Don't tell me

di LadyAgnesFreiheit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Neues Leben ***
Capitolo 2: *** Too much small for the world; ***
Capitolo 3: *** Primo incontro; ***
Capitolo 4: *** Incertezze; ***
Capitolo 5: *** Tentazioni; ***
Capitolo 6: *** La chiarezza adorna i pensieri più profondi; ***
Capitolo 7: *** Punti interrogativi; ***
Capitolo 8: *** 8 .Hass und Liebe ***
Capitolo 9: *** 9. Cosa vuoi veramente? ***
Capitolo 10: *** Fumo&Cenere; ***
Capitolo 11: *** 11. Verità. ***



Capitolo 1
*** Neues Leben ***


Neues Leben
 
Berlino.
Forse la città più bella del Mondo.
Le sue luci notturne la fanno brillare nella notte.
La vita che va avanti in ogni secondo della giornata la fanno sembrare dinamica e movimentata.
La sua maestosità ed imponenza quasi spaventa.
Quando, in un quartiere di Berlino, qualcuno si sta amando, a due quartieri di distanza qualcuno piange per amore. È tutto così straordinariamente grande e meraviglioso a Berlino.
Erano questi i pensieri di un venticinquenne berlinese.
Un venticinquenne che, però, aveva ancora tanti sogni, tanti progetti da realizzare e tante opportunità non prese a tempo debito.
Tanti rimpianti, forse.
Portò le mani fra i capelli corvini e scostò di poco dal viso quel ciuffo ribelle che non stava mai al suo posto.
Avrebbe potuto fare molto di più se solo avesse voluto, pensò cambiando ancora una volta posizione .
Quella notte non era riuscito a chiudere occhio: troppi i pensieri e le preoccupazioni.
Ben presto avrebbe dovuto alzarsi da quel letto e correre verso una nuova vita, forse migliore, forse no.
Fatto sta che non aveva minimamente voglia di lasciare il tepore del suo letto.
Dal piano di sotto provenivano rumori indefiniti e sicuramente insopportabili per chiunque avesse voluto dormire o, almeno, tentare di riposarsi.
Portò la testa sotto al cuscino e chiuse lentamente gli occhi, sprofondando in un sonno profondo.
<< Wilhelm Kaulitz!>>.
Un urlo ben presto lo fece sobbalzare, il cuore in gola.
Si guardò intorno stralunato e, non vedendo nessuno nei paragi, tornò sotto le coperte sperando di riuscire a passare almeno trenta minuti senza svegliarsi.
Le sue aspettative furono ben presto interrotte da qualcuno che entrò violentemente nella sua camera buia ed aprì le persiane, facendo penetrare la luce fioca del sole di fine ottobre.
Un altro venticinquenne berlinese, con i capelli corvini acconciati in treccine cornrows, un piercing al labbro inferiore sinistro, i pantaloni decisamente troppo larghi per il suo fisico esile, ma ben impostato, la  maglia due volte più larga delle sue spalle non  troppo grandi, si buttò di peso al fianco del primo ragazzo e lo scosse non troppo delicatamente.
<< Bill! Bill, siamo in un fottuto ritardo!>>, disse nervosamente il secondo ragazzo.
<< Thomas Kaulitz, sei pregato di non toccarmi!>>, mugugnò Bill.
Bill, questo era il nome del primo venticinquenne berlinese.
<< Bill, forse non ti è chiaro il concetto base!>>, disse piano Tom – odiava essere chiamato col suo nome intero- prendendo per le piccole ed esili spalle nude Bill, che aprì appena gli occhi. << Siamo in un fottuto ritardo, il taxi sarà qui fra mezz’ora e dobbiamo lasciare la casa immediatamente! Dio, non ti entra in testa! Le tue valigie sono ancora disfatte!>>, Tom portò le mani fra le treccine, guardando con disperazione quello che il gemello aveva combinato con le valigie.
Sì. Il gemello.
Bill e Tom Kaulitz erano due gemelli omozigoti di venticinque anni. A primo impatto nessuno avrebbe mai detto che lo fossero, in quanto ognuno amava avere uno stile ben diverso dall’altro, infatti, quando Tom amava vestirsi Hip Hop ed avere pochi piercing, Bill aveva uno stile completamente diverso: amava piercing e tattoo e sfoggiava  con fierezza il suo piercing al sopracciglio, il tongue, quelli alle orecchie, il labret, l’iris e il septum, per non parlare dei suoi tre tattoo-una tripla stella al bassoventre, la scritta “Freiheit89” sull’avambraccio sinistro e l’ultimo che gli ricopriva tutto il torace sinistro- di cui andava fiero; i suoi capelli erano corti ed acconciati all’indietro con gel e lacca, pantaloni attillati che fasciavano le magre ed esili gambe, magliette prevalentemente scure, con disegni dark o chic, anch’esse attillate che fasciavano il piccolo corpicino esile del ragazzo. Amava portare borse firmate ed avere in ogni occasione un minimo di classe che, per lui, era la cosa più importante.
Infine, Bill amava truccare gli occhi di nero.
Le sue abitudini, le sue passioni lo avevano molto spesso portato ad essere discriminato e maltrattato da coloro che lo consideravano diverso, ma niente di tutto ciò gli aveva minimamente fatto cambiare idea.
<< Mezz’ora?!>>, Bill balzò in piedi terrorizzato. << Panico, Panico! Ho bisogno di più tempo!>>, mise le mani nervosamente fra i capelli. << Tomi, aiuto!>>.
Tom lo guardò inizialmente con un cipiglio di incomprensione e intolleranza, ma alla fine gli sorrise, posandogli una carezza sulla guancia.
Fece un mezzo sorriso. << Vai a prepararti, qui ci penso io!>>.
A Bill si illuminarono gli occhi. << Tomi!>>, intrappolò il gemello in un abbraccio togli fiato. << Grazie, grazie, grazie! Giuro che ti ripagherò, in qualche modo.>>, detto questo, sparì dietro la porta.
Tom alzò un sopracciglio. << Sì. Mi ripagherà.>>, scosse il capo ed iniziò ad ordinare le valigie del gemello.
Presto non avrebbero più rivisto quelle mura.
Le valigie erano tutte pronte , i mobili erano già sul camion ed il taxi attendeva che i due ragazzi uscissero dalla villetta, per trasportare la maggior parte delle valigie dei due.
Tom sistemò la sciarpa al collo e, dopo un’ultima occhiata alla casa, uscì e raggiunse la sua Cadillac, attendendo che il gemello uscisse.
Bill diede l’ultima occhiata malinconica alla sua camera, si sistemò il suo giubbotto di eco pelle e, tenendo stretta la sua borsa nera, uscì chiudendo a chiave la porta e consegnando le chiavi ad un uomo che lo attendeva fuori dal vialetto.
<< La ringrazio, Signor Kaulitz. Buona fortuna.>>.
<< Arrivederla.>>, concluse il moretto con un cipiglio di nostalgia nella voce.
Diede le spalle all’uomo e salì nell’auto del fratello senza spiaccicar parola.
<< Beh, è arrivato il momento di partire.>>, cercò di dire Tom per intraprendere un discorso.
<< Mh.>>.
<< Si va incontro ad una nuova vita!>>, fece un mezzo sorriso, mettendo in moto la macchina e partendo.
<< Mh, mh.>>, Bill si voltò per guardare la villetta allontanarsi dalla sua visuale.
<< … ed io ho un fratello disoccupato e nostalgico.>>, scherzò Tom.
<< Mh.>>.
<< … che sa pronunciare solo il mugugno “mh”.>>, si voltò a guardarlo e portò la mano sulla sua. << Su. Non fare così. Sarà divertente: d'altronde, è sempre Berlino! E il quartiere dove vivremo è cool.>>.
Bill fece un mezzo sorriso e si girò a guardarlo. << Mi mancherà, però.>>.
Tom non staccò gli occhi dalla strada un secondo, ma sorrise. << Sì, anche a me. Mi mancherà la tranquillità del posto, ma non potevo rifiutare una promozione.>>.
<< Assolutamente no, Tomi!>>, strillò Bill. << Tom, sei il designer pubblicitario migliore di Berlino. Questa promozione è più che meritata! Non devi pentirti di nulla!>>.
Tom sorrise ancora. << Non mi sto pentendo. Quindi… benvenuta nuova vita!>>.
Bill mordicchiò le sue labbra, ma poi sorrise. << Benvenuta, nuova vita!>>.
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Capitolo 2
*** Too much small for the world; ***


Too  much  Small  for  the World
 
 
Inforcò I suoi grandi occhiali da sole neri e scese dalla sua Mercedes nera, tenendo ben stratta la sua cartella fucsia e nera. Nonostante avesse venticinque anni, amava ancora le sue passioni ed amava portarle avanti.
Entrò nella grande struttura, raggiungendo la segreteria.
Si trovò davanti ad un uomo di mezza età che compilava diligentemente dei documenti. << Buongiorno, Daven. Può dirmi per favore l’aula dove avverrà la lezione di psicologia?>>.
L’uomo alzò il viso e tolse gli occhiali. << Oh! Buongiorno signorina Neumann. Allora,  l’aula a lei assegnata dal professore Hans è la numero 43, secondo piano!>>.
La donna sorrise. << La ringrazio. Arrivederci.>>.
Si avviò all’ascensore, che arrivò dopo circa un minuto, quindi entrò.
Si trovò a seguire il discorso di due ragazzi sui ventitré anni delle facoltà di filosofia.
<< Hai sentito la novità? Alla facoltà di psicologia  si è iscritto un nuovo ragazzo!>>, disse uno con gli occhi verdi e i capelli color platino.
<< Non sembra una novità! È la cosa più normale del mondo che questo accada!>>, rispose l’altro con la carnagione scura.
<< Sì, ma lui ha venticinque anni ed è il fratello del più importante designer pubblicitario di Berlino.>>.
Presto l’ascensore arrivò al secondo piano.
<< Il designer della campagna dell’Audi?! Forte!>>.
La donna uscì dall’ascensore ed alzò un sopracciglio.
Il solito figlio di papà raccomandato, pensò scettica.        
Entrò nell’aula 43 e chiuse la porta, trovandosi davanti a persone a lei coetanee.
Era la prima volta che insegnava in un corso dell’ultimo anno e ne era tremendamente spaventata.
Gli occhi di tutti gli studenti universitari le erano puntati addosso ed ognuno la scrutava con sguardo quasi confuso ed incredulo. Si sentiva in soggezione. Quegli sguardi la facevano sentire troppo piccola.
 Troppo piccola per il mondo.
Decise di adottare il metodo drastico della freddezza e del distacco, così, per farsi rispettare.
Poggiò la cartella sul tavolo e fulminò con lo sguardo coloro i quali non avevano un posto.
<< Credevo di avere a che fare con l’ultimo anno, oggi. Non con i ragazzini di primo superiore>>, disse fredda guardando ogni singolo con freddezza e distacco.
Si sentì piccola di fronte ad un uomo sulla trentina ed una donna di sicuro più grande di lei, ma cercò di non darlo a vedere.
<< Sono la professoressa Neumann, docente di psicologia, assistente del Professor Hans. Non sarò sempre presente ai corsi: solo quando il docente avrà bisogno di sostituzioni. Non terrò esami, salvo casi particolari.
Nelle mie lezioni vigerà la regola fondamentale del rispetto!>>, si issò sulle braccia guardando ogni viso con uno sguardo talmente freddo che sarebbe stato capace di congelare. << Nessuno e dico nessuno è autorizzato a considerarmi al suo livello solo per l’età. Voi siete gli studenti ed io, finché sarò dietro a questa cattedra, sarò la vostra docente.>>, abbassò di poco il tono della voce rendendola più calda e sicura.
<< Detto questo…>>, si sedette accavallando le gambe con classe e sensualità insieme. << Iniziamo.>>.
Quelle due ore di lezione su Freud forse furono le più lunghe nella sua ancora breve carriera da professoressa. Ripose i libri nella sua cartella e si recò fuori dall’edificio inforcando i suoi occhiali neri; si guardò attorno.
Non ci volle molto a cambiare il suo umore: ad aspettarla una ragazza appoggiata alla sua Mercedes con dei lunghi capelli biondo cenere, gli occhi color del mare e un sorriso sincero sul volto.
Nonostante i suoi tacchi 180 corse verso la sua amica e l’abbracciò. << Oh, Eveline! Finalmente sei tornata!>>, saltò felice la donna stando attaccata all’amica. << Non immagini quanto abbia odiato il tuo lavoro questa volta…>>, sospirò staccandosi da lei e prendendole le mani. << Devi raccontarmi tutto! Com’è la Francia? Com’è andato il convegno?>>, sorrise dolce la mora.
<< Ariel, sta’ tranquilla! Abbiamo tutta la sera per raccontarci tutto quello che abbiamo fatto in questo mese. Andiamo a casa?>>, la bionda accarezzò la guancia dell’amica che sorrise ed aprì l’auto entrando seguita da Eveline.
<< Sei già passata da casa?>>, chiese la mora guardando la strada.
<< Sì. Ho lasciato le valigie e… oh, è sottosopra.>>, inarcò un sopracciglio guardando l’amica che girò gli occhi.
<< Tesoro non so che fare. Alex quando arriva dal lavoro mette in subbuglio l’intera casa, poi va a coricarsi e chi deve rimettere in ordine sono sempre io.>>, sbuffò la mora parcheggiando nel vialetto di una villa a due piani.
<< Dovresti mettere delle regole. Insomma, va bene che è un modello, che gira il mondo eccetera, ma presto vi sposerete e non potrà far fare tutto a te, soprattutto perché non ci sarò io che ti aiuterò.>>, disse d’un fiato l’amica attraversando il vialetto della casa.
Ariel sospirò. << Lo so Evy, non so che fare.>>, aprì la porta e fece entrare l’amica entrando poco dopo anche lei. Diede uno sguardo veloce al salone e sospirò rassegnata prendendo una bottiglia vuota di vodka. << E’ un mese che torna a casa dopo una serata e beve alcoolici come se fossero acqua!>>, sbuffò buttando la bottiglia in una pattumiera.
 La bionda sgranò gli occhi guardando l’amica che si dava da fare per mettere un minimo di ordine nella sala. << Ariel, scherzi?! Cristo, Ary! E’ una cosa seria, questa. Sei una psicologa e dovresti sapere che…>>.
La mora la interruppe. << Che non è normale che un ventisettenne si ubriachi ogni santa sera? Lo so. E’ senz’altro patologica, la cosa.>>, si voltò a guardare l’amica. << Ma non posso farci nulla, Evy.>>.
Eveline sospirò e posò una mano sulla guancia dell’amica teneramente. << Ary, tu sei ancora innamorata di Alex,  vero?>>.
Ariel in tutta risposta sgranò gli occhi e le diede le spalle correndo in cucina. << Certo, Evy! Certo che lo amo. E presto ci sposeremo!>>, alzò i lunghi e lisci capelli neri in una coda alta e corse in bagno. Levò le scarpe e sfilò la gonna.
<< Non ti ho chiesto se lo ami, Ary.>>, l’amica la guardò appoggiata allo stipite della porta incrociando le braccia al petto e inarcando un sopracciglio.
Ariel chiuse gli occhi e sospirò piegando la gonna e appoggiandola sul mobiletto.
<< Colpita e affondata…>>, canticchiò l’amica con un sorrisetto soddisfatto stampato sul viso.
<< Okay.>>, la mora si voltò e guardò l’amica. << Giuro che non parlerò mai più del mio lavoro davanti ad una specie di radar d’amore, nonché mia migliore amica!>>.
<< Oh, beh! Quel discorso sull’amore, innamoramento e infatuazione non era poi così noioso.>>, ammiccò la bionda. << Ormai so riconoscere ogni tipo di amore, tesoro mio!>>, rise soddisfatta.
Ariel le butto la camicetta addosso e rise lavandosi le mani. << Evy, io devo essere innamorata di lui. Cioè siamo insieme da ormai sei anni e mi ha chiesto di sposarlo.>>, sospirò e si asciugò le mani. << Sto bene con lui, insomma… sì, credo di stare bene!>>.
Eveline la guardò attraverso lo specchio. << Credi o ne sei sicura?>>.
Una sola domanda, fatta con un’intensità e una sincerità inumana e incomprensibile, potrebbe mai mettere in difficoltà una psicologa?!
Evidentemente lei, la sua migliore amica, Eveline poteva.
La guardò per interminabili secondi e poi posò lo sguardo sul suo viso: la carnagione chiarissima a contrasto con i suoi occhi color nocciola truccati pesantemente di nero, la bocca a cuoricino dipinta di un rosso scarlatto e i ciuffi dei suoi lunghi capelli neri ricadevano sul suo viso contratto in un’espressione di dubbio e perplessità.
Ne era ancora innamorata? O, perlomeno, lo amava  ancora?
<< Evy, non lo so!>>, si voltò mettendo le mani fra i capelli. << Non lo so e non ci voglio pensare ora!>>, le andò incontro e l’abbracciò. << Ora sei tornata tu, che sei la mia unica certezza. Voglio stare con te e non pensare a nulla! Solo a me e a te, come dieci anni fa!>>.
<< Come due quindicenni che parlano di shopping, dieta e sesso mangiando un variegato al cioccolato?>>, sorrise la bionda abbracciandola.
Ariel rise dolcemente. << Sì, ma magari omettiamo l’argomento sesso!>>, si allontanò dalla stretta e indossò un pantalone della tuta e una T-shirt.
<< Perché riporterebbe al nocciolo del tuo problema, mia cara psicologa!>>, la bionda diede una pacca sul sedere dell’amica che rise.
<< Dio, ma chi è qui la psicologa? Io o tu?>>.
<< Beh, come si usa dire: l’alunno ha superato il maestro!>>.
<< Esattamente!>>, rise la psicologa andando in cucina e iniziando a cucinare. <>, rise sbattendo le uova per la frittata.
Eveline si sedette sul tavolo guardando l’amica. << Beh, sì! E se tutto va bene diventerò la capo redattrice della rivista che sponsorizza Chanel.>>, disse con nonchalance guardandosi le unghie bordeaux.
Ariel si bloccò sul colpo e si girò guardando l’amica. << Oh mio Dio! Cosa?!?>>, saltò sul posto urlettando come una ragazzina che ha ricevuto l’sms dei suoi sogni e corse ad abbracciare la bionda. << Capo redattrice di Chanel! Dio, Dio, Dio!!!>>.
<< Amore, ancora non lo sono!>>, rise la bionda. << Calmati! Ti racconto un po’ quello che succederà nei prossimi mesi>>, si mise seduta guardando l’amica che si sventolava una mano davanti al viso. << Abbiamo ingaggiato uno dei migliori designer pubblicitari di Berlino e tre dei migliori giornalisti di tutta la Germania; questo dovrebbe incrementare le vendite nel settore pubblicitario e in quello stilistico e il mio capo ha detto che, essendo la migliore nel mio settore, molto, ma molto probabilmente avrò la promozione!>>, questa volta fu la bionda ad urlare seguita dall’amica che l’abbraccio felice.
<< Evy, Evy, Evy!! Dobbiamo festeggiare, amore!>>, strillò felice la mora stringendo l’amica teneramente.
Non si accorsero neanche che un uomo le stava osservando stranito dalla scala. I suoi capelli biondo cenere ricadevano morbidi sulla fronte, la sua pelle abbronzata avrebbe fatto impazzire ogni donna, gli occhi verdi e lo sguardo vispo e malizioso, le labbra sottili e il fisico da surfista californiano delineavano Alex come il migliore fra i modelli di Alexander McQueen.
<< Festeggiare cosa?>>, s’intromise il giovane entrando in boxer e a piedi nudi nella cucina.
Ariel lo guardò e lo andò a salutare posandogli un bacio sulle labbra. << Eveline forse avrà una promozione!>>, esultò la mora.
L’uomo guardò prima la sua ragazza e poi l’amica e sorrise appena. << Figo!>>, s’avviò al frigo aprendolo e bevendo dalla bottiglia la coca cola.
Ariel irrigidì i muscoli e si voltò dall’amica con un sorriso assassino sul volto; Eveline, in tutta risposta, alzò le mani e si spostò in bagno.
<< Alex, chiedo troppo se ti dico di non bere dalla bottiglia?!>>, incrociò le braccia al petto guardando il fidanzato che ripose subito la bottiglia nel frigo.
<< Oh, Ariel! Che sarà mai!?>>, rise con nonchalance l’uomo andando in salotto.
<< Che sarà mai?!>>, commentò la donna andandogli dietro. << Alex, mi dà noia, okay?! E poi perché vai in giro in boxer?! Se venisse mamma a trovarci!? Mh?>>.
<< Ary…>>, l’uomo le si parò davanti e le alzò il viso baciandole le labbra. << Stai tranquilla, mh? Tanto era solo Evy!>>, la baciò ancora con più passione.
La donna si staccò. << NO! No, Alex, no! Non mi piace questo, okay?!>>.
Il biondo girò gli occhi. << Io vado al lavoro, bambola! Stanotte non mi aspettare: ho una serata in discoteca con i miei colleghi!>>, la baciò ancora e sorrise sghembo tornando sopra e lasciando Ariel immobile davanti alle scale. Sentiva un solletichìo nelle mani, come se volesse picchiare qualcuno a sangue.
Sbatté un piede per terra e sentì la risata cristallina dell’amica alle sue spalle.
<< E tu cosa ridi?!>>, la fulminò con lo sguardo.
<< Non mi aspettare, bambola!>>, rise Eveline imitando la voce di Alex. << Convincente il tuo futuro marito, mh?!>>.
Venne ancora fulminata con lo sguardo da Ariel. << Non me lo nominare per le prossime ventiquattro ore o giuro che lo prendo a cazzotti!>>, si avviò in cucina continuando a cucinare nervosamente.
<< Ok, ho la soluzione per farti calmare: Shopping!>>, sorrise felice la bionda abbracciandola da dietro.
<< Evy, non ho tempo per lo shopping oggi! Devo preparare la lezione di domani, lavorare sul computer…>>, sentì la porta d’ingresso sbattere e sbuffò. << …Provare il vestito da sposa!>>.
<< Con che entusiasmo lo dici, tesoro mio!>>, rise ancora la bionda.
<< Evy, okay!>>, Ariel si morse un labbro. << Ti prego dimmi che c’è la svendita a Chanel!>>.
L’amica sorrise felice e annuì. << Svendita del 50%, baby!>>.

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Capitolo 3
*** Primo incontro; ***


       Primo  incontro
 
<< E’ esattamente un mese che non faccio shopping!>>.
Ariel indossò una minigonna nera e una camicetta bianca con i laccetti neri incrociati sulla schiena e ci abbinò dei tronchetti bianchi e neri di pelle con tacco 150.
<< Sono la tua salvezza, ammettilo!>>, rise la bionda passando il lipgloss sulle labbra.
Ariel sorrise e indossò il suo giacchetto di eco pelle bianco con gli strass neri. << Lo ammetto, tesoro! Sono stufa di programmare lezioni, lavorare e stare dietro ad Alex! Ho bisogno di staccare dal mondo e rilassarmi come dieci anni fa con la mia migliore amica>>, ammiccò e inforcò i suoi occhialoni con la montatura bianca guardando l’amica.
<< E che aspetti?>>, ammiccò Eveline inforcando i suoi occhiali color ambra. << Andiamo!>>.
 
