scarpe e buttarsi dentro le coperte,
fingendo di
dormire mentre piangeva ancora, e per una volta, la sorella la
lasciò stare. Ce l’aveva anche con lei in quel momento. Perché
non le
aveva detto che Dan aveva la ragazza? Se non l’aveva fatto
era perché non lo
sapeva? Impossibile, era la sua migliore amica.
In quel momento si rese conto che la sua luce si stava spegnendo
lentamente, che si era ritrovata vuota nel giro di una mattinata, che
si era trasformata in una di quelle lucine al neon delle insgene, che
lentamente si fulminano e che fanno quello strano rumore prima che si
spengano del tutto.
Sarebbe rimasta invisibile al mondo. Proprio come lo era per
lui.
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Capitolo 5 *** V. Incubi e illusioni. ***
La porta sbatté forte e
Juliet aprì gli occhi di scatto,
svegliandosi.
Si alzòpiano dal letto, sentendo dei rumori
–gemiti? –
provenienti dal corridoio ed aprì la porta della sua camera.
La scena peggiore
della sua vita le si parò davanti.
Li vedeva baciarsi, sbattersi l’un l’altro contro
il muro, mentre
cercavano di arrivare alla fine del corridoio dove vi era la camera di
Kate. Lo
guardava prendere le cosce di
sua
sorella, issandola finchè lei non incrociava i talloni
dietro la vita di lui,
sfregando i bacini.
Il mondo, a quell’immagine, le crollò addosso. La
sorella
maggiore che stava per scoparsi il ragazzo che Juliet amava. Si sentiva
tradita, da entrambi, ma più dalla bruna che sembrava
mangiare la faccia del
ragazzo, bruna che si trasformò ben presto in Crystal, poi
in Summer, in Nell,
perfino in Alex e di nuovo Kate.
La porta sbatté forte e Juliet aprì gli occhi di
scatto,
svegliandosi.
Il cellulare vibrava, mentre le arrivava un messaggio e le
si rendeva conto di aver fatto un brutto sogno, l’ennesimo in
quelle notti.
A:
Da grandi poteri, derivano grandi
responsabilità. Giorno mondo. :3
Juliet si era
svegliata con un messaggio del genere
praticamente da quando aveva conosciuto Annie, e dopo non qualche
litigata,
erano diventate amiche.
Erano uguali in pratica, tranne quando pensavano a discorsi
filosofici, anche se alla fine giungevano alla stessa conclusione. E
come se
non bastasse sembravano uguali anche d’aspetto.
I messaggi di buongiorno di Annie, ormai erano diventati
qualcosa di essenziale per lei, e sapeva che se non ne riceveva uno,
doveva
iniziare a preoccuparsi.
Quelle semplici frasi a volte davano a Juliet la carica
giusta per quella mattina, altre la lasciavano a riflettere per un po'
sull'aforisma stesso e alla fine se ne usciva con qualche sua
conclusione ben
studiata, altre le mettevano semplicemente il buonumore e poi c'erano
quei
giorni in cui odiava l’amica e quei messaggi.
A: Se due cuore sono innamorati, nulla li
allontanerà. Giorno. ♥
Oggi era decisamente
uno di quei giorni.
Sospirò guardando il piccolo display del samsung che aveva
tra le mani, mentre ancora si trovava sotto le lenzuola e ripose il
telefono
nuovamente nel comodino, dov'era fino a quando non si era svegliata di
scatto
con la fronte imperlata di sudore.
In quel momento ricordò l’incubo, e
cercò un qualche
significato, per poi ricordarsi che aveva davvero visto Dan baciare
un’altra,
una che non era lei, che non aveva neanche una vaga somiglianza con lei.
Si rigirò nel letto e si coprì fino alla testa.
Avrebbe voluto
piangere, invece richiuse gli occhi mentre immagini di tre persone le
invadevano il cervello.
Dan, Crystal, Summer.
Le venne in mente perfino Annie e la sorella Charlotte.
Forse avrebbe dovuto chiamarle.
Aveva conosciuto Annie per sbaglio, ad una festa in
maschera. Si erano vestite uguali e tutte scambiavano la ragazza per
lei,
creando solo una serie di buffi equivoci finché non si
ritrovarono faccia a
faccia. Da lì iniziarono l’odio e le litigate, che
a poco a poco, conoscendosi,
divennero amicizia e abbracci.
Perfino nelle storie d’amore erano simili: Annie aveva
conosciuto questo ragazzo, Joe, d’estate. Si erano messi
insieme, un idillio
durato un mese e poi erano iniziati i guai. Entrambi con i sentimenti
vaganti,
dispersi, semplicemente perché quel mese era stato intenso
per entrambi.
Juliet aveva conosciuto Joe, uno scapestrato di prima
categoria, ecco cos’era. Scoprì dopo che era il
cugino di Dan e si rese conto
solo allora di quanto fosse piccolo il mondo, così piccolo
che scoprì presto
che la sorellina di due anni più piccola di Annie, che aveva
la stessa età di
Juliet, era diventata la migliore amica di sua sorella Ley. Inutile
dire che
fece amicizia anche con lei.
A volte uscivano addirittura tutte e quattro insieme. A
volte Juliet e Dan uscivano io e Dan con Annie e Joe.
Le mancava l’estate. Tantissimo.
Com'era arrivata fino a quel punto?
Sbuffò e tolse piano piano la coperta, fino a scalciarla con
i piedi, mentre rimaneva ancora a letto. Sentì dei piccoli
tocchi contro la
porta e stropicciò gli occhi mentre gracchiava:
“Avanti!”.
“Disturbiamo?”
La voce di Ley, Charlotte ed Annie suonò in contemporanea,
facendole ridere. Risata a cui Juliet non poté far altro che
unirsi.
“Abbiamo con noi caffè al caramello, uno alla
mente e due
frappuccini alla fragola e le ciambelle al cioccolato!”
Solite ordinazioni per tutte e quattro ogni volta che
facevano colazione fuori o si ritrovavano ad uno Starbucks della
città.
Mentre si alzava piano e si metteva a sedere, a gambe
incrociate, sul letto, vedeva Annie entrare per prima mentre sventolava
il
sacchettino con le ciambelle.
“Buongiorno dormigliona!”
