Blackout

di Ranessa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Narcissa - Non ti ho mai chiesto ***
Capitolo 2: *** Sirius - Oscuramento ***
Capitolo 3: *** Bellatrix - Quello che sento ***
Capitolo 4: *** Regulus - Fuga ***
Capitolo 5: *** Andromeda - Non c'è casa per te qui ***



Capitolo 1
*** Narcissa - Non ti ho mai chiesto ***


[ Narcissa - Non ti ho mai chiesto ]


Cosa posso perdere
regalando tutte le mie cose
forse troppa ingenuità
mi sommerge ma sono contenta
quanta fatica
per evitare
di mentire
a me stessa
quanta fatica
per ascoltare
le parole
di chi non pensa

«Non ti ho mai chiesto», Carmen Consoli


La parte che preferisco sono i preparativi.
Soprattutto quando l'ora di aprire le porte si avvicina e quel piacevole senso di lieve tensione comincia a stringermi lo stomaco. Adoro camminare per le stanze controllando che il lavoro degli elfi domestici risulti perfetto, aggiustare i piccoli dettagli, godermi la calda approvazione degli ospiti.
«Ti accontenti di così poco, Narcissa» mi ha detto una volta Bellatrix, mentre smaltava di nero le sue unghie seduta sul bordo del mio letto. «Trascorrerai la tua vita dietro le quinte, dando ordini a un branco di elfi domestici balbuzienti, osservando chi è più furbo di te approfittare di quel che tu hai seminato senza mai lasciare nulla in cambio. Un'esistenza oltremodo patetica, sorellina» ha concluso richiudendo la boccetta dello smalto senza attendere che il liquido scuro si asciugasse sulle sue dita.
I giudizi di mia sorella giungono sempre rapidi e velenosi.
Provocazioni che lacerano in profondità.
Stilettate feroci.

+ + + + + + + + + +

«Eppure io ci provo davvero, Narcissa, devi credermi».
«Non l'ho mai messo in dubbio, Regulus» ribatto svogliatamente, dando una distratta occhiata alla festa ormai pienamente avviata intorno a me. Regulus siede alla mia sinistra, più pallido e teso del solito.
«E' lui capisci? Lui e la sua brutale arroganza» stringe tra le mani un piccolo fazzoletto giallo, tormentandolo insistentemente con le dita nervose.
«Regulus, ti spiace scusarmi solo un istante?» domando rapida, senza lasciargli il tempo di replicare. Lui mi guarda mentre mi allontano con occhi terribilmente grandi, strappando un filo di stoffa dall'orlo del suo fazzoletto.
Non mi dispiace mio cugino, nemmeno se immerso nel suo miscuglio di velato vittimismo e rabbia repressa. Perchè siete uguali voi due, mi prende spesso in giro suo fratello.
Perchè siamo uguali scappo. Perchè questa sera non ho voglia di ascoltarlo pensando che a parlare potrei essere io stessa.
Lo abbandono da vigliacca. Fuggo. E mi ritrovo a vagare incerta tra gli invitati, per la prima volta senza sapere realmente cosa fare. A chi rivolgermi.
Dove andare.
«Complimenti».
Non riconosco subito la voce di Andromeda, devo voltarmi e trovarmi di fronte il suo viso lievemente truccato e la sua acconciatura alta per capire che è stata lei a parlare.
«Per cosa?» domando stupita.
Mia sorella inizia a camminare con passo rapido, muovendosi per la sala e costringendomi, mio malgrado, a seguirla.
«Per come tu e la mamma avete organizzato la festa, ovviamente».
Raggiungiamo il sottoscala quasi volessimo nasconderci.
«Davvero ti piace?»
Andromeda sorride, distogliendo evasivamente il suo sguardo dal mio.
Che stupida. Il suo commento era solamente una piccola gentilezza. La sua insofferenza ben mascherata da un elegante vestito verde, un paio di orecchini appariscenti e una piacevole quanto fittizia espressione di gioia in volto.
Arrossisco, infastidita con me stessa per come a volte riesco a rendermi ridicola.
Oltremodo patetica, sorellina.
«Narcissa, io... devo parlarti».
Mia sorella mi osserva, stretta nelle spalle come una bambina impaurita. La penombra del sottoscala mi impedisce di decifrare l'espressione del suo volto, ma potrei giurare di aver colto una nota di panico nella sua voce.
«Certo, vuoi...»
«Vieni!» Andromeda mi prende decisa per un polso e mi trascina dietro di lei, su per le scale.
La porta che si richiude alle nostre spalle è quella della mia stanza.

