Fatal Mistake

di B Rabbit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ «Beginning» ~ ***
Capitolo 2: *** ~ «First Steps» ~ ***
Capitolo 3: *** ~ «Link or Bond?» ~ ***
Capitolo 4: *** ~ «Alignment» ~ ***
Capitolo 5: *** ~ «Now or Never» ~ ***



Capitolo 1
*** ~ «Beginning» ~ ***






- Fatal Mistake

~ «Kagamine Twins Incest» ~
«Beginning»





Aprile.
Il mese in cui tutto prende vita, in cui il freddo e la neve bianca cambiano maschera, rinascendo in primavera, in cui il sole regala il suo tepore, allontanando il ricordo dell’inverno.
Le gemme dei ciliegi si schiudono con timidezza, accarezzati dai raggi dorati, regalando alla gente la propria rosea bellezza.
Qualche minuti prima, sotto la pioggia di petali, gli studenti correvano a vedere i tabelloni con le varie classi e sezioni e, scoperta quella di appartenenza, entrarono nel liceo.
In una prima, un ragazzo era seduto al proprio posto, vicino alla finestra, e guardava pigramente fuori, ignorando la vivacità della classe.
Osservava i petali di ciliegio cadere a terra, portati via dal lieve vento.
Avrebbe voluto essere fuori, disteso sull’erba smeraldo sotto uno di quegli alberi, alzando lo sguardo al cielo e lasciandosi cullare dalla tranquillità.
E invece era incatenato lì, in quel posto, dove avrebbe trascorso i prossimi mesi in compagnia di…
«Leeen!!»
Il ragazzo sussultò, risvegliandosi bruscamente nella realtà.
«Miku!! ‘Cavolo urli di prima mattina!? Non sono mica sordo!»
«Io avrei qualcosa da ridire»
La ragazzina sorrise ed avvicinò il viso a quello del biondo, toccandogli il naso con l’indice della mano destra.
«Ti ho chiamato per ben tre volte, caro il mio signorino non-sono-affetto-da-sordità»
Il ragazzo guardò di lato per non incrociare gli occhi accusatori di Miku.
«Oh…ehm… scusa»
La ragazzina sbuffò portando le mani ai fianchi e indietreggiò di due passi, per poi fare una giravolta.
«Che ne dici Len-kun? Il blazer mi dona?»
Ma il ragazzo era di nuovo nel suo mondo, ignorando bellamente la ragazza.
Miku si avvicinò di nuovo a lui e, dopo aver avvicinato le labbra al suo orecchio, gridò il suo nome, rendendo veramente sordo Len.
«Miku!!!»
«Così impari, Kagamine Len, non si ignorano le ragazze!»
La povera vittima poggiò la testa al banco, coprendosi le orecchie con le mani, ancora confuso per il recente urlo.
«Ah, Len-kun… ho un favore da chiederti»
Il ragazzo alzò lo sguardo: era strano che Miku gli chiedesse un favore, soprattutto con quell’aria seria.
«In classe avremo una mia vecchia amica. Lei viene da un’altra città, quindi ti chiedo di starle vicino, di aiutarla se ne avrà bisogno. Ok?»
«S-si… va bene…»
«Bravo il mio uomo!»
La ragazza si voltò verso la porta con un sospiro, assorta nei suoi pensieri.
«Per fortuna sono riuscita a convincere sua madre a farla abitare da me…»
«Miku…»
Ma la ragazza lo ignorò, dirigendosi verso la porta scorrevole dell’aula, abbracciando la compagna arrivata.
«Rin-chan!!»
Di solito, Len non avrebbe mostrato alcun interesse verso le amiche di Miku, ignorandole, ma qualcosa catturò il suo sguardo, rendendolo suo.
Una ragazzina dai lineamenti gentili, ancora fanciulleschi, i capelli dorati che gli ornavano il viso, insieme a degli occhi blu, grandi e profondi, più chiari di quelli di Len.
Sembrava il riflesso del ragazzo, se non fosse per l’esilità e la statura leggermente più bassa di quella di Miku.
«Len-kun!! Non imbambolarti! Vieni qui, dai!»
Il ragazzo si alzò dalla sedia e si avvicinò alle ragazze, una strana sensazione al cuore che turbava il ragazzo. Che sia il nuovo incontro?
«Piacere… Len»
«R-rin… piacere mio»
La ragazzina abbassò lo sguardo, le guance divennero più rosee e un sorriso nacque sulle labbra, gli occhi si socchiusero, lasciando intravedere un’espressione mista a timida felicità e una strana tristezza.
«Rimarrà con noi per i prossimi tre anni, fino al diploma»
«Ne, Rin-san… perché ti sei trasferita da-»
«Silenzio ragazzi. Su, ai vostri posti»
I ragazzi ubbidirono all’insegnante, dirigendosi ai loro banchi, Len in seconda fila, vicino alla finestra, Miku dietro di lui, e Rin alla destra dell’amica.
Il ragazzo poggiò il mento sulla mano sinistra, il braccio sul banco, e con la coda dell’occhio osservò la nuova arrivata.
Con la punta dell’indice, la ragazzina disegnava sulla superficie chiara dei lineamenti arabeschi che non avrebbero mai preso vita su inchiostro, ma solo nella mente della giovane.
Con un tocco leggero, l’indice accarezzava il legno con movimenti circolari, per poi scendere giù, spostandosi sulla sinistra, chiudendosi, creando un ricciolino interno.
Se avesse avuto tela e pennello, la ragazzina avrebbe dipinto un meraviglioso giardino, iniziando dai rovi che avrebbero protetto le rose scarlatte con le loro spine.
Il polpastrello si era spostato di lato, scendendo con movimenti ondulati, creando una punta che, nel disegno, sarebbe stata una gemma, pronta a sbocciare nel simbolo dell’amore passionale.
Adesso, il dito si era spostato in alto e, con movimenti orizzontali, la ragazza dipinse il cielo, azzurro come i suoi occhi, dove gli uccelli avrebbero volato, liberi, spiegando le loro grandi ali, osservati dalla natura.
Ma il ragazzo si riprese da quei pensieri, accorgendosi che la professoressa aveva incominciato a fare l’appello.
«Kagamine…»
Ora tocca a me.
«…Rin»
Il ragazzo sgranò gli occhi, rivolgendo lo sguardo alla ragazzina che rispondeva al richiamo. Anche lei si chiamava Kagamine? Come poteva essere?
«Kagamine Len»
«Eh? Ah… presente»
Voltando lo sguardo, il ragazzo si accorse che Rin lo stava guardando, incuriosita per la scoperta, per poi salutarlo con un amabile sorriso. Il ragazzo non poté che risponderle nella stesso modo, inarcando le labbra rosee in un sorriso felice.
L’ora trascorse tranquillamente, tra presentazioni e benvenuti, fra progetti e promesse, mentre i ticchettii delle lancette dell’orologio scandivano il tempo.
Durante i minuti di pausa, le due ragazze parlarono spensierate, sotto lo sguardo interessato del biondo, seduto al suo posto.
Con un sorriso sulle labbra, Len guardava la nuova conoscenza, osservando i suoi gesti delicati e femminili, le sue espressioni cristalline che lasciavano intravedere le sfumature del suo carattere, a volte solare, a volte infantile.
La sua voce allegra giungeva piacevole alle orecchie, la sua risata regalava euforia.
Chissà per quale capriccio divino, guardare quella creatura rendeva felice l’animo del ragazzo che sospirava continuamente, mentre i suoi occhi erano posati su quel fiore di ciliegio caduto per lui, attirati come un ape.













Prima ff sui Kagamine, ma anche sui Vocaloid in generale XD Non so perché, ma questo capitolo non mi convince molto...
Spero che vi piaccia, e spero che siate clementi ^ ^"
Se ci sono imprecisioni, tipo sui caratteri, ditemelo ^ ^
Bye

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Capitolo 2
*** ~ «First Steps» ~ ***






- Fatal Mistake

~ «Kagamine Twins Cest» ~
«First Steps»





Era domenica mattina e la prima settimana di scuola era finalmente finita, regalando agli studenti il riposo dovuto.
I raggi del sole filtravano prepotentemente dalle fessure delle persiane, colorando di un dorato brillante il viso del giovine.
Gli occhi si aprirono lentamente, feriti dalla luce mattutina, così forte quanto debole.
Una mano si alzò dalle candide lenzuola per difendere gli zaffiri blu dalla belva dorata, proteggendoli con la propria ombra, per poi ricadere pesantemente nel bianco una volta vinto.
Un sospiro uscì dalle labbra rosee del biondo e, alzandosi stanco dal letto, aprì la porta della camera, dirigendosi in bagno.
Si tolse lentamente la maglietta bianca, lasciando nudo il busto. Fece lo stesso con i pantaloncini blu e l’intimo, ed entrò nella doccia.
Il getto d’acqua colpì il ragazzo, scorrendo freddo sulla sua pelle, lasciando delle scie trasparenti, prove del suo passaggio.
Quel giorno, Len sarebbe andato al luna park insieme a Miku ed a… Rin.
Sin dal primo giorno, il biondo aveva mangiato insieme a lei, a volte nell’aula, unendo i banchi, sopportando le chiacchiere di Miku, oppure sulla terrazza, da soli, contemplando l’immensità cielo, in silenzio.
C’erano delle accomunanze che lo univa a lei, come l’amore per la musica e per il canto, o l’odio per l’inglese.
Il ragazzo alzò lo sguardo e chiuse gli occhi, cercando di dare un ordine ai suoi pensieri, cercando di rilassare le membra, mentre l’acqua lo accarezzava con le gelide gocce con fare materno.
Nonostante l’avesse conosciuta solo pochi giorni fa, Len si sentiva legato a quella ragazza, e il suo solo pensiero attanagliava l’animo, uno strano turbamento scuoteva il suo cuore, privando l’aria ai polmoni.
Il quindicenne posò i palmi sulle piastrelle della cabina e abbassò lo sguardo, i capelli caddero ai lati del viso e le ciocche dorate aderirono alla pelle, come le ventose di una fantomatica creatura marina.
Cosa gli stava succedendo?
Chiuse con violenza il getto d’acqua e uscì dalla doccia, un asciugamano intorno al bacino e uno sulla spalla.
Si diresse in camera e, mentre si asciugava i capelli con il canovaccio, scelse i vestiti dall’armadio: indossò una maglietta bianca a maniche corte e pantaloni neri stretti, a vita bassa, con una giacca grigia a maniche corte con il cappuccio.
Si legò i capelli ancora bagnati e indossò polsino nero e collana con la medaglietta militare.
Scese le scale velocemente, afferrò la tracolla nera e si diresse in cucina per prendere il bento e la tovaglia da picnic per il Yozakura.
Si infilò veloce le converse grigie e aprì la porta, pronto per uscire.
«Io vado!»




