Jumpin’ in my dreams.

di past_zonk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ~ sand ***
Capitolo 2: *** 2 ~ special needs ***
Capitolo 3: *** 3 ~ l'inizio ***
Capitolo 4: *** 4 ~ incomprensioni. ***
Capitolo 5: *** 5 ~ ultimo giorno a Guadosalam ***
Capitolo 6: *** 6 ~ il ciondolo ***
Capitolo 7: *** 7 ~ zittire ***
Capitolo 8: *** 8 ~ memory of lightwaves ***
Capitolo 9: *** 9 ~ il bosco ***



Capitolo 1
*** 1 ~ sand ***


Image and video hosting by TinyPic...Hi everyone! ~ Come ve la passate? Io sono sinceramente esausta; qui fa un caldo della madonna, sto per evaporare come un gelato e sono tipo alla mia postazione pc con un ventilatore sparato a mille fra i  capelli,  le gallette di riso - buonissime, cazzo - ed una voglia assurda di cioccolato che, cristo, mi ammazzerei. Ecco, sto mangiando un po' di marmellata di ciliegie, il che mi calma assai.
 Dicevo. Questa è una long-fic Aurikku che cercherò di aggiornare con non troppo tempo di ritardo.
 Diciamo tipo non più tardi di una volta al mese ~ diciamo.
 Sono un frana in questo, dovete scusarmi.
Detto ciò, passo ai ringraziamenti. Ringrazio la mia adorata migliore amica Eden, anche se probabilmente non starà leggendo ~ niente spoilers per lei che sta giocando per la prima volta a FFX. Ringrazio le mie adorate groupies che con tanto amore non hanno ancora preso forconi e torcie per minacciarmi del mio eterno ritardo nel pubblicare Cisti. E infine ringrazio Ros The Elphe, per la recensione adorabile dell'altra one-shot :)
Vi saluto ~ eveyzonk

DISCLAIMERS: I personaggi sono di proprietà della Square-enix (più precisamente Squaresoft) e non miei (se fossero miei l'Aurikku sarebbe canon, dopotutto), non scrivo a scopo di lucro (ma prima o poi ci camperò, con le mie seghe mentali, potete esserne certi!) e i fatti narrati non sono - purtroppo - riconducibili alla trama del gioco. Inutile dirvi che ci sono spoilersSsSsS, perché se leggete questa fanfic per me è appurato che vi siete giocati entrambi i videogame ~ byebye people!


Jumpin’ in my dreams.
Capitolo primo - sand.

 

Sentire ancora il sole di Bikanel battere sulla mia pelle è una sensazione che non baratterei con nient’altro. Il caldo tepore che si dipana fuori e dentro me, gli occhi che si strizzano nel tentativo di guardare quella sfera infuocata, le dita dei piedi che s’immergono nella sabbia cocente.
Sorrido beata e resto ancora un po’ in questa posizione, come una lucertola. Una lucertola molto sexy, certo, con bei gusti in quanto vestiti ed una sciarpetta arancione che è la fine del mondo. Seriamente, se avete come modello di stile qualcosa del tipo Leblanc, credo proprio di non poter discutere con voi. E vi parla una che di looksfere ne ha fin su i capelli – letteralmente, sapete.
Comunque. Vegnagun è stato sconfitto, la pace a Spira è stata riportata (guarda un po’ te) dalle stesse medesime – o quasi – persone che hanno donato a questa terra un bonacciale eterno; i chocobo viaggiano felici, i cacciasfere continuano il loro piratesco lavoro, tutti son contenti. Yuna, la mia cuginetta dallo sguardo bicolore, è stata felicemente ricongiunta dal destino col suo amato Tidus; Paine se la spassa con Baralai. Sono una bella coppia, mi dico: si compensano. Anche se probabilmente il ruolo della femminuccia è toccato a Baralai, credo sia un buon compromesso per stare con quella figa stoica di Paine, no? Un buon acquisto, sicuro.
Faccio schioccare le ossa della mia schiena in uno stiracchiamento che mi fa semplicemente sentire meglio; ho sempre avuto un atteggiamento leggermente scoliotico. Qui a Bikanel stiamo ricostruendo la Base, con molta pazienza e manodopera; effettivamente dovrei essere anche io lì ad aiutare – catalogando i materiali necessari o mostrando la mia maestria nel collegare fili elettrici – eppure sento di meritare un certo tipo di riposo. Dopotutto, son tre anni che non ho tregua. Prima il pellegrinaggio, poi il lavoro nei Gabbiani. Dannazione, mi sento una marmotta traditrice e fannullona standomene qui mentre il mio popolo cerca di ricostruire una dimora per tutti, ma non posso farci nulla. Forse è solo colpa di questa sensazione vaga che mi si stende nel petto, come se non potessi comunque avercela, una fissa dimora, come se l’unica vera alternativa di vita fosse viaggiare. Credo sia qualcosa collegato con l’essere Albhed, questa paura della stabilità, del fermarsi, cristallizzarsi, dell’abitudine.
Casa è dove sta il cuore.
Lascio scivolare un po’ di sabbia fra le mie dita con lo smalto consumato, mentre cerco di rassettare i pensieri nella mia testa.
Dov’è il tuo cuore, Rikku? Mi chiedo.
Nel vento di Bikanel, nella rugiada che si posa sull’erba della Piana della Bonaccia, nei cristalli di Macalania che giorno dopo giorno perdono il loro splendore, come te, troppo persi in un passato che non c’è più? O forse il tuo cuore è semplicemente fra le braccia di qualcuno? 
E mentre i miei occhi si serrano e i miei pensieri si rincorrono, sento dei passi venire verso di me. Il lento tonfo di un paio di stivali smorzato dalla sabbia è ritmico ed è seguito da un colpetto di tosse.
-Batti la fiacca, Rì?-
Qualche lacrima s’accalca all’angolo dei miei occhi per colpa della luce solare; mi metto a sedere e guardo annoiata il biondo ragazzo Albhed che torreggia su di me.
-Gippal…cosa desidera vostra maestà?- scherzo.
-Oh, meglio non chiederlo- risponde lui allusivo, con un occhiolino che non gradisco tanto.
Non che non ci volessi provare, davvero, con lui; è solo che è troppo. Troppo insolente, troppo pieno di sé, troppo bello persino. Mi sentirei quasi una sciattona, a stare vicino a quel suo sorriso brillante e quello sguardo malandrino. Ecco, non è fatto per me. Chiamatemi pure stupida o talpa meschina o qualsiasi altro insulto che vi scoppia nella testa, ma io non cambio facilmente idea; no, no, no, no, no: non sono una bambina dalla testa dura. Sono solo una persona sicura delle proprie idee. E speranzosa. Molto speranzosa. Speranzosa a tal punto da concedere a Gippal un’altra chance per provarci con me, pensate. Tipo che sto reprimendo qualsiasi rispostina acida e che cerco di sorridere, ecco. Sono una brava ragazza, dopotutto. Afferro la mano che Gippal tende verso di me e mi lascio issare dalla sua spinta. Una volta in piedi saltello un po’ da una gamba all’altra a causa della sabbia bollente e mi chiedo se si può essere tanto stupidi da non portare scarpe nel deserto.
Ok, Rikku, ho perfettamente compreso che la tua era una sorta di fuga all’ultimo momento dettata dal semplicistico istinto, però, cacchiolino, un paio di scarpette le potevi portare.
-Auch, brucia- mi lamento con uno squittio, mentre Gippal mi guarda incredulo, con la sua ultima trovata in quanto espressioni, ovvero  chi-è-così-scemo-da-camminare-scalzo-nel-deserto?
-Vieni qua- dice, poi, con sguardo ancora più minatorio.
-Eh?- Gippal si gira di spalle e mi fa segno di saltare sulla sua schiena.
-Monta!- mi dice con un mezzo sorrisetto – il secondo oggi, tengo a mente.
Non c’è tempo per esitare, mi dico, i miei piedi si stanno per ustionare e non voglio che diventino gonfi ed enormi come le mani di un guado, quindi prendo un minimo di rincorsa ed in un battibaleno sono sulla schiena di Gippal, le mie gambe nude attorno al suo sterno e rette dalle sue mani.
-Non ne approfittare, cialtrone!- urlo col mio solito tono.
-Si goda la traversata, madame!- mi dice, stranamente gentile.


 

Abbiamo montato questa sorta di tendopoli, nel deserto, poco lontano da dove prima c’era la base, diciamo fra il luogo dove facciamo i nostri scavi e le rovine. Stanotte, come tutte le notti qui, un cielo stellato veglia sui nostri sogni.
Siamo sempre stati un popolo di sognatori; le nostre scoperte sono quasi sempre nate dalla nostra irrefrenabile fantasia e voglia di re-inventarci; persino il gusto nell’abbigliamento lo dimostra. In passato era sicuramente meglio delle lunghe vesti yevonite, anche se alla mente mi salta qualche scelta più…carina, come per esempio…Oh, ok, niente.
Certo che il vento del deserto è proprio freddo; l’escursione termica è altissima. Entro nella nostra tenda e trovo papi – sudato e stanco – russare sul letto, ancora vestito. Non ho il coraggio di svegliarlo, quindi passo avanti e cerco una felpa larga da indossare. Scavo tra il cumulo di vestiti come una talpa cieca, al buio, tastando e sperando d’avere un po’ di fortuna nel trovare ciò che cerco. Poi sorrido. Ho sempre avuto fortuna, yeah, ed ora la felpa che cercavo è fra le mie mani. Esco di nuovo nella notte del deserto per osservare le stelle, al calduccio. Mi abbraccio le ginocchia con le braccia e giocherello con una pianta grassa che è lì.
Fratello è ancora sveglio a lavorare con qualche macchina, noto infatti che la sua tenda è ancora illuminata dal lumiere. Mi alzo e lo raggiungo, salutando.
-Hey! TU! Pniddy dnytednela clyhcyvydelra! ( brutta traditrice scansafatiche; ndA) Dov’eri?- Mi dice.
Faccio una linguaccia a Fratello ed esco dritta dalla tenda, troppo annoiata per mettermi a discutere con lui. Mi guardo intorno, poi abbasso lo sguardo verso i miei scarponcini, notando una macchia d’olio di motore che – immagino – andrà via solo dopo una mezz’ora di assiduo olio, appunto, di gomito; un bel lavoraccio.
-Uff, che noia-
-De yhtnappa yhtyna jey ty xie?- (Ti andrebbe andare via da qui?)
-Gippal?-
-Mi annoia da morire starmene qua- continua.
Mi siedo fra la sabbia, stringendomi nella mia felpa. Fa freddo. Lui si siede accanto a me, con quel sorriso che a tratti gli strapperei dalla faccia.
-Che avrai da sorridere sempre, te…- dico, ironica e acidognola.
Ride. Poi mi guarda.
-Mi chiedo proprio cosa sia successo, che ti ha cambiato così tanto. Gli altri potrebbero non notarlo, ma io ti conosco da tanto di quel tempo… Da quando c’era ancora Kayakku. Dalle scarrozzate sotto il sole di Bikanel e i giochi nella Base.-
Guardo il cielo. Un senso di colpa mi chiude la gola. Ho lasciato davvero andare via tutti quei ricordi come se fossero niente.
Quando succede qualcosa di importante nella tua vita, è come se i momenti antecedenti si mettano un po’ da parte, sapete. M’ero quasi dimenticata di quel periodo. I baci rubati all’ombra di una piccola tenda per ripararci dal sole, Gippal non ancora così arrogante, Kayakku…Io e Fratello che facevamo esplodere petardi sotto la tavolata enorme che avevamo alla Base; quando quel kayactus punse Gippal ed io con la mia pinzetta per le sopracciglia gli estrassi le spine, una ad una, ridendo ad ogni nuova imprecazione inventata dal biondo. Era divertente. Poi Papi ci disse che avremmo dovuto metterci in moto, per salvare gli invocatori, perché non era giusto lasciare che si sacrificassero per portare un nuovo, effimero, bonacciale. Ero così furiosa per questo; pensavo davvero di poter cambiare le cose – se l’avessi voluto abbastanza, mi dicevo, potevo salvare Yunie e tutti gli altri, potevo trovare un’alternativa per eliminare Sin. Accettai subito di partire, presi i miei occhiali da aviatore e mi preparai.
Gippal decise di non unirsi a noi, e prese la sua strada; a quel tempo ero persa per lui, sul serio. Lo salutai con un bel sorrisone. Non mi sono mai piaciuti gli addii, e poi trovo stupido renderli ancora più strazianti piangendoci su; quindi, anche quella volta, sorrisi mentre dicevo addio. Come ho sempre fatto, d’altronde. Il ragazzo di cui ero persa se ne andava via e chissà quando l’avrei re-incontrato, in quell’odioso mondo di yevoniti accaniti contro noi, ed io sorridevo. Che razza di ragazza sono? Alzo gli occhi al cielo al pensiero.
-Forse è che sono cresciuta, sai- dico, ironica
. -No, io credo sia successo invece qualcosa che t’abbia ferito- risponde il ragazzo. È strano vedere Gippal così serio, anche se non ci metto tanto a ricordare che era proprio questo lato di lui ad avermi rapita, il saper essere così solare ma allo stesso tempo quasi empatico, come se capisse le persone. È una bella qualità. Sempre che tu non ti trovi di fronte ad un individuo talmente chiuso da essere illeggibile, naturalmente.
Comunque. Passiamo avanti.
-Il pellegrinaggio non è stato una passeggiata- rispondo, restia a parlare di me. Rikku aperta, Rikku solare, sì, ma quando si tratta di dover davvero parlare dei miei sentimenti, beh, non so davvero da dove cominciare. Ed ora non è il momento migliore per ricordare.
-Sono stanca, Gì, vado a letto. Grazie per la chiacchierata, a domani-
-A domani…- mi risponde con un sorrisetto stentato.
Gli do una pacca sulla spalla e mi dirigo verso la tenda dove Fratello dice d’aver quasi finito con quella ricetrasmittente. Mi lancio nel lettino senza neanche cambiarmi o disfare le coperte. Non ci metto molto a prendere sonno, nonostante il lumiere ancora acceso. Mi lascio cullare dai rumori delle piccole scosse elettriche prodotte dalla ricetrasmittente rotta. Decido quasi d’addormentarmi per scappare ancora una volta ai miei pensieri.


 

Quando riapro gli occhi sono stesa sulla battigia del Fluvilunio. Tutto è avvolto da una strana aura di nebbia che – razionalmente, mi dico – è tipica dei sogni.
Stai sognando, stai calma.
Mi metto a sedere ed osservo il meraviglioso tramonto che si riflette sull’acqua leggermente acquitrinosa del magnifico fiume. Il lento scrosciare dell’acqua mi rilassa e mi intristisce all’unisono.
Un inizio di malinconia mi sboccia nel petto, osservando i lunioli rincorrersi fra loro come fossero vivi. Nella loro iridescenza translucida, riflettono sulla mia pelle i loro mille colori. Quanti ricordi mi saltano alla mente, quante immagini attaccano il mio cuore, tutt’ad un tratto!
Perché sono qui?
E, quasi a rispondere alla domanda che mi sono posta, sento un tocco gentile sulla mia spalla. Chiudo gli occhi; freddo, come…come se fosse un guanto di pelle.
Sospiro.
È lui.
Perché mi hai portato qui?
Sento un leggero peso sulle spalle che qualifico come un abbraccio. Chiudo gli occhi maledicendo questa dannata sensazione di tristezza che mi blocca la gola. Avrei così tante parole da pronunciare, discorsi immensi e mille mille cose da dirgli, eppure, ora che è qui, sento davvero che è solo un sogno. Niente più che un’immagine della mia mente. Certo, un bellissimo abbraccio, ma è esattamente alla stregua della falsità delle visioni che si hanno nell’Oltremondo. Niente di più, niente di meno. Ecco perché chiudo gli occhi più forte che posso e prego che tutto finisca in fretta, come se fosse un terribile incubo.
Vederti, e non poterti parlare, e sapere che tu non ci sei più, è il dolore più vivo che conosca. E non importa il tempo che è passato, gli anni che lenti sono sgocciolati via da me come se niente fosse. Non la faccio troppo drammatica. Il pensiero di te ha permeato tutto. Mentre Gippal mi sfiorava la guancia, uno di questi giorni, non era niente se non le tue dita, a toccarmi. ~ Perché sei qui, dannazione? ~ Mi alzo sulle mie gambe e scappo via dal tuo abbraccio. Sono alle tue spalle. Osservo la schiena forte e robusta, la casacca rossa sulle tue spalle che si alzano e s’abbassano in un lento respiro. Osservo i tuoi capelli corvini guastati qui e lì da qualche tocco di grigiore. Le tue mani coperte dai soliti guanti di pelle. E davanti a te il Fluvilunio. Perfetto, questo quadro di morte e speranza e luce e tristezza e malinconia.
-Ti odio!-
Rimani impassibile.
È un sogno, cosa importa dopotutto?
Ti vengo vicino e sento il tuo odore. Nelle mie narici è forte, nella mia mente è sempre rimasto impresso, da quando quel giorno mi cedesti la tua giacca. È sempre dentro me, il tuo odore. Patetico, vero? Ti spintono un po’, arrabbiata e delusa. E, penso, è la prima volta che lo sogno, da quando è scomparso…
-Non lo meritavo! Dovevo essere felice!- lo spingo ancora un po’, ma non lo guardo in faccia. Non ne ho il coraggio; non potrei mai sostenere quel suo sguardo bronzeo.
-Sei davvero stato crudele…- sussurro piano, la rabbia spirata via.
Auron alza una mano verso di me, mi sfiora la guancia, mi prende il mento. Non c’è bisogno che parli, lo so…è come la prima volta che spuntai fuori dall’acqua, tutta bagnata e sudata come un hypello su Bikanel, quando Tidus mi guardò con quello sguardo da pesce lesso ed io gli dissi che per poco non m’avevano fatto fuori.
E poi divenni una guardiana, ed Auron m’aveva preso come oggi il mento e m’aveva chiesto – con severità e gentilezza, allo stesso tempo – di aprire i miei occhi, di guardarlo, ed aveva sorriso – cacchio, aveva sorriso  a me. Apro gli occhi, ora, come quella volta, ed ecco il suo sguardo maledetto su di me. Bronzeo, fermo, severo, riflessivo. È silenzioso. Davvero realistico come sogno, devo dire. Sento che è meglio restare in silenzio. La rabbia è volata via, resta solo un senso di vuoto.
Mi siedo ancora sulla sponda di quel fiume tutto illuminato e guardo il tramonto. Le sfumature arancioni e viola che prende il cielo, le nuvole rosate che spiccano su quella tela vergine. È stupendo. Con un coraggio meschino che sono capace di trovare solo nei sogni, poggio la mia testa sulla sua spalla.
-È ok, sai, se ogni tanto mi vieni a trovare in sogno-
Gli parlo come se credessi davvero di avercelo davanti, Auron, mentre invece sono convinta sia solo una strana tortura della mia mente, questo sogno. Ho bisogno di credere sia lui. Ho così tanto bisogno di lui. Anche se dentro me vorrei andare avanti a tutti i costi, so perfettamente di non voler dimenticare. Perché dimenticare significherebbe semplicemente eliminare dal mio cuore tanti di quei momenti stupendi, significherebbe cancellare le sensazioni più belle della mia vita. Significherebbe dimenticare lui…



 

Quando mi sveglio vengo istantaneamente colpita da un mal di testa lancinante che mi fa chiudere gli occhi d’istinto. Resto ancora qualche minuto stesa nel lettino a lamentarmi, dopodichè mi guardo intorno. Fratello non c’è, il sole è alto nel cielo, dev’essere circa metà mattinata, suppongo. La tenda è di un disordine unico: mai vista una cosa del genere dai tempi dell’aeronave durante il pellegrinaggio – quando c’era così tanta gente a bordo che non sapevamo dove ficcare la roba. Non so dove pesco il coraggio di alzarmi (con un leggero giramento di testa) e rifare il letto meglio che posso. Metto qualcosa in ordine, anche se ora come ora l’unica cosa che avrei bisogno di riordinare sono i miei pensieri; ma non ci provo. Non penso neanche, troppo spaventata di passare l’intera giornata (o forse una settimana!) con un’emicrania lancinante.
Metto ai piedi un paio di sandali aperti e afferro con le dita i lacci dei miei scarponcini, issandomeli su una spalla, per poi dirigermi fuori la tenda.
-Vnydammu!- (Fratello! ndA) urlo, cercando quella testa calda.
-Rikku?- lo vedo spuntare da dietro una tenda, con la sua solita faccia da idiota patentato. Ridacchio.
-Vado sull’areonave, ho bisogno della cabina. Ho sonno e qui fa troppo caldo. Voglio farmi una doccia decentemente e devo farmi pulire gli scarponcini da Oste-
-Mhm…-
-Dai!- batto i piedi per terra come fossi una bambina, pretendendo una risposta positiva alla domanda velata che gli ho posto.
-Insomma, posso andarci o no?- gli chiedo, facendogli una linguaccia.
-Ok…ok!- risponde alzando, teatrale, le mani al cielo e facendo una faccia esageratamente infastidita.
Annuisco e poi mi dirigo verso il cuore del deserto. L’aeronave è  parcheggiata vicino l’Oasi, quindi mi preparo a fare un bel bagno di sole; porto con me anche la mia adorata God Hand, non si sa mai.
Nel deserto cammino a passo sostenuto, fermandomi di tanto in tanto ad osservare il cielo limpido oppure i cartelli d’avvertimento sulla presenza di mostri. Di tanto in tanto vengo attaccata da qualche lupo del deserto, ma è tutto ok, sono diventata abbastanza esperta in queste cose, oramai. Quando uno Zuu mi ruggisce contro, violento, lancio una granata stordente e me la filo, troppo pigra e stanca per affrontarlo. Cammino sotto il sole con la mia borraccia d’acqua legata alla cinta della solita minigonna – il mio outfit preferito. Dopo un po’ di cammino, sento il bisogno di fare una piccola pausa sotto una delle tende posizionate su una duna; mi siedo all’ombra e detergo il sudore dalla mia fronte con il dorso della mia mano.
-Oufh, che faticaccia- Sento il sudore aderire al mio corpo come una seconda pelle e mi sento a casa.
Sempre meglio del gelo del Gagazet, mi dico. Sorrido al pensiero. Certo che me la passai proprio brutta su quella montagna, eh! Il mio abbigliamento era…come dire…non proprio congeniale a quelle temperature, infatti ricordo ancora che tremavo come una foglia tra la neve e le stalattiti. Solo quando giungemmo nella grotta verso Zanarkand riuscii in qualche modo a calmarmi, anche grazie alla casacca rossa che lui mi mise sulle spalle. Beh.
Eravamo tutti così stanchi, lì. L’unico modo per trovare la forza di andare avanti era sostenerci l’un con l’altro, lo sapevo, per questo continuavo ad essere solare nonostante tutto. Avevo il fuoco di Bikanel nelle mie vene, e la forza di volontà di una quindicenne impaurita dalla morte delle persone che ama. Ricordo ancora le nostre occhiaie e le voci fioche che in certi momenti neanche provavano a fare conversazione. Il suo sguardo spento e stanco di vivere…come se da troppo tempo ormai stesse vagando su Spira. Solo ora capisco veramente il perché di quella sua malinconia perenne.
Persa ancora fra i miei ricordi, mi alzo sulle ginocchia abbronzate e decido che la mia pausa è finita. Mi rimetto in marcia con passo leggermente più veloce, impaziente di raggiungere l’aeronave e farmi una dormita in tutta comodità, nella pace e nella solitudine giusta per decidere cosa fare nel futuro più prossimo. Mentre saltello una buca nella sabbia, il mio piede viene afferrato da una di quelle piante grasse che si trovano sempre disseminate in questo lato del deserto.
-Dannazione!-
Con l’altro piede sferro un calcio proprio al centro del fiore che sta sulla pianta, riuscendo a farle mollare la presa sul mio polpaccio. Mi preparo a combattere. La pianta cerca di colpirmi con una scarica di semi, ma io la schivo saltellando nella direzione opposta, poi affondo un colpo con la mia God Hand, facendo una giravolta su me stessa.
-Colpita!-
La pianta tenta un altro attacco, e questa volta mi colpisce di striscio la spalla nuda. Sferro un altro colpo, che questa volta fa esplodere la pianta in un luccichio di lunioli. Ricado sulle ginocchia fra la sabbia, emettendo un sospiro di stanchezza e asciugandomi ancora una volta il sudore dalla fronte.
-C’è mancato poco-
La spalla è leggermente rossa e dolorante, niente di che; il polpaccio mi fa un po’ male, ma credo di poterci camminare su. Ho decisamente visto di peggio, come quella volta in cui Paine si tagliò contro un ghiacciolo di Macalania per schivare la scarica di Idrora di un Budino d’acqua. Yuna indossò la looksfera Biancarcano, e riuscì a risanare la ferita, anche se mi spaventai a morte a guardare quella brutta ferita al braccio. Brrr, era orribile.
Proprio mentre mi rialzo, in un secondo, vengo colpita da un forte colpo d’aria, che mi fa ruzzolare nella sabbia.
-Che cacch…-
-Rikku!-
Cerco di riaprire gli occhi, e per un primo momento l’unica cosa che vedo è il cielo sfocato, poi metto a fuoco e vedo Gippal cercare di distrarre lo Zuu di prima, indiavolato nero per la granata stordente, suppongo. Mi rialzo in piedi, un po’ barcollante, e pesco nelle tasche della mia cinta, fino a trovare una looksfera conosciuta. Ci vogliono pochi secondi per trasformarmi in una perfetta pistolera. Gippal mi guarda confuso mentre spara allo Zuu con il suo fucile.
-Rikku?-
-Al tuo servizio, baby!- urlo prima di scaricare una pioggia di colpi sull’enorme ed inquietante uccello nero dalla lingua viola. Gippal sorride per poi sparare anche lui al nemico, che questa volta è definitivamente K.O.
-Nice job!- esulto, saltando in aria con entusiasmo; poi disattivo la looksfera tornando al mio solito completo, minigonna più reggiseno e sciarpetta. Riafferro gli scarponcini che m’ero fatta cadere durante lo scontro, e m’avvicino a Gippal.
-Grazie- gli dico con un sorriso. Gippal fa una faccia molto poco modesta
-Anche se ce l’avrei comunque fatta…- osservo, continuando.
Gippal spalanca gli occhi. -Ingrata, tsk- aggiunge, per poi incrociare le braccia offeso.
Gli spunto alle spalle e gli do un affettuoso schiaffetto sul collo, scherzosa. -Dov’eri diretto?-
-Ehm…ad ovest- dice, grattandosi il mento.
-Gippal?- incrocio le braccia ed sfoggio la mia saputella faccia annoiata.
-Sì?- sorride con i suoi denti perfetti.
-Mi stavi seguendo?-
-No…cioè…forse. Diciamo che ero solo curioso- Metto il broncio e mi sento davvero nervosa. Se c’è una cosa che non sopporto è l’invadenza, anche se sono assolutamente consapevole d’essere la prima ad esserlo. Comunque questi son dettagli.
-Io sono diretta all’oasi, sull’aeronave. Vuoi venire?- gli chiedo, dicendomi che tanto oramai siamo in gioco.
-Sì, ovviamente!- risponde mettendosi già in marcia, con le braccia dietro la nuca, proprio come un perfetto malandrino.


 

Quando arriviamo all’Oasi siamo sudati e allegri. Gippal può essere invadente e arrogante, però sa essere davvero di buona compagnia quando vuole.
Ecco qual è sempre stato il problema: lo è solo quando lo decide lui.
Saliamo sull’ aeronave, e sono esausta. Arrivata alle cabine saluto velocemente Oste e mi getto sul mio letto, sudata e stanca. Gippal gironzola un po’ in giro.
-Quindi è con questo che viaggiavate in lungo e in largo, eh?- mi urla, dal piano inferiore.
-Già- rispondo, alzando la testa per osservare la sua espressione. Sembra ammirato.
-Gippal, io vado a farmi una doccia, tu mettiti pure comodo, fatti un giro, fai quel che ti pare- dico, alzandomi e controvoglia camminando fino ai bagni.
-Ok!- risponde.
Spero non prenda troppo alla lettera il mio fai quel che ti pare; lo conosco, potrebbe risolversi in qualcosa come un mega-festino di giovani Albhed scalmanati sulla nostra aeronave appena messa in ordine dal povero Oste. Entro a piedi scalzi nel bagno ed attivo il dispositivo d’acqua fresca. Le mattonelle del bagno sono davvero carine; incredibile quante comodità avevano 1000 anni fa, no? Mi sfilo i vestiti di dosso ed entro nella cabina doccia, dove un getto d’acqua tiepida mi colpisce la pelle accaldata. Mi siedo su un apposito ripiano di marmo e inizio, lentamente, a sciogliere le treccine che mi ricoprono la nuca. Cerco di rilassarmi. Resto nella doccia per un quarto d’ora buono. È mia abitudine riflettere assiduamente mentre mi pettino oppure mentre faccio un bagno; lo so, lo so, non sembro esattamente il tipo di persona che riflette molto. Evidentemente conoscete solo la Rikku allegria, sprizzi e sollazzi, viva la vita, e così via. Quella che non sta zitta un attimo ed esalta qui, esalta li. Quella che quando le fai un torto ti chiama meanie e ti fa la linguaccia. Quella che quando c’è un silenzio pesante non esita a distruggerlo con una battuta random. Beh, sì, sono  prevalentemente quello. Però – perché se c’è una cosa che ho imparato è che c’è sempre un però – c’è anche un altro lato di me. Quello silenzioso e riflessivo che raramente si manifesta, ma che dentro me è sempre un po’ presente. E comunque annoierebbe tutti, se fossi silenziosa. Certo, Paine lo è, ma Paine – come una più estesa categoria umana – è dotata di quel certo fascino che col silenzio rifulge ancor di più; il fascino del maledetto, diciamo. Ecco, quello proprio mi manca.
Il fascino del silenzioso a te invece non mancava per niente…
Mi ritrovo a pensare a lui e mentalmente mi sgrido. Riapro gli occhi e sono davanti lo specchio con un asciugamano attorno al corpo ed i capelli bagnati sulle spalle. Mi rivesto velocemente, lasciando che i capelli scendano in maniera naturale sulle spalle. Mi appoggio al banco di Oste e gli lascio gli scarponcini, sorridente. Sono di buon umore, nonostante tutto. Gironzolo per il corridoio dell’aeronave cercando Gippal, fischiettando; entro nell’ascensore.
Poi, neanche il tempo di selezionare ponte come meta, l’aeronave ha uno scossone ed io quasi cado. Mi mantengo alla ringhiera dell’ascensore.
-Cosa cacchio?-
Perché l’aeronave si sta muovendo? Sento i motori azionarsi e poi ho la stessa sensazione di vuoto che mi riempie lo stomaco ogni volta che Fratello fa decollare questo aggeggio. -GIPPAL!- urlo con tutto il fiato che ho in gola, avendo già capito la tiritera.
Non posso credere l’abbia fatto! Ed io che mi sono fidata a lasciare solo un tale individuo in totale cattività! Non ci posso credere. Sta facendo decollare questa cacchio di aeronave.  Faccio fermare l’ascensore sul ponte di comando e sento le mie ginocchia tremare dalla rabbia.
-GIPPAL! TU, BRUTTO BABBUINO PUZZOLENTE!- gli sono alle spalle. La vetrata dell’aeronave mostra il cielo quasi terso e le nuvole quasi spostarsi con noi ad una velocità assurda. -Almeno la sai guidare?! Bene! Benissimo! Mi mancava solo sentirmi Fratello nelle orecchie per il resto della mia esistenza! Eh no, ma io do l’intera colpa a te, eh. Oh sì. E poi vedrai se quel tuo bel faccino rimarrà tale! Eheh!-
-E calmati!- urla quel brutto ceffo, totalmente divertito dal guidare quella bestia.
-Questo gioiellino ruggisce!- esclama, impugnando il manubrio tutto pieno di sé.
-Dove sei diretto, almeno? Posso saperlo sì?-
La rabbia pian piano si sta esaurendo. Dopotutto, non volevo io stessa partire?
Sì, ma non con Gippal. 
Sospiro.
-Non so. Dove vuoi andare, baby?-
-Chiamami di nuovo in quel modo e giuro che ti stacco il naso a morsi-
-Come sei dolce- ridacchia.
-Andiamo…a Besaid- rifletto. Yuna sarà sicuramente furiosa; non la vedo da un mesetto.
-E Besaid sia!- esclama, raggiante, Gippal.
-Fratello ci ucciderà- mi lamento.
-Mannò, vedrai che capirà la nostra fuga romantica…-
-Non è proprio per niente una fuga romantica! Diciamo tutt’al più un rapimento!- Gippal sbuffa.
-Fatti da parte- E, che-stranezza-non-ci-posso-credere, Gippal si sposta! Obbedisce al primo richiamo. Mi siedo al posto di guida ed imposto il pilota automatico, dopodichè mi alzo in piedi. Gippal mi osserva in silenzio.
-Che c’è?- gli chiedo, alzando un sopracciglio.
-Sei molto bella con i capelli sciolti, sai-
Arrossisco e abbasso lo sguardo. -Gippal…per piacere-
Mi dirigo verso le cabine. -Mangiamo qualcosa?- gli chiedo, per sviare il discorso da qualsiasi complimento o presunto tale lui mi possa fare.
-Ovvio! Sto morendo di fame!-



 

Besaid è perfetta. Le onde si infrangono fragorose contro il legno del molo; l’odore del mare è forte nelle mie narici, delicato e possessivo allo stesso tempo. C’è questo rumore di risucchio, mentre l’acqua s’incaglia in un interstizio della banchina, che guida il flusso dei miei pensieri.
Besaid è proprio perfetta. Il sole scalda, ma non troppo, non come a Bikanel, no: è parsimonioso. Ricopre ogni cosa, ma si fa da parte nella piccola foresta dove, lussureggianti e magnifiche, crescono le piante che donano a quest’aria la leggerezza di cui è dotata. Il colore del mare è un blu pieno, corposo: se guardi bene puoi vedere il fondale, mille alghe e coralli e pesci che nuotano e sguizzano fra la flora. È bellissimo qui.
Sorrido all’orizzonte di questo primo pomeriggio, quasi mi vien voglia di tuffarmi e perdermi nella freschezza di quest’acqua, ma resisto alla tentazione, alzandomi di nuovo in piedi per guidare Gippal fino al villaggio.
-Non c’eri mai stato, a Besaid?-
-Sì, certo…è davvero un bel villaggio; certo, forse un po’ arretrato…-
Camminiamo sulla sabbia con facilità e raggiungiamo la lunga strada inframezzata da qualche pontile che so ci condurrà a Besaid.
-Non è una nota del tutto negativa, questa, sai- gli dico, come per fargli capire che qualche volta è bello star lontani dal trambusto e trovare la propria calma, la propria dimensione. Sto diventando proprio una scimmia pensatrice, eh, ultimamente? Non mi riconosco. Sarà che dormo poco e sogno tanto…mhn. Chi lo sa.
Arriviamo al villaggio in poco, evitando qualche mostro; alle porte del villaggio chiudo piano gli occhi e prefiguro quello che succederà; Yuna incacchiata, Tidus giocherellone, Lulu protettiva, Wakka che alluderà su qualcosa tra me e Gippal.
Le capanne sono nella loro solita disposizione, se lo sguardo vaga si scorge il tempio. Faccio qualche passo sul terreno sdrucciolevole e mi guardo intorno: c’è la ragazza del negozio di oggetti, quella che fila i tessuti, quell’adorabile cagnolino. C’è Wakka.
-Wakka!- urlo, camminando a passo sostenuto verso di lui.
-Rikku! Da quanto tempo, ah?-
-Ehm…salve- saluta Gippal con un sorrisetto.
-E lui? È il tuo ragazzo? Eheh!- ridacchia Wakka.
-Come previsto- dico, sbuffando –Sapevo l’avresti detto, caro vecchio scimmione! No, non è il mio ragazzo!-
-Oh, ok ok, tanto Lù me lo dirà quando ti confiderai-
-Sì, certo, ti dirà quanto sei scemo- gli dico, affettuosamente.
-Andiamo, su, vieni a salutare gli altri- Wakka mi conduce nella sua tenda dove Lulu è col piccolo Vidinu e Yuna sta cucinando qualcosa.
-Ehm ehm- cerco di attrarre la loro attenzione. Lulu è la prima a girarsi, e a salutarmi con un –Eccoti – secco e ponderato. Ora è il momento di Yuna che, oh dio, urla un –TUUUUUUUU!- per poi aggrapparsi al mio collo neanche fosse una scimmia urlatrice. Caspitolina! Dopo i convenevoli ed un  Tidus è alla laguna a nuotare, e dopo che Lulu ha lanciato le rispettive occhiate di studio a Gippal, iniziamo a chiacchierare di tutto, del più e del meno, di come Vidinu sia cresciuto e di quanto Yuna e Tidus siano felici e contenti. Parliamo di Paine, del fatto che neanche lei si sia fatta vedere – ma Yuna ha qualche cosa che non le permette di viaggiare?  - mi chiedo – e Gippal riesce addirittura a far mangiare la pappa al bimbo tramite la sua ineccepibile calamitosa attrazione di simpatia. Insomma. Una cosa in famiglia. Quando Tidus torna e mi saluta, mi sale un groppo di nostalgia alla gola che è un qualcosa di assurdo. La compagnia è quasi al completo, mi vien da pensare. Manca solo Kimahri e..., sì, ed Auron.



