The Season

di Emily Alexandre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter I ***
Capitolo 2: *** Chapter II ***
Capitolo 3: *** Chapter III ***
Capitolo 4: *** Chapter IV ***
Capitolo 5: *** Chapter V ***



Capitolo 1
*** Chapter I ***


Salve a tutti voi che siete approdati qui! Devo ammettere di essere un po' emozionata mentre pubblico questa storia... The Season è nata per caso, in un momento in cui non riuscivo a scrivere altro, ed è stata dettata, come spesso accade, dal desiderio di analizzare un periodo storico, di gettarmici dentro attraverso la macchina del tempo della scrittura. E dunque, eccomi qui. The Season è una mini long di cinque capitoli in cui ho voluto ricreare l'atmosfera del periodo della Reggenza, che si pone tra il 1811 e il 1820. Nella fattispecie, qui ci troviamo nel 1814 a Londra, durante il periodo della Stagione mondana.
Sono fiera di definirla una storia verde, perché è così che dovrebbe essere quel periodo, in cui persino una stretta di mano troppo prolungata creava scandalo. Mi sono voluta ispirare a Jane Austen e Oscar Wilde, pur non avendo ovviamente la pretesa di scrivere come loro. Diciamo che è stata una divertente avventura, che spero possa piacere anche a voi. La storia è già interamente scritta, quindi gli aggiornamenti avverranno ogni sabato, a cadenza settimanale; non dovrebbero esserci ritardi, ma visto che nella vita è bene mai dire mai, se il sabato non dovessi riuscirci il capitolo nuovo arriverà comunque subito dopo; ad ogni modo, vi avviserei tramite il gruppo facebook (Dove sarò felice di accettarvi se vorrete; è un angolo di chiacchiere, più che altro, oltre che di spoiler e gossip sulle mie storie), il blog (Dedicato prettamente agli spoiler) e, per non farci mancare nulla, il forum sulla mia pagina personale qui, su efp.
Il font è volutamente il Courier New che, se è vero che è poco piacevole, mi ricorda moltissimo le stampe dei libri di quel periodo. Credo che come premessa sia fin troppo lunga, non mi resta che ringraziare Butterphil per la splendida copertina e Lyra per il betaggio e le infinite consulenze! 
Detto ciò, buona lettura! Che la Stagione abbia inizio.
[Colonna sorona del capitolo]

 

Ai  rating verdi, ai leprecani verdi, alla famiglia verde e ai cocktail rosa.
A chi resterà anche oltre la fine.

 

 

“È una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere alla ricerca di una moglie.” [Orgoglio e Pregiudizio]



 

La casa degli Astor godeva di una meravigliosa vista sul lago; situata sopra l’unica collina del paese, sovrastava le dimore sottostanti e si specchiava nell’acqua cristallina, il cui riflesso sulle mura candide conferiva allo spettatore la sensazione di trovarsi in un luogo incantato. Gli Astor lo sapevano, ovviamente, e godevano della notorietà che la dimora portava loro da secoli, sin da quando il capostipite, un certo capitan Benjamin Hector, aveva ricevuto in dono quegli acri di terra dalla regina Elisabetta per averla servita con onore nella guerra contro la Invencible Armada spagnola. Inutile sottolineare come, quella sera, i viali illuminati da una profusione di candele profumate e i canti degli uccelli notturni appollaiati sugli alberi facessero sentire gli invitati alla festa quasi ospiti di Oberon e Titania in quel sogno di una notte di mezza estate.
Nei giorni antecedenti la festa, l’atmosfera era divenuta elettrica: i nomi dei possibili partecipanti erano stati sussurrati di labbra in labbra e tutta l’elite del paese era in trepidante attesa di scoprire se le voci che circolavano fossero attendibili e se quelle persone avrebbero davvero presenziato all’evento.
La Stagione si era conclusa a Londra la settimana precedente e tutti i signori erano rientrati a Maidenhead, dove avrebbero trascorso il tempo intrecciando relazioni amorose, o rompendole, e preparandosi per la successiva Stagione, che sarebbe iniziata a dicembre. Quella sera, a modo loro, gli Astor festeggiavano la fine del periodo mondano e, si diceva, avrebbero annunciato il fidanzamento della loro preziosa figlia.
Quando la più giovane delle sorelle Palmerston posò il piede sulla ghiaia del viale, scendendo dalla carrozza, trattenne un sospiro estasiato; sua sorella maggiore, al contrario, era così intenta a cercare qualcuno da notare a malapena l’ambiente circostante. Quanto a Miss Palmerston, notò con una punta d’acidità come quell’anno i padroni di casa avessero decisamente esagerato, rendendo il bello leggermente pacchiano, poi si diresse all’interno della villa. Le altre due la seguirono poco dopo, accettando entrambe il braccio del cavaliere che le aveva appena raggiunte per scortarle; erano state tra le ultime ad arrivare, così si ritrovarono in sale già affollate che erano un vortice di stoffe colorate e profumi violenti, dove lo champagne scorreva a fiumi e i dolci erano articolate piramidi zuccherose.
E fu proprio lì, dietro una di quelle piramidi, che le due giovani lo videro, apparentemente intento ad ascoltare i discorsi di altri due signori che però non riconobbero.
Dunque era vero, il conte di Cecil, uno dei migliori partiti in circolazione, si trovava ospite degli Astor; chi era rimasto indietro con i pettegolezzi dell’alta società di Londra fece scorrere lo sguardo verso Miss Palmerston, ma coloro che erano stati attenti ad ogni minimo movimento sembravano non avere dubbi sulla ragione della sua presenza.
Iniziarono le danze, sotto l’attento sguardo delle matrone, e le chiacchiere sciocche e futili tipiche di quelle feste, e tutto accadde senza particolari emozioni e colpi di scena.
Infine, quando Sir Astor e la sua famiglia salirono un paio di gradini dell’imponente scalinata per il grande annuncio, sull’intera sala calò il silenzio, interrotto solo da qualche gridolino fuori luogo che fece guadagnare alle autrici occhiate stizzite. Prima che il padrone di casa potesse parlare, però, una domestica varcò la porta di corsa, i capelli i disordine e le gote esangui.
-Un morto,  mio signore, un morto!- fu tutto ciò che riuscì a dire prima di svenire.
 

 Tre settimane prima

 
Era un giugno particolarmente caldo, quello, persino nell’uggiosa Londra; la casa dei Palmerston era situata poco lontano da Hyde Park, in una via signorile ed elegante i cui lati erano un susseguirsi di ville tutte uguali, dai muri bianchi e dai giardini perfettamente curati.
Era una mattina come tante, con sir Palmerston che sorseggiava il tè leggendo le ultime notizie sul Times e sua moglie che dava disposizioni per il pranzo. Quando Emma fece il suo ingresso, spumeggiante come era solita essere persino di prima mattina, i suoi genitori stavano discutendo sulla necessità di iniziare ad inviare alcuni pacchi a Maidenhead.
-La Stagione si concluderà in tre settimane, mia cara, dovremo iniziare a riportare quello di cui non abbiamo bisogno a casa.
-Torneremo subito dopo?- si inserì Emma.
-Sì, giusto in tempo per la festa dagli Astor.
A quelle parole seguì uno sbuffo esasperato e poco signorile di Lady Palmerston, che subito dopo uscì dalla stanza lasciando dietro di sé una divertita figlia e uno spaesato marito.
-Cos’ho detto di sbagliato? Credevo che gli Astor le piacessero.
-Le piacevano, infatti, ma questo prima che Miss Astor fosse sul punto di fidanzarsi con il conte di Cecil e Trevon continuasse a perdere tempo e soldi in compagnia di quella Virginia. Sai quali erano i piani di mamma...
Sir Palmerston scosse la testa avvilito –Se solo si decidesse a prendere in considerazione mio nipote! Arthur è giovane, proviene da un’ottima famiglia, perché secondo lei non è abbastanza per Claire? Risparmierebbe energie e io sarei più che felice di sapere che la mia figlia maggiore vive nella casa di famiglia, che lui erediterà alla mia morte.
-L’abbiamo visto così poco, papà. La sua ultima visita risale quando? Cinque anni fa?
-Beh, a questo si porrà presto rimedio: mi ha scritto proprio ieri per farmi sapere che sarà a Londra per la conclusione della Stagione.
Emma sorrise a quella notizia: ricordava bene il cugino Arthur, nonostante non avesse che dodici anni l’ultima volta che l’aveva visto. Aveva un volto simpatico, oltre che bello, benché all’epoca non avesse fatto molto caso a quel dettaglio: quello che le piaceva di lui era la spontaneità con cui assecondava le sue trovate, i suoi giochi e le sue gite all’aria aperta. Una volta aveva addirittura accettato di partecipare ad una recita che lei aveva organizzato in giardino: lei era Porzia, Arthur Bassanio, Eve Nerissa, Claire Bassanio e Lotty il cane Antonio. Shylock era stato ritenuto troppo crudele per comparire.
Era successo molti anni prima e ormai Emma era una signorina quasi in età da marito e il cugino un uomo fatto.
-Sarà bello rivederlo.
-Rivedere chi?
Quando Claire entrò in sala da pranzo porto con sé uno struggente profumo di lavanda, che contribuiva ancor di più a renderla l’eroina romantica che amava impersonare; ironico, considerando che il romanticismo di Claire valutava le tenute e i possedimenti non certo per giudicare la quantità di rose che poteva ottenere da un certo pretendente.
-Arthur. Sarà a Londra in due giorni.
-E la cosa ci interessa?- domandò mentre si posizionava con eleganza il tovagliolo sulle gambe.
-Claire, non essere antipatica.- Eve si chinò a baciare il padre e lasciò una carezza sulla guancia della sorella minore, -Arthur è pur sempre nostro cugino, oltre che l’erede di papà.
Sir Palmerston osservò le tre figlie sedute attorno al tavolo: Emma, la più piccola, intenta a spalmare la marmellata sul pane con le labbra leggermente aperte e i riccioli color del miele che le ricadevano sul volto; Eve, la mezzana, forse la più bella tra le tre, con quei capelli biondo cenere, ma anche la più posata; infine Claire, che somigliava in maniera impressionante alla zia da cui prendeva il nome, pelle candida e boccoli neri come la notte più buia, e il padre non poteva che augurarsi che da sua sorella avesse preso solo il nome e non anche l’infausto destino. Diverse, eppure in qualche modo concatenate tra loro.
-Perché non lo sposi tu, allora?
-Claire, per favore.- intervenne il padre –Nessuno sposa nessuno, Arthur è solo in visita.
-È proprio quello il problema papà!- esclamò allora la figlia, posando violentemente il tovagliolo sulla tavola e alzandosi in piedi, -Non si sposa nessuno.
Sir Palmerston seguì con lo sguardo la primogenita che usciva dalla sala, poi si voltò verso le altre due figlie. –Sono solo le nove e mezza e in questo luogo si sono già consumati due drammi. Direi che é ora di recarmi al club. Cercate di rimanere in vita, voi due, possibilmente sane di mente.
E così, dopo aver preso cappello e bastone, uscì.
 
 
Le lenzuola nere erano completamente disfatte e nastri dorati facevano capolino tra una piega e l’altra; alla luce del sole che filtrava dalle persiane Mr Astor ammirò il corpo addormentato sul letto. Virginia Lieven, la cui violenta ricerca del piacere aveva sedotto persino il principe reggente, possedeva una rara bellezza, oltre che dei boccoli rossi che parevano guizzare come fiamme. Terminò di vestirsi in silenzio, ma quando si voltò nuovamente verso di lei incrociò i suoi occhi verdi, ancora assonnati, ma svegli.
-Buongiorno, bella addormentata.
-Buongiorno.
La sottoveste bianca non riuscì a nascondere le sue forme mentre si stiracchiava lascivamente, né coprì i segni rossi attorno ai polsi. –Vi ho fatto male stanotte.
-È per questo che mi pagate, mio caro.- quasi miagolò mentre si sfiorava il segno con le dita –Anche se stanotte siete stato particolarmente violento. Cosa vi succede?
Astor alzò le spalle –Lo sapete cosa succede. Sembra che debba maritarmi.
-E allora? Fatelo. In che modo una fanciulla di buona famiglia, pronta ad assecondare ogni vostro desiderio, può essere un problema?
Non che avesse torto, l’uomo lo sapeva: si sarebbe sposato con qualche vergine rampolla dell’alta società, avrebbe giaciuto con lei quel poco che sarebbe bastato per generare un erede e poi sarebbe tornato nel letto di Virginia o di qualche altra cortigiana, ma per qualche motivo che non sapeva spiegare neppure lui, non ne aveva voglia.
-Sarete a teatro stasera?
-Sì, con Lord Luttrel.
-Oh, Virginia, suvvia! Quel vecchio!
Lei gli lanciò un bacio da lontano, prima di alzarsi e chiamare la cameriera –A stasera mio caro.
 
La villa di famiglia non era lontana da casa di Virginia, ma Astor preferì uscire dalle cucine e aggirare l’abitazione dell’amante, così da evitare pettegolezzi che avrebbero solo indispettito sua madre. L’idea del matrimonio lo ossessionava da giorni e i momenti con Virginia erano gli unici privi di preoccupazione.
-Signor Trevon Astor.
Una voce femminile lo fece voltare: proveniva da un negozio di stoffe e gli era familiare.
-Miss Palmerston, anche voi mattiniera.
Claire attese che il giovane le si avvicinasse, poi si inchinò elegantemente –Avevo voglia di comprare qualcosa. Ditemi, secondo voi è più bello questo giallo pallido o questo verde acqua?
Nastri. Astor non avrebbe mai compreso la passione delle donne per i nastri, ma era sincero quando le disse che il suo fascino le permetteva di osare qualsiasi colore: era bella davvero, Claire Palmerston, e da che aveva memoria lo era sempre stata, benché non fosse dotata di lineamenti armoniosi come quelli di sua sorella Eve. Era seducente, sopra ogni cosa.
-Sarete a teatro stasera?
-Sì, immagino ci saremo tutti. Suggeritemi un nastro da comprare a mia sorella, giacché sono qui.
Claire e Annabeth non erano mai andate d’accordo e lui lo sapeva, ma adorava la classe con cui si fingevano amiche intime; sin da piccole rivaleggiavano per il titolo di più bella di Maidenhead, e durante i balli era un piacere assistere alla silenziosa gara su chi avrebbe avuto un numero più elevato di cavalieri, ma da quando entrambe aspiravano a diventare la nuova contessa di Cecil la situazione aveva di gran lunga superato la soglia del ridicolo.
Il sorriso di Claire non sfiorì affatto e suggerì all’amico un nastro di seta avorio, mentre per sé prese entrambi. Mr Astor non poté non pensare che se si fosse deciso a chiederla in moglie, sua sorella avrebbe avuto campo libero con il conte. Certo, forse non era una motivazione meritevole per sposarla, ma Claire non si sarebbe formalizzata inseguendo la chimera dell’amore: voleva al suo fianco un uomo che la rispettasse e la facesse avanzare in società, l’amore non era necessario e, forse, sarebbe giunto in seguito.
I due si separarono poco dopo, con la promessa di vedersi quella sera e Astor si ritrovò con l’animo ancor più pesante se possibile. Forse Claire sarebbe stata la scelta giusta, ma sapeva che non era una donna che avrebbe tollerato facilmente la presenza di un’amante e lui non avrebbe mai chiesto a sua moglie di assecondare i suoi biechi desideri: era una strada senza uscita.
 
-Eri da lei?
Nonostante tutte le precauzioni che aveva preso per entrare senza essere visto, Astor aveva dimenticato la stanza delle signore, la cui presenza gli era così indifferente da non averne considerato la posizione strategica davanti la scalinata. E Annabeth, ovviamente, questo lo sapeva.
-Buongiorno, sorella. Hai dormito bene?
La ragazza si alzò in piedi e, se non fosse stato per una questione d’orgoglio, Astor sarebbe indietreggiato per il timore di quale sarebbe stata la sua sorte.
-Eri da lei?
-Lo sai, dunque perché me lo chiedi?
Gli occhi di Annabeth si sgranarono furiosi. –Adesso ascoltami bene, damerino. Non vuoi sposarti? Va bene, posso accettarlo, anche se chiedendo la mano di Claire mi libereresti la strada dall’unica donna che può rivaleggiare con me. Ma non sopporto l’idea che tu possa intralciare i miei piani.  Io sposerò lord Matthew e tu farai in modo di evitare comportamenti disdicevoli almeno fino alla fine della Stagione.
Non era raro vedere Annabeth furiosa: da figlia viziata quale era, il suo umore cambiava repentinamente nel giro di una manciata di minuti, ma per il fratello era rarissimo che la sua rabbia fosse rivolta a lui. Aveva ragione, ovviamente, benché neppure il conte fosse un fulgido esempio di virtù morali, ma l’uomo non sopportava l’idea di non vedere Virginia per oltre tre settimane.
-Annie...
-No, niente Annie. Sei annoiato? Vai al circolo oppure perdi tempo con Claire, non mi interessa. Non lei, Trevon, per amor mio.
Sua sorella era un’abile giocatrice di scacchi, ma lui pareva dimenticarsene costantemente. Alzò le mani in segno di resa, poi si ricordò del nastro e glielo diede, in segno di pace.
-Farò il bravo, lo prometto.
Annabeth gli sorrise, chiedendosi se la sua promessa sarebbe durata più di tre giorni.
 
