dreams of the desert.

di Akatsuki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Capitolo ***
Capitolo 2: *** II Capitolo ***
Capitolo 3: *** III Capitolo ***
Capitolo 4: *** IV Capitolo ***
Capitolo 5: *** V Capitolo ***
Capitolo 6: *** VI Capitolo ***



Capitolo 1
*** I Capitolo ***


dreams of the desert.













I capitolo.

Davanti a lei si estendevano chilometri e chilometri di sabbia. All’orizzonte il sole splendeva luminoso nonostante stesse per tramontare e sparire dietro la moltitudine di dune dorate. Era uno spettacolo mozzafiato, anche se il caldo torrido di quel posto era tremendamente forte. I granelli di sabbia veniva trasportati leggeri dal vento rovente, che pian piano andava aumentando, segno di una prossima tempesta di sabbia.
Piccole gocce di sudore imperlavano la candida fronte di una giovane ragazza, e dal suo viso estremamente provato si poteva intuire che non fosse abituata a quel clima, tipico del Paese del Vento.
I capelli castani lunghi fino a metà schiena, ora raccolti in una coda alta, erano bagnati e gocciolavano sempre con meno frequenza. Poco prima si era imbattuta in una piccola oasi dove aveva potuto riprendersi e rinfrescarsi a dovere, altrimenti in quel momento sarebbe svenuta sulla sabbia bollente senza la forza per alzarsi. Sfortunatamente, i caldi raggi del sole avevano ormai quasi asciugato la pelle della ragazza, e quindi la situazione era la stessa di qualche ora prima.
Nonostante la stanchezza, la giovane kunoichi continuava ad avanzare imperterrita. Il suo carattere non le permetteva di arrendersi facilmente, e alcune volte questa sua caratteristica poteva essere un vantaggio, altre una specie di maledizione, un po’ come quella che portava con sé da praticamente sempre.
Gli occhi verde smeraldo erano determinati, ma se li si osservava bene si potevano scorgere tanti sentimenti negativi che la ragazza cercava da tempo di soffocare.  Dolore, rabbia, rancore e tanta sofferenza, che da anni ormai erano gli unici compagni presenti nella sua vita.
La causa era una sola e non era da sottovalutare. Una maledizione che portava morte e dolore ovunque lei andasse, a cui nessuno poteva sottrarsi. Lei lo sapeva bene, e nonostante questo si era spinta ai confini di quel paese e li aveva superati, decisa a crearsi una nuova vita in quel posto che le aveva dato tanto e tolto allo stesso modo.
Lei era la jinchuuriki di uno dei demoni più pericolosi esistenti, anche se conosciuto estremamente poco. Era un biju molto particolare, di cui nessuno sapeva l’esistenza oltre agli abitanti dello stesso villaggio da cui veniva. Si sussurrava che fosse un demone terribile, al pari del Kyuubi. Aveva le sembianze di un’enorme pipistrello rosso scarlatto, con i canini acuminati e gli occhi di un’ inquietante giallo, che sembravano penetrare l’anima di chiunque ci si perdesse dentro, quasi avessero il potere di controllarla. Il villaggio natio di quella bestia era situato nel Paese del Fuoco ed era poco conosciuto grazie agli stessi abitanti, abilissimi nelle barriere confinanti e che avevano protetto la loro patria dalle attenzioni sgradite del resto del mondo. L’ultima apparizione di Hiirowo –così si chiamava- era avvenuta sedici anni prima, pochi giorni dopo la nascita della bambina che ora ne era portatrice. Pochi erano quelli in grado di sigillare il mostro, e ancor meno quelli in grado di sopportarne la presenza nel loro corpo. La sfortuna volle che la bimba fosse la discendente dell’unica famiglia del villaggio in grado di tener testa ad Hiirowo, e così ne divenne la jinchuuriki. Di certo il potere derivante da questa sventura era assai grande, ma mai quanto la disperazione che ne derivava, e lei lo sapeva fin troppo bene.
 
 
Ormai la ragazza camminava da ore ed era davvero stremata, la stanchezza stava per prevalere sul suo corpo affaticato e lei stessa si rendeva conto di aver bisogno di liquidi e tanto riposo. Dopo circa tre giorni di viaggio, dal Paese del Fuoco era finalmente arrivata a Suna, il villaggio principale del Paese del Vento. Davanti ai suoi occhi si ergeva finalmente in tutta la sua maestosità quel meraviglioso villaggio, dove il colore prevalente era quello della sabbia che lo circondava in un deserto che sembrava sconfinato.
Arrancò affaticata fino alle porte di Suna, dove  cadde a terra con un tondo sordo, catturando l’attenzione di una kunoichi di guardia all’entrata, che subito le si avvicinò, guardinga.
«E tu chi diavolo saresti?» Temari non ricevette risposta da quella strana ragazza e seppur di malavoglia si vide costretta a chiamare aiuto per trasportarla all’interno delle mura, tenendola d’occhio con estrema attenzione. Poteva essere un nemico o una spia, indipendentemente dalle cure che necessitava. Chiamò un ninja che passava di lì e gli ordinò di portarla all’infermeria del palazzo del Kazekage, dato che l’ospedale del villaggio era inagibile perché in fase di ristrutturazione e l’unica ala disponibile era piena, come lei ben sapeva in quanto sorella del Kazekage. Seguì il ragazzo avanti a lei lanciando un’ultima occhiata stranita a quella ragazza e sentendosi leggermente confusa. Aveva la sensazione di averla già vista.
 
 
 
Dalla finestra del suo palazzo, un ragazzo dai capelli rossi e gli occhi acquamarina osservava il suo villaggio con sguardo perso e glaciale. Avrebbe dovuto abbandonare quell’espressione distaccata che da anni era presente sul suo viso, ma ormai era un’abitudine non mostrare i suoi  veri sentimenti ed era naturale per lui rivolgere al mondo lo stesso sguardo che lo caratterizzava da quasi sempre.
Si era sottratto per un po’ dai suoi compiti da capo villaggio, quali firmare montagne di documenti che continuavano ad arrivare appena credeva di aver finito il gruppo precedente. La sua scrivania era piena di fogli e sul pavimento erano presenti pile e pile di cartelline con dentro altri documenti su missioni, nuovi ninja, pratiche burocratiche e decine di altri problemi.
Si aggiustò con una mano la sua tunica da Kazekage e tornò lentamente alla sedia. Guardò indifferente il lavoro arretrato, nonostante dentro stesse sbuffando apertamente, e si sedette piano alla scrivania per continuare a compiere i suoi doveri.
Non aveva nessuna intenzione di rimanere fino a tarda notte lì dentro perché aveva perso tempo ad ammirare il suo villaggio. Era la sua terra natia, ci era affezionato e non voleva che nessuno dei suoi abitanti dovesse soffrire o peggio, morire. Certo, molti  di loro non si fidavano ancora di lui e non poteva dargli torto, dato che per anni aveva ucciso spietatamente degli innocenti solo per il gusto di sentirsi vivo, per avere una ragione di vita. La sua esistenza avrebbe avuto un senso fino a quando sarebbero esistite al mondo persone da uccide. Era questo quello che ripeteva , e pensando a quella frase sentiva sempre una morsa allo stomaco. Troppo debole, troppo. Non era riuscito a resistere e si era fatto consumare dal suo dolore, fino a diventare un mostro sanguinario. Naruto Uzumaki  aveva vissuto la sua stessa situazione, ma lui era riuscito a resistere ed a vivere sempre con il sorriso stampato sulle labbra. ”Da un lato è stato più fortunato” si diceva Gaara “aveva il supporto dei suoi amici. E io? Io non avevo nessuno su cui fare affidamento, con cui sfogarmi e farmi consolare nei momenti di sconforto. Ero solo.” Questo si ripeteva per ‘consolarsi’ e per sentirsi meno male, per sentirsi meno in colpa, ma non funzionava mai e finiva per reputarsi più debole di quanto già non fosse stato in passato.
Anche ora che era stato eletto Kazekage avevano tutti paura di lui e di quello che portava dentro e di certo non poteva chiedere a tutta la sua gente di dimenticare quello che aveva fatto, sarebbe stato impossibile. Per ora svolgeva i suoi compiti diligentemente e cercava di comportarsi al meglio, nonostante il suo sguardo freddo incutesse timore a tutti i suoi sottoposti e agli abitanti del villaggio.
Abbandonò quella marea di pensieri e rivolse la sua completa attenzione ai documenti che aveva davanti, tanto che non si accorse che qualcuno aveva bussato alla porta. Il rumore si ripeté, ancora e ancora, fino a che la porta si aprì cautamente e dallo spiraglio sbucò una testa castana.
«Kazekage-sama, è qui dentro?» chiese Matsuri preoccupata. Stranamente Gaara non le aveva risposto con il solito ‘avanti’ che ormai la accompagnava tutte le mattine quando andava nel suo ufficio per portargli altre cartelline, che sfortunatamente aumentavano di giorno in giorno. Molto spesso si offriva di aiutarlo quando vedeva che era molto stanco e rimanevano insieme per un paio d’ore a firmare fogli su fogli, cosa che rendeva davvero felice la piccola Matsuri. In fondo era il suo maestro.
Il rosso alzò piano la testa praticamente immersa nella scrivania e guardò la porta dalla quale era sbucata la ragazza.
«Sono qui Matsuri, entra pure.»
«Buongiorno Kazekage-sama, le ho portato gli altri documenti.»
«Ti ringrazio, poggiali pure qui.» rispose Gaara indicando con un cenno della testa uno spazio libero sulla scrivania e continuando a firmare i fogli. Stiracchiò leggermente il collo alzando gli occhi al cielo. Gli piaceva essere un kage, ma negli ultimi giorni era davvero stanco.
Matsuri fece come il rosso le aveva detto, per poi tornare composta davanti alla postazione di Gaara osservandolo preoccupata. Fece per allungare una mano per poggiarla sulla sua spalla ma si trattenne, non poteva certamente fare una cosa del genere, per di più con il Kazekage in persona. Non era un segreto che la ragazzina provasse dei sentimenti nei confronti di Gaara, ma era ben decisa a tenerlo segreto almeno al diretto interessato.
Tentennò un attimo, indecisa se uscire di corsa dalla stanza o rimanere per fare compagnia al suo maestro ed eventualmente aiutarlo a finire più in fretta il lavoro. Non voleva che si stancasse più del dovuto, così poi da svenire o peggio, ammalarsi. Era assolutamente fuori discussione, così optò per una via di mezzo.
«Se vuole posso portare a casa una parte del suo lavoro e svolgerla al posto suo, Kazekage-sama.» sussurrò indecisa, strusciando nervosamente il piede sul pavimento. Non si era mai sentita così imbarazzata in vita sua, perché gli aveva chiesto una cosa del genere? Nella sua mente aveva entrambe le mani nei capelli e tremava disperata, arrabbiata con se stessa per la sua sfacciataggine.
Gaara alzò lo sguardo dalla scrivania e lo posò sulla sua allieva. Accennò un sorriso impercettibile e si sedette meglio sulla poltrona. «Non c’è bisogno che tu faccia questo per me. Inoltre so che devi andare in missione, non credo sia giusto caricarti anche del mio di lavoro.»
Arrossì di vergogna ma si sentì anche un po’ delusa dalla risposta di Gaara. Certo, era vero che aveva delle cose da fare, ma dentro si sé si aspettava qualcosa di più da lui.
«Certo, Kazekage-sama. Allora vado, devo prepararmi per partire» fece un breve inchino e si voltò velocemente verso la porta, raggiungendola a grandi falcate, desiderosa di uscire al più presto da lì e di allontanarsi il più possibile da quel ragazzo. Non sapeva neanche lei perché fosse così delusa, ma in fondo sapeva che era perché era innamorata di quel freddo e insensibile Kazekage. Appena fuori dalla stanza si appoggiò sul muro lì di fronte e si lasciò cadere, poggiando la testa fra le ginocchia e guadagnandosi gli sguardi curiosi dei ninja che passavano di lì e quelli indignati degli anziani del villaggio. Era così sciocca, perdere la testa per una persona del genere. Ma poi, perché gli piaceva tanto? Era di ghiaccio, non esprimeva mai i suoi sentimenti e la trattava come tutti gli altri. Ma era anche dolce a modo suo, sempre gentile e cortese, non si arrabbiava mai e quei sorrisetti accennati che regalava alle persone a lui più vicine la facevano sciogliere. Stupido, irresistibile Gaara.
Sospirò e si alzò lentamente per dirigersi verso casa sua e per prepararsi alla missione. In cuor suo sperava davvero che potesse mancare, anche solo un po’, al ragazzo. Una speranza vana, perché sapeva bene che il suo cuore non apparteneva a nessuno ed era fin troppo difficile avvicinarvisi. Si chiese se qualcuno ci sarebbe mai riuscito.
 
 
 
 
 
 
 
N/a: sssalve!
Allora, ho scritto questa storia diversi anni fa, arrivando a malapena al quarto capitolo. Ora l’ho ripresa e ho modificato meglio che potevo i capitoli già scritti, aggiungendo e togliendo della parti e delineando tutta la storia a grandi linee nella mia mente. Ho anche cambiato il nome della protagonista e il suo sviluppo personale, le sue abilità e le relazioni che avrà con gli altri personaggi.
Ho modificato allo stesso modo gli altri tre capitoli e aggiunto un altro, scritto in questi giorni. Non so bene quanti capitoli avrà nel complesso, quindi taccio in quanto non voglio deludere le aspettative di nessuno in quanto lunghezza della storia. Spero solo che vi piaccia e se avete dubbi, critiche o commenti generali sarei felice se me li poneste, in quanto voglio migliorare il più possibile questa long.
Grazie mille a tutti!
Akatsuki

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Capitolo 2
*** II Capitolo ***


dreams of the desert.













II capitolo.

« Corri Kaen, corri! »
« No, non voglio più scappare! »
Una voce, così simile a quelle di sua madre… la voleva raggiungere, le mancavano da morire le sue carezze dolci, la sua voce che le leggeva le favole prima di andare a dormire. Non aveva molti ricordi di lei, era morta quando aveva pochi anni, ma era sicura che fosse la persona più bella del mondo, nonché una delle poche persone che le volesse bene e che non aveva paura di lei.
Correva al massimo della velocità per raggiungere il punto da cui proveniva la voce, ma più si avvicinava, più veniva spinta indietro da una forza invisibile. Lontano, sempre più lontano dalle dolci attenzioni della madre. Le gambe erano di piombo, il cuore stretto in una morsa d'acciaio, l'angoscia di non poter avvicinarsi alla donna troppo forte, troppo disperata.
« Mamma, voglio rimanere qui! Ti prego! »
Urlava, doveva farsi sentire, così forse sua madre l’avrebbe aspettata, le sarebbe venuta incontro.
Voleva con tutto il cuore essere importante per qualcuno, ricevere l’affetto di una persona che non fosse sua madre. Vivere nella solitudine più totale era troppo straziante per il suo cuore, un dolore che non aveva mai fine. Ma ora anche lei stava andando via, lasciandola indietro, ignorando le sue urla.
« Non puoi venire con me, Kaen. Lo sai bene. »
Sì, lo sapeva, ma non voleva crederci. Sua madre era morta da tanti anni, era impossibile che potesse andare con lei, dovunque fosse. Però… era la sua mamma, la adorava immensamente, per rimanerle accanto avrebbe fatto qualunque cosa. Desiderava così tanto ricevere una parola dolce o un abbraccio, le sarebbe bastato anche solo quello per farla stare meglio.
«Resta con me, non voglio stare da sola! Ho paura!»
« Sarà sempre così, tesoro. Nessuno vorrà mai stare accanto ad un mostro come te.» La voce era fredda, desiroria, era sempre quella della madre ma con un timbro che nella realtà non aveva mai avuto.
Perché la sua mamma le diceva quelle cose? Non lo avrebbe mai fatto, lo sapeva. Non era il tipo, non con lei. Ma era lei, la voce era sua, il viso aveva i suoi tratti gentili, eppure il ghigno divertito stonava con il viso della sua dolce mamma. E il cuore le si frantumava sempre di più nel petto, ogni occhiata di ghiaccio era una pugnalata invisibile che la mandava in pezzi. Per la prima volta nella sua vita sperò che sua madre sparisse di fronte ai suo occhi.
 