 

Il cielo stellato di Besaid è uno spettacolo meraviglioso. Siamo tutti seduti attorno ad un fuoco acceso nella piazza di Bevelle, proprio di fronte al tempio dove, udite udite, io e Gippal dormiremo stanotte.  Vedila come una sorta di locanda, oramai non è più un tempio di Yevon, mi ha detto Yuna, ma la cosa continua comunque ad inquietarmi. E ne ho tutte le ragioni del mondo. Primo, perché è surreale ed è silenzioso ed è pieno di strane ombre. E secondo perché ci sono ancora quelle statue abnormi di zio Brasky e gli altri invocatori. Vabè.
Tidus è seduto affianco a Yuna, sudato e stanco della faticaccia che io e lui abbiamo fatto per accendere il fuoco alla vecchia maniera, quando Lulu era stanca e noi dovevamo riuscirci. Oppure quando Auron ci imponeva di sviluppare un minimo di padronanza degli incantesimi neri di base e dovevamo semplicemente lanciare un fire sul mucchio di legna.
-E…e ti ricordi quando abbiamo regalato la liquirizia a Kihmari e lui ha sorriso?- continua Tidus nel suo perpetuo ricordare.
-Sì! E…e quando, quando alla Piana della Bonaccia Wakka cadde dal chocobo?- dico cominciando a ridere, divertita.
-Ma perché non ricordi quando arrivammo alla Piana dei Lampi? Quel musolungo di Auron proprio non voleva fermarsi!- dice Tidus. Per un attimo nella mia testa ritorna lo strano sogno di questa notte, quel suo sguardo su di me, così realistico.
-Rikku?-
-Oh, sì, scusa…stavo appunto ricordando- dico con un piccolo sorriso.
-Io sono molto stanca, vado a dormire. Gippal, quando vuoi venire…beh, io vado- continuo.
-Resta un altro po’ con noi!- chiede a Gippal Tidus – che ringrazio mentalmente, per precisare. Ho bisogno di un po’ di silenzio.
-Ok, ti raggiungo dopo Rikku- mi dice Gippal con un sorriso. Yuna alza un sopracciglio nella mia direzione e si alza, per accompagnarmi nel tempio.
Mentre saliamo la scalinata, con voce totalmente casuale mi chiede –State insieme?- e alla mia risposta (un secco e sincero no) rimane un tantino titubante.
-Perché no?-
-Perché sì invece?- domando. Yuna alza le spalle. Entriamo nel tempio ed è esattamente come immaginavo; buio, troppo profumato, ogni rumore rimbomba qui dentro. Insomma insopportabile. Ci sono le solite statue.
Il mio letto è in una delle stanze dedicate ai vecchi sacerdoti, che ora qui a Besaid sono solo due e dormono entrambi nell’altra stanza. Qui c’è anche un altro posto per Gippal, ovviamente.
-Yuna, io ho sonno…potresti per piacere?-
Yuna è leggermente contrariata, si corruccia -Rikku…cos’hai?-
-Niente, Yunie, solo stanchezza- le dico, col sorriso più rassicurante che ho -E brutti sogni che faccio da un po’…- aggiungo con sincerità.
-Capisco. Domani me ne parlerai- mi dice con un dolce sorriso. Annuisco, e la vedo avviarsi verso l’uscita. Mi infilo quasi immediatamente sotto le coperte e, tempio o meno, non ci metto molto ad assopirmi, stanca davvero come sono. Mi lascio avvolgere dalla sensazione di indeterminatezza e di sacro che ancora aleggia su questo posto, mi lascio totalmente disarmata a vecchi ricordi e sensazioni…


 

Riapro gli occhi sull’ennesimo sogno. Sono sul Fluvilunio, ancora. Il cielo questa volta è scuro, è notte fonda. I lunioli danzano nel buio, ancora più suggestivi. Rilucono di mille sfumature, mi incantano, mi ipnotizzato con quella loro sinuosa e perfetta danza.
Mi guardo le mani, e sono leggermente ferite. Hanno taglietti qui e lì, come se stessi ancora in pellegrinaggio. Ferite da mostri, causate dal tagliare la legna oppure dall’esplorare boschi. Ferite da viaggio, le chiamerei.
Sospiro forte.
Chiudo gli occhi, e – quasi fosse un rituale – aspetto il tocco leggero di una mano fredda dal guanto di pelle. Lo aspetto con tutta me stessa, in quel buio corposo. Dopo pochi minuti di solitudine sento qualcuno sedersi al mio fianco. Non mi serve girarmi ad osservare il soggetto, sento già il suo vivo odore qui vicino e il suo pneuma. Il suo leggero respirare ed espirare, l’aria raschiare contro i suoi polmoni e riuscirne insieme col suo profumo. Il profumo è fratello del respiro.
-Auron…- sussurro lentamente.
In questo sogno non sono né triste né arrabbiata. Sono calma.
-Cosa devo fare con Gippal?- gli chiedo.
Ed è come se tu gli stessi chiedendo di lasciarti andare, Rikku…come se stessi chiedendo a te stessa di dimenticarlo per fare spazio al futuro, te ne rendi conto?
Ma non lo voglio davvero. Non voglio perderlo, non voglio che il suo ricordo così dolce e doloroso scompaia via dal mio cuore...
Mi stringo al caldo petto di Auron e struscio la mia guancia contro la stoffa della sua casacca carminia. Lui è silenzioso. Resto così per un tempo lunghissimo, finché lui non mi lascia un leggero bacio fra i capelli, finché non mi sveglio, nel buio del tempo, con una patina di sudore gelido che mi riveste il corpo, con il leggero respiro di Gippal a pochi metri da me.









 

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Capitolo 2
*** 2 ~ special needs ***




Image and video hosting by TinyPic ...Eccomi ancora qui :) ~ ebbene sì, sono ancora qui a rompervi le palle! Questa fanfic mi sta prendendo proprio assai, mi sto appassionando alle faccende ed ho tutto precisamente stampato nella mia testa; quello  che dovrà essere, che dovrà succedere. Bene. In questo capitolo - a fine capitolo, per precisione - la svolta che tutti aspettavate! (e visto che ho poco seguito, posso azzardare a dire la svolta che io e
 Michela aspettavamo
- ciao baby! :'D).
 In questi giorni ho riflettuto tanto, riguardo all'Aurikku, a loro due, a come potevo rendere la storia plausibile. Non voglio niente di campato in aria, sapete.
 Ed ho ripreso a non dormire quasi per niente, il che sicuramente ha influenzato l'andamento della storia, perché di notte i pensieri proliferano e il posacenere si riempie e la mente vola ~ lo sappiamo tutti questo.
Un paio d'avvertimenti prima d'iniziare il vero e proprio capitolo: vi consiglio vivamente di ascoltare la canzone consigliata (e linkata, se cliccate vi si apre il link youtube) prima della parte in corsivo, verso la metà del capitolo. Sì, Yuna's ballad, perché è semplicemente fatta per la scena, e vorrei  vi potesse immedesimare nel mio habitat di scrittura e di musiche.
Sono molto arrogante? Forse. Ma vi voglio bene ~ biscottini.
Ringrazio i Placebo, fanfiction.net, Cecilia, Michela, Eden, i Subsonica che fra nove giorni mi rimetteranno in forma con l'ennesimo mega concerto, & i Muse, che oggi sfornano l'ultimo singolo per il quale sono ansiosissima.


DISCLAIMERS: I personaggi sono di proprietà della Square-enix (più precisamente Squaresoft) e non miei (se fossero miei l'Aurikku sarebbe canon, dopotutto), non scrivo a scopo di lucro (ma prima o poi ci camperò, con le mie seghe mentali, potete esserne certi!) e i fatti narrati non sono - purtroppo - riconducibili alla trama del gioco. Inutile dirvi che ci sono spoilersSsSsS, perché se leggete questa fanfic per me è appurato che vi siete giocati entrambi i videogame ~ yeah!

PS:
Sì, sono una psicopatica che mette i collegamenti ad ogni parola , d'oh.
PPS: COME DICE SAMUEL ROMANO: Tendi a "rubare", o almeno ad imitare, quello che ti piace di un altro artista, ovviamente più formato di te: è una cosa naturale. Tutti quei piccoli furti messi insieme costruiranno qualcosa di nuovo, di solo tuo, che qualcuno a sua volta imiterà. Ti faranno diventare ciò che sei, ma che ancora non sai.
(Quindi ringrazio il largo bagaglio di clichè Aurikku che m'ha sicuramente ispirato)
PPPS: (ovvero cosa ho imparato scrivendo questo capitolo) Lasciarsi portare dalle tempeste che imperversano nel cuore insomma può essere doloroso, ma alla lunga risulta salvifico.
ciao, eveyzonk.




 

 










 

Jumpin’ in my dreams



Capitolo secondo – special needs.

 
 
“Appena diciannovenne e sciocchi sogni
Immagino di aver pensato che tu avessi il buongusto
Appena diciannovenne e sogni osceni
Con sei mesi con la condizionale per cattiva condotta”

-Special Needs, Placebo.


 

Fa caldo.
Fa così caldo che morirei.
Fa così caldo che correrei nuda per la spiaggia fottendomene del giudizio di tutti. Con le gioie al vento ed i capelli legati in un toupé disordinato. Ma non lo faccio. Certo sono Rikku, ma non sono così tanto Rikku. Voglio dire.
-Aaah- mi lamento, stesa sulla sabbia come una lucertola morta e malaticcia.
-Gli Albhed non dovrebbero sopportare il caldo?- prende quasi in giro Tidus. Sii tu dannato, biondastro del cacchio.
-Tanto lo sappiamo tutti che sono tinti…- mormoro delirando, nella calura asfissiante. Jackpot! Dov’è la frescura di Macalania quando serve? Ah, già. Si sta sciogliendo.
Canticchio un ritornello stonato mentre sento dei passi alle mie spalle. In un quarto di secondo una rara varietà animale anche conosciuta come Gippal in costume m’è davanti.
È un costume poco sobrio. È giallo, voglio dire. Ed ha dei fiori viola disegnati su; un’oscenità più rara che unica, però devo ammettere che…beh, dai, lo conoscete Gippal. Può essere irritante e stronzo, sì diciamolo, però…ok, è sexy vi sta bene? L’ho detto.
-Impressionata?- chiede, con un sorriso sfacciato.
-Sì- rispondo -da quei fiorellini, quindi non so quanto la cosa sia positiva- rispondo con una risata bassa.
-Che acida-
-Il caldo fermenta- aggiunge Tidus.
-Wow, hai detto qualcosa che sembra intelligente- ribatto.
-Da quando sei così ironica, Rikku?-
-Io? Ironica! Quando mai lo sono stata. Più seria di un budino con un eritema. Mai stata ironica, sir!-
In effetti sono la sagra dell’ironia. Quanto mi amo. 100 punti a Rikku, secondo jackpot in pochi minuti. Vittoria assicurata! La biondina svuota le casse di tutti i concorrenti!
Ehy, a proposito di casse e di jackpot e di soldi e di pensieri dettati dal troppo caldo, devo assolutamente ricordarmi di frugare un po’ tra le tasche di Tidus!
Inutile cercare di smorzare il mio animo da ladra, sarebbe inutile. Chi nasce ladro non muore…non muore Yuna!
Ecco appunto, dicevo. Ecco Yuna che cammina verso di noi in bikini -  il che spiega tante cose, tipo quanti anni son passati dal pellegrinaggio. Certo che il cambiamento è visibile. Chissà se Tidus ne è felice.
Ma che dico, ovvio che è felice. Come potrebbe non esserlo? Cioè voglio dire, Yunie ha appeso al chiodo il vestito yevonita ed ha optato per shorts e scollature.
In più ora è in bikini e la cosa giova sempre ai rapporti di coppia. Sempre. È una regola collaudata.
Sto veramente delirando, eh?
Immagino di sì.
-Ciao ragazzi!- saluta gioiosa. Ditemi un giorno in cui non lo è. Forse è più positiva di me.
-Rikku, ehy? Ci sei?- mi chiede passandomi la mano davanti gli occhi.
-Certo che ci sono!- rispondo sorridendo. Voglio un bikini.
-Mhm, credo tu abbia bisogno di un bikini- mi dice, puntandosi un dito sul mento come se stesse impiegando tutti i suoi neuroni per pensarci su; ovvio che mi serve un bikini. Non mi trovo a mio agio a gettarmi in acqua coi vestiti, o almeno non con questi vestiti. Solo il cielo sa quanto si possa restringere la mia gonna di jeans con l’acqua salata; non potrei praticamente più camminare tranquillamente per la via Mihen senza un fischio alle spalle; cielo sarebbe insopportabile. E poi non mi chiamo Tidus, IO. Io non mi butto in acqua vestita, a meno che non mi trovi in una macchina Albhed per rapire (ehm voglio dire salvare) invocatrici oppure non debba attivare qualche dispositivo in una grotta del Gagazet.
O ancora quando mi gettano con violenza nel canale di Via Purificatio, il che certamente è una cosa da tutti i giorni. Sì.
-Credo di sì, Yunie. Sarebbe magnifico sguazzare nell’acqua, sai-



Ho seguito Yuna alla tenda che lei e Tidus dividono. In giro c’è un disordine colossale; dei vestiti sono ammassati ai piedi del letto, dei bicchieri sono sparsi per la stanza e c’è un odore di dopobarba nell’intera tenda.
-Notte selvaggia?- le chiedo, ridacchiando. È aperta ufficialmente la prima edizione di domande imbarazzanti, versione family! Ghgh. Nella prima puntata un’avventata cuginetta Albhed metterà in subbuglio l’apparato respiratorio di un’ex grande invocatrice chiedendole se l’ha fatto col suo appena-ritornato-da-non-si-sa-dove ragazzo.
Yuna si rigira tra le mani un costume da bagno che mi stava per proporre ed arrossisce un poco, abbassando lo sguardo.
-Mhn, beh…-
Le do una pacca sulla spalla -Ehy sono la tua cuginetta!- ballo un po’ sul posto -Puoi aggiornarmi su queste cose, sai!?-
-Beh, sì, lo so-
-Allora? Com’è andata?- le sussurro, alzando un sopracciglio, ammiccante. In effetti sono curiosa.
Yuna guarda di lato, poi si rigira verso di me sorridendo -Bene!- esclama ridacchiando -È stato bello!-
Ridacchio anch’io. Non che pensassi che stanotte per Yuna sia stata la prima. Insomma Tidus è tornato da un trilione di anni (due mesi circa, credo) e…boh, non so, io non avrei perso occasione.
Eh? Ho detto qualcosa? No no, io sono muta come un pesce. GHGH.
-E tu e Gippal?- domanda poi mia cugina con una mera imitazione del mio sguardo ammiccante numero 1.
Umphf. Quello è il MIO sguardo ammiccante.
-Primo, eravamo in un tempio; secondo, io e Gippal non stiamo insieme; terzo, insomma l’hai visto? Flirterebbe anche con un kyactus!-  urlacchio.
-Ma dai Rikku, dovresti dargli una chance-
Rimango in silenzio. Come se lui avesse mai davvero cercato di conoscermi. Come se si fosse mai interessato delle mie passioni, oppure avesse mai sul serio voluto discutere con me delle mie debolezze; forse c’ha provato, minimamente, ma si vedeva che non era nient’altro che una tecnica – e pure scarsa – di abbordaggio. Persino questo viaggio lo è di sicuro.
-Rikku posso farti una domanda?-
Riemergo dai miei pensieri
-Prego-
-Hai mai fatto l’amore?- chiede Yuna con voce titubante.
Ed è carino il modo in cui me lo chiede, davvero; con quella sua voce timida e le parole scelte quasi a caso; fa sempre così, Yuna, è come se non volesse mai, per nulla al mondo ferire i sentimenti di qualcuno. È per questo che, mi dico, sceglie accuratamente le parole da utilizzare.
Yuna ha detto fare l’amore.
Hai mai fatto l’amore?
Non ha chiesto se avessi mai fatto sesso oppure se avessi perso la verginità, no. La sua è una domanda che va un po’ oltre, è più profonda e pensata, anche se non sembrerebbe, detta con quella voce tremolante e le mani nervose. M’ha chiesto se ho mai fatto l’amore.
E allora ci penso su.
Chiudo gli occhi e nelle narici quasi si materializza l’odore dei ricordi. Delle foglie bagnate e del sudore e della spossatezza. Nella mie mente spezzoni ed immagini e pensieri dolci e infantili, forse.
-Sì- le rispondo, riaprendo gli occhi, sicura della mia risposta.
Sì, io ho fatto l’amore.
E non mi riferisco a quella sbandata prima volta nella Base, col sudore a rendere persino i miei pensieri più incasinati e quei cinque minuti – o meno – di spinte e di guardare il soffitto mentre il chewinggum batteva contro il mio palato, stesa coi pantaloncini abbassati che mi punzecchiavano le caviglie ed un ragazzetto sudato che soffiava sul mio collo. No.
Parlo di leggere spinte e fruscii nella notte, parlo di follie e menefreghismo e parlo di ribellione.
Di libertà d’amare.
Parlo del silenzio. Parlo delle dita incrociate e dei sussulti e del leggero battito fra le mie gambe, parlo dell’eccitazione e delle labbra morse e delle paure non anestetizzate.
Parlo del fare la cosa sbagliata, ma non pentirsene.
E penso, tutto in un momento, a quanto vere e inutili suonarono al mio orecchio le parole: “stiamo sbagliando”. E quanto invece mi focalizzai più sul fatto che fossero le uniche parole pronunciate quella notte.
Di quanti grugniti l’eco ho ascoltato, quella sera. E quel rivolo di sudore scivolato dalla mia tempia e quell’unico bacio, vero, meno che un soffio, l’unico fra gli altri, che non erano nulla nella volgarità d’un mordersi e farsi la guerra.
Ecco cosa penso quando rispondo sì, Yuna, ho fatto l’amore.
Ecco dove vaga la mia mente mentre la mano si poggia sul cuore dove sono custoditi tutti questi ricordi.
Yuna annuisce e so che non chiederà altro. Sa essere estremamente brava a rispettare gli spazi altrui, quando vuole.
-Allora, quei sogni strani di cui mi parlavi?- mi chiede, invece, credendo probabilmente fosse una domanda leggera con la quale sviare.
-Niente, Yuna, non erano niente-
-Ma…dovevi raccontarmi…-
-Andiamo in spiaggia ok?- rispondo con un largo sorriso, evitando una domanda che a Yuna non porterebbe altro che una risposta chiara come l’acqua di Macalania e una forte confusione.




 
Alla vostra destra, signori e signore, la celebre Rikku, centrocampista dei Gabbiani nonché bomba Albhed. No, non nel senso bomba sexy, bomba e basta; bomba proprio.
Con lei in squadra, nell’acqua fulgida di Besaid, Tidus e il mitico Letty alla porta.
Alla vostra (disgraziata) sinistra, Gippal, il sexy-ma-stronzo più celebre di Spira, colui con cui non vorreste che le vostre figlie uscissero (MA LO FANNO COMUNQUE), insomma, un idiota. Con lui in squadra Wakka, il padre più blizzer di sempre (o il blizzer più padre di sempre? Uhm, è uguale), e il mitico panciuto Keepa alla porta.
La partita è combattuta.
L’abile fortissima bellissima Rikku ha la palla sotto braccio e cerca di sviare, veloce, per passare al cannoniere Tidus. La strategia funziona. La bellissima nuota fino al lato sinistro della porta avversaria e poi lancia uno sguardo d’intesa a Tidus per avvisarlo del passaggio. Il ragazzo riceve la palla e sfreccia verso la porta, marcando Gippal e superando le difese di Keepa. GOAL.
Il pubblico (Yuna & qualcun altro passante) impazzisce, è in palpitazione, freme di sapere il risultato della partita più attesa della stagione sportiva. Tutti si chiedono quale squadra vincerà un mitico premio (una porzione in più di torta al cioccolato di Lulu – se non siete impressionati evidentemente non avete mai assaggiato la magica torta al cioccolato di Lulu).
Gippal è in possesso della palla. Cerca di sfondare le linee nemiche (l’ostacolo sarei io) ma – fortunatamente per i miei stinchi – non ci riesce, fallendo miseramente (o forse facendomi vincere apposta, il che un po’ mi inquieta) e rendendomi la palla che passo immediatamente a Tidus.
MANCA UN MINUTO SCARSO ALLA FINE DELLA PARTITA.
Tidus se ne rende conto e cerca di segnare il punto decisivo; corre verso la porta (arrangiata con un paio di reti da pesca di Besaid), muovendo i suoi piedi così velocemente da formare un piccolo vortice di bolle e schiuma. Si spinge al limite e poi, alla fine, calcia con forza la palla.
Colpisce in fronte Gippal (ridacchio anche se sott’acqua), poi Keepa allo sterno, infine la porta.
GOAL GOAL GOAL GOAL!
Gli nuoto incontro e gli batto il cinque, lo stesso fa l’inutile Letty.
Ed ora a me, magica torta di Lulu number one!
 
 
Emergiamo dall’acqua stanchi e sfibrati. Il mio costume è davvero molto carino; è viola, con qualche inserto nero (sembra di Lulu, però poi guardo la taglia del seno e penso che non potrebbe mai andarle, quindi deduco che Yuna l’abbia comprato con la supervisione della maga nera).
Sembra che mi sia stranamente abbinata ai fiorellini tropicali di quello di Gippal (cosa che non farei mai e che andrebbe contro i miei più naturali principi morali). Naturalmente il sottoscritto non perde un secondo per fare una battuta a riguardo.
Come non immaginarlo!
Tidus è steso sulla riva e sta abbracciando Yuna, col bikini rosso totalmente in contrasto con la sua pelle lunare.
Gippal è a pochi centimetri da me, Wakka invece annuncia di tornare in villaggio a vedere se Lulu ha bisogno di una mano col piccolo.
Faccio due calcoli mentali; non ho assolutamente voglia di rimanere sola con Yuna e Tidus, perché comporterebbe naturalmente che io parlassi con Gippal mentre i piccioncini amoreggiano, e non ne ho affatto voglia.
-Wakka! Resta pure qui, vado io da Lù! Questo sole m’ha fatto un po’ male- dico con un sorriso storto.
In realtà sono davvero stanca, e il sole m’ha davvero sfibrato. In più ho ancora in mente il discorso di prima con Yuna e i ricordi che ha riportato a galla. Niente di buono in previsione.
Leggermente nuvoloso quest’oggi sulla testa di Rikku. Pioggerellina in arrivo.
Wakka – sant’uomo – accetta di buon grado quest’inversione di ruolo e così m’avvio per il bosco sciabattando sguaiatamente la sabbia via dai miei piedi.
Evito i pochi e deboli mostri che mi sbarrano la strada e mi ritrovo, dopo la piccola passeggiata, alle porte del villaggio di Besaid. Raggiungo in men che non si dica la tenda, dove trovo Lulu a impiattare la pappina del piccolo Vidinu, calmo e buono nella sua culla.
-Wakka voleva venire, ma ho proposto uno scambio; gli ho detto di restare in spiaggia con Gippal…- dico a Lulu.
-Non vuoi proprio rimanere sola con lui, eh?-
Mi gratto la testa, come se fossi stata beccata con le mani nel sacco –Beh…mhnhhhh…non proprio- mormoro insicura.
-Rikku. Ti conosco, oramai. E poi non ci vuole molto per accorgersene; lo stai evitando- mi dice la maga nera con la sua voce materna.
-Comunque. Se proprio non vuoi parlarne, non ti devi preoccupare-
-Mi piaceva Gippal- esordisco, troppo satura per tenermi tutto dentro.
-Mi piaceva davvero, anni fa, prima di partire per il pellegrinaggio. Potresti pensare “ma eri giovane!” e invece no. A quindici anni si è consapevoli dei propri sentimenti. Mi piaceva Gippal a quel tempo. Solo che ora tutto è cambiato. Io sono cambiata, sono cresciuta e…lui non mi basta più. So che dovrei smetterla di preoccuparmi e cercare di dargli una possibilità, e probabilmente sarei anche felice con lui, ma…non mi basterebbe…lui…è come se non mi fosse mai bastato-
Abbasso lo sguardo sui miei piedi nudi. Mi sento così in colpa.
Così tagliata a metà. Così crudele. Così indecisa.
Ma, soprattutto, chi m’assicura che Gippal non mi stia solo prendendo in giro? Sarebbe plausibile.
Lulu m’osserva in silenzio per un lasso di tempo che trovo insopportabile.
Non m’apro spesso con le persone proprio perché odio pensare cosa loro potrebbero pensare di me; è un comportamento così poco Albhed che mi disonora.
-Capisco- dice, per poi ricadere nel silenzio, come se stesse riflettendo.
-Mi domandavo cosa fosse successo, nella tua vita, da farti crescere tanto-
È successo lui.
-Sei la seconda persona che me lo chiede- dico, alzando un sopracciglio –Davvero sono cambiata così tanto? Io mi vedo la stessa pazza di sempre-
-Beh, sicuramente non hai…smorzato, ecco, quel lato di te- dice Lulu con un ironico colpetto di tosse –Ma sei sicuramente maturata. Forse è stato solamente il pellegrinaggio; dopotutto c’ha segnati tutti…-
Lulu mi sorride, tranquilla.
-Prendi il bambino dalla culla-
Sorrido al piccolo Vidinu e lo prendo tra le braccia. Il piccolo si aggrappa forte al mio petto; mi sale alla gola un’orda di tristezza per ciò che poteva essere il mio, il nostro futuro. E che invece non sarà mai.
Saremmo stati così belli.
Saremmo stati così perfettamente congruenti.
Saremmo, saremmo, saremmo. Ma non saremo mai.
 
 


 
La sera è calata su Besaid. Ho in mente di tornare alla base e restituire l’aeronave a Fratello che sarà sicuramente furioso per questo; non gli è mai andato a genio, Gippal.
E poi è un mio dovere aiutare a ricostruire la nostra Base. Non posso sfuggire così alle mie responsabilità; non sarebbe, giusto.
È come se non stessi onorando la sua memoria, i suoi insegnamenti.
Lui m’ha insegnato a crescere, a non perdere la mia speranza – perché era questo di me che lui diceva di invidiare.
Stasera mi lascio investire forte dai ricordi; sono così veri che non vedo più la spiaggia vuota di Besaid, mentre gli altri sono al villaggio.
I miei ricordi sono così presenti in me che prendono subito il sopravvento.
 
 

Yuna’s ballad – final fantasy x-2 soundtrack.

 
Alla mente mi torna quella volta, quando ancora il bosco di Macalania era integro e perfetto, con la sua regina dei ghiacci a regnare, quando Sin era ancora su Spira e Yuna era ancora l’invocatrice figlia del mitico Braska, in viaggio con i suoi guardiani verso Zanarkand.
Mi affacciai alla finestra e osservai la distesa di neve che imbiancava  lo stretto spiazzo in cui Rin aveva costruito l’ennesima casa del viandante. Fuori il sole era tramontato da poco, e la luna stava già per fare capolino in un piccolo angolo di cielo rosato. Ho sempre adorato questo momento della giornata, in cui luna e sole possono convivere nello stesso cielo; è come se entrambi si guardassero e si salutassero e godessero di quei pochi attimi d’unanimità prima d’essere divisi per l’ennesima volta dalla natura delle cose che regola tutto.
Il tempo passò veloce e, mentre il cielo s’inscuriva ed io pensavo, vidi con la coda dell’occhio la lenta processione di ognuno di loro – del gruppo di guardiani e Yuna – andare verso le proprie stanze a riposare corpo e spirito, almeno quella notte, al sicuro in un letto e non accampati nel freddo, come al solito.
Le stelle erano alte nel cielo quando mi girai verso i tavolini e vidi Auron ancora sveglio, solo, con una tazza di cioccolata calda. Era buffo; fra tutte le passioni che avrei attribuito a quell’uomo, non avrei mai immaginato ci fosse quella per il cioccolato. Non sembrava una persona golosa, eppure, mentre tutti già riposavano, lui beveva dalla sua tazza fumante, in silenzio religioso, perso in chissà quali pensieri di strategie e battaglie.
A me non è mai piaciuto tanto il cioccolato, tranne in quei pochi giorni del mese durante i quali divento un po’ più golosa. E naturalmente tranne quando Lulu prepara la sua torta al cioccolato, quella è davvero stupenda.
Il tempo fuggì via mentre i pensieri s’accatastavano e si inseguivano nella mia mente, ed Auron sorseggiò l’ultimo sorso della sua cioccolata per poi, infine, alzarsi e dirigersi verso la sua stanza.
Dopo qualche minuto salutai il cielo stellato e la mia postazione alla finestra ed entrai in silenzio nella stanza che condividevo con Lulu e Yuna.
Brancolai nel buio, silenziosa e strisciante come solo una ladra come me sa essere, e pensai che avevo davvero bisogno di un bagno caldo.
Faceva freddo ed avevamo perso una giornata intera in quel bosco, mentre Tidus cercava di vincere la caccia alle farfalle per Kimahri e noi c’allenavamo per la battaglia finale contro Sin. Avevamo tutti come questa sensazione di star compiendo qualcosa di fantastico, avevamo sconfitto Yunalesca e con lei l’ultima chance di sconfiggere Sin sacrificando la vita di Yuna, così ora avevamo un piano nuovo di zecca, ma per applicarlo avevamo bisogno d’allenamento e, perché no, anche di riposo.
Il giorno dopo saremmo ripartiti e con la nostra aeronave avremmo raggiunto le Rovine di Omega per allenarci ancora. Quando avrei avuto il tempo per un altro bagno caldo?
Pensai di non poter svegliare le ragazze; dormivano quiete nei loro letti caldi, così uscii dalla stanza, e istintivamente bussai alla sua porta.
Auron aprì – non indossava né gli occhiali né il consueto collare rosso che nascondevano solitamente il suo volto – potevo vedere la cicatrice che attraversava il lato sinistro del suo volto.
-Rikku. Cosa c’è?-
Abbassai lo sguardo e mi maledissi mentalmente per quell’azione avventata.
-È che…Lulu e Yuna dormono, e gli altri anche…ed io ho un dannato bisogno di un bagno caldo, o non ne avrò più il tempo…mi chiedevo se…-
-Entra- disse, scostandosi dall’entrata della sua camera.
Entrai.
Tutto era estremamente ordinato; se non fosse stato per il suo piccolo bagaglio nell’angolo della camera e della casacca rossa accasciata sul letto, si sarebbe potuto pensare che quella stanza fosse disabitata.
 -Il bagno è di lì, prenditi pure il tempo che ti serve-
E la sua voce…era così profonda. Mi traversò dentro come la lancia di Kimahri avrebbe traversato il corpo di una Chimera Brain.
-Grazie- gli dissi, sorridendo un pochino.
Lui annuì solamente.
Mi diressi verso il bagno, chiusi la porta e girai il rubinetto della vasca da bagno che era posizionata proprio sotto una piccola finestra dalla quale si poteva osservare la luna di Macalania.
Mi sedetti sul bordo della vasca e lentamente mi spogliai. Poi entrai nell’acqua calda e mi immersi totalmente. I rumori della notte, le civette e le falene che svolazzavano, erano attutiti dall’acqua; sembrava d’essere in un sogno.
Pensai. Ancora.
Pensai a quanto fossi stupida, a quanto fossi disperatamente una quindicenne dal cuore a mille, pensai a dove m’avrebbe portato questo pellegrinaggio, al mio futuro. Alla mia casa scomparsa, agli amici che col senno di poi avranno scavato un certo posto nel mio cuore.
A quelli che hanno un posto più profondo, lì.
Pensai all’impossibilità che lui mi guardasse come lo guardavo io anche solo per un secondo; a tutto quello che mi teneva incatenata nel ruolo di teenager rompiscatole e iperattiva, e pensai a tutto quello che avrei potuto dirgli, prima di morire, forse, nella battaglia contro Sin.
Pensai che, anche se fosse stato sbagliato, almeno avrei potuto dire di non aver rimpianti.
E poi pensai d’essere pazza e forse piansi un po’, in quella vasca.
Il mio cuore sobbalzò quando sentii la sua voce attutita dalla porta che ci divideva.
-Rikku? Tutto bene?-
-Oh, oh sì certo- e maledissi la mia voce tremolante, così tanto ovviamente triste e piena di lacrime; la maledii davvero.
E poi sentii  i suoi passi allontanarsi.
Nei miei pensieri la porta scomparì, immaginai  la sua schiena larga e le braccia forti e la sua nuca, e mille pensieri ancora. Mille parole che non avrebbe mai sentito, tutte strozzate nella mia gola. Rimpianti.
Lentamente uscii dalla vasca e m’avvolsi nell’accappatoio rosso – sembrava quasi la sua casacca, ridacchiai, m’andava larghissimo.
Pettinai lentamente i miei capelli biondi ed aprii la porta, camminando in punta di piedi fino alla sua schiena.
Non si voltò.
Lo abbracciai lentamente, la mia guancia umida contro la sua maglia nera.
-I’m afraid- mormorai, giusto un soffio. Mi sentì.
E rilassò i muscoli della schiena. Sospirò.
Una goccia scivolò sul mio naso per schiantarsi sul pavimento, accanto ai suoi piedi nudi. Pensai fosse ipocrita attribuirla ai capelli umidi; veniva dai miei occhi troppo verdi.
La sua mano, quella sinistra che giaceva al suo fianco, grande e callosa e così da guerriero, afferrò la mia piccola mano da ladra. E la strinse.
E piansi, e ringraziai il cielo che lui fosse di spalle, che non potesse vedere il rossore sulle mie guance e i miei occhi arrossati e le labbra secche e la pelle del mio volto tagliata da qualche piccola cicatrice da battaglia.
E – quasi avesse ascoltato i miei pensieri – si voltò. Affondai il mio viso nel suo collo e piansi fra le sue braccia. Piansi rabbiosa e frustrata e stanca e impaurita e tremante come mai ero stata.
Mi prese fra le braccia, in silenzio, il mio volto ancora nascosto nel suo collo che profumava così tanto di salice e sakè e cioccolata calda e polvere, mi accartocciai contro la sua figura maestosa e lo sentii trasportarmi sul letto, dove, avvolta nell’accappatoio troppo largo, mi arricciai come una palla contro il suo petto caldo.
-Dormi- mi mormorò all’orecchio, come fosse un comando.
Ed io lo feci.
Dormii contro il suo petto. E lui rimase come una statua per tutto quel tempo, tutta la notte, come solo un guerriero come lui avrebbe potuto fare, non compiendo alcun movimento se non un lento scostare i miei capelli dal volto. Se non qualche piccola rassicurante carezza sulla fronte.
 
Ecco a cosa penso quando ancora oggi mi ritorna in mente la sua figura, il suo sguardo bruno, severo e dolce, il suo tono indulgente e protettivo, da maestro, la sua stretta sicura eppure imbarazzata dal contatto fisico. Sorrido rapita alla luna, anche se il petto mi si straccia dentro.
Qui nel buio della spiaggia di Besaid. Qui nel buio della mia memoria.
Ti amo, Auron. E non ero una quindicenne matta. Vorrei che tutto questoti raggiungesse ovunque tu sia, vorrei davvero sentire ancora le tue mani su di me. Vorrei tornare indietro e poterti amare mille volte di più e non doverti perdere e avrei voluto farti da scudo quando, da giovane, sfidasti Yunalesca e perdesti la vita…che poi la tua vita non l’hai mai davvero persa, è sempre stata lì, all’angolo del tuo occhio bruno che esitava sulla mia figura. Lo so…
Sulla superficie dell’acqua increspata del mare scuro, vedo una piccola luce. 
Mi isso sulle gambe e mi immergo lentamente nella calda acqua marina. Cammino, affondando i piedi nella sabbia e sentendo quasi il fondale smuoversi contro i miei piedi.
Passi lenti e i palmi delle mani a pelo d’acqua.
Cammino giusto fino a raggiungere il punto in cui la punta dei miei piedi sfiora appena il fondale sabbioso.
Poi è un attimo.
La testa mi gira vorticosamente, e sono sott’acqua; sto affondando quasi fossi un corpo morto. Sempre più giù, il buio m’avvolge.
Nel silenzio della mia testa, ti sento.
Ti sento davvero.
Mi domandi: sei sicura?
Ed io penso con tutta la forza che ho in corpo, sì, sì, sono sicura, anche se probabilmente non so neanche a cosa sto rispondendo.
Bene…
E allora la testa mi gira ancora, e chiudo gli occhi, e quasi ti sento che mi sfiori la fronte come quella notte, o forse è solo la mia immaginazione? Non so.
Non vedo più nulla.
Poi lo stomaco mi s’aggroviglia e la vista mi si spegne.
 
