Intrigo scozzese

di KatherineGrey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO I ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO I ***


Il 221B di Baker street effondeva nella nebbia la luce elettrica dei suoi interni, sfumando i contorni delle finestre in fredde bozze perlacee. Anche la strada era piena di bagliori, provenienti dalle vetrine dei negozi e dai globi dei lampioni accesi.
John Watson si stupì leggermente quando, entrando nel salottino, trovò Sherlock in piedi accanto alla finestra  che guardava fuori con un’espressione concentrata.
- Guardi il tempo? C’è solo nebbia!- disse John, dopo aver aspettato inutilmente che l’amico si voltasse verso di lui.
- Sì, c’è nebbia …
- Bene!- rispose distrattamente il dottore, mentre si dirigeva in cucina con l’intenzione di prepararsi un tè.
- Ma non solo! Abbiamo un ammiratore! - aggiunse con enfasi Sherlock.
John si arrestò e tornò indietro verso la finestra.
- No, più indietro, altrimenti ti vedrà!
Ma John, che venne letteralmente spintonato verso il lembo di tenda della finestra accanto, protestò.
- Potremmo magari spegnere le luci, invece di abbracciarci alle tende.
- Se vuoi proprio dargli una conferma che lo stiamo contro- spiando.
- Ma chi ci spia?
- Suppongo i compari di Mycroft! Vedi quella macchina scura, ferma vicino al terzo lampione sul marciapiede di fronte?
- Il lampione vicino al Minimarket?
- Esattamente, sono quindici minuti che è ferma lì!
- Magari aspetta la moglie che sta perdendo tempo al bancone dei formaggi!
L’investigatore fece segno di no con la testa!
- Vedrai che tra qualche secondo va via!
Infatti, passarono pochi secondi e l’auto si rimise in moto sfilando via.
- Come facevi a sapere …
- Davvero semplice. Ormai, è da un paio d’ore che si stanno alternando delle seriose vetture che stazionano in più punti della via, stanno ferme un quarto d’ora e poi se ne vanno!
- E perché pensi che ci sia di mezzo tuo fratello?
- Perché la faccenda dei quarti d’ora è la sua firma. Quando manda qualcuno a fare degli appostamenti, una delle sue categoriche istruzioni è proprio quella di rimanere fermo in un posto per circa un quarto d’ora, un lasso di tempo che non è né troppo né poco. Sicuramente, nessuno fa caso ad una macchina ferma per soli quindici minuti su una strada trafficata.
- Ma tu sì!
- Sì, ma io sono Sherlock Holmes!- rispose con tono ovvio il giovane investigatore. Ma poi aggiunse:
- Ed inoltre, ho una lunga esperienza in fatto di appostamenti subiti da Mycroft. Ecco, infatti, guarda, un’altra vettura scura si è appena fermata vicino al fioraio! Ma perché Mycroft offende così la mia intelligenza?
- Chiediglielo!
- Cosa?
- Mandagli un sms!- disse John, alzando le spalle. – Io, comunque, stasera esco!
- Non puoi uscire!- esclamò irritato Sherlock.
- Mi risulta che sono libero di oltrepassare la soglia di casa di mrs Hudson anche senza il tuo permesso; di conseguenza: sì, stasera esco!
- Ma il tuo blog!
- Da quando ci tieni a quello che racconto nel mio blog?- chiese scettico il dottore.
- John, sta per succedere qualcosa di interessante …
Il dottore incrociò le braccia poco convinto.
- Davvero? E chi ti dice che tuo fratello non ti stia facendo spiare per essere sicuro che … non so, tu non abbia il morbillo? Tuo fratello sarebbe in grado di fare una cosa del genere!
- Con mio fratello mi sono sentito questo pomeriggio: sa perfettamente che sono in ottima forma e che non sto seguendo nessun caso. No, John, qui c’è qualcosa di molto interessante sotto.
Il ragazzo si avvicinò al caminetto e prese l’attizzatoio per riordinare il mucchio di legna che vi stava bruciando, quindi si voltò verso il medico.