L’irrespirabile aria di Londra gli era mancata, non poteva negarlo. L’atmosfera grigia, le strade strette e gli abitanti sempre di corsa erano un ricordo sempre vivo a New York, dove aveva trascorso tre anni della sua vita; l’America gli piaceva, ma il richiamo di casa era stato troppo forte perché potesse ignorarlo ancora a lungo. Era contento di essere tornato e non vedeva l’ora di incontrare suo zio e le sue cugine, che non vedeva da troppo tempo; chissà quanto erano cresciute, soprattutto la piccola Emma.
Più di ogni cosa, però, Arthur non vedeva l’ora di dar loro la lieta novella.

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Capitolo 2
*** Chapter II ***


 

“È una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere alla ricerca di una moglie.” [Orgoglio e Pregiudizio]

Colonna sonora del capitolo


 

Mr. Arthur Browning era pervaso da una sensazione di entusiasmo difficile da contenere mentre passeggiava per le strade di Londra. Non aveva programmato quella gita, avendo deciso di occupare la giornata sistemando la villa che aveva affittato in attesa di trovare un’abitazione congeniale da poter acquistare; il richiamo dell’aria aperta, tuttavia, era diventato così forte che egli si era fatto irrequieto a tal punto da essere mandato fuori di casa senza troppe cerimonie.  E così si era ritrovato a passeggiare in direzione di un club esclusivo per soli uomini in cui, a meno che le abitudini non fossero radicalmente mutate nel corso degli anni, avrebbe trovato suo zio.
Il Boodle's, noto club fondato nel 1763 da Lord Shelburne, si trovava a St. James Street ed era solitamente pieno a qualsiasi ora.
Nonostante mancasse da anni, il suo nome risultava ancora nel registro dei frequentatori del locale, così nel giro di pochi minuti, fu fatto accomodare all’interno della lussuosa struttura: non era cambiata poi molto nel tempo, né apparentemente erano cambiati gli uomini che l’affollavano, nobili o politici che discutevano compitamente tra le sue stanze. L’argomento più discusso era, come sempre, Napoleone Bonaparte che anche dal suo esilio all’Elba, riusciva a impensierire l’Europa.
Browning respirò a pieni polmoni l’acre odore del fumo e quello più dolciastro dei liquori, combinazione che forse non era molto piacevole ma che portava con sé, inevitabilmente, la sensazione di ritrovarsi a casa.
Fu costretto dapprima a fermarsi per salutare antichi conoscenti, ma quando finalmente raggiunse la Coffee Room, la sala principale del club, individuò subito suo zio e gli si avvicinò senza indugi. Non era atteso, aveva programmato di incontrare i suoi parenti quella sera a teatro per assistere dal palco dei Palmerston alla prima rappresentazione del Tancredi di Rossini, che l’anno precedente aveva avuto un clamoroso successo in Italia, ma non aveva potuto attendere così a lungo. Sin da quando aveva memoria Sir Palmerston si era mostrato affettuoso nei suoi confronti e quell’atteggiamento non era cambiato neppure quando fu chiaro che sua zia non avrebbe più potuto mettere al mondo un maschio che ereditasse cognome e patrimonio, rendendo così Arthur il successore, ruolo che forse,  in un’altra famiglia, l’avrebbe privato dell’affetto familiare. Suo zio, però, non aveva smesso di trattarlo con tutti i riguardi, né l’avevano fatto le sue cugine: Claire era rimasta la donna con la puzza sotto al naso e un gran cuore nascosto sotto strati di superficialità, Eve era sempre la mediatrice del gruppo, dall’animo gentile, ed infine c’era Emma, che lo considerava, sin dalla più tenera infanzia, il suo eroe.
Browning sorrise tra sé a quel ricordo e fu con quell’espressione che lo colse Sir Palmerston, voltandosi verso di lui.
-Arthur!
-Signore.
Il baronetto si alzò in piedi e abbracciò il nipote, poi lo invitò a spostarsi in un angolo più appartato della sala, in cui avrebbero potuto parlare liberamente senza essere continuamente interrotti.
-Allora, come avete trovato Londra?
-La solita, cara, vecchia Londra. Come state zio? Lady Palmerston?
-Stiamo tutti bene, anche le ragazze. Piuttosto, ditemi di voi: come sono trascorsi questi cinque anni a New York? È bella come si racconta?
-È bella, sì, ma la Madrepatria lo è molto di più. Sono andati bene, ad ogni modo, ma era giunto il momento di tornare.
Il baronetto annuì, osservando il nipote: era un uomo fatto, ormai, con lineamenti maturi ma armonici, gli occhi sempre dello stesso lucente blu e i capelli biondi leggermente più scuri di come li ricordasse.
-Nella lettera avete accennato ad una novità, spero sia positiva.
Gli occhi di Browning si illuminarono –Oh, sì, lo è. Sono venuto qui oggi proprio per questo, per comunicarla a voi prima che ad altri. Mi sono fidanzato, signore, e spero di avere la vostra benedizione.
Tra tutte le ipotesi che Sir Palmerston aveva fatto, un possibile matrimonio del nipote non era contemplato e in quel momento si chiese perché mai: Arthur era giovane, bello, con una laurea in legge conseguita con il massimo dei voti e possedeva una discreta rendita a cui si sarebbe aggiunto anche il suo patrimonio. Un ottimo partito, che anni prima in Inghilterra aveva suscitato sospiri entusiastici da parte di molte fanciulle, la cui schiera, evidentemente, con il passare del tempo avevano finito per aumentare. In cuor suo il baronetto aveva sempre sperato di vederlo maritato con una delle sue figlie, ma se così non doveva essere sperava comunque fosse felice.
-Questa è una splendida notizia. E chi è la fortunata? È qui con voi?
-Sì, è qui con me, volevo presentarvela stasera. Si chiama Julie Trevelyan, è americana, ci siamo conosciuti lo scorso anno e, dopo mesi di corteggiamento, ha acconsentito a sposarmi e trasferirsi con me a Londra. È alloggiata a casa dei Thompson insieme alla sua chaperone, mentre io ho preso una camera in affitto al Grand Hotel in attesa delle nozze.
-Una scelta assennata, Arthur.- commentò suo zio sapendo quanto fosse poco conveniente per una coppia non sposata abitare sotto lo stesso tetto, -Non posso accettare però l’idea che voi stiate in un hotel. Verrete a stare da noi finché non condurrete all’altare la vostra Julie. Quando contavate di sposarvi?
-Fra tre settimane, poco prima che termini la Stagione, ma zio, non dovete disturbarvi.
-Alcun disturbo! Noi lasceremo Londra al termine della Stagione, come sempre, ma per quel tempo voi sarete sposato e potrete vivere con la futura Mrs. Browning. Non accetto discussioni.
-Allora mille grazie, signore, accetto volentieri e non vedo l’ora di farvi conoscere Julie.
-Attendo con ansia questa sera.
Nonostante l’amarezza il baronetto era sincero: la ragazza sarebbe entrata a far parte della famiglia, dopotutto. Alla resa dei conti era un bene che nessuna delle sue figlie avesse avuto mire sul cugino.
 
Il cuore di Browning era leggero quando lasciò suo zio. Aveva temuto che la notizia potesse suscitare malcontenti e questo aveva reso la gioia per il fidanzamento meno completa di quanto sarebbe potuta essere: Julie era pur sempre una straniera e, benché non ne avesse mai fatto parola, sapeva che Sir Palmerston avrebbe voluto vederlo sposato con una delle figlie in modo da preservare quanto possibile l’eredità. Tutti quei ragionamenti l’avevano torturato a lungo, ma la chiacchierata di quella mattina lo rendeva fiducioso e felice; non vedeva l’ora di far conoscere a Julie le sue cugine: avrebbe adorato Emma ed Eve, ne era sicuro. Quanto a Claire, era difficile entrare nelle sue grazie e forse ancor di più farsi conquistare dalla sua personalità, ma sperava che con il tempo si sarebbero piaciute.
Era così immerso nei propri pensieri da accorgersi a stento di una voce femminile che chiamava il suo nome dall’altro lato della strada: quando si voltò impiegò solo pochi istanti per riconoscere il volto che gli sorrideva davanti alla vetrina di una pasticceria.
-Eve, che bello vedervi.
Si inchinò come l’etichetta imponeva, sorridendole apertamente.
-Arthur, non vi aspettavo prima di questa sera. Vi trovo splendidamente, l’America vi ha giovato.
-E voi siete sempre più bella. Ho appena lasciato vostro padre al club, mi ha proposto di trasferirmi da voi, spero non sia un problema.
La fanciulla scosse il capo –Assolutamente no, anzi, sarà un piacere e papà non può che essere felice di avere un altro uomo a casa.
Scoppiarono a ridere entrambi, ritrovando quella familiarità che non avevano mai perso: erano due adulti, certo, ma l’affetto non era mutato con il trascorrere del tempo.
-Vorrei avere più tempo, ma devo proprio lasciarvi.
-Oh, sì, certo, ma aspettate, non sono sola e se qualcuno non dovesse vedervi, non me lo perdonerà mai. Emma, mia cara.
Eve si voltò verso una ragazza intenta ad osservare i dolci e il cuore di Browning si fermò appena. L’aveva notata non appena aveva raggiunto sua cugina, perché c’era qualcosa in quel capelli che riflettevano la luce solare e nella figura filiforme che l’avevano attratto inspiegabilmente: solo quando sua sorella la chiamò e lei si voltò verso di loro, la riconobbe.
-Arthur!
La vide arrivare da loro quasi slanciandosi, per poi fermarsi all’improvviso ricordando le buone maniere: aveva lasciato una splendida bambina che adorava con tutto se stesso e ritrovava una donna. Si era chiesto spesso quanto il tempo l’avesse mutata, ma mai avrebbe pensato... Si inchinò in ritardo, focalizzato com’era a imparare nuovamente a memoria quei lineamenti.
-Emma, mio Dio. Non vi avrei mai riconosciuta, siete bellissima.
Sua cugina arrossì deliziosamente, imprevedibilmente a corto di parole, proprio lei che era famosa per la sua parlantina. Fu Eve a dissipare l’evidente imbarazzo, ricordando a ognuno i rispettivi impegni.
Le due sorelle si avviarono lungo la strada, ma Browning attese immobile che sparissero alla vista, incapace di distogliere prima lo sguardo.
 
-Inizio ad essere stanca di questa mussola bianca.
Lady Palmerston sospirò, osservando la figlia gettare a terra l’ennesimo abito, conscia di come non fosse la stoffa o il taglio il problema, ma quel biancore ritenuto l’unico colore adatto alle Miss, che la etichettava come una giovane nubile. Claire era stanca di quel suo status e, a ventidue anni, ne aveva in effetti ragione; lei stessa si era sposata a diciassette e all’età di sua figlia era già divenuta madre due volte.
-Mia cara, quell’abito con i ricami azzurri ti sta divinamente, è così in armonia con i tuoi occhi.
-Madre, per favore.- Claire guardò sprezzante il capo incriminato –Può andar bene a Emma, con quel taglio fanciullesco, ma certo non a me. Questo, al massimo, potrebbe essere adatto.
Prese dalla montagna di abiti un elegante vestito bianco a pois dorati, decorato verso la fine con ricami di filo dello stesso colore. Era consono ad una fanciulla non sposata, ma denotava anche una certa maturità.
-Devo fidanzarmi, madre. Non posso sopportare un’altra Stagione da nubile.
Avrebbe avuto ventitre anni l’inverno seguente, l’età in cui qualsiasi fanciulla da nubile diveniva zitella: Claire sapeva che la bellezza non le sarebbe appartenuta in eterno e non aveva alcun desiderio di accontentarsi, scegliendo un partito al di sotto delle sue possibilità solo per potersi maritare. Prima che la madre potesse risponderle, però, udirono un concitato chiacchierio al piano inferiore e scesero a controllare cosa stesse succedendo.
-Ah, mie care!- esclamò Sir Palmerston osservandole dall’ingresso.
-Che succede, padre?
-Stamane Arthur è venuto a trovarmi e, a quanto pare, sulla via del ritorno ha incontrato le tue sorelle.
-Dovevi vederlo, Claire, un uomo fatto. E che bell’uomo!- esclamò Eve cercando lo sguardo di Emma per una conferma, ma lo trovò perso ad osservare l’esterno attraverso una vetrata.
-Davvero?- chiese curiosa Lady Palmerston.
-Sì. Avresti dovuto prenderlo in considerazione per i tuoi piani matrimoniali, mamma.- le rispose scherzosamente.
-Temo sia troppo tardi.- alle parole del baronetto tutte e quattro le donne si voltarono verso di lui, tacendo improvvisamente, -Pare che in America abbia incontrato una fanciulla e abbia deciso di sposarla.
-Un’americana?
-Sì, mia cara, un’americana, ma non essere troppo severa: Arthur è un uomo giudizioso e sono sicuro che sarà una fanciulla di ottima famiglia. Ad ogni modo, questa sera la conosceremo: alloggia dai Thompson fino a che non troveranno una casa adatta da comprare, ma ho invitato Arthur a stare con noi anziché in hotel.
-Se non altro conosce le consuetudini inglesi.- commentò Lady Palmerston, riferendosi alla decisione di vivere separati.
-È americana, non barbara. A proposito, come mai la casa dei Thompson è in affitto?
-Sembra che Mr. Thompson abbia sperperato tutto il patrimonio; si è trasferito in una casetta a Bath, mentre la figlia minore è andata a vivere con la sorella.
-È una fortuna che Anne si sia sposata, o Mr. Thompson avrebbe avuto due figlie nubili a cui badare e difficilmente sarebbe riuscito a farle maritare.
-Ho sempre pensato che giocasse troppo.- commentò il baronetto sovrappensiero. –Ad ogni modo, voglio che siate carine con la fidanzata di Arthur, va bene? Lady Palmerston, farete preparare la camera degli ospiti?
-Certamente. Emma tesoro,- aggiunse la donna rivolta alla figlia minore –Sei pallida, sicura di star bene?
La ragazza si riscosse sentendosi interpellare e sorrise appena –Mi sento un po’ debole, sarà un colpo di sole. Vado a stendermi.
 
Lord Matthew Gordon sapeva che avrebbe dovuto prendere una decisione, alla fine. La vita da scapolo gli si confaceva, ma a ventotto anni era arrivato il momento di porre fine a quell’esistenza priva di radici per tornare a Lilies Manor, possibilmente con una moglie al suo fianco. Nel corso degli anni, viaggio dopo viaggio, erano state numerose le famiglie che avevano provato a farlo capitolare con una loro figlia e anni prima un duca romano vi era quasi riuscito. Quasi. Ma non era quello il momento. Al contrario, nel corso di quella Stagione il conte si era finalmente deciso a condurre con sé una nuova signora dei gigli, l’inverno seguente, e doveva solo decidere se sarebbe stata Miss Astor o Miss Palmerston.Affascinanti entrambe e di ottima famiglia, sarebbero state una scelta assennata che avrebbe reso felice la sua povera madre, che fino all’ultimo dei suoi giorni l’aveva implorato di prender moglie; le due fanciulle erano, in realtà, molto più simili tra loro di quanto avrebbero desiderato, forse non fisicamente, ma senza dubbio caratterialmente. Ciò che l’attirava di loro era l’assoluta mancanza di affezione: lui non cercava l’amore, ma una moglie dall’impeccabile reputazione che fosse adatta a ricoprire il ruolo di contessa di Cecil. Allo stesso modo, né Claire né Annabeth si aspettavano che lui le amasse, ma puntavano ad elevarsi socialmente senza alcuna complicazione sentimentale.
-Cosa ne dici, Ted?- chiese al valletto mentre gli sistemava il cravattino, -Miss Palmerston o Miss Astor?
Il giovane sorrise, udendo quella domanda per la centesima volta da quando la Stagione era iniziata; conosceva il conte da sempre, essendo figlio del valletto personale del defunto conte di Cecil, ed era stato messo al servizio del neonato erede quando non aveva che quattro anni. A trentadue, Ted continuava ad essere soddisfatto della sua posizione.
-Sono entrambe molto gradevoli, mio signore, e sono sicuro sarebbero delle ottime padrone di casa per Lilies Manor.
-Miss Astor ha una cameriera personale molto carina.- aggiunse con un cameratismo che esternamente nessuno avrebbe sospettato.
-Desiderate infliggermi lo stesso castigo che tocca a voi, signore?- gli chiese divertito Ted, facendogli indossare la giacca.
-Forse. Mi preoccupa un po’ Mr. Astor, se devo essere onesto, la sua reputazione è discutibile, ma d’altra parte Miss Palmerston ha due sorelle minori che malauguratamente potrebbero legarsi a partiti non adatti a imparentarsi con me. È tutto così complicato, magari tornerò da Madama Margherita.
-Si è sposata, ricordate?
Il conte liquidò la cosa con un gesto della mano: non sarebbe davvero tornato da Margherita, dopotutto, neppure se fosse stata libera. La buona società londinese attendeva una sua decisione e la scelta comprendeva solo due nomi.
-Mi rimangono tre settimane, vediamo se Rossini riuscirà ad ispirarmi qualche cosa stasera.
 
