I'll look after you.

di Charlotte Stewart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prologo -pov Bella. ***
Capitolo 2: *** 1. Prologo -pov Edward. ***



Capitolo 1
*** 1. Prologo -pov Bella. ***


 

 

 

 

PROLOGO:

 

Quando ero piccola pensavo che sarei stata sempre con i miei genitori,che loro non mi avrebbero lasciato mai da sola. 

Ma la vita è piana di sorprese e risvolti spiacevoli. 

Il giorno del mio ottavo compleanno dovevamo andare a mangiare fuori,al 'Chicco di riso'. Pioveva,faceva freddo ma per quanto avessi paura dei temporali l'eccitazione e la felicità erano di gran lunga superiori. 

Indossai il mio vestito preferito. Uno nero a maniche corte,lungo fino alle ginocchia con un grande fiocco di velluto nero alla vita. 

Papà mi fece indossare il medaglione in argento della nonna con le loro foto dentro e mi posò un bacio sulla fronte.

Sorrisi tutto il tempo. 

Salimmo sul SUV nero e partimmo verso il 'Chicco di riso'. Avevamo fatto così tante volte quella strada che non pensavo che qualcosa sarebbe andato storto.

La pioggia cadeva copiosa e provocava un fastidioso rumore battendo sul parabrezza e suoi finestrini.

Papà sorrideva alla mamma tenedo la sua mano intrecciata a quella di lei sul cambio. Sorrisi a quell'immagine così tenera. 

Sognai tante volte di avere una storia d'amore come la loro. Di trova il principe azzurro che mi rendesse felice..

Improvvisamente un animale attraversò la strada,papà sterzò per evitarlo e la macchinà finì fuori strada. 

Urlai chiamando i miei genitori,ma loro non si muovevano. Mi faceva male la testa,il braccio destro e avevo male a tutto il corpo. Dopo poco vidi sul il buio. 

Mi risvegliai in una stanza do ospedale,su un lettino,con un ago nel braccio che mi inniettava della morfina. 

Ero completamente ricoperta di graffi. Non erano molto profondi ma erano comunque dolorosi. 

Avevo un braccio rotto e la testa era fasciata.. ma almeno io ero viva.

Quando chiesi dei miei genitori nessuno degli infermieri presenti in stanza risposero. 

Pensavo che non avessero sentito la domanda,ma quando vidi una signora piangere e una dei servizi sociali accanto capì che i miei non sarebbero mai più tornati. 

Dopo essermi ripresa,la signora dei servizi sociali mi disse che dovevo rimanere nell'orfanatrofio fino a quando non avrebbero rintracciato mio zio Marcus,l'unico fratello di mia madre ancora in vita. 

Arrivammo davanti il grande edificio e rimasi a fissarlo per un po'. 

Aveva grandi finestre,gli infissi erano scoloriti. Alcuni bianchi,celestini altri ancora azzurri. I vestri erano sporchi,opachi,e le tende gialle che si vedevano dalla strada erano rovinate. 

Salì le scale,portandomi davanti al grande portone marrone,sbiadito anch'esso. Aveva un grande maniglione a forma di leone nel mezzo. 

La signora Margaret,così si chiamava,bussò tre volte prima di essere aperti dalla direttrice. 

Margaret spiegò la mia situazione e poi se ne andò via,lasciandomi lì come un pacco che era stato recapitato. 

La direttrice era una donna alta,snella con un'espressione sempre seria stampata sul volto. Aveva i capelli raccolti in uno chignon e della leggera matita attorno agli occhi per valorizzare l'azzurro di essi. 

La mia stanza era l'ultima del corridoio del secondo piano. 

Era piccolissima! C'era solo un comodino,un letto e una piccola lampada. I muri erano scuri,la finestra sporca,non c'era il riscaldamento e si sentiva puzza di vomito. 

Ero quasi sicura che prima del mio arrivo quella non era affatto una stanza. 

Nei giorni successivi provai a socializzare con le altre bambine,ma nessuna di loro era interessata a fare amicizia con me. Così,mentre loro erano fuori nel cortile a giocare,io andavo in biblioteca,prendevo un libro e salivo in camera a leggere. Alternando lo sguardo dalle pagine scritte alle bambine felici in giardino. 

Ad ogni compleanno mi cantavo la canzoncina da sola,stringendo tra le mani l'unico ricordo della mia famiglia,il ciondolo della nonna. 