«Come mai tutto questo mistero?» domando all'istante, improvvisamente infastidita.
Mi siedo sul mio letto, carezzando le lenzuola candide nel tentativo di rilassarmi.
«Ho preso una decisione» risponde cauta mia sorella, in piedi di fianco al mio scrittoio. Si tormenta le mani e i polsi, spostando il peso da un piede all'altro, evidentemente agitata. «E... devo dirlo a qualcuno e tu sei l'unica, capisci? Prometti che non mi tradirai, Narcissa».
«Andromeda...»
«Ho deciso che voglio andarmene di casa. Stanotte» mi interrompe bruscamente, prima che possa anche solo provare a dirle che forse non sono io la persona più adatta con cui confidarsi. Che ho cambiato idea. Non voglio più ascoltarla, perchè il suo sguardo a metà tra l'angoscia e la determinazione mi inquieta.
«Cosa
Non riesco a chiederle altro. Non riesco nemmeno ad alzarmi e andarle incontro.
Non riesco nemmeno ad arrabbiarmi. O essere sorpresa.
«Io non ce la faccio più. Non ci riesco, eppure io ci provo davvero, Cissa, devi credermi, ma...»
Andromeda si ferma. Interrotta e stupita dalla mia risata fragorosa.
Ha usato le stesse parole di Regulus. Sono fuggita, abbandonandolo a se stesso per sentire mia sorella usare le sue stesse identiche parole. Rido, rido semisdraiata sul mio letto come fosse la cosa più divertente che abbia udito in vita mia, fino a sentirmi svuotata. E la cosa che mi spaventa di più è rendermi conto che non è affatto una brutta sensazione.
Essere completamente vuoti dentro.
Privi di ogni pensiero, emozione.
Una forma malata di libertà, credo.
E mi spaventa scoprire che è l'unica che conoscerò mai.
Ammettere che forse l'ho sempre saputo.

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Capitolo 2
*** Sirius - Oscuramento ***


[ Sirius - Oscuramento ]


Non fare il bambino
e non prenderti in giro
[...] Non fare il bambino
e non prenderti in giro
questa vita non può essere l'ultima
e noi siamo troppo giovani per capirlo

«Blackout», Muse


E' il fascino dell'ignoto, suppongo.
L'idea stessa della trasgressione, prima ancora della rivolta vera e propria.
Una ribellione che nasce strisciante e silenziosa, al contempo timida e ruggente.
Non un atto di coraggio, ma un sintomo. La dimostrazione finale della mia insospettabile debolezza.
Sfinito, e al contempo impavido e codardo.
«Sei in ritardo».
Osservo mio fratello seduto sul bordo del mio letto. E non è come guardarsi allo specchio.
Non è come udire la mia voce.
Anche se a volte, stento a crederlo io stesso, lo vorrei.
Lo vorrei davvero.

+ + + + + + + + + +

Fuga.
Tutto ciò a cui riesco a pensare ultimamente, da quando ogni cosa intorno a me diventa sua immagine. Un quadro vuoto, forse solo temporaneamente abbandonato dal suo occupante, i nomi cancellati dall'arazzo di famiglia. Il vecchio gufo di mia madre, morto per i suoi troppo anni.
Un'ulteriore forma di fuga, suppongo.
«Non vuoi farlo davvero» mi ha quasi intimato Remus, lanciandomi uno dei suoi sguardi grigi così dolorosamente intensi.
Io ho abbassato il mio.
Riflessione però, non sconfitta.
James ha sorriso.

«Lo hai fatto davvero».
Regulus mi raggiunge, avanzando lentamente attraverso la pista da ballo.
«Complimenti».
«Dov'è Andromeda?» gli domando, godendomi il riflesso del mio ghigno soddisfatto nei suoi occhi.
In risposta, incredibilmente, mio fratello sbuffa in una risata breve e fastidiosa.
«La tua ingenuità a volte è quasi commovente, Sirius» pronuncia le parole con estrema lentezza, distinguendo quasi ogni sillaba, gustando senza dubbio il sapore dolce della vendetta. «Dov'è Andromeda?» ripete, spingendomi a guardarmi intorno nel salone, scrutare i volti degli invitati alla ricerca di quello di nostra cugina.
«Tu pensi solo a te stesso» prosegue Regulus, l'ombra crudele e trionfante già svanita dalla sua voce. Sostituita da distacco, una nota triste o profonda delusione. «Non esistono conseguenze per te. Non ti rendi conto».
Tira fuori dalla tasca dei pantaloni un vecchio fazzoletto giallo canarino ormai scolorito.
Strappa corti fili di cotone, osservando con intenzione i bordi ondulati del tessuto.
«Tu ferisci gli altri».
E credo sia questa la cosa che più mi infastidisce. Non ciò che sta dicendo. Non le sinistre implicazioni delle sue parole, ma il fatto che non mi guardi.
Mio fratello non mi sta guardando, preda dell'apatia, dell'indifferenza più crudele. Parla come fosse già rassegnato, quasi avesse ormai perso ogni speranza nei miei confronti. Come se avessi deluso ogni sua aspettativa ed è stupefacente scoprire quanto questo faccia male.
Male davvero.
Ascoltare impotente le sue parole fredde.
Tu ferisci gli altri, e non è una mano tesa che mi offra aiuto, non è un tentativo di farmi comprendere.
È una cruda constatazione la sua. Una piatta esposizione di fatti assodati, di pensieri decisi.
«Colpisci chi più ti ama, Sirius, e lo fai con ferocia. Proprio come lei» ancora si ostina a mantenere saldamente lo sguardo sul suo fazzoletto giallo, ma so che si riferisce a Bellatrix, senza bisogno che me la indichi, fuori sulla terrazza, immersa nella profonda oscurità della notte.
«Smettila» replico io infine, a disagio, domandandomi perchè non lo abbia zittito prima, perchè non lo abbia fermato. Sentendo nuovamente con prepotenza il bisogno di fuggire.
«E il problema non è che non vuoi fermarti, fratellino. Il problema è che tu non puoi».
I nostri occhi finalmente si incontrano, ed è peggio che udire il suono della sua voce. Il tono raschiante delle sue accuse improvvise. Ma non può essere l'ultima occasione, mi ritrovo a pensare febbrilmente. Non posso non aver modo di rimediare.
«Tu non puoi».
Regulus si dirige verso le scale che conducono al piano superiore e mi lascia solo.
Inconsapevole del doppio, lacerante significato che la sua ultima affermazione ha assunto nella mia mente.
Abbandonando il fazzoletto al centro della pista da ballo.

