Bittersweet in love di Levity (/viewuser.php?uid=19442)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incidente ***
Capitolo 2: *** Pensieri ***
Capitolo 3: *** Buonanotte tra le lacrime ***
Capitolo 4: *** Un abbraccio d'amore ***
Capitolo 5: *** La ricercatrice ***
Capitolo 6: *** Sala d'attesa ***
Capitolo 7: *** Io non ti renderò felice ***
Capitolo 8: *** I wanna be in love with only you ***
Capitolo 9: *** Insieme... ***
Capitolo 10: *** Cameron ha un amichetto ***
Capitolo 1 *** L'incidente ***
CAPITOLO
1 - L’INCIDENTE
Fuori
dal PPTH stava piovendo forte, i vetri della macchina di Allison
Cameron erano
bagnati e appannati, e la pioggia le rendeva quasi invisibile il
percorso che
stava facendo “non ci voleva! Ora come faccio? Non posso
continuare così,
altrimenti andrò a sbattere contro un muro!”
pensò con rammarico estraendo poi
il cellulare dalla borsa, compose un numero a lei piuttosto familiare:
quello
di House… dopo alcuni squilli una voce maschile rispose, in
modo tutt’altro che
gentile. -oh, ma guardate, la nostra Cameron ha deciso di manifestare
la sua
presenza almeno al telefono!- House era stato ironico come al solito,
la
dottoressa strinse i denti mentre con la mano libera teneva il volante,
cercando di seguire la strada con lo sguardo e con le ruote
dell’auto.
-House
scusa per il ritardo ma qui è un inferno, piove fortissimo e
non vedo nulla,
tarderò ancora perché aspetto che smetta un
po’…- cercò di giustificarsi lei,
ma prima che potesse continuare House la zittì irritato,
-si, e se vuoi vai
anche a prenderti un caffè e un muffin caldo, tanto noi
siamo qui a fare
niente!-
Cameron
sbuffò e premette un po’
sull’accelleratore, se House era così irritato
voleva
dire che aveva un caso interessante per le mani, perciò
doveva fare in fretta,
ancora al telefono disse sbuffando: -d’accordo, non
preoccuparti, tanto sono a
pochi isolati, arrivo prima che posso, eviterò di
fare…- ma non terminò la
frase, dall’altro capo del telefono House senti distintamente
un rumore di
freni, le ruote che scivolavano sull’asfalto bagnato e un
urlo soffocato di
donna…
Sbarrò
gli occhi, il cellulare ancora in mano, dall’altra parte non
si udiva nulla -Cameron?
CAMERON che è successo?- faticò a mantenere il
tono calmo, perciò urlò le
ultime parole, mentre dietro di lui Foreman e Chase si drizzavano sulle
sedie
dove erano. -che è successo?- chiese Foreman preoccupato al
suo capo, House non
rispose, si era allontanato il cellulare dall’orecchio e
aveva fissato il suo
sguardo su un punto indefinito dello studio, le sopracciglia aggrottate
e il
volto scuro.
-le
è successo qualcosa…- disse infine con tono
grave, strinse la mano un po’ più
forte sul bastone, si intascò il telefonino e si diresse
più veloce che poteva
verso lo studio della Cuddy.
Il
medico entrò trafelato, la Cuddy
scattò in piedi piuttosto innervosita e urlò:
-House! Visto che non hai
intenzione di bussare quando entri vedi almeno di non fare tutto questo
trambus..-
ma lui non la lasciò finire, perché con voce
stranamente agitata disse: -è
successo qualcosa a Cameron!- la dottoressa scosse il capo rassegnata
-senti,
so che sei abituato al fatto che Allison arrivi sempre puntuale e tutto
il
resto, ma magari non le è suonata la sveglia o ha fatto
tardi, c’è una bella
differenza al pensare che le sia successo qualcosa no?- House
roteò di scattò
la testa, irritato, dopodiché in un gesto violento e veloce
sbattè il bastone
sulla scrivania della donna, suscitando una sua occhiata infuriata,
-ero al
telefono con lei, mi stava parlando di quanto piovesse e ad un certo
punto ho
sentito dei rumori e delle grida…- la Cuddy
lo guardò lentamente, più che non capire
ciò che aveva
detto non voleva crederci, perciò lui continuò a
voce un po’ più forte -HA
AVUTO UN INCIDENTE!!!-. La donna scosse il capo e immediatamente
alzò la cornetta
del telefono che poggiava sul tavolo, fece un numero
interno… -pronto sono la
dottoressa Cuddy- disse seria -voglio che un ambulanza vada
immediatamente
verso…- coprì con una mano la cornetta per
osservare House -dov’era?- -non lo
so, ha detto che era a pochi isolati da qui, la sua macchina
è una…- -una Buick
rossa House- intervenne freddamente Chase da dietro le sue spalle, -si,
proprio
quella…- concluse House verso la Cuddy,
quest’ultima annuì e comunicò le
informazioni al suo
interlocutore, poi riagganciò. Si passò le mani
fra i capelli, aveva un aria
stanca e piuttosto spaventata, House non vi badò molto,
strinse meglio il
bastone e si avviò verso il suo ufficio, senza dire una
parola.
Foreman
e Chase lo seguirono, l’ultimo con un espressione
visibilmente preoccupata,
mentre il primo aveva il volto caratterizzato da qualcosa di
indecifrabile,
silenziosamente si avvicinò al suo capo e lo
oltrepassò, per poi voltarsi a
pochi passi dall’ufficio e pararsi contro House,
quest’ultimo non ebbe nemmeno
il tempo di accorgersi di ciò che accadeva che un pugno lo
colpì in pieno
volto.
Colto
alla sprovvista perse l’equilibrio finì in terra
seguito dal suo bastone che
cadde a pochi centimetri da lui. Con un espressione minacciosa Foreman
si chinò
per portare il suo viso a poca distanza da quello del capo -sei un
BASTARDO!
Prega perché sia ancora viva perché se non fosse
stato per te non avrebbe avuto
alcun incidente!- detto questo se ne andò, seguito a ruota
da Chase che non era
minimante rimasto sconvolto dal gesto del collega.
House
si alzò a fatica, massaggiandosi la mascella e recuperando
il bastone per poi
reggersi su di esso. Lanciò un’occhiata
preoccupata nel suo ufficio dove
Foreman si era preso la testa fra le mani, preoccupato per
l’amica.
Chinò
il capo smettendo di tastarsi il volto “me lo sono
meritato…” pensò prima di
venire interrotto da un rumore poco lontano, lanciò un
occhiata e vide entrare
di corsa una serie di infermieri con una barella, appena un infermiere
lo notò
disse in fretta: -femmina, 26 anni, vittima di un incidente stradale,
possibili
fratture e trauma cranico!- House guardò la giovane donna
sulla barella, era
Allison Cameron.
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Capitolo 2 *** Pensieri ***
CAPITOLO
2 - PENSIERI
Erano
passate circa 6 ore dall’arrivo della donna in ospedale, ed
era stata
trasferita dalla terapia intensiva ad un altro reparto. Si era rotta un
polso
soltanto, ma aveva subito un trauma cranico piuttosto grave, ma il
problema
pareva essere stato risolto dopo un operazione.
