Il popolo e il bambino

di Simuz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


mi scuso in anticipo per errori di ortografia ed altro.

 

 

Capitolo 1

 

 

 

Avete mai pensato di avere perso degli anni ad inseguire qualcosa di irraggiungibile? Qualcosa
che agognavate da così tanto tempo che avreste fatto di tutto per averla, persino di buttarla tra le
braccia di una persona che mai si era interessato a lei?

Io l'ho fatto. Come un stupido promisi alla donna che amavo che avrei riportato indietro l'uomo
che amava e l'ho feci. Soffrendo ogni secondo di quel viaggio che mi riportava a konoha insieme
a Sasuke.

Provavo un dolore indicibile: sapevo che ogni secondo, ogni minuto che passava mi stava avvici-
nando sempre di più ad una sofferenza maggiore della morte.

Sapete cos’è un heartbreak? Sapete cosa vuol dire quando vi si spezza il cuore? Io si. Quel gio-
rno, quel maledetto giorno io non sono morto, sono caduto in un abisso nero come la pece in cui
non vedevo niente, ogni mio movimento era vuoto, non c'era soffitto non c'era parete, non c'era
nulla. L'angoscia mi pervase e mi sentii... deluso.

Io avevo fatto di tutto, mi ero allenato, avevo rischiato di morire e solo per esaudire il desiderio
di una ragazza: "porta indietro Sasuke." aveva domandato in lacrime lei. Ma mentre tutti festeggia-
vano il ritorno del figliol prodigo, il figlio buffone, il brutto anatroccolo che aveva compiuto il salvat-
aggio, veniva schivato, lasciato in disparte. Lui non contava più.

Sakura abbracciava Sasuke: piangeva e gioiva per il suo ritorno, mentre io li a guardare, a sper-
are in un abbraccio, un qualcosa che mi facesse capire che a me ci teneva. Ma nulla. Lei era conc-
entrata su di lui. LUI. 

In quel momento qualcosa si ruppe e io piansi. Non perché fossi triste, tutt'altro, bensì per il fatto
che mi sentivo deluso e arrabbiato per il trattamento che mi era stato inflitto. Mi girai, flettei le gambe
e saltai via.

Con la rabbia che avevo in corpo, kyubi si era fatto sentire, lui adorava quel mio sentimento, lo trova-
va appetitoso. Ma io mi rifiutai di assecondarlo, non volevo trasformarmi in un mostro per lei. Rapida-
mente la ricacciai nella sua gabbia, guardai verso lo studio del hokage e mi diressi li. Il motivo era
semplice volevo una missione, dovevo distrarmi in un modo o in un altro, per dimenticare, per non
pensare. Saltai sulla finestra che dava sullo studio, la aprii ed entrai e dato che nonna Tsunade non
c'era, mi sedetti su una sedia ed aspettai.

Non saprei dire quanto stetti li a fissare il soffitto stravaccato sulla sedia dello studio: minuti, ore, non
saprei neanche adesso che sono passati due anni e la mia mente e molto più lucida dell'epoca, ma
ricordo che quando nonna tsunade tornò la giornata stava avviandosi verso la fine.

Ricordo che al rumore del chiavistello che scattava sussultai e mi girai, quando la vidi entrare lei era
contenta, così tanto che feci una faccia disgustata: tutta quella gioia mi disgustava. Doveva essere
piuttosto sorpresa di trovarmi li, dato che mi guardò in un modo strano, e mi domandò che diavolo
ci facessi nel suo studio. Io mia alzai e le dissi che volevo una missione: il più lunga possibile. Ricor-
do che tentò in vari modi di dissuadermi da quella idea, infondo ero appena tornato, pensava che
volessi passare un po' di tempo con Sasuke e gli altri: che stronzata era proprio quello che volevo
evitare. Alla fine riuscii a convincerla, mi fu assegnata una missione nel Paese del vento che si tro-
vava ad un mese di cammino da konoha: era lontano, maledettamente lontano. Era perfetto! Accettai.
Girai i tacchi e me ne andai senza dire nulla a nessuno. Non salutai nessuno: nessuno.