«-n…»
La ragazza strinse il cuscino tra le braccia, nascondendo il volto in quella morbidezza.
«-in…»
La piccola dormigliona mugugnò qualcosa di incomprensibile, per poi girarsi dall’altra parte del letto, stringendo ancor più il cuscino.
«Rin!!!»
La poveretta si ritrovò sul pavimento, portata via dal suo confortevole letto da un mostro con i codini e amante dei porri, o almeno dal punto di vista della vittima.
«Miku! Perché l’hai fatto?»
Gattonando sul parquet, la ragazza cercò di risalire sul letto, la sua ancora di salvezza, scappando dalla bestia, ma fu presa per i piedi e trascinata verso la porta con forza dall’azzurrina.
«Ti sei dimenticata dell’appuntamento? Dobbiamo andare al luna park insieme a Len!»
Nel sentire quel nome, Rin si riprese, realizzando la situazione, e si alzò dal pavimento senza preavviso, facendo cadere a terra la povera Miku.
«Oddio! Dimmi che non ho dormito troppo!»
«Hai dormito troppo»
«Aaaaaaaaaaaah!»
La bionda uscì di corsa dalla camera e si diresse in bagno, sbattendo la porta con forza.
«Ma guarda te…»
Miku si diresse verso l’armadio e prese una bandeau playsuit blu con gli shorts, un fiocco al petto e dei merletti sulla parte superiore e indossò un paio di infradito con un fiore azzurro sui lacci.
Dopo aver rifatto il letto, la ragazza scese giù con lo zaino in spalla per prendere i due bento per il Yozakura e la bottiglia d’acqua, insieme ai bicchieri.
Nel frattempo Rin uscì dalla doccia e si diresse in camera, indossò una maglietta a maniche corte dal giallo pallido con uno sterno e le costole raffigurate di nero, un gilet grigio chiaro e degli short neri, con converse verdi a stelle smeraldo.
La bionda si avvicinò allo specchio ovale e incominciò a pettinarsi i capelli lentamente, con attenzione, sistemando le ciocche ribelli nate durante la notte.
Sistemò il fiocco nero pece dalla stoffa strappata e i fermagli bianchi alternati dal nero, abbelliti con delle stelle del medesimo colore.
Dopo aver controllato il tutto, scese velocemente le scale, quasi saltando.
«Rin, siamo in ritardo di mezz’ora!!»
«Cosa!?»
La bionda si diresse verso l’uscita, seguita a ruota da Miku, e aprì la porta con forza saltando fuori… addosso a qualcuno!
«Rin!»
La ragazzina si massaggiò lentamente la testa, sedendosi sopra qualcosa di morbido che si alzava e si abbassava a ritmo. Quando riaprì gli occhi, notò che sotto di lei c’era qualcosa di bianco, una maglietta.
«Ehm, Rin… potresti… alzarti?»
Alzando lo sguardo, la bionda incontrò degli occhi blu che scrutavano il suo viso sorpresi, abbelliti da due guance colorate di rosso.
Una volta fatta mente locale, Rin si alzò di scatto, sgranando gli occhi, mentre il viso diventava sempre più purpureo.
«Oddio! Len, stai bene!? Scusa! Andavo di fretta, ed ero anche in ritardo, quindi…»
Rin si coprì il viso imbarazzato con le mani tremanti ed abbassò leggermente lo sguardo per non incrociare quei frammenti di cielo che, sicuramente, la guardavano con dolcezza.
Il biondo si alzò da terra dandosi una spinta di reni e si avvicinò alla fanciulla, posandole la mano sulla tempia sinistra, per poi scendere lentamente, accarezzandole lo zigomo e la mano con tenerezza, le dita fra il dorato.
«Tranquilla, non dovevo aspettarvi sulla porta, non era un comportamento idoneo poi, no?»
Rin abbassò lentamente le mani, accolta dal sorriso fiorito sulle labbra del ragazzo che le accarezzò la guancia con il pollice della mano.
L’animo della ragazza venne attaccato dal disagio, il suo cuore macchiato dalla timidezza che pian piano invadeva il suo corpo, mentre il rossore sulle gote tardava a sparire.
Il viso del ragazzo era abbastanza vicino da poter percepire debolmente il suo respiro e il cuore di lei reagiva, battendo più forte, quasi volesse abbandonare quella gabbia ossea.
Gli occhi blu erano così simili ai suoi, come i colori del mare che rifletteva quelli del cielo, uniti dalle similitudini ma separati dal sottile orizzonte, ancora ignoto per i due ragazzi. Così straordinariamente vicini ma allo stesso tempo inesorabilmente separati.
Il calore regalato dal contatto con la mano del quindicenne svanì, spezzando il fugace legame.
«Ne, Rin… è da un po’ che volevo chiedertelo, ma-»
«Luna Paaaark!!»
I due sgranarono gli occhi, voltando lo sguardo verso la terza persona, momentaneamente seccata per l’essere stata ignorata.
«Dai, forza!!»
L’azzurrina prese i due ragazzi per mano e incominciò a correre per la strada, lasciando il cancello del giardino aperto.
«Mi-Miku!?»
«Miku-chan, aspetta!»
Ma la ragazza continuava a correre imperterrita, ignorando le richieste dei compagni.
«Silenzio! Il Luna Park ha già aperto, e non voglio aspettare un’ora per andare sulle giostre!»
«Miku… sei la solita…»
«Silenzio Len!»
La bionda rise per la scena divertente e il ragazzo non poté non sorriderle; le loro mani si avvicinarono e si strinsero delicatamente, mentre i due si sorrisero, quasi fossero complici di un crimine.
Di un crimine che, forse, sarebbe avvenuto, per il volere del fato meschino.













Chiedo venia per il mega ritardo, ma tra uscite, compiti e la linea che va in chiesa per farsi benedire dal parroco, non sono riuscita a postare prima XD
Chiedo inoltre ancora venia per questa schifezza che mi è uscita (per Woff non lo è, ma per me si).
Dovreste diventare santi, cari lettori XD
All'inizio, questo capitolo doveva parlare dell'Hanami, ovvero l'usanza giapponese in cui si ammirala bellezza della fioritura primaverile degli alberi di ciliegio, mangiando sushi all'aperto. Però, mentre scrivevo stavo ascoltando la versione di Len di "World is mine" (bella e divertente U.U) e ci ho aggiunto il Luna Park, e l'Hanami è diventato Yozakura, che sarebbe la stessa cosa, solo di sera XD
Alla fine però, ho separato il capitolo, non volevo farlo lungo XP
Ringrazio Nuirene ( ci sei sempre *-*) Vocal_Dreamer e karikeehl per aver recensito il precedente capitolo, ancora Nuirene per aver aggiunto la storia nelle preferite e ancora karikeehl e Vocal_Dreamer per averla messa nelle seguite, grazie *-*
Bye

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Capitolo 3
*** ~ «Link or Bond?» ~ ***


Lo so, sono in un megaultraiper-chi-ne-ha-più-ne-metta-ritardo, non ho scuse.
Sumimasen!!
*inchino*
Prima di leggere (e di uccidermi) scorrete giù per la pagina fino in fondo, poi tornate su.
Visto? E' un capitolo enorme XD
Ma soprattutto, non è tutto.
Vi spiego a fine capitolo.
Buona lettura!




Fatal Mistake

~ «Kagamine Twins Cest» ~
«Link or Bond?»





Una grande insegna accoglieva le genti con i suoi sfavillanti colori e con le varie lampadine che si illuminavano a tempo, coordinate l’une alle altre, in una grande armonia.
Alzando lo sguardo, era possibile intravedere le attrazioni più grandi, come le impervie montagne russe, capaci di strappare con estrema facilità le grida ai coraggiosi, o la docile ruota panoramica, donatrice di grandi emozioni e di ricordi meravigliosi, bianca come la neve vergine, scarlatte e zaffirine le cabine come gemme preziose.
L’aria frizzante era piacevole e la felicità aleggiava sui volti delle persone spinte ad entrare in quel luogo dalla gioia del divertimento.
Una ragazza dai capelli acquamarina si avviò sprezzante ed energica verso la piazzetta, tenendo per mano la compagna che la seguiva con tranquillità, un sorriso disegnato sulle labbra delicate.
Il povero Kagamine, abbandonato all’entrata del parco, prese la mappa variopinta offertagli con gentilezza dal ragazzo della cabina che gli regalò parole di incoraggiamento.
Dopo aver farfugliato tra loro, le ragazze afferrarono le mani del biondo, trascinandolo fino ad un tabellone esposto in mezzo alla piazzetta.
«Len-kun, io e Rin-chan abbiamo scelto dove andare!»
«Di già?»
«Si. Spero che ti piaccia, Len»
«Va bene. E sentiamo, dove sarebbe la giostra fortunata?»
«Qui!!»
Miku alzò il braccio contenta, puntando l’indice verso un punto preciso della mappa.
«Il … 15?»
Con gli occhi, il ragazzo scrutò la tabella dei numeri, facendo scorrere l’indice sulla lista, ma quando trovò la cifra, qualcosa dentro di lui si incrinò, frammentandosi in mille pezzi.
«Len…? Se la casa stregata ti spaventa, possiamo sempre cambiare»
Il giovane si specchiò gli occhi cielo della ragazza, abbozzando un sorriso sulle labbra.
Perché un malsano piacere nato dalla voglia di spaventare avrebbe dovuto turbarlo?
Erano tutte finzioni, rese reali solo dalla propria immaginazione.
«Rin-chan, tranquilla, l’orgoglio di Len-kun è più grande della sua fifa, quindi possiamo andare!»
«Ehi!»
Negata la possibilità di ribattere, il povero ragazzo si ritrovò in un istante davanti ad un grande cancello nero in ferro battuto, divorato dalla ruggine e preda del tempo.
Le aste verticali, sottili e robuste, erano decorate da elastici rovi di metallo che abbracciavano le sbarre nella loro morsa spinosa.
Le traverse superiori erano ad arco, ornate da fiori e gemme prossime allo sbocciare mentre le due inferiori erano ricoperte da muschio verde smeraldo.
La toppa riservata alla chiave ormai perduta era decorata da lineamenti dorati simili a motivi floreali.
Dietro al cancello, priva di cure e protezioni, vi era una casa in rovina dalla magnifica costruzioni passata. I gradini diroccati conducevano ad un grande portone dal legno color ciliegio, ornato da due maniglie placcate d’oro impreziosito da delicate foglie preziose.
Sul legno pregiato però, vi erano impressi tagli, buchi e segni, ma soprattutto sangue.
«Fate molta attenzione, ok? Soprattutto, non allontanatevi da sole, potrebbero esserci dei trucchetti camuffati.»
Le ragazze annuirono all'unisono.
Lasciato alle spalle lo sterile giardino, il ragazzo entrò nel gran salone principale, un tempo decorato da arazzi pregiati e stemmi familiari, ma che ora lasciavano posto solo a ragnatele e alla polvere.
All’improvviso, la grande porta si chiuse cigolando, portando via con sé l’unica luce che vi era in quel luogo.
«Rin, Miku! Usate i cellulari per far luce!»
Senza discussioni, le due ragazze presero i telefoni e rischiararono di poco la grande sala con i display, guidando il ragazzo verso un vecchio candelabro, tappezzato di ragnatele e polvere.
«Len-kun, hai un accendino con te?»
«No, sai che non fumo. Dovremo andare in cucina… anche se non so dove sia»
«Dobbiamo cercare di non separarci…»
La bionda strinse la mano dell’amica e rivolse lo sguardo verso Len, offrendogli l’altro palmo.
«…va bene?»
Il ragazzo annuì e, con un pizzico di esitazione, toccò la pelle candida della ragazza, per poi stringerle dolcemente la mano.
Lentamente, i quindicenni si diressero verso l’ala ovest della magione, percorrendo uno stretto corridoio dalle pareti color magenta, scempiate dalla rovina.
Dietro la prima porta vi era la cucina, grande e ampia, dove, grazie alle finestre, vi entravano fasci di luce dorata.
«Dobbiamo trovare qualcosa che possa accendere le candele»
Len si diresse verso i mobili pensili, aprendo ogni sportello alla ricerca di fiammiferi.
«Len-kun, forse l’ho trovato!»
Tra i utensili gettati a terra vi erano dei fiammiferi spezzati o già utilizzati.
«Vediamo… eccolo qui!»
Con cautela, il ragazzo sfregò la punta del fiammifero contro una superficie ruvida, inutilmente.
«…Len-kun, non dirmi che non sai accendere un fiammifero» «Non è colpa mia, non si accende!!»
«Fermo, se continuerai a sfregare così rovinerai il fiammifero!!»
Mentre i due litigavano per lo stelo di legno, Rin osservò gli altri fuscelli, prendendone uno in mano.
«Len, forse sono quelli svedesi»
Il biondo guardò la ragazza per poi osservare la punta colorata del fiammifero, sbattendosi il palmo della mano sul viso.
«Len-kun, mio dizionario vivente… allora?»
«Questi fiammiferi sono speciali, si infiammano solo se sfregati su una superficie contenente un dato tipo di combustibile»
La ragazzina acquamarina piegò il capo, guardando il biondo interrogativa.
«Vuol dire che se non troviamo la scatola di origine non possiamo accenderlo»
«…Cavolo»
I tre ragazzi incominciarono a cercare per la cucina, aprendo ogni sportello o barattolo, controllando sotto i mobili lo vicino ai fornelli.
«L’ho trovato!!»
Gridando felice, Rin alzò il braccio in alto, mostrando trionfante la scatolina rettangolare.
«Brava Rin!»
Mentre Miku abbracciava felice l’amica, Len prese la custodia, sospirando felice.
«Bene, ed ora accendiamo»
Hatsune si avvicinò al compagno e, congiungendo le mani, si mise a pregare.
Tenendo stretto il fiammifero tra le dita, Len fregò la punta colorata sulla superficie della scatola, ma lo stelo non si accese.
«Dio e Buddha non esistono…»
«No, semplicemente ho preso un fiammifero usato per fare uno scherzo al porro umano»
Mentre Miku si occupava del corpo ormai esanime di Len, Rin prese il fiammifero e lo accese, facendo divampare due piccole fiamme sulle candele consumate del candelabro.
«Ok, in queste attrazioni di solito bisogna trovare una via di uscita no?»
Il biondo si alzò, schiarendosi la voce, mentre Miku lo guardava con le braccia incrociate.
«Si, ma non ho visto porte secondarie o scale da fuori»
«Quindi ci tocca cercarla…»
L’azzurrina si avvicinò al ragazzo e gli diede una pacca sulla spalla.
«Ok, andiamo in avanscoperta!»
Il ragazzo sospirò, prendendo il candelabro ed avviandosi fuori dalla porta.
«Va bene, ma dopo scelgo io la giostra!»
Una volta abbandonata la cucina, i ragazzi chiusero la porta, ignari delle due luci azzurrine che brillavano nell'oscurità.
«Dove andiamo ora?»
«Che ne dite al piano superiore?»
Alzando l’indice, Miku indico la grande scalinata centrale del salone d’ingresso.
«Va bene, salgo io prima …»
Stringendo forte l’impugnatura del candelabro, Len salì il primo scalino con grande attenzione, lasciando scivolare il palmo sulla superficie liscia del corrimano della grande scala del salone principale.
Lentamente, il quindicenne salì la rampa decorata da un vecchio tappeto rosso privo di vivacità, guardandosi a volte alle spalle, incrociando gli sguardi delle altre.
Dopo aver controllato il corridoio del piano superiore fece segno alle compagne di raggiungerlo facendo attenzione ai gradini scricchiolanti.
Con i sensi acuiti dal buio, i ragazzi si avviarono per il corridoio con molta cautela, osservando le vecchie pareti e, trovata la prima porta, si fermarono. Combattendo il buio con il lieve bagliore sprigionato dalla fiamma del candelabro, Len osservò porta, le ragazze dietro di lui, e trovato il pomello, posò la mano sulla superficie fredda, girando l’impugnatura.
Davanti a loro si aprì una ampia stanza dalle pareti celate dalle librerie impolverate stipate di antichi tomi, portali di altri mondi e dimensioni.
Abbandonata nell’unico frammento delle mura, vi era una scrivania in legno asiatico, grande e spaziosa, dalla superficie lucente, rovinata da tagli profondi e macchie scarlatte.
Dalla finestra ormai in frantumi entravano dei raggi dorati che accarezzavano il nero del legno, illuminando l’inchiostro pece che era fuoriuscito dal calamaio trasparente, scivolando tra le pagine ingiallite sparse per la scrivania.
Il biondo si avvicinò alla scrittoio, posando il candelabro sulla sua superficie liscia, e, con delicatezza, prese un foglio, con la paura che si dissolvesse in una nube ocra.
«Sembra un diario…»