Tutto era pronto per quella prima dello spettacolo e i corridoi del teatro erano saturi di un vociare costante che sembrava aumentare man mano che ci si avvicinava al momento di prendere posto. Gli spettacoli teatrali, dopotutto, erano anche un momento di ritrovo in cui i signori ne approfittavano per parlare di politica e le signore per portare avanti l’attività che preferivano in assoluto: l’arte del pettegolezzo.
-Chi sono quelle ragazze?
Rimasta sola con le sorelle, Emma attirò la loro attenzione indicando due signorine che sedevano in disparte, ignorate da tutti; Eve e Claire si voltarono verso di lei liete di sentire nuovamente la sua voce, considerando il mutismo che l’aveva accompagnata sin dal ritorno dalla passeggiata.
-Le Norrys. Loro sorella è scappata con un ufficiale, rovinando l'intera famiglia. Non parlare con loro.
-Ma è ingiusto!
-Ingiusto o meno, mia cara,- commentò Claire,- è così che va il mondo. Oh, guardate la novella Lady Carlisle. Guardate come fa di tutto per metterlo in mostra.
-Claire, lo faresti anche tu al suo posto.- commentò Eve.
-Mostrare a tutte le nubili in circolazioni il mio anello nuziale, dopo essere diventata contessa? Certo che lo farei.- Claire si guardò un istante attorno, poi sorrise. -A tal proposito, ho un certo conte da sottrarre alle grinfie di Annabeth. Perché non la porti a passeggiare?-
Eve scosse la testa -Oh, no. Sai che in questo gioco io non voglio entrare.
Il capo della sorella maggiore si mosse spazientito, facendo vibrare le piume dorate -Mia cara, il gioco della seduzione è tutto e, se non ti sbrighi, finirai col rimanere zitella. Con permesso.
Eve osservò la sorella allontanarsi, poi si voltò verso Emma con un sorriso stampato sul volto, che però morì subito –Tesoro, stai bene?
-Sì, io... Guarda, il colonnello Lennox.
Bastò quella parola perché Eve dimenticasse il pallore della sorella: l’uomo stava avanzando verso di loro e la fanciulla sentì il cuore sciogliersi nel petto. Il colonnello era un uomo di trentaquattro anni dal carattere posato, amante della letteratura e della vita di campagna, in cui possedeva una tenuta che gli fruttava quattromila sterline l’anno. Era ritenuto da molti un ottimo partito, ma non aveva mai fatto mostra di voler prendere moglie. Aveva conosciuto i Palmerston cinque anni prima, quando sua sorella aveva sposato il nipote di Lady Palmerston, ed era uno dei pochi non titolati che il baronetto accettava con piacere in casa sua.
-Miss Eve, Miss Emma, immaginavo di trovarvi qui. Non vorrei sbagliare, ma credo di aver udito qualcuno pronunciare il nome di Mr. Browning. Vostro cugino è tornato?
-Sì, in effetti sì, è arrivato a Londra questa mattina insieme alla fidanzata. Voi non l’avete mai incontrato, vero colonnello?
-No, ho avuto il piacere di fare la vostra conoscenza poco dopo la partenza di Mr. Browning per New York.
Il diretto interessato varcò in quel momento la soglia della sala al braccio di una deliziosa fanciulla, vestita all’ultima moda, con il volto leggermente allungato, ma piacevole, due luminosi occhi blu e i capelli castani intrecciati elegantemente.
Non appena individuò il terzetto, Browning si avvicinò loro. –Mia cara Julie, permettimi di presentarti le mie cugine Miss Eve e Miss Emma. Cugine, vi presento la mia fidanzata, Miss Julie Trevelyan. E questa,- aggiunse indicando l’anziana chaperone che li seguiva a distanza di pochi passi, -è Miss Anne Bolton.
Le donne si inchinarono, Eve e Julie sorridendo apertamente. Nessuno parve accorgersi del disagio di Emma.
-Mia cara, è un piacere conoscervi.- esclamò cordialmente Eve, -Lasciate che vi presenti il colonnello Lennox, un amico di famiglia.
-Bentornato in patria Mr. Browning. Miss Trevelyan, spero che l’Inghilterra vi aggradi.
La fanciulla sorrise -Molto, colonnello. Ho sempre desiderato visitarla, i miei nonni paterni sono nati qui. Grazie a Mr. Browning potrò persino viverci e ne sono entusiasta.
-Il mio signor zio è qui?
Eve annuì, cercando il padre con lo sguardo ed individuandolo poco lontano insieme a sua moglie e agli Astor. Si mossero in quella direzione, ma nonostante la sua fidanzata commentasse estasiata l’ambiente richiamando la sua attenzione, Browning non poté fare a meno di notare il silenzio di Emma, così poco da lei, né il suo pallore. Non ebbe tempo di domandare alcunché, però, perché altre presentazioni dovettero essere fatte. Quando il gong suonò per invitare il pubblico a prendere posto, Arthur e le due donne che conduceva con sé, il colonnello e persino il conte di Cecil al braccio di Claire furono ospiti dei Palmerston: il palco era al massimo della capienza, ma nessuno ne fu disturbato.
-Vi piace l’opera, Lord Gordon?
Il conte si chinò verso la fanciulla, sussurrando come aveva fatto lei –Molto, in effetti. Lilies Manor ha un teatro al suo interno, ma purtroppo è in disuso da anni.
Claire sorrise all’uomo, ammirandone i bei lineamenti e gli occhi chiari: era affascinante, più che bello, possedeva un’aria misteriosa e vissuta, e una voce incredibilmente seducente.
-Una donna a capo della vostra dimora potrebbe riportarla in vita.- gli rispose con il cuore che batteva furioso nel petto.
Gordon annuì.
Dalla parte opposta del palco, Eve e il colonnello Lennox erano impegnati a distrarsi reciprocamente dalla visione dell’opera, scambiandosi occhiate fuggenti che li facevano sorridere nel buio.
-Com’è stato il vostro rientro a Hazel House?
-Riposante, come sempre.
-E Mrs. Lennox sta bene?
L’uomo annuì –Lei dice di essere invecchiata, ma per quanto mi riguarda è più giovane e attiva ora di quando aveva trent’anni. Vi manda i suoi saluti, vi ricorda con molto affetto.
Il colonnello non poté vederlo, ma Eve arrossì a quella rivelazione –Anche io, signore. Salutatela da parte mia quando le scriverete.
-Si augurava di potervi rivedere presto, magari proprio ad Hazel House.
Lo scroscio degli applausi interruppe la conversazione, lasciando quella frase e il significato che si celava dietro di essa, ad aleggiare tra i due.
 
Lo spettacolo lasciò tutti soddisfatti e fu il principale argomento di conversazione mentre gli spettatori abbandonavano i palchi e la platea diretti alle carrozze. L’umore di Claire mutò drasticamente quando il conte si accomiatò per dirigersi dagli Astor, senza contare che aveva visto di sfuggita Mr. Astor in compagnia di Mrs. Lieven, cosa che la infastidiva ancor di più dell’incostante atteggiamento di Cecil. Avrebbe sposato volentieri il futuro Sir Astor, ma non sopportava assolutamente l’idea che lui potesse avere per amante quella cortigiana. Né nessun’altra donna, a dire il vero. Stizzita, trascinò Eve verso la carrozza, ignorando il fatto che stesse discorrendo con il colonnello, lieta che anche Emma li seguisse poco dopo: voleva lasciare il teatro, dimenticando l’ultima parte di una serata altrimenti perfetta. Sir e Lady Palmerston accompagnarono Browning e la fidanzata fino alla casa dei Thompson, dove lasciarono Miss Trevelyan prima di fare ritorno nella loro villa insieme al nipote: nonostante le remore esistenti a causa della nazionalità della signorina, la futura Mrs. Browning li aveva conquistati entrambi.
 

Caro diario, ho sempre pensato che diciassette anni fossero l’età perfetta per debuttare in società, riempire il carnet di ballo fino a svenire dal troppodanzare, farsi corteggiare scherzosamente dai giovani come me, ancora troppo lontani dall’idea del matrimonio per avere intenzioni serie. Quello che volevo per questa mia prima Stagione era il divertimento e l’ho avuto. Sono stati mesi meravigliosi, non avrei potuto chiedere di meglio; persino assistere alle crisi di Claire, perennemente in bilico tra Cecil e Astor è stato bello, tanto era nuovo per me. Quest’oggi però mi sento molto più vecchia dei miei diciassette anni, il mio povero cuore è passato dal palpitare velocemente allo spezzarsi nel giro di così poco che…

 
La penna scivolò sulla pagina lasciando una macchia d’inchiostro sul diario. Qualcuno aveva bussato alla porta facendola sobbalzare ed Emma si posò uno scialle sulla camicia da notte prima di andare ad aprire. Sarebbe impossibile descrivere i pensieri che le attraversarono la mente quando si ritrovò davanti il volto di Arthur, quasi più perplesso del suo. Con quanto ardore il suo cuore le batté nel petto, oltremodo felice di quell’inaspettato incontro.
-Arthur…
La voce le uscì debole, un bisbiglio incredulo.
-Emma, io… Ero sceso per… Ho visto il riverbero della candela accesa…
Frasi sconnesse, spezzate; non aveva idea del perché fosse lì, aveva seguito un folle istinto che l’aveva spinto a ritrovarsi in una situazione sconveniente. Emma non era più una bambina e la sua bellezza, nella penombra, sembrava ancor più accentuata.
-Io… Stavo scrivendo il diario.
Arrossì, sentendosi improvvisamente infantile.
-Il diario, sì, certo. Eri pallida questa sera, stai bene? Hai bisogno di qualcosa?
Il passaggio al tono confidenziale le riportò alla mente memorie lontane e fu come se il cuore le si sciogliesse ne petto. –Solo una lieve stanchezza. Non mi serve nulla.- continuò accennando al bicchiere colmo di vino caldo e acqua che le sue sorelle usavano bene prima di addormentarsi, abitudine che quell’anno aveva assunto anche lei.
-Bene,- Arthur tentennò alcuni istanti, guardandosi alle spalle. –Allora buona notte.
-Buona notte.
Emma chiuse la porta mentre il cugino saliva le scale, voltandosi indietro quasi ogni passo finché non fu più fuori vista. Un sorriso nacque spontaneo sulle labbra, splendente come il sole di mezzogiorno, ma il gelo la invase quando ricordò che Arthur non era tornato da New York da solo e che in tre settimane sarebbe convolato a nozze.

 
  
Video trailer 1 / Video trailer 2

 


Note: ed eccomi di nuovo qui con il secondo capitolo! Si iniziano ad intravedere le dinamiche future, si chiariscono i ruoli dei personaggi, o almeno di qualcuno! Ci tengo solo a fare qualche precisazione storica, ma sarò brevissima, lo giuro! Ho usato per tutti il voi, perché non esista in realtà in inglese la differenza che noi abbiamo, ma l'ho ritenuto più adatto, salvo che si tratti di rapporti stretti come tra sorelle e fratelli. Per quanto riguarda l'uso dei nomi e dei titoli, sono andata a vedere sui libri di Jane Austen se le mie reminescenze fossero giuste e mi sono applaudita da sola ;)
Diciamo che l'uso del nome di battesimo era raro, veniva usato più che altro per i figli e le figlie minori: mi spiego, Claire è Miss Palmerston, perché è la maggiore, ma le sorelle sono Miss Eve Palmerston e Miss Emma Palmerston (o al massimo Miss Eve e miss Emma se vi è più familiarità, come usa il colonnello. Con Arthur, con cui c'è un rapporto praticamente fraterno, usano i nomi di battesimo, come fanno Fanny ed Edmund della Austen, ad esempio.). Per quanto riguarda gli uomini, vale lo stesso discorso: Mr.
Astor, se avesse un fratello maggiore, diventerebbe Mr. Trevon Astor. Mi raccomando non confondete Mr.Astor con Sir Astor, suo padre.
Per quanto riguarda il Sir e Lord, per chiarezza cito wikipedia: I baronetti, titolo ereditario estraneo ad un qualsiasi ordine, hanno diritto al prefisso Sir. Le consorti dei baronetti sono Lady.  I
 Lord sono i titolati, come Lord Gordon, conte di Cecil. Per quanto riguarda le mogli, tenete presente che le mogli di figli minori assumo anche il nome del marito: in "Emma", ad esempio, Isabella è Mrs. John Knightley, mentre Emma è Mrs. Knightley.
Per ora credo sia tutto.
E nulla, non mi resta che ringraziarvi enormemente per l'accoglienza che avete dato a questa storia e spero di continuare a sapere cosa ne pensate. 
E grazie a Milla, per il betaggio e il bistrattamento dei puntini...................................

Mi trovate
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Un abbraccio,
Emily

 

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Capitolo 3
*** Chapter III ***


 

“È una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere alla ricerca di una moglie.” [Orgoglio e Pregiudizio]

Colonna sonora del capitolo


 

Miss Julie Trevelyan si era perdutamente innamorata di Londra; mentre sorseggiava il tè della colazione il suo sguardo vagava oltre la finestra assorbendo immagini di quotidianità che non vedeva l’ora di poter definire proprie. Era ancora troppo americana, per i suoi gusti, ma stava per diventare la moglie di un rispettabile signore inglese e voleva esserne all’altezza. Quella prima settimana era stata foriera di esperienze entusiasmanti e di conoscenze piacevoli; la famiglia Palmerston, in particolar modo, l’aveva colpita positivamente accogliendola senza eccessive remore, atteggiamento che forse non tutti avrebbero avuto. La sua paura era, soprattutto, che il baronetto avesse progettato di combinare un matrimonio tra il nipote e una delle figlie e che dunque l’avrebbe vista come un ostacolo; era stata lieta di accorgersi, al contrario, di come le nozze non rientrassero nei progetti di nessuno di loro. Claire, la primogenita, aveva un carattere piuttosto freddo e superbo, ma con lei era stata più che cordiale e non aveva minimamente mostrato segni di gelosia, impegnata com’era a dividersi tra un conte e un futuro baronetto. Eve, al contrario, era assolutamente adorabile, dolce e affettuosa con tutti e perdutamente innamorata del colonnello; Julie si chiedeva se i genitori non se ne fossero realmente accorti oppure fingessero solamente, sperando in un partito migliore. A lei, personalmente, Lennox piaceva: era un uomo dagli ottimi modi e, benché non fosse di nobile retaggio, si era distinto nell’esercito e aveva ereditato la tenuta paterna che gli fruttava quattromila sterline  annue.
L’unica nota che procurava qualche pensiero all’americana era la più giovane delle sorelle, Emma. Era chiaro avesse un debole per il cugino, ma questo non la preoccupava molto: Arthur era stato l’eroe romantico della sua infanzia e dall’idolatria all’adorazione il passo era breve. La cotta della giovane sarebbe svanita in un battito d’ali, ne era sicura, come tutti gli amori fanciulleschi, ma ciò che la preoccupava era Arthur stesso. Il suo fidanzato non aveva mai mostrato alcun interesse per le altre donne, da quando l’aveva conosciuta, ma a volte lo sorprendeva a fissare incantato la cugina, a cercarla con lo sguardo o a perdersi in pensieri troppo lontani. Un’infatuazione poteva essere accettabile da parte della giovane Emma, ma non da un uomo maturo come lui. Il fatto che abitassero sotto lo stesso tetto, poi, non la faceva dormire tranquilla.
-Dovremmo trovare un corteggiatore per la giovane Palmerston.- commentò rivolta alla sua chaperone, che le sorrise. Miss Bolton era al suo servizio da così tanto tempo che la comprendeva senza che neppure avesse bisogno di parlare.
-È giovane e bella, non sarà difficile.
Il discorso, però, fu fatto cadere quando Arthur fece il suo ingresso vestito di tutto punto e di ottimo umore.
-Buongiorno mia cara,- esclamò baciandole la mano –come state?
-Bene, vi ringrazio. Gradite del tè?
L’uomo annuì e Miss Bolton si allontanò per dare disposizioni; non era appropriato che Julie e Arthur rimanessero da soli nella stessa stanza, ma dopotutto erano fidanzati ed erano lontani da occhi indiscreti.
-Ho preso appuntamento per visitare una villa vicino Hyde Park. Se non ho capito male quale sia, è una splendida dimora a tre piani, dotata di tutto quello che si può desiderare. Apparteneva a un baronetto, ma è morto senza lasciare eredi, dunque è in vendita.
-Bene,- Julie sorrise all’idea –sento che sarà quella giusta!
-Siete sicura di non voler considerare una casa in campagna?
La donna scosse la testa, -Mio caro Mr. Browning, ne abbiamo già parlato. Non sarebbe meglio goderci la vita londinese per qualche tempo? In campagna possiamo sempre affittare una casa e, inoltre, alla morte di vostro zio erediterete Mangrove House e a quel punto cosa ne faremmo di due dimore di campagna? Ma ovviamente mio caro, se è ciò che desiderate, vi seguirò.
Arthur le sorrise prendendole la mano –No, avete ragione, volevo solo essere sicuro che non aveste cambiato idea nel frattempo.
Amava il sorriso di Julie, il suo spirito, il suo essere donna; aveva assistito il padre malato per anni, sin da quando non era che una tredicenne, imparando a vivere solo Miss Bolton al seguito. In una società come quella in cui vivevano non era stato affatto facile, neppure a New York. Quando l’aveva incontrata aveva amato sin da subito il suo carattere forte, ma anche la gioia con cui si era lasciata andare con lui, fidandosi fino a seguirlo in Inghilterra, lasciando il padre alle cure di una governante. Non era stato facile, ma l’uomo, dopotutto, neppure la riconosceva più.
Non aveva mai dubitato della saggezza della sua decisione, né della felicità che il matrimonio avrebbe portato loro, ma da quando era tornato a Londra un pensiero lo ossessionava senza dargli tregua e lui non vedeva l’ora che la Stagione finisse. Lui si sarebbe sposato e lei… Lei sarebbe andata via dalla capitale, portando con sé anche la sua ossessione.
 