 
 
Si mise di scatto a sedere, ansimando come se avesse corso per chilometri. Si passo stancamente una mano sulla fronte per asciugare il sudore mentre si guardava stranita intorno.
Quella non era sicuramente la sua stanza e quello su cui era seduta non era il suo letto. Se ne sarebbe sempre accorta, il suo era duro come il marmo e scomodissimo, invece quello su cui era sopra era morbido e bianchissimo, ci affondava come se fosse su una montagna di panna.
Spalancò gli occhi quando realizzò davvero di non essere a casa sua. Era tutto troppo bianco e odorava in maniera disgustosa di disinfettante. Un ospedale? Ma dove diavolo era? Forse era morta. Meglio così.
Scese in fretta dal letto, appurando che almeno indossava i suoi abiti, per quando sporchi potessero essere. Almeno nessuno si era permesso di toccarla. Si avvicinò alla finestra, da cui entravano caldi raggi di sole, accecanti per i suoi poveri occhi chiari. Mise una mano a coppa sulla fronte per ripararsi dal sole e assottigliò gli occhi per vedere meglio il paesaggio.
Sabbia, tanta sabbia. E una distesa di casette davvero graziose tutte l’una accanto all’altra; era questo quello che vide dalla grande finestra da cui era affacciata. Le piaceva la sabbia, così calda e morbida. Le trasmetteva un senso di protezione.
Immediatamente ricordò tutto quello che era accaduto.
Era arrivata a Suna dopo cinque sfiancanti giorni di viaggio sotto il solo cocente. Rimpiangeva già il clima del Paese del Fuoco. Nonostante il nome, quel paese vantava di un clima sì caldo, ma mai ai livelli del Paese del Vento, il che rendeva il clima mite e piacevole.
Era tutto così diverso da dove veniva lei, ma in fondo le piaceva da matti. Una nuova vita, in un villaggio diverso dal suo, dove forse sarebbe riuscita a creare qualcosa di buono con quelle sue mani.
Una fitta dolorosa alla gamba la fece inginocchiare. Portò una mano alla ferita che aveva ripreso a sanguinare copiosamente e cercò di alzarsi come meglio poteva.  Se ne era completamente dimenticata e inoltre si chiedeva anche lei come avesse fatto a correre per diversi giorni di fila con quella ferita alla gamba così estesa e profonda, fasciata a grandi linee con un paio di bende malridotte. Non se ne intendeva di medicina, ma aveva capito anche lei che era abbastanza grave. Sfortunatamente, il suo demone non aiutava nella rimarginazione delle ferite o nella guarigione in generale. Stupido demone, non serviva mai a nulla.
Un’altra fitta molto più forte la fece cadere seduta a terra, mentre la ferita sanguinante sporcava il pavimento immacolato. Gemette per il dolore e lentamente sentì le forze abbandonarla. Non sentiva più niente al tatto, i suoi cinque sensi la stavano abbandonando ed era sensazione orribile, come se non esistesse nulla intorno a lei.
La parta si aprì e a lei parve andare a rilento, anche la vista stava cedendo. Altra spiacevole sensazione, le piaceva osservare le cose intorno a lei ed era sempre stata una grande osservatrice.  Nella stanza entrò una testa rossa, ormai faticava anche a riconoscere i contorni degli oggetti e ora, delle persone. Perché era una persona quella, vero? Non sapeva dirlo con certezza.
 Quello che quasi sicuramente era un ragazzo le si avvicinò e si accovacciò accanto a lei, sostenendola per la schiena e osservandola dritto negli occhi, per poi rivolgere uno sguardo alla ferita sanguinante e la piccola pozza di sangue che si era formata ai piedi della giovane.
«Cosa ti è successo?» Chiese con voce calda e confortevole lo sconosciuto. O almeno, a lei sembrò confortevole. Era un bellissima voce, di quelle che vorresti sentire sempre perché ti danno un senso di protezione quando le ascolti. La sua mano bollente poggiata sulla schiena minuta di lei era come una piacevole carezza, morbida e delicata.
«N-no che non va tutto bene, non v-vedi che sono stata avvelenata?»  rispose gemendo e cercando di alzarsi, sebbene non ne avesse la forza. Scostò brusca la mano di quella persona e poggiò il palmo destro per terra, per farsi forza e riuscire ad alzarsi. Barcollò e cadde all’indietro, prontamente accolta dalle braccia di Gaara. Lo guardò per un secondo, distinguendo una capigliatura rosso fuoco e degli occhi acquamarina, più belli del mare stesso, poi chiuse i suoi e giacque svenuta tra le braccia del ragazzo.
 
Gaara guardò attentamente Kaen. Non l’aveva mai vista, almeno non al villaggio. Era una ragazza molto bella, dai capelli castani e gli occhi verde smeraldo.
Sicuramente non lo conosceva, altrimenti non gli avrebbe mai risposto in quel modo così sfacciato, spaventata da una sua possibile reazione violenta che non sarebbe mai arrivata. Meglio così, pensò, almeno non avrebbe avuto timore di lui.
Inizialmente era andato da lei per controllarla, sotto esortazione di sua sorella. Lo avrebbe fatto lo stesso, era suo dovere controllare gli sconosciuti che arrivavano al villaggio e verificare che non fossero un pericolo per gli abitanti.
Non sapevano molto di lei, neanche da che villaggio provenisse, dato che non possedeva alcun copri fronte, o se lo aveva, non lo teneva in bella vista. Per ora erano solo a conoscenza del fatto che possedesse un chakra molto forte e in quantità molto elevata, forse maggiore persino a quello del Kyuubi, e nessuno sapeva spiegarsi il perché. Chi era quella ragazza così strana?
Ignorò i dubbi che lo assillavano e poggiò la ragazza sul letto, osservandola ancora. Non poteva negare di avere davanti una ragazza davvero bella nella sua semplicità.  I capelli castani che sembrano di seta al tatto,  le guance rosee, la fronte imperlata da piccole gocce di sudore, le labbra dischiuse che si aprivano e chiudevano irregolarmente, le palpebre strizzare come se stesse soffrendo. Ma ecco, lei stava soffrendo e lui se ne era completamente dimenticato. Avrebbe dovuto chiamare un ninja medico per farle somministrare l’antidoto al veleno che ormai le scorreva in corpo e anche in fretta, visto la situazione pessima in cui si trovava la ragazza.
Provvide subito a chiamare un ninja medico esperto per curare la ragazza, per poi posizionarsi in un angolo della stanza e vegliare su di lei. Sentì dei passi fuori dall’infermeria e dalla porta entrò uno dei suoi più fidati medici, che si avvicinò in fretta alla kunoichi stesa sul letto con uno sguardo preoccupato. Le sue condizioni si erano aggravate. La visitò con cura, mentre il suo sguardo diventava sempre più inquieto.
«Kazekage-sama, dovrebbe uscire. Il veleno con cui è stata intossicata è molto pericoloso ma non di nostra conoscenza, potrebbe morire nel giro di qualche ora se non interveniamo immediatamente e provvediamo ad estrarlo tutto dal suo corpo. Non possediamo l’antidoto e quindi dobbiamo intervenire al più presto.»
«Capisco. Appena si sveglia avvertitemi.»  Intervenne con la massima calma. Volto le spalle al letto in cui la giovane giaceva ed uscì dalla stanza, sempre con la sua solita espressione in viso. Appena fuori dall’infermeria incrociò sua sorella Temari, intenta ad entrare nella camera dal quale lui era da poco uscito.
Appena lo vide gli si avvicinò e lo guardò curiosa. Si sporse dal fratello per cercare di intravedere la ragazza, ma la porta era chiusa e inoltre Gaara non le permetteva di vedere niente.  Altri due ninja-medici si fiondarono dalla camera al richiamo del capo, mentre Temari squadrava il fratello con le mani posate sui fianchi, infervorata. Aveva un strana sensazione, le sembrava d aver già visto quella ragazza, anche se non ricordava né dove né quando. Doveva essere stato davvero molti anni prima, altrimenti non lo avrebbe mai dimenticato. Una mente di ferro, la sua.
«Le hai parlato? Chi è?»
«No, e non lo so. In ogni caso non possiamo entrare ora.»  Si diresse verso il suo ufficio, preparandosi mentalmente per i nuovi gruppi di documenti da firmare, ma sfortunatamente Temari lo placcò in tempo, guardandolo con uno sguardo truce che fece venire i brividi alla maggior parte dei ninja che passavano di lì, ma non a Gaara. Era abituato ormai.
«Come non lo sai?! Sei stato lì dentro per venti minuti buoni!»  Il rosso spalancò leggermente gli occhi, ma fu così poco che nessuno se ne accorse. Venti minuti? Non se ne era neanche accorto. Quindi, in pratica, aveva passato la maggior parte del tempo  ad osservare la ragazza. Non riusciva a spiegarsi il perché, era strano, nessuna aveva mai attirato così la sua attenzione. Era come se qualcosa dentro di sé lo spingesse verso di lei.
 Un urlo di dolore li fece girare entrambi scatto a guardare la porta dietro cui si celava la ragazza che urlava di strazio. Lo seguì un altro, e un altro ancora. Gaara non capiva perché la kunoichi stesse urlando, ed era tentato di entrare lì dentro per scoprirlo. Invece Temari lo sapeva bene il perché. Anche Kankuro aveva dovuto subire lo stesso intervento, e si era potuto capire che non era un’operazione particolarmente indolore.
Gaara abbandonò la sua posizione e si avviò impassibile verso il suo studio, seguito dalla sorella.
«Gaara, abbiamo scoperto da che villaggio proviene.»  Il rosso non rispose, invitando silenziosamente la bionda a continuare. Lei lo guardò di sottecchi; aveva capito che il suo fratellino aveva trovato interessante la kunoichi nell’infermeria. Che in futuro se ne potesse innamorare? Non ci sperava tanto, nonostante Gaara avesse un’immenso bisogno di dare e ricevere amore, non era il tipo di ragazzo che si innamorava facilmente, e ancora meno palesava i suoi sentimenti. Ma lei era la sorella maggiore, doveva preoccuparsi della sorte del suo fratellino. Un fratellino che era il Kazekage, certo, ma comunque più piccolo di lei.
«Un ninja ha trovato il suo coprifronte alle porte del villaggio, è di Konoha. Dovremmo contattare il villaggio e chiedere informazioni.»
«Manderò una missiva all’Hokage per avvisarla solo dopo che si sarà svegliata.» Temari si posizionò davanti al fratello bloccandogli la strada. Incrociò perentoria le braccia sotto al seno e lo guardò.
«Aspetta Gaara, ne sei sicuro? Non sappiamo chi sia, potrebbe anche farti del male.» In fondo oltre ad essere sua sorella era anche la sua guardia del corpo personale, non poteva permettere che gli accadesse qualcosa. Il rosso sospirò e fece cenno alla sorella di spostarsi per farlo passare. «Sono sicuro di essere in grado di difendermi, Temari. Ora lasciami andare, per favore.» Lei fece come richiesto e poi lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava. Quella ragazza… doveva prima capire perché le sembrava di conoscerla, poi forse avrebbe potuto esprimere un giudizio su di lei.
Si allontanò dall’infermeria per incamminarsi verso la sua stanza, aveva un urgente bisogno di farsi una bella doccia fredda e di riposarsi per qualche ora.
 
 
La testa le faceva malissimo, come se avesse un centinaio di shuriken conficcati nel cranio. Fortunatamente la gamba stava bene, sentiva solo un leggero fastidio e notò che era fasciata molto bene. Prese un bel respiro, ma sentì nuovamente il disgustoso odore di disinfettante, che le fece bruciare il naso. Starnutì un paio di volte e fece per alzare il busto, ma poi ricadde con un tonfo sui morbidi cuscini.
Questa volta ricordava tutto bene, niente vuoti di memoria. Quel ragazzo, che aveva scoperto chiamarsi Gaara, l’aveva aiutata. Se lui non fosse arrivato, probabilmente sarebbe rimasta agonizzante sul pavimento. Si aggiustò meglio sul letto, iniziò a massaggiarsi le tempie con le dita e chiuse gli occhi. Voleva ricordare il volto di quella persona, ma nella sua mente c’era solo una macchia rossa sfocata che probabilmente erano i capelli. Era sconvolta, conosceva una persona con la chioma di quel colore ma non poteva essere proprio lui, fra tutti.
L’oggetto dei suoi dubbi entrò proprio in quel momento nella stanza, silenzioso e calmo, tanto che Kaen, persa nei proprio pensieri, non se ne accorse nemmeno. Gaara si avvicinò al letto dove era stesa la ragazza, a occhi chiusi. Era così piccola e fragile, con quell’aureola di capelli castani sparsi sul cuscino e le spalle così minute. Non sapeva se palesare la sua presenza o continuare a guardarla, silenzioso. Udendo però il ragazzo schiarirsi la voce però Kaen aprì di scatto gli occhi e girò la testa verso Gaara, che la osservava in silenzio con le braccia incrociate dietro la schiena. Era lui, il ragazzo che l’aveva presa al volo prima che si schiantasse a terra. Aveva degli occhi meravigliosi, una figura così aggraziata e ma di presenza che catturò immediatamente il suo sguardo. Era attraente.
«Buongiorno.»
Sgranò gli occhi quando il ragazzo le rivolse la parola. Aveva un tono di voce molto profondo, ma gentile.
«Ehm… Salve.» Non sapeva che dire, era patetica. Quel ragazzo le ricordava troppo qualcuno che aveva già visto, ma non poteva essere lui. Sarebbe stato meglio che non fosse lui. Gaara alzò leggermente un sopracciglio e guardò la ragazza. Stava decisamente meglio di prima, fortunatamente, ma aveva perso quel tono di voce che gli aveva mostrato in precedenza, prima di svenire.
«Sono il Kazekage, Sabaku no Gaara.»  A quel punto si aspettava qualcosa come un singulto spaventato o un urlo di paura, ma non avvenne nulla del genere. Piuttosto, Kaen era troppo sconvolta che proprio lui fosse il capo villaggio di Suna.
«Piacere Kazekage-sama, io sono Suzuki Kaen.»  D’altro canto, Kaen sapeva bene che lui non si sarebbe mai ricordato di lei, a meno che non lo avesse deciso lei stessa. «Sono sorpresa di vedere un ragazzo della mia età ricoprire la carica più alta del Paese del Vento. Deve essere davvero bravo, se è stato scelto fra tutti.» Accennò un sorriso in direzione del ragazzo, sinceramente sorpresa. Proprio quel Gaara era divenuto Kazekage del suo villaggio, non lo avrebbe mai detto.
Gaara non era abituato a ricevere degli elogi, nemmeno dai fratelli o dagli Anziani, quindi si ritrovò completamente spiazzato quando sentì le parole della ragazza. Nonostante fuori si mostrasse sempre pacato e tranquillo, dentro era confuso. Prima di tutto perché quella era la prima persona che lo trattava bene, oltre la sua allieva Matsuri, e che non aveva paura di lui per il suo aspetto per niente rassicurante o per la verità che celava dentro di sé. Secondo, perché non sapeva proprio come comportarsi con una ragazza; l’unica donna con la quale avesse mai parlato davvero era sua sorella maggiore, ma era tutta un’altra cosa. Lei, come suo fratello Kankuro, capiva i suoi silenzi e le sue occhiate, e sapeva anche capire quando era riconoscente o felice per qualcosa, o stava provando un sentimento particolare. Non c’erano bisogno di parole, loro semplicemente lo comprendevano, erano sangue del suo sangue.
Sicuramente lei non sapeva chi fosse e quale fosse il suo segreto, e in fondo ne era grato.
«G-grazie» aveva balbettato. Non sapeva cosa dire a quella ragazza, era troppo strana la sensazione che provava in sua presenza. Ingoiò il groppo che gli si era formato in gola e la guardò. Sembrava completamente a suo agio in sua compagnia, non era imbarazzata o presa dal panico. Era il momento giusto per porre alcune domande.
«Ti abbiamo trovate alle porte del villaggio, svenuta. Sapresti dirmi il perché?»
Kaen si morse il labbro indecisa. Dirgli che era una jinchuuriki era fuori discussione, quindi cosa avrebbe potuto rispondere? Optò per la verità, omettendo certi dettagli.
«Vengo dal Paese del Fuoco e sono nata in un villaggio minore poco lontano da Konoha. Sono andata via dalla mia casa per venire di mia spontanea volontà qui. Volevo… beh, mi chiedevo se potessi iniziare a vivere qui. E magari diventare anche una kunoichi di Suna.»
Era vero, era esattamente quello che aveva pensato prima di mettersi in viaggio. Suna era come una seconda casa per lei, aveva ricordi in quel posto che non poteva cancellare e trasferirsi lì era la cosa migliore da fare. Si reputò fortunata ad avere incontrato praticamente subito il Kazekage, l’unico che poteva esaudire il suo desiderio.
Gaara però non sapeva esattamente cosa rispondere, dato che non si aspettava una risposta del genere. In realtà, non sapeva se fidarsi o meno di quella ragazza. Però dagli occhi sembrava essere sincera, quindi perché non darle un’opportunità?
«Capisco. Come ti sei procurata questa ferita?»  Fece un cenno con le testa verso le gambe della giovane, ancora coperte dal leggero lenzuolo immacolato. Doveva prima sapere perché era arrivata lì in quelle condizioni, non era normale partire per un semplice viaggio e rimanere addirittura avvelenati. «Mentre venivo qui mi sono imbattuta in un gruppo di ninja traditori che mi hanno attaccata. Li ho bloccati tutti ma sono riusciti a ferirmi.» Non era vero, ma lo tenne per sé.
Mentre parlava però continuava a tenere gli occhi fissi in quelli del Kazekage. Erano davvero bellissimi e ipnotici e nonostante fossero freddi, lei riconosceva in quelle iridi acquamarina tanto dolore, come quello che aveva provato lei. Si forse il labbro inferiore nervosa, strusciando i piedi sotto le coperte. Le faceva uno strano effetto quel ragazzo.
Gaara non era uno sciocco, sapeva benissimo che ciò che la ragazza aveva detto non corrispondeva all'assoluta verità, ma voleva darle una possibilità e non indagò oltre. «Bene. Credo sia possibile esaudire la tua richiesta. Da domani sarai a tutti gli effetti una ninja del nostro villaggio.» Si alzò dalla sedia e si voltò verso la porta chiusa. Posizionò il cappello triangolare sulla testa, calcandolo bene, e si avviò alla porta per uscire, osservato attentamente da Kaen. I suoi movimenti erano eleganti e posati, davvero aggraziato per essere un uomo.
«Grazie mille, Kazekage-sama.» La ragazza sorrise riconoscente, aggiustandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. Gaara si sentì trafiggere la schiena da quello sguardo penetrante, e immediatamente si avvicinò alla porta per uscire ed allontanarsi da quelle strane sensazioni. Fece per aprire la porta, ma venne quasi travolto dall'uragano che era sua sorella maggiore.
«Tu sei Kaen, mi ricordo di te! » dichiarò sorpresa. Dopo ore passate a pensare chi fosse quella ragazza, era riuscita ad arrivare alla soluzione. E ne era rimasta sconvolta.
«Temari?»
 

