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Lista capitoli: Capitolo 1: *** How Lavi knew about Allen's scent *** Capitolo 2: *** Why Fou went to see Bak *** Capitolo 3: *** What Lavi could get Kanda involved in *** Capitolo 4: *** Why Lenalee had that light in her eyes *** Capitolo 5: *** What Lenalee actually knew ***
Capitolo 1 *** How Lavi knew about Allen's scent ***
EH? Inizio a sospettare che mi
abbiano sostituito con un’altra persona. Davvero, già un aggiornamento? È anche
vero che alla fine di SEVEN sono stata presa da una spossatezza letteraria
orrenda, non riuscivo a scrivere nulla :I ora mi sto riprendendo un po’… forse.
Vabbè, sapete cosa aspettarvi, lol. Solita
lunghezza non voluta, solito stile strano a frasi corte, semplici ed efficaci
(??), solito ambiente, soliti idioti. Anche se questo capitolo non l’avevo
neanche citato negli esempi xDPeròòò
ne volevo uno che fosse adatto all’apertura di questa serie, e questo aveva a
mio parere i requisiti necessari. Per evitare che commentiate la mia mancanza
di originalità, questa fic, puntando abbastanza sulla
semplicità e il plot non troppo elaborato, vede molti fatti del libro di Harry
Potter traspostati in questa storia. Il lancio di una Ricordella,
il contrabbando di draghi e cicatrici da Anatema non dovrebbero essere cose
nuove per voi e con questa fic non miravo a ricreare
un’intera storia xD comunque, I PROSSIMI CAPITOLI.
NON SARANNO. COSI’ LUNGHI. CRIBBIO CAV—
Disclaimer: semplicemente, no.
.
How Lavi knewaboutAllen’sscent
( S E V E N
)
.
Lavi si
precipita su per l’ennesima rampa, premendosi una mano sul fianco per alleviare
al meglio il dolore bruciante alla milza, e pregando ardentemente che le scale
non decidano di giocare qualche scherzo proprio ora.
Si guarda
intorno, nel buio fitto che invade il corridoio in cui è appena giunto,
cercando di distinguere dei punti di riferimento che gli confermino di essere
sulla strada giusta. Strizzando l’occhio nel tentativo di abituare la vista,
intravede finalmente l’enorme e familiare arazzo con i troll e, dopo aver
tirato un sospiro di sollievo, si lancia di nuovo in una corsa sfrenata.
Palesando
una sorprendente forza fisica di riserva, liberata dalla gioia data dal
riconoscimento dell’arazzo o forse dalla vicina presenza della loro unica
possibilità di salvezza, Allen compie un ammirabile slancio in avanti,
nonostante il respiro affannoso, e lo supera.Mentre si sforza di raggiungerlo, Lavi lo guarda scattare freneticamente
avanti e indietro a ridosso del muro. Alla sua terza inversione di marcia, i
contorni di una stretta porta rettangolare si delineano magicamente sulla
parete precedentemente vuota. Allen non fa neanche in tempo ad aprirla
completamente che Lavi lo spintona dentro a forza, seguendolo e chiudendosi la
porta alle spalle.
La
continuata assenza di luce e l’improvvisa impossibilità di muoversi senza
sbattere contro la porta o la schiena di Allen lo lascia perplesso.
“Ma che
cazzo, Allen,” commenta faticosamente tra un ansito e l’altro, con una nota di
fastidio misto a curiosità. “Uno sgabuzzino. Ma perché.”
“Non lo so,
Lavi! Io ho solo pensato a ‘un posto dove potersi nascondere’,” risponde Allen
con agitazione, ed inizia a dimenarsi sul posto. Lavi lo sente sbattere i palmi
delle mani contro le strette pareti. “Non posso…
muovermi—grazie al cielo non siamo claustrofobici.” E si lascia mollemente
cadere all’indietro, contro il petto ancora ansante di Lavi.
Lavi emette
una specie di rantolo di sorpresa. Si appoggia a sua volta alla porta, e chiude
gli occhi – non che faccia molta differenza. “Non so, Allen, vuoi anche un
cuscino?”
“Eh, perché
no.” Allen sistema con disinvoltura la testa in una posizione più comoda,
all’altezza del suo sterno. “Il tuo petto è troppo duro qua.” E dimostra la sua
teoria picchiando qualche debole colpetto con la nuca sulla parte interessata.
In tutta
risposta, Lavi gli ficca spietatamente due dita in un fianco.
Mentre Allen
si contorce convulsamente per il solletico e la sorpresa, ridacchiando senza
fiato, il rosso sogghigna e prolunga la tortura soffiandogli nell’orecchio.
“Lavi,
basta! Che rischiamo di cadere fuori!” lo sgrida Allen, ma Lavi non gli
risponde, rimanendo fermo ad annusare più attentamente il collo dell’altro.
“Lavi… cosa stai facendo.”
Lavi non fa
troppo caso al nervosismo nella sua voce, e lo blocca rapidamente in un
abbraccio a tenaglia. A un certo punto solleva la testa e risponde sorpreso:
“Hai un buon odore!”
Anche se non
c’è alcuna luce in quello sgabuzzino, Lavi vede nella sua mente, con estrema
chiarezza, l’espressione scettica che Allen di certo indossa in quel momento.
“Capita,
quando ci si lava. Dovresti provare, sai. Una bella sensazione.”
“Haha, molto
spiritoso. Ma intendo dire che hai un odore strano addosso. Il tuo odore,
penso. Tuo tuo.
È strano, è come un incrocio tra il dolciastro e qualcosa di più fresco. Ma che
shampoo usi?”
“Stiamo
davvero avendo questa conversazione o sto solo sognando?”
“No, dai, è
buono!” ripete Lavi, stranamente stupito dalla constatazione, e rituffa il naso
nell’incavo del collo dell’altro come per accertarsene di nuovo, ignorando le
vaghe proteste sempre più nervose di Allen. “Voglio conoscere il tuo segreto.
Le ragazze vanno pazze per i buoni odori.”
“Chissà
perché, eh?” fa Allen con tono sarcastico. “Comunque non lo so, non c’ho mai
fatto ca—” Si blocca di netto alla sillaba, e il suo
corpo s’irrigidisce di scatto. Lavi sta per chiedergli cosa c’è che non va,
quando sente il rumore di passi irregolari rimbombare all’interno dello
sgabuzzino come se la persona fosse esattamente davanti alla loro porta, o
persino dentro lo sgabuzzino stesso.
La voce
baritonale di Lvellie impreca coloritamente, segnata
dalla fatica della corsa.
Lavi prega
con tutto il suo cuore che il loro inseguitore riprenda la sua perlustrazione,
e con il fiato sospeso attende di sentire i passi dell’uomo allontanarsi.
Ma quel
rumore non giunge, se non dopo qualche interminabile minuto, dopo cui Lvellie non sembra né allontanarsi né avvicinarsi.
“Aspetta
aspetta aspetta… non dirmi che conosce questo posto,”
sussurra Allen terrorizzato.
“Allen, non
lo so…Cristo… non dovrebbe essere insonorizzata questa stanza?”
chiede Lavi in un bisbiglio. “Perché lo sentiamo così bene?” Ma soprattutto, lui riesce a sentire loro? Ma questo, Lavi non lo domanda. Sa
perfettamente che Allen si sta tormentando sullo stesso dubbio.
All’esterno,
Lvellie fa avanti e indietro per il corridoio, come
se stesse riflettendo profondamente o stesse…
cercando qualcosa.
“Malcolm… cosa ci fai qui?” dice una voce all’improvviso.
Lavi non lo
credeva possibile, ma Allen riesce a schiacciarsi ancora di più contro di lui,
quasi togliendogli il fiato. Il rosso non trova le forze per spingerlo via. Nel
silenzio generale, si sente perfettamente la brusca inspirazione di Lvellie alla comparsa del nuovo arrivato.
“Potrei
chiederti la stessa cosa, Komui,” risponde aggressivo
il loro professore.
Un attimo di
silenzio, e Lavi riesce quasi a visionare lo sguardo perplesso che il professor
Lee deve avergli lanciato. “Stavo tornando dall’Ufficio del Preside.”
“E quali
affari ti avrebbero trattenuto con il Preside così a lungo da fare le due di
notte?” chiede Lvellie con un’odiosa voce viscida dal
tono sospettoso.
Un’altra
pausa. “Affari privati, direi,” gli
risponde asciutto Komui. “E quali affari avrebbero
trattenuto te in un corridoio buio
del settimo piano fino alle due di notte?”
Lvellie sbuffa sonoramente, prima di ricominciare a camminare. “Per tua
informazione, Lee, nutro la certezza
che alcuni studenti siano fuori dai loro letti e in giro per i corridoi. Alcuni
studenti della tua Casa, per inciso.”
I passi
accelerano, decelerano, si avvicinano e si allontanano in continuazione.
“E come fai
ad avere questa certezza, se posso chiedere?” lo interroga Komui
dopo un po’.
Lvellie compie altri pochi passi, e si ferma. “Come? È molto semplice, il
come,” comincia con tono mellifluo. “Poco fa ho ricevuto l’informazione da un
altro studente che questa notte si sarebbe verificata una…gita notturna non autorizzata nei
paraggi della Torre di Astronomia. Effettivamente, quando sono andato a
controllare, ho sorpreso qualcuno. Ma sfortunatamente…
dopo un arduo inseguimento, ho perso le loro tracce in questa zona. Sospetto
che ci sia… qualcosa, vicino a questo corridoio. Non
è possibile che li abbia persi completamente all’improvviso.”
“Te l’avevo
detto,” bisbiglia Allen, iroso, “quel bastardo di Tyki
ci ha mpfhh—”
Lavi gli ostruisce prontamente la bocca con la mano per zittirlo, troppo
impaurito dall’idea che possano scoprirli. Allen soffoca quasi subito ogni
protesta, e si lascia di nuovo andare contro il suo petto.
“Mi vuoi
dire, caro Malcolm,” indaga Komui, apparentemente
sorpreso, “che non sei riuscito a fermare uno o più ragazzini che scappavano da
te nel buio quando tu invece potevi
rendere nota la tua posizione senza problemi e tentare di ostacolarli con l’uso
di incantesimi?”
Lvellie sputacchia qualcosa, ma si blocca subito. Lavi trattiene a stento
una risata.
“Inoltre,”
continua Komui, ora severo, “se uno studente te l’ha
detto ‘poco fa’ vuol dire che l’hai incontrato all’esterno dei suoi dormitori.
Spero che l’abbia messo in castigo con la stessa severità con cui intendevipunire gli altri…
fuggitivi.”
Lvellie risponde prontamente con voce composta: “Era fuori perché tentava
di sventare la fuga degli altri due, ovviamente. Scoprire quali erano i loro
piani. E riferirli a me, in futuro.”
“Non è accettabile
fare preferenze di questo genere, Malcolm,” e il tono di Komui
non ammette repliche. “Spero tu te ne renda conto. Uno studente fuori dal suo
dormitorio è uno studente fuori dal dormitorio, a prescindere dalla Casa a cui apparteniene e quali siano i suoi fini. Quindi, se mi puoi
dire il nome, provvederemo alla sua punizione.”
Lvellie si chiude per qualche secondo in un silenzio oltraggiato, per poi
tornare all’attacco. “Desidero che lei
venga con me alla Torre dei Grifondoro.”
“Per la
barba di Merlino, per quale motivo?” chiede Komui,
stupito. Di certo il cambio della persona non è passato inosservato a nessuno.
“Lei lo sa
bene! Sa chi sono i criminali in questione, signor Lee, non faccia finta di
nulla!” sbraita Lvellie, le sue parole che risuonano
macabre nel corridoio. “Deve venire con me al dormitorio dei Grifondoro perché io non conosco la parola d’ordine, e così
potremo controllare chi è fuori dal proprio letto.”
“Mi
dispiace, signorLvellie,” risponde Komui, senza più nascondere il suo astio, “ma non verrò
alla Torre con lei. In questo
corridoio non c’è nulla di nulla, nessun nascondiglio, le posso assicurare.
Perciò gli studenti in questione, di qualsiasi Casa siano, se davvero erano in
giro, saranno tornati a dormire ormai. Mi dispiace dirle che probabilmente li
ha solo persi di vista. …Di certo non sono nascosti
qui, dietro il nostro amato arazzo di Barnaba il
Babbeo. Non le pare?” Sospira, e con un sorriso nella voce aggiunge
stancamente: “Vai a dormire anche tu, Malcolm. Si metta il cuore in pace.
Rimarrò qui io per un po’, a controllare che non passi nessuno o nessuno… esca da dietro le armature.”
Segue un
silenzio pregno di tensione, in cui Lavi e Allen tengono la bocca serrata, per
la paura che anche un solo respiro possa tradirli, e Lvellie
probabilmente lancia occhiate in cagnesco a Komui
aggrottando le sue brutte sopracciglia nella concentrazione per trovare una
scappatoia per ottenere ciò che vuole: rimanere in quel dannato corridoio a
perlustrare ogni suo singolo angolo.
Ma a quanto
pare Lvellie si arrende, perché a un certo punto lo
sentono ringhiare e picchiettare rabbiosamente un piede per terra.
“Questa
storia non finisce qui, Komui,” sentenzia
minacciosamente Lvellie, e si sente un fruscio di
vestiti che probabilmente accompagna il suo gesticolare frenetico. “Prima o poi
li metterò con le mani nel sacco, quei mocciosetti.”
“Sì, ne sono
convinto. A domani, Malcolm.”
Passano
svariati minuti, che il cuore di Lavi sfrutta famelicamente per decelerare il
suo battito, ma durante i quali sia lui che Allen sono sicuri di non sentire i
passi di entrambi gli uomini
allontanarsi. Il che significa che probabilmente Komui
è ancora vicino a loro. Seppure essere trovati dal professore di Pozioni li
spaventi molto meno rispetto all’essere beccati da Lvellie,
tutto ciò costituisce comunque un problema. Per di più, Lavi è sicuro di non
poter rimanere per tutta la notte in piedi in uno sgabuzzino, troppo stretto
persino per poter piegare le gambe.
Ma il cuore
gli finisce dritto in gola, e lo spavento gli fa girare la testa, quando la
porta della Stanza delle Necessità si apre davanti a loro, e la faccia del
professor Lee spunta nella biancastra luce della sua bacchetta.
“Beh,
buonasera, ragazzi,” commenta Komui, poco sorpreso.
Quando la porta è completamente aperta, butta un occhio all’interno. “Perché
uno sgabuzzino?” domanda perplesso.
Lavi è
ancora pietrificato sul posto, indeciso su cosa fare, se uscire o rimanere
dentro lo stanzino a fare la statua, nella speranza che Komui
non l’abbia davvero visto. Ma Komui sorride loro,
stanco ed affabile, e il suo battito cardiaco rallenta, tranquillizzato. Dato
che Allen sembra ancorato al suo posto, davanti a lui, Lavi lo spinge fuori
dalla Stanza delle Necessità, seguendolo a ruota.
“Lo chieda
ad Allen,” risponde mentre richiude la porta, lasciandosi scappare una risatina
innaturale che spera allenti la tensione – la sua in particolare, che avvolge
il suo cervello in una morsa che lo fa sentire frastornato.
Allen gli
lancia un’occhiata omicida, prima di tornare a fissare con sguardo mortificato
il professore. “Ci dispiace, professore. Ci dispiace davvero tantissimo. C’è un
motivo per tutto questo, ma… non possiamo—”
“Avete
affidato la Pianta Carnivora di Crowley al Comitato
per il Controllo delle Piante Letali.” Le parole di Komui
suonano innegabilmente come un’affermazione.
La mandibola
di Lavi quasi tocca per terra, e quella di Allen sembra sulla medesima rotta. “Come…perché…” cerca di dire
Lavi, ma lo sgomento gli impedisce di formulare una frase logica.
Il
professore ridacchia silenziosamente, grattandosi il mento sovrappensiero. “Io
e il Preside l’abbiamo scoperto poco fa. Poche cose avvengono in territorio
scolastico senza che il Preside lo scopra,” spiega, e il divertimento che mostra
alla vista delle loro facce viene quasi subito sostituito da una certa
severità. “E per quanto io e il Preside ammiriamo la vostra abnegazione verso
chiunque voi consideriate un caro amico, vi prego di non tenere segreti
problemi di questo genere, se dovesse accadere di nuovo. La Pianta Carnivora di
Crowley era sì una pianta assolutamente illegale, ma
spero abbiate ormai capito che in queste faccende… io
e il Preside siamo sempre inclini a… chiudere un
occhio, e aiutare come meglio si può.” Komui fa loro
l’occhiolino, prima di alzare la bacchetta e approfittare della loro allibita
immobilità per Disilluderli.
All’improvviso
una spiacevole sensazione di freddo gli cola dalla testa fino alla punta dei
piedi, e in un attimo, guardando giù, Lavi non riesce più a scorgere con
nitidezza le fattezze del suo corpo.
“Così
dovrebbe bastare.” Komui volta loro le spalle, e
comincia a camminare nella direzione opposta da cui è arrivato. “Questa volta
avete rischiato grosso, ragazzi. Fate in modo da non cacciarvi in un altro
guaio nell’immediato futuro. E badate a fare silenzio: Lvellie
se n’è andato con gran lentezza. Potrebbe essere ancora in giro a perlustrare
la zona.”
E detto ciò,
se ne va con devastante tranquillità.
Lavi e Allen
rimangono fermi come stoccafissi ancora per un po’, nel corridoio completamente
buio, con delle espressioni ebeti stampate in faccia.
“…Non ci credo. Credevo che questa volta sarebbe stata la
fine. Che sarei dovuto tornare a casa con Cross per sempre,” bisbiglia Allen, e
nella sua voce c’è un senso così profondo di sollievo e gratitudine verso Komui e la vita in generale che quasi Lavi si commuove.
“Sei un
pessimista, Mammoletta. Io ero sicuro che saremmo
scampati anche a questa.” E sorride all’inevitabile rimbeccata furente
dell’amico.
Il ritorno
alla Torre di Grifondoro è un successo, grazie anche
agli ottimi Incantesimi di Disillusione di Komui. Con
un po’ di insistenza da parte di Lavi e soprattutto di carinerie da parte di
Allen dirette alla Signora Grassa, questa li lascia entrare sonnacchiosa nella
Sala Comune. Una volta dentro, i due si afflosciano con poca grazia sul divano
che fronteggia il camino, le gambe sull’orlo di trasmutarsi in gelatina.
“Dobbiamo
andare a recuperare il Mantello dell’Invisibilità, in questi giorni,” commenta
Allen sfinito, guardando assentemente le ceneri della legna.
Lavi
annuisce, altrettanto privo di forze. “Ci ricorderemo…
Come diavolo abbiamo potuto dimenticarci il Mantello in cima alla Torre? È
stata una nottata terribile, tra questo e il fatto che Tyki
sapeva tutto e c’ha messo alle calcagna quell’idiota di Difesa Contro le Arti Oscure… Giuro che se l’anno prossimo non cambia ancora, me
ne vado.” Si gratta una guancia, sbuffando sonoramente più volte. “Ma perché Crowley si è procurato illegalmente una Pianta Carnivora? –
e le ha anche dato un nome, Allen, un nome!
Come puoi chiamare una… cosa che può ingoiare per
intero la tua testa ‘Rosanne’?! – Ma soprattutto,
perché poi dobbiamo occuparci sempre noi dei casini in cui si caccia lui?
Salire su quella Torre di Astronomia di nascosto per contrabbandare una Pianta
Carnivora con i parenti di Fou… Mai più.”
“Io
aggiungerei,” continua Allen, che ha chiuso momentaneamente gli occhi, “perché
non abbiamo pensato di chiedere aiuto al Preside? Avrebbe di certo dato una
mano a Crowley…”
“Già…” concorda Lavi fiaccamente, prima di impensierirsi.
“Ma Allen… Davvero, perché uno sgabuzzino? Come ti è
venuto in mente?”
Allen fa un
verso inconsulto, probabilmente di esasperazione, e alza gli occhi al cielo.
“Perché siete tutti così fissati con questo sgabuzzino?” chiede stizzito. “Ho
sbagliato, okay? Mi dispiace!”
Lavi si tira
un po’ su con la schiena, e guarda meglio Allen, con un mezzo sorriso sulle
labbra. “Non è questione di fissa, è che… con tutto
quello a cui potevi pensare come ‘posto per nascondersi’ e quello in cui la
Stanza poteva trasformarsi, è venuto fuori uno sgabuzzino. È assurdo. Devi
averlo pensato specificatamente! E quindi mi chiedo: come ti è venuto in
mente?”
Allen sprofonda il viso tra le mani, e le ciocche
di capelli bianchi gli ricadono in avanti, coprendo completamente i suoi
lineamenti.
In quel
momento, Lavi realizza che c’è qualcosa di strano e doloroso nel comportamento
di Allen, e rimpiange di essersi lasciato trasportare dalla curiosità. Sta per
dirgli di lasciar perdere, quando Allen parla.
“Non sono
sicuro del perché. In realtà io non ho pensato consciamente allo sgabuzzino.
Era più un pensiero di passaggio… Potrebbe essere per
più di un motivo,” rivela, prima di sprofondare in un momentaneo silenzio di
riflessione, in cui Lavi non fa altro che mordersi il labbro e cercare di
sputare fuori quelle due paroline, ‘lascia perdere’. Ma la sua curiosità è
sempre stata contro di lui.
“Probabilmente
è stato a causa di un ricordo che avevo… legato alla
scuola Babbana in cui andavo da piccolo,” risponde
Allen bruscamente, e Lavi non può fare a meno di notare che ha quasi sputato
fuori quelle parole, come se gli costasse un grande sforzo ammettere quella
verità.
Non sa come
rispondere. Vorrebbe ancora rimangiarsi la sua ultima domanda, ma non ci riesce
e ormai il danno è fatto, perché Allen sembra sull’orlo di una crisi di nervi,
e piuttosto imbarazzato. Vorrebbe posare una mano sulla sua spalla per
incoraggiarlo, ma ha timore di fargli un dispetto infrangendo la privata bolla
di solitudine che si è creata intorno a lui.
Non conosce
alla perfezione il passato di Allen, ma sa che non è stato uno dei migliori.
Tra i genitori e il padre adottivo morti a qualche anno di distanza gli uni
dall’altro, e infine la sua infanzia passata sotto l’ala decisamente poco
protettiva del suo tutore donnaiolo e con il vizio del gioco e dell’alcool,
Lavi comprende che non dev’essere stato facile. Ma
Allen non racconta spesso del suo passato, di Cross e della sua scuola Babbana precedente, e Lavi ha sempre evitato di indagare –
quello che emergeva era sufficiente a disegnare un quadro piuttosto preciso del
suo passato.
Ma Allen ad
un tratto, con le guance un po’ arrossate, sospira e poi riprende fiato. “È che… andavo in questa scuola Babbana,
prima di scoprire di essere un mago, no? E non era…
una bella scuola. Gli episodi di bullismo nei confronti di bambini e bambine
erano all’ordine del giorno, e i maestri se ne occupavano sì e no. C’era un
bambino, in particolare, che era… un maiale. Nel
senso che aveva proprio la faccia da maiale, davvero, era una palla di lardo
con la faccia schiacciata di un barboncino e il naso—sono serio, Lavi!” ribatte
concitato alla risata divertita di Lavi, ma con un mezzo sorriso sulle labbra
che fa capire a Lavi di aver reagito nella maniera giusta. “Era un bambino
orrendo. E ovviamente era il bullo numero uno della scuola. Non aiutava il
fatto che facesse Judo già a quell’età.”