 

Ora davanti a questo cancello di legno enorme, dopo due anni passati in missione, io mi sentivo diverso.
Avevo come la sensazione che questo villaggio non fosse più il MIO villaggio. Mi sentii a disagio. Era una
strana sensazione: era come mangiare un piatto che hai amato per molto tempo e che non hai più potuto
mangiare, ma quando lo riassapori lo trovi insipido, strano.

Guardai intorno alla enorme porta e vidi che qualcosa era cambiato: i vecchi palazzi di una volta non c'erano
più, al loro posto vi si trovavano dei nuovi edifici. Davanti a quella visione mi domandai che cosa potesse essere
successo. In tutti quegli anni non ero venuto, e neanche voluto, sapere notizie su Konoha.

Varcai titubante la porta domandandomi il peggio.

Gli uomini che stavano di guardia alzarono la testa e mi guardarono domandandosi chi fossi.

- Chi sei? Identificati! - disse uno dei due. Il tono era autoritario e sembrava che non esigesse repliche.

- Mi chiamo Naruto Uzumachi. Genin di Konoha di ritorno da una missione -

- Mi servono i documenti della missione e la parola d'ordine -

Lo guardai esterrefatto. Parola d'ordine? Che diamine significava parola d'ordine!

- Mi scusi per i documenti non c'è problema, ma la parola d'ordine non la so. Non sapevo neanche che ci fosse -

L'uomo che mi stava davanti fece schioccare la lingua e mi guardò contrariato.

- Se non è in possesso della parola d'ordine lei non può passare - mi disse pacatamente.

Non capisco. Dopo due anni torno e mi trattano a pesci in faccia e non mi permettono di entrare nel villaggio?

- Senta. Io sono Naruto uzumaki di ritorno da una missione durata DUE anni. E ripeto DUE anni. Sono stanco
e voglio riposarmi a casa mia che guarda caso si trova proprio qui in questo villaggio. Quindi ora lei per piacere
mi lascia entrare -

Mentre pronunciavo quelle parole tentavo di essere il più calmo possibile, ma era difficile con un imbecille davanti.

- Senta lei non può entrare e se continua con questo atteggiamento saremo costretti ad intervenire - e dicendolo
sfoderò la spada mentre l'altro afferrava due kunai. Ottimo due anni passati a combattere per poi tornare e combat-
tere di nuovo: fantastico!!

- Che succede qui? - domandò una voce che proveniva da dietro di me. Mi voltai per vedere chi fosse e, ritto davanti
a me, vidi un ragazzo con capelli a caschetto, una insolita calzamaglia verde che dava il volta stomaco, ma soprattutto
delle folte sopracciglia, le quali furono quelle che più di tutto avevano catturato il mio disgusto.

- Signor Lee, questo ragazzo non conosce la parola d'ordine e pretende di entrare -

Lee mi guardò, alzò uno dei suoi schifosissimi sopraccigli e lanciò un urlo di gioia.

- NARUTOOOOOOOOOOOO!!! -

Quell'urlo mi perforò i timpani e mi fece cadere per terra. Le due guardie invece resistettero a quell'onda d'urto, probabil-
mente già abituati a quel tifone umano che era Rock Lee.

Mi rialzai a fatica, anche perché quell'idiota continuava a saltellare come un ossesso intorno a me.

- Naruto finalmente sei tornato, ma dov'eri finito? Eh? Eh? -

Ma si era rincoglionito nel frattempo? Tutta quella gioventù, o come la chiamava lui, doveva avergli dato alla testa.

- Ero in missione Lee. Dove vuoi che fossi finito? Comunque Lee puoi dire a questi due di lasciarmi passare? -

- Oh si si. Sentite ragazzi lui è apposto e ricordate il potere della gioventù è tutto nella vita! - e detto ciò sfoderò un sorriso
a trentadue denti che avrebbe accecato anche il sole.