 




N/a: e anche questo capitolo è stato revisionato.
Spero vi piaccia e non vi abbia lasciato troppi dubbi. Correte a leggere il prossimo, mi raccomando!

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Capitolo 3
*** III Capitolo ***


dreams of the desert.











 
III Capitolo.
 
«Come mai qui, Kaen?»  
Temari squadrò curiosa la ragazza stesa sul letto, spostando il peso dal piede destro a quello sinistro. Era cambiata tantissimo. L’ultima volta che si erano incontrate avevano rispettivamente sei e quattro anni. Certo, Kaen era molto piccola, ma le due erano diventate amiche praticamente subito.
La castana osservò bene Temari. Si ricordava fin troppo bene quella ragazza tutto pepe con cui aveva stretto amicizia nel breve periodo di tempo in cui si era trasferita a Suna, molti anni prima. Era stato quando il capo del suo villaggio aveva deciso di mandarla dal precedente portatore di Hiirowo, il suo demone, prima che lei nascesse. Essendo un uomo già abbastanza anziano, avevano deciso di comune accordo di liberarlo da quel fardello e subito dopo lui aveva lasciato il villaggio per esplorare il mondo negli anni di vita che gli rimanevano, non avendo creato legami con nessuno ed essendo libero di partire. Infine si era stabilito a Suna, doveva Kaen lo aveva raggiunto dopo poco per imparare quanto più possibile dell’ospite che albergava in lei da quattro anni a quella parte. Ci era rimasta per due anni, e al termine di quel periodo era tornata a casa sua, nel Paese del Fuoco.
Temari era diventata una sua cara amica e la adorava per questo, ma era stata costretta ad abbandonare quel luogo e da quel momento non si erano più riviste.
«Ho deciso venire qui a Suna per crearmi una nuova vita, perché…»  Distolse lo sguardo, perdendosi ad ammirare il paesaggio fuori la finestra e stringendo il leggero lenzuolo che la copriva. « … lo sai bene, il perché.» 
Era vero, Temari conosceva il segreto di Kaen. Lei stessa glielo aveva svelato durante la sua permanenza a Suna. Lo aveva fatto solo ed esclusivamente perché aveva scoperto lei e il maestro Tera che si esercitavano nel bel mezzo del deserto, e la ragazza si era vista costretta a darle delle spiegazioni circa le sue particolari abilità. La bionda non aveva fatto altro che ascoltare e non aveva detto nulla, oltre a rivolgerle un sorriso e a prenderla sottobraccio per andare a giocare. Dopo quel giorno non ne avevano mai più parlato. Kaen le era grata per quello, sapeva che non aveva rivelato il suo segreto a nessuno. Si fidava di Temari.
«Ho chiesto al Kazakage di poter rimanere qui e diventare ufficialmente una ninja del villaggio della Sabbia. Ha accettato.»  Sorrise, volgendo di nuovo lo sguardo sulla figura della ragazza di fronte a lei. Temari spalancò gli occhi sorpresa, per poi ghignare divertita.
«Quello scorbutico di mio fr-?»  Venne interrotta dall’aprirsi della porta, da dove sbucò il grande Sabaku no Gaara, avvolto nella sua tunica da Kazekage. Le aveva lasciate sole per discutere, ma mentre ripassava per il corridoio di quella stanza aveva sentito Kaen nominarlo ed era rimasto fuori la porta.
«Quindi io sarei scorbutico, sorella?» Chiese Gaara, calcando appositamente sull’ultima parola e fermandosi proprio dietro la bionda che, chissà per quale motivo, si era pietrificata.
La suddetta si girò molto lentamente, cacciando fuori un sorrisetto nervoso. Sbatté un paio di volte le palpebre guardando il rosso, calmissimo, di fronte a lei.
«Kazekage-sama?» Cercò di rabbonirlo utilizzando il titolo di cui faceva vanto, ma subito dopo gli diede una gomitata amichevole sul fianco e gli sorrise. «Suvvia, devi ammettere che il tuo carattere non è il più amichevole del mondo.» Il fratello la ignorò di proposito.
«Voi due vi conoscete già, giusto?»  Chiese Gaara leggermente divertito, continuando a tenere gli occhi fissi in quelli della ragazza stesa sul letto. Quest’ultima cercò di tenere anche lei gli occhi saldi in quelli acquamarina del rosso, senza successo. Distolse lo sguardo, imbarazzata, ma ordinò a se stessa di non arrossire. Quegli occhi erano così strani. Strani, ma terribilmente affascinanti.
Kaen spostò nuovamente lo sguardo sul Kazekage e fece per aprire bocca e rispondere alla domanda di Gaara, ma si bloccò a fissare il kanji rosso fuoco sulla fronte del ragazzo. Amore? Perché si era tatuato sulla fronte quel kanji? Non sapeva la risposta, ma lo avrebbe scoperto. Non lo aveva quando lasciò il villaggio, dieci anni prima. Tenne gli occhi verde smeraldo bloccati su quello strano tatuaggio, con la bocca leggermente dischiusa. Gaara se ne accorse, così abbassò un po’ la testa, facendo in modo che un ciuffo rosso andasse a coprire quel simbolo. La ragazza avrebbe voluto protestare, dire che era davvero un bellissimo kanji e che non avrebbe dovuto nasconderlo, ma si trattenne, mordendosi nuovamente il labbro inferiore.
«Sì, ci siamo conosciute molti anni fa, quando eravamo entrambe molto piccole.» Si mantenne vaga, tenendo lo sguardo basso senza il coraggio di guardare Gaara negli occhi. Troppo profondi e indagatori. Sembravano scrutare la sua anima, carpire i sentimenti nascosti in essa e che mai avrebbe voluto svelare a qualcuno.
Gaara annuì leggermente e decise di non indagare, lanciando un’occhiata a Temari, che ricambiò lo sguardo e annuì a sua volta. Si girò verso la porta, tenendo in mano il cappello triangolare da Kazekage, e fece per uscire. «Se hai bisogno di qualcosa fammelo sapere.» E si lasciò alle spalle quella donna e le strane sensazioni che gli provocava, seguito dallo sguardo malinconico della sorella.
La bionda si voltò rapidamente verso Kaen, che si stava versando dell’acqua nel bicchiere posto sul comodino di fianco a lei ed evitava di guardarla, colpevole.
«Secondo me dovresti dirglielo.» Affermò una volta certa che il rosso si fosse allontanato dalla stanza.
La ragazza prese un sorso d’acqua, per poi poggiare il bicchiere sul comodino e posizionarsi meglio sul cuscino morbido, posando lo sguardo dappertutto tranne che sull’amica. Non avrebbe mai potuto ricordargli cosa aveva fatto mentre era ancora al villaggio della Sabbia, l’avrebbe odiata per sempre. L’odio che provava per se stessa le bastava eccome. «Non posso, ho fatto una cosa orribile e tu lo sai.»
«Certo che lo so, ma preferisci davvero che le cose restino così? Sappiamo entrambe che non riguarda solo la tua condizione di jinchuuriki. Gaara capirebbe.»
«Oltre quello, come fai a dire che non mi odierà per ciò che sono? Sono un mostro.» Sussurrò affranta, nascondendo il viso tra le mani. Temari le accarezzò i capelli affettuosamente e sospirò. «Fidati di me.»
Kaen allontanò le proprie mani e alzò gli occhi al cielo. Che diamine avrebbe dovuto fare? Temari diede un buffetto alla ragazza ed uscì dalla stanza, lasciandola sola con i suoi pensieri.
Gaara. Era un bellissimo nome, come colui che lo portava. Il ragazzo non sapeva della sua condizione, così come lei non sapeva della sua. Temari aveva evitate di parlarne l’uno con l’altra perché sapeva che era un argomento che dovevano affrontare da soli, ma sapeva altrettanto bene che si potevano capire meglio di chiunque altro. Solo che Kaen era estremamente cocciuta e non ne voleva sapere, e come se non bastasse Gaara non ricordava nulla della castana. E lei sapeva perché. Ma non voleva assolutamente che quegli occhi acquamarina la guardassero con rabbia o peggio, con disprezzo. Lui era così bello e lei invece era così semplice e anonima, e per di più di aveva fatto un torto enorme
Si infilò le mani tra i capelli, scuotendoli all’impazzata. Perché pensava certe cose? Non doveva assolutamente. Ormai lui era il Kazekage, ricopriva la carica più alta di tutto il paese e non stava bene che lei provasse certi sentimenti per lui. Che poi, non era nemmeno tanto attraente.
Kaen spalancò gli occhi e si tirò di scatto a sedere, sconvolta. Che eresia, lui era fin troppo affascinante. Bello da mozzare il fiato, con quella pelle diafana, meravigliosa. I capelli rossi, all’apparenza soffici come la neve. Si ritrovò a pensare di voler passare una mano fra quella capigliatura rosso cremisi, per saggiarne la morbidezza. E gli occhi, la cosa che più la colpivano. Erano bellissimi, certo, ma così strani. Avrebbe tanto voluto affibbiare a quegli occhi l’aggettivo ‘limpidi’, perché quel colore era limpido, ma non poteva. Era opachi, come ricoperti da un velo di polvere. Sembravano occhi che mai avevano provato la felicità, la spensieratezza, l’amore. Presentavano, nel profondo, una ferita che mai si era rimarginata. Ancora fresca e pulsante, che facilmente avrebbe causato dolore. Non era mai stato così distaccato nei confronti del mondo, da bambino era tanto dolce quanto triste, ma sempre pronto a sorriderle.
Kaen avrebbe voluto tanto sapere cosa aveva fatto Gaara in tutti quegli anni. Cosa gli era capitato?
 
 
 
«Bene… allora?»
«Mh?»
«Gaara!»  Si lamentò Temari mentre camminava accanto al fratello per i lunghi corridoi del palazzo del Kazekage. Il rosso le dava terribilmente sui nervi quando si comportava in modo così noncurante. Come se non gli importasse di nulla. Si divertiva, lei lo sapeva, a vederla andare in escandescenza. Anche se non lo diceva chiaramente, gli occhi gli brillavano di divertimento quando si posavano sulla sorella che lo sgridava, arrabbiata.
Gaara sospirò. « Riformulo la domanda: allora cosa, Temari?»
La bionda ringhiò sommessamente, lanciando un’occhiataccia al fratellino e accelerando il passo per raggiungere, dato che l’aveva superata. «Kaen. Che mi dici di lei?»
«Kaen?» Chiese, mantenendo lo sguardo inalterato. «Non saprei nemmeno cosa dirti.»
Temari trasalì. «Quindi è proprio vero che non ricordi…» Sussurrò pensierosa, continuando a camminare. Che rabbia gli faceva venire quella situazione, era assurdo. Tutta colpa di quella ragazzina stupida se ora Gaara non si ricordava di lei, ed era pure sicura che ci era rimasta male! Ma cosa pensava? Era stata lei a rimuovere dalla testa del fratello il ricordo della sua persona e della sua permanenza  a Suna.
«Che nervoso che mi fa venire!» Pestò un piede per terra, adirata. I ninja che gironzolavano per quel corridoio sussultarono e si allontanarono immediatamente dalla temibile sorella del loro Kazekage.
«Non urlare.»
«Io invece urlo eccome, Gaara! Sono la sorella maggiore del Kazekage e ho tutti i diritti di questo dannato paese, chiaro? Se voglio urlare, urlo! Se non voglio, non lo faccio! Non dirmi quello che devo o non devo fare!»
Il rosso la osservò, impassibile. Non sapeva perché la sorella fosse così nervosa, ma sapeva bene che si sentiva strano in compagnia di Kaen. Era come se la conoscesse e ne era attratto, e anche per questo cercava sempre di guardarla negli occhi. Ma lei li distoglieva sempre ed era un gesto che feriva Gaara, perché odiava che la gente non riuscisse a guardarlo negli occhi perché spaventata da lui. Sperava che almeno Kaen non avesse la stessa reazione, che non fosse anche lei spaventata dai suoi sguardi, soprattutto perché era evidente che non conoscesse la sua storia. Ma era strano. Perché aveva questo desiderio, riguardante poi una ragazza appena conosciuta? Sospirò frustrato e un paio di occhi color smeraldo si intrufolarono nella sua mente, silenziosi.
«Va bene, mi calmo.»  Sussurrò Temari lasciando proseguire Gaara, che si affrettò ad avviarsi verso il suo studio. La bionda lo seguì a ruota, tenendo il suo passo.
«Devo dirti una cosa, fratellino.» 
Quando lo chiamava in quel modo non c’era niente da stare tranquilli. La kunoichi tossicchiò, portandosi anche un pugno alla bocca molto teatralmente.
«Sai… ho saputo che non ci sono case libere al villaggio.»
Ridacchiò malignamente, osservando di sottecchi il fratello che non aveva mostrato il minimo interesse per quell’argomento. Ma che diavolo voleva oggi Temari?
«Allora?» Chiese Gaara, del tutto disinteressato e impegnato a velocizzare il passo per raggiungere il suo studio. Era in ritardo, doveva assegnare le missioni ai vari team e firmare ancora un mucchio di pratiche, ci mancava che la sorella gli facesse perdere tempo prezioso in inutili chiacchiere.
Temari sorrise di nuovo e incrociò indifferente le mani dietro la schiena, rallentando il passo.  «Beh, sai… dovremo dare un posto dove stare a Kaen.» Finì lei, aggiustandosi con nonchalance uno dei quattro biondissimi codini. Gaara si fermò, girandosi verso la sorella. La guardò in attesa, aspettando il continuo.
Temari ghignò e raggiunge il rosso, mettendosi a braccetto con lui e trascinandolo via.  
«Dovrà venire a vivere qui con noi. Non sei contento?»
Non avrebbe continuato a vedere Kaen soffrire per la sua testardaggine e tantomeno avrebbe lasciato Gaara nella convinzione che la castana fosse una sconosciuta per lui. Doveva fare qualcosa in modo da risolvere tutto. E ci sarebbe riuscita, parola sua. Bastava solo una piccola spinta.