- Io penso che stiamo per ricevere una visita molto importante, John, e da bravo coinquilino mi dovresti aiutare a fare gli onori di casa!
Il medico rimase leggermente interdetto, quindi, come al solito capitolò:
- D’accordo! Sono proprio curioso di sapere chi è questo grande personaggio che deve arrivare.
Proprio in quel momento, la signora Hudson fece capolino nella stanza.
- Oh, bene sei ancora qui!- disse subito in direzione di John Watson.
Il medico la guardò con aria interrogativa.
- Beh, ho letto sul tuo blog che stasera avevi un appuntamento galante!...
- Ah, ora informiamo i followers anche di questo, eh!- osservò Sherlock mentre si sedeva sulla poltrona stirando allegramente le gambe verso il caminetto.
Il medico decise di non ribattere e chiese alla donna perché fosse così sollevata di vederlo lì.
- Mi ha appena chiamata mia nipote! Vi ricordate mia nipote? quella che sta sempre in giro per il mondo a fare documentari …
- Uhm!...- rispose distrattamente l’investigatore.
- Certo!- disse il medico, anche se non ricordava neanche come si chiamasse la ragazza.
- Bene, è a Londra e viene a cena qui stasera. Volevo farvela conoscere!
Sherlock Holmes saltò subito in piedi e guardò verso il medico. John, che sul momento non aveva capito la reazione del suo amico, impiegò qualche secondo a fare il collegamento con quanto aveva appena detto mrs Hudson.
- La nipote della signora Hudson, ma andiamo! Non può essere così importante da...
Il medico si interruppe imbarazzato e, affrontando lo sguardo insolitamente assottigliato della sua padrona di casa, si affrettò a trovare un finale stiracchiato per quella frase infelice:
- Dicevo che il mio appuntamento è comunque poco importante …
- Ma non hai scritto che si trattava di una cena con una nuova amica … - lo interruppe la signora Hudson.
- Appunto, un’amica di lavoro, cioè una collega … una noiosa collega … sarà un piacere trovare una scusa per disimpegnarmi!
- Ma quindi non è la tua nuova ragazza?- insistette la donna.
- No, ho lasciato intendere … così, per vantarmi!
- Oh! – commentò con aria comprensiva la signora Hudson, che subito rimise su il suo sorriso, concludendo:
- Beh, allora cena alle otto. A dopo! Ah, non portate nulla: mia nipote è vegana!
- Certo!- rispose il dottore accompagnandola alla porta. Tornò con un velo di malumore per essersi dovuto umiliare fino a quel punto.
- Pazzesco. Ma come puoi pensare che la nipote della Hudson sia un tipo da far smuovere l’intelligence inglese. Voglio dire: è la nipote della Hudson? Come può essere?
- Come può essere?- ripeté con un sorriso beato Sherlock.- Beh, intanto sappiamo che è vegana. Vai tu a comprare il vino, vero?

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Capitolo 2
*** CAPITOLO II ***


Proprio mentre John si apprestava ad uscire per raggiungere la più vicina enoteca, che in realtà distava ben due isolati, un boato terribile riecheggiò tra le case di Londra ovattate dalla nebbia. E iniziò a venire giù una pioggia pesantissima. L’uomo tornò indietro, salendo le scale a due a due, e ripescò il suo ombrello dal portaombrelli sul pianerottolo. Stava per ridiscendere la scale quando sentì la voce dell’amico oltre la porta dell’appartamento.
- Sì, delle rose: ottimo consiglio. Me le faccia portare subito qui, grazie!
Sherlock Holmes che ordinava fiori? John rimase per un attimo immobile: ma che diavolo si era messo in testa il suo amico? Decise che per ora era meglio non farsi troppe domande, perché la vicenda, nella ovvia probabilità che Sherlock avesse ragione, aveva tutta l’aria di essere parecchio complicata. Così uscì dall’abitazione. L’aria ora aveva assunto una intensa colorazione violacea che la pioggia punteggiava di luccichii. Mentre perse un minuto di troppo a sbloccare l’apertura difettosa del suo ombrello – ma perché non l’aveva portato ancora a riparare, considerato che viveva in uno dei posti più piovosi del pianeta?- vide avanzare verso di lui una figura occultata da un ombrello e da un lungo giaccone scuro; era il giovane commesso del fioraio, il più attivo latin lover del quartiere, e aveva in mano delle belle rose incartate.