 
Qualcosa affliggeva Lady Palmerston; benché la routine mattiniera non avesse subito alcuna apparente anomalia, all’occhio del marito balzò subito la posizione storta del cucchiaino che aveva usato per girare il tè, o la lentezza con cui aveva mangiato il biscotto alle mandorle che tanto amava. Dopo ventiquattro anni di matrimonio Sir Palmerston conosceva sua moglie. Non era stata un’unione d’amore, il loro, si conoscevano a malapena quando lo zio dell’allora Miss Elizabeth Hamilton, secondogenita di un ricco baronetto di campagna, l’aveva proposta al defunto Sir Palmerston come possibile moglie per suo figlio. Tutto in lei era adeguato, dall’estrazione sociale all’educazione, dai modi compiti alla elegante bellezza bionda; si erano conosciuti durante alcuni festeggiamenti per la fine dell’anno e, due mesi dopo, erano convolati a nozze. Mr. e Mrs. Palmerston passarono i primi mesi di matrimonio imparando a conoscersi e rispettarsi, ma l’affetto del marito sbocciò quando la giovane moglie, che allora aveva appena diciotto anni, gli era stata vicino nel momento più difficile della sua vita: quando l’amata sorella si era tolta la vita. La povera Claire si era perdutamente innamorata di un ufficiale della marina e la relazione tra i due era arrivata al punto che l’uomo aveva chiesto la sua mano al baronetto; costui, spinto dalle lacrime della figlia e dalle preghiere del figlio che altro non voleva che la felicità della sorella, aveva accettato, nonostante l’estrazione inferiore dell’ufficiale. A due settimane dalle nozze, però, l’uomo si era rivelato per ciò che era realmente, ovvero un arrampicatore sociale: dopo aver sedotto una ricchissima vedova l’aveva maritata dall’oggi al domani, senza alcun riguardo per la promessa sposa che, distrutta dal dolore e oppressa dall’opinione pubblica, si era lasciata annegare in un fiume.
Per Mr. Palmerston il colpo era stato fortissimo, i sensi di colpa l’avevano travolto e l’unica cosa che gli aveva impedito di annegare era stata la mano tesa della moglie, che non si era persa d’animo finché non l’aveva riportato a riva; dieci mesi dopo nacque la piccola Claire.
Memore degli effetti devastanti dell’amore e conscio di come, al contrario, un matrimonio combinato come il suo funzionasse splendidamente, era lieto che nessuna delle figlie fosse innamorata. I matrimoni combinati sarebbero stati la loro salvezza.
-Mia cara, cosa succede? Siete strana questa mattina.
Gli occhi chiari di Lady Palmerston si posarono sul marito, mentre le labbra si distesero in un sorriso.
-Mi affliggono le mie figlie, come sempre.
-Posso chiedervi come mai? Dopotutto sono anche mie, dividiamo il fardello.- esclamò il baronetto sorridendo divertito.
-Avete ragione… Mi preoccupa la situazione in cui si sta trovando Claire.
Una fitta aggredì il cuore di Sir Palmerston, i cui pensieri proprio poco prima erano andati alla sorella –Per il matrimonio?
-Sì! Non mi piace l’idea che si ritrovi ad essere una seconda scelta o, che se il conte dovesse preferirle Miss Astor sarebbe Mr. Astor a sentirsi una seconda scelta.
-Comprendo. E cosa vorreste fare, dunque?
-So che vi sono molti uomini interessati a Claire, ma non si fanno avanti perché comprendono la loro situazione. Se facessimo comprendere, però, che Claire non è impegnata in alcun modo, credo che potremmo ancora concludere un ottimo matrimonio.
Sir Palmerston annuì sovrappensiero –Mi sono sempre chiesto perché vi siate intestardita così tanto con Cecil e Astor. Se aveste pensato a mio nipote prima, non ci troveremmo un’americana come parente.
-Sir Palmerston, credevo che la signorina vi piacesse.
-Sì, certo, approvo la sua scelta, ma ciò non toglie che sia un’americana. Rispetto la scelta di Arthur, che è un uomo adulto, ma non posso fare a meno di pensare che avrei preferito saperlo sposato ad una mia figlia. Ad ogni modo, ormai è tardi per questi progetti. Avete ragione, però, quando dite che possiamo ancora concludere un ottimo matrimonio per Claire, facendo comprendere che è stanca di attendere l’indecisione dei due uomini. Sono sicuro che riceverà moltissime proposte, è una splendida ragazza e, inoltre, ha una dote di centodiecimila sterline.
-Bene, dunque è deciso,- Lady Palmerston apparve decisamente sollevata.
-Avete fatto bene a parlarmene, vedete? Che programmi avete per questa mattina?
-Sono in attesa di Mrs. Padmore e Mrs. John Padmore. Penso che inizierò con loro, così la voce giungerà fino a Lady Astor e suo figlio, poi questa sera a cena ne vedremo gli effetti.
-Andrà tutto bene, mia cara. Sistemeremo le ragazze e invecchieremo circondati da un’orda di nipoti.
Lady Palmerston sorrise, chiedendosi se essere chiamata nonna l’avrebbe fatta apparire più vecchia del dovuto.
 
Mr. Astor non amava particolarmente passeggiare, ma vi erano mattine, soprattutto nel periodo conclusivo della Stagione con l’estate ormai alle porte, che le pareti di casa o di qualche club gli risultavano soffocanti e lo spingevano a munirsi di cappello e bastone da passeggio per poi uscire.
Si trovava a Hyde Park quando scorse due figure familiari passeggiare vicino al lago, così decise di avvicinarsi: lui e Arthur Browning non erano mai stati intimi, ma erano sempre andati piuttosto d’accordo quando si erano trovati a frequentare gli stessi ambienti, cosa che accadeva spesso dal momento che gli Astor e i Palmerston avevano sempre avuto ottimi rapporti. Quando aveva saputo del suo rientro nel vecchio mondo ne era stato lieto e, scoprendo del fidanzamento, si era limitato a commentare che in fondo l’aveva sempre saputo che, tra tutti loro, lui era quello che si sarebbe sistemato per primo.
-Browning, amico mio.
La coppia si voltò verso di lui e Mr. Astor si inchinò a Miss Trevelyan.
-Anche voi desiderosi di godere della tiepida aria di giugno?
-Sì e no,- gli rispose Matthew -siamo venuti a visitare la dimora degli Hamish.
-Oh, ancora non l’hanno venduta? Ho portato le vostre cugine a visitarla alcuni mesi fa, Miss Emma moriva dalla voglia di entrarvi.
Un sorriso spontaneo nacque sulle labbra di Browning: aveva totalmente dimenticato come quell’abitazione fosse lo scenario preferito delle sue fantasie, benché non vi fosse mai entrata.
-Sarà rimasta delusa nel constatare che non vi erano tigri e tende ricoperte di stelle.
-Mortalmente delusa! Ha affermato, se non erro, che quando le porte di una casa vengono tenute sempre chiuse, alimentando le storie attorno ad essa, bisognerebbe premurarsi di rendere l’interno effettivamente fiabesco.
Julie aveva assistito a quello scambio di battute con apprensione: si fidava di Arthur, ma non poteva fare a meno di chiedersi perché tutto conducesse inevitabilmente ad Emma.
-Tipico di lei. Ad ogni modo, non credo rimarrà in vendita ancora a lungo, io e Miss Trevelyan stiamo pensando di acquistarla.
-O forse no, dobbiamo ancora decidere.
Aveva parlato istintivamente, senza pensare affatto a ciò che stava dicendo, e non si curò dello sguardo perplesso del suo fidanzato.
Se Astor avesse colto o meno ciò che era successo, non lo diede a vedere –Miss Trevelyan, posso rubare Mr. Browning oggi pomeriggio? Un paio d’ore tra uomini, devo incontrare il conte Cecil al club verso le cinque.
-Certo, fate pure. Io sono stata invitata dalle signorine Palmerston per un tè, in ogni caso.
-Dunque è deciso. Vi vedrò comunque a cena dai Palmerston questa sera, non è vero?
-Sì, ci vedremo lì.
Presi gli accordi, Mr. Astor si congedò e Browning, non appena questi fu sufficientemente lontano, si voltò verso la fidanzata.
-Credevo che la casa ti piacesse…
Era sinceramente perplesso, poiché era stata Julie a insistere per acquistarla.
-Avevi ragione tu, è troppo grande.
La donna si allontanò di alcuni passi, girando il parasole talmente velocemente che Arthur comprese immediatamente il suo nervosismo.
-Julie…- quel tono deliziosamente familiare la fece sciogliere appena, ma continuò a non voltarsi -mia cara, cosa succede?
-Sapevi che Emma amava quella casa!
-Lo sapevo, sì, ma non lo ricordavo affatto. Julie, è una cosa che risale a molti anni fa, era solo una bambina, e oltretutto non vedo dove sia il problema. Emma è mia cugina!
Era scosso, non comprendeva perché Julie stesse reagendo in quel modo, non era da lei scivolare in inutili crisi di gelosia, soprattutto non per una ragazza che era sua parente.
-Lo vedo come la guardi, Arthur.
Il tono ferito nella sua voce gli spezzò il cuore, portandolo a chiedersi quanto Emma l’avesse destabilizzato, se persino Julie si era resa conto di qualcosa.
Le prese la mano, costringendola a guardarlo. –Julie, io ti amo. Voglio bene a Emma, certo, ma come ad una cugina, come ne voglio a Eve e Claire. Se mi percepisci più affettuoso è solo perché la ricordo che era solo una bimbetta e per me rimarrà sempre la piccola di casa, ma non c’è nulla di più, devi credermi. Tu sei la donna con cui trascorrerò il resto della mia vita.
Qualcosa si spezzò nel suo petto, mentre pronunciava quelle parole e sentimenti sovrapposti e contrastanti gli affollavano il cuore senza che riuscisse a dipanare quella matassa informe.
Amava Julie, ne era sicuro, ma possedeva anche la disarmante certezza che Emma non era più la piccola Emma che ricordava e quello sguardo limpido in cui sembrava essere racchiuso l’intero mistero dell’universo gli era entrato dentro, sconvolgendo qualsiasi equilibrio.
Julie gli sorrise, confortata da quelle parole, e lui si sforzò di ricambiare, conscio di come il suo destino fosse già stato deciso.
-Andiamo a pranzo mia cara, poi comunicheremo che non desideriamo comprare quella casa.
Che non desidero Emma.
 
-Adoro questa sala da tè,- esclamò Claire sistemandosi il tovagliolo sulle gambe –vi sono talmente tante persone che c’è sempre qualcuno di cui sparlare.
Emma represse una risata mentre Eve si voltò verso Miss Trevelyan per scusarsi, ma neppure lei riuscì a nascondere bene il divertimento.
-Oh, non vi formalizzate con me, sono americana, ne ho viste di tutti i colori. Inoltre, faremo parte della stessa famiglia e vorrei davvero non considerarvi estranee.
-Lo vogliamo anche noi,- le rispose Eve a nome di tutti -anzi, ci teniamo ad assicurarvi che di qualsiasi cosa abbiate bisogno potete contare su di noi. Immagino non sia facile per voi avere un intero oceano a dividervi da quanto chiamate casa.
Julie sorrise appena –No, non lo è, ma amo Mr. Browning e non rimpiango assolutamente la scelta di seguirlo. Casa sarà ovunque lui decida di vivere.
-Siete fortunata,- commentò Claire improvvisamente seria –nostro cugino è un uomo di rara serietà e vi sposa per amore. È una cosa che non molte donne possono dire.
-Lo so, credetemi. E voi, Claire, non desiderate sposarvi per amore?
-L’avrei desiderato se fossi stata innamorata, ma non lo sono. Ciò a cui aspiro è una casa mia e una posizione: l’amore arriverà, se sarà destino. I nostri genitori si sono sposati seguendo il desiderio delle rispettive famiglie e sono infinitamente felici insieme. L’amore che precede il matrimonio è raro, bisogna essere abbastanza intelligenti da cercare di farlo nascere dopo.
Miss Trevelyan non poté fare a meno di ammirare la tempra della ragazza: aveva un carattere pratico, ma non era una persona fredda. Claire, in fondo, era l’emblema stesso della società inglese di quel particolare periodo storico, in cui i matrimoni erano un contratto, non certo il punto culminante di una relazione sentimentale. Claire era la regola, lei stessa l’eccezione.
-Ad ogni modo, spero che concederete ad Arthur un ballo con le sue cugine. Gli uomini sposati raramente danzano e se non ricordo male il vostro fidanzato è un ottimo ballerino, meglio approfittarne finché possiamo.
Il sorriso di Julie non si incrinò, neppure quando gli occhi di Emma, bassi fino a quel minuto, guizzarono in alto per poi sfuggire lontani mentre le gote le si imporporavano. Ad essere onesti, la piccola Palmerston le faceva tenerezza.
-È tutto vostro. Io mi diletterò con gli altri giovani, finché Mr. Browning non mi porterà all’altare.
-Dunque è deciso,- sorrise Eve, sporgendosi poi per chiamare il cameriere e ordinare dei pasticcini –Emma, tesoro, non mangi?
-Io… Sì, certo.
-Mi sembrate pallida, mia cara,- commentò Julie ed Emma scosse la testa sorridendo.
-Non è nulla, solo un leggero mal di testa.
Quante volte aveva usato quella scusa? Effettivamente, Emma sapeva di non star bene da ormai una settimana, ma non era certo quello il problema;il pensiero di Arthur era fisso nella sua mente e lei non riusciva a comprendere i suoi sentimenti, le sue sensazioni, e questo le provocava un forte turbamento. Il fatto, poi, che lui stesse per sposarsi, le pervadeva l’animo di insofferenza: nonostante fosse un’appassionata lettrice, aveva sempre guardato con scetticismo ai tanto decantati amori totalizzanti, alle anime gemelle e all’uomo perfetto e aveva sempre immaginato che avrebbe finito per sposare un giovane gentiluomo che trovasse piacevole. L’amore non era mai stato contemplato nei suoi pensieri e a diciassette anni trovava anche difficile comprendere cosa fosse davvero, quel sentimento di cui tanto si parlava, nel bene e nel male. Con suo cugino, però, tutto era confuso, la razionalità l’aveva abbandonata e ciò che Emma desiderava era poter far luce sui suoi sentimenti: la presenza di Julie la terrorizzava, perché qualsiasi cosa provasse per Arthur, non erano destinati ad avere un lieto fine e la fanciulla non riusciva ad accettare la possibilità di essere meno che felice: lo era sempre stata, dopotutto, portata com’era a sorridere in qualsiasi circostanza e a vedere il bene in ogni cosa.
-Mi chiedo se non sia il caso di chiamare il medico,- commentò Claire osservandola -sei pallida da giorni.
-No, non preoccuparti. Starò bene. Piuttosto, cosa indosserete stasera?
Si rifugiò dietro chiacchiere sciocche e futili, distogliendo l’attenzione da sé: in due settimane Arthur e Julie si sarebbero sposati, lei sarebbe tornata a Maidenhead e avrebbe avuto mesi per dimenticarsi di lui.
Alla fine, sarebbe andato tutto bene.
 