Cameron
si trovava ora in una stanza luminosa, dormiva tranquilla ed aveva la
testa
fasciata. Ai piedi del letto stavano Chase e Foreman, entrambi
visibilmente
tesi.
Dopo
alcuni istanti la donna cominciò finalmente a svegliarsi,
dischiuse gli occhi
lentamente e mise a fuoco la stanza -che…che è
successo?- chiese con la sua
debole voce attirando l’attenzione dei suoi due colleghi
-Allison!- Foreman le
si avvicinò per primo, le sorrise e
l’abbracciò delicatamente -siamo così
felici che tu ora stia bene!- aggiunse per poi fare spazio a Chase che
si era
avvicinato a sua volta, -hai avuto un incidente…- disse
l’intensivologo con
voce tetra -hai subito un trauma cranico e ti sei rotta un polso, ma
ora
dovresti stare bene…- il suo volto pareva sollevato, e la
sua voce era calda e
gentile, Cameron sorrise ai due, ricordava appena gli avvenimenti di
quel
giorno, ciò che era successo prima dell’incidente
per lei era solo un debole
ricordo sfocato, ricordava che aveva premuto
sull’acceleratore nonostante la
pioggia, ma non rammentava il perché, poi
ricordò: House… istintivamente lanciò
uno sguardo attorno a se, come in cerca di qualcuno, dopo che i suoi
occhi
ebbero percorso l’intera stanza abbassò la testa,
pareva delusa.
Chase
scosse il capo -mi dispiace lui… non
c’è…lo so che questo potrebbe ferirti,
ma…
lui non è mai venuto a trovarti… mi pareva giusto
che lo sapessi- Cameron intuì
dal tono di voce del collega che non approvava il comportamento di
House, e che
probabilmente lo riteneva responsabile dell’accaduto, e
questo la preoccupò
leggermente…-oh non… non importa, tanto non lo
aspettavo…- disse con voce
flebile, suscitando gli sguardi perplessi dei due uomini.
Mentiva
ovviamente, quando aveva aperto gli occhi era stata convinta che
l’avrebbe
trovato li, che fosse stato li per tutto il tempo in cui dormiva,
proprio come
aveva fatto lei quando House era stato ferito da un colpo di pistola.
Ma House
era House, era un bastardo e probabilmente non si sentiva nemmeno in
colpa per
ciò che era successo, di sicuro non aveva sentito il bisogno
di andare ad
accertarsi di come stesse. Questo la faceva stare male, ma ormai si era
rassegnata…
House
era nel suo ufficio, giocava con la pallina da baseball rossa e bianca
e
pensava… pensava a cosa era successo a Cameron, da principio
si era ritenuto
colpevole, e quindi meritevole del pugno datogli da Foreman, ma con il
passare
delle ore aveva iniziato a pensare che Cameron aveva fatto tutto da
sola, lui
non l’aveva obbligata ad accelerare, quindi non era un suo
problema.
Ma
ora stava riflettendo di nuovo, nonostante si fosse discolpato non
poteva fare
a meno di pensare che se lui non le avesse detto di sbrigarsi tutto
quello non
sarebbe successo. Ma come poteva dirglielo? Con che coraggio sarebbe
andato da
lei a dirle che gli dispiaceva? Ad assumersi le colpe Gregory House non
era mai
stato bravo, ad assumersi delle responsabilità nemmeno,
però con Cameron era
diverso… le aveva gia causato tanto dolore con il suo essere
stronzo, e se
avesse anche ignorato questo avvenimento non solo si sarebbe odiato da
solo, ma
anche lei avrebbe potuto lasciarlo perdere sul serio.
“Ma
non era questo che volevo?” si chiese chiudendo gli occhi per
riflettere “no”
la risposta non venne dalla sua
mente, ma bensì dal suo cuore… lui non voleva che
Cameron lo odiasse, voleva
che lei continuasse ad ammirarlo, a venerarlo, e perché no?
Ad amarlo… con
stupore si ritrovò a pensare a queste cose, scosse il capo
incredulo ma dovette
dare ragione ai suoi pensieri: a lui piaceva essere amato da lei,
perché, tutto
sommato, nonostante non l’amasse incondizionatamente la donna
non gli era
indifferente, così bella, così gentile e
comprensiva, così dolce e
intelligente.
Lei
era perfetta, e sarebbe bastato un gesto per averla sua…
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Capitolo 3 *** Buonanotte tra le lacrime ***
CAPITOLO
3 - BUONANOTTE TRA LE LACRIME
Era
mezzanotte passata quando la porta della stanza 218 si aprì
ed un uomo
provvisto di bastone vi entrò silenziosamente. Il medico
privo del camice
guardò la paziente che dormiva tranquilla nel letto. Allison
Cameron era
proprio bella, i suoi capelli castani ramati erano illuminati dalla
luce della
luna che filtrava tramite le persiane che coprivano la finestra. House
trattenne il respiro contemplando la donna, si avvicinò un
po’ per vederle il
viso: aveva alcuni tagli, ma nonostante tutto la sua espressione era
serena, pareva
così indifesa e così fragile in
quell’asettico letto di ospedale, così tenera
mentre dormiva dopo tutto ciò che aveva passato…
Per
un istante l’uomo fu tentato di sfiorarle il volto, di
carezzarle una guancia o
semplicemente di giocare con una ciocca dei suoi morbidi
capelli… ma questi
suoi pensieri vennero interrotti dal risvegliarsi di lei, House attento
indietreggiò di qualche passo facendo più rumore
di quanto avrebbe voluto,
svegliando così del tutto la giovane.
Cameron
aprì gli occhi e si alzò a sedere lentamente, la
testa le girava un po’ ma i
suoi occhi si spostarono lungo tutta l’area della stanza, e
si soffermarono su
di House che stava in piedi poggiato al bastone accanto ad una sedia.
-ciao-
disse lei con voce leggermente roca, lui le rispose con un cenno del
capo e si
avvicinò al letto per vederla meglio, -che…che ci
fai qui? Che ore sono?-
curiosa la donna cominciò a fargli domande, l’uomo
le sorrise, un sorriso
piccolo, ma sincero. -è mezzanotte passata, e io…
sono passato a vedere come
stavi…- disse con voce piuttosto bassa, senza mai alzare lo
sguardo verso di
lei -potevi passare stamattina, come hanno fatto Eric e Robert, almeno
sarei
stata sveglia…- lei lo disse con una punta di amarezza nella
voce, ma lui non
vi badò, aveva ragione a trattarlo così tutto
sommato, -e poi…volevo scusarmi-
aggiunse lui debolmente, alzando finalmente lo sguardo verso di lei,
incrociando gli occhi verdi di lei, Cameron sorrise, sostenne lo
sguardo
meravigliata da quel gesto, -non è stata colpa tua, non
è il caso…- ma lui la
zittì, mettendole un dito sulle labbra, per poi
allontanarlo, leggermente rosso
in viso ma invisibile all’oscurità, poi riprese a
parlare -se… se io non avessi
detto che dovevi sbrigarti tu non avresti mai… insomma
potevi mori…- non
terminò la frase, sembrò che le parole lo
strozzassero e lui abbassò nuovamente
la testa.