 
 


 
Apro giusto una fessura dei miei occhi verdi e vedo la riva del Fluvilunio. La testa mi fa male. Ho una forte nausea, come se fossi stata prima seppellita sotto terra e poi ripescata da una grossa gru Albhed. Non apro ancora i miei occhi.
Non capisco bene cosa mi accade.
Sono ancora in uno strano sogno?
Non mi sento in un sogno. Non ci sono i contorni sfocati oppure le sensazioni ovattate. La nausea è qui, è presente, è una morsa allo stomaco. Mi sento i polsi deboli.
Chiudo gli occhi, ancora.
Poi, dall’alto, una voce gentile – Tutto bene?
In risposta, un’altra leggermente più ruvida – Penso sia svenuta.
Il tono gentile di prima – Dovremmo soccorrerla.
Poi una nuova voce, profonda, che mi fa rabbrividire – Ma… my lord!
La voce gentile replica – Portala alla tenda, non possiamo lasciarla qui.
E poi mi sento issare leggermente. Tengo gli occhi chiusi e la testa mi ciondola. Non riuscirei ad aprirli neanche se volessi.
Mi sento svanire…
Solo, prima di perdere conoscenza, un odore familiare mi riscalda il plesso solare.
Sakè. Polvere. Salice…









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Capitolo 3
*** 3 ~ l'inizio ***


Image and video hosting by TinyPic...Salve a tutti! Eccomi qui tornata, finalmente, con il nuovo capitolo! Mi dispiace da morire averci messo così tanto *crycry*, ma diciamo che mi sono un tantinello "distratta".
Beh, forse è un po' corto come capitolo, ma vi assicuro che sto lavorando assiduamente al continuo di questa storia! Aspetto pareri, e intanto vi dedico questo Auron giovane e imbronciato qui vicino! :D
eveyzonk.





Jumpin’ in a dream
Capitolo terzo – l'inizio.




 
 
 
Non sapevo cosa mi aspettava.
Non sapevo tutto questo dove m’avrebbe portato, non sapevo se era un sogno.
L’unica cosa di cui ero stata certa, era la sua voce, nel mare buio di Besaid, che m’aveva chiesto se ne ero sicura. Una parte di me sapeva di cosa stava parlando.
La voce di Auron, quella notte, parlava di rischiare tutto per lui.
Di viaggiare nello spazio e nel tempo, in un sogno o una realtà senza confini ben tracciati, per noi. Per quello che eravamo stati, ma per soprattutto quello che non eravamo potuti essere.
Auron mi stava chiedendo se ero di nuovo pronta a soffrire in nome di un fantomatico amore. Se ero pronta, come in passato, a farmi del male senza alcun freno, pur di vivere la vita.
Che sciocco.
Certo che sono pronta.
Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza. Farsi primavera, significa accettare il rischio dell’inverno. Farsi presenza, significa accettare l’assenza.
 
 
 
 
Battei le palpebre un paio di volte. Aprii e richiusi gli occhi, nella confusione generale.
Ok, Rikku, rilassati. Fai un check completo della situazione attuale.
Ok. Bisogna mettere le idee a posto.
Stato fisico: la nausea mi attanaglia ancora lo stomaco, la schiena mi fa male come se avessi dormito per un bel po’ su una superficie scomoda, gli occhi mi bruciano, la testa mi fa male. Direi che potrei riassumere il tutto in: sensazioni simili al post-sbornia. Bene.
Stato mental-sentimentale: voglio dire, confusione più totale. Ed ho paura di aprire gli occhi, sì. Sento qualcosa di…diverso…dentro me. Non so di cosa si tratti e non so se lo voglio sapere (RIKKU! NON SEI UNA CODARDA, VERO?)
No, non sono una codarda. Mi rifiuto di esserlo.
Apro gli occhi di scatto per non ricadere nell’indecisione. Su di me non c’è il cielo di Besaid, ma una…tenda? Mhng.
Sposto lo sguardo leggermente più in basso, riesciuscendo a vedere le mie gambe stese, e della roba varia nella tenda con me. Delle…scorte di pozioni? Mhng. Non promette per niente bene. La tenda è piccola, dev’essere al massimo per due persone, ma sono sola. Qualcuno (almeno che io non abbia una doppia personalità, hic!) deve avermi poggiato la testa su una sorta di cuscino da viaggio, di quelli che alla fin fine possono servire pure da borse.
Che frustrazione. Che mal di testa.
Dove sono, dove sono, dove sono? DOVE. SONO.
Pretendo di saperlo!
Ehy, ma…mnhg, sento delle voci.
Rikku! Torna a dormire! – mi ordino mentalmente.
Ricado immediatamente sul giaciglio e chiudo gli occhi, fingendo di dormire, affidandomi completamente al raffinato udito da ladro ereditato dalla mia famiglia.
Com’è che dicono i vecchi detti Albhed? Ah, sì: ruba qua, ruba là, l’udito s’affina, tralallalallà!
No, aspetta, forse la rima non era esattamente così… Ma, sì, che importa dopotutto? Il succo è questo.
Nella tenda entra qualcuno (odore di salice e sakè…non può essere), stringo un po’ gli occhi per sembrare davvero addormentata (il cuore mi batte; no, non può essere…no, no, no!).
-T’ho vista-
La voce.
La voce, la voce, la voce.
La sua voce.
No, Rikku, stai impazzendo. Non può assolutamente essere. Sei impazzita, ti sei fritta il cervello come fosse bacon, lasciatelo dire. Dopotutto, in quanto te stessa, t’ho sempre voluto bene. E sai cosa fanno le persone che ti vogliono bene? Ti dicono la verità.
Non se ne vanno senza averti avvisato che – oi piccola io me ne vado, è stato bello star con te, ma sono morto, sai, avevo dimenticato di dirtelo, ma comunque, ehy ci si becca in giro…nell’oltremondo…prima o poi, diciamo che è meglio poi che prima, eh – no. No. Non è così che si fa.
Rikku, sei ancora in tempo per recuperare una briciola di sanità.
E invece no.
Invece apro gli occhi di scatto, stupida-istintiva-ragazzina-disordinata, ma sopratutto stupida, stupida, stupida!
E, e sapete cosa?
Il mio fiato. Il mio fiato, sì, il mio fiato si blocca nel petto, pesante come fosse piombo. I miei occhi si sgranano e quasi pungono. Le mie membra si immobilizzano. La mia mente cerca disperatamente una spiegazione chiara perché, ecco, ora, davanti a me, tutto sguardo di fuoco e due occhi, capite? Due, due, DUE occhi, c’è Auron.
Auron, lui, in persona, diciamo. Diciamo.
La prima cosa di cui rimango incantata sono i suoi occhi; il suo sguardo ostile e profondo, come un precipizio. Guardare negli occhi Auron è sempre stato come affacciarsi sul bordo di un baratro infinito. Sono scuri, e…sapete, ora mi viene in mente la parola famelici. Oppure rabbiosi.
Un fuoco rabbioso arde nel suo sguardo. I miei occhi come una calamita sono ancorati ai suoi, in un momento piccolissimo che però nella mia mente si dilata. È come se l’avessi guardato per ore; come se cercassi una traccia del mio Auron in questa sua copia più giovane. Osservo l’occhio sinistro, dove non posso più osservare la sua cicatrice.
E poi…la sua voce. Profonda anch’essa, ma affilata, infida…cattiva, quasi? È cattiveria quella sento? Cos’è?
Rosso, rosso ovunque. Il suo caro vecchio soprabito rosso scarlatto da monaco. Spicca subitaneamente alla mia vista. Per tanti anni la mia mente ha cercato tra la folla quell’alone di rosso.
Infine, i suoi capelli. Una leggera treccia gli ricade sulla spalla. Sembrano setosi. Sono neri, neri più di qualsiasi altra cosa abbia mai visto. Gli guardo la fronte e non trovo le consuete sfumature grigiastre che v’erano.
Poi mi risveglio da quest’attimo infinito.
La sua voce è fredda come una stilettata, e mi riporta alla realtà.
-Dovresti ringraziare la magnanimità di Lord Braska, albhed-
E, no, se ve lo state chiedendo, non l’ha detto al fine informativo, quell’albhed. Era come se volesse farlo risuonare un insulto.
Cosa…?
Stropiccio gli occhi.
Dove mi trovo? Perché? Cos’è questo sogno? SVEGLIATI SVEGLIATI SVEGLIATI!
Chiudo gli occhi e respiro.
Giusto il tempo di sentire, nella tenda, una voce gentile – Basta così – dice. È Braska. Lo so, dentro me. È zio Braska.
Apro gli occhi e osservo la figura vicina all’uscita della tenda, inerme e sconvolta.
-Buongiorno. Se ti senti bene…beh, potresti venire anche fuori. Questa tenda mi pare un luogo alquanto angusto per presentazioni- dice con un sorriso gentile.
Mi riscuoto dal momento di panico e annuisco, cercando di alzarmi. Qualche osso della schiena mi schiocca. Ouch. Davvero scomodo.
Auron (è lui?) esce dalla tenda in quella che sembra una giornata soleggiata.
E, oh sì, se lo è. Esco anche io e vengo subito colpita dai raggi solari che quest’oggi innaffiano il Fluvilunio. Chiudo gli occhi e sorrido leggermente alla luce del sole.
-È strano vedere il Fluvilunio tanto soleggiato. Immagino la tua gente apprezzi particolarmente questo clima-
In Braska non c’è alcun tono di disprezzo nel pronunciare le parole la tua gente. Anzi, posso sentire una sorta di rispetto in esse.
Zio Braska era sposato ad un albhed, penso, dopotutto.
Osservo la riva del fiume, i lunioli che s’inseguono sullo sfondo chiaro dell’acqua limpida. Sorrido. Quasi gli occhi cercano Tobli e la sua schiera di Hypello che solevano star qui, su questa parte del Fluvilunio. I miei occhi cercano le macchine, le motojet.
Dev’essere davvero un sogno.
Sorrido placida a Braska, e penso a quanto il suo tono di voce sia simile a quello di Yuna, così accomodante, come se a lui davvero importasse della gente. A terra ci sono dei giacigli improvvisati. In uno di questi c’è un uomo, Jecht, penso – a questo punto – che dorme nonostante il sole sia alto. Russa leggermente, nasale.
Sposto lo sguardo per pochi secondi su Auron (stento ancora a crederci), mi fa male la testa.
-Devi essere stanca- dice Braska.
-Io sono Braska da Bevelle, sono in pellegrinaggio verso Zanarkand con i miei due guardiani.- prosegue facendo un piccolo inchino.
-Auron- e il suo sguardo si posa piano sulla figura in rosso.
-E Jecht- dice indicando il malloppo di coperte -Sta dormendo…ieri…ehm…è stata una giornata pesante per lui- Braska tossisce leggermente. Il monaco sbuffa di sottecchi.
Oh. Capisco.
Quando eravamo qui al Fluvilunio in pellegrinaggio, con Yuna, Auron ci raccontò cosa successe. Jecht s’ubriacò e attaccò uno shoopuf. Per tutte le macchine! Che coraggio. Hngh.
-E, se posso, lady, qual è il tuo nome?- mi chiede, gentile come immaginavo fosse mio zio, osservandomi da sotto le sopracciglia.
Cosa gli dico?
Dove mi trovo?
Una sensazione di panico si dipana dentro me.
Perché m’hai portato qui? Per mostrarmi il vostro viaggio? E se ora dico a Braska il mio nome mi riconoscerà come sua nipote? Ho…paura.
Panico e rabbia. Auron deve averlo notato. I suoi due occhi sono fissi su di me, inquisitori.
Facciamola finita subito, penso.
-Rikku- dico, per poi abbassare lo sguardo. Cosa succederà, ora?
-Mhn, dev’essere un nome comune fra gli albhed-
Alzo lo sguardo, stupita. Braska non ha sospettato nulla. Quasi mi metto a ballare il mio ballo della vittoria.
-Cosa ci facevi svenuta sulla riva?- mi chiede brusco Auron. La sua voce, la sua voce, non mi abituerò mai abbastanza a sentirla!
-Non…non lo ricordo-
Auron mi guarda negli occhi, leggermente corrucciato. Non si fida di me. Beh, come biasimarlo? Non sa neanche chi io sia.
Questo non è l’Auron che conoscevi o che credevi di conoscere. È uno yevonita, Rikku! È un guardiano fedele e non lascerà che niente intralci il pellegrinaggio di Braska. Neanche una seccatura. E se in passato (futuro?) t’aveva accettato nel viaggio di Yuna era solo…beh, solo perché Yuna lo voleva. Non mentiamoci.
-Beh, hai un posto dove tornare, Rikku?- chiede Braska.
No. Non ce l’ho.
Mi mordo un labbro. Non so davvero cosa rispondere. Lo stomaco mi si ritorce. Ho paura. Voglio svegliarmi.
Voglio svegliarmi e affrontare la mia vita di rimpianti e ricordi. E magari andare avanti. Che senso ha essere qui fermi nel passato? Perché m’ha portato qui? Non appartengo a questo luogo.
Voglio svegliarmi a Besaid e continuare ad essere triste, a rimuginare, ad essere ferma nella mia epoca, senza un qualcuno con cui parlare, senza nessuno d’amare forte.
Ma non sarei me stessa…io sono Rikku; io adoro le avventure, io non ho paura ad andare avanti e rischiare di soffrire per una buona causa.
Non importa quante ferite mi recherà, io continuerò a provare. Ed era questo che lui vedeva in me un tempo.
-Rikku, scusaci un attimo- Braska mi risveglia dai miei pensieri.
Cammina verso la riva del Fluvilunio, Auron lo segue. I due discutono in silenzio, ogni tanto si girano ad osservarmi.
Leggo qualche parola sul labiale di Auron; assurdo, albhed, no (tanti no), inutile. Ed infine, dopo un po’, Auron abbassa la testa e un yes my lord gli si articola sulle labbra.
Braska cammina verso di me, Auron rimane lì dov’è, occhiate astiose nei miei confronti (fanno male).
-Rikku, ti scorteremo fino alla Casa del viante della Piana dei Lampi, potresti rimanere lì tra la tua gente. Non me la sentirei di lasciare una ragazza nel bel mezzo di un bosco pieno di mostri…-
Sorrido raggiante.
È un inizio. Non so dove mi porterà, viaggiare con loro. L’unica cosa che posso davvero sentire è la fiducia che ho in questo viaggio. Non so perché, ma dentro me sento è giusto che io vada con loro. C’è un motivo per il quale mi sono svegliata qui, in questa realtà-sogno-passato. C’è sicuramente un perché, ed io lo scoprirò.
Sono Rikku, la principessa Albhed, ehy!
-Grazie!- squittisco prima di saltellare, felice –Grazie grazie grazie grazie! –
-EHY?- sento una voce rude da poco sotto i miei piedi.
-Ooops-
-Bella vista da qui-
Arrossisco immediatamente alle parole di Jecht, steso nel suo giaciglio, mentre sbircia sotto la mia minigonna.
Dannato giocatore di blitzball pervertito!
Mi allontano correndo, sbattendo contro il petto di Braska e nascondendomi dietro di lui proprio come una bambina. Non lo posso vedere, ma scommetto tutto quello che ho in tasca (poco più di niente) che Auron sta alzando gli occhi al cielo.
Jecht s’alza in piedi e si sgranchisce il collo. Mi osserva.
-Quindi, chi è lei?- chiede, a tono troppo alto.
-Rikku!- rispondo, mettendo le mani sui fianchi e guardandolo con il miglior cipiglio che ho potuto adottare al momento.
-E…?-
-Era svenuta sulla riva del Fluvilunio. L’accompagneremo fino alla Piana dei Lampi, non sarebbe giusto lasciarla qui-
Parlano come se non sapessi badare a me stessa. Umpfh. Ok, meglio fare la parte della ragazzina in pericolo, per ora.
-Rikku, at your service!-
-Uhmpf-
-Auron?-
-Lord Braska, è assurdo!-
-Assurdo?-
-Lei…insomma…umpfh-
Auron si volta di spalle, esala un lungo respiro e poi s’avvia per un po’ verso la foresta lussureggiante del Fluvilunio. Pensandoci, è stato proprio in questo posto che iniziò il mio pellegrinaggio con Yuna. Che sia un segno?
Braska mi lancia uno sguardo di scuse al quale rispondo con un piccolo sorriso timido. Jecht mi si avvicina e m’osserva in silenzio con un sopracciglio alzato e le braccia incrociante sul petto.
-Allora…? Cos’è che fa tanto infuriare Auron? Vi conoscete già per caso?-
-No!- rispondo senza esitazione..
Forse davvero non ci conosciamo. Dopotutto non è lo stesso Auron.
-Credo sia il fatto che sia Albhed- aggiungo, a voce bassa. Avevo dimenticato cosa si prova.
-E cosa centrerebbe?-
-Gli albhed sono sempre stati discriminati dalla popolazione yevonita, in realtà senza alcun motivo concreto. Mi spiace ammetterlo, ma Auron è totalmente in torto e vittima di pregiudizi senza alcuna base…- risponde Braska, corrucciato.
-Non lo biasimo…- dico, guardando la sponda del fiume e i lunioli che si confondono con la luce del sole.
-Dovresti invece!- Braska alza quasi la voce –Non dovresti far sì che giudichino la tua razza! Non essere così rassegnata! Auron deve imparare a superare la sua mentalità estremamente yevonita, ed imparare ad andare oltre…-
Annuisco quieta, mentre vedo la figura in rosso tornare al campo e iniziare a impaccare la tenda in silenzio. Non credo sia una buona mossa avvicinarmi, adesso.  Lo osservo per un po’ ma m’accorgo che sposta sempre il suo sguardo ben lontano da me. È quasi doloroso vedere quanto Auron sia diverso…dopotutto ora non aveva ancora visto e vissuto l’enorme ingiustizia che la chiesa yevonita ha portato avanti per millenni, e per la quale perse i suoi amici…forse era stato proprio quello a cambiare il suo modo di essere, pensandoci.
Mi sento nel  posto sbagliato…cosa ci faccio qui? Mi sento una spiona, come se stessi vivendo qualcosa che non avrei dovuto neanche sapere o vedere, mi sento come se stessi invadendo tutto questo senza alcun riguardo…eppure è stato proprio lui a portarmi qui, indietro nel tempo, l'altra notte, a Besaid…è stata la sua voce a chiedermi se ne fossi sicura, e a farmi risvegliare sul Fluvilunio di tredici anni prima,  fra le braccia della sua versione più giovane. Sono confusa (si vede dalla mia sintassi esagitata, no?)
Aiuto Jecht e Braska a mettere a posto negli zaini le loro scorte, persa nei miei pensieri. Ci mettiamo in marcia ed entriamo nella foresta del Fluvilunio. Perfetto, penso con un sorrisetto, qui è pieno di tesori! Ci sarà da divertirsi!
Cammino a passo sostenuto accanto a Jecht che, di tanto in tanto, mi fa qualche domanda banale del tipo colore preferito? Oppure qualcosa del genere. Che sia na tecnica di abbordaggio? Ridacchio sottecchi pensando a quanto somigli al mio vecchio biondo amico. Verde, comunque.
Jecht mi racconta del blitzball, di quanto le fan si accalcassero per stringergli la mano e del suo “approdo” a Spira. Non citava mai Zanarkand, probabilmente Braska gli aveva detto di non dirlo a nessuno, proprio come io feci con Tidus – suo figlio.
Eheh! Jecht indovina chi ha avuto una cotta per quel biondastro di tuo figlio? Indizio: è bionda, albhed e ti sta di fronte. Eheh.
Ok, è stata una cosa molto veloce – un paio di giorni – e che s’è estinta quasi subito.  Diciamo che…è stato rimpiazzato, dai.
Dopotutto le cose non sarebbero state più facili se mi fossi innamorata di Tidus e non di Auron…sarebbe comunque scomparso nel nulla…beh, forse poi sarebbe comunque ritornato come è successo, però…non lo so.
Certe volte, subito dopo il pellegrinaggio, mi sentivo così tanto vicina a Yuna…è come se condividessimo qualcosa. Lei aveva perso Tidus ed io…beh, io avevo perso lui, era un qualcosa di molto, troppo doloroso, e mi sentivo affogare nei rimpianti.
Non gli ho mai detto di amarlo, credo. Anzi, ne sono sicura, mai detto. Avevo quelle parole sulla punta delle labbra, ma non osavo pronunciarle, perché sentivo che sarebbe stata la fine, mettere quel peso tra le braccia di Auron, un uomo così rotto e distrutto e fragile da non poter sostenere i suoi stessi pensieri... Vedevo in lui ogni paura ed ogni dolore come se li avesse esposti alla luce del sole.
Credo fosse per questo che accettò di parlare – di tanto in tanto – con me, di confidarmi qualcosa, perché io...io potevo leggere dentro il suo sguardo.
Non m’ha mai detto d’essere morto, non trapassato, mai. Non voleva ferirmi, credo, ma forse non ne aveva il coraggio, semplicemente. Forse aveva paura che mi allontanassi. L’avrei fatto? Non credo…l’amavo troppo.
Era un sentimento così forte da permeare tutto…era pieno, il mio amore per lui, era voglia di proteggerlo da tutto, era voglia di conoscere i suoi dolori e portarne qualcuno con me. Credo sia questo il vero amore…
 
 




 
Auron mi baciò, la prima volta, una notte, sul monte Gagazet, fra le guglie di neve e le stelle che illuminavano la sacra montagna. Sentivamo tutti Zanarkand avvicinarsi, e la tensione era pesante…non sapevo come calmarlo, vedevo il suo sguardo vagare furioso dalle stelle alla cima della montagna, e la sua mano tremare per qualche nervoso pensiero. Così mi sedetti prima accanto a lui, gli dissi che tutto sarebbe andato bene, che saremmo riusciti a farcela… mi guardò negli occhi, e lo vidi. Vidi tutto il vuoto che viveva dentro le sue iridi.
Vivi la vita ed essa ti svuota…pensai. Ecco un uomo che ha vissuto tutto il possibile da vivere...
Gli poggiai una mano sulla guancia ruvida di barba sfatta e gli feci poggiare le testa sulle mie ginocchia. Mansueto, si lasciò carezzare i capelli, e si lasciò sussurrare tutte le frasi di conforto che la mia mente rilasciava.
Andrà tutto bene, Auron…non essere triste…ci sono io. Non aver paura. Lo so che sei rotto dentro…ma io posso aiutarti…non perdere la speranza, soffiavo.
Mi sentivo quasi una bambina idiota, io che sussurravo quelle parole all’uomo che ci aveva protetti tutti per quasi un anno di pellegrinaggio? Ma era così stanco…
Auron girò la sua testa per guardarmi negli occhi. Caricai il mio sguardo di tenerezza, perché era quello che sentivo nei suoi confronti, e lui mi carezzò la guancia, vicino all’orecchio, con le sue dita callose. Poi mi sorrise, un sorriso piccolo e bellissimo.
S’alzò di nuovo a sedere e si tese su di me, nel buio della notte e del fuoco quasi estintosi.
Poggiò le sue labbra sulla mia guancia sinistra, le fece schioccare in un lento bacio, e poi si ritrasse di poco. Fui io ad avvicinare la mia bocca alla sua, esitante… lui mi guardo negli occhi e unì le nostre labbra, premendo con gentilezza. Fu così…leggero…quel bacio.
Poi si rialzò, e sussurrò un grazie strozzato che non dimenticherò mai più…
 
 
 
Braska mi fece riemergere dai miei pensieri.
-Rikku…-
-Ehy!-
Auron camminava velocemente davanti a noi; la foresta sembrava scarseggiare di mostri, probabilmente perché Auron l’aveva setacciata la notte prima; sapevo che aveva quest’abitudine, almeno durante il pellegrinaggio con Yuna.
Jecht osservava gli alberi e il cielo, camminando con le braccia incrociate dietro la nuca, in maniera molto rilassata.
Mi girai ad osservare Braska accanto a me, coperto dalle vesti d’invocatore e dal sorriso sincero. Assomigliava davvero tanto a Yuna, nel modo di sorridere. Ora capisco cosa intendeva Auron, quando lo diceva.
Saltellai un tantino sui miei piedi, sorridendo a Braska.
-Assomigli molto ad una persona che conoscevo- dice lui con un po’ di colpa negli occhi, abbassando lo sguardo al terreno.
Assomiglio a sua moglie…
-Oh, davvero?-
-Beh, sì…ma, dimmi, non puoi forse tornare a casa tua?-
-…no- rispondo, pensando ad una risposta più coerente.
-Come mai?-
-Diciamo che sono stata…esiliata-
-Non pensavo gli albhed arrivassero a tanto…è stato Cid stesso a cacciarti via?-
-Sì…- dico, arrossendo e guardandomi i piedi.
-Se sei stata esiliata addirittura dagli albhed non credo proprio ci si possa fidare di te, uhmpf- mormorò Auron.
-E tu che ne sai?-
-Ragazzi…!-
Auron si volta a guardarmi, rivolgendomi lo sguardo più disgustato di sempre.
-Eh? Cosa ne sapresti tu di cosa ho passato io nella vita?- sbotto d’un tratto. Sono furiosa.
-Di certo nulla, e non sai quanto poco ne voglia sapere-
-BENE! Allora tieni la tua lingua a bada quando parli di me e degli albhed-
-Non ho assolutamente detto nulla sugli albhed- disse composto.
-Come se quella faccia odiosa non parlasse abbastanza da sé!-
-Ragazzi, vi prego-
Braska mi tira leggermente per un braccio mentre continuo a urlare ad Auron gli insulti più svariati, provando quasi piacere nel vedere la sua faccia incazzata nera.
-E comunque sono stata esiliata perché ho preso parte ad un pellegrinaggio…- aggiungo, poi, per dare una botta finale al discorso.
Eheh, Rikku sei un genio…che trovata geniale che hai avuto, ora Auron non potrà controbattere.
-T’hanno permesso d’andare in pellegrinaggio? Uhmpf.-
Mi infurio definitivamente.
Trovi sempre una scappatoia, eh Auron?
-Auron!-  Braska lo riprende quasi subito. L’uomo in rosso gira le spalle e continua il suo cammino.
Jecht s’avvicina ridacchiando e mi sussurra un ironico “secondo me gli piaci”.
Uhmpf. Odio questa situazione.
-Con chi eri in pellegrinaggio?-
-Con una certa…Gimnem- dico, mentre prego mentalmente che non sia davvero in pellegrinaggio, che non sia ancora un’invocatrice ma che soprattutto Braska non la conosca.
-Oh, non la conosco…Il pellegrinaggio, s’è…fermato?- chiede lui con sguardo preoccupato.
-Sì, lei…è morta, nella grotta del crepaccio- recito benissimo la mia parte abbassando lo sguardo -Ero molto giovane…- dico, poi, piano.
Braska mi poggia una mano sulla spalla.
-Non dovresti sentirti in colpa per questo, un invocatore sa a cosa va incontro intraprendendo questa strada-
Sorrido piano a Braska.
Deglutisco. Di certo Braska non sa a cosa sta andando incontro. No, non lo immagina minimamente, tutto il marcio che ribolle nelle fondamenta di questa istituzione, tutte le bugie e le false speranze. E la vera domanda è: avrebbe intrapeso lo stesso il pellegrinaggio se l'avesse saputo? Ed Auron?
Potrei spiattellare tutta la verità ora, ed impedire a Braska di continuare questo viaggio, ma sopratutto...evitare la morte di Auron.
E se potessi davvero cambiare il futuro?
Tutto sarebbe diverso. Yuna non sarebbe motivata a intraprendere la strada di invocatrice, Sin non sarebbe sconfitto, e Spira continuerebbe ad essere un vortice di morte. Seymour avrebbe creato un suo dominio insano.
Farei davvero tutto questo per salvargli la vita?
Questo sogno iniziato da poche ore mi sta lentamente consumando la razionalità. Anche solo la vista della sua schiena, mentre cammina ritmico davanti a me, mi rassicura e allo stesso tempo mi fa partire, veloce, il cuore.
E, tristemente, penso che per quanto potrei averlo amato, non farei una cosa del genere: non distruggerei il futuro della mia Spira per un uomo che credevo di conoscere.
E così, mentre camminiamo sullo sterrato di un vecchio e vintage Fluvilunio passato, mi sento impotente, mi sento sola, nel luogo sbagliato, e proprio non capisco cosa io stia vivendo, se non i ricordi di un uomo che amavo.




 

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Capitolo 4
*** 4 ~ incomprensioni. ***


Image and video hosting by TinyPic...Ehy! Eccomi qui tornata col nuovo capitolo! Adoro scrivere questa storia, mi fa stare così bene. Adoro scriverla sopratutto per i bellissimi e sinceri pareri di Ros the Elphe! La mia elfetta! *spupazza* Questa storia è DEFINITIVAMENTE dedicata a te. Anche perché senza di lei non avrei finito di scrivere proprio niente. AH! Sono una pelandrona! :3
Ho messo delle canzoni come sottofondi musicali (ci sono i link youtube, yoh), ho fatto persino la prova, cercando di leggere cronometrando le canzoni, quindi non dovrebbero esserci problemi (<--- sto diventando scema e paranoica!)
Allora, la domanda del giorno, su questo capitolo è: secondo voi, è fattibile, come coppia, l'Aurikku? Nel senso...non hanno troppe differenze fra di loro, partendo come prima l'età?
Per me no. Per me sono perfetti e basta. NGH. Ma forse è perché io amo sempre uomini più grandi di me e sono senofila, who knows.
OK, vi abbandono per ora *comincia a scrivere il nuovo capitolo*
Grazie di tutto,
eveyzonk.

 

 
 
 
 
Jumpin' in my dream - capitolo quarto.
Incomprensioni.

 

 
 
 





 " Che cosa vuol dire addomesticare?" (..)
" La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio per ciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò il rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color d'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…"
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
" Per favore …..addomesticami", disse.
" Volentieri", rispose il piccolo principe, " ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici e da conoscere molte cose".
" Non si conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe."
(..)
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la volpe, "…Piangerò".
" La colpa è tua", disse il piccolo principe, "Io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…"
" E' vero", disse la volpe.
" Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
" E' certo", disse la volpe.
" Ma allora che ci guadagni?"
" Ci guadagno", disse la volpe, " il colore del grano".

(Il piccolo Principe)
 

 

 
Il fuoco scoppietta sui ceppi secchi. Sono curva su me stessa, in un plaid piluccoso, il cielo è coperto dalle chiome di questi alberi ad alto fusto che costituiscono la foresta del Fluvilunio, l'aria è fredda; proprio come anni fa, sono stanca, sola e sotto le stelle. Ancora una volta, sto combattendo contro gli stessi pregiudizi e le stesse paure; e, pensandoci, anche il fine di questo viaggio è lo stesso. Sconfiggere Sin.
Braska ci crede davvero. L'ho osservato in silenzio, durante questi due giorni, ancora sconvolta da questo sogno, ed ho capito quanto davvero ci tiene. Quanto vuole liberare Spira da questo dolore che era (è) Sin. Quanto soffrirebbe con piacere, morirebbe, per il suo popolo, pur di far crescere la sua bambina in un mondo più sereno.
Mi tira su, sapere che al mondo sono esisitite, e ci sono, persone che darebbero così tanto per il prossimo, senza paura o egoismi.
Mi stringo ancora un po' a me stessa, infreddolita, e guardo il cielo che non posso vedere ma che immagino sia stellato. Chissà se nella mia epoca Yuna le sta guardando, le stelle, sotto il fuoco della piazza centrale di Besaid.
Sorrido.
Quand'è che ho capito che questo non è un sogno? Da quando ci credo? Cosa sta accadendo?
Assurdo. Mi vien da ridere al pensiero, e quasi devo mordermi il labbro per non scoppiare in una risata fragorosa, perché, ecco, essere qui, vedere tutto questo, poter - in qualche modo - star vicino a lui...è proprio un sogno.
Una parte di me spera ardentemente di risvegliarsi, ma l'altra - la Rikku coraggiosa e pronta persino a soffrire - vuole continuare questo viaggio, questa assurda visione che continua a scorrermi davanti.
Voglio guardare e vivere sulla mia pelle la sua vita.
Sospiro.
"Rikku..." una voce mi riporta alla realtà.
Alzo lo sguardo per trovare un volto gentile a torreggiare sulla mia figura.
"Braska...dovresti dormire, se Auron..."
"Auron non decide per me"
Un piccolo ghigno si dipinge sulle mie labbra, mentre affondo un po' di più nel plaid caldo.
"Non sta dormendo..." dico, a bassa voce, con sguardo perso nel fuoco, riferendomi ad Auron "Non si fida di me..." - anche durante il mio primo pellegrinaggio, rimaneva sveglio durante le mie ore di guardia. Come se facesse, silenzioso e grande, la guardia anche a me che facevo la guardia. Mi osservava in silenzio dal suo giaciglio con i suoi occhi cremisi.
"Non è solo una questione di fiducia. Fa così quasi ogni notte, ha il terrore che possa succedermi qualcosa" ridacchia Braska, intenerito.
"Sempre il solito" bofonchio sottovoce, quasi commossa d'aver trovato un punto in comune col mio Auron.
"Scusa?"
"No, nulla"
Nella mia testa si rincorrono mille ricordi. Tutte quelle immagini che cervano di frenare, per non soffrire, e che custodivo gelosamente dentro me, ora stanno esplodendo fuori.
I suoi occhi dolci, le sue mani forti, la piccola risatina che ogni tanto gli fioriva sulle labbra, la stanchezza che lo percuoteva, di sera, accanto al fuoco, un piccolo bacio sulle mie palpebre.
I ricordi volteggiano dentro me insieme al vento della notte. Sprofondo un po' nel plaid.
Braska prende posto accanto a me, e rimane per un po' in silenzio; sembra essere rapito dal fuoco.
I rumori della foresta mi rilassano; avevo dimenticato come ci si sentisse, a domire all'aperto. M'è sempre piaciuto, il cielo sulla testa, nient'altro oltre il cielo e gli alberi. Ti fa sentire libera per davvero. Mi piacciono i rumori degli animali notturni, il leggero russare o respirare delle persone che viaggiano con te, le ore di guardia. Quando ero sola (o quasi), di notte, lasciavo fluire via tutte le mie preoccupazioni: osservavo il fuoco scoppiettare e piangevo un po', abbandonando i miei panni felici per un po' e trovando sollievo nelle braccia della tristezza. Ho sempre trovato in qualche modo stancante essere me.
Questa volta no - penso -,questa volta non devo a tutti i costi tirare su l'umore di tutti; posso essere me stessa, nessuno mi conosce qui.
"Assomigli a mia moglie" dice Braska, appena un soffio, riportandomi in questa realtà (se così si può definire), alzando gli occhi espressivi al cielo, ad osservare le mille foglie scure degli alberi rilucere e godere un po' anche loro della luce lunare - "morì", dice poi, mentre un piccolo sorriso triste gli nasce sulle labbra.
"T'ho osservata in questi giorni. Il mondo in cui ridi, in cui strizzi gli occhi oppure fai qualsiasi cosa. Le assomigli davvero tanto"
Arrossisco e abbasso lo sguardo allo sterrato per nascondere delle lacrime meschine che mi stanno riempendo  gli occhi.
"Ed ho pensato che non c'è altra spiegazione, se non che sei una sua parente, Rikku" Braska si volta verso di me, con emozione negli occhi ricordando mia zia, la mia bellissima e adorabile zietta.
Dovevate essere davvero una bella coppia.
Auron ogni tanto mi raccontava di loro due, di quanto s'amassero. Mi diceva che Braska non aveva mai tenuto tanto a una persona quanto a lei; persino Yuna, che lui amava con tutto se stesso. Mi raccontava di quanto Braska si commuovesse a pensarla, e alla sua determinazione nel continuare il pellegrinaggio per lei.
Anche Auron, mi disse, un giorno, che le somigliavo. E poi ridacchiò, sussurrando qualcosa su un problema di famiglia, una battuta che non colsi. Anche se, ripensandoci, ora l'ho capita e ridacchio anche io, roca.
"Perché ridi?" chiede Braska con tono curioso, seppur ancora impregnato dalla commozione precedente.
"Pensavo a vecchi amici" rispondo, nostalgica.
"Rikku..." l'invocatore torna serio "...dimmi la verità, sei una parente di Sinda?"
E forse è il suo tono di voce. Forse il modo gentile in cui lui, come Yuna, sa pregarti. Forse il piccolo sorriso triste, oppure questa sensazione di rispetto che provo nei suoi confronti, forse la sorte che ha scelto, la consapevolezza che sta per sacrificare la propria vita per me, per tutta Spira, ma io proprio non riesco a mentire a Braska. 
"...sì"
Il volto dell'uomo si rilassa in un'espressione di tranquillità ponderata.
"Ed io che non credevo al destino. Trovo una ragazzina svenuta sulla sponda del Fluvilunio, un'albhed sconosciuta, sento questa scossa dentro come se dovessi soccorrerla, e cosa scopro..." ridacchia, lasciando la frase sospesa.
"Destino, eh?" sorrido leggermente "Vai a dormire, Braska. Domani abbiamo l'altra metà del bosco da percorrere, e quel cattivone di Auron non ammette ritardi" dico, storcendo la bocca e alzando gli occhi al cielo teatralmente.
"Hai ragione" Braska s'alza dal posto accanto a me. Mi poggia, per pochi secondi, una mano gentile sulla spalla e poi mormora un "buonanotte, allora" allontanandosi.
Mentre sento i suoi passi allontanarsi, mentre dei grilli friniscono, mentre mi perdo ancora una volta nel fuoco, sorrido piano a me stessa ed una lacrima sola mi riga la guancia.
E non lo so se ci credo, io, al destino.
Chissà domani cosa mi porterà. Chissà dove ritroverò me stessa. Chissà cos'hai pensato per me, Auron.