Imprevedibilmente, erano riusciti a trovare un angolo appartato nella sala del club, in cui poterono sedersi a sorseggiare brandy e fumare sigari senza essere disturbati. Trevon Astor non era mutato molto negli anni, constatò Arthur; la sua espressione gioviale e impertinente, l’aspetto elegante e la battuta pronta erano qualità che aveva sempre posseduto e che non aveva mai perso.
-Dunque, Browning, infine vi sposerete e devo farvi i complimenti, avete scelto davvero bene.
Arthur sorrise a quelle parole -Oh, sì Miss Trevelyan è meravigliosa, sono un uomo fortunato…
Astor non si era aspettato una risposta diversa, ovviamente, ma nonostante sapesse quanto fosse poco elegante non resistette alla tentazione di indagare a fondo, cercando conferma dei propri sospetti -Ed Emma?
-Emma? Cosa c’entra Emma?
-Amico mio, io posso far elegantemente finta di non vedere, ma si da il caso che, al contrario, ci veda benissimo. Il solo nome Emma ha fatto frizzare l’aria, questa mattina.
-Non so di cosa stiate parlando.
Serio, rigido, impeccabile: tipico di Browning, dopotutto, ma cionondimeno Astor non rinunciò. Una volta aperto il discorso, non l’avrebbe lasciato cadere senza conoscere la verità.
-Come volete… Ma non potrei darvi torto, sapete? Emma è un’adorabile fanciulla. Troppo piccola ancora, forse, ma racchiude in sé tutte le qualità che si potrebbero desiderare in una donna. È elegante, colta, suona l’arpa in maniera magnifica, danza come una fata ed è divertente e arguta. Non fate quella faccia, Browning, siete forse geloso?
-Emma è splendida, lo so benissimo. L’ho vista nascere, quella bambina.
-Non è più così piccola.
Una semplice frase che fece sprofondare il cuore nel petto di Arthur -No, non lo è.
-I fidanzamenti possono essere rotti, sapete? Sono piuttosto convinto che tutti i Palmerston accoglierebbero la notizia con gioia.
-A loro piace Miss Trevelyan.
-Certamente. Ma non è Emma. Non è loro.
-Anche se aveste ragione, Astor, e non dico l’abbiate, non potrei mai rompere il fidanzamento. Julie… Miss Trevelyan mi ha seguito fin dall’America, lasciando casa, famiglia e posizione per me. Non so neppure perché stiamo facendo questo discorso, onestamente. Qualsiasi cosa crediate di aver visto, siete in errore.
-Va bene,- Astor alzò le mani in segno di resa -perdonate l’ardire e fate finta che non abbia detto nulla. Oh, ecco Cecil,- continuò poi facendo cenno al conte di avvicinarsi –conoscete Mr. Browning?
Il conte si inchinò -Sì, siamo stati presentati a teatro.
-Oh, certamente. Dunque, come state?
Matthew sorrise appena, con quella tipica espressione annoiata che sembrava non abbandonare mai il suo volto –Sto bene, molto bene, anche se non vedo l’ora che la Stagione giunga al termine, così da poter tornare in campagna. Non sopporto trascorrere l’estate in città.
Astor sbuffò –Voi non vedete l’ora! Buon per voi, ma immagino ricorderete cosa ci si aspetta da noi a fine Stagione.
-Vostra madre e Lady Palmerston difficilmente mi consentirebbero di dimenticarlo. Non temete, prenderò una decisione, alla fine. Dovremmo prendere esempio dal nostro Browning, qui, e sposarci senza tanti problemi.
Mr. Astor sorrise, ripensando ai discorsi di poco prima, ma annuì. Mr. Browning, dal canto suo, si soffermò ad osservare per la prima volta uno dei migliori partiti in circolazione, comprendendo perché Claire volesse sposarlo: oltre ad avere trent’anni, l’età perfetta per un uomo per sposarsi, aveva un patrimonio di dodicimila sterline l’anno, un titolo nobiliare e una buona dose di fascino.
-Sarete a cena da mio zio, questa sera?
-Sì, certamente. Astor, non è vostra sorella quella?- aggiunse poi scorgendo in strada Annabeth che stava passeggiando  insieme alla sua cameriera personale. Cecil si alzò, facendo cenno al suo valletto di seguirlo, e, quando lo videro, gli occhi di Miss Astor si illuminarono, piacevolmente sorpresi.
-A volte vorrei scegliesse Claire, togliendomi d’impaccio. Sono un pessimo fratello, vero?
Il tono voleva essere divertito, ma Mr. Browning colse chiaramente una nota dolente dietro esso, che lo portò a chiedersi quante ombre celasse il carattere apparentemente gioviale dell’amico e se davvero lui potesse essere la felicità di Claire. Lei non avrebbe mai accettato la presenza di un’amante, ma Astor sarebbe riuscito a fare a meno di Mrs. Lieven senza rendere la propria vita miserevole?
-Perché non dite chiaramente che non volete sposarvi? Sono sicura che Claire avrebbe una fila di pretendenti fuori la porta se facesse anche solo intuire la possibilità di vagliare proposte diverse da voi e Cecil. Risparmiereste tormenti a tutti.
-Oh, non avete idea di quante volte l’abbia pensato: potrei rimanere scapolo a vita e alla mia morte il patrimonio passerebbe al figlio di Annie, che non si chiamerebbe Astor, ma avrebbe comunque il nostro sangue. Oh, sì, credetemi, ho valutato tale prospettiva molte volte, ma mia madre agogna così tanto vedermi maritato che non ho il cuore di disattendere le sue aspettative. Un bell’impiccio, non credete?
-Abbastanza. Sono sicuro che troverete una soluzione, alla fine; a volte una leggera infelicità è un buon prezzo da pagare per la felicità altrui.
Astor alzò il sopracciglio, sorridendo appena –Oh, è per questo che vi sposate, dunque?
E Browning non seppe cosa rispondere.
 
Il volto di Annabeth, all’ombra del parasole, si tinse di gioia quando Cecil uscì dal club per andarle incontro, mentre la sua cameriera si ritirava in disparte, sbuffando quando scorse il valletto alle spalle del conte. Per qualche strano motivo il ragazzo si era incapricciato per lei e, per amore della sua signora, doveva sopportarne la presenza ogni qual volta il conte e Miss Astor fossero insieme. Gli voltò ostentatamente le spalle, ma non riuscì in alcun modo ad evitare la conversazione.
-Allora, mia cara, cosa mi dite dei nostri due signori?
Veronica, che era al servizio di Miss Astor da tutta la vita, sbuffò del tutto incurante degli occhi dolci che il giovane le stava facendo. –Dico che se il vostro conte non si sbriga a prendere una decisione, Miss Astor potrebbe decidere di guardarsi altrove.
-Oh, ma voi farete in modo che non sia così, non è vero?
Ted prese tra le sue la mano della ragazza, che però fu immediatamente ritratta -Avete due settimane, non un istante di più.
-Mi spezzate il cuore.
-Sopravvivrò!- replicò stizzita, seguendo infine Annabeth senza neppure congedarsi dal ragazzo.
 
-Quell’uomo mi farà impazzire. Si divide perfettamente tra me e Claire, lasciandoci entrambe nell’incertezza; mi chiedo se si diverta.
-Onestamente non saprei, Miss. Il conte resta un mistero per me.
Annabeth scosse il capo con impazienza. Non aveva particolarmente fretta di maritarsi, con sua madre perennemente costretta a letto dai nervi era la signora incontrastata di Periwinkle Abbey e, a ventidue anni, non avrebbe pensato al matrimonio ancora per un po’ se lo stesso conte, ad inizio Stagione, non avesse manifestato un certo inequivocabile interesse nei suoi confronti. Da un innocente ballo all’idea di essere la nuova contessa di Cecil il passo era stato breve e il pensiero del matrimonio era divenuto improvvisamente una necessità impellente. Peccato, però, che l’indolente Lord Matthew Gordon avesse rivolto le stesse attenzioni a Claire. In realtà, se fosse stata leggermente più coinvolta dal conte la cosa l’avrebbe fatta infuriare abbastanza, considerando quanto spesso avesse la sensazione che l’unico scopo dell’uomo fosse divertirsi guardando due ragazze che si conoscevano da sempre contendersi la sua mano. Lei e Claire non erano state mai grandi amiche, ma la loro gioviale rivalità era parte integrante della sua vita da sempre, tanto più che i Palmerston erano l’unica famiglia non inferiore agli Astor presente a Maidenhead e dunque avevano trascorso moltissimo tempo insieme. In realtà, il matrimonio tra Claire e Trevon non era solo un desiderio dettato dall’interesse per il conte, ma un’unione che tutti davano per scontato sin da quando non erano che bambini.
-Perché non vi guardate attorno, Miss Astor?
La voce di Veronica la riscosse da quelle memorie –Non posso, è una questione di orgoglio e reputazione ormai. Viviamo in una società molto sciocca, mia cara, e bisogna adattarsi. Ad ogni modo, cerca di scoprire qualcosa dal valletto del conte, se puoi. Credo abbia un debole per te.
-Lo ha per tutte, signorina.
-Mi ricorda qualcuno…- commentò ironicamente, -Bene, allora faremo in modo che tanto il conte quanto il valletto si rendano conto che noi non siamo tutte.
Lo sguardo di Veronica guizzò allarmato –Mia signora, non vorrete…
-Se io dovessi, alla fine, sposare il conte, perché no? In fondo, vivreste sotto lo stesso tetto.
-Non potrei mai amarlo.
-E chi ha parlato d’amore, mia cara?
 
La dimora dei Palmerston era in fermento, eccetto che per Sir Palmerston che sedeva tranquillamente in salotto bevendo dell’ottimo vino importato direttamente dalla Francia; sua moglie vorticava lungo tutte le stanze per assicurarsi che tutto fosse pronto, mentre le figlie terminavano gli ultimi preparativi.
Claire, già impeccabilmente vestita con un abito color porpora stretto sotto il seno da un nastro verde, stava intrecciando i boccoli biondi di Emma con dei nastri azzurri che riprendevano il colore dell’abito, mentre Eve terminava le abluzioni davanti alla toletta per poi indossare un abito verde e bianco. Prima di scendere al pian terreno, però, le due sorelle maggiori si lanciarono un’occhiata preoccupata.
-Emma, per favore, puoi dirci cosa ti succede?
-Nulla.
Una risposta precipitosa. Troppo precipitosa.
Eve sospirò e le si sedette accanto, prendendole la mano -Ti conosciamo da diciassette anni, Emma, tu non sai mentire, soprattutto non a noi. Qualcosa ti affligge,perché non vuoi dividere il tuo peso con noi?
Emma abbassò lo sguardo, stringendo le mani per celare il tremore.
-Io… Mi vergogno.
-Oddio, Emma, così ci farai impazzire? Ti vergogni? Di noi? Le tue sorelle?
-Non di voi, ma…
-Si tratta di un uomo. Avanti, non può essere così tragica la situazione.
La minore delle sorelle si alzò di scatto, avvicinandosi alla finestra per prendere aria; il peso del segreto che portava con sé la stava uccidendo, aveva bisogno di confidarsi e sapeva che, nonostante i loro caratteri particolari, Claire e Eve non l’avrebbero giudicata.
-Si tratta di nostro cugino.
-Arthur?
-Io l’amo.
-Che sciocchezza.
-Claire, io non ho mai creduto che l’amore sia quello dei romanzi che leggiamo di nascosto da nostro padre, non so come dare un nome a ciò che provo, ma so che da quando lui è tornato non faccio che pensare a lui, è come un’ossessione, e il pensiero che si debba sposare mi tormenta.
Emma si sentì leggera dopo quella confessione, ma quando colse l’occhiata tra le sorelle il cuore le si appesantì nuovamente.
-Tu credi che lui possa ricambiare?
-Non lo so…
-Non lo so non è no- constatò semplicemente Claire.
-No, non è no.
Tornò a sedersi accanto a loro e si lasciò abbracciare, concedendosi uno di quei rari momenti di affetto fraterno che accadevano troppo di rado.
-Emma tesoro, ascolta. Io e Eve alla tua età ci siamo prese centinaia di infatuazioni. Hai diciassette anni, questa è la tua prima Stagione e tu hai sempre adorato Arthur, sin da bambina. Io credo che non appena torneremo a Mangrove House tutto svanirà in una bolla di sapone e ci rideremo su.
-E se così non fosse?
A entrambe le sorelle si spezzò il cuore davanti a quel volto così triste, proprio quei lineamenti che non erano mai stati meno che splendenti di gioia fino a pochi giorni prima.
Eve guardò Claire, che scosse la testa senza sapere cosa fare.
-Noi non vogliamo darti false speranze, piccola, ma possiamo dirti questo: se dovessimo accorgerci anche solo del benché minimo interesse di Arthur nei tuoi confronti, allora lotteremo per voi.
-Sì, certo,- confermò Claire -ma devi essere consapevole che è una speranza remota.
-Lo so…
-Piccola, piccola Emma,- Eve le scostò un boccolo dalla fronte –piccola Emma innamorata, ci prenderemo noi cura di te.
Il suono del campanello le riscosse; quando scesero le scale per andare incontro al cugino e alla sua fidanzata, sul volto di nessuna delle tre poteva leggersi la minima ombra di ciò che era successo, persino Emma sembrava la solare e divertente solita Emma.
Nessuno di loro, però, sapeva quanto sarebbe stata lunga quella sera.

Caro diario, questa sera dovrò ballare con lui. Non credo di esserne in grado, mi sembra di aver scritti in faccia i miei sentimenti, permettendo a chiunque di leggerli. E mi sento in colpa, così tremendamente in colpa. Non so cosa aspettarmi da questa cena, il mio cuore sfugge al mio controllo alla sola idea. Inoltre, con gli Astor, il colonnello Lennox e il conte di Cecil tutti nello stesso posto… In altre circostanze mi sarei divertita, ma alla luce dei recenti avvenimenti che mi riguardano in prima persona, vorrei solo fosse già passata.




Note: BuonSalve! Il tempo vola ed è di nuovo sabato... Bene, diciamo che Emma e Arthur stanno "uscendo allo scoperto", il loro rapporto sembra palesemente non molto fraterno. Povera Julie, non è biasimabile, dopotutto.
Scopriamo anche la storia di miss Claire Palmerston, sorella del baronetto: la nipote condividerà anche la triste sorte, oltre che il nome?
Chi credete sarà il morto della festa?
Quanto ad Annabeth, si sta stancando dei giochi del conte... E a ragione, direi.
Grazie a chi segue/preferisce/ricorda, grazie per le recensioni e grazie a Lyra per il betaggio.

Ci sentiamo sabato per la cena a casa Palmerston!

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Em

 

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Capitolo 4
*** Chapter IV ***


 

“È una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere alla ricerca di una moglie.” [Orgoglio e Pregiudizio]

Colonna sonora del capitolo


 

La cena fu servita alcuni minuti dopo l’arrivo degli ultimi ospiti, Mr. e Mrs. Sefton, una coppia di vecchi amici dei Palmerston. Argenteria e cristalleria erano state lucidate per l’occasione e brillavano sulla tavola illuminate dalle candele posizionate lungo tutta la sala da pranzo; le diciannove persone si sedettero mentre il pendolo suonava la settima ora della sera, le coppie furono divise come il decoro imponeva e le chiacchiere iniziarono immediatamente, proseguendo tra una portata e l’altra.
Sir e Lady Palmerston erano rinomati per essere degli ottimi padroni di casa e anche quella sera non si smentirono.
-Mia cara Mrs. Sefton, ho saputo che vostra figlia si sposa.
La donna annuì all’indirizzo di Lady Astor, -Sì, la sera della vigilia di Natale. Avevo iniziato a temere che non si sarebbe più sistemata e sarebbe stato un tale peccato, una così deliziosa fanciulla sprecata.
Nessuno le fece notare che Allison Sefton era sì deliziosa, ma aveva le forme decisamente troppo morbide e un umore che scivolava nella tristezza fin troppo facilmente; evidentemente, però, la dote di ottantamila sterline era stato un ottimo incentivo per tale Mr. Eston, che l’avrebbe condotta all’altare.
-Ci riteniamo molto fortunati, Mr. Eston sarà un ottimo marito per lei. Non l'ama, è indubbio, ma cosa importa? Ha rendita di oltre settemila sterline l'anno.
-Non credete, mia cara signora, che l’amore sia importante nel matrimonio?- si inserì il reverendo Burrel, la cui moglie stava conversando con il colonnello mostrando una pancia che ormai, al settimo mese, neppure gli ampi abiti potevano nascondere più. Il loro matrimonio aveva destato un certo scalpore, la Stagione precedente, poiché l’allora Miss Mary Bridgeton proveniva da una ricca famiglia appartenente alla gentry, la nobiltà di campagna, e avrebbe potuto aspirare a un partito superiore a Mr. Burrel, reverendo del paese. La fanciulla aveva strepitato così tanto, però, che alla fine i genitori avevano acconsentito, diminuendo però la dote che avrebbe ricevuto se avesse sposato un uomo che avesse ricevuto l’approvazione paterna.
-Oh, reverendo, lo è, senza dubbio, ma non è fondamentale: voi vi siete sposato per amore e lo stesso faranno Mr. Browning e la sua splendida fidanzata, ma molti di noi qui si sono sposati che appena si conoscevano e sono stati perfettamente felici in ogni caso.
-Io credo sinceramente che l’amore sia un concetto sopravvalutato.- commentò il conte. –Il matrimonio è basato su altri valori, sul rispetto, sul desiderio di costruire una famiglia… L’amore forse arriva in seguito, ma non mi struggerei se così non fosse.
E mentre diceva quelle parole guardò prima Claire e poi Annabeth, per poi tornare a concentrarsi sulle fragole che aveva davanti a sé.
 