Guardavo le foto di mamma e papà,dicevo auguri e mi addormentavo con il viso bagnato di lacrime. 

Passai così tanto tempo in quel posto che vidi le bambine diventare ragazze,vidi la signora direttrice invecchiare e morire,vidi il giardino appassire,giorno dopo giorno. Vidi le pagine dei libri ingiallire insieme al vecchio comodino. Vidi il mio corpo crescere e diventare più maturo. 

Pensavo che sarei morta dentro quella fotutta stanza,ma un mese dopo il mio diciassettesimo compleanno mio zio Marcus venne a prendermi,diventando così il mio tutore legale. 

Mi faceva sempre provare agitazione e disagio con i suoi sorrisi languidi e le sue carezze lascive. 

Quando scesi giù per le scale e lo vidi sorridermi mi venne l'irrefrenabile voglia di fare marcia in dietro e di ritornare in camera e chiudere la porta chiave. 

Mi accarezzò una guancia e mi scortò fuori,fino alla macchina di lusso che ci aspettava.

Arrivammo a casa sua,una grande villa bianca di quattro piani con un grande giardino davanti. 

Scendemmo,mi mise una mano sul fianco destro e mi sussurrò all'orecchio: " Benvenuta a casa,mia cara." 

Provai a ingnorare il brivido di terrore e disgusto che mi aveva procurato quella frase e facendomi coraggio superai il grande cancello di ferro. 

Adesso iniziava la mia nuova vita. 

 

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Allora,questa è solo una piccola anticipazione della storia.

A scriverla siamo in due. Io,Charlotte,e la mia amica Ronnie. :)

Abbiamo deciso di dividerci i compiti: io scriverò i pov Bella e lei i pov Edward. Così da non creare casino e confusione. xD

Il prossimo aggiornamento sarà un prologo dal punto di vista di Ed,sul suo passato e sui com'è finito a .. bhe,lo scoprirete da soli. lol

Spero vi piaccia e che vi incuriosisca. :)

Un bacio,charlie&ronnie.

 

ps: ringrazio la mia futura sposa Clelia per il bellissimo fanmade. :3 

I love u. 

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Capitolo 2
*** 1. Prologo -pov Edward. ***


 

 

PROLOGO: POV EDWARD.

 

 

 

 

 

 

“Non farlo Edward!sentivo ancora le urla di mia madre nelle orecchie,quando sferrai il pugno a mio padre che stava picchiando selvaggiamente mia sorella.
Il bastardo reagì al pugno scaraventandomi a terra,sul freddo pavimento di marmo della cucina.
Ricordai solo il sapore del sangue che mi uscì dal labbro e poi il buio.

Mi risvegliai in un fottuto letto di ospedale tutto indolenzito. Il coglione mi aveva colpito il naso e avevo una guancia sfregiata,ma quello non era niente a confronto a quello che subivano ogni sera le donne della famiglia. In quanto maschio mio padre non mi toccava,anzi,alle volte voleva che contribuissi anche io.

Sì. era uno d quegli uomini che ritengono le donne inferiori.

Il senso di colpa che provo per aver lasciato che in questi anni mio padre continuasse quella tortura non mi lascia in pace,ne di giorno ne di notte. 

Mentre sono immerso nei pensieri un dottore sulla quarantina circa mi si avvicinò e iniziò a fare domande.

Dopo che mi medica con cura,mi porge la domanda che tanto temevo: “Sei vittima di violenze domestiche?”
Iniziai a sudare a freddo. Avrei tanto voluto rispondere di ‘si’ e mandare quel verme schifoso in galera ma a cosa sarebbe servito? A niente.

La mia famiglia era importante,molto ricca e conosciuta. Nessuno avrebbe creduto che il bellissimo e affascinante dottor Carlisle Cullen era un mostro che picchiava moglie e figlia.
“no” – dissi mentre pensai a qualche scusa credibile da dire, - “faccio equitazione da poco,quindi cado molto spesso da cavallo” -azzardai.
Un'ora dopo mi dimisero dall'ospedale.
Non c'era nessuno ad aspettarmi per riportarmi a casa,così dovetti camminare per raggiungere casa.
Appena arrivai mi diressi in camera mia per stare da solo. Volevo evadere,dimenticare tutto e ricominciare lontano da lui.

Mamma cercava di entrare e bussò ripetutamente la porta ma senza successo.
La stanchezza incominciò a farsi sentire e in poco tempo sprofondai in un sonno profondo.