 
Caracollai verso l'ennesimo mostro, tendendo la mia piccola mano dentro il suo inconscio per pescare qualcosa. Trovai una granata e del senso di colpa per aver profanato i pensieri di un morto. Rubare era così, scavavi per un po' nella psiche del mostro stesso; alcuni di loro erano pesantemente coscienti della loro situazione, ricordavano ancora la loro vita: da loro si rubavano le rarità più preziose.
Il vento d'oltremondo, per esempio. Oppure - ricordo - del tetraelementale, dai quei piccoli e teneramente orribili esseri verdognoli, nella grotta dell'intercessore rubato, nella Piana della Bonaccia, oppure nei sotterranei di Bevelle, più recentemente. Come si chiamavano? Ah, giusto, i Tonberry; gran bella scocciatura. Attaccavano in base a quello che avevi dentro. Più avevi ucciso, più alto era il danno.
Ricordo...ricordo che per Auron erano davvero una dannazione, quei mostri; dopo ogni lotta si ritrovava, non solo ansimante e stanco, ma persino fiaccato nello spirito. Non so veramente cosa si provi, a ricordare ogni vita che hai rubato. Quei mostriciattoli erano davvero fastidiosi. Mi ci voleva una dose super-rinforzata di battute oscene per tirare su il vecchio. Pf.
Mi lancio contro il budino di neve che m'è davanti, un po' nervosa, lascio affondare le mie piccole daghe nella sua consistenza inconsistente; il danno è minimo.
Al mio fianco Auron (quello giovane, sconosciuto e sopratutto presente) volteggia - i suoi capelli corvini assieme a lui - e colpisce il mostro elementale con un potente Antiscutum. La strategia è quella di abbassare la sua difesa agli attacchi fisici e poi attaccarlo di continuo.
La sua tecnica di combattimento è un tantino più grezza, rispetto all'Auron che conoscevo io, ma è comunque ipnotico. Rimarrei immobile ad osservarlo per ore, mentre - vestito di rosso - si allena poco prima di pranzo, nella foresta viva.
In realtà in questi due giorni m'ha rivolto bene o male la parola un paio di volte, e vi assicuro che non è mai stato niente di illuminante, apparte un: puoi avere tu la tenda, e: basta che non fai la guardia, albhed. Insomma, andiamo alla grande!
Brontolone come al solito.
Mi ferisce ancora il pensiero che abbia dei pregiudizi contro la mia gente, ma in realtà, vedete, non è davvero una cosa di cui dovrei meravigliarmi. Me ne aveva parlato, bene o male; aveva raccontato d'essere stato un monaco yevonita, e, SINCERAMENTE, cosa ti aspetti da un monaco yevonita? Che balli la salsa bestemmiando Yevon e Stronzalesc...ehm...Yunalesca? Dai.
Sospiro, mentre mi muovo un po' sul posto, pronta ad attaccare. Il fisico contratto, pronto allo scatto, ma la mente persa in chissà quali pensieri.
Guardo le sue spalle muscolose e mi sento strana. Niente è più com'era un tempo col mio Auron. Non c'è più, naturalmente, quella piccola bolla di intimità che s'era creata, e neanche quella calamita che pareva spingermi verso di lui. Questa volta è come ripartire da zero; io non lo conosco, non so neanche chi sia questo Auron che m'è davanti.
Ieri notte pensavo che in effetti potrei anche non essere innamorata, di lui; non qui almeno, non in questo tempo. Io ero innamorata di quello che era l'Auron che conoscevo: di tutti i suoi dolori e tutto il suo passato. Ero innamorata di quello che era diventato vivendo, ed ora non so più niente.
Sono bloccata in questa realtà, e non riesco a pensare a nient'altro che a lui. Non è come riaverlo; è più doloroso: guarda, questo è l'uomo che amavi, eccolo, prima di conoscerti: guarda, ora è scomparso, è via, ma tu non puoi avvicinarti a questo sconosciuto e chiedergli di abbracciarti come lui stesso faceva - o è meglio dire avrebbe fatto? - in futuro.
La mente mi sta per scoppiare. Affondo le mie daghe nella consistenza gelatinosa del budino e, questa volta, il danno è alto. Abbastanza alto che basta solo un colpo leggero della lama di Jecht, per farlo esplodere in una pioggia di lunioli.


Tre giorni dopo.




Quando arriviamo alle porte di Guadosalam siamo tutti stanchi.
La foresta è scura, ma ci è alle spalle.
Caccio un sospiro di sollievo mentre butto le spalle in avanti, ciondolando stancamente le braccia.
"Rikku, sei stata molto d'aiuto! Guarda questa borsa piena di granpozioni che non ci saremmo mai potuti permettere!" mi dice Braska con un sorriso sincero e sopresa nella sua voce controllata.
Sorrido stanca e ridacchio un po', prima di sentire mormorare, dalla mia sinistra, un piccolo 'ladruncola'.
Jecht mi alza un sopracciglio, come a voler dire 'cos'è, non accogli la sfida?', ed è allora che i nervi mi si tendono e mi giro infuriata verso Auron.
"Scusami, non ho sentito bene"
Il ragazzo si ferma a metà del bosco, aggiustandosi intimidatorio la katana sulla spalla, e guardandomi con quei due pozzi scuri.
"Ho detto, miss, che sei una ladruncola"
Le mie mani si fissano direttamente sui fianchi. Sento le mie sopracciglia alzarsi con nervosismo e sbalordimento.
"Ma se vi sto aiutando!"
"Auron..." inizia Braska.
"No, stanne fuori Braska!" rispondo.
"Come osi..." Auron fa due passi e m'è vicino. Torreggia, più in alto, con il suo volto minaccioso illuminato dai raggi lunari.
Jecht prende per un gomito Braska e s'allontana un po' insieme all'evocatore; è la prima azione logica e razionale che gli vedo fare, penso, innervosita un po' con tutti.
"Sono stanca, stanchissima, distrutta, mi sono fatta in due per combattere e aiutarvi, e tu cosa bofonchi? LADRUNCOLA?!"
"Abbassa la voce" sibila l'uomo, ovviamente non abituato a sentirsi capeggiare così. Lo odio. E' così...insopportabilmente saccente e ironico. Arghhhhhhhhhhh.
"Perché? Hai paura che il bosco ci senta? O che gli uccellini si rendano conto che grande e grosso come sei non riesci a tenere testa a una ragazza albhed?" mi alzo sulle punte, mentre gli sputo contro quelle parole, armata del mio dito inquisitore.
Sono a pochi centimetri dal suo volto, e posso vedere il fuoco ardergli negli occhi. Quella rabbia sempre controllata che in lui sembra poter esplodere da un momento all'altro. Un vulcano in quiescienza.
Poi, svanisce, lasciando il posto solo ad un'asettica razionalità.
"Non ho paura di niente, figuriamoci di te" posa i suoi occhi su di me, altero e calmo "Ti reputo esattamente niente, per me potresti anche non esserci, malgrado il presunto aiuto di cui ci stai fornendo. Non ho niente a che vedere con te, non mi piaci, non mi piace il modo in cui scherzi con Lord Braska, né tantomeno quanto assecondi quell'ubriacone di Jecht. Spero d'arrivare presto alla Piana dei Lampi per lasciarti lì e poter continuare il pellegrinaggio"
Auron pronuncia queste parole con estrema tranquillità, nel silenzio della sera, tra i fruscii del bosco. Sentire la sua voce dire queste cose, sentirmi dire da lui, che io sono niente, è davvero...orribile.
Non so cosa rispondere. Guardo il suo volto dai bei lineamenti e non riconosco l'uomo che tanto ho amato.
Un singhiozzo mi scappa dalla bocca mentre mi sento annichilire e, piano, gli volto le spalle. La mia mano mi copre la bocca. Le sopracciglia si curvano, gli occhi si spalancano. Il respiro si velocizza, sento le mie spalle voler cadere verso il basso, facendo schiantare il mio intero corpo, ma resisto. Resisto.
"Allora...allora..." bofonchio, acuta; non so cosa vorrei dire, so solo che la voce mi si spezza e non sono in grado di pronunciare nessuna parola. 
Poi non resisto più.
Scappo. Con occhi sgranati, scappo.
Vedo, correndo, Jecht e Braska osservarmi interrogativi.
Scappo via. Mi ritrovo nella grotta prima della città. I miei passi rimbombano, una fioca luce verde rende tutto più sfocato.
Lacrime calde mi rigano il volto mentre qualcosa dentro di me si scuote, mentre il dolore è troppo.
Entro nello stretto corridoio di terra, scappando, sentendo i passi del gruppo alle mie spalle, Jecht che cerca di correre, Braska ponderato, che dice qualcosa, ma non riesco capire; non odo i suoi passi. Pensandoci, sarà rimasto nella foresta.
O forse no.
Forse non so più cosa farebbe Auron.
Forse non so più niente.
Niente...




Questa calma è salvifica e strana.
Sono seduta sul bordo di una piattaforma, ai miei piedi fiori e lunioli e mille luci in questo tramonto eterno.
Il mio sguardo è vacuo, lo sento, non riesco a focalizzarmi su nulla. Le labbra mi bruciano un po', tiro ancora su col naso e gli occhi sono arrossati, ma lo spirito è quieto. Quieto e...vuoto, forse.
L'altro giorno, mentre combattevo al suo fianco e volteggiavo colpendo nemici, lo osservavo con la coda dell'occhio e vedevo che mi guardava. Speravo fosse ammirazione.
Mi stava studiando.
Di sera, seguiva i miei movimenti mentre cucinavo. Di mattina, era sveglio da prima di me e mi osservava con discrezione, sempre in tralice, mai apertamente.
Ed è...inquietante, vedere quanto poco si fida di me (dopotutto sei una sconosciuta, Rikku) (Ma sono con loro da giorni, ormai) (sei tu che li reputi già conoscenti, perché in effetti li conoscevi da prima, dalle parole ascoltate e i racconti...).
Questi pensieri mi stanno annichilendo. Sono stanca, sola. Voglio tornare a casa.
Tiro le ginocchia al petto, ed odoro l'aria.
Profuma di lui.
Poi, sento dei passi. Lenti, ritmici, degli stivali.
Una lacrima mi solca il volto mentre sento la sua solita mano sulla mia spalla ed un abbraccio caldo attorno alle spalle.
Ma questo è il mio Auron. Il mio guardiano. Il mio lontano, rosso, orbo amante.
E questi, qui in terra, sono i pezzi del mio cuore.
"Perché mi stai facendo questo?" gli chiedo, senza parlare.
E lui mi stringe; la durezza della sua postura svanita del tutto.
Vengo, piano, girata verso il suo petto (ma non posso vederlo, ho gli occhi chiusi), e sento le sue labbra sulla mia bocca tremula...
E' allora che mi sveglio; sola, fra il tramonto eterno dell'Oltremondo, Braska inginocchiato vicino a me e niente se non un buco nel mio petto...
"Rikku...sono mortificato"
Mi metto a sedere "...mi sono addormentata"
Braska rimane in silenzio, per poi alzarsi con un sorriso e mimando con la mano di restare lì dove sono. Sono un po' confusa. Sono confusa da quando sono giunta qui; tutto questo dovrebbe avere i bordi di un sogno, ma è così reale da sembrarmi, appunto, surreale.
Mi stropiccio gli occhi e deglutisco, ferendomi un po' la bocca impastata dal pianto e dal sonno.
Poi sento ancora dei passi venire verso di me. Il mio sguardo è perso nei giardini eterni e nei lunioli.
"Rikku"
Sorrido un po' mesta alla sua voce, e so che ora non è un sogno.
Il giovane guerriero si siede accanto a me, volto girato dall'altro lato e postura imbarazzata. Si sta mordicchiando l'unghia del pollice - non ho mai visto Auron tanto imbarazzato e nervoso - e sembra stia cercando le parole, oppure che stia combattendo una sua battaglia interna.
Lo osservo. Mi fa tenerezza.
Sembra dispiaciuto, e dopotutto chi sono io per giudicarlo? Non è colpa sua se è stato praticamente cresciuto nel grembo di Yevon, se non riesce ancora a distaccarsene. Io so che avrà la forza di farlo, e questo mi rende fiera abbastanza. Come una madre.
"Rikku, mi dispiace" dice piano, orgoglioso e fiero.
"No, dispiace a me, Auron. Vi ho causato dei problemi, e vi starò rallentando, probabilmente"
Vedo un solco di preoccupazione incavarsi fra le sue sopracciglia.
"Rikku" sospira e abbassa le spalle, come se quello che sta per dire fosse qualcosa di ostico e difficile da pronunciare "...no...hm...ci sei stata...d'aiuto"
Spalanco gli occhi e lo vedo, mentre mi sbircia per un secondo da sotto le sopracciglia, orgoglioso.
Non posso fare a meno di sorridere forte, e sentire tutta la forza tornarmi.
Sospiro pesantemente, soddisfatta, al che lui si irrigidisce ancora e aggiunge, alla sentenza di poco prima: "ci sei stata un po' d'aiuto"
 "AURON!"
E rido, mentre impacciato s'alza e si dirige irritato come al solito verso l'uscita, bofonchiando qualcosa che non comprendo, ma che so essere suoni indistinti e innervositi.






La locanda è gestita da un vecchio signore non molto simpatico.
Mi rendo conto di quanto la cultura guado sia arretrata, in questi anni: gli occhi sono tutti puntati su di noi, Braska è additato come uno sciocco invocatore, ed io sono qui, ad occhi bassi, per non farmi riconoscere come albhed.
L'odore di spezie e stoffe mi sta annebbiando i pensieri. Al bar della locanda Auron ha ordinato una strana bevanda che puzza, e quando gli ho chiesto cos'è, mi ha risposto che non voglio davvero saperlo. Beh, perlomeno è una risposta più sensata e composta del solito mutismo.
Braska sembra contento; del fatto che Auron si sia scusato, intendo, anche se pensandoci gliel'avrà suggerito proprio lui stesso. O forse l'ha addirittura obbligato. Non so. Non voglio pensarci.
Ci sediamo ad un tavolo per la cena, ed io tengo fissi gli occhi sulle carni speziate che ordiamo, pagando con i vari gil rubati dai nemici.
"Rikku", mi chiama ad un tratto Braska, sorridendomi gentile "Non dovresti tenere il volto così in basso, non ce n'è motivo"
Auron si irrigidisce un po', guardando di sottecchi Braska.
So cosa vuol dire; lo so, che Auron non vuole problemi a causa mia, né tantomeno vuole che Braska sia additato come l'invocatore con la blasfema albhed nel gruppo. Lo capisco benissimo.
"Braska, ti ringrazio, ma credo sia meglio così"
"No, è una vergogna, nessuno dovrebbe nascondere le proprie radici"
"Non le sto nascondendo, le sto ignorando"
"Lord Braska, forse è meglio..." inizia Auron, silenzioso e quasi...rispettoso?
Lo guardo, alzando piano gli occhi, per poi riabbassarli. Era preoccupato.
Jecht osserva la scena in silenzio, stanco dalla lunga giornata di viaggio. Oggi ha utilizzato al massimo la sua forza magica, infondendo all'intera squadra continui     haste, quindi è ragionevole che sia stanco.
"Braska, davvero, grazie, non voglio causarti problemi"
Auron mi guarda per un secondo, confuso, e sembra addirittura - ancora - dispiaciuto. Chissà.
"Questa carne è buonissima, mi ricorda i barbeque di domenica, nella vecchia Zanarkand"
Al nome della città, Auron e Braska si induriscono e si guardano, turbati.
"Ahem..." continua Jecht, accortosi dell'errore - cosa di cui, però, non mi sono accorta io - e grattandosi la nuca con la mano destra (altro piccolo particolare che mi ricorda totalmente Tidus).
"Rikku?" mi chiede Braska.
"Cosa?"
"Hai sentito per caso quello che ha detto Jecth?"
"Oh, certo, i barbeque di Zanarkand" dico sovrappensiero.
"E non ti stupisce?" chiede, piano, l'invocatore, occhi sgranati.
"Oooooooh!" ora capisco. Metto su la mia migliore faccia sopresa ed esclamo con finto, esagerato interesse "Zanarkand? Come può essere?! Permettono di fare barbeque lì?"
Auron alza gli occhi al cielo "Jecht è stato troppo vicino a Sin"
"Oh, capisco" dico, riempiendomi la bocca di un pezzo di carne, per evitare di dire qualcosa di stupido. La mia demenza è sempre in agguato.
Jecht mi alza un sopracciglio, ma faccio finta di non vederlo. Ha capito, che io so qualcosa, nel momento in cui non mi sono stupita della sua affermazione.
Dannazione.
Dannato Jecht! Dannato pellegrinaggio!
Dannati tutti.
Arrossisco mentre mastico, irata; un pezzo di carne mi va di traverso, e tossisco, attirando le attenzioni di tutta la sala. Poi butto giù un bicchiere d'acqua, battendomi il petto con un pugnò.
"Fiù, c'è mancato poco" sospiro forte e sento Jecht ridere.
"Ehy, biondina, cos'è, pensare a me ti fa arrossire?" dice l'uomo, arrogante.
Sfoggio la mia miogliore espressione ironica "Oh, sì, non sai quanto. Sei un tarlo da una settimana, ecco. Un tarlo insostenibile"
"Beh ci credo...povera creatura, devi essere provata da questo immenso sentimento! Perché non lo sfoghi un po'?" Jecht alza un sopracciglio, sarcastico "...io purtroppo sono impegnato, ma...ecco, c'è un mio amico disponibile" ridacchia con quella sua risata roca e sgraziata mentre con un cenno della testa indica Auron, alla sua sinistra.
Sento la mia faccia andare in fiamme. Non voglio vedere il volto di Auron. Oddio. Abbasso gli occhi verso il mio piatto e sussurro, lenta "Jecht. Ti ammazzo"
Braska, per fortuna, interrompe il momentoimbarazziamo-la-piccola-Rikku, e si alza dal tavolo, lasciando i soldi del conto sotto il piatto, e dicendo d'aver sonno.
"Abbiamo ordinato due camere," aggiunge "Una va a me e Jecht, l'altra a te e Rikku", dice poi ad Auron, provocando il mio sgomento.
IO. AURON. STESSA STANZA. NOTTE.
L'ultima volta che è successo le conseguenze sono state...tangibili (?) - PIU' CHE ALTRO UDIBILI, ecco.
Oh mio Dio, oh mio Dio.
E' una congiura, una congiura contro il mio apparato respiratorio. Tachicardia. Iperventilazione. Defungo, qui, ora.
"Cosa...perché?" chiede Auron, alzandosi dal tavolo.
"Beh, strategicamente, dovresti spiegarlo tu a me" risponde l'invocatore.
Intreccio le braccia dietro la schiena, sono in piedi nella sala, gli occhi ancora verso il basso, e sto praticamente odiando Braska. Ed io che pensavo mi avesse salvato dalle battutine di Jecht...Mphf. Di male in peggio.
Jecht - in tutto questo - diciamolo, che sta ridendo in due, dentro di sè, e che si trattiene solo perché spaventato dalla futura possibile reazione di Auron.
VI ODIO.
"Auron, uhm" continua Braska, alzando di un poco gli occhi al cielo "Da quanto abbiamo potuto sperimentare, Jecht e Rikku sono due ritardatari, se li mettiamo in stanza assieme rischiamo di doverli svegliare domani a rastrellate, non ti sembra?"
"Hm"
"Qundi...buonanotte!" dice Braska, dirigendosi verso la sua stanza.
"Divertiteviiiih!" urla Jecht prima di sparire alle spalle dell'invocatore.
Quindi.
Eccoci qui. 
Vorrei che una voragine si aprisse appositamente per ingoiarmi.
 

Sono seduta a gambe incrociate sul letto matrimoniale. Non ci posso credere, non è neanche una stanza con i letti divisi! Jecht e Braska la pagheranno. Eccome se la pagheranno.
Auron è bellissimo; è appena uscito dal bagno, scusandosi con me per la nostra sistemazione (da quand'è che è così gentile? - forse è perché oggi era triste), con indosso i suoi pantaloni neri ed una maglietta accollata, dello stesso colore. Il particolare veramente stupefacente sono i suoi capelli neri, nerissimi, bagnati e lucidi, dopo un bagno caldo (c'è ancora vapore dal bagno), sciolti sulle spalle. Sono davvero lunghi...e sinuosi. Una pioggia di inchiostro.
La luce è fioca nella camera, e penso di sembrare proprio un'idiota, a gambe incrociate sul letto, con la faccia bassa.
"Non devi continuare a nasconderti" dice l'uomo, con un tono che sa quasi di predica.
Alzo lo sguardo, ed una voragine di apre nel mio petto alla vista dei suoi occhi...
è ancora il mio Auron, è ancora lui!
"Ahem..." non so cosa rispondergli.
Auron sembra irritato "Perché sei sempre così incazzato?" gli chiedo.
Si volta verso di me, osservandomi in silenzio. Si corruccia un po' "Mh" non risponde.
"Perché non ti fidi per niente di me?"
"Non ti conosco. Sei una ladra."
"...e?"
"...e sei un'albhed"
Sorriso, un po' rattristata.
Auron sbuffa forte, rabbioso con se stesso "Mhn, non è perché sei albhed. Lo era, ma..."
"Ma?"
"Ho capito che non un buon grado di giudizio, ok?" alza un sopracciglio verso di me, voce irritatissima.
"E quindi?"
"Quindi non mi fido di te perché sei una ladra, e perché non ti conosco" conclude.
"Rubo solo ai mostri, sai" dico, contorcendomi le dita, un po' rossa.
"Umpf. Cosa farai?"
"Cosa farò quando?"
"Alla Piana dei Lampi, cosa farai?"
"Resterò lì" - mento.
"Non sei stata ripudiata dagli albhed?" chiede, saccente.
Mi corruccio.
"Scusa" aggiunge, profondo. Ma è bipolare? No, perché...boh.
"No, è vero. Resterò lì comunque..."
"Umpf"
Auron si siede di spalle all'altro lato del letto.
"Ti prende un accidente se dormi con i capelli tutti bagnati" mormoro.
"Prendi tu il letto" mi dice.
"Posso asciugarti i capelli, sai?" dico, mettendomi con le ginocchia in piedi sul letto e camminando verso la sua schiena. Lo vedo irrigidirsi al rumore delle molle del materasso cigolanti.
"Hm?" risponde, deglutendo.
"Sì, lo usiamo noi ragazze per asciugarli; è magia nera, un combinato di aero e fire, ma leggero. Una folata di vento"
"Hm" - è imbarazzato.
Sono alle sue spalle. Posiziono piano le mie mani poco distanti dai suoi capelli, e mi concentro. In poco tempo, una calda folata di vento gli fa svolazzare i capelli setosi, asciugandoli.
Dalla finestra aperta i rumori della notte rimbombano nella stanza. I grilli, i gufi, il vento.
I capelli di Auron si posano leggeri sulle sue spalle, mentre una ciocca - una sola - di una morbidezza commovente e indescrivibile, rimane sulla mia mano, su una nocca infreddolita dalle notti all'agghiaccio.
Non so da dove pesco il coraggio per farlo, ma gliela riposiziono dietro l'orecchio con una cura ed una devozione tale da spaventarmi da sola.
Ed è allora che Auron quasi salta dal letto, ed è in piedi, e si irrigidisce, e distrugge ogni contatto: è allora che il muro fra noi ritorna.


Quella notte, anche se dormii sola, sentii Auron accanto a me, sul pavimento. Ascoltavo il suo respiro ponderato, e sapevo che era sveglio.
Lo sapevo dai lenti movimenti circolari del suo pollice sul suo stomaco, lo sapevo dai suoi occhi semiaperti che osservavano fuori la finestra le luci terrene di Guadosalam notturna.
Lo sapevo perché, per un po', m'ha guardata dritto negli occhi, senza dire una parola, e la tristezza era nelle sue iridi.

 
 
 

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Capitolo 5
*** 5 ~ ultimo giorno a Guadosalam ***


Image and video hosting by TinyPic...Eccomi qui! Final(fantasy)mente! Sono stanchissima, domani ho il compito di matematica (*musica funebre*), ma continuo a imperversare sulla categoria Final Fantasy X di Efp! Sembra la mia dimora, quasi! Ahahahahaahahah! Beh, direi che la storia stia andando a gonfie vele! Incredibile quanto sia motivata, anche se è seguita poco, (Michela, non illudiamoci, la leggi solo tu! :D) mi ostino sempre a continuarla. Forse perché la mia elfetta è più calorosa (e violenta, se non scrivo mi picchia! *cuoricino*) di una folla di utenti che recensiscono! Basta una sua recensione per motivarmi a continuare a scrivere.
AW!
Bene, benissimo, vado a deprimermi per il compito di domani.
Sappiate che sono comunque felice perché ho l'aurikku.
OK SONO PAZZA,
addio.
eveyzonk!


 



Jumpin' in a dream - capitolo quinto.
Ultimo giorno a Guadosalam.

 




Passo la mano sulla superficie dell'acqua; Guadosalam è davvero un luogo fascinoso, mistico, magico. M'ha sempre dato quest'impressione, ma ora più che mai.
Sembra essere più...selvaggia, in questo periodo storico.
Le grandi mani dei guado hanno unghie affilate, mi mettono sulle spine, però allo stesso tempo sono rilassata da questi odori speziati, da questi fumi d'incenso che ricoprono il perimetro di tutto il villaggio. Passo la mano sullo specchio d'acqua, e mi rendo conto che è sempre gelida: non conta da quanto tempo le mie dita sono immerse, la mia pelle non riesce ad abituarsi a questo freddo distaccato.
E così pure il mio riflesso: non si stabilizza, nella pozza d'acqua irrequieta; vedo le mie iridi contorcersi in spirali sinuose, e le mie trecce quasi strangolarmi.
Si racconta che l'acqua della vasca di Guadosalam sia profetica. Si dice sappia mostrare le paure e i timori di chi vi si specchia.
Ora non vedo che me stessa, riflessa. E mi chiedo: è di me stessa che ho paura? Di fallire? Di non essere abbastanza forte?
Mi alzo dal bordo della vasca e cammino un po' per le vie della cittadina.
Auron è poggiato contro una parete intagliata negli alberi. Guarda nel vuoto, e quando vede che mi sto avvicinando mi osserva prima per una frazione di secondo, e poi allontana lo sguardo.
Stamattina avevo freddo. Sono uscita dalla locanda, indossando la mia minigonna e il mio top (grazie a dio non ho il bikini, o i guado mi avrebbero cucinato per cena con le spezie) e sono andata in un negozio d'abbigliamento. Oh yevon, dovreste immaginare quanto fossero obiettivamente brutti quei vestiti lunghi e tristi.
Ho optato per un maglione maschile, giallo e azzurro, che mi arriva circa a metà gamba e che mi lascia scoperto una spalla. Mi sento più coperta. Nell'evenienza, mi dico, potrei indossare un pantalone. Great.
Mi avvicino ad Auron e vedo per un secondo i suoi occhi vagare sulla mia spalla scoperta (ehehehehheheheehehehehhe).
"Ehy, che combini?"
Alza un sopracciglio ironico - sembra di buon umore, questo pomeriggio - e sospira piano.
"Aspetto"
"Ti piace proprio aspettare" dico, annoiata, spostando il peso del mio corpo da un piede all'altro, in un balletto strano.
Vedo lo sguardo di Auron ravvivarsi di curiosità per un attimo.
"Cosa intendi?"
Abbasso un po' lo sguardo, calciando qualche pietrisco "Mh, niente in particolare. Sembri una persona molto paziente, ecco"
Ed ora, ragazzi e ragazze, taccuino alla mano ed evidenziatore pronto: prendete i vostri appunti e scrivete a caratteri cubitali quella che potrebbe essere la rivelazione dell'anno. Ebbene sì, il momento che stavate aspettando tutti.
Auron ha riso.
No, non quel ghigno acido che mi dedicava sempre, ma una vera risatina (certo non immaginatevi adesso Auron che rotola dal ridere - sarebbe decisamente Ooc!), roca e...allegra. Allegra è il termine giusto? Mi confermano dalla regia che sono autorizzata ad utilizzare l'aggettivo allegro? Sì? Bene.
Vi consiglio di sottolineare ancora una volta la frase sul vostro taccuino (ebbene sì, ha riso) (a me); e scusate le parentesi.
"Eeeeehy!" urlo, puntandogli il mio indice contro.
"Cosa?" dice, sorridendo ancora.
"Hai riso! Hai riso!" saltello gioviale e freno l'istinto di prendergli le mani e costringerlo a fare un girotondo con me "Hai riso!" e gli occhi mi staranno sbrilluccicando mentre lo dico.
"Hm?" e nella sua ritrovata (quasi) serietà, Auron, si volta di spalle e fa per andarsene - come suo solito - sbuffando e rispondendo (quel riso ancora nel suo tono di voce) "Certo che sei proprio visionaria e matta, oltre ad essere albhed", lasciandomi qui, a bocca spalancata, col cuore che batte e una ritrovata voglia di vivere quest'avventura.