- Non le si apre l’ombrello, dottore?- chiese quest’ultimo avendo notato i tentativi falliti di John.
- Oh, questione di poco, Nigel. Che bei fiori. Li porta su, nel mio appartamento?
- Sì. Avete ospiti?
- Siamo invitati a cena!- spiegò John che inaspettatamente con uno strattone di impazienza riuscì finalmente ad aprire l’ombrello.
I due uomini si salutarono e John procedette verso la sua meta. Lungo il marciapiede non poté fare a meno di notare che di fronte al fioraio c’era ancora la stessa vettura sospetta. Mentre, con aria non curante, si allontanava dall’abitazione, aveva ben netta la sensazione di avere degli occhi incollati alla schiena . Lasciando Baker street per Crawford street, si chiese se il conducente avesse rimesso in moto la macchina e ora lo stesse seguendo a una velocità silenziosa. Senza sapere perché, John scelse un percorso alternativo per arrivare all’enoteca, deviando dalla giusta direzione agli incroci per poi correggersi all’incrocio successivo della parallela. Si spinse più volte negli antri bui dei palazzi, aspettando, invano, di sorprendere la macchina mentre svoltava l’angolo. Alla fine, constatando quanto fossero state inutili quelle accortezze, visto che a quanto pareva i suoi spostamenti non avevano ottenuto la minima considerazione, percorse le ultime centinaia di metri dritto verso l’enoteca. Anche al ritorno, John non si pose più il problema se fosse seguito o meno e ad un certo punto iniziò a distrarsi pensando alla sua per niente noiosa amica. Tuttavia, a pochi metri dall’inizio di Baker street, notò un’ auto incastrata in un piccolo vicolo cieco tra due edifici, che, proprio al suo passaggio, aveva spento i fari. John continuò a camminare ma con la coda dell’occhio vide che nessuno aveva aperto lo sportello, come se chi vi stava a bordo volesse far credere che la macchina era vuota.
Quando finalmente, con la bottiglia di vino in mano, si avvicinò a casa, John fu sorpreso nel vedere che il fioraio stava uscendo proprio in quel momento dal suo portone.
Cosa aveva fatto lì tutto quel tempo? Sventolò l’ombrello bagnato sullo zerbino ed entrò nell’abitazione. Mentre stava salendo le scale, si sentì chiamare da sotto. Si affacciò dalla balaustra e vide la signora Hudson che era appena uscita dal suo appartamento.
- Oh, John! Potresti venire un attimo dentro a farmi un favore?
- Sì, certo.- rispose il medico che lasciò la bottiglia sulla mensola del caminetto all’ingresso e seguì la signora Hudson all’interno dell’appartamento. Il medico notò che nella piccola sala da pranzo la tavola era già apparecchiata ad hoc; la tovaglia era elegantemente ricamata e i bicchieri del servizio buono perfettamente posizionati sul bordo destro dei sottopiatti.
Accostata ad una parete c’era una scaletta e sul ripiano del mobile vicino faceva capolino un’ imponente foto incorniciata.
- Ecco - disse la donna indicando quel punto- non riesco ad appendere quel quadro. Dannata vecchiaia, non ho più le gambe ferme come un tempo!
Il medico si avvicinò al quadro e lo prese tra le mani. Ritraeva una giovane coppia di sposi, immortalati in un giorno sicuramente molto lontano, come denunciavano impietosamente la colorazione troppo vivida della foto e il taglio degli abiti e delle acconciature.
- Una vecchia foto degli anni’70!- disse mrs Hudson avvicinandosi a John con un sorriso.
- Ma questa … - stava per esclamare John notando il viso della donna.
- Certo, sono io. Beh, un tempo sono stata sposata. Questo è il mio compianto marito, Reginald Hudson.