Solo
ora capiva quanto si sentiva in colpa, e solo ora capiva quanto lei
avesse
rischiato, quanto lei avrebbe potuto pagare a causa sua.
Ma
lei scosse il capo -House, se io avessi veramente voluto avrei fermato
la
macchina e me ne sarei fregata di quello che mi avevi detto, ma non ho
pensato,
e poi tutto sommato non mi è successo nulla no? Sto bene,
non devi
preoccuparti…-.
Nonostante
le proprie parole la donna avrebbe voluto con tutta se stessa che il
suo capo
si preoccupasse per lei, avrebbe voluto che l’abbracciasse e
le dicesse quanto
aveva avuto paura di perderla, ma House era House, e non
l’avrebbe mai fatto
purtroppo.
Lui
annuì, si vedeva che non era convinto dalle parole della
donna, ma si vedeva
anche che il fatto che lei non lo ritenesse responsabile lo sollevasse,
perciò
Allison decise di rischiare, -perché ti sentivi
così in colpa?- la domanda
colpì House con una violenza molto simile al pugno di
Foreman, istintivamente
si massaggiò la mascella che ancora gli doleva un
po’.
Cosa
le avrebbe risposto? Non voleva esporsi troppo, aveva paura che lei
fraintendesse, ma nemmeno voleva eludere la domanda, non voleva farla
soffrire,
e se avesse inventato una risposta sciocca non le avrebbe fatto altro
che male,
perciò trasse un profondo respiro e riportò gli
occhi celesti nei suoi, lo
sguardo fu ancora più intenso, poi lui prese a parlare:
-io…io…-
improvvisamente tutto gli si bloccò, non sapeva
più che doveva dire, non sapeva
più cosa voleva dire, perciò si zittì,
lei gli rivolse uno sguardo
interrogativo, -tu?- la sua voce dolce non fece che peggiorare la
situazione,
la paura assalì in diagnosta, gli riportò alla
mente l’immagine di Stacy, il
uso unico vero amore che tanto l’aveva fatto soffrire, non
voleva stare di
nuovo così male, non voleva che ricapitasse…
perciò sostenne lo sguardo, ma da
profondo diventò di ghiaccio, poi con voce piatta e priva di
calore disse
semplicemente: -Foreman mi ha detto che ero stato un bastardo e mi ha
colpito,
non mi sentivo in colpa, ti ho chiesto scusa perché
quell’imbecille si è
comportato come un imbecille appunto- concluse così il
discorso, si morse la
lingua dopo che ebbe pronunciato le ultime parole, scorse gli occhi di
lei
diventare lucidi e riempirsi di lacrime, ma quando parlò la
sua voce mostrava
solo un leggero tremore -oh…io… ho
capito… scusa ma ora sono molto stanca…
vorrei tornare a dormire, mi… mi fa male la
testa…- lui annuì e si avviò verso
la porta, una volta voltato serrò gli occhi, odiandosi.
Mentre usciva poté
sentire distintamente un singhiozzo, con la coda dell’occhio
notò che Cameron
si era stesa di nuovo, gli dava le spalle e abbracciava un cuscino
stringendolo
forte. Poi chiuse la porta.
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Capitolo 4 *** Un abbraccio d'amore ***
CAPITOLO
4 - UN ABBRACCIO D’AMORE
Erano
passati 3 giorni da quella notte, Cameron era sempre rimasta a letto e
Foreman
e Chase andavano spesso a trovarla, si accertavano di come stesse, ma
nessuno
dei due avrebbe potuto non notare il pessimo stato di umore in cui la
ragazza
si trovava, non sembrava rabbiosa, sembrava triste, molto
triste… i suoi occhi
erano costantemente lucidi, e quando essi le chiedevano che cosa avesse
lei si
limitava a rispondere con una scrollata di spalle o con un singhiozzo
flebile,
che faceva capire che non voleva essere disturbata.
I
due colleghi non sapevano dell’incontro notturno che lei e
House avevano avuto,
ma chissà per quale motivo entrambi ricollegavano il
malumore di Cameron con il
loro capo…
House
nel suo ufficio stava scrivendo i sintomi di un caso che avrebbe
sottoposto ai
suoi due assistenti non appena fossero ritornati dalla stanza della
loro
collega…
Gia,
nei tre giorni che erano passati l’uomo non si era
più fatto vedere nella
stanza di lei, un po’ per rispetto nei suoi confronti, un
po’ perché pensava
che non avrebbe sopportato di vedere ancora il dolore di Cameron, o
addirittura
di subire un suo rifiuto di vederlo… ma prima o poi si
sarebbero rivisti, il
giorno dopo lei sarebbe tornata al lavoro e di sicuro non poteva
fingere di non
vederlo, cosa sarebbe successo? Questa domanda gli girava in testa da
un paio
di giorni ormai, aveva cercato di analizzare tutte le
possibilità, ed era
giunto alla conclusione che visto l’essere di Cameron
probabilmente avrebbe
iniziato a trattarlo ancora più gentilmente del solito,
cosicché lui cambiasse
idea su di lei… ma a lui non serviva cambiare idea, a lui
serviva soltanto
trovare la sicurezza che non sarebbe stato ferito, che non avrebbe
sofferto…
era questo ciò che gli mancava, un piccolo tassello che
rendeva impossibile
ultimare l’enorme e complicato puzzle che lui era…
I
suoi pensieri furono interrotti dall’aprirsi della porta del
suo ufficio, alzò
gli occhi per scorgere chi era entrato e con suo enorme stupore vide
Cameron…
-Cameron…
come stai? Credevo che ti dimettessero domani!- prima che il suo
cervello
potesse bloccargli le parole l’uomo si interessò a
lei, quest’ultima annuì -invece
hanno anticipato…- non rispose però alla prima
domanda, il suo volto era cupo,
non si poteva dire che fosse triste, ma pareva piuttosto giù
comunque; era
vestita con dei jeans neri, cardigan azzurro polvere e camicetta bianca
sotto,
portava i capelli legati in una coda alta; sarebbe stata bellissima,
con il
viso ormai guarito e il fisico slanciato, privo di camice ad
impacciarlo, ma… i
suoi occhi… erano spenti, quel verde brillante che li
caratterizzava si era
come volatilizzato, lasciando al suo posto uno sguardo colmo di dolore
e
delusione, che immancabilmente House riuscì a percepire.
Cameron
gli si avvicinò, camminava stancamente ma avanzava comunque
decisa, in mano
teneva una busta, gliela porse senza esitare -tieni, sono andata dalla
Cuddy e
mi sono messa d’accordo con lei, tu devi solo leggere non
serve ne la tua firma
ne la tua approvazione, è solo a scopo
informativo…- l’uomo prese la busta
leggermente preoccupato, la aprì mentre la donna osservava i
suoi movimenti.
I
suoi occhi corsero rapidi lungo tutta la pagina, la lesse almeno due
volte, poi
finalmente alzò gli occhi e guardò Cameron dritto
nei suoi. -ti-ti fai
trasferire… vai nel reparto ricerca…- la sua voce
era bassa, si poteva notare
che non era felice di ciò che aveva appena letto, cerco di
incrociare lo
sguardo di lei ma la dottoressa manteneva il suo basso.
