Wooden knight

di CupOfEternitea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cavaliere di legno ***
Capitolo 2: *** I sette olii ***



Capitolo 1
*** Il cavaliere di legno ***


IL CAVALIERE DI LEGNO

Il cavallino di legno che aveva ricevuto in regalo giaceva riverso sulle coperte disfatte della sua stanza. Era verniciato di nero, un purosangue fiero in una posa tanto realistica da lasciar intuire la scarsa attitudine dell'animale ad essere domato. I dettagli erano ben rifiniti, fin troppo raffinati per essere il dono del falegname di un feudo minore. Qualunque bambino sarebbe stato felice di ricevere un simile regalo, ma lui aveva posato gli occhi su qualcosa di perfino più allettante.
Era toccata a Gregor quella fortuna. Sandor lo aveva guardato svolgere l'involucro di panno e tirarne fuori quel piccolo capolavoro di artigianato. Lo aveva rigirato tra le mani con il volto inespressivo, così diverso da quello incantato di Sandor, e ne aveva smosso le parti per studiarne il funzionamento. Niente di più; non un commento, non un sorriso di apprezzamento, né un vago cenno di interesse. Si era semplicemente ritirato nella sua stanza per posarlo prima dei suoi soliti impegni. Sarebbe diventato Lord Clegane, un giorno. Avrebbe ereditato il castello e il titolo della neonata casa, tutto sarebbe stato suo. Cosa poteva contare per lui un balocco quando già aveva tutto?
Il secondogenito non si era nemmeno voltato a curiosare il regalo destinato alla sorella: era troppo piccola per poter ricevere balocchi interessanti e gli stupidi giochi da femmina non gli interessavano. Il cavaliere di Gregor, però, continuava ad aleggiargli nella mente come la cosa più meravigliosa su cui avesse mai posato gli occhi. Mentre faceva trottare il destriero sul tavolo della sua stanza lo vedeva ritto in sella, con la lancia in pugno; lo immaginava piegarsi in avanti nel saltare gli ostacoli e poi smontare ed estrarre la sua piccola spada di legno dal fodero. Per ogni minuto di gioia trascorso col suo cavallo, tre erano dedicati a desiderare il giocattolo del fratello.
Per questo aveva atteso in silenzio, assicurandosi che Gregor non fosse più nel castello; aveva strisciato come un'ombra tremante nei corridoi ed era scivolato nello spiraglio socchiuso della soglia della camera del fratello. La porta aveva prodotto un flebile scricchiolio che aveva accelerato il battito del cuore di Sandor e lo aveva costretto a trattenere il fiato per ottenere un silenzio assoluto e assicurarsi che nessuno lo avesse udito. Eppure il suo cuore batteva, gli martellava nel petto come un tamburo di guerra.
Gregor mi sentirà. Tornerà indietro e mi picchierà.
Ma nessuno lo aveva sentito e Sandor scivolò completamente nella stanza buia, illuminata da un unico braciere acceso dai servitori per riscaldarla in tempo per il ritorno del giovane signore. Questo voleva dire che nessuno sarebbe entrato lì dentro fino all'ora del desco.
Aspettò qualche istante per abituare gli occhi alla penombra, prima di cominciare la ricerca.
Impiegò diversi minuti per trovare ciò che cercava. Il fagotto era posato in un angolo, assieme ad altri oggetti che Gregor non degnava mai della sua attenzione. Quando tirò fuori il cavaliere dal panno di lana lo trovò nella stessa posizione in cui Gregor lo aveva sigillato prima di congedarsi dal lord loro padre: non lo aveva toccato; non se l'era rigirato tra le mani colmo di meraviglia e di eccitazione; non aveva agitato la sua spada sognando di essere anch'egli un cavaliere.
Sandor lo tenne delicatamente tra le mani contro lo sfondo rosso del braciere lontano, studiandone i contorni e i dettagli e ne mosse piano la testa con un dito, facendola ondeggiare da destra a sinistra per saggiarne la mobilità e la resistenza. Sembrava un giocattolo robusto, costruito per durare, appurò, e si sedette, dando le spalle alla porta, sul pavimento nei pressi del fuoco, dove la stanza aveva iniziato a riscaldarsi.
Un rumore di passi proveniente dal corridoio lo fece irrigidire e nascondere immediatamente il giocattolo sotto il grande letto di Gregor.
Eccolo. Mi ucciderà.
Ma nessuno entrò nella stanza e nessuno si fermò al suo esterno o semplicemente rallentò il passo, per cui il bambino attese con pazienza di sentir scomparire l'eco dei passi e tornò a giocare con il cavaliere.