La conclusione della cena li fece spostare nell’ampio salone, dove Emma si posizionò al piano e i giovani presero posto al centro, pronti a ballare il Cotillion: il conte con Eve, il colonnello con Miss Astor, Mr. Astor con Miss Trevelyan e Athur con Claire.
Sir e Lady Astor, Sir e Lady Palmerston, Mr. e Mrs. Sefton, Mr. e Mrs. Burrel si accomodarono sui divanetti, in estasiata contemplazione della danzante gioventù. Non appena Emma iniziò a suonare l’atmosfera si riscaldò ed è inutile specificare come gli sguardi di tutti sfuggissero dal compagno per posarsi su altri componenti di quel gruppo di ballo, in un incrocio di speranze, aspettative e delusioni che li racchiusero in una bolla fuori dal mondo. La Stagione stava finendo e quello era un dato inesorabile e lapidario, per tutti loro.
Le coppie mutarono, per il ballo successivo, e mutarono ancora e ancora: Eve, però, non lasciò mai il braccio del colonnello, concedendosi una libertà che in luoghi come l’Almack's sarebbe stata ritenuta assolutamente sconveniente, ma che in quell’ambiente ristretto sembrava solo una necessità dettata dall’esiguo numero di ballerini.
-Credete che vi saranno altre guerre, colonnello?- domandò tra una figura e l’altra del ballo.
L’uomo la guardò un istante prima di rispondere, -Non lo so. La situazione in Francia sembra stabile, ma finché quell’uomo è in vita mai dire mai. Ad ogni modo, non potrò partire in ogni caso, il mio braccio ferito è ancora ottimo per ballare, ma non per imbracciare un fucile.
Eve sospirò –Mi dispiace che siate stato colpito, ovviamente, ma non mi dispiace affatto che non rischierete più la vita, colonnello Lennox.
Sincera e impavida, come solo il profondo affetto poteva renderla. Il colonnello le strinse di più la mano.
-Mia signora… Mia splendida Miss Eve, sono troppo ardito a chiedervi di incontrarci domani, per una passeggiata al parco?
Eve arrossì, mentre il cuore le batteva nel petto. –No, colonnello, non lo siete. Io ed Emma stavamo proprio pensando di fare una passeggiata domani.
-Allora vi attenderò.
Era dunque giunto il momento? Eve si voltò verso Claire che, lontana dalla pista, parlava con il conte insieme ad Annabeth; verso Emma, che osservava pensierosa Arthur e la sua fidanzata danzare, e sospirò sentendo di non meritare quella gioia privata che l’aveva invasa. Poi però vide lo sguardo raggiante del colonnello e ogni pensiero triste svanì in un istante: a pochi passi da lei stava la chiave della sua felicità.
 
Emma aveva temuto l’arrivo di quel momento per tutta la sera, spaventata dall’idea di condividere con suo cugino un rito che fino a pochi anni prima era innocente e carico di allegria. Era stato Arthur a insegnarle a danzare dopo averla scoperta a spiare le lezioni di ballo delle sorelle maggiori e riprodurre i passi insieme con una bambola di pezza a farle da cavaliere; di nascosto le aveva impartito le lezioni basilari e anni dopo, quando era stata ritenuta grande abbastanza per prendere lezioni anche lei, tutti si erano stupiti della sua bravura. Anno dopo anno aveva atteso trepidante il ritorno del cugino per mostrargli i suoi progressi, per ballare ancora alla luce del sole, ma in quel momento tutto ciò che desiderava era essere dimenticata. Purtroppo, però, verso la fine della serata Lady Palmerston aveva constatato che Arthur doveva ancora un ballo alla cugina più piccola e non era stato possibile rinunciare. Avevano preso posto al centro della sala, circondati dalle altre coppie, ed Emma aveva cercato di sorridere spensierata: Arthur le porse la mano dopo averla fatta volteggiare due volte tra loro, come era solito fare tanti anni prima per rendere la danza teatrale… E solo allora la fanciulla rise di cuore, comprendendo che anche lui ricordava.
-Posso prendermi il merito della tua bravura?
-Devi. Non credo che quella bambola di pezza abbia contribuito molto.
Arthur le sorrise, continuando le elaborate figure della danza. Era bella, Emma, e in quel momento più che mai la sentì sua.
-Com’è andata questa tua prima Stagione?
-Benissimo. La mamma voleva attendere che Claire si sposasse, ma poi ha pensato che sarebbe stato crudele costringermi a casa anche quest’anno… terribilmente crudele!- aggiunse con un’espressione buffa che fece stringere il cuore di Arthur.
-Decisamente. Ho sempre pensato che far dipendere la vita delle sorelle minori da quella delle maggiori fosse ingiusto.- replicò serio, per poi scoppiare a ridere cogliendo un’occhiata astiosa della suddetta sorella maggiore.
-Molto ingiusto, in effetti. È stato un bel debutto, ho ballato fino a che non sono più riuscita a stare in piedi.
-Mi sarebbe piaciuto esserci.
-Sarebbe piaciuto anche a me.
Chiacchiere apparentemente innocenti che però, all’orecchio di cinque persone, assumevano significati pericolosi e sconcertanti; non appena poté, Julie si avvicinò al suo fidanzato e poi fece casualmente notare a Lady Palmerston la necessità che Emma, alla sua prima Stagione, uscisse il più possibile in modo da creare un giro di giovani pretendenti le cui lettere la divertissero durante l’estate. L’idea aveva la sua coerenza, la padrona di casa si disse d’accordo ed Emma non riuscì a replicare nulla, perché quanto esposto dalla ragazza americana era esattamente ciò che si era prefissata il precedente dicembre, quando la Stagione era iniziata. In quel momento, però, tutto ciò che riuscì a pensare fu che Julie aveva probabilmente intuito tutto e si sentì terribilmente in colpa: non era una rovina famiglie, non aveva mai voluto esserlo e non aveva alcuna intenzione di rovinare proprio quella. Il suo cuore battè stizzito quando la sua mente partorì quel pensiero, ma Emma sapeva che, tra ragione e sentimento, in quella circostanza sarebbe dovuta prevalere la prima, nella speranza che il secondo venisse sfumato dal tempo.
Quanto a Miss Trevelyan, sospirò di sollievo quanto Arthur le si sedette accanto, lasciando il fianco di Emma, e riuscì ad ascoltare le chiacchiere di Mrs. Sefton con più tranquillità.
-Chi credete sposerà alla fine?
Julie sbiancò, pensando per un folle istante che si riferisse ad Arthur, ma poi seguì lo sguardo della donna e vide il conte lasciare la mano di Claire per ballare con Annabeth.
-Chiunque sarà, non potrà certo dire di essere il suo unico vero amore.
-No, ma potrà farsi chiamare contessa.
 
 
-Claire…
Miss Palmerston si voltò sorridendo verso Trevon, che le si era seduto accanto; in pubblico evitavano da anni di chiamarsi con i nomi di battesimo, ma in quel momento, seduti vicino al pianoforte, erano lontani da orecchie indiscrete.
-Vi divertite?
-Molto, come sempre quando sono a casa vostra: voi Palmerston sapete come intrattenere gli ospiti.
-Sono felice di sentirlo.
-Dovremmo parlare.
Claire annuì, reprimendo un brivido; nonostante desiderasse sposarsi e nonostante il giovane Astor fosse stato sempre il più papabile tra tutti i pretendenti, in cuor suo la ragazza non era sicura di volerlo. Provava per lui un profondo affetto, ma come si ama un fratello dispettoso.
-Lo credo anche io…
-Lo sapete che tengo molto a voi, vero?
Claire sorrise –Mi avete dimostrato il vostro affetto in modi molto discutibili nel corso degli anni,- replicò ricordando gli scherzi e i litigi che li accompagnavano da sempre –ma sì, lo so.
-Claire, voi siete splendida, ma seriamente, riuscite a immaginarci come marito e moglie? So che è quello che si aspettano da noi e forse l’aspettate anche voi, ma…
-Ma è un’idea ridicola, lo so.- confermò con un sospiro, -Non riesco davvero ad immaginarci sposati e credo che, se da amici funzioniamo perfettamente, da marito e moglie finiremmo per renderci miserevoli a vicenda.
Non nominò Virginia, ma non ve ne fu bisogno: conosceva Trevon al punto da sapere che per lei avrebbe rinunciato all’amante, ma in quel modo si sarebbe inflitto una punizione che, a lungo andare, li avrebbe portati ad odiarsi. Per qualche motivo che non sapeva comprendere, non riusciva a fare a meno di lei.
-Dunque… Cosa diremo loro?- le chiese indicando con il capo il gruppo alle loro spalle.
-Nulla. Non per il momento, almeno. Ci penseremo a casa, la Stagione sta finendo e noi abbiamo il matrimonio di Arthur a cui pensare.
Mr. Astor sorrise –Ho sempre pensato che vi sareste sposati.
-L’avete pensato solo voi, temo.- commentò alzandosi, -Raggiungiamo gli altri, non sta bene rimanere qui da soli.
L’altro annuì, alzandosi e tendendole la mano per aiutarla a fare altrettanto, poi tornarono a sedersi insieme agli altri finché non fu ora di salutarsi, entrambi con un peso in meno sul cuore.
 
Non riusciva a prendere sonno dopo aver riaccompagnato Julie a casa, dove una paziente Miss Bolton l’attendeva sveglia. Troppi pensieri affollavano la sua mente, troppe sensazioni contrastanti condite da sensi di colpa e speranze morte prima ancora di nascere. Quella che fino a pochi giorni prima sembrava un’incrollabile certezza, quell’amore che l’aveva spinto a pregare una giovane fanciulla ad abbandonare tutto per seguirlo in Inghilterra, vacillava. Le aveva promesso che l’avrebbe resa felice, che con lui sarebbe stata al sicuro e non aveva alcuna intenzione di venire meno a quella promessa, ma il suo quadro di vita perfetta non aveva fatto i conti con un’imprevista variabile che lo torturava sin da quando non aveva posato gli occhi su di lei la prima volta. La seconda prima volta, in realtà, ma la prima lei non era che un fagottino di cinque mesi con due enormi occhi chiari e un ciuffo di capelli talmente biondi da essere impalpabili. L’aveva amata sin dal primo istante, sin dal primo sorriso, ma non avrebbe mai immaginato che quell’affetto fraterno potesse mutarsi in altro, nel corso del tempo.
Immerso com’era nei suoi pensieri quasi non notò che la porta della sala della musica era socchiusa e, attraverso lo spiraglio, filtrava la luce di una candela. La casa era immersa nel silenzio, e nonostante vi abitassero quasi quindici persone, tra i padroni e i domestici, sapeva perfettamente chi vi avrebbe trovato.
Leiera lì, con gli occhi chiusi e le mani che quasi sfioravano il pianoforte inseguendo una muta melodia accessibile solo a lei. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere di quale melodia si trattasse, ma quando si avvicinò e guardò lo spartito avrebbe preferito non essere mai entrato. Concerto per pianoforte e orchestra n. 25 in Do maggiore,di Mozart. Ricordò una bimba di sei anni seduta in un angolo, in silenzio, totalmente rapita dalla musica che lui stava suonando al pianoforte. Era ovunque, Emma, nel felice passato, nell’oscuro presente… Ma non nel suo futuro.
Mosso da puro istinto le sfiorò una ciocca di capelli con le dita e la sentì sobbalzare, colta totalmente di sorpresa.
-La suonerai per me?
-L’ho sempre suonata solo per te.
Fu solo un sussurro, ma nel silenzio che li circondava lo colse perfettamente.
-Emma…
La ragazza si alzò in piedi, allontanandosi da lui e nascondendosi in un angolo privo di candele; Arthur poteva scorgere solo la sagoma.
Sarebbe dovuto andare via, interrompere quell’inopportuna situazione, ma qualcosa –qualcuno- lo teneva inchiodato lì impedendogli di allontanarsi e, cosa ancor più grave, di pensare con lucidità.
-Non scappare da me.
-Non ho scelta.
-Emma… Mia meravigliosa Emma…
-Vi prego, non fatelo. Non posso sopportarlo.
Arthur incassò il colpo, la dolorante, deliberata freddezza. –Non ho mai voluto farvi male.
-Lo so. Staremo bene, Arthur. Julie è meravigliosa e sono sicura che vi renderà felice.
-Vorrei non essere mai partito.
Il cuore di Emma si strinse, ma la sua razionalità si rifiutò di arrendersi alla flebile speranza di quelle parole. –Pensare al passato non serve a nulla, tutto ciò che ci interessa è il futuro. Con quello dobbiamo fare i conti. Buona notte, Arthur.
Egli si lasciò congedare e solo quando fu sola Emma crollò a terra, scossa da interminabili singhiozzi.
 
Mrs. Virginia Lieven non aveva mai avuto amanti fissi, se si escludeva quello che sarebbe divenuto suo marito, un ricco uomo d’affari sempre in giro per il mondo che non faceva mai ritorno a Londra e che lei raggiungeva di tanto in tanto all’estero. Mr. Trevon Astor era la sua eccezione, l’unico amante di cui non riuscisse a fare a meno neppure dopo anni di stabile relazione; certo, lei aveva avuto altri uomini nel frattempo, era una cortigiana dopotutto, ma nessuno stabile quanto il figlio del baronetto. Astor era la sua anima gemella, saziava il suo desiderio di amore violento che gli altri banali uomini non riuscivano neppure a cogliere… L’idea di poter, un giorno, dover rinunciare a lui non le piaceva affatto e accolse con gioia la notizia del mancato matrimonio con Miss Palmerson; Claire, oltretutto, le piaceva, era una donna forte in un mondo governato dagli uomini e questo riscuoteva la sua simpatia, ma sapeva che non avrebbero mai potuto dividere Astor.
-Dunque non vi sposerete?- gli chiese indossando una vestaglia e cercando di dare una forma accettabile ai boccoli biondi. Trevon, ancora sdraiato a letto e coperto solo dalla cintola in giù dal lenzuolo, le sorrise. –Lo farò, ma con qualche sciocca fanciulla che si accontenti di governare Periwinkle Abbey senza fare troppe domande.
-Finalmente vi riconosco.
-Oh, lo so… Ero diventato troppo sentimentale, nevvero?
La risata di Virginia si disperse nella stanza, provocando i pigri miagolii del candido gatto acciambellato sul vano della finestra.
-Quel gatto mi odia.
-Lo so, mio caro, è un animale geloso e voi mi distraete.- gli rispose prendendo in braccio l’animale e tornando a sedersi sul letto.- Quando tornerete a Maidenhead?
-Non appena terminerà la Stagione. Voi cosa farete in questi mesi?
-Penso che raggiungerò mio marito in Egitto.
Trevon sgranò gli occhi, -Il marito!
-Oh, sì, il marito.- confermò mostrandogli la fede nuziale che adornava l’anulare. –Ora, se volete scusarmi avrei da fare.
L’uomo annuì, uscendo dal letto incurante della sua nudità e sorridendo deliberatamente, certo di aver preso la decisione giusta: non sarebbe mai riuscito a fare a meno di Virginia, ma neppure avrebbe accettato di oltraggiare in tal modo Claire. Si prefissò di convincere Cecil a sposare sua sorella, così da poter tornare a casa senza essere sottoposto ai rimproveri della famiglia, ma non sapeva che il conte, in quel momento, aveva preso la sua decisione.
 
 
Il colonnello Lennox aveva sempre apprezzato la più piccola delle sorelle Palmerston, ma mai come quel giorno trovò adorabile la sua intuitività. Emma aveva accompagnato Eve per la passeggiata pomeridiana, ma non appena il colonnello le aveva raggiunte si era attardata con la scusa di ammirare gli aquiloni, lasciando ai due la giusta riservatezza per dire ciò che doveva essere detto. Non appena giunsero all’ombra di un albero, lontano da orecchie indiscrete, Lennox si voltò verso la fanciulla, che quel pomeriggio era più bella del solito, e le prese le mani percependone il tremore.
-Mia cara Eve, voi di sicuro saprete perché vi ho chiesto di incontrarvi…
Miss Eve arrossì, ma benché sapesse perfettamente il perché di quell’incontro, o almeno lo sperasse, negò con un breve movimento del capo, come si conveniva.
-Mi sono innamorato di voi non appena vi vidi, tanti anni fa. Tre anni or sono vi manifestai i miei sentimenti, ma voi mi chiedeste di aspettare e io lo feci, comprendendo i vostri motivi.Vi aspetterei anche tutta la vita, mia cara, carissima Miss Eve, ma non posso lasciarvi ripartire senza chiedervi se i vostri pensieri sono mutati. So di non essere l'uomo perfetto per varie ragioni, ma vi amo, profondamente e perdutamente. Sposatemi e farò tutto ciò che è in mio potere per rendervi felice.
Mai in vita sua aveva creduto che il cuore le potesse esplodere di gioia, ma istintivamente Eve si portò una mano sul petto, per accertarsi che quella dispettosa e totalmente fuori controllo parte del suo corpo fosse ancora lì. Diventare Mrs. Lennox… Non vi era nulla che desiderasse di più.
-Chiedete la mia mano a mio padre, colonnello. Se egli acconsentirà, io sarò vostra anima e corpo. Il cuore lo possedete da tanto, tanto tempo ormai.
-Oh, Miss Eve, voi mi rendete l’uomo più felice del mondo.
La fanciulla sorrise. –Passate a casa tra un’ora.
-Sarà eterna.
-Anche per me.
Non aggiunse altro, ma si allontanò per raggiungere Emma che lesse immediatamente negli occhi della sorella la felicità di un amore che era giunto al suo culmine.
-Finalmente si è deciso?
Eve prese sotto braccio la sorella, ma non rispose, lasciando che fosse il suo sorriso a parlare per lei: non aveva dubbi sul consenso del padre, ma sarebbe stata ancor più felice quando tutto fosse divenuto ufficiale.
 