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Capitolo 3
*** Bellatrix - Quello che sento ***


[ Bellatrix - Quello che sento ]


Potrei parlare, discutere, stringere i denti, sorridere
mentire infinitamente dire e ridire inutilità
mostrare falsa, ipocrita serenità
quando le parole si ribellano, favole fiumi, mari di
perplessità non c'è una ragione per non provare
quello che sento dentro

«Quello che sento», Carmen Consoli


Noia.
Se c'è una cosa che la gente proprio non sopporta è la noia.
Quella patina bianchiccia e traslucida che spesso avvolge le cose.
Quando non sai cosa dire, o cosa fare, e tutto quel che rimane sono sguardi pesanti, e sorrisi imbarazzati.
Eppure io non mi annoio, mai, e questo semplice fatto sembra sconvolgere chi mi sta intorno.
Sei sempre così indifferente, Bellatrix...
Evidentemente non riesco a cogliere la reale importanza di ciò che mi circonda.
Ma quale importanza poi?
Feste? O voci lontane forse? Voci che giungono dall'atrio...
«Scommettiamo, Regulus?»
«Piantala, Sirius».
«Non dirmi che hai paura di perdere fratellino...»
Sei sempre così apatica, Bellatrix...

+ + + + + + + + + +

La vedo riflessa nel vetro brillante delle finestre.
Si avvicina lentamente, quasi con cautela, come se non fosse sicura di voler realmente venire da me. È alle mie spalle, e sembra stia pensando che in fondo può ancora voltarsi e andarsene. Può ancora evitare di rovinarsi la serata. «Bellatrix».
Mi posa delicatamente una mano sulla spalla e si siede sulla poltrona di fronte alla mia, piegando prima accuratamente la stoffa del vestito dietro le gambe, perchè non si stropicci.
Mia sorella è sempre stata tremendamente ed insopportabilmente perfezionista.
«Narcissa».
«Resterai seduta lì per tutta la sera?»
«E se anche lo facessi?» Alzo un sopracciglio, stringendo maggiormente le dita intorno alla tazza di tè che ho in mano, porcellana bianca e fiori violetti.
Mi piace provocarla.
Mi è sempre piaciuto.
«Speravo che almeno per una volta foste intenzionate ad aiutarmi nel fare gli onori di casa» replica tranquillamente lei, distogliendo lo sguardo dal mio viso per andare a posarlo dall'altra parte della stanza, dove Andromeda conversa animatamente con nostro cugino.
«Non mi pare che tu abbia mai avuto bisogno dell'aiuto di qualcuno per queste cose» poso distrattamente la tazza quasi completamente vuota sul basso tavolino che separa le nostre gambe. Narcissa la prende con noncuranza e finisce il mio tè, riposandola poi sul piattino.
«Ti va di andare un po' sulla terrazza?»
Osservo le piccole foglie di tè tracciare il mio destino sul fondo della tazza.
Mi domando se ora, invece, non indichino in realtà quello di Narcissa.

«Cos'è questo?» rido, mentre l'aria gelida della sera mi investe appena uscita. «Un tentativo di giocare a fare le brave sorelle, Narcissa?» mi siedo sulla balaustra, poggiando i palmi delle mani sul marmo bianco incurante del vuoto oltre la mia schiena. «Dobbiamo confessarci i nostri più intimi segreti e rifugiarci nella nostra riscoperta complicità?»
«Oppure potremmo semplicemente stare in silenzio, Bellatrix» commenta mia sorella, venendo ad appoggiare i gomiti accanto alle mie gambe in una posa che le si addice molto poco, lo sguardo perso in direzione del giardino, verso le fronde scure degli alberi mosse dal vento.
Non ne comprendo precisamente il motivo, ma mi sento in qualche modo a disagio, fuori posto, come se in realtà non dovessi trovarmi qui.
Come se in realtà non dovessi essere me stessa.
«Ho parlato con... Regulus, poco fa».
Mi volto ad osservare il profilo affilato di mia sorella. Sembra esitante, come se il fatto che abbia parlato con Regulus, in verità, non fosse ciò che intendeva dirmi.
Come se non fosse realmente Regulus la persona con la quale ha discusso.
Allungo una mano e le tolgo un capello biondo dalla spalla.
«Mi chiedo come tu faccia a sopportare il suo intramontabile vittimismo, Narcissa» sbuffo sincera. «Nostro cugino è una delle persone più patetiche che io abbia mai conosciuto».
«Non parlarne così, Bella!» sbotta immediatamente lei, sorprendendomi. «Perchè devi sempre dire malignità? Perchè devi sempre cercare di rendere gli altri infelici?» mi guarda stringendo le labbra con aria furiosa, vagamente colpevole, come fosse stata lei, e non io, a parlar male di lui.
«Non è il caso di scaldarsi tanto, Cissa» abbandono la balaustra con un piccolo saltello, sfregando tra loro le mani per pulirle. «Non per lui almeno».
Vedo il mio ghigno riflesso nei sui occhi cristallini.
E di nuovo mi prende quella spiacevole sensazione.