Ripresami dallo shock, ho passeggiato un po' per Guadosalam, approfittando della mezza giornata di pausa che Braska ci ha concesso.
Penso con divertimento che Jecht ha deciso di passarla dormendo.
Quando nel pellegrinaggio con Yuna capitava di avere una giornata libera, tutti cercavano di riprendere quanto il più possibile una vita normale. Noi ragazze portavamo Yuna a fare shopping, gli uomini gironzolavano e bevevano qualcosa in un bar. Auron solitamente rimaneva solitario a riflettere; ho sempre pensato che per lui la normalità fosse quella. Mi piaceva, ogni tanto, rimanere con lui. Cercavo a tutti i costi di spronarlo a parlare, e lui era davvero frustrato dal fatto che io rimaessi lì a rompere le scatole, però, ecco, ha sempre risposto alle mie domande. Sulla storia di Spira, la condizione socio-politica degli albhed in passato, gli errori applicati nella politica, la grossa differenza culturale (anche tra yevoniti stessi) tra le persone abitanti il nord e quelle il sud di Spira, le armi dei sette astri, le leggende riguardanti gli intercessori, la morte. Tutto. Qualsiasi cosa. Parlavamo per ore, e lui non mi faceva mai sentire una ragazzina banale, anzi; prendeva sul serio le mie riflessioni, il mio punto di vista, metteva in discussione i suoi pensieri, mi spiegava quando avevo torto e ammetteva i suoi, di torti, con calma e riflessione. Erano in quei pomeriggi, che mi innamorai di lui.
Del suo sguardo perso oltre il vetro della finestra, mentre parlava, della sua ironia e del suo essere così elegante e, beh, rude.
Ricordo d'aver pensato che fosse gentile con me solo in quei pomeriggi, quando il pellegrinaggio era un po' lontano, e lui mi trattava come fossi una sua alunna. Forse davvero gli ricordavo i tempi passati coi monaci yevoniti, dopotutto.
Ricordo che mi chiese, una sera, perché volevo a tutti i costi mostrare meno di quanto fossi. Perché mi nascondevo dietro l'immagine di una ragazzina allegra e stop. Non seppi rispondergli per bene; forse, gli dissi, le persone hanno bisogno d'essere accolte, quando si parla; per mostrarsi, ci vuole semplicemente un buon interlocutore, qualcuno che ti sappia ascoltare. Forse ci si nasconde per paura d'essere indifesi.
Non rispose più, per quella sera, così me ne andai.
Guadosalam non è, non era, e non sarà mai un posto d'intrattenimento. Diciamolo. Ora che, poi, la villa non è abitata da Leblanc ma da Jyscal (suppongo), non c'è proprio niente di divertente. Almeno la cara vecchia Leblanc era e resterà una persona di spirito - anche troppo. Mi annoio, mentre gironzolo, ad occhi bassi.
Umpfh. Quando mai mi son fatta dei problemi a mostrare le mie radici albhed? Mai, ecco, per l'appunto. E allora perché, adesso, in questa dimensione passata, mi sento così poco a mio agio? Forse, mhm, forse è perché non voglio che Braska venga giudicato ulteriormente, a causa mia.
Ho il torcicollo. Non sapete quant'è difficile non camminare a testa alta (guardando il cielo o il soffitto, nel mio caso), quando si parla di me: è praticamente il mio hobby. Vi lascio immaginare che tortura sia nascondere gli occhi...
Mhmh, devo pensare a qualcosa.
Hey.
Heheheh. Ci sono. CI SONO! Ideona.
Trotterello verso il primo negozio che ricordo star sulla strada, e entro, causando il suono tintillante del campanello legato alla porta. Un'ondata di calore e odore d'incenso mi inebria, appena entrata, e la luce calda della stanza mi fa strizzare gli occhi.
"Rikku..."
"Braska?" osservo l'invocatore, vicino al bancone, voltato verso di me con un piccolo sorriso.
"Che fai qui?"
"Gironzolavo"
"Ah"
"Tu?"
"Compere"
Mi avvicino al bancone, sorridente, occhi bassi. Osservo le mani grandi del mercante guado. Braska mi guarda con la coda dell'occhio, come a dire di smetterla di nascondermi. So come la pensa a riguardo, so che gli ricordo la moglie, e so anche che quello è uno dei motivi per il quale mi ha accettato nella sua compagnia.
"Questo quanto fa?"
"Settemila guil" risponde l'anziano guado dalla voce stridula. Braska posa subito sul bancone l'armilla che aveva tra le mani. Che carino, era una protezione per Auron. Ci deve davvero tenere molto, a lui.
"Settemila guil?" replico, sbalordita.
"Esatto"
Braska mi tocca il braccio, come a tranquillizzarmi. Niente da fare, i mercanti guado resteranno i più meschini di sempre. Già ai tempi del primo pellegrinaggio dovemmo fare una folle trattativa per scendere a prezzi accettabili. Sono peggio di quelli del Fluvilunio, davvero, eppure lì ci sono così tanti furfanti da non tenere il conto sulle dita della mano!
Prendo Braska per il braccio e lo spingo un po' più distante dal bancone.
"Ehi"
Mi avvicino leggermente a lui per poter bisbigliare senza farmi sentire dal mercante "Senti, Braska, lascia fare a me le compere. Quello ti frega"
"Ma no", dice gentile, ridacchiando "Non sono così ingenuo".
Mentre parliamo, la porta si apre e - udite udite - entrano Jecht e Auron, evitandosi.
"Lord Braska"
Faccio una linguaccia alla faccia ironica di Jecht e sorrido.
"Chi non è così ingenuo?" chiede l'uomo, con voce graffiante.
Alzo il sopracciglio e sbuffo "Braska...dice che non si farebbe fregare dai commercianti guado" dico, bisbliando, ironica.
Auron brontola un piccolo ruggito che dovrebbe essere una risata - wow! è davvero di buon umore - e si porta la mano alla fronte, dubbioso del savoir faire di Braska con le trattative.
"Sentite" faccio "lasciate trattare me con lui. Davvero"
"Potrebbe fregarti, dopotutto sei una ragazza" dice Braska.
"Cosa stai insinuando? Ti sembro forse una donzella indifesa?"
Jecht ride di gusto "Tutt'altro! Braska, lascia fare a lei, secondo me lo stende! Basta che gli mostra le..." Auron lo interrompe con uno schiaffo leggero sul collo, che costringe Jecht a piegarsi in due, in posizione di difesa.
"Ehi!"
"Niente linguaggio poco consono" giustifica, serio, il ragazzo in rosso. Non so, qualcosa non mi quadra.
Sorrido ad Auron, ma lui distoglie lo sguardo, freddo e ostile come al solito.
"Vabene, vabene, occupati tu delle trattative" si arrende Braska.
"Ci servono delle protezioni per i fulmini, possibilmente una con un incremento della difesa fisica per Lord Braska, e qualcosa con un incremento della potenza magica per Jecht" specifica Auron.
"Già, sono sempre esausto dopo tutti quegli haste!"
"Ricevuto, capo! Lascia fare a me!" esclamo, positiva come al solito, saltellando da un piede all'altro. Mi avvio verso il bancone, quando Braska mi chiama e mi lancia la sacca dei guil, sorridendomi e aggiungendo "Prendi qualcosa per te!".
Arrossisco e abbasso lo sguardo, ridacchiando imbarazzata. Poi, approfittando della vecchiaia del mercante, mi avvicino al bancone a testa alta. L'ho visto, come si sforza a guardare il prezzo sul catagolo dei suoi stessi prodotti: ha una vista sfocata, non vedrà le mie spirali spiralose ed albhed!
"Salve"
"..." il vecchio continua a sfogliare il catalogo, aspettando che sia io a continuare. Che ostilità, eh.
"Allora, mi servirebbero tre protezioni"
"Protezioni come?"
"Vuote"
"Vuote?"
"Beh, sì, senza nessuna qualità. Tre protezioni semplici"
Il vecchio signore alza gli occhi dal librone e mi guarda, alzando un sopracciglio, cattivo.
"Non vendiamo roba inutile"
"Ah, beh, ma alle vostre spalle vedo esposte delle armi semplici"
"Umpf. Che tipo?"
"Una vera, una fascia e...quel ciondolo azzurro"
"Non è una protezione, un ciondolo"
"Me lo dia e basta, ok?" comincio ad irritarmi anche io, a questo punto. Dannatissimi guado.
Il vecchio prende con attenzione le protezioni dallo scaffale impolverato e le posa sul bancone.
"Vediamo...fanno duemila ognuna"
"Se lo scorda."
"Scusi?" alza la voce, il guado.
Sento dei passi venire alle mie spalle: è Auron, che si accosta a noi due e ascolta la conversazione. Vedo il suo sguardo un po' turbato mentre osserva le vecchie protezioni sul bancone.
"Conosco bene l'ambiente mercantile, e non pagherò più di settecento guil per quella vecchia roba di seconda mano. Dopotutto, altrimenti, non li smaltiresti mai, e restebbero per sempre lì" dico ragionevole.
"..." la faccia del mercante è alquanto turbata.
"Metti caso che tu abbia armi migliori. Sarebbe più conveniente esporle, no? E poi, pagheremmo 2100 guil per tre protezioni, cosa che non faremmo invece per comprarne una. O compro queste tre a questo prezzo, oppure niente. So bene dove cercare un altro mercante che sicuramente accetterà di vendermele, sai, e allora il tuo profitto sarà nullo. Facciamo che ci aggiungo cinquanta guil, e prendo anche quel paio di occhiali nello scaffale."
Sento il vecchio guado deglutire, preoccupato, e Auron ghignare.
"...Bene. Duemilacentocinquanta. Non più, non meno"
"Certo!"
Paghiamo e Auron prende la busta con gli acquisti. Jecht e Braska ci seguono all'esterno.
Sospiro forte. Ammetto d'essere stata sicura, per un momento, che non m'avesse venduto proprio niente; ma ce l'ho fatta. Yay.
Anche anni fa, le trattazioni le tenevamo o io o il vecchio.
Ho anche comprato un paio di occhiali per coprirmi. In effetti mi ricordano molto i suoi, ma ok.
"Allora, che te ne sembra?" chiedo ad Auron.
Il ragazzo sbuffa, freddo. Oggi è davvero bipolare! Ha una doppia personalità! Prima mi sorride e poi mi evita. Uff.
"Mh. Utile" e sono soddisfatta perché so che è il massimo che posso ottenere.  
"Che hai comprato biondina?"
"Protezioni, come detto"
"Fa un po' vedere. E molla!" Jecht strappa la busta dalle mani callose di Auron, e guarda dentro "Mh, sembrano vecchie"
"Sono semplici" dice Braska, sopreso, sbirciando.
"Sì"
"Come semplici?!" la voce baritonale di Auron è bassa ma è peggio di ogni scenata.
"Non hanno qualità"
"Pensavo d'averti detto precisamente cosa acquistare! Cos'è, uno scherzo?"
"No!"
"Lo sapevo...Braska, prova a dire che non t'avevo avvertito"
Mi piazzo davanti ad Auron e poggio le mani sulle sua braccia, spingendolo "Ascoltami almeno!". Il ragazzo è shockato dal mio contatto fisico.
"Non...non provare a toccarmi mai più" sibila, a bassa voce, con tono cattivo. Ammetto d'esserne rimasta un po' ferita, ma faccio finta di non aver notato la sfumatura di disprezzo e disgusto in quella sua frase.
"Ho comprato delle protezioni semplici, semplicemente perché le posso modificare!" cerco di continuare senza strozzare le parole in gola.
"Spiegati", chiede Braska.
"Sono un blacksmith" osservo le facce dei miei interlocutori, e approfitto del loro silenzio per continuare "...e anche piuttosto dotata. Posso modificare accessori, protezioni ed armi. Studio questo da quando ero bambina..."
Jecht è il primo a sorridermi. Mi da una pacca sulla spalla (con un po' troppa forza) e mi scompiglia i capelli "Ah! Biondine utili! Non se ne vedono spesso in giro!"
La mia occhiata in cagnesco non fa altro che aumentare la sua risata roca e rude.
"Potevi dirlo prima..." si scuote Braska, con un sorrisetto "Avremmo evitato di assalirti"
"Beh..." guardo verso il basso, mentre spingo quel pervertito di Jecht un po' più lontano da me (incredibile quanto possa avvicinarsi e guardare nella mia scollatura!) "Diciamo che le mie...doti"
"E che doti!"
"JECHT!"
"Continua..." indulge Braska.
"Diciamo che le mie doti sono considerate dagli più...eretiche. Come se c'entrassero qualcosa con la fabbricazione di macchine!"
Auron si gira di spalle e comincia a camminare verso la locanda. Non so cosa gli sia preso, ma la cosa mi irrita parecchio, è per questo che - davvero sovrappensiero - alzo gli occhi al cielo e mormoro un 'idiota' che a lui non sfugge.
Infatti, mister soprabito-rosso-tutto-in-tiro-e-figo, si gira di nuovo (il suo cipiglio bello e dannato sul volto) e mi guarda con l'espressione di disprezzo più credibile che è riuscito ad arrangiare al momento.
"Cos'hai contro il modificare armi semplici? Cosa pensi sia, stregoneria?"
"Ti avviso, albhed: non andare oltre" sibila fra i denti.
"Voglio solo capire! Cosa pensi, che io sia la causa di Sin?! Cosa!?" mi animo.
"Non urlare qui in giro" mormora lui.
"Urlo dove mi pare"
"Ecco il punto. Fate tutto quello che vi pare, dove vi pare, come vi pare. Non è così che si vive."
"Zitto..." sillabo.
"Ragazzi...suvvia..."
"Credete d'essere liberi, ma non siete altro che degli illusi che infrangono le regole per antiomologarsi"
"ZITTO!"
Posso vedere diverse facce di vecchi guado girarsi nella nostra direzione. Mormorii si spandono per la piazza, ora silenziosa, e gli sguardi di tutti sono su di noi.
Ed ecco che Auron, faccia infuriata, e respiro pesante, s'avvicina, mi prende violentemente per un polso e comincia a trascinarmi.
"Auron...! Auron!" sento la voce di Braska cercare di far ragionare il monaco, e le risatine di Jecht.
"Lasc...lasciami! Ngh, che cavolo fai...?" impunto i piedi in terra per cercare di contrastarlo, ma il risultato è misero: lui mi trascina comunque, e i miei piedi non fanno altro che alzare terra e polvere.
"Mi lasci?"
"Zitta"
Inizio a muovermi, arrabbiata, rendendogli difficile trascinarmi, cerco di lasciarmi cadere a peso morto, ma lui stringe la presa sul polso e mi tiene in piedi comunque. Quasi ringhio dalla rabbia!
Non sto ferma un secondo, mentre lui danna qualcosa sottovoce.
Poi, finalmente, mi lascia il polso; è allora che inizio a prenderlo a pugni sulla cassa toracica (bella mossa, Rikku!) e ad urlargli contro qualcosa come un insieme storpiato di parolacce e insulti in albhed. La gente ci guarda.
"Zitta...zitta...per piacere stai zitta" mormora sottovoce, per non attrarre ulteriormente i vocii dei guado.
"Di lucy lnate te cybana, pniddu cdnuhwu!"
"RIKKU!"
Qualcosa si muove nel mio stomaco, a sentirgli dire il mio nome. Poi mi rianimo e la mia rabbia non può fare a meno di uscire da tutti i pori. Ricomincio a calciare.
Auron mi stringe, rude, la vita con le mani, mi issa sulla sua spalla, e continua a trascinarmi lontano.
Calcio.
"Fammi scendere...famm...idiota! ETEUDY! Come ti permetti! Levami le mani di dosso, levale!"
Sembra proprio irritato, mentre apre la porta della locanda e si dirige verso la stanza, fra gli sguardi sconvolti dei guado.
Continuo a dare pugni sulla sua schiena, e mentre lo faccio, penso al suo odore: profumo di pulito, di salice. Che palle. Vorrei disprezzarlo e basta.
Apre la porta della stanza, proprio mentre io sto applicando la mia brillante tattica del tirargli i capelli.
"Smettila!"  mi scuote dalla sua spalla, e proprio mentre gli piazzo un altro pugno sulla schiena (sono ormai una furia), gli poggio la bocca sul collo e lo mordo.
"Brutta str...EHI! SMETTILA, SMETTILA!"
Non credo d'aver mai sentito Auron urlare. Non così.
Mi lancia sul letto con forza e brutalità, il fiato mi si spezza in gola, respiro forte, ho il fiatone. Auron ancora urla qualcosa (non lo ascolto), e si sfrega la mano sul collo scoperto.
"Non provare a toccarmi mai più!" mormoro sottovoce, così tanto arrabbiata da non voler più urlare. Raramente lo sono stata così tanto.
E' in questo frangente che Auron si ricompone per un istante. Mi da le spalle; è allora che cerco di parlargli.
"Cos'è che ti fa incazzare tanto? Il fatto che Braska mi ammiri, la faccenda delle armi, oppure il fatto che t'ho urlato in faccia davanti a tutti?" dico, piano, lenta, ponderata e affilata come una lama.
Vedo la schiena di Auron irrigidirsi.
"Umpfh" si porta la mano al volto, probabilmente si sta strizzando il ponte del naso; vedo un segno rosso dove gli ho morso il collo. Un po' mi sento in colpa, lo ammetto, ma non doveva permettersi di portarmi via in quel modo solo per zittirmi.
"Lo capisco" dico, poi, più calma.
Si gira verso di me.
"Capisci cosa?" chiede, a bassa voce.
"Capisco che fai parte di questa società, che ci odiate, che sei cresciuto così, che non puoi farne a meno..."
"Io..."
"Non capisco il perché, ma capisco che ognuno ha il suo mondo. Sono stata stupida a pensare di poter abbattere certe barriere"
Mi alzo dal letto, occhi bassi, e lo sorpasso, decisa ad uscire.
Auron mi prende il polso, sconvolgendomi. Poi mi lascia, scusandosi silenzioso, probabilmente ricordando le mie parole di prima. Non provare a toccarmi mai più.
"C'è qualcosa che volevi dirmi?" chiedo, ancora dandogli le spalle.
"..."
"..."
"No..."
Esco dalla stanza e penso che, per una volta, sono io a voltargli le spalle.


Quando metto piede fuori dalla locanda, non me ne accorgo, ma ho gli occhi che mi bruciano, e così, mi ritrovo le gueancie bagnate di lacrime che neanche ho sentito scendere. Sono io, dopotutto, l'idiota che s'è fatta trasportare in un'altra dimensione da lo spirito del suo ex (?).
Il mio cuore è una tempesta. Un mix di ansia, paura e disprezzo per la mentalità strachiusa di questo Auron.
L'aria di Guadosalam è freddina, mentre respiro pesantemente, con ancora qualche passante che parla di me.
"Ehi, biondina" - è Jecht. Mi si avvicina con sorriso sardonico e passo sicuro di sè.
"Cosa c'è?" gli chiedo, voce più bassa del solito.
"Due chiacchiere?"
"Mh."
Jecht cammina con passo rude verso la piscina d'acqua profetica del villaggio.
"Braska dov'è?- gli chiedo, mentre mi guardo intorno.
"Vuole visitare l'oltremondo, prima di partire domattina"
"Capisco"
Jecht ridacchia, guardandomi sovrappensiero le gambe. Brutto pervertito.
"Quanti anni hai?" mi chiede, curioso.
"Diciannove"
"Wow!"
"Wow cosa?" rispondo, poco entusiasta.
"Non so...sembravi più piccola"
"Già"
"Eh, ma allora sei perfetta!" dice sorridente l'uomo dalla voce raschiante.
"Perfetta per cosa?" domando, più che altro sovrappensiero.
"Per Auron!"
"CHE?!"
"Ma sì, che siete fatti l'uno per l'altro" dice l'uomo, dandomi quella che si doveva presumere essere una leggera gomitata giocosa "Sarebbe davvero, davvero un peccato...!" aggiunge poi, facendomi l'occhiolino.
"Mh"
Sono monosillabica.
"E poi, che credi, ho visto quel segno rosso sul collo del ragazzo. Credi davvero che io mi beva la scusa che stavate litigando, alla locanda? AAAH!"
"...Jecht, seriamente" gli offro uno sguardo scazzato.
"Rikku. Parliamoci chiaramente. Tu conosci la mia Zanarkand" butta lì, all'improvviso, l'uomo.
Rimango un tantino basita dalle parole di Jecht. La sua Zanarkand? Quella di cui ci raccontava Tidus, quella di Auron, quella in cui lui viveva nell'appartamento sporco di cui mi diceva ? Quella? Oh sì.
"...mh"
"Perché non t'ha stupito affatto sapere che provenissi da lì?"
"..."
"Rikku."
"Jecht...io..." non so come cavarmela, davvero.
"Biondina, tu non sai per niente cosa si provi, ad essere scaraventato in un'altra dimensione, fra persone che non conosci, eoni e quant'altro. Non ne hai idea! E' come guardare una videosfera psichedelica in loop e rendersi conto di viverci dentro, cazzo!" Jecht alza teatralmente le mani al cielo, mentre io ridacchio. Io che non capisco cosa si provi a essere catapultati in un'altra dimensione, da soli, etc etc, blablabla? IO?! AHAHAH. Jecht carissimo, non sai proprio cosa tu stia blaterando! L'unica differenza fra noi è che io non sono così stupida da andarlo a raccontare ovunque! (Cosa che sia tu e tuo figlio non avete esitato a fare, per Yevon!)
"Jecht, sì, conosco la tua Zanarkand. Conobbi un tempo un ragazzo che ci arrivò."
"DAVVERO?!"
"Beh, l'hai detto tu stesso di aver capito che io sapessi qualcosa! C'è da stupirsi?!"
"MA E' FANTASTICO, BIONDINA! STUPENDO!"
Jecht si avvicina, gargantuesco, e mi prende fra le braccia, esultante.
"Jecht! JECHT! JECHT SEI LA SECONDA PERSONA OGGI CHE PROVA  A  FARLO, LA MIA PAZIENZA HA UN LIMITE!"
l'omaccione mi mette giù e sorride, continuando però a darmi pizzicotti sulle guance e altri irritantissimi segni di affetto, seguiti dai miei occhi al cielo.
Per fortuna, davvero, Braska viene a salvarmi, chiamandoci entrambi per la cena. E' allora che mi rendo conto che dovrò rivedere Auron, e il cuore emette un ultimo, svogliato palpito calmo, prima di agitarsi all'impazzata. NERVOSISMO.
Ho mai detto di odiare questa cricca di tre pazzi?
Sì?
No?
Li odio!!!
 
Ho cercato quanto il più possibile di rimandare il mio ritorno in camera, ma proprio non ce l'ho fatta. Insomma, non è colpa mia se divido la stanza con mister-razzista-sexy dell'anno.
Che poi non m'ha discriminato così tanto. Cioè, quello che voglio dire è che ultimamente era più comprensivo nei miei confronti.
Che palle.
Dev'essere stata quella questione delle armi e delle scenate, a farlo incavolare. Uffa.
Busso timidamente alla porta con sottobraccio una busta piena di accessori e materiali per blacksmith.
"Un secondo" sento dall'altra parte della porta la voce di Auron.
Poi, dopo un minuto buono, sento lo scatto della porta ed un odore di pulito invadermi le narici. Auron indossa un pantalone scuro e niente maglia (EGGIA'), dev'essere appena uscito dalla doccia. Sono tentata d'abbracciarlo. Di provare a vedere quanto possano stringermi quelle braccia muscolose (RIKKU! Renditi conto, sembri uscita da un romanzetto rosa di seconda categoria, c'mon!).
Arrossisco e balbetto qualcosa, prima che lui si sposti dall'uscio e mi dia adito di entrare. Auron sparisce ancora per un po' nel bagno, giusto il tempo che ho di mettermi il pigiamone con le fragoline e di sedermi a gambe incrociate sul letto, poggiando sulle gambe le protezioni acquistate questa mattina.
Auron esce dal bagno mentre si lega i capelli con un nastro, mi lancia uno sguardo di traverso e mormora qualcosa come: 'proprio sul letto devi metterti a fare queste cose?'.
Osservo la sua schiena, di spalle, mentre si infila una casacca nera che usa per dormire (sembra quasi ci sia una sorta di intimità, tra noi, la stessa intimità che si venne a creare fra tutti durante il pellegrinaggio di Yuna, quella sensazione di casa e di agio). Io almeno sento questo, di sera, in camera con lui. Naturalmente, cerco di non smentire la teoria di Braska per la quale sono ritardataria, oppure Auron (già me lo figuro) direbbe, con aria seria: non c'è bisogno che io dorma con lei, è capace di svegliarsi presto la mattina, dormirà con Jecht. Ed è quasi dolce: di mattina lui si sveglia prestissimo, ed osserva l'alba alla finestra,  fa un respirone, mi guarda per un secondo mentre faccio finta di dormire (il vecchio Auron se ne sarebbe accorto, lui è più ingenuo) e mi lascia riposare altri cinque minuti, per poi svegliarmi a bassa voce, di sicuro freddo, ma comunque educato, a modo suo. Ed io mi siedo al centro del letto e lo guardo mentre si prepara, tutte quelle cinte e fibbie da allacciare, e lui mi lascia osservare, forse non gli frega proprio niente di me, oppure forse sa quanto siano importanti quei 10 minuti di silenzio di prima mattina, quando tutto è molto leggero e inconsistente. Quando nell'aria c'è profumo di purezza, senza che nessun odore vada ad intaccare quella che è solo e solamente aria. E' in questi momenti che adoro la compagnia di Auron, quando sa apprezzare il silenzio, sa dargli un valore, e sa comunicare molto di più in questo modo. D'altronde, i veri comunicatori sanno avvalersi del silenzio come fosse un'arma o forse una lieve pomata per curare tutti i mali. E' come fosse medicina a tutte le mie angosce, quel silenzio rindondante, si mostra e dipinge tutte le pareti, mi cura dentro, mi allevia i dolori, e mi fa sentire libera da ogni orribile catena: le parole son catene, lo son sempre state, per me, schiava delle espressioni e delle apparenze. Ma non con Auron, non con lui. Con lui è tutto più leggero, tutto più facile. Mi sento me stessa.
Sono passati anni dall'ultima volta che son stata con lui, in silenzio, a guardarci reciprocamente, ed ora che posso star vicino a questo lui, alla sua giovane sagoma, sento che quelle ferite si stanno in qualche modo ricucendo. Anche se non lo sa,  coi suoi capelli lunghi e filiformi e il suo sguardo duro come le roccie di Mihen, anche se lui non può davvero sospettare niente, io mi sento meglio, in qualche modo. Mi sento sollevata anche solo dalla sua presenza, dal suo odore, dal suo sguardo mattutino, dai suoi mille e bellissimi silenzi. E quando litighiamo, quando le nostre furie di gioventù si scontrano in un combattimento violento e cattivo, mi sento forse anche meglio: c'è quell'equità che non riuscivo a trovare col vecchio Auron. Quel sentirsi allo stesso livello e fare gli stessi errori, quel compararsi nel bene e nel male, quello essere finalmente alla pari. E' un rapporto d'odio e amore che, in quasi due settimane, m'ha fatto crescere enormemente, rendendomi - l'ammetto - una persona migliore.
Un suo sbuffo mi riporta alla realtà.
Auron è sul letto, mi osserva in silenzio, mentre io guardo il vuoto, riflettendo.
"Domani siamo alla Piana dei Lampi", dice.
"Mh"
Sbuffa ancora una volta, come se qualcosa lo infastidisse.
"Cosa c'è?" gli chiedo "se è ancora per oggi pomeriggio, mi scuso. Sono stata violenta"
Non risponde. Lo guardo, ed è indecifrabile: non riesco proprio a capire cosa stia pensando.
"Rikku"
"Sì?"
"...Braska..."
"Cosa?"
"Lui, ecco..."
"Sì?"
"Uhmpf, fammi parlare, non mi interrompere!" sbotta "...per piacere" aggiunge, poi, in tono più basso.
Rimango in silenzio.
Auron fa un respiro, si stende sul letto, osserva il soffitto, poi si gira a guardarmi, pensieroso. E' concentrato, mi fissa ma non mi sta davvero guardando, anche se la cosa mi imbarazza. Ha davvero due pozzi neri, al posto degli occhi.
Poi si riprende, ritorna ad osservare il soffitto, leggermente imbarazzato, e comincia "Ho parlato con Braska, e m'ha detto, beh insomma, d'essersi...abituato...a te. Ed anche Jecht. Ti parlerò chiaramente." La sua voce torna fredda come le sferzate di vento del Gagazet "Braska ha intenzione di chiederti d'essere sua guardiana"
La mia bocca si spalanca dallo stupore, poi arrossisco, e sorrido, ricolma di dolcezza, guardandomi le gambe incrociate sul copriletto aranciato, e le protezioni con cui giocherellavo.
"Io...io..."
"Rikku, c'è un motivo per il quale te l'ho detto prima. Per farti pensare. Probabilmente Braska te lo chiederà una volta arrivati alla Piana dei Lampi"
"Farmi pensare?"
"Umpfh. Rifletti. Gioverebbe la tua presenza al pellegrinaggio di Braska?"
La domanda mi ferisce. A morte. Così tanto che respiro forte per sentire se il respiro è ancora presente nei miei polmoni.
"...No"
Auron sospira. "Ammetto che sei stata d'aiuto, ok, ma Braska non capisce. Non capisce davvero quale rischio correrebbe, ad avere un'albhed per guardiana." riflette ad alta voce, lui, per poi aggiungere "non ti sto discriminando, qualcosa ho imparato sugli albhed, ed ho ammesso di aver sbagliato a giudicarli, però non puoi negare che c'è, ed esiste, una discriminazione. E che il raggio di essa coprirebbe e infangherebbe anche Braska, se tu proseguissi con noi il pellegrinaggio. Già Jecht ha una...presenza, diciamo così, abbastanza pericolosa...umpfh."
Resto in silenzio, ferita ma cosciente delle realistiche parole del monaco.
"...Quindi, in conclusione, vorrei invitarti, per il bene di Braska, a rinunciare, quando ti farà quella proposta"
Annuisco, in silenzio, qualche lacrima fissa nuota nei miei occhi, ma non le do adito di uscire. Tra le mani ho il ciondolo azzurro come il mare che oggi ho comprato. E' bello, lucido, elegante. Avevo già pensato a come impiegarlo.
"Rikku, mi spiace"
"No, no" un singhiozzo mi sfugge dalle labbra "...scusa, scusa...è che sono stanca, lo so che non dovrei reagire così...è stanchezza, davvero...hai ragione, dovrei andarmene" le lacrime fluiscono dai miei occhi,  ridacchio, una risata strozzata, e con il dorso della mano mi asciugo l'umido tra le ciglia "...scusami, Auron, davvero. La smetto" rido, piangendo, e mi sento una stupida.
"Rikku..."
Vorrei abbracciarlo. Voglio abbracciarlo. Penso, egoisticamente, che non lo vedrò più probabilmente. Che le nostre strade si divideranno alla Piana dei Lampi, e che non sarò capace di tornare a casa mia, nella mia epoca, tra le persone che mi vogliono bene. Forse è per questo che penso 'vaffanculo', e mi trascino tra le sue braccia, sconvolgendolo.
Ho la testa poggiata sul suo petto, lui ha le braccia aperte, non mi stringe, e le mie lacrime si moltiplicano. Allora mi alzo di un po', singhiozzando, e gli prendo una mano fra la mia, trascinandola sul mio fianco, poi prendo anche l'altra e faccio lo stesso, guidandolo in un abbraccio. Lui è mansueto e imbarazzato.
Poggio di nuovo la testa sul suo petto, e piango, fregandomene.
Auron resta in silenzio, ma sa rispettare il mio dolore, la mia devastazione. Ed è così che mi sento, terra devastata e senza alcuna pianta, terra arida e sola, mentre piango fra le braccia di quest'uomo a cui non importa nulla di me.
"Rikku", poi ad un tratto.
"Rikku, mi spiace davvero."
Piango come una bambina, ancor di più, ed è allora che le mani di Auron si fanno coscienti sui miei fianchi, e mi stringe timidamente in un abbraccio che sa di lui.

Non so quanto tempo rimasi così, fra le sue braccia.
So solo che più tardi, prima che lui (così educato da non dirmi nulla) facesse la prima mossa, decisi io di allontanarmi. Mi alzai dal suo petto, osservai imbarazzata la maglia stropicciata dalle mie lacrime, il suo sguardo orgoglioso che guardava altrove pur di non arrossire, e le sue mani grandi; poi gli chiesi scusa.
Mi alzai, e mi sedetti alla scrivania, chiedendogli se gli desse fastidio che restassi un po' più tardi a modificare le protezioni, a candela accesa; no, disse.
Quella notte, mentre dentro la mia anima tremava dal freddo, mentre Guadosalam era popolata dal silenzio che popolava anche la nostra stanza, Auron restò sveglio, facendomi una muta compagnia, osservandomi mentre lavoravo materiali e pigmenti.











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Capitolo 6
*** 6 ~ il ciondolo ***


Image and video hosting by TinyPic...Ed ecco qui l'ultimo capitolo! AW!
Mi scuso per l'eterno ritardo, sono stata iperimpegnata. Immaginate che questo capitolo è stato scritto durante un'occupazione, ecco, ho detto tutto. Da qui in poi vorrei che la storia decollasse un po' di più, ecco, quindi...nada. Ghgh, ho idee diaboliche in mente! :'3
Arigatou, Michela-chan! <3
eveyzonk.

 









Jumpin' in a dream - capitolo sesto.
Il ciondolo.

 
 
Il mattino la nostra vita da pellegrini inizia presto, quando il sole sorge ed Auron mi rivolge quanto il più silenzioso possibile la parola; io ancora in piedi, con le occhiaie ed un peso sullo stomaco, che ho finito da un pezzo di modificare le protezioni, e non ho fatto altro che osservare dalla finestra la città sotterranea illuminarsi. Mi manca il cielo.
E a turno usiamo il bagno, ci vestiamo lentamente, recuperiamo tutti i nostri effetti personali, liberiamo la stanza a chissà quale nuovo gruppo di pellegrini.
Sono silenziosa, mentre camminiamo verso il tavolo dove rifiuto la colazione, perché lo stomaco s'è chiuso, e la testa mi fa male. Dopo una notte insonne si è molto più lucidi. Osservi tutto con occhi chiari e calmi; sai che l'inevitabile crollo fisico s'avvicina, ne sei cosciente, e proprio da questa coscienza scaturisce altra lucidità.
Braska osserva me ed Auron e credo capisca che c'è qualcosa che non va. Non ci sono battibecchi, né rimproveri: è tutto molto surreale.
"Rikku, come stai?"
"Bene" rispondo, calma.
"Secondo me no, invece" s'intromette Jecht.
Auron è silenzioso. Credo che in qualche modo si senta responsabile di questo mio stato d'animo. Ma in effetti è vero, sono così silenziosa perché sto ancora riflettendo sulle sue parole...
(...) "...Braska non capisce. Non capisce davvero quale rischio correrebbe, ad avere un'albhed per guardiana. Non ti sto discriminando, qualcosa ho imparato sugli albhed, ed ho ammesso di aver sbagliato a giudicarli, però non puoi negare che c'è, ed esiste, una discriminazione. E che il raggio di essa coprirebbe e infangherebbe anche Braska, se tu proseguissi con noi il pellegrinaggio. Quindi, in conclusione, vorrei invitarti, per il bene di Braska, a rinunciare, quando ti chiederà di rimanere."
"Sono solo un po' stanca, ho dormito poco per modificare le protezioni"  rispondo, anche abbastanza acida.
"Rikku, non eri tenuta a farlo, se non ne avevi la possibilità. Sono mortificato" dice Braska con tono apologetico, un'espressione colpevole gli si dipinge sul volto.
"Fa nulla" chiudo la conversazione.
Mentre mi alzo dal tavolo, sento Braska chiedere qualcosa ad Auron, poi lo sento alzarsi e camminare nella mia direzione.
"Rikku"
Continuo a camminare, seguita da lui, fino al corridoio della locanda, dove - lontano dagli sguardi di Jecht e Braska - posso voltarmi e parlare tranquillamente con Auron.
"Vuoi già una risposta?" gli chiedo, sprezzante.
"No"
"E allora?"
"Non devi far sospettare nulla a Braska"
Sbuffo, falsa ironia nelle mie corde vocali "Certo che sei proprio divertente, Auron, eh. Stanotte m'hai detto di dover andarmene, sola, ed ora mi dici di dover anche fingere fino a quel momento. Ti ascolti quando parli?"
"..."
"...Me ne vado adesso"
"Cosa?" l'espressione di Auron è confusa.
"Me ne vado. Vi lascio. Ora."
"...Ma..."
"Ma?"
"Non puoi" risponde deciso, irritato dal mio tono di sicurezza.
"Scusa?"
"Braska ne sarebbe ferito" risponde, osservando il pavimento con sguardo cinico.
"Ah, e più avanti quando rifiuterò l'incarico di guardiana non ne resterà ferito?"
"..."
"Auron! Rispondi!" alzo la voce, colpendolo con un pugno sul torace.
Questo ammasso non pensante d'uomo, o quello che è, non risponde. NON RISPONDE, CAPITE?! Sbuffa, come suo solito, stizzato, dà un pugno contro il muro bianco, stringendo le labbra fino a sbiancarle, e mi volta le spalle come sempre, camminando prima lungo il corridoio, poi verso la porta d'uscita.
"Stronzo" bofonchio sotto voce, prima di camminare scazzata verso l'uscita, insieme a Braska e i suoi sguardi confusi.


 
"Ok, spiego io com'è andata. La prima notte a Guadosalam, quando Mr.Rosso s'è issato La Biondina Utile sulle spalle e l'ha trascinata rude nella stanza della locanda, è successo il fattaccio. E anche abbastanza violentemente! Conosciamo tutti l'indole di Capelli Corvini, qui! E Miss Albhed 2000 non è certo da meno! Come ti spieghi la macchia rossa sul collo di lui, eh? EHEH. Se hai fatto caso, Braska, il giorno dopo Auron era tutto calma e sorrisi, con la ragazzina, prima di indiavolarsi per le protezioni! Lei stessa m'ha detto che aveva riso ad una sua domanda. Riso, capisci? Proprio quando iniziavo a pensare che questa parola non esistesse nel particolare vocabolario Auron-Spira, Spira-Auron!!!"
Lo sguardo di Braska era sconvolto. Scioccato. La bocca spalancata, le orecchie tese a sentire i pettegolezzi accesi dell'uomo abbronzato.
Erano nell'Oltremondo; il giorno prima non avevano avuto molto tempo per visitarlo, e Jecht era molto curioso di vederlo, così come Braska, che desiderava salutare vecchi amici e affetti.
Auron era rimasto fuori, non è giornata, aveva risposto, e così anche Rikku, seduta sui gradini scuri, silenziosa e lontana dal monaco.
"Uniamo tutti i tasselli: Auron è cupo, lei tutta feste e scondinzolii; lui è silenzioso, lei sembra progettata per la logorrea, lui moro lei bionda, lui arguto, forse, lei stupida-"
"Rikku non è stupida"
"Beh, lo è Auron allora! Vedi, i tasselli, i tasselli! Gli opposti si attraggono!" esclamò l'uomo di Zanarkand lanciando le mani al cielo.
Braska rise, con quella sua risata calibrata e calda.
"Non è finita qui: ti so spiegare anche perché poco fa erano silenziosi. Il fatto è racchiudibile nell'affermazione:Auron dà problemi. E' così! Lui ha messo in dubbio il rapporto, e lei è super-incazzata, così s'è rifiutata di farlo, e lui è irritato! Poi s'aggiunge l'ansia di nascondere tutto questo a noi...Pensa!"
"Jecht..." rispose Braska dopo una lunga risata "Jecht...non credo affatto che le cose siano andate così"
"Non hai visione d'insieme, tu, vecchio mio!"
"Auron è troppo...troppo...se stesso, per farsi trascinare così" rispose seriamente Braska.
"Mhh. Hai visto lei come lo guarda certe volte? Come viene ferita solamente dalle sue affermazioni?"
"Ma lui è l'unico che le ha detto certe cose, diciamo...offensive."
"Beh, l'altro giorno ho chiaramente sentito bofonchiare "sporca albhed" da un passante, ed una risatina di Rikku in risposta. Braskaaaa! Qui gatta ci cova, ascoltami"
"Mhh...non lo so" lo sguardo dell'invocatore era fisso verso il pavimento, in un'espressione riflessiva.
"Mh, Braska, dimmi una cosa..." iniziò l'esuberante uomo, con tono più rispettoso "Non è che...avevi messo, per così dire, gli occhi addosso alla Biondina?"
"Jecht! Come puoi solo pensare una cosa del genere!" Braska arrossì copiosamente.
"Beh..." Jecht abbassò la voce, indeciso su che parole scegliere "Ho sentito qualcosa del tuo passato, e lei potrebbe...potrebbe-"
"Ricordarmi mia moglie?" completò la frase l'altro.
"Beh, non è una colpa, sai, voler...andare avanti" rispose, malinconico (e più saggio del solito), Jecht.
"Nessuno potrebbe sostituire mia moglie, anche se ammetto che Rikku le somiglia davvero, davvero tanto"
"...Capisco"
"Ora va, lasciami un po' solo, l'Oltremondo non è luogo per questi discorsi" disse l'invocatore, voltando le spalle all'uomo, con negli occhi una ritrovata malinconia, che in realtà non aveva mai pensato d'abbandonare.
 
 
Dal portale dell'Oltremondo spira un vento caldo che dissona coi colori autunnali di cui è composta Guadosalam. Ricordo d'essere seduta nella stessa posizione di quando anni prima io ed Auron rimanemmo qui fuori mentre Yuna e il gruppo entrarono a pregare. Non è una coincidenza. Cioè, a dirla tutta, non ho voluto che fosse una coincidenza, quindi mi sono fatta riassalire dai ricordi e mi sono seduta lì, dandogli le spalle, e ridacchiando quando lui ha poggiato la schiena contro il corrimano insolito, proprio come fece la sua versione più vecchia. Il tempo non pesa su di me. Anni e anni fa sono come vicini, adesso. La mia vita è proprio incasinata, eh.
Rimaniamo in silenzio, tutti e due, e immagino che lui sia ancora troppo irritato per rivolgermi la parola, quindi mi metto a frugare nel mio zainetto, nella speranza di trovare qualcosa che mi intrattenga.
Ehi, trovato!
E' una telecamera che funziona a filmosfere. Ridacchio pensando a come potrei utilizzarla, in questo viaggio. Poi, quando il pensiero che probabilmente non ci sarà nessun viaggio, visto che rifiuterò l'offerta di Braska e rimarrò intrappolata in un'epoca totalmente astratta alla mia, mi colpisce, la mia espressione cambia e ritorna quella mogia che da ieri sera domina i miei tratti.
Tutta la stanchezza per aver passato una notte insonne ritorna.  Che stress.
“Cos’hai in mano?” chiede lui. La consapevolezza che ha iniziato per primo una discussione, o che ha comunque rotto il silenzio mi colpisce. Mi irrigidisco, rischiando di farmi cadere dalle mani la telecamera, e poi sento i suoi passi lenti sussegursi.
Auron poggia la schiena accanto al muretto dove sono seduta, osservandomi ma pur sempre porgendomi le spalle. Arrossisco copiosamente mentre balbetto (terrorizzata) qualcosa come “è…è…è, un, un, una telecamera…”. Auron ridacchia (già, DI NUOVO) e mi chiede, curiosità negli occhi neri: “Mi mostri come si usa?”
Arrossisco ancora di più “Mh, Auron?” (COSA NE HAI FATTO DI AURON IMPOSTORE?!)
“Sì?”
“Non sei arrabbiato?”
“…” rimane in silenzio per un po’, come se stesse riflettendo “No, dovrei?”
“No, no, è che…non so, di solito sei contrario a questo genere di cose”
“È pericoloso?”
“Cosa?” cosa, Auron, cosa è pericoloso? Non essermi contrario? Cosa? Essere gentile con me è pericoloso? COSA BLATERI?!?
“Quell’oggetto, è pericoloso?”
AH, ECCO COSA INTENDEVI.
“…No, non lo è…” dico perplessa.
“E allora perché dovrei esserne contrario?”
“Niente, curiosità”                        
“Hm”
Si alza dal muretto dov’era poggiato. Mi da le spalle, cammina un paio di passi.
“Auron!” lo chiamo, girandomi e porgendo una mano quasi a fermarlo. Il ragazzo si gira a guardarmi, un espressione seria e interrogativa sulle sopracciglia.
Quasi cado all’indietro nel tentativo di fermarlo. Mi sbilancio e sto per cadere rovinosamente giù dal muretto, verso il vuoto.
La mano di Auron mi afferra il polso, e mi riporta in posizione seduta, facendo praticamente arrossire la povera me fino alla punta dei piedi. Poi stacca il contatto (aveva le dita fredde) e mi osserva ancora.
“Mi sa che questa volta sei tu ad avere dei pregiudizi verso me”, dice, poi, con un mezzo sorrisetto, mentre si volta ancora e cammina.
“EHI! EHI DOVE CREDI DI ANDARE, TU?!” urlo, giocosa, mentre lui ridacchia roco.
Tutti i problemi di poco prima spariti, quasi mi dimentico della sua richiesta, mentre lo prendo a parole e mi irrito del suo mutismo.
Poi Braska e Jecht escono dall’Oltremondo, e insieme a loro usciamo dalla galleria, mentre riprendo la faccia buffa di Jecht mostrarmi una stupenda imitazione di Lord Jyscal.