“Ahi,”
intercala Lavi con una smorfia di sofferta comprensione.
“Già, ma grazie
al cielo era negato. Comunque, io ero tra i bambini più gettonati su cui fare
del bullismo. Ero piccolo, gracilino, avevo i capelli inspiegabilmente bianchi
e quest’odiosa cicatrice sulla faccia.” Allen si passa assentemente un dito
sulla lunga cicatrice rossa che gli percorre il lato sinistro del viso, e a
Lavi viene voglia di dargli uno spintone e rivelargli con entusiasmo che quella
cicatrice è la cosa più cool
che abbia visto in faccia a qualcuno, ma evita. “Non ero famoso come lo sono
nel mondo dei maghi. E nei primi anni di scuola…
avevo davvero paura. La prima volta, quando avevo reagito ai suoi insulti, mi
ero ritrovato con un labbro sanguinante e un dolore lancinante allo stomaco, e
per di più chiuso a chiave nel bagno delle femmine. Abbastanza imbarazzante.
Perciò ho passato i miei primi anni di scuola a scappare da quel tizio e i suoi
compari, con la coda tra le gambe.” Allen pronuncia le ultime parole con un
tale disprezzo che Lavi questa volta gli dà davvero un spintone.
“Allen, eri
un bambino di quanti, sette o otto anni? È perfettamente comprensibile,” gli
dice Lavi, ma con suo dispiacere Allen si esibisce in una smorfia di vergogna.
“Sì, ma ero
terrorizzato da lui, e schifato dal modo in cui mi faceva sentire. Ma comunque,
in tutta questa vicenda, ogni tanto succedevano cose strane. Quando quel
bambino e i suoi amichetti mi inseguivano, decisi a darmi una lezione, io
scappavo da loro e, non sapevo come, spesso ad un tratto mi ritrovavo in un
ripostiglio. Si trovava in un’ala poco utilizzata della scuola, uno stanzino di
cui non molti ricordavano l’esistenza, ed era piccolo, stretto, buio e
puzzolente, ma allora ero così piccolo che sarei potuto stare in un armadietto
senza problemi, e così impaurito che avrei sopportato di tutto. Mi ci ritrovavo
sempre per caso, e allora giustificavo quella confusione con il panico che
provavo in quei momenti – ora so che la faccenda era un po’ diversa, haha.” Allen si porta le ginocchia al petto, allacciando le
dita sopra gli stinchi. “Quando questa notte… sentivo
i passi di Lvellie dietro di noi, mi sono tornati
alla mente quei giorni, e la paura che provavo allora – forse anche alimentata
dal terrore dell’espulsione e dall’idea di dover fare eventualmente ritorno in
quel paese orrendo, a vivere con Cross tutti i giorni della mia vita e dover
sopportare le versioni cresciute di quegli stupidi ragazzini.”
Lavi lo
guarda con rimorso. “Mi dispiace, Allen… Non volevo
farti ricordare certe cose.”
E Allen,
sorprendentemente, gli sorride, con apparente leggerezza. “Oh, ma non è un
ricordo così tremendo.”
Lavi lo
squadra, critico. “Cosa sei, masochista?”
Il più
giovane ridacchia, e poggia una guancia sulle ginocchia, guardando il suo
amico, divertito. “Non esattamente. Il fatto è che un giorno come tanti, quel
bambino decise di infastidire una bambina con un problema alla gamba. Non
camminava bene, forse, non ricordo. E io sono andato a difenderla. E quel
giorno la magia, invece che farmi Materializzare dentro un orrendo sgabuzzino,
si ritorse contro il bambino e gli altri. Devo confessarlo,” conclude Allen con
un sorrisetto di soddisfazione, che Lavi ricambia con un accenno di risata,
“non ho mai visto code di maiale così lunghe e arricciate in vita mia. Un bel
ricordo.”
“Questo però
non spiega perché sentissimo tutto come se la porta fosse fatta di carta,”
medita il rosso, ancora ridacchiando.
Allen
scrolla le spalle. “Forse sempre per lo stesso motivo. Dalla porta del
ripostiglio stavo sempre ad ascoltare se arrivassero i passi di qualcuno, per
sapere quando potevo uscire o meno.”
Lavi
annuisce, sufficientemente convinto da questa teoria. “Comunque non credo che
ci sentissero dall’altra parte. Ma… l’altro motivo
che avevi mente per spiegare tutto questo?”
Con suo
stupore, la faccia del suo amico avvampa prontamente di rosso a quelle parole.
“Beh, no… non era un’idea seria, solo un vago sospetto…” spiega, con ovvia reticenza.
Lavi lo
osserva di sottecchi per un attimo, prima di decidere che non vale la pena
stressare ancora Allen – anche se quel rossore apparentemente immotivato lo
incuriosisce abbastanza.
“Sai,
Allen,” constata, divertito, “sei davvero cambiato da quando ti ho conosciuto.”
Allen si
acciglia, e gli indirizza uno sguardo interrogativo. “In bene o in male?”
“In bene,
direi,” ride Lavi. “Ma non è che se non fossi cambiato, ora non mi piaceresti.
È solo che… in prima eri così…
riservato e timido. Era come se non fossi disposto ad aprirti con le persone,
come se avessi paura del contatto umano. Cosa che di per sé riesco a capire, da
quello che so di te su quegli anni. Ma era…
profondamente frustrante, ecco, credere che quel te di allora fosse solo un
guscio di solitudine in cui ti nascondevi e da cui sembrava impossibile tirarti
fuori; pensare che ci fosse altro, ma che tu non volevi mostrare a nessuno
altro che quella facciata gentile e distaccata.”
Allen
nasconde rapidamente la faccia tra le ginocchia, ma Lavi sorride,
riconoscendolo come un peculiare segno di imbarazzo. “Mi conosci bene, Lavi.
Troppo bene… penso che ora dovrò ucciderti.”
“Sì, certo.
È da cose come questa che si capisce che sei cambiato. Ora sei molto più
estroverso: fai amicizia facilmente con chiunque, sei sarcastico quasi quanto
me – e questo è dire qualcosa – ma a differenza di me forse tu sai quando è il
caso di usarlo, quel sarcasmo, o meno. E poi… sembra
che tu non ti senta più in dovere di essere gentile con tutti per essere
apprezzato, che puoi anche mostrati per quello che sei. Con tutta la dose di
ironia annessa e… quella tua fastidiosa tendenza
all’autodistruzione. Perché mi chiedo quando capirai che scherzare davanti a Kanda è come fare il trapezista su un burrone.”
L’amico
sbuffa rumorosamente, lanciando alla cieca un cuscino addosso a Lavi, che manca
spaventosamente il bersaglio.
Lavi ride e
risponde con un’ulteriore cuscinata, prima di continuare, con un affetto nella
voce che gli imbarazza un po’ mostrare: “Però si vedeva già allora…
che eri una persona speciale. Sin da quando hai salvato la Ricordella
di Rou Fa dalle grinfie di Road, da quando hai difeso
Lenalee dai dispetti di Tyki
e Skin, e tutti quegli altri tuoi atti da eroico
pazzo scriteriato che la gente non si aspetterebbe di veder compiere da un
bambino di undici anni. Era stupefacente vedere la determinazione di questo…tappetto, un moccioso
alto un metro e un Boccino,” – “Lavi!” – “che si ribellava contro ogni male e
ingiustizia!” Lavi guarda il tappeto rosso consulto dai piedi di migliaia di Grifondoro passati davanti a quel camino, e aggiunge in un
sussurro: “Eri un bimbetto pelle e ossa, ed già eri un Grifondoro
più di quanto lo fossero tutti i Grifondoro di allora
messi assieme.”
Allen alza
lentamente la testa e, quando lo guarda, Lavi pensa che sia sull’orlo delle
lacrime. Ma dev’essere un abbaglio, perché un secondo
dopo quelle lacrime sembrano sparite. Allen sospira pesantemente e ricaccia la
testa tra le ginocchia con fare inspiegabilmente scoraggiato. “Oh, merda,” dice soltanto.
“Cosa?”
Allen mugola
un ‘Niente, Lavi’, e scuote la testa tra le braccia.
Lavi sente
l’improvviso, acuto bisogno di dire qualcosa, perché ha la spiacevole
sensazione che qualcosa non vada con Allen e l’unica cosa che gli viene in
mente per sollevargli il morale – sempre che quello sia il problema – è
atterrare in territorio neutro. “Non mi hai detto che shampoo usi!”
Allen si
passa una mano sugli occhi e se li stropiccia vigorosamente. “Perché non c’ho
mai fatto caso, Lavi. Non ho idea di che shampoo usi, te lo posso anche
prestare.”
“Dicono che
la gente che mangia molti dolci tende ad avere un odore della pelle più dolce.
E che di solito queste persone usano profumi più freschi per compensare,” lo
informa Lavi. “Probabilmente il tuo shampoo è alla menta, o qualcosa del
genere. Forse dovrei iniziare anche io a mangiare tanti dolci quanti ne mangi
tu.”
Allen gli
rivolge un sorrisetto malizioso. “Non penso che il tuo fisico sopporterebbe la
quantità di dolci che io ingerisco.”
“Se non
provo non posso saperlo,” precisa Lavi, anche se in cuor suo sa che quella è la
dura realtà. Il metabolismo di Allen è una cosa dell’altro mondo.
Il giovane
sospira, facendo spallucce. “Beh, dimmelo quando devo prenotarti un
appuntamento dal dietologo.”
Lavi ride di
gusto. “E dopo queste conversazioni profonde, dovremmo abbracciarci e passare
ad altri argomenti frivoli quali il nuovo esotico taglio di capelli di Fou o i monotoni fermacapelli di Kanda.”
E in un impeto di vivacità, spalanca le braccia davanti a lui.
Allen lo
guarda con sconcerto. Lavi ride di nuovo, alzando le mani in segno di arresa.
“Okay, okay, niente abbraccio. Siamo ragazzi pieni di virilità. Ma sui
fermacapelli di Kanda c’è molto da dire.”
L’altro
scuote la testa rassegnato, ma il sorriso affettuoso che non riesce a
trattenere la dice lunga. Si alza lentamente dal divano, e si liscia i
pantaloni disinvoltamente. “Ne sono certo, ma io penso di voler andare a
dormire. Tu che fai?”
Lavi lascia
cadere la testa all’indietro e fissa il soffitto, studiandone le crepe e le
inspiegabili macchie e intaccature. “Penso che starò un attimo qui, a fissare
il soffitto. Virilmente.”
Allen grugnisce
qualcosa di incomprensibile, e gira sui tacchi, diretto al dormitorio maschile.
“Ehi,
Allen?”
Il ragazzo
si ferma, e si volta con faccia assonnata verso l’amico.
Lavi
inspira, e alza un po’ la testa dal divano, per guardare Allen negli occhi. “So
che può sembrare un po’ smielato, ma… penso che tu
sia il migliore amico che mi potesse capitare nella mia vita.”
E dopo i
primi secondi in cui rimane innegabilmente spiazzato dalla sua sincerità, per
la prima volta Allen gli mostra quel
sorriso, il sorriso che due anni più tardi Lavi imparerà a riconoscere e ad odiare, perché saturo di una felicità
mista a un’inspiegabile tristezza che lui non saprà come cancellare per molto
tempo.
Ma Lavi
ancora non ci fa caso, e nel suo stato assonnato non nota minimamente la
differenza.
“E tu lo sei
per me, Lavi,” risponde Allen, prima di scomparire su per la rampa di scale.
.
E fu così,
in quella lunga notte primaverile del suo quinto anno a Hogwarts,
che Lavi venne a conoscenza del particolare odore di Allen.
Ma la cosa
davvero divertente?
Fu così, in
quella lunga notte primaverile del suo terzo anno a Hogwarts,
che Allen capì di essersi irrimediabilmente innamorato di Lavi.
.
.
.
.
.
Buondì! So che probabilmente
questo capitolo non è piaciuto molto, a me l’ultima discussione tra loro due fa
stracagare, ma come al solito non riesco a riparare.
Cioè, boh çWç Che ppalle, madò. Eniuei, mi serviva una cosa relativamente soft per
iniziare, una cosa che rappresentasse un po’ il quadro generale della vita di
Lavi e Allen a Hogwarts (e sì, questo quadro è
composto da molte esperienze quasi terminate con un’espulsione LOL)
Fatemi sapere se avete apprezzato, ci terrei molto :D (mi sa cheee il prossimo sarà quello con Bak
e Fou. E ovviamente implicito quasi-Laven
per contorno).
(E per la cronaca, sì, Allen è cresciuto parecchio all’alba del quinto anno, ma
così Lavi, quindi la differenza di altezza è diminuita ma non troppo, lol.) (E per la cronaca due, no, non ho idea di come Komui e il preside abbiano scoperto del contrabbando di
piante carnivore. Mettetevi il cuore in pace, perché non lo saprete mai, né voi
né io.) (E per la cronaca tre, avete capito qual era la seconda ipotesi di
Allen sulla creazione dell sgabuzzino? Un aiutino lo
trovate nell’ultima frase del capitolo ;D )
Aaah! Mi sembra sia passato un secolo! (?) Un capitolo
interessantissimo, questo! (Non è vero). Come vi avevo detto, questo è un
BakFou con del Laven per contorno. Molto poco. Più un Allen e basta (e non
perché non volevo Lavi ma… Lavi in quel momento era impegnato in un’altra
faccenda lololol come si capirà dalle prime righe).
Beh, cheddireapparte che
non scriverò MAI PIU’ IN VITA MIA una BakFou perché è
una COPPIA IMPOSSIBILE DA SCRIVERE (IC tendente a zero in questo capitolo)? :D Nulla.
Quindi buona lettura, e ditemi cosa ne pensate.
Nota che rasenta l’inutile:
mentre facevo un po’ i calcoli progettistici (?) su questa fic,
avevo vagamente pensato che forse sarebbe stato figo fare
anche qui sette capitoli. Ma contando i capitoli che avevo in mente di scrivere
(ebbene sì! Vi ho ingannati per tutto il tempo, perché in realtà ho
praticamente già deciso cosa scrivere quindi se volete qualcos’altro io vi
ignorerò HAH.) ho fatto l’orrenda scoperta che sono
otto D: In realtà senza saperlo inizialmente ne avevo progettati sette, ma poi
dato che svariati volevano un capitolo postdichiarazione
con Lavi ancora ad Hogwarts, sono diventati otto E EE. Panico, non riuscivo a
decidere quale togliere. Perciò alla fine, panicando
inappropriatamente, sono giunta alla conclusione che l’ultimo capitolo sarà un’unione
sminchia tra due capitoli A__A
E così i capitoli saranno ufficialmente sette!
Disclaimer: semplicemente, no.
.
WhyFouwenttoseeBak
( S E V E N
)
.
Poco
distanti da un gruppo di studenti del sesto anno che ridono sommessamente e si
scambiano confezioni di merce sospetta, Lavi e Lenalee
sono seduti sul lungo e comodo divano della Sala Comune. La ragazza si passa le
dita nel suo caschetto di lucidi capelli neri con un movimento insofferente,
mentre le dita dell’altra mano tamburellano veloci sullo schienale ricoperto di
stoffa rossa. Lavi, invece, ha palesemente la faccia di uno che vorrebbe
Smaterializzarsi a qualche miglio di distanza.
Sfortunatamente
per lui, a Hogwarts non ci si può Smaterializzare.
“Mi confondo
sempre tra Nettuno e Urano: qual è quello che simboleggia la fantasia e auspica
il crollo di illusioni?” la voce di Allen la fa trasalire, e la piuma scivola dalla
sua mano sulla pergamena gialliccia , tracciando una riga sbavata d’inchiostro
sul foglio precedentemente intonso.
“Ma poi perché
mi preoccupo di Divinazione,” prosegue Allen, mentre si abbandona contro lo
schienale della sua sedia e si stropiccia gli occhi stancamente, “se so già che
all’esame improvviserò tutto? Dimmi la verità: tu hai mai visto qualcosa in
quella stupida boccia di cristallo?”
In risposta,
Fou si limita a sghignazzare sonoramente, prendendo
in mano un pesante tomo rilegato in pelle e buttandolo davanti all’altro. Il ‘thump’ sordo che provoca incontrando il tavolo sembra quasi
un presagio di sventura e insuperabili fatiche. “Infatti, dato che con Sokaro non avrai problemi, ti consiglio vivamente di
ripassare Trasfigurazione. La Nine ha esplicitamente
detto che non accetterà al sesto anno chi ha preso meno di O nei suoi G.U.F.O.”
Allen
giocherella spassionatamente con la sua penna piumata di grigio e scruta con svogliatezza
quel libro che ora è piazzato in bella vista davanti a lui, impossibile da
ignorare.
“Lo so,”
risponde, tormentando un angolo della sua pergamena distrattamente, “ma non
voglio immaginare cosa farebbe la Lotto se qualcuno dei suoi studenti prendesse
una D… o peggio, una T. Cosa che trovo peraltro
piuttosto possibile.”
Il comune
senso di colpa contrae i loro visi in una prolungata smorfia di ansia e
comprensione reciproca.
“Beh, magari
c’è abituata…” suggerisce Fou
con poca energia. “La divinazione non è una cosa che possono praticare tutti. E
poi sicuramente il Preside le impedirà di fare qualche sciocchezza.”
Scoraggiato,
Allen scrolla le spalle e apre il libro di Trasfigurazione, non risparmiandogli
l’ennesima, ormai consueta occhiata critica.
“Odio il
fatto che tu abbia la metà degli incantesimi da conoscere rispetto a me,”
commenta aspramente.
Fou gli rivolge
un sorriso impertinente, e per provare il suo punto, modifica la tonalità dei
suoi capelli fino a farli diventare da rosa cicca a un altrettanto insolito
rosa salmone tendente all’arancione.
“Non è colpa
mia se mio padre è un Metamorphomagus,” chioccia con
soddisfazione, arricciandosi una ciocca di capelli all’indice per esaminarne
più da vicino il nuovo colore.
Allen
aggrotta la fronte, sempre più rabbuiato. Prende in mano la sua bacchetta ed
effettua un incantesimo di Rabbocco sul suo bicchiere, che immediatamente si
riempie di nuova acqua limpida e fresca.
“Allora odio
i Metamophomagi,” rettifica tetramente, afferrando il
bicchiere e bevendo un sorso d’acqua, con una tragicità tale nei suoi movimenti
che la scena risulta oltremodo comica.
Fou fa le fusa
senza alcuna vergogna di sé, lisciando la sua pergamena e allungando la mano
verso il libro di Antiche Rune con una pacatezza regale.
“Allen,
Allen, persona debole, la tua invidia
intensifica solo le mie abilità.”
Nonostante il
fulmineo attacco di depressione, Allen scoppia a ridere quando Fou si volta verso di lui con uno schiacciato naso all’insù
dall’aria spocchiosa e le sopracciglia arcuate in una forma assurda ma in una
perfetta riproduzione di quelle di un loro passato – e odiato – insegnante di
Difesa Contro le Arti Oscure.
Una volta
calmate le risa, Fou si mette in bilico sulle gambe
posteriori della sedia e allaccia le dita dietro la testa. Mentre studia le
curve dei drappi rossi dagli orli dorati che decorano la parete opposta con
finto interesse, si mordicchia il labbro inferiore, taciturna. Di fianco a lei,
Allen riprende a sfogliare il suo libro.
“Beh, Allen,
mi sa che devo andare,” afferma, e fa per alzarsi.
Quando l’amico
le chiede dove, lei esita un attimo, prima di replicare con un borbottio
indistinto che spera vivamente basti a soddisfare l’altro.
Però
ovviamente Allen si gira, questa volta più attento alle sue parole. “Eh?”
“A ripassare
Antiche Rune,” ripete distintamente Fou, con una
scrollata di spalle che mira a distrarre l’attenzione dalla sua immediata
agitazione. “Con Bak. E i soliti di Tassorosso. Rou Fa, eccetera.”
Il ghigno d’intesa
che si allarga da orecchio a orecchio sul viso pallido di Allen la infastidisce
nel profondo, perciò reagisce rapidamente e istintivamente
donandogli garbatamente un lieve
pugno alla spalla.
“Ow! Che cosa ho
fatto!” si lamenta Allen mentre si massaggia l’arto ingiuriato, comportandosi come
se lo avesse invece pugnalato a fondo.
“Sorridevi
come un idiota,” si giustifica Fou asciutta. “Non lo
sai che l’idiozia è un reato in certi Paesi? E Allen, era lieve.”
“No che non lo era!”
Fou non degna l’amico
di una risposta, e procede a chiudere il suo libro di Antiche Rune e a
metterselo sottobraccio.
Mentre lei
si alza, il ragazzo incrocia le braccia e la scruta con attenzione, la malizia
che gli illumina le iridi tempestose.
“Si dichiarerà
entro la fine dell’anno. Lui, o te,”
commenta con voce limpida e esageratamente fiduciosa.
Fou solleva il
mento e ostenta un’aria di indifferenza che non le è propria. “Non sono neanche
sicura che mi piaccia, Allen.”
“Sì,
proprio. È da un mese che vi girate intorno con occhi predatori! E anche se tu
non fossi ancora sicura, lui secondo me lo è,” dice Allen, con una sicurezza che
un po’ spiazza la ragazza.
“Non credo
proprio, Al… Ci sono le stesse probabilità che
succeda di quante ce ne sono che tu
ti dichiari a Lavi entro fine anno. O
in generale.” E questo è classificato, nell’enciclopedia personale di Fou, come un colpo basso. Ma Fou
non si trattiene mai dal ricorrere a spietati sotterfugi quando si sente messa
all’angolo – anche se di questo particolare ‘sotterfugio’ è davvero convinta.
La smorfia
di Allen ha un che di profondamente patetico. Non esce mai una buona espressione
quando si tenta di mischiare l’afflizione e l’amarezza con il fastidio.
“Allora mi
dispiace per voi,” risponde con eccessiva calma. “Speravo vi poteste mettere
insieme prima della mia morte.”
“Allen, dovresti…”
“Ne abbiamo
già parlato, Fou.”
La durezza
nella sua voce è un chiaro segnale, che intima a Fou
di non inoltrarsi nell’ennesimo battibecco destinato a sfociare inevitabilmente
in un litigio. Ma questa volta Fou si sente particolarmente
stufa di assecondare l’ennesima
parata di finzioni adombrate da patetica rassegnazione che Allen trascina
avanti con crescente fatica.
“Ne abbiamo
già parlato, sì, e sai cosa ne penso,” esplode Fou,
riuscendo però sorprendentemente a mantenere bassa la sua voce. “La verità,
Allen, è che sei un codardo senza palle. Tutti quei discorsi sul lasciarlo
decidere da solo, sul non condizionarlo… In realtà
hai solo paura. Esattamente come lui. E se continuate così ancora per molto
probabilmente non andrete a finire da nessuna parte. Uno di voi due si
stancherà, e non avrete più occasioni. Perciò quello che ti consiglio di fare è
alzarti, andare da lui, e dirgli…qualcosa. Risolvete la faccenda, prima
che l’anno termini. Chi era che aveva detto di non lasciarsi rimpianti alle
spalle?”
Allen si
rifiuta di guardarla, ha gli occhi puntati caparbiamente su Lavi. Ma il suo cipiglio,
le spalle rigide e le labbra serrate in una linea inflessibile dicono a Fou che l’ha ascoltata, e che è arrabbiato. O frustrato, Fou non riesce a capire. D’altronde non è lei quella
innamorata del suo migliore amico, questa volta.