Mi svegliai di soprassalto dopo l’ennesimo incubo e presi finalmente la decisione.
Presi dall'armadio il mio vecchio borsone e ficcai più cose possibili. Presi anche anche i pochi soldi che mi erano rimasti dal mio nascondiglio dietro il quadro di famiglia.
Andai nella stanza di Rose per dargli un ultimo saluto,mi avvicinai al suo letto facendo attenzione a non svegliarla e mi chinai lasciandole un delicato bacio sulla fronte  sussurandole all’orecchio: 'tornerò e ti porterò via con me'.
Lasciai la stanza di mia sorella e mi diressi verso la stanza dei miei genitori.
Mio padre doveva essere ancora a lavoro o in giro a ubriacarsi.

Entrai in punta di piedi e lasciai un bigliettino sotto il cuscino della mamma,con la speranza che lei lo leggesse il mattino dopo. Mi chinai e le diedi un bacio,asciugandomi una lacrima che era scappata al mio autocontrollo.
Dovevo sbrigarmi,Carlisle poteva tornare da un momento all’altro e non c’avevo proprio voglia di affrontarlo di nuovo. Avrei rischiato di farlo arrabbiare e il pezzo di merda si sarebbe sfogato sulle donne,non si di me.

Figlio di puttana!  
Stringendo i pugni uscii dalla porta principale.
Camminai molto,ad un tratto mi accasciai sotto un sottoscala.

Erano giorni che vagavo senza meta. Non sapevo ne dov’ero e ne quanto avevo camminato. Sapevo solo che avevo fame,che mi serviva un riparo e che i soldi stavano per finire.

Erano nella merda più totale.
Avevo perso le speranze,nessuno voleva un barbone come dipendente.
Ma poi ripensai a quelle parole sussurrate all'orecchio di Rose e alle parole sul biglietto per mia madre: “ VI SALVERO”.
Per la sensazione di fallimento mi addormentai. Al mio risveglio mi ritrovai su un letto,più che un letto mi sembrava una branda. La stanza non era molto grande e l'unica cosa che faceva parte dell'arredamento era una sedia marrone mezza marcia.
In quel momento si aprì la porta e da lì scorsi l'immagine di un ragazzo,di media statura e dai capelli biondi.
“ Come ti senti?” – mi domandò.
Ero troppo scioccato e confuso per rispondere.
Non sentendomi rispondere il ragazzo entrò nella stanza e si avvicinò al letto.
“ Non preoccuparti,qui sei al sicuro. Io sono Jasper e voglio aiutarti.”

Ormai erano più di tre anni che conoscevo Jasper.
Lui era il mio migliore amico.
Mi aveva salvato la vita,quel giorno portandomi a casa sua e prendendosi cura di me.
Quando gli chiesi la spiegazione di quell'azione lui rispose: “ Non lo so perché, l'ho fatto e basta. L'unica cosa che sapevo in quel momento era: lo devo aiutare.”
Anche Jasper proveniva da una situazione familiare difficile,non sapevo di preciso di cosa si trattasse perchè non ne voleva mai parlare,sapevo solo che per mantenersi faceva lo spacciatore,ma non ne aveva mai fatto uso perché sapeva che era sbagliato.
Eravamo come fratelli.
Aveva più volte cercato di farmi smettere con la droga ma tutto finiva sempre con una litigata e lo costringevo a darmi la mia dose giornaliera.
Mio padre un anno dopo la mia fuga da casa si trasferì in un altra città senza lasciare traccia,avevo provato più volte a sapere l'indirizzo della loro nuova dimora ma nessuno sapeva darmi una fottuta risposta.
Iniziai a dedicarmi alla box e iniziai a diventare ogni giorno più bravo.
Era diventato il mio sfogo e anche la mia fonte di guadagno: grazie ai combattimenti clandestini riuscivo a racimolare una buona somma di denaro, che però subito si prosciugava, perchè li spendevo quasi tutti per la mia dose.
Si,le mie giornate erano suddivise tra: alcool,sesso,box e droga. 

 

 

Salve, sono Ronnie,l'altra 'scrittrice' di questa ff. :3

Questo è la breve storia di Edward e voglio ringraziare Charlotte per avermi dato delle dritte.

Spero vi piaccia e.. aspettiamo i vostri commenti positivi e negativi.

xoxo e al prossimo capitolo.

Charlotte&Ronnie.

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