17 Aprile 1872

Oggi, mentre tornavo a casa, mi sono scontrato con un uomo. Aveva trentacinque anni circa, come me, dai lunghi capelli dorati e gli occhi smeraldi.
Per scusarmi dell’accaduto, ho invitato il malcapitato nella mia abitazione, ma dopo varie opposizioni, ha accettato.
Una volta entrati nel giardino, il nostro cane si Sebastian si è avvicinato contento a me, per poi guardare con curiosità il nostro ospite, scodinzolando.
Subito dopo è arrivata la mia bellissima compagna, Elizabeth, insieme alla nostra allegra bimba, Margaret, la mia piccola gioia.
Siamo stati tutti insieme in giardino e ho così potuto conoscere di più il nostro l’ospite, diventando suo amico.
Spero di incontrarlo ancora, per parlare insieme, come oggi.

Len incominciò a cercare i frammenti successivi delle cronache, facendo guizzare lo sguardo da una parte all'altra, scostando i fogli intrise di inchiostro, ormai illeggibili.


25 Maggio 1876

Oggi è il decimo compleanno di mia figlia, Margaret.
Abbiamo organizzato una festa in giardino, privata, tra la tranquillità degli alberi smeraldi, come desiderio della mia piccola.
Il mio nuovo amico si è presentato con il suo solito sorriso, non curante del suo lievemente in ritardo, estasiando così Margaret che lo considera ormai uno zio.
Per tradizione, mia moglie ha regalato alla festeggiata un pendente con un rubino incastonato, ceduto da generazione a generazione.
Nel vedere quel gioiello, la piccola si è emozionata, ed ha abbracciato la madre con dolcezza.
Non ho potuto non sorridere.


«Len-kun, guarda questi»
Miku diede al ragazzo alcuni fogli leggermente macchiati dall’inchiostro del calamaio.


25 Dicembre 1879

Natale.
Come ogni anno, nella nostra casa abbiamo organizzato un ballo, invitando compagni e conoscenti.
In disparte, io e il mio amico abbiamo discusso, incuranti della festa, perdendoci nei nostri racconti.
Però, quando è arrivata la mia bambina, il mio caro ospite si è assentato, allontanandosi dalla sala.
In quel momento, ho scorso negli occhi di Elizabeth dell’inquietudine, quell’insolita paura che la tormenta negli ultimi tempi quando il mio amico è con noi.


«Qualcosa incominciò a muoversi…»
«Continua a leggere, Len-kun»


8 Febbraio 1880

Oggi ho scoperto la ragione del turbamento della mia sposa.
Stavo ritornando nel mio studio perché avevo dimenticato delle pratiche da controllare, e con velocità salì le scale, percorrendo il corridoio.
Fu in quel momento che li vidi.
Mia moglie, senza vie di fughe, appoggiata alla parete, e lui, quello che consideravo un amico, che la ostacolava, le parlava, cercava il suo viso con le dita, ma lei si scostava, lo allontanava, ma lui la bloccava, la prendeva per le braccia e si avvicinava ancor di più a lei.
A quel punto non ho potuto reprimere la rabbia.
Mi sono avvicinato veloce a loro, i muscoli che si muovevano comandati dall’ira, e con questa ira, ho dato un pugno a quell’uomo, facendolo cadere a terra.
Elizabeth mi si è avvicinata terrorizzata ,e nascondendosi dietro di me, ha afferrato con debolezza i lembi del mio vestito, piangendo.
Quel vile spregevole non avrà più a che fare con le nostre vite.


19 Marzo 1880

Da qualche tempo ho notato che quell’infimo soggetto passeggiava per il perimetro della casa, scrutando porte e finestre, come in cerca di una via d’accesso.
Per paura e timore, decisi di mandare Margaret dai nonni, per farla vivere tranquilla in mezzo alla natura, come suo sogno, allontanandosi da questa grigia prigionia.
Per lei desideravo solo la felicità, ma il mio sogno non si è avverato, tramutandosi in un incubo nero.
Mi sono diretto nel bosco fuori paese a cavallo, accompagnato da mio fratello minore.
La carrozza su cui viaggiava Margaret era lontana dal sentiero, tra il verde di una radura rigogliosa.
Trovai il cocchiere vicino ai cavalli bianchi, privo di vita.
Mi recai subito verso la carrozza ribaltata e salì sul lato, facendomi leva con le braccia, e guardai all’interno del mezzo.
In quel momento mi si gelò il sangue nelle vene.
La mia Margaret, quella dolce bambina che, quando la chiamavi “piccola”, si arrabbiava, mettendo su un finto broncio scherzoso, era lì, distesa sulla portiera in legno, il viso delicato posato sulla stoffa morbida del sedile.
La presi con delicatezza, e la tirai fuori da quella gabbia.
Mi sembrava una bambola di porcellana, inerme, bianca.
Le accarezzai i capelli dorati, scostandoli dalle sue morbide guance.
La chiamai per nome più e più volte, stringendola al petto, come se potesse servire a qualcosa.
Ma lei non reagiva, era fredda.
Mi accorsi del sangue che le macchiava le vesti, lacerate all’altezza del petto.
Sgranai gli occhi.

Una lama me l’ha portata via.

Respiravo a fatica, volevo urlare, volevo gridare.
Ma la voce non usciva, si nascondeva nei meandri della mia gola.
Piangevo, stringendomi al petto la mia gioia.