Intrattenere una conversazione con mia sorella è come partecipare ad una gara di resistenza: prima o poi una delle due comincia a cedere, a sgretolarsi lentamente, lei colpita dal mio feroce sarcasmo, dall'indifferenza forse.
Io dalla sua innaturale calma.
Dall'inquietudine che riesce a trasmettermi con un semplice battito delle ciglia.
O una mano ad arricciare una ciocca di capelli.
O un dito a creare complicati arabeschi sul ginocchio.
«Credi che durerà ancora a lungo?» è una domanda stupida, terribilmente tale, ma lei conosce ormai bene, nonostante siano rari, i miei goffi tentativi di chiederle scusa.
Narcissa si volta in direzione delle ampie vetrate.
I nostri ospiti ancora ridono, risate sonore e stonate, i calici stretti e portati alle labbra quasi con ferocia. Vedo nostra madre discutere animatamente con qualcuno che mi dà le spalle. Vedo Sirius e Regulus e Andromeda e per un momento, uno soltanto, mi trovo a pensare che forse sono un po' come lei.
Che nessuna delle due, in realtà, dovrebbe essere qui.
«Se provassi a divertirti forse non soffriresti così tanto, Bella».
Le sue parole aleggiano nel gelo della notte per qualche istante, palpabili tra noi, poi, come per merito di un incantesimo che si spezza, scoppiamo a ridere, imitando le facce rosse e paghe a pochi metri dalla terrazza. Ridiamo noi due, che sappiamo quanto questa sua affermazione sia deliziosamente ridicola.
«Dovresti ridere più spesso, Bellatrix» sospira mia sorella quando il riso sulle nostre labbra si spegne. Cancellato in fretta così com'è venuto.
«E tu dovresti renderti divertente più spesso, Narcissa» ribatto acida.
Lei annuisce. Concordando o più probabilmente assecondandomi.
«Sirius sta venendo in qua» osserva poi distrattamente, stringendosi nello scialle improvvisamente infreddolita. Io mi volto in tempo per osservare nostro cugino aprire la porta finestra e farsi investire dall'aria notturna. Getta una rapida occhiata alle sue spalle prima di avanzare deciso.
«Sei venuto per sapere se una delle due è disposta a concederti un ballo, Sirius?» domando divertita, posando lo sguardo sul suo vestito sgualcito di un orrendo color grigio topo.
«Qualcosa del genere» replica lui beffardo.
E poi succede.
Mi viene incontro rapidamente e mi stringe le spalle con mani forti e fredde.
Mi bacia, un bacio assurdo ed improvviso, con labbra dolci e denti affamati ed io non so cosa pensare.
Non so cosa provare.
È così.
Mi sono sempre sentita così.
Come se in realtà tutto, la mia vita, ogni cosa la stesse vivendo qualcun'altra.
Come se in realtà non fossi io.
Io non sono me stessa.

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Capitolo 4
*** Regulus - Fuga ***


[ Regulus - Fuga ]


Vorresti dire qualsiasi cosa
e vorresti provare qualsiasi cosa
per fuggire dalla tua insignificanza
e dalla tua banalità
Sei incontrollabile
Vorresti dire qualsiasi cosa
e vorresti provare qualsiasi cosa
per fuggire dalla tua insignificanza
e dalla tua banalità

«Escape» (Fuga), Muse


Sirius è in ritardo.
E noi con lui.
Aspetto seduto sul suo letto.
Nella sua camera.
Guardando fisso la porta bianca del suo bagno come se la sola mia presenza potesse farlo uscire prima.
Lui che è sempre stato così vanitoso.

