A very Potter Shipping

di Chu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Faccia gelatosa ***
Capitolo 2: *** How to dismantle an atomic bomb ***



Capitolo 1
*** Faccia gelatosa ***


Titolo: Faccia gelatosa
Personaggi: Sirius Black, Remus Lupin
Genere: Commedia
Rating: PG
Avvertimenti: Slash
Note: scritta per "I ♥ shipping" in risposta alla sfida lanciatami da Aika Morgan che chiedere una Wolfstar, fluff (ehm... non è esattamente fluff, ma è l'unico genere di fluff che ho in mente io per questi due XD) con il prompt "gelato".
Ulteriore nota: è stupidissima, non è fluff e non fa ridere. Ma il Wolfstar mi mancava troppo ed io mi sono comunque divertita a scriverla XD

Faccia gelatosa
 

Sirius non sapeva mangiare il gelato. O meglio: Sirius non sapeva mangiare in generale, più che altro divorava qualsiasi cosa di commestibile avesse sotto il naso – gelati compresi.

James e Remus, tempo prima, avevano riflettuto sulle cattive abitudini alimentari del loro amico e della sua completa maleducazione a tavola, giungendo alla conclusione che Sirius si comportasse in quel modo per quella sorta di ribellione alla sua famiglia che lo portava a dimenticare anni e anni di si usa la forchetta in cima al piatto per il dessert e pulisciti la bocca delicatamente. Alla fine di quella discussione, sia James che Remus avevano convenuto che Sirius aveva tutte le ragioni del mondo per volersi ribellare, ma che comunque guardarlo mangiare era come vedere un film horror di serie B (la nuova passione babbana di James): agghiacciante, e non perché facesse paura.

Misteriosamente, quando Sirius veniva messo davanti ad una coppa di gelato – Remus gli aveva negato il diritto di mangiare i coni o le brioche dopo aver scoperto che in quel modo metà del gelato finiva addosso a Sirius stesso, o, peggio, addosso alle persone che gli stavano intorno (ed uno si sarebbe chiesto come fosse possibile, ma Remus ancora non era riuscito a venire a capo di quell’arcano) -, beh, quando veniva messo davanti a una coppa di gelato, Sirius peggiorava.

Così, quel giorno di fine agosto, comodamente seduti al negozio di Florian Fortebraccio, Sirius stava devastando il tavolino, i propri abiti e quelli di Remus, mentre divorava una coppa enorme di gelato.

“Ricordami perché ti ho portato qui…” esalò il licantropo, tentando di arginare i danni a colpi di bacchetta – ah, bello avere diciassette anni e poter usare la magia fuori da Hogwarts -, in una battaglia che si stava rivelando più difficile da vincere di quel che inizialmente sembrava.

“Perché,” rispose Sirius, prendendo un’altra entusiastica cucchiaiata di gelato – che finì per metà a terra con un plop – “Ti ho accompagnato al Ghirigoro e ci siamo rimasti per due ore inteeeeere,” concluse, sottolineando le ultime sillabe ficcandosi il cucchiaio in bocca e parlando attorno al boccone.

“Sei disgustoso,” disse Remus, anche se quello che aveva in mente di dire era lo so, lo so che non fai altro che sopportare la mia bibliomania.

Sirius ghignò, mostrando i denti marroni di cioccolato. Remus sapeva che gli stava tentando di dire: lo so che mi vuoi bene lo stesso.

“È uno dei miei principali problemi nella vita…” rispose ad alta voce, con un sospiro frustrato.

Sirius non lo ascoltava, però, intento com’era a scavare un buco nella coppa nel tentativo di racimolare le ultime dense e appiccicose gocce di gelato che erano sul fondo. Doveva trattarsi di un’operazione piuttosto complicata e faticosa, a giudicare dal cipiglio concentrato e la lingua – anch’essa di un bizzarro marrone cioccolato – che spuntava fuori dalla bocca sudicia.

Remus non riusciva a staccare lo sguardo: era una visione talmente ripugnante da risultare fascinosa in maniera orribile. Uno avrebbe creduto che un ragazzo come Sirius, sempre elegante e aggraziato, persino quando cadeva di scopa e si rompeva il braccio (due volte) o quando aveva i capelli verde acido in seguito ad uno scherzo (una volta) o quando si buttava sull’erba e vi si rotolava (tutte le volte, da quando aveva provato la sua trasformazione in Animagus), sarebbe stato elegante e aggraziato anche mentre mangiava. Uno avrebbe sicuramente fatto un errore a crederlo o sarebbe comunque rimasto generalmente disgustato e sconvolto nel vedere la vera natura di Sirius venire fuori in quel modo.