Perciò sospira
pesantemente e, senza aspettare una risposta o il saluto di Allen, gira sui
tacchi e s’incammina da sola verso la biblioteca.
Sulla
strada, scivolando di corridoio in corridoio, evitando a malapena studenti e
professori che vi passeggiano, Fou si massaggia impacciata
il collo, realizzando di aver esagerato con Allen; e mentre si avvicina al
punto d’incontro con Bak, pensa anche che si sia
comportata in modo un po’ ipocrita.
Non è che
Allen sia propriamente un codardo. In fondo ha anche lui le sue ragioni per
fare quello che fa – seppure un po’ contorte, sono accettabili. Due anni
passati con la speranza che Lavi si accorgesse di lui e dei suoi sentimenti devono
essere stati piuttosto pesanti psicologicamente, soprattutto con il timore sempre
incombente di poter rovinare un’amicizia vitale. Non è poi cosa da tutti giorni
innamorarsi del proprio migliore amico, e in più dello stesso sesso. Al tempo, Fou non era stata capace di dispensare molti utili consigli
– sia benedetta Lenalee.
Inoltre, se anche
Allen fosse da considerare un codardo, di conseguenza lei certo non è da meno. Tra
il primo e il secondo anno, Allen le era piaciuto per molti mesi, e così come
aveva fatto il ragazzo, anche lei non aveva mai detto nulla – non sa neanche se
Allen sia a conoscenza di questo dettaglio della loro lunga amicizia. Non che
ora abbia molta importanza.
Ma forse,
riflette Fou con una certa dose di vergogna, è per
questo che tenta sempre di spingerlo ad agire, seppure spesso con troppa
violenza: non vuole che Allen commetta i suoi stessi errori.
Nonostante
ora Allen non le piaccia più, capita che, ogni tanto, quando è stesa sul letto a
occhi chiusi, a ripensare alle giornata trascorsa o a un incontro con Bak, o ad Allen e Lavi che sono sempre così vicini – sempre
più vicini– si chieda cosa sarebbe successo.
Cosa sarebbe
successo se lei si fosse confessata. Se, facendolo, avrebbe scoperto di avere una
possibilità, e si sarebbero poi messi insieme, sarebbero stati una coppia,
quanto sarebbero durati…
Si rende
conto che, ragionando obiettivamente, Allen e lei non sarebbero mai stati una
coppia duratura. Non ne è certa, ma quasi. Da sempre Allen l’ha di certo vista
sempre e solo come una sorella, niente di più, e ormai anche Fou non riuscirebbe a vederlo in altro modo. Ma
soprattutto, Fou non ha mai avvertito tra loro quella
sensazione che invece avverte a vere e proprio ondate tra lui e Lavi.
Lavi. Allen
non le ha mai dato l’impressione di essere gay, eppure…
c’è qualcosa che clicca perfettamente tra di loro. Sono come due tasselli di un
puzzle, che scivolano l’uno sull’altro e s’incastrano alla perfezione,
dentellatura per dentellatura. E questo solo perché sono loro. A questo punto, Fou non riesce a
spiegare a se stessa cos’è che davvero senta, però è innegabilmente lì, la
percezione di una sintonia a un livello che tra lei e Allen non è mai stato
raggiunto.
Ma è stato
meglio così, si dice sempre Fou, ora che il dolore
non esiste più.
Poi spesso le
viene in mente anche Bak, con il suo passato amore
viscerale per Lenalee, e la medesima confessione
mancata. Si rende conto che lei e Bak appartengono
alla stessa specie: persone che hanno amato, e che non hanno avuto il coraggio
di mettersi in gioco, che fosse per paura, e per un senso di inadeguatezza. Ogni
tanto Fou si chiede se potrebbe essere semplicemente
quello ad averli uniti, il fatto che siano fatti della stessa pasta. Sono elementi
di scarto di un quadro più grande che alla fine hanno trovato il loro posto
insieme, accontentatisi l’uno dell’altro nonostante non siano ciò che desiderano.
Ma Fou non è mai stata una persona da ‘se’ e ‘ma’. Sa, in
realtà, di essere forte e di non essere lo scarto di nessuno. Ha fatto le sue
scelte, e andrà avanti per la sua strada innamorandosi di qualcuno che a sua
volta sarà molto più di un semplice scarto.
Preferisce
vivere nel presente invece che rinchiudersi nel passato e rimpiangere le
occasioni perse. Perciò a questo punto delle sue deprimenti riflessioni, di
solito, Fou scuote la testa e pensa ‘cosa cazzo me ne
frega’, e ritorna con la sua mente al presente, al momento che sta vivendo, e smette
di provare rimorso, che ha sempre pensato fosse una sensazione che non le addicesse.
E anche se
ancora non è molto sicura che Bak le piaccia così
tanto come Allen sembra pensare, si rende conto che la sicurezza che mostrava il
suo amico parlando della sua confessione, e l’idea stessa della confessione di Bak, non la
dispiacciono poi così tanto. E ciò le pare un utile indizio.
Quindi
capita soltanto qualche volta che Fou non riesca a
trattenersi dal chiedersi se—
Una mano si
stringe attorno al suo avambraccio con delicatezza, e Fou
alza di scatto la testa per prendere visione di un Bak,
dall’aspetto trafelato e il codino dal biondo dorato semidisfatto, che preme al
petto il suo libro di Antiche Rune e le indirizza con i suoi occhi color cioccolato
un mezzo sguardo apologetico.
“Scusami,
aspetti da tanto?”
Fou sbatte le
palpebre un paio di volte, per poi lanciare un’occhiata intorno a sé e
accorgersi di essere già arrivata all’entrata della biblioteca. “Ah,” risponde
laconicamente, sinceramente stupita. Non ricorda di aver camminato fino a là.
Questo è il
motivo per cui non le piace pensare ai problemi di cuore. Liquefa il cervello
alla radice.
Quando Bak si fa perplesso e manifesta un crescente affanno, Fou si preoccupa di elaborare. “No no, non aspetto da… tanto. O almeno credo.”
Bak sembra non
capire, e Fou non lo biasima. “Beh, in ogni caso… non è che ti va di andare a studiare fuori, oggi?”
chiede il ragazzo con voce agitata, ma tinta di speranza.
“E Rou Fa e gli altri?” indaga lei.
“Ah,” Bak si dimena sul posto come se stesse camminando su braci
ardenti, e questa volta è Fou a non capire, “non
potevano. Stavano facendo… altro.”
Fou annuisce
riluttante, ma segue obbediente Bak nei corridoi, oltre
il portone e infine fuori dal castello – e ritornando piano piano
in se stessa, biecamente e con un sorrisetto tronfio, la ragazza fa notare all’amico
la differenza tra le quantità di rubini e topazi che riempiono le rispettive,
gigantesche clessidre accostate all’ingresso che rappresentano i punteggi delle
Case.
Poco dopo
raggiungono un rigoglioso e robusto albero che si innalza imperioso su una
collinetta del vasto prato a loro disposizione, e che sparge ombra e frescura
tutt’intorno alle sue lunghe radici. Sedutasi subito sull’erba, da lì Fou contempla per un attimo lo specchio d’acqua scura che si
stende in quel bacino verdeggiante, che da lontano sembra un’infrangibile lastra
di vetro opaco. Nonostante il piacevole venticello che scorre tra gli steli d’erba
e smuove con leggerezza le cime degli alberi della Foresta Proibita, non una
sola onda increspa la calma quasi spettrale del Lago Nero.
In quei
tranquilli secondi, Fou viene colta da una fortuita e
piuttosto idiota rivelazione: le dispiacerebbe lasciare Hogwarts
senza mai aver visto la Piovra Gigante.
“Sei
silenziosa oggi,” constata Bak a mezza voce, come
impaurito che parlando possa disturbare la sua apparente concentrazione. “Voglio
dire. Di solito mi insulti di più.”
Con un
sospiro, Fou si butta a terra, e alza gli occhi verso
le fronde verdi dell’albero, tra cui ammiccano luminosi i raggi di sole. “Sono
solo stanca. Non ho più voglia di studiare.”
Bak annuisce
comprensivo, ancora indeciso se parlare o no. Probabilmente il suo silenzio lo
disorienta, realizza Fou, per poi scoprire che la
cosa la diverte un poco. È in momenti come questo che si chiede se suo padre,
oltre alle capacità di un Metamorphomagus, le abbia
trasmesso anche il suo naturale sadismo.
“Beh, ma… dovremmo studiare, ormai che siamo qui. Con i libri.”
Fou si tira di
nuovo su e quando si volta verso Bak con una sorpresa
per lui in serbo, quest’ultimo starnazza qualcosa in modo incomprensibile e
arrossisce fino alla punta delle orecchie.
“Dovremmo
studiare, ormai che siamo qui,” lo scimmiotta Fou dilettandosi
in svariate smorfie con le fattezze di Bak che ha
appena assunto. Bak pare oltremodo indignato – ed è la parola più perfetta
con cui lo si possa descrivere, manca solo la mano con le dita tese davanti
alla bocca, ed è un quadro perfetto di pura ed elegante ‘indignazione’.
“Non ho un
naso così lungo!” obietta scandalizzato, puntando un dito accusatorio contro la
protundenza per lui inaccettabile.
Fou ride
sguaiatamente, ma decide bonariamente di concedergli una pausa psicologica,
tornando lentamente alle sue solite sembianze. “Sì che ce l’hai, stupiBak!”
“No che non
ce l’ho…stupiFou!”
“Beh, quello
sì che era un insulto creativo,” asserisce Fou con pesante
sarcasmo.
“Creativo
quanto il tuo!”
“Sì ma io
quello lo uso sempre, quindi a prescindere dalla sua creatività, è consolidato.
Affermato come verità indiscutibile.” Fou ignora
spudoratamente l’espressione scettica che ha davanti a sé, e piega le labbra in
un nuovo ghigno di scherno. “Non dovevamo studiare, Bakkino?”
Così, con un
Bak dalle guance imporporate e una Fou dal sorriso maligno, lo studio di Antiche Rune all’ombra
di quel grande albero florido ha inizio. I minuti passano e si trasformano in
una mezz’ora piacevole, durante la quale i due dividono un unico libro per
ripassare e tentare delle traduzioni aiutandosi a vicenda.
Bak è
insolitamente irrequieto quel giorno, si accerta finalmente Fou
dopo un po’. Se il fatto che continui a stropicciarsi la frangia i capelli
biondi non è un segno, dato che lo fa spesso, di certo lo è il suo continuo
intrecciare le dita in una morsa convulsa, come anche la circospezione e l’allarme
nei suoi occhi che sarebbe più naturale vedere nelle pupille di un animale
braccato, e alcune altre inezie che nel complesso iniziano a dare a Fou il mal di testa.
Però con
quel mal di testa, giunge anche il presentimento che…
qualcosa stia per succedere. Lo avverte nell’aria vibrante che staziona tra di
loro, nei gesti impacciati di Bak, nel modo in cui i
muscoli delle sue stesse spalle si sono tesi come corde di violino ai primi
accenni dell’irrequietezza di Bak, come se il suo
corpo avesse intuito prima della sua mente l’attesa di quel…qualcosa.
In realtà ha una mezza idea di quello che potrebbe
succedere di lì a qualche secondo. Bak ha l’aspetto
di uno che sta per rivelare un gravoso segreto – non sa bene come fa a saperlo,
ma immagina sia dovuto al fatto che in quei gesti riconosce la lei di qualche
anno prima… il Lavi di questi giorni – e, per lo
stesso motivo, Fou è parecchio certa di sapere di che
segreto si tratta. La cosa invece preoccupante è il conflitto che prende luogo
nella sua testa quando tutto quello che avverte e intuisce assume quel chiaro significato:
seppure fino a non molti minuti prima abbia esplicitamente sperato che ciò
avvenisse, seppure Allen glielo abbia praticamente predetto e lei non abbia mosso
un muscolo per impedirlo, ora come ora Fou non è più
sicura di volere che quel qualcosa succeda. Non è più sicura di niente, per
essere precisi.
O forse si è
solo dimenticata cos’è che vuole veramente.
“Questo
corno di Erupmental è un due, giusto?”
Ma spesso sapere che qualcosa sta per accadere,
non rende preparati al momento in cui
questo accade.
Nell’attimo
in cui Fou adocchia la runa indicata e rialza lo
sguardo, pronta a rispondere di sì, la ragazza si accorge che Bak è oscenamente vicino a lei – eppure un secondo prima
non lo era. O almeno non così tanto. Ma ora lo è così tanto che quel misero, insignificante, monosillabico ‘sì’ non
abbandona mai la punta della sua lingua.
Bak agisce con
tale rapidità che Fou ci mette un po’ a portare il
suo cervello al passo con gli eventi, anche se i suoi nervi funzionano
perfettamente, perché la sensazione delle labbra di Bak
che si posano sulle sue di certo non passa inosservata. Anzi, in quel momento
sembra l’unica cosa rilevante al mondo.
E come è
arrivata, la bocca di Bak si allontana, ma solo di
qualche centimetro. Bak la guarda negli occhi e per
un attimo sembra essere soddisfatto di se stesso. Quello dopo, deve invece aver
notato l’espressione di Fou pietrificata in uno stato
di shock e i suoi occhi spalancati e vitrei che assomigliano più a due Boccini che
a bulbi oculari, perché Fou inizia ad intravedere i
primi segni delle familiari chiazze rosse sulla sua pelle.
“Hai cambiato
colore di capelli,” tira Bak fuori dal nulla, anche se la cosa stupefacente è
che sembra serio e stupito mentre lo
dice, come se non avesse sfruttato quella frase casuale solo per spezzare la
tensione.
Ma a
prescindere dal perché l’abbia detto, sono quelle parole che gli costano il
repentino pugno che scatta verso il suo volto dalla sua destra.
Mentre si
alza di scatto e scappa in direzione del castello come se avesse alle calcagna
un esercito di Folletti della Cornovaglia, senza degnare Bak
di un ulteriore sguardo, in un angolo remoto della sua testa Fou giura con spregiudicata sicurezza che mai più insulterà Allen per essere un codardo
e che, soprattutto, s’impegnerà nell’imparare a non reagire a chiunque tenti di
intromettersi verbalmente o fisicamente
nella sua vita amorosa, dispensando pugni in faccia.
Deve davvero lavorarci, su questa cosa.
.
E fu così che,
alla fine del suo quinto anno ad Hogwarts, Bak si dichiarò a Fou e ricevette,
in cambio del suo amore, un livido violaceo sullo zigomo destro – che però
scomparve nel giro di dieci minuti grazie all’aiuto dell’infermiera di Hogwarts, da cui Bak arrivò,
senza forze e demotivato, solo grazie ad alcuni suoi compagni di Tassorosso che si erano nascosti nelle vicinanze per spiare
la sua dichiarazione.
Due giorni
dopo, Bak e Fou si misero
insieme – una volta che Lenalee riuscì finalmente a
convincere Fou a guardare in faccia Bak. Con la sua
faccia, senza le sopracciglia di Lvellie, le guance
di Crowley o le occhiaie della professoressa Lotto,
che, per quanto riuscissero ad allentare qualsiasi tipo di tensione, non erano
molto pratiche nella risoluzione di problemi seri.
Questo però
non fermò i Grifondoro dallo stracciare la squadra di
Tassorosso di Bak nella
successiva e ultima partita di Quidditch.
(Fou passò il resto dell’anno scolastico a rinfacciarlo a Bak).
.
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Madò, mai più. Ventiquattro ore per descrivere una scena finale e fare
un minimo di introspezione (semifallita). La fatica per scrivere questo
capitolo è una cosa imbarazzante.
Ma scommetto che siete rimasti stupiti dalla cosa del Metamorfomagus :D è cheee mi è
venuta in mente solo in questa storia LOL! Però dato che alla fine Fou non compariva molto in SEVEN, ci stava che non venisse
fuori la cosa *annuisce a se stessa*.
E poi è perfetta lei, per esserlo *_* Un premio a chi mi dice chi è invece un
personaggio Animagus in questa storia e in cosa si
trasforma! (si scoprirà più in là lololol).
Ah, qui le motivazioni di Allen sul perché non si confessa blahblahblah sono solo accennate, verranno spiegate meglio
in un altro capitolo. Più avanti. Abbastanza assai più avanti.
E se Fou vi è sembrata poco convinta sui
suoi sentimenti per Bak… beh, lo è xD Cioè, alla fine non è sempre rose e fiori, no? Una
persona può avere un colpo di fulmine o metterci tanto a realizzare, può capire
di essere innamorato senza esperienza o ha bisogno di provare a costruire quel
rapporto di cui all’inizio avverte solo la potenzialità. Inoltre Fou, nonostante non sia più innamorata di Allen, tiene
comunque tanto a lui e lei stessa (a mio parere) si rende conto che quel
vederlo come fratello non è proprio VERO. È come se la sua esperienza mancata
con Allen le fosse sempre rimasta dentro. In realtà nella fic
(e qui) penso di non essermi spiegata molto bene, quella parte introspettiva è
un po’ uscita a caso mentre scrivevo, ma dato che (SEPPURE appunto non l’abbia
spiegata bene), mi sembrava realistica, l’ho lasciata :I Vi assicuro comunque
che frequentando Bak, Fou
si innamorerà in piena regola xDVABBE’ DAI non si capisce. *siammazza**no, prima va a dormire*
Capitolo 3 *** What Lavi could get Kanda involved in ***
Bum. Questo capitolo non ha
senso. Scusate maaa c’ho messo un po’ a scriverlo.
Non tanto perché fosse lungo o perché non avessi idee, ANZI. Ne avevo TROPPE,
una più lollosa dell’altra, perciò c’ho messo eoni
per trovare una versione in cui tagliare meno episodi possibili. Poi vabbè, c’è stata la parte impossibile dell’esplosione
ormonale cheee… due ore? Tre? Quattro? Non so °w° ed
è parecchio cacca HAHAHAH. No seriamente, mi dispiace perché non l’avevo
segnalata all’inizio (neanche l’avevo prevista ‘-‘), ma c’è un po’ di smuttina qua D: Non succede nulla di particolare eh! È
tutto abbastanza implicito, quindi non dovrebbe dare troppo fastidio. SE
PERO’!, volete comunque saltarlo, basta che quando incontriate le parole ‘ormai
avvezze’ saltate un po’ più in giù fino a ‘è un miracolo’.
Ecco.
Non so a che rating metterlo,
comunque D: Giallo o arancione? Consigliatemi voi, io per prudenza fo’
arancione per ora D:
Ah, a un certo punto si accenna al
passato/presente di Kanda. È di uno striminzito pauroso,
e questo perché non avevo voglia di parlarne, quindi accettate questa realtà
.-.
MA POI PERCHE’ DIAVOLO E’ LUNGO
8000 PAROLE, CRISTO. E’ LA LUNGHEZZA DI UNA ONESHOT
SINGOLA, 8000 PAROLE. Vabeh, godeteveloçwç
Disclaimer: semplicemente,
no.
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What Lavi could get Kanda involved in
( S E V E N
)
.
Tenendo la bacchetta puntata davanti a sé, osserva il modo in cui
le ruvide pareti di pietra scura si fanno man mano più strette, mentre la fine
di quell’interminabile tunnel si avvicina sempre di più. Dopo circa cinquanta
metri, raggiunge una solida parete di legno curato che interrompe bruscamente
il passaggio, ma con sicurezza il ragazzo vi posa una mano e la spinge in
avanti: questa si apre, docile, mostrando una piccola stanza bianca, ben
illuminata, e completamente vuota.
Il ragazzo balza giù dall’apertura del tunnel e, sistemandosi alla
meglio l’indomabile frangia di ciuffi bianchi come la neve, bisbiglia un debole
‘nox’. La
luce che si dirada dalla punta della sua bacchetta si affievolisce in un lampo
fino a scomparire.
“Levati, idiota,” grugnisce una sgraziata voce femminile dietro di
lui, e l’interpellato prontamente si allontana per far spazio all’amico.
La minuta ragazza dai capelli rosa cicca esce completamente dal
tunnel, per poi guardarsi intorno con sguardo truce. “E ora?” chiede in tono
scontroso.
L’altro le lancia un’occhiata critica e profondamente contrariata.
“Yuu, persino Fou non si
acciglia così tanto.”
Kanda incrocia prepotentemente le
braccia e gli rivolge uno sguardo che potrebbe rivaleggiare per pericolosità
con l’Anatema che Uccide. “Mi hai fatto trasformare in una ragazza, Lavi. Cosa ti fa pensare che me ne possa fregare qualcosa
della credibilità?”
Lavi fa spallucce, mentre scosta la borsa che gli pende dalla
spalla e adocchia con attenzione il suo corpo, più basso del solito, sorridendo
in profondo apprezzamento. Si palpa un po’ le natiche con entrambe le mani,
giusto per mettere alla prova i suoi ricordi, e – sì, è proprio il fondoschiena
di Allen, conferma con orgoglio. “Io ti avevo offerto Allen, ma tu hai
preferito Fou piuttosto che lui. L’hai voluto tu.”
Kanda sfodera la bacchetta più
velocemente di quanto Lavi si aspettasse. “Sì, l’ho voluto io quando hai
lasciato intuire che c’era il rischio
che mi saltassi addosso solo perché avevo il suo asp—Vaffanculo, Lavi, è così gay e
malato che non riesco neanche a dirlo.”
Il suo amico lo studia con la bacchetta levata, probabilmente
impegnato a scegliere l’incantesimo più consono da scagliargli contro. Lavi è
pressoché terrorizzato ora – vedere Fou al posto di Kanda decisamente non fa lo stesso effetto, ma Fou è altrettanto capace di incutere timore quando vuole –,
perciò opta acutamente per un sorrisetto nervoso e un vago appello all’unica
fonte di salvezza quando si tratta di Kanda – anche
se avere l’aspetto di Allen non costituisce un elemento a suo favore.
“Kanda,” e all’interpellato
probabilmente non sfugge l’accorto uso del suo cognome, “ricordati che… lo stai facendo per Lenalee?”
E Kanda, sorprendentemente, seppur con lentezza esasperante,
abbassa la bacchetta e arretra.
“Tch.”
Lavi
interpreta ottimisticamente quel verso ricorrente come una sorta di momentanea
vittoria e, asciugandosi le immaginarie gocce di sudore che era sicuro di
trovare sulla sua fronte, ne approfitta per allontanarsi, scivolando verso la
porta e aprendola sull’esterno.
Il familiare
corridoio del settimo piano è inondato di luce, e l’arazzo che raffigura i
grandi troll di montagna è sempre lì, immenso e perenne nella sua bruttezza.
Non c’è ancora nessuno, perciò Lavi esce e aspetta che Kanda
lo segua fuori prima di chiudere la porta.
“Perché mi
hai coinvolto in tutto questo,” grugnisce Kanda, e
Lavi è stupito di trovare nella sua voce una sorta di tono lamentoso sul
disperato andante.
“Dai, Yuu,” lo incoraggia Lavi con esuberanza, trattenendo le
risate, “oltre al fatto che rivedrai Lenalee, che
immagino non sia mai un male, hai partecipato con successo all’ennesima
trasgressione delle regole della scuola! Ormai è l’ultimo anno di Allen, e
dopodiché non avremo più scuse per fare di queste cose. Annusa, annusa! Non ti
mancava quest’odore di castello, armature, libri e passaggi segreti?”
Kanda non accenna
ad annusare.
“Comunque
sospetto che io e te deteniamo un record per la quantità di divieti infranti. Per
carità, Allen, Fou e Lenalee
ci seguono a ruota, ma siamo stati noi a trascinarli sulla via del crimine
scolastico, non è fantastico?”