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Capitolo 4
*** IV Capitolo ***


dreams of the desert.











 
IV Capitolo.
 
«Le ho detto che sto bene! Posso uscire, ora!» continuò ostinata Aoi, ignorando le proteste del ninja medico.
«N-non credo sia possibile, signorina» si scusò il ninja intimorito. «E’ stata avvelenata con una tossina molto potente e, nonostante le abbia somministrato l’antidoto, le occorrono almeno due settimane di riabilitazione» concluse esperto, posizionando meglio gli occhiali sul naso.
Kaen sbuffò e girò stizzita la testa di lato.
«Non faccia così, Suzuki-san. Lo dico per il suo bene» cercò di persuaderla. «E perché Temari-san mi ucciderebbe se la lasciassi andare…» terminò sottovoce, mentre un brivido gli correva lungo la schiena minuta.
 
 
 
«E si assicuri che si sia rimessa nel migliore dei modi, dottore» sibilò Temari minacciosa.
Il ninja trasalì e indietreggiò di un passo.
«C-certo, Temari-sama. Non si preoccupi e lasci fare tutto a me» la rassicurò spaventato, cercando di essere quanto più convincente possibile. Per quanto lo sguardo terrificante di Temari potesse permetterglielo, ovviamente.
«Sono felice di sentirlo, e ricordi anche che so dove abita» sorrise, e al povero ninja sembrò che avesse una lingua biforcuta, da serpente.
 
 
Il ninja medico non metteva in dubbio che Temari-sama avesse le migliori intenzioni quando l’aveva gentilmente minacciato, dopo averlo trascinato molto cordialmente nello stanzino degli strumenti medici. Sapeva che la sorella del Kazekage aveva a cuore la salute della ragazza ricoverata, e che desiderava che ricevesse le migliori cure, ma in quanto maniere di persuasione era davvero pessima. Avrebbe indubbiamente potuto chiederglielo in modo più cortese. Lui non si sarebbe comunque mai permesso di negare le sue più totali attenzioni alla più cara amica di Temari-sama, ma evidentemente l’ambasciatrice di Suna era convinta di essere decisamente più convincente nelle vesti di ragazza assatanata e pronta a prendere a morsi il primo che capita.
«Lo so che lo fa per il mio bene, ma le ho detto che non potrei stare meglio di così!» insistette Kaen, dimenandosi nel letto dell’infermeria.
«Non vedo come sia possibile una sua guarigione così immediata, Suzuki-san. » borbottò il medico avvicinandosi all’armadietto dei medicinali. Estrasse dal suo interno una boccettina colorata piena di pillole ovali, che non rassicurarono per niente Kaen. Odiava le medicine, detestava le pillole.
Ne porse paziente una alla ragazza nel lettino che, dopo un po’ di titubanza, la prese e la ingoiò, trangugiando insieme l’enorme bicchiere d’acqua che le diede successivamente il ninja.
«Lo so io il motivo della mia precoce guarigione, signor…»
«Yatori» le suggerì rassegnato. Nessuno ricordava mai il suo nome.
«Yatori-san.»
«Prendiamo che lei abbia davvero una spiegazione per il suo ristabilimento, Suzuki-san. Potrei sapere qual’è?» chiese, osservandola con un cipiglio curioso.
Kaen si pietrificò e assunse una tonalità cadaverica, che fece seriamente preoccupare il ninja medico. Forse la sua salute stava peggiorando, secondo le sue malaugurate previsioni? E ricordi che so dove abita, dottore...
La ragazza si mise sulla difensiva e si chinò come a proteggersi. Abbassò il capo e fissò un punto imprecisato del letto, artigliando il lenzuolo candido.
«Non credo sia affari suoi» mormorò cupa, stringendo i lembi del lenzuolo fino a che le nocche non divennero bianche.
Non avrebbe mai rivelato a quello stupido medico di essere la jinchuuriki del Dodeacoda, e che quindi il suo sangue eliminava qualsiasi impurità gli si riversasse dentro. Non importava quanto letale, non sarebbe mai morta per mano di un veleno, né per dissanguamento. Per lei era la normalità. Certo non era immortale, ma il sangue era il suo punto forte. In fondo era quello il potere principale di Hiirowo, il demone soprannominato “Sangue maledetto” nel suo villaggio.
Il medico avrebbe reagito come tutti, urlando e strepitando, spaventato da quello che era e quello che aveva dentro. Successivamente l’avrebbero catturata e rinchiusa, probabilmente perché credevano potesse essere un pericolo per il villaggio, e sicuramente l’avrebbero torturata, provando gusto a vedere soffrire un essere innaturale come lei.
Così sarebbe stata costretta ad essere rinchiusa in una barriera a prova di jinchuuriki, così da non farla scappare. Forse stava diventando un po’ troppo drammatica, ma in ogni caso custodiva gelosamente il suo segreto e non era di certo un ninja qualsiasi la persona in grado di farla aprire.
Il medico continuò a guardarla per qualche secondo, indeciso sul da farsi. Dopo attimi di incertezza sospirò e decise di chiudere lì la questione, capendo che probabilmente era una questione troppo intima e personale per parlarne con uno sconosciuto quale lui.
Si passò una mano fra la zazzera corvina e sulle sue giovani labbra si increspò un sorriso comprensivo.
Kaen, non sentendo altre parole, alzò lentamente la testa e si ritrovò a fissare stranita il sorriso comprensivo e indulgente formatosi sulle labbra del giovane. Assottigliò gli occhi e lo trafisse con lo sguardo.
«Non mi guardi così» ordinò decisa, stringendo le labbra.
«Come la sto guardando?» chiese il giovane sulla trentina, mantenendo la sua posizione. Si torturò le mani, un po’ inquieto.
«Non mi guardi come sta facendo ora. Come se capisse.»
Il dottore indugiò e puntò i suoi occhi scuri in quelli della paziente, fermo nella sua decisione di continuare a far luce sull’arcano.
«Oh, io credo di capire molto bene, invece» la provocò, e si stupì di se stesso per il comportamento sicuro che aveva assunto. Non era decisamente una sua peculiarità, quella.
«No che non capisce, dottore» rispose candidamente Aoi, strascicando l’ultima parola.
Non era il suo modo di comportarsi quello, ma quando toccavano tasti dolorosi e difficili da accettare il suo lato più oscuro e sconosciuti veniva fuori. Non avrebbe voluto, ma non era a suo comando, non decideva lei -non decideva mai niente che la riguardasse, lei-. Era un tratto istintivo che veniva fuori quando si sentiva minacciata, quando minacciavano, seppur inconsapevolmente, il suo segreto. E ciò a cui teneva.
«Perché non prova a spiegarmelo, allora?»
«Perché non si è specializzato in psicologia se voleva tanto inoltrarsi nella psiche dei suoi pazienti, mh?» lo azzittì lei impertinente, cercando un modo per concludere definitivamente la questione. Cosa che sarebbe dovuta succedere prima, d’altronde. Si era già esposta troppo, secondo i suoi gusti.
L'uomo si ritrasse, scottato da quegli occhi smeraldini infuocati. Era un metodo di difesa, quello. Mettere all’angolo la possibile minaccia e rigirare il coltello dalla sua parte, per metterlo al tappeto. Lei si sentiva minacciata da lui, ma perché? Lui non la stava davvero minacciando, era solo un modo per conoscere i motivi del suo stare sulle proprie e per provocarla un po’, giusto per osservare la sua reazione. Era come se si sentisse braccata, e quindi doveva trovare una via d’uscita, rapida e sicura. Cosa le era successo in passato per farla comportare così davanti alle presunte minacce? Cosa nascondeva di tanto importante?
«Va bene, può andare. E se le succede qualcosa non me ne assumo le responsabilità, intesi?» si arrese, firmando abbattuto la cartella per le sue dimissioni.
Un sorriso sollevato si formò sulle labbra di Kaen.
 
 
 
 
 
Temari, seduta sul letto della nuova camera di Kaen, fissava la sua amica con un’ espressione fintamente scandalizzata.
«Sei spregevole, sai?»  affermò Temari. «Non ti senti minimamente in colpa per quel povero ninja medico che voleva solamente aiutarti?» finse, portandosi teatralmente una mano al cuore.
Kaen ridacchiò, compiaciuta.
«Lo so, ma ti vorrei ricordare che», la indicò fintamente accusatoria, «anche tu lo hai minacciato. Non credere che non lo sappia» concluse, incrociando soddisfatta le braccia sotto il seno.
«Mah» sillabò Temari, facendo leva con le mani per spingersi verso la ragazza. «Avevo delle ottime motivazioni» precisò offesa, stringendo l’elastico di uno dei codini biondi che stava per cedere.
«Anche io» asserì calma Kaen, terminando di piegare i suoi nuovi abiti. «Ma ero più giustificata, comunque» commentò piano, suscitando l’ilarità della bionda.
«Che c’è, vuoi fare a botte?» scherzò Temari, porgendole una busta colorata all’amica.
«No, per carità, rischierei di farti molto male» rise la castana, prendendo la busta e chiudendo con una fiancata l’anta dell’armadio.
«E ora cosa c’è qui dentro, altri vestiti?» si lamentò esasperata, iniziando ad aprirla.
Poco prima erano andate insieme in giro per Suna, in cerca di qualche abito adatto a Kaen. La ragazza era di gusti difficili, quindi non aveva intenzione di farsi consigliare. Temari, d’altronde, non andava particolarmente a braccetto con la moda, quindi fu più che felice di accompagnare e non consigliare la sua amica. I suoi gusti, poi, erano decisamente differenti da quelli di Kaen.
Dopo ore di estenuante cammino - sì, anche per delle kunoichi come loro - avevano fatto scorta di abiti che, mediamente, sarebbero bastati per l’intero anno.
Nonostante la stanchezza, però, erano tornate al palazzo del Kazekage soddisfatte e contente.  Era da un’intera vita che non si sentivano così appagate, libere di girare per il villaggio fianco a fianco e fare ciò che preferivano.
«In realtà no» bofonchiò la kunoichi di Suna. «E’ un regalino. Da parte mia.» Arrossì leggermente, imbarazzata.
Aoi assunse un’aria sorpresa, sorridendo scherzosa, e si appoggiò all’armadio chiuso.
«Non ci credo. Temari, la Leonessa del Deserto, che fa un regalo? Questa è da segnare sul calendario, gente» la punzecchiò amichevolmente, infilando una mano nella busta. Un rumore metallico arrivò dal suo interno. La bionda trasalì a quel soprannome strano, ma indubbiamente azzeccato.
«Guada che me lo riprendo» minacciò Temari, sbirciando la sua reazione.
La jinchuuriki scosse la testa ed estrasse curiosa un coprifronte di Suna dalla busta, osservandolo senza riuscire a spiccicare parola.
«Oh» riuscì solamente a sussurrare, piacevolmente sorpresa.
«Sono riuscita a procurarmelo con grande fatica, sai. Di solito se ne riceve uno solo quando si supera l'esame all'Accademia» puntualizzò la ninja di Suna, alzandosi e posizionando le mani sui fianchi. Scrutò la ragazza di fronte a lei, che osservava con gli occhi smeraldini spiritati il regalo.
Non dava segni di aver sentito. Temari si avvicinò, lievemente preoccupata.
«Tutto bene?» Poggiò una mano sulla spalla di Kaen, che aveva abbassato il capo facendo in modo che il viso venisse coperto in parte dai capelli nocciola.
La neo-ninja di Suna girò di scatto la testa, osservando ostinatamente il muro color sabbia. Evidentemente scarseggiavano di fantasia, nel palazzo del Kazekage. Tutto era di quel colore così noioso.
«Non mi guardare, mi vergogno» sussurrò in imbarazzo. Le sue gote avevano assunto un grazioso color pesca, che spiccava molto sulla sua pelle poco abbronzata. Temari ridacchiò, allietata.
«Ehi, non ti facevo così emotiva.»
«Non lo sono, te lo giuro» assicurò, strofinandosi le guance per nascondere il rossore. «E’ solo che è la prima volta che mi fanno un regalo così bello» spiegò. Lo sguardo si rabbuiò per qualche secondo.
Si legò con gesti lenti e precisi il coprifronte al braccio, con lo sguardo lontano. Temari la guardavano comprensiva, cercando un modo per consolarla.
Gli occhi smeraldini di Aoi incontrarono quelli della ragazza più grande, e lo sguardo si indurì di biasimo.
«Non mi guardare così anche tu, Temari» ordinò, in un comando che sapeva più di supplica disperata.
Odiava gli sguardi di quel tipo, e li odiava ancora di più se erano rivolti a lei.
Erano pochi quelli che glieli rivolgevano, ma facevano male. Erano sguardi di comprensione, di indulgenza, di compassione. E lei non voleva essere compativa, per nessun motivo.
Era come se la targassero come debole, una persona da consolare, di cui capivano il dolore. Ma loro non capivano, nessuno capiva mai davvero.                                                                                            Avevano solo pietà di lei e la facevano sentire inutile e indifesa, incapace di strappare quel timbro impresso nel suo cuore. Il dolore e la sofferenza, che pulsavano come fossero ferite mai guarite e rimarginate. Non completamente, almeno.
Forse era vero, lei non era capace di estirpare il dolore radicato nel suo cuore, ma che importava? Riusciva a conviverci e non aveva mai provato il desiderio di compiere un’azione sbagliata solo per sentirsi meglio e più viva di quanto non fosse.
Non aveva bisogno della compassione di nessuno, non se voleva stare bene.
«Così come, Kaen? Come se capissi?» ringhiò Temari lentamente e a tono basso. «Ti posso assicurare che capisco, e anche bene. Certo, non avrò provato il tuo stesso dolore, ma anche io ho sofferto, sai? Per la mia famiglia, per la mia condizione, per la condizione dei miei fratelli. E soprattutto la sua condizione. E si tratta dei miei fratelli minori, Kaen. Quelli che avrei voluto proteggere e che avrei voluto non soffrissero. » soffiò piano, perdendo lentamente la decisione con cui era partita.
Kaen alzò lo sguardo e lo puntò nei suoi occhi, che celavano allo suo stesso modo un dolore che mai era appassito, seppur fosse meno tagliente di quello della jinchuuriki.
«La sua situazione? Di Gaara?» chiese la ragazza in un soffio. Il solo pensiero il Kazekage potesse aver sofferto le faceva pesare il cuore come un macigno. Sapeva che non aveva avuto un’infanzia felice, che era solo come lo era lei, ma non aveva mai saputo bene il perché. Non avevano mai parlato molto.
«Già, ma non credo spetti a me parlartene. Un giorno arriveranno le risposte che aspetti» rispose pragmatica la bionda, avviandosi verso la porta.
«Cosa?»
«Magari quando di deciderai a fare quella cosa? Dopo sono sicura che diventerete più intimi» le suggerì uscendo e chiudendosi la porta alle spalle, con un sorrisetto consapevole increspato sulle labbra. Kaen avvampò, diventando paonazza, e infilò le mani fra i capelli, agitandole.
«Intimi noi? Non lasciarmi così, stupida Temari» sospirò avvilita, buttandosi a peso morto sul letto comodo e lasciandosi cullare dal suono del vento forte che tirava, con mille domande in testa. Due freddi occhi acquamarina si fecero spazio a forza nella sua mente, catturando tutta la sua attenzione e impedendole di cadere fra le braccia di Morfeo. Forse era davvero la decisione giusta da prendere, ma aveva paura.
 