-lo
fai per quello che ho detto l’altra notte?- domanda stupida,
ovvio che era per
quello! Lei non rispose, ma emise un lungo sospiro, probabilmente per
dissimulare un singhiozzo. Lui le si avvicinò camminando
lentamente, senza
bastone, le si piazzò davanti, e con una mano le
sollevò il viso, per poterla
vedere negli occhi, erano lucidi.
La
vicinanza con l’uomo che amava le fece tornare una fiamma di
vita nelle iridi,
rendendole brillanti, Cameron sapeva di essere prossima alle lacrime,
ma il
gesto che lui aveva fatto l’aveva colpita, non si mosse e
lasciò che lui
facesse.
House
teneva il sottile mento di lei con le dita, in un gesto fluido fece
scorrere la
mano lungo la sua guancia, aveva la pelle liscia…chiuse gli
occhi ma non fece
in tempo ad arrestare lo scivolare di una lacrima, lui con il pollice
l’asciugò, delicatamente…poi si
chinò su di lei, istintivamente, e la
baciò…
Un
bacio lungo, sentito… lei teneva le braccia lungo i fianchi,
ma quando lui la
circondò con le proprie lei si strinse a lui, in un
incantevole abbraccio
d’amore…
Quando
si separarono il volto di Cameron era contrassegnato da una piacevole
sorpresa,
mentre quello del diagnosta era preoccupato, strinse gli occhi e si
schiarì la
voce, le lanciò un ultimo sguardo, poi si voltò,
recuperò il bastone e si
diresse verso l’uscita del suo ufficio -allora buona fortuna
nel nuovo reparto-
disse semplicemente, la voce fredda, priva di qualunque emozione.
Ancora
una volta l’aveva fatta soffrire, e ancora una volta si
odiava per questo.
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Capitolo 5 *** La ricercatrice ***
CAPITOLO
5 - LA
RICERCATRICE
Era
l’una del pomeriggio quando Allison Cameron si
avviò verso la mensa per fare
pranzo. Da circa tre settimane aveva cambiato reparto ed era entrata
nel campo
della ricerca. Questo settore si trovava al terzo piano, accanto
all’ala di
psichiatria, cioè esattamente un piano sopra
all’ufficio di diagnostica… alla
donna piaceva questo suo nuovo lavoro: trovava piuttosto sollevante non
dover
dare continuamente brutte notizie ai pazienti, eppure doveva ammettere
che il
lavoro che aveva prima la interessava e la coinvolgeva di
più. Erano molte le
cose che le mancavano, come ad esempio lo sforzare la mente per
individuare una
diagnosi basandosi sui sintomi soltanto, oppure le mancava molto la
specie di
gara che da sempre lei, Chase e Foreman ingaggiavano per riuscire ad
arrivare
per primi alla soluzione e a farsi belli agli occhi di House, gia
House… anche
lui nonostante tutto le mancava…
In
quelle tre settimane non lo aveva assolutamente mai visto, questo
all’inizio
era stato un fatto positivo, non si sarebbe scordata mai il giorno in
cui il
diagnosta l’aveva baciata e dopodiché
l’aveva salutata, accettando il fatto che
se ne andasse via da lui senza molta sofferenza… durante la
prima settimana
aveva pianto spesso, chiedendosi che cosa avesse fatto di male per
doversi
innamorare di un bastardo che ogni volta riusciva a renderla felice e
ogni
volta la illudeva; ma poi con il tempo era passato… aveva
capito che le lacrime
non avrebbero cambiato la situazione, se lui non la voleva lei non
avrebbe
potuto fargli cambiare idea, questo non le faceva piacere, ma aveva
imparato a
sopportarlo.
Arrivata
in mensa prese un vassoio e lo riempì con un piatto di
insalata e una bottiglia
di acqua, non aveva molto appetito ultimamente… si
guardò attorno cercando un
tavolo libero, scorse quindi Chase che da un tavolino
all’aperto le faceva un
cenno con la mano, perciò sorridendo si avviò
verso di loro. -ehi ciao!- disse
Foreman che sedeva accanto all’intensivista -ciao ragazzi!-
con voce gentile
Cameron li salutò e prese posto su una sedia accanto a Chase
-allora…- la
interpellò quest’ultimo -come te la passi su in
ricerca?- lei sorrise,
nonostante si vedessero tutti i giorni a pranzo i due si preoccupavano
sempre
di chiederle se c’erano novità, anche se sapevano
che di sicuro non ce ne
sarebbero state… -oh dunque…- disse lei con tono
fintamente pensieroso -bè
abbiamo scoperto la cura contro ogni tipo di malattia venerea e questo
ci
assicurerà il premio Nobel quasi sicuramente, ma a parte
questo nulla di
nuovo!- i due scoppiarono a ridere, mentre Cameron divertita sorrideva
spostando i suoi occhi luminosi dal volto di uno a quello
dell’altro.
D’improvviso Chase interruppe la risata, bruscamente seguito
dal collega, prima
che Cameron potesse domandare che stesse accadendo sentì una
voce tremendamente
familiare alle sue spalle -Chase, Foreman abbiamo un nuovo caso,
finitela di
rimpinzarvi e venite subito a…- si interruppe notando
evidentemente solo in
quel momento la presenza di un’altra persona con loro,
Cameron si voltò
lentamente, e guardò il volto del suo ex capo, la sua
espressione decisamente
meno raggiante… -ciao House- disse con tono piatto, senza
guardarlo negli
occhi, l’espressione di lui era indecifrabile, non disse
niente ma si limitò ad
osservarla, aveva i capelli leggermente più corti e si era
fatta la frangia,
stava bene, era molto carina… infine scosse il capo e
sorrise quasi amareggiato
-non fa niente, ragazzi appena avete finito venite che iniziamo a
lavorare sul
caso- i due annuirono, dopodiché lui se ne andò
zoppicando. Cameron trasse un
respiro profondo, bevve un sorso dalla sua bottiglia d’acqua
ma non toccò l’insalata;
il resto del pranzo fu piuttosto silenzioso…
House
al ritorno dalla mensa si diresse verso il suo ufficio, camminava il
più
rapidamente possibile, reggendosi sul bastone con forza, quasi temesse
di non
riuscire ad avanzare senza di esso. Aveva il cuore che batteva a mille,
ma
nonostante tutto non si fermava, voleva mettere più distanza
che poteva tra se
e lei… da quella donna che sperava e temeva insieme di non
rivedere più,
nonostante lavorasse solo ad un piano superiore al suo. Si era illuso
di poter
evitare di ritrovarsi davanti il suo meraviglioso profilo, i suoi occhi
lucenti
e il suo viso dolce, si era fatto cambiare tutti i turni in clinica
dalla
Cuddy, facendo in modo che i loro mai coincidessero e che non potessero
quindi
mai incontrarsi, inoltre aveva smesso di mangiare in mensa, temendo di
incontrarla. Si chiudeva in ufficio a consumare un pasto freddo,
ascoltava
musica, più allegra che poteva per evitare che la malinconia
della sua
stupidità potesse presentarsi a rovinargli la giornata. Ma
quel giorno non
aveva potuto fare a meno di vederla, non era riuscito a trattenersi
dall’andare
a comunicare ai due medici che era riuscito ad accalappiare un nuovo
interessantissimo caso, ma ora di fronte agli sviluppi del giorno i
sintomi che
il medico aveva gia segnato sulla lavagnetta avevano assunto ben poca
importanza… si passò le mani fra i capelli
brizzolati, scosse il capo e di
nuovo il sorriso amareggiato si presentò ad increspargli le
labbra…
Più
le stava vicino e più le faceva del male, più le
stava lontano e più i
sentimenti nei suoi confronti si fortificavano, fino ad incidere nel
suo cuore
una parola che House aveva giurato che mai più
l’avrebbe condizionato: AMORE.