L’amica le diede un leggero bacio sulla guancia, mentre anche
le altre entravano e si mettevano comode: chi nel letto, chi sulla
sedia, chi
sul davanzale della finestra come Charlotte.
“Uhm.. Buongiorno.”
Juliet tentò di sorridere, ma le uscì una smorfia
e le tre
si guardarono. Non voleva essere studiata, non di prima mattina almeno
così si
stiracchiò e si alzò dal letto.
“Vado a svuotare la vescica e arrivo! Non mangiate tutto,
eh!”
“Ma: vado a pisciare non ti piaceva?”
La voce squillante di Charlotte fece ridere tutte. Era
grazie a lei se Juliet e le altre avevano il titolo di
‘Principesse sul Tir’.
Semplicemente combinava l’aspetto da ragazze per bene alle
frasi da
scaricatrici di porto.
La mora scosse il capo e andò al bagno, tornò in
men che non
si dica che già le tre si erano materializzate in cucina,
luogo da cui
proveniva la musica. Le raggiunse e passo almeno la mattinata a non
pensare.
Quando Ley e Charlotte lasciarono da sole Juliet ed Annie,
per andare a fare shopping e pranzare fuori, la più grande
fermò un attimo la
sorellina.
“Kate…?”
L’incubo della mattina ancora vivo.
“E’ con Dan, perché?”
Quello che non voleva assolutamente sentire, adesso era un
dato di fatto. Sapeva che la sorella non provava nulla per Dan e che
lui, a
quanto ne sapeva aveva la ragazza, ma l’idea di loro due
assieme adesso le faceva
solo male.
“Nulla..” Sorrise.
“Juls, non me la bevo, lo sai. Sei stata strana tutta la
mattina, e non me ne sono accorta solo io. Tendi ad esagerare, a ridere
troppo
e fare più battute del solito quando vuoi mascherare il tuo
malessere. Non
chiedo mai nulla, lo sai, ma mi fa male vederti così.
Devi… devi cercare di
risolvere, in un modo o nell’altro.”
Hayley diede un bacio alla sorella e chiuse la porta di casa
dove ad attenderla,
mentre aspettava
l’ascensore, c’era la sua migliore amica.
Juliet sospirò e tornò in cucina. Sapeva bene che
anche
Annie capiva ogni sua mossa, così la fece tornare in camera
sua e le raccontò
l’incubo.
“Secondo me hai paura di perderlo per chiunque, soprattutto
hai paura che si possa innamorare di qualcuno a te caro e tu dovrai
solo fare
la ragazza felice per lui e la lei di turno.” Annie
sbuffò. “E’ tutto sempre
troppo complicato, se le persone parlassero non ci sarebbero problemi.
Si
eviterebbero un sacco di disguidi e forse nascerebbero più
storie d’amore.”
“Così come tu parli con Joe?”
Colpo basso, lo sapeva bene. Ma Annie non si faceva
abbattere di certo dalle frecciatine dell’amica.
“Cerchi sempre di distrarre l’attenzione da te.
Però in
realtà hai ragione, al solito abbiamo lo stesso problema.
Dovremmo parlare a
quei due.”
“Beh almeno voi due non avete nessuna persona in mezzo
ad ostacolarvi. Vi
ostacolate voi stessi
e basta. Vi ritenete sempre più che amici ma meno che
fidanzati, eppure questa
friend zone non vi ha portati ad un cazzo se non a stupide gelosie e continui litigi. Cosa vi
blocca?
Vi blocca la paura, la stessa che attanaglia me dal parlare
a Dan, porca troia.”
Come sempre, quando si infervorava, Juliet parlava a manetta
e così le uscivano anche le parolacce, alla quale ormai
l’amica era più che
abituata. Sentiva più spesso la parola
‘minchia’ da lei che dal suo ex.
“Hai ragione.” La voce di Annie era quasi sfinita,
o forse
lo era soltanto lei a pensare che non voleva più passare
altri mesi a litigare
costantemente con Joe solo per gelosie futili quando non stavano
neanche
insieme. Ma almeno lei poteva litigare con lui, Juliet,
pensò, invece doveva
solo starsene zitta e tenersi tutto dentro perché Dan non
sapeva nulla.
“E’ dura per te, vero? Il… il non poter
vivere allo
scoperto, il doverti tenere tutto dentro. Anche se in realtà
sei un libro
aperto e che sei gelosa marcia lo vediamo tutti.”
Sospirò. “Il problema è che
non potete stare senza parlarvi e senza trovare una soluzione che ti
faccia
stare bene. Ed hai ragione, anche per me e Joe è lo stesso,
perché stare in
questa ‘friend zone’ come la chiami tu, senza
prendere posizione non porterà a
nulla se non a sconforto e basta. Anche rabbia e mere e fittizie
illusioni di
felicità. Forse aveva ragione Schopenahuer: si vive in
bilico tra sofferenza e
gioia. Noi invece dobbiamo puntare solo a quest’ultima.
Sai che ti dico? Oggi chiamo Joe e organizziamo una serata a
quattro e non accetto no come risposta.”
Juliet fu lieta, solo in parte, di poter tornare ai vecchi
tempi. Ma ce l’avrebbe fatta a sostenere una serata con Dan
che parlava della
sua ragazza?
Passò la giornata a torturarsi con quella domanda, mentre
nel frattempo si preparava sentiva Annie che sarebbe venuta con Joe e
Dan che
sarebbe venuta a prenderla.
E Dan fu puntuale, come sempre. Lei invece scese in ritardo,
perché non si sentiva perfetta.
Vide Kate salire mentre lei scendeva. Come se si passassero
il testimone con il ragazzo.
La sorella maggiore rimase un attimo a bocca aperta vedendo
la sorellina in un vestito corto, i capelli raccolti in una coda, il
trucco
leggero ma ben curato e le scarpe alte ai piedi.
“Sei… sei splendida Giulietta.”
Giulietta. La chiamava così solo quando tendeva a
sottolineare quello che diceva, come a volerlo imprimere nella testa di
Juliet.
E lei sorrise. L’abbraccio e quello che la sorella le
sussurrò fu solo una
spinta in più alla decisione che aveva preso con Annie,
prima che l’amica se ne
andasse.
“Dopo che ti vedrà gli passerà la
confusione.”
Era confuso, confuso probabilmente tra la sconosciuta e lei.