Dopo aver sistemato le valigie, i gemelli decisero che fare una passeggiata nel centro della Capitale avrebbe fatto nient’altro che bene. Così rimandarono ogni sistemazione e si avviarono verso la porta di Brandeburgo cercando di rilassarsi prima di iniziare con i preparativi per la nuova vita.
<< Tomi possiamo andare a fare Shopping?>>, saltellò il moretto aggiustandosi gli occhiali da sole sul naso perfetto. Il gemello sbuffò e poi rivolse un sorriso sincero a Bill.
<< Vai tu Bill, a me non va minimamente di passare ore e ore in negozi di grandi firme.>>, inarcò un sopracciglio. << Come piace fare a te!>>.
<< Non vieni con me, Tomi?>>, chiese Bill mettendo il muso ed incrociando le braccia al petto, guardando il fratello che gli porse la sua carta di credito.
<< No, Bill. Vacci tu, io ti aspetto in un bar! Appena finisci mi chiami>>, il maggiore dei due stampò un bacio sulla guancia del gemello e lo incoraggiò ad andare per negozi non curandosi della spesa.
<< Tomi…>>, cercò di replicare il moretto ricevendo solo un sorriso sincero dall’altro che entrò in un bar tranquillamente. << Grazie, Tomi.>>.
Il moro sorrise e si avviò al centro di Berlino dove albergavamo i negozi più prestigiosi di tutto il mondo di grandi firme. Fu colpito da una fila di ragazze che attendevano l’apertura delle porte di Chanel Paris.
Abbassò e gli occhiali da sole e lesse più volte con gli occhi sgranati la scritta “50%” sui vetri di quel negozio che tanto amava.
Fu pervaso da brividi piacevoli e si fiondò in mezzo alla folla saltellando come un’adolescente al suo primo appuntamento.
Chanel al 50%: non poteva rinunciarci, assolutamente.
Squadrò con sfida ogni donna, ragazza, ragazzo o anziana che si trovò davanti come per voler affermare la sua supremazia su quel luogo. Chanel quel giorno sarebbe stata sua.
Si soffermò su due ragazze davanti a lui che scherzavano dandogli le spalle: la più alta aveva lunghi e ricci capelli biondo cenere, un jeans chiaro e un giacchetto nero. La seconda sembrava appena uscita da un video di Britney Spears e si atteggiava da vip gesticolando sinuosamente e toccando più volte i lunghi capelli neri. Pensò più volte che fosse una copia mora di Britney Spears con i capelli di Nicole Scherzinger  e le labbra di Megan Fox e la vedeva un’avversaria temibile per le giacche di pelle e le borse grandi.
La squadrò sfidante più volte dalla testa ai piedi e nel momento in cui lei decise di voltarsi a guardarlo, le porte aprirono e ci fu una corsa all’interno del negozio da parte di tutti i presenti.
Bill non perse un secondo e corse all’interno del negozio fiondandosi sulle borse giganti, aggiudicandosene una nera da uomo; corse immediatamente sulle scale mobili guardando tra gli scaffali e cercando i completi maschili: aveva bisogno di qualcosa di elegante per l’inaugurazione del nuovo lavoro del fratello e voleva, anzi pretendeva, che a vestirlo fosse Chanel.
Avrebbe fatto piacere a Tom, si disse tra sé e se guardando minuziosamente ogni capo.
Si trovò fra le mani un pantalone di pelle e una camicia bianca con i bordini neri di pelle e fu subito luce per i suoi occhi. << Tu. Tu sei l’amore della mia vita!>>, sussurrò in preda ad una crisi isterica. << Sarai mio!>>, fu squadrato più volte da una signora anziana con in mano un vestito rosso fuoco.
La guardò con un sopracciglio alzato e le lanciò uno sguardo maligno. Avrebbe tanto voluto gelarla con un “Hey nonna, non è un po’ troppo corto quel vestito per la tua età?”, ma decise di tenere la bocca chiusa e di provare quel capo che, da lì a poco, sarebbe stato suo.
 
Era troppo tempo che Ariel non passava una giornata così: spensierata, in un negozio di alta moda, con la sua migliore amica.
Dire che le serviva, sarebbe riduttivo.
Ne aveva un fottuto bisogno.
Vagava per gli scaffali prendendo fra le mani tutto ciò che avesse strass, paillettes, pizzi, borchie o eco pelle; amava rimanere fedele al suo stile, al suo modo di essere almeno quando non era costretta ad indossare un abbigliamento sobrio e professionale.
Amava portare le minigonne, i tacchi a spillo e le magliettine scollate. Amava acconciare i capelli lunghi e lisci con dei mollettoni che li tenessero a bada. Amava truccare gli occhi pesantemente di nero e la bocca di rosso scarlatto o bordeaux. Amava tutto ciò che luccicava ed era appariscente ma elegante al tempo stesso.
Amava valorizzare il suo corpo con vestitini di ogni tipo. Amava lo shopping e l’alta moda e non poteva farci nulla.
Amava tutto ciò, ma il suo lavoro permetteva di fare uso di solo un quarto della sua passione.
Pazienza, si disse guardando un vestito bianco di pizzo con una cintura di strass neri in vita.
<< Evy? Che ne dici?>>, se lo portò davanti e si girò verso l’amica che storse le labbra.
<< Non è male. Se solo fosse più corto…>>, la squadrò più volte analizzandola.
<< Oh. .>>, la mora si guardò allo specchio . << Non è un problema, affatto. Potrei accorciarlo e passare il pizzo di sotto qui, alle estremità. Inoltre ci abbinerei.. mmh..>>, si guardò intorno cercando tra i trench. Ne trovò uno nero, lungo al ginocchio, con i bordi delle tasche e i risvolti delle maniche di pelle bianca coccodrillata che dava un effetto luminoso. << … Sì,ci abbinerei decisamente questo trench e.. Oh! Queste scarpe!>>, prese un paio di scarpe con tacco 180 a tronchetto nero lucido con gli strass bianchi sui bordi e sulla cerniera.
L’amica la guardò sconvolta e sorrise. << In due minuti sei riuscita a formare un completo per una festa e ad aggiustare un capo a tuo piacimento. Dio, Ariel! Ma chi te l’ha fatta fare?! Saresti stata una stilista fantastica!>>.
Ari fece una smorfia. << Non ha importanza, Evy. Ora ho un lavoro soddisfacente e mi diverto sperimentare su me stessa quello che sarebbe dovuto essere il mio lavoro. Tutto qui.>>, sorrise e si avviò al camerino per provare il tutto.
Sistemò il vestito come amava di più ed uscì camminando snella sui tacchi. L’amica la squadrò e sorrise soddisfatta. << Wow, ma guardati! Sei magnifica!>>, le prese una mano e le fece fare un giro su sé stessa.
<< Sono loro che sono splendidi!>>, si indicò i capi indossati. << Prendo tutto!>>, affermò prima di sparire dietro alla tendina del camerino.
 
Quel completo era perfetto. Era la perfezione in persona, si disse Bill guardandosi allo specchio soddisfatto della sua scelta.
Tomi sarebbe stato fiero di lui e lui ne esultava di già.
Uscì velocemente dal camerino e si guardò intorno andando in punta di piedi verso l’enorme specchiera  per osservare meglio la sua immagine.
Fece diversi movimenti del collo e delle spalle per testare la comodità del capo e ne fu felicemente soddisfatto. Non c’erano dubbi: l’avrebbe acquistato.
Si girò di scatto sorridente e guardò dritto davanti a sé incontrando due occhi pesantemente truccati nella stessa maniera dei suoi, due perle color nocciola risplendevano felici in un visino con la carnagione chiarissima e a bocca, quella bocca che lui aveva paragonato a quella di Megan Fox, si estendeva in un sorriso sincero.
Rimase gelato de quel viso, tanto che fu costretto a fissarlo per interminabili secondi fino a quando la ragazza, sentendosi osservata,  non alzò lo sguardo verso di lui.
Fu invasa da brividi guardando quel viso: gli occhi del colore dell’ambra sciolta,  incastonati in un viso color perla, erano pesantemente truccati di nero ed accentuavano lo sguardo profondo dove sarebbe volutamente annegata, il naso piccolo e lineare era ornato da un septum e la bocca carnosa e rosea era leggermente schiusa. Solo dopo notò un luccichio proveniente dal piccolo labret al lato destro della bocca.
Nessuno dei due seppe interpretare il perché di quello sguardo durato solo pochi secondi e nessuno dei due seppe distogliere lo sguardo dall’altro.
Eveline, ignara di tutto, prese il braccio di Ariel e la trascinò entusiasta verso uno scaffale di scarpe. Ariel, a sua volta, si voltò velocemente verso quel ragazzo così misterioso e lo guardò ancora per una manciata di secondi prima che la voce dell’amica la distogliesse dai suoi pensieri confusi.
Bill continuò a guardare quella ragazza misteriosa che assomigliava tanto ad una geisha appena uscita dal videoclip di Britney Spears  fino a quando una commessa non gli chiese se si sentisse bene.
<< Benissimo, la ringrazio.>>, rispose flebilmente guardando le due ragazze girare l’angolo. << Mai stato meglio.>>, sussurrò tornando a guardare la commessa.
<< Le va bene il completo?>>, chiese educatamente.
<< Oh, sì. Lo prendo.>>.
 
Dopo una buona mezz’ora le ragazze uscirono dal negozio soddisfatte dei loro acquisti: Ariel, oltre al completo, comprò una gonna nera a tubino, una camicia rosa confetto e un vestito color oro abbinato a delle scarpe. Eveline, eterna innamorata del vintage, comprò un vestito anni ’70 nero e bianco, delle francesine nere tacco 130 ed una serie di magliette stile impero.
<< Mai, giuro, mai mi sono divertita tanto in questi ultimi due anni!>>, esclamò entusiasta la bionda tendendo le buste con due mani. << Il lavoro ci ha portato via troppo tempo, Alex anche di più, la promozione, l’università e il matrimonio! Wooh. Erano due anni che sognavo questa giornata!>>.
Eveline parlava a ruota libera senza ma fermarsi, camminando fianco a fianco all’amica che sembrava tutt’altro che attenta ed interessata al suo discorso.
<< Ary?! Ma mi ascolti?!>>, chiese stizzita la bionda.
Ary, in tutta risposta, si stampò una mano sulla fronte. << Oddio, Evy! Devo ritirare il vestito da sposa! Aspettami nel bar qui accanto, arrivo subito!>>, le affidò le buste e corse verso il centro.
Eveline sbuffò divertita e si avviò al bar indicato; aprì velocemente la porta non accorgendosi di aver colpito in pieno viso un uomo.
<>, sussurrò l’uomo in un gemito di dolore tenendosi il naso.
Eveline solo da quello si accorse del danno fatto e si fiondò ad aiutare l’uomo. << Oh mio Dio, mi scusi! Mi scusi tanto!>>, si abbassò sull’uomo ispezionando il suo viso contratto in un’espressione di dolore.
Era davvero niente male: il suo fisico era grande ed imponente, aveva le spalle larghe e il bacino stretto, il viso era magro e lineare, gli occhi color ambra a forma di mandorla, il naso fine e leggermente all’insù e la bocca carnosa. Il labbro superiore era fino, quello inferiore carnoso e lucido, abbellito da due palline di metallo nero che componevano il labret sul lato sinistro della bocca. Sulla fronte una bandana nera e i suoi capelli erano neri ed acconciati in cornrows lunghi fino alle spalle. L’abbigliamento era abbastanza particolare: una felpa blu abbastanza larga e un  jeans scuro XXL.
Sembra appena uscito da un videoclip di Samy Deluxe, si disse la bionda.
<< Sta bene?>>, chiese preoccupata tamponando con un fazzolettino il poco sangue che usciva dal naso.
<< Stia tranquilla>>, disse l’uomo alzandosi in piedi. << Sto bene>>, sorrise dolcemente nella direzione della ragazza che non poté fare a meno di notare il sorriso sincero e perfetto del ragazzo.
<< Mi dispiace tanto per quello che è accaduto!>>, sussurrò la ragazza vistosamente dispiaciuta.
<< Non si preoccupi, davvero! Non mi ucciderà un colpo al naso!>>, rise appena l’uomo.
<< Per farmi perdonare le offrirò qualcosa e non faccia complimenti, la prego! Piacere, io sono Eveline!>>, gli porse la mano che l’uomo strinse donandogli un sorriso.
<< Thomas!>>.
<< Mi dispiace ancora Thomas;  mi dica, cosa vuole offerto?>>.
<< Oh, lasci stare!>>, sorrise imbarazzato l’uomo.
<< Oh, no! Non se ne parla!>>, s’impuntò la donna. << Pretendo di offrirle qualcosa stasera, Thomas!>>.
<< Beh, la ringrazio. Prendo solo un caffè.>>, disse imbarazzato Thomas.
<< Perfetto, le va di sedersi?>>, sorrise la donna che fu gentilmente scortata ad un tavolo dal ragazzo con cui intraprese un discorso sul più e il meno.

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Capitolo 4
*** Incertezze; ***


4. Incertezze
 
Fu assalita da una sensazione di ansia e prigionia non appena entrò in quel negozio di abiti bianchi e pomposi. Tutto un tratto non li vedeva più come un sogno, bensì come un brutto, bruttissimo incubo da cui svegliarsi immediatamente.
Sentiva quel negozio come una prigione e quel vestito coperto da un telo bianco, come la divisa a strisce bianche e blu dei carcerati. Si chiese più volte il perché: perché il sogno di ogni ragazza, il sogno di quando lei era ragazzina, stava diventando il suo incubo peggiore? Perché non voleva che arrivasse mai quel ventidue novembre, che sarebbe dovuto essere il giorno più bello della sua vita? Perché sentiva una repulsione per la parola “matrimonio”?
Scosse il capo e ringraziò la sarta prendendo il telo ed uscì velocemente da quel negozio che stava diventando fin troppo affollato per la sua testa, nonostante la sola cliente in quel momento fosse lei.
 
<< Di cos’ha detto che si occupa, Thomas?>>, chiese Eveline bevendo un sorso del suo caffè d’orzo.
<< Oh, non l’ho detto. Sono laureato in grafica, sono un designer pubblicitario e mi hanno appena preso per la grafica di un giornale molto importante: Chanel magazine.>>, espose soddisfatto l’uomo mescolando il caffè fumante nella tazza.
Evy non poté fare a meno di sgranare gli occhi e trattenersi dal fare una figura di cui si sarebbe pentita molto presto, sputando il suo caffè. Si limitò a tossire rumorosamente e a guardarlo negli occhi. << Thomas Kaulitz?! Lei è Thomas Kaulitz?!>>.
Il ragazzo fu sorpreso da quella reazione. << Sì, come fa a sapere chi sono?>>.
<< Dio, sono l’assistente di Angela Schulz!>>, sorrise la ragazza sorpresa. << Lavoro per Chanel anche io!>>.
<< Tu… lei… Lei è Eveline Hoffman?>>,  l’espressione di Thomas si allargò in un sorriso sincero e sorpreso allo stesso tempo.
<< La prego, mi dia del tu! Sì. Eveline Hoffman! Dio, quindi lei sarà il nostro designer! Non ci credo Thomas, di averla incontrata!>>, la bionda portò una mano fra i ricci ribelli e sorrise.
<< Dammi del tu, Eveline! Che strana coincidenza: incontrarsi il giorno prima dell’inizio del nuovo lavoro! Se questo non è destino, dimmi tu cos’è!>>.
La ragazza arrossì violentemente senza un motivo valido. << Destino, già!>>, sussurrò guardando il ragazzo attentamente registrandone ogni minimo particolare: il labret nero sul lato sinistro delle labbra, il piccolo neo sulla guancia destra accanto ad una piccola cicatrice, gli zigomi alti ed il viso magro, la pelle liscia e rosea, gli occhi sinceri e grandi.
Non poté fare a meno di pensare che fosse bellissimo e sorrise all’uomo senza un motivo preciso.
I suoi pensieri furono interrotti dalla suoneria del suo Iphone.  << Oh, scusami Thomas! Sarà la mia amica!>>, cerco il cellulare nella sua grande borsa nera piena di cianfrusaglie poco utili.
<< Fai pure. Oh, Tom. Preferisco Tom.>>, bevve un sorso dal suo caffè.
<< Bene.>>, sorrise la donna recuperando l’Iphone. << Con permesso Tom.>>.
La donna si allontanò dal tavolo lasciando Tom solo con i suoi pensieri.
Bevve velocemente il suo caffè squadrando più volte la ragazza che gesticolava parlando al cellulare e non riuscì a fare a meno di pensare che fosse adorabile.
Era davvero un caso più unico che raro trovare una dipendente di una rivista di alta moda così alla mano e simpatica, capace di comunicare e scherzare del più e del meno senza toccare argomenti come la moda, la linea o “il miglior capo dell’anno Chanel è un pullover nero con le piume e con gli strass, secondo me ”.
Storse le labbra pensando all’ultima cosa che gli era passata per la mente e notò che molto probabilmente dava troppa attenzione a suo fratello mentre sfogliava le riviste di moda.
Guardò ancora la ragazza e sorrise pensando che fosse davvero un tipetto carino ed interessante. Diversa da tutte le dipendenti di ogni rivista di moda in cui aveva lavorato.
Aveva i capelli di un colore naturale e particolare che andava dal biondo cenere al castano chiaro, gli occhi blu con sfumature verde acqua, il fisico molto più bello di tutte le ragazze che avesse mai visto nella sua vita: un seno prosperoso, la vita molto stretta e i fianchi alla brasiliana.
Sembrava una piccola copia di Beyonce con la carnagione color neve e gli occhi color mare.
Si spostò il labret guardandola: era davvero niente male.
Distolse lo sguardo da lei solo quando la vide tornare velocemente al tavolo. << Mio Dio, devo scappare Tom! La mia amica ha bisogno di aiuto con il vestito da sposa e ha degli istinti omicidi verso il suo quasi marito che non risponde al cellulare.>>, Eveline parlava a ruota libera mettendo le cianfrusaglie nella borsa velocemente. << Poi devo provare anche il mio vestito e se non va bene quella è capace di annullare tutto! Oddio no, devo fermarla! Oh. Ma che lo sto dicendo a fare, ti starò rompendo sicuramente! Devo tenere a bada la lingua una volta per tutte!>>, rise la donna accompagnata da una risata cristallina di Tom.
<< Ma no, dai! Carina la situazione, credo che tu faccia bene ad andare prima che…>>, Eveline non lo fece finire.
<< Prima che scoppi l’Apocalisse! Sì, esattamente!>>, prese la borsa e lasciò i soldi sul tavolo. << Ci vediamo domani, allora.>>.
<< Sì, a domani Eveline e grazie per il caffè!>>, sorrise Tom stringendo la mano alla ragazza, che sorrise ed uscì velocemente dal bar.
Corse velocemente verso la sua Audi A1, dove, appoggiata ad essa c’era Ariel col telo fra le braccia.
<< Eveline, tesoro mio, ci hai messo un casino di tempo, cazzo!>>, strillò furiosa la mora.
<< Ary, scusa! Calmati, ora andiamo a casa e vediamo tutto, okay?>>, sorrise la bionda entrando in auto seguita dalla sua amica che ripose nei sedili posteriori i teli.
<< Sì, ma tanto so che nulla andrà bene! Sarà tutto imperfetto e Alex non risponderà per le prossime sette ore!>>, gesticolò la mora freneticamente guardando l’amica che guidava velocemente verso casa.
<< Ary, ma cos’hai? Oggi sei più isterica del solito!>>, ridacchiò l’amica.
<< Amore, non lo so.>>, la mora si spiaccicò una mano sulla fronte. << Sono la peggiore psicologa per me stessa!>>.
Eveline parcheggiò di fronte alla grande villa e scese. << Devi dirmi qualcosa?>>.
<< Nulla, amore. Se lo sapessi te lo direi.>>.
La bionda sospirò. << Okay, va bene! Andiamo a vedere quest’apocalisse.>>.
Le due donne entrarono in casa e furono accolte da una mini chihuahua bianca a pelo lungo. Dal collo pendeva un collare di swarowky con la medaglietta fuxia e il suo pelo era morbido e lucente.
<< Amore di mammina, ti sei svegliata!>>, Ariel si sedette sulle ginocchia e prese la cucciola fra le braccia come se fosse una bambina.
Quando Eveline partiva per i suoi viaggi di lavoro, l’unica che le faceva compagnia era la sua piccola Fraisey Liebe Princess. Amava quella piccola pallina di pelo perché era stato un regalo di suo padre, prima di morire l’anno precedente; la trattava come una figlia e non le faceva mancare nulla.
E, sì, poteva dirlo! Fraisey era  molto più eloquente e di compagnia di Alex e preferiva di gran lunga stare con lei, accarezzarla, lavorare al computer mentre la cagnetta la osservava con i suoi occhioni e curarla che passare del tempo con Alex, sapendo che si sarebbe andati a finire solo e sempre sotto le coperte.
Cercò di scacciare quei pensieri che le stavano mandando in tilt il cervello e posò Fraisey nella sua cuccetta fucsia e nera riempendole poi la scodella con i suoi croccantini.
<< Hey, principessa! Sei pronta per provare l’abito dei tuoi sogni?>>, sorrise la bionda aprendo il telo.
Ariel sospirò ed annuì svestendosi piano e controvoglia.
<< Che entusiasmo, amore!>>, commentò Evy aiutandola ad infilare il corpetto bianco di raso.
<< Evy, tesoro, sono stressata per il lavoro. Tutto qui!>>, sospirò la mora scostandosi i capelli dalla schiena per facilitare il lavoro all’amica.
<< Spero che sia solo per questo e che passi. E’ tutto oggi che sei così.>>, la donna tirò i laccetti stringendoli e facendo sussultare l’amica davanti.
<< Così… come?>>, la mora respirò piano mentre nella sua mente si facevano spazio delle immagini ben chiare del pomeriggio prima.
<< Strana! Sei pensierosa, ansiosa, lunatica! Strana, tutto qui!>>, concluse allacciando il laccetto di raso dietro alla schiena.
<< Sto bene.>>, sussurrò impercettibilmente Ariel  abbassando il viso e ripensando a quel misterioso ragazzo col viso di perla e gli occhi color ambra.
L’amica mugugnò e l’aiutò ad infilare l’abito bianco.
Quell’abito che stava diventando il suo incubo: il corpetto di raso era ornato da piccoli strass ai bordi e le spalline scendevano morbide sulle spalle, la gonna era ampia e liscia e cadeva lucida sul parquet  accompagnata da una scia di strass.
Infilò le scarpe bianche di raso e la coroncina fra i capelli.
Eveline le si parò davanti guardandola emozionata. << Dio, come sei bella, piccolina!>>, le si buttò fra le braccia e poi si allontanò per guardarla. << Guardati!>>, la portò davanti alla specchiera e lasciò che la mora si osservasse.
Ariel si guardò più volte ed ancora per una volta vide quell’abito come la divisa per il carcere. Sgranò gli occhi e sospirò. << Evy, non mi piace! Avevo chiesto più strass sul corpetto e meno sulla gonna!>>.
La bionda si stampò una mano sul viso. << Beh, amore! Nessun problema li facciamo aggiungere sul corpetto e levare dalla gonna!>>.
<< Ma… Evy!>>, si guardò ancora. << Mi fa i fianchi larghissimi e le spalline non mi piacciono più!>>.
<< Ariel, lo facciamo aggiustare!>>.
<< No, Evy, no! Guarda qui, volevo la gonna arricciata, non liscia!>>, batté un piede per terra.
<< Dio, Ary! Ma se hai specificato tu stessa di non voler ricci!>>, sbottò l’amica guardandola. Ariel automaticamente abbassò lo sguardo. << Ariel, guardami negli occhi.>>, sussurrò la bionda prendendo il viso dell’amica fra le mani. << Ma tu vuoi davvero che questo matrimonio si faccia?>>.
Ariel la guardò negli occhi per poi guardare oltre lei. << Ma certo, amore. Che domande sono?>>.
<< Ary. Vuoi davvero sposare Alex, passare tutta la tua vita al suo fianco? Per sempre? Avere figli da lui, invecchiare con lui… amarlo sempre?>>.
Dopo quella domanda la mora si pietrificò davanti agli occhi dell’amica e una lacrima attraversò il suo viso. << Evy… io non lo so se lo voglio davvero.>>, sussurrò.
La bionda la guardò intenerita e le accarezzò  la guancia. << Vieni qui, principessa!>>, l’attrasse a sé e l’abbracciò con tutto l’amore che solo una migliore amica poteva dare.
 