Iniziammo ad incamminarci e Lee iniziò ad assediarmi di domande: come stai, che missione era, come mai era così lunga.
Io sorrisi e basta, poi però mi domandai come mai c’erano così tanti edifici nuovi intorno.

- Senti Lee. Come mai ci sono così tanti edifici nuovi? -

In quel momento tutta la felicità che c'era in lui svanì, abbassò la testa e guardò il terreno.

- Lee tutto apposto? -

Lui alzò la testa e si fermò, poi mi guardò serio come non lo avevo mai visto fare.

- Un anno fa circa Konoha è stata rasa al suolo da Sasuke. -

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Mi scuso in anticipo per gli errori di ortografia e vari. Buona lettura.

 

Capitolo 2

 

 

   

- Un anno fa circa Konoha è stata rasa al suolo da Sasuke. – disse malinconico Rock Lee.

Non era possibile, non ci volevo credere, come era stato possibile. Quando erano tornati indietro, lui gli aveva detto che amava
il villaggio, che mai nulla avrebbe fatto a Konoha, e allora perché era successo tutto quello.

- Co…Cos…Come è successo? – chiesi balbettando.
- Rock Lee mi guardò per un secondo poi si voltò di nuovo. Girò la testa verso una casa e dopo un po’ ricominciò a parlare.

- Sai, era una bella giornata, la primavera era iniziata e la gioventù era bella pimpante. Chi l’avrebbe mai detto che si sareb-
be trasformata in un inverno freddo e malinconico… –  spostò il suo sguardo su di me, aveva la pelle tutta tirata in una smor-
fia di odio, un odio che non gli avevo mai visto: totale oserei dire. - …e di rabbia, vendetta contro di lui. LUI. – alzò malinconi-
co lo sguardo al cielo e mi ricordò tanto quei fumetti dove il protagonista, alla fine di una eroica fatica, alza lo sguardo e sorri-
dendo ricorda tutta la sua vita, ma Rock Lee non stava sorridendo, osservava tristemente il soffitto blu sotto cui si trovava. 

- Eravamo amici, Sai. Se qualcuno me l’avesse detto quando eravamo genin non ci avrei creduto, mi sarei messo a ridere.
Ma il destino a volte è crudele. Lui era diventato amico di tutti. Era socievole con la comunità, non sembrava neppure il vecchio
Sasuke. Era diverso, gentile, premuroso: il pallido riflesso del ragazzino che si era allontanato per inseguire una vendetta. -

Mentre parlava io rimanevo zitto, rapito da quelle parole, dai quei ricordi così belli, ma che si stavano per concludere in una tra-
gedia. 

- Sasuke era diventato una persona ammirata da tutti e da tutte – disse sorridendo – Ma più di tutto era diventato amorevole
con Sakura e si diceva che un giorno l’avrebbe sposata. – le mani si contrassero in due pugni e il suo sguardo si fece rabbioso.
Gli misi una mano sulla spalla e gli sorrisi per calmarlo.

- Quel giorno ci fu uno scoppio tremendo e dalla polvere provocata si erse la testa di un serpente  viola. Sasuke stava ritto su di
esso e rideva. Rideva, capisci! Lui RIDEVA! Rideva di noi stupidi che ci eravamo fidati. -

Sospirò e riprese a parlare.

- I morti furono centinaia. Metà del villaggio era irrimediabilmente distrutto e noi eravamo concentrati a respingere Sasuke e l’Hebi.–
a quella parola mi risvegliai. Hebi?! Impossibile, ricordavo benissimo che fine avessero fatto: li avevo uccisi.

- Cosa hai detto? –

- In che senso? – mi chiese sopracciglione.

- Hai detto Hebi, giusto?! –

- Si. Ma perché me lo chiedi? –

In quel momento capii tutto, quei bastardi avevano solo finto di morire. Sasuke si era preso gioco di me, aveva sfruttato il penti-
mento per tornare come il redento e poi scatenare la sua apocalisse.

Quei pensieri si ammassarono violentemente in un cassetto dove si ergeva una targhetta: tradimento.