+ + + + + + + + + +

E finalmente lui esce, con i capelli bagnati che gli incorniciano il volto e un asciugamano bianco in vita che tiene stretto con una mano.
Avanza verso il letto senza nemmeno avermi notato.
«Sei in ritardo» lo dico in tono neutro, né scocciato né comprensivo.
«E tu sei nella mia stanza senza il mio permesso, Regulus» la sua voce invece è tagliente, non gli sono mai particolarmente piaciuto.
«Sono nella tua stanza senza il tuo permesso perchè nostra madre è stanca di doverti aspettare ogni volta Sirius. Mi ha chiesto di venire a vedere a che punto eri».
«Oh, gentile da parte sua...» lo dice voltandomi le spalle, aprendo il suo armadio e cominciando a gettare abiti alla rinfusa sul letto.
Uno mi arriva addosso, il beccuccio dell'appendino che mi graffia il collo.
«Vediamo... aiutami a scegliere fratellino. Per una festa come questa cosa potrei mettere? L'abito nero, o quell'altro lì vicino nero, o magari quello nero dall'altra parte? Tu che ne dici?»
«Non cambierai mai vero?» mio fratello ha l'innata capacità di irritarmi terribilmente, sempre e comunque.
Singolare dote che ha affinato in anni di assidua pratica.
«E perchè dovrei cambiare fratellino? Per diventare come te forse? O come uno dei tanti idioti a cui dovremo stringere la mano questa sera?»
«Piantala...»
«Di fare che cosa fratellino?»
«Di chiamarmi così!»
«Come vuoi... fratellino»
Si volta a guardarmi, storcendo lentamente le labbra in un odioso sorrisetto compiaciuto.
Mi domando come diavolo faccio a continuare a desiderare di essere come lui.
Di essere proprio lui.

Abbiamo decisamente fatto progressi.
Sirius ha scelto il vestito, il più vecchio e scolorito che è riuscito a trovare le cui maniche non gli arrivassero al gomito e il cui colletto non lo strozzasse eccessivamente e ora si sta asciugando i capelli con un asciugamano, spargendo goccioline d'acqua per tutta la stanza, ignorando le urla di esasperato rimprovero con cui nostra madre ci aggredisce regolarmente da quasi un quarto d'ora. Le verrà un colpo quando vedrà il nero del vestito ormai sfumato in un nauseante grigio topo e gli orli del mantello scuciti che sono sicuro svolazzeranno in maniera assolutamente poco elegante quando Sirius camminerà.
Probabilmente anche quando semplicemente respirerà.
«Perchè devi sempre fare di tutto per farla arrabbiare, Sirius? Cosa ci trovi di così divertente?»
«Suppongo sia la sua faccia, fratellino. Sai, quella fossetta all'angolo della bocca che le viene solo quando ci sono di mezzo io e gli occhi spiritati...» lo dice in tono ironico, ridacchiando al pensiero e guardandomi attraverso lo specchio mentre getta l'asciugamano zuppo in un angolo, consapevole che Kreacher accorrerà al più presto per far sì che non rimanga lì ad ammuffire in eterno. Mio fratello è convinto che tutti gli esseri viventi di questo pianeta debbano avere gli stessi diritti, ma gli fa sempre molto comodo maltrattare un povero elfo domestico affinchè nostra madre non gli debba dare addosso anche per la sua totale incapacità a mantenere un minimo d'ordine nella sua camera.
Sempre fissandomi attraverso la superficie dello specchio mi fa segno di girarmi con un dito. Subito non comprendo, poi capisco che deve vestirsi e mi volto di scatto, arrossendo e cercando di ignorare il suo risolino. Continuiamo a parlare, anche senza poterci vedere in faccia.
«Continuo a non capirti Sirius, davvero...»
«Non mi sono mai aspettato che qualcuno di voi potesse farlo Regulus» sento alle mie spalle il rumore dell'asciugamano bianco che scivola e viene abbandonato anch'esso sulla moquette del pavimento e del vestito che Sirius comincia ad indossare. «Quindi non vedo dove stia il problema» conclude sbrigativo, come se all'improvviso la sua stanza fosse diventata troppo piccola per entrambi e lo stesse soffocando.
Mi azzardo a dare un'occhiata alla mie spalle e lo trovo a fissare il suo riflesso nello specchio.
Ormai gli mancano soltanto le scarpe.

