Beyond The Madness (21 Guns)

di xCyanide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter 1 ***
Capitolo 3: *** Chapter 2 ***
Capitolo 4: *** Chapter 3 ***
Capitolo 5: *** Chapter 4 ***
Capitolo 6: *** Chapter 5 ***
Capitolo 7: *** Chapter 6 ***
Capitolo 8: *** Chapter 7 ***
Capitolo 9: *** Chapter 8 ***
Capitolo 10: *** Chapter 9 ***
Capitolo 11: *** Chapter 10 ***
Capitolo 12: *** Chapter 11 ***
Capitolo 13: *** Chapter 12 ***
Capitolo 14: *** Chapter 13 ***
Capitolo 15: *** Chapter 14 ***
Capitolo 16: *** Chapter 15 ***
Capitolo 17: *** Chapter 16 ***
Capitolo 18: *** Chapter 17 ***
Capitolo 19: *** Chapter 18 ***
Capitolo 20: *** Chapter 19 ***
Capitolo 21: *** Chapter 20 ***
Capitolo 22: *** Chapter 21 ***
Capitolo 23: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


-La storia che vi sto per raccontare, ragazzi, non è molto piacevole, sappiatelo. E’ una storia di amore e pazzia. Di due persone nate sotto una stelle contraria.
Ma prima che la storia cominci, lasciatemi dire che il loro lieto fine l’hanno avuto comunque.  Alcuni potranno non capire che loro ora stanno davvero bene, nonostante tutto. Ma credetemi se vi dico che è la verità.
Avreste dovuto vederli. Nessuno avrebbe potuto dividerli, nemmeno la più grande disgrazia. Nemmeno la morte.
Loro erano… loro. Cupi col mondo, felici di essere insieme. Ma si sono rovinati a vicenda.
Ma non dovreste piangere, va bene così. A loro andava bene così, finchè vedevano l’altro sorridere.
Avete presente l’amore che c’è nelle favole? Quello non è niente in confronto a quello che provavano Gerard e Frank. Era diverso, era come se tutte le volte che si guardassero negli occhi, si facessero la promessa muta che sarebbero morti l’uno per l’altro. Gerard diceva che non vale la pena amare, se non ne vale morirne. Sapete che vi dico? Aveva ragione.
Molte persone potrebbero addirittura non capirlo, potrebbero dire che sto ingigantendo la cosa cercando di far credere che tra loro era tutto rosa e fiori, ma non è questo il mio intento, perché mentirei.
Tra loro non andava bene tutto, sempre. E nemmeno volevano dare a vederlo.
Gerard aveva i suoi problemi, era apprensivo, protettivo, paranoico.
Frank non voleva vedere le cose come realmente erano, credeva che fosse tutto un gioco, il loro. Era un bambino capriccioso, ma che si arrabbiava se veniva trattato da tale.
Ma insieme… insieme tutti i loro difetti venivano come eclissati dal bene che riuscivano a scambiarsi.
La storia che sto per raccontarvi vi rattristerà, ne sono consapevole. Vi farà ripensare a quello che le persone intendono per amore e a quello che invece intendevano loro. Vi farà rivalutare la pazzia.
La storia che vi sto per raccontare parla di loro.
Di Gerard e Frank.



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xCyanide's corner
Sono qui con una nuova long non propriamente a lieto fine. Ma vi posso assicurare che a modo suo finirà bene LOL
AnySassy, vi devo delle spiegazioni:
-nei prossimi capitoli ci sarà una parte scritta normalmente e una scritta in corsivo. Quella normale è al passato, quella in corsivo è al presente;
-nel titolo, tra parentesi, c'è scritto 21 Guns perchè l'idea mi è venuta mentre vedevo quel video dei Green Day;
-ci sto lavorando da inizio marzo e ho già quasi tutti i capitoli pronti (me ne mancano solo quattro), per cui, per favore, anche se è un prologo minuscolo (e ne sono consapevole) fatemi sapere che ne pensate, solo per rendermi conto se posso continuare a postare o se devo ritirarmi nella mia casetta in montagna a morire di fame (?)

Credo che posterò il primo capitolo entro stasera, giusto per sentirmi un pochino importante e per non mettere solo questo sputo di prologo :)

Grazie per avermi sentito delirare, ci sentiamo nel prossimo capitolo, xCyanide

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Capitolo 2
*** Chapter 1 ***


Entrammo in casa e ci chiudemmo velocemente la porta alle spalle. Guardai verso la direzione di Frank, per vedere se sulla sua pelle era comparso anche solo un graffio. Se quei figli di puttana lo avessero toccato, li avrei ammazzati senza problemi uno per uno.
Mi appoggiai alla porta, ancora con il fiatone. –Cazzo - sussurrai.
Sentii il suono della macchina della polizia avvicinarsi alla nostra via, il mio cuore aumentò notevolmente velocità. Se ci avessero preso, ci avrebbero diviso e ci avrebbero dato l’ergastolo. E io non volevo rimanere senza Frank. Feci strisciare una mano sul legno della porta e la strinsi con la sua, guardandolo in faccia. Aveva gli occhi lucidi e la faccia in un misto tra esausta e terrificata. Quella maledetta volante, infatti, ancora stava girando intorno casa nostra.
Di positivo c’era, però, che non sapevano di preciso dove ci trovavamo, anche perché ci piaceva variare. Cambiavamo almeno una volta al mese residenza, cercando di fare spostamenti sempre più grandi, e una volta alla settimana rubavamo una macchina nuova, cambiando addirittura la targa. Eravamo bravi, questo ce lo concedo. Erano tre anni che ci consideravano latitanti e ancora non ci avevano preso. C’era anche da dire, però, che l’ispettore Melvich fosse poco furbo. Io ero stato in galera, si, ma ero riuscito a scappare e lui non aveva potuto fare niente di niente se non starmi a guardare mentre me ne tornavo a casa per continuare a fare quello che facevo prima che mi mettessero in gattabuia.
La volante svoltò verso il centro città e la sentii allontanarsi sempre di più da noi.
Frankie, stupito,  mi guardò negli occhi e mi saltò tra le braccia. –Non ci hanno preso nemmeno stavolta, Gee! – esclamò, contento. Lo strinsi a me, quasi a inglobarlo tra le mie braccia e gli baciai la testa. –Ti amo, te l’ho mai detto? – continuò, saltellando.
-Si, Frankie, me l’hai detto – gli risposi, tirando su il suo mento e baciandolo delicatamente. Era così fragile che a volte che mi chiedevo come potesse condurre una vita come la nostra. Eravamo rapinatori, assassini, Cristo! Eppure, lui aveva sempre quel faccino così adorabile da eterno bambino che, anche a me che l’avevo visto sparare a una persona senza paura, sembrava strano. –Ti amo anche io – Sorrisi.
-Dobbiamo organizzare un’altra rapina – disse deciso. –Non lo so, ho soltanto voglia di farla. Questa è andata talmente tanto bene che sono sicuro andrà bene anche la prossima! – esclamò.
-Stai calmo, Frankie. Dobbiamo ancora mettere a posto tutto quello che abbiamo preso oggi, dobbiamo cambiare casa e macchina e poi vorrei un po’ di tempo per noi due. Insomma, tra due giorni facciamo tre anni, che ne dici di starcene calmi per un po’, mh? – gli carezzai una guancia.
-Hai ragione, hai ragione – sbuffò. –Mi faccio prendere subito dalle situazioni e ti trascuro, mi dispiace.
-Non ti preoccupare – lo rassicurai. –E’ normale, anche io sono eccitato, lo sai – lo guardai negli occhi. –Che ne dici se ci stendiamo al letto e ci mettiamo a contare i soldi?
Lui annuii e ci prendemmo per mano, salendo le scale lentamente e con stanchezza. Lo vidi sfilarsi la cinta e buttare la pistola in un angolo della camera. Sembrava così maledettamente inadeguato a quel ruolo. Poi si tolse la maglia e i pantaloni e si accomodò sotto le coperte.
-Non vieni? – mi chiese, con gli occhi innocenti.
Mi riscossi dai miei pensieri e mi svestii, raggiungendolo nel letto. Mi porsi verso il comodino e tirai fuori le nostre mazzette, ben conservate e divise per generi, e le poggiai in mezzo a noi.
-Cavolo, abbiamo racimolato molto – osservò, prendendone in mano una e cominciando a contare le banconote da cinquecento. I suoi occhi brillavano davanti a tutto quel denaro.
-Quanto tempo è che facciamo questa vita? – domandai, retorico.
-Okay, si, sono quasi tre anni che racimoliamo soldi – acconsentì.
-E sono tre anni che ci considerano “latitanti” – ci pensai. –E la cosa bella è che nemmeno sospettano niente di noi.
-Si, infatti – rifletté. -Dici che non si vede così tanto come crediamo? – mi chiese, sporgendosi verso di me.
-Sai che ti dico? Che si fottano – lo presi per le spalle e feci incontrare le nostre labbra.
 
Ricordare mi fa male, pensare  a te mi fa male. Vorrei solo averti ancora qui vicino a me, come sempre.
Il ricordo di quelle notti, di quei giorni mi logora come se stessi bruciando dall’interno.
Guardo il poliziotto davanti a me.
-Io non dirò una parola – annuncio.
-Oh, dovrai. Vi abbiamo cercato per anni, ora c’è qualcuno che vuole che tu spieghi tutto – dice, senza ammettere discussioni.
-No – ribatto lo stesso. Molto probabilmente è lui uno di quelli che ti ha portato via da me, io non parlerò mai, che si fottano!




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xCyanide's Corner

Vi avevo detto che avrei postato il nuovo capitolo entro sera ed eccomi, anche se so che non è sera.
AnyWay, ripeto, fatemi sapere che ne pensate, una piccola recensione non fa mai male :)

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 3
*** Chapter 2 ***


Frank diventava un’altra persona quando aveva una pistola in mano. Quando la puntava alla testa del cassiere e lo minacciava di morte se non gli avesse dato tutti i soldi.
Non era certamente lo stesso Frankie che mi ripeteva sempre che mi amava, che in quel momento stava dormendo sul mio petto e stava arricciando il naso per via di qualche sogno strano che stava facendo.
Non era lo stesso Frankie che avevo conosciuto tre anni prima a casa di una sua amica. Andare in quella casa era forse stata l’unica fortuna che avevo avuto in tutta la mia vita. Il fatto che Marylin si fosse rotta una gamba era stato incisivo, ovviamente. Se lei non avesse avuto quell’incidente, io non sarei passato a casa sua a trovarla e Frankie non avrebbe dovuto prendersi cura di lei quel pomeriggio.
Mi ricordo ancora come se fosse stato ieri, la prima volta che l’ho visto. Era lì, di schiena, a preparare una cioccolata calda per Marylin e non mi aveva nemmeno sentito entrare.
Mi ero schiarito la gola e avevo fatto un passo in più dentro la cucina. –E’ permesso? – avevo chiesto, educato.
Lui si era girato di scatto, impaurito. Il suo sguardo però si era tranquillizzato subito vedendo che non c’era niente di cui preoccuparsi. Insomma, non ero ancora un pazzo criminale.
-Oh, sicuramente sei qui per Marylin, è così? – domandò, imbarazzato, mettendosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli.
-Si, è una mia amica di infanzia, sono passato a vedere come sta – mi avvicinai ancora di più e gli porsi una mano. –Mi chiamo Gerard, Gerard Way. Ma mi chiamano tutti Gee, quindi… E tu sei…?
Lui mi strinse la mano, delicatamente. –Mi chiamo Frank Iero. Anche io sono un amico di Marylin. Le sto preparando la cioccolata calda, ne vuoi un po’ anche tu?
-Mi farebbe piacere, grazie – mormorai.
-Beh… - cominciò, girandosi di nuovo verso i fornelli, -Marylin è nella sua camera da letto, ha detto che chiunque fosse venuto, avrei dovuto mandarlo da lei – mi spiegò.
-Si, ora vado – sussurrai.
Mi sentivo frastornato, questo lo ricordo bene. Non avevo mai visto un ragazzo più bello di lui, non aveva lo stesso sguardo di tutti, era diverso. Vi è mai capitato di guardare una persona e pensare che deve essere vostra? Beh, a me si, con lui. Lui doveva essere mio.
Mi ero perso a guardarlo. Era basso, ma quel metro e sessanta massimo lo rendeva ancora più bello ai miei occhi. Aveva i capelli lunghi e neri fino alle spalle e qualche tatuaggio sparso per le braccia. Portava una maglia larga nonostante fosse magrissimo e un paio di jeans scoloriti e vecchi. La sua bocca e il suo naso erano contornati da due piercing argentei e i suoi occhi erano ciò di più meraviglioso che avessi mai visto. Erano grandi, giganteschi e lo rendevano dolce, ma ancora non avevo capito di che colore fossero. Erano due pozze verdi, ma c’era anche del nocciola e alcune pagliuzze d’oro lì. Mi sarebbe tanto piaciuto poterci nuotare dentro, capire quello che aveva in testa, sapere tutto di lui.
E l’avevo fatto.
Non ero mai stato così fiero di me stesso, se non quando lo avevo invitato a uscire con me. Se non l’avessi fatto, ora lui non sarebbe stato sul mio petto e dormicchiare come un bimbo.
Gli carezzai la testa, scostandogli i capelli da davanti agli occhi. –Sei bellissimo – sussurrai, senza svegliarlo. –Il mondo è brutto, ma tu sei bellissimo – continuai.
Lui si rannicchiò ancora di più addosso a me, in posizione fetale, e mi strinse i fianchi. –Gee… - mugolò. –Gee, si, continua – ansimò lentamente.
Risi sottovoce. Mi ero dimenticato che parlasse nel sonno. E mi ero sempre chiesto perché facesse quel tipo di sogni su di me quando io ero sempre lì vicino a lui.
Continuò a parlare, in modo buffo. Io continuai a stargli accanto accarezzandolo.
 
-Come vi siete conosciuti tu e Iero? – mi chiede il poliziotto che sta davanti a me. Si chiama Aaron, lo leggo sulla sua targhetta.
-Non sono tenuto a dirglielo – osservo, cercando di tirare su le mani che però sono fermate da un paio di manette fredde. –Mi state trattando come un fottuto criminale – dico, serio.
-Perché, non lo sei? – mi domanda, retorico.
-No – rispondo.
-Non mi hai ancora detto come vi siete conosciuti tu e Iero – sbatte un pugno sulla scrivania davanti a me. Mi hanno portato in una sala per gli interrogatori, fottuti.
-E io le ho già detto che non voglio dirglielo. Si tratta di privacy. Se le dico come ci siamo conosciuti, poi magari vorrà pure sapere quante volte scopavamo in una settimana – deduco, sfacciato.
-C’era qualcosa tra di voi? – mi chiede, poi. Ci ha pensato un po’, prima di pormi questa domanda. Forse è stupito che avessi potuto provare dei sentimento per qualcuno.
-Se intende una relazione che andava avanti da tre anni, si, c’era qualcosa tra di noi – sorrido, ripensando a te, al mio Frankie. Ti hanno portato via da me. –Complimenti, avete distrutto la mia felicità.




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xCyanide's corner

Mi ero ripromessa che non avrei postato prima di mercoledì, ma non ce la faccio a stare lontana da EFP per più di quindici minuti LOL
Intanto, vorrei ringraziare le otto persone che hanno messo la storia tra le seguite e le due che l'hanno messa tra le ricordate e preferite. E, soprattutto, quelle tre anime pie che hanno recensito. E Polishhh che sono due giorni che mi ha chiesto il capitolo. <3

Vorrei fare una precisazione che mi sono dimenticata nel prologo: ci saranno molte citazioni prese da varie canzoni, soprattutto 21 Guns dei Green Day, e ve lo dico ora per non ripeterlo tutte le volte.

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 4
*** Chapter 3 ***


La cosa strana di noi era che, anche se eravamo criminali ricercati, avevamo degli amici. Tutta gentaccia, ovviamente, ma erano i nostri amici.
Ricordavo bene quando avevamo fatto tre anni. Ricordavo che mio fratello era apparso quella stessa mattina in casa per farci gli auguri.
Noi volevamo stare soli, ma con Mikey non era possibile. Aveva già organizzato una specie di party quella sera, a nostra insaputa. Lo stavo odiando, ma era pur sempre mio fratello.
Lo odiavo soprattutto perché aveva invitato Bert. Ora, lui era uno dei miei migliori amici, ma a Frankie non andava tanto a genio il fatto che io a Bert piacessi. Che poi, lui era anche fidanzato. Aveva una bella ragazza, e veniva dietro a me.
Frank aveva subito messo il muso quando aveva saputo della festa. Non potevamo regalarci niente, dato che non potevamo uscire, e volevamo per lo meno passare una serata romantica da soli, ma avevo visto la faccia delusa di Mikey quando gliel’avevo detto e non avevo saputo resistere ad accontentarlo.
Se ne era andato, poi, continuando a parlottare tra sé su quello che avrebbe dovuto portare da mangiare e su chi avrebbe dovuto invitare oltre quelli che aveva già programmato.
Io, invece, mi ero fiondato alla macchinetta del caffè e avevo riempito una tazza gigantesca solo per Frankie, per cercare di farmi perdonare. Lui, però, aveva ancora il broncio e non voleva alzarsi dal letto.
-Dai, Frankie – lo avevo supplicato sedendomi vicino a lui. –Per favore, non fare così.
-Quello ti starà appiccicato tutta la sera e mi guarderà male, lo so – ecco, quello era uno dei momenti in cui sembrava davvero un bambino.
-Tesoro, nessuno toglierà i MIEI occhi da TE, stasera, lo sai, vero? – gli chiesi. Mi sporsi per baciarlo, ma lui si girò dall’altra parte, con gli occhi lucidi.
-Prometti che non lo saluterai – continuò, puntando i piedi sul materasso.
-Non posso non salutarlo Frankie, lo sai – lo rimbeccai, poggiando una mia mano sulla sua coscia destra.
-E allora… promettimi che staremo seduti vicini, che non lo guarderai nemmeno - tornò a fissarmi, con gli occhi seri. Cristo, stava dicendo davvero? –E poi, lo sai che sono timido, non mi piace stare in mezzo alla gente.
-Ehi, ci sarò io – lo rassicurai, riuscendo ad abbracciarlo finalmente, lasciando prima la tazza di caffè sul comodino al lato del letto.
Lui mi strinse a sé, sospirando. –E, comunque… - cominciò –auguri, Gee – sussurrò dolce.
Lo spinsi a sdraiarsi sul materasso e salii a cavalcioni su di lui, riempiendolo di baci sul petto. Sapevo che soffriva il solletico lì, infatti cominciò a dimenarsi per farmi staccare e a urlare che me l’avrebbe fatta pagare cara. Lo ancorai al letto spingendo i suoi polsi sul cuscino e finalmente lo guardai negli occhi.
-Ti amo, lo sai, vero? – lo baciai delicatamente.
-Mmh, lo so – disse saccente.
-Eddai, Frankie, non mettermi il broncio. Non è colpa mia, è Mikey che è iperattivo e vuole organizzare sempre feste, ma abbiamo comunque tutto il giorno, no?
-Va bene – si arrese alla fine, accennando un sorriso. –Ma voglio che… che…
-Non lo sai nemmeno tu quello che vuoi, bambino viziato – lo punzecchiai, baciandogli il collo.
-Mmmmh! – si lamentò. –Si, lo so cosa voglio, voglio che tu prometta che stasera guarderai solo me – disse, con la voce da bambino, fissandomi con quegli occhioni giganteschi.
-Okay, si, i miei occhi guarderanno solo te, oh principe – lo presi in giro.
-Ah, un’altra cosa! – esclamò. –Voglio che tu mi faccia un disegno, cioè, qualcosa che io possa tatuarmi. Se non mi sbaglio Bert sa tatuare, no?
-Vuoi farti un altro tatuaggio? – lui annuì e sorrise arrossendo. Lo baciai di nuovo. –Va bene, okay. Disegnerò il tuo tatuaggio.
 