 
 
 
 
«…e successivamente, Kazekage-dono, dovrebbe inviare una squadra di supporto per quella che è al momento sul campo, dato che hanno riscontrato degli ostacoli sul loro cammino e non sono nelle condizioni di continuare da soli… »
«E non si dimentichi di avere queste pratiche da leggere e firmare, sono estremamente importanti per…»  
«… inoltre dovrete presenziare in un villaggio poco distante da qui. Capirete la necessità di rassicurare tutti gli abitati del Paese con la vostra presenza, Kazekage-dono, in quanto...»
Gaara ascoltava, attento, senza perdersi neanche una parola di quello che gli Anziani di Suna gli stava illustrando, ma la sua pazienza era al limite e man mano che il tempo passava, più difficile diventava rimanere concentrato sul vociare confuso degli uomini che lo circondavano.
Poggiò le mani sul tavolo che utilizzavano per le riunioni e si alzò, composto, mentre gli sguardi si catalizzavano su di lui e il chiacchierio incessante finalmente terminava.
Si lasciò sfuggire un sospiro leggero che nessuno udì e si tolse calmo il copricapo da Kazekage.
«Con tutto il rispetto, credo possa bastare per oggi. Provvederò a tutto, Anziani» assicurò Gaara osservando uno ad uno i vecchi. «Dichiaro la riunione conclusa. Potete congedarvi»  concluse pacato, aspettando paziente che tutti gli Anziani uscissero per poter allontanarsi a sua volta da quella stanza che gli dava l’impressione di star soffocando.
Uscì anche lui, lento, e si diresse verso il suo ufficio, attraversando uno dei tanti corridoi del suo Palazzo.
Gli faceva ancora uno strano effetto indicare come suo quel Palazzo, il Palazzo del Kazekage. Gli sembrava davvero impossibile aver raggiunto una tale livello. La carica più alta del Paese del Vento, lui.
Proprio lui, che pochi anni prima era considerato l’arma del Villaggio, un assassino condannato ancor prima di nascere.
Da mostro disgustoso e disprezzato da tutti era passato a Capo Villaggio, importante e indispensabile per la sua patria.
Certo, le sue colpe erano sempre lì, presenti come un segno indelebile, e sicuramente c’erano ancora molti abitanti che lo disprezzavano per quello che era, ma aveva raggiunto un livello a cui ambiva solo nei suoi più remoti sogni.
Non poteva dissentire, in ogni caso. Tutte le morti che aveva causato e il dolore e il terrore che aveva procurato negli animi delle persone erano ancora lì, facendogli presente che non bastava essere Kazekage perché tutte le azioni sbagliate sparissero.
D’altronde, un mostro era e un mostro rimaneva, nonostante tutto. Un mostro rivoltante che si odiava con tutto il cuore. Un mostro incapace di amare altri se non se stesso.
Si chiuse nel suo ufficio, solo con i suoi sensi di colpa e con il risentimento verso se stesso. Unico conforto due occhi smeraldini che non lo osservavano con disgusto, come tutti gli altri.
E che sperava, nei meandri del suo essere, non facessero mai.
 
 
Kaen…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N/a: ecco l’ultimo capitolo revisionato dopo la pausa di ben cinque anni.
Il prossimo è quello nuovo, scritto oggi!
Volevo giusto ringraziare la persona che in una delle recensioni vecchie mi ha consigliato il nuovo nome della protagonista, che prima era diverso. Questo mi piace di più, e per questo mille grazie!
Stessa cosa per chi ha recensito i capitoli prima che io li modificassi, mi dispiace che ora non si adattino più tanto bene alle modifiche che ho fatto, ma spero che qualcuno di loro anche a distanza di anni continui a leggere e recensire, sarebbe bello!
Termino qui, grazie a tutti.                                             

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Capitolo 5
*** V Capitolo ***


dreams of the desert.













V Capitolo.

Kaen mugugnò assonnata, rigirandosi nell’enorme letto a due piazze della sua stanza. Il leggero lenzuolo bianco che la copriva cadde, lasciando intravedere le morbide forme sotto il pigiama. Sbadigliò rumorosamente, affondando il viso nel grande cuscino.
Dopo qualche minuto, dato che il sonno era completamente sparito, si mise a sedere faticosamente, aprendo entrambi gli occhi molto lentamente e stiracchiandosi per bene, pronta ad alzarsi dal letto.
Si guardò intorno intontita dalla lunga dormita, per poi poggiare i piedi sul pavimento freddo e venire scossa da un brivido. La notte nel deserto era decisamente più fresca del giorno, ma non poteva che esserne felice, con il caldo tremendo che persisteva tutta la giornata. Non ne era abituata, e molto spesso si rifugiava in un posticino all’ombra per riprendesi dalla calura.
A piedi nudi si avviò al bagno, pronta per una bella doccia rinvigorente. Si spogliò velocemente, buttando a terra il pigiama e sgusciando sotto il getto tiepido della doccia. Passò sotto l’acqua quasi venti minuti, ma dopo poco era già con i capelli asciutti e vestita con la sua solita tenuta ninja.
Uscì dalla camera e si avviò svelta lungo il corridoio, sebbene fosse ancora un po’ assonnata. La notte precedente ci aveva messo anni prima di addormentarsi, e il motivo lo sapeva anche troppo bene.
Era lo stesso motivo che in quel momento stava arrivando dalla parte apposta alla sua, elegante e pacato, come sempre lo aveva visto. Non aveva potuto evitare di pensare a lui praticamente tutta la notte, del modo in cui la guardava, le sorrideva impercettibile o le rivolgeva una parola gentile. Lui era lì con lei, praticamente un uomo fatto e finito, o quasi, e lei non poteva fare altro che osservarlo senza fare nulla. Era indubbiamente frustrante, ma il solo averlo vicino la rendeva felice.
«Kazekage-sama, buongiorno» salutò allegra Kaen, venendo subito ricambiata da un leggero cenno del capo da Gaara.
«Buongiorno, Kaen. Hai dormito bene?» Adorava pronunciare quel nome, sebbene fosse una cosa strana per lui. Kaen. Fiamma. Lei era proprio come il fuoco, lo infiammava ogni volta che gli rivolgeva un sorriso. Ancora doveva capire il perché reagisse in quel modo, come se il suo corpo rispondesse alla presenza di quella ragazza.
«Benissimo, grazie. E lei?»
Gaara esitò qualche secondo prima di rispondere. «In verità, io non dormo mai» ammise, all'apparenza calmo come sempre. Non sapeva come avrebbe reagito a quella confessione, nessuno lo sapeva oltre i suoi fratelli. Il suo demone gli impediva praticamente di chiudere occhio, causandogli un’insonnia senza fine che lo perseguitava fin da quando era bambino. Semplicemente non riusciva a dormire. In caso ci fosse riuscito, Shukaku avrebbe preso possesso del suo corpo in quelle ore in cui normalmente avrebbe dovuto abbassare le difese e la sua volontà sarebbe stata repressa, liberando il demone.
Kaen spalancò gli occhi sorpresa, mentre si formava sul viso un’espressione interrogativa. «Lei non dorme? Perché?» chiese curiosa, sporgendosi involontariamente verso Gaara, il quale si ritrovò senza volerlo ad arretrare di un passo.
«Beh…» cosa dirle? Che era il jinchuuriki di un mostro? Che lui stesso lo era? Non in quel momento, non in quel modo. Dentro di sé era ancora troppo preoccupato dalla reazione che la ragazza avrebbe potuto avere per dirle a cuor leggero che era il portatore del demone a una coda, perché sapeva bene che fra tutti l’Ichibi era il più instabile dei nove e per questo uno dei più spaventosi. Almeno, era sempre stato così per le persone che lo avevano circondato negli anni passati.
«Non si preoccupi, se non vuole rispondere non è obbligato. E’ pur sempre il Kazekage!» ridacchiò Kaen, mentre il rosso si sentì decisamente più sollevato, libero di mettere da parte quel problema che lo assillava. In realtà la mora era fin troppo curiosa di sapere la risposta, ma aveva notato l’insicurezza che aveva colpito Gaara e non voleva fargli pressione. Con il tempo, avrebbe risolto tutti i misteri che avvolgevano la figura del Kage.
«Ti ringrazio per la comprensione. Dove stai andando? »
Lo stomaco della castana brontolò e le sue guance si arrossarono di botto. Si coprì la pancia e sbuffò, scusandosi. «In cucina per mangiare qualcosa, anche se ancora non ricordo bene dove sia…» si mise una mano sulla nuca, imbarazzata. Stava andando alla ceca per trovare la cucina e Gaara era capitato proprio a fagiolo. Certo, non poteva dire di non essere trasalita vedendolo, mentre nella stomaco sentiva una stranissima sensazione, come se fosse in subbuglio, ma la fame aveva avuto la meglio ed eccola lì.
Gaara accennò un sorriso rilassato. Quella ragazza era assurda. «Infatti la cucina è dalla parte opposta. Io ci sto andando, se vuoi seguirmi» disse, superandola e incamminandosi tranquillamente. Sentì i passi della ragazza alle sue spalle.
«Oh, la ringrazio. Credevo di morire di fame!»
Una ventina di stanze dopo si ritrovarono davanti ad una porta dipinta di un rosso molto chiaro, mentre tutte le altre erano di uno smorto beige, da dove proveniva un odore invitante e strani rumori di pentole che cozzavano tra di loro.
«E anche oggi mia sorella si cimenta nella grande arte che è la cucina» fece Gaara aprendo la porta ed entrando, seguito da una zampettante Kaen che non vedeva l’ora di mettere qualcosa sotto i denti. In realtà, Temari non era tanto male ai fornelli, probabilmente essendo l’unica donna facente parte della sua stessa famiglia si era dovuta arrangiare, eppure era sempre capace di combinare qualche guaio con la sua irruenza.
«Mi cimenterò anche nella cucina, ma non puoi non ammettere che me la cavo!» brontolò infatti Temari puntando un mestolo in legno a pochi centimetri dal viso del fratello, il quale lo spostò piano con un dito, senza rispondere.
«Questo lascialo dire a noi, Tem.» Un’altra voce, più vivace di quella di Gaara ma meno rumorosa di quella di Temari arrivò dal tavolo, dove poco dopo Kaen si fiondò, sorridendo emozionata.
«Kankuro! E’ da un sacco che non ci vediamo!» lo salutò la kunoichi abbracciando stretto, mentre questo arrossiva sotto il trucco violastro.
«K-Kaen! Così mi soffochi.» La ragazza allentò la presa. «Mi dispiace non averti salutata prima, ma ero in missione e sono tornato solo ieri. Sono felice di sapere che rimarrai qui con noi» rispose Kankuro, entusiasta. Era davvero da una vita che non la vedeva e doveva ammettere che era diventata davvero molto più bella di come la ricordava. Quella bambina così sorridente nonostante tutto, ma infinitamente sola. La ammirava, era riuscita in quello cui molti jinchuuriki non riuscivano, primo fra tutti suo fratello. Sorridere e guardare la vita con speranza, resistendo e non lasciandosi mai sommergere dall’odio e dal dolore.
Quello stesso fratello che ora provava una sensazione fastidiosa alla bocca dello stomaco, come se stessero violando una cosa che gli apparteneva. E, chissà perché, non riusciva a distogliere lo sguardo acquamarina dalla figura di Kaen e Kankuro abbracciati. Così vicini e così intimi.
Temari tossì per attirare l’attenzioni di tutto il gruppo e poggiò di fronte a tutti la colazione, soddisfatta. «E’ o non è il piatto più bello che abbiate mai visto?» In verità, la ragazza aveva preparato la solita cosa che cucinava ogni volta che facevano colazione. Kankuro sbadigliò.
«Tem, è lo stesso di ieri» sussurrò Kaen divertita, mentre si accomodava a tavola. Gaara fece lo stesso, seguito dalla sorella. «E’ lo stesso di tutto giorni» puntualizzò il Kazekage, afferrando le bacchette. «Sì, lo so. Però è comunque buono» sbuffò Temari, scoccando uno sguardo infastidito al fratello minore. Fece cenno a tutti di iniziare a mangiare, e seguì anche lei il suo stesso consiglio.
Ormai era una settimana che Kaen si era trasferita da loro nel palazzo, e l’atmosfera fra di loro si era rilassata a tal punto da fare colazione tutti insieme senza alcun imbarazzo. La castana si ostinava a tenere la bocca chiusa con Gaara riguardo il famoso problema che persisteva fra di loro, nonostante avrebbe voluto con tutto il cuore essere sincera con lui. Ma non trovava mai l’occasione adatta, lui era sempre impegnato e lei era troppo insicura quando c’erano quei due occhi acquamarina di mezzo. Si sentiva una stupida, ma avrebbe fatto di tutto per sentire almeno un’altra volta la mano di lui stringere teneramente la sua, come facevano tanto tempo prima, o sentirlo di nuovo avvolgerla in un abbraccio rassicurante.
 
Gaara correva perle strade del villaggio, diretto nella periferia. Gli sguardi degli abitanti si facevano sempre più scuri ogni volta che si posavano su quel bambino maledetto, ma a lui non importava. Non in quel momento.
«Guardatelo, è di nuovo lui. »
 «Che schifo, mi fa accapponare la pelle.»
«Non si vergogna ad andare in giro a spaventare i bambini?»
Gaara era abituato a quei commenti, e avrebbe mentito dicendo che non lo ferivano. Continuò a correre, per poi fermarsi di fronte un piccolo parco giochi. Seduta tra la sabbia accumulata in una piccola piscina c’era una bimba di cinque anni, intenta a costruire un piccolo castello. Gaara le si avvicinò.
«Kaen» attirò la sua attenzione, e la bimba gli risolse uno sguardo distratto. Rendendosi conto di chi gli stava davanti, si alzò di scatto in piedi e sorriso, allegra. «Gaara! Ti stavo aspettando!» Lo strinse in un abbraccio stretto stretto, che il bimbo ricambiò con timore, arrossendo. Gli faceva ancora strano ricevere quelle attenzioni.
Kaen era l’unica persona che non aveva paura di lui, giocavano insieme e spesso parlavano di qualsiasi cosa venisse loro in mente. Le voleva bene, e lei ne voleva a lui. Si allontanò dalla bambina e osservò il suo operato. «Costruivi un castello?»
«Già, ma non sono molto brava» ammise la castana, imbronciandosi. Gaara sorrise e si sedette fra la sabbia, invitandola a fare lo stesso. «Ti va di vedere una cosa?» chiese. La bimba annuì e gli si sedette di fronte. «Però prometti di non spaventarti» Gaara era abituato alle reazioni spaventate dei bambini e degli adulti che lo osservavano controllare la sabbia, e non sapeva come avrebbe reagito Kaen a quella rivelazione. Erano passati diversi mesi da quando si erano conosciuti, eppure non ne aveva mai avuto il coraggio. La bambina mimò una croce in prossimità del cuore, mortalmente seria. Una promessa era una promessa.
Un piccolo rivolo di sabbia di alzò dal mucchio, mentre altri gli si univano. Crearono un mulinello di discrete dimensione che, una volta caduto, rivelò agli occhi dei due bambini un castello di sabbia molto dettagliato. Kaen lo fissò sconvolta, sgranando gli occhioni smeraldini. Gaara osservò lei invece, preoccupato. Avrebbe provato ribrezzo o paura per quello che sapeva fare? Sperava vivamente di no.
La castano alzò lo sguardo verso di lui, la piccola bocca spalancata in un’espressione di felice sorpresa. Gli occhi le brillavano di gioia. «Non sapevo sapessi fare queste cose! E’ fantastico!» Con uno slancio si gettò su Gaara, facendo cadere entrambi sulla sabbia. Il rosso la strinse piano. «Con tutta la sabbia che c’è qui a Suna potrai fare cose fantastiche! Che invidia!» brontolò Kaen, rotolandosi nella piscina sabbiosa. Gaara si alzò e si ripulì i vestiti. «Solo tu la pensi così.»
La bambina sorrise entusiasta. «Ma che dici! E’ una cosa così bella!» Gaara non rispose, limitandosi a guardare Kaen che rideva felice. Non avrebbe mai potuto dirle che aveva il demone della sabbia segregato nel suo corpo, lo avrebbe odiato anche lei poi. Sarebbe morto piuttosto che vederla andare via.
La castana imitò il gesto del bambino e corse a sedersi sull’altalena, seguita dall’amico che le si mise accanto. Kaen gonfiò le guance e si girò ad osservarlo, uno sguardo incuriosito sul viso infantile.
«Gaara, ma perché sei sempre tutto solo? » gli chiese innocentemente. «Sai, anche io al mio villaggio non avevo tanti amici. Sei come me?» il rosso dubitava fortemente che lei fosse come lui, ma non ebbe cuore di rivelarglielo.
«Tutti dicono che è colpa mia se la mia mamma è morta » sussurrò triste, dandosi una spinta con i piedi e iniziando a dondolare sull’altalena. «La mia mamma è morta quando sono nato» aggiunse pigolando.
Kaen fermò il movimento della sua altalena e guardò l’amico, dispiaciuta. Anche lei non aveva più la mamma, e nemmeno il papà, perciò capiva come si sentisse. Con entrambi i piedi diede uno slancio al sedile e si tenne ferma piantandoli a terra, accanto a Gaara. Gli accarezzò la testolina rossa, arruffandogli i capelli affettuosamente. «Non è colpa di Gaara se la sua mamma non c’è più. Sono sicura che lei lo amava tanto» lo rassicurò lei, rivolgendogli un sorriso. Il bimbo la fissò in silenzio per qualche secondo, per poi afferrare la piccola mano e stringerla forte.
Se c’era Kaen al suo fianco, Gaara non aveva bisogno di nessun altro. Era felice.
 