Finalmente aveva tra le mani l'oggetto che per tutto il giorno lo aveva ossessionato, che sembrava chiamarlo attraverso le spesse pareti di pietra fino alla sua stanza: il suo stesso cavallo di legno sembrava reclamarne la presenza in sella; poteva sentire il suo nitrito contrariato nella testa e lo immaginava raspare con uno zoccolo sulla rena, in attesa di chi potesse domarlo. Eppure Sandor non riusciva a ricavarne piacere e a rilassare finalmente le spalle in quei momenti di gioco. Ogni suo senso e ogni suo pensiero erano concentrati sul fantasma del fratello assente, sulla minaccia che stava sfidando entrando senza permesso nella sua camera da letto e toccando le sue cose. In principio si era sentito temerario, ora era solo spaventato dalle conseguenze.
Non riusciva, però, a lasciare quel giocattolo e a tornarsene nelle sue stanze.
Con le piccole dita muoveva le braccia legnose avanti e indietro, simulando dei fendenti con la piccola spada che il pupazzo stringeva in un pugno.
Chissà se anche le mie braccia si piegheranno in questo modo quando Gregor me le spezzerà...
No! Si sarebbe difeso. Era più piccolo, ma era forte per la sua età e il maestro d'armi aveva detto a suo padre che ne avrebbe fatto un grande guerriero. Era veloce e imparava in fretta e non gli importava se stavolta Gregor lo avrebbe picchiato, perché un giorno sarebbe diventato più forte di lui e suo fratello non avrebbe mai più avuto il coraggio di fargli male. Riusciva a immaginarsi già cavaliere, al servizio di nobili lord e in difesa di chi, come lui, aveva conosciuto la paura che scaturisce dall'essere deboli. Li avrebbe difesi tutti e nei Sette Regni non ci sarebbe stato un solo uomo che non avrebbe conosciuto la fama di Ser Sandor Clegane.
Tese una gamba del balocco, osservando il filo che passava all'interno delle singole parti e che funzionava da giunzione mobile, permettendone i movimenti. Per un momento sembrò che la gamba si staccasse dal ginocchio.
Anche la mia gamba si staccherà così, quando Gregor mi scoprirà...
E ancora non riusciva ad andarsene, paralizzato più dalla paura che dalla gioia ricavata dallo stringere tra le mani il prezioso cavaliere.
L'avrebbe detto a suo padre e lui non avrebbe permesso a Gregor di fargli del male.
Oppure avrebbe potuto proporgli uno scambio. Era chiaro che non aveva gradito il proprio regalo, ma forse gli sarebbe piaciuto di più il suo cavallo nero. Gliene avrebbe parlato durante la cena, suo padre presente, così forse avrebbe accettato e non avrebbe più dovuto aver paura di desiderare qualcosa.
Quando la stanza si rischiarò all'improvviso, non realizzò subito cosa stesse accadendo. Non si era reso conto del reale scorrere del tempo finché la porta non si era spalancata e l'ombra del suo gigantesco fratello non era apparsa sulla soglia. Nemmeno allora Sandor riuscì a fuggire via. Era inutile alzarsi e provare a scappare: non sarebbe mai sfuggito a Gregor, alla sua presa di ferro e alle sue lunghe falcate. Era più grande, più forte, più veloce nella corsa.
Gregor lo guardò fisso in volto, impassibile, quindi abbassò lo sguardo sull'oggetto stretto tra le mani del bambino. La sua espressione non mutò, né il suo volto diede qualche avvertimento delle sue intenzioni. Sandor lo vide solo avvicinarsi con decisione e si sentì sollevare come se non avesse peso, mentre il balocco gli veniva strappato dalle mani.
Chiuse gli occhi. Era certo che lo avrebbe percosso e che lo avrebbe costretto a letto per un lungo periodo. Qualche osso si sarebbe rotto e probabilmente lo avrebbe gonfiato così tanto che neanche il lord loro padre lo avrebbe riconosciuto. Invece avvertì solo la mano ferma del ragazzo premergli la testa verso il basso, senza fargli male, semplicemente impedendogli qualsiasi movimento, prima di percepire l'inferno sul lato sinistro del suo volto.
Gli aveva premuto il viso sul braciere che fino a quel momento lo aveva riscaldato, senza esitare per un solo istante, anche mentre Sandor piangeva, urlava, lo implorava di smetterla. Più Sandor si agitava e lottava, più la presa sulla sua testa si faceva violenta e opprimente. Erano così, i sette inferi, ne era sicuro: un dolore a cui non ci si abituava, ma che non faceva altro che farsi sempre più intenso, che lo consumava.
Tentò di aprire gli occhi, ma il sinistro non si aprì con la stessa naturalezza di quello destro.Tutto era rosso, spaventoso e abbagliante. Non sentiva più il calore, solo un continuo e crescente dolore. E disperazione.