Il ragazzo strinse con forza le pagine del diario, rileggendo più e più volte le parole d’inchiostro, memorizzandole.
Seppur quella storia fosse una fantasia dell’attrazione, una mera bugia, la rabbia e lo sconforto che provava erano reali.
Nella sua mente saettò veloce un immagine, un padre a terra che stringe la propria figlia morta a sé, ripudiando la realtà tra i singhiozzi, le lacrime che cadevano sul viso pallido della piccola, frantumandosi.
Il biondo risalì dai pensieri voltando lo sguardo verso Miku che, preoccupata, posò una mano su quella del ragazzo, facendogli allentare la presa.
«Len-kun, tut-»
Qualcosa ruppe il silenzio.
Un grido.
Un urlo dannatamente familiare.
I due ragazzi, terrorizzati, rivolsero lo sguardo verso la porta, ma non vi era più nessuno ad attenderli.
«Rin… Rin!!»
Len gettò le pagine dorate sulla scrivania, dirigendosi di corsa verso la porta della stanza.
Guardò per il corridoio, gridando più volte il suo nome, ma lei non rispondeva, al suo posto vi era solo il slenzio.
I battiti del cuore si fecero irregolari, il respiro affannato.
L’animo piegato dalla paura, le gambe che cedevano allo sconforto.
Il ragazzo sbattè con forza il pugno sulla parete, frantumandola lievemente.
«Le avevo promesso che non ci saremo separati, e invece…invece!»
«Len-kun!»
Miku prese le spalle del biondo e, girandolo verso di sé, lo fissò negli occhi tremanti.
Gli strisse le spalle con forza, quasi per infondergli sicurezza e coraggio, con un pizzico di buon senso.
«Calmati! Siamo in un’attrazione di un Luna Park, non le faranno del male, va bene? Ragione! E’ solo per fare scena!»
Il ragazzo fissò l’amica per qualche secondo, per poi abbassare lo sguardo imbarazzato.
«Scusami Miku, mi sono fatto prendere dalla paura»
Hatsune, sorpresa de quella scena, sorrise, alleviando la stretta sulle spalle.
«Tranquillo. Però, sia ben chiara una cosa: non ti lascerò Rin tanto facilmente, mio caro Kagamine!»
Il viso del giovine si tinse all’improvviso di rosso e la voce fu rapita dall’imbarazzo, lasciando muovere le labbra silenziose. «Len-kun, sei uno spasso!»
«Mi-miku…»
«Dai, cerchiamo la nostra principessa ora!»
Completamente spiazzato dalla situazione, Len rimase a fissare un punto indefinito del corridoio, un orizzonte conosciuto solamente da lui, mentre la compagna si diresse verso destra, aprendo la porta successiva.
«E’… di Margaret, giusto?»
Davanti ai loro occhi si aprì una stanza ampia, perennemente circondata dal buio, ad eccezione di una tenue luce che, allontanando le tenebre, rischiarava leggermente un tavolino dalla superficie in cristallo su cui poggiava un carillon bianco.
«Len-kun, dov’è il candelabro?»
Il ragazzo guardò gli occhi acquamarina per poi dirigersi fuori dalla stanza.
«L’ho lasciato nello studio… aspettami qui, vado a prenderlo!» A quell’affermazione la quindicenne cercò di afferrare la mano del biondo, senza successo.
« Len…kun…»
Adesso era sola, in balia della propria immaginazione che, in quella stanza buia e tetra come solo la splendida notte poteva esserlo, cresceva sempre di più, rafforzandosi.
Tastando con le mani il vuoto in cerca di oggetti, Miku trovò un letto e, controllando con la coda dell’occhio la porta, vi si sedette sopra, sospirando.
«Mamma!»
La ragazza si alzò di scatto lasciandosi uscire un urlo di spavento, il sudore che incominciava a imperlarle le tempie.
Con le mani tremanti, Miku prese il cellulare nella tasca e lo puntò verso il letto, illuminando il volto di porcellana di una bambola dalla notevole fattura.
Mentre la giovane osservava quei lineamenti freddi, dei rumori di ingranaggi si destarono dall’oggetto, intimorendola visibilmente, distillando maggiormente in lei la paura.
Le palpebre pallide della bambola si alzarono lentamente, rivelando dei magnifici rubini scarlatti dalla macabra vivacità, contornati da folte ciglia nere.
Miku indietreggiò di qualche passo, ansimando, senza mai distogliere lo sguardo da quegli occhi gelidi e vermigli, privi di qualsiasi emozione umana.
Quando sentì qualcosa di freddo e duro sfiorarle le gambe, la ragazza si voltò di scatto, notando il tavolino vicino alla finestra.
Con ancora il terrore negli occhi, Hatsune guardò il carillon che giaceva sulla superficie trasparente del tavolino, allungando la mano tremante.
Con le dita, la ragazza accarezzò la giostrina, percorrendo con la pelle le decorazioni dorate circolari.
La parte superiore, bianca a striature gialle, ricordava una corona, per via delle punte che si ergevano per il perimetro.
Quando le dita scivolarono sui cavalli bianchi, il meccanismo della giostrina si azionò, risvegliando la melodia sopita.
Le note del carillon rieccheggiavano lente e forti, scandite dal suono metallico dei vecchi ingranaggi, conferendoli un timbro solenne.
La ragazza, pallida in volto, si voltò verso la superficie trasparente del vetro dove, leggermente celata dalle vecchie tende sguarcite, intravide un volto freddo e bianco come la luna, un sorriso agghiacciante e folle disegnate sulle labbra inesistenti.
Le labbra di Miku si schiusero e, tremanti, produssero suoni inarticolati, privi di senso, alternati da respiri brevi.
La ragazza indietreggiò, ansimante, il corpo freddo e rigido come una bambola, come quella che le stava strattonando un lempo della playsuit.
«Basta… andate via… andate via!»
Coprendosi le orecchie con i palmi delle mani, Miku si accasciò a terra, ansimando, ormai preda della paura.
Serrò gli occhi con forza, inarcando sempre di più la schiena, fino a toccare le ginocchia con la fronte imperlata dal sudore.
Cercava di scacciare i pensieri dalla mente, i rumori dalle orecchie, divenendo sola con il mondo, ma qualcosa si posò sulla spalla della giovane, rendendo tutto impossibile.
La ragazza, terrorizzata, alzò lievemente il capo, voltando all’indietro lo sguardo.
Due luci azzurrine la fissavano nel buio, seguite da una voce, ma ormai Miku non sentiva più niente, il terrore ovattava i sensi.
Urlando, Hatsune colpì lo sconosciuta, facendolo scagliare sul pavimento.
Con gran fatica, la ragazza si alzò in fretta, evitando di cadere a causa dei barcollamenti, e si diresse verso l’uscita, la sua salvezza.
Ma qualcosa le afferrò il polso, trattenendola in quell’incubo divenuto realtà.
«Mi…Miku»
La quindicenne si voltò, guardando l’individuo inginocchiato a terra, la bestia che prima l’aveva terrorizzata con le sue zanne ormai cadute.
Si avvicinò a lui titubante, pronta a scappare se necessario, sedendosi sulle proprie gambe.
Lentamente, allungò la mano al volto della persona, sfiorando con le dita la guancia.
« … Len-kun?»
Il biondo sollevò lo sguardo, sorridendo dolcemente alla ragazza che, inconsciamente, aveva terrorizzato.
«Ti ho sentita urlare e sono corso qui»
La poveretta abbassò lo sguardo e, con le membra percorse dai singhiozzi, pianse, contenta della fine dell’incubo.
«Len…Len-kun…»
Il ragazzo aprì le braccia e, portandole ai lati della ragazza, l’abbracciò, stringendola a sé con forza, sussurrandole parole rassicuranti.
«Tranquilla, è tutto passat-urgh…»
Con un pugno nello stomaco, il biondo lasciò la ragazza, piegandosi in avanti per il dolore.
«Ma da quand’è che hai una forza del genere!?»
«Sta zitto, Bakagamine!»
«Ahi ahi…»
Massaggiandosi l’addome, il ragazzo si alzò in piedi e, sorridente, porse l’altra mano verso la compagna ancora seduta a terra.
«Proseguiamo?»
Dopo aver guardato l’offerta per qualche secondo, la ragazza accettò la mano, annuendo leggermente col capo, le guance porpora chiaro.
Senza mai separarsi, i due cercarono in altre stanze, guardando ovunque per il corridoio, arrivando all’ultima porta.
All’improvviso, un suono sommesso si alzò nel silenzio, attirando i giovani.
«Sembra… un gemito?»
«Proviene da questa stanza… allontanati Miku»
Il biondo si avvicinò lentamente all’ingresso e, posando l’orecchio sul legno ruvido della porta, si concentrò, udendo ancora una volta quel rumore sconosciuto.
«Non può essere…»
«…Len-kun?»
«Forza, entriamo!»
Senza esitazione, il ragazzo spalancò la porta, facendola sbattere contro il muro interno.
Una ragazzina era distesa a terra. La schiena posata sulla ringhiera in ferro battuto del vecchio letto matrimoniale, legata con delle vecchie catene arrugginite ai polsi e alle caviglie.
Le lacrime che le impreziosivano gli occhi scivolavano lente per i lineamenti del viso, fermandosi sulla fascia di seta nera che le imbavagliava le labbra.
«Rin-chan!»
Con euforia nella voce, Miku si avvicinò alla prigioniera, abbracciandola a sé con decisione, le lacrime che le umidivano gli occhi.
Sussurrandole parole di conforto, Hatsune accarezzò i capelli dorati della fanciulla, contenta di poter di nuovo giocare con quelle ciocche bionde.
Len, guardando la scena con un sorriso sulle labbra, allungò le mani al volto di Rin, carezzandogli la guancia con il dorso della mano.
«Mi sei mancata principessa»
Facendo scivolare le mani dietro la nuca, il biondo liberò l’amica dalla seta nera.
«Ragazzi… ragazzi…»
Il ragazzo posò una mano al lato del volto della fanciulla, accarezzandole la guancia con il pollice.
«Rin, quest’aria triste sul tuo volto non ti dona sai? Tu devi essere unicamente felice, perché sei bellissima quando sorridi»
Dopo averle baciato la fronte, Len si occupò delle catene, liberandole i polsi e le caviglie indolenzite, aiutando la ragazza ad alzarsi.
«Miku, tu e Rin andate avanti, io rimango un attimo qui»
«Eh!? Perché? Len-kun, potresti morire qui dentro!»
Il ragazzo sospirò, lanciando un’occhiataccia torva all’acquamarina.
«Miku, non esagerare… voglio solo controllare in giro, voi dirigetevi verso le scale, credo che l’uscita sia al piano inferiore»
«Len…»
«Rin, va tutto bene, vi raggiungerò presto. Avanti, andate»
Dopo averle perse con lo sguardo, il ragazzo si voltò verso l’unico angolo celato dal buio della stanza, e con un gesto del capo, disse a qualcuno di uscire.
«Che bravo, mi hai scoperta»
Abbracciata dalle ali nere dell’oscurità, una ragazza avanzò con grazia e compostezza, incantando il ragazzo con i suoi occhi azzurri, freddi e meravigliosi come i ghiacci perenni.
I lunghi capelli rosa cadevano morbidi sulle spalle nude della fanciulla, adagiandosi sui lineamenti delicati e femminili del suo volto angelico, decorato da labbra morbide e irresistibili, capaci di far vacillare qualsiasi animo maschile.
Un abito nero le cingeva il corpo, risaltandone la pelle candida, mentre la gonna in tulle, decorata da ricami e pizzi, le nascondeva le gambe fin poco sopra le ginocchia, regalandole leggerezza e grazia.
Un girocollo in perle nere le decorava il collo, impreziosendolo.
«Non è stato poi tanto difficile, mi creda»
La ragazza si avvicinò lentamente, il suono dei tacchi che risuonava forte e solitario nell’aria.
«Mi piaci un sacco, sai piccolo?»
Con la punta dell’indice, la fanciulla seguì i lineamenti del volto del ragazzo, percependone il calore della pelle.
«Saranno i tuoi capelli, dorati come i raggi del sole, oppure i tuoi occhi, frammenti degli abissi più scuri e inviolati del mare»
Con un gesto, Len allontanò la mano della ragazza, cessando le sue attenzioni leggermente “scomode”, ma con gran velocità e stupore, la giovane bloccò il biondo per i polsi, stringendoli con forza.
Il ragazzo cercò di liberarsi, dimenandosi con forza, ma con estrema facilità si ritrovò sul letto, immerso nel candido bianco delle lenzuola.
«Dai, non ti voglio mica fare male…»
La donna avvicinò il viso a quello del biondo lentamente, e con la punta della lingua, gli leccò la guancia con un movimento verticale.
«Sembri un cucciolo indifeso…»
La più grande morse con forza la guancia, facendola sanguinare lievemente.
Il battito del ragazzo accelerò incredibilmente, risuonava con forza nel suo petto, riecheggiando sulla pelle a contatto della fanciulla.
Con leggiadra, la ragazza fece scivolare una mano dal polso del biondo al suo petto, accarezzandoglielo.
«Hai avuto paura qui dentro, vero? Ti ho osservato. In cucina, nello studio, ovunque. Non riuscivo a staccare gli occhi da te…»
Con movimenti circolari, l’indice della mano ruotava sul petto del biondo, all’altezza del cuore.
«N-no… non è vero…»
Ormai, Len non capiva più niente, non riusciva più a muoversi, era paralizzato dalla situazione, impietrito da quei magnifici occhi zaffirini che lo fissavano divertiti.
«Sicuro? A me è sembrato di si, invece»
La mano scese lenta, solcando il ventre pulsante del biondo, intrufolandosi all’interno della maglietta.
La punta dell’indice scese impassibile, ignorando la paura e il terrore sempre più crescente nel cuore del quindicenne, quasi palpabili a pelle, arrivando alla stoffa dell’intimo e del pantalone e, con il pollice, accarezzò il brillante bottone argentato, sfilandolo dall’apertura.
«N-no! Ferma!»
Con un’incredibile forza, Len si alzò, liberandosi dalla morsa della ragazza.
«Che modi!»
La ragazza sbuffò e indietreggiò di qualche passo, senza mai distogliere lo sguardo dal ragazzo, inginocchiato a terra inerme.
«Questa casa è tutta una finzione, come la paura e il terrore che provoca!»
A quell’affermazione, la ragazza sgranò gli occhi e, rivolgendo l’attenzione verso l’ospite, sorrise divertita.
«Una finzione dici? Be, forse la casa, ma le pagine del diario no. Le hai lette, giusto?»
La donna si avvicinò verso il biondo e, piegandosi in avanti, afferrò il mento del ragazzo con forza, avvicinandolo al proprio viso.
«L’ha trovato il gestore del posto, quando ancora girava per il mondo in cerca di ispirazione. Era in una vecchia casa diroccata, in Europa mi sembra, identica a questa, ma con qualche differenza»
La ragazza alzò il braccio, indicando il soffitto ornato da ragnatele.
«Elizabeth ha visto morire la persona che amava, ucciso da quel mostro che consideravano amico. Fu rinchiusa nella sua camera da letto per sedici giorni, dove scrisse sulle pareti e sul soffitto “scusa”, fino a farsi sanguinare le dita»
«No… è impossibile»
«Si che è vero. Implorava perdono a suo marito Gilbert e a sua figlia Margaret per essere stata la rovina della loro felicità»
La ragazza sorrise divertita nel vedere gli occhi del quindicenne persi nel vuoto, privi di qualunque emozioni.
La fanciulla lasciò il mento di Len e si alzò, dirigendosi verso la finestra della camera.
«La vita umana è tormentata dalla tristezza e dall’orrore, ma anche confortata dalla felicità, dalla gioia e dall’amore meraviglioso e splendido come una rosa, ma anche sbagliato, decorato da moltitudini di spine»
Il ragazzo alzò lo sguardo, osservando cambiare l’espressione della ragazza che divenne seria, priva di quella finta maschera chiamata “terrore”.
«Purtroppo, lo proverai tu stesso, le stesse rose alimentate dai tuoi sentimenti ti stringeranno, ferendoti con i loro rovi avvelenati»
Il ragazzo si alzò barcollando, aiutandosi con l’appoggia della ringhiera del letto.
«Nessun amore è sbagliato. E’ considerato tale solo dalla malsana considerazione umana.»
Gli occhi zaffirini caratterizzati prima dalla freddezza e inespressività si riscaldarono, quasi impietositi per la forte determinazione del biondo che, ben presto, si sarebbe frantumata come uno specchio.
«Esci di qui, la porta d’ingresso è ora aperta. Siete liberi»
Il ragazzo si diresse verso la porta, i passi risuonavano nell’aria decisi.
«Come… ti chiami?»
«Megurine Luka»
Il quindicenne si voltò, il viso sorridente.
«Grazie Luka»