Kate continuò a salire le scale e Juliet a scenderle.
La bocca aperta di lui non appena lei chiuse il portone di
casa, le ricordò la sorella e sorrise raggiante mentre
entrava in macchina.
Passarono la serata più bella e divertente della loro vita e
finirono in una pasticceria vicino casa di Juliet, a cinque minuti di
strada.
Quando si salutarono tutti e quattro, Annie e la ragazza si
diedero un’occhiata d’intesa e poi Juliet
tornò da Dan.
“Posso andare a piedi dopo, sai?”
"E lasciare una bella ragazza da sola? Non se ne parla.” Era
serio e lei
contenta.
“Mi trovi bella?” Lo chiese ingenuamente, ma ardeva
per una
risposta soddisfacente.
“Sempre.”
Gli avrebbe voluto dire tante cose, addirittura “ti
amo” ma
si limitò a sorridergli, a guardarlo negli occhi, prendere
coraggio e baciarlo.
Sapeva che in quel momento anche l’amica avrebbe baciato
Joe, ma adesso volevo solo pensare alle labbra di Dan che si muovevano
contro
le sue.
Non sentì altro che le sue labbra. Non sentì le
mani di lui
stringere la vita di lei come aveva programmato.
Aprì gli occhi, non appena si staccarono e lui non aveva
quello sguardo innamorato che aveva capito quello che aveva davanti.
Ma sentiva la delusione crescere in lei, gli occhi velarsi
di lacrime mentre iniziava a correre verso casa.
Lui non la rincorse.
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Capitolo 6 *** VI. Ragazzi e risse di alto borgo. ***
Il cellulare le squillò
per l’ennesima volta quella
settimana, e lei, esasperata, alla fine spense il telefono.
“Chi era?”
Nelly, curiosa di natura aveva cercato di sbirciare il
display dell’amica, ma lei non gliene diede proprio tempo, le
lanciò invece
un’occhiataccia. Occhiataccia che divertì invece
Nell, a volte si
chiedeva come la coinquilina non
arrivasse subito alla soluzione. Ogni comportamento di Juliet era
talmente
palese che ormai chiedere le sembrava quasi una perdita di tempo.
“Daniel, ovvio. Chi altro ha il potere di farle spegnere il
telefono?”
Il divertimento della sua voce fece solo aumentare il
nervosismo della bruna seduta tra le sue due migliori amiche, mentre
sbuffava
sonoramente e prendeva in mano il suo frullato al cioccolato.
Ricordò solo dopo
che aspettava una
chiamata di Alex e
così, roteando gli occhi e tenendo le labbra impegnate a
succhiare la bevanda
dalla cannuccia, riaccese il telefono.
Una chiamata persa, un messaggio che l’avvisava della
suddetta chiamata e altri cinque, tra cui tre solo del ragazzo.
D:
Ti prego, Juls, rispondi.
D: Juliet,
dobbiamo parlare.
D: Juliet!
Giuro che vengo a casa tua se non
rispondi!
Casa sua. Juliet l’aveva
evitata dalla mattina dopo quel
bacio la sua casa, aveva liquidato persino le sorelle dicendo che Alex
aveva
casa libera e sarebbe stato da lui. In realtà era una bugia
bianca, perché
Juliet era rimasta dal suo migliore amico solo quel paio di giorni in
cui la
madre di lui era fuori per lavoro, ma poi si era fatta ospitare dalle
amiche di
sempre. L’unica che conosceva tutta la storia, a parte quei
tre era Annie, che
raccontando la storia a Charlotte non fece altro che farla sapere anche
alla
sorella. Pensò che alal fine era meglio così,
almeno non avrebbe dovuto
ripercorrere la delusione, le lacrime, l’essere corsa a casa
più forte che
potesse mentre fino all’ultimo si aspettava due mani che la
facessero girare, due
braccia che la stringessero forte a sé.
Sospirò di nuovo e Nelly le carezzò i capelli
mentre lei
guardava gli altri due messaggi.
A:
Dimmi dove sei, ti raggiungo. Ah, ho una
bella notizia anche!
H:
Sorellona… Manchi, quando torni a
casa? E’…
è venuto Dan a cercarti prima… Penso abbia
litigato con Kate, si urlavano
contro e lei l’ha sbattuto fuori.
“Oddio…”
I sospiri e gli sbuffi sembravano ormai susseguirsi, così
mentre rispondeva al messaggio di Alex, si prese la briga di spiegare
cos’avesse adesso alle amiche che la guardavano incuriosita.
“Dan è andato a casa mia. Ha litigato con Kate a
quanto
pare, si sono urlati contro… E dio solo sa se
c’entrassi solo io. Ma adesso mi
sento in colpa. Non dovevano litigare, soprattutto se tutto
è nato da me. Porca
troia, quei due sono amici dia tempi delle elementari!”
Le due ragazze si guardarono tra loro prima di sospirare.
Sentirsi sempre in colpa, anche quando non c’entrava nulla,
era una delle
caratteristiche dominanti del carattere di Juliet.
‘Così forte eppure così
fragile’, glielo ripetevano in continuazione.
“Sai che aggiusteranno le cose, sono grandi e
vaccinati.”
“E poi se sono rimasti amici fino ad ora, ci sarà
qualcosa
di forte che li lega, vedrai che si sistemerà
tutto.”
Rassicurarla adesso sembrava la priorità, a farla divertire
probabilmente avrebbe pensato Alex, o meglio a farle pensare ad altro.
Quel
ragazzo sembrava sempre così pieno di nuove notizie e gossip
succulenti, che
ormai anche per le due Nelly era indispensabile un incontro con lui
almeno una
volta ogni due settimane.
Così mentre le due pensavano a far passare il senso di colpo
alla ragazza che avevano sempre trattato come la più
piccolina, solo perché
sembrava sempre costantemente da proteggere, il ragazzo parcheggiava la
moto e
si affrettava a raggiungere le tre al bar.
“E’ qui la festa?”
Esordì così Alex, mentre vedeva le facce lunghe
delle tre
sedute al tavolo dove stava prendendo posto mentre chiamava con un
cenno la
cameriera e ordinava un mocaccino.