Stiamo percorrendo la buia galleria di terra che collega Guadosalam alla Piana dei Lampi.
Dalle pareti si sentono, ovattati, tuoni rombanti e gocce di pioggia che si infrangono sul terreno con forza. Qualche goccia d’acqua sgocciola sulle nostre teste di tanto in tanto.
Jecht non sta un attimo zitto e la sua voce rimbomba per tutta la galleria.
“Sta zitto! Farai crollare tutto, tsk…” dico, irritata.
Fa freddo.
Braska continua a camminare, ignorandoci. Auron è silenzioso (come al solito) e pare non ricordare niente; l’abbraccio della notte scorsa, la richiesta di abbandonare il pellegrinaggio, le risatine di poco fa. Boh. Non so che pensare.
Jecht sbuffa sonoramente “Fra quanto arriviamo?” chiede col tono di un bambino.
“In realtà non dovrebbe stupirti che questa galleria duri un po’, vedi, collega una città come Guadosalam alla Piana dei Lampi; non poteva essere troppo  breve e vicina alla città, o avrebbe reso la città immune a qualsiasi tipo di invasione, non credi?” ragiona Braska.
“Mh” è la risposta menefreghista del moro “Sai quanto mi frega dell’immunità di quel popolo di avidi!”
Ridacchio un po’ all’esclamazione di Jecht, annuendo, d’accordo.
Forse è per l’attacco alla Base, forse è un mio razzismo, ma i guado proprio…non so. Non li adoro, diciamo.
E poi son strani. Hanno queste mani enormi, con queste unghie lunghissime (ed ho precisamente visto una signora guado comprare una boccetta di smalto, oggi – per 18 guil, un furto) per non parlare della faccia cattiva. Il modo di parlare, poi: sembra stiano perennemente recitando un distico elegiaco, con quei nasi sempre all’insù e la voglia di primeggiare. Argh. Sono l’esatta antitesi di noi albhed, che siamo dei veri e proprio camionisti, ci esprimiamo come ruttatori d’elite e vendiamo pezzi di macchine a due soldi solo per fare un piacere al nostro cliente (ECCETTO RIN, LUI È AVIDO). 
Non capirei i guado neanche se volessi. E non voglio, quindi non si pone il problema.
“L’avidità è una conseguenza”, dice, d’un tratto, Auron.
La sua voce bassa e roca riecheggia nel tunnel. Vorrei non smettesse mai di parlare, solo per godere della sua voce amplificata dall’ambiente. Al buio, poi, illuminato solo da un lumino che Braska diligentemente porta con sé, è ancora più ammaliante.
“Una conseguenza di cosa?” chiedo, guardando curiosa il ragazzo.
Gli occhi di Auron vagano sulle ombre che sulle pareti giallastre emergono dalla luce. Mentre vaga con la mente, parla.
“I guado sono una minoranza etnica da sempre tenuta alla larga. Non hanno un credo come noi, non hanno un numero abbastanza ampio da farli diventare un vero e proprio popolo, e non amano stare in compagnia neanche fra di loro. È una conseguenza dell’averli ancora di più ammucchiati via, questa loro avidità. Per fortuna la politica yevonista del loro leader più recente li sta portando ad avere più contatti con noi, e a capire come interagire per un rapporto pacifico. A mio dire, però, resteranno per sempre un popolo con caratteristiche selvagge e schive…” dice, suadente. Lo ascolto ad occhi sgranati.
Lo sguardo di Auron si posa su di me, per un attimo, e poi ritorna a vagare sulle pareti.
“Non sono gli unici…” dico, a bassa voce.
“Cosa?”
Braska e Jecht sono leggermente più avanti, ma ci stanno ascoltando. Braska annuisce qui e lì, mentre Jecht sbuffa a momenti alternati.
“Non sono l’unica minoranza di Spira”
“Non definirei gli albhed una minoranza…” riflette Auron.
“Non parlavo degli albhed”
“Gli hypello sono più di quanto sembrano…” continua il ragazzo.
“Non parlavo neanche di loro”
“E di quale minoranza parlavi?” chiede, tradendo una stilla di interesse nella voce.
“Gli abitanti della foresta” rispondo, arrossendo leggermente. Lancio uno sguardo ad Auron, per scorgere un’espressione perplessa e interrogativa sul suo volto. Rallenta il passo, si gratta la nuca.
Continuo.
“Sono una minoranza che abita il Bosco di Macalania. Perlopiù si nascondono dai viandanti, ma se attiri la loro attenzione, e ti ritengono persone abbastanza buone e pacifiche, si fanno vivi da soli. È una meraviglia, sapere che sei abbastanza una buona persona da far comparire uno di loro. La maggior parte degli abitanti del bosco sono suonatori, suonano uno strumento, oppure lavorano nella pozza dei ricordi, quella dalla quale si ottengono le filmosfere, hai presente?”
Auron annuisce, io prendo spunto dal suo silenzio per continuare “Sono gli unici che possono lavorare con l’acqua di quella pozza, che così pura da divenire nociva per chiunque abbia dei rimpianti o dei brutti ricordi. Loro nuotano tranquillamente in quell’acqua e non sono assaliti da nessuna cattiva sensazione. Quando ero piccola, mia madre mi raccontava spesso di averne incontrato uno, e mi diceva che erano la cosa più vicina agli angeli, per la loro saggezza e purezza…”.
Quando concludo la mia spiegazione, mi accorgo di essermi fermata. E che Auron, Jecht e Braska si sono fermati a guardarmi mentre raccontavo.
Arrossisco forte, chiedendo a me stessa perché è da stamattina che non sembra stia facendo altro. Auron pare stia riflettendo profondamente.
“Non lo sapevo…” mormora fra sé.
“Wow, Rikku, hai insegnato qualcosa di nuovo ad Auron” dice Braska, ridacchiando e facendo irrigidire l’uomo chiamato in causa.
Poi l’invocatore comincia a camminare, seguito da Jecht che, con una gomitata amichevole (la stessa che oggi mi ha praticamente fatto venire un livido) mormora all’invocatore qualcosa come: te l’avevo detto.
Scrollo le spalle, continuando a camminare, mentre Auron in silenzio mi segue.
Il pomeriggio trascorre in silenzio, tra lo sgocciolio ipnotico e il basso vociare di Jecht e Braska.


 
Quando arriviamo all’entrata della Piana dei Lampi i tuoni sono forti e concisi. Mi spaventano ancora, ma molto meno rispetto a quando avevo sedici anni. Attraversare la Piana, spronata da Auron, fu un trauma, vero, ma mi ha aiutato a superare la paura insensata dei tuoni rombanti. Ancora tremo, un po’, dentro, quando un tuono scuote l’aria, ma non sono più terrorizzata. È sopportabile.
Forse.
Ci fermiamo sotto il portico naturale che affaccia sulla distesa brulla e umida. L’aria è fredda, così mi stringo nel maglione e mi allontano in un angolo coperto per indossare un pantalone più caldo. È una follia attraversare questo posto in niente più che un paio di shorts o una minigonna, finalmente ci sono arrivata. Jecht – che ho ormai etichettato come un uomo da una temperatura corporea sovrumana – resta invece a petto scoperto, ridacchiando mentre urlo di non sbirciare. Auron lo rimprovera, ma solo perché vuole cominciare presto ad attraversare quest’infausto scenario. Non so perché ci tenga tanto, ma conoscendolo, ha sempre il bisogno di affrontare velocemente e spavaldamente le situazioni più fastidiose; insomma, la sua è la filosofia del ‘prima si tira il dente, meno fa male la carie’. In qualche modo, ora, sono d’accordo.
Braska mormora qualcosa sul quanto è rilassante il rumore della pioggia, io sospiro.
“Ragazzi, fermatevi un attimo”, dico, poi.
I tre mi guardano. Auron alza un sopracciglio infastidito.
“Prima la attraversiamo, prima arriviamo al Bosco, e meno ci saranno problemi” dice, secco, legandosi più ordinatamente la folta chioma corvina in un nastro.
Già, prima attraversiamo, prima finiscono i problemi, e prima lascerò il gruppo.
Storco la bocca.
“Ho qualcosa da darvi, aspettate”
Frugo nel mio zainetto.
“Jecht”chiamo a me il ragazzone di Zanarkand; lui s’avvicina.
“Sì, bellezza?”
Auron sbuffa.
Gli porgo una targa. È azzurra, con sulla superficie incastonati dei frammenti di emmepisfere. Non sembra per niente la vecchia targa semplice che ho acquistato dal mercante, quindi devo definitivamente complimentarmi con me stessa per il mio buon lavoro.
Ottimo lavoro, sei la numero uno, oltre che la più sexy e utile delle albhed!
“È una targa. Ti parerà dai fulmini, e aumenterà la tua resistenza magica all’elemento tuono” dico, ridacchiando, pensando alla fine abbrustolita che fece suo figlio quando attraversammo la Piana. Sono sicura che Jecht non sarà da meno; sicuramente non potrà resistere alla tentazione di provare la famosa sfida dei duecento fulmini. “Inoltre, aumenta la tua potenza magica. Così non sarai una pezza dopo tutti quegli haste”. Gli porgo la protezione.
Jecht ridacchia mentre se la allaccia all’avambraccio; poi mi guarda, alza le sopracciglia in stupore.
“Wow, mi sento…più forte”
Ridacchio anche io, contagiata dalla sua allegria.
Quando non è un pervertito, penso, Jecht è davvero una brava persona.
“Grazie biondina!” l’uomo mi prende bruscamente tra le braccia e mi stritola in un abbraccio da orso.
“Ok ok ok ok ok, Jecht puoi lasciarmi adesso, mi stai strangolando” balbetto, dandogli un paio di pugni sulla schiena per farlo staccare. Jecht interrompe l’abbraccio e ritorna al suo posto, giocherellando con la protezione.
“Braska…” chiamo.
L’uomo sorride e s’avvicina, pronto a ricevere la sua vera. È azzurra, molto elegante; lo stile è pensato proprio per l’invocatore; l’ho resa quanto più leggera possibile, e sulla superficie vi sono incisi dei ghirigori. A molti potrebbero sembrare delle mere decorazioni, ma in realtà nelle incisioni (che sono d’un giallo acceso), scorrono dei piccoli lampi, in continuo movimento. È l’energia che sprigionano l’energosfere, a farla brillare.
Un buon blacksmith crea i propri accessori appositamente per la persona a cui saranno destinati, ed io, modestia a parte, sono la migliore blacksmith della mia famiglia (e la mia è la famiglia stipite degli albhed, eheh, fate due più due su, su!). È un dono, ma soprattutto una passione.
Braska prende tra le mani la vera, si stupisce della sua leggerezza.
“Sei un portento, Rikku”
LO SO.
“Le energosfere che fluiscono attraverso la vera aumentano la tua difesa fisica, inoltre dimezzano il danno d’elemento tuono, e semplificano il fluire della tua energia magica, velocizzando i tempi delle tue magie” dico, professionale. Poi lancio uno sguardo ad Auron. La sua faccia, che a molti sembrerebbe statica e apatica, lascia trapelare, per me – che ne ho studiato ogni espressione – un leggero stupore, comunque ben celato.
“Grazie infinitamente per quello che stai facendo”
Braska indossa anche lui la sua protezione, e torna al suo posto.
Al che, Auron, non aspettandosi niente, comincia a camminare.
“Auron”, lo chiamo con voce bassa, mentre Jecht prende in giro Braska sul fatto che la sua vera sia ad intermittenza, ed i due cominciano così una discussione sicuramente divertente, ognuno a difesa del proprio accessorio.
Il ragazzo vestito di rosso si volta a guardarmi, l’espressione di stupore ampliatasi sul suo volto.
“Ho qualcosa anche per te, sai” dico, arrossendo leggermente. Spero che la poca luce della Piana non gli lasci intravedere il rossore. Odio arrossire.
Auron cammina fino ad avvicinarsi, a passo sostenuto.
Frugo nella borsa per quello che ritengo l’accessorio meglio riuscito.
Non è una vera, né una targa, né tantomeno un’armilla, alle quali avevo notato Auron era abituato durante il nostro primo viaggio. È un ciondolo.
Un ciondolo di cristallo azzurro, dalla forma ovale, con tante sfaccettature che riflettono – per un secondo – il riflesso d’un lampo. Il ciondolo riflette luce anche negli occhi scurissimi di Auron, e per un momento anche il suo sguardo si accende.
“In effetti è una novità, per me, lavorare con dei ciondoli. Non l’avevo mai fatto prima, ed è stato un tantino rischioso. Però non ho resistito quando l’ho visto pendere dal vecchio scaffale del mercante, quindi…” arrossisco, non oso alzare gli occhi.
Auron rimane in silenzio per un po’, io non so cosa dire.
“Spiegami i suoi benefici”, dice, poi, con voce roca e bassa.
È come se una bolla si fosse chiusa attorno a noi. In risonanza sento le risa e le chiacchiere di Jecht e Braska, ma sembrano così lontani da noi, come se fossero già dall’altra parte della Piana.
“Oh, certo, che stupida, quasi dimenticavo” aggiungo, ridacchiando con una nota d’isterismo nella voce.
“Beh, non sapevo davvero cosa potesse servirti, ho pensato…ecco…che le protezioni che indossi fossero già abbastanza forti, per quanto riguarda la difesa fisica, così ho pensato prima di tutto di aggiungere al ciondolo una difesa tetraelementale. Dovrebbe dimezzare gli effetti di tutti e quattro gli elementi…” spiego.
Lo sguardo di Auron si incupisce per un momento.
“No!” aggiungo, veloce “Non pensare niente di male! Se avessi potuto l’avrei fatto anche con le altre protezioni, ma purtroppo le sfere che avevo erano compatibili solo con questo ciondolo, e Braska aveva bisogno di difesa fisica, cosa non applicabile alla collana, ecco perché non ho dato questo a lui” dico, brandendo la pietra azzurra.
Lo sguardo di Auron torna relativamente sereno, se non – ancora una volta, oggi – stupito. Probabilmente si chiede come abbia fatto a capire subito cos’era che lo infastidiva. Beh, ma io ti conosco, caro mister-mi-preoccupo-solo-per-Braska.
“Comunque. Ho aumentato soprattutto la velocità. Ho pensato alle tue armi, che sono tutte alquanto pesanti, e quindi potrebbero rallentare i tuoi movimenti. Con questo sono quasi sicura nessuno riuscirebbe a sfiorarti, mai…”
Mi accorgo del tono basso che ho utilizzato nel dire l’ultima parte della frase, e arrossisco – sì, ancora.
Auron osserva il ciondolo tra le mie mani.
“Girati, ti aiuto ad agganciarlo. Non ti preoccupare se ti senti la testa più leggera per un paio di secondi, il tuo corpo deve abituarsi agli effetti”
Auron si gira di spalle.
Osservo la sua schiena per un minuto, poi mi alzo disperatamente sulle punte per raggiungere la sua nuca; lui se ne accorge (mi stava osservando con la coda dell’occhio), così – grazie a Yevon – s’abbassa di qualche centimetro sulle ginocchia per permettere alle mie braccia di attorniare il suo collo e trafficare con la chiusura del vecchio ciondolo.
Il mio petto preme leggermente contro la sua schiena.
Rabbrividisco. Dopotutto fa freddo, nella Piana dei Lampi, mi dico.
Mentre cerco di agganciarlo, parlo, e m’accorgo d’essere io a sentirmi la testa disperatamente leggera, solo per la sua presenza accanto a me.
“Il materiale è molto particolare. Ti ricordi quando oggi pomeriggio ti parlavo della pozza d’acqua di ricordi a Macalania?”
Auron annuisce impercettibilmente, cercando di non fare movimenti bruschi.
“Questo pendente è ricavato da lì” dico, sorridendo.
 E c’è tutta me stessa in esso.
Finisco finalmente di agganciare la collana.
Auron si stira, ritornando all’altezza di prima. Poi si gira, mostrando un volto molto più rilassato del solito.
Sorrido velocemente, ridacchio, e poi faccio per superarlo e raggiungere gli altri due, ancora presi a parlare.
“Rikku”, la sua voce è bassa, un pozzo senza fine dalle mille sfumature d’oscuro.
Mi giro leggermente.
“Grazie”
Ci guardiamo negli occhi per una frazione di secondo (che mi sembra un’era lenta e ponderata).
“E scusami se t’ho giudicato male”, aggiunge, arrossendo leggermente.
Il mio cuore salta un paio di battiti. La mia bocca tremula un piccolo sorriso.
Questa.
Questa.
Questa.
Questa.
È la cosa più dolce che abbia mai visto in vita mia…
Annuisco solo, in silenzio, preferendo non intaccare il momento con delle parole.
Quando mi giro e corro a passo un po’ troppo veloce verso Jecht e Braska, nel mio stomaco ci sono milioni e milioni e milioni e milioni e milioni di farfalle svolazzanti.







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Capitolo 7
*** 7 ~ zittire ***


Image and video hosting by TinyPic ...Ok, gente che pensava che questa fanfiction fosse in pausa: vi sbagliavaaaate! Ahauahauah. No, vabè, ma nessuno mi segue tranne la mia elfetta, quindi con chi sto parlando? Oook, chissenefrega!
Questo capitolo è il mio preferito, in assoluto asghashgsgaghas. Questa presentazione non ha il minimo senso, davvero.
Un paio di note prima di iniziare: la canzone che si sente a fine capitolo è Minor Swing di Django. BENE.
Addio, VI HO AMATI
eveyzonk.



Jumpin’ in a dream – capitolo settimo.
Zittire.

 
 
Rikku aspettava.
Camminava ed aspettava, tremava ad un lampo e aspettava, si fermavano per riposare sotto una torre parafulmine ed aspettava.  
Cosa? Braska.
Aspettava che si girasse verso lei e le chiedesse: “vuoi divenire mia guardiana?”.
Ma non rimaneva in stasi solo per quello. Aspettava anche e soprattutto la risposta che lei stessa avrebbe dato all’invocatore.
Al momento Rikku si sentiva imprevedibile.  Auron le aveva detto di rifiutare, per il bene del pellegrinaggio, e blablabla, ma in realtà non stava a lui decidere. Ad un tratto realizzò che non gliene fregava veramente, veramente un cazzo di Auron. Che pensasse quel che voleva.
“Ti dicevo, a Zanarkand ero un grande blitzer. Tutti mi amavano, roba che appena mi vedevano WOAAHHHH QUELLO E’ JEEECHT, e così via…”
Il terriccio della Piana dei Lampi le si era attaccato sotto le suole degli stivali, i capelli erano elettrizzati (aveva schivato un lampo per pochissimissimo), gli occhi erano spenti e stanchi dalla notte insonne ancora da smaltire. Affianco a lei camminava Jecht, instancabilmente logorroico, con passo sostenuto e la sua solita scelta di abbigliamento. Come facesse non lo sapeva.  Insomma, chiunque sarebbe morto assiderato, stecchito a terra come Tidus quando le faceva credere d’essere stato punto da una di quelle api killer della Piana della Bonaccia.
“E beh, è stancante, dopotutto. Sai, ragazze che piangono, altre che aprono le…ehm…EHM…Poi tutto il caos appena compari sullo stradone principale! Sai, quello che quando giri a sinistra vai verso la via delle pizzerie? Quella in cui ti dicevo mio figlio usciva la sera con i tre schizofrenici dei suoi amichetti? Proprio lì…AH! Bei ricordi, belle pizze. Pizze di tutti i tipi. Pizze per tutti. Pizze, insomma! Di cosa stavo parlando, ancora…?”
Ecco, restando in tema di mostri: lì ce n’erano di spaventosi, oltre Jecht, e oltre i soliti occhi volanti, giganti di ferro, elementi di tuono (brrr!) e chimere cornute (eheh), Rikku era riuscita persino a catalogare due o tre specie mai viste prima (probabilmente estinte) – tra cui un serpente piumato di uno sgargiante rosa, che Jecht aveva proposto alla bionda di utilizzare come sciarpa, proposta poi saggiamente rifiutata (visto anche lo sguardo di Auron).
Mostri estinti…! Il vecchio dello Zoolab avrebbe adorato averne dei campioni. Chissà se c’era, lo Zoolab, in quest’epoca? Ad Auron sarebbe piaciuto visitarlo, e perdersi nei continui combattimenti di quel posto. Dopotutto era un giovane abbastanza competitivo…
“In realtà il sushi non mi piace. Mia moglie è convinta che io adori il sushi, perché sai – una lunga storia – lo andammo a mangiare al nostro primo appuntamento, ed io non potevo fare la figura del cretino, anche perché vantavo gusti raffinati, all’epoca – quando mia moglie ancora non sapeva che preferissi il grasso di maiale al vino rosso casereccio dei vigneti di Zanarkand est…”
La coscienza del fatto che in quell’istante, mentre camminava svogliata, Rikku non avesse pensato ad Auron riferendosi al suo vecchio Auron, il mitico guardiano, la colpì. Era insolito, per lei.
Non aveva riflesso in questo giovane ragazzo yevonita i gusti e i tratti dell’uomo che un tempo conosceva ed adorava.
Aveva pensato: a quest’Auron piacerebbe lo Zoolab.
Con un sospiro sommesso continuò a camminare.
“Rikku?”
Non è che forse era nervosa perché le dovevano venire? Mh, pensava di aver calcolato bene, e avrebbe come minimo dovuto aspettare una settimana…
“Biondina?”
A meno che i viaggi temporali non facessero sbalzare il ciclo…
“RIKKU MI STAI ALMENO ASCOLTANDO?!”
L’albhed fu riportata alla realtà dalle mani di Jecht che le pizzicarono leggermente la spalla.
“Aouch! Sì, sì, sì ti sto ascoltando!” urlò la ragazza con uno sguardo assassino.
Assicuratosi dell’attenzione del suo interlocutore, Jecht parve calmarsi. Rimase in silenzio per qualche istante, poi cominciò a fare una larga panoramica dei modelli di jeans che era abituato ad indossare. Cambiavano con il cambiare della moda; a zampa, a vita alta, stracciati, a vita bassa. Il discorso di Jecht portò anche ad una certa denotazione della situazione sociopolitica di Zanarkand, il tutto interpretato secondo i gusti estetici in quanto jeans delle persone. Robe del tipo: quando erano a zampa, non era solo l’estremità della caviglia del pantalone ad essere ampliata, ma anche la mentalità di chi li indossava.
Discorsi che necessitavano di una certa attenzione. Voli pindarici che neanche si potrebbero spiegare. E poi Jecht neanche indossava dei jeans, al momento, se proprio la si voleva dire tutta…
Rikku stava per impazzire. La pioggia batteva perpetua, senza mai fermarsi.
Davvero speri si fermi?
NGH.
“Jecht”
La voce di Auron fece scattare la testa di Rikku all’insù. Il cuore le batté un po’ più velocemente nel petto, mentre osservava il giovane.
I suoi capelli erano slegati, oggi. Non sapeva precisamente perché, ma non poteva fare a meno di osservarlo e sentire una presa allo stomaco.
La sua mascella seguiva un percorso mascolino e forte, per salire poi alle labbra piene, al naso dritto e agli occhi castani, quasi sul cremisi. Il taglio e la forma degli occhi erano particolari, donavano all’uomo una certa componente affascinante.
E poi c’era la sua presenza. Era alto, slanciato, muscoloso ma non troppo – quando dormiva, con una semplice e sottile maglia di cotone nera indosso, Rikku poteva seguire con lo sguardo la linea accennata di un addominale, oppure la concavità del suo stomaco piatto comprimersi nel respirare –, insomma…era perfetto.
E poi la pioggia gli donava, pensò.
Rikku disse a se stessa di non chiedersi il significato di quella affermazione; era più che altro una sensazione, il fatto che la pioggia lo facesse sembrare più bello.
“Auron, che vuoi?” disse un po’ scorbutico l’altro uomo.
“Mi stai facendo venire un mal di testa”
Braska si girò verso i tre, scambiando uno sguardo di complice esasperazione con l’albhed, quasi s’aspettassero una litigata fra i due testardi guardiani.
“Non si può neanche parlare, ora?” scattò il blitzer.
Auron sbuffò forte, visibilmente irritato.
“Jecht…quello che Auron cerca di dire…” provò a spiegare Rikku. Gli occhi di tutti erano puntati su di lei “…è che, insomma, va bene parlare, ma con…mh, parsimonia…”
I tre uomini fissarono Rikku in silenzio per qualche istante. Poi Jecht, con un sorriso blando, si voltò verso l’invocatore per dire: “Sbaglio o ha appena difeso lo scorbutico, qui?”, facendo cenno con la testa verso Auron.
Braska ridacchiò.
I quattro continuavano a camminare, lentamente, passando di parafulmine in parafulmine.
“Comunque” continuò poi l’uomo da Zanarkand “Sono l’unico a voler fare un po’ di conversazione, per questo parlo sempre io. Perché non parlate un po’ voi?” chiese con tono esasperato.
“Perché è proprio necessario parlare?” ribatté Auron, imitando quasi il tono prima usato dall’abbronzato.
“Perché se si discute fra compagni, ci sono più possibilità che il lavoro di squadra durante i combattimenti aumenti” disse Rikku, faccia da sapientona.
 “Concordo con lei” annuì Braska.
“Deciso! Di che parliamo allora?” chiese Jecht, radiante.
“Spero non di jeans” borbottò Auron, annoiato.
“Mhhh!” Rikku fece una sorta di piroetta, come se la aiutasse a pensare meglio “facciamo così, un gioco a domande! Uno fa una domanda e tutti rispondono, colui che chiede compreso”
“Mh, per me va bene”
“Sfida accettata biondina!”
“Ngh, io vado avanti a perlustrare”
“AURON!” si infiammò l’albhed “Non puoi scappare dal gioco”. Corse verso l’uomo, puntandogli un dito sul petto.
Auron alzò un lembo della bocca in un ghigno stiracchiato “Dimmi di nuovo cosa devo fare e giuro che ti lego ad una di quelle statue con i tuoi amici kyactus sopra e ti lascio in balìa dei fulmini” disse il moro con voce roca, senza far udire gli altri. Poi abbassò uno sguardo severo sulla ragazza, strizzando leggermente gli occhi in un espressione…violenta.
Rikku sentì un brivido percorrerle la schiena. Guardò in silenzio negli occhi il monaco, spaventata e allo stesso tempo attratta da quella sua attitudine. Poi arrossì e girò sulle punte, allontanandosi.
“Come non detto!” disse con voce un po’ più alta del dovuto, ancora scossa dallo scambio di sguardi di poco prima.
“Auron, suvvia!” fece Braska “…per piacere”
“Mh, d’accordo, ma se non voglio rispondere non rispondo”
“Ok, ok, mister elusivo! Inizio io!” fece la ragazza “Colore preferito? Verde!” disse, mantenendosi sul sicuro.
“Blu” disse l’invocatore.
“Giallo!” esclamò Jecht.
“Mh. Rosso”
“Ma dai! Ora io, ora io, biondina! Mh, allora, argh…il vostro primo bacio? Io ad una ragazza più vecchia. Ero già un figo!”
Rikku rimase un attimo interdetta “Anche io” rispose, facendo ridacchiare Jecht.
“Una commessa che vendeva pozioni” disse Braska, timido.
“Passo” mormorò Auron.
“Ed io che l’avevo chiesta appositamente per te!” ruggì Jecht.
“Braska tocca a te!”
“Fatemi pensare…Hobby? Io voto per la pesca”
“Oltre fare l’amore?” chiese Jecht, ridacchiando “…Mh, Blitzball?”
“Direi andare a caccia di tesori…”
“Leggere” disse annoiato Auron.
Poi tutti rimasero in attesa della domanda di Auron, in silenzio. Il ragazzo sembrava star riflettere. Poi parlò.
“Siete in battaglia, avete davanti a voi un nemico da sconfiggere per il bene del paese. Un vostro amico sta per morire, ma si può ancora salvare. Che fate?” fu la domanda seria dell’uomo.
Braska rimuginò un po’ sulla domanda “Auron, perché sei sempre così complicato? Comunque…se è per il bene del paese, credo ucciderei il nemico…” disse quasi a malincuore l’invocatore.
“Io non sarei in battaglia, quindi non è un problema mio!” esclamò Jecht, facendo alzare ad Auron gli occhi al cielo.
“Io…Lo so che sembra egoista, e…insomma sono egoista, quindi salverei il mio amico. Lo so che probabilmente per mano del nemico, se non lo uccidessi, morirebbero molte più persone, ma per me un amico è la cosa più preziosa. Non potrei lasciarlo lì a morire”
Rikku corrucciò lo sguardo verso il terreno umido della Piana. Sapeva che Auron l’avrebbe contraddetta con la sua aria di superiorità. Era statistico. Aspettò il commento con rassegnazione.
“Auron, tu non hai risposto mi pare” fece notare l’invocatore, curioso.
Il giovane osservò per un attimo l’albhed, riflessivo “Sono d’accordo con Rikku”
L’albhed alzò velocemente gli occhi verso di lui, arrossita vistosamente.
Vide un qualcosa di incuriosito nello sguardo di Auron, prima che si girasse e proseguisse nella sua direzione, chiaramente abbandonando il gioco.
Il brivido di poco prima non si decideva ad abbandonarla.
 
 
 
A lui piaceva quella pioggia.
Se avesse dovuto catalogare le – poche – cose che gli piacevano davvero, la pioggia avrebbe avuto un buon posto in classifica.
Gli piaceva il modo in cui gli scorreva sui vestiti, in cui – incurante – lo toccava, il modo in cui strisciava e raggiungeva e s’insinuava.
Ad Auron piaceva la pioggia perché lavava le persone, donava una nota diversa, dava loro qualcosa di aggiuntivo rispetto al solito odore che si portavano dietro; se Braska solitamente profumava di talco, insieme alla pioggia il suo odore assumeva una nota più malinconica.
Jecht – che naturalmente puzzava di vino, oppure di qualcosa che assomigliava al curry – bagnato dalla pioggia aveva lo stesso esatto odore di un cane bagnato.
Rikku…
Auron non sapeva davvero spiegarselo.
Non riusciva ad incastrare l’odore di Rikku con un paragone ben preciso; poteva tanto profumare di caramelle alla liquirizia, quando puzzare di olio di motori. Oppure entrambe le cose. Vari mix, tra spezie albhed, shampoo alla mela, polvere da sparo, smalto per unghie, sangue, borotalco, sudore, lucidalabbra fruttato.
E con la pioggia quelle sue note caratteristiche si spandevano, danzando nell’aria.
Fin da bambino, Auron aveva giocato a provare ad indovinare l’indole delle persone esclusivamente dal loro odore. Questo gioco era rimasto un suo tratto caratteristico. Ogni volta che ritrovava se stesso ad odorare un’altra persona, si rallegrava e si prendeva in giro allo stesso tempo, felice di poter ritrovare in se stesso una traccia di un lui più bambino. Nessuno sapeva quanto ad Auron mancasse l’infanzia che non aveva vissuto veramente.
Era per questo che si irritava con se stesso – e si schiaffeggiava mentalmente, dicendo ‘cazzo Auron smettila’ – quando si ritrovava a pensare all’odore di quella ragazza.
Perché mai, mai, aveva fallito nel leggere qualcuno.
 
 
La luce era fioca nella caverna, Rikku cercava di mantenere viva la fiammella che era riuscita a creare con una magia fire. Auron aveva la testa poggiata al muro e pensava, pensava intensamente a qualcosa che lo distraesse dalla realtà.
Davvero non doveva permettere a se stesso di ricordare perché era in quella situazione.
Naturalmente fallì.
La grotta era umida, fredda, si sentivano i tuoni in lontananza, e più vicino, invece, varie imprecazioni albhed lanciate sotto fiato dalla bionda.
Auron non voleva proprio ricordare come s’era ritrovato in quella situazione di merda.
“Cazzo!” Rikku piagnucolò, cadendo sulle ginocchia ed irritandosi a tal punto che un paio di lacrimoni le spillarono dagli occhi.
Auron decise di non aver mai visto una ragazza piangere per cose così stupide.
“Fammi uscire di qui” si lamentò ancora una volta la bionda.
Auron sbuffò e rimase in silenzio.
“Hai davvero intenzione di non fare niente?!” incalzò lei.
Silenzio.
“Auron!?!”
Se Auron avesse risposto, Rikku avrebbe pregato per quel silenzio che invece ora le stava concedendo.
“Hm”
Il fuoco si spense.
Auron grugnì, si massaggiò il ponte del naso, e pensò che Braska avrebbe trovato qualche sorta di metodo per liberarli da quella grotta.
“Senti, Auron. C’è solo un modo per uscire da questa grotta…”
“HO DETTO CHE NON HO INTENZIONE DI GIOCARE!” sbottò il ragazzo.
La sua voce rimbombò fra le pareti di pietra gelida.
“Ok…ok, stai calmo” borbottò l’albhed.
“Braska arriverà alla locanda in mezza giornata; chiamerà qualcuno e ci verranno ad aprire”.
In realtà era stata tutta colpa di Rikku.
Le era sembrata malinconica per tutta la giornata precedente (il giorno in cui erano appena arrivati alla Piana dei Lampi), e per quella notte s’era irritata quando avevano deciso di lasciare una tenda più piccola solo per lei. Aveva detto d’aver paura dei tuoni e dei fulmini, ma Auron non riusciva neanche a pensare a quel suo, diciamo, tratto caratteristico come ad una fobia. Gli sembrava impossibile aver paura di una cosa del genere. Era insensato.
Quella mattina la bionda aveva le occhiaie, e digrignava i denti mentre dichiarava un acuto mal di schiena. Inoltre, per la metà mattinata che avevano trascorso camminando (e dialogando fra loro), Rikku non aveva aperto bocca – cosa alquanto strana per la ragazza – ed era rimasta alquanto sulle sue.
Auron sapeva che il suo atteggiamento  poteva essere tenuto al suo – innegabile, nonostante i comportamenti bruschi – essere una ragazza. Decise di non volerlo sapere, in ogni caso.
Ad un tratto, mentre il gruppo procedeva a velocità media-alta, Rikku s’era fermata davanti a quella grotta.
“Ho bisogno di parlare con Auron. In privato.”
Auron era rimasto alquanto stupito dalla richiesta della ragazza, ma immaginò subito che volesse parlare del pellegrinaggio, quindi annuì e la seguì nella grotta, fra le risate di Jecht – che cavolo avesse da ridere non lo sapeva – e i cenni rassicuranti di Braska.
“Senti” iniziò a dire con tono nervoso “Jecht mi avrebbe preso in giro per tutta la vita, e Braska si sarebbe preoccupato fin troppo se mi avesse sentito: io non posso dormire da sola.”
Auron alzò il sopracciglio “Non puoi?” chiese sbalordito.
Rikku sbuffò forte “NO! Non posso! Mi viene un infarto!”
Auron alzò il lato d’un labbro, ironico “Non vedo dove sia il problema”
Rikku lo stava per picchiare.
Poi, improvvisamente, la pietra che faceva da porta alla grotta si chiuse, alzando polveri e facendo tossicchiare i due.
Avevano scoperto che la grotta aveva una sorta di antico meccanismo, un giochetto, un indovinello per far riaprire l’uscita.
Ora però la situazione era ferma ad un punto morto.
Auron aveva vissuto abbastanza, militato abbastanza ed affrontato abbastanza missioni di quel genere da sapere che era una trappola. Lo sentiva.
“Bene” disse Rikku “Io gioco”
Auron sbuffò forte, poi pensò che non poteva davvero impedirglielo, quindi la lasciò andare. Rimase seduto al suo posto, per una mezz’oretta, con la testa contro la pietra fredda della caverna, ad ascoltare gli squittii e le riflessioni ad alta voce che Rikku si lasciava scappare.
“Auron! AURON!”
Aveva deciso in precedenza che l’avrebbe lasciata a se stessa, però quando la voce dell’albhed urlò il suo nome, un battito gli mancò al cuore e saltò in piedi, correndo fino a raggiungerla, all’estremità della grotta. Quando la trovò perfettamente in salute, e scoprì che la sua paura era stata immotivata, la vena sulla fronte gli si gonfiò dall’irritazione.
Era irritato soprattutto dal fatto che s’era, effettivamente, spaventato per l’albhed.
“Cos’hai da urlare così?!”
“T’ho spaventato?” chiese lei con voce ironica.
“No” mentì.
“Ho bisogno che tu colpisca qui con la tua katana”, gli disse.
Auron alzò gli occhi al cielo.
“Non colpisco niente”
Quando Rikku simulò per l’ennesima volta quel gesto – le mani sui fianchi e le guancie gonfie dall’irritazione – Auron si frenò dal ridacchiare. La trovava buffa, ma non l’avrebbe mai ammesso. Non l’ammetteva neanche a se stesso.
“Daiiii…”
L’espressione arrabbiata si mutò in una di tristezza. Le sopracciglia prima aggrottate si incurvarono in una forma perfettamente concava, il labbro inferiore scivolò in avanti, il mento si ingrugnò in un tremolio impercettibile. L’espressione degli occhi era però ancora giocosa, anzi, era persino complice, come se gli dicesse di stare al gioco e non ignorarla.
“Non compri il mio consenso con questi giochetti eretici” disse lui, ironico.
“Ah no?”
L’espressione cambiò ancora una volta. Un sopracciglio ora era più in alto dell’altro, le lunga ciglia nascondevano le iridi, il labbro inferiore veniva mordicchiato da un canino di porcellana, le ginocchia erano chiuse verso l’interno, le mani unite dietro la schiena.
“Ti prego” gli disse, in voce bassa.
Auron tossì. Si girò di spalle e spalancò gli occhi.
Donne. Donne! Demoni.
“Auron…” lo chiamò, con tono di lamento.
“VA BENE!” Auron si girò, leggermente arrossito, e – senza guardarla – le chiese dove dovesse colpire “però smettila, sei odiosa e irritante”
“Cos’è ti da fastidio aver perso?” chiese lei con sguardo soddisfatto.
“Non ho perso un bel niente!”
Rikku indicò un punto (all’occhio umano normalissimo) sul muro.
Auron sollevò la sua katana e diede un colpo secco.
La caverna cominciò a tremare leggermente, qualche pietruzza cadde dal soffitto. Auron si guardò intorno e cercò di affinare i sensi.
Una ventata d’aria entrò nella caverna, Rikku sorrise. Il ragazzo si fermò ad osservarla per qualche secondo prima di chiederle bruscamente cosa fosse successo.
“Ho aperto la porta” disse, semplicemente, scoppiando in una risata.
Auron sbuffò e si diresse verso l’uscita.
Se non l’avesse fatto subito, avrebbe corso il rischio di finire col ridere con lei.
 