Nascosta dall’oscurità amica, la padrona della casa osservò il ritorno di Len e le attenzioni delle due ragazze, soprattutto quelle della più piccola, incredibilmente simile al biondo.
«Sarà lei la tua felicità e rovina, ragazzo?»













Lungo vero? Di solito non ho mai scritto cose paurose, quindi posso aver fatto leggermente (?)... schifo?
In questi mesi ne sono successe tante, troppe forse XD
Io e le college siamo andate a Rimini comix, è stato stupendo *-*
Poi, finalmente ho anch'io un soprannome XD
(per chi ha incominciato a leggere le mie storie, non può capire, quindi andate a leggere la firma!)
Per il titolo... "link" e "bond" significano la stessa cosa, solo che "bond" viene usato per legami più profondi, come l'amore ^ ^
In questo capitolo volevo scrivere le altre attrazioni, ma soprattutto lo Yozakura, ma... avete visto come è venuto con solo la casa stregata XD
Uffa però, doveva apparire Kaito-senpai ç-ç
Ora i ringraziamenti! Ringrazio Vocal_Dreamer, Claud10107 (non mi aspettavo di trovare anche te nei lettori! Sei grande! *-*), karikeehl e Bubble Gum!
Arigatou!
*inchino*
Ora vado a ringraziare i suddetti utenti XD
Alla prossima ^ ^

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Capitolo 4
*** ~ «Alignment» ~ ***


- Fatal Mistake

~ «Kagamine Twins Cest» ~
«Alignment»





Stringendo la maglietta all’altezza del petto tra le dita, il ragazzo scese le scale con difficoltà, il viso pallido e le gambe tormentate dai tremori. Per colpa di quel porro umano dai codini verde acqua, supportata da Rin, il povero Len era stato costretto a salire su quelle maledette montagne russe dai colori sfavillanti tre volte. Tre.
“Sceglieremo le giostre a turno” un corno.

Cosa stava tramando quella pazza dai capelli chilometrici? Voleva ucciderlo a suon di ottovolanti? Non le bastava più il porro?
«Ne, Len»
Il biondo si riscosse dai suoi pensieri per un futuro piano omicida verso Miku e rivolse l’attenzione verso la compagna vicina a lui.
«Grazie tanto per questo!»
E con grande tenerezza, Rin strinse al petto un coniglio bianco di peluche stranamente vinto dal quindicenne al tiro a segno, realizzando che, da qualche parte in quel cielo infinito, una divinità aveva avuto pietà di lui.
«Ah, tranquilla. E’ un piccolo ringraziamento per aver fatto cambiare idea a Miku per le tazze pazze»
A differenza della tradizionale giostra, questa aveva la peculiarità di aumentare la velocità, imitando quella delle montagne russe.
Len era sicuro che, se si fosse seduto in quella tazza, sarebbe morto, non solo per la forza centrifuga, il cuore in gola e la morsa allo stomaco, ma per Miku, che lo avrebbe tormentato.
«Secondo me sarebbe stato divertente…»
«Per te, Miku»
Gonfiando la guancia stizzita, la ragazza acquamarina fissò Len, portando le mani ai fianchi.
Rin spezzò quell’atmosfera ostile e quel continuo scambiarsi di occhiatacce indicando il grande orologio posto in cima al palo.
«Sono le 15 passate…»
Posando lo sguardo sulle lancette del quadrante, Len strabuzzò gli occhi, meravigliandosi della velocità del tempo.
«Non abbiamo neanche pranzato…»
«Oh oh! Io voglio il gelato!»
Voltando lo sguardo di scatto, il quindicenne guardò l’amica, socchiudendo gli occhi.
Miku piegò la testa di lato.
«Che c’è?»
«Il gelato?»
«Si»
«Adesso?»
«Hm»
«Alle tre e mezza passate?»
«No problem»
«…Dopo le montagne russe?»
La ragazza annuì con aria innocente, un sorriso raggiante che le illuminava il volto.
Brutto segno.
Esclusivamente quando voleva ottenere qualcosa, Miku tirava fuori il suo sorriso migliore e la sua dolcezza, a volte accompagnate anche da qualche faccina tenera.
«Len-chan, per favore»
E anche la vocina.
Il ragazzo rimase a fissarla, esterrefatto da quella messinscena da quattro soldi che, ormai, non funzionava da anni con nessuno.
«Len, per me va bene»
Tranne che con Rin.
Costretto a malincuore dalle due ragazze, Len sospirò, posando lo zaino sul tavolino lì vicino e prese il portafogli.
«Offro io»
«Waaah, grazie Len-kun!»
Miku gli saltò alle spalle, cingendogli il collo e incominciando a sfrusciare la guancia contro il collo del ragazzo, mandandogli brividi lungo la schiena.
«Va bene, va bene, ma staccati!!»
La quindicenne si accucciò tranquilla sul legno, poggiando il mento sul tavolino da picnic vicino a loro.
«Vediamo… dove possiamo prendere i gelati?»
«Penso che di là ci sia un chiosco!»
E, alzando il braccio, Rin indicò una via che si dirigeva verso sinistra.
Prendendo lo zaino e Miku, Len si diresse verso la strada, la ghiaia bianca che scricchiolava sotto i loro passi.
Dopo una decina di metri, la via si aprì in una piccola piazzetta, circondata da cipressi smeraldi e fiori variopinti che addolcivano l’aria con il loro profumo.
A destra, vicino a dei distributori, vi era una piccola costruzione dalla pianta esagonale e dal tetto beige a punta. Vicino alla parete vi era appesa un’insegna a forma di cono gelato dai colori monocromatici.
I ragazzi si avvicinarono al bancone dove, dall’altra parte, vi trovarono un ventenne ad attenderli, delle ciocche blu marina che ricadevano dolcemente ai lati del viso allungato e dalla pelle chiara, illuminato da due occhi profondi di un meraviglioso color oltremare.
«Buon pomeriggio. Cosa volete?»
Il ragazzo osservò titubante i vari gusti, soffermandosi sulle etichette dei nomi, originali o privi di senso, e sui colori, tradizionali o appariscenti.
«Vediamo… tre coni di media grandezza»
Miku si avvicinò al bancone e, dopo aver salutato il gelataio agitando la mano, soffermò lo sguardo sul quindicenne. «Oh, Len-kun, lo vuoi anche tu?»
«Problemi?»
Il gestore sorrise al gruppo, e prendendo tre coni dalla cialda retinata dal lieve colo marrone, guardò il biondo con un inestinguibile sorriso sulle labbra.
«Che gusti volete?»
Il ragazzo posò lo sguardo su Rin e, facendo un passo all’indietro, le fece cenno di avvicinarsi, per poterle far vedere quel mare di colori dietro la vetrina.
Accettando l’invito, la quindicenne osservò i gusti, lo sguardo che scorreva da destra verso sinistra, per poi tornare indietro e ricominciare.
Con indiscrezione, Len scrutò la ragazza, il suo volto dai lineamenti dolci e gentili, gli occhi, grandi e azzurri come il cielo, e le labbra lievemente socchiuse, sottili e rosee dal sapore sicuramente dolce.
Voltando subito lo sguardo dall’altra parte, il ragazzo cercò di riprendersi da quelle riflessioni, di allontanare quei pensieri che si sarebbero presto trasformati in desiderio.
Desiderio di impossessarsi di quelle labbra con le proprie.
«Eto… arancia, grazie!»
Il ventenne annuì, e armeggiandosi di cucchiaio, incominciò a formare un’incerta palla color arancio, per poi adagiarla in cima alla cialda.
«Ecco a te… il prossimo?»
Il biondo alzò la mano sinistra e indicò con l’altra una vaschetta precisa.
«Banana, grazie»
«Ok»
Con il consueto sorriso, il gestore incominciò a preparare il gelato del ragazzo, affondando il metallo nel giallo pallido.
Mentre aspettava il gelato, Len posò lo sguardo su Rin, che intanto assaggiava il suo, posando la punta della lingua sul cremolato, accarezzandolo con movimenti verticali.
«Ecco a te ragazzo!»
E con un occhiolino, il gestore offrì il freddo dolce al biondo che, con titubanza, lo prese.
Poggiando i gomiti sul legno del bancone, il ventenne posò il mento tra i palmi delle mani e, sorridendo, guardò Miku.
«Invece cosa posso offrire a lei, signorinella?»
La ragazza piegò la testa all’indietro e, poggiando l’indice con delicatezza sulle labbra sottili, sollevò gli occhi in alto.
«Vediamo… ha il porro?»
Len tossì, e coprendosi la bocca con il dorso della destra, guardò incredulo la compagna.
«Ma che dici!? Ovvio che non ce l’ha!»
«Eh!? Chi te lo dice?»
«Scema, nessuno farebbe un gusto con-»
«Ecco a lei!»
E tra lo sbigottimento di Len e l’estasi di Miku, il ventenne consegnò il gelato alla ragazza.
«Grazie mille, ehm…»
La quindicenne abbassò lievemente lo sguardo un po’ imbarazzata, le punte delle scarpe che si toccavano ripetitivamente.
«Kaito»
«Kaito…senpai»
Con il solito sorriso, il ragazzo invitò Miku ad alzare lo sguardo, e posò di nuovo il mento sulle mani chiuse a pugni.
«Faccio il terzo anno delle superiori»
«Eh? Davvero? Dimostra più anni, sa?»
Kaito si grattò la guancia con l’indice, chiudendo gli occhi.
«Non è la prima a dirmelo»
Con l’indice ritto della mano destra ad un palmo dal viso del ragazzo, Miku fece di no con la testa, oscillando contemporaneamente il dito.
«Dammi del tu»
Kaito, stupefatto, sbatté più volte le palpebre, ed alzandosi dal bancone, posò una mano fra i capelli, scompigliandoli.
«Ehm, va bene… Mi-miku-chan…?»
«Hm!»
La quindicenne annuì con la testa, sorridendo felice.
In quel momento, il diciassettenne si innamorò di quella incurvatura delle labbra.