L'ultima cosa che vide bruciare nelle fiamme fu il cavaliere di legno, prima di perdere i sensi mentre alcune voci allarmate si avvicinavano affannosamente all'inferno di fuoco.

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Capitolo 2
*** I sette olii ***


[N.d.A. Capitolo breve, ma serve solo da collegamento tra "l'età dell'innocenza" di Sandor e quella della sua disillusione. Martin non ci ha detto molto sulla cerimonia di investitura di un cavaliere, soprattutto una di grande portata come quella di Gregor, avvenuta per mano di Raeghar Targaryen in persona. Ho preferito non sbilanciarmi troppo e sono andata un po' a intuito, scegliendo, ad esempio, come location la sala del Trono di Spade invece del Tempio di Baelor il Benedetto, ipotizzando la presenza dell'Alto Septon... Chissà, magari nei prossimi libri ne sapremo di più.]

I SETTE OLII

"Alzati, Ser Gregor"
La voce del principe aveva riecheggiato brevemente nella sala, infrangendosi contro la folla dei presenti e rimbalzando sui pilastri decorati che ne sorreggevano le imponenti volte.
L'uomo che si era sollevato di fronte all'erede della dinastia Targaryen era perfettamente in linea con le esagerate dimensioni della sala del trono. Gregor Clegane aveva mostrato il vago cenno di un sorriso che poco aveva a che fare con la gioia.
Il ragazzo che lo guardava da lontano poteva intuire la moltitudine di pensieri marci, innominabili, che il cavalierato avrebbe concesso di realizzare al maggiore dei fratelli Clegane. Gregor aveva già ricchezza, potere, una forza sovrumana e la furia sufficiente a renderla inarrestabile. Ciò che gli mancava era quell'ultima maschera di rispettabilità.
Il giovane tra la folla aveva stretto i pugni con forza e aveva serrato la mascella nel tentativo di rimanere impassibile mentre l'Alto Septon si avvicinava al cavaliere appena investito. I capelli lunghi gli ricadevano sulla parte sinistra del viso in un riporto che in quei quattro anni era stato domato, nonostante l'innaturalezza di quella scriminatura, e riusciva a non scomporsi troppo quando non si agitava o non era impegnato nell'addestramento con la spada. Nonostante le accortezze, gli era impossibile nascondere agli occhi dei curiosi la terribile devastazione che le fiamme avevano lasciato su metà del suo volto, cosicché aveva trovato posto alla destra di un pilastro, in modo da riparare il fianco sinistro da sguardi indiscreti, come avrebbe fatto in presenza di spade nemiche. Da quelle aveva imparato a pararsi; dall'umiliazione è più arduo trovare un buono scudo.
Una giovane donna lo aveva guardato, incuriosita, sussurrando subito qualcosa all'orecchio dell'uomo che le era accanto. La cosa lo aveva indotto a voltare il capo verso la colonna, rifuggendone gli sguardi. Sapeva di doverlo affrontare prima o poi, ma a undici anni è difficile accettare di essere un mostro, rassegnarsi a essere indicato beffardamente, con disgusto o – peggio ancora – con pietà. Era facile intuire che cosa avesse detto la donna al suo compagno.
Quello dev'essere Sandor Clegane, fratello di Ser Gregor. Chi altri potrebbe essere, con quella faccia? Poverino... Quand'era bambino il suo letto ha preso fuoco. È un miracolo che sia ancora vivo, povero piccolo.
Ed era davvero un miracolo che fosse ancora vivo. C'erano voluti tre uomini per fermare Gregor e impedirgli di ucciderlo su quel braciere. Tuttavia, alcuni miracoli lasciano l'amaro in bocca e Sandor non era certo di dover ringraziare i Sette Dei per la loro bontà. Iniziava a dubitare perfino della loro esistenza. Mentre tutti gli occhi erano puntati sulla cerimonia d'investitura, nella sua testa risuonavano le parole della canzone sui Sette Dei che gli era stata insegnata da bambino.