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Capitolo 6 *** Sala d'attesa ***
CAPITOLO
6 - SALA D’ATTESA
Steso
sul suo letto House contemplava il soffitto della stanza: giallo scuro,
piuttosto rilassante e armonioso per gli occhi…
sospirò tristemente e con una
mano andò a tastare il comodino accanto a lui, alla ricerca
di qualcosa che
trovò molto presto: un barattolino arancione, con il tappo
bianco, lo aprì
svogliatamente e si fece cadere alcune pillole nell’altra
mano, dopodiché le
ingoiò, e ritornò a puntare lo sguardo verso
l’alto “cosa devo fare? Le dovrei
dire qualcosa?” si ritrovò a pensare a Cameron, lo
faceva spesso ultimamente, e
la cosa un po’ lo spaventava e un po’ lo rendeva
allegro, stava decisamente
cambiando… “se non le parlo continuerò
a radicare in lei la convinzione che
sono un figlio di puttana e basta” d’altro canto se
le avesse parlato avrebbe
significato ammettere che a lei teneva, che provava qualcosa per lei, e
a
questo, nonostante fosse vero non si sentiva ancora pronto…
“che posso fare?
Accidenti non è possibile io non ho mai dubbi!”.
Attorno
al cuore di House anno dopo anno si era andato a formare un muro, un
qualcosa
di impenetrabile agli altri, al quale solo alcuni riuscivano ad
accedere, ma
non nel profondo, no… soltanto in “sala
d’attesa”! come Wilson… era il suo
migliore amico, ma nonostante tutto non era mai riuscito a dirgli
veramente che
gli voleva bene, aveva scherzato certo, James spesso gli aveva
domandato se a
lui ci tenesse, e House come al solito gli aveva risposto in maniera
sarcastica, liquidando la domanda con una battuta che
l’oncologo aveva tradotto
come un “si, a te ci tengo…” ma forse,
si ritrovò ad analizzare il diagnosta,
il suo amico non avrebbe dovuto sempre arrendersi così,
rassegnandosi al fatto
che non ci sarebbe stata una risposta migliore, forse se avesse anche
solo
provato a chiedere qualcosa di più… se non si
fosse sempre accontentato…
Con
Cameron era lo stesso, lui non l’avrebbe mai resa felice, non
le avrebbe mai
dato quello che voleva, lui non era in grado di amare, lo era stato con
Stacy,
ma lei che possedeva una parte del suo cuore non gliel’aveva
più restituito,
l’aveva distrutto rendendolo così inespressivo con
il resto del mondo…
Sospirò
di nuovo, il vicodin cominciava a fare effetto e la gamba doleva meno,
ma
quello era decisamente il suo ultimo problema, senza sapere cosa stesse
facendo
scatto in piedi, si infilò le scarpe e il cappotto,
inforcò il bastone ed uscì
di casa rapido.
Fuori
pioveva leggero ma fitto, prese incurante di ciò la moto e
accese il motore,
partì, ad una velocità moderata che andava via
via alzandosi, nella sua testa
ronzava un pensiero solo “devo dirglielo, se non
accetterà saprò di non aver
sprecato un occasione…” durante tutto il tragitto
ebbe paura, paura di dire
qualcosa di sbagliato, si preparò il discorso mentalmente,
ciò che le avrebbe
detto, aveva calcolato tutto, se avesse sbagliato anche solo una
parola, se lei
avesse frainteso qualcosa sarebbe stata la fine, si sarebbe bruciato
l’unica
probabilità di successo, l’unico filo che ancora
lo tenesse collegato a lei…
Arrivò
sotto casa di Cameron che mancavano 3 minuti all’una,
probabilmente lei gia
dormiva; alzò lo sguardo verso l’alto, la finestra
di casa sua non era
illuminata, ma per quello che ricordava poteva anche essere
un’altra finestra,
non ci aveva mai fatto granché caso, non se ne era mai
interessato molto, e per
questo si maledisse.
Il
portone era aperto “che fortuna!” pensò
lui mentre si avviava verso
l’ascensore, si bloccò non appena lesse il
cartello: “FUORI SERVIZIO” -accidenti…-
mormorò mentre con occhio attento misurava
l’altezza di ogni gradino, la
ricercatrice abitava al terzo piano “fantastico, non esistono
più quei sani
appartamenti nel sottoscala” pensò amareggiato
mentre lentamente si avvicinava
agli scalini. Fu una cosa faticosa e piuttosto pericolosa, si resse
più che
poteva al bastone e al corrimano, si fermò per almeno tre
volte a riprendere
fiato, la gamba dolorante, ma lui non voleva cedere, avanzò
così fino al terzo
piano, quando arrivò dinanzi alla porta di lei sorrise
soddisfatto, ansimava
leggermente e il suo aspetto poteva assomigliare a qualcuno che aveva
corso
parecchio: rosso in volto, i capelli e i vestiti zuppi di pioggia,
cercò di
ricomporsi un minimo prima di bussare…
Da
dentro nessun rumore, nulla che si muovesse e niente che facesse
pensare che
all’interno ci fosse qualcuno, ma lui non demorse e riprese a
bussare, con più
vigore, con più insistenza: era arrivato fin lì e
non aveva intenzione di
mollare semplicemente perché era tardi. Diede ancora un paio
di colpi,
piuttosto violenti. Probabilmente aveva svegliato il resto del
palazzo… e
finalmente anche lei pareva essersi destata, sentì i suoi
passi leggeri
dirigersi verso la porta, -chi è?- la sua voce assonnata era
comunque gentile,
“incredibile” pensò lui sorridendo
“pure quando la buttano giù dal letto ha una
voce dolce e comprensiva!”. Per alcuni istanti lui non
rispose, poi si fece coraggio
e disse semplicemente: -apri…per favore-, non seppe mai il
motivo per cui lui
avesse aperto, forse per il fatto che aveva riconosciuto la sua voce, o
perché
aveva visto il suo volto dallo spioncino, o forse semplicemente
perché la sua
natura era di fidarsi di tutti, sta di fatto che aprì,
quando vide chi c’era
sulla soglia fu probabilmente tentata di richiudere, ma non lo fece,
aprì
invece leggermente la bocca, visibilmente curiosa.
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Capitolo 7 *** Io non ti renderò felice ***
CAPITOLO
7 - IO NON TI RENDERO’ FELICE
Lui
la osservava in silenzio, indossava una camicia da notte verde chiaro,
aveva i
capelli arruffati e gli occhi gonfi dal sonno, non era truccata e
pareva molto
stanca e confusa, ma nonostante tutto era bellissima,
quell’aspetto che lui non
aveva mai visto lo colpì, facendolo sorridere veramente, un
sorriso che stupì
Cameron, e che la indusse ad aprire un po’ di più
la porta per farlo entrare.