«Speriamo di trovare un posto al parco!»
«Se non lo troveremo sarà colpa tua Miku!»
«Eeeh!? Perché!?»
«Perché ci hai messo troppo a mangiarti il bento, inoltre volevi andare ancora sulle attrazioni, come se fossi una bambina delle elementari. Ed ora corri!!»
Erano circa le sette di sera e i ragazzi correvano per il marciapiede, gli zaini in spalla che sobbalzavano per l’andatura e il vento che sferzava loro il viso con prepotenza, graffiandolo con quella lieve frescura serale.
I petali rosei accolsero i ragazzi all’entrata del parco, cadendo con leggiadra sul terreno, strappati via con facilità dalle fronde degli alberi da parte del vento.
Len si avventurò tra gli alberi alla ricerca di un posticino tranquillo, lontano dalle altre persone e dai rumori delle ultime auto che giravano per le strade.
Avvicinandosi a delle panchine in legno dalle gambe e gli stretti braccioli in metallo nero, il ragazzo si sfilò le scarpe grigie, e prendendole con sé, entrò dentro fra l’erba smeraldo, il freddo che gli solleticava i piedi.
Degli alberi di ciliegio dai rami lunghi e via via più sottili affiancavano un piccolo laghetto, specchio del cielo, dove i fiori, abbandonando gli arbusti, cadevano placidamente, costellando quel colore variabile.
Il ragazzo sorrise e, posando lo zaino sui fili d’erba, tirò fuori una tovaglia bianca a righe rosse e la sistemò sul tappeto smeraldo.
«Len-kun, hai trovato un posticino tranquillo?»
Il biondo si voltò e, notando le ragazze, si portò la mano sinistra al petto e aprì il braccio destro verso l’esterno, facendo un piccolo inchino.
«Spero che a vostre signorie piaccia questo umile angolo tranquillo»
Miku si avvicinò al quindicenne e gli posò una mano sulla spalla, sorridendo.
«Ma come siamo teatrali»
«Il meglio per le dolci fanciulle che illuminano i miei occhi»
Ed alzando lievemente lo sguardo, Len sorrise a Rin, facendola arrossire.
Miku sospirò e, allontanando la mano dalla spalla del biondo, incrociò le braccia.
«Ok, per me va bene, mio caro Principino. E a te, Rin-chan?»
La ragazza annuì, abbassando lievemente lo sguardo, il viso colorato di porpora.
Len alzò lo sguardo al cielo ed osservò il mutamento nella cupola, il rosso e il blu che si confondevano tra loro, separati dalle ultime sfumature di azzurro.
Il quindicenne si sentì tirare la stoffa dei pantaloni e, volgendo lo sguardo in basso, notò Rin seduta sul candido della tovaglia, le gambe bianche e snelle distese di lato.
Accogliendo l’invito della compagna, il biondo si sedette affianco a lei, una gamba distesa e la destra piegata.
Posando la mano sinistra al lato del fianco, il ragazzo sfiorò le dita affusolate di Rin, facendola sussultare.
La bionda spostò la mano dalla stoffa, posandosela sul ventre mentre le guance si colorarono di rosso.
Len, leggermente imbarazzato, volse lo sguardo verso gli alberi, illudendosi che quei tronchi fossero più interessanti dell’amica.
Sospirando nel vedere quella scena, Miku si avvicinò gattonando a Rin, e prendendole le guance arrossate, le tirò leggermente, giocherellandoci con movimenti vari.
Di risposta, la fanciulla si lamentò e, prendendo la compagna per i polsi, si ribellò, allontanandola.
Poi risero insieme.

I minuti passarono veloci, tra chiacchiere e scherzi, risate e sorrisi, mentre la sera avanzava sempre di più, divenendo notte.
Le prime stelle del firmamento comparvero nella volta celeste, schiarendo il nero del cielo con la loro candida luce, alcune bianche, altre azzurre o gialle.
La luna, alta e grande, illuminava l’amante del giorno, sua compagna ed amica.
I fiori di ciliegio abbandonavano la casa e la propria madre, convinte dal dolce vento che le trasportava, per poi lasciarle al terreno.
Alcuni petali, cullati dai movimenti della brezza, si posarono sul bianco della tovaglia, sul grembo della fanciulla dai capelli dorati mentre altri accarezzavano il viso del suo cavaliere. L’amica dai capelli azzurrini si era allontanata, forse di proposito, chissà, dicendo di andare a prendere qualcosa da bere.
I due ragazzi guardavano il cielo notturno, le stelle e i colori che si specchiavano nei loro occhi, quasi volessero calar il buio in quei frammenti di cielo, lontani dall’infinito.
Un fiore di ciliegio si posò timido vicino alla mano del biondo, sfiorandoli appena la pelle con i suoi petali.
Con delicatezza, il ragazzo prese il fiore e, cogliendo Rin di sorpresa, lo sistemò tra le ciocche dorate, vicino l’orecchio.
La fanciulla, stupita, abbassò lo sguardo, l’imbarazzo che le colorava il viso.
Rimasero in silenzio per qualche secondo, interrotto per primo dal biondo, troppo curioso di lei.
«Rin, perché… sei venuta qui? Hai lasciato la tua famiglia, ed ora vivi con Miku… perché?»
Aveva mille domande da chiederle, mille curiosità da saziare.
La fanciulla alzò lo sguardo al cielo e sorrise con una punta d’amaro.
«Volevo… volevo allontanarmi da mia madre»
La ragazza si cinse le gambe.
«Volevo scappare da lei e dalle sue oppressioni»
Il biondo la guardò interrogativo, desideroso di risposte. Rin sospirò.
«Mio padre è morto due giorni prima della mia nascita e mia madre si trasferì dai suoi genitori per dimenticarsi di lui e di questo posto, dove avrebbero vissuto insieme. Con me»
Il quindicenne alzò lo sguardo al cielo ed osservò le stelle.
«Scusami per questa domanda»
L’amica scosse il capo e sorrise.
«Non devi scusarti, non mi hai ferito»
Len posò lo sguardo sulla fanciulla, sorridendole.
«Per pareggiare i conti, dovrei raccontarti qualcosa anch’io»
Si sdraiò sulla tovaglia portando le braccia dietro il capo.
«Mia madre è morta una settimana dopo la mia nascita, lasciando me e mio padre da soli. Si è spenta mentre mi teneva in braccio»
Rin si coricò su un fianco, vicino a Len, e lo guardò, in silenzio.
Il biondo si girò, soffermandosi sugli occhi della compagna, così simili ai suoi.
Voleva accarezzarla, ma temeva la sua reazione.
La loro attenzione fu attirata da alcuni scoppi improvvisi, mentre delle luci bagnavano i loro volti.
Delle scie luminose segnavano il cielo, esplodendo in splendidi fiori, schiarendo la notte, per poi scomparire, ingoiati dal buio.
Numerosi fuochi pirotecnici si alzarono in volo, trasformandosi in mille luci dagli sfavillanti colori.
I ragazzi continuarono ad osservare la fioritura di quei boccioli artificiali senza proferir parola, i loro volti colorati da mille sfumature.
Solo le loro mani si mossero, si avvicinarono, attratte l’una dall’altra, ma non si sfiorarono, rimasero vicine, separate da qualcosa di invisibile.
Rimasero immobili, catturati da quelle piccole bellezze, desiderosi di potersi specchiare in quegli occhi così simili.
Così uguali che li univa, rendendoli felici.
Una felicità ancora ignara del futuro.













Scusate per il ritardo...
Non so perché, ma questo capitolo non mi è piaciuto molto, ad esclusione della parte finare dello Yozakura...
Cos'ho sbagliato? *incomincia a sbattere la testa contro il muro*
Ho tagliato un po' la parte in cui compariva Kaito e quella del parco.
Avevo paura che il capitolo uscisse lungo come il precedente...
*sbatte un'altra volta la testa contro il muro*
Siccome non mi ricordo se nello scorso capitolo ho messo i ringraziamenti ( e non mi va di andare a vedere), li ricapitolerò tutti.
*sangue che zampilla dalla testa*
Allora... *si schiarisce la gola* Ringrazio Vocal_Dreamer, Maka Chop, karikeehl, Claud10107 e Nuirene per aver recensito i tre precedenti capitoli, di nuovo Maka Chop e Nuirene, insieme a SabryKagamine, per aver aggiunto la ff tra le preferite ed ancora karikeehl, Maka Chop e Vocal_Dreamer, con FedyTsubasa e Fire_eyes per aver aggiunto la ff tra le seguite.
*inchino*
Grazie per il vostro sostegno.
E con questo capitolo, la "saga dello Yozakura" è finita, alla prossima!