I gemelli rientrarono  in casa per cena e Bill salì in camera sua per provare ogni capo che aveva acquistato la sera stessa.  Era soddisfatto di sé stesso: aveva nelle mani un completo di Chanel, una borsa di pelle nera, un trench bianco ghiaccio e un giacchetto di ecopelle argentato.
Si squadrò soddisfatto con addosso il suo nuovo completo di Chanel e batté le mani felice come un bimbo saltellando giù dal fratello che, intento a cucinare, non lo sentì arrivare.
<< Tomii!!>>, urlò il moro facendo sobbalzare il fratello.
<< Cristo, Bill!>>, si girò di scatto portando una mano sul petto. << Poco e mi uccidevi, che c’è?>>.
Il moro lo guardò felice e fece diversi giri su sé stesso. << Come sto?>>, chiese per poi guardarsi.
Il treccinato lo squadrò e sorrise dolce. << Sei bellissimo, piccolo!>>.
Bill amava sentirsi apprezzato dal suo Tomi, amava quando diceva che era bello e amava quando lo coccolava e gli dava attenzioni. Amava tutto del suo fratellone, ma soprattutto amava il fatto che mai e poi mai lo avrebbe lasciato solo.
Si era convinto di questo dalla morte della madre, avvenuta sei anni prima.
Kate era stata da sempre l’unico punto di riferimento per i due figli, in quanto non avessero mai conosciuto il padre biologico. Era rimasta incinta a soli diciannove anni e presto si era ritrovata sola con due gemelli e nessun compagno; aveva deciso di proseguire gli studi e di laurearsi per poter dare ai suoi figli una vita degna di essere vissuta alla pari con la società.
Li aveva fatti studiare nel miglior college di Berlino ed era fiera di loro.
Al loro diploma li aveva iscritti ad una università che si diceva la migliore della Germania e Bill e Tom erano orgogliosi e felici di vedere la loro mamma così contenta per loro.
Fino a quando, quella notte di sei anni prima, un uomo alla guida in stato di ebrezza aveva portato loro via l’amata madre lasciandoli con una telefonata dalla polizia in piena notte.
Fu da quel giorno che la vita dei gemelli cambiò. Radicalmente.
Tom prese in mano le redini della famiglia e, facendosi forza, andò avanti negli studi cercando di non far notare a Bill il dolore e il laceramento interno che possedeva ed il più delle volte soffocava pianti di disperazione nella notte sul cuscino.
Senza sua mamma anche lui si sentiva perso.
Bill, a differenza del fratello, alla perdita della madre era diventato un automa e non era riuscito a proseguire gli studi. “Mi ricordano mamma”, diceva al fratello che voleva convincerlo in qualche modo a riprendere i suoi studi e realizzare il suo sogno di diventare uno stilista di moda.
Non sapeva perché avesse quell’attaccamento morboso al fratello, sapeva solo che quel rapporto lo aveva solo col fratello e con nessun altro e voleva che rimanesse così per sempre.
Tomi era la sua ancora di salvezza, il suo mito, la sua unica certezza e non voleva assolutamente che nessuno glielo portasse via. Spesso si chiedeva il perché di quella sua gelosia, ma si rispondeva solo con una punta di possessività nell’anima dicendo che Tomi era solo suo e non lo voleva dividere con nessuno.
<< Ti piace veramente?>>, chiese con gli occhi felici il moretto.
<< Sì, Bill. Stai davvero bene!>>, sorrise il fratello.
<< A mamma sarebbe piaciuto.>>, sussurrò impercettibilmente il più piccolo abbassando il capo.
<< Bill…>>, sospirò Tom. << Mamma è fiera di te, amore.>>, sussurrò con tutta la dolcezza e la delicatezza che aveva in corpo prendendogli il viso fra le mani. << Lei è sempre con noi ed ora che hai deciso di rimetterti in gioco con l’Università, il suo sorriso starà splendendo come mai prima!>>.
Automaticamente gli occhi del moretto si riempirono di lacrime guardando quelli sicuri e confortanti del gemello.<< Tomi… perché proprio lei?>>, sussurrò con la voce spezzata da singhiozzi soffocati.
Tom deglutì guardandolo e schivò il suo sguardo.
Gli occhi del suo fratello gemello, quando erano pieni di lacrime, erano peggio di qualsiasi altro trucco per mettere in difficoltà e far piangere anche la più fredda delle persone. << Bill, è successo. Poteva succedere a chiunque…>>, sussurrò in difficoltà.
<< Ma perché proprio lei!?>>, urlò Bill scoppiando in un pianto disperato e si premette le mani sul viso sporcandole di nero dovuto al trucco.
Il fratello lo attrasse al petto e si morse un labbro a sangue cercando, per l’ennesima volta in sei anni, di essere forte e protettivo. << Ci sono io, piccolo. Non piangere.>>, sussurrò baciandogli ripetutamente i capelli corvini.
Era il suo piccolo Bill, non avrebbe mai sopportato che qualcuno lo maltrattasse.
Non avrebbe mai fatto il modo che lo lasciassero solo e finché Bill non avesse trovato quella persona che lo avrebbe trattato come meritava, lui non si sarebbe staccato un attimo dal suo piccolo Bill.
A volte odiava non poter avere una vita sentimentale e privata a causa della morbosità del fratello ma, si diceva fra sé e sé, che nessuna ragazza sarebbe venuta prima di Bill.
Bill era la sua anima gemella.
Bill veniva prima di tutto.
 
La sveglia per Ariel suonò alle sette in punto facendola sobbalzare. Tastò con una mano il comodino e spense quell’oggetto che le aveva già procurato un mal di testa e l’aveva innervosita all’inverosimile.
A farle aumentare il tutto ci pensò Alex.
Si alzò dal letto e lo guardò dormire nudo con una sigaretta spenta tra le dita ed il resto del pacco sul comodino. Nel posacenere tre mozziconi, di cui uno ancora fumante, segno che era tornato da poco.
Sbuffò e tossì aprendo la finestra per far cambiare quell’aria consumata dal fumo che le stava aumentando il mal di testa.
Questa volta non la passa liscia, pensò lei trascinandosi in bagno per fare una doccia veloce.
Uscì dal bagno pronta  e truccata dopo dieci minuti e scese a fare colazione; sentì il rumore dei tacchi a spillo correre sul parquet ed entrò in cucina trovando la sua migliore amica perfettamente vestita e truccata come se avesse in programma una sfilata di moda, intenta a preparare la colazione per tre.
<< Buongiorno.>>, sbadigliò la mora sedendosi a tavola.
<< Hey, buongiorno, tesoro. Dormito bene?>>, chiese porgendole una tazza di caffè.
<< Magnificamente. >>, disse sarcastica. << Il risveglio è stato il più bello della mia vita!>>, sbuffò bevendo il caffè.
La bionda si sedette al suo fianco. << Alex?>>.
<< Un alcoolizzato, Dio.>>, sbatté la tazzina vuota sul tavolo. << Ma questa volta non la passa liscia. Oh, no!>>.
<< Che altro ha fatto?>>.
<< Fottute sigarette e bottiglie di birra nella MIA camera! Io non so perché ancora non lo lascio!>>, strillò isterica alzandosi e prendendo la sua borsa.
<< E’ quello che mi chiedo anche io, gioia!>>, disse la bionda guardandola.
Ariel sbuffò e le baciò la guancia. << Vado a deprimermi l’anima in un campo di adulti col cervello di bambini.>>, rise.
<< Oh, bene!>>, rise Eveline. << Io vado a farmi promuovere, fammi gli auguri!>>, ammiccò felice.
<< Auguri!>>, rise la mora per poi uscire di casa.
Inforcò i suoi occhiali neri ed entrò nella sua Mercedes, guidando poi nervosamente verso l’università. Sapeva che quel giorno sarebbe andato qualcosa storto e questo la innervosiva ancora di più. Per lei tutto doveva essere perfetto ed odiava chiunque le mettesse i bastoni fra le ruote.
Sì, era impulsiva. Ne era cosciente, ma non poteva farci nulla.
Abbassò il finestrino e ne approfittò per fumare velocemente una sigaretta prima di arrivare nel parcheggio dell’università.
Salì velocemente le scale fino all’aula a lei assegnata  e, con il nervoso a mille, si chiuse la porta alle spalle.
Andò dritta verso la sua sedia senza guardare nessuno in faccia e prese fra le mani un nuovo modulo d’iscrizione leggendolo.
Inarcò un sopracciglio ripensando al discorso del giorno prima fra i due studenti sul nuovo iscritto alla facoltà di psicologia.
Il raccomandato, si disse leggendo i dati.
Ancora un altro studente della sua facoltà. Fantastico.
 
Era il suo primo giorno di università e Bill era uscito di casa felice come una Pasqua. Amava la sua scelta perché sapeva che grazie ad essa Tom sarebbe stato fiero di lui.
Appena arrivato nell’aula dove si sarebbe svolta la lezione, arrotolò le maniche della sua felpa nera fino ai gomiti e si sedette aspettando in silenzio che il professore arrivasse.
Portò le mani sul viso ripensando alla sua scelta.
Psicologia.
Si chiedeva ancora il perché avesse scelto proprio quella facoltà dal momento in cui non riuscisse a capire neanche se stesso. Odiava ammetterlo, ma era così.
Dalla morte della madre, Bill aveva perso ogni sicurezza che aveva su se stesso: prima amava studiare, disegnare e suonare il piano. Lo aveva abbandonato subito dopo la morte della madre perché “gli ricordava tanto Lei” quando beava i due figli con la melodia del pianoforte che lei sapeva suonare benissimo.
Alla morte della madre fu Bill in persona a decidere di chiuderlo in soffitta e non rivederlo mai più per il resto della sua vita.
Inoltre, prima che Kate morisse, Bill aveva una ragazza.
Era la sua prima ragazza ufficiale e il giorno della festa del diploma l’aveva presentata al fratello e alla madre e quest’ultima era rimasta soddisfatta della scelta del figlio.
Dopo la morte di Kate, Bill aveva lasciato la sua ragazza perché si era accorto che non era innamorato di lei, in quanto neanche un suo bacio riusciva a distoglierlo dal dolore che provava.
Da quando Bill aveva lasciato la sua ragazza, la consapevolezza sulla sua sessualità era completamente sparita. Non sapeva se gli piacessero le donne o gli uomini.
Non sapeva se sarebbe mai più riuscito ad amare, uomo o donna che fosse.
In un periodo tra i ventuno e i ventidue anni aveva anche avuto il sospetto di essere innamorato del fratello Tom, in quanto lui fosse l’unico che con un gesto, una parola o uno sguardo era capace di farlo sentire meglio.
Si convinse del contrario solo poche settimane dopo, quando rifletté sul fattore “sessualità” nei confronti del gemello: non era assolutamente innamorato di Tom. Lo amava semplicemente, ma come si può amare un fratello. Null’altro.
Voleva ancora scoprirsi.
Era questo il vero motivo della scelta di Bill.
Voleva anche  aiutare le altre persone a non commettere gli stessi sbagli che lui stesso aveva commesso.
Ma soprattutto Bill voleva guarire.
Sì, guarire da tutto quello che gli impediva di vivere. Davvero.
Cominciò a sfogliare il libro senza avvicinarsi a nessuno e di tanto in tanto alzava gli occhi per osservare ogni comportamento di ognuno.
Posò il cellulare sul banco.
Quel giorno Tom avrebbe iniziato a lavorare nella nuova società e lui era totalmente fiero, ma nello stesso tempo preoccupato del maggiore. Ogni cosa nuova lo spaventava.
Sentì il rumore della porta ed alzò lo sguardo automaticamente.
Guardando quella figura che entrava in quell’aula, si sentì gelare il sangue, dei  piccoli brividi gli percorsero la schiena e il suo colorito divenne lievemente rosato.
Gli sembrò di vivere un dejà vu: quella camminata fluida su quei tacchi kilometrici, le labbra colorate da quel rosso acceso e quegli occhi inconfondibilmente gelidi.
Ne era sicuro: quella ragazza appassionata di Chanel, che sembrava uscita dall’ultimo video di Britney Spears era lì, davanti ai suoi occhi.
Non sapeva il perché della sua reazione, non sapeva perché quei due occhi riuscissero a fargli perdere il controllo di se stesso e non sapeva che ci facesse quella donna in quel posto, con lui.
Di una sola cosa era certo: quella ragazza gli aveva maledettamente, dannatamente fottuto il cervello.
In quel momento la sua razionalità e la sua timidezza scomparvero, come dissolvendosi e le gambe si mossero da sole.
Si alzò e scese quelle poche scale che lo dividevano dalla cattedra e, arrivato di fronte ad essa, ci poggiò la mano sinistra quasi prepotentemente.
 << Sono il nuovo studente.>>.
Ariel non alzò lo sguardo visibilmente infastidita da quella prepotenza e corrugò la fronte continuando a leggere quel modulo che aveva fra le mani.
 << Va bene, vada a sedersi.>>.
Quel tono freddo accompagnato da quella voce dolce provocarono in Bill un brivido che gli percorse la schiena ed ancora una volta il suo cervello smise di essere razionale.
<< Vorrei avere da lei il materiale per il prossimo esame.>>.
Gli occhi della mora erano ancora posati su quel foglio; sospirò scocciata. << Avrò modo di darle tutto il materiale occorrente, ora…>>, fece una pausa e guardò le dita affusolate e bianche del moro notandone lo smalto nero in contrasto con la sua carnagione perlata.
Le sembrò di rivivere un ricordo e il suo respiro le si bloccò in gola facendole avere quasi paura di continuare per scoprire quel corpo che le era dinnanzi. Deglutì e guardò di nuovo quelle dita ornate da un anello di metallo al medio e uno con una pietra nera all’anulare; mentre il suo respiro si faceva sempre più irregolare percorse con lo sguardo quella mano candida e magra, notandone le vene sporgenti, il polso magro e sottile ornato da una catenella di metallo. Il suo sguardo corse lungo il suo avambraccio magro e tatuato da una scritta in tribale che lo ricopriva tutto, anche lì correvano delle vene sporgenti che si intrecciavano fra di loro e terminavano con l’iniziare della felpa nera. Si morse a sangue il labbro scarlatto e guardò quella felpa nera con le scritte bianche che ne fasciava le braccia magre e leggermente muscolose, le spalle larghe e magre. Notò la pelle candida del petto appena visibile dalla zip abbassata di poco, le clavicole sporgenti e magre ed il suo collo lungo, magro e glabro. Il suo cuore accelerò incommensurabilmente e il respiro divenne corto, mente il suo sguardo si posava sul viso del moretto.
Quelle labbra carnose e leggermente dischiuse, abbellite da quel piccolo anellino argentato al lato destro, il naso sottile e lineare da cui pendeva un piccolo septum, le guance rosee e magre, gli zigomi leggermente alti e magri che ne delineavano il viso lineare e perfetto. E poi quegli occhi.
I suoi color nocciola si posarono in quelli di Bill color ambra e un misto di emozioni si scatenarono in lei senza un motivo ben preciso. Fu assalita da brividi e sentì la testa girare, le sue dita lasciarono scivolare quel foglio che aveva fra le mani fino al pavimento e i suoi occhi non si staccarono da quelli del moro.
Boccheggiò a vuoto e sul suo viso comparve una nota sorpresa.
Che ci faceva quel moro lì?
Ma soprattutto, perché le faceva quell’effetto ogni qual volta i suoi occhi incontravano i suoi?
Erano domande a cui non sapeva rispondere e, se doveva dir la verità, in quel momento, in cui i loro sguardi erano incrociati, i suoi occhi negli occhi di Bill e mille sensazioni la sconvolgevano, non le interessava minimamente sapere la risposta alle sue domande.
Bill aveva la fronte corrugata e, guardando di nuovo negli occhi la mora, le sue emozioni gli confermarono che quella ragazza, per lui, non era una semplice ragazza. Per lui la professoressa Ariel Neumann era speciale. Oh sì, che lo era.
Mi hai riconosciuto, pensò subito dopo aver notato la reazione della donna.
Sul suo viso si dipinse un’espressione compiaciuta ed inclinò leggermente verso l’alto l’angolo della bocca ed inarcò il suo sopracciglio destro ornato dal piercing.
<< Ora…?>>, sussurrò Bill guardando l’espressione contratta della ragazza.
Quest’ultima boccheggiò a vuoto e riprese fiato. << Ora vada a sedersi, signor Kaulitz.>>, sussurrò ferma, ma con la voce che – stranamente- le tremava.
Bill la guardò ancora per una manciata di secondi e sorrise soddisfatto per poi chinarsi a raccogliere il modulo caduto a terra e rimetterlo sulla cattedra davanti agli occhi della donna.
<< Come vuole lei, signorina Neumann.>>, sussurrò lentamente il moro inarcando un sopracciglio e scoprendo i denti bianchi e perfetti.
Ariel, quasi impaurita da tale reazione, si accasciò sulla sedia guardando il ragazzo che girava i tacchi e tornava  al suo posto.

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Capitolo 5
*** Tentazioni; ***


5. Tentazioni
Eveline entrò nell’edificio di dodici piani alle nove in punto, puntuale come ogni giorno da due anni a questa parte. Levò i suoi occhiali da sole e col suo passo sicuro ed ondeggiante si avviò all’ascensore.
Pigiò il pulsante dorato col numero undici incastonato e si appoggiò al muro mentre l’ascensore saliva lentamente. Si ritrovò a pensare ancora una volta al ragazzo della sera prima e a quanto fosse gentile e bello; sembrava quasi irreale che un ragazzo simile avrebbe lavorato nella sua stessa società per un anno intero e pensò anche, con un certo imbarazzo, che le sarebbe piaciuto poter lavorare con quel Tom.
Sola, con quel Tom.
Sorrise ai suoi pensieri e si voltò verso la specchiera aggiustando i ricci ribelli e controllò che il suo trucco fosse perfetto: il capo redattore non avrebbe mai ammesso che un dipendente della Chanel Magazine fosse andato a svolgere il suo lavoro in tuta e scarpe da ginnastica.
“Dobbiamo essere noi per primi gli esempi per tutti gli aspiranti stilisti e giornalisti dell’alta moda.”, si ripetette più volte quella frase pronunciata spesso dal suo capo e, volente o nolente, non poteva darle torto. Loro erano un esempio per tutti. Dovevano esserlo.
Arrivata al suo piano uscì dall’ascensore ed entrò nel suo studio salutando cordialmente quelle che dovevano essere le sue colleghe di settore, ma che puntualmente neanche alzarono gli occhi per salutarla.
Tutta invidia, si disse con una punta sprezzante.
Lasciò la sua borsa di Prada sulla scrivania e levò il cappotto in pelliccia sintetica appendendolo all’attaccapanni; dopo di che si sedette e prese fra le mani i vari documenti da compilare.
<< Eveline!>>.
<< Sì, dimmi Kathrin.>>, la bionda non alzò gli occhi dai documenti.
La ragazza rossa sulla porta si avvicinò alla sua scrivania e le appoggiò un malloppo di riviste. << Angela non è qui. E’ partita a New York per una cena a casa di qualche pezzo grosso o chicchessia e pretende che tu legga tutte queste riviste entro il suo ritorno, ergo domani. Sai cosa fare. In oltre, è appena arrivato un fax da New York, lo manda lei ed è indirizzato a te!>>, parlò la donna senza prendere fiato.
<< Ma Kathrin! Saranno venti Magazine! Come faccio? Devo già scrivere un articolo sulle nuove tendenze parigine e devo iniziare il lavoro con i nuovi impiegati riguardanti la copertina di Chanel!>>, sospirò incredula Eveline guardando la collega.
<< Beh, tesoro! Vuoi arrivare dove nessuno di noi è mai arrivato? Bene, dovrai sacrificarti e fare questo piccolo sforzo!>>, alzò le spalle Kathrin andando verso la porta. << Guarda il lato positivo! Avrai due giorni per camminare scalza in redazione senza avere il fiato sul collo di quel mastino assetato di sangue!>>, rise la rossa rivolgendo un ultimo sguardo verso Eveline prima di uscire dal suo studio.
<< Ed io come cazzo faccio ora?>>, sussurrò a sé stessa Eveline mettendo le mani fra i capelli. Sospirò  e volse lo sguardo alle riviste da leggere prendendone una e sfogliandola distrattamente.
Trascorse un quarto d’ora ad organizzare il suo lavoro prima di aprire il fax inviatole dalla stessa Angela.
Man mano che leggeva la sua espressione mutò fino a diventare sorpresa ed incredula.
Non poteva crederci, così rilesse nuovamente la lettera:
Signorina Hoffman,
volevo informarla che ho personalmente letto il suo articolo sulla Moda Parigina.
Lei ha un potenziale espressivo di gran lunga migliore di tutte le aspiranti capo redattrici della rivista e quest’ultimo articolo ne è stato l’ennesima conferma.
Mi sarebbe piaciuto informarla di persona, ma delle evenienze me l’hanno impedito: credo che sia giunta l’ora di affidare lo Chanel Magazine in mano a qualcuno molto più giovane e qualificato di me, capace di portare avanti la rivista negli anni come ho fatto io in questi ultimi quarant’anni. In tutto questo credo che lei, Eveline, sia la più qualificata fra tutte a prendere il mio posto.
Annuncerò la notizia ai giornali al mio arrivo a Berlino, domani sera.
Spero sia felice del compito assegnatole e le raccomando di prendere sul serio ogni suo compito.
Capirà il perché dell’appellativo che nella redazione tutti mi attribuiscono da anni solo nel momento in cui anche lei vivrà con serietà il suo nuovo titolo.
Buona fortuna e buon lavoro.
Angela Schulz.”
Ebbe l’impulso di urlare o quantomeno saltare per tutto l’edificio, ma si limitò ad accasciarsi incredula sulla poltroncina stampandosi una mano sulla bocca sopprimendo un urlo di felicità.
Prima che potesse avere qualsiasi reazione improvvisa dalla porta in vetro entrò per la seconda volta Kathrin e si sedette di fronte a lei limandosi le unghie.
<< Beh? Cos’è quella faccia? Non sei felice di essere la nuova capo redattrice di Chanel?>>, chiese con un tono beffardo la rossa guardandosi le unghie.
<< Hai di nuovo sbirciato fra la mia posta?>>.
Kathrin, in tutta risposta, scrollò le spalle. << Capita, bambola!>>.
Eveline, troppo felice per replicare, sorrise rileggendo ogni rigo di quel fax.
<< Ah, Evy! Sono arrivati i nuovi dipendenti!>>, lasciò la lima sulla scrivania e guardò la bionda maliziosamente negli occhi. << Dovresti vederli! Uno più bello dell’altro!>>.
Il battito cardiaco di Eveline accelerò nel momento in cui la sua mente andò a sfiorare il ricordo di Tom.
<< Dai, Kathrin! Sii professionale per una volta nella tua vita!>>, scherzò la bionda.
<< Beh, io ho il diritto di informarti su tutto, in quanto tua assistente! E mi sembra  importante e professionale informarti che il graphic designer a te assegnato sia una bomba sexy!>>, disse velocemente la rossa guardandola negli occhi.
<< Capirai! Sarà il solito berlinese.>>, disse con nonchalance Eveline.
<< Ma che berlinese, Evy!>>.
<< Kathrin, tesoro mio, so i tuoi gusti e so perfettamente che per te i berlinesi sono delle bombe sexy! E visto e giudicato che a me non interessa minimamente portarmi a letto un mio dipendente, no, non mi sembra un fattore rilevante e professionale!>>, concluse la bionda in un sorriso angelico.
La rossa sbuffò. << Sei sempre la solita rompiballe!>>, incrociò le braccia al petto.
Eveline rise. << Dai, fai entrare questa meraviglia della natura che siamo anche abbastanza in ritardo con i tempi. Angela non ce lo permetterebbe!>>.
<< E va bene!>>, Kathrin si alzò ed uscì dallo studio lasciando la porta aperta.
Eveline rise e mise ordine sulla sua scrivania per poi alzarsi per aprire le tende della vetrata.
Alle sue spalle qualcuno bussò alla sua porta. << Signorina Hoffman.>>.
Una voce calda e sensuale la fece rabbrividire e si bloccò sul posto.
Inspirò ed espirò profondamente e ringraziò quel qualcuno che, da lassù, aveva ascoltato i suoi pensieri e le aveva mandato l’angelo più bello fra tutti.
Sorrise fra sé e sé e si girò di scatto notando la figura grande ed imponente di Tom.
<< Signor Kaulitz.>>, sorrise la bionda andandogli incontro e stringendo la sua mano.
Ricorda Evy, pensò fra sé e sé, compostezza e serietà: siete qui per lavorare.
<< Prego, si accomodi!>>, sorrise la bionda.
<< La ringrazio!>>, rise Tom sedendosi sulla poltroncina bianca di fronte a quella di Eveline.
<< Bene.>>, rise Eveline. << Come va il tuo naso, Tom?>>.
<< Oh, sì!>>,  il ragazzo si toccò il naso divertito. << Ho ricevuto una bella botta, ma non fa male!>>.
<< Mi dispiace.>>, rise divertiva la bionda. << Sei pronto per lavorare in questa società di matti?>>.
Tom alzò le spalle divertito e sorrise. << Sono pronto a tutto. Mettimi alla prova.>>.
Eveline non poté fare a meno di notare quanto fosse bello Tom quel giorno: il suo abbigliamento era sobrio e professionale, indossava una camicia bianca stretta e dei pantaloni neri molto più attillati rispetto a quelli del giorno prima, sul viso una leggera barbetta incolta e i cornrows legati da un elastico nero.
Professionale Eveline, si disse guardando ogni particolare del suo corpo perfetto.
<< Perfetto, Tom! Ti spiego quello che dobbiamo fare!>>, disse seria Eveline accavallando le gambe ed inforcando i suoi occhiali.<< Fra esattamente un mese uscirà un numero speciale di Chanel con i nuovi aspiranti stilisti del momento e noi, oltre a selezionare i più meritevoli, dobbiamo creare la grafica del giornale e delle locandine che verranno diffuse in tutta la Germania! Dovrà essere qualcosa che colpisce. Qualcosa di semplice, ma nello stesso tempo appariscente.>>, fece una pausa ed accese il suo computer Apple aprendo la cartella con le edizioni precedenti del giornale. << Nelle scorse edizioni abbiamo avuto un successo enorme e, Tom..>>, lo guardò da sotto gli occhiali. << Mi aspetto grandi cose da te.>>.
Tom guardò la ragazza ed inclinò le labbra verso l’alto. << Non la deluderò, signorina Hoffman.>>.
Lo sguardo di Eveline saltò dagli occhi alla bocca di Tom come una pallina di tennis ed ebbe un forte impulso che, a suo giudizio, era discutibile ed assolutamente poco professionale.
Si morse il labbro sopprimendo quella voglia di baciarlo e tornò a guardare lo schermo del suo pc.
<< Come puoi vedere qui, le copertine sono per la maggior parte con foto di modelle o stilisti.>>, parlò velocemente senza guardarlo.
Tom si alzò e le andò alle spalle poggiando le sue mani sulla scrivania e abbassando il viso al livello del suo guardando lo schermo professionalmente.
Un profumo fresco e dolce invase Eveline ed automaticamente il suo battito cardiaco accelerò e lei iniziò a sudare freddo e a balbettare. << Guarda…. Guarda questa, per esempio!>>, tossì. << Dicembre duemilaedieci. Sponsorizzammo una nuova marca e facemmo un photoshoot ai nuovi capi. Questo, nel prossimo numero, non dovrà minimamente accadere.>>, chiarì.
<< Ricevuto.>>, annuì il ragazzo guardando le varie copertine. << Non ci dovranno, quindi, essere foto di modelle con nessun marchio addosso. >>.
<< Certo. In quanto non si sponsorizzerà solo un marchio, ma più.>>.
<< Non ti deluderò Eveline. Fidati di me.>>.
 