Finalmente scendiamo le scale, io nella mia elegantissima e nerissima veste e Sirius che fa le boccacce agli uomini e alle donne dei quadri appesi alla parete. Spesso mi chiedo chi di noi due sia in realtà il fratello maggiore. Smette quando le tele lasciano il posto alle teste imbalsamate degli elfi domestici.
Le ha sempre detestate.
«Misericordia!» è nostra madre, con il volto rosso dalla rabbia, insulta Sirius così come ha sempre fatto, lo rimprovera duramente per il suo vestito, per i suoi capelli, che sono troppo lunghi, e intanto si dirige a grandi passi verso la porta.
«E proprio oggi poi! Il nostro camino deve avere qualche problema, la polvere volante è inutilizzabile e tu e Regulus ancora non vi potete smaterializzare...» la sua voce si addolcisce un po' mentre pronuncia il mio nome, mi guarda di sfuggita con occhi benevoli. «Vostro padre si è fatto prestare una macchina dal Ministero, sbrigatevi! Oh dei! Chissà cosa penseranno quando ci vedranno arrivare con uno di quei, quei... cosi».
Sirius, che non ha più aperto bocca da quando è uscito dalla sua stanza, adocchia velocemente il camino del salotto, infila le mani in tasca e poi si gira per guardare me. Mi fa l'occhiolino e fischietta, sorride soddisfatto e mi precede verso gli scalini, sogghignando alla vista di nostro padre che ci aspetta seduto al volante.
Sospiro, mio fratello è davvero pessimo.
«Voi due sedetevi dietro, forza!»
Non ero mai salito su una macchina prima d'ora. È molto piccola, tanto che accanto a me le gambe di Sirius lottano inutilmente contro il sedile su cui è seduta nostra madre nella speranza di riuscire a strappare un altro paio di centimetri. Non ho la più pallida idea di quanto ci vorrà per arrivare, ma non me ne preoccupo, così come non lo fa nostro padre alla guida: ormai siamo così irrimediabilmente in ritardo che qualche minuto in più o in meno non fa alcuna differenza.
Cerco di rilassarmi nel poco spazio che mi è concesso, guardando fuori dal finestrino e guardando il finestrino, rigato dalla pioggia che raramente abbandona Londra in questo periodo, le gocce che sembrano scavare lunghi solchi nel vetro, il rumore dell'acqua e delle pozzanghere che superiamo sobbalzando nelle orecchie. Nessuno sembra intenzionato a parlare e la cosa non mi stupisce affatto, in fondo, forse, è meglio così. Eppure il silenzio non mi è mai piaciuto e allora mi volto a fissare Sirius, studiandolo attentamente, sentendomi terribilmente infastidito, senza nemmeno riuscire a spiegarmi il perchè.
«Che hai da guardare?» sbotta alla fine mio fratello, quando proprio non ne può più del mio sguardo puntato sul collo.
«Sei ridicolo così, sai?» e non voglio provocarlo, ma è la verità, è davvero ridicolo con quel vestito.
Lui però non se la prende, sorride invece, come fa spesso, senza un apparente motivo.
«Almeno io il vestito lo posso cambiare Regulus... tu che mi dici della tua faccia, fratellino?»
Dovevo immaginarlo.

«Non vedi proprio l'ora di arrivare eh, fratellino?»
«Cosa vuoi dire?» il viaggio sembra essere interminabile e Sirius approfitta del rumore incessante della pioggia per non farsi sentire dai nostri genitori. Riesce a girare il busto quanto basta per guardarmi in faccia.
«Solo che a te piacciono queste cose, no? Le feste, i parenti snob, il lusso sfrenato, leccare il culo a chi un giorno, forse, ti lascerà un bel po' di galeoni da parte quando finalmente deciderà di liberare il mondo dalla sua indesiderata ed ingombrante presenza...»
«Smettila» contraggo i muscoli del collo, irritato: non è affatto vero e forse lo saprebbe se mi conoscesse, se mi conoscesse davvero. «Il fatto che non mi ribelli così palesemente come invece fai tu, che non mi ridicolizzi spesso e volentieri e che non cerchi sempre una scusa per sottrarmi alle mie responsabilità non significa che sia meno insofferente di te!»
«Uh-uh, Regulus» sorride, forse stupito, forse sardonico. «Non dirmi che pian piano ti sta crescendo un po' di spina dorsale! Ad ogni modo» si porta una mano ai capelli, come fa sempre il suo migliore amico, Potter. «Continua pure a non ribellarti così palesemente come invece faccio io, continua pure ad essere insignificante, tanto lei non ti noterebbe comunque...»
Passano i secondi, ci fissiamo in silenzio, sento la rabbia montare dentro di me, lo odio. Provocazione. Lo odio così tanto da farmi quasi paura da solo. Vuole provocarmi. Vorrei avventarmi contro di lui e prenderlo a pungi, vorrei vederlo strisciare implorante ai miei piedi, ecco, cosa vorrei.
«Non so di cosa tu stia parlando, Sirius».
Mi volto, distolgo lo sguardo da mio fratello per tornare a posarlo sul finestrino, sulla pioggia grigia.
«Io invece credo proprio di sì, fratellino» lo sento spostarsi affianco a me, cercare una posizione più comoda, lo intravedo con la coda dell'occhio mentre porta le mani a intrecciarsi dietro la nuca. «Voglio dire, la nostra adorata cugina è certamente... ah, gli aggettivi si sprecherebbero, ma non mi sembri il tipo portato per gli scandali, anche se sono sicuro che gli incesti non siano certo mancati nell'antica e nobile casata Black, anzi, ho addirittura ragione di credere che i nostri amati genitori, in qualche modo, siano cugini, sebbene alla lontana. Non credi che tutto questo sia deliziosamente perverso
«Ti ho detto di smetterla, Sirius! Non c'è mai stato alcun incesto nella nostra famiglia e come diavolo puoi pensare che possa essere attratto da Bellatrix?!»
Mi guarda.
Mi guarda e mi odia.
«Bellatrix, Regulus?» sogghigna, soddisfatto, sono caduto in trappola. «Non mi sembrava di aver specificato a quale cugina mi riferissi...»
La macchina si ferma.
Siamo arrivati.

Insignificante
Continua pure ad essere insignificante...
Vorresti dire qualsiasi cosa
e vorresti provare qualsiasi cosa
per fuggire dalla tua insignificanza
e dalla tua banalità
Sei incontrollabile
Vorresti dire qualsiasi cosa
e vorresti provare qualsiasi cosa
per fuggire dalla tua insignificanza
e dalla tua banalità
Fuggire
Fuga...