Nella stanza entra un altro poliziotto. Si avvicina ad Aaron e gli sussurra all’orecchio qualcosa che non riesco a capire. Sto impazzendo qui dentro, Frankie, perché non sei qui?
Tiro di nuovo le manette, cercando di liberarmi, ma non faccio altro che infierire sui miei polsi già rovinati. Faccio un verso di delusione a vedere che non riesco a liberarmi di quella robaccia di ferro e abbasso la testa.
-Allora, Gerard, so che non hai ancora spiegato come vi siete conosciuti tu e Iero – comincia l’altro poliziotto. Cerco di guardargli la targhetta sul petto per capire come si chiama, ma non ce la faccio a vederla. –E…
-Mi da fastidio che lo chiamiate Iero – mormoro, accavallando in modo buffo le gambe. –Ha un nome e voglio che usiate quello, per favore.
-Noi non ti dobbiamo niente – mi contrasta quello nuovo, prendendo una sedia e sedendosi proprio davanti a me.
Mi viene da piangere. Mi manchi, tanto. Più di quanto non mi sia mai mancato nessuno. Sento come un vuoto dentro di me, qualcosa di incolmabile, ormai. Sto solo aspettando che mi diano l’ergastolo. Voglio farla finita, basta con questa cazzata. Non ce la faccio senza te.
-Allora io non dirò niente – so essere davvero insolente, quando voglio.
-Io posso mandarti sulla sedia elettrica quando voglio, figlio di puttana! – esclama, battendo il pugno sulla scrivania.
-Fallo – lo incito. –Mi risparmierebbe solo inutile sofferenza.





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xCyanide's Corner
Sono di nuovo qui con un altro capitolo ad annoiarvi. Spero vi sia piaciuto e lasciate una recensione :)
Ringranzio ancora le persone che hanno recensito finora, siete la mia gioia *-*

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 5
*** Chapter 4 ***


-Sai cosa mi è sempre piaciuto della scuola? – mi chiese, guardandomi mentre disegnavo quello che sarebbe dovuto essere il suo tatuaggio. Si sedette vicino a me e mi prese la mano sinistra.
-Ti piaceva la scuola? – gli domandai, stupito.
-No, non la scuola in generale, mi piacevano i ragionamenti che ne tiravo fuori – disse, osservando bene il mio disegno. –Per esempio, tu la sai la storia degli anelli di Saturno?
Ci pensai bene su, ma mi resi conto che quella storia mi mancava. Ne sapevo tante, davvero, ma quella no. –Io… credo di non averne mai sentito parlare, no – ammisi, continuando a tracciare una riga della scritta che non mi veniva bene.
-In pratica, la mia professoressa ci spiegò da dove venivano quegli anelli. Era solo una delle tante teorie, però. In origine erano un altro pianeta più piccolo, poi un giorno, non si riesce a capire come, è andato contro Saturno e si è distrutto e i frammenti hanno cominciato a girare nell’orbita di quel pianeta – si fermò un attimo, come se stesse cercando di ricordare che altro gli aveva detto la professoressa. –Ma c’era un’altra teoria, che era molto più… strana. Si dice che Saturno abbia inglobato questo pianeta, invece di distruggerlo. E’… non lo so, mi è sempre piaciuto.
-E’ una cosa inquietante, ne sei consapevole?
-Non è inquietante, è romantica – ribattè. –E’ come… quello che ti può fare una persona, no? Può attirarti a lei e distruggerti, eppure può anche inglobarti e proteggerti, non trovi?
Sorrisi, al pensiero dei suoi ragionamenti. Era strano, ma l’avevo sempre saputo.
-Gee, tu sei come il mio Saturno – sussurrò. –Mi hai inglobato e mi proteggi sempre.
Mi girai verso di lui e lo guardai negli occhi. –Ti prometto di proteggerti da tutti quei figli di puttana che ci stanno cercando, Frankie. Non ti toccheranno mai. Lo prometto.
Si sporse verso di me e mi strinse. –Io lo so. Lo so che loro non mi faranno mai niente finchè sei con me – disse, con voce sincera.
Gli baciai delicatamente una guancia e lo guardai negli occhi. Mi sorrise, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, cercando di non alzare lo sguardo verso di me. Era timido.
Nei sui occhi c’era tutto di lui. La sua vita, le sofferenze che aveva avuto, le delusioni e le gioie. La voglia di vivere e di morire allo stesso tempo. L’amore, la spensieratezza di un tempo e la paura di farsi vedere da qualcuno di troppo. L’angoscia della vita che conducevamo, la malinconia della libertà che ormai avevamo perso. Ma la voglia di continuare a camminare per quella strada solo per stare con la persona che amava.
Perché, se avevo una certezza, era quella. Lui mi amava.
-Sei bellissimo – gli dissi. –Ci sono cose brutte nella vita. Cose brutte e cose brutte. Ma tu sei bellissimo – lo vidi diventare rosso sotto il tocco delle mie mani.
Mi diede un bacio leggero sulle labbra. Se non avessi sentito i suoi capelli pizzicarmi la fronte, avrei detto che nemmeno me l’aveva dato, quel bacio.
-Ti credo – sussurrò. –So che manterrai la tua promessa, Gee. Ti credo – ripetè.
-Ti sei mai sentito immortale, Frankie? – gli domandai tutto d’un tratto. –Perché io quando sono con te mi sento come se non morissi mai.
-Noi non moriremo mai – precisò, prima di lasciarmi finire il mio disegno.
 
Sorrido. Come ci sbagliavamo a credere che l’immortalità significasse non morire mai. Non era vero, Frankie. L’immortalità è vivere per sempre nel pensiero degli altri. In quel senso tu sei davvero immortale per me, si.
-Cos’hai da ridere, Way? – mi chiede Aaron.
-Pensavo a Saturno – rispondo, incurante degli sguardi che mi stavo prendendo. –E pensavo alle promesse che non si mantengono – aggiungo, un po’ triste.
-Strano pensare a ciò nella tua condizione – osserva quell’altro. Ho deciso che, siccome non riesco a capire come si chiama, gli troverò un nome. Gli starebbe bene Carl, ha la faccia da figlio di puttana, davvero. –Tu sei matto – aggiunge sussurrando.
-No, non sono matto, sono solo un romanticone – lo prendo in giro. –Non ha mai fatto una promessa a qualcuno senza sapere cosa sta promettendo?
-Qui quelli che fanno l’interrogatorio siamo noi, non te – precisa.
-Io l’ho fatto – continuo, nonostante la sua voce incazzata. –Gli avevo promesso che l’avrei protetto, ma non l’ho fatto. Gli avevo detto che sarei stato il suo Saturno, ma non lo sono stato. Mi sento così in colpa – una lacrima riga la mia guancia. Ma sorrido lo stesso, Frankie, e sai perché? Perché tu per me sei ancora vivo, qui nel mio cuore.
-Saturno? Ma cosa stai blaterando? – mi chiede, diventando rosso dalla rabbia. Non gli piace non avere le redini della situazione, si capisce da come si relaziona con me. Io devo essere solo un suo succube.
-Niente, lasciate perdere un pazzo – dico, riprendendo le sue parole. –Vorrei solo non avergli promesso niente.
-A chi? – mi domanda, stavolta, Aaron. E’ molto più calmo di Carl, sicuramente, ma non per questo mi piace di più.
-Frank – rispondo, finalmente. –Lui raccontava sempre una storia strana su Saturno e sui suoi anelli e mi aveva detto che ero il suo Saturno. Ma non sono capace di niente, io. So solo deludere le persone. Dovreste darmi davvero l’ergastolo, faccio schifo.
-Di cosa stai parlando? – Carl mi guarda negli occhi, serio, è più confuso che mai.
-Lasciatemi perdere – li supplico. –Sono solo un matto – ripeto.
Scusa, Frankie.




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xCyanide's Corner

Vi sono mancata? Sono sicura che la vostra vita era migliore senza di me, si D: AnySassy, spero che anche questo capitolo vi piaccia e mi raccomando recensite.
E, a proposito, voglio continuare a ringraziare le persone che hanno recensito finora e sappiate che vi amo tanto.

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 6
*** Chapter 5 ***


Quando sentimmo suonare alla porta, vidi Frank curvare le spalle e stringersi le braccia al petto. Faceva sempre così quando c’erano altre persone intorno a noi, si chiudeva in sé stesso e non faceva passare nessuno.
-Ehi, stai tranquillo – sussurrai, passandogli accanto per andare ad aprire la porta.
Fece un verso simile a un grugnito e si andò a sedere al tavolo del salone. Accese la televisione e fece finta di fare zapping.
Spinsi la maniglia verso il basso, spalancando la porta principale e ritrovandomi davanti Mikey, la sua ragazza Alicia e Ray con Christa, la sua quasi moglie. Subito dietro di loro c’erano Bert con la fidanzata Celine, Quinn, Jepha e Dan. Avevano tutti un gran sorriso stampato sulla faccia e dei regali in mano.
-Ehi, amico! – esclamò Bert, facendo spostare gli altri e buttandosi addosso a me. L’avevo sentito quel pomeriggio per chiedergli se portava l’attrezzatura per tatuare, ma non vedevo nessun borsone con lui.
Cercai di staccarmelo da dosso, prima che Frankie lo vedesse e lo salutai con una pacca sulla spalla.
Mi feci da parte per farli entrare tutti e mi resi conto solo in quel momento che gli attrezzi per i tatuaggi erano appoggiati al lato della porta. Li presi e li portai in cucina. Mikey già stava sistemando la roba che avremmo dovuto cucinare e Bert si guardava intorno, come se mancasse qualcosa di vitale.
-Carino questo posto – osservò. –Tra quanto lo lascerete?
-Non lo sappiamo ancora, ma comunque rimarremmo per pochissimo tempo: abbiamo paura che ci prendano, sai com’è – tentai di spiegare. Stavo comunque parlando con un spacciatore, perché questo era.
-Ehi, ma dov’è Frankie? – mi chiese Alicia, entrando in cucina e appollaiandosi su una sedia lì vicino ai fornelli… e a Mikey.
-Cinque minuti fa era in salone – risposi, uscendo per andarlo a cercare. Effettivamente in salone non c’era, dove era andato a cacciarsi? –Frankie! – lo chiamai a gran voce. –Dove sei?
Lo vidi uscire dalla camera. Mi guardò con un sorriso storto, quasi forzato e poi passò il suo sguardo alla gente che aveva monopolizzato casa nostra.
-Scusa, Gee, ma da quando sono arrivati SENTO UNA GRAN PUZZA! – urlò con la voce acida, in modo da farsi sentire da Bert.
Quest’ultimo, infatti, ci venne incontro e lo guardò male. –Sarà che la puzza ce l’hai sotto il naso, nano! – ribattè.
-Questo nano può spaccarti la faccia in cinque secondi se vuole! – esclamò Frankie, sempre più alterato. Fortunatamente, li divise Jepha, prima di ritrovarli sul pavimento a prendersi a botte.
-Ehi, ragazzi, per favore, siamo qui per festeggiare. Le litigate lasciatele fuori da questa porta, mmh? – li tranquillizzò Quinn. Bert fece una faccia rassegnata.
-Va bene, va bene – si arrese Frankie, passandomi un braccio attorno al fianco e stringendomi a lui.
Però, c’era una cosa che dovevo dire a Bert, si. Lasciai Franki a parlare con Alicia in cucina di non so cosa e ritornai in salone. Lo chiamai e lui si avvicinò con un sorriso ebete stampato sul volto.
-Si, Gee? – domandò, prontamente. La sua ragazza lo stava guardando male per come lui mi stava fissando. Effettivamente, ora che ci facevo caso, mi stava mangiando con gli occhi. Si, Frankie aveva ragione.
-So che Frankie vuole fare questo nuovo tatuaggio, no? – cominciai. –Beh, glielo devi fare tu e io sono un po’ preoccupato.
-In che senso? – mi chiese, facendo la faccia innocente.
-Mettiamola così: se per puro caso sbagliassi anche solo un tratto del tatuaggio di Frankie, potresti ritrovarti senza occhi, okay?
 
-Sapete qual’era la cosa speciale di Frank? – chiedo, dopo che i due poliziotti sono stati silenziosi per un po’ di tempo. Mi fissano come se fossi una qualche specie di fottuto alieno. Cosa ho di strano?
-Non ci interessa – risponde, cattivo, Carl.
-Oh, si, si vede che non vi interessa sapere come sono andate le cose, allora – li ricatto.
-Tu non puoi fare questi giochetti con noi, ragazzino
-Ragazzino? Ah, mi sono sentito chiamare in tanti modi, ma ragazzino mai – ridacchio. Okay, ho venticinque anni, ma non mi sento un ragazzino.
-Se ti lasciassimo parlare un po’ di Frank, poi ci racconteresti come vi siete incontrati e perché avete fatto quello che avete fatto? – cerca di patteggiare Aaron.
Annuisco, lentamente, quasi soddisfatto di me stesso. –Frank è strano, molto strano. Sapete quei ragazzi che, quando li vedi per la prima volta, ti chiedi se non vengano da qualche mondo parallelo? – li guardo un attimo, poi prendo un respiro profondo. –Mi ha proposto di parlare di Frankie e poi di parlare di quello che è successo, ma se io lo facessi nello stesso momento? – Aaron acconsente con lo sguardo. –Insomma, l’ho visto la prima volta a casa di un’amica che abbiamo in comune. Lei stava male e ero andato a trovarla. Lui era lì che stava facendo la cioccolata calda e me ne ha offerta un po’. Da quel momento non ci siamo più staccati, mai. Io avevo già cominciato a rubare, ma piccole cose. Lui lo ha saputo, ancora non so come di preciso, e ha voluto far parte della mia “squadra”, come la chiamava lui. – faccio un accenno di sorriso. –Gli piace pensare che siamo come Batman e Robin, capite? E io mi sono sempre chiesto come facesse a reggere la nostra vita. Lui ha l’aspetto di un ventitreenne, okay, ma lui è un bambino. Un bambino viziato e iper geloso, che non riesce a stare un attimo zitto e che ti vuole stare attaccato tutto il giorno. Di quei bambini che ami appena li vedi, quelli con gli occhi grandi e con il sorriso dolce. Frankie è speciale, ecco cosa ha di speciale, tutto. Dal fatto che è timido e che arrossisce subito, fino al modo buffo che ha di ripetermi sempre che mi ama – mi faccio triste perché mi manchi, Frankie. Tanto. –E…
-Ti posso fare una domanda? – mi chiede Carl. –Perché parli ancora di lui al presente?
 




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xCyanide's Corner
Non lo so, mi andava di pubblicareH LOL AnySassy, speroc he anche questo capitolo vi sia piaciuto e recensite, mi raccomando C:
Ah, e uso questo spazietto qui all'angolino per fare pubblicità alla nuova traduzione di Hey_Ashes "Against the sun, we're the enemy" perchè lei è bravissima e la storia è molto bella, quindi LEGGETELA e LASCIATE TANTE TANTE TANTE RECENSIONI, perchè le merita tutte è.è
E grazie a tutte per le recensioni *-*

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 7
*** Chapter 6 ***


-Come va? – urlai dal salone. Bert stava tatuando Frank e se io fossi entrato in cucina sarei svenuto lì, sul colpo. Me e la mia maledetta fobia degli aghi!
-Tutto okay, Gee, tranquillo – mi rispose prontamente Frankie, per farmi calmare.
Mi rilassai un pochino sul divano, sprofondando vicino ad Alicia. Aveva una faccia strana quel giorno, come se fosse nuova. La guardai e le sorrisi in modo dolce. Lei mi si avvicinò di più e mi abbracciò.
-Ti devo dire una cosa – mi sussurrò nell’orecchio, un pochino emozionata. –Sarai il primo a saperla, non dirla in giro, mi raccomando – continuò. Rimasi ad aspettare qualche secondo il suono della sua voce, ma credo fosse troppo eccitata per dirmelo tutto d’un fiato. La fissai, impaziente. –Sono… incinta
Sgranai gli occhi, ma un sorriso enorme mi apparve sul volto. –O…ddio! –esclamai, cercando di non farmi sentire dalle altre persone nella stanza. Anche se sarebbe stato difficile, dato che stavano facendo una partita con un qualche gioco da nerd e quindi stavano litigando su chi avrebbe dovuto vincere. –Sono felice per voi – mormorai. –Da quanto?
-Tre settimane e due giorni. Non lo sa nemmeno ancora Mikey, perché non voglio dirglielo finchè non sarò sicura che i bambini stanno bene – abbassò la voce.
-Bambini? – chiesi, titubante. –Quanti sono? – le guardai la pancia.
-Emh, sono due gemelli. Ovviamente, non so ancora se sono maschi o femmine – sorrise, dolce. –Sai, ancora non li ho nemmeno visti bene, ma già li amo con tutta me stessa.
La abbraccia, stringendola a me. –Sono davvero felice per voi – ripetei. –Ve li meritate. Verranno bellissimi. Due piccoli nerd con gli occhioni azzurri che vi girano per casa. Sarà uno spettacolo – ridacchiai.
-No, non saranno nerd – scosse la testa guardando Mikey, che si era messo in piedi sulla poltrona e stava per lanciare il telecomando sulla televisione perché non stava vincendo contro qualche specie di mostro marino con diecimila teste e quattro file di braccia. –Anche se credo che sarà difficile non farceli diventare – mi guardò. –Sinceramente, spero che abbiano la tua stessa passione.
-Rubare? – chiesi, scettico.
-Disegnare, scemo! – esclamò, ridendo.
-Oh, ora è tutto più chiaro – acconsentii. –Solo… puoi farmi una promessa?
-Dimmi.
-Io vorrei che tu… stessi attenta a quello che faranno i tuoi figli, okay? Non farli diventare come me, per favore, devi solo desiderare una bella vita per loro, e non è il caso della mia – la mia voce era quasi supplichevole mentre glielo chiedevo.
-Stai tranquillo. Io… farò mettere la testa a posto anche a Mik, lo prometto – rispose, sincera.
-E fai in modo che trovino una persona da amare – aggiunsi. –Non c’è niente di più bello che sentirsi amati.
-Oh, e magari tu stai proprio pensando a una persona a caso. E, ripeto, magari questa persona a caso si sta facendo tatuare due bellissime colombe, disegnate proprio da te, di là, non è vero? – domandò, sorridendo dolce.
-Magari – feci il vago, guardandomi intorno per non destare altri sospetti.
-Lo ami davvero tanto, non è così?
Annuii, diventando rosso. –Si – abbassai lo sguardo. –Appunto ti ho detto di non far fare questa vita ai tuoi figli. Io sono nella merda per colpa mia e ci ho trascinato anche Frankie. Se anche volesse vivere una vita normale, non potrebbe, oramai. E non sai come mi senta in colpa.
Lei mi abbracciò, sospirando. –Vedrai che…
-SI, SI, HO VINTO, CAZZO SI! – urlò Mikey, saltellando per casa.
-Altro che quelli che ho nella pancia, questi sono bambini – Alicia sbuffò, ridacchiando.
 
Questa domanda mi spiazza, mi disincanta. –Perché non dovrei parlare di lui al presente? Voi l’avete allontanato da me, ma lui è comunque ancora qui – dico, sicuro. –Lo sento.
-Oh, lo sente! – ripete Carl, rendendo ridicole le ultime due parole. –Abbiamo un medium, qui, lo sapevi? – chiede ad Aaron, ridacchiando.
-Cosa dovrei dire? – li interrompo. –Le cose andranno meglio se rimango? Non è vero, non vedo l’ora di andarmene! – sbotto.
-Non cercare di fare la vittima con noi, Way – continua imperterrito Carl, nonostante le lacrime che mi stanno rigando gli occhi.  –Ora stai solo facendo gli occhioni dolci da innamorato distrutto e credi che noi ti lasceremo stare senza problemi, non è vero? Credi che dire quattro parole che stanno bene insieme riuscirà a farti saltare tutto questo periodo della tua vita? – mi guarda cattivo. –E’ troppo tardi per sentirti in colpa, non trovi? Ormai lui non è più con te, smettila di struggerti e cerca di accontentarci. Fare il poeta maledetto non aiuterà.
Le lacrime continuano a scendere sul mio viso perché, cazzo, Carl ha maledettamente ragione. Ma mi piace il modo in cui mi sta distruggendo. Me lo merito.
Perché tu non avresti dovuto entrarci in questa situazione, Frankie. Tu avresti dovuto vivere la tua vita, trovare un ragazzo che ti amava, magari andare a Las Vegas senza farlo sapere ai tuoi genitori e sposarti. Avresti dovuto divertirti, non nasconderti. Avresti dovuto sorridere al mondo, non avere paura di mostrare le tue emozioni.
Ed è tutta colpa mia.
Frankie, puoi sentirmi? Mi sei vicino?