Nell, alla spicciola, gli spiegò cosa si fosse perso mentre
lui attentamente ascoltava e di tanto in tanto guardava Juliet che
invece sembrava
intenta a giocare con i capelli di Nelly, come se quel gesto la tenesse
fuori
dalla discussione che la riguardava. Quello era un altro suo difetto:
cercava
di escludere quello che di brutto poteva capitarle, semplicemente
perché la
poteva solo ferire ulteriormente quando nella vita aveva avuto
già un brutto
passato. Solo da un paio d’anni si era ripresa del tutto
grazie all’aiuto dei
vecchi amici che non l’avevano mai abbandonata e
l’aiuto dei nuovi, e beh,
anche Crystal aveva fatto la sua parte, amandola come si meritava
davvero,
dandole attenzioni costanti, o almeno all’inizio.
“Oh beh, avremmo tempo per parlarne meglio e capire, no?
Adesso invece concentriamoci sull’evento dell’anno!
Il ballo ‘Sogno di una
notte di mezza estate’ organizzato dal Club dei nostri
genitori.”
“Un ballo, organizzato dal Club dei ricconi..?”
Nell alzò il sopracciglio mentre sentiva le parole del
ragazzo
a cui potavano l’ordine, mentre Nelly rideva alle sue stesse
parole. L’unica
che sembrava davvero interessata era proprio Juliet.
“Un ballo? Shakespeare?? Oddio santo devo trovarmi un
vestito!”
“Tesoro, hai tutto il tempo, è a Ferragosto! Ma se
proprio
vuoi fare shopping e festeggiare.. possiamo sempre organizzare una
delle nostre
feste in qualche discoteca con piscina, no?”
Ecco cosa serviva a tutti quanti: una bella festa, e di
sicuro non serviva solo a Juliet, o Ales o le due Nelly, ma anche a
Kate, a
Hayley e alle sue amiche Wonders: Annie e Charlotte.
“Ho.la.messaggeria.vuota. Juliet! Vuota, cristo santo!
Perché sono capitolata anche questa volta?
Perché?”
Dopo essere stata al bar con gli amici e aver passato la
notte con Alex a mangiare gelato e parlare di vestiti e qualche lieve
accenno a
possibili accompagnatori, cercando accuratamente di evitare
‘il nome con la
D.’, Juliet era andata a casa Wonders, e come se lei e
Charlotte si fossero
scambiate le case, Juliet rimase a dormire con Annie mentre la biondina
Wonders
andava a dormire da Ley.
Annie si lamentava che al contrario dell’amica, non aveva
ricevuto alcuna risposta da Joe, e dire che lei aveva ottenuto non solo
una
risposta al bacio ma anche molto altro, così come ogni volta
che nella sua vita
c’era di mezzo il ragazzaccio dalle belle parole e il buon
carattere che
mostrava solo quando voleva ottenere qualcosa.
“Perché in realtà non te lo sei mai
tolta dalla testa, e..
An, ammettiamolo, è uno dei migliori che tu abbia mai
scopato!”
Juliet rise, cercando di sdrammatizzare mentre l’amica le
dava un leggero buffetto in testa e spegneva le luci prima di andare a
dormire,
facendo partire, a basso volume, le canzoni nell’i-pod.
“…but you didn’t have to cut me
off, make out
like it never happened and that we were nothing, and I don’t
even need your
love but you treat me like a stanger and it feels so rough.”
Juliet si ritrovò a canticchiare a bassa voce quella canzone
che aveva segnato la fine della relazione con Crystal, il problema era
che
adesso non le ricordava la ragazza, ma Dan.
L’aveva tagliato fuori, non gli aveva dato spiegazioni. Lo
stava trattando da estraneo, così come Crystal trattava come
un’estranea lei,
adesso? Sì.
Sbuffò e tirò su il lenzuolo fin sopra la testa,
per poi
uscirla subito dopo e guardare il tetto, mentre i suoi occhi si erano
ormai
ambientati all’oscurità.
“Perché dev’essere tutto così
complicato?”
“ Cosa?”
“Le cose che non possiamo dire, che invece dovremmo dire, ma
che dimostriamo comunque e che le persone potrebbero, dovrebbero
capire!”
Seguì un attimo di silenzio, mentre sperava che Annie avesse
capito cosa intendesse, e probabilmente sì. Erano talmente
tanto simili che
anche Annie a volte non diceva alcune cose che avrebbe dovuto dire,
sperando
che attraverso futili dimostrazione l’altra persone a cui si
rivolgevano le
attenzioni, capisse cosa intendesse. Peccato che questo era il modo di
lavorare
di un cervello femminile.
I maschi erano molto più semplici.
“Juliet….” La voce dell’amica
era strana, forse anche adesso le avrebbe voluto di re mille cose, ma
alla fine
sdrammatizzò tutto.
“Meno canne la prossima volta,
eh? Buona notte!”
Risero entrambe mentre prendevano
sonno, ognuna dal proprio lato del letto.
Il giorno dopo Juliet tornò a
casa, dovendo affrontare la sorella Kate, non avendone la
benché minima voglia,
ma ormai aveva già la consueta nausea e mal di testa che
precedevano ognmi
discussione, così, non appena infilò la chiave
nella toppa si armò di coraggio
pronta a fronteggiare tutto.
Che poi Kate non l’avrebbe mai
giudicata, mai colpevolizzata, non le passò neanche per la
testa, eppure la
sorella davvero non si sarebbe mai permessa, non conoscendola a
memoria, come
fosse un’altra parte di lei.
Juliet lasciò le sue cose in
camera e poi andò a bussare in camera della sorellona, non
aspettò risposta e
la trovò a telefono, l’altra semplicemente le fece
segno di entrare e stare
muta mentre ascoltava intenta cosa le dicessero dall’altro
capo del telefono.
“Oddio, e che ti dico? Dan,
smettila. Basta, ci siamo chiariti, ok? E’ questo
l’importante, ora lascia solo
che mia sorella torni a casa e poi me la sbrigo io, come ho sempre
fatto. Ho
bisogno di riaverla a casa o non si potrà mai concludere un
bel niente. Per
favore, una buona volta, metti da parte la tua testardaggine e la tua
poco
maturità del caso e fammi chiudere.”
Juliet ascoltò tutto con il fiato
sospeso, sussultando appena sentendo il nome del ragazzo.