«Di certo non avresti il coraggio di baciarla... non in privato, né tanto meno in pubblico».
«Adesso basta Sirius!»
«Io invece lo farei, lo farei solo per te fratellino, per mostrarti ciò che potresti essere e che invece non sarai mai» continua a parlare salendo lentamente i gradini, dandomi le spalle. «Facciamo che entro la fine della festa vado da lei e la bacio, prima che trovi il coraggio di farlo tu, che te ne pare?»
Stiamo entrando in casa, nell'atrio, accompagnati già dalle voci stridule dei nostri parenti, dal profumo dolciastro del vino.
«Scommettiamo, Regulus?»
Vorrei piangere.
«Piantala, Sirius».
«Non dirmi che hai paura di perdere fratellino...»
Ed io mi domando come diavolo faccio a continuare a desiderare di essere come lui.
Di essere proprio lui.

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Capitolo 5
*** Andromeda - Non c'è casa per te qui ***


[ Andromeda – Non c'è casa per te qui ]


Non c'è casa per te qui
Non c'è casa per te qui ragazza,
vai via
Non c'è casa per te qui
Non c'è casa per te qui
Vai via
Non c'è casa per te qui
Non c'è casa per te qui ragazza
Vai via
Non c'è casa per te qui
Non c'è casa per te qui ragazza
Vai via
Non c'è casa per te qui

«There's no home for you here» (Non c'è casa per te qui), The White Stripes


Non mi è mai piaciuto il verde.
Soprattutto quello troppo scuro che sono costretta ad indossare ogni giorno a scuola.
D'altro canto a mia madre non sono mai particolarmente interessanti i miei gusti, che si trattasse di libri, amiche, gioielli, ragazzi o abiti da sera. Non che il vestito sia brutto, intendiamoci, solo è verde, e sarebbe decisamente più bello se fosse di un altro colore.
Il bordeaux ad esempio.
Io adoro il bordeaux.
Tutto nella mia stanza è di quel colore, dalle tende, alle lenzuola, al tappeto. Il mio diario segreto e i miei orecchini preferiti...
«Andromeda!»
Eccola.
«Andromeda!»
«Sì, mamma, eccomi».
La porta della mia stanza si apre violentemente, ma senza emettere un solo, piccolo suono. Mia madre, che adesso entra a grandi passi e si dirige verso di me ancora seduta davanti allo specchio, indossa invece un abito blu scuro, di velluto.
«Andromeda, è mai possibile che tu non riesca mai a far quello che ti si dice? Sei in ritardo e cosa diavolo è quell'affare che hai trai capelli?»
«E' il fermaglio che mi ha regalato Sirius per il mio compleanno, mamma».
«Già, ed è bordeaux, non penserai certo di indossarlo con un vestito verde, vero? Toglitelo immediatamente».
Me lo ordina con il suo solito tono duro, perentorio, ma in realtà non mi lascia il tempo di farlo, viene lei dietro le mie spalle e me lo strappa, facendomi quasi male, prende la spazzola e mi raccoglie i capelli velocemente.
È brava in queste cose, mia madre, ma li avrei preferiti sciolti, anche se una donna che si rispetti non porterebbe mai i capelli sciolti.
«E ora andiamo, su, alzati».
Rassegnata, la precedo sul pianerottolo e verso le scale.
Lei richiude sbrigativa la porta della mia stanza.
«E quante volte ti ho detto che dovresti stare alla larga da quello sfaticato di tuo cugino?»

+ + + + + + + + + +

Quello sfaticato di mio cugino non è ancora arrivato. Appena scese le scale noto subito la sua assenza, ma vedo invece le mie sorelle: Narcissa, in un lucente vestito bianco, che come al solito sembra divertirsi, intrattenendo amabilmente gli ospiti così come nostra madre le ha insegnato e Bellatrix. Vestita immancabilmente di nero, anche se il suo colore preferito è il viola, e con quell'aria sperduta che non la abbandona mai in queste occasioni. Lei che non ama le feste come Narcissa ma neppure le disprezza come me, lei che si fa sempre scivolare tutto addosso con una sconcertante indifferenza.
Nostra madre mi tiene strettamente a braccetto, scortandomi raggiante verso parenti che ha intenzione di farmi salutare, senza che io ricordi il loro volto né il nome. Quando ancora le nostre labbra saranno sufficientemente distanti me lo sussurrerà a denti stretti insieme al grado di parentela e a qualunque altra informazione ritenga necessaria. Solitamente a me toccano i parenti meno importanti, quelli più lontani, o meno ricchi, o meno degni in generale.
Sospiro, ancor più rassegnata.
La festa e il divertimento hanno avuto inizio.