Una volta arrivati all’uscita, Auron sentì subito qualcosa di diverso. Come…un magnetismo.
Non c’era davvero modo di percepire quelle cose, soprattutto quando poi lui era un guerriero e non un mago, ma l’istinto di Auron aveva quasi sempre ragione.
Osservò la ragazza dirigersi verso la cavità.
“Rikku, non–“
Troppo tardi. La ragazza fu lanciata indietro da una sorta di forza. Una barriera…
“Auch! Che cazz…”
Il guerriero le andò vicino, le porse controvoglia la mano per aiutarla ad alzarsi, irritato dalla sua impossibilità di fermarsi a riflettere.
L’albhed rifiutò l’aiuto e si tirò su in un salto.
“Mh, sembra ci sia una barriera” disse preoccupata.
“Pf”
“Non provare a dire ‘te l’avevo detto’, Mr. Antipatia!!!” urlò la ragazza.
Auron alzò gli occhi al cielo. Quanta pazienza stava sfruttando?
“Come usciamo di qui?” chiese, frustrato “Sembra un qualche meccanismo albhed, no?”
“Beh, in effetti sì…”
Rikku cominciò ad esplorare nuovamente le pareti della caverna, speranzosa di trovare qualche indizio.
Auron non provò nemmeno a infrangere la barriera con la sua katana: sapeva sarebbe stato inutile. C’erano dei limiti che i guerrieri dovevano conoscere. Quello non era il suo campo.
“Eccolo!”
Il ragazzo camminò svogliato verso il muro scuro dove la ragazza stava cercando di leggere qualcosa.
Sembrava albhed.
“Che cos’è?” chiese, indicando le lettere incise nella pietra.
“Un…indovinello, credo…”
“In albhed?”
“Già” disse lei, cominciando a spolverare con le dita le lettere “Allora…vediamo un po’…” la ragazza fece fiorire una piccola fiammella sul palmo per permetterle di leggere con più chiarezza.
Una volta lette le parole, la bionda sgranò gli occhi e rimase in silenzio.
La scritta recitava: Ca te xie di jiue byccyn
ih pam pyleu taje tyn
syclre, tuhha a lyh bancehu:
huh ce clybby tym tacdehu!
“Allora?” chiese, irritato, l’uomo.
“Dice…ehm…se di qui tu vuoi passar…
“Hm, continua”
Rikku sbiancò “Non so quanto ti possa far piacere sentire come continua…”
Auron si preoccupò per un istante, poi deglutì “Continua” ripeté.
“Un bel…bacio…devi dar…”
Gli occhi di Auron si sgranarono.
Rikku abbassò gli occhi al terreno, continuando “Maschi, donne e can persino…non si scappa dal destino…”
Il monaco sospirò. Poi si grattò la nuca.
“Hm”
Rikku ridacchiò nervosa “Allora…vado io o vai tu?” chiese.
“Scusa?”
La ragazza strisciò un piede sul terreno, facendo alzare un po’ di polvere.
“Intendo…col…bacio…”
“No, no” Auron ridacchiò, acido “Non c’è alcuna possibilità che…io…beh…insomma…” non sapeva che dire, così tossicchiò, imbarazzato fino all’osso.
I due rimasero in silenzio, solo il rumore delle gocce di pioggia in lontananza.
Poi Auron sbuffò forte, irritato, e si girò verso Rikku, tutta rossa e occhi spalancati. Si avvicinò, veloce e secco, e le stampò per un momento le labbra sulla guancia. Fu un battito d’ali.
Il cuore di Rikku fece un doppio salto mortale all’indietro.
La scritta dal muro scomparse: al suo posto, ne uscì un’altra.
Rikku deglutì forte e poi lesse, con voce tremante “Mai di qui voi uscirete…” iniziò. Tossicchiò nel leggere le righe che seguivano.
L’espressione di Auron era terrorizzata.
“Mai di qui voi uscirete” ripeté “…se sulla bocca non vi bacerete…questa è la grotta dell'imbarazzo, dove persino chi è sano…diventa pazzo…” la voce di Rikku aveva raggiunto un volume microscopico e inaudibile.
Auron si girò di spalle, nascondendo la maschera di imbarazzo misto a disperazione che gli dipingeva la faccia.
Ancora, come s’era cacciato in quella situazione?
Rikku sospirò “Beh, immagino rimarremo qui a vita” disse, un po’ triste.
Auron strinse la mascella. Poi sospirò anche lui.
Rikku ridacchiò “Non facciamone una tragedia, su” cerco di tirarlo su la ragazza “…Aspetteremo Braska…”
(In realtà dentro lei si dibatteva la voglia di baciarlo, perché voleva baciarlo, lo voleva davvero; perlopiù lo voleva per provare a se stessa che era sbagliato, che non erano fatti l’uno per l’altro. Per liberarsi. Perché Auron era così: rischiava di trascinarti con sé nell’abisso dei suoi occhi).
“Perché dovete essere sempre così?” mormorò sottovoce il monaco, a denti stretti.
“Così come?” chiese seria Rikku, guardando le spalle dell’altro.
“Stupidi!” urlò in risposta, girandosi improvvisamente “Così…stupidi!” ripeté, alzando la voce in maniera così poco da lui e gesticolando.
Rikku sembrò ferita.
“Non fate altro che pensare a tutto come un gioco! Beh, non lo è! Non lo è affatto! Non fate altro che ridere, e divertirvi, e dire giochi osceni, quando non c’è nulla per cui essere allegri! Estremamente nulla! Vi odio! E odio Sin, e odio i vostri indovinelli del cazzo!”
Auron aveva il fiatone, gli occhi erano leggermente spalancati, l’espressione turbata. L’eco della sua voce ancora risuonava nella caverna, quando Rikku ridacchiò, un po’ amara.
“Non capite proprio, vero?” chiese.
“Cosa?” la voce dell’uomo ritornò relativamente calma.
Rikku continuava a ridere, amara.
Auron camminò un paio di passi verso lei.
“Pensa a come dobbiamo, come debba sentirmi…ad essere guardata dalla testa ai piedi, giudicata, disprezzata in ogni momento. A sentirmi riferire con soprannomi decisamente poco carini, a non poter partecipare a questo pellegrinaggio, anche se in questo mese mi sono affezionata a voi, e darei volentieri la mia vita per proteggere ognuno di voi…Pensa come debba sentirmi a cercare d’essere sempre allegra. Sorridere, sorridere, saltellare: ecco l’allegra Rikku! La ragazza senza una casa, né famiglia, sola e odiata perché ha le mani sporche e puzzolenti di olio! SAI COSA C’E’?” gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime “…sai cosa?” ripeté, con voce rotta “Non vorrei neanche per un istante essere baciata da una persona che la pensa com–“
Rikku non poté finire la frase.
Una scossa le percorse tutto il corpo.
Le labbra di Auron erano sulle sue.
Forti, marmoree, si mossero con paura, quasi. Lentamente, Auron le risucchiò le labbra e l’anima. Sembrava fosse tutto successo in un millesimo di secondo. Un lampo, e le loro labbra erano unite.
Gli occhi di Rikku, ancora spalancati dalla sorpresa, si chiusero lentamente, e le sue labbra cominciarono a muoversi a ritmo con quelle del ragazzo. Sembravano perfetti. Si incastravano perfettamente.
Il sapore delle lacrime salate si mischiarono a quelle della loro saliva. Fu un bacio un po’ impacciato, in effetti, ma Rikku non osò lamentarsi. In effetti non osò pensare.
Dopotutto, sarebbe stato impossibile, viste le urla animalesche della fangirl sopita che era in lei, e che stava sbraitando di gioia.
Poi ad un trattò finì. Auron si staccò per primo, e con uno sbuffo si diresse verso l’uscita ora libera.
“Sembrava l’unico modo per farti star zitta” mormorò, abbandonando la grotta e lasciando una sconvolta Rikku dalle ginocchia molli ancora lì dentro.
In realtà le ginocchia tremavano anche a lui.
 
 
“Braska, ehi, Braska”
“Cosa?”
“Guardalo”
“Chi?”
“Come chi? Auron! Guardalo. No, non guardarlo così direttamente, non farti vedere!!!”
“Ma insomma lo devo guardare o no? Che sta facendo?”
“Sta uccidendo con lo sguardo quel tipo albhed”
“…”
“Braska, lo vedi? Avevo ragione”
“Impossibile. È solo che non si fida degli albhed”
“È solo che quel tipo sta offrendo da bere a Rikku…”
“Mh”
“E guarda Rikku! Ogni tanto si gira a guardare preoccupata Auron”
“Jecht…”
“Ehi Rikku! Chi è il tuo amico?” disse l’uomo bruno, allontanandosi, con la sua solita scenicità.
Braska si diede uno schiaffo sulla fronte, disperato.
 
 
Non la stava guardando.
Noche non era seduto in quel preciso angolo per osservarla. No, non aveva scelto quel tavolo per il punto strategicamente perfetto per osservarla.
No.
Categoricamente no.
Ok, forse solo un po’, e forse solo perché davvero gli dava fastidio come quel ragazzo le stava offrendo da bere...Ma solo perché non era decente che una ragazza bevesse. Solo per quello…
Auron si morse l’intero della guancia, irritato al limite.
Era più che altro arrabbiato con se stesso. Non c’era il benché minimo motivo per cui gli sarebbe dovuto importare con chi Rikku se la faceva, soprattutto perché avrebbe comunque lasciato il pellegrinaggio in un giorno o due.
Buttò giù un altro sorso di sakè ustionante, chiuse gli occhi e fece schioccare le labbra per assaporare meglio il liquore. Una vena sulla fronte gli pulsava.
Era perché gli albhed erano così sfacciati.
Era perché odiava gli albhed e odiava come non avessero inibizioni.
Era perché aveva…baciato…Rikku.
Perché l’aveva fatto?
Aprì gli occhi, per osservare la faccia di Rikku mentre rideva – in quella maniera così sguaiata, a bocca aperta, a mostrare l’ugola e i denti bianchi –, probabilmente per qualche battuta del ragazzo che aveva davanti. Era biondo (ovviamente, come tutti gli albhed, anche un gatto morto lo noterebbe), ed era estremamente presuntuoso (ma se non lo conosci neanche!). Si atteggiava agli occhi della ragazza e continuava a cercare di avvicinarsi. Ad ogni battuta era di un passo più vicino, e Rikku ad ogni sorso aveva gli occhi sempre più lucidi.
Non gli piaceva.
Non gli piaceva il modo in cui le guancie di lei erano arrossite (probabilmente per il liquore), così bonariamente rosa sotto la luce calda del bar della Piana dei Lampi; non gli piaceva quello sguardo così ingenuo che lei aveva dipinto sulla faccia.
Non gli piaceva soprattutto il modo in cui aveva accavallato le gambe, in cui muoveva il piede, in cui la maglia aderent…AURON!
Il monaco strinse i denti,  strizzò e chiuse gli occhi.
Era solo un po’ di frustrazione…
Quella ragazza lo stava decisamente portando su vie del tutto blasfeme. Non che avesse rispettato con piacere i voti di castità, quando a soli 15 anni aveva cominciato a far parte della scorta sacra di Bevelle. Non aveva mai capito il significato di quegli ordini, quindi era passato ad essere un combattente monaco, accettando di buon grado tutte le libertà del ruolo, tra cui fottersi liberamente chi più gli aggradava.
Non che fosse un punto fondamentale della sua vita, ma Auronaveva avuto delle donne. Non era uno sbarbatello, né tantomeno un adolescente in piena crisi ormonale. Quindi, la giusta domanda ora, era: perché?
Perché stava anche solo facendo caso alla maglia attillata della bionda?
Era per il suo modo di avvicinarsi sempre a lui e dargli quell’affettuoso schiaffetto sulla spalla? O forse quando gli urlava contro e arrossiva e sembrava proprio una leonessa?
Forse era solo colpa di quella sua ingenuità…Oppure quel bacio…
Cazzo, odiava ammetterlo, ma a volte pensava che Rikku non fosse per niente consapevole della sua sensualità. Odiava davvero dirlo, ma il modo in cui correva qui e lì, il modo in cui saltellava, e ti si avvicinava e ti guardava – era come una bambina.
Auron era un uomo.
Infedele o meno, albhed o meno, stupida bionda o meno, non poteva negare che ogni tanto, persino lui – nella sua risolutezza –, lanciava uno sguardo a quelle sue gambe lunghe e toniche, quando si appollaiava nel terriccio per giocare con qualcosa che aveva rubato da mostri.
Auron fu riportato alla realtà dall’inizio di una canzone, costretto ad abbandonare le sue riflessioni.
Nei bar albhed non si poteva proprio star tranquilli, eh?
Un complesso di tre suonatori (chitarra, contrabbasso e violino) aveva iniziato una vecchia canzone swing, dai toni raminghi e viandanti.
Osservò verso la ragazza per notare che aveva gli occhi spalancati, e che tirava la mano del biondo sconosciuto che le era di fronte.
Inghiottì un altro sorso quando vide lui alzarsi e condurla al centro della stanza. Quando cominciarono a ballare, Auron non staccò gli occhi dalla scena per un solo secondo, rapito.
Doveva ammettere che erano bravi.
Lei ancheggiava leggera e lui era totalmente capace di starle dietro, portandola con coordinazione.
Per qualche assurdo motivo, il moro pensò che non sarebbe mai stato capace di condurre una ragazza in un ballo. Che non sarebbe mai stato capace di ballare con Rikku.
L’armonia raggiunse il suo apice con un ritornello trascinante.
Rikku sorrise e cominciò a volteggiare, saltellando sui piedi, facendo svolazzare nell’aria le sue lunghe trecce bionde, in trance. Attorno ai due ballerini, innumerevoli albhed ridevano e battevano le mani a tempo.
Auron doveva ammettere che l’atmosfera era molto più calda e allegra di qualsiasi altra locanda yevonita…
Dall’altro lato della stanza vide Braska ridere e muovere impercettibilmente il piede sul pavimento di legno a tempo, Jecht fischiare con due dita in bocca ad una giravolta di Rikku, che lo guardò e – complice – gli fece un occhiolino.
Quella ragazza non era proprio consapevole…per niente consapevole.
In quel momento il guerriero si sentì solo. Era come se tutti fossero in qualche modo attratti dalla musica, dall’atmosfera, ed ecco invece lui, buio e silenzioso, nel suo angolino strategico, a guardare, e – per Yevon! – invidiare la libertà che quegli albhed sapevano gestire.
Ora capiva.
Capiva, anche solo di poco, di cosa stesse parlando nelle molteplici sfuriate, Rikku. Cosa fossero quegli astrusi valori che in quelle due settimane e mezzo di viaggio lei aveva cercato di spiegare.
Tutti gli albhed sembravano fratelli. In armonia nonostante gli insulti, l’emarginazione, nonostante le guerre, Sin.
E per un momento, nel mondo, un momento solo, durante una canzone, sapevano ballare, ridere, e suonare, ma soprattutto…vivere.
Fu per questo che – alla fine della canzone – Auron s’alzò e uscì all’aperto, al buio, per osservare da sotto il tetto dell’ingresso la pioggia battere contro la terra umida, per pensare profondamente.
Pensò: sono impazzito?
E: forse è solo stanchezza.
Pensò fin quando la pioggia non si fece così insistente da impedirgli di rilassarsi.
Quando entrò, tutti erano a dormire, Rikku stava salutando l’albhed con cui aveva ballato. Quando Auron passò davanti la coppia, vide la bionda seguirlo con lo sguardo. La cosa lo irritò.
Non vedeva l’ora che lasciasse il pellegrinaggio, pensò fra sé, esasperato.
 
 

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Capitolo 8
*** 8 ~ memory of lightwaves ***


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TU CREDEVI MI FOSSI SCORDATA DI FARTI UN REGALO PER IL COMPLEANNO?
O che non ti facessi niente?
Eh no, Michi, eeeeh no, non potevo non pubblicartela oggi, non potevo, e anche se sono giusto in tempo (le 22.41), penso valga lo stesso. Per iniziare un nuovo anno d'età al massimo e nella maniera più fangirl possibile, eh?
Notata la icon di Jecht qui? Tutta per te!
Insomma, forse questo capitolo è OOC, forse è troppo fluff, forse è una grossa e grassa sega mentale, però è dedicato a te (come tutta la storia, ma dai!), ed è questo che conta.
Nothing else.
Ti  voglio bene, davvero.
Per tutte le chiacchierate.
Per essere me.
Per amare Jecht.
<3
Augurissimi, elfetta!
Silvia.







 


Jumpin’ in a dream – capitolo ottavo.
Memory of the lightwaves.

 
 
 
Quella notte, nella stanza poco illuminata della locanda, Rikku non riusciva a prendere sonno.
Era stesa, supina, l’avambraccio a coprire la fronte, e cercava di concentrarsi sul russare di Jecht per cercare di ingannare la sua mente e non pensare a quello che stava pensando da quel pomeriggio, ininterrottamente.
Auron.
L’aveva.
Baciata.
Ridacchiò tra sé al ripresentarsi del pensiero. Il cuore le salì in gola, come se fosse una cena pesante rimasta sullo stomaco. Per Rikku essere innamorata era come avere il sistema digestivo gravemente danneggiato.
Auron l’aveva baciata.
Eccolo che ritornava! Rikku ridacchiò ancora e si coprì gli occhi con le dita, alzando le gambe in alto.
Era impazzita, certo, ma le sensazioni erano ancora vivissime: era come se il tempo si fosse fermato, da quel pomeriggio. Se chiudeva gli occhi sentiva ancora le labbra di Auron sulle sue, e allora il sangue le scorreva al contrario nelle vene e lo stomaco le si contorceva. E poi c’era anche l’elemento sghignazzante: ogni volta che ci pensava, non poteva fare a meno di scoppiare a ridere da sola.
Che fosse l’inizio di un rimbambinimento definitivo?
Insomma, Auron l’aveva baciata!
Strinse le labbra così forte da farsi male, ma non poteva permettersi di ridere. Non lì, almeno, con Jecht addormentato nel letto affianco.
In effetti, ora che ci pensava, non era di solito accoppiata con Auron in stanza? (lo stesso Auron che quel pomeriggio l’aveva baciata, signori!)
“OK BIONDINA UN ALTRO SGHIGNAZZIO E GIURO CHE TI FACCIO DORMIRE NELLA VASCA!”
Rikku saltò dalla paura, squittendo e spalancando gli occhi su un irritato Jecht.
“S-scusa” disse piano, prima di rigirarsi nel lenzuolo e dare le spalle all’uomo. Doveva dormire. DOVEVA. DORMIRE.
“Ehi, pensi forse di scampartela?”
Rikku fece finta di dormire, modulando il respiro in maniera più pesante, ma in realtà aveva gli occhi spalancati sul muro chiaro della camera.
“Uhmpf, vorresti ingannarmi? Si vede proprio che non ti senti quando dormi” disse il blitzer.
“Cosa intendi?!” Rikku saltò a sedersi e si voltò subito verso il letto di Jecht.
“Beh, voglio dire che di solito di notte…russi
“Stai mentendo!” Rikku lo additò con sguardo terrorizzato “stai mentendo!”
L’uomo rise forte.
“Macchè!”
“Non hai mai dormito con me, non puoi saperlo! Volevi solo farmi girare!”
“Si da il caso, biondina dall’IQ imponente, che un certo sterminatore di allegria me l’abbia riferito”
Rikku ridacchiò spaventata, la faccia in realtà una maschera di terrore “No…non è possibile”
Fu come se un alone bluastro avesse invaso la sua parte di stanza. Abbassò la testa, mormorando qualcosa fra sé e deprimendosi.
“Allora! Mi dici che cacchio hai da ridacchiare da tre quarti d’ora?” investigò il moro, avvicinandosi, curioso.
“Russare…io…lui…ha detto…io…russare…” Rikku continuava imperterrita la sua tattica di auto-convincimento depresso.
Jecht sbuffò impaziente “Senti, palla di treccine eretica, mi hai svegliato da un sogno stupendo, ed ora mi devi delle spiegazioni”
Rikku parve riprendersi “Spiegazioni? Cosa? Non ho fatto niente di male!” urlò, visionaria.
Davvero, poteva anche candidarsi a Miss rimbambita dell’anno.
Perché doveva farle quell’effetto, quell'idiota? Quasi le veniva voglia di ringhiare dall’irritazione.
“Ahhh!” Jecht rimase in silenzio e la osservò  con faccia eloquente, come una vecchia zia pettegola. 
“Jecht”
“Rikku”
“Sul serio”
L’uomo alzò le mani, il volto che cercava di sopprimere un ghigno “Sul serio” ripeté.
Rikku sospirò.
“È Auron, vero?”
Gli occhi di Rikku distolsero lo sguardo.
No, non farlo! Distogliere lo sguardo è come assentire, stupida!
“Ok, lo prendo come un sì” ecco! “Vuota il sacco.”
“Jecht…” disse Rikku, guardandolo profondamente negli occhi. Non è che non si fidasse di lui, anzi, un mese e più di convivenza forzata e di sangue condiviso combattendo li aveva fatti avvicinare, ma…ma, ecco, no. Non poteva permettere che quella storia uscisse. Sarebbe stato come tradire la fiducia di Auron – quel piccolo pezzetto di fiducia che aveva guadagnato con sudore e lacrime; perché Rikku l’avrebbe difesa con artigli e zanne, quella piccola stilla di fiducia che Auron le aveva concesso. E sarebbe cresciuta, da seme ad albero vigoroso, ne era certa. Perché quando il sangue di due persone scorre vicino, non c’è altra alternativa che fidarsi, fidarsi, fidarsi completamente; Rikku lo sapeva. Quando si combatte schiena contro schiena, si maledicono le stesse ferite, quando si ha un nemico comune, le diversità si dissolvono, si sgretolano.
Lo sentiva, in battaglia. Era come se ognuno affidasse la propria vita nelle mani dell’altro. Lei, Auron, Jecht, Braska…
“Rikku” lo sguardo di Jecht era serio, serissimo “Rikku, non dirò niente”
“Perché lo vuoi sapere?” chiese lei.
“Per aiutarti, darti consiglio, niente più” sorrise l’uomo.
Rikku rispose al sorriso stirando anch’ella le labbra.  Poi si gettò in un’accurata cronaca dei fatti successi quel pomeriggio.
Doveva ammetterlo, il cuore le si alleggerì, parlando.
Poco prima di addormentarsi, però, ripensò ai patti stretti con Braska. Sarebbe dovuta rimanere lì alla Piana... Nessuno a parte Auron aveva fatto cenno alla questione, né Braska le aveva chiesto di diventare sua guardiana... Rikku era decisamente confusa. Forse il giorno dopo le cose si sarebbero chiarite. Ma cosa avrebbe fatto, nel caso Braska avesse deciso di congedarsi e lasciarla lì? 
Rikku si strinse nel lenzuolo e cercò di riposare. I tuoni della piana non furono gli unici a scuoterle l'animo quella notte. 
 
 
Braska bussò alla porta di Jecht e Rikku che era l’alba.
Rikku aprì la porta assonnata e salutò con un piccolo sorriso l'invocatore. Braska sporse la testa oltre la porta, a osservare Jecht. L'uomo di Zanarkand dormiva scomposto, come se avesse combattuto una guerra con i suoi cuscini. Rikku seguì lo sguardo di Braska.
"Non preoccuparti, gli faccio far presto," affermò.
"In realtà, Rikku, ero venuto a parlarti di una cosa." 
L'invocatore pareva nervoso, triste. Rikku sorrise malinconica "Braska..." 
"Vuoi continuare il viaggio con noi?" 
"Braska..." Rikku era decisamente stupita.
"Lo so... è un peso e una responsabilità, ma non posso ignorare l'importanza che la tua presenza ha avuto per noi ultimamente. Mi spiace doverti costringere a una scelta invece che lasciarti libera fra il tuo popolo."
"Braska!" 
L'uomo non le lasciava il tempo di rispondere. Rikku avrebbe voluto urlare mille sì, ma l'invocatore continuava come un treno in corsa!
"Inoltre... se tu decidessi di continuare come mia guardiana non so se sarebbe consono diffondere la notizia e presentarti ufficialmente in quanto tale... dovrò pensare a un modo nel caso, e sicuramente un po' alla volta tutti si convinceranno del tuo valore, ma per ora non saprei proprio come spiegare al tempio, quindi dovrai insomma... nascondere... per un po'... le tue radici..."
"BRASKA! ACCETTO! E' UN ONORE! SMETTILA DI CIARLARE!" 
Non le importava cosa avrebbe pensato Auron, né cosa le aveva suggerito di fare. Questa era la sua storia, ora! 
Rikku strinse forte l'uomo in un abbraccio, Braska si irrigidì, ma sorrise. 
Jecht, seduto e scapigliato dal suo letto lanciò una scarpa di tela verso i due "Porco Blitzball!!"

Fecero colazione tutti insieme. Rikku scrutava Auron in silenzio, chiedendosi se fosse furioso con lei. 
Passò l'intero pasto a fare così, spaventata. 
Poi Auron la guardò negli occhi "Fra guardiani non ci si dovrebbe tenere all'oscuro di cose. Hai qualche problema?"
Rikku sorrise il più grande dei suoi sorrisi. Fece di no con la testa. 
Auron alzò l'angolo delle sue labbra, e continuò a mangiare la sua zuppa.

Gli occhi di tutti si fermarono con nostalgia sulla locanda, prima di avviarsi.
C’era nell’aria una malinconia profonda; si rifletteva negli occhi di tutti e quattro. Braska osservava tutto quasi con voracità, incamerando dentro sé le immagini di quell’alba che non si vedeva, coperta dalle nuvole perenni della Piana, ora di un colore leggermente più chiaro. Negli occhi di Auron c’era solo Braska; la paura di perderlo, il senso di colpa al pensiero di star conducendo il suo migliore amico in una morte quasi certa.
Jecht sembrava stesse pensando a casa sua, malinconia nei suoi tratti.
Mentre la pioggia bagnava gli abiti e i capelli dei pellegrini, la nostalgia metteva un sigillo sui loro cuori.
Rikku conosceva bene quella sensazione. Era la stessa che si spianava sui loro spiriti durante il primo pellegrinaggio, quando Yuna osservava cieli e terre che non sarebbe più stata in grado di vedere.
Per la prima volta da quando era stata catapultata in quella dimensione, Rikku pensò a cosa stava andando in contro.
Era tutto più grande di quanto pensasse: non si trattava solo di lei ed Auron, oppure delle sue piccole tragedie personali, ma di qualcosa di molto più grande e pericoloso…si trattava di Braska. Del pellegrinaggio. Rikku avrebbe dovuto affrontare un altro viaggio verso la morte, avrebbe dovuto combattere di nuovo contro gli stessi malsani ideali che già una volta – insieme a Tidus, a Yuna, a lui – aveva cercato di fermare, di abbattere. Si chiese se forse ne sarebbe uscita annichilita per davvero, questa volta.
Deglutì, e comincio a camminare nella pioggia.
Auron era impacciatamente al suo fianco.
 
 
 
“Rikku! Sulla destra, granate sul fianco. Jecht, haste! Braska in back line, presto!”
“Auron! Ho ancora MP, posso combattere!”
“IN BACK LINE HO DETTO!”
“Ed io?” chiese Jecht.
“Occupati di quell’occhio maledetto!” disse Auron, rivolgendosi all’occhio volante, e sapendo che Jecht l’avrebbe potuto buttare giù con soli pochi colpi.
Rikku lanciò due granate sul fianco destro del dragone che gli abitanti della Piana chiamavano Kusarik. Era una razza molto diffusa da quelle zone, ma non per questo meno temibile. Quest’esemplare, poi, era maturo abbastanza da riuscire a bloccare loro la strada.
Auron caricò con uno dei suoi attacchi antiscutum sul mostro scatenato. La spada sfiorò il fianco del drago, ma subito un colpo di coda fece rimbalzare il ragazzo all’indietro.
Il guerriero sbatté la testa sul duro suolo della Piana.
“Auron!” urlò concitata l’albhed, prima di frugare nel suo zainetto e lanciare una pozione sul ragazzo.
Auron annuì verso di lei, in qualche modo grato. Poi si rialzò.
“Auron, distrailo frontalmente mentre io l’acceco!” suggerì Rikku, mostrando al ragazzo una blindogranata.
Con molto stupore della ragazza, il guerriero annuì e cominciò a mettere il piano in azione, concentrando per un attimo la sua energia.
Quando si lanciò verso il dragone, schivando molti dei suoi colpi grazie al ciondolo di Rikku (che gli applicava una velocità tale da schivare qualsiasi cosa, tranne colpi frontali e impossibili da sfuggire), riuscì a colpirlo sul fianco.
Proprio mentre il dragone gemette, Rikku lanciò la blindogranata. Era finita.
Auron scagliò i colpi finali con la sua solita maestria.
Rikku si accovacciò, stanca, tenendosi le ginocchia tra le braccia e sospirando forte, zuppa di pioggia. Un tuono la fece rialzare.
Proprio mentre Jecht urlava vittoria, altri ruggiti scossero l’aria.
Erano altri dragoni.
“Cazzo” sibilò Auron.
Ne erano due: li accerchiarono, e sembravano anche abbastanza irritati.
“Secondo me son parenti a quello stecchito!” urlò Rikku, lanciando uno sguardo preoccupato ad Auron.
Il ragazzo gettò la testa all’indietro, sospirando vistosamente. Poi si alzò in piedi, con la sua spada, e si lanciò spavaldamente verso i due kusarik.
“Auron!”
Fu veloce. I suoi movimenti rasentavano la perfezione, tagliavano l’aria, sibilavano.
Auron stringeva l’elsa come per tenersi cara la vita.
Auron danzava, non combatteva.
Schivò i colpi di coda di uno, accovacciandosi e lanciando in aria la katana, che poi recuperò giusto in tempo per infilzare il mostro nell’addome.
Braska lanciò un protect al guerriero, Jecht lo velocizzò.
Nonostante il colpo all’addome, il mostro era in piedi, e pareva avere ancora intenzione di combattere fino alla fine. Auron si fermò un attimo, come se stesse pensando, si deterse il sudore dalla fronte e sospirò; fu in quel minuscolo lasso di tempo che Rikku fu capace di prevedere l’attacco del nemico, e si lanciò addosso ad Auron, spostandolo dalla traiettoria dell’attacco e salvandogli quasi la vita.
Non poté negare d’essersi sentita un tantino delusa; l’Auron che conosceva lei non avrebbe mai fatto un tale passo falso sul campo di combattimento. Non avrebbe perso la sua freddezza, e soprattutto non si sarebbe fermato a sospirare. Forse, però, era anche vero che l’Auron che conosceva lei era quello forgiato da molti dolori, primo fra tutti la morte di Braska, e l’ineluttabile verità: Jecht era Sin, e lui doveva sconfiggerlo. Era un Auron esperto, che non aveva nient'altro che il combattimento.
Rikku ingoiò un nodo alla gola e fece finta di nulla quando il ragazzo borbottò un ‘non ce n’era bisogno’. Pensò fosse stato solo un po’ sbadato.
Il resto continuò come previsto.
 