A strappare Remus dalle sue riflessioni – sempre quelle da sei anni, non ci poteva fare niente: l’arcano di come Sirius potesse trasformarsi dal ragazzo elegante e affascinante che di solito era a quella specie di maiale con i capelli era qualcosa che avrebbe sempre avuto la completa attenzione di Remus – fu una sorta di guaito da parte del suddetto maiale.

“No,” rispose velocemente e pressoché in automatico Remus.

“Ma… ma Moony…” tentò Sirius, guardandolo con disperazione.

“Ti ho detto di no,” fece perentorio Remus, alzando l’indice in un gesto d’avvertimento.

“Moony…” guaì ancora Sirius, fissandolo con i suoi occhi grigi incredibilmente canini. A volte Remus pensava che fosse Padfoot a trasformarsi in Sirius e non viceversa; il che avrebbe spiegato un sacco di cose, anche il modo bestiale in cui Sirius ingeriva cibo.

“No, non ti farò prendere un’altra coppa di gelato,” disse risoluto Remus, alzandosi dal tavolo e afferrando la bacchetta. Sirius guaì per l’ennesima volta e Remus gli lanciò un’occhiataccia che lo immobilizzò sulla sedia. “E se non la smetti giuro che non ti farò mangiare gelati fino alla prossima estate!”

Davanti a quella minaccia Sirius sbiancò e si alzò velocemente, tirando su le mani e permettendo a Remus di ripulirlo dalle macchie di gelato che gli coprivano vestiti e metà della faccia.

“Mi chiedo come fai,” borbottò Remus, sentendosi molto mamma con bambino scapestrato a seguito. “Metà del gelato ti finisce addosso.”

Sirius alzò le spalle e, quando fu di nuovo lindo e pulito, sorrise, tornando ad essere l’affascinante Sirius Black di sempre. “Sai una cosa?” domandò, passando un braccio attorno alle spalle di Remus, che si guardò intorno per controllare che nessuno li avesse notati.

“Cosa?”

“La parte più divertente di quando mangio il gelato è guardare te che mi fissi con orrore-”

“Ovvio che ti fisso con orrore!” esclamò Remus, alzando gli occhi al cielo. “Sei la cosa più ributtante del mondo!”

“Non ho finito,” ghignò Sirius, avvicinando un po’ il viso a quello del licantropo – che automaticamente si tirò leggermente indietro, perché Sirius aveva ancora un po’ di gelato appiccicato agli angoli della bocca. “Mi fissi con orrore, certo… Ma la cosa davvero adorabile è che non fai altro che sorridere stupidamente per tutto il tempo!” concluse, scoccandogli poi un bacio appiccicaticcio e zuccheroso sulla guancia e allontanandosi con un risata latrato delle sue.

Remus lo guardò incredulo per qualche secondo, prima di portarsi una mano sulla guancia e… Oddio, adesso era lui ad avere metà faccia ricoperta di gelato!








 

Crack, fanon o canon? Slash, Het, Threesome?
GOD SAVE THE SHIP!
I Shipping è un'idea del « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »

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Capitolo 2
*** How to dismantle an atomic bomb ***


Titolo: How to dismantle an atomic bomb
Personaggi: Remus Lupin, Severus Snape (past-Wolfstar implicito ♥)
Genere: Angst
Rating: PG13
Avvertimenti: Angst (in caso non fosse abbastanza chiaro), post morte di Sirius, slash (più o meno...)
Note: scritta per "I ♥ shipping" in risposta alla sfida lanciatami da e m m e che mi ha chiesto una Remus/Seveurs come mi pareva. Ed io l'ho scritta esattamente come mi pareva, ovvero con poco Remus/Severus e un sacchissimo di Wolfstar implicito, perché sono una stronza XD
Il titolo della storia è ripreso dall'omonimo album degli U2 (perché c'ho fantasia coi titoli...), mentre la citazione "Tu non sai cosa vuol dire sopravvivere a lui, altrimenti non staresti qua e mi lasceresti in pace" viene da quella meravigliosa miniera d'angst che risponde al nome di Saturno Contro. Infine, Princess of China mi ha fatto compagnia per tutta la stesura della storia, quindi s'è inserita nell'equazione pure lei.



How to dismantle an atomic bomb

 

Once upon a time somebody run,
Once upon a time we fell apart,
One upon a time we weren’t right,
Once upon a time on the same side.
[Princess of China – Coldplay]

 
Remus lo osservò uscire dal camino, senza dire una parola, immobile sulla sedia. Ricevette la sua occhiata gelida e impenetrabile, sapendo cos’avrebbero visto i suoi occhi: uno scheletro d’uomo, con capelli più grigi che castani, gli occhi rossi per la mancanza di sonno e le dita scosse da continui tremori.