I suoi nervi erano totalmente a pezzi!
La sua lezione era stata un fiasco: aveva scambiato Freud per Fromm e viceversa più di qualche volta, aveva balbettato  due volte di seguito e confuso delle parole come una vera e propria dislessica e, cosa peggiore, quel moretto l’aveva continuamente, instancabilmente fissata con uno sguardo terribilmente caldo, dannatamente intenso.
Uscì dall’aula e scese velocemente le scale, andando a firmare l’orario della sua uscita. Mise la sua firma sul librone ed abbassò gli occhiali da sole sugli occhi, voltandosi ed uscendo dalla struttura.
Si sentì chiamare da una voce in lontananza ed automaticamente si voltò trovandosi davanti a quel moretto; levò gli occhiali dagli occhi per osservarlo meglio: il suo sguardo era fermo su di lei con una punta di arroganza e malizia.
Roteò gli occhi ed incrociò le braccia al petto, spostando tutto il peso sulla gamba sinistra. << Mi dica.>>.
<< Dovrei iniziare a studiare e mi servirebbero le sue fotocopie.>>, insistette Bill sostenendo lo sguardo della donna.
<< Gliele darò a tempo debito!>>, disse fredda lei. << Ora se vuole scusarmi..>>, si voltò inforcando gli occhiali e si affrettò a raggiungere la sua Mercedes.
Aveva quasi la paura che quel moretto potesse seguirla.
Si chiuse in auto e fece un respirone volgendo lo sguardo alla sua sinistra.
Le parve di perdere i sensi quando vide il ragazzo salire su una Q7 nera, lanciandole uno sguardo gelido e malizioso allo stesso tempo, seguito da un sorriso splendente.
Si accasciò sul sedile respirando piano e lanciò un altro sguardo sfuggente al ragazzo, per poi partire velocemente, lasciando quel moretto misterioso  fermo nel parcheggio con la sua Audi.
Guidò nervosamente fino a casa, una sigaretta tra le labbra e gli occhi pizzicati dalle lacrime che spingevano sommessamente per uscire senza pietà.
Si chiese più volte il perché di quelle sensazioni, il perché le provasse ogni qual volta incontrava quegli occhi del colore dell’ambra sciolta, il perché il suo cuore batteva sempre più forte quando udiva la voce melodiosa e calda di quel Kaulitz, perché il suo respiro diventava corto quando guardava gli armoniosi e lineali lineamenti del moro.
Si accorse di star di nuovo pensando a Bill e sbuffò nervosamente una nuvoletta di fumo alzando di più il volume della radio.
Si sentiva in colpa.
Sì, si sentiva fottutamente in colpa ogni qual volta il suo pensiero andava a sfiorare la pelle glabra del ragazzo, quando nella sua mente riaffiorava il viso perfetto di Bill.
Si impose di smettere e pensò al suo ragazzo. Al suo futuro marito.
Parcheggiò davanti alla sua villa e sbuffò: non appena avesse varcato la soglia di casa-ne era sicura-avrebbe dovuto ripulire quello che il suo futuro marito aveva messo in disordine e il solo pensiero la innervosiva.
Eveline quel giorno sarebbe tornata nel pomeriggio, il che significava che avrebbe dovuto trascorrere il pranzo ed il primo pomeriggio con Alex.
Sola.
Come di norma, s’impose entrando in casa.
Ogni coppia che si rispettasse lo faceva, non sarebbe stata una tragedia!
Era suo marito e lo amava, pensò mordendosi il labbro mentre appendeva il cappotto di pelliccia sintetica all’appendiabiti.
L’avrebbe trattato come si trattava un marito ed avrebbe sopportato tutte le sue cattive –pessime- abitudini.
<< Amore, sono a casa!>>, urlò entrando in cucina e legò i lunghi capelli neri in una coda alta.
Sentì dei passi dal piano superiore ed accese il forno. Ringraziò Dio di avere un’amica come Eveline, che cucinava meravigliosamente ed abbondantemente ogni volta  che non era infossata dal lavoro.
Quel giorno non aveva voglia di cucinare.
Era stanca, nervosa, stressata e non poteva fare a meno di ammettere che la colpa fosse solo ed unicamente di quel moretto misterioso.
Socchiuse gli occhi e guardò dritto davanti a sé sentendo i passi pesanti di Alex farsi sempre più vicini, poi delle braccia forti le circondarono la vita e le calde labbra del ragazzo si posarono sull’incavo della sua spalla. << Alex!>>, sospirò infastidita.
<< Bentornata, ti aspettavo!>>, sussurrò lui fra i baci.
Ariel fece una smorfia e si voltò posando le mani sul suo petto. << Eveline ha cucinato per noi. Hai fame?>>, lo guardò negli occhi.
Rimase quasi delusa nel guardare quel verde smeraldo delle sue iridi, quello sguardo così malizioso e famelico, quell’aria di superiorità ed arroganza.
Abbassò lo sguardo sulle sue labbra sottili ed incurvò le labbra verso il basso ricordando le labbra rosee e carnose del moretto e quel labret che le rendeva ancora più invitanti.
Si maledisse più e più volte per quello che le stava passando per la testa e tornò a guardare gli occhi del suo ragazzo.
<< Sì, ma ho fame di te!>>, disse con voce roca il biondo, tornando a baciare il collo della ragazza che lo allontanò subito.
<< Io invece sono affamata!>>, si affrettò a scansarsi levando dal forno la teglia bollente.
<< Piccola, lascia stare la casa ed il lavoro per oggi!>>, l’abbraccio ancora da dietro possessivamente.
<< Alex, devi capire che non posso.>>, sbuffò Ariel allontanandosi da lui.
<< Il tuo lavoro è più importante di tuo marito?!>>, sussurrò retoricamente con una lentezza ed una calma tale da farla fermare sul posto.
Alex per una volta aveva ragione: non sarebbe mai stata una brava moglie se avesse continuato a pensare solo al suo lavoro, a piangersi addosso per i suoi sogni mai realizzati, a pensare a persone che la incuriosivano, sconvolgevano e spiazzavano ogni volta che ne incontrava gli occhi.
Ariel non doveva e non poteva fallire un’altra volta nella sua vita, perciò sospirò e lasciò la teglia sul tavolo volgendo lo sguardo verso Alex.
<< Come potrebbe essere più importante di te?>>, sussurrò avvicinandosi al suo ragazzo che non indietreggiò e continuò a guardarla con aria arrogante e maliziosa.<< Niente è più importante del mio futuro marito!>>, sussurrò.
Poi lo guardò negli occhi ed appoggiò le sue labbra scarlatte su quelle sottili del biondo coinvolgendolo in un bacio passionale.

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Capitolo 6
*** La chiarezza adorna i pensieri più profondi; ***


6. La chiarezza adorna i pensieri più profondi
 
Ticchettò nervosamente le unghie laccate sulla scrivania e guardò l’orologio di metallo a muro che segnava le quattro meno un quarto, aspettando che Tom tornasse con gli scatti delle modelle che avrebbero fatto parte della nuova copertina.
Avevano pranzato insieme ed avevano parlato molto della vita di entrambi. Eveline si era accorta che Tom non amava parlare della sua famiglia, in quanto cercasse sempre di sviare il discorso anche con elementi banali.
Le aveva detto che si era laureato due anni prima col massimo dei voti e che da due giorni si era trasferito nel Centro di Berlino. Amava spostarsi e viaggiare quando voleva, le disse, ed amava fare nuove esperienze.
Sorrise ripensando al viso perfetto del ragazzo, al suo sorriso spontaneo e dolce, ai suoi occhi sinceri e pieni di voglia di fare, di scoprire, alla sua voce calda e roca, dolce e serena e sorrise ancora più dolcemente guardandolo entrare nello studio col suo portamento Hip Hop, ma allo stesso tempo leggero.
Era così bello, pensò mentre lui le sorrideva spontaneamente.
Tom si sedette di fronte a lei e le presentò le foto; lei sorrise ancora senza staccargli gli occhi da dosso.
<< Va tutto bene?>>, le chiese notando la sua espressione spaesata.
Solo in quel momento Eveline si accorse di star guardando solo ed unicamente Tom, quando invece doveva selezionare le foto per la copertina.
<< Oh, sì! Iniziamo subito!>>, tossì e guardò le foto delle modelle. << Mmh. Mi piace la tecnica del nuovo fotografo!>>, sfogliò piano le foto selezionando le tre più belle.
<< Per le grandi firme credo che queste tre siano perfette. Che ne dici?>>.
Tom prese le foto analizzandole con lo sguardo. Aggrottò le sopracciglia ed alzò un angolo della bocca verso l’alto scoprendo i denti perfetti. << Beh, non posso che darti ragione!>>, annuì mettendo le foto in una cartella. << Per le nuove firme selezionate da Angela?>>.
<< Sì. Dev’essere qualcosa che colpisce!>>, sussurrò la bionda analizzando altre foto.<< Per la copertina questa è okay!>>, gli passò una foto. << Dirò alle ragazze del settore di allegarci altre foro con le didascalie, i prezzi e gli articoli. Del resto ci occuperemo domani.>>, asserì sicura e levò gli occhiali lucidandone le lenti, riponendoli poi nel portaocchiali. << Sono esausta.>>.
<< Amo il tuo carisma.>>, disse d’un tratto il ragazzo guardando Eveline.
Lei sussultò ed arrossì, distogliendo lo sguardo dagli occhi magnetici di Tom. << In questo campo si deve avere per forza carisma e pazienza.>>.
<< Non è da tutti avere il carisma che hai tu, Eveline.>>, asserì il ragazzo osservando Eveline di fronte a lui.
<< Devo essere così, Tom, altrimenti rischio di farmi mettere i piedi in testa e non è di certo una delle idee migliori!>>, disse la bionda muovendosi sulla poltroncina girevole.
<< Immagino che avrai molte rivali, soprattutto ora che sei capo redattrice.>>.
Eveline scrollò le spalle con disinvoltura. << L’invidia ci sarà sempre in questo lavoro, ormai l’ho imparato con gli anni, ma ho anche imparato che nulla qui dentro ti viene regalato od offerto su un piatto d’oro. Nulla.>>, sospirò e guardò il ragazzo.<< Se hai un sogno devi lottare per far sì che si realizzi, non puoi aspettare che esso venga da te. Ed io sono riuscita ad ottenere quello che bramavo non di certo limandomi le unghie e spettegolando su ogni nuovo arrivato della rivista!>>, ammiccò la bionda verso Tom che rise.
<< Non oso immaginare quello che hanno detto su di me. Per quanto riguarda il tuo discorso…>>, nei suoi occhi comparve una nota di serietà e maturità.<< Sono perfettamente d’accordo con te. Sai, sin dai tempi del college ho dovuto cavarmela da solo e so cosa significhi fare dei sacrifici per ottenere quello che si desidera.>>, sorrise alzandosi; raggiunse la macchinetta del caffè e pigiò la funzione per due cappuccini.
<< È molto tempo, quindi, che vivi da solo.>>, osservò Eveline accavallando le gambe.
Tom scrollò le spalle e guardò il caffè nella tazzina di plastica. << Sì, sono uno spirito libero. Amo muovermi, viaggiare, non essere legato a niente e nessuno.>>, sussurrò e serrò la mascella pensando al gemello. Bill era l’unica persona capace di farlo restare fossilizzato su qualcosa. Bill e solo Bill riusciva a fargli cambiare idea, su tutto. Solo Bill lo legava a qualcosa di inspiegabilmente bello  come l’amore fraterno. Sorrise e prese i due caffè. << E amo esserlo. Non mi piace la gente che mi vincola.>>, le porse una tazzina.
<< Grazie.>>, sorrise intenerita prendendola. << Mi piace il tuo parere sulla libertà. È bello non essere vincolati da nulla; pensa, la mia migliore amica sta per sposarsi.>>, disse con una nota di disgusto sorseggiando il caffè.
<< Poverina. Quello è il vincolo più difficile. Fortuna che sono libero in ogni senso.>>, rise spontaneamente bevendo il caffè fumante.
Sul viso della bionda si aprì un sorriso felice. Le stava forse dicendo di essere single?
Per un momento dalla sua testa scomparve ogni formalità da donna in carriera quale voleva essere e tornò in lei presente la Eveline donna, che-doveva ammetterlo-giorno dopo giorno si stava infatuando sempre di più di quell’uomo che le era dinnanzi.
Del suo sorriso, dei suoi occhi, del suo sguardo, della sua voce. Di Tom.
Arrossì guardandolo e posò la tazza vuota sulla scrivania, mentre una musica hip hop del noto cantante Jay-z si estese nello studio.
<< Oh, è il mio. Scusami, Eveline.>>, la ragazza si limitò ad annuire, troppo presa ad osservarlo in ogni minimo particolare per poter formulare un qualsiasi tipo di risposta sensata.
Tom si allontanò da lei e rispose al telefono, sentendo la voce nervosa ed impaurita del gemello. << Amore mio, che c’è?>>, chiese premurosamente Tom.
Eveline, ascoltando l’appellativo che Tom aveva dato alla persona al di là del telefono, abbassò lo sguardo dandosi della stupida.
Come aveva potuto minimamente pensare che un bel ragazzo come Tom fosse single?
Fece una smorfia e lo guardò tornare.
<< Eveline, devo scappare!>>, vide negli occhi del ragazzo una nota d’impazienza e preoccupazione ed annuì.<< Scusami davvero.>>.
<< Non preoccuparti, Thomas.>>, si alzò e gli strinse la mano.
Il ragazzo fece una smorfia di disappunto ricambiando la stretta. << Allora… a domani.>>.
<< A domani, sì.>>, asserì ferma la bionda ritirando la mano.
Tom la guardò ancora per pochi interminabili secondi e poi usci dall’ufficio silenziosamente chiudendosi la porta alle spalle.
 
Si strinse nelle lenzuola e guardò al suo fianco il ragazzo impegnato a gesticolare e parlare animatamente al cellulare, tenendo fra le labbra una sigaretta che consumava nervosamente.
Parlava di uno stupido servizio fotografico assegnato a qualcuno che non fosse lui, il miglior modello di una firma così importante.
Non gli interessava degli altri dipendenti della casa, il suo egoismo lo portava a vedere solo se stesso al centro del mondo  e la sua impulsività lo rendeva aggressivo ogni qual volta le cose non andavano come aveva prefissato e desiderato.
Sbuffò guardandolo camminare su e giù per la stanza, mente urlava al telefono frasi aggressive e minacciose contro la casa di moda; si alzò ed indossò il maglione raggiungendo il bagno stancamente.
Gettò il maglione nel cesto e si guardò allo specchio, per poi entrare nella doccia attivando il getto bollente.
Sentiva ancora le mani screpolare e rudi di Alex addosso ed il suo profumo forte la invadeva ancora facendole sentire la testa pesante. S’insaponò energicamente le braccia e i polsi, laddove la stretta di Alex era stata più forte, come per disinfettare e quindi cancellare il suo profumo da dosso.
Odiava il suo essere rude ed i suoi atteggiamenti quasi violenti.
Sbuffò e guardò dritto davanti a sé ripensando a poche ore prima, quando Alex la possedeva completamente e davanti ai suoi occhi apparve un fotogramma ben definito che la fece sussultare. Era lo stesso viso, la stessa immagine, lo stesso sguardo che le si era presentato innanzi poche ore prima.
Davanti a lei non più gli occhi schivi di Alex, ma lo sguardo caldo ed intenso di quel moretto e i suoi occhi del colore dell’ambra sciolta. Non erano più le labbra sottili e fredde di Alex a baciare le sue, ma quelle carnose e perfette di Bill. Così belle e calde, rosee ed invitanti.
Ancora una volta la invasero i sensi di colpa e portò le mani fra i capelli insaponandoli, rendendosi contro che quelle immagini, quel viso, quello sguardo era automaticamente apparso davanti a lei ed era ormai permanente nella sua testa.
 