Una volta finita la colazione, il Kazekage si alzò dalla tavola e posò il proprio piatto nel lavello. Afferrò la sua tunica da capo villaggio e la indossò, mentre Kaen lo osservava di nascosto. Temari sorrise notando gli sguardi della ragazza rivolti al fratello.
«Io vado. Se avete bisogno di me sapete dove trovarmi.» Sapevano tutti che Gaara passava gran parte della sua giornata nel suo ufficio a svolgere le pratiche o a tenere riunioni con gli Anziani. Raramente usciva per allenarsi o fare una passeggiata per il suo villaggio, mentre erano Temari e Kankuri quelli che più spesso erano fuori.
Tutto ciò che Kaen aveva fatto in quella settimana era assistere Temari nell’allenamento dei piccoli genin all’Accademia, gironzolare senza meta per il villaggio e osservare il Kazekage ogni volta che ne aveva l’occasione. E proprio per questo aveva preso una decisione, gli avrebbe parlato quel giorno stesso. E ne era terrorizzata.
Si alzò si scatto dalla sedia e gli afferrò una manica di getto, per poi ritrarsi quasi scottata. Gaara l’aveva guardata così intensamente che si era sentita morire. Si portò la mano al petto e abbassò lo sguardo, incapace di incontrare i suoi occhi. Il rosso distolse il suo dal viso della ragazza, internamente frustrato. Ancora evitava di guardarlo.
«Kazekage-sama, stasera avrebbe del tempo da dedicarmi? Vorrei parlarle…» sussurrò Kaen, intimorita. Niente da fare, non riusciva proprio a non sentirsi fremere ogni volta che si trovava così vicina a quel ragazzo, così bello quanto spaventoso.
Gaara annuì e accennò un sorriso. Il cuore di Kaen perse un battito. «Ti raggiungerò una volta finito il lavoro» Uscì dalla stanza, silenzioso come sempre. «Certo che il nostro caro fratellino sorride un po’ troppo spesso in queste ultime settimane» aggiunse Temari divertita, continuando pigramente a mangiare. Le cose si facevano interessanti.
 
Aveva pensato tutto il giorno a caso avesse da dirgli Kaen, e non era riuscito a trovare una risposta. Nella settimana passata non avevano mai avuto l’occasione di parlare molto e di conseguenza praticamente non si conoscevano. Spesso l’aveva osservata dalla finestra del suo ufficio mentre si sgranchiva nel campo di allenamento combattendo contro sua sorella o mentre in solitudine si limitava a lanciare kunai e shuriken ad un bersaglio, ma oltre quello non le aveva mai rivolto la parola direttamente per iniziare un discorso. Era così curioso di quell’attrazione che provava nei suoi confronti, ma anche preoccupato. Non sapeva se fosse giusto legarsi a qualcuno di esterno, e ciò lo metteva in ansia. La paura del rifiuto ancora non lo aveva abbandonato, ma ere sempre stato attento a non farlo notare a nessuno.
Ormai la notte era calata e Gaara si stava dirigendo sul tetto del palazzo, dove sapeva trovarsi la ragazza con cui avrebbe dovuto parlare. Raggiunse il grande terrazzo e la trovò lì, che osserva silenziosa il villaggio mentre una leggera brezza estiva le faceva ondeggiare i lunghi capelli castani sulla schiena.
Kaen notò la sua presenza e si girò a guardarlo. «Kazekage-sama» sussurrò lei, sollevata di vederlo. «Temari mi ha detto che ti avrei trovata qui» affermò Gaara, posizionandosi al suo fianco e volgendo uno sguardo all’orizzonte. «Di cosa volevi parlarmi?»
La giovane sospirò e fece un passo indietro, rivolgendo il busto verso il ragazzo di fronte a lei. «Non è un argomento facile da affrontare…» iniziò lei con timore. Quello che aveva da dirgli lo avrebbe sicuramente sorpreso, e forse non in bene. Ma che avrebbe potuto fare? Voleva che Gaara si ricordasse di lei come una volta, doveva porre rimedio alla situazione in cui si era messa con le proprie mani.
Il rosso non commentò, in attesa. A quel punto Kaen prese coraggio e si piazzò di fronte al ragazzo, a pochissima distanza da lui. La superava di almeno dieci centimetri in altezza, così la ragazza si vide costretta ad alzare leggermente lo sguardo e fissarlo negli occhi del Kazekage. Gaara ne fu sorpreso, ma non si ritrasse. Finalmente poteva perdersi in quegli occhi di smeraldo senza che lei fuggisse.
«Mi permette di toccarla?» Gaara non poté fare altro che annuire, e Kaen avvicinò la mano alla fronte del ragazzo, carezzando con il pollice il kanji tatuato sulla sua fronte senza staccare gli occhi dai suoi, incatenando i loro sguardi. Improvvisamente il ragazzo si sentì travolgere da brividi sempre più intensi che lo portarono ad inginocchiarsi sul pavimento scosso da spasmi incontrollati, mentre Kaen lo raggiungeva senza proferire parola. Sapeva cosa stava succedendo e non poteva fare altro se non continuare. Gaara rivolse uno sguardo sconvolto alla ragazza di fronte a lui, mentre migliaia di ricordi gli affollavano la mente, travolgendolo.

Lui e Kaen che giocavano, che si rincorrevano, lei che lo accarezzava, lo abbracciava, la sua sabbia che la avvolgeva protettiva, loro che facevano lunghe passeggiate per il villaggio, e parlavano, si confidavano, si capivano. Gaara e lei che vivevano anni felici insieme, in quel villaggio dove nessuno prima di allora lo aveva amato, dove tutti lo allontanavano e avevano paura di lui. Lei era stata la sua unica luce, la sua ancora di salvezza in quella realtà in cui tutti lo disprezzavano, in cui era solo. Lei che lo aveva protetto, e lui aveva protetto lei, lo aveva amato e consolato in quei giorni che altrimenti si sarebbero susseguiti tutti uguali. Semplicemente, la sua Kaen. Ed era di nuovo lì con lui.

Gaara poggiò le mani a terra e si mantenne con le braccia per non cadere, mentre era ancora inginocchiato. Kaen si allontanò di diversi passi dalla figura del Kazekage, che con il respiro affannato si limitava a fissare sconvolto il pavimento. Kaen tremò e si abbracciò le spalle, tentando di non cedere e correre ad abbracciarlo.
«Mi dispiace tanto…» sussurrò piano, e Gaara a quelle parole alzò di scatto la testa e fissò la ragazza così intensamente che questa pensò di potersi spezzare sotto quello sguardo accusatore. Il rosso intanto era sconvolto da quelle rivelazioni così improvvise, sotto quel flusso di ricordi così intenso che gli aveva racchiuso il cuore in una morsa congelata. Perché se ne ricordava solo adesso? Era stata lei?
«Perché?» chiese il ragazzo in un lamento disperato, rimanendo immobile. Non gli importava che fosse a terra, non aveva nemmeno le forze per alzarsi in piedi. Ma lei era lì, di fronte a lui, e Gaara non faceva altro che chiedersi il motivo di quei ricordi restituitigli così improvvisamente.
«Io… Quando sono dovuta andare via, ho pensavo che fosse meglio per te che non ricordassi nulla del nostro tempo passato insieme» singhiozzò lei, affranta. «Tu eri così solo e pensavo che lasciandoti con quei ricordi non avresti fatto altro che soffrire di più. Lo credevo davvero» concluse, mentre un’unica lacrima le scorreva lungo la guancia. La asciugò in fretta e puntò lo sguardo a terra, non avendo il coraggio di guardare Gaara e la sua reazione. Sarebbe andato via probabilmente, non avrebbe nemmeno avuto voglia di parlare con lei. A quel pensiero arretrò nuovamente di alcuni passi e fece per correre via mentre lui ancora la fissava, senza dire nulla. Semplicemente non poteva rimanere lì.
Improvvisamente una parete di sabbia le bloccò la strada, mentre Gaara si rialzava e la raggiungeva a passi pesanti. «Non ti lascerò andar via di nuovo.» Kaen sussultò a quelle parole, mentre il rosso le afferrava un polso per impedirle di correre via.
«Come hai fatto ad eliminare i miei ricordi di te? E perché ai miei fratelli no?» chiese lui, stringendo la presa sul polso della ragazza senza farle male, in attesa. Aveva paura che per lei i loro ricordi fossero più importanti di ciò che provava lui, era l’unica spiegazione sensata che sapeva darsi riguardo il motivo per cui sia Temari che Kankuro sapevano chi fosse quella ragazza che ora si trovava di fronte a lui, sconvolta.
«Una delle mie abilità… Mi permette di eliminare o restituire i ricordi alle persone, così come ho appena fatto. Temari e Kankuro non si erano legati a me tanto quanto avevi fatto tu, sapevo che sarebbero stati bene. Ma tu… Tu sei sempre stato così fragile, e non volevo che ti spezzassi a causa mia» rivelò lei, con tutta la sincerità di cui era capace. Non lo aveva fatto con cattiveria, era convinta che Gaara avrebbe sofferto tanto quando lei per quella separazione e non poteva permetterlo. Se fosse tornato ad essere come prima, sarebbe stato bene anche senza di lei. Come se non avesse perso nulla. Una fitta la colpì al cuore, la stessa che sperimentò il quel momento il rosso.
Non era andata in quel modo, e il Kazekage lo sapeva fin troppo bene. L’unica ad esserne all’oscuro era proprio Kaen.
«Mi hai solo permesso di tornare ad essere un bambino che si sentiva non amato e abbandonato da tutti, senza nemmeno il tuo ricordo a scaldarmi il cuore.» Scosse la testa. «Non avresti dovuto, Kaen.»
La suddetta sussultò, per poi liberarsi da quella stretta al polso con uno strattone e finendo nuovamente con la schiena contro il muro di sabbia, che allo sguardo sorpreso della mora si riversò a terra inanimata. Non voleva spaventarla, non lei. Kaen sorrise tristemente intuendo i pensieri di Gaara, che intanto aveva alzato una mano e lentamente le si avvicinava, per evitare di intimorirla. Con il dorso della mano le lascio una delicata carezza sulla guancia, che al tocco leggero si imporporò.
«Lo sai che non ho mai avuto paura della tua sabbia» lo rassicurò, carezzandogli la mano che ancora la sfiorava con le dita. «Mi sei mancata» rivelò piano Gaara mentre la ragazza sbarrava gli occhi, sorpresa. Non era un comportamento che si addiceva alla figura del Kazekage che aveva visto in quei giorni. Di slancio afferrò la tunica di Gaara, per poi stringerlo in un abbraccio così stretto che mozzò il respiro ad entrambi. Era da così tanto tempo che non lo sentiva vicino, non aveva mai dimenticato la sensazione del suo corpo caldo contro il proprio e delle sue mani che la sfioravano delicate. D’altro canto il rosso non aveva mai avuto dubbi sull’affetto che provava per quella piccola kunoichi che tanto aveva adorato da bambino. Anche a distanza di anni, anche se per tanto tempo aveva perduto i ricordi che aveva di lei, non poteva smettere di sentirla vicina come il primo giorno. Nulla era cambiato dentro il suo cuore.
«Non sai quanto sei mancato a me. Ti ho pensato continuamente per tutti questi anni, non avrei mai voluto lasciarti solo, ma non avevo scelta» singhiozzò lei contro il suo petto. Essere avvolta da quelle braccia mascoline le faceva battere forte il cuore nel petto, quasi volesse sfondarle la cassa toracica. Gaara odorava di sole, sale e vento, creando un aroma che nella sua mente si addiceva perfettamente alla figura del ragazzo.
Nella mente del Kazekage si affollavano decine di pensieri diversi, mentre lui stesso si chiedeva perché continuasse a stringere con tanto disperazione quella ragazza che tanto gli era entrata dentro durante la sua infanzia. Non sapeva se quel senso di appagamento era normale, da quanto tempo ormai non riceveva un abbraccio come quello? Non sapeva rispondere, ma era come se quel piccolo corpo fosse fatto apposta per stringersi al suo, caldo e pulsante.
Immediatamente Kaen si allontanò dal ragazzo, spezzando quel piccolo idillio che si era creato. Era preoccupata di essere stata troppo invasiva nei suoi confronti, erano passati ormai dieci anni ed entrambi avevano vissuto la loro vita in modo diverso da quello che si sarebbero aspettati. Erano stati lontani troppo tempo per recuperare quel rapporto in così pochi minuti, o almeno così credeva lei.
Nonostante questo gli rivolse un sorriso luminoso e gli batté il piccolo pugno sul petto, mentre Gaara la scrutava. Al contrario del viso, gli occhi non erano allegri come sarebbero dovuti essere. «Che ne dici se rimaniamo un po’ qui fuori stanotte, insieme?» domandò lei, inclinando leggermente la testa di lato.
Gaara non fu capace di fare altro se non annuire.
 
 
 



 
N/a: ed ecco finalmente il nuovo capitolo!
Spero sia stata di vostro gradimento, e vi ricordo che mi farebbe tantissimo piacere ricevere il vostro parere al riguardo. Se avete dubbi, domande o altro potete tranquillamente chiedermi qualsiasi cosa vi passi per la testa e io cercherò di essere esaustiva. Ovviamente andando avanti con la storia la situazione dei due e tutto il resto sarà più chiaro, quindi prego anche di essere pazienti!
Spero inoltre che nessuno dei personaggi risulti OOC, ma in caso aggiungerò tranquillamente la nota alla storia.
 

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Capitolo 6
*** VI Capitolo ***


dreams of the desert.













VI Capitolo.
Se qualcuno avesse detto a Kaen che la sua vita sarebbe stata così tranquilla e serena nel momento in cui avesse messo di nuovo piede a Suna, di certo avrebbe compiuto quel passo molto tempo prima. Problemi permettendo. E nessuno poteva negare che lei, di problemi, ne avesse abbastanza. Primo fra tutti, lo stesso Kazekage era un enorme problema. Più o meno.
Dal giorno in cui Gaara e Kaen si erano ritrovati erano passate diverse settimane, e dopo quella notte passata ad osservare il cielo stellato in silenzio i due pian piano avevano cercato di ricostruire il loro rapporto meglio che potevano. Entrambi sapevano bene che non erano più gli stessi bambini di dieci anni prima e che non sarebbero mai potuti tornare indietro, ma Kaen sperava intensamente di riuscire ad avvicinarsi il più possibile a Gaara. Voleva a tutti costi conoscere il suo passato, voleva stargli accanto come nessuno aveva mai fatto e voleva essere la persona in grado di riempire il vuoto del suo cuore. Voleva conoscere tutti di lui e allo stesso modo voleva farsi conoscere, era stanca dei segreti che costellavano la sua vita e voleva aprire il suo cuore e la sua anima al solo ragazzo a cui tenesse dal profondo del suo essere. Non sapeva cosa significasse la sua presenza per Gaara, né sapeva cosa pensasse lui di lei o cosa gli passasse per la testa, ma desiderava che lui le parlasse sinceramente come facevano da bambini. Semplicemente, voleva essere importante per lui.
Il rosso d’altro canto non sapeva come sentirsi nei confronti di quella persona che così d’improvviso si era fatta spazio nella sua vita, sorprendendolo. Capiva che fosse ancora preziosa per lui nonostante il tempo passato e che voleva che gli stesse accanto, ma il risentimento gli stava mangiando lentamente l’anima. Non riusciva a capacitarsi del fatto che lei lo avesse lasciato lì da solo, che fosse scappata da lui nel momento in cui aveva più bisogno della sua presenza, lasciandolo in balia degli eventi che avevano deciso inesorabilmente l’andamento della sua vita. Dal giorno della sua scomparsa dal villaggio e dalla sua memoria, Gaara aveva continuato a sopravvivere come aveva sempre fatto e le sventure avevano ripreso a farsi spazio nella sua vita, distruggendola. Il padre, il quarto Kazekage, aveva iniziato ad attentare alla sua esistenza nei peggior modi possibili ed infine, abbandonato dai fratelli e perfino dallo zio, Gaara si era lasciato travolgere dall’odio e dal rancore diventando il mostro che aveva sempre cercato di evitare, invano. In cuor suo sapeva che non era colpa di Kaen, che lei era sempre stata lì con lui e che gli voleva bene esattamente come lui ne voleva a lei, ma continuava anche a chiedersi se le cose sarebbero andate diversamente se lei fosse rimasta al suo fianco. Forse sarebbe stato in grado di resistere all’oscurità dentro di lui e non avrebbe avuto bisogno di quel biondo ed esuberante ragazzino per riprendere in mano la sua vita. Forse, se lei ci fosse stata, lui non avrebbe mai smesso di amare quella vita che tanto gli aveva tolto.
Ma ormai era passato, lui era lì ed era il Kazekage. Dopo tanti sforzi, aveva guadagnato il titolo di difensore del suo villaggio, guadagnandosi la stima della maggior parte del suo popolo. Ma nonostante questo non riusciva a spiegarsi il senso di desolazione che continuava ad esistere nel suo cuore; aveva dei fratelli che tenevano a lui, un’allieva che lo aveva scelto andando contro la paura che tutti provavano per lui e un amico che era riuscito a salvarlo da se stesso, ma non era abbastanza. Anche circondato da centinaia di persone la solitudine non spariva mai, aveva dei legami importanti che però non bastavano a riempire il vuoto del suo cuore.
E in quei momenti di malinconia, mentre osservava il tramonto cingere dolcemente le forme del  villaggio della Sabbia con la sua tiepida luce, Sabaku no Gaara si chiedeva di cosa ancora avesse bisogno per riempire il deserto che era la sua anima.
 