La villa era immersa nel silenzio e Lord Gordon tentennò prima di bussare, pensando che non vi fosse nessuno; d’un tratto, però, sentì delle note di pianoforte e pensò che se i padroni di casa erano fuori, sicuramente loro figlia era lì, oltre quella porta, pronta ad udire le sue parole. Scambiò un cenno d’intesa con il suo valletto e bussò, attendendo pochi istanti per essere accolto in casa e condotto nel salottino della musica, dove Miss Astor lo attendeva seduta al pianoforte. Miss Veronica Dalrymple si alzò in piedi non appena l’uomo fece il suo ingresso e ad un gesto della sua signora uscì portando con sé Ted, che la attendeva sull’uscio.
Miss Astor si alzò e fece accomodare il conte, poi si sedette di nuovo, chiedendosi se fosse abbastanza presentabile per ricevere una proposta di matrimonio, perché di quello si sarebbe dovuto trattare.
-Miss Astor, perdonate la visita priva di preavviso, ma stavo passeggiando quando ho compreso che dovevo vedervi.
Il conte sfoggiò il suo sorriso più seducente, poi si alzò e si inginocchiò ai piedi della ragazza.
-Miss Annabeth Astor, volete farmi l’onore di diventare mia moglie?
Annabeth sorrise –Pensavo non vi sareste mai deciso.
Quella risposta spiazzò il conte che, dopo un istante di spaesamento, scoppiò a ridere e si alzò in piedi.
-Dunque possiamo fare a meno delle romanticherie?
-Dire di sì.
-Menomale, non sono il mio forte. Dunque è un sì, il vostro?
-Assolutamente, conte. Sarò lieta di diventare vostra moglie. Ora, perché non continuate la vostra passeggiata e ritornate questa sera, quando troverete mio padre? Non sta bene che rientrino e vi trovino qui.
Cecil si esibì in un pittoresco inchino ed annuì, certo una volta di più di aver compiuto la scelta giusta: Annabeth era stata, dopotutto, sempre la sua prima scelta, nonostante la leggera sbandata per Miss Palmerston che, in fondo, era più un divertente diversivo che una vera e propria possibilità di matrimonio. Era certo che Sir Astor avrebbe dato il suo consenso, dunque non rimaneva che decidere quando celebrare le nozze.
Miss Dalrymple sorrise udendo quello scambio di battute da oltre la porta, da cui non si era mossa per preservare un minimo di decenza della sua signora. Purtroppo, neppure Mr. Bull si era spostato dal suo fianco e aveva continuato a parlare di esempi da seguire e matrimoni da celebrare.
-Noi siamo scritti nelle stelle...
-Le uniche stelle che ci riguardano sono quelle che vedrete se vi colpirò con il parasole della mia signora.- replicò ella, indicando con la testa l’ordinata fila di ombrellini poco distante da loro.
-Voi mi ferite, vi divertite a torturarmi, ma ora che vivremo sotto lo stesso tetto capitolerete.
Quella che era stata una battuta del conte era divenuta un reale desiderio per Ted, che aveva realizzato quanto bella e altera fosse Veronica; non appena il matrimonio fosse stato celebrato la nuova Lady Gordon si sarebbe trasferita a Lilies Manor e con sé avrebbe portato la sua cameriera personale, il cui rifiuto costante era ormai diventato una sfida. Era certo che l’avrebbe sposata per la fine dell’inverno.
 
Il colonnello Lennox non era uomo da farsi intimorire facilmente; veterano di guerra, aveva combattuto contro Napoleone finché una ferita non l’aveva costretto a lasciare l’esercito. Mentre attendeva che Sir Palmerston lo ricevesse nel suo studio, però, si sentì nuovamente il diciottenne pieno di timori che attendeva di essere ammesso nell’esercito.
-Colonnello, accomodatevi. Posso offrirvi qualcosa?
-No, vi ringrazio sir Palmerston. Sono qui per un motivo preciso e vorrei esporlo subito.
L’altro annuì, facendogli cenno di sedersi. –Ditemi pure.
-Forse quello che sto per chiedervi non vi coglierà di sorpresa, credo di non esser stato molto bravo in questi anni a nascondere i miei sentimenti. Sono qui per chiedervi la mano di vostra figlia Eve, signore. So di non essere titolato, ma vi prometto che farò di tutto per rendere Miss Eve una donna felice; Hazel House mi frutta quattromila sterline l’anno, a cui si aggiunge la rendita dell’esercito, ma questo voi già lo sapete. Inoltre, l’impossibilità di combattere mi permetterà di non lasciare mai il fianco di Miss Eve.
Aveva parlato quasi senza prender fiato e Sir Palmerston l’aveva ascoltato impassibile.
Lo sapeva, ovviamente, le intenzioni del colonnello non erano mai state molto celate e non poteva negare che l’idea lo preoccupasse un po’, memore della sorte di sua sorella. Era certo, però, della serietà dei sentimenti di Lennox, così come era consapevole dell’amore di sua figlia,così sorrise.
-In realtà mi stupisce abbiate impiegato tanto a domandarmelo.
-Anni fa ho esposto a Miss Eve i miei sentimenti e le mie serie intenzioni, ma vostra figlia mi chiese di aspettare e lo feci.
-Molto ammirevole, ma dopotutto non mi aspettavo nulla di meno da voi. Eve è d’accordo, immagino.
-Sono felice di dire di sì, signore. Miss Eve ha avuto la compiacenza di accettare la mia proposta, se voi sarete d’accordo.
Il baronetto si alzò in piedi e gli tese la mano, che il colonnello prese dopo essersi alzato a sua volta.
-Sarò felice di affidarvi Eve, colonnello. Venite, andiamo dalle signore.
-Grazie, Sir Palmerston. Non ve ne pentirete.
Uscirono dallo studio per recarsi nel salottino di Lady Palmerston dove trovarono le quattro donne di casa, intente chi a leggere chi a ricamare.
-Signore, sembra che, alla fine, un matrimonio si avrà.
A quelle parole Eve si alzò in piedi e abbracciò suo padre, voltandosi poi verso il colonnello con gli occhi velati di lacrime di gioia. Claire ed Emma andarono ad abbracciare la sorella, mentre Lady Palmerston si alzò e sorrise al colonnello.
-Facevate già parte della famiglia, ma sarò lieta di potervi chiamare mio genero.
Eve guardò Claire con una nota d’apprensione, ma la sorella scosse la testa: era felice per lei, non importava che si sposasse prima di lei. Eve e Lennox erano innamorati da anni e non potevano continuare ad aspettare in silenzio che lei si decidesse a convolare a nozze.
-Congratulazioni, mia cara. Sono davvero molto felice.
 
L’esuberante gioia di Miss Natalie Rowley fece sorridere l’addetto alla reception del Rose Hotel, elegante albergo situato nel cuore di Londra; la diciottenne fanciulla, pur essendo inglese, aveva alcun ricordo della capitale che aveva lasciato a pochi mesi di vita al seguito dei genitori, trasferitesi in Antigua nel podere di famiglia. La giovane Natalie non aveva mai lasciato la colonia, se non per trascorrere quindici mesi a Chicago alcuni anni prima, ma aveva immaginato Londra così a lungo e così ardentemente che trovarvisi, finalmente, era come un sogno ad occhi aperti.
-Cosa vi porta qui, Mr. Rowley, se posso chiedere?
L’uomo, un elegante signore sui trent’anni, annuì compito –La dipartita di mio nonno, purtroppo, e la nomina a Pari del regno.
-Oh, mi dispiace molto per vostro nonno, ma mi congratulo con voi per la nomina. Presto diverrete Sir Rowley, dunque?
-Sì, così pare.
Difficilmente si sarebbe riusciti a immaginare due fratelli più diversi di quelli che avevano fatto il loro ingresso a Londra la sera precedente: se la giovane Miss Rowley era esuberante e chiacchierona, il fratello era talmente serio e compito da apparire più vecchio dell’età che effettivamente aveva. Non una emozione aveva attraversato il suo viso per tutto il tempo in cui era stato nella hall dell’albergo, e il dipendente aveva iniziato a pensare che nulla avrebbe mai modificato i lineamenti di quel volto quando, d’un tratto, gli occhi dell’uomo si sgranarono e tutto il sangue gli defluì dal volto.
-Sapete…- la voce titubò e dovette schiarirsela più volte perché riuscisse a parlare –Sapete chi sono quei signori?
L’addetto della reception si sporse oltre il bancone e seguì lo sguardo dell’uomo, poi annuì –So chi è lui. Il suo nome è Mr. Arthur Browning, è giunto dall’America poche settimane fa, ma è inglese come voi. Della signorina mi sfugge il nome, ma so che è la sua fidanzata, un’americana. Convoleranno a breve a noz…
Un grido sorpreso di Miss Rowley lo interruppe bruscamente e notò in lei lo stesso stupore che aveva colto il fratello pocanzi.
-Scusate, signore, ma li conoscete?
-Forse. Posso chiedervi dove alloggiano?
-Non so dove sia alloggiata la signorina, ma Mr. Browning è ospite dei suoi zii, i Palmerston. Desiderate l’indirizzo?
-Sì, vi ringrazio.
L’uomo scrisse l’indirizzo su un pezzo di carta che consegno a Mr. Rowley insieme alle chiavi dell’appartamento.
-Posso domandarvi un altro favore?- aggiunse l’altro prendendo dal taschino un biglietto da visita, -Potete farlo recapitare a Sir Palmerston? Intendo far loro visita.
-Sì, lo farò immediatamente.
Il biglietto fu affidato a un valletto, che partì subito per consegnarlo, poi l’uomo osservò i Rowley salire le scale diretti all’appartamento chiedendosi cosa mai celassero.
 

Caro diario, Eve e il colonnello si sposeranno. Sono davvero felice per loro e ho un motivo in più per aspettare con ansia il momento in cui lasceremo Londra. Il colonnello verrà con noi, lui ed Eve voglio sposarsi non appena terminerà l’estate, verso metà settembre; per allora, spero sinceramente di aver dimenticato Arthur, che ci verrà a trovare con colei che sarà sua moglie. Qualunque cosa sia nata tra noi, dovrà finire al più presto… La notizia delle nozze di Eve mi ha ricordato quanto la vita sia un’infinita sequela di possibilità: sarò felice anche io, un giorno, e sorriderò di quanto è accaduto in queste settimane. Arthur sarà sempre mio cugino, nulla più.

 




Note: In ritardo, ma ci sono. Scusate, ma sono stata risucchiata dai saldi :)
Eccoci con il penultimo capitolo e con la cena: è stata all'altezza delle vostre aspettative? Siamo quasi alla fine e molti nodi vengono al pettine, ma... Chi saranno i Rowley? Che mistero portano con sé? 

Lo scoprirete la prossima settimana, con l'ultimo capitolo, e non posso negare che mi dispiace essere già giunta alla fine, ma grazie, grazie davvero!
E consentitemi una dedica speciale alla neo dottoressa Giulia!

A sabato!

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Capitolo 5
*** Chapter V ***


 

“È una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere alla ricerca di una moglie.” [Orgoglio e Pregiudizio]

Colonna sonora del capitolo


 

Mr. Rowley non dormì affatto quella notte, limitandosi ad ammirare Londra dal balcone della camera. Erano trascorsi tanti anni da quando aveva lasciato l’Inghilterra e aveva previsto di farvi ritorno da solo per un paio di mesi al massimo, giusto il tempo di assistere al conferimento del baronato a suo nonno. Incapace di lasciare sola sua sorella così a lungo, comunque, aveva deciso di portarla con sé; giunto in Inghilterra, però, l’avevano raggiunto due missive, una che portava la notizia della morte di suo nonno e un’altra con la conseguente richiesta di accettare lui il posto in Parlamento che finalmente si erano decisi ad offrire alla sua antica famiglia, ma che il vetusto capofamiglia non aveva fatto in tempo a ricevere. La scoperta del giorno precedente, però, cambiava tutte le carte in tavola e quando sua sorella si alzò, a mattinata inoltrata, lo trovò ancora lì a rimuginare sul da farsi.
-Devi dire ai Palmerston la verità, Oscar.
L’uomo sobbalzò, poiché non si era accorto dell’arrivo di Natalie. –Per quel che ne sappiamo, potrebbero già saperla.
-Oh, Oscar… Sono Pari del regno, credi davvero che accetterebbero un tale matrimonio, se sapessero?- gli chiese lei semplicemente, –È la storia che si ripete. Ho fame, andiamo a fare colazione?
-Sì,un istante… Forse hai ragione, mia cara, ma io non ho prove, solo la parola di un uomo che manca da Londra da tantissimi anni, un emerito signor nessuno.
Il volto di Miss Rowley si tinse improvvisamente di rosso, suscitando la preoccupazione del fratello; la fanciulla però, incapace di spiegarsi, si limitò a tornare in camera per prendere un elegante orologio  da taschino.
-Nat! Ti avevo pregato di gettarlo via anni fa.
-Lo so, ma era così elegante, non ho avuto il coraggio. Aspettavo di trovare un orologiaio che potesse togliere le foto e sostituire il coperchio con la dedica, così da poterlo riusare. È davvero troppo bello per gettarlo via, Oscar.
Mr. Rowly scosse la testa; Natalie era una fanciulla buona, ma troppo ingenua per quel mondo. Quella volta, però, si era rivelata provvidenziale.
-Bene. Vorrà dire che andrò da loro questa mattina stessa. Tu aspettami qui, non puoi andare in giro da sola.
-Perché?
-Perché questa è Londra, non Antigua. Non uscire, Natalie, farò salire la colazione in camera. Io tornerò appena posso e proseguiremo alla volta di Hyacinth Abbey.
Bastò quel pensiero per far dimenticare alla ragazza qualsiasi desiderio di avventurarsi all’esterno; Mr. Rowley si vestì impeccabilmente, depose l’orologio nella tasca del panciotto e uscì alla volta dell’abitazione dei Palmerston, sapendo che erano in attesa di una sua visita.
 