‘Fou’ si appoggia contro la parete e alza lo sguardo verso
il soffitto. Lavi sospetta sia una tecnica per non vedere il suo attuale corpo.
“Rammenti i
bei tempi, in cui eravamo solo io e te?” gli ricorda Lavi, sognante, puntando
lo sguardo nel nulla, e godendosi lo scorrere di quei ricordi lontani sette o
otto anni. “Quando abbiamo messo quei Folletti della Cornovaglia nella stanza
della Fay? O quando abbiamo fatto credere alla Lotto
di avere il Gramo? Haha, per quella mi sono sempre
sentito un po’ in colpa.”
“La maggior
parte delle volte eri solo tu che facevi casino,” precisa Kanda,
con crescente collera.
“E tu che mi
seguivi senza discutere,” sghignazza Lavi. “E poi non è vero, ammettilo che ti
sei divertito anche tu. Non ti sarai dimenticato quella volta in cui ti sei
vendicato di Tyki facendogli esplodere davanti alla
faccia quel bicchiere di whisky? Aah, è stato bellissimo. Tyki
senza sopracciglia. Una cosa mostruosa.”
Lavi nota
con piacere che un angolo della bocca di Kanda è
leggermente piegato all’insù in una metà stentata di sorriso.
“Alla fine
ne abbiamo passate tante insieme, e tutto grazie alla fortuna di essere
capitato nel tuo stesso compartimento sul treno, al primo anno. Avevi un’aria
così minacciosa, allora, che nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi a te. Ma io!, stoico e coraggioso, non mi sono
tirato indietro.”
“Che
peccato,” conclude Kanda, con abbondante sarcasmo.
Il rosso gli
sorrido ma non aggiunge altro, conscio del fatto che le cose sono molto
cambiate, dopo sette anni.
Effettivamente,
seppure quelle peripezie siano valse la pena, a detta di Lavi, i primi tempi
della loro amicizia furono più difficili di quanto alla natura accomodante di
Lavi piaccia ricordare: Kanda non proviene da una
famiglia tutta ‘rose e fiori’. Il fatto che i suoi
genitori l’abbiano quasi diseredato quando è stato smistato in Grifondoro è un utile indizio sulla sua reale situazione
familiare.
Ma in tutti
quegli anni, Kanda è cambiato – a Lavi piace pensare
‘cresciuto’. Anche se per molti si tratterebbe di cambiamenti pressoché
impercettibili. La loro amicizia, e quella con Allen, Fou
e soprattutto Lenalee, l’ha trasformato come Lavi non
si sarebbe mai aspettato.
Rimane
indubbio che Kanda abbia ancora la capacità di
socializzazione di un Gigante delle montagne, e che per essere considerato da
lui con un minimo di rispetto, sia necessario abituarsi alla convivenza con un
pericolo di morte costante – forse è per questo, ragiona Lavi tra sé e sé, che,
nonostante gli infiniti battibecchi e le innumerevoli risse, Kanda ha sempre segretamente rispettato Allen: messo alle
strette, questi ha una malata tendenza a sorridere
in faccia alla minaccia e al pericolo mortale, ed è occasionalmente capace di
far scappare il pericolo stesso con la coda tra le gambe.
Certo,
adoperano tecniche diverse: Kanda usa la sua
incontrollata rabbia, Allen usa i suoi finti sorrisi. Ma non è un caso che entrambi
mirino a lavorare come Auror per il Ministero.
Lavi si
gratta il bordo della bocca per nascondere il ghigno che gli sorge spontaneo
all’idea fondata che Allen e Kanda si assomiglino più
di quanto farebbe a loro piacere.
Evita
accuratamente di farlo notare a Kanda.
Perciò Lavi
si perde in altre considerazioni personali e rivisitazioni mentali di ricordi
lontani, mentre assentemente si passa una mano tra i capelli bianchi, sulla
cicatrice, sul collo, sulle maniche della camicia che odora ancora di Allen.
“La vuoi
smettere?” sbotta Kanda a un certo punto,
incomprensibilmente stizzito – se non per il fatto che è Kanda, cosa che giustificherebbe
a vita il suo essere stizzito.
Lavi si
volta, comunque confuso. “Smettere che?”
Kanda pare
oltremodo sconcertato. “Di… palpare la mammoletta, idiota. Sembri un pervertito.”
Lavi
prorompe in un verso di teatrale indignazione. “Ehi! Scommetto che faresti la
stessa cosa se ti fossi trasformato in Lenalee!”
L’occhiata
di Kanda sembra però affermare tutt’altro, quindi Lavi
retrocede e tenta un’altra via. “Allen è il mio ragazzo. Posso farci quello che
voglio con il suo corpo,” afferma con altezzosità.
L’amico
sbuffa e, con sorpresa di Lavi, quel verso assomiglia a un’appena soffocata
risata di scherno. “Certo. Lo riferirò alla mammoletta,
appena lo vedo.”
Lavi
inorridisce all’idea. Lascia automaticamente ricadere le braccia lungo i
fianchi, e al contempo la sua mente registra impietosamente la schiacciante
vittoria segnata da Kanda.
Questa volta
Kanda non si preoccupa di trattenere il suo crudele
ghigno canzonatorio.
“Sei
ridicolo, comunque, con quei pantaloni,” lo informa per contorno.
Il rosso
incrocia le braccia, irritato. “Non è colpa mia se Allen lascia da me solo le
sue camicie. Ho dovuto rimediare con dei miei pantaloni e una cintura. E poi
non sono ridicolo, Allen non è così tanto più piccolo rispetto a me…”
Ed è vero.
Allen è mostruosamente cresciuto durante il sesto anno, e anche se rimane
ancora più basso di lui, e decisamente più magrolino, i suoi pantaloni non paiono
così lunghi e larghi rispetto a come sarebbero parsi due anni prima.
Seppure
Allen diventi soltanto più affascinante ogni anno che passa, Lavi sa che
rimpiangerà il momento in cui non potrà più appoggiare il mento su quella
testolina di morbidi capelli bianchi. Ormai in vena di riesumazioni di ricordi
antichi, la sua mente viaggia con gioia all’indietro nel tempo, rivivendo un
episodio in cui, schiacciato contro il suo petto all’interno di un finto
sgabuzzino e ansimante a causa di una corsa sfrenata, Allen non gli arrivava
neanche alla spalla.
E al
pensiero, si asciuga con l’indice un’invisibile lacrimuccia di malinconia, e,
giustamente, Kanda lo guarda come se fosse pazzo.
Grazie al cielo,
una figura slanciata e quasi felina compare all’estremità della rampa di scale
più vicina e interrompe la loro semi-conversazione. Atterra sul pavimento
solido e statico un attimo prima che, con un rumoroso sfregamento di marmi,
l’intera scala cominci a muoversi. La nuova arrivata si avvicina, e i suoi
occhi color ametista scintillanti e i capelli corvini lisci e lunghi che
sussultano ondeggiando ad ogni suo rapido passo si potrebbero riconoscere a un
miglio di distanza.
Il
cambiamento che avviene nella piccola figura incurvata e caparbia di ‘Fou’ è subitaneo e palpabile.
Lavi si
morde il labbro per non ridere.
“Suppongo
che Kandanon
sia Allen,” dichiara Lenalee raggiante. Cercando
probabilmente di nascondere divertimento suscitato dal vedere Kanda in quello stato, Lenaleezompetta avanti e indietro di fronte alla Stanza delle
Necessità per tre volte, prima di aprire la porta e infilarcisi
dentro trascinando con sé una Fou un po’ impacciata e
a disagio.
“E suppongo
che Allen ti stia aspettando al vostro punto di ritrovo,” cinguetta Lenalee, “Mi ha fatto piacere rivederti, Lavi, ci vediamo
alla partita di Quidditch. Li stracciamo i Corvonero, quest’anno!” E dopo avergli indirizzato un pugnetto trionfante e un ampio sorriso frizzante, sbatte la
porta dietro di sé. Lavi non fa in tempo a vedere in cosa si sia trasformata la
Stanza.
“Alla faccia
dei saluti tra amici!” le urla dietro Lavi, ma dubita che Lenalee
lo possa sentire.
Così si
avvia per le scale con passo affrettato, il sangue che ribollisce nel pregustare
ciò che avverrà di lì a poco, e la testa in un mondo in cui lui è già arrivato
alla sua destinazione.
Durante il
cammino, mentre la sua vista abbraccia amorevolmente ogni familiare particolare
racchiuso nelle mura di quel posto che è destinato a non mutare mai,
dall’armatura ammaccata all’angolo della salita verso il quinto piano alla
brusca svolta che porta all’aula di Divinazione, Lavi prende a vanagloriarsi
con studiata calma del suo piano fantastico. Avvisare Allen tramite il
caminetto della Sala Comune è stata la parte più divertente, dopo l’aver visto Kanda trasformarsi in una donna. Il volto piacevolmente
scioccato di Allen continua a ripresentarglisi alla
memoria, come anche i suoi tentativi davvero poco convincenti di farlo
desistere dall’impresa.
Il secondo
piano è piuttosto affollato in quel momento della giornata, e Lavi comprende
quasi subito il motivo per cui alcuni tra gli studenti che si incamminano sulle
scale gli indirizzano occhiate disorientate e perplesse. Lui si limita a rispondere
con il suo miglior sorriso – o meglio, il miglior sorriso di Allen. Ma alcune persone, dopo averlo
visto, sembrano ancora meno convinte.
Lavi
aggrotta le sopracciglia, sentendosi offeso senza un motivo ben preciso.
Ricambiando distrattamente l’energico saluto da parte di un cavaliere
variopinto in sella a un affaticato pony che ospita uno dei tanti quadri appesi
alle pareti, si chiede se davvero il suo modo di sorridere sia così diverso da
quello di Allen.
Rapidamente,
percorre metà del corridoio, e già esulta mentalmente per il successo del suo
piano perfetto, quando, a un passo dalla porta del bagno dei maschi, una voce
chiama il nome di Allen.
Si blocca di
colpo, un po’ interdetto, con una mano sulla maniglia. Un terzo del suo
cervello non riconosce quel nome come un motivo valido per fermarsi, mentre
l’altro terzo, quello ancora abituato ad andare sempre in giro per il castello
con Allen e a fermarsi in concomitanza con l’altro, gli impone di girarsi
subito. L’ultimo terzo, quello cosciente del suo attuale aspetto, si dimentica
di intervenire.
Lavi lascia
cadere la mano e davanti a lui appare fulmineo Timothy, districatosi abilmente
dalla marea di studenti. Ha un’espressione stupita e calcolatrice sul volto,
come se stesse mentalmente cercando la soluzione a uno degli insoliti
indovinelli dell’entrata della Sala Comune di Corvonero.
“Allen, come
hai fatto?” gli chiede Timothy, guardandolo con circospezione, alla ricerca sul
suo volto di solo Merlino sa cosa.
Perciò Lavi
prova ad immaginare quale sia la risposta più adatta a quella domanda
apparentemente senza significato.
“Ehm,” fa
poi, arrendendosi in pochi secondi, “come ho fatto cosa?”
Timothy lo
squadra con maggior sospetto. “Lo sai cosa,” lo accusa a bassa voce,
scrutandolo con occhi socchiusi. “Sei entrato nel bagno appena un minuto o due
fa. C’è un’uscita che io non conosco o semplicemente ti ho perso di vista?”
Lavi pensa
velocemente, e di nuovo fallisce nel trovare una frase adeguata. “Penso che tu
mi abbia perso di vista, Tim, sono uscito poco fa per controllare una cosa,
ora—”
Quella
risposta sembra convincere Timothy del fatto che stia mentendo. “Fammi
entrare,” lo interrompe.
“No.”
Timothy
esibisce una smorfia di modulata sofferenza e impazienza. “Dai, Allen! Mi avevi
promesso che se ti liberavo il bagno dal fantasma mi avresti detto a cosa ti
serviva!”
“E te lo
dirò, Tim, ma prima devo finire quello che sto facendo!” decreta Lavi con
severità, sperando che sia sufficiente a persuadere il ragazzo a togliersi dai
piedi.
Ma tra il
riflettere e il rispondere deve aver commesso un passo falso, perché Timothy
ora lo fissa con occhi nuovi, e un’espressione di profondo sgomento che in
pochi attimi lascia spazio alla pura delizia.
Lavi si
accorge troppo tardi che il suo tic di stuzzicarsi l’elastico della benda
sull’occhio l’ha colto in un momento inopportuno e le sue dita stanno ora
inconsciamente torturando la pelle delle tempie senza trovare nessun tubicino
nero.
Ma
soprattutto, da quando Timothy è un tale osservatore?
“Oooh,” pigola comunque il ragazzino, sfoggiando un ghigno
fastidiosamente trionfante. “Ma è fantas—PozionePolisucco?”
“Sì,”
ringhia Lavi, abbassando la voce, “Pozione Polisucco,
ora ti leveresti dalle scatole, Tim?”
Ma Timothy
non accenna ad andarsene. “Aspetta aspetta, aspetta…
io vi ho sgombrato il posto perfetto di ritrovo. Sento di dover ricevere
qualcosa in cambio…”
Una vena
pulsa quasi dolorosamente sulla tempia di Lavi. “Non è l’unico posto a
disposizione, eh. Potremmo anche andare da qualche altra parte.”
Timothy ridacchia,
strafottente all’inverosimile e convinto di avere il coltello dalla parte del
manico, e a Lavi sale nelle vene l’impulso di scorticarlo vivo sul posto.
“Lavi, sappiamo che in questo bagno non ci mette mai piede nessuno perché tutti
sanno che è il laboratorio mio e di Tsukikami… è
senza dubbio il posto perfetto se non vuoi essere scoperto a fare le… cosacce.”
Lavi si
rifiuta di ammettere che è vero, e la sua attenzione è stata in ogni caso
attirata da un’altra parola che lo lascia senza fiato per un istante. “Cosacce? Tim, è un bagno! Non faremmo
niente del genere!”
Tutti i
terzi in cui si è involontariamente sezionato il suo cervello poco prima
concordano sul fatto che stia mentendo spudoratamente. E Timothy pare aver
acquistato da qualche parte il dono dell’onniscienza quel giorno, perché la sua
faccia quasi si spacca in due per la vastità del suo ghigno.
“Va bene,
qualsiasi cosa facciate, mi spetta comunque qualcosa. E poi non voglio niente
di particolare in cambio…” spiega con una voce
subdola che non promette nulla di buono. “…Soltanto
una o due porzioncine di Polisucco.”
Il sorriso
smielato che gli rivolge Timothy fa suonare migliaia di campanelle d’allarme
nella sua testa.
“Non ce
l’ho,” mente di nuovo Lavi.
Timothy
sbuffa sprezzante. “Certo che ce l’hai, come faresti ad andartene via, sennò.”
Lavi fa caso
solo vagamente al tic all’occhio sinistro che gli contrae spasmodicamente la
palpebra, ma l’impressione di avere ora la situazione quasi in pugno riesce a
calmarlo.
“Tim, andrò
via più tardi, per un’altra strada e con un altro metodo, non avrò bisogno di
un’altra dose. Però…” s’interrompe, fingendo di
riflettere per qualche secondo, “se non sbaglio, Kanda
si sentiva più incerto, e dovrebbe averne portata una con sé. Magari potresti
chiedere a lui.”
Il sorriso
di Timothy cade repentino. “Credo che ne farò a meno,” afferma atterrito.
Lavi
sogghigna compiaciuto, anche se l’atteggiamento che Timothy assume mentre
arretra e scompare tra la folla è innegabilmente quello di uno che sta
rimuginando un qualche losco piano alternativo. Mentalmente prende nota di
riferirlo ad Allen.
L’aria
all’interno del bagno è particolarmente umida, ma Lavi non si stupisce di ciò:
il fantasma che infesta perennemente i cubicoli di quella stanza, e che
inspiegabilmente esegue soltanto gli ordini del Preside o di Timothy, passa il
tempo a tuffarsi nei water e allagare il bagno o aiutare Timothy in esperimenti
magici di dubbia moralità.
Ma
fortunatamente quel giorno i pavimenti non sono allagati, anzi, sembrano
persino più lindi del solito, e Lavi si chiede se sia per opera di Allen o
dello spirito domestico di Tsukikami.
Dopo aver
estratto la bacchetta e usato Muffliato sulla porta, in due falcate arriva al centro del
bagno, e ogni pensiero sulla pulizia del pavimento lo abbandona per lasciare
spazio a delle sommesse fusa di goduria che gli inebriano il cervello e gli
invadono il petto alla vista di Allen.
È seduto per
terra, con la schiena appoggiata al muro, la bacchetta che si rigira tra le
mani e, poggiato sulle cosce, un libricino dalla copertina blu e i bordi dorati
che Lavi conosce molto bene. Con la testa alzata e gli occhi grigi puntati su
di lui, Allen lo scruta con un mezzo sorriso beato sulle labbra.
Lavi si
avvicina rapido, buttando la borsa per terra, e inginocchiandosi a solo qualche
centimetro da Allen.
“‘Il Quidditch
attraverso i secoli’? Un classico. Un capitano di una squadra di Quidditch dovrebbe conoscerlo a memoria,” commenta, e si
accorge a malapena di stare quasi bisbigliando.
Allen chiude
il libro con calma e lo posa al suo fianco. “Ed è così, ma ogni tanto mi viene
da rileggerlo. Mi fa sempre venire in mente il tizio che me l’ha regalato. Una
persona un po’ scema, a dirla tutta,” precisa con sufficienza. “Pensa di essere
un genio, invece. Ha un’inclinazione all’infrangere ogni tipo di regola. Ed è
sempre lì a darsi arie! Crede di essere una sorta di…Veela in versione maschile.”
Il rosso
annuisce, interessato. “E invece, com’è?”
Il ragazzo
sospira, chiudendo gli occhi per qualche secondo, per poi riaprirli. “Beh, devo
ammettere che ha ragione. Ma non glielo direi mai e poi mai in faccia.”
Lavi si
sfiora il mento con le dita, con fare comprensivo. “Sì sì, posso capire…”
Allen non
smette di guardarlo, con un’aria un po’ divertita e al contempo meravigliata.
Sta fermo, lì, come in attesa di qualcosa da parte sua.
“Ciaaao,” dice
quindi Lavi, ormai abituato al tono un po’ trasognato che gli viene naturale
quando contempla Allen da vicino, lo stesso tono che qualche anno prima
l’avrebbe fatto rabbrividire dall’orrore.
“Ciao,” fa
Allen di rimando sorridendogli con una tale faccia da beota che Lavi vorrebbe
prendere una macchina fotografica, scattargli una foto e prenderlo in giro per
il resto della sua vita.
Non avendo
una macchina fotografica a portata di mano, Lavi fa altro.
Gli appoggia
le mani sulle ginocchia, e allungandosi in avanti chiude la distanza tra loro,
e sfiora le labbra di Allen con le sue. È un semplice bacio a stampo ma è
sufficiente a far sì che un brivido elettrico dilaghi fulmineo dalla sua bocca
verso ogni appendice del suo corpo.
Ma non fa in
tempo ad approfondire il bacio, che Allen lo spinge via con forza, facendolo
cadere dolorosamente all’indietro sul sedere.
“Lavi!”
esclama Allen, che sembra esageratamente indignato, e per la testa di Lavi
passa istantaneo l’assurdo e spiacevole pensiero che quello sia in realtà
Timothy che è riuscito a rubare la Pozione a Kanda.
“Allen!”
risponde sardonico, in mancanza di altro da dire.
Suddetto Allen
lo guarda torvo. “Non ho intenzione di baciare me stesso, Lavi.”
Dopo un
attimo di attonito silenzio, Lavi ride, stupendosi sempre di più della sua
idiozia. E in un lampo, l’immagine di Timothy che beve la Pozione Polisucco viene sostituita da due Allen, sdraiati l’uno
sull’altro, che si baciano avvolti da una fervente passione—poi cerca
prontamente di distrarsi pensando a cose più orride come…
suo nonno, perché quell’immagine in realtà non è per niente spiacevole. Si tira su dal pavimento piastrellato e si
riavvicina all’altro.
“Sicuro
sicuro? No perché nella mia mente non suona così male,” dice, non tanto per
tentare seriamente di convincerlo a pomiciare con stesso, quanto perché la libido di Lavi, ora che Allen è
fisicamente davanti a lui, si sta rivelando più irrefrenabile del previsto.
O forse Kanda ha ragione, e lui è diventato un pervertito.
Dire che
Allen è scandalizzato è un eufemismo. La sua intera faccia si tinge rapidamente
di un rosso vivo.
“Ma che caz—Lavi. Ma sei
un pervertito? No. Non pensarci nemmeno, davvero. No.”
Lavi non fa
caso a quella conferma della sua natura, e ammicca, strisciando verso il suo
ragazzo lentamente. Allen, a quel punto, si preoccupa di nascondere il rossore
del suo viso tuffandolo tra le mani.
“Mioddio, Lavi,
non fare mai più quella cosa con la mia faccia!”
Lavi ride di
gusto, ma non insiste, preferendo non rinunciare a un Allen di buon umore.
“Non è che
sono un pervertito, Al,” si giustifica – parlando più a se stesso che all’altro
–, “è che non ci vediamo da… tre mesi!”
Allen alza
un sopracciglio. “Sette giorni,” lo corregge in tono piatto. “Ci siamo visti ad
Hogsmeade durante l’ultima gita.”
Lavi gli
sventola una mano davanti al naso, con fare contrariato. “Ah, lo sai anche tu
che quella non conta. Sono state solo due orette ed eravamo in gruppo con tutti
gli altri! Era un raduno, non un appuntamento! Ma sono io l’unico che
durante questi tre mesi di sofferto apprendistato in giro per l’Inghilterra ha
sentito la tua mancanza?!”
“Beh, di
certo io non ho sentito la mia mancanza,” commenta Allen facendo
spallucce.
Lavi si
vendica attaccando i suoi fianchi con dita impietose. Prevedibilmente, Allen
inizia a contorcersi come un furetto in preda a un attacco di epilessia, e tra
una risata isterica e l’altra, cerca di riprendere fiato e intimargli di
smetterla.
“Lavi, no nonon—hahahaha, NO! Lavi! Smettila! Non ho—hahaha—piùaria…muoio…”
E solo
quando Allen è ridotto a una figura ansimante e senza forze, Lavi si allontana
con un ghigno soddisfatto.
Il ragazzo
dai capelli bianchi mugola, affaticato, rimanendo steso per terra a pancia
all’aria. “Ti odio,” afferma con voce spossata.
“Sì, anche
io ti voglio bene, Al.”
Allen volta
la testa verso di lui, e lo scruta per qualche secondo in silenzio. “Dove hai
preso quella camicia?”
“Dal mio
armadio. Ce ne ho un paio tue che tieni di scorta, hai presente?”
L’altro
annuisce in silenzio, mentre respira profondamente e finalmente sembra
riprendersi da quella dura guerra a base di solletico.
“Quindi,
cosa facciamo ora?” domanda Lavi, guardandosi intorno con curiosità, e
chiedendosi cosa racconterebbero i lavandini e i cubicoli del bagno riguardo
agli esperimenti di Timothy, se potessero parlare. Magari c’è un incantesimo,
per scoprirlo.
Allen si
rialza e si siede di fronte a lui, incrociando le gambe. “Aspettiamo.”
Perciò
aspettano. Parlano a lungo, per dieci, venti, trenta minuti, dei M.A.G.O., di Fou e Lenalee, del lavoro di Kanda,
delle novità sui professori, e quella conversazione senza scopo e
apparentemente infinita li riporta agli anni passati, in cui capitava che si
sedessero nel prato o sulle scricchiolanti sedie della biblioteca o sulle
confortevoli poltrone della Sala Comune e parlavano ininterrottamente, di nulla
e di tutto.