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xCyanide's Corner
E così Alicia aspetta due piccoli nerd con gli occhioni azzurri *^* Carini loro!
Ora, vi avverto che dal prossimo capitolo ci sarà una svolta nella storia, abbiate pazienza.
Ovviamente ringrazio tutte le persone che stanno recensendo, continuate così, tesori! *-*

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 8
*** Chapter 7 ***


-Gee? – mi sentii chiamare dal salone. Ero ancora al letto, non mi andava di alzarmi, visto che la sbronza della sera prima stava facendo sentire i suoi effetti. Sfortunatamente, infatti, ancora non avevo visto il tatuaggio di Frankie, cosa che fremevo di fare. Volevo vedere se era venuto proprio come me lo immaginavo, con le due colombe e la scritta “Search And Destroy” proprio sul bacino.
Mi alzai di malavoglia e la testa mi girò per qualche secondo. Dovetti appoggiarmi al comodino per reggermi in piedi e prendere un grande respiro. Odiavo i dopo-sbronza, davvero.
Lo raggiunsi piano in salone e lo vidi che si stava alzando leggermente la maglietta, come se gli facesse male il bacino. Però, si, in effetti il bacino doveva davvero bruciargli con quel mostro di tatuaggio che si era fatto. La sua fortuna era che lui cicatrizzava le ferite velocemente, quindi entro tre giorni avrebbe dovuto cominciare a spellarsi.
Si sfilò del tutto la maglietta e sorrise guardandosi il petto. Si girò verso di me e mi venne incontro con le braccia aperte. –Ti piace? – mi domandò, fissandomi negli occhi.
Lo guardai bene. Era identico al disegno che avevo fatto, solo era su di lui. E questo lo rendeva ancora più speciale. Rimasi a bocca aperta. Vedevo il rilievo dove il nikel si fondeva con la pelle, era rosso tutto intorno. Pensandoci bene era davvero una ferita, quella.
-Questo sono io – sussurrai, indicando la colomba a sinistra, -e questo tu – passai a quella destra.
Lo vidi sorridere ancora di più. –Lo so – mormorò, diventando rosso. –Mi piace appunto per quello. Mi ricorda di noi, no? E’… romantico, giusto?
Annuii lentamente e lo guardai dolce. –Vieni qua – lo incitai, avvicinandomi per abbracciarlo. Cercai di non far toccare i nostri petti, in modo di non farlo urtare sul tatuaggio appena fatto. Lo sentii sospirare sulla mia spalla e sorrisi.
-Ti amo – disse, come se fosse stata la cosa più normale del mondo. –E… voglio darti una cosa.
-Il tuo corpo? La tua anima? – scherzai, facendo la voce gutturale.
-No, scemo – bene, erano due volte in due giorni che mi sentivo chiamare “scemo” .  Mi lasciò e si diresse in cucina. Rimasi in mezzo al salone ad aspettarlo impaziente, mentre sentivo che stava mettendo a soqquadro la casa pur di trovare quello che stava cercando.
Lo vidi fare ritorno con una scatolina in mano, piccola e di velluto cremisi.
-Io non potevo uscire per comprarli, ma ho chiesto a Mikey di prenderli per me, almeno avrei potuto farti un regalo, no? – mi chiese, titubante. –Cioè, tu mi hai fatto il disegno per il tatuaggio, volevo solo ringraziarti e non sapevo come - abbassò la testa a guardare la scatolina e la aprì. Dentro c’erano due bracciali bianchi, uguali con una scritta che non riuscì a vedere subito. –Volevo che anche tu avessi qualcosa che ti ricordasse di me. Ho spiegato a Mik cosa volevo e lui l’ha trovato.
Io presi delicatamente uno dei due bracciali in mano e lessi la scritta “The aftermath is secondary”. Sorrisi, era fatto apposta per noi, davvero. –Non dovevi, Frankie. Cioè, sono la cosa più bella che tu potessi farmi, ma… - una lacrima mi solcò la guancia.
-Zitto, Gee. Volevo regalarti qualcosa e l’ho fatto. Cioè… - accennò un sorriso –sei il mio ragazzo, devo essere libero di regalarti tutto quello che meriti, tu che ne dici?
Acconsentii e poi mi sporsi per baciarlo, le nostre labbra si toccarono delicatamente e lo sentii sorridere nel bacio. –Frankie? – domandai sulla sua bocca.
-Mmmh?
-Ti amo anche io, lo sai, vero?
 
Mi tocco le labbra. Mi piaceva baciarti. Non lo facevamo spesso, alla fine. Non eravamo una di quelle coppie che passa le giornate sul divano di casa a baciarsi, no. Noi lo facevamo solo quando ne avevamo bisogno, quando la tua timidezza decideva che potevamo fare quello che volevamo.
Il bracciale, quello che mi avevi regalato, non è sul mio polso, me ne sono accorto da poco, per colpa delle manette.
-Dov’è il mio bracciale? – domando.
-Ce l’ha l’ispettore Melvich. Ci ha chiesto di portartelo via quando ti abbiamo messo le manette – risponde Aaron.
-Io lo rivoglio – in questo momento è l’unica cosa tua che è ancora qui con me, non posso decidere di privarmi anche di questa.
-Non puoi – ribatte Carl. –Se Melvich ha deciso così, non possiamo obiettare.
-Potreste… le conseguenze sono secondarie, lo sapevate? – chiedo.
“Non ti capiranno, Gee”, sento sussurrare. E’la tua voce, Frankie, ne sono sicuro. Mi guardo intorno, speranzoso di vederti seduto in un angolo della stanza con le gambe al petto. Ma niente, non ci sei. Strizzo gli occhi per evitare di piangere.
Aaron e Carl stanno ancora parlando, ma non li sento più davvero. So che tu ci sei, so che tu sei qui, tesoro, ti sento.
“Non piangere per me, non sei tu quello che si deve biasimare” continui. “Non piangere per me” ripeti, “Ma non dimenticarmi, per favore”
Scuoto la testa. Non ti dimenticherò mai, Frankie, lo giuro. Spero tu possa sentirmi, davvero.
“Ti amo” mormori. “Mi manchi” sento la tua voce strozzata, come se anche tu stessi per piangere. “Ma non ti vedrò stanotte, vero?”
Perché mi stai distruggendo così, Frankie? Perché mi stai dicendo queste cose? Anche io ti amo. Piango, è inevitabile. Cerco di asciugarmi le lacrime, ma le manette non me lo permettono.
-Cosa succede, Way? – mi chiede Aaron, ma evito di rispondergli, preso da alcuni singhiozzi che mi impediscono di parlare.
“Ehi, tesoro, non piangere. Avevi il mio cuore, almeno per la maggior parte. Ma tutti devono morire, ogni tanto”
Mi rannicchio di più sulla sedia, non ce la faccio a sentirti, davvero. Vorrei che tu te ne andassi così che io potessi lasciarmi morire tranquillamente.
Ma tu mi stai dando un’altra speranza di vita con la tua voce, amore, una speranza che io non avevo calcolato. Grazie.





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xCyanide's Corner
Allora, vi è piaciuto questo capitolo? Spero proprio di si e in quel caso lasciatemi tante tante tante recensioni *fa gli occhioni dolci* 
Cosa avrà Gerard? Perchè sente Frank? I vostri dubbi avranno una risposta molto presto.
Ringrazio ancora tutti quelli che recensiscono e che hanno messo la storia tra preferite/ricordate/seguite. 

 http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTPa-ne-roZyivbC_zp5uO7MPbCptUztO6DPZ8YeN4OE8K5KlpCzQ   Hey_Ashes, ti avevo promesso un cactus, ma questo è proprio il mondo! *^*

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 9
*** Chapter 8 ***


HO INCONTRATO FRANK PER STRADA, HO INCONTRATO FRANK PER STRADA

Ok, ora che ho attirato la vostra attenzione, vi posso parlare della FF :'D Questo capitolo sarà tutto al presente, okay? Niente passato! Ma dal prossimo si ricomincia come prima, e si continua fino al quattordicesimo capitolo, da dove poi inizierà a parlare solo al presente.
Ci rivediamo sotto.
(E quello che ho scritto sopra, di Frank... Non è vero niente, mi serviva un modo per farvi guardare qui)









-Io… vado un attimo di là – sussurra Carl ad Aaron. Lui acconsente e lo lascia alzare dalla sedia e dirigersi verso la porta.

Io? Io sto ancora piangendo. Rannicchiato sulla mia sedia, sto singhiozzando, la gola mi fa quasi male per quanto sono profondi quei singhiozzi. Mi lasciano senza respiro.
-Cosa hai sentito, Way? – mi chiede Aaron.
“Gee, stai tranquillo” sussurri, con quella voce che alle mie orecchie sembra così limpida, come se fossi davvero qui, Frankie.
Trattengo un urlo. Mi stai distruggendo, così, te ne rendi conto? Mi stai facendo a pezzi, piano piano, facendomi sentire tutto il dolore che non ho sentito fino ad adesso. Perché?
Un crampo alla pancia mi fa sobbalzare sulla sedia.
-Cosa hai sentito, Way? – chiede di nuovo Aaron, lo vedo in difficoltà, non sa cosa fare.
“Ascolta me, ora. Lascia perdere lui” dici. “Io sono qui, con te, lo senti?” sussurri dolce. “Non credere loro, stanno solo cercando di dividerci”
-Zitto! – urlo ad Aaron. –Stia.. zitto.
“Si, Gee. Rimaniamo solo io e te” mi inciti.
Un nuovo fiotto di lacrime si impadronisce dei miei occhi, ormai gonfi e rossi. Li strizzo per non avere la vista appannata. Se per caso decidessi di farti vedere, io non sarei pronto.
Mi lamento. Da una parte voglio che tu te ne vada, Frankie, se sei venuto qui solo per farmi soffrire.
Aaron si sporge verso di me e creca di calmarmi posandomi una mano sul polso.
“Non permettergli di toccarti, Gee” mi rimproveri. “Sei solo mio, ricordi? Lui ti può solo rovinare, amore”
Ritraggo velocemente la mano, per quanto le manette me lo permettano.
“Lui può essere uno di quelli che mi ha portato via, non credi?” aggiungi. “Lui potrebbe solo sporcarti. Tu sei così bianco, Gee, non farti toccare, ti macchierebbe”
-Io…
-Allora, Way – mi interrompe Carl, che è appena rientrato nella stanza seguito da un ragazzo di massimo trent’anni –qui ho una persona che potrebbe aiutarti.
“Nessuno può aiutarti ora, Gee”
-Devi solo rispondere ad alcune sue domande – lo indica.
“E’ solo una trappola, non fidarti”
Faccio un verso di lamento, siete troppi, non ce la faccio ad ascoltarvi tutti. Vorrei soltanto che mi lasciassero solo con te, a morire.
-Signor Way? – mi chiama quel ragazzo. Ha l’aria di essere un qualche psichiatra, di quelli che ti rompono il cazzo fin quando non gli dai retta. –Qui, come ha detto l’ispettore, ho alcune domande per te – continua, parlando lentamente, come se lo stesse facendo con un cerebroleso. –Ma tu dovresti acconsentire a rispondere.
“Stanno solo cercando di farti finire in un mare di guai. Ti metteranno parole in bocca che non hai mai detto, tu dovresti avere solo voglia di piantare un proiettile nella loro”
Vedendo che non rispondo, che guardo da tutta altra parte, lo psichiatra fa un sospiro profondo. –Come ti chiami?
-Lo sa già – borbotto.
-Si, ma voglio che sia tu a dirmelo – precisa.
-Gerard Arthur Way Lee – rispondo, a voce bassa.
-Che rapporto avevi con i tuoi genitori, Gerard?
“Menti” mi suggerisci.
-Bello, un bel rapporto – singhiozzo, perché non è vero. A quei due non è mai importato niente di me, mi hanno sbattuto fuori di casa alla prima occasione e non hanno più voluto rivedermi.
-Hanno mai provato a farti del male, Gerard?
-No – dico, prontamente.
-Hai qualche fratello o sorella, Gerard? – perché deve ripetere il mio fottuto nome ogni fottuta volta che mi deve fare qualche fottuta domanda?
-Si, un fratello – cerco di stabilizzare il respiro, perché potrei entrare in iperventilazione.
-Come si chiama?
-Michael James Way.
“Stanno cercando anche tuo fratello, Gee. Non rispondergli, potrebbero portarlo qui e poi ad Alicia chi ci penserebbe?”
Mi guardo intorno, perché la tua voce ha cambiato posto. Non è più dove si trovava prima, è sul lato sinistro ora, più vicino al mio orecchio.
-Chi c’è qui, Gerard? – chiede prontamente lo psichiatra.
“Non dirglielo” il tono trema. Sei spaventato, Frankie? Se tu potessi solo prendere la mia fottuta mano e non avere più paura.
In un riflesso incondizionato, apro la mano  e la intreccio con l’altra, in cerca di calore umano.
“Ti voglio qui, Gee” dici, arrendevole. “Vorrei che fossimo solo io e te, per sempre, che ne dici?”
Trattengo nuove lacrime, non puoi farmi questo, non puoi dirmi questo.
Sento una folata di vento, ma nella stanza non ci sono finestre. E’ come una carezza fredda sul corpo. Mi provoca brividi, ma è piacevole.
Mi alzo velocemente, tirando le manette che sono ancorate al tavolo, deciso più che mai a trovarti. Sei tu, Frankie, lo so, lo sento.
Aaron e Carl si alzano per prendermi e farmi risedere, ma lo psichiatra li ferma.
-Chi c’è qui, Gerard? – chiede di nuovo, stavolta con tono più fermo.
Guardo in alto, aspettandomi di vederti, ma ancora una volta non ci sei.
-No… - sussurro, tirando su col naso. –Dove sei? – domando.
“Io sono qui, Gee, sono qui con te, non mi senti?”
-Tu… non puoi essere qui – ti rispondo. –Tu sei morto – realizzo. Punto lo sguardo sui due poliziotti davanti a me. –Voi l’avete ucciso! – urlo. –Voi!
-Chi, Gerard? – continua quel ragazzo.
“No, tesoro, io sono vivo, sono qui, con te” ripeti. “Ti prego, credimi” mi supplichi. “Noi siamo immortali, ricordi?”
-Frankie… - mi lamento. –Frankie, basta. – Guardo supplichevole lo psichiatra. –Perché hanno ucciso lui? Perché non me?
“Tu sei un essere troppo pulito per essere ucciso, Gee. Tu sei perfetto” 





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xCyanide's Corner
Qui si comincia a capire che Gee ha QUALCHE problema LEGGERO LEGGERO. 
Spero come sempre che vi sia piaciuto il capitolo e ringrazio chiunque stia recensendo. E mi raccomando, continuate a recensire che mi fate contenta!

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 10
*** Chapter 9 ***


Stavo ancora osservando attentamente il bracciale che mi aveva regalato Frankie. Era perfetto per noi, la frase e tutto quel bianco.
Lo guardai, era seduto vicino a me e stava guardando la televisione. Voleva sapere se davano qualche notizia che riguardava noi, ma fino ad ora niente. Avrei voluto tanto tranquillizzarlo, prenderlo tra le braccia e sussurrargli che era tutto un fottuto incubo, che magari poi si sarebbe svegliato e mi avrebbe trovato sdraiato vicino a lui, con l’unico problema su cosa fare per pranzo.
Mi sarebbe piaciuto, davvero, vivere una vita normale, come persone normali, ma oramai ci eravamo dentro fino al collo.
Spostai una mano nella sua direzione e la strinsi delicatamente con la sua. Lui saltò per colpa di quel contatto inaspettato. Aveva il terrore di essere preso, tanto che alle volte si chiudeva in sé stesso e nemmeno si ricordava che ero lì, vicino a lui.
-Tesoro, vieni qui – gli sussurrai, aprendo le braccia e facendolo accomodare sul mio grembo. Stava tremando, ma cercava di non farmelo notare stringendo i pugni. –Che hai, Frankie? – domandai preoccupato.
-Ho paura, Gee – sussurrò. –E se ci dovessero prendere? Io come farei senza di te, eh, Gee? – mi chiese, alzando lo sguardo sui miei occhi.
Lo strinsi ancora di più, se possibile, e gli baciai la testa. –Stai tranquillo.
-No, non sto tranquillo per un cazzo! – alzò la voce di un’ottava. –Tu mi dici sempre che non devo preoccuparmi, che tanto non ci prenderanno, ma io devo preoccuparmi! La cosa deve essere reciproca, tu proteggi me, io proteggo te! – sbottò. –Altrimenti non mi sento all’altezza, Gee, capiscimi.
-All’altezza di cosa?
-Io voglio solo poter dire che qualsiasi cosa succederà, sarò capace di proteggere il ragazzo che amo, non chiedo tanto – mi guardò supplichevole. –Fammi entrare nella tua testa, voglio sapere cosa pensi davvero, non cosa dai a vedere.
-Io do a vedere quello che penso – mentii. –Non ho bisogno di essere protetto, voglio solo che tu stia bene.
-Allora mettiamola così: io starò bene quando saprò che tu mi racconti tutto ciò che ti frulla per la testa, okay? – sbuffò. –Mi sono stufato che tu mi tratti come un ragazzino, Gee. Si, lo sono, ma le circostanze non me lo permettono di certo. Voglio essere un uomo, il tuo uomo, quello che sarà sempre con  te quando avrai bisogno. Voglio essere io qualche volta a dirti che andrà tutto bene finchè siamo insieme, voglio essere io quello che ti prende la mano e ti aiuta a superare i momenti difficili. Ma tu non me lo permetti – continuò. –Tu mi vedi fragile, ma io non lo sono, Gee. Io… perché non possiamo avere lo stesso ruolo? Chi ce lo vieta? – si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro, in modo nervoso. Curvò le spalle e sembrò ancora più piccolo con quella maglietta larga e quei pantaloni di qualche taglia in più.
-Io ho solo paura per te, Frankie – mormorai. Lo vidi incrociare le braccia, più andava avanti, più mostrava i segni che precedevano una sua incazzatura bella e buona.
-E credi che io non abbia paura per te?! – urlò, alzando le braccia al cielo per poi passarsi le mani tra i capelli, disperato. –Credi che tutte le volte che decidiamo di fare un altro colpo, io non passi la maggior parte del tempo a controllare se per caso hai qualche cosa che non quadra, se per caso qualcuno non ti fa male? – i suoi occhi si lucidarono. –Io sono preoccupato per te, cazzo se sono preoccupato! – si portò l’avambraccio davanti agli occhi, in modo da asciugarli. –Ma tu non te ne accorgi, credi che io sia ancora un bimbo, Gee, ma voglio solo essere la persona che è capace di farti passare i brutti momenti facilmente, non la persona a cui devi badare.
-Frankie vieni qui – ordinai, guardandolo negli occhi. Era diventato tutto rosso dalla rabbia, mi aveva urlato in faccia, mi aveva rinfacciato tutta la mia apprensione verso di lui, ma io non riuscivo ad avercela con lui. Era una delle cose di cui non ero capace. -Hai ragione – dissi, soltanto. –Hai fottutamente ragione, ho sbagliato – sorrise, soddisfatto di sé stesso e sbollentò un poco. Lo abbracciai e feci un respiro profondo. –Frankie?
-Mmmh?
-Ho un brutto momento.
 