Una
volta che lui fu dentro lei non chiuse la porta, lo guardò
ancora, in attesa
che lui dicesse qualcosa, che giustificasse almeno
l’incursione notturna a casa
sua.
House
manteneva le labbra serrate, da quando lei aveva aperto la porta si era
ripassato mentalmente il discorso almeno tre volte, doveva iniziare
dolcemente,
in modo da farle capire che voleva scusarsi, ma doveva proseguire
deciso, non
voleva farsi cogliere dalle emozioni, voleva dirle qualcosa di preciso,
e non
poteva permettersi di distrarsi. Perciò iniziò a
parlare…
-io
non ti renderò felice- Dio quanto era idiota! Inizio dolce
si era detto, “tanto
valeva che le tirassi un ceffone, giusto per farle capire chi
comanda” pensò
rassegnato, le pupille di lui si dilatarono dalla tensione, un inizio
promettente di certo, ora temeva che la donna lo spedisse fuori da casa
propria
a forza di bastonate, ma la reazione di lei fu piuttosto diversa, -lo
so…- lo
disse semplicemente, dopodiché chiuse la porta alle spalle
del suo ex capo e
ritornò a guardarlo, sapeva che c’era altro,
sapeva che non era venuto li per
farle del male…
-non
ti darò quello che vuoi…- continuò
lui, il suo cervello che pareva essersi
distaccato dal resto sembrava andare avanti da solo, come se fosse in
tilt.
Stava continuando ad infierire, e non sapeva per quanto lei avrebbe
tollerato
questo suo comportamento… -io ti farò
soffrire…- lei strinse appena le labbra,
consapevole di ciò che lui le stava dicendo -anche se non
volessi lo farei
comunque…- aggiunse lui, il tono leggermente più
dolce, mentre con i suoi occhi
celesti cercava quelli della donna, lei indugiò per alcuni
istanti, poi
ricambiò lo sguardo, fu un momento intenso, più
intenso di mille parole, più
intenso di mille scuse…
Ancora
una volta fu lui ad avvicinarsi, ancora una volta fu lui a prendere
l’iniziativa. Le andò davanti, chinò il
capo e la baciò, un bacio leggero,
candido, poi più passionale, più deciso,
più coraggioso… i due si assaggiavano
a vicenda, piccole gocce di felicità li attraversavano
rendendoli più uniti che
mai. Quando si separarono lei disse: -sei bagnato fradicio…-
non era una domanda,
era un dato di fatto, -si, fuori piove…- lui le rispose con
voce suadente, lei
annuì e gli diede un altro bacio, piccolo e delicato, sulle
labbra.
Sapeva
che lui non l’avrebbe resa felice, sapeva che non le avrebbe
dato quello che
voleva e che l’avrebbe fatta soffrire molto… ma
non le importava, lei lo amava
e questo le impediva di ragionare lucidamente, forse se fosse passato
qualche
mese dal loro ultimo bacio, dal loro ultimo incontro, le cose sarebbero
state
diverse, probabilmente lei si sarebbe disintossicata quasi del tutto e
non si
sarebbe arresa a lui, ma così era troppo
presto…la droga di House era il
vicodin, la droga di Allison era House: quando stava con lui si sentiva
meglio,
ma non stava bene in realtà, e quando non era con lui,
quando non lo aveva
stava male, malissimo…
Ne
era consapevole, sapeva che dopo quella notte lui non
l’avrebbe trattata
diversamente, ne al lavoro ne al di fuori di esso, sarebbe tornata ad
ignorarla
e a maltrattarla, a farla stare male. L’avrebbe fatta pentire
di ciò che aveva
fatto, di quello al quale quella sera stava acconsentendo. Ma lui era
la sua
droga, e senza non sapeva viverci.
Lui
riprese a baciarla, con più passione, con più
desiderio, si, forse anche lui la
amava, ma non aveva intenzione di dirglielo, non perché
amasse farla stare
male, più che altro perché pensava che se fossero
stati gli altri a soffrire
per primi lui non avrebbe sofferto…
Uniti
in quel bacio profondo avanzarono verso la camera da letto di lei. Una
lacrima
scese sulla sua guancia liscia, ma non disse niente, non lo
fermò…
Aveva
commesso un altro errore…
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Capitolo 8 *** I wanna be in love with only you ***
CAPITOLO 8 - I WANNA BE IN
LOVE WITH
ONLY YOU
Il
mattino
successivo House e Cameron si ritrovarono abbracciati sotto una sottile
coperta
azzurro polvere. L’uomo fu il primo a svegliarsi,
aprì gli occhi lentamente,
cercando di abituarli alla luce del primo mattino che entrava a fiotti
dalla
finestra, dopodiché senza muoversi cercò di
individuare e di ricordare dove si
trovava, non gli ci volle molto a capirlo, abbracciato al suo petto
c’era una
donna, dai capelli castano ramati, Allison dormiva pacificamente
stretta a lui.
La
guardò,
come sempre era meravigliosa, aveva i capelli spettinati, e da sotto le
palpebre i suoi occhi si muovevano frenetici: stava
sognando… le carezzò
dolcemente una spalla nuda, salì fino al collo, alla
guancia, era successo
qualcosa di meraviglioso pensò mentre con un gomito poggiato
sul cuscino la
osservava da un’altra angolazione, cercava un difetto,
qualcosa che potesse distogliere
dai suoi pensieri il fatto che si trovasse in compagnia di un essere
perfetto,
il fatto che si trovasse in compagnia di colei che amava…
Prima
che il suo cervello potesse impedirglielo, prima che qualunque cosa
potesse
fermarlo lui le si avvicinò all’orecchio, e
dolcemente, e sinceramente, le
sussurrò: poi si
alzò, si rivestì in fretta e senza
fare rumore prese il bastone e se ne andò.
Nel
letto
l’ex immunologa socchiuse gli occhi: aveva fatto uno strano
sogno, un sogno
troppo romantico per essere vero… sporse una mano dietro di
se, come per
cercare la presenza dell’oggetto del suo sogno accanto a lei,
non c’era… “ecco,
avevo ragione quindi..” pensò un po’
triste “non mi ha detto di amarmi…”
sospirando si abbracciò al cuscino, e si
riaddormentò.
Verso
le nove House arrivò in clinica, era passato a casa sua per
darsi una sistemata
e per cambiarsi, aveva tentato in tutti i modi di non pensare a
ciò che era
successo quella notte, a ciò che aveva detto dopo e a
ciò che sarebbe accaduto
in seguito “troppi problemi” pensò
mentre zoppicando si avviava verso l’ufficio.
Una volta entrato notò che ne Foreman ne Chase erano ancora
arrivati “oh cavolo…ora
mi toccherà affrontare il mio cervello!” persino
nei pensieri riusciva ad
essere sarcastico, però aveva ragione, ora, da solo avrebbe
dovuto affrontare
ciò che era avvenuto, “no, meglio rimandare,
ascolterò della musica”… prese il
suo Hi pod, si infilò le cuffiette, si sistemò
comodamente sulla poltrona e
accese…
When you look at me i
start to blush
and all that i
can say is you and us
oh baby im so
afraid to be in love
with you,
with you...