“Non è qui. E qualora tornasse
all’improvviso mi assicurerei che tu fossi l’ultimo
a saperlo, non voglio altre
scenate. Ora, scusami, ma ho mal di testa. Ci sentiamo dopo.”
Kate non aspettò risposta mentre
chiudeva di scatto la chiamata, massaggiandosi le tempie e sospirando.
Il mal di testa della ragazza non
era mai un buon segno, mai, e Juliet lo sapeva, si convinse che forse
non era
il momento, ma prima che potesse scappare via la sorella la raggiunse
ai piedi
del letto, dov’era seduta, e le prese una mano tra le sue.
“Così l’hai baciato alla fine. Anche se
io te l’avevo
sconsigliato. Ricordo che ne parlavi l’estate scorso, ma alla
fine non l’avevi
fatto. Lo fai ora che ha… boh, l’amichetta la
chiamerei. Ci scopa e basta. Me l’ha
detto Hayley che li hai visti, ne ho pure parlato con Nell ed Annie. Dio solo sa quanto possa
fidarmi di quelle ragazze
quando si tratta di te.
*
Sospirò
e a Juliet per poco
non venne da piangere sentendola.
“Io… scusa.”
“E che ti dico, amore? Non
devi scusarti di quello che provi, ma adesso lui è confuso,
più di prima forse.
E non gli rispondi. Non sa che pensare. Te ne sei pentita? Era una
scommessa?
Sì, è addirittura arrivato a pensare a questo.
Penso solo che dovresti
affrontarlo, anche se non vuoi, ma so già che non lo farai,
solo… quando ne hai
l’occasione… non respingerlo, ok?”
La bruna annuì lievemente con
il capo prima di buttarsi tra le braccia della sorella e scoppiare a
piangere.
Ne aveva bisogno, si era tenuta tutto dentro senza poter parlarne con
le
sorelle e la cosa la distruggeva. E come per magia, in stanza, si
materializzò
anche Ley, gettando prima un’occhiata a Kate che le avrebbe
spiegato tutto
dopo.
Juliet non seppe quando si addormentò
in camera della sorella dopo aver bagnato la maglietta sua e di Ley, ma
sapeva
che doveva prepararsi per quella sera.
Alex l’aveva avvisata che
avevano organizzato la festa per quella sera e che ci sarebbero state
tutte,
aveva già preso i biglietti.
Voglia non ne aveva neanche
minimamente, ma qualcosa le diceva che sarebbe stata una serata
interessante e
che se non fosse andata se ne sarebbe di sicuro pentita.
Si preparò con calma, facendosi
una doccia, scegliendo il suo vestito migliore nero, abbondando con il
trucco
oro come gli accessori e i particolari delle scarpe altissime. I
capelli
trattenuti dall’elastico della coda ed uscì dalla
stanza raggiungendo le
sorelle. I ‘sei bellissima’ si sprecarono tra loro
e con le amiche, quando le
raggiunsero in discoteca, mezzanotte spaccate.
Passare una serata con Nell e
Nelly e i rispettivi ragazzi, così come con Alex, Annie e
Charlotte e le
sorelle era come un sogno, erano così rare le volte che
passava il tempo con
tutti, se non c’era un festa di mezzo, che si disse che
quella sera avrebbe
dovuto dimenticare tutto e tutti.
E così fece davvero. Tra balli,
fiumi di alcool bevuti al loro tavolo, o al bancone, o offerti da
sconosciuti
che provavano a ballare con lei, quasi non si accorse che
un’ora dopo i primi
balli Dan e le sorella Hilary e Cherisch erano arrivati con Joe e il
fratello
Mark. Di sicuro loro avevano visto il gruppo dal quale Juliet si era
staccata
per ballare con un tipo biondo dagli occhi color ghiaccio: Sean, aveva
detto di
chiamarsi.
Come se non bastasse spuntarono
anche Crystal e le sue amichette, delle vipere di prima categoria e
Summer con
un paio di amiche. Sembrava che il destino avesse portato tutti
lì, lì per
Juliet.
Peccato che lei era talmente
brilla da non accorsergi che, mentre cercava di tornare al suo tavolo,
si
scontrò con la
nuova ragazza di Crystal,
di cui non ricordava minimamente il nome. Gli occhi le si sgranarono
mentre la
ex si avvicinava alle due. Un moto di indifferenza nel cuore. Fu quello
il
momento in cui Juliet capì che in realtà Cry era
solo un fantasma ormai
dimenticato.
“Divertitevi ragazze!”
Lo gridò per sovrastare la musica, mentre un minimo di
lucidità si faceva
strada nel suo cervello, dando un’occhiata in giro e
rendendosi conto dei guai
che sarebbero successi, e perché non cominciarli proprio lei?
Andò dritta spedita da Joe,
prendendolo per il colletto mentre parlava con Cherish, che sconvolta
cercava
di salutarla.
“Cos’è, ci provi anche con lei
adesso, eh? Prima Annie, poi Cherish. In mezzo quante altre ci sono
state? Oh,
e hai cercato ancora di portarti a letto tuo fratello? Mi fai schifo!
SCHIFO!
Hai un bel visino, bello quanto brutto è il tuo carattere
che illude chiunque.
Sei solo belle parole. Non sai neanche cosa sei. Ti scoperesti
qualsiasi
ragazzo pur di avere il tuo cazzo dentro il buco di qualcuno e poi fai
le moine
alle ragazze. Datti na regolata e pensa a chi ti ama davvero!”
Le era salita la rabbia parola
dopo parola, mentre sapeva che quelle parole rivolte a lui,
l’acidità del suo
tono, era mirata anche ad altri. Ma al momento sperava solo che Joe
sistemasse
le cose con Annie, rendendosi conto di quello che stava perdendo,
dopodiché andò
da Cherish, la prese a braccetto e la portò in pista.
“Juls! JULS NO. Non so ballare!”
La ragazza fece finta di non
sentire l’amica mentre le si strusciava contro, cercando di
farla sciogliere,
sapendo di attirare l’attenzione di quelli che conosceva e di
alcuni ragazzi lì
vicino.
Uno dei quali era proprio Sean a
cui a fine serata scrisse il numero sul braccio. Fu quello che fece
scattare il
casino vero e proprio.