“Ma quindi Kanda si è trasformato in Fou per
nulla?” chiede Allen dopo un po’. La sua voce trasuda una sorta di intenso
appagamento alla notizia appena datagli.
“Beh,
abbastanza. La Pozione serviva perché potessimo girare con voi per il castello
indisturbati, ma non ho capito se Lenalee ha
intenzione di uscire dalla Stanza. Immagino che userà il resto più tardi,
questo pomeriggio.”
Alle
ridacchia divertito. Tira fuori dalla tasca dei suoi pantaloni una manciata di
TuttiGusti+1 e ne lancia una color violetta a Lavi, che la prende al volo.
“Come va con l’apprendistato al negozio di bacchette?”
“Bene,
continuo a imparare tantissime cose interessanti. Per inciso, lo sapevi che le
bacchette sono discendenti delle clave dei cavernicoli? E poi questi ultimi tre
mesi li abbiamo passati in montagna a studiare le interrelazioni tra gli uomini
e le Banshee – di cui poi ti devo assolutamente
raccontare questa cosa che è successa tra me e una Banshee,
c’è mancato poco che morissi per infarto. Sai com’è fatto il nonno, è un
costruttore di bacchette ma la sua curiosità spazia in ogni campo, e lui si
sente in dovere di illuminare di conoscenza anche me. …Certo,
è un dittatore, non mi lascia mai un attimo di tregua…”
si lamenta, buttandosi la caramella in bocca e tirando un sospiro di sollievo
quando sente sulla lingua un strano sapore dolce, di fiore. Passabile.
Allen non dev’essere stato così fortunato, perché dopo una smorfia di
dolore sputa velocemente la sua facendo centro nella tazza del water più
vicino. “Immagino… un crudele trattamento che non meriti,
no? Tu, persona altamente responsabile e diligente.”
Lavi sbuffa
sonoramente. “Non fare il sarcastico, Allen, è davvero tremendo! L’altro giorno
mi ero appisolato sul bancone mentre era fuori, e…”
“Appisolato
mentre lavoravi al bancone?”
“Sì, ma non
è questo il punto! Il punto è che mi ha svegliato usando su di me la Pastoia
Total Body! Mi ha lasciato per terra per minimo mezz’ora, Allen! Non puoi
capire, sa essere così perfido…”
Allen non
tenta neanche di nascondere il suo scetticismo misto a divertimento.
“Comunque il
mio piano perfetto sta funzionando, no?” commenta con gioia Lavi, tanto per
cambiare discorso.
“Sì, Lavi,
sta funzionando, ma sai perfettamente che saremmo potuti uscire io e Lenalee a Hogsmeade piuttosto che
voi entrare a Hogwarts,” obietta Allen, lisciandosi
assentemente le pieghe del pantaloni.
“Ma era una
cosa che dovevo provare!” s’impunta Lavi. “Mio nonno si tiene sempre una scorta
di Pozione Polisucco, ed era semplicemente…
irresistibile, Allen. Ho tentato di trattenermi, ma non ce l’ho fatta.”
Il ragazzo
sembra poco convinto, ma non dice nulla, anzi, gli indirizza un sorriso di
malcelata soddisfazione – perché Allen è sempre stato un po’ un ipocrita.
“Allen,
tanto lo so che lo dici solo perché non vuoi sentirti in colpa se ci scoprissero,”
lo punzecchia Lavi con tono artificiosamente vanitoso, “la verità è che morivi
dalla voglia che venissi qui per te.”
“Sssì, va bene,”
ribatte Allen in tono di scherno, alzando gli occhi al cielo – ma il modo in
cui sprofonda il mento tra le ginocchia e evita di guardarlo è sufficientemente
rivelatorio.
“Speravo di
poter terminare la faccenda dell’Animagus entro
oggi,” continua Lavi, facendo finta di non notarlo, “ma ho ancora dei
problemini, quindi ho optato per una via più facile. Per di più, Kanda non sarebbe in grado di venire, nel primo caso.”
L’altro pare
improvvisamente sulle spine. “Non vedo l’ora di vedere come sarai da Animagus,” chioccia Allen estasiato, stringendo le dita
attorno agli stinchi.
Lavi
annuisce con fierezza. “Ti piacerà tantissimo, vedrai.”
“Continuo a
pensare che una lepre o un coniglio fossero più adatti a te,” commenta Allen,
ridendo sotto i baffi, “e sono sicuro che anche Kanda
è d’accordo.”
Lavi alza lo
sguardo per ribattere che lui ha la stoffa per essere molto più di un semplice,
soffice coniglio, ma all’improvviso Allen sgrana gli occhi e s’irrigidisce,
fissando con curiosità la sua fronte.
Gli effetti
della Pozione stanno finalmente svanendo.
Si guarda
affascinato le mani, mentre, molto meno dolorosamente rispetto alla prima
trasformazione, le sue nocche sputano fuori dita più lunghe, la pigmentazione
della sua pelle si scurisce, la camicia comincia a farsi fastidiosamente
stretta, e la vista del suo occhio destro peggiora ogni secondo di più.
Allen lo
osserva in silenzio, ammirando la magia insolita dei capelli che rientrano nel
cranio e si tingono di un rosso infuocato, gli zigomi che si distanziano tra di
loro, gli occhi che si assottigliano e un’iride che viene invasa da screziature
verdi smeraldo più o meno intense.
Lavi si
affretta a togliersi la camicia che da lì a poco lo soffocherebbe, e si sfila
la cintura allacciata ora ad un buco troppo stretto dai pantaloni che invece
calzano sempre più a pennello. Mentre si spoglia, Lavi si chiede se Allen ha
capito che quella scusa per denudarsi fa parte del generale piano di seduzione
della giornata – tre mesi passati con suo nonno tra le montagne a studiare Banshee e altre creature magiche, una più pericolosa
dell’altra, l’hanno temprato e irrobustito un po’, e spera che Allen noti, ed
apprezzi, la differenza.
(Irrobustimento
che è destinato a svanire velocemente data la sua nota pigrizia al negozio del
vecchio – Lavi giurerebbe che c’è un qualche incantesimo segreto che permea il
bancone da lavoro e che ha un effetto soporifero su chi ci lavora. In ogni
caso, preferisce non pensarci.)
E a quanto
pare Allen la nota, perché i suoi occhi dalle pupille dilatate si spalancano
lievemente per la sorpresa e percorrono tutto il suo petto, famelici, mentre la
sua lingua dardeggia occasionalmente fuori a bagnare il labbro inferiore. Lavi
trattiene il sorrisetto tronfio che gli sale alla bocca. Non gli dispiace
vedere, infatti, come Allen lo stia praticamente mangiando con gli occhi e sia
in trepidante attesa, inginocchiato per terra di fronte a lui, con
l’atteggiamento di un leone che è pronto a balzare addosso alla sua preda.
Non gli
dispiace per nulla.
Perciò
l’assalto frontale che subisce una volta terminata la trasformazione e
riacquistato appieno il suo aitante aspetto originale, non lo stupisce.
Allen
attacca le sue labbra voracemente, e gli sale in grembo con una velocità
spiazzante che rincuora un po’ Lavi – ricevere la conferma di non essere stato
l’unico a soffrire come un cane per un’astinenza di più di tre mesi fa sempre
piacere, d’altronde.
Lavi
precipita con la schiena per terra, a contatto con il pavimento freddo, e Allen
ne approfitta per bloccarlo lì, sedendosi sul suo bacino, con i palmi stesi sul
suo petto, e le gambe premute contro i suoi fianchi. I denti del più giovane
gli mordono dolcemente il labbro inferiore, mentre le mani cominciano ad
esplorare senza sosta la sua pelle nuda sottostante, sfiorando e accarezzando
ogni suo centimetro che incontrano. Il cuore di Lavi batte all’impazzata, e
pulsa il sangue nel suo corpo così rumorosamente che Lavi si sorprende nel non
sentire Allen chiedere ‘il tuo cuore ha comprato un grancassa?’
Ormai
avvezze dopo mesi di pratico allenamento, le sue dita sbottonano la camicia di
Allen con una maestria automatica che compiace molto Lavi. E una volta aperta
la camicia, le sue mani si fiondano dentro, a contatto con la pelle sempre più
accaldata di Allen, e passano, esperte, a stuzzicare e stimolare le sue zone
più sensibili.
Allen si
lascia sfuggire un gemito di piacere di cui le orecchie di Lavi godono
infinitamente, ancor di più dopo la convivenza con delle Banshee,
tra tutte le creature immaginabili. Ma il ragazzo, imperterrito, continua a
scendere con la sua bocca, lasciando una scia di pelle umida e sensibile dalle
sue labbra ansimanti al suo collo. A un certo punto, Lavi chiude gli occhi e si
gode la sensazione dei denti e della lingua di Allen che torturano di piacere
quel lembo di pelle nell’incavo della spalla e poi si allontanano, lasciandosi
dietro una chiazzetta arrossata che Lavi di solito
ama sfoggiare in pubblico – e Allen lo sa.
Dopo
quell’attimo, le mani di Lavi riprendono a muoversi, incapaci di stare immobili
su quel corpo così familiare quanto eccitante. Mentre si lascia spogliare
completamente della camicia, Allen s’interrompe e rimane a fissarlo con uno
sguardo intenso e indecifrabile, con le labbra rosse e umide, le iridi
brillanti che occhieggiano da sotto le palpebre socchiuse, e i bianchi capelli
disordinati che ricadono scompostamente lungo i lati del viso.
Lavi gli
toglie la camicia alla cieca e la butta da qualche parte, troppo intento a
ricambiare quello sguardo, con il cuore che scoppia di gioia e, innegabilmente,
i pantaloni sempre più scomodi.
È allora, quando
vede le pupille di Allen saettare quasi impercettibilmente da un occhio
all’altro, che la sua mente riemerge a fatica dal mare di piacere e gli ricorda
di aver ripreso le sue sembianze senza aver indossato la sua fedele benda nera.
Perciò,
prima che Allen torni a baciarlo, Lavi lo ferma.
In realtà
non sa come spiegarsi, sa solo che forse dovrebbe dire qualcosa.
Lavi
deglutisce, tentando di nascondere l’improvviso disagio, e allunga una mano a
casaccio da una parte, in cerca della sua borsa.
“Aspetta che
metto la benda,” spiega titubante a un Allen perplesso, sorridendo imbarazzato.
Lo sa, lo sa che Allen l’ha già vista, e che
non ha mai commentato, non ha mai mostrato disgusto…
ma è anche vero che Allen è gentile, e sa fingere,
e a lui non costa niente metterci una benda sopra per fargli piacere, davvero—
Quanto può
essere bello, in fondo, darci dentro con uno sfregiato da una cicatrice
giallastra e orrenda su una palpebra che nasconde solo in parte la maledizione di
un occhio di un bianco latteo e una pupilla vacua e cieca?
Allen ha il
respiro corto e il battito accelerato e lo sta guardando con una certa
impazienza e irritazione.
“Lascia
perdere,” risponde seccamente, come se Lavi l’avesse personalmente offeso, e quindi
prende tra le mani il suo viso con inaspettata gentilezza, e procede a
ricoprire di baci leggeri la sua fronte, i suoi zigomi, le sue palpebre, quella
sua orrenda cicatrice che evita sempre di guardare più del minimo
indispensabile.
Lavi
s’innamora di Allen daccapo, per l’ennesima volta in quei due anni – e se non
gli dispiacesse interrompere il loro bacio, lo informerebbe subito della cosa.
Con un
movimento fluido fa rotolare Allen di lato in modo da stendersi sopra di lui, e
l’altro subito avvinghia i polpacci attorno ai suoi fianchi, e le braccia
attorno al suo collo. Lo trascina più giù con lui, in un bacio impetuoso che
gli toglie il fiato.
Non è che
stiano facendo molto, ma di certo a Lavi basta perché l’eccitazione salga
rapidamente a livelli considerabili. Allen, i suoi baci, i suoi capelli – oddio, quanto gli sono mancati quei
capelli, realizza, mentre passa le dita tra le ciocche candide come la neve –,
il suo corpo, Allen, le sue labbra, Allen, i suoi occhi, Allen, Allen, Allen. Oh, i suoni che Allen emette.
Darebbe qualsiasi cosa per sentirli in ogni momento.
Mentre i
suoi sensi esplodono di piacere ad ogni tocco e ad ogni suono, e si perdono in
una sorta di…Allen-vortice
che sembra essere l’unico componente dell’intero l’universo in quel momento, la
sua mente tenta di ricordargli qualcosa, di buttargli davanti agli occhi un
pensiero relativamente importante di cui dovrebbe informare Allen, ma ogni
volta che gli pare di essere sul punto di raggiungerlo, il suo ragazzo gli
accarezza un certo punto, o ne stuzzica un altro con la lingua, sensualmente, e
ogni volta l’integrità della sua parte razionale si frantuma come una sfera di
cristallo schiantata al suolo.
Lavi gli
passa languidamente la lingua nell’incavo del collo, e Allen chiude gli occhi e
apre la bocca per lasciar uscire un ansito particolarmente rumoroso, che
spedisce un brivido di eccitazione dritto al suo inguine. Allora, Lavi inizia
una partita di botta e risposta fisica con Allen – perché le parole sarebbero
troppo difficili da articolare in quel momento, e perché non sarebbe la prima
volta che lo fanno.
Perché per
quanto possa sembrare irreale in quel preciso istante, tra un bacio e l’altro,
la cruda realtà è che sono sul pavimento di un bagno pressoché inutilizzato
della scuola, e se Allen continua a fare quei suoni e a mordicchiare la pelle
del suo collo in quel modo le cose sono destinate a degenerare, ed urge una
silenziosa consulenza.
La sua mano
scende alla cintura dei pantaloni di Allen, e gioca con la fibbia di cuoio per
qualche secondo. Per Lavi, questo è un chiaro modo di chiedere ‘cosa vuoi
fare?’ perché, appunto, la situazione non è delle più favorevoli, e sono sul
pavimento di un bagno, su cui chissà quanti esperimenti magici orrendi ha fatto
Timothy.
E il fatto
che continuare a pensarci così apertamente però non affetti minimamente la sua
libido e che, anzi, preoccupazioni di tal genere gli paiano oscenamente
irrilevanti, significa che il punto di degenerazione è particolarmente vicino.
Si costringe a chiudere gli occhi per non dover guardare la pelle pallida del
petto di Allen, i suoi capelli bianchi che fanno risaltare il suo viso
arrossato, le sue pupille velate dal desiderio—chiudere gli occhi si rivela
poco utile, Lavi deduce quando scopre che ogni particolare è indelebilmente
marcato a fuoco sul retro delle sue palpebre.
Allen
risponde alla sua domanda strofinando violentemente i loro bacini insieme.
Il gemito
strozzato che gli fuoriesce dalla gola gli fa cadere la fronte sulle piastrelle
fresche accanto alla testa di Allen, e quest’ultimo procede come se niente
fosse nel leccargli e baciargli la pelle sensibile lungo la clavicola. Lavi si
sente abbastanza sicuro nell’interpretare le azioni di Allen come un implicito
‘che si fotta, il pavimento del bagno’.
In ogni caso,
procede, portando la mano alla base della schiena dell’altro, e infilando la
punta delle dita oltre l’orlo dei pantaloni: ‘quanto vuoi andare a fondo?’.
Allen geme debolmente e annuisce vigorosamente, inarcando la schiena quando le
sue dita seguono sinuosamente la sua spina dorsale.
Di solito
non finisce lì, quando si tratta di ‘occasioni particolari’ come quella, perché
Allen è una persona infida che inconsciamente si diverte a lanciare segnali
forvianti. Se si deve lamentare, lo fa sempre quando ormai è troppo tardi –
grazie al cielo, la maggior parte delle volte si lamenta alla fine del tutto.
Ma la libido
di Lavi è ormai partita per la tangente; perciò, al primo via libera il rosso
slaccia abilmente la cintura dei pantaloni di Allen con un gemito eccitato.
È un
miracolo che Tsukikami compaia quando Lavi ha solo
metà palmo infilato poco cerimoniosamente nei boxer di Allen. Quel vago
‘pensiero relativamente importante’ ora fluttua davanti a loro, lattiginoso e
evanescente, con un sorriso mellifluo che adorna il suo viso inappropriatamente
candido e affabile.
“Mi turba
interrompervi, ma penso non sia molto igienico, ragazzi.”
La voce
divertita del fantasma fa trasalire Allen così violentemente che questi si
aggrappa a Lavi con gambe e braccia come farebbe un gatto tramortito dallo
spavento. Contemporaneamente, una mano di Lavi schizza via dai pantaloni
dell’altro alla velocità di un Lepricano, e rimane lì
penzoloni nell’aria, apparentemente sperduta e senza scopo, mentre l’altra
scatta a coprire il suo occhio destro.
“Beh,
comunque sospettavamo fosse qualcosa del genere,” commenta Tsukikami.
“Timothy mi ha detto di avvisarvi che il pavimento sembra così pulito perché vi
abbiamo testato una nuova sostanza impermeabile per un progetto futuro. Solo
che non conosciamo ancora eventuali effetti collaterali. Timothy era
preoccupato che tutta quella pelle a diretto contatto con il suolo potesse
causare qualche… eh, irritazione.”
È una
fortuna che Tsukikami sia già morto, perché se le
occhiate potessero uccidere, quella che Allen gli lancia in quel momento
sarebbe di certo letale. Questi spinge via Lavi da sé con lo stesso riguardo
che si offrirebbe a un sacco di frattaglie di SchiopodiSparacoda, e scatta seduto, allacciandosi velocemente
i pantaloni e afferrando la sua camicia poco distante.
Dall’altra
parte, tra un ansito e l’altro anche Lavi si tira su, con maggior svogliatezza,
passandosi una mano sulla faccia e tentando di non dar voce a quel gemito
bloccato a metà gola e a quel continuo pensiero che ora invade la sua mente, il
cui succo è abbreviabile a un conciso e sofferto ‘che palle’. Al contrario di Allen, il rosso decide che riallacciare i
pantaloni e mettersi qualcosa addosso, oltre che a essere spossante, non
attenuerebbe di molto l’assurdità della situazione. Perciò alza gli occhi al
soffitto poco interessante e opta per un semplice non guardare né Allen, né il cavallo dei suoi pantaloni, per
evitare di cadere in una spirale di frustrazione tanto psicologica quanto
fisica.
Cerca di
concentrarsi sulle Banshee e i Giganti di montagna.
“Perché
Timothy non me l’ha detto ieri quando gli ho chiesto di lasciare sgombro il
bagno?” chiede Allen con voce inviperita. Lavi nota con la coda dell’occhio il
modo in cui le sue mani si tastano preoccupate la pelle della schiena, e scopre
con sorpresa che una delle sue sta involontariamente facendo la stessa cosa.
Tsukikami ha il coraggio di mostrarsi costernato. “Perché ovviamente non
immaginavamo che poteste adoperare questa stanza per una cosa del genere! Non
ci hai detto nulla!”
Allen gli
sorride con dolcezza, ma l’aura omicida che lo circonda non fa altro che
intensificarsi fino a diventare quasi visibile. “Ottimo. Riferisci a Timothy
che lo distruggerò, e che è sull’orlo di un’espulsione dalla squadra.”
Tsukikami svanisce già nelle tubature il più silenziosamente possibile.
Lavi e Allen
si scambiano un’occhiata esasperata, ancora vagamente ansimanti per lo
spavento, per la rabbia e per altro, e Lavi lascia cadere pesantemente la mano
dalla sua faccia.
“Mi sono
dimenticato di dirti che… Timothy mi ha beccato fuori
dal bagno, sì. E sembrava avere qualcosa in mente,” Lavi informa inutilmente
l’altro con voce piatta.
Allen geme
per la frustrazione – Lavi non sa se per colpa sua o di Timothy, ma non indaga.
“La prossima
volta la prendiamo noi la Stanza delle Necessità,” ringhia Allen, ancora
fumante.
E allora
Lavi viene colpito dalla divertente realtà dei fatti di quel giorno; cioè che
si è infiltrato nella sua ex-scuola dicendo a suo nonno che andava a comprare
dell’inchiostro dall’altra parte della strada, ha preso le sembianze di Allen e
ha convinto Kanda a prendere inutilmente l’aspetto di
Fou per personale soddisfazione, ha pomiciato con
Allen sul pavimento probabilmente infetto di un bagno in disuso del castello
dove un bimbetto e il suo fantasma di fiducia conducono esperimenti che
trasbordano nell’illegalità e che nel momento più serio di quella piacevole
attività è stato interrotto da suddetto fantasma, che di certo andrà a riferire
tutto al suo padrone nella speranza che sia utile materiale da ricatto –
difficilmente.
E da qualche
parte nel mezzo di quelle considerazioni, Lavi inizia a ridere.
Allen lo
fissa poreoccupato, probabilmente chiedendosi se
quello è un effetto collaterale della sostanza del pavimento, eppure dopo
qualche secondo lo segue a ruota nella sua risata di crescente intensità. Alla
fine si ritrovano praticamente rotolanti sul pavimento in preda a immotivate
convulsioni da risa – fino a che non si ricordano della sostanza impermeabile e
si ritirano su di scatto.
“Beh, direi
che Tsukikami ha un po’ rotto l’atmosfera,” constata
con ovvietà Allen, mentre si asciuga una lacrima all’angolo di un occhio.
Lavi
annuisce. Si appoggia sui palmi delle mani e fa cadere indietro la testa,
contemplando vacuamente il soffitto. “Potremmo sempre riprendere da dove
avevamo lasciato,” suggerisce con finta disinvoltura.
Allen
ridacchia, anche se c’è dell’evidente esasperazione nella sua voce. “Per essere
interrotti un’altra volta da un fantasma ai comandi del Diavolo incarnato? Ho
come la sensazione che potrebbe ricomparire da un momento all’altro.”
Lavi
concorda, anche se con una certa mestizia, e tira fuori dalla sua borsa
un’altra porzione di Pozione Polisucco.
“Non servirà
a molto trasformarti di nuovo in me,” commenta Allen con perplessità.
“Infatti
questo,” spiega Lavi scuotendo la fialetta che tiene delicatamente tra le dita,
“non sei tu, ma Lenalee.”
Ovviamente
risulta faticoso fare in modo che Allen ascolti le sue richieste disperate di
vendetta verso Kanda, il quale, a sua detta, non gli
avrebbe permesso di trasformarsi in Lenalee, come
avevano progettato perché potessero andare liberamente in giro per il castello;
e questo perché Allen è sempre pronto a giudicarlo negativamente e a pensare
che Lavi sia solo un pervertito che mira a sperimentare per un po’ tutto quel ben di Dio che è Lenalee—ma
no, Lavi mira sempre e soltanto all’esperimento per amore della scienza magica.
Anche se
Allen si rifiuta di crederci, alla fine, di fronte all’evidente difficoltà che
porrebbe il girare per tutto il giorno con un Mantello dell’Invisibilità
addosso, questi acconsente a fargli bere la Pozione, e Lavi estrae con
eccitazione i vestiti consoni alla ragazza cinese dalla sua borsa.
“Se Kanda lo scopre, mi uccide,” dichiara Allen asciuttamente. “E poi uccide te.”
Ma a
prescindere da ciò, Lavi passa una giornata fantastica, esplorando daccapo
l’amato castello, casa della sua adolescenza, in compagnia di Allen. Parlano,
ridono, per di più mangiano – ovviamente; si sta pur sempre parlando di Allen.