John osservò l’uomo. Aveva un viso un po’ tarchiato, con la mascella possente e gli occhi grandi e scuri. Rimase leggermente impressionato dal contrasto dei due: mrs Hudson anche da giovane aveva un’aria timida, con quel suo fisico minuto e sottile, i capelli biondi sobriamente sciolti sulle spalle, le guance rosse di una tenera felicità, mentre lo sposo aveva tutta l’aria di essere di un’altra pasta, con quella postura un po’ impettita, la sua statura decisamente imponente vicino alla compagna e la chioma corvina impomatata alla Elvis Presley.
- Era davvero un bell’uomo!- sospirò mrs Hudson sfiorando con le dita l’immagine del marito.
- Sì, davvero!- annuì il dottore che sapeva di non dover fare alcun commento serio sull’aspetto estetico del compianto signor Hudson.
- Certo, anche un gran disgraziato!- aggiunse poi all’improvviso la donna gonfiando le spalle.
- Come dice?- chiese John che stava salendo sulla scaletta.
- No, lasciamo perdere. Stasera non sta bene parlare male di mio marito. Comunque, ecco, appendimelo a quei chiodi più grandi, grazie!
John si accorse che il quadro andava a coprire perfettamente tutto quel pezzo di parete contrappunto dai chiodini ai quali, fino a quella sera, erano stati appesi piccoli piattini con sfondi campestri: era chiaro che quella era stata la sua posizione in passato e che ad un certo punto mrs Hudson aveva voluto rimuoverlo; ma perché ora desiderava rimettercelo?
La signora Hudson non lo lasciò in cerca di una risposta. Infatti, spiegò:
- L’ho riappeso per Jane. Vedi, John, non è una mia nipote di sangue: suo padre era il fratello minore di mio marito! Lei era già molto legata a noi, ma poi quando i suoi genitori morirono tragicamente, ci sentimmo ancora più stretti. Povera cara, se non fosse stato per i suoi nonni, l’avremmo adottata volentieri. Ma nonostante lei vivesse a Orlando, in Florida, passava sempre le vacanze a Londra, nella nostra casa; altrimenti, andavamo noi. Purtroppo, quando mio marito morì, lei ne fu veramente sconvolta. Certo, lei ora è ben capace di affrontare il mondo, è una persona indipendente, ma è rimasta così affezionata al ricordo di suo zio: pensa che me lo cita ancora nelle lettere. Jane è sempre stata così emotiva, così fedele verso i suoi affetti … Capisci, sarebbe stata una grande delusione per lei vedere che avevo messo via la foto del nostro matrimonio!
Mrs Hudson fece una pausa, nella quale qualcosa brillò lungo le sue ciglia, e a voce malferma disse:
- ...Beh, ora anche questa è fatta, grazie a te! Ora, scusami tanto John, ma devo lucidare i cucchiaini del dessert.
- Oh, si figuri. Allora, a dopo.- rispose grato John, che aveva iniziato a sentirsi leggermente a disagio.
Il giovane medico  riprese la bottiglia e salì nel suo appartamento. Trovò Sherlock con le braccia incrociate dietro la schiena che stava misurando la stanza a grandi passi. Nelle pallide mani reggeva un voluminoso libro che a giudicare dalla copertina estremamente lucida doveva essere nuovissimo. Infatti, il tema floreale della rilegatura non aveva mai fatto capolino lungo gli affollati scaffali dell’abitazione.
- Allora, eccoti il vino!- disse John, poggiando la bottiglia sul tavolino, sul quale erano stati posati due mazzi di fiori.
- Perché due mazzi di fiori?- chiese John.
- Due donne, due mazzi di fiori, no?- rispose Sherlock, in tono irritato.
- Certo, tu che ad un tratto diventi un gentleman!
- Che ore sono?- chiese all’improvviso il detective.
- Hai l’orologio al polso!- gli ricordò John, che però istantaneamente consultò il suo orologio.
- Manca ancora una ventina di minuti.
L’investigatore sbuffò.
- Perché non ti cambi?
- Sono già adeguatamente vestito.
- Non so, una cravatta!
- Una cravatta? Non ne possiedo; non ho i gusti di Mycroft, grazie al cielo!