La mano di Dan quasi non la vide
mentre Sean cadeva all’indietro dopo il colpo diretto alla
mascella. Si
sentirono però le parole urlate contro, sovrastando la
musica, ammutolendo il
resto della sala dove c’era solo la gente più in
della città, come ad ogni
festa a cui partecipavano.
I ragazzi furono buttati
immediatamente fuori dal locale, e sapevano che la festa, per loro,
finiva lì.
Per loro ma non per Summer e Crystal che guardarono Juliet da
un’altra prospettiva,
come una preda succulenta per la quale si battevano tutti.
I guai erano appena cominciati.
“Si può sapere che t’è
preso?”
Juliet era uscita dal locale,
oltrepassato gli amici e preso Dan per un braccio, mentre controllava
che l’altro
non gli avesse fatto male nello scontro a cui avevano dato luogo dopo
il primo
pugno. Passò le mani sul labbro leggermente spaccato del
ragazzo e lui rise.
“Che c’è di divertente,
idiota?”
“Prendi a pugni qualcuno o qualcosa! Te lo ricordi, eh
Juliet?”
Sì, lo ricordava. Ricordava di come un pomeriggio
dell’estate
scorsa, mentre lei le moriva dietro, era satura di tutto e avrebbe solo
voluto
sfogare il tutto, di come lui le aveva detto che allora avrebbe dovuto
prendere
a pugni qualcuno o qualcosa e di come lei avesse risposto
‘non sarebbe male’,
per poi abbassare lo sguardo.
Ricordava anche cosa pensava in quel momento. Prendermi
a pugni sul petto potrebbe aiutarmi?
Lenirebbe il mio stesso dolore? Dolore che provo anche solo con una
frase, una
nota, una canzone, un gesto, uno sguardo? No. Non sarebbe la soluzione
migliore. Lo sapevo bene, mi dovevo guarire da sola, piangendo forse o
liberandomi. Ma non potevo.
Si era resa conto allora di essere nel suo limbo personale.
Lo stesso limbo nel quale, un anno dopo, era ancora invischiata fino al
collo.
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Capitolo 7 *** VII. Addii e nuovi inizi. ***
“Che diavolo ti è
saltato in mente eh?”
La voce di Kate si sentiva per tutta casa e fece far
capolino alle teste di Juliet e Hayley, dalle loro stanze.
“Tu avrai finalmente preso una decisione, ma adesso cerca di
aspettare i suoi tempi e la sua confusione, perché, bello
mio, lei ti ha
aspettato per anni!”
Per poco non si mise a urlare mentre chiudeva il telefono
in faccia al suo
migliore amico e
tornava mesta in camera sua con il suo caffè ormai freddo,
cosa che la fece
solo urtare maggiormente.
Ley e Juls invece cercarono di chiudere velocemente le porte
delle loro stanze, senza fare rumore, ma Kate sembrava avesse un sesto
senso
per queste cose.
“Venite fuori, scemine.”
Stava attraversando il corridoio. Il tono di voce era calmo
e dolce. Che fosse un tranello? No, con loro in effetti non riusciva
mai ad
alterarsi abbastanza, forse perché si era sempre sentita in
dovere di non
richiamarle ad alta voce, sempre in dovere di dargli
l’esempio che i genitori
assenti non gli avevano insegnato.
Le due brune uscirono nuovamente dalle camere, stavolta per
entrare in quella della sorella maggiore che sbuffava mentre cercava di
finire
quel caffè ormai senza gusto. Nessuna parlava, anche se le
più piccoline
fremevano dalla voglia di chiedere qualcosa in più sulla
telefonata. Sulla
decisione.
“Allora, a quando la prossima festa?”
Juliet e Hayley si guardarono stranite, non capendo perché
Kate
non arrivasse subito al sodo mentre intavolava una conversazione sulla
festa
avvenuta prima. Juliet sapeva già che quello era solo un
modo per vedere se
poteva realmente parlare con loro oppure decidere che non erano ancora
pronte
per quella discussione.
“Beh, il pugno è stato forte. Si sa come sta il
ragazzo
almeno?”
Gli occhi della ragazza con i capelli più scuri tra le tre
erano puntati in quelli dorati di Juliet. Ecco cosa voleva realmente
sapere, se
si sentisse o meno con quel ragazzo.
“Sean sta bene, non ha nulla di rotto, è colato
solo sangue
dal naso, ma nulla di grave. Forse gli è partito un
capillare.”
“Sean… Uhm.”
Un sorriso, sarcastico forse, ma un sorriso che non era il
suo, preoccupò sia Juliet che Ley che era quella che ci
stava capendo sempre
meno.
“Si può sapere a che diavolo di gioco state
giocando? Mi
sono persa al ‘bella festa’.”
Le altre due risero e alla fine gettarono le asce di guerra,
per così dire, per parlare normalmente.
“Sono solo giochetti mentali Ley, in cui la nostra Giulietta
casca sempre, vero Giulia?”
Adesso quei vezzeggiativi le stavano stretti mentre li
prendeva come offese. Digrignò i denti e annuì
solo con il capo mentre Kate
arrivava al punto saliente della questione.
“Dan lascerà quella… ragazza. Non
ricordo il nome
sinceramente, non si è mai fatta notare più di
tanto in realtà. Penso che però
tu e lui dobbiate parlare, o no? Dan, dopotutto ha tirato un pugno a
quel tipo
o sbaglio?”
“Beh, non che Dan si sia preso la briga di darmi
spiegazioni! Ultimament, in realtà, non si è
proprio fatto sentire.”
“COSA?!?”
Le due sorelle erano sbigottire. Ley era rimasta con la
boccuccia aperta mentre l’espressione di Kate non presagiva
nulla di buono con
quella fronte aggrottata, simbolo che stava pensando. A cosa? Non era
dato saperlo
per il momento.
Alla fine tornarono ognuno nella propria camera con i propri
pareri dopo che Juliet aveva annuito e lasciato la stanza senza
aggiungere
altro.
Chiamò invece le amiche di sempre, su Skype, alle quali
confidò cose che le sorelle non potevano neanche
immaginarsi. O forse sì, ma di
sicuro erano dubbi che si sarebbero tenute per loro finchè
non avessero visto
nulla di concreto.
Gli occhi azzurri di Nell erano quelli che contrastavano
maggiormente con tutti gli altri che li avevano castani o al massimo
tendenti
al verde scuro. Tutti occhi che la scrutavano.