Solo all’ora
di cena, lui e Lavi convengono a malincuore sul fatto che sia il caso di
separarsi, e la comparsa di una figura bassa e dai capelli rosa appostata
davanti alla porta della capanna di Crowley conferma
che la giornata volge al termine.
Così, dopo
un tentato omicidio, ben previsto da Allen, da parte di una Fou
adirata – rimasto ‘tentato’ solo grazie alla misericordiosa impossibilità di Kanda di picchiare e distruggere qualcosa che ha l’aspetto
di Lenalee – Lavi e Kanda
salutano Crowley e aspettano che gli effetti della
Pozione si dissolvano su entrambi. Quando il loro ex-professore di Cura delle
Creature Magiche accenna loro a una nuova specie di piante da lui stesso
allevate e curate nell’orto di zucche dietro casa, i due trovano opportuno
cominciare ad allontanarsi: il più moderatamente possibile e gentilmente
possibile, nel giro di trenta secondi scappano dalla rustica capanna con
addosso il Mantello di Allen, diretti al Platano Picchiatore.
“Come
facciamo col Mantello?” chiede Kanda nel silenzio del
crepuscolo, ringhiando ogni volta che Lavi incespica accidentalmente nei suoi
piedi.
“Non hai
ascoltato?” dice Lavi sbuffando. “Lo prenderà Crowley
tra un po’ e lo darà lui ad Allen.”
“Tch.”
Il Platano
Picchiatore rimane sempre uguale a prescindere da quanti anni passino, pensa
Lavi mentre fa levitare un sasso e lascia che questo cada su uno degli
intricati nodi di radici del grande albero. I rami del grande albero
s’immobilizzano, e Lavi e Kanda sfruttano il poco
tempo a disposizione per avvicinarsi all’ingresso del passaggio segreto e
calarcisi dentro.
Nel momento
in cui Lavi ha già una gamba nel buco e lascia cadere per terra il mantello ora
inutile, una scimmia compare sul campo erboso ai margini della Foresta.
La mente di
Lavi non realizza subito la particolarità del vedere una scimmietta dal pelo
dorato nel clima freddo scozzese, perciò continua a infilarsi nel passaggio
segreto senza preoccuparsene. Ma quando incrocia ancora una volta lo sguardo
innaturalmente sveglio di quell’animaletto, il sangue gli si gela nelle ossa.
“Oops,” sussurra, mentre scompare il più in fretta possibile
nel buio dello stretto tunnel per sfuggire agli occhi castani della
professoressa Nine e al suo sorriso appuntito e
minaccioso.
.
E fu così
che Lavi e Kanda riuscirono a intrufolarsi ad Hogwarts con successo – o quasi.
A detta di
Allen, la professoressa Nine continuò per il resto
dell’anno a osservarlo con aria imperscrutabile durante le sue lezioni e a
mostrargli qualche occasionale sorrisetto appena accennato con gli angoli delle
labbra, che aveva la capacità di impaurire Allen più di molte altre cose –
perché, seriamente, la Nine che sorride?
Anche se
temeva di conoscere la motivazione dietro quegli inquietanti sorrisi, Allen non
ne fu mai certo, poiché Lavi si dimenticò
di dirgli che era stato beccato in pieno non soltanto da Timothy.
Data la
sensazione poco piacevole causata dall’ingerire la Pozione Polisucco
e date le minacce di suo nonno che ovviamente si accorse del furto, Lavi non
riutilizzò più quel metodo. Ma quello non rappresentò più di tanto un problema,
perché poco tempo Lavi divenne a tutti gli effetti un Animagus.
E in fondo
era molto più pratico e rapido entrare a Hogwarts
nella forma di un agile ed elegante—
.
.
.
.
.
Lo so, la fine fa stracagare, ma non so
perché non ne potevo più di sto capitolo LOL, dovevo scriverlo da troppo tempo
:I Perdonatemi OTL. Non credo mi piaccia molto come sia venuto. Ci devo pensà :I Ho la sensazione che siano capitoli sempre più… strani LOL no non so perché P_P
Mi sa che nell’ultima parte ci sono un botto di errori, li rileggo domani, ok
=w= ?
Di nuovo, SCUSSSATEEE per la lentezza dell’aggiornamento, appunto.
Io non dovrei neanche essere qua, ma a studiare çWçAaah, che strazio, voler fare cento cose e DOVERne fare altre mille çWç
(melodramma mode off). Tutta quell’esplosione di ormoni non prevista, è che..
sembrava adatta °A° Anche se non adatta alle mie capacità di descrivere scene pseudoyaoi che vadano più in là di un bacetto a stampo
HAHAHAHHA se qualcuno ha un manuale su come scrivere yaoi
con efficacia me lo passi per favore (eppure ne ho lette così tante… bah *affoga nell’imbarazzo*). Quindi mi dispiace se non ve la siete gustata
per quello çOç Comunque questo è l’unico di tal
genere, gli altri ritornano ad essere del solito livello soft.
E lo so, la parte su Lavi e il suo occhio sono un po’ insensati
magari se si pensa che stanno insieme da due anni, però ci stava, e ciccialculoèçè
Capitolo 4 *** Why Lenalee had that light in her eyes ***
Solo altri tre capitoli, TRE
CAPITOLI >:I ce la posso fare. In ogni caso, posso dire che non mi piace?
Non mi piace. Non so, l’idea mi soddisfa ma non sono riuscita a concentrarmi e a
scrivere quello che volevo scrivere decentemente. Semplicità spiazzante e
introspezione zero (sarà che mi è drenata tutta via con HicSuntDracones? Facciamo che
è così, dai).
Ma ciccialculo,
tanto non è un capitolo LAVEN A______A *DISCRIMINANTE*. MA POI PERCHE’ E’
KANDALENALEE, ED E’ COSI’ LUNGO? AL DIAVOLO.
La cosa pressoché divertente è
che quando scrissi il quinto capitolo di SEVEN, il motivo della ‘luce negli
occhi di Lenalee’ ce l’avevo in mente, e mi soddisfaceva. Poi è passato il
tempo, e io me lo sono dimenticato e mai più ricordato con ESTREMO mio
rammarico. Perciò, questa è l’unica cosa che mi è venuta in mente *_*’ , e
ammetto che non mi dispiace.
Ho realizzato mentre scrivevo che io uso spesso termini harrypotteristici che se uno non ricorda bene o non ha
neppure letto i libri non può capire .__. Quindii:
Puffola Pigmea: animaletto fluffoso, peloso e
assolutamente adorabile, dal pelo dai colori improbabili, ad es. lilla, rosa,
ecc.
Berretti rossi: folletti che si nascondono tra antichi ruderi e
rovine di castelli e attaccano i viaggiatori uccidendoli e intingendo i loro copricapi nel loro sangue. Assomigliano a dei vecchietti
brutti.
Marciotti: spiritelli a una gamba sola che fanno perdere la strada ai viaggiatori
accendendo le loro lanterne e facendo credere che vi siano abitazioni umane (e
causandone spesso la morte).
Disclaimer: semplicemente,
no.
.
Why Lenalee had
that light in her eyes
( S E V E N
)
.
Una palpebra
di Kanda si contrae in un tic d’irritazione, quando
la mammoletta si lascia andare anima e corpo a un
ennesimo, lungo, sonoro sospiro e, spazientito, chiude il suo libro di Erbologia con un tonfo e lo butta nell’erba.
“Ti hanno
trasfigurato in uno sfiatatoio umano?”
Allen si
volta di scatto, con le sopracciglia bianche aggrottate e il labbro superiore
arricciato per lo sdegno. Le sue dita stringono gli steli d’erba così forte che
le sue nocche si fanno più pallide.
Kanda sbuffa e
mette da parte anche lui il libro di studio. “Quello non è respirare, cretino.
È imitare una balena che emerge.”
Allen dev’essere miracolosamente d’accordo con lui, perché
ritorna silenziosamente a contemplare il tramonto. Sospira di nuovo. Una vena
comincia a pulsare dolorosamente sulla tempia di Kanda,
tanto che questi si sente invogliato a condividere uno dei suoi rari e saggi
consigli di vita per far sì che tutto ciò finisca.
“Senti, mammoletta—”
“È Allen.”
“Non
m’importa. Se hai qualche problema, allora fai qualcosa per risolverlo.”
Quando il
più giovane guarda torvo il cielo con una certa caparbietà, Kanda
sa di aver colpito nel segno – non che ci volesse molto. Lo ‘scoop dell’anno’,
lo chiama ormai Lenalee segretamente.
“Come se
fosse facile,” lo rimbecca Allen con acidità, e ci manca poco perché incroci le
braccia, metta il broncio e si volti dall’altra parte per crogiolarsi solitario
nella sua inguaribile frustrazione.
Kanda sospira – e
si blocca a metà, colto dall’orrendo dubbio che quella che manifesta Allen sia
una malattia contagiosa – perché, se Lenalee ha
davvero ragione, e Lenalee ha sempre ragione quando si tratta di faccende di cuore, Kanda può affermare senza remore che quei due rasentano l’idiozia pura. “Perché
poi sono qui con te, io?”
Allen rotea
gli occhi con tale enfasi che Kanda sospetta abbia
avvertito una fitta di dolore, dietro i suoi stupidi bulbi oculari. “Forse
perché Lavi se n’è andato ormai da una buona mezz’ora, idioKanda?”
risponde sardonicamente, senza enfasi. “Ma te ne sei accorto solo ora? Pensavi
fosse stato rapito da dei Berretti Rossi?”
“Dimmi anche
perché non ti ho ancora massacrato di fatture da quando ti conosco?” chiede Kanda di rimando.
La mammoletta ghigna beffarda. “Troppo carino e simpatico per
uccidermi? Penso che la causa sia comunemente chiamata ‘amore omosessuale non
ricambiato’. Kanda, lo so che ti piaccio, non c’è
bisogno di sfogare la tua frustrazione sessuale in questo modo violento.”
Kanda gli scocca
un’occhiata tra il disgustato e l’allibito. “Tu…che… Lavi,” grugnisce in preda a un attacco simultaneo di
ribrezzo e stupore.
Gli occhi di
Allen sembrano ora due palle da golf. “Oddio,” geme, prendendosi la testa tra
le mani, “sembravo Lavi. Oddio. Io
non farei mai, mai, battute gay
riguardanti me e te. Ora mi sento… Non lo so.
Contaminato.”
Kanda simula un
conato molto realistico. “Se prima non ero sicuro, ora lo so per certo: stai
troppo con quell’altro deficiente.”
Allen alza
la testa, e si guarda momentaneamente intorno con aria smarrita. Sospira di
nuovo. “Già, probabilmente,” ribatte, perdendosi di nuovo ad osservare le
nuvole sopra la sua testa.
Kanda avrebbe
preferito rimangiarsi le sue parole, se non per pietà – perché è certo non si
tratti di ciò – almeno per evitare il ritorno della mammoletta
a quello stato di calma depressione.
Perché quella
storia diventa sempre più irritante, ogni giorno che passa. Ed è già passato un
mese.
Non che a Kanda interessi qualcosa di quei due idioti: potrebbero venire
gettati vivi in un covo di draghi affamati, per quanto si preoccupa per loro.
Ma la faccenda sta avendo delle ripercussioni sulla sua vita privata, e la sua
capacità di sopportazione viene ogni giorno messa a dura prova. Perché a causa
di quei due che, a quanto si dice, non fanno altro che girare uno attorno
all’altro come un sistema di pianeti attratti dalla forza gravitazionale in
attesa di un’improbabile collisione, in quel periodo Lenalee
non pensa a nient’altro.
Qualcosa, nella sua natura femminile, le
impedisce di trattenersi dal ficcare il naso ovunque ci sia una possibile
storia d’amore che non prende piede. Deve sempre sforzarsi per gli altri, risolvere
i loro problemi laddove essi stessi non riescono in alcun modo—Lenalee
è troppo buona per l’umanità. E se questo non affatica lei, di certo però
affatica Kanda e la sua capacità di sopportazione.
“Il cielo è
bellissimo, vero? Solo in prossimità dell’estate ha questi colori,” Allen tira
fuori dal nulla. Poi s’acciglia. “E solo in prossimità dell’estate e della
scomparsa definitiva della mia sanità mentale tenterei di far notare a te una cosa del genere.”
È soltanto
rosso, medita Kanda osservando con occhi spenti
l’approssimativamente monocromatico tramonto racchiuso tra la superficie oleosa
del Lago Nero e i frastagliati pendii di montagne lontane.
“È come
sempre. Solo… rosso, e ancora rosso,” gli rivela
perciò, senza troppa enfasi.
Allen
grugnisce, e osa lanciargli uno sguardo impietosito. “Questo la dice lunga sul
tuo senso del romanticismo. Dimmi Kanda, qual è
l’ultima cosa romantica che hai fatto per Lenalee?”
“Cosa c’entra
questo?” domanda lui con stizza.
Allen gli
rivolge quella solita smorfia che è un chiaro invito all’uso della violenza. “Rispondi
e basta, idioKanda.”
Non
vorrebbe, ma Kanda riflette, la sua memoria entrata automaticamente
in azione. Riflette per svariati minuti, e con crescente – ma poco evidente –
disperazione, si rende conto che l’ultima volta risale a Natale, quando ha
regalato a LenaleeKomurin,
la soffice Puffola Pigmea acquistata in un negozio di
scherzi di DiagonAlley –
peraltro regalo che Lavi lo aveva
pressoché costretto a fare, convinto che Lenalee ne
sarebbe rimasta deliziata. A Kanda, d’altronde,
l’idea di dare a Lenalee un animale piccolo, peloso,
potenzialmente puzzolente, e facilmente uccidibile, non allettava più di tanto.
Lenalee ne fu effettivamente deliziata,
ma il fatto che l’avesse subito chiamato Komurin al
tempo concretizzò tutti i suoi timori.
Kanda non è
neanche sicuro che quella volta conti. Non tanto per la spinta di Lavi, quanto
perché era Natale.
“Komurin,” ringhia, laconicamente.
“Komurin, idioKanda?” rimbecca Allen con voce schernente, “Era Natale. Mica vale.”
Kanda l’aveva
supposto.
La
fastidiosa mammoletta si astiene dall’aggiungere
altro in proposito – forse perché è soddisfatto a sufficienza, o forse perché sa
che può insultare Kanda sull’inesistenza del suo
spirito romantico almeno tanto quanto Kanda può
insultarlo riguardo alla sua cotta per Lavi. “Penso che dopo questa illuminante
conversazione, tornerò indietro al castello. Mi sta venendo fame.”
“Tu hai
sempre fame,” precisa Kanda con disprezzo.
“Come tu sei
sempre scemo.”
Kanda sa che a Lenalee non piace che lui faccia del male ad Allen, ma
Allen sta tirando troppo la corda, e più cresce, più in lui la disciplina e il
rispetto per i più grandi va perdendosi. “Vai, mammoletta,
prima che la mia mano raggiunga la mia bacchetta.”
Allen
ridacchia di gusto, mentre raccoglie il suo libro da terra. “Non ci metto mica
una settimana ad arrivare alla Sala Grande.”
Quando la
mano di Kanda saetta alla sua cintura, Allen comincia
a correre a perdifiato verso il castello.
E mentre fa
previsioni sulle possibilità di Allen di arrivare alla Sala Grande senza
risultare vittima di un Marciotto lungo la strada, Kanda si alza e si dirige con tranquillità verso la Foresta
Proibita.
La luce del
tramonto filtra a malapena nella radura in cui Kanda
si ferma, circondato dai grossi alberi millenari dai tronchi scuri e i rami
cadenti. Il tappeto di aghi, radici e terriccio scricchiola piacevolmente sotto
i suoi piedi, in quel silenzio rilassante fatto di pause tra lievi bubbolii e
lontani stridii di falchi. Kanda si siede su una
familiare radice che si snoda da sottoterra, e infila la mano nella sua borsa,
alla ricerca del trancio di carne cruda presa poche ore prima nelle cucine.
Una volta
tiratolo fuori, lo butta per terra, e chiude gli occhi.
Non deve
attendere molto, prima che i fruscii nell’aria aumentino. In pochi minuti,
svariate paia di sgranati occhi bianco latte, senza pupille, fanno capolino tra
le ombre degli alberi. Le grosse e scheletriche creature dal manto nero e la
testa di draghi scivolano lentamente alla fioca luce rossastra del sole, che le
fa apparire ancora più demoniache.
I tre Thestral avanzano, con le loro grandi ali da pipistrello
ripiegate lungo i fianchi, e si avvicinano al pezzo di carne cruda, annusando
il terreno davanti a loro con circospezione.
Uno di loro è
particolarmente giovane, le sue zampette magre si agitano irrequiete intorno
alle altre creature più grandi, e Kanda ne osserva in
silenzio l’aspetto tetro e inquietante, gli occhi lattiginosi e le ossa prive
di carne che si scorgono perfettamente attraverso lo strato di pelle nera,
aspettando che si faccia coraggio e venga più vicino.
I Thestral sono creature curiose, ha sempre pensato, dato il
loro aspetto inquietante e ‘malvagio’, così in contrasto con la loro docile indole.
Destinati a essere temuti e considerati simbolo di disgrazia.
Dei reietti
nel mondo dei maghi.
Kanda rammenta
per un attimo la paura che attanagliò il suo cuore alla vista di quegli esseri
orrendi per la prima volta, all’inizio del suo secondo anno, e ai ricordi che
riportò lo scoprire che potevano vederli solo coloro che avevano conosciuto la
morte.
Un nome
affiora alla mente, ma Kanda è troppo spaventato dal solo
ricordo di quella persona. Così il nome sprofonda di nuovo, non detto, negli
antri della sua memoria.
I Thestral più grandi iniziano a dilaniare il piccolo pezzo
di carne cruda, ma il piccolo si avvicina cautamente, un po’ altalenante, a
lui. Il suo muso dalle narici rotonde e frementi sfiora il palmo teso della sua
mano, e subito Kanda tira fuori un altro pezzo di
carne.
Mentre il
cucciolo di Thestral afferra con i denti bianchi ed
equini il trancio sanguinolento e lappa con affetto la mano sporca, Kanda abbozza un mezzo sorriso, mentre realizza che
probabilmente non vi sarà mai una creatura che preferirà più dei Thestral.
Quella
notte, Kanda non riesce a dormire. Steso sul suo
letto a baldacchino, rimane sveglio, a meditare.
In quei
pochi momenti in cui cade vittima del pressante sonno, sogna se stesso, la sua
famiglia, il suo passato, Alma—e prontamente si
sveglia, con il cuore martellante nel petto.
I sospiri e
l’intermittente russare e parlottare di Lavi nel letto accanto lo distolgono a
malapena dal suo filo di pensieri – solo quando, nel sonno, Lavi sembra
dilettarsi quasi apposta in una lunga serie di sospiri, Kanda
gli lancia un’occhiata truce intimandogli telepaticamente di smetterla e di
risolvere i suoi problemi, perché quei sospiri sono proprio uguali a quelli di Allen—magari è contagioso. Magari dovrebbe star loro
lontano di questi tempi.
È proprio
durante una di quelle divagazioni, mentre agguanta il cuscino con aggressività
e lo lancia addosso alla faccia di Lavi, segretamente bramando di trascinare i
corpi dei due idioti nella Foresta Proibita e cospargerli di sangue affinché i Thestral li scambino per carne macilenta e commestibile,
che viene folgorato da un’idea.
“Sono
sicura, Yuu, Lavi sta solo fingendo. E male, anche,”
gli spiega sovrappensiero Lenalee, il giorno dopo,
mentre camminano fianco a fianco sull’erba del prato, diretti alla capanna di Crowley. Lenalee si gratta la
guancia con irritazione, per nulla conscia del disinteresse di Kanda. “È come se tutta la sua abilità recitativa
scomparisse completamente intorno ad Allen!”
“Che
peccato,” risponde Kanda poco eloquentemente, come
suo solito.
“Dai, Yuu, non fare lo scontroso, so che ci tieni anche tu a
loro! Allen sbava dietro a Lavi da secoli ormai, e ora sento che sta per
succedere qualcosa, deve succedere!
Ne sono sicura al cento per cento! Hai presente quando l’altra volta siamo
andati al cucina-party, quando Allen ha detto a Lavi che c’era un innamoramento
in vista? Giuro che Lavi è sbiancato
di colpo, pareva avesse incrociato lo sguardo di un Basilisco. Tra Bak e Foupoi…!
L’aria di cambiamento mi sta dando alla testa! …Davvero,
Yuu, non posso essere l’unica eccitata per tutta
questa faccenda.”
Kanda guarda gli
occhi di Lenalee che brillano per l’emozione e le sue
mani che si muovono febbrilmente, irrequiete come il suo animo. Gli ricorda una
Puffola Pigmea.
“Cosa ti ha
dato quell’idea?” chiede, sicuro di aver trattenuto al meglio l’intonazione
sarcastica.
Lenalee sbuffa e si morde agitata l’interno della guancia, mentre Kanda riesce quasi a sentire gli ingranaggi della sua mente
che si mettono in moto all’unisono.
“Stiamo
escogitando un piano per accertarcene,” continua Lenalee
come se Kanda non avesse mai parlato, “perché se da
un lato io ne sono certa, dall’altro Allen è praticamente sull’orlo di un
collasso nervoso, anche se no lo dà a vedere – per la barba di Merlino, sapevo
che Allen era bravi a fingere, ma non credevo così bravo. Comunque è arrivato a pensare che Lavi si stia
comportando così perché ha scoperto di piacergli – teme di aver fatto qualcosa
che non doveva quando era ubriaco, ma ne dubito, dato che siamo stati insieme
tutto il tempo. E poi è una cosa assurda: prima di tutto Lavi è un idiota e non
può averlo capito così all’improvviso, e inoltre, se anche l’avesse scoperto, non
reagirebbe mai in questo modo.”
Kanda è perplesso
dalla parlantina di Lenalee. Tenta di rammentare
quand’è stata l’ultima volta che ha inspirato.
“In ogni
caso,” dice Lenalee a voce più bassa e meno alterata,
“devo chiedere aiuto a mio fratello… qualcuna delle
sue pozioni potrebbe tornarci utile…”
“Io penso,”
s’inserisce Kanda con voce controllata, “che dovresti
lasciare che loro se la sbrighino da soli. Se vogliono comportarsi come delle
stupide femminucce, che lo facciano. È colpa loro se sono dei codardi.”
“Dice il
ragazzo che ci mise un anno a dichiararsi,” lo punzecchia Lenalee
con ilarità evidente, “Dico bene, YuuKan-da?”
Kanda si volta
dall’altra parte e fissa l’orizzonte con caparbietà.
Di fianco a
lui, la risata di Lenalee risuona leggera e piacevole
nell’aria, mentre le dita affusolate di lei aprono dolcemente la mano stretta a
pugno di Kanda e vi si infilano subdole.
È pomeriggio
inoltrato ormai, la brezza che accarezza la sua pelle è fresca e rinvigorente.
I suoi occhi si posano sulla capanna rotonda e solida di Crowley,
dal cui camino esce inaspettatamente uno sbuffo di fumo rosso.
Lenalee sembra essersi ormai calmata, e il suo sguardo vaga per il
profilo della foresta, del lago, delle montagne. Poi sospira pesantemente.
Kanda è sul punto
di scuoterla per le spalle e urlarle ‘lo dicevo che era contagioso!’ quando
ingoia le parole sulla punta della lingua e deglutisce rumorosamente.
“Lenalee, dovresti smetterla con tutto…
questo. Di solito, quando sei così esagitata, tendi a causare soltanto danni.