La Luna piena era vicina, dietro l’angolo e ancora troppo, troppo lontana.

“Albus continua a mandarti,” commentò con il fantasma di una risata di scherno nella voce; lo sentiva graffiare nella gola, come un gatto che tenta di uscire da una scatola, e lui aveva troppi demoni, troppe maledizioni da controllare, per riuscire ad essere padrone anche di quello.

Severus non gli rispose, non gli rispondeva mai; se prima ignorava i suoi commenti semplicemente perché poteva, o semplicemente perché era in quel modo che si sentiva migliore, o forse semplicemente perché voleva, dopo la morte di Sirius lo ignorava perché non sopportava l’autocommiserazione.

Remus sapeva che oltre allo scheletro, Severus vedeva anche un mucchio d’ossa patetico; eppure non poteva fare a meno di recarsi a casa sua. La scusa della pozione Anti-Lupo reggeva a stento, così come il suo me l’ha detto Albus.

Era così, Severus, sempre ad evitarlo e ronzargli intorno. No, non proprio: era lui a ronzargli intorno, era colpa sua se in quel momento il vecchio compagno di scuola, l’ex collega non riusciva a stargli lontano. Lo aveva abituato alla sua presenza, come si fa con i gatti, e i gatti odiano cambiare abitudini.

“Bevila,” gli disse gelidamente, porgendogli un calice fumante.

“Mi fa schifo, in verità,” rispose Remus, guardando il liquido denso con pallido odio.

“Lupin, comportarsi come un bambino petulante non porterà a niente, oltre a essere oltremodo ridicolo.” Gli forzò il bicchiere nella mano, trattenendolo giusto il tempo necessario per assicurarsi che le sue mani tremanti non versassero il contenuto sul pavimento.

“La odio,” commentò Remus, portandosi comunque la pozione alle labbra. “La odio,” ripeté e non sapeva nemmeno lui a cosa si riferisse di preciso: alla pozione, alla sua maledizione, alla sua vita. Alla morte di Sirius.

Era la sua mente, il problema; sapeva bene che dopo un certo periodo di tempo la mente dei licantropi iniziava a marcire. Era inevitabile, perché lo stress della trasformazione era solo la parte esteriore e più esteticamente sgradevole della sua maledizione. Il corpo mostrava i segni, ma era la mente quella che cedeva un pezzettino alla volta, lentamente ma in modo inesorabile. Remus sentiva perdere una parte del suo cervello ogni giorno, mentre il lupo ringhiava, mordeva, graffiava tutto quello che poteva.

Era tremendo, eppure anche una liberazione: aspettava il momento in cui la sua mente avesse ceduto completamente, lasciandolo a fissare il vuoto, a sbavare come un vecchio incapace. Come se non fosse mai esistito, come se non avesse mai provato nulla, odio, amore, dolore, gioia. Niente.

Si accorse quasi all’improvviso che Snape lo stava fissando, un misto di ribrezzo e impassibilità negli occhi scuri; forse una vaga traccia di compassione, ma Remus sapeva che Severus non era mai stato un uomo compassionevole.

Sentì le sue labbra spezzarsi in un ghigno storto. “Vedi qualcosa che ti piace?” domandò insinuante, perché non riusciva a smettere, non riusciva a non essere odioso.

Severus sollevò un sopracciglio, sprezzante e vagamente confuso. “Saresti tu?”

Remus rise, ancora una volta la gola gli graffiò per lo sforzo, e il suono gli sembrò simile a un ringhio. “Ti senti meglio, vero? Ti senti meglio guardando me…”

“Lupin,” disse ed era un avvertimento e un invito insieme. Non farlo, gli stava dicendo.

“Sai cosa?” fece per tutta risposta Remus, posando la tazza vuota a terra e guardando l’altro con vuota ironia. “Fai bene.”

“Piantala!” ordinò Snape e, per un momento del tutto illogico – era il cervello, la mente che pian piano si spezzava e perdeva le sue connessioni sensate -, Remus capì per quale motivo molti dei suoi ex studenti avessero paura del terribile professor Snape. C’era qualcosa nel suo tono che, unito all’espressione arcigna e gli occhi scuri e impenetrabili, lo rendeva spaventoso. Ma Remus era un uomo adulto e aveva visto Severus quand’era solo un ragazzino gracile e spaventato; ricordava ancora troppo bene la sua rabbia nervosa, ma pressoché innocua, le pellicine sulle dita sporche d’inchiostro e gli occhi tristi e un po’ vacui. Ricordava anche com’era facile stringergli il polso e sentire i muscoli irrigidirsi, ricordava la lotte, ricordava notti confuse di soli due anni prima.