Quando Mr. Rowley bussò alla porta, Claire chiese alla cameriera di spiare dalla finestra e riferirgli chi fosse; suo padre ricordava solo una persona con quel nome, un anziano signore a cui sarebbe stato conferito il titolo di Pari del Regno all’inizio della successiva Stagione. Dubitava, però, che di lui si trattasse. Purtroppo quel giorno Sir e Lady Palmerston erano stati invitati da alcuni amici e avevano lasciato alla figlia maggiore l’incombenza di riceverlo, se si fosse presentato. Quando, però, le fu presentato un elegante e affascinante giovane, Claire dimenticò tutto il disappunto per essere stata costretta a casa a causa di quella visita.
-Mr. Rowley, mio padre si scusa, ma non è a qui oggi. Ha chiesto a me di ricevervi, sono Miss Palmerston. Prego, accomodatevi.
L’uomo assecondò la richiesta, ma faticò a nascondere l’imbarazzo: desiderava parlare con il baronetto, non con la sua giovane figlia e in presenza di una cameriera.
-Mio padre pensa di ricordare un Mr. Rowley, ma non credo siate voi, poiché la persona in questione è molto in là con l’età.
-Forse vostro padre ricorda mio nonno, che purtroppo è venuto a mancare da poco.
-Vi porgo le mie condoglianze, signore. Ma ora ditemi, cosa vi porta qui?
-È una questione delicata…
Mr. Rowley si mostrò titubante e Claire congedò la cameriera con un cenno del capo, poi sorrise all’ospite. –Nessuno lo saprà. Siete più tranquillo, ora?
L’uomo annuì, poi si alzò e porse a Miss Palmerston l’orologio, chiedendole di aprirlo e attendendo in piedi la sua reazione. Claire fece ciò che le era stato detto, poi fissò l’uomo con sguardo perplesso.
-Non capisco…
-Quell’orologio mi fu regalato dalla donna che stavo per sposare, prima che scoprissi fortuitamente la sua vera identità: nessuna grande fortuna, nessun padre malato, ma solo un’arrivista sociale in attesa di qualcuno ingenuo abbastanza da maritarla. Evidentemente il fato, che mi ha fatto conoscere la verità anni fa, ha deciso di usare me per evitare questa stessa sorte ad un altro uomo. Se voi ne siete già consapevoli, vi prego di scusarmi.
Claire scosse la testa, portandosi una mano al petto. Era tutto così folle, eppure racchiusi nell’orologio vi erano due ritratti che, benché piccoli, raffiguravano l’uomo che le stava davanti e la donna che in pochi giorni avrebbe sposato suo cugino. Inoltre, la firma era indiscutibile: “A Oscar, con amore, Julie.”
-La conobbi a Chicago, dove mi trovavo per affari di famiglia. Arrivò a me stringendo amicizia con la mia giovane sorella… Si faceva chiamare Julie Villiers, unica figlia di un anziano e malato padre. Me ne innamorati follemente, decidemmo di sposarci pochi mesi dopo, ero totalmente rapito da lei… Finché una sera non mi trovai a dover recuperare un mio conoscente in tugurio dalla dubbia fama. Lì vi trovai il presunto padre della mia fidanzata, perfettamente in forma. Chiesi e mi fu detto che si chiamava Alexander Bull, padre della chaperon di Miss Villiers. La lasciai e partì nuovamente alla volta di Antigua, con il cuore ferito ma, soprattutto, con un’addolorata Natalie per cui la mia fidanzata era diventata praticamente una sorella. Mi dispiace essere latore di questa notizia, mia signora.
Claire si alzò in piedi di scatto, avvicinandosi alla finestra per prendere aria senza sapere cosa dire o pensare: se quanto rivelato da Mr. Rowley era vero, e non aveva motivo di dubitarne, avrebbe cambiato totalmente le loro vite.
-Questo è molto grave.
-Me ne rendo conto, Miss Palmerston. Molto, molto grave.
-Ascoltate, la situazione è più delicata di quanto possa sembrare. Posso chiedervi di tornare questa sera? Troverete mio padre, ma non Arthur perché lui e la fidanzata saranno a teatro, così potremo decidere cosa fare.
-Io dopodomani mattina dovrò partire senza indugio, prima di allora, però, sono a vostra disposizione.
-Vi ringrazio. Dunque vi aspetteremo dopo cena, se non volete lasciare sola vostra sorella potete pure condurla qui.
-Vi ringrazio, Miss Palmerston, soprattutto per la fiducia.
-Non avete motivi per mentirmi. Inoltre, l’orologio è qualcosa di inconfutabile.
-Devo ringraziare Natalie per non averlo gettato via anni fa, quando glielo chiesi.
Claire sorrise e si alzò per accompagnare l’uomo alla porta. Un’ora dopo che l’ebbe congedato rientrarono i suoi genitori.
-Claire, mia cara, cosa voleva Mr. Rowley?
Claire attese che Emma fosse salita in camera, poi raccontò brevemente i fatti ad un perplesso padre, infine suggerì di mandare Emma da alcuni amici di famiglia, per quella sera. Giustificò la richiesta con la giovane età, ma solo Eve, giunta pocanzi, comprese la reale preoccupazione della sorella: la notizia di Mr. Rowley avrebbe cambiato tutto e temeva che Emma si trovasse invischiata in circostanze troppo grandi per lei. Era bene comunicarle tutto a cosa compiute.
L’atmosfera fu tesa quella sera e gli unici a non accorgersene furono Arthur ed Emma, troppo presi da loro per accorgersi del resto; verso le otto e mezza della sera i Sir e Lady Palmerston, Claire, Eve e il colonnello che era giunto per cena ed era stato messo al corrente dei recenti avvenimenti si spostarono in salone, in attesa dei Rowley che giunsero poco dopo.
Miss Rowley aveva due grandi occhi scuri, lunghi capelli neri e un fisico minuto; era una fanciulla piacevole, anche se piuttosto sciocca. Suo fratello, al contrario, fu se possibile ancor più compito di quanto era stato quel pomeriggio mentre raccontava nuovamente la sua storia.
-Questo è un grave problema, Mr. Rowley, e noi vi saremo sempre riconoscenti. Mi sono fidato del giudizio di mio nipote, ma evidentemente la Miss Trevelyan sa come ingannare uomini seri come voi e come lui. Me ne dispiace molto.
-Dispiace anche a me, Sir Palmerston.
-Domani sera verranno a cena qui, posso chiedervi di essere presenti in modo da risolvere la questione?
Mr. Rowley annuì, offrendo piena disponibilità per dissipare la questione al più presto; evidentemente il destino non era dalla parte della truffatrice, che per ben due volte era stata scoperta, per pura casualità, a pochi passi dalle nozze.
-Eve, perché tu e il colonnello non accompagnate Emma all’Almack’s, sempre se non vogliate rimanere.
Eve fece per parlare, ma fu il colonnello ad acconsentire volentieri. Sir Palmerston apprezzò una volta di più il futuro genero, che si era discretamente fatto da parte benché avrebbe avuto tutte le facoltà di partecipare all’incontro, facendo ormai parte della famiglia.
-Miss Rowley, se desiderate andare, per godervi una sera londinese, non avete che da chiedere, saremmo felici di scortare anche voi.- aggiunse Eve.
Miss Rowley chiese il permesso al fratello, che acconsentì prontamente felice di evitare l’incontro tra lei e Julie.
 
Fu una giornata lenta, quella che seguì. Claire ricevette la notizia del fidanzamento di Annabeth e del conte con imprevedibile tranquillità; se l’era aspettato e, inoltre, dal pomeriggio precedente continuava a pensare a Mr. Rowley, alla sua eleganza, allo sguardo profondo. Forse, dopotutto, anche lei era dotata di un cuore che, se non aveva mai battuto per Cecil o Astor, procedeva in maniera anomala ogni qual volta la sua mente si soffermava sul futuro baronetto.
 
Emma era stata felice del programma serata, soprattutto quando le dissero che sarebbe andata con loro la figlia di un vecchio amico del colonnello. L’Almack’s l’avrebbe distratta dal pensiero dell’imminente matrimonio.
La pista era già affollata quando arrivarono e furono accolte da una delle patronesse che, dopo essersi complimentata per il fidanzamento della maggiore delle sorelle Palmerston presenti, trovò subito due cavalieri per Emma e Natalie, preoccupandosi che non si trovassero mai prive di un compagno di ballo.
Nella dimora dei Palmerston, intanto, un’apparentemente tranquilla cena fu interrotta dall’arrivo di Mr. Rowley. Nel momento esatto in cui l’uomo fece il suo ingresso nella sala da pranzo Julie Trevelyan comprese che tutto era perduto. Nuovamente.
-Mr. Rowley, vi presento mio nipote Arthur Browning.
Arthur si alzò e strinse la mano al nuovo arrivato, senza comprendere il perché l’atmosfera della sala fosse calata precipitevolmente.
-Credo che Miss Trevelyan la conosciate già.
Mr. Rowley annuì –Sì, anche se la conoscevo come Miss Julie Villiers.
Arthur scosse la testa, -Non capisco. Julie Villiers?
Si voltò verso la sua fidanzata e sobbalzò, trovandola immobile come una statua e bianca come un fantasma.
-Sì, Mr. Browning. Lei non è chi credete. Io la conobbi come Julie Villiers.
Mr. Rowley raccontò quanto aveva già spiegato il giorno precedente, senza saltare neppure il minimo dettaglio; a narrazione conclusa gli diede l’orologio, che l’altro prese prima di crollare su un divano.
-Sono solo bugie!
Miss Trevelyan fece sentire per la prima volta la sua voce, alzandosi in piedi e puntando il dito contro il nuovo arrivato.
-Non vedo perché dovrei mentire, non ho nulla da guadagnare da tutto ciò. Mr. Browning, mi dispiace molto, comprendo come ci si sente, credetemi.
Arthur guardò l’orologio, poi la donna che credeva di conoscere, la donna che amava.
-Non so davvero cosa pensare.
-Arthur, mio caro, sono sciocchezze.
Julie si avvicinò al fidanzato sporgendosi a prendergli la mano, ma questo si ritrasse, guardandola con un’espressione nauseata.
-Avevate una casa, degli abiti, dei gioielli… Dove li prendevate?
-Erano miei!
La voce gelida di Mr. Rowley si intromise, –In affitto. Lo fece anche con me ed io ero talmente infatuato da non accorgermi delle bugie. Diceva che indossava solo ciò che gli donavo perché provenivano da me, era per amor mio. Solo dopo compresi che ciò che aveva prima l’aveva restituito non appena mi aveva incontrato.
Arthur scosse la testa, bianco in viso, e si voltò verso suo zio che, immediatamente, si alzò in piedi e pregò un domestico di accompagnare a casa Miss Trevelyan. La donna strepitò e urlò, ma nessuno le diede ascolto e presto la porta si chiuse alle sue spalle.
Arthur si piegò su se stesso prendendo la testa tra le mani. Mr. Rowley gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla.
-Mi dispiace molto. So come ci si sente.
-Voi vi dispiacete?- esclamò l’altro alzando finalmente il capo, -Quel matrimonio sarebbe stato l'errore più grande della mia vita. Voi mi avete salvato.
-Mi è sembrato il minimo, dopo avervi visti ieri.
-Mr. Rowley,- Sir Palmerston si alzò insieme alla moglie, -Non vi ringrazieremo mai abbastanza. So che dovete tornare a casa, ma posso permettermi di invitare voi e vostra sorella a Maidenhead, a Mangrove House? Saremo lieti di ospitarvi appena potrete spostarvi.
-Vi ringrazio, signore. Accetto volentieri.
La coppia si congedò, lasciando i due uomini e Claire da soli; la ragazza colse spesso lo sguardo di Mr. Rowley su di lei, ma cercò di non prestarvi attenzione, preoccupandosi più che altro del cugino. Non aveva idea di cosa sarebbe successo, né, soprattutto, di come Emma avrebbe preso la notizia.
-Sono stato uno sciocco.
-Due sciocchi, temo,- Mr. Rowley provò a farlo sorridere e Claire lo guardò riconoscente. Quello era un uomo sicuro di sé, un uomo adulto, responsabile e perfettamente a modo, nonostante avesse trascorso la maggior parte della vita nella colonia inglese. Un uomo che pochi mesi dopo sarebbe divenuto pari del regno, con un patrimonio superiore persino a quello di Cecil, ma soprattutto era un uomo che sapeva farla emozionare.
Quando i ballerini dell’Almack’s tornarono, però, tutti i pensieri di Claire furono per Emma e per le spiegazioni che avrebbero dovuto darle. Arthur, però, chiese di essere lui a parlarle dell’accaduto e nessuno trovò la forza di opporsi. Sarebbe difficile descrivere quanto pesante fosse l’animo di tutti, quella notte.
Arthur Browning raccontò a Emma cosa fosse successo e il cuore della ragazza faticò a contenere la gioia; si sentiva in colpa per quello, certo, ma come poteva non essere felice per il mancato matrimonio?
-Emma io… So che non ho alcun diritto di chiederti questo, ma devo farlo comunque: ho bisogno di rimettere insieme i pezzi della mia vita e sarei uno stolto se dicessi che non sto soffrendo. Amavo Julie, nonostante quei sentimenti abbiano vacillato appena sono tornato qui. Ho bisogno di fare le cose con calma, riprendere in mano le finanze della famiglia, controllare le proprietà, ma sappi che ti amo, Emma, ti amo moltissimo.
La fanciulla gli prese le mani, carezzandole dolcemente –Anche io e attenderò tutto il tempo di cui avrai bisogno.

 

 Alcuni giorni dopo

 
Gli ultimi giorni a Londra erano stati caotici. La notizia della falsa identità di Miss Trevelyan era rimbalzata di bocca in bocca divenendo la chiacchiera di fine Stagione e rendendo Arthur una povera vittima da consolare –e numerose fanciulle furono subito pronte a sobbarcarsi tale incombenza- e Mr. Rowley lo sventurato eroe della circostanza. Nessuno, però, si propose per consolare lui, poiché fu subito evidente il suo spiccato interesse per Miss Palmerston, benché i due fratelli fossero partiti subito dopo lo scandalo alla volta di Hyacinth Abbey per l’estremo saluto all’ultimo parente che rimaneva loro. Quanto a Natalie, il suo bel volto –e la sua imperitura leggerezza- provocarono l’interesse di Trevon che, una volta ritrovatisi tutti a Maidenhead iniziò un elegante corteggiamento che la fanciulla accolse più che volentieri.
Virginia lo andò a trovare prima di partire per raggiungere il marito e portò con sé un’interessante proposta.
-Cosa ne dite di una relazione monogama?
-Io, voi e i rispettivi coniugi?
-Esattamente.
Inutile dire che Mr. Astor ne fu entusiasta e la sera della festa fu particolarmente amabile e loquace.
 
La festa era iniziata da un’ora quando Mr. Rowley si avvicinò a Mr. Browning, che si era finalmente liberato dal giro di danze.
-Vi trovo bene, Browning.
-Esausto, vorrete dire. Sembro essere improvvisamente diventato lo scapolo più appetibile dei dintorni, eppure c’è ancora Astor e anche voi!
-Astor sembra essersi incapricciato con mia sorella.
-E la cosa vi sta bene?
Rowley alzò le spalle –Lei è totalmente persa per lui e al di là di alcune voci che ho sentito,Astor è un buon partito. Natalie ha diciotto anni e in fondo sono tornato anche per permetterle di sposare un inglese, come avrebbero voluto i nostri genitori.
-E voi?
-Credo che chiederò a vostra cugina di sposarmi.
-Chi?
-Oh, non lei, non temete amico mio.
Arthur arrossì –Dunque le voci sono vere.
-Non sono voci, non ho mai nascosto le mie intenzioni. Piuttosto, siete voi ad essere troppo distratto per accorgervene, ma non posso darvi torto.- concluse indicando Emma che danzava radiosa con il colonnello Lennox. Le signore erano particolarmente belle quella sera e Annabeth e Claire sembravano persino andare d’accordo: l’una aveva il titolo, l’altra il patrimonio, le ostilità avevano subito una tregua, almeno finché non si sarebbe trattato di maritare i loro figli.
Infine, quando ormai si avvicinava l’ora di salutarsi, la famiglia Astor salì sulla scalinata, ma il discorso del baronetto fu bruscamente interrotto.
-Un morto,  mio signore, un morto!- fu tutto ciò che la domestica riuscì a dire prima di svenire.
Vi fu un istante di silenzio totale, dopo quelle parole, che fu bruscamente interrotto da un urlo femminile e da un concitato vociare; Sir Astor e Mr. Astor si precipitarono in giardino, verso il luogo che la domestica aveva indicato con un dito prima di perdere i sensi, e furono subito seguiti dal conte di Cecil, da Browning e da Rowley.
Si scoprì presto, in realtà, che il corpo precipitato da basso balcone aveva avuto la fortuna di cadere sui teli del gazebo, e da lì a terra il viaggio non era stato lungo, così si era procurato solo alcune contusioni, ma non certo la morte come invece l’animo volubile e femminile della domestica aveva supposto.
Mr. Astor voltò il corpo della signora, perché appunto di questo si trattava, e si stupì quando si trovò tra le braccia Miss Trevelyan, o Villiers, che dir si voglia.
-Cosa ci fa lei qui?- domandò ai due ex sventurati fidanzati della signorina.
-Non ne ho idea.
Arthur scosse la testa: era sicuro che Julie fosse tornata in America, quando era andata a casa sua la mattina seguente la rivelazione l’aveva trovata deserta e aveva supposto che entrambe le signore fossero partite alla volta di casa. Al contrario, erano rimaste in Inghilterra.
Si cercò di calmare gli animi, Lady Astor e sua figlia congedarono gli ospiti e alla fine nel salottino, insieme al medico, rimasero solo i padroni di casa, i Palmerston, il conte, il colonnello, Mr. Browning e Mr. Rowley. Scoprirono, quando la signorina si riprese, che era tornata per spiare la festa, forse alla ricerca di un nuovo ricco da irretire; la caduta non era stato un tentativo di suicidio, ma un banalissimo incidente.
Alla fine, fu deciso che l’avvocato dei Palmerston e alcuni domestici degli Astor l’avrebbero accompagnata, insieme a Miss Bull, al porto, assicurandosi che si imbarcassero su una nave diretta in America, lontana dalla loro vite.
Quando Annabeth ebbe una crisi nervosa per la disastrosa festa di fidanzamento e fu messa a letto, fu chiaro a tutti che era ora di separarsi; il conte rimase ospite dai futuri suoceri, mentre i Rowley furono ospitati a Mangrove House.
Durante il breve tragitto a piedi Miss Rowley si avvicinò a Miss Palmerston, parlandole sottovoce.
-Mio fratello desidera trasferirsi a Londra non appena inizieranno le sessioni del Parlamento. Come trascorreremo questi mesi, Miss Palmerston?
Claire sorrise e si voltò verso Mr. Rowley, causando un delicato tintinnio degli orecchini.
-Preparandoci per la nuova Stagione, ovviamente.
 



Note: Insomma, so che ho la fama da sadica, ma questa è una regency, davvero vi aspettavate un morto? :) Sì, lo so! Insomma, siamo giunti alla fine e, credetemi, mi dispiace da morire, ma ho volutamente lasciato un finale aperto, perché non escludo l'idea di tornare a scrivere di loro, prima o poi.
Ad ogni modo, lo scambio d'identità è un tema ricorrente nelle regency e ho voluto usarlo anche io. Arthur ed Emma non si fidanzano, sarebbe precoce, ma ora possono vivere i loro sentimenti liberalemente. Quanto agli adorabili Rowley che io amo profondamente, Astor ha adocchiato Natalie e Claire... L'avevo detto di non sottovalutarla! :)
Spero davvvero che quest'ultimo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio immensamente per avermi fatto compagnia in questa avvenuta! Grazie a chi l'ha letto in anteprima dandomi pareri, grazie a Milla che l'ha betato, alle ragazze del gruppo e a tutti voi che l'avete letto.
E grazie all'adorabile famiglia pennuta, che amo profondamente e che segue ogni follia.
Alla prossima storia!  
Em


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