- Bé, peccato: col bouquet sarebbero stati bene!- ribatté John, che poi si accorse di avere indosso, lui sì, una cravatta.
Sherlock parve non udire l’osservazione ironica dell’amico e si tuffò in profonda catalessi sul lungo divano sotto lo smile.
Anche John era nervoso e non sapendo bene cosa fare, si avvicinò alla finestra. Subito, gli occhi gli caddero sul libro che l’amico aveva lasciato sulla scrivania. Con la coda dell’occhio si accertò che l’altro non lo stesse guardando e delicatamente girò il libro, così, tanto per vedere se il titolo poteva essere inerente in qualche modo a quella situazione. Perciò, rimase letteralmente di stucco, sia per la delusione che per il forte stupore di aver visto un simile libro in mano a Sherlock Holmes, quando lesse la scritta Schiavo d’amore, svolazzante e fucsia sotto due volti contratti in un bacio appassionato. E stava per lasciarsi scappare un’esclamazione di meraviglia, quando il rumore di una frenata lo attirò nuovamente di fronte alla finestra.
Un furgoncino con un’ indistinguibile scritta lungo la fiancata si era fermata proprio davanti all’abitazione.
- Ehi, Sherlock, vieni a vedere!
Il ragazzo con un salto acrobatico si portò accanto all’amico.
- Quel furgoncino dovrebbe fare consegne per il ristorante giapponese vicino a Park Crescent, a giudicare dagli ideogrammi. Evidentemente, la signora Hudson non ha molta confidenza con gli ingredienti alternativi della cucina vegana. – disse il ragazzo.
- Già, chissà cosa mangeremo stasera!- fece melanconico John, pensando alla serata fallita da Angelo! - Comunque, pensi che sia sospetto?
- Beh, è un classico che gli agenti dell’intelligence tengano sotto controllo le apparecchiature telefoniche di quelli che spiano. Con tutta probabilità, l’ordinazione della signora Hudson è stata ascoltata e quasi certamente i nostri opportunisti eroi hanno sfruttato l’occasione. Questo ristorante, come molti altri ristoranti orientali, regala sempre dei piccoli gadget portafortuna ai suoi clienti. Sicuramente, l’omaggio dentro la busta per la signora Hudson sarà stato ‘manomesso’. Ah, quanto sono prevedibili! Beh, quando scendiamo giù, chiediamo dell’omaggio e lo facciamo sparire!
- Speriamo che la signora Hudson non ci rimanga male! Beh, solitamente sono così orrendi che …
John all’improvviso colse il nonsense di quanto aveva appena detto il suo coinquilino.
- Aspetta un momento … Ma perché dovresti ostacolare i nostri servizi segreti?
- I nostri? Oh, John, come sei irritante quando fai il patriottico!
- Vorrei ricordarti che sono stato un soldato della Corona e il patriottismo sono ben orgoglioso di averlo nel sangue!
- Applausi e medaglie per il bravo soldatino John.- rispose con voce insofferente Sherlock.
- Lasciamo perdere i miei valori, per favore, e ragioniamo un attimo su quello che stiamo per fare?
- John – gridò all’improvviso il detective - forse non ti è ancora chiaro il punto: mio fratello mi ha messo ancora una volta da parte! E ha pensato di potermela fare proprio sotto il naso!
- E tu, per una patetica gara a chi è il più furbo dei fratelli Holmes, sei pronto a sconvolgere i piani dei nostri servizi segreti? E se provocassimo delle conseguenze disastrose, che ne so addirittura uno scandalo politico? ... Cosa ne sappiamo noi di quello che sta succedendo? Potrebbe trattarsi di una questione dalle ripercussioni internazionali …
Ad un tratto, il medico si ricordò che tutto il polverone partiva dalla nipote della signora Hudson. La emotiva Jane Hudson. Si accasciò sulla poltrona e stancamente si passò una mano sugli occhi. Improvvisamente, iniziò a ridere:
Il detective gli rivolse uno sguardo interrogativo.
- Tutto questo è troppo assurdo per essere reale. Sono fantasie, le tue fantasie!