Eveline entrò in casa e buttò sul divano il suo trench beige e la sua borsa color mogano, levando le sue Louboutin color ciliegio. Poi entrò in cucina.
<< Sono a casa!>>, urlò notando la stanza vuota; la teglia con le sue lasagne era poggiata sul tavolo, il trench nero di Ariel sull’appendiabiti del salone, le scarpe di Alex vicino la porta.
Inarcò un sopracciglio e sorrise capendo la situazione: era parzialmente felice che Ariel ed Alex si fossero ritrovati, era felice che la situazione fosse migliorata, in quanto il matrimonio sarebbe stato il mese dopo e tutto era pronto. Da una parte, però, quella meno razionale, quella più forte, quella più vera, sapeva che Ariel non voleva davvero che la loro storia andasse avanti. Aveva capito che la sua amica non era più innamorata di lui.
Aggrottò le sopracciglia e guardò Alex scendere frettolosamente le scale, mentre si abbottonava i jeans chiari.
Lo guardò prepararsi, senza che la degnasse di uno sguardo. << Giornata no?>>, chiese la bionda stando appoggiata al tavolo.
<< Quei gran bastardi della mia casa di moda non la passeranno liscia.>>, l’uomo serrò la mascella facendo avanti ed indietro dal salone alla cucina.
<< Oh, cos’hanno fatto ancora?>>, chiese sarcastica Eveline sgranocchiando un pezzo di pane.
L’uomo le si parò davanti e le rifilò un’occhiataccia gelida.<< Mi hanno esonerato dal photoshoot invernale più importante dell’anno per “dare spazio agli altri modelli”.>>, sbuffò sonoramente. << Mi hanno sostituito con i novellini. A me!!>>.
<< Che gran disgrazia, tesoro.>>, lo canzonò Eveline.
<< Evita i commenti, bambola.>>, la gelò, << Tu e la tua amica non fate altro che parlare, parlare, parlare…>>.
<< Dovremmo solo servire te ed essere tue succubi, vero?>>, Eveline si avvicinò pericolosamente al suo viso. << Ricorda che sei a casa mia e posso cacciarti quando mi pare e piace, Alex.>>.
Gli occhi verdi e freddi di Alex si posarono su quelli gelidi e glaciali di Eveline. << E tu ricorda che fra un mese non ci avrai più fra i piedi, tesoro.>>.
La ragazza serrò la mascella. << Ariel, può rimanere in questa casa per tutto il tempo che vuole. Questa è casa sua e non la lascerò sicuramente in mezzo alla strada, quando tu sarai a corto di denaro per trovare un monolocale in periferia.>>, sussurrò incattivita.
<< Attenta a come parli, ragazzina.>>, si difese lui.
<< Credi di incutermi paura?>>, ridacchiò lei. << Non ci metto niente a buttarti fuori. Mi dispiace, Alex. Ho il coltello dalla parte del manico e questa volta non l’avrai vinta.>>, inarcò un sopracciglio.<< Non con me.>>.
Alex rimase in silenzio guardando la ragazza con disprezzo, per poi girare i tacchi ed uscire di casa sbattendo la porta.
La ragazza fissò per svariati secondi la porta in silenzio, il viso in una smorfia soddisfatta e le labbra inclinate verso l’alto. Sentì dei rumori confusi dal piano di sopra e volse lo sguardo alle scale, su cui vide la sua amica; un asciugamano le fasciava il corpo, i capelli neri cadevano bagnati sulle spalle e sul suo viso una smorfia strana: un mix  di tristezza, confusione e amarezza si confondevano con una luce strana nei suoi occhi. Lo sguardo era verso il basso e le sue mani pettinavano di continuo i lunghi capelli, il suo atteggiamento lasciava trasparire qualcosa di strano, che neanche Eveline riuscì a decifrare.
<< Hey, principessa!>>, sorrise la bionda facendo sussultare Ariel, che spostò automaticamente lo sguardo sull’amica e sorrise.
<< Guarda un po’ chi si vede!>>, sorrise stampandole un bacio sulla guancia.<< Spero che non ti dimenticherai della tua migliore amica, ora che sei capo redattrice del giornale più letto della Germania!>>, inarcò un sopracciglio sorridendo maliziosa e le buttò le braccia al collo.
<< Sei un hacker! Come fai a saperlo?>>, la strinse forte.
<< La posta arriva anche qui.>>, la mora scrollò le spalle con nonchalance. << E visto che io amo farmi i fatti tuoi, mi sono permessa di aprire quella lettera rosa proveniente da New York.>>.
<< Dio! Ancora non ci credo!>>, sospirò la bionda con gli occhi sognanti.
Ariel la guardò dritta negli occhi e sorrise. << I tuoi occhi hanno qualcosa di strano. E non parlo della nuova promozione, né del tuo nuovo lavoro.>>, sorrise maliziosa sedendosi sul tavolo. << Avanti, spara!>>.
Eveline sgranò gli occhi ed arrossì violentemente chinando il viso. << Ariel, ma che dici? Oggi le tue intuizioni psicologiche nei miei confronti sono totalmente sbagliate!>>, rise nervosamente.
Ariel la guardò inarcando un sopracciglio maliziosamente. << Come si chiama?>>
<< Ma…>>, arrossì di più la bionda. << Chi, Ary?>>.
<< Ohw, lo sapevo!>>, strillò isterica battendo le mani. << È carino? Quanti anni ha? È di Berlino? Voglio sapere ogni minimo  particolare.>>.
<< Ma…>>.
<< Niente “ma”!>>, le circondò le spalle guardandola con gli occhi fuori dalle orbite. << Dimmi com’è questo ragazzo che, dopo tre fottuti anni, ha risvegliato la mia bambolina.>>, congiunse le mani alzando gli occhi al cielo sognante. << Dev’essere davvero carino e speciale  per averti reso lo sguardo così… così… inn…>>.
Eveline spinse prontamente la mano sulle labbra dell’amica, zittendola. << Non dire. Quella. Parola!>>.
Ariel sbatté le ciglia guardando sconvolta l’amica negli occhi ed annuì piano.
<< Discorso chiuso, mh?>>, sorrise amorevolmente la bionda levando la mano dalle labbra di Ariel che la guardò sospettosa, con una punta di curiosità e malizia nello sguardo.
Eveline in tutta risposta le diede le spalle raggiungendo il bagno. Sfilò la gonna sostituendola con un pantalone della tuta e levò la camicetta, legando i capelli biondi con un mollettone.
Ariel la guardò addentando un pezzo di pane e sorrise. << Dev’essere davvero meraviglioso. Non vedevo quello sguardo da quando, tre anni fa, ti sei innamorata di Dieter.>>, tossicchiò maliziosa e le andò dietro accendendo l’asciugacapelli. << E non c’è bisogno di ricordarti che da lì a poco vi sareste sposati!>>, si piegò portando i capelli davanti al viso asciugandoli.
Eveline trattenne il respiro a quelle parole, la camicia fra le mani pronta per essere piegata.
Ariel portò di scatto la testa indietro e guardò soddisfatta il viso dell’amica. << Ma se non vuoi parlarne, nessun problema, amore.>>, fece spallucce guardando Eveline.
La bionda piegò la camicia e chiuse la zip della felpa sospirando. Diede le spalle ad Ariel e si morse le labbra.
<< Thomas.>>, sussurrò impercettibilmente.

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Capitolo 7
*** Punti interrogativi; ***


                                                                      7. Punti interrogativi.
 
<< Thomas!>>, squittì Bill entrando  nello studio del fratello, dove lui stava accuratamente lavorando al suo nuovo incarico.
<< Sì, Bill?>>, Tom lanciò un’occhiata fugace al fratello invitandolo ad entrare.
Il moretto sospirò ed ancheggiò fino alla poltroncina bianca di fronte alla scrivania del fratello. Guardò Tom lavorare e si buttò a peso morto sulla poltrona.
Accavallò le gambe e si guardò le unghie laccate di nero. << Come è andata oggi?>>, sussurrò.
Tom mugugnò continuando a photoshoppare le foto selezionate la mattina con Eveline.
<< Bene, Bill. A te?>>, chiese distrattamente.
<< Benissimo. >>, finse Bill con poco entusiasmo.
<< Bene.>>.
Bill inarcò un sopracciglio guardando il fratello: era talmente strano, sin dal momento in cui aveva rimesso piede in casa. << Tomi, io esco.>>, finse ancora il moretto fissando Tom.
<< Bene!>>, Tom non aveva neanche sentito quello che il fratello aveva detto, quando fra le foto della stagione precedente ne aveva trovata una che rappresentava Eveline: il corpo fasciato da un vestito rosso fuoco che le ricadeva morbido fino alle caviglie, un bicchiere di spumante nella mano destra e sul volto un sorriso sicuro. Sorrise appena guardando la foto: Capodanno 2010.
Bill inarcò ancora di più il sopracciglio, quasi sentendo dolore e guardò il fratello. << Vado a prostituirmi!>>.
<< Non fare tar…>>, solo allora Tom sentì la voce incrinata del fratello ed alzò il viso da quella foto che l’aveva rapito talmente tanto da fargli dimenticare il resto del mondo. << Cosa?!>>.
Bill rise e si alzò stirando con le mani magre i jeans di pelle che gli fasciavano perfettamente le gambe lunghe e longilinee. << Vado a prostituirmi, Tomi!>>.
Tom inarcò un sopracciglio guardandolo. << Avanti, Bill. Che hai?>>, levò gli occhiali da vista e li posò accanto al pc.
Bill sorrise guardando il gemello ed ancheggiò fino a lui sedendosi sulle sue  gambe.
<< No, Tomi. Che hai tu!>>, rise accarezzandogli il naso con l’indice.
<< Sto lavorando, Bibi.>>, rise il maggiore prendendogli le mani e rimettendo gli occhiali sul naso.
Bill scosse il capo e guardò la foto aperta sullo schermo.
<< Sarebbe questo il tuo lavoro?!>>, rise malizioso.
Tom arrossì violentemente e chiuse l’icona tornando ad occuparsi della grafica. << Dacci un taglio, Bill!>>.
<< Beh..>>, ridacchiò. << Carina!>>.
<< E’ la mia caporedattrice, Bill!>>.
<< Niente male, davvero.>>, rise Bill.
Tom fece un gesto vago con la mano e cambiò discorso. Sapeva che non poteva ancora parlare di quanto Eveline l’avesse colpito. Sapeva che quel discorso sarebbe finito nel peggiore dei modi, con una reazione di gelosia da parte del fratello e con frasi paranoiche come: “mi lascerai anche tu!” o “Tomi sei solo mio, non voglio perderti”.
Sorrise triste e strinse il fratello al petto protettivamente. Mai e poi mai l’avrebbe abbandonato, tantomeno per una donna. Si sarebbe preso cura di lui, educandolo ad essere forte, ad affrontare la vita, da solo. Lo avrebbe aiutato a trovare un equilibrio con se stesso, a sapersi difendere, a saper contare solo sulla sua forza di volontà. E in tutto questo non lo avrebbe mai abbandonato.
<< Com’è andato il primo giorno di corso, mh?>>, sussurrò Tom stringendo il fratello fra le braccia come se fosse un gattino indifeso.
<< Bene.>>, mugugnò incerto. << La prof mi fa…>>, sospirò. << . . .Incazzare. Credo.>>, aggiunse arrossendo e nascose il viso nel collo del fratello.
Tom rise cullandolo. << Già discordi con una vecchia zitella psicopatica?>>.
Bill arricciò le labbra contrariato, ripensando a quella “vecchia zitella psicopatica” qual era la sua professoressa, Ariel Neumann. Ripensò alla sua camminata leggera su quei tacchi kilometrici, la sua espressione fredda e distaccata con tutti gli studenti, gli occhi perfettamente truccati pesantemente di nero e la bocca color rosso fuoco. Si mordicchiò il labret ed arrossì violentemente ripensando alla sua reazione  improvvisa ed inaspettata nei confronti della prof.
Si sorprese della sua stessa reazione: non era mai stato così esuberante e sicuro con nessuno e non riusciva a capire perché le sue gambe si fossero mosse da sole e la sua voce fosse uscita automaticamente con quella donna.
Forse per cercare un contatto, gli disse una vocina nella sua testa.
La mise a tacere aggrottando le sopracciglia e stringendosi di più al petto del fratello.
Ancora una volta la sua mente si posò su ogni particolare della donna: la pelle bianca, le spalle piccole e le mani magre e sottili, le unghie laccate di un rosso bordeaux e diversi anelli, fra cui un solitario all’anulare sinistro.
Si rattristì ripensando a quel diamante che probabilmente costava molto di più del suo nuovo completo Chanel.
Era fidanzata.
Doveva immaginarlo.
Socchiuse gli occhi scacciando quel pensiero assurdo e affondò il viso nel collo del fratello, rattristito.
<< Forse.>>, sussurrò infine.
 
Si risvegliò sola e per lei fu più che altro un sollievo. Portò una mano fra i capelli ed accese il pc: quel giorno sarebbe dovuta essere libera.
Non si sa mai, si disse.
Scese ansiosa in cucina e bevve il suo caffè. La casa era vuota, ad eccezione di Fraisey che dormiva nella sua cuccetta. Sorrise guardandola e le posò una carezza sul musino bianco, le riempì la ciotolina con i suoi croccantini e la sua vaschetta con dell’acqua fresca.
Decise di prepararsi: magari avrebbe dovuto tenere un’altra lezione all’Università.
Dopo aver fato una doccia calda, visitò il sito dell’Università, mentre il suo stomaco si stringeva in un’inspiegabile morsa e il suo battito cardiaco aumentava di secondo in secondo.
Ariel! Sta calma, si disse mentre scorreva col cursore sulla programmazione dei corsi del giorno stesso.
Picchettò nervosamente con le unghie sulla scrivania leggendo i suoi orari e perse un battito realizzando che, sì, anche quel giorno sarebbe dovuta andare nel primo corso.
Si lasciò cadere sulla poltroncina girevole e portò una mano al cuore, quasi per calmare la frequenza dei battiti.
Pensò che era fottutamente strano per lei avere quel tipo di reazione, ma la risposta, anche se implicitamente, la trovò nell’immagine che le si parò nella mente, la stessa immagine che lei si presentava davanti agli occhi da due giorni.
Prese le chiavi di casa ed uscì velocemente, quasi con la paura di far tardi o di essere ripresa in malo modo da qualcuno.
<< Cristo, lo odio!>>, sussurrò guidando velocemente per le vie trafficate di Berlino.
Una macchina le tagliò la strada e fu costretta a frenare bruscamente lanciando uno sguardo infuocato al conducente del veicolo. << Odio anche questo fottuto traffico!>>, si lamentò tornando a guidare.
Uscita finalmente dal Mitte, guidò velocemente per i quartieri della Berlino Ovest.
Giorno dopo giorno si stava convincendo che forse prendere la U-Bahn non sarebbe stata una cattiva idea e sicuramente ci avrebbe impiegato molto meno tempo rispetto a quello che ci impiegava con l’auto.
Passò davanti ad un parco e guardò i bambini che andavano a scuola.
Sorrise.
Quella scena non poteva non riportarla indietro di dieci anni, quando anche lei attraversava i parchi con Eveline per andare a scuola, commentando ogni ragazzino nuovo di cui Eveline puntualmente s’infatuava.
<< Ariel! Come fai a dire che quello, proprio quello, è brutto?!>>, strillò la ragazza dai lunghi capelli biondi, da cui spuntava un fiore azzurro di stoffa.
<< Ma Evy! Ogni settimana mi ripeti la stessa frase! E ogni settimana per un ragazzo diverso.. ormai neanche le guardo più le tue fiamme settimanali.>>, ridacchiò l’altra. La sua carnagione era così chiara da sembrare estremamente nordica e i suoi lineamenti quasi orientali, accentuati da quei capelli neri pece e il trucco da geisha. Tutto sembrava fuorché tedesca.
Le due ragazze camminavano l’una al fianco dell’altra tenendosi la mano.
<< Su Ary, dovresti cercare anche tu qualcuno che t’interessa.>>.
<< No, Evy.>>, sospirò. << Non ho bisogno di qualcuno con cui..>>, fece una smorfia. << ..fare qualsiasi cosa voi facciate. Io ho bisogno di qualcuno che capisca quello che ho dentro. Con uno sguardo. Sì. Ho bisogno che le mille domande, i mille perché, quando mi trovo davanti a quella persona spariscano.>>, sospirò ancora e la guardò negli occhi chiari. << Capisci che intendo? Dovremmo essere come due pezzi di un puzzle separati alla nascita da qualcosa di molto più grande, ma destinati a trovarsi.>>, fece un mezzo sorriso aprendo un libro, che portava sempre con sé. << Platone. E’ suo il mito che spiega perfettamente quello che intendo.>>, sorrise porgendo il libro alla bionda.
Eveline fece una smorfia sfogliando quel vecchio libro spaginato. << Tesoro, per quanto io possa amare studiare, la filosofia e tutto, non credo che ci sia qualcosa di così grande. Non esiste. E’ solo frutto dell’illusione umana.>>.
<< No, Evy! Esiste! Si chiama…>>, si fermò un secondo e si morse il labbro. << …Vero amore. Credo. E devi solo cercarlo in te stessa.>>.
<< L’amore non esiste, Ariel. Non quello che intendi tu, almeno. Esiste l’amicizia, l’amore per un caro, ma non l’amore eterno fra due individui. Mi dispiace, non ci credo.>>.
Ariel non fece in tempo ad aprir bocca che Eveline era già nel cortile della scuola.
Parcheggiò l’auto nel cortile ripensando alle parole di Eveline.
Quella sua affermazione era sempre rimasta un punto interrogativo per lei, anche a distanza di dieci anni.
C’erano tanti punti interrogativi della vita di Eveline che Ariel non aveva mai avuto il coraggio di smascherare. Erano punti fondamentali nella vita di Eveline, non aveva il diritto di intromettersi così profondamente nel passato della sua migliore amica. Nonostante tutto.  
Ad aumentare il malumore della giornata, si mise anche la pioggia che cadde da cielo prima ancora che Ariel potesse mettere la sua scarpa color rosa pallido fuori dalla sua auto.
<< Merda!>>, batté un pugno sul clacson. << Come faccio ora?!>>, si lamentò accorgendosi della mancanza di un qualsiasi ombrello, mentre la pioggia appannava i finestrini e il tergicristalli.
Si lasciò scivolare sul sedile cercando di guardare fuori dal finestrino invano: la pioggia era così compatta che non lasciava vedere neanche l’auto accanto alla sua.
<< Sono fottuta.>>, sussurrò stringendosi nel suo trench nero battendo i denti dal freddo.
Sfregò le mani l’una contro l’altra sentendo le punta delle dita ghiacciarsi pian piano e dal suo respiro vide uscire una nuvoletta bianca di vapore gelato.
Chiuse momentaneamente gli occhi, sperando che la pioggia si alleviasse presto, ma sentì subito qualcuno che bussava sul suo finestrino.
Sobbalzò impaurita e si voltò.
Dalla padella alla brace, pensò.
Quel Bill! Attendeva sotto il diluvio con un ombrello in mano.
Attendeva lei.
Il cuore prese a batterle velocemente e si chiese cosa fare, se scappare come una codarda e farsi licenziare o accettare l’aiuto e svolgere il suo compito.
Socchiuse gli occhi ed aprì lo sportello.
<< Fanculo, Kaulitz.>>, sussurrò impercettibilmente.
Bill, di canto suo, sorrise alla donna e si avvicinò quanto più possibile a quell’auto, porgendole la mano.
Mano che Ariel strinse con esitazione.
Tutti e due a quel contatto sentirono una morsa allo stomaco e il battito aumentare all’inverosimile.
Bill guardò Ariel dritta negli occhi e l’attrasse a sé velocemente, premendola contro il suo petto. << Sta bene?>>, chiese.
Ariel arrossì violentemente e chiuse l’auto. << Grazie!>>, annuì.
<< Dobbiamo correre, si bagnerà un po’ ma sempre meglio che morire assiderata!>>, Bill, quasi prepotentemente, strinse la vita della ragazza e iniziò a correre.
La ragazza sussultò stringendosi al petto del moretto, le mani strette a quella felpa scura e il viso premuto sul suo petto.
Raggiunsero l’entrata e fecero un sospiro di sollievo, restando per un momento l’uno stretto all’altro, pronti a godersi il calore di un corpo diverso, nuovo, ma nello stesso tempo già conosciuto nell’inconscio.
Ariel alzò lo sguardo sul viso contratto e chiaro di Bill, notando per la prima volta la sua altezza, la sua imponenza rispetto a lei. Deglutì, fissando il viso bagnato del ragazzo dove le gocce di pioggia delineavano quei lineamenti angelici, si posavano sulle labbra schiuse e perfette e scendevano sul collo niveo e lungo per poi disperdersi fra le collane e la felpa scusa.
Bill abbassò automaticamente lo sguardo verso la ragazza aggrappata a lui e sorrise appena notando che la pioggia aveva raggiunto anche i suoi capelli e metà del suo trench scuro.
In quel momento, con quello sguardo da bambina impaurita e infreddolita, le piccole mani fra la sua felpa e le labbra tremanti, la professoressa dagli occhi gelidi, Ariel Neumann, stava mostrando a Bill, senza accorgersene neanche,  il suo vero lato da bambina bisognosa di protezione.  
<< M-mi dispiace per i suoi capelli.>>, tossì lui avvampando violentemente.
Solo in quel momento Ariel tornò in sé e si allontanò a malincuore dal tepore del corpo di Bill. << Morire assiderata?>>, sussurrò battendo i denti.
<< L’inverno è arrivato, signorina Neumann. Presto nevicherà!>>.
Ariel guardò quelle labbra perfette muoversi velocemente scosse da fremiti di freddo, colorate di un violastro spento. << Grazie, Kaulitz. Davvero.>>, sussurrò sincera. << Ci vediamo in classe.>>, deglutì e lo guardò a lungo, prima di voltarsi verso la segreteria.
<< Sì…>>, sussurrò appena Bill e le sue guance presero colore.
 

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Capitolo 8
*** 8 .Hass und Liebe ***


8 .Hass und Liebe
 
Era stato tutto il tempo seduto su quella poltroncina scomoda a fissare instancabilmente quelle labbra che si muovevano velocemente portando con loro mille e mille parole riguardanti un nuovo argomento d’esame e poi quegli occhi profondi che saettavano come palline da tennis dal libro alla lavagna magnetica, dalla lavagna magnetica ad un ragazzo che prendeva appunti piuttosto irrequietamente e poi ancora lo sguardo di Bill si posava su quelle labbra di un rosso spento, ormai consumato dalle ore e dal continuo posarsi della lingua per umettarle- ormai Bill aveva capito che era un suo vizio. Tornava poi a fissare gli occhi della ragazza che più volte per interminabili millesimi di secondo poteva giurare di aver visto posarsi sui suoi, poi, quasi vergognosamente, si distoglievano e si posavano su un punto indefinito dell’aula.
Inutile dire che della nuova lezione non ci avesse capito nulla. Le uniche parole che riuscì a captare e a capire furono: << Per sapere gli appelli d’esame rivolgetevi in segreteria o consultate il sito.>>.
Dopo quelle parole, Ariel prese la sua borsa e salutò molto freddamente tutti uscendo dall’aula.
Era già un mese. Un fottuto mese che tutte le lezioni di quella donna le passava a fissarla instancabilmente, ritrovandosi poi in dietro col programma, il che non era affatto un bene dal momento in cui si era accordo che ci metteva il doppio del tempo per studiare la sera a casa, con Tom che lavorava fino a notte fonda al pc, i suoi appunti incompleti e la sua mente che scivolava ancora una volta sul viso della professoressa.
Bill la guardò a lungo e poi si decise a mettere alla rinfusa i libri e le penne nella tracolla ed uscire velocemente dall’aula seguendo la prof.
<< Signorina Neumann!>>.
Ariel si fermò sul posto come colta da un malore improvviso e sentì perdere un battito. Gettò il collo all’indietro  scocciata e si voltò giusto in tempo per guardare Bill fermarsi a pochi centimetri da lei.
<< Mi dica, Kaulitz.>>, disse freddamente abbassando il tono della voce al pronunciare del suo cognome.
<< Mi servirebbero le fotocopie!>>, sussurrò Bill fissandola dritta negli occhi, il cuore che batteva e quella solita sensazione di sfrontatezza che aveva ogni qual volta parlava con Ariel.
<< Se non fosse stato tutto il tempo a fissarmi come se fossi un animale da zoo, avrebbe sentito che le fotocopie d’esame e i libri da ordinare sono già giù, in segreteria.>>, s’impuntò Ariel fissandolo con un sopracciglio sollevato.
L’aveva notato. Oh sì, se l’aveva notato.
E non poteva negare di essere arrossita più volte quando il suo sguardo aveva incontrato quello di Bill. Così profondo. Così bello e caldo.
<< Ma… io non…>>, balbettò Bill, senza riuscire a spiccicare un’intera frase sopraffatto dall’arroganza e dalla freddezza di quella voce, che gli invadeva lentamente l’anima. I brividi si espandevano con una lentezza snervante lungo tutto il midollo, fino alle spalle e poi sulle braccia.
<< Certo.>>, tagliò corto Ariel firmando il documento delle uscite in silenzio.
<< Se proprio vuole saperlo, signorina Neumann, ho seguito la sua lezione senza batter ciglio, ho trovato interessante ogni singola parola e credo che al prossimo esame possa essere pronto per affrontarlo e superarlo al meglio.>>, le parole gli erano uscite automaticamente dalle labbra, portando con sé milioni di bugie, sì, ma doveva pur sempre inventarsi qualcosa.
Ariel porto i capelli indietro e lo fissò col sopracciglio alzato, la mano stringeva gli occhiali da sole a mezz’aria fra il viso e il collo. << Ha trovato interessante anche qualsiasi particolare di me?!>>, sussurrò lentamente, il tono era tagliente ed autoritario. Quelle parole le erano uscite come un fiume in piena, senza che riuscisse a frenar la lingua. Era stata scortese? Provocatoria? Provocante? Non le importava, sinceramente.
Lo fissò ancora per svariati secondi e poi si sistemò gli occhialoni neri sul naso, gli diede le spalle ed ancheggiò leggera fino all’uscita.
Bill la fissò a bocca aperta, soffermandosi ora sul suo viso, ora sul suo corpo.
Non sapeva cosa o come rispondere a quella provocazione, così la raggiunse. << Il solo fatto che lei abbia la consapevolezza di avere un bel corpo, un bel viso e tutto quello che lei crede di avere, non significa che debba stregare chi vuole studiare o seguire la lezione in santa pace.>>, le parole, ancora una volta, gli uscirono prima che potesse pensare una bugia migliore.
Ariel si voltò di scatto inorridita da quelle parole, così levò gli occhiali e lo fissò con gli occhi sgranati.
<< SCUSAMI?>>, fece altezzosamente.
Bill si torturò il labret con i denti.
L’aveva combinata grossa, sì.
<< Avanti!>>, continuò senza saper frenare quella sua maledetta lingua. << Indossa abiti di alta moda, gonne succinte e qualsiasi cosa che farebbe girare la testa ad un uomo. Anche ad un uomo come me. Posso giurare di averla vista a Chanel. Ooh, sì che ci siamo visti, non è vero professoressa Neumann?  Ed ecco la sua irrefrenabile voglia nascosta riguardante la moda e tutto quello che la rende così provocante, così bella ed impossibile agli occhi degli altri non è altro che un modo per coprire le sue paure, le sue incertezze. Mi sbaglio? Non credo. Lei crede sul serio che facendo così tutti la possano rispettare? Idolatrare? Ammirare? Oh no. Non con me. Io sono qui per conseguire gli esami, per laurearmi. Non ho bisogno che lei mi faccia queste prediche!>>, riprese fiato. << Non ho bisogno delle sue osservazioni.>>, sussurrò fermamente. Sembrava volesse tirar fuori tutto quello che aveva tenuto dentro. Beh, quasi tutto.
Ariel lo fissava stralunata, il sopracciglio tendeva ad andare sempre più su e poteva giurare di essersi persa ad un certo punto seguendo il movimento di quelle –quelle fottute- labbra e di quella voce melodiosa .
Non seppe cosa rispondere per trenta secondi pieni, aprì più volte le labbra ma poi le richiuse.
<< Kaulitz.>>, sussurrò piano avvicinandosi al suo viso. << Nessuno mai, nella mia brevissima carriera e in generale nella mia vita mi ha mai parlato in questo modo, così arrogante, senza conoscermi davvero.>>, ormai il suo viso era a pochi centimetri da quello di Bill. << Lei è solo uno studente che io seguo. Ne ho visti decine come te. Non le permetterò di mettersi alla pari, non le permetterò di giudicare il mio lavoro né tanto meno il mio modo di vestire, di essere e tutta quella marea di stronzate. Mi ha vista a Chanel? Sì, quindi? Sa, anche io ho una vita fuori da queste mura e di sicuro non posso compromettermi la giornata a causa di un ragazzino, come lei.>>, sussurrò fissandolo. Occhi negli occhi. Quella fottuta ambra sciolta, così intensi e caldi. Così profondi. << Mi stia alla larga. Lei è semplicemente come tutti gli altri.>>, parlò con una freddezza tale da congelare anche una fonte di massimo calore. Lo fissò per interminabili millesimi di secondo negli occhi. << E’ tutto.>>, sussurrò tenendo gli occhi sui suoi.
Dopo di che voltò le spalle e strinse la cinta in vita del suo trench, rimise gli occhialoni sul naso ed usci dall’edificio. Per fortuna aveva smesso di nevicare e sui marciapiedi si era depositata la pima neve di metà novembre.
Bill la fissava allibito.
Il suo sguardo era immobile su un punto indefinito e gli occhi iniziavano a pizzicargli.
Semplicemente come tutti gli altri.
Quella frase gli rimbombava nella testa come se volesse entrar a far parte della sua psiche.
Lui non era e non sarebbe mai potuto essere nessuno per Ariel Neumann.
Ebbene sì.
Pian piano Bill si stava accorgendo che il sentimento che provava per la donna era molto più intenso di quello che pensava che fosse.
 