“maledizione!!!”
si disse mentre le note, le parole e la melodia della canzone dei Plumb
si
diffondevano nella sua testa “certo ottimo modo per non
pensare, bello…”.
i wanna be in love
with only you
i wanna watch
the sky downgrade and blue
i wanna know
the kiss thats always new
i wanna be in
love with only you
just you
Era
vero… lui avrebbe voluto essere così innamorato
di lei…solo di lei… ma purtroppo
c’era un’altra persona che amava allo stesso modo,
se non di più, una persona
che non avrebbe potuto cancellare dalla sua vita, una persona che lo
faceva
soffrire e lo faceva gioire insieme…
Quella
persona, era lui…
Lui…
che così disperatamente odiava il proprio aspetto, che
così disperatamente
tentava di rendersi infelice, ma che così disperatamente si
adorava per la
propria intelligenza, per il proprio acume, che così
disperatamente si adorava
per riuscire a trasformare piccoli momenti di allegria in infinite ore
di
felicità…
Lui
era
niente…lui era tutto…
when stars are
falling dark
will light the way
will hit the ground and fall
into the shade
will light the night with fire
and run away
i wanna be in love
with only you
i wanna watch
the sky downgrade and blue
i wanna know
the kiss thats always new
i wanna be in
love with only you
L’avrebbe
detto a Cameron che l’amava? Glielo avrebbe detto in faccia,
quando era
sveglia? Le avrebbe confessato che il discorso della sera prima, dove
lui le
aveva dichiarato che l’avrebbe fatta soffrire erano soltanto
i suoi timori?
soltanto la paura che LEI avrebbe potuto ferire LUI e portargli via
quella
piccola parte di cuore che ancora aveva, quella piccola parte di cuore
che
ancora palpitava e che pareva in grado di provare dei
sentimenti…
i wanna be in love
with you
i wanna be in love (i wanna be in love)
i wanna be in love with you
i wanna be in love (i wanna be in love)
i wanna be in love with you...
i wanna be in love with only you
i wanna watch the sky downgrade and blue
i wanna know the kiss thats always new
i wanna be in love with only you
just you
i wanna be
just you yeah
Ancora non lo sapeva, ancora non ne
era certo, ma doveva fare in fretta,
non voleva perderla…
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Capitolo 9 *** Insieme... ***
CAPITOLO
9 - INSIEME…
Alle
nove e un quarto Cameron giunse in ospedale, dalla sua espressione
nessuno
avrebbe potuto sospettare che quella notte fosse successo qualcosa di
diverso
dal solito. Si avviò come faceva sempre verso
l’ascensore, una volta dentro
premette il bottone per il terzo piano.
Dopo
pochi istanti l’ascensore si fermò e lei
uscì. Indossava una gonna grigia poco
sopra il ginocchio e un maglioncino rosso. Aveva i capelli sciolti, non
aveva
fatto in tempo a legarseli, perciò ora ricadevano ribelli
sulle spalle sottili.
Avanzava
lentamente, passò davanti al banco delle infermiere e prese
il camice che stava
appeso li vicino, poi gentilmente si rivolse alla donna di turno li,
-ci sono
novità? La Medicin S.p.a.
ha chiamato?- l’infermiera scosse il capo –mi
dispiace, non si è ancora fatto
vivo nessuno…- Cameron le sorrise scrollando le spalle, e si
allontanò,
dirigendosi verso il suo ufficio.
Una
volta innanzi a questo ebbe una notevole sorpresa…
In
piedi, appoggiato al muro, stava un uomo, si reggeva su un bastone di
legno
scuro. Sorrideva appena, quando la vide la salutò con un
cenno del capo e le si
avvicinò.
-ciao…-
disse semplicemente, mentre lei, dissipato l’imbarazzo
iniziale aveva aperto la
porta dell’ufficio e vi era entrata, seguita da lui -ciao
House- gli rispose
con una voce piatta, si sentiva che stava cercando di trattenere le
emozioni…
lui non le chiese come stesse, sarebbe stato troppo scontato, si
limitò ad
osservarla, tentando di incrociare lo sguardo di lei, che
però manteneva gli
occhi bassi, poi l’uomo parlò: -torna a lavorare
con me…- non era un ordine,
era una richiesta gentile. Cameron lo guardò visibilmente
stupita, poi parlò,
la sua voce era leggermente meno tesa, ma manteneva la difensiva. -Se
io
tornassi le cose non cambierebbero… mi faresti sempre
soffrire e…- si
interruppe un istante soppesando le parole –e sto cercando di
dimenticarti, per
questo non posso permettermi di vederti troppo spesso…- da
queste parole
scaturì una nota di disperazione, lui le sorrise,
sinceramente, dolcemente… -io
non voglio che tu mi dimentichi…- avrebbe voluto gridarle
che non lo avrebbe
sopportato se lei lo avesse dimenticato, ma ancora una volta
l’orgoglio aveva
messo un freno alle sue parole, rendendole quasi incomplete.
Lei
aprì la bocca per parlare, ma poi parve cambiare idea e la
richiuse, assunse un
espressione come per dire: “non va sempre come vuoi
tu!”.
-Ti
prego, io…vorrei provarci…- aggiunse lui dopo il
suo sguardo, era il suo cuore
a parlare, era il suo cuore che ora prendeva il comando, lui voleva
provarci!
voleva provare a darle il suo amore, ora toccava a lei
decidere… lei scosse il
capo, sorridendo -non funzionerebbe, lo sai…- lui
annuì, certo che lo sapeva,
dopo un po’ si sarebbero stancati l’uno
dell’altra, dopo un po’ lui avrebbe
iniziato ad ignorarla e lei avrebbe preteso qualcosa di
più… qualcuno di più
giovane, di più gentile, di più dolce…
però non si diede per vinto, -si, lo so…
ma, perché vuoi privarti di una cosa che può
essere bella per la paura di
quello che succederà dopo?- nel dire queste parole si
stupì di se stesso, da
quando era diventato così sentimentale? Da quando rincuorava
le persone? Poi
capì, quelle parole non erano per lei, quelle erano per
lui…
Lei
fu altrettanto stupita dalla sua affermazione, per la prima volta dopo
tanto
tempo sorrise, un sorriso puro, un sorriso suo…-cosa
succederà?- parlava con
tono quasi divertito, avvicinandosi a lui lentamente, i suoi occhi
puntati in
quelli dell’uomo –sinceramente? Non ne ho
idea…ma penso che potremmo
scoprirlo…insieme…- diede particolare risalto
all’ultima parola, lei annuì,
ormai erano vicinissimi…
-insieme…-
confermò infine lei, poi gli diede un bacio, casto, delicato
ma allo stesso
tempo intenso, lui ricambiò, con più passione,
riempiendo quel gesto d’amore,
di speranza, di promesse…
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Capitolo 10 *** Cameron ha un amichetto ***
CAPITOLO
10 - CAMERON HA UN AMICHETTO
Erano
passati alcuni giorni, Cameron aveva continuato a lavorare nel reparto
di
ricerca, non perché non volesse tornare da House,
più che altro perché la
situazione era ancora piuttosto incerta, e lei non voleva fare tutti
quei
cambiamenti per poi ritrovarsi in una situazione spiacevole.