Il campanile della chiesa più vicina batté gli otto rintocchi.
- Beh, lo vedremo subito, John!- disse Sherlock, profondamente sollevato dalla fine dell’attesa.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO III ***


Moriarty si agitava debolmente sulla sedia. I suoi polsi erano legati in modo tale che ogni suo tentativo di divincolarsi gli procurava un dolore enorme. In bocca aveva raggomitolato il suo foulard da taschino, quello che portava di solito perché si intonava bene su ogni giacca. La luce tenue di una lampadina impolverata illuminava le macchie di sangue sul suo viso e sugli indumenti, e quelle che, mimetizzate nella sua scura capigliatura, apparivano come dei fluidi ricami lucenti. Nella grigia ampolla di luce, quasi alla sua estremità, si intraveda un uomo steso a terra, sopra un pavimento livido di sangue: era uno degli agenti di Mycroft. La sua schiena si muoveva ancora, come se i respiri gli stessero urtando contro le vertebre, in un tentativo spasmodico di trattenere la vita che se ne stava andando. Moriarty inarcò le sopracciglia al suo ennesimo gemito.
Dall’ombra, scavalcando l’agente, spuntò una donna, molto alta e con dei capelli corvini e mossi, appiattiti contro la nuca. Era notevolmente bella, ma il suo sguardo, duro e animato da un’energia selvaggia, incuteva soggezione e timore: nessuno si sarebbe soffermato a contemplare le sue qualità femminili davanti ai quegli occhi che sembravano come forbici sul punto di tagliuzzare l’aria.
- Ah, caro Jim Moriarty!- disse, rivolgendosi al noto criminale, con un tono appositamente alto, per contrastare gli ultimi singhiozzi prodotti dal corpo morente.
La donna si avvicinò e poi gli lisciò una guancia con un guanto che reggeva in mano.
- Peccato che al nostro primo incontro lei sia così poco presentabile! Ho sempre sentito dire che ci tiene molto al suo aspetto. Eppure, sa, direi proprio che il sangue le dona!
E così dicendo con lo stesso guanto gli frustò il labbro.
Moriarty cadde su un lato, trattenuto solo dall’appiglio dei suoi polsi legati dietro lo schienale della sedia. Un fiotto di sangue e saliva gli colò sul mento e filò giù sotto la sua camicia.
La donna, allora, gli prese il volto e lo riposizionò dritto sul collo. L’espressione di Moriarty non si era scomposta: i suoi occhi erano sprezzanti e pieni di odio. La donna gli sorrise con una vaga sfumatura di tenerezza, che risultava alquanto minacciosa. Premette un dito contro la sua tempia e con l’altra mano gli strappò il bavaglio.
- Allora, Jim, sa come deve comportarsi, vero?
Jim non annuì.
- Jim, adesso è libero di rispondere. Risponda, Jim!
L’uomo le rivolse un sorriso di scherno, quindi rispose:
- Perché non mi uccide?
- Oh, subito con queste domande dirette … La risposta è evidente: lei mi serve! La ringrazio, a proposito, di aver accettato il mio invito.
- Era una trappola?- Moriarty parve un attimo sgomento.
- No, ho parlato di ‘invito’. Ma dov’è finito l’elegante modo di esprimersi degli Inglesi?
- Quindi? Non capisco.
- Certo, non può capire! Dovrei prima raccontarle una storiella …
- Veniamo al punto, rischio la necrosi alle mani.
- Si agiti di meno, allora!- disse lei duramente. Poi ad un certo punto la sua espressione cambiò, come se avesse notato qualcosa. Si rimise in piedi e si avvicinò al corpo dell’agente.
- Ah, è morto!...
- Bene, ora possiamo concentrarci su quello che dovrei sapere? Se non ho capito male, ha intenzione di ingaggiarmi.
La donna tornò sui suoi passi. I suoi occhi erano carichi di rabbia e di disprezzo.
- Può giurarci! E non parlo di intenzioni: é già ingaggiato! Perché visto che ho questa- e nel suo pugno fece comparire una chiavetta- non penso che avremo bisogno di trattare.