-Ispettore, dovremmo parlare – annuncia lo psichiatra ad Aaron. –E’ una cosa urgente, molto urgente, si tratta di lui – mi indica, parla come se non fossi nella stanza. E’ una cosa che mi fa andare in bestia.
Sono riusciti a farmi risedere e a farmi calmare, ma tu sei ancora qui.
“Hai visto? Alla fine sono io che ti ho protetto” dici, con la voce fiera. Non dovresti essere fiero, Frankie, dovresti solo pentirti di essere venuto dietro a uno come me. Non avresti dovuto, sarei dovuto morire io, non tu. “Saremmo comunque divisi ora” rifletti. “Se ci avessero preso tutti e due, tu non saresti comunque con me, Gee”
-Mi hai sentito, Way? – la voce di Carl interrompe i miei pensieri. Il ragazzo ed Aaron non sono più nella stanza, ma non li ho sentiti nemmeno uscire.
-No, cosa? – domando, confuso. Ho sonno e fame, sono stanco e quasi sicuramente sto per svenire. Mi sento così debole. La testa mi gira, ho la nausea. Non ce la faccio più.
-Molto probabilmente sarai portato via da qui – dice, in modo molto scazzato. Non gli piace il fatto che alla fine non mi abbiano messo dentro, voleva vedermi soffrire più di quanto non stia già soffrendo.
-Dove andrò? – chiedo, preoccupato. Dove mi vogliono portare? Io devo stare qui, se questo significa averti ancora con me.
-Non lo sappiamo ancora di preciso, ma sicuramente starai molto meglio che se fossi rimasto qui. Ti avrei reso la vita impossibile – un sorriso sadico appare sulla sua bocca. –Per tua fortuna il dottor Helwin vuole portarti con lui.
-Dove?
-Lo saprai presto, stai tranquillo.
“Amore, sarò con te” sei sicuro di quello che dici, hai la voce di una persona che sa quello che dice. “Infondo, voglio proteggerti. Staremo insieme per sempre, Gee, te lo prometto”





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xCyanide's Corner
Buonasera, non vedevo l'roa di mettere il capitolo e l'ho fatto :youdon'tsay: Spero vi sia piaciuto anche questo e mi raccomando recensite *li minaccia con un forcone* 

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 11
*** Chapter 10 ***


Frankie mi aveva guardato apprensivo appena gli avevo detto che stavo avendo un momentaccio e mi aveva detto di aspettarlo sul divano. Era sparito dietro la porta della nostra camera e lo avevo sentito alzare il materasso del letto e cercare qualcosa.
Avevo preso il telecomando e avevo spento la televisione, stanco della voce nasale della conduttrice. Mi ero rilassato un pochino sul divano cercando di non pensare a come mi sentivo in colpa per non aver capito Frankie sin dall’inizio. Io ero il suo ragazzo, dovevo essere la persona che lo capiva più di tutti, quello che lo conosceva fino in fondo, che magari sapeva il significato di ogni suo atteggiamento o espressione facciale. Ma mi ero lasciato sfuggire una cosa così importante. Non avevo pensato che non era più il bimbo che avevo conosciuto tre anni prima, ma che ormai era un uomo, ormai era un ricercato e lo dovevo trattare da tale. Se lo meritava. Lo capivo, non voleva essere quello inutile, voleva aiutarmi e mi sentivo una merda a non averlo capito prima. Ero accecato dal fatto che per me lui era importante, che lo volevo vivo e vegeto, ma così non era felice. Lui doveva essere felice e certamente dovevo essere io la ragione della sua felicità, per forza.
-Gee? Te la ricordi la nostra vecchia polaroid? – mi chiese, rientrando in salone con una scatola di cartone abbastanza grande da coprirgli la faccia.
-Si, me la ricordo, perché? – domandai, facendogli spazio sul divano e aiutandolo a posare le cose.
-Tu credevi che io l’avessi buttata perché era rotta, vero?
-Si, perché, ce l’hai ancora e non me l’hai detto? – ero eccitato. Amavo fottutamente quella polaroid e quando Frankie mi aveva detto che l’aveva buttata, ci ero rimasto davvero malissimo. Era di quelle istantanee, che fai la foto e la tirano fuori subito.
-E’ rotta, ma non l’ho buttata. Era un ricordo – disse, cercando di fare la faccia innocente. –Ma non te l’ho detto perché volevo tenerla per me, credevo che poi magari l’avrebbe vista Mikey e l’avrebbe voluta provare, non so se mi capisci – cominciò ad aprire lo scatolone e ne tirò fuori un album di foto e la vecchia macchinetta, tutta impolverata e decisamente rotta.
-Dove l’hai tenuta tutto questo tempo? – presi l’album e ci soffia sopra, in modo da togliere lo sporco.
-Dentro questo scatolone. Sono riuscito a non fartela vedere – disse fiero, con un sorrisetto che non prometteva niente di buono. –Apri l’album, avanti – mi incitò.
Feci come mi aveva detto e rimasi esterrefatto. Frankie aveva tenuto ogni singola foto che avevamo fatto, dalla prima all’ultima. Tutte in bianco e nero, grazie all’età della nostra polaroid. C’era quella del nostro primo appuntamento, quella della prima casa che avevamo preso e quella della prima mazzetta che avevamo rubato. C’era, poi, quella del nostro  primo “mesiversario”, come ci divertivamo a chiamarlo, dove c’era un piccolo Frankie in pigiama di prima mattina con un mazzo di rose nere, le sue preferite, in mano. Gliele avevo regalate io, mi ricordo ancora la faccia felice che aveva fatto quando le aveva viste.
-Questa è la più bella – ne indicò una, al lato destro della pagina, in cui c’eravamo io e lui abbracciati. Non era una posa costruita e progettata, no, era solo un nostro abbraccio ed era talmente naturale che sembrava che nessuno dei due si fosse accorto che qualcuno stava facendo una foto. Non l’avevo mai vista, anche perché non mi ricordavo che nessuno dei due l’avesse scattata. Ma era dolce, aveva ragione Frankie a dire che era la più bella. Feci uno sguardo confuso e lo guardai.
-L’ha fatta Mikey la prima volta che mi ha visto. Non so perché ti stessi abbracciando, ma quando Mik me l’ha data sono stato ore a fissarla. E’… semplice, solo io e te – sussurrò, stringendo il mio braccio e poggiandomi la testa sulla spalla.
-E’… bellissima, Frankie – non riuscivo a dire nient’altro. Quella foto era oggettivamente bellissima, nessuno avrebbe mai potuto dire il contrario.
 Il modo in cui il suo corpo si incastrava perfettamente al mio, le mie braccia dietro la sua schiena, le sue intorno al mio collo. Mi faceva sentire bene pensare che nessuno avrebbe mai potuto cambiare un sentimento come il nostro. Eravamo legati da molto più che semplice amore, noi avevamo passato gli anni più importanti insieme, i sentimenti più dolci, le incazzature più pesanti, gli abbracci più stretti e i baci più sinceri. Ormai, quando si parlava, non esistevamo più io e Frankie, me c’era un “noi”, che era diecimila volte meglio.
Lo abbracciai e lo strinsi a me, sentendo finalmente che, si, sarebbe andato tutto bene.
 
Sono più confuso che mai. Stavo parlando con l’ispettore, quando non avevo visto più niente. Ero tipo svenuto, non avevo più connesso e mi ero sentito malissimo per un attimo.
Apro lentamente gli occhi e non riconosco il posto dove sono. E’ una stanza blu, di quel tipo rilassante o che per lo meno dovrebbe rilassare. Mi guardo intorno, la luce mi da fastidio agli occhi, è veramente accecante.
Sono sopra qualcosa di morbido, forse un letto, blu anch’esso. Sbruffo, mi urta non avere a pieno il controllo di quello che mi succede intorno, mi fa sentire inutile.
-Ma che…? – mi domando, alzandomi a sedere sul letto. La testa mi gira ancora, così me la tengo, come se riuscissi a farla stare ferma.
-Oh, ben svegliato! – sento esclamare da una voce che conosco.
Mi giro velocemente, spaventato, provocando un altro giramento di testa improvviso. E’ quella specie di psichiatra, il dottor Helwin, che mi guarda sorridente.
-Dove sono? – chiedo confuso.
-Sei alla mia clinica, Gerard – continua a rifilarmi quel fottuto sorriso finto che vorrei soltanto strappare dalla sua faccia. –Sei svenuto e ne abbiamo approfittato per portarti qui e farti risvegliare in quella che sarà la tua stanza per un bel po’ di tempo.
-Cosa?! – una clinica? Ma che storia è questa? Clinica di cosa? Perché sono qui?
-Sei qui solo perché ti vogliamo aiutare, Gerard – mi tranquillizza. –Nessuno ti farà del male.
Ma questo dottore, come lo chiamano loro, non si rende conto che mi hanno già distrutto? Non si rende conto che oramai è troppo tardi per avere la preoccupazione di non farmi male? Nessuno se ne rende conto?
“Io sono sempre qui, amore” mi rassicuri. “Sono con te, lo sai”
Faccio un respiro di sollievo a rendermi conto che tu sei ancora qui. Pensavo di averti perso, pensavo che fossi solo in quella stanza, ma sei qui, ora, Frankie.
-Gerard, dobbiamo parlare – annuncia Helwin, congiungendo le mani. Lo guardo curioso. –Hai mai sentito parlare di schizofrenia?




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xCyanide's Corner
Vi sono mancata? No, credo proprio di no D:  Ma spero che anche questo capitolo vi piaccia, e mi raccomando recensite!

Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Chapter 11 ***


MOTORBABIES, ANCHE QUESTO CAPITOLO E' TUTTO AL PRESENTE, INTESI? :3





-Schizo… che? – domando, attaccandomi le braccia al petto. So dove vuole arrivare, so che vuole dirmi che sono malato, ma io non lo sono. Io non sono pazzo, no, non è vero un cazzo di quello che mi dirà, ne sono sicuro.

“Gee, qualsiasi cosa dirà su di me, non dargli retta, lui non ha ragione” mi assicuri. “Lui non può sapere niente su di noi. Lui non sa cosa ci lega, Gee”
-Schizofrenia, Gerard – ripete, calmo. –Sai cos’è?
-P-presumo di no.
“Gee, amore…”
-La schizofrenia, Gerard, è una malattia caratterizzata da alterazioni di pensiero – comincia.  –Sai cosa sono le alterazioni di pensiero? – mi chiede.
Faccio lentamente cenno di no con la testa. Mi sta dicendo che sono schizofrenico? No, io non lo sono. No, non posso esserlo, sei davvero qui con me. Ti sento, sento la tua voce.
-Sono comportamenti in più che ha una persona affetta da schizofrenia rispetto a un’altra. Ti è mai capitato di avere allucinazioni? Di sentire voci? Qualcuno che ti accarezza?
-Io non sono schizofrenico – mormoro, in tono disperato. –Non sento niente, non vedo niente – mento, anche se so che comunque ne ho avuto un attacco proprio di fronte a lui non più di due ore prima.
-Se ti chiedessi di disegnare, lo faresti?
-C-cosa? – balbetto.
-Ho qui con me alcuni fogli – indica un piccolo comodino che non ho notato fino ad ora. In realtà, tranne il letto e il colore delle pareti, non ho ancora guardato davvero questa stanza. E nemmeno voglio guardarla dato che non voglio starci un attimo di più.
E’ una cosa che ti rovina pensare a come se ne può andare velocemente una persona. Un attimo prima eri tra le mie braccia, l’attimo dopo non ti sentivo più respirare. Dovremmo dare più importanza a quello che abbiamo, a tutto, anche alla persona che si odia più di tutte, perché sicuramente ha un ruolo anche lei nella tua vita. Non dovremmo più pensare alle cose futili, dovremmo, invece, renderci conto di avere intorno persone che davvero ci amano. Persone che darebbero letteralmente la vita per te, anche se tu vorresti che loro vivessero per te. Persone che ti tirano su il morale quando ne hai il bisogno, persone che ti capiscono con un solo sguardo e sanno quando hai bisogno di parlare e quando semplicemente vuoi stare in silenzio a corroderti dall’interno. La parte più difficile è proprio capirlo. Perché devono succedere sempre avvenimenti tragici per arrivare a farti capire le cose?  Non ci sono altri modi? Magari che non ti rovinino come se avessi ingoiato una bottiglietta intera di cianuro.
Sbuffo, guardandolo e annuendo un pochino. L’ultima volta che ho disegnato è stato per te. Per quando ti sei fatto quel tatuaggio che parlava di noi.
Strizzo gli occhi per trattenere le lacrime. Ormai avrei dovuto piangerle tutte, Cristo! Mi sarei dovuto prosciugare e morire, ecco cosa avrei dovuto fare.
Vedo Helwin che traffica con la mano nelle tasche alla ricerca di un qualcosa. Si illumina quando tira fuori una matita e me la porge insieme al foglio.
-So che ti piace molto disegnare – annuncia, come se stesse parlando con un bambino.
-C-come lo sa? – domando, stringendo il foglio tra le mani. Mi era mancata quella sensazione.
-Abbiamo… beh, abbiamo trovato dei disegni in casa tua – abbassa lo sguardo, come se si sentisse in colpa per aver sbirciato tra le mie cose.  
-Oh – mormoro, immagazzinando l’informazione. Se hanno rovistato in casa, avranno sicuramente trovato le nostre foto, beh, io le voglio indietro. –Cosa dovrei disegnare di preciso?
-Quello che vuoi, quello che ti passa per la testa – spiega. –La prima cosa a cui pensi quando ti dico di disegnare.
Abbasso la testa sul foglio, tracciando un riga. Faccio sempre così, quando devo disegnare. Parto da una riga che non significa niente e ci costruisco un mondo intorno. So bene cosa vorrei far diventare quella riga, so bene che piano prenderà forma la cosa che più ho amato in vita mia su quel foglio.
Ed ecco che spunta lo zigomo, pronunciato ma dai tratti dolci, a fare da contorno a un paio di occhi grandi e splendenti, rotondi più che mai. Il naso, leggermente all’insù, quello che arricciavi quando dormivi e che mi faceva impazzire tutte le volte. E subito sotto le labbra, più carnose sotto e più sottili sopra, curvate in un accenno di sorriso. Le sopracciglia perfette e i capelli morbidi e neri che ti ricadono leggermente sull’occhio destro. I due piercing brillanti sul labbro e sul naso e quella specie di macchiolina che hai vicino al sopracciglio destro.
Lo guardo attentamente e mi rendo conto che ti assomiglia davvero. Avrei potuto disegnarti altre diecimila volte se me l’avessero chiesto, ti ricordo come se fossi ancora qui, con me.
Sorrido e una lacrima mi scende sulla guancia.
-Mi manca – sussurro. –Tanto.
Helwin mi passa una mano sulla schiena e mi stringe, come se fosse un mio vecchio amico.
-Ti piace disegnare ritratti? – mi chiede, cercando di cambiare argomento. Lui è qui per questo? Lui è qui per fare in modo che io dimentichi?
“Non lo ascoltare allora, Gee”
-No, mi piacciono i fumetti – mormoro. –Ma lei mi ha chiesto di disegnare la prima cosa che mi è venuta in mente e io l’ho disegnato.
-Lo pensi spesso? – mi chiede. Annuisco lentamente e cerco di asciugarmi la faccia. –E perchè ti piacciono tanto i fumetti?
-Per la fine – lo guardo. –Perché nessuno ti toglie la possibilità di farli finire come vuoi.
-Spiegati meglio – mi incita.
-Una volta che hai letto le parole THE END nessuno ti impedisce di pensare che poi qualcuno sia entrato in casa di Ironman e l’abbia ucciso. Chi ti da la certezza che Spiderman non si sia lasciato con la sua ragazza? E che magari Batman non abbia tradito la fiducia di Robin? – sento altre lacrime scendere copiose sulle guance. –Chi te lo dice?! – urlo. –Tutto può finire male! TUTTO!
-Calmo, Gerard, calmo – Helwin mi passa una mano sulla schiena.
“Gee, non fare così”
-Le cose si metteranno a posto.
“Io sono qui”
-Te lo prometto.
“Mi senti?”
-Io sono qui per aiutarti.
“Io ti amo”
-Non parlate insieme! – urlo, alzandomi in piedi. –Io non ce la faccio più!





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xCyanide's Corner
A me fa un pò tenerezza Gee, a voi? *risata amalefica*
Ringrazia le persone che stanno recensendo e quello che recensiranno, siete speciali!

Alla prossima!

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Capitolo 13
*** Chapter 12 ***


-Cosa siamo noi, Frankie? – gli domandai, prendendogli la faccia tra le mani.
Lui mi sorrise, complice. –Siamo una squadra, Gee. Ce la faremo, amore.
Gli diedi un leggero bacio e gli carezzai una guancia. –Si.
Feci un respiro profondo, prima di scendere dalla macchina, rubata poco prima, e impugnare la mia fedele magnum. Vidi Frankie sistemarsi bene la cintura dei pantaloni e dirigersi dritto verso la porta della banca. Mi sorrise un’ultima volta prima di prendere la sua pistola per puntarla davanti a sé.
Spinsi la porta d’ingresso tenendo ancora la magnum bassa. Sentì un cassiere, quello della postazione a sinistra, esclamare distintamente un “Oh, cazzo, sono loro” prima di fare una faccia terrificata. Portò le mani alla cassa, come a volerla proteggere.
Mi sembrava triste e banale urlare “Fermi tutti, questa è una rapina!”, così mi limita a puntare la magnum verso le casse e a controllare se Frank stesse bene.
I clienti si erano pietrificati, come se fossero congelati dal terrore. Li capivo, anche io sarei stato spaventato a vederci. Sapevo che avevano parlato di noi dappertutto, così tutti ci conoscevano, tutti sapevano che noi eravamo come i Bonnie e Clyde della nostra generazione. E tutti erano terrificati.
-Allora, ragazzi, se ci date retta andrà tutto bene, garantito – urlò Frank, guardandosi intorno.
-Giù, tutti a terra! – ordinai, con voce ferma. –No, te no! – indicai il cassiere di prima, che aveva sempre di più gli occhi fuori dalle orbite. –Tu ci servi.
Le persone nella stanza ci obbedirono tutte, compresi gli altri impiegati. Nessuno faceva storie, nessuno ci diceva di no, bastava che vedessero una pistola. Poi, se fosse stata carica o no, quello era un altro discorso.
Notai una bambina, lei non l’avremmo toccata. Avevamo come un libro di regole non scritte, io e Frankie, le donne e i bambini non dovevano essere assolutamente toccati, un po’ come la mafia italiana. Eravamo uomini d’onore, noi.
Mi incamminai verso il cassiere, che aveva le mani in alto e stava letteralmente tremando dalla testa ai piedi. Porsi una mano verso di lui, rivolta verso l’alto.
-Le chiavi delle casseforti – precisai. –E se provi a chiamare la polizia, sei morto, amico.
Lui mi lanciò nella mano le chiavi e si ritrasse velocemente dietro il bancone. Frank mi sorrise e mi feci tintinnare il ferro che avevo in mano, prima di dirigermi nei locali dietro.
Avevamo studiato quella banca per una settimana, la conoscevo a memoria, e ogni cosa era al suo posto. Cominciai ad armeggiare con le chiavi per trovare la serratura giusta e aprii la prima cassaforte. –Si, cazzo! – esclamai.
Sentivo intanto Frank, nell’altra stanza, che teneva d’occhio gli ostaggi e stava intimando a qualcuno di non muoversi assolutamente. Beh, se voleva, poteva fare davvero paura.
Entrai nell’anticamera, se così si poteva chiamare, trovandomi davanti un’altra porta blindata. La scassinai con facilità e mi ritrovai davanti scaffali pieni zeppi di soldi e tesori di ogni genere.
Si poteva dire che avevo una specie di fissa per l’oro in generale, mi mandava in ecstasy vederne così tanto tutto insieme. Risi, proprio come uno psicopatico, e mi sbrigai a racimolare più cose possibili, infilandole nella borsa, in modo quasi febbrile e malsano.
Ero contento, davvero sulle nuvole. Pensare che poi tutto quel denaro sarebbe stato nel comodino della nostra nuova casa, poi… Immaginarmi quante belle cose avrei potuto comprare a Frank, come l’avrei potuto fare davvero felice. Mi strinsi al petto la sacca, con fare materno, e mi apprestai ad uscire, per raggiungere la seconda cassaforte.
-Gerard, cazzo, esci di lì, corri! – sentii urlare. Era Frankie, che si trovava ancora nell’altra stanza, sembrava mi stesse implorando di sbrigarmi, come se ne andasse della mia vita. –Gerard! – strillò di nuovo. –Il commesso ha chiamato la polizia!
Mi pietrificai a quelle parole. Erano state il mio incubo per mesi interi, mi veniva quasi da piangere. Alcune collane di diamanti mi scapparono di mano e si infransero a terra, rovinosamente.
Non riuscivo a muovermi, sentivo il mio cuore che batteva talmente forte che sarebbe scoppiato da un momento all’altro. I muscoli del mio corpo non rispondevano, non mi sentivo più le gambe.
Il mio primo pensiero, però, andò al mio Frankie. Avrebbero anche potuto uccidermi, ma gli avevo promesso che quei figli di puttana non lo avrebbero toccato. E non lo avrebbero fatto, garantito. Anche se nella mia testa si erano create già immagini del mio ragazzo ammanettato e sbattuto con poca delicatezza sul cofano di una maledetta volante. Avevo sempre avuto una fervida immaginazione, soprattutto nei momenti di panico. Non trovate?
Vidi Frank correre verso di me e strattonarmi per un braccio, facendomi quasi risvegliare da un sogno a occhi aperti. Lo guardai terrorizzato e lui mi rassicurò con il solo sguardo. –Dobbiamo andare – mi ordinò, tirandomi per la manica della maglietta. –Quel figlio di puttana ha spinto il tasto di emergenza e stanno arrivando le volanti, Gee, lo capisci?
Annuii poco convinto e lo seguii fino all’altra stanza. Mi ripresi soltanto quando vidi la faccia soddisfatta del commesso, che ci guardava come se avesse vinto. Impugnai per bene la mia magnum la puntai nella sua direzione, nonostante la distanza. –Ti avevo detto che se avessi chiamato la polizia saresti morto – ricordai. –Io porto sempre rispetto alle cose che dico – spinsi il grilletto, senza dargli tempo di realizzare che avrebbe smesso di respirare. Se non altro era stata una morte indolore.
Delle urla si levarono dagli altri ostaggi, terrificati di aver visto la morte di qualcuno. Risi di loro, continuando a camminare deciso, stavolta, dietro Frankie.
Uscimmo fuori, salendo velocemente in macchina. Lui era al posto di guida, al contrario dell’andata, e mi aiutò a sistemare la refurtiva nei sedili posteriori.
Mise in moto la macchina e l’ultima cosa che sentimmo erano i suoni delle sirene in lontananza.
 