 
Erano tutti stufi della pioggia. Per questo, quando in lontananza cominciarono a scorgersi i bagliori del Bosco di Macalania, fu come se un generale senso di sollievo fosse precipitato sul gruppo. Rikku si stiracchiò, sentendo un mal di schiena insolito, dovuto probabilmente all’umidità perenne di quel posto demoniaco.
“Ehi, c’è qualcuno sotto quella torre!” esclamò, guardando prima in direzione della torre parafulmini, e poi verso Braska.
“È una donna” disse Auron, strizzando gli occhi. Sembrava stanco.
“Forse s’è persa” fece spallucce Jecht.
“C’è solo un modo per scoprirlo”
“Non potremmo continuare dritto per Macalania? Abbiamo procrastinato abbastanza” disse con aria perentoria il giovane monaco vestito di rosso.
“Auron, sai bene che il mio scopo non è solo quello di raggiungere Zanarkand, quanto quello di infondere speranza negli altri. È un pellegrinaggio per il bene, e non bisogna ignorare alcuna occasione per aiutare il prossimo”
“Ti potrebbero far beato, zietto!” esclamò ridacchiando Rikku.
Braska alzò un sopracciglio interrogativo verso la ragazza, non capendo quell’appellativo improvviso.
“Oh, ehm, ecco, è slang. Sai, bella zio, come butta? Cose così”
“Anche quella zucchina pensante di mio figlio usa queste espressioni. Non so a cosa servano, ma di certo non vi rendono più interessanti” esclamò Jecht, particolarmente irritato. Rikku sbuffò.
“Sarai figo te” mugugnò.
Gippal, lui si che era informato su quel genere di cose, mica lei.
Braska aumentò il passo, tutti lo seguirono.
Sotto la torre parafulmine c’era la donna che Rikku aveva individuato; aveva i capelli legati in due crocchie ai lati delle orecchie, una lunga veste verde in puro stile yevonita che quasi si bagnava toccando terra, e uno sguardo spaurito. Rikku ebbe la sensazione di averla già vista da qualche parte.
Quando si avvicinarono definitivamente, capì di non essersi sbagliata.
L’impulso di balbettare il suo nome era tanto, certo, ma Rikku dovette reprimerlo: la donna si sarebbe sicuramente accorta di non conoscerla, e sarebbe stato un grosso rischio, visto anche che Jecht sospettava qualcosa. O forse addirittura sapeva che lei, come lui, non apparteneva a quella dimensione. L’uomo si dimostrava più stupido di quanto in realtà fosse.
“Salve, sono l’invocatore Braska da Besaid”.
La donna spalancò gli occhi per un attimo, poi si chinò in una riverenza, eseguendo il saluto yevonita. Rikku l’aveva sempre trovato molto elegante.
“Sono anch’io un’invocatrice. Vengo da un paesino nella contea limitrofa a Bevelle, il mio nome è Belgemine”
Braska eseguì anche lui la riverenza “Se posso, perché sei qui sola? Dove sono i tuoi guardiani?”
Belgemine si morse un labbro, preoccupata “Li ho persi”
Auron parve scuotersi “Persi? Quale guardiano si permette di perdere di vista la propria invocatrice?”
Belgemine arrossì. Rikku alzò il suo sopracciglio immaginario, non potendo in quella situazione.
“Vi offro i miei servigi” disse Auron, facendo la riverenza e presentandosi.
Sul serio, cosa aveva da essere così gentile? PFF.
Belgemine sorrise per un attimo.
“Loro sono i miei guardiani. Jecht e Auron” Belgemine portò d’istinto lo sguardo verso Rikku, perplessa. Poi notò le sue iridi, e volse lontano i suoi occhi, l’espressione indurita mentre Braska ridacchiava un po' nervoso “Lei è Rikku, viaggia con noi”.
Rikku si sentì leggermente irritata, ma accettò la definizione. Belgemine l'aveva guardata fissa negli occhi. Rikku avrebbe dovuto usare gli occhiali...
In ogni caso non riuscì a frenare l'irritazione! Lei non era una che viaggiava con loro, lei era loro amica, li aveva aiutati, in quel mese lungo, li aveva sostenuti. AVEVA SALVATO AURON DA UN DRAGONE BLU, CAZZO!
E l'aveva baciato, per inciso.
Questa volta però non ridacchiò.
Quella Belgemine non poteva certo arrivare, presentarsi, e squadrarla così…Belgemine…Belgemine era insopportabile, anche se l'aveva incontrata solo da qualche minuto; era bastato uno sguardo. Stava continuando a parlare con Braska, un espressione patetica mentre elogiava la virtù di quelle persone che avevano il coraggio di donarsi per il bene, di loro, gli invocatori, che morivano come animali al macello senza risolvere davvero qualcosa. Parlarono. Dieci minuti. Un quarto d'ora. Mezz'ora.
YEVON!
Rikku contemplò l’idea di tirarle quelle due crocchie per alcuni minuti, poi però immaginò la reazione di Auron e accatastò l’idea nella scatola delle idee malsane da non perseguire.
Le ricordava più Shelinda; quasi non sembrava la stessa invocatrice austera che sfidava Yuna a duello constatando la sua forza e dandole consigli.
Ora era irritante.
Forse…forse il vivere da non trapassati rendeva tutti un po’ più duri di spirito…
Come Auron (anche se il paragone non le sembrò molto accurato, dal momento che l’Auron giovane, aveva scoperto, era quasi più rigido di quello che aveva passato dieci anni a vagare per Zanarkand…)
Rikku si corrucciò.
Ora tutti erano sotto la torre parafulmini, ma lei s’era allontanata a riflettere per un po’, sotto la pioggia. Le faceva male la testa.
“Rikku?” la voce di Auron la chiamò. Era lì vicino, sotto la pioggia con lei. Braska e Jecht, invece, erano ancora a parlare con l’invocatrice…
“Cosa c’è?” chiese il ragazzo.
“Mh, nulla”
“Vieni al riparo”
“Non dirmi che ti stai preoccupando per me” bofonchiò l’albhed, più annoiata di quanto si addicesse alla sua personalità.
“Non abbiamo bisogno di malati da portarci dietro…” si giustificò il guerriero.
“Ah, già, io non sono una preziosa invocatrice”
“Che hai?”
“Niente” disse mettendo il broncio, a dimostrazione del contrario.
Auron sbuffò “Non sarai mica gelosa”
“Hai visto come mi ha guardata, no?” disse Rikku, colpita ancora una volta nel suo orgoglio albhed.
Auron parve oscurarsi per un istante, lei invece continuò ad osservare la pioggia, sentendo il calore di Auron vicino a sé.
“E comunque sei stato più gentile con lei in due minuti che con me per un mese intero…” aggiunse poi, a voce bassissima.
Era gelosia? Davvero? Un bacio aveva cambiato così tanto tra loro?
“Ah, quindi è questo che ti turba” Auron ridacchiò.
Come faceva ad essere così a suo agio? A Rikku pizzicavano le guance ogni volta che lui s’avvicinava, dopo quel pomeriggio. Forse per lui contava così poco che davvero non se ne ricordava più…
“Cos’hai da essere allegro quando io non lo sono?”
“Nulla” disse lui con un sorriso.
Ma cos’era, la sagra dell’OOCness? Rikku l’aveva sempre detto, doveva finirla di leggere fan fiction dal computer di bordo dell’aereonave. Peggioravano le sue condizioni mentali.
E poi, per tutti gli Shoopuf, da quando in qua Auron FLIRTAVA? Cos'era successo? Era in una mega fanfic AU infiocchettata da avvertimenti sul fluff e cartelli con su scritto "Attenzione, tra dieci miglia lago di OOCness"?
Non sono gelosa”
“E cosa allora?”
“Irritata” un silenzio si cementificò fra loro.
“Bene. Vieni sotto la torre”
“Mh”
Il ragazzo si allontanò.
Un tuono brandì l’aria.
Rikku era stufa di quella dannatissima pioggia…
 
 
Notizia felicissima: Belgemine avrebbe continuato con loro fino a Macalania, dove si sarebbe ricongiunta con i suoi guardiani. Aveva mandato Valefor in ricognizione, e così aveva avvertito con un bigliettino i suoi compagni di squadra, dicendo loro di aspettarla lì.
 “Non poteva montare il dannatissimo eone fino al bosco?” borbottò Rikku a Jecht, che era rimasto dietro con lei.
Guardava la schiena di Auron, che parlava cordialmente con la suddetta invocatrice, mentre Braska era in qualche modo pensieroso. Guardava la sua schiena, e se avesse avuto degli spilli ed una bambolina voodoo l’avrebbe infilzata.
Jecht ridacchiò “Beh, evidentemente non voleva”
Rikku ringhiò.
“Fatti valere, biondina”
“Cosa posso fare?”
“Offrigli di meglio”
L’albhed alzò gli occhi verso Jecht, spalancandoli “Tu sei un folle” boccheggiò.
“Un folle realistico!”
Le ore di cammino continuarono in silenzio.
Purtroppo non sarebbero riusciti a raggiungere il Bosco in tempo per il calare della notte, e così si sarebbero dovuti accampare e dormire, il tutto portandosi dietro l’invocatrice.
Ora Rikku camminava a passo sostenuto, affianco a Braska, osservando con la coda dell’occhio Belgemine che stava discutendo con Jecht – una discussione abbastanza unilaterale, doveva dire, visto che praticamente lei annuiva solo all’ingente numero di informazioni che l’uomo stava cercando di trasmetterle.
Auron era silenzioso, sembrava sul serio stanco.
Rikku non volle disturbarlo, così non fece niente se non sorridergli calda quando lui si voltò a guardarla.
Quando evidentemente Belgemine si fu arresa dall’ascoltare Jecht, ritornò a parlare con Auron.
“Auron, posso chiederti una cosa?” fece ad un tratto, lei.
“Certo, milady”
Belgemine fece per abbassare la voce. Evidentemente non aveva messo in conto l’udito da ladro di Rikku che, facendo finta di essere impegnata a giocherellare con Jecht, in realtà ascoltava tutto.
“Perché avete con voi…beh, sì…” si interruppe un attimo e guardò nella direzione di Rikku, che si fece trovare a ridacchiare, colpendo sulla testa il moro “…un’infedele albhed?”
Auron parve irrigidirsi un attimo.
A Rikku salì la bile in bocca.
Quando Auron rispose “È di passaggio...”, Rikku strinse i denti.
Jecht fu l’unico a vedere la sua espressione dolorante e, con una falsa risata, la abbracciò, sussurrandole nell’orecchio qualcosa come ‘non lo pensa davvero, no, non lo fa’, e sentendola bestemmiare sottovoce.
 
Due ore dopo Braska disse a tutti di fermarsi.
Era stanco, bagnato fradicio, e avevano tutti bisogno di dormire, dopotutto. Rikku, che non aveva riferito parola dopo quella raccapricciante scena, accettò di dividere la tenda con Belgemine solo per Braska, e per non causare troppi problemi, cosa che avrebbe solo avvalorato i pregiudizi di quell’ipocrita invocatrice.
Davvero non si spiegava come fosse possibile cambiare così tanto nella vita. Chissà se anche lei sarebbe cambiata, un giorno. Forse più tenebrosa, con un paio di occhiali da sole scuri e un kimono rosso…
Ridacchiò mentalmente al pensiero.
Montarono le tende sotto una torre parafulmine, e Rikku accese un bislacco debole fuoco per abbrustolire qualcosa dalle loro conserve di carne secca. Fu una cena più silenziosa del solito.
Forse era per lo stato mogio dell’albhed, o per la presenza di Belgemine, ma nessuno comunque parlò o cercò di fare conversazione (a meno che Jecht che raccontava storie alla sua carne allo spiedo valesse come dimostrazione di ‘conversazione’).
Rikku si alzò appena finito.
“Sono molto stanca, vado a dormire. Il mio turno di guardia?”
Auron si voltò verso di lei, impacciato “Stanotte è con me. È l’ultimo turno prima dell’alba. Vengo a svegliarti io”.
Braska aveva insistito che lei non partecipasse alla guardia notturna, ma Rikku era ben decisa ad aiutarli, e così lo aveva convinto, passando le notti al freddo accanto al fuoco. Di solito era sempre il turno con Jecht; l’aveva chiesto tanto per dimostrare a Belgemine che lei non era un inutile infedele albhed. Jecht voltò lo sguardo verso Auron. Evidentemente non sapeva di questo cambio improvviso dei turni.
Chissà perché Auron li aveva cambiati…
Forse le doveva parlare.
Quando Rikku si stese sul suo pagliericcio, non riusciva a pensare ad altro che al turno di più tardi.
Sospirò forte e cercò di prendere sonno. Chiuse gli occhi, e quando sentì Auron accompagnare l’invocatrice alla tenda, digrignò i denti dall’irritazione. Forse era davvero gelosa.
Belgemine entrò e Rikku aprì gli occhi, senza sorriderle né salutarla, per poi rigirarsi nel giaciglio. Si coprì fino alla testa con la coperta troppo leggera e si costrinse a prendere sonno.
 
Un albero si stagliava in mezzo al nulla.
Era tutto bianco, accecante, statico, e Rikku non lo sopportava. Al centro di questo bianco latteo, l’albero. La corteccia violastra pareva assai vecchia, e la sua chioma era di un verde molto smorto.
Rikku sapeva che era un sogno.
Mentre camminava nel bianco, aveva paura.
Ma di cosa? Non riusciva a capire…
Seduto alla base dell’albero c’è Auron, con la cicatrice ed il resto, il vecchio Auron saggio e silenzioso, e lei non sa cosa dire. Si avvicina prima con aria casuale, poi – dopo un’eternità – gli si siede affianco e comincia a contare le foglie scure dell’albero.
Solo quando è arrivata a venti foglie, lui pare volerle dire qualcosa, ma non apre bocca. Forse non può.
È allora che Rikku capisce di cosa ha paura.
Di ritornare alla sua vita. Di lasciare Braska, Jecht, il suo giovane Auron…è allora che Rikku capisce di essere perduta, forse morta, forse affogata quella notte a Besaid, forse impazzita.
È per questo che si agita, e urla il suo nome, forte, a polmoni pieni, nel buio denso della notte.
 
“Rikku!”
Un paio di braccia la scossero.
“Rikku, svegliati è un sogno, Rikku!”
La ragazza albhed aprì velocemente gli occhi, annaspando per l'aria e gettando le braccia in avanti. Tremava.
Forte.
Singhiozzava.
Quando percepì un petto avvolgerla, inspirò forte, ed era solo Auron che sentiva. Auron che permeava tutto, Auron lì con lei.
“Auron…”
Il suo odore di menta leggera, di sudore, di metallo, di sangue e sakè e polvere e fiori di campo.
Respirò in silenzio per alcuni minuti, Auron immobile, poi sentì qualcuno avvicinarsi “Sir Auron, c’è qualche problema?”
Belgemine.
Rikku aggrappò forte fra le dita la stoffa del copricapo rosso del ragazzo, le nocche che si sbiancavano.
“No, Lady Belgemine, tornate pure a dormire”
Rikku si rilassò di nuovo, ma non accennava di voler interrompere quell’abbraccio. Il cuore le batteva troppo, troppo forte in petto, e annaspava ancora un po’ per respirare.
Il sudore freddo ancora le copriva leggermente la fronte.
Ansia, ecco cos’era.
Era terrorizzata.
Non...non voleva lasciarlo andare.
Chissà cosa aveva urlato...
“Rikku” le sussurrò Auron a pochi centimetri dall’orecchio, permettendo solo a lei di sentirla. Sentì le sue labbra accanto al lobo e, nella confusione del panico, un po’ di malizia affiorò comunque “Che succede?”
La ragazza si fece ancora più piccola fra le sue braccia.
Lui era accasciato affianco a lei, il respiro corto. Forse aveva corso.
“P-possiamo…” la voce le si bloccò in gola.
Non aveva senso sentirsi così male ora, cosa le prendeva? Per un attimo pensò anche di star fingendo, per dare una sorta di schiaffo morale all’invocatrice.
“Cosa?” un altro dei suoi respiri caldi sul collo la fece rabbrividire.
“Andare fuori?”
Il guerriero annuì e, prima che lei potesse cercare di alzarsi, la issò e la prese tra le braccia.
Doveva aver urlato davvero forte, e per alcuni minuti. Ed ora, in effetti, si sentiva debolissima, immaginava fosse pallida e dovesse sembrare terribilmente spaventata.
Auron la teneva fermamente, e lei non aveva per un attimo lasciato quel pezzo di stoffa sul suo petto. Mentre uscirono nell’aria della Piana, Rikku sentì Auron annuire a quelli che dovevano essere Jecht e Braska, che mormorarono qualcosa prima di tornare nella loro tenda.
Si sentiva così al caldo e protetta…
Auron camminò fino all’altro lato della torre parafulmini.
“Rikku” il petto rombò mentre la voce intonava il suo nome.
La ragazza annuì, e si mosse, facendo cenno di metterla a terra. Il ragazzo obbedì.
Rikku poggiò i piedi nudi per terra, sentì freddo, si guardò intorno. La pioggia continuava a cadere, come sempre, ormai.
Auron spiegò una coperta accanto alla torre e si sedette. Rikku si accasciò il quanto più vicino a lui e rimase in silenzio.
“Urlavi il mio nome” disse dopo un po’ il ragazzo "E...altre cose..."
“Lo so…” non gli chiese che cosa.
Sospirò forte e si passò una mano tra i capelli. Sembrava…incerto.
“Rikku…n-non so cosa stia…”
“Niente, Auron, non sta succedendo niente. Hai un pellegrinaggio da portare avanti. Era solo un incubo, tutto qui”
Un paio di occhi color brace si fissarono nei suoi.
“Non intendevo quello”
Si voltò dall’altra parte.
Sembrava confuso, impacciato.
Entrambi guardarono il cielo della Piana per molto, tanto tempo. Il silenzio regnava fra loro, spezzato da qualche tuono, dalla pioggia e dal vento.
Da qualche singhiozzo che ancora la scuoteva.
Poi Rikku si avvicinò un po’ di più, e Auron alzò il braccio, e sempre con lo stesso silenzio e la stessa religiosità, Rikku poggiò la testa sul suo petto e si raggomitolò contro lui.
Non era molto.
Non sapeva perché la stava consolando così.
Non aveva aggiunto una parola.
Però, quando l’alba fiorì, anche se non si vedeva molto, coperta com'era da quel cielo grigio, lui la attrasse a sé, tremò per un secondo, e poi le posò un bacio sulle labbra. Leggero, impalpabile, fraterno, quasi.
E lei rimase immobile; labbra di marmo fredde, ma come quelle di certe sculture che sembrano pietra incarnata, morbide sempre e comunque. Soffici, erano soffici mentre quelle del ragazzo premevano distrattamente, facendo scontrare i loro nasi.
Non chiusero gli occhi, no, anzi, si fissarono, palpebre semichiuse che lasciavano intravedere le pupille perse in un mare di emozioni. Quelle di Rikku ancora un po' acquosi.
Non sapeva perché Auron l’avesse fatto. Forse perché l’aveva sentita piangere silenziosamente mentre era poggiata contro di lui, forse perché i guerrieri avevano sempre quella specie di fiuto per la paura spacciata. Forse perché gli faceva pena.
L’unica cosa che seppe, era che non la lasciò andare alla deriva, e che ogni volta che un singhiozzo le scuoteva la cassa toracica – per la troppa paura di doverlo lasciare – premeva le sue labbra contro una sua tempia, e respirava affianco a lei.






 

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Capitolo 9
*** 9 ~ il bosco ***


Image and video hosting by TinyPic  ...Ahem. Sono tornata! Due anni, circa, I know, I know. Ahem. Mi spiace, okay?
 Sono terribile, lo so, ma il fatto che io stia continuando questa fanfic e non la miriade di altre che ho in sospeso è già un qualcosa di positivo, no? No?
 Okay, okay. Forse non è il massimo del positivo.
 Sono soddisfatta di questo capitolo? Non proprio, come al solito, però ho idee in mente, ed ho per ora intenzione di continuare questa fic.
 Grazie a tutti coloro che recensiscono e a Miky che per ora si sarà probabilmente annoiata a morte dei miei anni di hiatus. Sono peggio della produzione di BBC Sherlock. Perdono.
 Buona lettura, though!
Silvia.




Capitolo nove - Il bosco
 

 

Ormai Macalania li aveva inghiottiti, ecco la sensazione che ebbe.
E non era mica come il bosco in rovina della sua epoca, no! I ghiacci erano translucidi, dalle forme più bislacche e meravigliose; ogni lato – e ne erano molti – rifletteva un po’ del volto della giovane albhed, ovunque guardasse. Non aveva mai visto il bosco così vivo in tutta la sua vita. Rampicanti dal colore blu più profondo si intricavano ovunque, lungo le cortecce violastre, e nell’aria piccoli fiocchi di neve e pulviscolo volavano quasi fossero fate o esseri dotati di volontà. Il terreno sembrava argentato, e Rikku poteva giurare che se si fosse abbassata a prenderne una manciata, avrebbe avuto lo stesso odore delle foglie di salice, e forse, chissà, avrebbe perso la sua lucentezza stellare, una volta prelevato da quella terra magica.

Macalania le dava sempre quest’impressione: come se tutto potesse accadere, ogni magia o sogno potessero realizzarsi, le infondeva una profonda sensazione di pace, di una pace silenziosa, e di una speranza che però era fin troppo effimera, che portava con sé la consapevolezza che sarebbe durata ben poco, ché una volta messo piede fuori da quel bosco magico, tutto avrebbe perso valore, i suoi sogni sfioriti, e le sue speranze vane.
Rikku aveva imparato col tempo che la magia andava spesso di pari passo con la malinconia.
I suoi occhi verdi viaggiavano e si immergevano in quella vista bellissima e commovente: addirittura si riempirono di lacrime che quasi immaginava cristallizzarsi attorno alle sue iridi.
Chiuse gli occhi per un momento e si beò del silenzio, prima che arrivassero gli altri; del respiro tenue che la foresta aveva, il fruscìo di ogni pianta lucente, il ronzio elegante delle lucciole, il riverbero brillante emesso dai cristalli. Poi, esattamente in tema con questa composizione, si aggiunse al pentagramma una voce dai toni bassi.
“Bellissimo”
Rikku non aprì bocca. Si girò, ed annuì ad Auron, guardandolo negli occhi. Forse, o forse no, il bosco le avrebbe mostrato cosa si nascondeva in quelle iridi di brace.
Cosa si celava dietro i suoi comportamenti. Cavalleria? Pena? Senso di protezione, solitudine? Cosa?
Il bosco non glielo mostrò. Probabilmente, con Auron il guerriero, la magia non era abbastanza.
(...)
Poi i lunioli ondeggiarono, perfettamente in tono con il tutto, ed uno persino le sfiorò i capelli. Attraverso il riflesso di mille colori, Rikku vide Auron guardarla, deglutire e distogliere lo sguardo.
Forse il bosco le stava veramente mostrando cosa aveva dentro quell’Auron.

 

Belgemine si divise dal gruppo con profondi inchini e le solite riverenze. Braska ed Auron la salutarono riguardevolmente, mentre lei e Jecht alzarono a malapena una mano a mo’ di addio, troppo impegnati a cercare di compilare un inventario degli oggetti che si portavano dietro.
Rikku sorrise malandrina all’omaccione, felice di avere proprio lui come partner di crimini.

Jecht scrutò il foglio fra le sue mani, poi fece finta di depennare qualcosa dalla lista “Bigotta dalle trecce bizzoche: andata!”
Rikku fece segno all’altro di battere il cinque, e quasi finì a gambe  in su per la forza con cui l’uomo le aveva quasi disintegrato la mano.
“Ancora devi raccontarmi per bene di ieri notte,” aggiunse poi, Jecht.
“Ieri notte cosa?” esordì improvvisamente la voce di...Auron. Rikku rimase gelata al suo posto, un sorriso nervoso stampato in faccia. Dannato Auron. Così silenzioso.
Dannato felino yevonita.
Rikku guardò Jecht sorridendo il più omicida dei suoi sorrisi “Già, Jecht. Ieri notte cosa?”
L'uomo si grattò la nuca proprio come suo figlio “Dannatissimi idioti!” ruggì, prima di alzarsi e camminare verso Braska, evitando completamente la domanda.
Auron lo seguì con il suo sguardo freddo, fin quando non sparì in ricognizione fra i rami della foresta. Poi si voltò a guardare Rikku.
“A cosa pensi?” chiese, casualmente.
Auron...discussione disimpegnata? Interesse per quello che le passava per la mente? Cosa stava accadendo? Lo guardò ad occhi strabuzzati per un po’. Quando il guerriero sbuffò irritato e fece per allontanarsi, Rikku lo seguì correndo, girandogli attorno con un passo due volte più veloce del suo (ovviamente, Rikku era una scimmietta davvero veloce!) “Auron, Auron aspetta!”
Il ragazzo continuò a camminare, il volto una maschera impassibile fra i cristalli iridescenti. I suoi capelli erano ancora sciolti, lunghi sulle spalle. Rikku gli si parò davanti “Stop!” sorrise intenerita.
“Sto pensando a questo bosco, sono davvero felice di essere fuori dalla Piana dei Lampi”
Auron annuì, silenzioso, ma la sua precedente curiosità non sembrava soddisfatta.
“...e mi chiedevo cosa fosse successo ieri notte.” aggiunse l’albhed.
Auron rivolse lo sguardo al cielo perennemente trapuntato di stelle, anche astri diurni, sparsi nell’aere. “Non ricordi?”
Rikku sorrise al terreno lunare “Sì, ricordo. Mi chiedevo perché fosse successo.” Sentì lo sguardo del guerriero su di lei.
“Non lo so” fu la risposta secca del monaco. Nel suo sguardo Rikku poteva scorgere una certa insicurezza.
Auron deglutì, e le passò avanti, raggiungendo Braska e Jecht, pronti alla traversata del bosco.
Rikku sospirò pesantemente. Tutto si prospettava più difficile di quanto pensasse.

 

Due vespe e una chimera stavano minacciando la loro formazione d'attacco. Erano tutti in scarsità di energia, a causa degli insistenti mostri che popolavano l'intero bosco e che da ore ormai li stavano braccando. Jecht ruggiva di irritazione ad ogni colpo a vuoto verso le enormi vespe volanti (dov'era Wakka e il suo pallone dove serviva?!), Auron stava cercando di decimare da solo l'imponente chimera, e Rikku, Rikku stava curando la squadra, data la mancanza di energia magica di Braska.
Auron sferrò un ultimo forte colpo alla chimera, che cadde a terra in un esplosione di lunioli.

Rikku notò che stava combattendo per se stesso, per distarsi, per bearsi dei lineari pensieri della pura tattica. Il suo sguardo era perso sull'elsa della sua enorme spada a due mani, ed ora vagava verso le vespe assassine che Jecht cercava di colpire.
Rikku concentrò la sua energia magica e lanciò un haste su Jecht. L'uomo riuscì a colpire, velocemente, entrambi gli insetti, che caddero con un tonfo in terra, tra le urla stridenti.
"Batti cinque biondina!" Jecht sotto effetto di haste era spaventoso. Saltellava ovunque e rideva in continuazione con quella sua risata roca, batteva le palpebre tre volte al secondo e...già. Ora la stava sollevando in alto, le mani sui suoi fianchi, urlando in trionfo.
"Jecht! JECHT METTIMI A TERRA!"
"Okay okay okay okay okay okay ti lascio andare okay" all'istante Rikku si ritrovò in piedi, un leggero giramento di testa che minacciava la sua ritrovata stabilità.
"Smettila di dire okay, idiota d'un Jecht..."
"Okay"
"Unghh" un lamento risuonò improvvisamente alle spalle di Rikku.
"Auron?" Il ragazzo aveva la schiena poggiata contro un fusto vuoto, ansimava pesantemente, sguardo perso nel vuoto, una mano a stringere la spalla sinistra. "Auron sei ferito?"
Rikku corse verso di lui, osservò velocemente la sua postura. "Le vespe. Spalla?"
Nessuna risposta dal guerriero, che cercò di issarsi, ricadendo inutilmente in quella posizione accasciata. "Auron, stai fermo." Il tono di Rikku era perentorio, quasi violento.
Braska riemerse dalla radura in cui stava  da un po' cercando di richiamando le sue energie. "Cosa sta succedendo? È ferito?" L'invocatore s'alzò la veste e corse verso il suo guardiano.
"Non è niente, Lord Braska" riuscì con un certo sforzo a ruggire l'uomo. Il volto di Braska era corrucciato nella più profonda preoccupazione. Rikku stava già frugando nella sua borsa, labbra strette in una linea concentrata.
"Spogliati", disse, senza neanche alzare gli occhi a guardare il suo interlocutore.
Auron strabuzzò per un attimo gli occhi, e si rigirò a guardare il bosco, quasi facendo finta di non aver udito le parole fin troppo di comando dell'albhed.
"Mi hai sentito! oh, al diavolo!" Le mani di Rikku si diressero verso le cinghie laterali dell'armatura di Auron, sganciandole gentilmente sotto lo sguardo divertito di Jecht, e un Braska ancora seriamente preoccupato. Il colorito di Auron era più che pallido, e il suo volto era tempestato da piccole gocce di sudore freddo. Una maschera di dolore soppresso irrigidì i suoi tratti quando Rikku lo liberò dell'armatura scura.
"Braska non è ancora in condizione di curarti, ma la ferita va trattata ora. Credo ci sia del veleno...posso pulirla e passare un antidoto, se mi lasci fare"
L'Auron che conosceva lei era perfettamente capace di curarsi da solo; spesso lo aveva osservato seduto nella luce del fuoco, un lembo di garza fra i denti mentre stringeva forte i nodi attorno alle sue ferite. Si era chiesta molte volte se fosse sempre stato così autosufficiente. Probabilmente no, pensò, guardandolo ora annuire a labbra strette alla sua richiesta. Lentamente lo aiutò a sfilarsi la maglia, poi restò in silenzio ad osservare le due ferite: una poco profonda sulla spalla, ed un'altra più preoccupante sull'addome. Sentì Jecht e Braska allontanarsi. "Quando ti hanno colpito?"
"Poco dopo il colpo di Jecht. Sono cadute e hanno continuato a espellere veleno."
Rikku poggiò una mano sul petto del guardiano, spingendolo gentilmente contro il fusto dell'albero; poi gli si accucciò vicino e comincio a bagnare le garze di antidoto. Auron osservava un punto indistinto al di sopra della sua spalla, imbarazzato. Rikku era concentrata: pulì con quanta più gentilezza possibile entrambi gli squarci; sentiva sotto le sue dita i muscoli di Auron contrarsi. Cercava di non soffermarsi sui suoi addominali, o sulla cicatrice che risaltava sul suo petto. Cercò di non pensare troppo.
"Dove hai imparato?" chiese lui, occhi chiusi e il capo contro la corteccia violacea.
"Mia cugina è una maga bianca. Certe cose le impari semplicemente osservando." Rikku sorrise intenerita al pensiero di Yuna, così lontana. "Puoi alzare il braccio?"
Auron annuì e sollevò - non senza sforzo - l'arto, lasciando che Rikku gli fasciasse strettamente la spalla "finché Braska non si sarà ripreso dovrai avere a che fare con questo infortunio tradizionalmente, okay?"
"Cosa vuoi dire?"
"Non puoi combattere"
"Cosa?!" Il guardiano, che intanto aveva recuperato le forze, si era alzato in piedi e cercava con lo sguardo una via di fuga.
"Dove credi di andare?" Rikku si alzò sulle punte per sembrare un po' più...minacciosa? Mh. Cattiva idea. Non sembrava per niente impressionato. "Auron!"
"Perché ti ho anche solo dato ascolto, albhed? Sto benissimo"
Rikku alzò gli occhi al cielo "Come puoi essere così ottuso? Sei proprio sicuro che il tuo nome sia Auron? Per tutte le macchine, stà zitto e lasciati fasciare anche qui!"
Auron parve perdere tutte le forze . Ritornò pallido, e rimase lì immobile mentre Rikku - convinta che si fosse arreso - cominciò a passare la garza attorno al suo addome. Dopo un paio di minuti di silenzio l'albhed lanciò un'occhiata al ragazzo che le si parava di fronte - sembrava una statua. "Auron?"
Nessuna risposta.
Rikku fece uno stretto nodo alla fasciatura e osservò da un paio di centimetri di distanza il lavoro finito. Poi ritornò a scrutare il volto dell'altro. Conosceva quell'espressione; stava rialzando un'altissima barriera fra i due; Auron non voleva parlarle. Si sarebbe sentita ferita se solo ci fosse stato un motivo valido...o forse in questo modo la feriva ancor di più. Perché? Non capiva quest'altra persona che di sicuro non era il suo Auron. Perché la disprezzava tanto? Perché l'aveva baciata? Perché l'aveva stretta a sé mentre i tuoni scuotevano la Piana dei Lampi? Forse era stata semplice pietà. Rikku si voltò e fece per andarsene, senza aggiungere altro.
"Perché l'hai detto?" esordì con voce flebile   l'altro.
"Perché ho detto cosa?"
"Mi hai chiesto se fossi sicuro che il mio nome fosse Auron"
Rikku strabuzzò gli occhi per una frazione di secondo. L'aveva proprio detto, eh?
Ora...ora come se la sarebbe cavata?
Pensa, Rikku! Pensa! Auron. Il nome Auron. Non puoi semplicemente dirgli che conosci un altro Auron? No. Indagherebbe sulla faccenda. Cosa sai sul nome Auron...? Oh. Già.
"Significa montagna di forza, no? Non mi sembrava rispecchiasse il tuo comportamento di prima, tutto qui"
Rikku cercò di sembrare quanto più calma possibile. Per un istante il guardiano la guardò sospettoso, poi probabilmente decise di credere alle sue parole.  "Perché me lo chiedi?" ribattè poi l'albhed.
"Perché Auron è un nome pesante da portare," mormorò per poi scomparire velocemente nel bosco.

 

Il giorno dopo le ferite di Auron erano state curate e Jecht s'era fermato a cacciare le farfalle. Ovviamente. Perché aveva anche solo pensato che non sarebbe accaduto? Era talmente ovvio. Potrebbe essere un cattivo presagio non farlo! - aveva giustificato. Braska aveva deciso di assecondarlo. Erano mesi che viaggiava al suo fianco, combattendo per lui, proteggendolo, mettendo la sua vita a repentaglio. E Jecht, dopotutto, non era legato - almeno non quando si erano conosciuti - a lui da nessun legame di amicizia o fedeltà, come Auron. Si era semplicemente offerto come guardiano, ignaro del vero significato che quel ruolo portava con sé. Braska, e Rikku glielo leggeva negli occhi, aveva pensato che fosse semplicemente giusto permettergli quello svago infantile.
Auron stava osservando l'abitante della foresta che aveva spiegato loro la sfida del bosco; la stessa creatura che - con quasi le stesse parole - avrebbe illustrato a Tidus lo stesso gioco, dieci lunghi anni dopo. Quella volta Auron aveva sbuffato. Ora invece era curioso, sul limite della diffidenza, ma affascinato. Rikku osservava i suoi tratti tanto giovani, tanto corrucciati e concentrati, e sentì un'ondata di tenerezza colpirla. Poi lui alzò il volto a guardarla, e per un attimo rimasero semplicemente così. Rapiti. In silenzio.

 

La ragazza era appollaiata sgraziatamente su un ramo iridescente. Lo stava osservando, lo sentiva; già immaginava quelle iridi verde foglia scrutarlo, pensando di non essere vista. Era divertente, quell'albhed. Credeva di essere silenziosa, credeva di riuscire a nascondere qualsiasi cosa le passasse per la mente; ed invece Auron la guardava e le leggeva il volto come un libro conosciuto attentamente. Vedeva come lo guardava con quegli occhi così poco convenzionali, con il fantasma di qualcuno sulla punta della lingua.
Gli aveva chiesto perché l'avesse baciata. Perché mai quando lei aveva urlato il suo nome nel sonno lui era corso con tutte le sue energie a stringerla a sé. Lui non aveva saputo rispondere, ed era stato sincero.

Se avessi avuto una risposta gliel'avresti rivelata? Probabilmente no.
Non sapeva cosa gli stesse accadendo. L'idea della morte imminente di Braska lo faceva sentire perso, e poi c'erano i suoi occhi: gli occhi di Rikku pieni di speranza.
L'aveva odiata davvero? Sì. Ma non per le sue radici. L'aveva odiata perché fin dal primo sguardo, sulla riva del Fluvilunio, aveva sentito qualcosa di imprescindibile attrarlo a lei. Come fosse una sirena e lui un marinaio perso; come se non potesse trovare più pace. E aveva cominciato ad odiarla sul serio, perché prendeva il suo orgoglio e ci giocava come un gatto giocava con un gomitolo di lana, arrotolandolo e srotolandolo attorno alle sue dita affusolate. L'aveva odiata per i suoi sorrisi, che non meritava, e per le lacrime che lui aveva causato; quando i suoi occhi si erano gonfiati irrimediabilmente ed era scappata via. L'aveva odiata perché lo ascoltava e dava più peso alle sue parole che a quelle di chiunque altro. Per i suoi capelli color del grano, e per il modo in cui riusciva ad essere una bambina a Spira. Lei ballava circondata da morte, al suono di una band scapestrata, e flirtava con chiunque nelle taverne dove si fermavano, e lo odiava perché lui semplicemente voleva intrappolarla.
L'aveva odiata per il modo in cui Braska la guardava. Perché gli stava dando speranza, lo stava distraendo da un pellegrinaggio di morte, gli stava facendo assaporare troppa vita prima di doverla abbandonare. Aveva sperato per così tanto che Braska cambiasse idea, ed ora si sentiva impotente.
Due mesi e sette giorni che viaggiava con la sua risata cristallina e le sue battute orribili. Due mesi che la osservava dormire e pensava a tutta la speranza che avrebbe voluto rubarle.
Tutto quell'essere "Rikku" che avrebbe voluto avere per se stesso.

 

Con la coda dell'occhio, Rikku vide Auron avvicinarsi all'abitante della foresta. Avrebbe voluto sapere cosa si sarebbero detti, ma restò a riposare fra i rami lisci e curvati, cullata dalle risate di Braska ai goffi tentativi di Jecht, e il respiro del bosco.


Auron scrutò attentamente la creatura che gli si parava davanti: un umanoide dal volto da uccello multicolore, un copricapo di piume (trovò il contrasto bizzarro), e un'arma fra le mani. Le parole di Rikku risuonarono nella sua mente:
Gli abitanti della foresta sono una minoranza che abita il Bosco di Macalania. La maggior parte degli abitanti del bosco sono suonatori, suonano uno strumento, oppure lavorano nella pozza dei ricordi, quella dalla quale si ottengono le filmosfere, hai presente? Sono gli unici che possono lavorare con l’acqua di quella pozza, che è così pura da divenire nociva per chiunque abbia dei rimpianti o dei brutti ricordi. Loro nuotano tranquillamente in quell’acqua e non sono assaliti da nessuna cattiva sensazione.
Auron rimane in silenzio per un po', lasciando che l'essere lo scrutasse attentamente.
"Non sfidi il bosco, giovane uomo?"
Auron guardò per un attimo alle sue spalle, "Ci pensa già il mio compagno. E poi non m'interessa sfidare le forze di questo luogo"
"Ritieni forse inutile un tale gioco?" L'abitante del bosco pizzicò le corde della sua arpa, pensieroso; Auron rimase in silenzio. "Giovane uomo, battersi con se stessi e il proprio destino non è mai inutile. Una sfida tanto infantile come la caccia alle farfalle potrà sembrarti vana, ma non è altro che lo specchio di sfide maggiori." Gli occhi scuri dell'essere vagarono verso la figura di Braska, seduto elegantemente nella piccola radura "Il tuo amico muore, lo vedi?"
Un altro colpo di unghie scosse le corde tese. "E nel tuo cuore hai deciso di non prendere nessuna strada. Davanti a te ve ne sono ben due! Quando giungerà il momento e le porte di Zanarkand vi accoglieranno per la vostra traversata, allora dovrai decidere da che parte stare. Da un lato..." e alzò il becco ad indicare Braska "La morte. Ma dall'altro, seppur flebile ancora, la speranza" i suoi occhi saggi erano ora sulla figura dormiente di Rikku.
Auron seguì lo sguardo dell'abitante del bosco, annuì lentamente, gli occhi persi fra i tratti rilassati dell'albhed.
Quando si voltò di nuovo verso l'altro, quello era scomparso, lasciando dietro di sé nient'altro se non una nota sospesa a mezz'aria e un fil di vento.












 

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