 
Nei giorni che avevano seguito quella notte così particolare e molto silenziosa, Kaen aveva iniziato a fare compagnia al Kazekage sempre più spesso. Era ormai raro non trovarla nell’ufficio del ragazzo, in silenzio, mentre seduta sul divano posto di fronte la scrivania osservava Gaara intento a firmare documenti e a timbrare fogli. Nessuno dei due disprezzava la compagnia dell’altro, anzi, e il rosso aveva accettato di buon grado la presenza costante della mora in quella stanza dove passava la maggior parte del suo tempo. Spesso gli rivolgeva delle domande, e lui ne rivolgeva a lei, e così i giorni passavano e i due non potevano fare a meno di avvicinarsi sempre di più, memori di un legame che in fondo mai si era sciolto. Kaen era sinceramente l’unica persona che Gaara riuscisse a tollerare per così tante ore, l’unica i cui silenzi non lo mettessero a disagio, l’unico sguardo che percepisse come un piacere e non una condanna, un giudizio. A Kaen non importava che nessuno dei due riuscisse a parlare molto, era semplicemente bello scrutare il ragazzo di tanto in tanto mentre si intratteneva leggendo un libro o assistendolo nei suoi compiti di Kazekage. Era un accordo silenzioso fra i due, stavano bene in reciproca compagnia e così sarebbe dovuto rimanere.
«Ka-ze-ka-ge-sama» canticchiò Kaen, lanciando via il libro di genjutsu che stava cercando di imparare. Non era mai stata brava con le illusioni, e nemmeno sentiva il bisogno impellente di diventarlo. Si stava annoiando terribilmente.
«Non ricordo nemmeno più quante volte ti abbia già detto di non chiamarmi così» accennò l’interpellato, alzando lo sguardo dai rapporti che stava leggendo da diverse ore. Kaen non faceva che chiamarlo «Kazekage» ogni volta che voleva prenderlo in giro, lui lo sapeva bene e non negava che lo divertisse.
«Sì, Gaara-sama» ridacchiò lei, usando comunque l’onorifico alla fine del nome. Non lo faceva mai, ma era bello punzecchiarlo. Gaara sospirò piano. «Cosa c’è?» chiese infine.
«Quando hai intenzione di lasciar perdere quelle scartoffie?» distese le gambe in aria. «Vorrei uscire un po’ fuori, con te» dichiarò sorridente. Gaara a quel sorriso perse un battito, ma non lo diede a vedere.
«Ho quasi finito. Dove vorresti andare?» domandò poi, curioso. Kaen non aveva mai mostrato l’intenzione di andare in giro per il villaggio, insieme a lui poi. Ne era felice, ma lo ammise solo a se stesso.
«Non saprei in realtà» confessò lei, contrariata. Gonfiò le guance. «Non c’è un posto che io non conosca in questo villaggio, lo sai.»
«In questi giorni si stanno tenendo i festeggiamenti per il settantesimo anniversario della nascita del villaggio, allestiscono tanti banchi diversi. Ti andrebbe di andarci?»
 Forse avrebbe dovuto farsi avanti prima di lei nel chiedere di passare del tempo in compagnia, ma non ne aveva avuto il coraggio. E se avesse rifiutato? D’altronde quando erano insieme nel palazzo non parlavano poi molto, ma in ogni caso Kaen aveva risolto il problema per entrambi.
La suddetta si allargò in un grosso sorriso. «Certo che mi andrebbe!»
Adorava i festival, l’aria festosa che si respirava, i banchetti con tantissimi cibi diversi e le decine di giochi diversi che non vedeva l’ora di provare. Era una patita di certe cose, si divertiva sempre un mondo e sfortunatamente aveva avuto poche occasioni di partecipare, perciò era doppiamente contenta.
«Allora ci incontreremo al calar del sole nella piazza principale» concluse Gaara, tornando ad immergersi nel suo lavoro. Kaen sbuffò e si avvicinò alla scrivania del capo villaggio, sedendosi con grazia sulla superficie non coperta dai fogli.
«Hai bisogno di una mano?» chiese. Gaara scosse semplicemente la testa in un muto diniego, continuando a scrivere.
«Posso chiederti una cosa, quindi?» Il rosso alzò lo sguardo e lo puntò sulla ragazza, che si stava arricciando distrattamente una ciocca di capelli con un dito, guardando il paesaggio dalla finestra.
Kaen lo prese come un invito a continuare. «Potresti parlarmi di cosa è successo» esitò un secondo. «dopo che sono andata via? » concluse, sistemandosi meglio sulla grande scrivania. Gaara seguì con gli occhi i movimenti del suo corpo, silenzioso come sempre.
«Perché vuoi saperlo?»
«Perché ho la sensazione che non sia nulla di bello» ammise lei, torturandosi il labbro inferiore con i denti. Aveva questa strana sensazione da diverso tempo, come un ombra che seguiva Gaara perennemente. Lo aveva notato negli sguardi degli abitanti del villaggio, nel modo in cui gli altri gli si rivolgevano, persino nello sguardo di lui aveva notato qualcosa di strano. Voleva sapere.
Gaara posò la penna e si lasciò andare sulla sedia, poggiando le mani sulle gambe e rimanendo in silenzio. Preoccupata dal prolungato silenzio, Kaen si girò finalmente a guardarlo e notò la sua espressione. Non sapeva come definirla, era la solita di sempre ma mentre la osservava così intensamente fece caso ad un sentimento che non aveva mai scorto prima d’ora negli occhi del Kazekage. Era angosciato.
«Non credo ti farà piacere saperlo, allora» constatò Gaara massaggiandosi con forza le tempie. Gli stava scoppiando la testa. La mora fece per poggiargli la mano sulla spalla, preoccupata, ma si trattenne.
«Non importa. Se riguarda te, voglio sapere tutto» affermò lei, trovando infine il coraggio di sporgersi verso di lui e poggiare una mano sulla fronte di Gaara, spostando le sue dita e massaggiandogli con delicatezza le tempie con le proprie, fresche e carezzevoli. Lui sussultò ma non disse nulla.
«Di cos’è che hai tanta paura?»
«Se te lo dicessi, non mi guarderesti più con gli stessi occhi di ora» mormorò il Kage. Era la prima volta che parlava in quel modo, davanti a lei per giunta. Aveva paura che lei potesse voltargli le spalle, ancora, e le rivolse uno sguardo triste e confuso allo stesso tempo, perché non capiva il groviglio di sentimenti che gli appesantiva il petto.
Kaen gemette piano. Quello sguardo non sarebbe dovuto esistere. «Non credo sia possibile» ammise piano.
Lo pensava davvero. Qualsiasi cosa lui le avesse raccontato, paragonato a ciò che era lei sarebbe stato nulla. Era lei a doversi preoccupare, non lui.
«Non è il caso di parlarne ora» sospirò Gaara, spostando gentilmente la mano di Kaen dal suo viso. A quel punto la ragazza con un piccolo salto scese dalla scrivania e gli diede le spalle, avviandosi verso l’uscita.
«Bene, ne parleremo un’altra volta» concluse, ed uscì dalla stanza sentendo lo sguardo di fuoco del Kazekage puntato sulla propria schiena. Non ebbe il coraggio di incontrare di nuovo quegli occhi acquamarina che tanto la facevano emozionare e se ne andò senza voltarsi indietro.
 