I Sette Dei che tutti noi hanno creato,
ascoltano se noi li invochiamo.
Così gli occhi chiudete, e mai voi cadrete,
ché tutti voi loro vedono, bambini.

Ma gli dei dovevano avere occhi e orecchie impegnati altrove, perché lui li aveva chiamati, li aveva pregati mentre la sua faccia si scioglieva sulle braci e le sue urla venivano sovrastate dallo sfrigolio della carne che brucia. Li aveva supplicati per innumerevoli notti insonni e lunghi giorni travagliati, quando le fasciature gli si incrostavano sulle piaghe che ancora bruciavano come se il fuoco vi fosse penetrato all'interno e avesse continuato a bruciare. Il Guerriero non gli aveva fatto scudo, proteggendolo dal pericolo, né la Madre aveva posto fine al suo dolore. La Fanciulla non gli aveva più concesso sogni con cui consolarsi; gli incubi popolati dalle fiamme lo privavano del riposo ogni volta che chiudeva gli occhi e questi potevano evitare di posarsi casualmente su qualche superficie riflettente in agguato. Aveva pregato perfino lo Straniero, quando il dolore e la paura avevano raggiunto soglie insopportabili per un bambino della sua età: neanche quel dio così raramente invocato lo aveva ascoltato. Soprattutto, però, il Padre non era stato capace di riconoscere il giusto dall'ingiusto, come recitava la canzone: il suo aguzzino aveva ottenuto ogni bene, ogni privilegio, mentre la vittima era costretta a guardare il suo trionfo, in silenzio, con la consapevolezza che un giorno non avrebbe più potuto contare sulla protezione del Lord loro padre, che Gregor sarebbe diventato padrone di tutto e non ci sarebbe più stata speranza per lui e per sua sorella. Avrebbero avuto solo quegli dèi sordi e inutili, per sopravvivere alla paura. Se solo avesse avuto abbastanza tempo per diventare egli stesso il Guerriero: la sua salvezza sarebbe stata la spada...
L'Alto Septon innalzò la sua preghiera mentre la cerimonia volgeva al termine con la pratica dell'unzione con i sette olii. Un'altra fanciulla si voltò indietro, forse per osservare incuriosita i volti tra la folla; ma, non appena i suoi occhi si posarono sul volto di Sandor seminascosto dal pilastro, il suo sguardo si spense e deviò altrove, dove non poteva più essere offeso da spettacoli altrettanto disgustosi.
Lui ovviamente se ne accorse, ma ingoiò la bile che aveva sentito risalire per concentrarsi su Gregor e su quel rito beffardo: anche lui era stato unto con degli unguenti, quando il maestro lo aveva curato dalle ustioni, ma nessuno era stato così cerimonioso con lui quanto tutti quei buffoni in quella sala nei confronti di Gregor. Né mai lo sarebbero stati.
Quattro anni prima aveva desiderato ardentemente diventare cavaliere, diventare forte per difendere se stesso e gli indifesi da uomini come suo fratello. Ora, poco più che bambino, vedeva il cavaliere che gli stava di fronte per quello che era: una scatola di ferro lavorato contenente ipocrisia, menzogne e falsi giuramenti. L'investitura di Gregor era un ideale infranto in mille schegge, la prova che tutto ciò in cui aveva creduto era un'illusione; era l'antica menzogna con cui si tenevano sotto controllo gli sciocchi, i folli, i bambini e le donnicciole. E Rhaeghar, il nobile principe tanto osannato da tutti, non era migliore degli altri mentre se ne stava lì, in piedi, di fronte al mostro in armatura che aveva appena elevato a cavaliere. Ser Gregor. Ser... un vuoto titolo da regalare all'occorrenza ai cani fedeli.
Si pentì subito di aver accostato quella melma all'animale a cui doveva il titolo nobiliare Un cane ci avrebbe pisciato sopra: un cane non sceglie di proteggerti perché gli hai regalato un collare vistoso.
Decise che mai avrebbe sentito accostare il proprio nome a quelle tre lettere svendute.
La cerimonia era conclusa e Sandor era scivolato silenziosamente fuori dalla sala prima che tutti potessero notarlo, primo tra tutti il nuovo cavaliere. Nel passare accanto a un bambino poco più piccolo di lui che lo fissava, aveva ringhiato e gli aveva rivolto un'occhiata truce. L'espressione che aveva visto sul suo viso non era stata di pietà, né di disgusto.
La paura aveva un sapore decisamente più dolce quando non era lui a provarla.

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