Sbuffo. L’ultima cosa che vorrei è trovarmi qui. Helwin mi ha dato come un foglio con degli orari delle varie sedute che devo fare. Ha insistito tanto perché ne facessi anche una di gruppo, “per evitare di farti perdere la voglia di stare con le altre persone, Gerard” aveva detto. Io la voglia di stare con la gente l’avevo persa da un bel po’, precisamente da quando ti avevano ucciso. Ho perso la voglia di fare tutto, in realtà. Non mi va nemmeno di alzarmi dal letto la mattina, sento le gambe pesanti, i piedi non rispondono, proprio come quando ti ho sentito urlare che il cassiere aveva chiamato la polizia.
“Queste sono cose brutte da ricordare, Gee” mi rimbecchi. “Dovresti invece pensare a quando ci mettevamo a letto e ci coccolavamo, o quando giocavamo a contare i tatuaggi che avevo, nonostante fossero troppi e perdessimo sempre il conto”
Sorrido. Si, mi piacerebbe poter ricordare solo quelli. Lavare via con l’acido i ricordi brutti e dolorosi. Pensare che tu sia davvero ancora qui con me, e che, invece, non ti trovi due metri sotto terra, senza la capacità di respirare ancora.
Non mi hanno nemmeno fatto partecipare al tuo funerale, Frankie. Dicevano che sarebbe stata una botta troppo forte per la mia sofferenza, non avrei retto. Ma loro non si rendono conto di quanto io mi sarei sentito bene anche lì, perché ti avrei avuto comunque più vicino. E poi, la sai una cosa? Io sono già pezzi.
Qualche giorno fa ho scoperto il vero significato della parola “schizofrenia”. Significa “mente divisa”. Helwin mi ha spiegato che le allucinazioni uditive sono all’ordine del giorno dentro questa specie di clinica, e che la malattia diventerà incurabile se comincerò anche a vederti. Ma… oh, come mi piacerebbe poterti anche solo intravedere per un’ultima, maledettissima, fottuta volta! Osservare per bene il colore dei tuoi occhi, la forma armoniosa delle tue labbra, le piccole fossette che ti si formano sulle guance quando sorridi. Venderei l’anima al diavolo per poterti salutare un’ultima volta, Frankie, davvero. E…
-Allora, ragazzi – una voce interrompe il flusso dei miei pensieri. Come detto, Helwin mi ha mandato al fare le sedute di gruppo e oggi è la mia prima volta. –A chi tocca, ora?
Da quello che ho capito, e dal poco che ho sentito, c’è gente davvero pazza lì. C’è una ragazza che ha tentato di dare fuoco a casa sua, un altro che passa le giornate a cercare di scongiurare attacchi alieni (proprio oggi avrebbero dovuto conquistare il mondo, ma , senza alcun motivo apparente, non l’hanno fatto) e un altro ancora che è convinto di essere perseguitato da una squadra di footballer zombie.
-Vuoi parlare tu? – mi indica la psichiatra. E’ lì, insieme a Helwin. –Sei nuovo, perché non ti presenti?
“Non ti da fastidio che ti parlino come se fossi un bambino?”
-No, grazie, passo – sussurro. So che mi ha sentito perché fa una smorfia di disapprovazione, ma sinceramente non me ne fotte un cazzo.




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xCyanide's Corner
Buonasera (o dovrei dire notte, dato che è l'1.34) Motorbabies! 
Credo che non ci sia niente da dire su questo capitolo, tranne il fatto che il commesso della banca è un grande bastardo D:
Mi raccomando recensite!

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 14
*** Chapter 13 ***


-Li abbiamo seminati? – mi domandò, quasi con le lacrime agli occhi. Aveva il terrore, si vedeva da come aveva aperto le palpebre e si guardava intorno, cercando di capire dove si trovasse la volante.
-Credo… credo di si – risposi, con una punta di sollievo nella voce. –Andiamo a casa?
Era quasi un’ora che giravamo nelle più piccole stradine con la macchina, mi era venuto un mal di testa fottuto, avrei soltanto voluto sdraiarmi sul mio letto e contare i soldi che avevo preso prima che quel bastardo chiamasse la polizia.
-Si, ora andiamo – mi rassicurò, tenendomi la mano. Non ero abituato a essere quello da consolare, ma da quando avevamo avuto quella pseudo-discussione sul fatto che lui voleva essere il mio uomo, non mi facevo problemi ad avere paura. Anche se, più che altro stavo pensando che non l’avevano preso. Non l’avrebbero toccato con le loro sudice mani, non l’avrebbero messo in qualche cella minuscola con un detenuto di centoottanta chili che lo costringeva a fare le flessioni, nel migliore dei casi. Sarebbe rimasto con me, nella nostra casa, con me.
Sospirai e lo vidi fare inversione per rientrare in una delle strade principali. Saremmo stati a casa in meno di cinque minuti, notai. Mi permisi di chiudere un attimo gli occhi, ormai eravamo fuori pericolo.
-Stai bene? – mi chiese preoccupato.
-Abbastanza. Stavo soltanto riflettendo, stai tranquillo – strinsi di più la sua mano, cercando un appiglio per non lasciarmi sprofondare nel nervosismo che avevo nella testa. Avrei cominciato a piangere, garantito, e anche lui si sarebbe sentito male a vedermi così.
-Okay – mi disse, soltanto, prima di riprestare attenzione ferrea alla strada.
Credo che mi addormentai, perché davvero pochi secondi dopo, mi sentii strattonare delicatamente. Aprii gli occhi e c’era Frankie che mi guardava sorridendo.
-Amore, siamo a casa – mi informò, spiaccicandosi addosso a me per prendere la refurtiva. Scesi dalla macchina e lo aiutai a portare le cose. Quando rientrammo in casa, lo sentii rilassarsi. –Ce l’abbiamo fatta anche stavolta.
Posai a terra tutto quello che avevo in mano e lo strinsi a me, come a volerlo proteggere da tutto il male che avrebbero potuto fargli. Mi passò le braccia dietro la schiena e mi abbracciò, appoggiando la testa al mio petto. Vidi una lacrima solcargli il viso e mi affrettai ad asciugarla. –Amore? – lo chiamai. –Che hai fatto?
-Io ho paura, Gee – sussurrò, con la voce tremante. –Io non voglio che ci prendano. Quando… quando mi sono reso conto di quello che aveva fatto il cassiere, il mio primo pensiero sei stato tu. La prima cosa a cui ho pensato sei stato tu in una cella e io non voglio questo futuro per noi, Gee.
-Anche io l’ho pensato, Frankie – confessai. –Ho avuto il terrore di perderti. Se tu non fossi più con me… io non vivrei, okay?
-Gee, promettimi che non farai niente di stupido se mi dovesse succedere qualcosa.
-Frankie, non ti succederà…
-Promettilo – mi disse, truce, guardandomi alquanto male.
-Prometto – mi feci una croce sul cuore, accennando un sorriso triste.
Sapevo che non avrei mai mantenuto quella promessa. Sapevo che la mia vita sarebbe stata un incubo senza di lui, che era il mio sole. Sarebbe stato tutto buio, tutto fottutamente nero, non avrei più rivisto la luce. Mi sarei lasciato andare, non avrei più voluto fare niente di niente.
Mi rassicurò un po’ il calore del corpo del mio Frankie. Mi stava ancora attaccato, come se ne andasse della sua vita. Mi respirava sul collo, alternando momenti umidi a momenti gelidi. Si, sarebbe stato proprio così il mondo, il mio mondo, senza di lui. Gelido, senza senso.
-Ti amo – sussurrai. Non mi aspettavo una risposta, sapevo che non avrebbe detto una parola. Perché lui mi conosceva bene, non volevo altri rumori in quel momento, non volevo sentire nient’altro.
E mi sarebbe piaciuto tanto poter non sentire le sirene della volante riapparire nei pressi di casa, perché erano il segnale che il mio incubo stava per iniziare. Ancora pochi secondi e sarebbe diventato tutto gelido, si trattava solo di pochissimo tempo.
Sentii Frankie stringermi ancora di più come se mi avesse letto nel pensiero. Lui sapeva. Sapeva quello che sarebbe successo di lì a poco. Avrei preferito non saperlo, morire lì, senza sapere come sarebbe andata a finire. Avrei preferito continuare a vivere nell’ignoranza del futuro, evitare di conoscere quello che ci avrebbero fatto.
 
-Ragazzo, prima o poi devi parlare – insiste la psichiatra.
-Preferisco poi – preciso. –Non voglio parlarne con persone che non conosco.
“Gee, potremmo parlarne tra noi. Potremmo rimanere soli, io e te” proponi. “Potremmo aspettare che gli altri se ne vadano e potremmo stare insieme, non ti prenderò per matto, io sono davvero qui”
-Ma noi qui siamo tutti amici! – esclama Helwin. –Dovresti fidarti di noi.
-Si, ha ragione il dottore, ragazzo – acconsente la donna. –Potresti almeno dirci come ti chiami. Non ti chiedo molto, solo il nome.
-Sono abbastanza sicuro che lei già conosce il mio nome – butto a indovinare. –Sono abbastanza sicuro che tutti qui conoscano il mio nome – continuo. –Li vedete i telegiornali, per Dio? “I nuovi Bonnie e Clyde hanno colpito ancora” – recito, imitando la voce del giornalista. –Frank passava le giornate a controllare se, per caso, dessero qualche notizia su di noi.
-Frank? – mi chiede la psichiatra. –Il tuo socio?
-Lo chiami come vuole, non voglio parlarne –cerco di chiudere il discorso velocemente, ma evidentemente i miei “aiutanti” non sono della stessa idea.
-Parlarne farebbe bene al tuo sistema nervoso e alla tua salute, ragazzo – mi propone la donna. Come diavolo si chiama?
-Cosa dovrei dire? – domando, retorico. –Che mi sono visto togliere la cosa più importante della mia vita senza poter fare niente? – sbotto. –Che, anche volendo, non avrei potuto fare niente? E’ questo quello che volete sentirmi dire? Vi serve una storia da raccontare stasera alla vostra famiglia? Perché voi l’avete una famiglia! – rido, nonostante le lacrime che mi stanno rigando le guance. Vedo le facce sbigottite degli altri pazienti, ma ormai sono partito, non me ne frega niente. –A me l’hanno portata via! Lui era la mi famiglia, l’unica certezza che avessi mai avuto! E…
-Continua, Gerard – mi incita la psichiatra. Allora lo sa il mio nome!
-Voi non vi rendete nemmeno conto di quanto possa essere brutto vedere la morte della persona amata. Io lo stringevo, quando è arrivata la polizia, io lo stavo abbracciando. Hanno sparato, l’ho sentito respirare in modo nervoso, e poi si è lasciato andare. Il suo cuore non batteva più! – piango, le lacrime fredde mi scendono lungo il viso. –Io lo amavo… - sussurro, lasciandomi ai singhiozzi. –Era questo quello che volete sentirmi dire? – domando, di nuovo. –Che l’ho sentito morire, ho sentito il suo corpo che improvvisamente diventava freddo? Che prima di morire piangeva perché aveva paura? – mi prendo la testa tra le mani. –E’ questo? Vorreste vedermi reagire, ma io non posso! Non posso, capite? E non è un po’ ironico? Di solito eravamo noi quelli senza cuore, gli assassini, ma ora il mietitore è diventato vittima, no? Sarà un qualche scherzo del karma che me la vuole far pagare, non trovate? Non è ironico?! – urlo, alzandomi in piedi. –Io lo amavo – dico, in un soffio, prima di lasciarmi andare di nuovo sulla sedia, quasi come se le mie gambe non reggesse più.
“Perché parli al passato?” chiedi, allarmato. “Perché hai detto che mi amavi?” sei preoccupato. “Non cambiare il modo con cui pensi a me, per favore, veniamo dalla stessa storia” 




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xCyanide's Corner
Credo non ci sia niente da dire su questo capitolo, anche perchè l'ho letto e riletto talmente tante volte per controllarlo che ormai ha perso significato LOL
Volevo ringraziare come sempre le persone che recensiscono, mettono tra i preferiti e leggono. Vi amo una per una.

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 15
*** Chapter 14 ***


-Cazzo, Gee – disse soltanto, rimanendo abbracciato a me. –Ci hanno trovato – sussurrò, prima di scoppiare a piangere.
La volante rallentò nei pressi di casa nostra e si fermò, le sirene si spensero lasciando un innaturale silenzio. Cominciai a tremare, avrei voluto nascondere Frank, costituirmi e dire che lui era solo un mio subordinato, l’avevo solo obbligato, niente più. Ma sapevo che lui non avrebbe mai acconsentito a lasciarmi da solo, non avrebbe mai voluto che affrontassi quella situazione senza l’aiuto di nessuno, per cui mi strinsi di più a lui, come a cercare il riparo da qualcuno che, a sua volta, lo stava cercando.
Sentimmo delle persone scendere dalle macchine, a contare i passi erano circa ventuno. Ventuno pistole puntate su di noi.  Eravamo in trappola, ci avevano trovato.
Mi toccai più e più volte il bracciale, come se avesse potuto portarci indietro nel tempo e non farci fare quella fottuta rapina che ci aveva rovinato. Avremmo potuto stare ancora sul divano, magari a guardare qualche talk show scadente con una birra in mano. Avrei dato tutto per poterlo fare, di tutto.
-Sappiamo che siete in casa! – urlò qualcuno. Riconobbi quasi immediatamente quel tono di voce roco e basso: l’ispettore Melvich. –Iero, Way, uscite con le mani in alto e nessuno vi farà del male!
Lo vedevo, attraverso la finestra che era in salone, aveva in mano una pistola che non riuscivo a riconoscere e la stava puntando, anche se inconsapevolmente (credo non ci vedesse), verso di noi. Mi tirai, in un riflesso incondizionato, leggermente in avanti cercando, invano, di coprire Frank, che opponeva resistenza.
-Non usciamo, Gee – sussurrò il ragazzo che avevo tra le braccia, come se fosse stato ovvio. -Non ci prenderanno mai, come un proiettile in uno stormo di colombe.
-Mai – gli feci eco, a voce bassa, come se ci potessero sentire gli agenti.
-Way, so che sei lì! – esclamò l’ispettore, un po’ irritato. Voleva me, prima di tutto. Avevamo un conto in sospeso, mi voleva di nuovo. Ma non glielo avrei permesso. –Uscite, ho detto!
Frank si scostò di poco da me, per spostare un poco la tenda della finestra, per vederci meglio.
-Sono tanti – osservò. –Ci stanno braccando – si affrettò a riattaccarsi a me, come se fosse davvero una cosa vitale.
E fu forse quello il nostro sbaglio più grande, aver scostato la tenda, perché loro ci videro.
-Merda! – borbottai, appoggiando la testa alla spalla di Frankie. –Andrà tutto bene – dissi, più per convincere me stesso che lui. –Tutto finirà bene – non ci credevo nemmeno io. Ero sempre stato essenzialmente pessimista, odiavo tutto ciò che finiva bene, ma per una volta mi ritrovai a cercare il lieto fine anche per noi.
-Cosa fate lì impalati? – sbotto Melvich, parlando con alcuni agenti. –Fate irruzione in quella casa, ora!
-Non possiamo, signore, ci servirebbe un mandato – gli ricordò un ragazzo, che stava impugnando saldamente qualcosa che mi sembrava un mitra. Ci credevano così pericolosi?
Tremai, scosso da alcuni brividi di terrore puro. –Amore… - sussurrai.
-Gee, finirà tutto bene, vero? Vero, Gee? E’ solo un fottuto incubo.
-Si – riuscii a dire prima di scoppiare in un pianto liberatorio. Spostai la mano alla mia tasca posteriore dei jeans, dove, tutte le volte che facevamo un nuovo colpo, mettevo una foto mia e di Frankie. La presi, toccandola delicatamente, rendendomi conto solo dopo dell’errore madornale che avevo commesso.
-Way, tira fuori la mano da quella tasca! – mi urlò contro un agente, puntando ancora di più la pistola contro di noi. Ma io non gli diedi retta, ormai il danno era fatto, non potevo rimediare. Cosa credevano avessi in tasca? –Way, ti ho detto di tirare fuori quella mano!
Toccai di nuovo la foto, sorridendo tra i capelli di Frank.
-Ti amo – mi disse, come se fosse stata l’ultima volta che me l’avrebbe detto.
Vidi uno degli agenti perdere la pazienza, spingere la mano sul grilletto e lasciare che un colpo partisse. Vidi indistintamente la pallottola che ci raggiungeva, spezzava in mille schegge il vetro della finestra. Stava per prendere me, come credevano tutti, ma Frank mi spinse all’indietro, nonostante gli avessi urlato contro che non avrebbe dovuto farlo.
Ricordo tutto di quel momento. Ricordo di come Frankie mi aveva guardato sorridendomi, come a sapere che mi avrebbe salvato la vita, di come aveva comunque continuato a stringermi, nonostante la spinta che mi aveva dato, di come la pallottola che era predestinata a me aveva raggiunto il centro del suo petto, facendo esplodere delle gocce di sangue.
Il suo corpo si era pietrificato, colpito dal dolore che lo aveva dominato per pochi secondi. Sapevo che anche la sua era stata una morte veloce e abbastanza indolore, ma era comunque ancora un incubo ricordarlo. Lui era diventato immediatamente freddo, senza vita, avevo sentito il suo respiro mozzarsi, i suoi occhi si erano spalancati.
-Frankie! – urlai, tenendolo da sotto le braccia, per sorreggerlo. Le lacrime subito si impossessarono dei miei occhi, rendendomi impossibile vedere bene. Caddi all’indietro, il suo peso era troppo. Lo tirai verso di me, facendolo aderire al mio corpo, sporcandomi del suo sangue. –Frankie, per favore – lo supplicai. –Non lasciarmi, per favore.
Non sentivo nemmeno più le urla dei poliziotti, non mi rendevo più conto di chi fossi o dove fossi. Sapevo solo che tra le mie braccia c’era Frankie. Un Frankie morto, che non respirava più. Un Frankie che non era più vivo.
Lo strinsi, cercando di tamponare la ferita con le mani. –No… - sussurrai, prima di lasciarmi andare ai singhiozzi. Mi sentivo già maledettamente vuoto.
Gli diedi un ultimo, piccolo bacio sulla guancia  e poi mi accasciai vicino a lui, aspettando soltanto che l’ispettore mi prendesse e mi desse la sedia elettrica.
Era tutto buio, era tutto gelido, proprio come avevo immaginato. Peccato che l’immaginazione era diecimila volte meno dolorosa della realtà. Non ero pronto.
 