Se davvero si piacciono, prima o poi si sveglieranno. Forse dovresti lasciarli
fare a modo loro.”
“Pfff, lasciarli
fare,” ribatte Lenalee, gonfiando le guance e
sbuffando tragicamente, “da soli non arriverebbero da nessuna parte neanche entro
il secolo!”
Ma le guance
soffuse di rossore non sembrano concordare con le sue parole, e infatti la voce
di Lenalee si spegne, per poi alzarsi in un nuovo
sospiro.
La palpebra
di Kanda si contrae in un tic nervoso.
“Il fatto è che…Yuu, lo sai che Allen ha
avuto una vita un po’ difficile… vi somigliate così
tanto – e non ne siete neanche consapevoli, mi sorprende che non ci sia maggior… empatia tra di vuoi. Ma comunque, non ti
piacerebbe vedere Allen sinceramente
felice per una volta?”
La domanda
lo prende in contropiede.
Vagamente
ritorna con la mente a tutte le ragazze di Lavi in quegli anni, e Allen sempre
fastidiosamente allegro e sorridente attorno a lui, sempre in sua compagnia…
Sì—“Non
m’importa,” riprende secco, scrollando le spalle.
Lenalee si rabbuia istantaneamente, e Kanda
capisce di aver commesso un errore. Ha un piano preciso in mente, e non ha
intenzione di rovinarlo per alcun motivo.
Stringe la
mano libera in un pugno.
“Io… ho dato un consiglio alla mammoletta
ieri,” ammette con una certa dose di reticenza, indeciso su come proseguire e
incerto su come reagirà la sua ragazza.
Lenalee gli rivolge giustamente un’espressione confusa. “Riguardo a
cosa?”
“Al
coniglio.”
Gli angoli
della bocca della ragazza si piegano leggermente all’insù. “E cosa gli hai
detto?”
“Che se c’è
qualche problema che lo disturba così tanto, dovrebbe impegnarsi a risolverlo,”
modifica adeguatamente le parole.
Nonostante
l’espressione di Lenalee sia contraddittoria, un
misto tra divertimento e esasperazione, il suo sorriso s’intensifica.
“Sono sicura
che Allen abbia apprezzato,” annuisce, decisamente più allegra di pochi secondi
prima.
“Di certo,”
conferma spudoratamente Kanda, trattenendo un ghigno
alla corsa smodata di Allen su per il prato.
A quel punto
Lenalee si ferma, ormai poco distanti dalla capanna,
e si volta verso di lui, con un ampio sorriso che le illumina il volto
incorniciato dai capelli corvini. Kanda sospetta che
ci sia del sangue Veela nella sua famiglia,
nonostante le innegabili origini cinesi.
La ragazza
si alza sulla punta dei piedi e schiocca un bacio sulla sue labbra. “Yuu, io lo so che tanto non sei così orrendo e insensibile
come vuoi che la gente creda,” gli rivela, con fare complice.
I pensieri
di Kanda si dirigono automaticamente verso l’immagine
dei Thestral della Foresta Proibita.
“Vieni,” le ordina
con impeto, prendendola per mano e trascinandola con sé verso la foresta.
“Cosa—ma non stavamo andando a trovare Crowley?”
chiede Lenalee concitata, notando il loro
allontanarsi dalla capanna.
“Non ho mai
detto che saremmo andati da Crowley,” si giustifica
lui, addentrandosi nel folto degli alberi in un battibaleno. La mano di Lenalee si stringe velocemente attorno alla sua. Dopo una
decina di minuti arrivano alla ombrosa pianura del giorno prima.
Lenalee butta un’occhiata per terra, e individua subito gruppetti di
foglie macchiate di una sostanza fluida e rossastra. Kanda
la osserva sgranare gli occhi in segno di comprensione.
“È qui che
vieni a dare da mangiare ai Thestral?” chiede Lenalee in un sussurro impaurito. Kanda
sospetta che l’immagine del pezzo di carne che viene maciullato da denti
invisibili a mezz’aria, durante quella fatidica lezione di inizio anno, non
abbia mai lasciato la sua memoria.
Nonostante
per lei non sia la stessa cosa, dato che non li può vedere, Lenalee
ha sempre accettato la strana abitudine di Kanda di
scomparire ogni tanto dalla circolazione per andare a fare compagnia ai Thestral. Kanda è abbastanza
sicuro che lei non abbia capito davvero cosa significhino per lui quelle
creature, ma gli basta che non lo guardi come se fosse pazzo – come ogni tanto
fa Lavi.
Kanda tira fori
un altro pezzo di carne procurato apposta per l’occasione e, come il giorno prima,
non ci vuole molto prima che due Thestral compaiano
tra gli alberi. Gli occhi di Lenalee sono spalancati
e guardinghi, mentre osservano le foglie smuoversi apparentemente da sole.
Kanda si avvicina
a uno dei Thestral e sussurra poche parole all’orecchio,
con la certezza assoluta che la creatura comprenda ogni sua parola.
Dopodiché fa
cenno a Lenalee di seguirlo, e comincia ad
allontanarsi dalla radura. Lenalee si affretta a
raggiungere il suo fianco, continuando a gettare occhiate preoccupate alle sue spalle.
“Sbaglio o
ci stanno seguendo?” gli chiede, e nel suo tono spicca un’inquietudine
consistente, come se trovasse assolutamente sbagliata o inverosimile l’intera
situazione.
Camminano
per qualche minuto, finché non raggiungono una sponda del Lago Nero. Lenalee è più stupita e confusa che mai, mentre alla luce
di un sole calante su uno sfondo striato di rosso Kanda
offre un altro po’ di cibo ai due Thestral.
“Perché
siamo venuti qui?”
Il ragazzo
risponde cedendole in mano un pezzo di carne cruda e sanguinolenta. Lenalee non ha il tempo di reagire prima che una bocca
invisibile si avventi su di lei, togliendoglielo di mano, e ingurgitandolo in
un secondo. La ragazza esclama per la sorpresa e lo spavento, ma Kanda si posiziona dietro di lei e le prende una mano, muovendola
lentamente nell’aria.
Lenalee sussulta quando sente una lingua ruvida e umida leccarle
golosamente le dita sporche di sangue. Kanda le fa
quasi ritirare la mano, ma dopo qualche secondo ella ride, scuotendo le dita
davanti a lei, cercando di sfuggire momentaneamente alla sensazione di
solletico.
“Sono
gentili,” sussurra, ammaliata.
Lui scrolla
le spalle. “Se li tratti bene,” risponde, con una certa ovvietà, come se stesse
esplicitando la verità più ovvia del mondo.
Allora Kanda le muove l’altra mano lungo il collo della creatura,
e Lenalee rimane sempre più estasiata. Poco dopo
continua ad accarezzare l’aria davanti a lei con un sorriso di pura meraviglia
sulla bocca.
“Beh,” fa
poi, mentre prende dalla borsa di Kanda l’ultimo
pezzo di carne rimasto e lo rifila a quel Thestral invisibile,
“e ora che facciamo?”
Kanda accarezza
il dorso del Thestral, intimandogli con una lieve
pressione sulla sua colonna vertebrale di abbassarsi e inginocchiarsi. “Voliamo.”
La faccia di
Lenalee si pietrifica in un’espressione
indecifrabile. “Cosa.”
Prima che
possa ribellarsi con maggior decisione, superato lo shock, Kanda
la issa sul Thestral, e balza sullo scheletrico dorso
anche lui.
“Yuu, no. Nooo, no nono!
Yuu! YuuKanda, noi non ci
muoviamo da qu—Aaaa!”
Il grido di sgomento
di Lenalee si solleva nel tramonto, quando il Thestral spalanca le ali nere e le sbatte potentemente
nell’aria. Automaticamente, le sue braccia si avvolgono intorno al busto di Kanda, la faccia repentinamente sprofondata nella schiena. Con
una rapidità data anche dall’abitudine, Kanda
allaccia le gambe oltre la giuntura delle ali, e si tiene al collo dell’animale
il più saldamente possibile.
Il Thestral si solleva nell’aria con un secondo battito d’ali
e, in pochi secondi, sono sopra il Lago Nero.
Kanda adora ogni
momento di quel volo. Il fresco vento sul suo volto, gli scompiglia la frangia,
s’insinua tra i vestiti, la tiepida luce del sole morente, l’umido odore dell’acqua
dolce e delle nuvole, la fragranza degli alberi, la pelle fremente di quella
creatura possente sotto di lui…
Ma
l’obiettivo è far sentire tutto quello anche a Lenalee.
Gli occhi
della ragazza sono ancora serrati, mentre questa si stringe sempre più forte a
lui.
“Lenalee, apri gli occhi,” le ordina Kanda,
“questo lo devi vedere.”
Secondi importanti
scorrono via, ma è chiaro il momento in cui Lenalee
riesce finalmente a trovare il coraggio di aprire gli occhi, perché il suo
fiato si mozza, improvvisamente, e la sua presa intorno al torso di Kanda si fa inconcepibilmente tenace.
Kanda non la può
vedere, ma la immagina guardarsi intorno, all’inizio spaventata dal vuoto sotto
di lei, dal fatto di trovarsi a cavallo del nulla,
sospesa a una decina di metri sopra la superficie del lago che riflette quel
tramonto infuocato che sicuramente lei apprezza di più; scorgere al loro fianco
inspiegabili spruzzi d’acqua che si alzano poco distanti da loro in infinite
gocce brillanti come minuscoli diamanti e ricadono increspando il lago; sentire
l’aria della sera inondarle il viso, farle ondeggiare i capelli, farla sentire
leggera e libera. Kanda si piega di più sul suo dorso
per permetterle di avvertire ancora meglio quella sensazione. E
prevedibilmente, sente le braccia di Lenalee sfilarsi
dal suo busto, ancora incerte. Probabilmente, Kanda,
pensa, ora chiuderà gli occhi, allargherà le braccia verso l’esterno, e
sorriderà al mondo intero.
Il Thestral plana rapidamente a pochi metri dalla superficie,
e Lenalee si riappiccica a lui in un istante, con una
risata nervosa.
Ma le ali e
le gambe del Thestral frangono lo specchio d’acqua,
sollevando un’altra scia di gocce che rinfrescano le loro gambe come una doccia
fredda. Lenalee ride, ora divertita, sporgendosi da
un lato per osservare meglio.
Kanda coglie il
momento per girarsi e osservare l’espressione estasiata di Lenalee,
la quale, quando lo nota, gli indirizza il suo miglior sorriso.
“È bellissimo,
non è vero? Solo a fine primavera ha quei colori.”
Kanda annuisce, e
mentalmente si rifiuta di ringraziare Allen per avergli ispirato l’idea. Molto alla
lontana.
Solo quando
molti minuti dopo, Lenalee inizia a rabbrividire per
il freddo, Kanda dirige il Thestral
verso la riva. Continuerebbe così per sempre, ma persino lui ammette che non
sarebbe una fine molto romantica se la lasciasse sulla sponda del lago con un
‘questa è la tua fermata’ e ripartisse per l’orizzonte. Planano con dolcezza a
terra, e Lenalee salta giù agilmente, andando subito
a cercare il collo del Thestral e accarezzarlo.
“Grazie,”
mormora gentilmente Lenalee all’orecchio della
creatura. In tutta risposta, il Thestral scuote la
testa.
Ripercorrono
gran parte della strada verso il castello in un insolito silenzio: Lenalee cammina tranquilla con un sorrisetto perenne
stampato in faccia, e lo sguardo perso sulle aguzze guglie del castello, che
lentamente vengono inglobate dal buio della sera. Kanda,
sorprendentemente, non vede l’ora che la ragazza dica qualcosa.
“Allora…” comincia perciò una volta arrivati all’ingresso
della Sala Grande, poco distanti dalle grandi clessidre delle Case. Ora, con il
rumoroso vociare di sottofondo proveniente dalla Sala, si sente pronto ad
affrontare una discussione seria. Dove con il termine ‘seria’, Kanda intende una discussione basilarmente mirata a scoprire se
può rinfacciare alla mammoletta il successo di quella
giornata. “Ti è… piaciuta?”
Lenalee si appoggia alla parete, con le palpebre che le cadono chiuse per
la stanchezza. “Oh, è stato…così…”
“Romantico?”
suggerisce lui. Il suo tono non è in alcun modo speranzoso.
Ma non può
controllare Lenalee come controlla la sua mente, e infatti
la ragazza gli lancia un’occhiata curiosa e al contempo divertita. “Stavo per
dire esaltante, in realtà.”
“Non
romantico,” sentenzia Kanda, e la delusione nella sua
voce dev’essere solo una sua allucinazione.
Lenalee lo sta però fissando con chiara compassione – ma che cazzo. “Yuu, la tua intenzione era organizzare un qualcosa di romantico?”
Sì.
“Ovviamente no.”
“Okay, perché
tu non sei il tipo romantico.”
Kanda si
stropiccia un occhio, cercando di nascondere l’irritazione che all’improvviso l’ha
inspiegabilmente assalito. Ma Lenalee allunga una mano,
prende delicatamente la sua e l’allontana dalla sua faccia.
“Quello che
intendevo dire,” mormora la ragazza con voce calma, “è che se dici così, mi
vien da pensare che qualcuno ti abbia stuzzicato abbastanza da farti credere
che fosse necessario fare qualcosa di romantico per me.”
E a quel
punto Kanda deve obbligarsi a tenere su la mandibola,
perché è irreale che Lenalee sia così intuitiva. Ma
il senso di colpa dev’essere evidente, perché la ragazza
fa un mezzo sorriso comprensivo.
“Ma la
verità è, Yuu,” continua lei, alzando l’altra mano e
poggiandola con dolcezza sulla sua guancia, “che non ce n’è assolutamente
bisogno. Mi piacciono le romanticherie, ma non sei costretto a farle –
soprattutto se sono Lavi o Allen ad obbligarti. Perché, per quanto clichée ciò che sto per dire possa sembrare…
mi piaci così come sei.”
Lenalee lo guarda dritto negli occhi, e gli accarezza di nuovo la
guancia. Solo allora, Kanda si accorge che gli occhi
di Lenalee sembrano quasi più radiosi del solito, luminosi
come due ametiste incastonate nelle orbite di una scultura perfetta. Ma quello
è un pensiero troppo sdolcinato per essere nato dal suo cervello, quindi Kanda semplicemente lo rifiuta, lo ributta indietro negli
anfratti della sua mente come un barattolo ammaccato e inutilizzabile.
Ma ciò non
lo ferma dal continuare a contemplarla.
“Ma,”
conclude Lenalee quasi in un sussurro, “oggi è stato
come se avessi potuto scrutare dentro di te, un luogo il cui accesso non è stato
concesso a nessun altro all’infuori di me. Vedere ciò che sei veramente. Mi
sono sentita così…speciale, e felice. E sì, è stato molto romantico.”
E con
quello, in mancanza di una frase con cui rispondere in modo appropriato, Kanda appoggia una mano contro il muro e intrappola Lenalee con il suo corpo – d’altronde, non è mai stato un
tipo di molte parole. Il silenzio gli è sempre piaciuto.
Piega il
collo e si avvicina alle labbra di Lenalee, le cui
palpebre intanto si sono chiuse. Ora può sentire il suo respiro sulla sua
bocca, e—dalla Sala Grande si sente un sonoro tonfo e il rumore di
un’esplosione soffocata. In un attimo, il vociare degli studenti si trasforma
in un boato rumoroso di esclamazioni di stupore e di spavento, ed invade l’intero
corridoio esterno.
Kanda si
allontana di malavoglia da Lenalee, deciso a scoprire
cos’è successo di tanto grave da rovinare gli ultimi attimi di una giornata perfetta—dalla
Sala scatta fuori a una velocità impossibile una scia di familiari e fastidiosi
capelli rossi.
“Ehi, Yuu! Ti saluterei ma vado di fretta!” urla Lavi nella sua
corsa frenetica, e in pochi secondi dalla Sala spunta anche la mammoletta, tossendo ripetutamente, e ricoperto da uno
strato di sostanze indefinibili—ci sono sicuramente
delle patate, nel tutto. Senza perdere tempo, Allen corre dietro a Lavi,
seguito a ruota da un’urlante professoressa Epstein, dai capelli scompigliati e
il viso arrossato, che viene seminata rapidamente dai due.
“Bookman, tutte queste idiozie e sperimenti sui Serpeverde devono finire!” grida furente la professoressa.
“Quaranta punti in meno a Grifondoro, ha capito?! Lei
non passerà i M.A.G.O., gliel’assicuro, chiederò al
preside di espellerla! Walker—Walker! Spero lo stia inseguendo per riportarlo indietro ad
affrontare la sua punizione! Walker, non si metta nei
pasticci anche lei, quando per una volta
può evitarlo!”
Lenalee assiste alla scena, con volto impassibile.
Kanda, d’altra
parte, inizia a fumare dalla rabbia. “Domani li uccido. Tutti e due.”
Con suo
stupore, Lenalee non muove protesta.
.
E fu così
che Lenalee s’illuminò per una buona settimana, piroettò
trasognata per i corridoi senza alcuna preoccupazione a macchiare la sua
felicità.
E fu così
che Kanda scoprì e gustò la bellezza dell’organizzare
qualcosa di romantico per la sua ragazza.
(La quantità
di personali idee romantiche e la sua capacità di metterle in atto, in ogni
caso, non aumentarono negli anni).
Lavi
continuò a prendere in giro Kanda con insinuazioni e
battute per tutta la settimana; Allen, semplicemente fissava Lenalee. E si chiedeva cosa diavolo era successo – e se per
caso fossero state in qualche modo le sue parole ad essere la parziale causa di
quell’inquietante e frivolo comportamento.
.
.
.
.
.
THESTRALs FTW (e il prossimo capitolo… è quello
che svariate aspettano dall’inizio della storia. Credo. Ambientato durante
tutto SEVEN. Cosa sarà mai? ;) ).
Per la cronaca, essendo questo il punto di vista di Kanda, lui giustifica tutto quello che fa di carino (?) con
altre motivazioni. Ad esempio casuale, quando dice ad Allen di fare qualcosa
riguardo a Lavi, pensa di dirlo perché gli dà fastidio il suo continuo
sospirare, che è PRINCIPALMENTE VERO, però ddaaai lo
fa anche perché in realtà ci tieneee *sguanciotta*
(no non è vero).
SONO VIVA. Stupiti, vi vedo stupiti
[cit.] Sono viva e vi dirò di più, sento in me l’estremo dovere di finire
questa storia mai
terminata perché io non scrivo d’inverno una volta per
tutte. Eee beh, è strano perché non sono riuscita a scrivere questo
capitolo per sei mesi e oggi l’ho scritto in un giorno. Mi ha fatto tribolare
perché non ricordavo più una minchia della storia originale ma va beh, se
notate cose che non hanno senso o che sono tempisticamente
scorrette, ignoratele e fate sì sì con la testa
perdonando la mia memoria corta. Un tempo questo lato della storia mi sembrava
più logico! Va beh.
Il
titolo si basa sull’affermazione di Lenalee del sesto
capitolo di SEVEN, quando dice a Lavi di ‘non sapere nulla’ in proposito ai sentimenti
di Allen. Enjooooy!
Disclaimer: semplicemente, no.
.
What Lenaleeactually knew
( S E V E N )
.
Lenalee è
perplessa.
Guarda Timothy, che domanda esagitato per l’ennesima volta il racconto
della vittoria contro i Serpeverde, e s’interrompe tra una frase e l’altra per
vomitare una lumaca nel secchio sulle sue gambe.
Guarda Fou, che si esibisce in una smorfia
sardonica, contenta che la sua squadra abbia vinto ma arrabbiata per non aver
potuto partecipare, e che affoga la frustrazione nelle confezioni di Cioccorane Extra Large e in
coloriti insulti contro i Noah.
Guarda Kanda, che sta in disparte seduto su
una sedia ai piedi del letto di Lavi, braccia incrociate e un tentativo di
espressione stoica e menefreghista che gli scivola via dalla faccia ogni volta
che sente la storia daccapo.
Guarda Allen, che sfoggia un ampio
sorriso da clown che sembra stampato sulla sua faccia da un incantesimo
indelebile; che parla in tono eccitato, si dimena sul suo sgabello accanto al
comodino di Lavi, e ovviamente s’ingozza di Calderotti
e tante altre schifezze a portata della sua mano.
E poi guarda Lavi, che guarda Allen,
la testa strettamente fasciata da garze bianche, la schiena appoggiata al
cuscino e le gambe nascoste sotto le coperte del suo temporaneo letto d’infermeria.
Lavi ride, scherza con Allen, lo
ascolta, insulta i Serpeverde, e poi, di punto in bianco, arrossisce.
Allen scoppia in una risata fragorosa
a un commento particolarmente acido di Fou e Lavi arrossisce, con la mano infilata per
metà nel pacchetto di Api Frizzole di Allen, già
occupato dalle dita dell’altro.
“Ehi, non osare prendere le mie.”
E previdente, Lenalee
si prepara alla solita sfilza di mugolii rattristati e di battibecchi concitati
e superficiali tra i due.
Ma Lavi ritrae svelto la mano dal
cibo e la lascia ricadere sulle lenzuola, senza dire una parola.
Il vociare della Sala Grande è
stranamente conciliante. Accanto a lei, Fou grugnisce
e borbotta come una scoppiettante Salamandra Infuocata. Non può davvero
biasimarla, quando la testa di Lavi collide con il tavolo per la quinta volta
in quattro giorni. Allen soffoca sul suo boccone di cibo, e Kanda
stringe il coltello nel pugno con un pericoloso fare omicida.
“Allen, puoi gentilmente riferire a
Lavi di smettere di tentare di lasciare il segno del suo passaggio sul tavolo
dei Grifondoro? Sarebbe carino da parte sua,” commenta con un’acidità che non
le è propria, e di cui subito si pente.
“Perché non ci dici una volta per
tutte cosa c’è che non va in quella tua stupida testa?” Lenalee
evita diaggiungere altro o di sedare Fou – sia perché Lavi un po’ se lo merita, sia perché Fou è intrattabile in queste occasioni. La ragazza
semplicemente non riesce a sopportare la gente che si demoralizza e non chiede
aiuto a nessuno. Lenalee è quasi affascinata dalla
sua mancanza di empatia in tali situazioni. Sa che non lo ammetterebbe mai, ma Fou odia sentirsi impotente.
Ascolta a malapena le successive
battute della misera conversazione, troppo concentrata sul non perdere le
staffe e urlare a Lavi qualcosa che rimpiangerebbe – perché è chiaro che Lavi
ha un problema, e il fatto che si rifiuti categoricamente di parlarne persino
con Allen e Kanda, sta diventando deprimente, ormai.
Fino a che Lavi dice la frase più
improbabile e apparentemente scollegata dal contesto che potesse dire.
È quasi divertente il modo in cui
Allen si rattrappisce su se stesso, nonostante il suo viso sia diventato
istantaneamente una maschera di impassibilità. Lenalee
lo guarda allibita, cercando di trovare un senso a ciò che Lavi ha detto con un
intrascurabile tono sfrontato, come se avesse rivelato per dispetto o rabbia un
segreto che sarebbe dovuto rimanere tale. Lenalee non
ricorda di aver mai visto Lavi rivolgere un’espressione tanto infastidita a
Allen.
“…Tre
giorni fa.”
E in quel momento, Lenalee vede distintamente sulle facce dei suoi amici
l’identica espressione di fulminante comprensione, come se nelle loro teste
fosse scattata contemporaneamente la stessa sintetica frase esplicativa.
‘Hogsmeade, a Allen piace Lavi, Allen
ubriaco marcio.’