Mentre apriva quella porta tanto bramata rabbrividì.
Stava davvero accadendo a lei?
Passò la mano sulla scrivania di vetro e poi su quella poltroncina di pelle bianca. L’ufficio di Angela era molto più grande e luminoso rispetto al suo. Ed ora anche lei avrebbe potuto sedersi su quella poltroncina, avrebbe diretto tutto un intero mondo fondato su quello che adorava di più. La moda.
Tutto sarebbe dovuto passare sotto il suo sguardo inquisitore, tutto. Ogni modello, ogni fotografo, ogni dipendente, ogni scrittore, stilista emergente. Tutto.
Espirò nervosamente e si sedette su quella poltrona, il suo nuovo pc era già acceso e ritraeva la porta di Brandeburgo illuminata.
Angela era stata categorica: il suo giudizio non doveva essere mai, per nessun motivo al mondo, influenzato da nessuno. Il suo giudizio sarebbe stato categorico e non avrebbe ammesso repliche.
L’ultima parola sarebbe stata la sua, su tutto.
Aveva paura, lo doveva ammettere.
Portò le mani fra i capelli e guardò i quadri d’arte moderna che aveva fatto trasferire nel suo nuovo ufficio e che già da due settimane abbellivano quello studio color bianco ghiaccio.
 << Sarà dura, Evy. Ma ce la devi fare. >>, sussurrò a se stessa. << Angela ha fiducia in te, Chanel Magazine ha fiducia in te.>>, sussurrò con le mani premute sugli occhi.
Non si era accorta della presenza si Tom sulla porta aperta, la mano a mezz’aria per bussare.
Si schiarì la voce guardando la ragazza.
Eveline sobbalzò e alzò lo sguardo su di lui. << Thomas!>>, ansimò con la mano sul cuore. << Da quanto tempo eri qui?>>, arrossì violentemente.
Tom rise appena e si avvicinò a lei sedendosi sulla poltrona di fronte.
<< Quanto basta per capire che non sei affatto nervosa.>>, rise.<< Per nulla.>>.
<< Sono state le due settimane più intense della mia vita.>>, sussurrò Eveline, sfogliando il book che Tom le aveva portato. Prese un post-it e lo appiccicò su una foto che poco la convinceva, scrivendoci delle note sopra. << E’ dura. Passo più tempo al lavoro, a fare commissioni, convegni, di quanto non lo passi a casa. E non è tutto! Fra una settimana la mia migliore amica si sposa e la sua isteria la sfoga su di me.>>, sussurrò istericamente sfogliando il book. << Di notte, per giunta! Le bomboniere? No, fanno schifo! Il vestito? Oh, m’ingrassa! Il fidanzato….>>, si bloccò scrivendo ancora una nota. << …Ah, lasciamo perdere! Dio, scusami Thomas! E’ che c’è una tale tensione nella mia testa! Non dovrei parlare di questo ad un dipendente!>>.
Tom la ascoltava divertito e sul suo viso era comparso un sorriso spontaneo e luminoso, che aveva letteralmente fatto sbriciolare Eveline dall’emozione.
<< Non preoccuparti! E’ divertente e vedrai che tutto s’aggiusta.>>, rise piano e si alzò andando vicino al minibar. << Credo comunque che tu abbia bisogno di un bel caffè.>>.
La ragazza lo fissò a lungo, levando gli occhiali da vista. << Sì, decisamente.>>.
Quel giorno Tom era particolarmente bello: aveva legato i suoi cornrows ed indossava una camicia stretta bianca, che, abbottonata fino all’altezza del cuore, lasciava intravedere un ciondolo d’argento a forma di Yang. Glielo vedeva spesso addosso e doveva ammettere che erano state diverse le volte in cui si era chiesta a chi appartenesse la seconda metà.
Sicuramente alla famosa “amore mio”, si disse fra sé e sé.
Tornò a fissarlo, affogando fra i suoi pensieri più profondi, pensando che ancora una volta Ariel aveva ragione: si era innamorata.
Tom era persona più cortese, dolce, attraente e simpatica che avesse mai conosciuto. Il suo carattere era limpido, cristallino proprio come la sua risata spontanea. Gli occhi erano sinceri e a volte mostravano una nota di fanciullezza, che donava ancora più splendore a quello che era il suo viso.
Ma nello stesso tempo si era rassegnata del fatto che non sarebbe mai potuto accadere nulla fra loro due. Tom era impegnato, fidanzato, innamorato di un’altra persona. Quella persona che, puntualmente ogni giorno, lo chiamava a fine giornata o nella pausa pranzo e che lui chiamava “amore mio”, “gioia mia”, rassicurando con dolci parole e con un “torno presto”.
Sembrava parlasse ad un bambino.
D’un tratto le passò per la mente un pensiero agghiacciante: e se parlava davvero con un bambino? E se era sposato o aveva figli?
Si morse il labbro e spostò lo sguardo sulla sua mano sinistra controllando se ci fosse una fede o qualcosa, ma fu sollevata vedendo tutte le dita, di entrambe le mani libere, che reggevano le due tazze di caffè.
<< Qualcosa non va?>>, sorrise Tom porgendole una tazza.
Eveline alzò lo sguardo su di lui e prese la tazza, facendo il primo sorso. << Nulla. Mi chiedevo se…>>, arrossì violentemente. << Dimmi un po’…>>, bevve lentamente. << Hai per caso figli?>>, sussurrò.
Tom la guardò sconvolto e poco mancava che sputasse il caffè. Si bruciò anche la lingua e la gola.
<< Cosa?!>>, rise fissandola ed arrossì.
Eveline non aveva mai visto nulla di più bello e dolce. << Sei arrossito.>>.
Il ragazzo sentì il sangue invadergli ancora il viso. << No…>>, balbettò mordendosi il labret e guardò la ragazza che gli sedeva affianco.
<< Non mi hai ancora risposto.>>; sorrise ed automaticamente gli posò una dolce carezza sulla guancia arrossata.
<< Non ne ho.>>, la guardò negli occhi godendosi la sua breve carezza e posò la mano tremante sulla sua, in modo che restasse lì, poggiata sulla sua guancia. << Non ho nessun bambino o quant’altro.>>, sussurrò fissandola ancora negli occhi.
Eveline avvampò senza riuscire a distogliere gli occhi dai suoi e sentì la felicità scoppiargli in petto a quelle parole. La mano nella sua, poggiata sulla sua guancia, le tremava. << Mi era parso.>>.
<< Mi dispiace deluderti.>>, fece un mezzo sorriso Tom, intrecciando impacciatamente la mano alla sua.
Strano, si disse, non gli era mai successo di essere così emozionato ed impacciato con una donna. Di solito lui governava nelle relazioni, che puntualmente finivano sotto le coperte.
Eveline era diversa.
Eveline era vera, limpida, bellissima. Non avrebbe mai osato sfiorarla se lei non avesse voluto, anche se in quel momento il suo corpo gli dava un impulso piuttosto contraddittorio. Non riusciva a staccarle gli occhi da dosso e sentiva il bisogno di appoggiare le labbra sulle sue. Impulso che aveva ogni qual volta gli si avvicinava.
<< Non sono delusa.>>, deglutì posando lo sguardo su quelle labbra così perfette. << Tutt’altro.>>.
Ogni millimetro che i loro visi solcavano era un battito perduto, un urlo nel cuore di felicità e paura allo stesso tempo. Desideravano davvero quel bacio. Sentivano il bisogno l’un l’altro di appartenersi, di amarsi, ma allo stesso tempo c’era la paura di essere rifiutati, la paura di essere delusi, la paura che il passato potesse ripresentarsi, indebolendoli ancora notevolmente.
<< Bene, allora….>>, sussurrò Tom, prima che le sue labbra potessero finalmente appoggiarsi su quelle di Eveline, timidamente e delicatamente, quasi con la paura di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Il cuore di Eveline si era fermato proprio nel momento in cui quel profumo intenso e dolce l’aveva inebriata, quelle labbra si erano appoggiate sulle sue e la sua mano era rimasta stretta in quella di Tom.
Poteva desiderare di meglio? Certo che no.
Le loro labbra si toccavano con una lentezza snervante, intimorite ancora dai troppi pensieri che affollavano le menti dei due. Era un bacio casto, puro. Così puro da mettere i brividi; ma Tom poteva giurare che niente mai gli aveva provocato una felicità nel cuore così immensa.
Finalmente dopo tanto tempo si sentiva felice.
Staccò lentamente le labbra dalle sue, prendendole il viso fra le mani, e poi la baciò ancora facendo ben attenzione che nessun desiderio spezzasse la magia di quel momento.
Niente poteva andare storto.
Se non fosse stato per la vibrazione nella tasca dei suoi jeans che lo avvisava di una nuova chiamata.
Che si fottesse Bill, in quel momento.
Non aveva mai pensato una cosa simile del suo fratellino, infatti ben presto ci pensarono i sensi di colpa a fargli abbandonare quelle labbra. << Scusami…>>, sussurrò con le labbra ancora su quelle di Eveline.
Si allontanò controvoglia, lasciando Eveline immersa ancora nella magia di quel bacio, e rispose al telefono seccato. << Sì?>>.
La voce spezzata di Bill dai singhiozzi lo fece sobbalzare.  << Bill, cos’hai?>>.
Eveline alzò lo sguardo su di lui. Bill?
Dall’altro lato del telefono Bill supplicava il fratello di tornare a casa, perché aveva bisogno di lui perché doveva parlargli di una cosa importante. << Piccolo mio! Sto arrivando, non piangere. >>, sorrise dolcemente.
Eveline inarcò il sopracciglio. Piccolo mio?!
<< Certo che ti porto a cena fuori, amore mio. Preparati, fra dieci minuti sono a casa!>>.
Cena fuori?! Amore mio?!
La ragazza sgranò gli occhi fissandolo e dall’altro lato del telefono udì una voce maschile sussurrare un “Ti amo.”, come era solito dire Bill quando voleva ringraziare il fratello.
<< Ti amo anche io, piccolo.>>, Tom sorrise dolce alla tenerezza del suo fratellino. Era sempre così dolce ed indifeso ed in quel momento aveva seriamente bisogno della sua presenza.
In effetti si era reso conto che Bill aveva qualcosa di strano nell’ultimo mese, così chiuse la chiamata e si affrettò a prendere il suo cappotto e la sua tracolla.
<< Dio Eveline, mi dispiace! Devo scappare!>>, disse in fretta e furia.
Eveline lo fissava sconvolta e riuscì solo a sorridere ed annuire, in modo falso.
<< A domani!>>, si affrettò a raggiungere l’ascensore.
<< A domani…>>, sussurrò Eveline, quando ormai Tom era nell’ascensore.
Fissò il vuoto spiazzata e poi si premette un cuscino sul viso soffocando un urlo isterico. << Cristo! È fottutamente gay!!!>>.
 
 
 

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Capitolo 9
*** 9. Cosa vuoi veramente? ***


9. Cosa vuoi veramente?
Passeggiò per circa un’ora nel Tiergarten, ammirando le luminarie che iniziavano già ad illuminare quel paesaggio prettamente invernale e tipicamente Berlinese: il parco curato nei minimi dettali, quel verde magnifico, a suo parere, che sembrava risplendere nonostante il ghiaccio invernale, nonostante la neve e nonostante il freddo glaciale, era illuminato da delle luminarie natalizie, ai lati delle strade c’era la prima neve e le coppiette passeggiavano mano nella mano. Ordinariamente, come sempre.
Si guardò gli stivali stringendosi nel trench mentre percorreva quel giardino fantastico. Lo amava, da sempre. Era il suo posto segreto;  quando era bambina amava stare seduta sulle panchine a leggere o disegnare qualsiasi cosa le capitasse a tiro: vestiti, modellini, il vestito della signora che passeggiava con il figlio, modificava tutto ciò che credeva potesse andare meglio con qualche piccolo ritocco, tracciava linee che avrebbero delineato volti sconosciuti, sognati o magari inventati. Sorrise dolcemente pensando che proprio in quel posto aveva conosciuto Eveline ed automaticamente si sedette su quella panchina che, quindici anni prima, aveva visto iniziare un’amicizia bella come la loro.
Ariel se ne stava seduta sulla solita panchina, fra le mani aveva il solito block-notes e la solita matita con le piume sulla punta. Quel giorno il soggetto del suo disegno era un angioletto dai lunghi capelli biondi con un vestito celeste con i volant: iniziava a fare caldo, si disse, avrebbe dovuto iniziare a disegnare qualcosa per la primavera.
Muoveva le gambe su e giù dalla panchina concentrandosi sul suo lavoro.
<< Posso sedermi accanto a te?>>, una voce fine e melodiosa la fece sobbalzare e le cadde automaticamente la matita sull’asfalto spezzando la punta.
Ariel alzò gli occhi e guardò la bimba che le stava di fronte: le poteva sembrare incredibile! Era proprio l’angioletto che aveva immaginato e che stava cercando di realizzare, in carne e ossa!
La bimba dai lunghi capelli biondi si piegò e raccolse la matita porgendola ad Ariel. << Scusami! Non volevo! Se vuoi ti regalo la mia!>>, disse la bimba con gli occhioni azzurri.
<< No..>>, Ariel si alzò e le fece posto. << Certo che puoi sederti. Come ti chiami?>>, sorrise dolcemente.
<< Eveline!>>, la bimba con un salto si sedette al suo fianco.<< E tu?>>.
<< Ariel!>>, sorrise la bimba con i capelli castani e i boccoli.
<< Ariel? Come la principessa?>>, fece innocentemente la bionda.
<< Sì! Mia mamma ama la storia e ha deciso di chiamarmi così!>>, sorrise.
Stettero a parlare del più e del meno per ore e ore, Ariel mostrò il disegno ad Eveline e le disse espressamente che credeva che lei fosse l’angioletto che aveva disegnato e Eveline rispondeva dicendo che invece lei credeva che Ariel fosse una vera e propria principessa.
Fu da quel momento che la loro amicizia iniziò e da quel momento le due bambine si sarebbero soprannominate a vicenda “principessa” ed “Engel”.
Ariel fece un mezzo sorriso ripensando a quanto tempo fosse trascorso e si sentì tremendamente in colpa quando si accorse che erano mesi e mesi che non chiamava in quel modo Eveline.
Lo diceva sempre, Eveline era il suo angelo custode, la sua unica certezza, la sua vita, il suo tutto.
Era tutto ciò che lei era, tutto ciò che sapeva non se ne sarebbe mai e poi mai andato e se solo ci avesse provato, lei si sarebbe battuta con le unghie e con i denti per tenerla lì con sé. Aveva  bisogno di Eveline, della sua presenza, della sua dolcezza, del suo profumo, delle sue coccole, delle sue urla isteriche quando qualcosa non andava nel verso giusto, delle nottate passate a parlare, confidarsi e, sì, anche piangere. Aveva bisogno di sentire il rumore dei suoi tacchi sul parquet di prima mattina e aveva bisogno di intrufolarsi nel suo letto quando era particolarmente nervosa o triste, per ricevere un abbraccio e mille battute per farle tornare il buonumore. Aveva bisogno della sua Engel.
Automaticamente, prese il cellulare e compose il suo numero attendendo la sua risposta.
<< Prinzessin!>>, Eveline rispose e dal suo tono Ariel capì che c’era qualcosa che non andava.
<< Che è successo, Engel?>>.
<< Oh! Mi hai chiamata Engel!>>, sorrise dolcemente sviando il discorso.
<< Eveline!>>, rise la mora. << Mmh, parla.>>.
<< Stai andando a casa?>>.
<< Sì, ma parla!>>.
<< Alex è in casa?>>.
<< No, al lavoro. Parla!>>.
<< Allora fra un’oretta fatti pronta che ti porto al cinese!>>.
<< Engel!>>.
<< Preferisci il messicano?>>.
<< Evy!>>.
<< Nah, italiano. È senza dubbio il migliore!>>.
<< Eveline!>>, rise Ariel. << Avanti, che è successo con “Thoooomas”?>>, fece la vocina e rise prendendola in giro. L’aveva più volte sentita parlare nel sonno e pronunciare quel nome.
<< Piantala! Fatti pronta per le otto che ti porto fuori a cena.>>, rise Eveline.
<< Sì, ma poi mi racconti di.. >>, Eveline la interruppe.
<< Sì, di Thoooomas, sì. A dopo, Princess.>>.
<< A dopo, Engel.>>, Ariel rise e chiuse la chiamata.
Sarebbe stato meglio avviarsi a casa. Quel giorno Alex aveva un servizio fotografico e poi una festa con i colleghi, non l’avrebbe rivisto fino al mattino dopo.
Sorrise sollevata e uscì dal Tiergarten raggiungendo l’auto.
 
Tom si affrettò a salire le scale del loro appartamento, girò la chiave ed entrò. << Bill??>>, attraversò il grande salone e poi salì nella camera del fratello, bussando cortesemente.
Bill si affrettò ad asciugarsi il viso ormai nero dalle lacrime e dall’eyeliner sciolto. << Entra!>>, sussurrò alzandosi di scatto. Si lisciò la felpa con le mani e si strinse nelle spalle abbassando il viso.
Tom spinse la porta ed entrò. << Ciao…>>, guardò il fratello e gli posò un dolce bacio sulla fronte.
Bill in tutta risposta voltò il viso contrariato. << Scusami se ti ho fatto tornare prima.>>, sussurrò mordendosi il labbro imbarazzato. << Sto diventando un vero e proprio peso per te.>>, trattenne un singhiozzo ma fu tradito da una lacrima.
<< Bill, non dire queste stronzate! Sei mio fratello ed io lascerei il mio stesso lavoro per stare con te, qualora ce ne fosse bisogno.>>, si sedette sul letto del fratello e lo osservò.
<< Non dirlo neanche per scherzo, Thomas. Mi accudisci da quando è morta mamma, mi…>>, serrò la mascella. << …mantieni! Ho venticinque anni e non ho uno straccio di lavoro, tutto per questo carattere che mi ritrovo!>>, si voltò a guardarlo e si siede al suo fianco. << Sono un peso per te, Tomi. E’ giusto che tu abbia la tua vita, devo responsabilizzarmi, devo crescere.>>.
<< Bill, mi fa piacere che tu abbia capito che devi essere più forte, ma lo sai che per me non sei affatto un peso. Io sto bene così, con te.>>, lo fissò Tom.
Bill sospirò ed alzò le mani. << Okay! Anche io. Però..>>, esitò. << Tom credo di essermi..>>, arrossì violentemente e si premette le mani sul viso.
<< Cosa, Bill?>>, Tom lo guardò preoccupato. << Cos’hai?>>.
<< Tom.>>, Bill levò le mani dalle gote rosse ed abbozzò un dolce sorriso verso il gemello, cercando con tutte le sue forze di trasmettergli quello che provava, cercando di fargli provare anche solo il 5% del suo battito accelerato. L’opinione di Tom era essenziale per lui e doveva dirgli-o almeno, cercare di dirgli-cosa gli era successo. Lo guardò negli occhi e sorrise. Nei suoi occhi una luce che non Tom aveva mai visto e poteva giurare di vederci felicità. << Mi sono innamorato.>>.
Tom non si rese bene conto di quello che aveva appena udito e dovette sbattere più volte le palpebre per focalizzare il viso arrossato e luminoso del fratello.
<< Innamorato.>>, ripetette. << Bill, innamorato.>>, espirò e lo guardò. << Ma innamorato… davvero?>>, sussurrò fissandolo come per volersi assicurare che stesse bene.
<< Sì, Tomi, sono innamorato!>>, il sorriso che Bill fece fu il più bello fra tutti i sorrisi che Tomi gli aveva visto in venticinque anni e bastò quel sorriso per farlo balzare in piedi ed abbracciarlo così forte da togliergli il respiro per un momento.
<< Innamorato?!>>, gli prese il viso e sorrise. << Ma… di una persona reale? Voglio dire, due anni fa dicevi di esserti innamorato di Lady Gaga!>>.
Bill scoppiò in una fragorosa risata e lo spintonò piano. << Hey, Lady Gaga è la donna più interessante, bella, intelligente, talentuosa, artistica, scopabile del mondo!>>, rise delle sue stesse parole e si accorse che forse erano anni che non rideva così di gusto né tanto meno si esprimeva in quel modo.
<< Bill, questa ragazza ti ha fottuto il cervello, sul serio!>>, Tom lo guardò sconvolto. << Chi è questa grazia Divina, dimmelo ti prego!>>.
Bill sorrise e si strinse nelle spalle dolcemente, accarezzandosi le braccia imbarazzato. << Si chiama Ariel.>>.
Tom lo guardò negli occhi. << Ariel?>>, inarcò un sopracciglio. << Bill, mi avevi detto che era reale! E poi ti sembra l’età giusta per pensare ai cartoni animati?!>>.
<< Idiota!>>, lo colpì sulla testa. << Si chiama Ariel Neumann ed è l’assistente del professore di psicologia! Il prof delle volte è impegnato con l’altra sede universitaria, perciò lo sostituisce Ariel!>>.
Tom sembrò confuso per una manciata di secondi, ma poi gli sorrise. << Sono davvero felice per te, piccolo. Sul serio.>>, e gli posò una carezza sul viso.
La felicità che Tom provava per suo fratello era inspiegabile. Che si fosse innamorato era la prova che finalmente stava uscendo dalla sua depressione causata dalla morte della madre senza l’aiuto di nessuno. Innamorarsi voleva dire crescere, per lui. Sarebbe diventato più forte, autonomo, indipendente. Non avrebbe potuto conquistare Ariel con l’aiuto di Tom, non avrebbe potuto chiedere ad Ariel di uscire tramite Tom, non avrebbe potuto dare il suo primo bacio con Tom accanto. Avrebbe dovuto iniziare ad affrontare la sua vita da solo, nel bene e nel male, responsabilizzarsi per il futuro, crescere nel migliore dei modi per diventare indipendente. Solo così sarebbe finalmente tornato a vivere, veramente.
 