-Come va, Gee? – mi chiede con un sorriso triste Mikey. Oggi è giorno di visite, qui alla clinica. Dovrebbe essere una cosa bella, ma per me non lo è. Ritornare a contatto con le persone che ti conoscevano, mi fa solo sentire peggio.
-Continuo a respirare – dico, svogliato. Mi hanno portato nella mensa, che però oggi conterrà tutti i parenti e amici dei pazzi che sono qui dentro. Sto lentamente accettando il fatto che anche io forse sono pazzo, solo un poco e nel profondo.
Alicia mi abbraccia, stringendomi forte a sé. La sua pancia comincia a vedersi di più ora. Mi viene da sorridere. Almeno loro avranno il loro lieto fine, loro ce la faranno.
-Come vanno i bambini? – chiedo, cercando di non fare pena anche a loro. Mi siedo lentamente a un tavolo e indico le sedie davanti a me.
-Stanno molto bene – mi dice, veramente contenta. –Abbiamo fatto un’ecografia proprio ieri, ma non abbiamo voluto sapere il sesso.
-Oh, sarà una sorpresa? – chiedo, nonostante una voce nella mia testa mi dice che quando quei due angioletti nasceranno, io già non ci sarò più.
-Si, vorremmo saperlo solo alla fine – mi spiega lei. –Ci piace l’idea della sorpresa.
-Allora, Gee, come ti trattano qui? – domanda Mik.
-Bene, diciamo. Mi stanno obbligando a seguire delle sedute di gruppo e individuali, io non ce la faccio già più. Dicono che sono schizofrenico, ma non è vero, io non sono pazzo.
-Si, il dottore ci ha spiegato cosa credono tu abbia – mi dice Alicia. –Dicono che sei anche molto frustrato.
-Tu in che condizione saresti? – le domando, retorico. Poi sospiro. –Scusa, non dovrei frustrare anche te, sei incinta no? Voi dovete stare attenti a quello che fate, a quello che dite, altrimenti potreste rovinare tutto, no?
“Gee, amore, stai tranquillo, sono qui”
-Gee, sono sicuro che qui ti aiuteranno – Mik si sporge per prendermi una mano e me la stringe, con fare paterno. –Il dottor Helwin è una brava persona.
-Solo Frankie potrebbe aiutarmi, Mikey. Loro vogliono che io ne parli, ma non credo sia abbastanza parlare a loro di lui, senza che loro lo conoscano. Non mi va di sfogarmi con persone come loro, non voglio.
-Ti manca molto, vero Gee? – Alicia mi sorride, cercando di trattenere le lacrime. –Manca anche a me, era un buon amico.
-Era il mio ragazzo – è una delle prime volte, in tre anni, che lo definisco così, davanti a Alicia e Mikey. E’ sempre stato sottinteso, e parlare in questo modo di lui mi fa sentire un pochino più caldo. -Mi manca come se mi avessero tolto il respiro. In una situazione come questa mi avrebbe sicuramente detto di stare tranquillo, di non abbattermi. Ma già è tanto che… che ancora sono qui.
-Gee, non dire così.
-Uno dei nostri problemi era che, quando si lavora in squadra con una persona cara, si pensa più a questa che a sé stessi. Era quasi solo quello il nostro problema, solo quello. Lui non avrebbe dovuto mettersi in mezzo.





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xCyanide's Corner
NON ODIATEMI, NON ODIATEMI PER FAVORE! *cerca di nascondersi* Ho pianto anche io quando ho scritto questo capitolo, so come ci si sente D:
AnySassy, spero vi sia piaciuto e mi raccomando recensite (anche per insultarmi si, va bene anche quello)

AH, UN'ALTRA COSA: HAPPY B-DAY FRO-MAN! Bello lui <3

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 16
*** Chapter 15 ***


MOTORBABIES, GUARDATE QUI UN ATTIMO!
Da questo capitolo in poi (cioè fino al ventunesimo e all'epilogo) si parla al presente, non c'è più il passato ato che Gerard ha finito di ripensare a quello che ha passato e ora non gli rimane che cercare di capire ciò che sta succedendo
Detto ciò, spero che il capitolo vi piaccia e buona lettura :3


Da quanto tempo sono qui dentro? Non lo so nemmeno io. Mi rendo solo conto che mi stanno stressando sempre di più con questa storia delle sedute di gruppo. Da quello che ho capito, essendo affetto da schizofrenia, potrei perdere la capacità di stare con altre persone. O almeno questo è quello che mi sembra di aver capito, non stavo ascoltando mentre la psichiatra, di cui finalmente ho scoperto il nome, me lo stava dicendo.

Si chiama Tamara Wentz e ha deciso di rovinarmi la vita ancora di più. Simpatica.
Due giorni fa, si è presentata nella mia camera. Mi stavo preparando per il pranzo, avevo anche abbastanza fame per i miei canoni.
E’ arrivata tutta elettrizzata, porgendomi quello che mi era sembrato un quaderno. L’avevo guardata interrogativo e lei mi aveva sorriso, quasi dolcemente.
-Quando… quando hai bisogno di parlare, scrivi qui. Come una specie di diario, no? – mi aveva detto.
L’avevo preso, titubante, e avevo annuito, guardandola correre poi via, urlando che aveva da fare con altri pazienti.
Il quaderno ora è sul comodino, non l’ho guardato e non ho intenzione di farlo. Significherebbe aprirmi con qualcuno, qualcosa, e non mi sentirei a mio agio. Perché dovrei raccontare a uno stupido diario quello che provo, quando non può consolarmi come faresti tu? E’ uno schifo totale, tutto. La vita, la morte, la solitudine.
“Non prenderla così” sussurri.
-Perché non mi lasci in pace, eh? Non sei tu! – urlo. –Sei solo il fantasma di te stesso!
“Non vuoi che io sia qui, Gee?”
-Si, si che voglio. Ma vorrei il vero te.
Ho cominciato a parlarti. Quando mi lasciano in camera da solo, ti rispondo come se fossi davvero qui. Loro credono che io sia pazzo, ma sono dannatamente solo.
E’ come se le tenebre abbiano imprigionato la luce, lontano da me. E’ tetro, come sempre ormai.  Sono qui, a sopportare, come un topo osservato correre su una ruota. Ma stavolta è reale, stavolta non è solo un fottuto incubo, è proprio come se fossi stato seppellito vivo.
Molte cose sono cambiate dall’ultima volta che ti ho visto, credevo di non poter sopportare una caduta, e forse non lo sto facendo. Mi sento in catene, come uno schiavo, intrappolato nelle tenebre, con le serrature tutte bloccate. La Morte sta chiamando il mio nome, Frank. Ma ti ho promesso che non avrei fatto cazzate se tu non fossi stato con me.
“Non sapevo quello che dicevo. Non sapevo cosa avresti passato, amore, volevo soltanto salvarti”
-Da chi, da me stesso? Sono una bestia, niente più. Ho fatto uscire la bestia che è in me, così non avrei sopportato il dolore di essere uomo, o probabilmente lo ripeto solo per convincermene – sussurro.
“Ti ho già detto di non fare così” mi rimproveri.
Mi sposto nervosamente sul letto, buttandomici sopra, con la testa sul cuscino. –Non so cosa fare. Non voglio lottare per me stesso, Frank. Credo che nessuno sappia per cosa vale la pena lottare quando non ne vale morire. Mi sento soffocare, sai? Sono in rovina, del tutto. Vorrei soltanto dire che non voglio essere aiutato, è il momento che loro vivano, senza pensare agli altri, e lascino morire. Qualcosa nel mio cuore è già morto, comunque – dico, rassegnato.
“Ti ho pregato di non lasciarti morire” mi ricordi, duro. “Me l’hai promesso, anche se poi saremmo insieme di nuovo”
-Credo che nessuno abbia il diritto di chiedere di mantenere una promessa, non trovi?
“Non sono della tua stessa idea, Gee”
-Pensaci, una volta che una persona ha chiesto di mantenere una promessa, è come se avesse passato il problema a te. Lei l’ha posto, ma ora è tuo. E’ tuo il compito di mantenerla, nonostante tutto e tutti. E se ci fosse qualcosa che si mette tra te e il mantenimento della promessa? Se ci fosse qualcosa che rovina i tuoi piani? – domando, pacatamente. –Il problema è comunque tuo. E’ una cosa così egoista, no?
“Mi stai dando dell’egoista?” chiedi, indignato.
-No, sto solo esponendo il mio punto di vista. E’ solo una sana discussione.
“Non mi sembra…”
-E poi, dato la sorte sfortunata, c’è sempre qualcosa che non va. Sempre. C’è sempre qualcuno che si mette in mezzo, tre te e la promessa, qualcuno che è stato assoldato da Dio per rovinarti la vita, e…
“Dio non esiste” mi interrompi.
-Cosa?
“Dio non esiste, Gee. O, anche se esistesse, ci ignorerebbe. La gente piange, soffre, prova dolore… muore” dici in un soffio “e Lui non fa niente per impedirlo. Siamo qui per soffrire. Una persona nasce e piange. Prova a camminare, cade e sanguina. Si innamora e le viene spezzato il cuore. Riesce ad essere felice e muore. Siamo qui per soffrire” ripeti.
-Non dovrei essere io quello a pensare queste cose?
“No, tu sei pulito, Gee”
-Perché continui a ripeterlo? Perché dici che sono pulito?
“Perché lo sei. Nonostante i tuoi crimini, i tuoi peccati, tu sei bianco, la tua anima lo è”
-Io non ho più un’anima, Frankie. E’ con te, tre metri sotto terra.
“Sarebbe bello se anche tu fossi con me, sai? E’ freddo e vuoto qui, senza di te”
-Frankie? – mormoro. Sento uno spostamento dell’aria, proprio come nella sala degli interrogatori, ma stavolta sono sicuro che tu mi abbia toccato. Ne sono certo.
“Mmmmh?”
-Ti avevo promesso che non avrei fatto niente di stupido se ti fosse successo qualcosa, ma se fossi tu a chiedermi di fare qualcosa di stupido?

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Capitolo 17
*** Chapter 16 ***


Le notti insonni. Una delle cose più frustranti che si possano passare. Rimanere fermo a fissare il soffitto, scoprendo che la mente è davvero una delle cose più strane che possano esistere. E la mia è davvero difettosa, anche se a nessuno importa. Sto diventando pazzo?
Vedo ombre, creature che si muovono sinuose nelle tenebre, mi chiamano a loro, vogliono che diventi loro compagno. Ma sono solo i miei occhi, mi illudono che ci sia qualcuno qui con me, solamente per farmi sentire meno solo. So che tu non ci sei, ti sentirei, amore. Ormai sono abituato ad averti intorno, è proprio come se tu non te ne fossi mai andato, anche se non posso toccarti o vederti.
Forse è per quello che ho l’ansia. Perché non sei qui? E’ da ore che piango, ormai saranno le tre o le quattro, non so più che fare.
Mi rigiro nel letto, appoggiando la testa sul mio polso. Posso sentirlo, quel tu-tum continuo, è inquietante quasi. Sapere che quel suono è il segno del mio continuo vivere. Batte ogni tre secondi pressappoco, rendendomi consapevole che il sangue scorre veloce.
Rabbrividisco. Nonostante quello che facevo, sono sempre stato una persona abbastanza delicata, fragile, in un certo senso. Impressionabile. E pensare che è il sangue quello che mi scorre nelle vene, non può fare altro che mettermi in subbuglio lo stomaco.
E quelle che mi scorrono sulle guance sono proprio lacrime. Mi ricordo quando mi dicesti, ci eravamo appena messi insieme, che se avessi pianto, tu avresti asciugato tutte le mie lacrime. Che se avessi avuto paura, tu avresti portato via tutte le mie paure. E allora perché non sei qui ora? Perché non mi stringi e non fai in modo di farmi sentire meglio?
Tu non ci sei, semplice. Tu non puoi dirmi che andrà tutto bene, perché non è vero. Mi mentiresti, e non sei mai stato bravo a mentire, lo so.
Sospiro così forte che temo che qualcuno mi abbia sentito. Le lacrime non sembrano scomparire, sono sempre qui a farmi compagnia.
Una delle ombre sul soffitto muove un suo dito nella mia direzione, come a invitarmi a raggiungerla. Lo farei, oh, se lo farei. Tutti i miei problemi finirebbero se la raggiungessi, è da giorni che mi chiama, lo sento.
Ma mi giro verso il telefono che si trova sul mio comodino, la Wentz ha voluto metterlo perché , ogni volta ne avesse bisogno, potrebbe chiamarmi e spiegarmi a che ora e dove avrei fatto la nuova seduta.
Un puntino rosso, segno che l’apparecchio è spento, attira la mia attenzione. Sembra quasi un sole, brilla nell’oscurità. Chissà se anche lui non è al centro di un universo, tutto suo. Provo a immaginare altri punti intorno a lui, minuscoli. Li vedo, quasi. Gli orbitano intorno, come se fosse il loro Dio, lui li illumina, li rende importanti a loro volta. Mercurio, Venere,  la Terra, Marte, Giove… e lì, in mezzo a loro, vedo di sfuggita degli anelli, non c’è bisogno di guardarli meglio per capire a che pianeta (immaginario) appartengano. Saturno.
Rantolo, le immagini del tuo volto sorridente riempiono la mente. Sei il mio Saturno, Gee, mi avevi detto. Scuoto la testa, non dovrebbe farmi ancora così male, non so nemmeno quanto tempo sia passato di preciso, vorrei solo poter dimenticare.
Non dimenticarti, no, questo non lo farei mai. Vorrei soltanto avere il potere di non ricordare niente della nostra felicità, così da non rattristarmi ogni volta che penso a te. Ma quei giorni sono sempre qui e il ricordo è talmente doloroso che sembra una pugnalata in pieno petto.
Forse se fossi un Sole, potrei tenermi per me il mio Saturno, oppure sarei tanto occupato a proteggerlo e a tenerlo al sicuro, che nemmeno penserei a toglierli la libertà solo per amarlo.
Ma è proprio quello che ho fatto, sono stato un egoista, niente di più. Ti ho tenuto per me, non ti ho fatto conoscere altre alternative, solo per poterti avere. Non mi dovrei lamentare, allora, merito tutto quello che mi sta succedendo.
Mi alzo lentamente dal letto, dirigendomi verso il piccolo bagno. Barcollo un pochino nel buio e, nonostante i miei occhi siano abituati,  fatico a trovare l’interruttore della luce. La lampada mi acceca, devo chiudere le palpebre e stringere, in modo di far passare niente. Quando mi rendo conto di poter finalmente riaprirle, mi guardo allo specchio, attentamente. Ho gli occhi gonfi e rossi, le lacrime sono arrivate fino al mio collo, attraversandolo e tracciandone il contorno.
Apro l’acqua del rubinetto e la prendo, cercando di sciacquarmi la faccia. Chiudo gli occhi di nuovo e mi beo della sensazione fredda sulla pelle, proprio ci voleva. Prendo un respiro profondo e mi asciugo il volto, spingendo con l’asciugamano sulle guancie, così da provare qualcosa, anche il dolore va bene. La stoffa rovinata mi graffia e mi irrita la pelle, ma sorrido, perché è okay così.
Sento un rumore provenire dalla porta e mi irrigidisco. La mia mente mi convince che, una volta girato, tu sarai davanti a me e correrai ad abbracciarmi, dicendomi che è tutto uno scherzo di cattivo gusto che hai organizzato con Bert. Il cuore mi batte forte quando spalanco gli occhi.
Mi trattengo dal lanciare un urlo, non sei tu, amore. Mi ero solo illuso, niente di più. Guardo attentamente l’uomo che ho davanti, sentendo il respiro mozzarsi un attimo.
-Chi… chi sei? – chiedo, attaccandomi al lavandino, in modo da creare spazio tra me e quella… cosa.
Fa un risata con una voce che farebbe accapponare la pelle a chiunque, toccandosi quella specie di maschera che porta per coprirsi il volto. Sembra una di quelle anti-gas, quelle che si usavano in tempo di guerra, nera. –La domanda che dovresti pormi non è questa, ragazzo.
Mi guardo intorno, in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa che potrebbe servirmi per proteggermi. –Che vuoi?
-Oh, già cominciamo a ragionare – dice, sempre con quel tono divertito. Si avvicina lentamente, facendomi scoprire che è tutto completamente vestito di nero. Niente che mi possa fare capire cos’è, niente. –Ho una proposta per te.
-Vai via – sussurro, disperato. Le lacrime hanno ricominciato a rigarmi le guance, ma queste sono lacrime di terrore.
-Non posso – si oppone. –Mi hanno mandato da te, non posso – mi spiega. –Non vuoi sapere di cosa si tratta la mia proposta?
-Poi te ne andrai? – domando, scettico.
-Forse – patteggia.
-Parla.
-Potrei decidere di concederti un'altra possibilità – comincia, parlando talmente piano che devo metterci tutta la forza di volontà che possiedo per avvicinarmi lentamente -ma tu dovresti ripagarmi – fa un attimo di pausa, forse per darmi la possibilità di realizzare cioè che mi sta chiedendo. –Dovresti solo darmi la tua anima – spiega. - Accetti?
-Un’altra possibilità per cosa?
-Per riavere ciò che ti è più caro – intende davvero Frankie? Posso riaverti? –So che ti stai dannando, ragazzo, devi solo promettermi di regalarmi la tua anima, poi io ti farò stare di nuovo con Frank Iero.
-Come sai il suo nome?
-Io so tutto, Gerard – incrocia le braccia sul petto. –Allora?
-Cosa… cosa dovrei fare? – un specie di strana emozione si sta impossessando di me, e il mio cuore batte ancora forte, ma stavolta di gioia.
-Ucciditi – si avvicina a me e mi posa una mano sulla guancia. Rabbrividisco al contatto, ma mi ha intrappolato, dato che sono incastrato tra lui e il lavandino. La stoffa di pelle del guanto che porta si accartoccia contro la mia pelle. Contando, mi rendo conto che la sua mano è davvero grande, mi prende la mascella e la tempia. –Non è poi così difficile.
-Gli ho promesso che non l’avrei fatto.
-Lo sapevi che le promesse esistono per essere infrante? – mi domanda. –Ti do una settimana per pensarci, ragazzo, vedi di fare la scelta giusta – lascia andare la mia faccia, girandosi lentamente di spalle.
-Io… - comincio, per fermarlo, ma non faccio in tempo a finire che vedo il suo corpo scomparire nel buio. Se n’è andato, mi ha lasciato da solo.
Con il cuore ancora a mille, corro in camera, guardando dalla piccola finestrella che è vicino al letto, cercando di trovarlo di nuovo: magari è fuori. Ma no, l’unica cosa di cui mi rendo conto è che finalmente si sta facendo giorno.
Rabbrividendo, me ne torno a letto.
Forse riuscirò a dormire.
O forse no.
O forse potrei contemplare l’idea di dormire per sempre.




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xCyanide's Corner
Allora, partiamo dal presupposto che questo è il mio capitolo preferito insieme a quello finale, ed è quello su cui ho lavorato di più. Ma credo che ci sia comunque qualcosa che manca, non so.
Spero piaccia anche a voi e grazie per recensire o anche solo leggere.

Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 18
*** Chapter 17 ***


Girando per la mensa mi guardo intorno. Mi sono messo in testa che devo ritrovare l’uomo dell’altra notte, non voglio che lui sappia tutto di me mentre io non so nemmeno il suo nome. Ho osservato attentamente le mani di tutti qui dentro, comprese quelle della Wentz, perché sono la cosa che ricordo meglio di lui. Ho calcolato la grandezza, mettendola a confronto con quella di tutti i presenti, ma non mi sembra di aver trovato nessuno che possa andare bene.
Voglio parlare con la psichiatra di quel mio incontro ravvicinato, voglio sapere se lei lo conosce, se mi può dare una mano a capire chi sia. Voglio incontrarlo, dirgli che accetto la sua offerta, se questo significasse ritrovarti.
“Non voglio che tu muoia” dici, tristemente.
Mi siedo a uno dei tavoli, portando con me il vassoio con il cibo, anche se non ho fame, cercando di non darti importanza. Non voglio che tu mi faccia venire i sensi di colpa, è l’ultima cosa che mi serve in questo momento.
“Gee, non è completamente un segreto che sia io quello insicuro” cominci “tu sei sempre quello che mi faceva sentire bene, perché vuoi fare una cosa del genere?” piagnucoli.
-Frank, sto solo combattendo per rimanere in vita, ma perderò comunque, okay? – sussurro, cercando di non farmi sentire da nessuno, anche se vicino a me non c’è mai anima viva. Forse è meglio così.
“Tu.. tu non capisci, Gee. L’unica via di fuga è quella che ti sto pregando di non prendere”
-Tu non ti rendi conto… - dico, abbastanza indignato. –Lui mi ha offerto un’altra chance per averti con me, no?
“Lui è cattivo, Gee. Ti vuole, mi lascerà qui, ho paura. Tu sei l’unico che può guidarmi fuori dalle tenebre”
-Smettila! – trillo, parlando forse un po’ troppo forte. –Per una volta vuoi credere in me, per favore? Per una volta puoi solo cercare di accontentarmi? Io mi fido di lui, amore, voglio solo riaverti.
“No, sei tu che non mi capisci!” strilli. “Sei tu! Dio, perché non mi ascolti mai? Sono giorni lunghi, ti prometto che un modo per ritornare indietro lo trovo”
-Come, Frankie? Sei..
“Non dirlo”
-Sei morto, Frankie. Non puoi fare più niente, sono io quello che può raggiungerti, non tu. Vuoi ascoltarmi per una volta? – cerco di sembrare il più dolce possibile, nonostante sia accesso di rabbia dalla punta delle scarpe.
“Io… fai come ti pare, sappi solo che non voglio che tu faccia una cosa del genere, Gee, per favore” mi supplichi. “La vita è molto più importante di me, non credi?”
-Ehy, una vita senza te non è vita, lo vuoi capire?
“E’ lo stesso” rispondi, senza un tono ben preciso. Sembri amareggiato, deluso, triste. Forse anche arrabbiato.
Mi viene da piangere. Mi manchi. –Perché…?
-Con chi parli? – una voce mi fa riscattare dai miei pensieri, facendomi balzare. –Oh, scusa se ti ho spaventato.
-No, non è niente, non si preoccupi – rassicuro la dottoressa, che mi guarda apprensiva. –Non stavo parlando con nessuno, stavo solo facendo dei promemoria. Le è mai capitato di parlare da sola?
-Si, certamente – risponde, solare. Ma so che è tutto una maschera, lei è qui per capire realmente cos’ho, non per fare conversazione. Ma le reggerò il gioco, voglio vedere dove vuole arrivare, ma soprattutto, voglio chiederle se conosce quell’uomo, lo devo rintracciare.
-Sa… l’altra sera ho conosciuto una persona – comincio, cercando di generalizzare il discorso.
-Una ragazza, qui? – domanda, saltellando un po’ sulla sedia. –O un ragazzo, è indifferente.
-No, no – nego, scuotendo la testa. –Sono… mi sono alzato dal letto e mi sono sciacquato la faccia perché non riuscivo a dormire – vedo che si sporge verso di me, curiosa di sapere –e, quando ho alzato la testa, mi sono ritrovato davanti quest’uomo e…
-Chi era, Gerard?
-Io non lo so, speravo che lei lo sapesse, devo rintracciarlo, devo parlargli – mi prendo la testa tra le mani, evitando di guardarla.
-Ti ha detto qualcosa? – mi chiede, dura.
-No, non mi sembra – mento.
-Devi prendere altri neurolettici, Gerard – asserisce, prendendomi per il mento e facendo in modo che la guardi.
-Io… no no no! Lui è reale, mi creda! – esclamo, quasi disperato. –Non è la mia mente, non sono schizofrenico, per favore, mi creda!
-No, Gerard – sussurra, alzandosi. –Non posso permetterti di peggiorare, ragazzo.
-Io non sto peggiorando! – mi guardo intorno, cercando un qualche appiglio possibile per farle capire che ho ragione, la mia mente non è divisa in due come credono loro.
I miei occhi lo incontrano, il respiro mi si mozza. Lui è lì, al lato della sala e sta guardando nella mia direzione. La maschera lo copre in volto, proprio come l’altra notte, ma ci posso scommettere tutto che è lui. Possibile che nessuno lo veda? Oppure stanno tutti facendo finta di niente? Non passa inosservato, per Dio!
-Eccolo! – urlo, attirando l’attenzione di tutti. –E’ lì, lo vede? - la Wentz si gira nella direzione che sto indicando, sgranando gli occhi visibilmente. Allora lo vede anche lei! –Sta venendo qui, potrà chiedergli chi è!
Infatti, lui si sta muovendo nella nostra direzione, con passo deciso ma lento, come se volesse assaporare tutto il momento. Io aspetto impaziente, voglio che lei ammetta di aver sbagliato.
-Gerard… - comincia la psichiatra –lì non c’è nessuno – sussurra, come se non credesse nemmeno alle sue parole.
Mi sento morire, come può dire che non c’è nessuno? Come può non rendersi conto che lui è lì, proprio davanti a lei? Che le prende?
-Come non c’è nessuno? – chiedo, disincantato. –E’ qui! – urlo, stavolta accumulando un bel po’ di pubblico. –Non lo vede?! E’ qui, è lui!
-Ragazzo, lei non può vedermi – mi avverte lui, forse un po’ troppo tardi.
-Cosa intendi dire?! Solo io? – domando, indietreggiando un po’.
-Solo tu puoi vedermi, mi hanno mandato da te, solo tu puoi vedermi – precisa, incrociando le braccia al petto.
-E quando pensi di dirmelo?! – sbotto, alzando le braccia al cielo. –E chi ti ha mandato da me?! – urlo.
-Gerard, con chi stai parlando? – la Wentz si precipita da me, prendendomi i polsi e facendo in modo di farmi calmare. –Con chi? – chiede di nuovo.
-Con lui! – esclamo. –E’ impossibile che non lo possiate vedere! – continuo. –Chi ti ha mandato qui?
-Cosa hai deciso di fare? – mi chiede sempre con quella voce da brividi. –Mi darai la tua anima?
Guardo prima la psichiatra, con sguardo disperato, poi chiudo gli occhi.
Frank, mi hai detto che lui è una persona cattiva, che vuole solo avermi, ma io voglio te. Voglio solo poterti avere vicino di nuovo. Forse dovrei accettare, sarebbe meglio per tutti.
“No, Gee, per favore”
-Io lo devo fare – sussurro.
-Cosa devi fare, Gerard? – la donna mi strattona, cercando di farmi aprire gli occhi. –Con chi parli?
“Gee, nessuno ti obbliga, tantomeno io”
-Io lo voglio, amore – ribatto.
-Cosa vuoi?! – chiede disperata la Wentz. –Gerard?
-Rispondimi, ragazzo – mi incita l’uomo, con la voce impaziente.
“No, Gee, non lo fare”
-Devo.
“No”
-Si, lo farò.



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xCyanide's Corner
Ciao a tutti :3 So che volete uccidermi, è comprensibile, ma ancora non è detto che questa sia la scelta definitiva di Gee, no?
Okay, sperando che non mi lapidiate, vi ringrazio per le recensioni o anche per aver letto soltanto.
E mi raccomando, continuate a farmi sapere cosa ne pensate della storia. Love ya *^*

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 19
*** Chapter 18 ***


-Gerard… hai visite – mi informa, in modo un po’ timido, la Wentz. Cosa c’è di strano nel fatto che io abbia visite, vi chiederete. Il fatto è che non le ricevo mai, tranne quelle sporadiche di Mikey e quelle che mi fa spesso Frank.
O perlomeno, che mi facevi spesso.
L’uomo non si è visto più, credo di dover fare io il primo passo, farò in modo di contattare qualcuno per aiutarmi nel mio intento.
Tu non mi parli più, da quando ho deciso di raggiungerti. Cosa volevi, che fossi rimasto a vita in un ospedale psichiatrico a marcire nella mia depressione? Io lo sto facendo solo per noi, solo per poter stare insieme, non voglio nient’altro.
Ma comunque, sospirando, mi alzo di mala voglia da letto e mi incammino dietro la Wentz, per vedere chi abbia deciso di farmi visita.
Mi tiro la maglia sgualcita e sorrido, ricordandomi tutte le volte che tu mi rovinavi le magliette, stringendoti troppo a me.
-Spero che questa visita ti faccia piacere, Gerard – mi dice la Wentz, girandosi per un attimo verso di me e cercando di farmi sentire il più possibile a mio agio.
Sento una sensazione strana, come se avessi paura di chi potesse essere questa persona che si è ricordata della mia esistenza improvvisamente, perciò non voglio assolutamente chiedere chi sia. Tremo, leggermente, perché mi trovo in questo stato?
Ma, quando varchiamo la soglia della mensa, non posso fare a meno di trattenere il respiro vedendo che quella che ho davanti è mia madre, la stessa persona che non vedo da più di quattro anni, quella che mi ha cacciato di casa alla prima occasione.
Io non voglio vederla, lei mi ricorda solo cose brutte e non aiuterebbe averla qui. Stringo i denti e i pugni, in modo da trattenermi dal saltarle addosso e farle male, e trascino i piedi in avanti, andandomi a sedere proprio davanti a lei, che non mi aveva visto entrare.
Sgrana lentamente gli occhi e li vedo diventare lucidi. Non è cambiata di una virgola, ma questo non mi tranquillizza. E’ pur sempre la donna che mi ha fatto soffrire di più nella mia vita.
-Gerard – sussurra, accennando un sorriso. Porge una mano e raggiunge la mia, ma io la ritiro e la guardo male.
-Non voglio che nessuno mi tocchi – dico duro. Mi guardo intorno e noto che altre persone stanno entrando nella mensa, altri pazienti stanno arrivando e mi sento un pochino più protetto.
Lei ritrae la mano in un gesto offeso e cerca il mio sguardo. –Mi sei mancato.
-Non crederò a una sola parola  che dirai, ne sei consapevole, vero? – le domando, per rendere tutto più chiaro.
-Io non sono stata una buona madre, Gee, lo so, ma vorrei rimediare.
-Non chiamarmi Gee – ringhio. –Lui mi chiamava Gee.
-Lui, chi? – mi chiede, curiosa.
-Cosa vuoi da me? – ribatto. So che non è possibile che lei sia qui solo perché vuole fare pace, anche perché non credo che il fatto che lei mi abbia trovato sul divano del salone di casa nostra mentre baciavo il mio primo fidanzato sia stato così tanto traumatizzante da dovermi cacciare senza chiedere una spiegazione.
-Volevo solo vedere come te la passassi qui. Me l’ha detto Mikey, mi sono preoccupata.
-Ah, Mikey – sussurro, chiedendomi perché lui abbia parlato con la mamma. –Non credo tu voglia davvero sapere come me la passi, non trovi? Non vedevi i telegiornali?
-Si, che li vedevo, e non credevo a quello che dicevano. Io non ho cresciuto quel mostro che ha ucciso così tante persone, Gerard, tu non sei quel mostro – i suoi occhi sono definitivamente lucidi e credo stia per piangere.
-Io sono quel mostro, mamma – scandisco parola per parola. –Mi dispiace doverti contraddire, ma hai cresciuto un mostro sadico, okay? Io sarei dovuto essere, e tu avresti dovuto avere, un figlio migliore.
-Io non posso crederti, lo sai?
-Oh, devi – sottolineo l’ultima parola con un gesto netto della mano. –Ci sono cazzate che ho fatto con quella fottuta pistola… se te le raccontassi, piangeresti fino alle tue ultime lacrime.
-No… - sussurra. Abbassa lo sguardo sulle sue mani, congiunte sul tavolo, ma i suoi occhi tornano subito nei miei. Sono così familiari che quasi mi viene voglia di abbattere questo muro che ho creato e correre ad abbracciarla, ma scuoto la testa e mi dico mentalmente che non posso. –Lui chi è? – chiede di nuovo. Credo che ormai abbia intuito che questo “lui” era molto importante per me, si vede da come brillano i suoi occhi e da come sembra molto più curiosa quando lo nomina.
-Lui era Frank – spiego, soltanto. –Non voglio parlare di lui, non credo tu possa capire.
-Io… ci proverò – cerca di convincermi, ma nego con la testa. Lei non può capirmi. –Lui era come un tuo socio,no?
-Perché, perché fai finta di non capire?! – alzo la voce, indignato. –Perché ti vergogni ad ammettere di avere un figlio come me? Io sono il mostro che ha ucciso tutte quelle persone, io sono il ragazzo che amava con tutta l’anima Frank, ma che se l’è visto portare via! – si tira leggermente all’indietro, vedendo che sono così arrabbiato. –Fattene una ragione! – continuo. –E se, per le mie decisioni, sarò mandato all’Inferno, così sia. Ci andrò col sorriso sulle labbra.
La sua bocca si spalanca in un’espressione di disgusto puro. Lei mi odia quando parlo con parole blasfeme.
-Tanto andremo tutti all’Inferno, mamma. Moriremo tutti, non trovi? – domando, alzandomi in piedi.
-Non parlare così, Gee, per favore. L’Inferno te lo stai creando da solo, nessuno ti manderà lì se ammetterai di aver sbagliato – si stringe la borsetta al petto, come protezione.
-Ti ho detto di non chiamarmi Gee – la guardo, cattivo. –E, la prossima volta che vedi Mik, chiedigli se può mandarmi Bert: lui capirà.
Mi volto ed esco dalla mensa.



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xCyanide's Corner
Buonasera Motorbabies *^*
Allora, come avrete notato ci sono molte citazioni prese da Mama, ma sin dal prologo avevo avvertito della presenza di mooooltissime citazioni provenienti da varie canzoni e da vari gruppi.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio ovviamente tutti quelli che hanno recensito e che recensiranno.
Mi raccomando, continuate a farmi sapere cosa ne pensate, eh!

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 20
*** Chapter 19 ***


La luce mi colpisce gli occhi come se ci fosse una lampadina puntata direttamente dentro. Ma che idea mi è venuta in mente? Perché ho dato retta alla Wentz e l’ho seguita qui fuori? Io odio stare all’aria aperta, odio il sole, odio il vento, odio il caldo.
Sbuffo sonoramente, camminando lentamente dietro la psichiatra, che ogni tanto si guarda alle spalle, come per controllare la mia presenza.
-Hai scelto saggiamente, decidendo di uscire da qui – mi dice. –Ogni tanto un po’ d’aria fa bene a tutti.
Mi guardo intorno: la maggior parte dei pazienti, o perlomeno quelli che possono farlo, sono qui, in questa specie di giardinetto ben messo che si trova fuori dalla struttura. Per tutto questo tempo non ho nemmeno mai fatto caso alla sua presenza, ma non mi posso lamentare. Dal punto di vista estetico, non avrei potuto chiedere di meglio, sembra quasi un paradiso.
Peccato per tutte quelle persone buttate di qua e di là, in modo scomposto, che urlano e si lamentano di tutto e tutti. Questo non riuscirò a superarlo.
Sbuffo di nuovo, cercando un posto dove sedermi e potermi fare finalmente i cavoli miei. Ho portato un album da disegno e delle matite, niente in confronto a quello che avrei usato di solito, ma temo di dovermi accontentare.
-Dai, Gerard, vai e prova a fare amicizia! – mi incita la Wentz, ma il suo entusiasmo si placa subito vedendo lo sguardo omicida che le mando sorpassandola.
Mi siedo vicino a un ragazzo, l’unico che mi sembra apparentemente calmo, e mi sistemo con la schiena appoggiata alla corteccia dell’albero che si trova nel mezzo del giardinetto. Mi spingo le gambe verso il petto e ci poggio sopra l’album aprendolo delicatamente.
Vedo il ragazzo alla mia destra che mi guarda incuriosito con due grandi occhi azzurri abbastanza provati. I capelli un tempo rossi, credo, sono scoloriti e noto una lunga ricrescita mora. Si tiene la mano ferma usando l’altra, penso stiano tremando.
Improvvisamente, guardando la sua faccia, il suo comportamento e i suoi occhi sbarrati, mi sento normale, come se non avessi nulla.
Mi piego sul foglio e traccio una linea leggera, non so ancora cosa voglio far diventare quella riga. I lamenti che provengono dagli altri pazienti mi stanno quasi facendo perdere la pazienza. Per una volta che posso, vorrei non sentire niente. Niente voci, niente tristezza, niente sentimenti. Vorrei solo sentire il foglio ruvido accostato alla mia mano e il rumore della matita che lo percorre, niente più.
-Co-cosa stai f-facendo? – sento una voce che me lo domanda, ma decido di lasciarla perdere. Sarà sicuramente qualcos’altro nella mia testa che decide di rovinarmi la giornata.
Continuo così a pensare a cosa potrei disegnare, dato che proprio oggi che ho voglia, la mia fantasia sembra avermi abbandonato. Potrei provare a ritrarre l’uomo, quello che mi ha fatto la proposta, ma ho paura diventerebbe una cosa pericolosa, magari odia farsi ritrarre: ognuno ha i propri complessi.
Prendo un respiro profondo e alzo lo sguardo verso i rami dell’albero. Mi sovrastano un bel po’ e credo sia mia dovere disegnarli, è come se me lo stessero chiedendo.
Sorrido, soddisfatto della mia idea, e comincio a tracciare i contorni del ramo portante, quello da cui poi si formeranno tutti quelli piccoli.
-Que-quest’albero è q-qui da m-molto – asserisce sempre la stessa voce, ma mi sembra troppo vera per essere frutto della mia mente stavolta. Mi volto, quindi, a guardare il ragazzo alla mia destra, che continua a guardarmi come rapito da me.
“Questo cosa guarda?” mi chiedi, con la voce acida. Mi viene da ridere, sei così geloso!
Quello dai capelli rossi, intanto, aspetta una risposta, si vede da come mi sta fissando. –Emh… è bello, non trovi?
Lui sposta lo sguardo in basso, sulle mani che sta bellamente torturando tirando pellicine e facendo uscire sangue.
-E’ b-bellissima. M-mi ha fatto mo-molta compagnia – sussurra, come a voler ringraziare l’albero di ciò.
“Se questo non si toglie da qui, la prossima cosa che gli farà compagnia sarà un bel calcio nel didietro”
-Io sono Gerard, piacere – gli porgo la mano, ma lo vedo inorridito dal mio gesto.
-N-non mi piace f-farmi toccare – mi spiega, sta cercando di scusarsi, ma è okay. Gli sorrido, provando a farglielo capire e lui si rilassa un po’. –M-mi chiamo G-gabriel – si presenta, passandosi una mano sugli occhi e sporcandosi di sangue le palpebre.
Tento di non fargli pesare questa cosa, ma vedere la condizione di quelle mani mi fa davvero paura. Sono distrutte.
Rabbrividisco leggermente e ritorno a osservare il mio foglio, pregando che la smetta di parlarmi così da non doverlo più guardare.
-Co-cosa stai f-facendo? – mi domanda di nuovo, ripetendo la prima cosa che mi ha chiesto.
-Disegno, hai mai provato? – gli chiedo, sperando di non infastidirlo.
-Io… emh, io s-si, mi p-piaceva disegnare – i suoi occhi si fanno lucidi e ciò mi fa capire che questo ragazzo ha molti più problemi di me. Forse non dovrei lamentarmi.
“I problemi glieli creo io se non se ne va”
Di nuovo, mi viene da ridere, Frankie, ti ho sempre trovato bellissimo quando fai il geloso. E ti immagino con le gote leggermente arrossate e gli occhi arrabbiati. E ciò non può che farmi bene.
-Io disegnavo per il mio ragazzo, sai? – provo a fare conversazione. –A lui piaceva quando lo facevo, aveva anche un tatuaggio che rappresentava un mio disegno – Gabriel mi guarda curioso, come a incitarmi a continuare. –Ma ora lui non c’è più – dico tristemente.
-D-dov’è? – mi domanda, sedendosi a gambe incrociate e stiracchiando le braccia.
-E’ morto – lo dico con talmente tanta naturalezza ormai, che nemmeno mi rendo conto del peso che queste parole hanno sul mio cuore. Tu non sei morto, continuerò a dirlo all’infinito. –Cioè, lo hanno ucciso.
-I-io… m-mi dispiace – mormora, con gli occhi sempre più lucidi.
-Vuoi provare a disegnare? – propongo, sorridendo e cercando di cambiare discorso.
Annuisce con talmente tanto entusiasmo che temo gli si stacchi la testa prima o poi. Si pulisce le mani sui pantaloni, macchiando anch’essi di sangue, e si sporge per prendere l’album, evitando di toccarmi. Mi guarda, poi, spaesato, come se non sapesse nemmeno da dove cominciare e mi fa un po’ di tenerezza.
Avvicinandomi a lui e spiegandogli come deve fare, non posso fare a meno di chiedermi come mai sia qui, quale sia la sua storia e che razza di malattia abbia.
Credo proprio che Dio ci odi tutti quanti, e questa convinzione si radica sempre di più nel mio cuore, guardando giorno dopo giorno tutte le disgrazie che le persone provano. Si, deve proprio odiarci.