Erano stati simili, un tempo, molti anni prima, una vita fa, ma ora Severus non gli faceva nessuna paura e sapeva che dopo quelle settimane nemmeno Severus lo temeva più, dopo averlo visto ridotto a un ammasso informe di dolore e follia.

“Pensi che diventare patetico e lasciarsi morire sia utile a qualcuno?” gli domandò, muovendosi nervosamente per tirarlo in piedi, come per dar vita ad un manichino.

“Utilità… È quello che sai fare tu, vero? Reagisci così, tu, ai lutti e al dolore. Reagivo così anch’io, ma adesso sono stanco di essere utile…” borbottò Remus, la voce scricchiolante come le sue ossa e la sua mente. “Adesso vorrei solo essere… non qui, non io. Forse vorrei non essere e basta.”

“Morire, oh, che cosa romantica e svenevole!” sputò fuori Snape, lasciandolo andare con uno strattone.

“Non c’è bisogno d’essere gelosi, ora,” lo derise Remus, tentando poi una risata, che però non venne fuori.

“Stai delirando, Lupin…”

“Già, la mia maledizione funziona così, dopo un po’ il cervello inizia a perdere colpi, non lo sai? Eppure tu sei un esperto, in fatto di licantropi, no?” Continuava a canzonarlo, come avrebbe fatto Sirius, perché Sirius avrebbe fatto così. Sirius l’avrebbe portato all’esasperazione, fino a farlo esplodere di rabbia e disprezzo e odio. Comportarsi come Sirius lo rendeva un po’ meno morto, li rendeva entrambi un po’ più vivi, nonostante fosse ormai solo un ricordo e già Remus non riusciva più a ricordare il suono della sua voce.

“Non capisco cosa tu stia cercando di fare, né cosa ci guadagni…” commentò Severus, le braccia incrociate sul petto in una posa rigida, più di biasimo che di difesa.

“Non capisci, certo che no…” Remus scosse la testa, lasciandosi scivolare sulla sedia, e guardandosi le dita tremanti. La Luna piena era troppo vicina, ancora lontana, solo qualche giorno.

“Sei…” iniziò a dire Snape, ma poi non parlò più.

“Sai cosa dovresti dire ad Albus?” domandò Remus, senza alzare lo sguardo dalle sue mani. “Dovresti dirgli di smetterla di mandarti. Dovresti dirgli di smetterla di mandarmi chiunque. Non sto per morire… Il cielo solo sa quanto vorrei, ma no, non è ancora il momento. Ma arriverà.”

Repetita iuvant: morire subito dopo quell’imbecille, che cosa romantica…”

Non fu l’insulto a farlo cedere; non fu il tono derisorio e preoccupato – la sentiva, quella sottilissima nota che raschiava la gola di Snape, appena un accenno, nient’altro che potesse smascherarlo, ma c’era e Remus la sentiva, e forse non era nemmeno vera preoccupazione, ma esasperazione, perché Snape non sapeva gestirlo in quelle condizioni, non ne era capace. Non fu nemmeno la Luna piena vicina.

Fu il dolore e la rabbia e l’impotenza e la maledizione che gli mangiava il senno a poco a poco, a piccoli morsi, un passo alla volta.

“Tu non lo sai cosa vuol dire sopravvivere a lui, altrimenti non saresti qua e mi lasceresti in pace!” gridò, trovandosi improvvisamente in piedi di fronte a Severus. Lo guardò negli occhi, a lungo e con astio, rabbia, odio, preoccupazione, pena, compassione, e lui sentiva i pensieri di Snape patetico, patetico, patetico, oh, così romantico, patetico, reagisci.

Nessuno dei due disse altro per qualche momento, poi Severus fece un passo indietro, un altro e infine si voltò verso il camino; una manciata di metropolvere, un passo avanti. Si bloccò con il pugno alzato verso il caminetto e lo guardò da sopra una spalla, sprezzante, disgustato, pietoso.

“Hai il plenilunio e poi qualche giorno per rimetterti in forze. Poi andrai in missione,” disse, passandogli a voce il messaggio che Silente gli aveva mandato via gufo solo qualche ora prima.

Pessima giustificazione, pensò Remus tra sé, osservando le fiamme verdi inglobare e poi far sparire Severus.

Si voltò, trascinando i piedi verso la sedia e urtando il calice vuoto che Snape gli aveva portato. Lo guardò cadere con sguardo vacuo, una distrazione che non gli recava alcun interesse; poi, nella penombra della stanza, pensò che nemmeno lui aveva la minima idea di cosa volesse dire sopravvivere a Sirius.







 

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