Ariel parcheggiò la sua auto nel garage e si concesse una sigaretta prima di entrare a casa. Si sedette sulla panchina ghiacciata posta sulla veranda ed accese quella sigaretta che era sempre una fedele fonte di sfogo quando era nervosa. Sapeva che era sbagliato fumare, ma a volte non riusciva a trattenere l’istinto, perciò portava sempre con sé le sue Marlboro rosse e il suo accendino. Aspirò lentamente il fumo chiudendo gli occhi per rilassarsi, sentendo la nicotina che scendeva lentamente dalla gola ai polmoni, per poi buttarla fuori in un unico respiro dal naso.
Come faceva ad essere così irriverente quel ragazzino?
La risposta che Bill le aveva dato la mattina stessa l’aveva  sconvolta. Come osava? Chi si credeva di essere per giudicarla in quel modo, per avere quell’atteggiamento con lei. In fondo, si conoscevano da non più di un mese e l’unico rapporto che avevano avuto al di fuori dell’università era stato quello visivo nel negozio di Chanel.
Si morse il labbro guardando fisso davanti a sé: Si sbagliava. Non era stato l’unico rapporto, quello visivo.
Preso si ritrovò a pensare alle braccia forti e confortanti di Bill, che la stringevano al petto, quel petto glabro e perlato, le clavicole sottili e le mani affusolate. Venne inebriata dal profumo dolce di Bill: un misto di muschio e fiori insieme, che davano la sensazione di freschezza e dolcezza mischiate ad un profumo prettamente maschile.
Era stato quello il primo vero contatto con Bill.
Sentiva ancora il suo battito accelerato nelle orecchie.
Sorrise  consumando la sigaretta e la gettò via.
Perché quel fottuto ragazzo le faceva quell’effetto?
E soprattutto, perché ci pensava ogni secondo? Perché era un mese che sognava solo e solo lui, il suo tattoo sul braccio, la sua collanina a Yin, le sue mani affusolate, il suo sorriso magnifico e cristallino, i suoi occhi profondi e sinceri e le sue labbra da baciare?
Già. Le sue labbra da baciare.
Quei due morbidi petali di rosa ornati da due piccoli labret che li impreziosivano ancora di più. Quelle labbra così perfette, che si muovevano velocemente lasciando che la sua voce melodiosa e suadente invadesse ogni luogo.
Sorrise ancora ripensando a Bill e girò la chiave.
La casa era immersa nell’oscurità, così Ariel si affrettò ad accendere la luce del salone; lasciò la borsa e levò le scarpe, vedendo un batuffolino bianco correrle incontro e abbaiarle.
<< Fraisey, piccina!>>, sorrise e le accarezzò il musino.
La cucciola continuò ad abbaiare e saltare intorno alla padrona, cosa che ad Ariel risultò molto strana: di solito era così pigra!
<< Fraisey! Cosa c’è, hai fame?>>, le versò i croccantini nella ciotola, ma Fraisey la scansò, correndo verso le scale, senza smettere di abbaiare.
Ariel la guardò inarcando un sopracciglio e poi alzò lo sguardo sulle scale. La luce della sua camera sembrava essere accesa. Senza far rumore salì le scale fino ad arrivare davanti alla sua camera da letto, il cuore in gola dalla paura e le gambe che tremavano.
Appoggiò l’orecchio sulla porta, non sentendo nessun tipo di rumore.
Anche perché Eveline aveva deciso di far insonorizzare ogni stanza da letto.
Col cuore che per poco non le usciva da petto, posò la mano sulla maniglia e spinse piano la porta entrando nella stanza.
Quello che vide le fece raggelare il sangue nelle vene.
Alex era nel  suo letto ed addosso a lui, una bionda coperta solo da un lenzuolo. Entrambi si voltarono di scatto e la bionda diede un urlo da oca giuliva che urtò ancora di più i nervi di Ariel.
Sentiva il sangue ribollirle sulle guance, nelle mani strette a pugno e le lacrime pizzicarle gli occhi.
Alex si affrettò a rivestirsi e si precipitò giù dal letto. << Amore!>>, balbettò. << Pensavo fossi da Eveline!>>.
Ariel lo fissò dalla testa ai piedi in silenzio, senza muovere un muscolo.
<< Piccola, posso spiegarti!>>, le si avvicinò allungando una mano per accarezzarle il viso, mano che prontamente Ariel afferrò bruscamente.
<< Non osare neanche sfiorarmi, lurido verme.>>, sussurrò lentamente  fissandolo e premette le unghie nel suo polso, per poi lasciarlo.
Lo fissava con un’espressione schifata, la delusione negli occhi e la mascella serrata.
<< Ma..>>.
<< Tu mi hai reso la vita uno schifo, Alexander! Sei un viscido schifoso bastardo e solo ora capisco che sposandoti avrei commesso l’errore più grande della mia vita.>>, sussurrò tenendo lo sguardo fisso sul suo. << Ora mi fai il favore di prendere tutte le tue luride e fottute cose, compresa la tua troia, e portare il culo fuori da casa mia. Immediatamente.>>, alzò di poco la voce e si avviò alla cabina armadio, con le lacrime che le bagnavano le guance, tirando fuori ogni capo del ragazzo buttandoglielo addosso. << Mi fai totalmente schifo! Ribrezzo, orrore, pena! Sei una persona squallida!>>, urlava lanciandogli ogni singolo capo d’abbigliamento.
Lui, che si era  rivestito con la ragazza, la guardava attonito. << Piccola, ci dobbiamo sposare fra pochi giorni!>>, aprì le braccia.
Ariel lo fissò immobile. << Preferirei morire.>>.
Con una lacrima che le rigava la guancia, levò l’anello di fidanzamento e glielo lanciò incontro. << Tieniti il tuo stupido anello, le tue stupide parole, promesse. Tu mi hai umiliata, in casa mia. Mi hai resa la donna che non avrei mai voluto essere, io con te ho perso la mia dignità di donna! A me fai una fottuta pena, Alex.>>, sussurrò avvicinandosi a lui. << Mi fai pena, sì. Perché oltre ad una troia pagata fior di quattrini, soldi, coca ed alcool non potrai avere nulla.>>, lasciò cadere la valigia al suo fianco. << E mi dispiace per te.>>.
Lo guardò fisso negli occhi, gelandolo. << Ora esci da casa mia, immediatamente. Sparisci, non voglio mai più vederti.>>, si accasciò sulla poltroncina.
Alex la fissava senza dire una parola, le valige alle mani e accanto a lui la ragazza bionda che fissava la scena ammutolita. << Ariel, non ho dove andare…>>.
Ariel fremette dalla rabbia e non si voltò. << VATTENE.>>,sussurrò con lentezza, con una tale freddezza da far rabbrividire persino la bionda.
Alex la fissò mordendosi un labbro, così decise di andarsene.
Solo quando sentì la porta sbattere, Ariel sprofondò in un pianto disperato.
Si sentiva umiliata. Quel giorno sarebbe potuta sparire dalla faccia della Terra, non le importava.
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Fumo&Cenere; ***


10. Fumo e Cenere
 
Eveline chiuse il suo ufficio e si affrettò a scendere le scale: quei maledetti ascensori erano sempre occupati.
Salutò i dipendenti e sorrise all’uomo dietro la reception pregandolo di trasferirle tutte le chiamate che sarebbero arrivate per lei sulla sua segreteria, poi raggiunse la sua auto e si avviò a casa.
Aveva un diavolo per capello ma era felice in fin dei conti di dover passare una serata in compagnia della sua migliore amica, potendosi sfogare sull’accaduto.
Parcheggiò l’auto nel garage e si affrettò ad entrare in casa.
<< Ariel?>>, urlò guardandosi attorno.
La casa era un disastro: le foto di Alex erano sparite, ogni suo ricordo era raggruppato in uno scatolone, i suoi vestiti ed affetti in altri scatoloni e tutti i regali che lui aveva fatto ad Ariel erano raggruppati all’ingresso. Avevano rotto?
Salì velocemente le scale senza neanche levare il cappotto e spalancò la porta della stanza di Ariel.
Poteva giurare di non aver mai visto la sua migliore amica in quello stato. Così distrutta, amareggiata, con l’umiliazione dipinta sul viso e lo sguardo vuoto, privo di qualsiasi sentimento.
Ariel voltò lo sguardo su Eveline, spegnendo l’ennesima sigaretta nel posacenere, poi accavallò le gambe sul bracciolo della poltrona.
Aveva acceso i riscaldamenti al massimo e si era liberata dei vestiti, rimanendo in culottes e reggiseno, così, quasi per sentirsi libera da ogni torto ricevuto. Gli occhi erano privi di trucco, così come la bocca, e le guance erano solcate da lunghe linee nere fatte dalle lacrime.
Espirò il fumo e mise una mano fra i capelli guardando fuori dalla vetrata. << Mi ha tradita.>>, sussurrò.
Eveline la guardava con gli occhi fuori dalle orbite, impotente di ogni movimento, così Ariel continuò.
<< Sì, mi ha tradita proprio qui. Nella nostra casa, con una sgualdrinella presa molto probabilmente da un set fotografico a caso. Io ovviamente l’ho cacciato di casa.>>, rise falsamente. << Cosa pretendeva? Che gli facessi un applauso? Che lo riprendessi a braccia aperte dalla strada. In fondo, sono solo Ariel. La stupida, cara Arielle Agnes Neumann, pronta a perdonare tutto e tutti, pronta ad essere umiliata da una qualsiasi persona e di certo gli avrei perdonato anche questo capriccio, come l’incidente in moto da ubriaco, le feste a base di coca, i comportamenti odiosi e tutte le solite cose per il quale avrei dovuto cacciarlo a calci in culo sin dall’inizio.>>, sussurrò lasciando cadere un’altra lacrima di delusione.
Eveline le era arrivata alle spalle e le aveva posato una mano sulla spalla in segno di conforto.
<< Ma questa volta Ariel ne ha fin sopra i capelli, di tutto. Perciò addio Alexander, addio matrimonio, addio vita futura insieme, addio tutto. Sto bene così.>>, sussurrò con la voce che le tremava, per poi alzarsi e asciugarsi le lacrime. << Sto bene sola, non voglio nessuno al mio fianco.>>, sussurrò  nascondendo i singhiozzi.
Eveline le circondò la vita con le braccia e le poso un bacio sulla spalla. << Non sei sola. Ci sono io.>>.
<< Lo so, e so che sei l’unica che ci sarà per sempre.>>, sorrise appena Ariel. << Ma la cosa che mi urta in una maniera incredibile è che io gli ho dato tutte le chances possibili, tutta la mia fiducia. E lui che ha fatto? Mi ha umiliata, mi ha levato la dignità di donna, mi ha delusa.>>.
<< Mi dispiace tanto, Ary.>>.
<< Eveline.>>, sospirò. << A me no. Io non lo amavo più…>>, confessò voltandosi e guardandola negli occhi. << Ma mi sento a pezzi.>>, sorrise appena.
Eveline le accarezzò il viso. << Voglio che tu volti pagina, adesso. Devi farlo, cancella tutto quello che è stato. Hai bisogno di persone che ti amano e che ami davvero. E quella persona che ti amerà per quella che sei e che amerai per tutta la vita, credimi, arriverà molto presto.>>.
A quelle parole Ariel alzò gli occhi sull’amica, sentendo altre lacrime scenderle sulle guance, ma non poté trattenere un dolce sorriso quando nella sua mente comparve un volto che conosceva ormai bene.
 
Bill ingoiò l’ennesima forchettata di spaghetti al sugo.
Erano fottutamente incredibili!
Quel ristorante italiano in cui Tom l’aveva portato era fottutamente incredibile!
Tutto quella sera era fottutamente incredibile!
Erano settimane che non mangiava decentemente; erano settimane che non mangiava, a dirla tutta.
Tom lo guardava ingurgitare la sua seconda porzione, come se non lo avesse mai visto prima così affamato. Erano anni che non vedeva Bill mangiare in quel modo: per tanti anni Bill si era rifiutato di toccare cibo, tanto da cadere sottopeso all’età di ventidue anni.
Sarà l’amore, si disse Tom sorridendo.
<< Sai, Tom…>>, iniziò Bill pulendosi le labbra. << Anche il tuo sguardo ha qualcosa di strano!>>, lo fissò negli occhi scrutandolo.
Tom avvampò. << Cosa.. cosa dici, Bill?!>>.
<< Non scherzo!>>, annuì convinto il ragazzo avvicinando il viso a quello del gemello per poterlo scrutare meglio. << Ti conosco meglio di me stesso!>>, sussurrò.
Quanto vera poteva essere quella frase?!
Bill conosceva senza dubbio suo fratello meglio di se stesso. Avrebbe conosciuto chiunque meglio di quanto conoscesse se stesso, prima di riflettere su quelle che erano le sue sensazioni.
<< Bill, piantala, sei inquietante!>>, balbettò Tom distogliendo il suo sguardo da quello del gemello e portò il bicchiere alle labbra facendo un lungo sorso.
<< Ti sei innamorato anche tu!>>, sussurrò il gemello. << Ossì. È per caso la tua capo redattrice a farti questo effetto?>>, ridacchiò Bill premendo il dito sul naso del gemello che arrossì violentemente. Bill gongolò felice e batté le mani saltellando sul posto. << Oddio sì! È lei la fortunata!>>.
<< Bill, dacci un taglio!>>, borbottò Tom abbassando lo sguardo sul suo piatto.
<< Quando me la farai conoscere?!>>, continuò Bill eccitato.
Tom non rispose e scosse il capo divertito.
<< Ci sarà domani alla festa?>>, Tom tacque.
Dio, la festa! Se n’era completamente dimenticato!
Ogni anno la Chanel Magazine organizzava una festa in onore della sua fondazione e quello era il trentesimo anniversario del giornale in cui Tom aveva iniziato a lavorare da un mese.
Ci sarebbe stata tutta le personalità più illustri di Berlino: i migliori fotografi, i migliori stilisti di tutta la Germania, Francia ed Italia, i migliori giornalisti di tutta Brandeburgo, Bassa ed Alta Sassonia e di Amburgo, per non parlare di tutte le personalità più in vista nel campo della moda.
Deglutì terrorizzato e guardò Bill: lui sì che si sarebbe divertito in quell’ambiente, quella sera!
<< Bill, certo che ci sarà domani. È la capo redattrice del Magazine, è lei che ha organizzato la festa in tutti i minimi particolari.>>, borbottò rosso in viso.
Bill rise e guardò il gemello. << Sei così tenero quando sei innamorato!>>.
<< Io non so…>>.
<< Ossì che lo sei! Sei arrossito fino all’ultimo corn!>>.
<< Bill, dacci un…>>.
<< Dacci un taglio.>>, sospirò e rise. << Lo so, lo so. Il problema è che tu, mio caro fratellino, non hai le palle neanche di ammettere a te stesso quello che il tuo inconscio, subconscio ed preconscio sanno perfettamente.>>, scrollò le spalle.
<< Perché mai, Mr. Sottuttoio?>>, Tom pagò il conto al cameriere.
<< Semplicemente perché hai paura d’impegnarti. Semplice. Elementare, Tom.>>, lo fissò e prese dalla sua borsa un pacchetto di sigarette e un accendino alzandosi. << Impegnarsi vuol dire anche spogliarsi davanti all’altro. Non in quel senso, Tom!>>, bloccò sul nascere il sorriso perverso e malizioso del gemello, accompagnato da un “Per quello non ho problemi!”. << Spogliarsi di tutte le paure, di tutte le certezze, di tutti i propri punti di forza, ma anche di quelli di debolezza.>>, uscì dal locale accompagnato da un Tom che lo guardava interrogativo col sopracciglio che andava sempre più su. << Essere limpidi. Tu sei limpido solo con me, ma questo solo perché siamo gemelli omozigoti, perché sono più di venticinque anni che ci conosciamo, perché io riesco a captare ogni tua singola preoccupazione e tu riesci a capire ogni mio singolo gesto. Ma, Tom, non deve essere così solo con me. È lo stesso discorso che sto facendo a me stesso.>>, fece una smorfia e si accese una sigaretta accendendola anche al gemello. << Per te è difficile mostrarti agli altri per quello che sei. Non che tu non sia te stesso, non fraintendermi, ma non riesci… ad esprimerti. L’ho notato quando hai iniziato a portarti a casa una ragazza diversa ogni due giorni… Hai una…>>, sospirò e lo fissò correggendosi. << … Hai avuto una dipendenza dall’amore carnale ed ora che sei pronto per condividere non solo il tuo corpo con qualcun altro, ma anche tutto il resto di quel che sei, non sai come fare.>>, si appoggiò all’Audi del gemello. << Devi solo farti forza e non aver paura.>>.
Tom lo fissò boccheggiando e poi fece l’ultimo tiro. << Vaffanculo Wilhelm.>>.
Bill rise e buttò il mozzicone entrando con lui in auto. << Ti voglio bene anche io, Thomas.>>, gli pizzicò la guancia e saltellò sul sedile. << Domani mi fai sapere com’è andata la chiacchierata col bel capo.>>.
<< Bill….>>.
<< Dacci un taglio, lo so.>>.
<< Fottiti.>>, rise partendo.
<< Lo farai, allora?!>>.
<< Quale parte della frase “dacci un taglio!” non ti è chiara?>>.
<< Lo farai!!>>, urlò Bill felice battendo le mani.
<< Lo far. . .NO! Bill, piantala! Mi fai uscire fuori strada!>>, urlò Tom mentre Bill si era arpionato al suo collo urlando felice che non vedeva l’ora di conoscerla, che avrebbero fatto sempre shopping insieme, che…
Stupido Bill.
 
<< Ed il fottuto problema è che io gli sono stata dietro per così tanto tempo, quando potevo benissimo godermi la mia vita in santa pace!>>, affondò il cucchiaio nell’affogato al caramello che stava mangiando sul suo letto, coperta da una grossa trapunta, con le lacrime che di tanto i tanto le solcavano istericamente le guance, che prontamente Eveline asciugava. << Io ho chiuso con i maschi, basta!>>.
Eveline rise e portò alle labbra la tazza di thè caldo che si era preparata. << Oh Ariel, non essere così tragica!>>.
<< Ha rovinato la mia vita, il mio matrimonio! Chi averte tutti ora che il matrimonio è stato fottutamente annullato? Io? Oh no! Io non dico a mia mamma che non mi sposo più! Quella avrà già comprato il suo outfit dalla Rinascente, lì ad Hamburg! Avrà già prenotato il volo in prima classe con tutte le sue fottute amichette snob che ha invitato lei stessa! Cristo, le odio tutte!>>, sbuffò isterica.
La bionda rise forte e le asciugò l’ennesima lacrima d’isteria. << Ci parlo io con tua madre, amore. Stai tranquilla, penso a tutto io, ora devi solo rilassarti e riprenderti al meglio. E smettila di piangere, sai meglio di me che non vedevi l’ora di piantarlo in asso!>>.
<< Sì, ma mi ha sdegnata!>>.
<< Sapessi che è successo a me oggi, Prinzessin.>>, Eveline scosse il capo e rise guardando Ariel mettersi sull’attenti e rizzare le orecchie, come se udisse già l’eco di un grande scoop.
<< Thomas?!>>.
<< Ossì.>>, annuì Eveline. Prese il gelato dalle mani dell’amica ed iniziò a mangiarlo con foga. << E’ gay.>>.
Ariel la fissò sconvolta e sbatté più volte le lunghe ciglia. << Prego?>>.
<< E’ gay! Fidanzato con un uomo, insomma.>>, la guardò negli occhi e scosse le spalle.
La mora la guardò in silenzio e poi scoppiò a ridere. << Eveline, apprezzo il tuo tentativo per farmi ridere, ma… >>, Eveline la stava guardando con un sopracciglio inarcato. << Oh mio Dio, dimmi che stai scherzando!>>.
Eveline scosse la testa. << “Amore mio, Ti amo!”… “Gioia mia, sto arrivando!”… E stamattina ho scoperto che “la ragazza” in questione è un lamentosissimo e gelosissimo ragazzo. Will o Bill. Non ricordo.>>.
Ariel la guardava in silenzio,  la bocca leggermente dischiusa.
<< Sfigate.>>, disse infine.
<< Ed il brutto sai qual è?>>, borbottò Eveline affranta.
<< Cosa potrebbe esserci di peggio?>>.
<< Mi ha baciata!>>.
<< Cosa?!>>, urlò Ariel istericamente.
<< Ariel, tesoro, le tue urla sfiorano decibel che nessuno ha mai neanche pensato di sfiorare!>>.
<< Se ti ha baciata vuol dire che qualcosa per te la prova! O è sessualmente confusa o, cosa di cui sono fermamente convinta da anni, sei tu che ti stai costruendo castelli su cose infondate! Io il “ti amo” lo dico anche a te!>>, la fissò a lungo.
<< Ariel, tu non mi chiami al lavoro perché mi vuoi con te, né tantomeno io stacco per correre a casa da te!>>.
<< Questo perché sei una stronza cronica.>>, ammiccò la mora accavallando le gambe.
<< Questo perché, per quanto bene ti voglia, non sei la mia ragazza!>>.
<< Mi stai offendendo.>>.
<< Dio, lo tratta come un bimbo! Ho persino pensato che avesse un figlio!>>, borbottò la bionda mangiando il gelato.
<< Magari è solo suo fratello. O suo cugino. O suo padre.>>, scrollò le spalle con nonchalance.
Eveline inarcò un sopracciglio.
<< Beh, okay. Magari suo padre no.>>, ridacchiò Ariel. << Eveline, se Thomas ti ha baciata un motivo ci sarà. Dio. Io non bacio il mio capo, sai?>>.
Eveline rise. << Okay, hai ragione.. Domani gli parlerò. Voglio godermi la festa, quindi voglio che tutto sia chiaro, che sia un boccone amaro o no. Non importa.>>, sorrise.
<< Così ti voglio, baby.>>, Ariel le accarezzò i capelli biondi, lasciati sciolti sulle spalle. <<< E…>>, tossicchiò. << Domani sai per caso se ci sarà qualche tipetto interessante?>>.
La bionda sgranò gli occhi. << Arielle Agnes Neumann!!>>, le lanciò il cuscino. << E’ OVVIO! Nella mia festa c’è meglio.>>.
Ariel rise. << Domani giudicherò. Ora sono liberamente single.>>.
<< Ora sì che il tuo tattoo ha davvero un significato.>>, Eveline le accarezzò la bassa schiena dov’era tatuata una scritta che Ariel si era tatuata all’età di diciotto anni, di nascosto dai suoi genitori: Freiheit.
Era fatto con linee fluide e longilinee, colorato da sfumature nere che abbellivano la scritta come dei nastri di soffice velluto. Intorno al tattoo piccole stelle legate da una scia sfumata che rendeva il tattoo particolare e delicato.
Eveline sorrise accarezzandolo con i polpastrelli piano.
<< Lo so.>>, annuì Ariel. << Non ho bisogno di nessuno adesso. Voglio solo la mia libertà.>>, sussurrò poggiando le mani sul viso.
<< Ariel, ti conosco. Hai fottutamente bisogno di qualcuno, tu. Non so chi sia questo qualcuno… ma so che tu, invece, lo sai benissimo. Altro che tipetti interessanti. Puoi cercare di prendere in giro te stessa, ma non me. Sai che io ti riporterò sempre sulla terra.>>, la guardò.
Ariel ascoltò le sue parole poggiando la guancia sul cuscino e chiudendo gli occhi. << Mmh.>>, mugugnò e, mentre  Morfeo posava la sua mano su di lei, la sua mente sfiorò ancora una volta il viso di quel Bill e la sua coscienza le disse chiaramente quel che anche lei aveva capito e che non voleva ammettere.
Hai bisogno di lui, Arielle.
 