Ma
le
cose parevano andare bene, in quei giorni si erano visti spesso, o a
casa dell’una
o a casa dell’altro, trascorrevano le serate assieme, ma
ognuno poi ritornava a
dormire a casa propria, avevano deciso di non rendere pubblica la cosa,
perciò
evitavano comunque di venirsi a trovare durante i turni di lavoro, e
non
trascorrevano nemmeno il pranzo assieme, a nessuno dei due dispiaceva
questa
autonomia, perché permetteva ad entrambi di essere liberi, e
faceva in modo che
quando i due si trovassero la passione tra loro fosse sempre accesa.
Ora
che
non c’erano più problemi però Allison
aveva preso la sua decisione, voleva
abbandonare la ricerca e tornare a sfruttare la sua specializzazione in
immunologia, voleva tornare dai suoi vecchi colleghi. Ma voleva che
House fosse
d’accordo, avevano fatto il patto che prima di prendere
qualunque decisione che
potesse compromettere il rapporto, o anche solo cambiarlo in qualche
modo,
bisognasse interpellare l’altro/a.
Perciò
prese il suo cercapersone e gli mandò un messaggio:
“HO BISOGNO DI PARLARTI –
IMPORTANTE”…
Al
secondo
piano il cercapersone, appeso alla cintura di un uomo
cominciò a suonare, House
interruppe il discorso che stava facendo con i suoi due assistenti
riguardo ai
sintomi di un paziente e dedicò la sua attenzione
all’apparecchio. Quando lesse
il messaggio aggrottò le sopracciglia, ma non ebbe nessun
altra reazione,
sorrise ai due palesemente curiosi, e prese il suo bastone
–fate i bravi mentre
papà non c’è d’accordo?-,
detto questo si allontanò dall’ufficio, gli
sguardi
di Foreman e Chase che lo seguivano.
Prese
l’ascensore e arrivò al terzo piano rapidamente,
si guardò attorno quasi a voler
accertarsi di non essere stato seguito, si diresse verso
l’ala della ricerca e
entrò nell’ufficio. Ad aspettarlo c’era
Cameron, gli sorrise, contenta del
fatto che fosse arrivato in fretta. Lui le si avvicinò e le
diede un piccolo
bacio sulle labbra, lei si allontanò in fretta dopo averlo
ricevuto: avrebbero
potuto vederli…
-Mi
volevi?- le chiese riavvicinandosi a lei, gli piaceva
giocare… annuì con aria
seria, volevo parlarti di una decisione che ho preso…- lui
ridacchiò –se è una
decisione perché me ne devi parlare? Hai gia fatto tutto da
sola…- il suo tono
era ironico, questa volta fu lei a dargli un timido bacio, per
zittirlo. –voglio
tornare a lavorare da te…- lui ne rimase sorpreso, non
pensava che lei avrebbe
cambiato idea così in fretta, perciò sorrise,
contento della sua scelta,
-perfetto, ci manca una mente in più… se non ci
fosse Foreman Chase
assomiglierebbe ad un pesce lesso!-. Lei rise, -bhe infatti lo faccio
per
questo, senza di Foreman non riesco proprio a resistere io…-
lui fece un
espressione fintamente risentita, poi annuì ancora, lei lo
baciò nuovamente, un
po’ più tenera, poi lui uscì,
soddisfatto.
Bussò
alla porta dell’ufficio della direttrice del PPTH con
leggerezza, dall’interno
una voce femminile la invitò ad entrare.
La Cuddy
sedeva alla scrivania
di legno scuro, non appena la giovane donna entrò
alzò gli occhi dai documenti
che stava visionando e le sorrise, -oh ciao Cameron, che succede?- la
ricercatrice le sorrise –ciao…senti, scusa, lo so
che sembra che stia sempre
qui a scocciarti…- la direttrice le lanciò un
occhiata allegra, -non c’è
problema, davvero, di cosa hai bisogno?-
Cameron
deglutì e prese fiato, -io…vorrei il mio vecchio
posto in diagnostica…- sul
viso dell’altra donna si dipinse un espressione stupita,
-ma…stai dicendo sul
serio?- lei annuì. Era normale lo stupore, quando se
n’era voluta andare aveva
scongiurato la
Cuddy
di trovarle un altro reparto, lei se la ricordava bene, stava per
scoppiare a
piangere, ed era veramente depressa, perciò ce
l’aveva messa tutta per trovarle
in fretta un altro impiego in ospedale. –ma come mai questo
cambiamento?- le
chiese incuriosita, Cameron arrossì visibilmente, non voleva
dirle ciò che era
successo con House… -oh, io ehm… mi sento davvero
poco gratificata a lavorare
appiccicata ad un microscopio tutto il giorno, e se il prezzo da pagare
per
riavere il mio vecchio lavoro è tollerare House…
farò questo sacrificio…- la Cuddy
sapeva non era vero, sapeva
che il motivo era un altro, e intuiva pure quale fosse.
L’aveva capito
immediatamente, ma nonostante ciò non disse nulla, si
limitò a sorriderle e a
prendere una lettera prescritta, da un cassetto della scrivania, poi
fece una
firma in fondo alla pagina e infine gliela porse, -compila i campi qui
sotto e
sarai immediatamente reintegrata nel reparto diagnostica- Cameron la
ringraziò
di cuore, dopodiché riempì gli spazi da lei
indicati e le riconsegno il foglio.
–grazie ancora!- disse per poi indirizzarsi verso
l’uscita, sulla porta
incrociò Wilson che stava entrando con un plico di cartelle
in mano, -ciao
Allison- le disse lui vedendola –oh ciao Wilson…-
allegramente ricambiò il
saluto e se ne andò.
L’oncologo
lanciò un’occhiata quasi interrogativa alla Cuddy,
la quale sospirò e si
strinse nelle spalle, -la sai la novità?- gli chiese lei con
voce maliziosa,
lui scosse il capo ora decisamente curioso –Cameron ha un
amichetto…- disse l’ultima
parola con particolare enfasi, lui strabuzzò gli occhi e si
voltò in fretta
indietro, come a voler scorgere ancora il profilo di lei,
-e…sai chi è? Cioè, è
dell’ospedale?- interessato la interrogò, avrebbe
voluto vedere la faccia di
House quando gliel’avrebbe detto! lei annuì
sorridendo apertamente –oh si certo…
e mi stupisca che tu non lo sappia… si tratta di
House…-.
Lui
incredulo
continuò a fissarla, ora si spiegavano tante cose, compreso
l’improvviso
buonumore del suo amico. Dimenticandosi completamente del motivo per
cui era
arrivato sorrise alla donna e uscì fuori: doveva fare
quattro chiacchiere con
un quarantacinquenne un po’ zoppo…
FINE I PARTE
Ed
ecco
qui la fine… be, una fine che in realtà
è un grande inizio! Presto scriverò una
continuazione che parlerà ancora del rapporto House/Cam, ma
che andrà a toccare
anche altre relazioni all’interno della clinica…
Spero
che la mia storia vi sia piaciuta. Ringrazio chi gia ha recensito e
anche chi
lo farà. Alla prossima!
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