Lenalee è
scioccata all’idea che qualcosa che
non sa – o che non ricorda – sia successo dopo Hogsmeade e, mentre la sua
immaginazione corre sbizzarrita, non perde di vista lo scontro di sguardi che
sta avendo luogo tra Lavi e Allen. Sembra che stiano entrambi aspettando quello
che dei due si rompe per primo.
È sinceramente grata a Kanda quando questi decide di intervenire, ponendo fine a
quella anormale situazione.
“Bene,” sputa Lavi rancoroso, prima
di alzarsi goffamente e allontanarsi dal tavolo senza più voltarsi.
Lenalee lo
guarda sparire oltre le porte della Sala Grande con la testa china, e i pugni
serrati lungo i fianchi.
“Forse è solo stressato…”
commenta Fou nel mentre, con voce imbarazzata. Si
gratta la nuca, impacciata, senza riuscire a guardare Allen, e Lenalee pensa che neanche lei avesse la minima idea che
tutto questa faccenda potesse essere legata ad Allen, sennò si sarebbe
probabilmente trattenuta dall’insistere, con Lavi. Fou
si stropiccia le mani, con la faccia di una che ha commesso un errore ma non sa
come porvi rimedio.
Allen non le risponde, seduto
rigidamente con la braccia appoggiate sul tavolo, l’espressione arrabbiata
puntata con fermezza sul suo piatto.
Passa qualche secondo prima che la
facciata adirata di Allen cominci a frantumarsi e scivolare via, lasciando il
posto a una nuova frustrazione che stringe dolorosamente il petto di Lenalee.
“Allen…” Fa
per allungare una mano verso la schiena dell’amico, ma quest’ultimo scuote la
testa e scruta per un attimo il piatto ancora pieno di cibo davanti a lui,
prima di spingerlo via aggressivamente, facendolo cozzare contro quello di
Lavi.
“Fanculo.”
Nessuno ha qualcosa da aggiungere.
“Mi odia, Lenalee,
è semplice.”
Lenalee
sbuffa con tale veemenza che un piccolo gufo, placidamente appollaiato sul
trespolo accanto a lei, si sveglia bruscamente e arruffa le penne grigiastre
infastidito.
“Non fare il melodrammatico, per
favore,” lo prega con voce esasperata mentre porge una manciata di chicchi di
grano al gufo di Allen, che allunga il cullo piumato, interessato. “Lo sai che
non è così. Siete amici da cinque anni, non ti volterebbe mai le spalle in questo modo. E poi ora è tornato a comportarsi
normalmente, no?”
Allen grugnisce qualcosa sottovoce,
prima di rispondere in un tono pesantemente sarcastico: “Oh, certo, come prima.
Fammi il piacere, sta tentando di
comportarsi come prima, e sta fallendo. …Giuro che
ogni tanto mi guarda come se fossi un troll con due teste.”
“Credo che io e te abbiamo una
visione diversa della situazione. E comunque, tu stai al suo gioco, mi pare.”
“Perché lui è troppo fottutamente
importante perché io mi possa permettere di perderlo, Lenalee!”
inveisce Allen.
Alcuni gufi sbattono le ali, turbati
dal rumore, altri si alzano in volo e si lanciano fuori dall’ampia finestra
della Guferia, dritti nel cielo primaverile.
Allen sgrana gli occhi, stupito dalla
sua stessa esplosione, ma Lenalee non lo sgrida.
Attende silenziosamente che il respiro dell’amico si calmi, e indica a Timcanpy di raggiungere il suo padrone. Quando l’esile gufo
dalle rare piume dorate gli mordicchia un dito con severità, Allen tira un
lungo sospiro.
“Scusami, è che…
non mi piace come si sta mettendo. All’inizio…
pensavo fosse per qualche problema che non voleva confidarmi, e mi irritava
perché pensavo non volesse preoccuparmi o non se la sentisse…Non… non pensavo che riguardasse me. Dio, Lenalee,
quando ha detto quella roba… devo aver detto e fatto
qualcosa quella notte. Qualcosa che gli ha fatto capire che mi piace e non ho
idea di cosa, non ricordo praticamente nulla!”
Lenalee è
già giunta alla stessa conclusione ma, probabilmente allo stesso modo di Allen,
più tenta di riportare alla mente immagini di quella notte, più queste tendono
a farsi sfocate ed incerte.
“Sì, ma, se invece, per caso,” comincia, finalmente esponendo la
teoria che la sta tormentando, e che sfortunatamente Allen non sembra aver
preso minimamente in considerazione, “qualsiasi cosa tu abbia fatto, in realtà gli
ha… aperto gli occhi? Se fosse in crisi perché non sa
più cosa prova per te ma nel senso positivo… non indeciso tra amicizia e schifo, ma tra
amicizia e amore?”
Allen scruta attentamente i suoi
occhi per qualche istante, con una faccia che lascia temere che voglia
contattare al più presto il San Mungo per farla ricoverare d’urgenza. “Sì. Certo.”
“Oh, andiamo, Allen!” Lenalee gli lancia
addosso una manciata di mangime, a cui l’altro risponde con un verso di stupita
indignazione. “Potrebbe essere! I
segni sono tutti lì, se tu solo ti degnassi di notarli invece di ostinarti a
credere che sia tutta colpa tua! È ovvio che la faccenda riguarda te, e okay. È
supponibile che riguardi il fatto che ti piace, e ancora okay. Ma in più, Lavi
ti guarda, sempre. E non intendo dire
che ti ascolta mentre parli o che fa le solite facce schifate quando mangi.
Intendo dire che proprio ti fissa. Ti
fissa e nel mentre il suo cervello fuma per il troppo pensare, e quando si
accorge di starlo facendo di nuovo tenta di nasconderlo, cosa in cui, come
abbiamo tutti notato, non riesce. E ti posso giurare, su qualsiasi cosa, per la barba di Merlino, che non ha la faccia di uno che sta
guardando un troll bicefalo. Anzi.”
Allen è taciturno mentre accarezza
sovrappensiero il suo gufo. Lenalee aspetta quieta di
vedere come reagirà alle sue parole, e a stento si trattiene dal tirargli in
faccia altri chicchi di grano.
E dopo quello che le sembra
un’eternità o più, la bocca di Allen si piega in una smorfia semi-divertita.
“Davvero mi fissa?”
Lenalee
risponde con un sorriso così ampio che sente una fitta alle guance. ‘Oh, questo
è l’Allen che conosco!’ avrebbe voglia di gridargli scuotendolo con gioia per
le spalle, ed è ormai convinta di avere la vittoria in pugno.
“Oh,
sempre. Come quella strega che non riusciva a staccare gi occhi dal libro che
leggeva,” tuba con soddisfazione.
“Inquietante,” scherza Allen.
“Non sai quanto,” ne conviene lei.
“Peraltro, ho in mente un piano che potrebbe essere utile per testare le acque.
A questo cucina-party è il tuo turno con la lettura della tazza, no?”
“Ora non ti seguo più.”
Lenalee
sorride maliziosamente. “Beh, potremmo truccare un po’ una delle letture.”
L’espressione di Allen si fa
sarcastica. “Ma noi trucchiamo sempre le letture.”
“Touché,” ride Lenalee,
“ma questa volta lo faremo in modo più mirato.”
A distanza di settimane, in un
fulminante colpo di realizzazione indotto forse dallo studio intensivo di
Divinazione, le tornano in mente la reazione di Lavi in Infermeria e altri sparsi,
piccoli accadimenti.
“Sto iniziando a sospettare che Lavi
non sappia che gli piaci.”
In risposta, Allen geme stressato e
sprofonda il viso tra le innumerevoli pergamene srotolate davanti a lui sul
tavolo della biblioteca, apparentemente non intenzionato a riemergerne mai più.
“Lenalee, non puoi davvero tirare fuori quel discorso
ora.”
“E io che pensavo che avrei
finalmente terminato questo maledetto capitolo prima di pranzo,” asserisce Fou con stizza, prima di richiudere il grosso tomo di
Storia della Magia e ruotare la sua sedia verso Lenalee
con un cipiglio altero, “Tanto vale che ce lo dica ora, sennò non smetterai più
di assillarci con le tue nuove ipotesi.”
Allen grugnisce una risata, e Lenalee si sente ferita nell’orgoglio. Ma solo per un attimo,
prima di perdersi nel racconto dell’Infermeria e degli altri sparsi, piccoli
accadimenti.
“Non ho notato nulla, io!” è la prima
cosa che esclama indispettito Allen.
“Tu non noti mai nulla.”
“Non è vero,” brontola lui a mezza
voce, incrociando le braccia. Ha anche il coraggio di mostrasi offeso.
“Capite? È iniziato tutto prima di
Hogsmeade! Quindi tu potresti non aver fatto nulla di particolare quella sera!
Lui era già partito per la tangente per allora! E se ora stesse facendo finta
di nulla e negando tutto a se stesso perché ha paura di affrontare i suoi
sentimenti?”
“Quindi stai dicendo,” s’intromette Fou ancora irritata, “che un giorno Lavi s’svegliato e ha
capito pressoché di punto in bianco che gli piace Allen.”
“…circa,
sì?”
Fou
scrolla le spalle. “Per me suona credibile.”
“Per me no,” ride Allen con una nota
di isteria nella voce. “Sono l’unico rimasto sano qui?”
“Non sei mai stato sano, tu.”
“Grazie, Fou,
ma non è questo il—”
“Ah!” esclama di colpo Lenalee, che ignora apertamente il balzo di spavento di Fou e Allen sulle loro sedie. “E se fosse stato Lavi a fare qualcosa la notte di
Hogsmeade?” elabora rapidamente, non volendo rimanere indietro rispetto al suo
flusso di realizzazioni repentine. “Qualcosa che tu non ricordi!”
“Tipo cosa,” commenta Allen con
sarcasmo, “baciarmi?”
“Sì, tipo.”
Allen ha già la bocca aperta e la
battuta tagliente pronta sulla lingua, i denti scoperti in un sorriso
canzonatorio che gli incurva le labbra. Ma da qualche parte nel procedimento la
sua mente dev’essersi persa nel mondo
dell’immaginazione, perché la sua faccia si trasfigura tempestivamente in un
pomodoro, e la battuta non lascia mai la sua bocca.
Lenalee ha
il tatto di non scoppiare a ridergli in faccia, a differenza di Fou.
“Me lo ricorderei,” borbotta soltanto
Allen, e in attimo il suo libro di Divinazione ha tutta l’attenzione che il
ragazzo non gli ha mai concesso in cinque anni.
“Ma Allen, se fosse così si
spiegherebbe tutto!”
“Tutto cosa?”
“…tutto!”
“Oddio,” s’inserisce Fou, “Lenalee ha la Sindrome
dell’Amortientia.”
“La cosa?” chiede Allen perplesso.
“La Sindrome dell’Amortentia,”
ripete la ragazza dai capelli rosa cicca con ovvietà. “È andata in fissa con la
vostra love story travagliata e ora
si sente in dovere di giocare la parte del Cupido finché non avrà ottenuto
quello che vuole, cioè che vi mettiate insieme. Io starei attenta se fossi in
te, Allen.”
“Fou ha
ragione, Lenalee, rilassati. È la mia vita, non la
tua. Risolverò la faccenda, in qualche modo, senza che tu debba…Lenalee?”
Ma Lenalee
ha smesso di ascoltare da un po’, e l’unica parola che le rimbomba nella testa
e che catalizza tutta la sua concentrazione, è ‘Amortentia’.
Da qualche giorno l’attenzione di Lenalee cammina sul filo di un rasoio, e la maggior parte
delle volte cade da un lato; Lenalee non si sforza
troppo nel cercare di concentrarsi su obiettivi più utili, come i G.U.F.O., giusto per fare un esempio.
Da una parte del rasoio, ci sono le
vicende romantiche dei suoi amici, che stanno finalmente iniziando a imboccare
il verso giusto, per una buona volta.
Fou ha
appena ammesso di nutrire un qual certo affetto
per Bak. Dal canto suo, Bak
è palesemente cotto da più di un mese, perciò Lenalee
spera vivamente che accumuli il coraggio necessario per dirle qualcosa, perché
di certo da Fou non partirà nulla entro la fine
dell’anno.
Per quanto riguarda Lavi e Allen, beh, l’esperimento con l’Amortentia non avrebbe potuto dare risultati migliori.
“Mi ha chiesto se volevo andare ad
allenarmi nella Stanza delle Necessità con lui, stanotte,” tira fuori Allen di
punto in bianco con voce gongolante, semi sdraiato sul tavolo di fianco a lei,
col mento sorretto dal palmo della mano e un’espressione piuttosto idiota
dipinta sul volto. “Non me lo chiedeva da secoli.” E dopodiché, risprofonda quietamente nella sua bolla di spazio
personale, a fissare con sguardo sognante le monotone scaffalature della
biblioteca.
Dall’altra parte c’è Kanda. Le vengono ancora i brividi di eccitazione se
ripensa al volo sul Thestral dell’altro giorno. Se si
concentra, le sembra di poter sentire di nuovo l’odore di Kanda
mentre tiene la faccia immersa tra le sue spalle, troppo impaurita per
sollevarla; le striature vermiglie di cui è tinto il cielo del tramonto; gli
occhi di Kanda quando sono tornati al castello, il
modo impacciato in cui ha cercato di indagare se le era parso romantico o meno…
Si scioglie al solo ricordo,
sospirando dolcemente nell’aria fresca della biblioteca. In cuor suo spera che Kanda le chieda nuovamente di accompagnarlo nella Foresta,
ma dubita che questo succederà, e lei di certo non osa chiederglielo.
“È fantastico, Allen,” gli risponde,
con sincerità seppur con la testa nettamente altrove.
“Come hai fatto a convincere Komui a partecipare al piano, comunque?” chiede Fou perplessa mentre avvicina a sé uno dei tomi con un
incantesimo di librazione, apparentemente l’unica dotata delle facoltà mentali
necessarie per realizzare che manca davvero troppo poco agli esami finali.
“Ah, è stato facile,” commenta Lenalee, accompagnando le sue parole con un gesto
sbrigativo della mano, “lui è mio
fratello, d’altronde. Gli ho semplicemente detto di mettere un calderone con un
po’ della sua scorta di Amortentia davanti a un banco
e far sì che in quel banco ci stesse Lavi. Gli ho spiegato che era un nostro esperimento.
Che, a quanto ho carpito da Kanda, ha iniziato ad
avere i suoi effetti appena Lavi è entrato nell’aula. Dice di non aver mai
visto Lavi fare una pozione orrenda come quella. E sappiamo tutti che l’unico
motivo per cui a Lavi una pozione non debba venire perfetta, è perché è molto, molto distratto da qualcosa.”
“Così distratto che s’è beccato una
punizione da Komui,”
ghigna Fou perfidamente. “Quand’è l’ultima volta che
quell’uomo ha dato una punizione? Quando quel Corvonero
ti ha ‘importunato’ chiedendoti di uscire con lui?”
“Non penso che quella punizione sia
nulla in confronto a quella che gli darà Kanda per
avergli imbrattato i capelli di pozione fatiscente.” Lenalee
si decide ad aprire svogliatamente il libro di Babbanologia.
“Comunque, se la mia teoria è corretta, cosa che indubbiamente è, questo casuale incidente ha aiutato Lavi a
venire ai patti con i propri sentimenti, e ora ha ripreso a comportarsi
normalmente con Allen proprio perché ha deciso di accettare la realtà.”
Dal canto suo, Allen non sembra
starla ascoltando con molta attenzione, se lo sguardo vacuo e il sorriso
gongolante ne sono una prova sufficiente.
“Allen, devi davvero uscire da questo
stato di trance ora,” gli ordina Fou schioccando
rumorosamente le dita. Lenalee annuisce con la testa,
sentendosi un po’ ipocrita dato che la cosa che più desidera fare ora è tornare
a fantasticare su future e improbabili gite fuori dal castello con Kanda.
Ma Allen si limita ad allargare il
suo serafico sorriso. “Mi sento stupido.”
“Beh, sembri stupido,” lo informa Lenalee.
“Tu sei stupido,” li interrompe bruscamente Fou.
“Ora chiudete la bocca e studiate.”
Lenalee non
riesce davvero a capire.
Sono passate più di due settimane
dall’incidente dell’Amortentia, e guardare Allen e
Lavi interagire si sta rivelando divertente, elettrizzante e allo stesso tempo
puramente struggente.
È come se stessero danzando uno
intorno all’altro, in attesa di un qualcosa
estremamente impreciso che Lenalee appunto non
coglie. Cosa diavolo stanno
aspettando?
Non è che il loro modo di comportarsi
tra di loro sia drasticamente cambiato, eppure ora c’è qualcosa in più che si
coglie osservandoli trascorrere il tempo insieme, a cui Lenalee
non sa dare un nome.
Dal suo punto di vista, quello che
Allen vuole è chiaro come il sole. E dal canto suo, quando pensa che nessuno lo
stia guardando, Lavi si atteggia ad eroe tragicomico. Quindi perché si tira
indietro ogni volta che Allen gli lascia un’apertura per agire grande come una
casa? Non può essere che Lavi non abbia capito nulla…
o forse sì, si sta sempre parlando di
Lavi, che seppure abbia un’intelligenza sopra la media e un’ottima capacità
nell’analizzare la gente, ha anche un potere di auto-persuasione notevole, e
quando si rifiuta di vedere una cosa, semplicemente non la vede.
Forse Lavi ha solo bisogno di
un’ultima spintarella – che Allen d’altronde non gli offrirà mai.
Lenalee è
personalmente convinta che Allen sia impazzito. I due anni passati con la
certezza che non sarebbe mai successo nulla tra lui e Lavi devono avergli
fritto il cervello, e ora che quella certezza è stata smontata dall’evidenza
del contrario, Allen non ha più il coraggio di fare nulla di drastico. Cosa che
non è da Allen, ed è per questo che Lenalee pensa sia
impazzito.
“Ma ora le cose vanno bene, perché
dovrei cambiarle,” le dice sorridendo, un giorno, “è una sua scelta ora. A me
sembra di essere stato… relativamente chiaro.” E Lenalee non può fare a meno di concordare su questo punto,
soprattutto sul ‘relativamente’. Perché per quanto Allen possa far finta di non
saperlo, a suo parere una dichiarazione è generalmente più esplicita di gesti
fugaci e battute maliziose. Ma si astiene dal farglielo notare prima che abbia
finito di parlare. “Se non reagisce, è perché non vuole avere a che fare con me
in quel senso. O ci sta ancora pensando. E a me va bene così, davvero!”
“Senti, perché non glielo dici e
basta?” chiede esasperata.
Questa volta
Allen la guarda come se il San Mungo non fosse abbastanza. “Lena, non posso
dirgli una cosa del genere.”
“Perché no?”
“…
semplicemente non posso.”
Lenalee gli lancia un’occhiata velenosa. “Allora glielo dirò io che ti
piace, almeno se non se n’è reso conto mettiamo le cose in chiaro.” In quel
momento le sembra di ritornare ai tempi delle elementari, quando le coppie si formavano
sempre solo grazie alle generose azioni di un bimbo intermediario. Si odia un
po’ per questo.
La mandibola
di Allen casca verso il basso. “Cosa—No! No, no nonono, Lenalee,
non puoi dirgli nulla!” le ordina con voce strozzata.
“Perché
no?!” ripete lei.
“Perché…” Allen non finisce mai la frase. È allora che Lenalee capisce con sconcerto che per Allen nulla di quello che è successo da oltre
un mese a quella parte rappresenta una certezza come lo è per lei. Nella sua
testa probabilmente, il fatto di piacere a Lavi è solo una possibilità tra le
tante interpretazioni, e che quella che ritiene più probabile è che tutto sia
in realtà una grande, orripilante coincidenza. Così assurda che anche lui
fatica a crederci, ma che non si permette di vedere in altri modi. Non si
permette di illudersi. Perciò ora il suo futuro è basilarmente nelle mani di
Lavi.
Per un lungo
momento, Lenalee non sa se abbracciarlo o lanciargli
contro una maledizione.
Ma non fa
nessuna delle due cose. Si limita ad allontanarsi, innervosita, ringhiando
“Maschi!” abbastanza forte perché la sentano dall’altra parte del castello.
Il giorno dopo, Lenalee
decide che a Lavi quella spintarella serve proprio.
Perciò si alza dalla comoda poltrona
in velluto cremisi accanto al camino e percorre la Sala Comune in direzione del
divano e della persona che vi è seduta sopra.
Quando Lenalee
quel giorno si ritrova per caso nel corridoio in cui sta infuriando il duello
tra Grifondoro e Serpeverde, la prima cosa che vede è la liscia coda nera di Kanda che ondeggia sinuosamente tra una spalla e l’altra
del suo proprietario, mentre questi arresta un incantesimo con un perfetto
Sortilegio Scudo. Il suo cuore si gonfia momentaneamente di fiero orgoglio alla
scena, perché nessuno batte il suo Kanda in un duello – eccetto Allen, ma lui gode della sua
amorevole autorizzazione.
La seconda cosa che vede è una
Fattura Orcovolante colpire in piena faccia Road Kamelot e, per quanto Lenalee sia
contro il risolvere i disaccordi e i conflitti con la violenza magica, non riesce
a provare un briciolo di dispiacere davanti a quello spettacolo – non che si
sforzi molto, in realtà.
La terza cosa che vede, e che quando
vede non può fare a meno di chiedersi come abbia fatto a non notarla subito,
perché salta proprio all’occhio una volta svoltato l’angolo, sono Lavi e Allen
sul pavimento, intenti a baciarsi come se non ci fosse un domani, incuranti dl
resto. Sembrano abbastanza fuori dal mondo, lì, in mezzo al corridoio, con
gente che urla, fatture che volano, e professori che tentano invano di
riportare l’ordine togliendo manciate di punti a chi capita loro sottomano.
Sospetta che se in quel momento il castello crollasse intorno a loro, non se ne
accorgerebbero neanche.
L’improvvisa esplosione di gioia in
lei non l’aiuta a trattenere il grido eccitato di un “Finalmente!” che,
nonostante il frastuono generale, pare elevarsi sopra ogni altra voce e
attirare l’indesiderata attenzione di tutti.
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E fu così che Lenalee giocò abilmente – e con
una certa ossessività – una parte fondamentale nella storia.
Lavi scherza e dice, con tono cantilenante, che ciò che ha trascinato
lui e Allen insieme oltre le difficoltà di quel periodo si chiama ‘vero amore’.
Allen invece ogni tanto lo chiama ‘Lenalee’.
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La Sindrome dell’Amortentia
suppongo che nel mostro mondo si possa tradurre con ‘fangirl-ite
acuta’. Probabilmente in questo capitolo Lenalee è stra OOC, come anche Allen (ALLEN COSA TI HO FATTOOOOO çOOOç se riscriverò questo capitolo lo farò solo per te çOç) , però non ho saputo fare di meglio, scusate xD L’atmosfera che si era andata creato mentre scrivevo non
mi dispiaceva, quindi mi sono lasciata trasportare xD
Alla fine questo era il capitolo
importante di questa storia/raccolta. Non voglio dire che non scriverò i due
rimanenti, però di fatto non sono particolarmente importanti o pieni di grandi
cose belle, quindi… Questo era invece tutto quello
che succedeva al di fuori della testa di Lavi durante SEVEN xD
Immagino che tutti voi vi aspettavate fosse dal punto di vista di Allen, e
INVECE! So’ stronza e l’ho fatto con Lenalee. Spero
comunque che vi sia piaciuto, in ricordo che bei vecchi tempi çwç (wtf)