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Capitolo 5
*** ~ «Now or Never» ~ ***


- Fatal Mistake

~ «Kagamine Twins Cest» ~
«Now or Never»





Il silenzio serpeggiava per le strade solitarie del quartiere insieme alla brezza estiva che s’insinuava con delicatezza nelle fronde degli alberi, portando con sé calma e tranquillità.
Un ragazzo passeggiava lentamente per la via, preceduto unicamente dal breve suono nato dal tocco dei suoi sandali con l’asfalto.
La pallida luce scaturita dagli alti pali stradali accarezzava la figura del giovane, disegnandone a terra l’ombra sua mutevole.
Gli occhi blu saltavano da un punto all’altro della strada come agili lepri, osservando incuriositi le variopinte decorazioni che ornavano i muretti delle case o le lampade di carta che si muoveva lentamente su se stesse.
La notte del settimo giorno del settimo mese era finalmente giunta e, prestabilito dalla vecchia promessa paterna, l’incontro fra gli amanti Altair e Vega fu legittimato, e tradizione annuale sentenziava che le bancarelle festive colorassero i dintorni del vecchio tempio, festeggiando così la riunione dei due innamorati.
Portando la mano sinistra alla fronte, Len si scostò la frangia, catturando con delicatezza le ciocche dorate nel pugno.
Era la prima volta che indossava uno yukata maschile perché di solito si avventurava tra gli stand con i normali vestiti.
Si sentiva strano.
La veste verde scuro gli copriva morbidamente il corpo asciutto, stuzzicandogli direttamente la pelle liscia con l’intrigo di fili sottili.
Parte del petto era libera dalla stoffa leggera e le dolci linee del muscoli accennati e delle clavicole risaltavano sul chiarore della pelle, marcate dal gioco di luci e ombre donato dalle lanterne accese.
Una fascia fine e scura cingeva i fianchi sottile, fermando l’indumento percorso da linee nere e regalando ai panneggi un aspetto morbido, grazie anche allo sbuffo che lasciava intravedere l’addome piatto.
Trovava piacevole indossarlo, sì, ma si sentiva strano a causa della novità, il tocco della veste era appena percepibile, quasi fosse eterea.
Si fermò davanti ad un cancello dalle aste lunghe e nere e allungò la mano al citofono argentato per premere il pulsante ed annunciare così la sua presenza.
Deglutì a vuoto.
Aveva paura e una sensazione di disagio gli divorava il cuore non appena la mente si perdeva nelle idee ed ansie della serata.
Sospirò sconfortato e rivolse lo sguardo alla porta d’ingresso, maledicendo il tempo che lo torturava stuzzicandogli la pazienza, infilzandola con i secondi tramutati in spilli aguzzi. La serratura scattò e l’inferriata cigolò appena, quasi sospinta dalla brezza serate.
Si morse il labbro e, aprendo del tutto il cancello, fece un passo in avanti, squadrando la porta chiusa con ansia.
Salì il primo gradino bianco – oppure era grigio? Non sapeva, l’agitazione lo confondeva e la notte non lo aiutava – .
Sentì dei passi avvicinarsi velocemente all’entrata e, deglutendo ancora, attese. «Aspetta un attimo!»
Era Miku.
La porta si aprì piano, accompagnata dalle mani gentili della fanciulla. Il ragazzo socchiuse gli occhi a causa della forte luce che scappò via dalla soglia dell’entrata.
«Oh, ciao Len»
Il quindicenne la salutò con un gesto veloce, ma quando si accorse dell’abbigliamento della presente, sospirò, posando la mano destra sul fianco.
«Ehi, perché non hai lo yukata? Non verrai mica a pantaloncini?»
La giovane scostò con un movimento delicato i fluenti capelli dalla spalla, finalmente liberi dalla solita prigionia dei nastri, e guardò con un sorriso divertito l’altro, sostenendosi con il braccio alla cornice della porta.
«Perché, sei forse geloso, Kagamine Len
Il citato sbuffò, guardando la ragazza negli occhi.
«No, solo non voglio avere problemi» rispose con finta indifferenza, incrociando le braccia. Miku sorrise saccente.
«Ooh, come no. Sta’ tranquillo» rispose con voce serena e, lentamente, si allontanò dalla soglia per avvicinarsi alle scale. «Tanto non vengo»
«…Cosa?!» gridò quasi, raggiungendola. «Perché?»
«Non mi va» disse semplicemente l’altra.
Il quindicenne corrucciò le sopracciglia dorate. «Come “Non mi va”? Hai sempre adorato questo matsuri!»
Miku lo ignorò e volse lo sguardo verso le scale, sorridente.
… Non la scampi
«Tanto ti trascinerò al festival, mia ca-» si fermò, zittito da dei lievi rumori provenienti dal piano superiore, e, lentamente, si voltò, guardando il pianerottolo in cima alla scalinata. Sbarrò gli occhi.
Abbracciata da un roseo yukata intessuto quasi con i petali di ciliegio di Osaka e stretto da una larga fascia – lillà, come le sfumature dei bordi della veste – Rin guardò i ragazzi con un sorriso imbarazzato, stringendo forte le dita tra loro.
Scese lentamente i gradini a causa dei sandali rossi, facendo sospirando ad ogni passo i lembi dello yukata e tintinnare i fili i perle che ornavano la fascia stretta al ventre.
Len le guardò il viso niveo – una leggera sfumatura di ombretto rosa le colorava le palpebre e il lucidalabbra brillava sulla bocca – accorgendosi solamente ora dell’assenza del solito fiocco sul capo, ma notò le code bianche di stoffa spuntare dai capelli intrecciati dietro la testa, ornati da due bacchette rosse e da un doppio fascio di perle lattee.
Il ragazzo la seguì con lo sguardo mentre scendeva con titubanza gli scalini, sorreggendosi con il corrimano bordeaux.
«Buonasera …» sussurrò Rin, dopo aver finalmente superato la difficoltà dei gradini.
Miku la abbracciò e le diede un bacio sulla guancia rossa, sistemandola una ciocca bionda dietro l’orecchio.
«Divertiti piccola!» e la trascinò letteralmente alla porta, sorridendole.
La fanciulla annuì e scese lo scalino dell’ingresso, dirigendosi verso il cancello dove aspettò il ragazzo che, invece, rimase all’entrata, squadrando l’amica.
«Sicura di non voler venire, Miku?»
La ragazza sorrise e gli diede una pacca sulla spalla.
«Tranquillo Len, ho la PS3 che mi aspetta»
Il giovane la guardò un’ultima volta e sospirò, raggiungendo poi Rin e, chiuso il cancello, si avviò insieme a lei verso il tempio.


Aspettò sulla soglia per qualche secondo, scrutando la strada mentre il freddo le pizzicava la pelle scoperta.
In fondo, sarei soltanto d’intralcio…
Sorrise e, guardando le stelle brillare nel cielo notturno, augurò a Hikoboshi e a Orihime un felice rincontro.


Guardò con stupore l’enorme Torri di legno, addobbato da due grandi kusudama dalla sfera e i tentacoli piatti giallo acceso.
Osservò estasiata le decorazioni e le lanterne rosse che disseminavano sui gradini in pietra una pallida luce scarlatta.
«E qui?» chiese, senza distogliere gli occhi, resi scintillanti dai barlumi degli ornamenti. Il ragazzo si avvicinò a lei e posò il piede sul primo gradino.
«Si» rispose con voce dolce, e le offrì la mano aperta come segno di aiuto, il rossore alle gote mascherato dalla morbida luce che gli screziava il viso.
Rin accetto l’invito, e si incamminò insieme a lui per la scalinata massiccia.
«Ogni anno, al tempio, si celebra il Tanabata, e alla fine si bruciano i tanzaku della gente appesi al bambù»
La fanciulla alzò lo sguardo, percependo la mano dell’altro stringere delicatamente la sua.
«In modo che i loro desideri arrivino a Dio…» continuò lei, osservandolo per un istante in viso.
Len annuì docilmente con il capo e, sorridendo appena, scrutò il profilo dell’amica illuminato da mille luci, dorate e rosse, regalate dalle lanterne appese ai cavi neri ai lati della scalinata.
«E tu, hai qualche desiderio Rin?» chiese flebilmente, rivolgendo lo sguardo agli alberi di fianco.
La quindicenne scorse le prime bancarelle stagliarsi dinanzi, annunciate dalla corona di luce dorata che aleggiava sugli ultimi gradini.
«Si» sussurrò e, lasciando la mano di Len, salì gli ultimi scalini ed arrivò in cima. Si voltò, sorridendo dolcemente al compagno mentre gli zaffiri si macchiavano d’inspiegabile tristezza.
«Rimanere qui, in questa città»
Il ragazzo si fermò sull’ultimo gradino in pietra e la guardò interrogativo, ma lei si allontano per evitare spiegazioni, inoltrandosi negli stand nella speranza che l’altro dimenticasse tutto.
«Aspetta!» gridò, raggiungendola velocemente.
La ragazza si fermò, voltandosi piano. Strinse i pugni e, inspirando profondamente, alzò il viso.
«Domani tornerò da mia madre»
Il quindicenne sgranò gli occhi, avvicinandosi titubante.
«…Cosa?»
Rin sorrise ed abbassò lo sguardo, intimorita, notando dei coriandoli colorati sparsi sul lastricato del tempio.
«Tornerò fra due settimane circa» la sua voce era calma e soave come il resto dei giorni, eppure al cuore del giovane arrivava triste e rassegnata. «Tranquillo, non sto scappando, Miku lo sa»
Len sgranò gli occhi.
Lei ne era a conoscenza…
«Tu… tu te ne sei andata da lì perché …» serrò il pugno, deglutendo. «Per tua madre …» Lei sorrise, senza lasciar incrinare la docile maschera che la proteggeva dalle sue stesse emozioni.
«Tornerò»
Il ragazzo la guardò incredulo, sollevando appena le sopracciglia.
«Tornerò, promesso» e avvicinandosi a lui, gli sorrise ancora una volta con la speranza di rincuorarlo.
«Sicura?»
Lei annuì, raggiante.
«E se… e se tua madre non vorrà lasciarti andare?»
Rin non rispose, gli sfiorò le dita affusolate con le sue e gli prese delicatamente la mano sinistra, cominciando a camminare fra gli stand.
E in silenzio, Len osservò la figura davanti a lui mentre un senso di oppressione gli annullava l’ossigeno ai polmoni e un nodo doloroso gli tormentava la gola.
Osservò le linee del suo collo nudo e chiaro, scoperto dai capelli biondi, e il profilo del suo volto delicato che, spinto dalla curiosità, balzava in ogni direzione, gli occhi attirati come da magneti.
Si morse internamente il labbro inferiore, pensando ai giorni che sarebbero trascorsi senza di lei.
«Allora …» si fermò, stringendo saldamente la mano della compagna. «Chiederò a Dio il tuo ritorno, dovessi inginocchiarmi a lui di persona!»
La ragazza sgranò gli occhi, disorientata da quella affermazione senza voltarsi, e lasciò la mano dell’altro, serrando gli occhi che urlavano a causa del bruciore.
«Altro desiderio non ho» continuò con decisione.
Sorrise, lei, alzando il viso al cielo scuro. «Sei sicuro? Hai un solo desiderio quest’anno»
Con un passo, il quindicenne l’affiancò, cercando la sua mano con la propria.
«Si»
La fanciulla sorrise ancora una volta, e insieme avanzarono mentre la folla li inghiottiva nella confusione.
«Grazie Len»
La giovane lo guidò ad uno stand ed osservò i bambini divertirsi nel tentativo di vincere qualche gioco.
«Ora posso andarmene tranquilla» sorrise, guardando i premi appesi lì vicino. Toccò con l’indice il naso nero di un peluche dalle curiose fattezze, poggiato sul bancone in legno.
«Perché, grazie alla tua richiesta, sono sicura di tornare»
Len la osservò in silenzio e, posandole una mano sulla spalla, la voltò verso la sua direzione.
«Allora continuerò a chiederlo a Dio, se questo ti rasserenerà» sussurrò e, lentamente, avvicinò il volto a quello della ragazza che, stupita, arrossì visibilmente.
La giovane serrò gli occhi d’impulso e trattenne il respiro, ma quando percepì un dolce tepore lambirle la fronte, riaprì piano le palpebre.
«Fregata» e rise appena, notando l’evidente rossore che colorava il viso dell’amica.
La poveretta si portò le mani al volto e mugugnò un debole “scemo”, facendolo ridere di più.
«Scusa» ma Rin lo ignorò, continuando a chiamarlo “stupido”. «Vediamo…»
Len la guardò per qualche secondo, chiedendosi se allontanarle i palmi dal viso era una buona scelta ma, ripensando attentamente, si portò la mano destra al petto e si inginocchio umilmente dinanzi a lei. Chiuse gli occhi e sorrise.
«Per porre rimedio al mio vile atto, offrirò alla sua persona una piccola gioia, aspirando così al vostro perdono redentore, mia principessa»
Rin, sorpresa da quelle parole, separò piano le dita senza scoprirsi il volto, ed osservò il ragazzo chino di fronte a lei, sorridendo lievemente.
«E va bene»
Le mani scivolarono giù dal viso ancora leggermente imporporato e, avanzando di un passo, la quindicenne si inginocchiò e lo osservò, sorreggendosi il mento con i palmi chiusi.
«Voglio un takoyaki»
Il ragazzo aprì gli occhi e rise appena, guardando i solchi tra le lastre della pavimentazione del tempio.
«Yes, you highness»
«”Your”» lo corresse divertita Rin.
«Beh, si… quello!»