 
Era arrivata da diversi minuti al centro del villaggio e Kaen aveva già notato l’atmosfera rilassata e allegra che aveva circondato l’ambiente in quella calda serata estiva. Coppie che passeggiava mano nella mano, bambini euforici che correvano da un angolo a un altro ridendo felici, vecchietti sorridenti che sedevano placidi sulle panchine disseminate per le strade, tutto le dava una sensazione di pace e tranquillità che la fece sentire a casa per la prima volta dopo tanto tempo. Mancava solo una cosa in verità e mentre si guardava intorno incuriosita iniziò a passeggiare in modo distratto in quella piazza tanto grande, braccia incrociate dietro la schiena e lo sguardo attento, che osservava la vita che le scorreva davanti. La verità era che senza Gaara al suo fianco, in quel villaggio tanto grande non riusciva a sentirsi completamente a suo agio. Era abituata fin da piccola a stare con lui, a percorrere quelle stradine con la sua piccola figura accanto e a stringergli forte quella manina tanto calda e ora, a distanza di anni, non riusciva a stare da sola in quel luogo così affollato. Sospirò e si diede della stupida a pensare quelle cose; aveva vissuto da sola per un sacco di tempo e ora che lo aveva rivisto già cominciata a vacillare.
Si fermò improvvisamente dietro una panchina rivolta verso in centro della piazza dove due anziani signori sedeva e confabulavano tra di loro a bassa voce. Aveva sentito chiaramente però il nome di una certa persona e non era riuscita a far finta di nulla, così facendo leva sul suo udito da ninja particolarmente sviluppato si posizionò alle spalle dei due signori e finse un’aria disinvolta, guardando altrove.
«E quindi, cosa nel pensi del nostro nuovo Kazekage? Sembra un ragazzo in gamba ormai» affermò uno dei due vecchietti, sporgendosi verso il suo compare con sguardo vivace.
«Non saprei proprio, sono abbastanza scettico. D’altronde lo sai anche tu, no? Quello che si dice su di lui.»
«Come potrei non saperlo, non è mica un segreto. Certo che è un vero peccato, un giovanotto come lui con un fardello tanto pesante!»
«Non sta a me giudicare, ma se succedesse di nuovo ciò che è accaduto anni fa… Non possiamo mica fidarci di lui così, fa comunque paura avere come Kazekage uno instabile come lui» disse l’altro, facendo schioccare la lingua contro il palato.
«Però dicono che sia cambiato» continuò il primo, titubante.
«Ma sai, alla fine la vera natura delle persone mica sparisce così, in poco tempo! E’ comunque molto pericoloso» completò poi l’amico, annuendo a se stesso compiaciuto. A quel punto Kaen, che aveva ascoltato con attenzione la conversazione, notò in lontananza la figura di Gaara che le veniva incontro, con i capelli rossi spettinati dal vento e i suoi normali abiti da ninja indosso. Lo raggiunse svelta e gli accennò un piccolo sorriso tirato, sperando che la sua espressione non tradisse i propri pensieri.
Quello che avevano detto quei due era troppo strano, le avevano lasciato ancora più dubbi di quanti non ne avesse prima. La sua vera natura? Una persona instabile? E cosa era accaduto anni prima, mentre lei non c’era? Non capiva più nulla, i pensieri le vorticavano in testa e non riusciva a costruire un filo logico. Avrebbe voluto chiedere direttamente a Gaara, ma solo poche ore prima aveva rifiutato di raccontarle il suo passato e non aveva nessuna intenzione di sentire un altro rifiuto. Voleva che lui si aprisse con lei, ma se lei era la prima che non riusciva ad aprire il suo cuore cosa si aspettava? Era proprio incoerente, lo sapeva, ma c’era sempre quella paura infondata che le mangiava le viscere. Se avesse continuato a comportarsi in quel modo, sorridendo allegra di fronte a Gaara ogni volta che ne aveva l’occasione, forse lui avrebbe continuato a volerla al suo fianco. Se gli avesse mostrato l’oscurità dentro di sé, non aveva nessuna certezza che lui l’avrebbe accettata comunque. Era normale, la natura degli essere umani non è fatta per accettare le ombre negli animi degli altri, nessuno vuole farsi carico del dolore degli altri. Di natura le persone sono egoiste e spesso ipocrite, come lo era lei d’altronde. Se avesse continuato a fingere di essere la ragazza senza pensieri che era sempre stata con Gaara, non avrebbe avuto nessun problema, eppure le bugie continuavano a pesarle sul cuore e non sapeva fino a quando sarebbe riusciva a tenersi tutto dentro.
«Gaara» chiamò Kaen, alzando una mano in segno di saluto.
«Ti ho fatta aspettare molto?» chiese lui, leggermente impacciato. Era la prima volta dopo secoli che usciva con Kaen, da solo. Di solito c’erano sempre i fratelli in giro, e anche se stavano spesso da soli nel suo studio starle accanto in mezzo alla folla lo metteva in ansia.
La ragazza ridacchiò. «No, figurati. Sono arrivata da poco.» Infilò il braccio sotto il suo. «Che ne dici se iniziamo a farci un giro?» Un sorriso illuminò il suo volto e gli occhi smeraldini brillarono di allegria.
Aveva deciso che per quel momento avrebbe fatto finta di nulla e avrebbe rimandato le domande a qualche ora dopo, così si sarebbero goduti quella serata senza nessuna tensione. Gaara, che era troppo sorpreso per dire nulla, si limitò ad arrossire leggermente e a guardarla sconcertato, per poi iniziare a camminare, con lei aggrappata al suo braccio. Era così felice, non aveva cuore di dirle di allontanarsi e così aveva deciso semplicemente di lasciarla fare. Era confortante il tepore del suo corpo contro il suo, la sensazione che le loro braccia combaciassero perfettamente, senza alcun disagio. Lo faceva sentire accettato, eppure la sua espressione non tradiva nemmeno uno dei pensieri di  Gaara, enigmatico nella maggior parte dei suoi gesti.
La ragazza lo guardò, curiosa. «Forse ti sto dando fastidio? Sei pur sempre il Kazekage, dovrei portarti più rispetto mi sa. Almeno in pubblico» rifletté lei, pensierosa. Si staccò semplicemente da lui e prese a camminargli accanto, con le braccia che si sfioravano leggermente. Gaara avrebbe probabilmente preferito lasciarla lì dov’era, ma ormai lei aveva fatto tutto da sola e con quale coraggio avrebbe dovuto chiederle di toccarlo di nuovo? Non lo ammetteva mai, ma spesso gli mancava il contatto fisico. Nessuno lo abbracciava mai, né gli dava la mano o semplicemente lo accarezzava, come aveva fatto lei più di una volta. Semplicemente, per Kaen era naturale e per lui era lo stesso, sebbene non avesse mai preso l’iniziativa. Per il momento bastava che fosse lei quella più spigliata, si disse Gaara, guardandola di sottecchi.
Era così bella, con quei capelli bruni che le ondeggiavano sulla schiena minuta e gli occhi verdi, così profondi e vivaci. Gli ricordavano una foresta in primavera, gli trasmettevano serenità e rilassatezza. Allungò un braccio verso una delle bancarelle che costeggiavano le lunghe strade, mentre tutti i passanti si giravano verso quel ragazzo così fiero che avrebbero riconosciuto ovunque; il Kazekage era lì, che passeggiava tranquillamente accanto ad una ragazza che non avevano mai visto, con il viso talmente rilassato che molti si chiesero che fine avesse fatto l’espressione seria e corrucciata che spesso adombrava il viso del ragazzo. Gaara ignorò gli sguardi meravigliati che tutti gli puntavano addosso e si rivolse a Kaen, che faceva di tutto per evitare di guardare in cagnesco quei pettegoli che continuavano a parlare di lui come se non potessero sentirli.
«Ti andrebbe di provare?» chiese, indicando un tiro al bersaglio poco più avanti, stupendo più se stesso che Kaen stessa, che non aprì bocca. Prima la invitava lì e poi riusciva anche a chiederle di partecipare ad un gioco, era davvero strano. Non che Gaara non potesse decidere di fare un qualcosa di sciocco come un tiro al bersaglio, ma semplicemente in tutti quegli anni non aveva mai potuto lasciarsi andare completamente e quindi si era perso la gran parte delle esperienze che di solito tutti hanno durante la propria vita, e ora vederlo prendere certe iniziativa significato solo che in compagnia di Kaen si sentiva così a suo agio da riuscire a lasciarsi andare, anche solo un po’. Ne era felice.
Gli diedi un pugno leggero sulla spalla e partì di corsa verso il banco del gioco.
«Tanto ti batto!»
Non c’erano parole peggiori da dire a Gaara, che riteneva di avere una mira decisamente all’altezza di un giochino per bambini, e che quindi a passo misurato, degno della figura di capo villaggio che rappresentava, raggiunse Kaen. Era fin troppo trepidante, si tratteneva a stento dal saltellare allegra davanti alle decine di premi che attendevano solo di essere reclamati dal vincitore del gioco. Un paio di bambini stavano tentando di lanciare i kunai contro i vari bersagli, cercando di fare un punteggio abbastanza alto per vincere qualcosa di carino, ma fallivano tutti miseramente. Appena notarono la figura fin troppo conosciuta di Gaara, famoso tra i bimbi per il suo aspetto troppo austero e il sorriso inesistente, fecero una pausa e si limitarono a fissare ad occhioni spalancati il Kazekage e Kaen, che lo accompagnava.
«C’è una bellissima signorina qui!» fece uno dei bimbi, troppo piccolo per giocare e che quindi non arrivava al bancone, allungando un ditino paffuto verso la ragazza a bocca spalancata. Fra tutti gli aggettivi esistenti, si potevano contare sulle dita di una mano quelli che si avvicinavano alla parola “bellissima” e che contemporaneamente fossero mai stati rivolti a Kaen, che quindi guardò sorpresa il bimbetto.
«Non ci credo Gaara, mi ha chiamata “bellissima”…» Si accovacciò all’altezza del bambino. «Tu sì che mi piaci!» Kaen era un po’ debole di fronte ai complimenti.
Inutile dire che gli occhi nocciola del bimbo si illuminarono di gioia e le guanciotte arrossirono di imbarazzo mentre correva dalla mamma per raccontarle di come avrebbe sposato quella bella ragazza che stava con il Kazekage, quando sarebbe stato più grande. Kaen scoppiò a ridere di fronte alla scena e gli urlò che sì, ovvio che lo avrebbe sposato, se alla mamma andava bene! Gaara inarcò un sopracciglio, interessato e un po’ infastidito. Non avrebbe ammesso ad anima viva che quel piccolo ed insulso complimento lo aveva seccato. E nemmeno che, visto che non era rivolto a lui, quel sorriso gli aveva fatto torcere le budella. Che fosse geloso di un bambinetto di pochi anni? Impossibile. Semplicemente non era abituato a vedere le reazioni delle persone di fronte alla sua compagna, che di certo spiccava tra la folla quasi quanto faceva lui con i suoi capelli rossi e la pesante nomina di capo del villaggio. Lo si notava tranquillamente dagli sguardi fin troppo eloquenti che molti abitanti di sesso maschile rivolgevano a Kaen, che con il suo sorriso luminoso, gli occhi color bosco rigoglioso e le forme sinuose di certo non passava inosservata.
«Pensi davvero di sposarti con qualcuno, un giorno?» domandò Gaara, mentre tranquillamente prendeva i tre kunai che il proprietario del gioco. Kaen lo fissò esterrefatta. Non avrebbe mai immaginato che Gaara potesse essere interessato a certe cose. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e finse di pensarci un po’ su. Ridacchiò furbetta e tirò la manica della maglia del rosso.
«Io sposerò Gaara, lo sanno tutti!» dichiarò sorniona. «Te lo ricordi, vero? Dicevamo sempre che da grandi saremmo stati sempre insieme» rise poi. Da piccoli erano soliti fantasticare molto sul loro futuro, su cosa avrebbero fatto quando avrebbero avuto un po’ di anni in più e decisamente molta più libertà. E sì, come molti bambine della sua età, Kaen si era “immolata” per la causa e aveva deciso che si sarebbe sposata con Gaara. Perché così non sarebbe mai stato solo e sarebbe stato felice, insieme a lei, perché si volevano un mondo di bene. Kaen in fondo lo pensava ancora, e anche Gaara.
Lasciò il pezzetto di stoffa che stava stringendo e riportò le braccia lungo i fianchi, il sorriso improvvisamente tirato. «Quindi sì, mi piacerebbe sposarmi un giorno. E tu?»
Gaara la scrutò per qualche secondo, sprecò un paio di secondi a riflettere sull’espressione improvvisamente cupa di Kaen e richiamando il ricordo della loro infanzia alla mente. Strinse uno dei kunai con la mano destra e prese la mira verso uno dei bersagli. Ricordò che da bambino avrebbe seriamente voluto stare con Kaen per il resto della sua vita, ma ora?
«Non ci ho mai pensato davvero» rispose. Fece un centro perfetto. «Non sono sicuro che qualcuno possa seriamente voler sposare me» aggiunse sottovoce. Un altro tiro, mancò il centro di pochi centimetri. Strinse la terza e ultima lama, squadrando le altre due già conficcate nel legno. Kaen si perse a guardare il cielo tinto delle sfumature del tramonto, sprazzi di arancio e rosa che coloravano la volta celeste, mentre il sole si apprestava a scomparire dietro l’orizzonte e la luna, timida e poco luminosa, si faceva coraggio e diveniva sempre più chiara.
«Lo dici tu questo» dichiarò incerta, storcendo il naso. Gaara tese il braccio e si preparò al tiro. Ultimo lancio, un altro centro. Si girò a guardare Kaen, che aveva ancora il naso rivolto al cielo. La ragazza si riscosse dai suoi pensieri e arrossì: che diavolo aveva appena detto? Sperò che Gaara non avesse frainteso, pensando magari che lei volesse sposarlo. Non poteva negare che qualsiasi cosa fosse ciò che la legava a lui, era qualcosa di molto forte, che la portava a vedersi accanto a lui in ogni momento della sua vita, ma non sapeva ancora come definirlo. Era amore, o era un forte sentimento di amicizia? Un desiderio di proteggerlo magari, di non lasciarlo solo. Più ci pensava, più le sembrava di impazzire, come se ci fosse un velo sottilissimo che non le permetteva di vedere la realtà e quindi di girare in tondo alla ricerca di altre risposte. E soprattutto, altro enorme problema: non aveva idea di cosa provasse Gaara per lei. Era un vicolo cieco, e non poteva fare altro che continuare a scontarsi contro un muro invisibile fatto di ansia, paura, confusione. Anche se avesse ammesso che era innamorata di Gaara, la sua mente continuava a ripeterle che lui non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti.
Tornò a guardare il ragazzo, che ora le stava porgendo tre kunai. Li afferrò  e finse un sorriso che non ingannò nessuno, men che meno Gaara.
«Cosa c’è che non va, Kaen?»
«Sta’ a vedere come faccio tre centri perfetti.» Ignorò la domanda e si mise in posizione da tiro. «Ti posso battere ad occhi chiusi!»
«Che cosa c’è che non va?» ripeté Gaara. Le era tremata la voce per un momento, stava facendo particolare attenzione nell’evitare il suo sguardo, di fingere un sorriso che non era mai stato il suo. Per la prima volta nella sua evita desiderò poter leggere nel pensiero di Kaen, per capire cosa le passava nella testa nei momenti in cui evidentemente stava male ma in cui continuava a pretendere che tutto fosse perfetto.
Kaen fece una smorfia e colpì il bersaglio, un centro perfetto. Sfortunatamente era un libro aperto di fronte a Gaara, mentre lei non riusciva mai a comprendere le sue espressioni o modi di fare. Era davvero frustrante.
«Non è nulla, lascia perdere» rispose piatta, le labbra formarono una linea dritta perfetta. Tirò velocemente il secondo kunai, che si conficcò accanto al primo senza sforzo. «Certe volte penso troppo, tutto qui. Mi fa male pensare.»
Iniziò a giocare con la terza arma da lancio, facendola roteare attorno all’indice. Era vero, pensare porta sempre a riflettere su cose che alla fine fanno soffrire, problemi che non si possono risolvere, ma su cui ci si ostina a sbattere la testa, sperando in un miracolo. Ma nessuno sarebbe sceso dal cielo per far sì che i problemi di Kaen sparissero.
Gaara incrociò le braccia al petto. «Puoi parlarmene se vuoi» la incitò. «A volte ho la sensazione che tu non voglia aprirti con me. Che tu abbia paura di qualcosa, e che questo non ti permetta di essere sincera con me.» La guardò stritolare tra le mani il kunai, assottigliare ancora di più le labbra con gli occhi puntati sulla parete di fronte a lei.
«Ho dei segreti, è ovvio» grugnì in risposta. «D’altronde, sappiamo bene che ne hai alcuni anche tu. Qualcosa di cui non vuoi assolutamente parlarmi, qualcosa di molto brutto.» Puntò gli occhi di smeraldo, accusatori come non mai, in quelli di Gaara, che irrigidì la mascella e assottigliò lo sguardo.
«Hai scoperto qualcosa» constatò, calibrando attentamente le parole. Sapeva che prima o poi Kaen avrebbe scoperto la verità, ma sperava sarebbe successo dopo molto più tempo. Quando sarebbe stato certo che non sarebbe scappata via da lui.
La ragazza fece un sorrisetto di scherno. «Ho solo sentito delle persone parlarne, prima che tu arrivassi. Dicono che è successo qualcosa diverso tempo fa, qualcosa che ancora adesso ti marchia come persona instabile, pericolosa» lo accusò, il tono di voce più alto del normale. «Eppure mi parli come se fossi l’unica che nasconde dei segreti! L’unica che non vuole aprirsi! Sei proprio un’ipocrita, Gaara!» sbraitò, gli occhi iniettati di sangue e la voce ridotta ad un ringhio basso.
Era arrabbiata, frustrata, delusa. Lui le diceva che lei non voleva aprirsi, mentre lui stesso si chiudeva a riccio e si rifiutava di raccontarle qualsiasi cosa. Quando mai si era aperto o le aveva parlato in modo davvero sincero?
Anche lei era un’ipocrita, o almeno lo era stata per la maggior parte della sua vita, sempre pronta a fingere di essere una persona calma, pacata, sempre allegra e che non si faceva scalfire da nulla, quando sapeva meglio di chiunque altro che carattere assurdo avesse. Era testarda, lunatica la maggior parte dei giorni, si innervosiva troppo facilmente e aveva anche la tendenza ad essere molto gelosa e altrettanto suscettibile. Insomma, era un agglomerato di difetti. Ma lui pretendeva di essere il santarellino che di fatto non era, lanciava il sasso e nascondeva la mano: un giorno le diceva che non dormiva mai, ma non si azzardava a spiegare nulla; le diceva che era preoccupato della sua reazione se avesse saputo il suo segreto, ma non faceva nulla per sistemare la situazione; spesso le aveva accennato che gli sarebbe piaciuto essergli più vicino, ma non compiva un solo passo per attuare il suo stesso desiderio. Ma perché?
La verità era che Gaara aveva paura, un’orribile sensazione di terrore che lo mangiava vivo. La stessa paura che provava anche Kaen, e si sarebbero capiti, se solo avessero trovato le parole adatte.
Gaara abbassò per un momento lo sguardo sotto il peso delle parole della ragazza, consapevole degli errori che aveva commesso con lei, e non solo. Voleva starle accanto, eppure prestava particolare attenzione a starle a debita distanza. Era un controsenso, si comportava nello stesso modo in cui faceva lei e che poi lo faceva internamente soffrire. Se aveva percepito un muro tra se stesso e Kaen, lo aveva percepito anche lei allo stesso modo. La colpa era di entrambi, due codardi spaventati di farsi avanti e spogliarsi delle proprie difese di fronte all'unica persona che, nonostante tutto, era pronta ad accettare i difetti e gli errori dell'altro.
Tornò a guardarla, gli occhi velati di ansia e una mano che stringeva forte il legno del banco accanto a lui. «Se vuoi sapere davvero la verità, non possiamo parlarne qui. Seguimi» parlò infine, svuotato di ogni forza. Lasciò stancamente un paio di monete all'uomo che gestiva il gioco e si girò, iniziando ad allontanarsi senza fretta. Se doveva parlarle a cuore aperto, era meglio non farlo davanti a tutto il villaggio. Già aveva notato gli sguardi curiosi dei passanti, che reagivano all’aria satura di tensione che si era creata tra i due e si domandavano cosa fosse quella strana sensazione di pericolo che si percepiva, come delle piccole scariche elettriche che rendevano l’atmosfera pesante.
Kaen digrignò i denti, diede un'occhiata al kunai che ancora stringeva e lo lanciò di scatto al bersaglio, ma cozzò in pieno con l'altro oggetto di ferro ficcato nel legno e con un rumore di metallo cadde a terra, incapace di fare presa accanto agli altri due. Quando era infuriata perdeva tutta la concentrazione, era un suo terribile limite.
«Tanto lo sapevi che ti avrei battuta.»
Kaen rilassò i muscoli e lo sguardo e distese la piega di fastidio che la fronte aveva assunto. Sbuffò una risata e si apprestò a raggiungere Gaara, che si era fermato a la guardava con la coda dell'occhio, accennando un sorriso leggerissimo sulle labbra pallide. Era incredibile come riuscisse a ritrovare la calma con una semplice frase del ragazzo. Come se la sua voce calda e roca fungesse da balsamo per i nervi pulsanti di Kaen e stringesse catene invisibili attorno al suo demone, aiutandola a ritrovare la pace.
«Guarda che voglio la rivincita» rise in risposta. Allungò una mano e sfiorò leggermente la mano di Gaara, chiusa a pugno. Era teso, quasi come se lo stessero mandando al patibolo. Doveva essere preoccupato per ciò che aveva da dirle, così come lo era lei.
«Sbaglio o te l’ho già detto?» soffiò Kaen in direzione di Gaara, che le aveva afferrato due dita e le aveva strette. «Non devi aver paura. Non potrei mai pensare nulla di cattivo su di te, credimi. Ti fidi di me?»
Gaara le rivolse il viso, gli occhi avevano il colore del mare in tempesta. «Mi fido di te più di chiunque altro» rispose. La voce, bassa e troppo profonda, rivelava i sentimenti contrastanti che stava provando in quel momento e che lo confondevano. Se avesse parlato con un tono più alto, la voce avrebbe tremato. Ma le sue parole erano quanto di più sincero avesse mai pronunciato. Kaen desiderò affogare in quello sguardo.
«Per me è lo stesso.»
 
 
 








N/a: finalmente pubblico il nuovo capitolo. Ci ho messo davvero troppo tempo, lo ammetto, ma spesso non riesco a concentrarmi o ho altri impegni, e quindi prolungo di molto le cose. Ammetto che la mancanza di recensioni nell'ultimo capitolo pubblicato mi ha un po' abbattuta, ma mi conforta sapere che qualcuno che legge e apprezza c'è e quindi ringrazio i 22 che hanno aggiunto la storia tra le seguite, gli 8 che l'hanno aggiunta tra le preferite e l'unica persona che l'ha messa tra le ricordate. Siete gentilissimi!
Mi raccomando, se avete cinque minuti mi piacerebbe leggere cosa ne pensate di ciò che scrivo. 
Al prossimo capitolo!
 

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