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xCyanide's Corner
Alloraaaa.. siamo quasi arrivati alla fine, eh! Per il vostro bene, aggiungerei LOL
Spero come sempre (sono ripetitiva) che questo capitolo vi sia piaciuto e mi raccomando fatemi sapere che ne pensate! *^*

Alla prossima, xCyanide

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Capitolo 21
*** Chapter 20 ***


Quando un spiraglio di luce mi colpisce gli occhi, mi convinco ad aprirli. Mi guardo intorno e mi sembra strano, è come se mi fossi risvegliato da un sonno lungo e per niente tranquillo. Stringo le palpebre per abituarmi alla luce che rimandano queste pareti bianche e mi rendo conto lentamente che c’è qualcosa che non va. Qualcosa che stona in tutta questa tranquillità.
A partire dal colore delle pareti… io le ricordavo blu, e ora?
Ora sembra quasi la stanza che dividevo con te nella nostra vecchia casa. Perché devo sempre immaginare tutto? Devo sempre illudermi che sono ancora qui con te, ma non è possibile. Io sono in un ospedale di igiene mentale, un manicomio!
Sento trafficare qualcuno in cucina e mi alzo velocemente, provocandomi un giramento di testa incredibile.
Mi poggio una mano sulla fronte, come a volerla fermare e sorrido per la mia stupidità.
-Gee, sei sveglio? – mi fermo a quelle parole. E’ la tua voce, ma stavolta è reale! Si sente, c’è una leggera differenza, è come se stavolta sapessi che non è tutto frutto della mia immaginazione.
In un riflesso incondizionato rido e mi dirigo velocemente verso la porta della camera, intento a raggiungere la cucina velocemente.
-Gee, vieni, che Mikey ci ha portato i muffin, quelli che ti piacciono tanto! – sei tu, lo so, stavolta sei tu!
Con una faccia da ebete, continuo a percorrere il corridoio tra la camera e la cucina, ripetendomi mentalmente che era davvero tutto un fottuto incubo, che tu non sei morto, che io non sono pazzo.
-Frankie? Frankie, sei tu? – domando, titubante. E se fosse anche questo tutto frutto della mia immaginazione? Se anche questo non fosse reale?
Ma quando finalmente varco la soglia della porta e ti vedo girato verso i fornelli, mi convinco che, che cazzo, sei davanti a me! Rido di nuovo, in modo malsano, e mi lancio ad abbracciarti, stringendoti come non ho mai fatto.
-Frankie! – esclamo, sentendo gli occhi che mi diventano umidi velocemente. Sento il tuo gomito scricchiolare rumorosamente quando ti giro verso di me per baciarti.
Le tue labbra, Frankie, mi sono mancate come l’aria. Continuo a piangere, quando apro gli occhi, per trovarti che mi fissi incuriosito.
-Cos’è tutta questa adorazione nei miei confronti? – mi chiedi, abbassando lo sguardo. Dio, mi sono mancati anche i tuoi complessi da fottuto timidone!
-Ti amo, okay? Ti amo tanto e mi sei mancato! – esclamo, con la voce interrotta da alcuni singhiozzi per via del pianto.
-Ehi, ehi, Gee, ora ti siedi e mi spieghi perché stai facendo così – dici duro, spingendomi a sedere su una delle sedie nella cucina. Mi guardi attentamente mentre mi asciugo le guance e cerco di calmarmi.
-Io… io ho fatto un cazzo di incubo maledetto! – esclamo poi, come se non avesse senso. –Ed era così reale che credevo fossi morto davvero!
Tu apri lentamente la bocca, come sorpreso, e ti siedi davanti a me. –Io… io morivo?
-Si, ci prendevano e ti sparavano e tu morivi! – mi prendo la testa tra le mani. –E io diventavo pazzo, schizofrenico, o una cose del genere. E sentivo la tua voce ed era vera! Capisci? Completamente matto! – parlo velocemente, tanto che devi sporgerti per capire cosa sto dicendo. –Fuori di testa! E poi arrivava un uomo che desiderava mi uccidessi per ritornare con te, ma tu non volevi e io… io non sapevo che fare, davvero! Ma avevo deciso di dare retta all’uomo e uccidermi e…
-No, aspetta, tutta questa roba l’hai sognata in una sola notte? Sicuro non sia la trama di qualche telenovelas che hai visto ultimamente?
-No no, ma che dici? – sbotto. –Io… - respiro profondamente. –Mi sembrava così vero, Frankie. Non sapevo come fare senza di te, mi sentivo perso. Ora… promettimi solo una cosa.
-Cosa? – mi guardi confuso. Molto probabilmente non stai capendo niente di quello che ti sto dicendo, è comprensibile. Ti sporgi e prendi le mie mani, baciando a una a una tutte le dita.
-Promettimi che non ruberemo più, promettimi che cercheremo di farci una vita normale, ci sposeremo e abiteremo in una villetta in un qualche paese sperduto dove nessuno ci conosce. Promettimi che saremo felici.
-Gerard, quello che hai intenzione di fare non sarà semplice, ne sei consapevole? – mi fissi negli occhi e vedo il completo smarrimento che ti ha provocato la mia proposta.
-Si, lo so, ma io non voglio che finisca tutto come nel mio sogno, capisci? Non ce la farei a perderti – sussurro, vergognandomi di credere a un incubo.
-Io… va bene – dici titubante. –Peccato che non sia possibile.
Sgrano gli occhi e li sento pizzicare. Che cosa stai dicendo?! Non puoi dirmi così, non puoi!
Cerco di stringere le tue mani, ma non le sento più, come se fossero scomparse nel nulla. Mi guardo intorno e vedo la cucina trasformarsi in un enorme buco nero. Mi alzo, spaventato, ma non faccio in tempo a muovermi, che vengo risucchiato. E mentre cado, tu mi guardi sorridendomi. Stavolta nemmeno tu puoi fare niente.
 
Quando mi risveglio per davvero, mi ritrovo sudato nel letto della maledetta stanza blu in cui sono segregato da tempo. Le mie guance sono bagnate anche adesso, ma non di gioia. Il sapore di queste lacrime è diverso, è come sale sulle ferite aperte.
Mi lamento, prendendomi la testa tra le mani e odiandomi per continuare a sognarti in modo così vivido. Ti odio, quasi, perché mi fai credere che sia tutto possibile. Ma non lo è, Frankie, non lo è!
Tu non mi guarderai mai più negli occhi, non mi prenderai la mano, non mi sveglierai urlando che è pronta la colazione e non mi amerai più.
Mi rigiro nel letto, spingendomi il cuscino sulla faccia, in un vano tentativo di riuscire a sentire qualcosa che non sia dolore mentale.
Forse l’unico che dovrei odiare sono io, dovrei uccidermi e farla finita, in modo da riscattare almeno un poco la tua vita, no?
La stoffa del cuscino mi impedisce di respirare e riesco a resistere per qualche secondo, prima di staccarmi e prendere una boccata d’aria a bocca aperta.
-Non ce la faccio – sussurro, cercando di asciugarmi le lacrime. –Non ce la faccio più – mugugno.
Io… devo vedere Bert, anche domani, ora, quando vuole! Mi serve.





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xCyanide's Corner
Okay, vi autorizzo a prendermi a parolacce e a lanciarmi qualcosa dopo questo capitolo *si nascone in un bunker sotterraneo e si rinchiude*
Spero come sempre che vi sia piaciuto e ci tengo a ricordarvi che questo è il penultimo capitolo (escludendo ovviamente l'epilogo, che io non calcolo come capitolo)
Speravo di metterlo domani l'ultimo, ma dipende da come mi gira, perchè ho già tutto bello che finito nel mio computer LOL
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito e mi raccomando, continuate a farlo.

Alla prossima, 
xCyanide

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Capitolo 22
*** Chapter 21 ***


Ho deciso di scrivere le note all'inizio per questo capitolo. Essendo il penultimo (domani posto l'epilogo) vorrei approfittarne per ringraziare chiunque abbia recensito o anche solo letto.
Volevo solo farvi sapere che sono veramente contenta del "successo" (se così si può chiamare) che ha avuto questa fic, ci ho messo un pezzo di me che molto probabilmente non avrò mai indietro. Per cui, curatelo.
So che dopo questo capitolo mi odierete, nessuno vi biasima, ma ci tengo a dirvi che vi voglio davvero tanto bene, perchè per un momento mi avete fatto sentire un pò importante, mi sono sentita bene a postare i capitoli e a sapere che c'era qualcuno che li aspettava.
Spero solo che anche questo capitolo vi piaccia e voglio vedervi numerosi come sempre anche domani, quando posterò l'ultimo capitolo effettivo.
Grazie ancora per tutto, per gli scleri e per i complimenti, non smetterò mai di dirvelo.
E ora... potete anche picchiarmi *porge mazze chiodate*
Buona lettura <3


 


Otto, i giorni che Bert mi ha fatto aspettare prima di portarmelo. Otto, le ore che ho messo per decidere se usarlo o meno. Otto, i minuti che ho usato per capire come avrei dovuto usarlo. Otto, i secondi che impiegherà a uccidermi.
Una sola parola aleggia nella mia testa, in questo momento: cianuro.
Rigiro la piccola bustina tra le mie mani e mi domando come abbia fatto Bert a farlo passare nonostante tutti i controlli che ci sono qui. Mi ha anche mandato un biglietto. Lui capisce cosa voglio fare, ma soprattutto lui sa che non mi fermerei per niente al mondo.
Prendo il foglietto e lo leggo nuovamente, sorridendo malinconico. “Mi mancherai amico, ti voglio bene. Salutami Frank” Credo di aver sempre saputo che Bert avrebbe segnato la più grande svolta della mia vita, ma immaginavo che il motivo sarebbe stato un altro. Magari, mi avrebbe pagato un bellissimo viaggio di nozze a Miami, chi lo sa!
Rido, al solo pensiero. Avremmo avuto proprio un bellissimo futuro io e te, Frankie.
Sbuffo, camminando avanti e indietro nella stanza. Devo solo avere il coraggio di aprire la bustina e rovesciare il contenuto in bocca. Aspettare otto secondi e andarmene. Per sempre. Finalmente.
Forse… forse dovrei lasciare scritto qualcosa. Per salutare Mik, Alicia e tutti gli altri. Per fargli capire il mio punto di vista, o cose del genere. Si, dovrei proprio farlo.
Apro il cassetto e tiro fuori il mio diario e una penna. Mi siedo sul letto e mi sistemo il foglio sulle gambe, cercando di trovare una posizione comoda. Impugnando la penna, cerco di dare vita ai miei sentimenti e alle frustrazioni che mi stanno mangiando dall’interno. Ringrazio mio fratello dell’appoggio, i miei amici dell’amore che mi hanno donato (nonostante non lo meritassi) e li saluto. Voglio che l’ultimo ricordo che abbiano di me, sia di una persona felice di quello che faceva, felice di andarsene.
Poso lo sguardo, poi, sulla bustina. Devo sbrigarmi, se non voglio che qualcuno entri in camera prima che abbia deciso e mi faccia cambiare idea.
Mi strofino gli occhi con le dita e rido di nuovo, prima di aprire la busta e rovesciarla nella mia bocca.
I granelli bianchi mi invadono la bocca e aspetto un poco prima di succhiarli per sentirne il sapore. Sono aspri e sanno di mandorle avariate. Storco il naso e mi lamento, prima di mandare giù e consegnarmi a morte certa.
Mi sdraio a pancia in su e chiudo gli occhi, stranamente calmo.
Otto.
La gola comincia a bruciarmi e la bocca mi pizzica, come se si fosse addormentata. La nausea sopraggiunge, ma cerco di non sentirmi male subito. Voglio godermi i miei ultimi secondi.
Sette.
Il mio braccio si piega involontariamente verso la testa e i muscoli cominciano a farmi un male bestia. Mi lamento a mezza voce e mi giro di lato, provando ad alleviarmi il dolore. Inutile.
Sei.
Il letto diventa sempre più astratto e ora non c’è più niente sotto di me. La nausea cresce perché ho le vertigini, apro gli occhi e vedo nero. Il mio corpo cerca di espellere il cianuro e mi sporco tutta la maglietta vomitando.
Cinque.
Piego le gambe verso il petto, urlando, perché sono pressoché paralizzate. Le stringo e curvo la schiena, maledicendo il dolore allo stomaco. Un’ombra comincia ad avvicinarsi a me e spalanco ancora di più gli occhi, non puoi essere tu.
Quattro.
“Cosa stai facendo…” cominci, ma non è una domanda. “Ti avevo chiesto in ginocchio di non farlo!” urli. Ora posso vederti chiaramente, amore, sei qui davanti a me. Lui ha mantenuto la promessa.
Tre.
Respiro a fatica, cercando di portare una mano sulla tua guancia. Stai piangendo, lo vedo da come il tuo corpo è scosso. Non dovresti stare così, Frankie, saremo insieme. Dovresti sorridere.
Due.
Non sento più il mio corpo. Vedo solo te, sempre più accasciato addosso a me e sempre più disperato. “Tu non crederai a lui, vero?!” continui a sbraitare. “Lui non mi permetterà di venire con te!” Urlo.
Uno.
Non ci sei nemmeno più tu. Non c’è più niente. Solo dolore. Un forte dolore al petto, al cuore. La consapevolezza che tu hai ragione. Che lui ci ha mentito.
Non voglio morire, sto solo sperando di non essere nemmeno nato. Sto sperando che questo sia solo un brutto scherzo di dubbio gusto che mi ha riservato Dio. Ma non è così.
Trattengo il respiro per un attimo e mi lamento, prima di sentire un piccolo sussurro.
“Sei sempre stato tonto. Ti amo per questo”
E non sento più niente.
Zero.

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Capitolo 23
*** Epilogue ***


Mikey si asciuga le lacrime con la manica della felpa. L’aveva voluto lui.
Se non avesse voluto raccontare quella storia, non starebbe così ora. Ma va bene in questo modo, va bene farsi del male cercando di ricordare quando si stava bene.
Gli avevano detto della morte di Gerard poco prima che i suoi due bimbi nascessero, non sapeva se essere felice o no.
Certo, quelle due creaturine che stanno dormendo nelle culle sono talmente tanto speciali  e belle che lui non può fare a meno di sorridere, ma nel frattempo non può permettersi di essere completamente felice, rendendosi conto di quanto assomiglino a suo fratello.
Sente Alicia trafficare in cucina, borbottando perché non riesce a trovare un qualcosa che Mik non riesce a capire.
Ritorna, poi, con lo sguardo ai piccoli e li trova abbracciati che sonnecchiano. Forse la sua storia ha avuto l’effetto desiderato. Crede che, da una parte, avesse anche bisogno di raccontarlo a qualcuno e i suoi figli (Dio, faceva ancora strano pensarlo) erano forse le persone che l’avrebbero ascoltato sempre, senza lamentarsi o controbattere.
Avrebbe dato un’idea bellissima dei loro zii, avrebbe fatto in modo che anche loro li amassero, perché, anche se non ci sono più, vuole fare in modo che continuino a vivere nel ricordo di chi li ha amati.
Crede che non smetterà mai di stimarli, per nessun motivo al mondo. Loro erano quello che lui definisce “amore”. Non ha mai visto nessun altro che si struggerebbe così.
Ci ha ripensato spesso, ma non è del tutto convinto che quello che vedeva Gerard fosse tutto frutto della sua immaginazione. Non è possibile che la mente arrivi a fare questi brutti scherzi solo per lo stress e la frustrazione.
Forse era l’inferno personale che aveva voluto crearsi suo fratello, forse era per la solitudine che lo stava mangiando vivo, non lo sa.
-Mikey? – lo chiama Alicia, entrando in camera. –Gee e Frankie dormono?
Lui si limita ad annuire. Abbraccia Alicia e la stringe, come se avesse paura che volasse via da un momento all’altro.
Sa solo che la loro storia gli ha insegnato che non è vero che non esiste niente.
C’è un inferno, credetegli, l’avevano visto coi loro occhi.
C’è un paradiso, un posto dove le persone che si amano possono stare insieme, ma forse è meglio tenerlo segreto.
 
 
“Sarebbe una cazzata iniziare questa lettera dicendo che non avrei mai voluto uccidermi, perché non è così.  Dal primo momento in cui ho visto il mio Frankie morire, la morte è diventato il mio più grande desiderio.
Non prendetevela con voi stessi, non c’entrate niente. Spero solo che smettendo di respirare, finisca anche il dolore.
In questo momento sto fissando il cianuro, chiedendomi se debba farlo o no, e l’unica risposa che riesco a darmi è che si, devo farlo!
Devo farlo per Frank, devo farlo per me stesso.
Voglio solo che voi sappiate che vi amo con tutto il cuore, come non ho mai amato nessuno. E vorrei tanto salutarvi un’ultima volta, abbracciandovi tutti e ringraziandovi di essermi stati vicino, soprattutto Mikes.
Un essere come me non merita di certo tutto quello che siete riusciti a darmi voi, non ne valgo la pena. Ma mi avete sempre fatto sentire importante.
Sono contento, ora, sapete?
Sto per raggiungerlo, non potrei chiedere di meglio.
Vi basti conoscere questo.
Ricordatemi col sorriso sulle labbra, okay? Ricordatemi felice dopotutto. Soddisfatto di aver condotto una vita come la mia, vicino a persone come voi. Ricordatemi per quello che non sono.
xoxoG”



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xCyanide's Corner
Stavolta siamo davvero alla fine e mi dispiace in una maniera allucinante aver già finito di pubblicare questa fic. Come già detto, mi ero affezionata ai personaggi e ai loro problemi ç____ç
Vorrei come sempre ringraziare chi ha recensito finora e chi recensirà questo capitolo, vi amo tanto.
E dedico questa fic a tutti quelli che mi hanno appoggiato mentre la scrivevo e ai miei amici (quelli virtuali e non), perchè mi sono sempre vicino. Ringrazio soprattutto Gee_Echelon (che mi ha dato l'idea per l'epilogo :3) ed Hey_Ashes.

Alla prossima fic, 
una xCyanide depressa perchè ha finito.

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