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Capitolo 11
*** 11. Verità. ***


La hall del Grand’ Hotel dove si sarebbe tenuta la festa di commemorazione del Magazine era gremita di gente che si affrettava ad addobbarla come meglio poteva. Eveline, sui suoi onnipresenti tacchi dodici dirigeva il lavoro sbraitando a destra e a manca qualora ce ne fosse bisogno.
Doveva essere tutto maledettamente perfetto, dai fiori alle modelle, dagli addobbi natalizi ad ogni singola bevanda. Entrò nel camerino dove le make up artist stavano preparando le modelle e controllò ognuno di esse  in ogni minimo particolare.
Sospirò buttandosi su un divanetto, lasciando che la sua make up artist di fiducia, Natasha, le curasse il trucco. << Sono esausta!>>, mormorò.
<< Dovresti rilassarti, tesoro! Nessuno, neanche Angela, ha mai realizzato una festa così esclusiva!>>, mormorò la ragazza intenta nel suo lavoro.
<< Sì. Ma manca solo un’ora e… io ho ancora tanto da fare.>>, borbottò la bionda.
<< Qualcosa tipo?!>>.
<< Eveline!>>, Kathrin entrò velocemente nel camerino e incrociò le braccia al petto. << La tua amichetta psicologa chiede di te! Dio mio, perché te la porti sempre dietro?>>.
<< Kathrin, non strillare e falla entrare!>>, mormorò la bionda tenendo gli occhi chiusi. << Natasha, occupati anche di lei.>>
Col suo passo svelto Ariel affiancò Kathrin. << Dico sono tre ore che chiedo di incontrarti! Chiedo la luna per caso?>>, strillò isterica buttandosi su una poltroncina.
<< Ariel, unico amore della mia vita, stellina mia, ho i nervi a pezzi, ti sarei grata se smettessi di urlare!>>, mormorò.
<< Scusa…>>, borbottò rilassandosi. << Hai parlato con Thomas?>>.
<< No.>>, Eveline si alzò e delle costumiste la aiutarono ad indossare il suo abito blu notte. << Non l’ho ancora visto!>>.
<< Beh, cercalo!>>, sussurrò la mora rilassandosi al tocco leggero della truccatrice. << E’ arrivata parecchia gente lì fuori. Oh, hey! Quando me lo presenterai? Com’è fatto?>>, fece una risata maliziosa.
<< Oh Ariel!>>, rise lei uscendo dal camerino.
Quale capo redattrice sarebbe mai arrivata tre ore in anticipo alla festa in onore del proprio successo? Quale capo redattrice non si sarebbe fatta il red carpet prima di entrare nella hall? Quale capo redattrice non si sarebbe lasciata fotografare dai tanti fotografi lì fuori?
Era ben consapevole di essere un bel po’ fuori dal comune, come era ben consapevole che ben presto avrebbe dovuto iniziare ad abituarsi ai voli istantanei per New York, ai flash dei fotografi, agli impegni che le spettavano.
Salutò con grazia molti volti noti nel campo della moda e molte persone che si fermavano ben volentieri a farle i complimenti per il nuovo incarico. Allungò il collo un paio di volte cercando con lo sguardo fra i fotografi, ma nessuno sembrava assomigliare minimamente a Tom.
Si avvicinò all’uscita e una scia di flash l’accecarono.
Dio, s’inizia, pensò.
Sorrise fra la folla e salutò molti dei suoi collaboratori, poi con grazia scese le scale e, guardando Potsdamenplatz  illuminata, scorse finalmente il viso di Tom che si sottoponeva alle interviste di un noto programma tedesco sulla moda.
Rimase incantata a guardarlo: i suoi corn erano sciolti sulle spalle, indossava un pantalone gessato nero, la giacca dello stesso tessuto dei pantaloni, la cravatta era annodata lenta sul collo e il primo bottone della camicia bianca era lasciato sbottonato lasciando intravedere le clavicole e un po’ di petto.
Boccheggiò ed andò verso di lui che cortesemente stava salutando il giornalista.
Si ritrovò faccia a faccia con lui, il cuore che le rimbombava nel petto.
Aveva voglia di abbracciarlo.
Aveva voglia di sussurrargli che era bellissimo.
Aveva voglia di baciarlo.
Aveva voglia di dirgli che quell’outfit lo valorizzava tantissimo.
Aveva voglia di urlargli che si era…
Deglutì guardando il sorriso splendente di Tom...
…Fottutamente…
… Ed i suoi splendidi occhi posarsi su di lei, percorrere il suo corpo ammirandola.
…innamorata di lui.
Fu la voce di Tom a riportarla sulla Terra.<< Eveline…>>, sussurrò con un tono pacato e sorpreso.
<< Ciao, Tom…>>, disse  lei guardandolo fisso negli occhi. << Vorrei…. Vorrei parlarti.>>.
Tom la ammirò ancora dalla testa ai piedi con le labbra socchiuse. << Sei  splendida!>>.
Eveline sgranò gli occhi e vergognosamente li posò sul pavimento fissandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. << Grazie mille…. Anche tu stai bene!>>.
Tom la guardò insistentemente. << Anche io devo parlarti. Andiamo dentro, saremo più tranquilli.>>, sussurrò e le porse il braccio.
Eveline lo guardò senza dire niente e posò la mano nell’incavo del suo gomito salendo le scale, lasciando che tutti quei flash le abbagliassero la vista. Di tanto in tanto sorrideva cortesemente e Tom con lei.
Arrivati all’interno della Hall, Tom guardò tutto con interesse. << Che meraviglia!>>.
<< Grazie….>>, sussurrò la bionda conducendo Tom verso i divanetti di velluto rosso che aveva fatto posizionare vicino il grande albero di Natale, isolati rispetto alla postazione dove avveniva la festa. << Tom… ho bisogno di chiarire con te.>>.
Tom posò lo sguardo sul suo ed annuì. << Sono qui.>>.
La bionda prese un respirone e lo guardò. << Non so come sia potuto accadere quel che è successo. Mi chiedo se sono stata troppo invadente, o avvenente. Non so cos’ha potuto scatenare quel bacio, e me ne vergogno tanto…. Tu… tu non puoi …>>.
Tom la interruppe prendendole il viso e posò per la seconda volta le labbra sulle sue, le schioccò tanti piccoli baci a stampo e poi si staccò appena. << Ti vergogni ora?>>, sussurrò sulle sue labbra.
Eveline sentì le gambe e le mani tremare e rimase immobile fra le sue braccia. << Tom….>>.
<< Sssh.>>, sussurrò ancora lui e posò ancora le labbra su quelle della bionda, le umettò le labbra con la lingua lasciando che lei le schiudesse, così potette approfondire quel bacio sentendo il viso della ragazza scaldarsi sempre di più. Era arrossita. Eveline si rilassò finalmente e lasciò che la sua lingua giocasse con quella di Tom, sfiorasse le sue labbra e umettasse appena quel labret.
Ma che stavano facendo?
<< Tom..>>,mugugnò staccandosi ancora da lui. << Tu sei…>>.
<< Sì.>>, annuì lui posando la fronte sulla sua tenendo gli occhi socchiusi. << Lo sono. E sono uno stupido a non essermene reso conto prima.>>.
La ragazza si allontanò appena da lui sgranando gli occhi. << Co… cosa?>>.
Tom alzò lo sguardo sul suo e i suoi occhi si posarono sui suoi, cercando di farle intuire quel che stava per dire. << Mi sono innamorato di te, Eveline.>>, sussurrò.
La bionda sgranò gli occhi che presto s’inumidirono. << Non è possibile… tu…>>.
<< Sono innamorato di te, Eveline; sogno te,  penso a te, voglio te, amo te. E sono io che mi vergogno, se ieri son dovuto scappare così.>>.
<< Tom tu sei fidanzato!>>, si lasciò sfuggire lei.
Tom la guardò a lungo senza capire. << Cosa?!>>.
<< Fidanzato, innamorato di un’altra persona!>>, gesticolò lei. << Che per di più….>>, lo guardò. << E’ un ragazzo!>>.
<< COSA?!>>, Tom sgranò di più gli occhi.
<< Bill! Chi è Bill?>>, Eveline stava letteralmente dando i numeri.
Tom la guardò a lungo e poi scoppiò a ridere. << Ma… Eveline, posso spiegarti!>>.
<< NO! È solo una cotta quella per me Tomi…>>, si lamentò, lasciandosi sfuggire quel nomignolo tanto dolce. << Tu sei innamorato di lui! Sarà la novità o qualcosa! Insomma non so!>>.
<< Ma posso spiegare….>>.
<< Se vuoi ti posso far analizzare dalla mia amica Ariel! È bravissima e ti farà capire che…>>.
<< Se magari mi ascoltassi….>>.
<< No, no, no! Non devi vergognarti Tom…>>.
<< Eveline, non mi vergogno!>>, rise ancora lui.
<< Tom.>>, portò le mani sul viso. << Anche io mi…>>, sospirò. << Anche io mi sono innamorata di te….>>, issò gli occhi nei suoi. << Ma tu sei….>>.
<< No che non lo sono!>>.
<< Ma Bill!>>.
<< Bill è…>>.
<< Tomi!>>, Bill apparve davanti a loro a loro con un cocktail in mano. << Che succede?>>.
Eveline guardò il ragazzo davanti a lei allibita, poi posò lo sguardo su Tom, poi di nuovo sul ragazzo alto, nel suo nuovo completo Chanel. Poi il suo sguardo si posò sulla collanina a forma di Yin appesa al collo di quel ragazzo tanto bello quanto misterioso. << Lui è Bill!>>.
Tom rise e si alzò affiancando il gemello e gli cinse la vita. << Bill, lei è Eveline…>>.
La ragazza posò lo sguardo sugli occhi di Tom e poi lo spostò su quelli di Bill. Nonostante fossero truccati, erano identici. Così come il naso, le labbra, il collo. Tutto. Spalancò la bocca.
<< Eveline, ti presento il mio fratello gemello, Bill.>>.
<< Ciao!>>, Bill rise e le porse la mano.
Eveline li guardava sconvolta. << Oh mio Dio che imbarazzo!>>, sussurrò posandosi le mani sul viso e poi si alzò stringendo la mano al ragazzo. << Sono così mortificata!>>.
Tom rise ancora e prese la mano ad Eveline. << Allora? Sei ancora innamorata di me?>>, sussurrò.
La bionda lo guardò a lungo e Bill sorrise allontanandosi lentamente.
<< Più della mia stessa vita!>>, sussurrò vicina alla sue labbra, per poi posarle ancora sulle sue.
 
Ariel, dopo aver indossato il suo vestito di tulle nero, uscì dal camerino insieme a Kathrin che irrequietamente cercava Eveline.
<< Ma dove si sarà cacciata?! Dio, fra poco inizierà la sfilata di Natale e lei avrebbe già dovuto incontrare tutti gli stilisti!>>, strillò prendendo da un vassoio un cocktail.
Ariel rise e prese uno stuzzichino. << Oh, calma! Se non è qui vuol dire che starà facendo qualcosa di più importante…>>, ammiccò verso la rossa.
<< Cosa c’è di più importante del lavoro?!>>, girò gli occhi lei.
<< Katherine….>>, iniziò lei.
<< Kathrin.>>, la fulminò.
<< Okay, Kathrin, rilassati! Vado a cercarla e la porto da te mh?>>, sorrise lei. << E mangia qualcosa, stai scomparendo.>>, le sorrise ancora e si allontanò.
Kathrin fece per ribattere, ma, non trovando nessuna scusa, si arrese e prese uno stuzzichino.
Ariel si guardò attorno salutando di tanto in tanto qualche collega dell’amica che conosceva, prese un cocktail e andò verso le scale, ammirando il red carpet occupato da fotografi e giornalisti, capi di case di moda e noti stilisti. Sorrise dolcemente e chinò il capo: se solo avesse seguito il suo sogno….
Tornò dentro a capo chino e bevve un sorso dal suo bicchiere di cristallo. Si ritrovò a pensare a pochi anni prima, quando, dopo aver conseguito l’Abitur di fine Gymnasium, decise di non proseguire con il corso di alta moda che l’avrebbe sicuramente portata al successo.
<< Ariel stai scherzando?>>, strillò una donna con i capelli biondi  raccolti in uno chignon.
<< No mamma, non voglio continuare.>>, sussurrò la ragazza giocando con i capelli.
<< Oh Philip, la stai sentendo tua figlia?!>>, urlò verso l’uomo che era seduto in poltrona.
<< Linda cara, è grande, può fare quel che vuole!>>.
<< Ariel! Abbiamo investito tre anni per poter pagare anche questo corso, ed ora, a solo due esami dal diploma, tu ti tiri indietro??>>, strillò verso la figlia.
<< Non riuscirò mai a diventare una stilista, mamma. Non… sono così brava.>>, sussurrò la ragazza accoccolandosi al petto del ragazzo biondo.
<< Oh Alex, dì qualcosa!>>.
<< Che dovrei dirle? È una sua decisione, può fare quel che vuole.>>, alzò le spalle lui.
<< Ma tu sei un modello, dovresti incoraggiarla!>>.
<< Non tutti hanno la mia fortuna.>>, tagliò corto lui.
Ariel lo indicò guardando la madre, come per far vedere che il suo discorso non faceva una piega.
<< Oh, Eveline!>>, la donna si voltò verso la ragazza bionda seduta accanto all’amica.
<< Ci ho provato anche io, Linda, non vuole saperne nulla.>>, alzò le spalle.
La donna espirò rassegnata. << Okay! Cosa hai in mente adesso?>>.
<< Vorrei andare all’università e diventare psicologa.>>, abbassò il viso lei e Alex annuì guardandola.
<< Secondo me è la cosa giusta!>>.
<< Secondo me dovrebbe seguire i suoi sogni!>>, ribatté  Eveline.
<< Secondo me dovresti farti i fatti tuoi!>>.
<< La smettete? Decido io della mia vita.>>, li guardò Ariel.
<< Ma..>>.
<< No, Eveline… ormai ho deciso.>>, sussurrò Ariel poco convinta. << Mi dispiace, mamma.>>.
Ariel sapeva bene che non era quello che voleva davvero, ma il troppo amore per Alex la portò a fare quella scelta. Secondo lui non sarebbe riuscita ad affermarsi nel campo della moda, secondo lui una certezza era meglio di un sogno.
Espirò nervosa ed alzò lo sguardo cercando Eveline nella folla.
Aguzzò appena la vista guardando fisso davanti a sé: Non è possibile, si disse.
Un ragazzo alto e moro era ad una decina di metri da lei e le dava le spalle, i capelli erano cotonati e corvini, le spalle ben impostate e il corpo era magro e fasciato da uno smoking nero e lucido.
Il cuore prese a batterle velocemente e si voltò di scatto quasi con la paura di scoprire chi fosse davvero quel ragazzo, quasi con la paura di confermare quel che aveva pensato.
Era un’ossessione, si disse bevendo il suo drink.
Si voltò di nuovo e guardò verso quello stesso punto, ma il moretto sembrava essersi volatilizzato.
<< Okay Ariel, hai le allucinazioni, avrai bevuto un po’ troppo! Ora levatelo dalla testa.>>, mormorò a sé stessa, prima che una mano si posasse sulla sua spalla.
<< Ariel?!>>.
Sussultò e si voltò di scatto voltandosi. << Evy!>>.
<< Tutto bene?>>, chiese inarcando il sopracciglio.
<< Mmh….>>, la mora non potette fare a meno di notare che la mano della sua amica era intrecciata con quella di un ragazzo. Alzò lo sguardo verso di lui e lo guardò fisso.
Quei fottuti occhi.
<< Oh!>>, si portò una mano alla labbra sorpresa.
Mille domande le frullavano nella mente in quel momento e sentiva la testa pesante e le guance arrossate.
Kaulitz? Cosa ci faceva lì? Perché era mano nella mano con Eveline? Cosa aveva fatto ai capelli? Perché Eveline non si era dichiarata a Thomas? Dov’era finito il suo trucco?!
<< Ariel lui è…>>.
<< Cosa ci fa qui?!>>, si lasciò sfuggire la mora. << Mi perseguita!>>.
Tom di canto suo inarcò il sopracciglio. << Mi scusi?>>.
<< E tu Evy?! Dov’è Tom?>>, guardò la ragazza perplessa e poi tornò ad osservare Tom. << Cos’ha fatto ai suoi capelli? Ed il trucco?! Dio, non le basta ossessionarmi all’università?!>>.
<< Ariel, tesoro, credo che tu sia un po’ confusa! Lui è…>>.
Ariel sospirò, << Eveline, so chi è! Lui è Bill Kaulitz! Lo seguo all’università!>>.
<< In realtà… io sono Tom Kaulitz.>>, rise dolcemente lui e le porse la mano.  << Si sarà sicuramente confusa con mio fratello gemello!>>.
Ariel sgranò gli occhi e fissò insistentemente il viso del moro. << Fratello gemello…>>, sussurrò osservando ogni minimo particolare: il septum era scomparso, come anche il piercing al sopracciglio, il viso era più tondo e le labbra leggermente più carnose. << Oh!>>, sgranò gli occhi e gli strinse la mano.
Eveline rise e li guardò. << Quindi, conosci anche tu suo fratello!>>.
Ariel annuì e deglutì: allora non era un’allucinazione, Bill era davvero lì.
<< Quindi tu sei la famosa Ariel Neumann? Bill mi ha parlato molto di te.>>, ammiccò il ragazzo. << Sono sorpreso, non pensavo che potessi essere proprio tu. La migliore amica della donna di cui sono innamorato è anche…>>, si schiarì la voce. << …la professoressa che segue mio fratello.>>.
<< ….Della donna che ami?>>, sgranò gli occhi lei e guardò Eveline. << EVY!>>, si buttò fra le sue braccia e la strinse fortissimo. << Oh Evy, Evy, Evy!>>.
La bionda sorrise felice e strinse fra le braccia l’amica. << Sì, tesoro!>>.
<< Quindi non è né fidanzato, né gay, né sposato?>>.
Tom rise. << Decisamente no. Solo molto protettivo nei confronti di mio fratello.>>.
Ariel sorrise e lo guardò. << Questo spiega molte cose.>>.
Eveline la guardò a lungo negli occhi. << Non mi avevi mai parlato di Bill.>>.
Ariel arrossì violentemente. << Beh, sai… non ti parlo mai di… di nessun mio studente… e... Bill…>>, tossì. << KAULITZ, è esattamente come…>>, deglutì. << Come tutti  gli altri, sì.>>, abbassò lo sguardo sul pavimento. Sapeva perfettamente che Eveline avrebbe letto nei suoi occhi che non era vera neanche una parola che stava pronunciando. Lo sapeva benissimo. Eveline conosceva di lei ogni minimo gesto ed in quel momento-ne era sicura- aveva capito perfettamente che Bill non era come tutti gli altri, tutt’altro.
E l’arrivo di quest’ultimo ne fu la prova schiacciante.
<< Oh Bill, eccoti qui!>>, Tom tirò il fratello a sé. << Guarda chi c’è qui.>>, ammiccò verso di lui.
Bill di canto suo sgranò gli occhi e sentì le gambe molli guardando la donna che aveva di fronte, tanto da doversi appoggiare al fratello stringendogli la vita. << Oh!>>.
Ariel alzò di scatto lo sguardo verso di lui e lo guardò in silenzio, il cuore le arrivò in gola e le guance si colorarono ulteriormente. Poi posò lo sguardo su Tom, poi su Eveline e poi di nuovo su Bill.
<< Kaulitz…>>, sussurrò con le labbra secche.
<< Signorina Neumann.>>, deglutì lui.
Eveline guardò Tom negli occhi e gli sorrise. << Noi andiamo ad incontrare gli stilisti… ci si vede dopo.>>.
Prese per mano Tom e si allontanò con lui verso un gruppo di stilisti.
<< Io… non sapevo che lei fosse il fratello di Thomas Kaulitz…>>, sussurrò lei guardando in basso.
<< Non avrebbe cambiato nulla saperlo o meno.>>, sussurrò lui freddo osservandola.
<< Già…>>, sussurrò. << E’… strano vederla in un contesto che non sia l’università.>>.
<< Possiamo darci del tu per stasera?>>, sussurrò lui abbassando vergognosamente la voce.
Ariel sgranò gli occhi e li posò sui suoi. << Certo… Bill.>>.
Bill si schiarì la voce e passeggiò per la sala affiancandola. << Allora… è grazie ad Eveline se sei nel campo della moda?>>.
<< Oh, non lo sono.>>, sorrise appena lei. << Purtroppo.>>.
<< Davvero?!>>, la guardò lui sedendosi su un divanetto. << Avrei scommesso tutto che fossi anche tu una stilista che Chanel sta per lanciare!>>.
<< Mi dispiace deludere le tue aspettative, Bill.>>, sorrise. << Mi fa strano darti del tu.>>.
<< Anche a me.>>, annuì lui. << Di solito non lo dai a tutti gli altri, non è così?>>, la fissò negli occhi provocatorio.
Ariel sgranò gli occhi e sostenne il suo sguardo. << In effetti no.>>.
<< Eppure sono esattamente come tutti gli altri.>>.
<< In questo momento sei un po’… beh, diverso. La situazione è diversa.>>.
<< Quindi sono un po’ più avanti rispetto ai miei colleghi.>>.
<< Non vederla in questo modo, Bill. È la situazione che ci permette di vederci da un’altra prospettiva.>>.
<< Non sarà una casualità, bensì una fatalità.>>, abbassò di poco il tono della voce il ragazzo.
Ariel arrossì e lo fisso a lungo, prima che le luci si abbassassero e un uomo annunciasse la sfilata. << Forse è meglio andare.>>, sussurrò.
<< Non mi hai risposto…>>.
Ariel si alzò e sospirò. << Bill, la sfilata!>>, indicò il palco con la testa e si affrettò a raggiungere Eveline e Tom in prima fila.
<< Io so che non sono come tutti gli altri per te, Ariel.>>, sussurrò quasi a se stesso il moro, prima di alzarsi e raggiungere i tre ragazzi.

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