“Non ho capito bene, ripeti.”
Nell, seduta al fianco di Nelly nella cucina della casa che
condividevano, era quella che aveva bisogno di analizzare passo passo
tutto
mentre invece Juliet farfugliava confusa e si perdeva nei discorsi.
“Crystal, Summer e Sean, –sospirò
– si sono fatti sentire
tutti e tre. Sean è dolcissimo e mi ha chiesto di uscire.
Summer voleva capire
cosa succedesse e… ieri mi ha chiamata.
In un certo qual modo abbiamo risolto. A quanto pare una di
quelle della festa gli ha confessato che è innamorata di
lei, e Sum sembra ricambiare
un po’ quindi siamo rimaste amiche. E
poi…”
“E poi c’è Crystal..”
Gli occhioni verde scuro di Annie la guardarono comprensiva.
Si disse che appena avesse finito con tutte loro, le avrebbe parlato a
solo.
“Sì.. Crystal. Mi ha detto che rivedermi le ha
fatto
scattare qualcosa, che le cose con Meredith non vanno poi
così bene, che mi
pensa ancora… Siamo uscite assieme l’altra
sera…
Io… penso che sia sincera stavolta. Cioè, so che
non dovrei
fidarmi delle sue parole, ma il suo sguardo non mentiva, ve lo
giuro!”
“Juls… ti prego. Sappiamo tutte come le sue parole
ti
ingannavano, i suoi baci ti rassicuravano e i suoi occhi ti prendevano
in giro
continuamente. Davvero vuoi ritrovarti in quella situazione?”
Nelly adesso era esasperata, solitamente era quella che sdrammatizzava,
ma vedere anche solo la lontana possibilità che
l’amica potesse farsi del male
a causa della ex, era qualcosa che non doveva accadere. Non di nuovo.
Soffriva
già troppo per Dan, senza che volesse ammetterlo. Crystal
era, doveva essere, storia vecchia.
Morta e
sepolta.
“Lo so… ma…”
“No. Juliet Bennett, apri le orecchi e stammi a
sentire.”
Nell aveva bloccato i vari ‘se’ e
‘ma’ dell’amica, ormai
conoscendola come le sue tasche, sapendo che avrebbe cercato una
giustificazione solo per darsi altre false speranze ed illudersi.
“Se uscirai di nuovo con lei e lei ti prenderà la
mano, ti
bacerà, sai già che finrà male.
Finirà che tu tornerai da lei, che ti prenderà
in giro e che comunque non riuscirai ad amarla come dovresti
perché non ti sai
contenere. La ameresti di nuovo con tutta te stessa e non ti merita,
cazzo.
Quando lo capirai che certa gente non ti merita. Non merita neanche un
briciolo
della tua considerazione, ed invece tu, buona quanto sei dolce,
elargisci la
tua bontà in maniera generosa. Gli altri non lo fanno. Sii
egoista una buona
volta. E ora non venirmi a dire un altro ma perché giuro che
lo dico a Kate e
poi sono cavoli amarti tuoi.”
Detto questo Nell si alzò e lasciò a Nelly il
timone. La
conversazione era comunque conclusa, non aveva da aggiungere altro
nessuno perché
sapevano tutte quando la ragazza dai capelli corvini avesse ragione.
Si salutarono mestamente e Juliet chiamò Annie, proprio come
si era promessa.
“Ehi..”
“Ehi, piccola, tutto ok? Sai che Nell lo fa per il tuo
bene..”
“Sì, sì, lo so. Sono io la
stupida… Ma non ti ho chiamato
per questo.”
“Ah. Joe..?”
“Sì.”
Juliet le spiegò quello che ricordava della sera ed Annie le
disse che si era sentita con Cherish che ricordava esattamente parola
per
parola.
Cherish. La conoscevano tramite le sorelle che andavano
nella sua stessa classe al linguistico e poi era anche la sorellina di
Dan. In
realtà i Callagher erano tre: Dan, il più grande,
il ventiquattrenne già in
carriera, Hilary che ne aveva ventidue e che sembrava avere una cotta,
ricambiata, per Kate, e che studiava lingue e poi la piccolina,
Cherish, che di
anni ne aveva diciotto e al contrario dei fratelli castani, era bionda
cenere.
Era una di quelle belle ragazze timide, che a prima vista
non noti, ma che appena inizi a conoscere ti entrano nel cuore in
maniera
viscerale. Forse era per questo che Juliet ci aveva fatto amicizia in
poco
tempo diventandone la confidente.
In realtà Juliet era un po’ amica di tutti, e
questo a volte
la faceva prendere in antipatia dagli invidiosi. Ma lei quasi non ci
faceva
caso, perché l’invidia non sapeva neanche cosa
fosse.
Ad ogni modo ringraziò mentalmente la bionda per aver
avvisato Annie.
“Ho sbagliato? Pensi che abbia esagerato?”
Annie quasi la mandò a quel paese quando sentì
che l’amica
aveva paura di aver sbagliato. La adorava invece, ogni singola parola
era stata
uno smacco e lui da quel momento l’aveva cercata giorno per
giorni, peccato che
adesso Annie aveva quasi perso interesse in quel ragazzo che si sentiva
il
James Dean della sua generazione.
Finirono la chiacchierata a ridere e scherzare e per qualche
ora Juls la smise di pensare a tutto. Solo la sera ricordò
di dover affrontare
altri problemi.
Il telefono non faceva altro che squillare mentre le
chiamate di Dan e di Crystal si susseguivano. Non sapeva se dovesse
rispondere
e a chi. Alla fine decise di affrontare prima lei.
Rispose e dopo pochi minuti di convenevoli, prese coraggio e
parlò.
“Crystal… Aspetta, ascoltami. Devo dirti una cosa
importante.” Juliet prese un sospiro prima di continuare.
“Sai.. prima che ci
risentissimo a volte ti pensavo, altre no. E quando lo facevo
c’erano volte in
cui l atua assenza faceva ancora male perché mi mancavi e mi
assaliva la
tristezza, perché ti ho sempre amata davvero tanto. Mancavi
e.. poterti
rivedere, stare insieme a te come i
primi tempi mi ha fatto capire il perché. Ma purtroppo
quello è il passato. Tu,
sei il mio passato e io sono andata avanti, così come hai
fatto tu mettendo con
Meredith due settimane dopo esserci mollate. Non mi meritavo nulla di
quello
che hai fatto. E tu non ti meritavi me.