«Io non ce la faccio più. Non ci riesco, eppure io ci provo davvero, Cissa, devi credermi, ma...»
Quel che non mi sarei mai aspettata è la sua risata genuina. Credevo che sarebbe stata incredula. Speravo che si sarebbe infuriata, che avrebbe tentato di dissuadermi. Che mi avrebbe costretta a testare la mia sicurezza e determinazione. Ma non questo.
Mia sorella ride sul suo letto. Lacrime cristalline scendono a rigarle le guance.
«Cosa ci trovi di così divertente?» domando con rabbia, stringendo ferocemente i pugni sino a far sbiancare le nocche. «Credi che non abbia il coraggio di farlo davvero?»
«No... no» replica lei, passando una mano tra i suoi capelli fini, sfuggiti ai preziosi fermagli. Asciuga rapidamente le lacrime. «Non è per questo, Andromeda. Non ridevo per questo...»
«Allora per cosa? Credi di essere migliore di me, Narcissa?» le grido in faccia con odio, furibonda, intenzionata a tirar fuori il marcio. A farle assaporare il veleno.
«Questo non è affatto vero!» ribatte mia sorella in tono ferito, alzandosi finalmente da quel suo dannato letto.
«Hai sempre pensato di essere migliore di chiunque, Cissa, ma sei solo una reginetta impaurita e codarda! Io me ne vado da questa casa, mentre tu non troverai mai il coraggio di farlo! Sposerai un ricco purosangue, farai tanti bei figli e oserai chiamarla libertà. O far finta che lo sia» concludo ansimante, orgogliosa di me, per aver stoicamente trattenuto tutte le lacrime ancora una volta. Per aver parlato, finalmente.
Mia sorella mi guarda. E la cosa più sconvolgente è vederla annuire.
Si risiede composta sul suo letto e non fa altro.
Annuisce. Quasi l'avessi svuotata di ogni cosa.

Scendo le scale lentamente.
Mi farò strada tra gli invitati e mi dirigerò verso l'ingresso. Aprirò la porta e mi farò investire dalla frescura notturna. Uscirò per strada e il rumore dei miei tacchi sull'acciottolato invaderà i miei sensi. La solida consistenza della via sotto ai piedi. L'odore particolare che hanno le pietre dopo la pioggia. Il colore lugubre e le ombre dei lampioni.
«Andromeda!»
Una mano calda si posa sulla mia spalla, facendomi voltare con gentilezza.
«Una faccia amica, finalmente» commenta Sirius, regalandomi uno dei suoi grandi sorrisi gioviali. «Fossi in te non prenderei le tartine al salmone, credo che qualche buontempone le abbia incantate. La gioventù d'oggi crede d'essere spiritosa e invece...» sospira teatralmente, riuscendo persino a strapparmi una breve risata.
«Mia madre ha già cominciato a bere, che tu sappia? Non vorrei riuscisse a rendersi ridicola agli occhi del parentado senza il mio intervento, sarebbe molto scorretto da parte sua».
«Non lo so, Sirius, non l'ho ancora vista. Ero... di sopra».
Mi lascio condurre docilmente verso il centro della sala, dove mio cugino accenna qualche passo di danza. Sa di non aver bisogno di chiedere.
«Come vanno le cose, dolcezza?»
«Al solito».
Voglio dirlo anche a lui. Voglio sentire il suo sostegno. Sapere che mi aiuterà.
Sirius è un ballerino discreto, ma non bravo. A tratti conduce a tratti si lascia condurre da me, impegnato a cercare con lo sguardo tra gli ospiti, a scrutare ogni angolo del salone.
«Voglio andarmene, Sirius».
Questa volta lo dico sorridendo, quasi con serenità, confortata dal calore che sprigiona dal suo corpo. Dalla morbidezza della sua guancia contro la mia.
«Di casa, intendo. Voglio lasciare per sempre questo posto orribile».
Lui smette la sua ricerca tra gli invitati e mi guarda per la prima volta negli occhi. Non ride, non è arrabbiato o stupito. Non mi giudica, ma continua a farmi ballare tra le sue braccia.
«Anche io» sussurra piano, così flebilmente che per un momento dubito di averlo udito sul serio. Lo sento quando mi stringe di più a sé, gli occhi fiammeggianti di determinazione. «Anche io» ripete, e ho idea che questo sia il momento più felice della mia vita. Mille progetti, in cui mai avevo osato sperare, si affacciano repentini alla mia mente.
Scapperemo insieme. Lo affronteremo insieme. Ci ribelleremo come uno solo.
La paura svanisce in un attimo, mi sento finalmente pronta.
Apro la bocca per dirglielo. Fargli sapere quanto sia importante per me non dover essere sola ancora una volta.
«Aspetta un momento» mi precede però Sirius, gli occhi nuovamente rapiti da qualcosa al di là delle mie spalle.
Le mani che cingevano la mia vita si sciolgono rapide dalla presa.
Mi lascia al centro della sala.
«Questo non ti piacerà» commenta la voce di Regulus.
Sirius esce sulla terrazza e si volta a guardare suo fratello, in piedi al mio fianco, prima di proseguire verso la balaustra.
Io e Regulus lo osserviamo attraverso le vetrate lucide delle finestre.
E poi succede, ed io torno sola.
Ha baciato Bellatrix.
Sirius ha baciato Bellatrix.

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