Si guardò intorno alla ricerca di un tavolo libero o almeno non molto affollato, sperando con tutto sé stesso che i foglietti colorati non fossero già finiti e appesi ai rami. Erano in ritardo e tra un po’ sarebbe iniziato l’otakiage.
«Len, lì!» lo avvertì l’amica, indicandogli con la mano libera – nella sinistra stringeva un panda e un palloncino yo-yo vinto dal compagno in un gioco – una piccola bancarella su cui insegna era scritto “Tanzaki”.
Il ragazzo annui e si avviò insieme alla fanciulla verso lo stand circondato da bambù.
«Scusi, avete ancora due tanzaki?» domandò, speranzoso.
«Si, certo» rispose la donna, sorridendogli cordiale. «Un attimo»
Aprì la scatola celeste adagiata sul legno del tavolo e porse a Len due striscioline di carta gialla insieme ad una penna.
«Scrivete la vostra preghiera o desiderio e poi appendete i tanzaki ai rami» disse la gestrice, indicando dietro di sé gli alberelli.
La signora si voltò in modo da non suscitar disagio ai due giovani. «Pensate bene prima, mi raccomando»
I due assentirono e, dopo aver adagiato i premi sulla bancarella e presa la penna, Rin scrisse il proprio desiderio.
«Fatto» disse, porgendo la penna al giovane e sorridendo.
Len la prese delicatamente dalle sue dita e, osservando il foglietto monocromatico, scelse le parole giuste. Avvicinò la biro al tanzaki ed incise sulla sua superficie liscia il desiderio sperato.
Osservò il bigliettino e l’inchiostro nero risaltato dal giallo chiaro.
«Fatto» dichiarò il quindicenne alla donna che, voltandosi, annuì.
«Bene, ora appendeteli»
I giovani aggirarono la bancarella e si avvicinarono ai bambù, dove lasciarono sospesi i foglietti.
«Buona serata!» li salutò la signora con un sorriso.
I due agitarono le mani alla commessa e, guardandosi, si avviarono verso il centro del tempio.
«Cosa faranno adesso?» chiese Rin, osservando la gente che si apprestava a raggiungere la piccola piazzetta.
«Bruceranno i bambù» le rispose con un sorriso. «Così i desideri raggiungeranno Dio attraverso il fumo»
La giovane annuì con un cenno del capo, notando degli uomini che lanciavano gli alberelli in un piccolo recinto sul lastricato, formando una catasta di foglie, legno e biglietti colorati.
«Forse sarà meglio andare» proruppe il ragazzo, alzando gli occhi al cielo e inarcando lievemente le labbra in un sorriso triste. «Domani devi partire»
Rin notò un signore avvicinarsi all’insieme di rami con stretta in mano una fiaccola così scintillante da far male alla vista. «Si»
Si voltò e, seguita dall’altro, si diresse verso l’uscita.
Camminarono in silenzio senza guardarsi o sfiorarsi le mani.
Len osservò la gente ridere e divertirsi, Rin scrutò il mattonato per nascondere il proprio viso.
Sensi di colpa divoravano lentamente i loro cuori, eppure non erano rei.
Raggiunta l’imponente scalinata, la ragazza scese i primi gradini, però si voltò, guardando l’altro fermo in cima.
«…Len? Non vieni?» gli chiese. «Len?»
Lo chiamò ancora, preoccupata, ma l’amico rimase in silenzio, fissando i gradini con aria pensierosa.
«Len» risalì la scalea verso di lui e, posata una mano sulla sua spalla, il compagno le rivolse lo sguardo.
«E’ ancora presto » disse, scuotendo il capo. «Vuoi venire con me?»
La fanciulla sussultò. «…Dove?»
«Non posso dirtelo» spiegò lui, senza scostare gli occhi da lei. «Ti fidi di me?» Rin osservò rapita gli occhi del ragazzo, così decisi e indagatori e penetranti da non percepire più sé stessa e il mondo.
«… Va bene» disse infine, abbassando leggermente il capo. «Mi fido»
Len sorrise estasiato e, stringendole la mano, iniziò a discendere i gradini con velocità lieve per evitare una possibile caduta a causa degli yukata.
Corsero per dei minuti, abbandonandosi il tempio e alcuni vie alle spalle, divorati dalla distanza che si estendeva come gocce sul marmo.
La ragazza chiamò il giovane più e più volte, chiedendo spiegazioni - «Dove stiamo andando?» , «Ehi, è una sorpresa!» – e ridendo insieme a lui.
Le dolevano i piedi a causa dei sandali, ma ignorò ogni senso e percezione dell’esterno, concentrandosi unicamente su Len e l’attimi in cui erano insieme.
«Siamo quasi arrivati!» gridò il ragazzo, ridendo al miagolio spaventato di un gattino colto di sorpresa dalle loro presenze.
Svoltarono nuovamente e la quindicenne contemplò ammirata gli alberi lontani alla sua destra, rinchiusi in una lunga striscia d’erba bagnata dalla luce pura della luna.
«Lo senti?» si voltò appena, sorridendo all’espressione confusa dell’altra.
«Cosa dovre-» strabuzzò gli occhi, sconcertata dal leggero scorrere che le sfiorò l’udito.
Un piccolo fiume separava lei e Len dagli alberi, scrosciando cristallino nel suo letto affusolato dalle pareti superiore d’erba.
Il ragazzo rise, scuotendo divertito il capo e, rallentando, giunse finalmente al luogo, svelando alla compagna la sorpresa.
La giovane gli lasciò la mano e, lentamente, si avvicinò alla balaustrata del ponte e contemplò l’acqua sotto di lei.
Le stelle si gettavano dalla volta nello specchio mutevole del fiume e rimanevano ferme, brillando tenuamente. Sembrava un frammento di cielo liquido.
«Ti piace?» domandò, abbandonando le braccia e la testa sul parapetto.
«Si…» sussurrò lei, adagiando gli avambracci sulla superficie leggermente ruvida. Il ragazzo sorrise, osservando la sua immagine tumultuosa riflessa nel fiumiciattolo e poi quella dell’altra.
«Ne, Len…» volse appena il viso verso di lui e lo guardò. «Ricordi la leggenda di Hikoboshi e Orihime»
Il quindicenne rifletté alcuni attimi ed annuì.
«Anche loro si incontravano su un ponte»
Il giovane sussultò appena a quella affermazione e continuò ad osservare il suo riflesso.
«Solo che il loro era fatto di gazze!» rise argentina e, allontanandosi dal parapetto, volteggiò fino a scendere dal ponte, i piccoli tacchi dei sandali che echeggiavano sulle travi in legno.
Noi ci rincontreremo, Len
Inspirò profondamente, Rin, e, schiudendo le labbra, iniziò a cantare, piroettando su sé stessa. «Le foglie di bambù frusciano vicino le gronde ondeggiano»
Dovessi anche aspettare la concessione e l’aiuto di mio padre
«Le stelle luccicano granelli d’oro e argento»
Il ragazzo la osservò rapito, incantato dai suoi movimenti, così leggiadri da ricordargli le movenze delle fate celesti. La sua voce dolce lo attraeva, e il cuore gli colpiva forsennatamente le costole.
«Le strisce di carta dai cinque colori ho già scritto»
Incrociò il suo sguardo, Len, e per un attimo non percepì più i battiti nel petto.
Si avvicinò piano a lei, guardandola meravigliato negli occhi azzurri e tristi.
«Rin…» la chiamò e, senza lasciarle il tempo di finire la filastrocca, la attirò verso di sé, facendo rotolare a terra il peluche e il palloncino yo-yo.
L’ultima verso morì nell’aria e, stringendole la vita con il braccio destro e prendendole il viso con la mano, il quindicenne la baciò, scrutando il cielo e le stelle riflessi nei suoi occhi sbarrati.
Quando le labbra del giovane si allontanarono, Rin si scostò appena e lo guardò in viso, in silenzio, per poi sciogliere l’abbraccio e correre via, sconcertata. «Rin! Rin!!»
Gridò ancora il suo nome, ma le parole si persero nel frinire delle cicale. «Rin…»
Si avvicinò verso i premi e, inginocchiandosi, strinse la zampa anteriore del pupazzo.

«Dannazione…»













30/12/12
Scriverò il prossimo capitolo in questi giorni, mandando allegramente lo studio a farsi battezzare da un prete novizio.

Si, come no, è andato il capitolo a farsi battezzare, con me in veste di madrina!

Lo so, sono in ritardo.
In enorme ritardo, come sempre, quindi sorvoliamo.
In questo tempo ne sono successe vero?
C’è stata la bazzecola del 21 Dicembre, e cavolo, se ci fosse stata davvero la fine del mondo, avrei sclerato così tanto che voi lettori avreste sentito le mie grida, chiedendovi chi era quella deviata che urlava.
C’è stato Natale ed è iniziato il nuovo anno (ma va?) e quindi vi do gli auguri arretrati.
Tanto arretrati.
Inoltre, dopo una lunga attesa, è finita la saga di “Synchronisity” ed io non posso fare a meno di urlare un “SIII!!!” intriso di gioia e commozione.

SIII!!!

Ma passiamo al capitolo.
Rin tornerà momentaneamente a casa dalla mamma tanto indesiderata.
Len, invece, ha combinato un casino! *pat pat a Len*
E Miku? Miku è rimasta a giocare alla sua PS3 dannazione…, lasciando stare i due piccioncini da soli. Cucciola.
Che ne dite del capitolo? Gli eventi, da adesso, si smuoveranno un po’, la pace tornerà?
Mi sembra di essere il tizio delle telenovele che anticipa gli episodi *brivido*
Spero che vi sia piaciuto un po’, altrimenti ho fallito miseramente xD
Ringrazio Vocal_Dreamer, Amahy, _Ricchan per aver recensito il precedente capitolo, e di nuovo quest'ultima e IbbyKiseki per aver aggiunto la fic nelle preferite. Infine Amahy, KokoroLock e Lady Orihara nelle seguite.
Inoltre, ringrazio tutti i lettori in generale per non avermi ancora ucciso per la lentezza, siete meravigliosi <3

Vi saluto.
Adieu !

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