- Ricatto … Oh, che altro potevo aspettarmi da un’americana: lei è veramente così ‘serial’ …
- Sì, più o meno è quello che mi dicono tutti. Ah, inoltre, se io dovessi morire, un mio caro conoscente, che gode di ottima salute ed è uno dei migliori latitanti a livello mondiale, è autorizzato ad usare un altro tipo di chiave, la quale apre la mia cassetta di sicurezza, una delle mie diecimila sparse per il mondo- beh forse il numero è esagerato: ho smesso di contarle molto prima … Comunque, lì sono racchiusi tutti i codici segreti per accedere ai miei spy- files.
- E naturalmente, anch’io ho l’onore di fare parte di tale archivio …
La donna sorrise:
- Ovviamente, è superfluo dirle che se lei si rivelerà un ottimo complice, le risparmierò lo spiacevole inconveniente di diventare il bersaglio numero uno della mafia cinese.
- E se lei muore?
- Sto cercando di preservarmi in ottima salute.
- Non dipende solo da lei …
- Andiamo, confidi un po’ nelle mie capacità!
Moriarty gonfiò il petto, quindi chiese:
- Di cosa si tratta?
- Di qualcosa che la divertirà molto, suppongo.
- Io non mi diverto granché!- ribatté Moriarty, che iniziava a non sopportare più il tono di superiorità della donna.
- Non la diverte nemmeno Sherlock Holmes?
Moriarty trasalì.
- La parolina magica, vero?
- Dovrei aiutarla a uccidere il bamboccio di sua zia?- chiese incredulo l’uomo.
- Sì!- rispose semplicemente lei, componendo sul suo viso una smorfia di gustosa vendetta.
- Potrei sapere il perché?
- Naturalmente. Vede, qualche mese addietro mi sono capitati tra le mani gli atti del processo che ha condannato mio zio alla sedia elettrica. Le risparmierò la parte, per lei sicuramente stucchevole, di quanto fossi legata a mio zio, possiamo farne a meno! Invece, il punto centrale della storia è che ho scoperto, da queste carte, che il nostro consulente investigativo, assunto da mia zia per trovare prove in difesa del marito, ha invece sovvertito il suo ruolo, condannandolo di fatto a morte.
- Senti, senti!- disse Moriarty con un’espressione alquanto interessata – Davvero poco professionale da parte sua!
- Non potevo credere che mia zia se lo fosse messo in casa, la casa che ha condivo con mio zio per tanti anni!
- Che mancanza di tatto!- annuì Moriarty.
- Da quel giorno, la mia mente è stata pervasa da un incessante sfrigolio … e dall’immagine di mia zia che rimane lì, indifferente …
- Senz’altro mrs Hudson merita la giusta punizione. Posso farle tutto incluso! Ho sempre odiato quei suoi antiquati abiti color vinaccia …
La donna scosse la testa.
- No, sarebbe troppo doloroso per me!- rispose con voce quasi dolente.
Poi si avvicinò all’uomo. Sfilò dalla vita dei pantaloni un taglierino.
- Allora- disse, girando dietro la sedia e tranciando il nodo che serrava i polsi sanguinanti di Moriarty. – Per adesso ho da darle solo un’istruzione: prenda il primo treno per Edimburgo, non importa quale albergo: la troverò comunque! Non deve fare assolutamente nulla, solo aspettare il mio arrivo. Quando la raggiungerò potremo dedicarci alla messa a punto del nostro piano. A presto, Jim.
La donna gli diede le spalle, procedendo verso la porta, ma una cosa la fermò di colpo: si trattava di un quadratino di legno, posizionato proprio vicino ai suoi piedi
- E questo cos’è? Oh, una trappola per topi. – disse e la distrusse con il tacco del suo scarpone.
Quindi, uscì. La macchina era ovviamente ancora lì, nel vicolo cieco, dove l’aveva vista John tornando a Baker street. Guardò in lontananza la macchia luminosa che svelava un angolo di facciata del palazzo di sua zia. Prima di recarsi lì doveva però recuperare il suo trolley.

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