Il problema sai qual è? Alla fine di una storia? Che ti
convinci sempre che sia la persona giusta, ma il momento ad essere
sbagliato. Invece,
mi chiedo ‘e se fosse il momento ad essere giusto e la
persona ad essere
sbagliata?’
Ho dato l’amore a qualcuno che non se lo meritava quando ero
in grado di amare.
Quindi… è finita anche stavolta. Non ti dico:
ehi, rimaniamo
amiche, ok? So già che non lo faremo, nessuna delle due
è in grado di farlo, ma
va bene così. Solo… sappi che come ti ho amato
io, non lo farà mai nessuna e
anche se ti sembra una frase fatta, sai anche tu che è
così, perché io ci ho
messo il cuore, l’anima, nella nostra storia, mentre tu
calcolavi tutto
freddamente.
Adesso penserai che ti sto recriminando di cose passate, ma
non è così, credimi. Sto solo analizzando tutto
per farti capire che la nostra
non sarà mai una relazione sana.
Mi ha fatto piacere comunque rivederti. Stammi bene.”
Chiuse il telefono così, senza aggiungere altro, senza
aspettare di essere richiamata. Se Nell aveva ragione, sapeva bene che
non
avrebbe più sentito Crystal per molto tempo ancora. Si
sarebbero salutate per strada
se si fossero incrociate, ma nulla più.
Come al solito, in quei momenti, prese il pc e fece partire
la musica. Come a volerle ricordare quello che era appena accaduto, la
sua
playlist fece partire la canzone di un gruppo semi sconosciuto che era
stata
proprio la rossa a farle consocere.
La ricercò su internet e la postò sul social
network dove
era solita chattare con Dan.
“Such a pretty face, but such an ugly mess.
It's a dedication, a
dedication.
This is dedicated to
you.
Anche se non lo
vedrai, anche se non te lo diranno, è per te. Sì,
per te.
Io non ho dimenticato,
nulla, mai. E ti odio. No, non mi sei indifferente, non lo sarai mai.
Eri
l'amore, adesso sei l'odio. O forse no, perché quando si
tratta di te sono sempre
incoerente.
Ma adesso è venuto
davvero il momento di dirti addio.
Ti ho amato, tanto,
davvero, ma non lo saprai mai perché anche se te l'ho detto,
tu non hai mai
capito quanto fosse reale.”
Aveva iniziato a scrivere pensando a
lei, alla fine si era
resa conto che aveva in mente Dan.
Riaprì l’ultima chat avvenuta con lui e vide il
suo “ma io
ti amo” con la risposta di lei e quel cuore. Sospirando,
decise che era il
momento di dovergli scrivere, di affrontarlo in un modo o
nell’altro.
J:
Ti amo anche io, sai? E lo dico davvero
stavolta. Sai perché ne sono fermamente convinta adesso?
Perché sono incazzata
con te,per aver dato il pugno a quel tipo senza spiegazioni,
perché ti ho visto
mentre ti baciavi con un’altra! Ma ti amo. Sì, ti
amo. Non è amore questo?
Amarti anche quando dovrei odiarti, anche quando non dovrei stare a
rimuginare
su ogni segnale ambiguo che mi lanci? Io non so più che
fare, forse ha ragione
Kate, dovremmo affrontarci, ma non sono sicura di essere pronta ad
accettare un
rifiuto, se è quello che mi darai.
Chiuse
il pc con uno scatto, esausta, rendendosi solo conto
in quel momento che era scesa la sera e che Kate la chiamava per cenare.
Il volto della bruna aveva mille espressioni, ma le sorelle
non chiesero. Probabilmente la maggiore aveva sentito Annie e Nell, la
più
piccola Charlotte che aveva parlato con la sorella, quindi poteva
immaginarselo. I genitori… beh, loro non si accorgavano mai
di nulla.
Finì la cena in silenzio e tornò in camera. Venne
raggiunta
poco dopo da Ley che le diceva che al telefono c’era Cherish.
Era curioso, credeva che Cherish e Ley avessero degli screzi
visto che sembravano entrambe avere una cotta per Mark, il fratello di
Joe e
cugino di secondo grado della bionda, eppure probabilmente erano lo
stesso
amiche, troppo buone entrambe per odiare davvero l’altra
rivale.
Andò a rispondere e dopo pochi minuti Cherish le chiese dal
nulla qualcosa che non si aspettava.
“Ti fanno sempre tanto soffrire, eh?”
“E’ una condizione a cui ti abitui.”
La voce di Juliet sembrava quasi programmata.
“Davvero? Sei abituata alla sofferenza? Al dolore? Tanto da
non sentirlo neanche più? Tanto da non sentire
più nulla?
A me non sembra. Soffri da cani ogni volta che c’è
Dan di
mezzo, o Crystal in questo caso. Sì, ho parlato con Annie
e… si è lasciata
sfuggire alcune cose mentre si sfogava per Joe.
Juliet, ti conosco bene, e sai perché soffri?
Perché tu
mezze misure non ne usi con i sentimenti. Cioè non ne usi
neanche con le persone
in effetti, ma quello è un altro discorso.
Dovresti… dovresti semplicemente sfruttarli con chi ci tiene
davvero, al momento giusto."
Le sembrava di parlare con Nell.
"Ti odio."
"Ti voglio bene anche io, stupida sentimentale dal
cuore rosso."
"Eh?"
Juliet non capì, anche se rideva per il ti voglio bene. Non
odiava Cherish, era ovvio, ma di sicuro odiava il modo in cui tutte
sembravano
così sicure di loro, mentre lei non lo era di nulla.
"Non mi dire che non sai che ognuno di noi ha il cuore
di un colore differente!"
"Questa poi. Mi ero fermata al filo rosso del destino
io!"
"Bene, allora tu mi spieghi la storia del filo e io dei
colori!"
Bastò quello per far risollevare il morale a Juliet,
cosicché
non appena chiuse andò subito a letto senza pensieri brutti
o tristi che le
occupassero la mente. Dopotutto doveva anche pensare al ballo
organizzato dal
Club, e sapeva bene che lì sarebbero sorti latri guai.
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