- Tradimento – ripetei a bassa voce, tanto che Rock Lee mi guardò come se fossi un pazzo.

- Hebi. Io l’avevo distrutto, o almeno così credevo. – dissi – Ma quel traditore di Sasuke deve avere organizzato tutto in maniera
che io ci credessi – Mi sentii spossato, depresso. Tutto il lavoro che avevo fatto per riportarlo indietro, per ridare il sorriso a Saku-
ra che era sempre più triste, era stata una perdita di tempo. 

In quel momento frenai i miei pensieri e ripensai a lei, a Sakura.

- Come sta Sakura chan? – chiesi sperando in una risposta positiva, ma Rock Lee si fece pensieroso e ci mise un po’ prima di
darmi una risposta.

- Sta bene…O almeno credo – 

Credo?! Che cosa significava quella parola: se uno sta bene, sta bene. No?! 

- In che senso credi. –

- Nel senso che… vedi è difficile da spiegare. Devi capire che Sakura quan… -

Lee non riuscì a concludere la frase perché venne distratto da una imprecazione e da dei rumori che provenivano da una via
che faceva angolo con la nostra. Immediatamente ci portammo all’altezza della via e li vidi una cosa che mi fece esplodere: cin-
que persone stavano circondando una ragazza dai capelli rosa che stringeva a se un neonato il quale per lo shock strillava co-
me un ossesso. La gente le sputava e le tirava addosso tutto quello che aveva in mano, ma soprattutto le urlavano frasi di rabbia,
di odio… di disprezzo.

- Sakura chan - sospirai, poi mi sentii avvampare di rabbia per quella scena e allora urlai.

- SAKURA CHAN!! - 

La gente sentendomi urlare si voltò verso di me.

- è tornato l’altro mostro. - disse una donna non molto alta con i capelli neri e gli occhi azzurri.

- Già! è venuto a proteggere quest’altro mostro. - disse un uomo irsuto e con la faccia che sembrava quella di un orso abbruttito.

- Infondo tra mostri ci si capisce e loro sono sempre stati amici. - proseguì ancora la donna mentre gli altri asserivano convinti.

A quelle parole la mia rabbia crebbe ancora di più: come osavano dare del mostro alla mia Sakura chan. 

Flettei le gambe pronto per scattare in avanti ed attaccare, ma Lee, che aveva capito le mie intenzioni, si posizionò davanti a me
dandomi le spalle.

- Katsumi. Kumachi, andatevene via insieme alla vostra marmaglia e lasciatela in pace. - disse Lee autoritario. 

Quelli iniziarono a ridere e, come se nulla fosse successo, se ne andarono.

- Naruto, devi controllare il tuo istinto. Il villaggio è cambiato. Gli equilibri di una volta non esistono più. - mi disse Lee sempre dan-
domi le spalle.

Io gli passai di fianco, gli feci un cenno con la testa e mi diressi celermente verso Sakura.

Era rannicchiata per terra proteggendo il bambino che teneva in braccio, per la paura tremava e per tutto quel tempo non aveva
voluto alzare lo sguardo temendo che non fosse ancora tutto finito; che quella momentanea pace fosse solo illusoria.

Mi chinai su di lei e le posai una mano sulla testa, la accarezzai dolcemente facendole capire che tutto era finito, che tutto
era passato.
A quel tocco lei alzò di scatto lo sguardo e mi fissò, i suoi occhi alla mia vista erano come quelli di una persona che non
riesce a mettere a fuoco, continuò per un secondo che duro un’eternità, poi iniziò a piangere copiosamente tutta la sua tri-
stezza, la sua contezza di rivedermi, o almeno era quello che pensai.

- Naruto. - disse singhiozzando e sempre singhiozzando ripeté il mio nome tante volte come se fosse un salmo o qualcosa
del genere. Io stavo li e la consolavo non dicevo nulla, semplicemente  come era sempre successo rimasi a sua disposizione.

- Naruto allora sei tornato. - mi disse ad un certo punto.

Lei mi guardò negli occhi e mi sorrise.

- Grazie di essere di nuovo qui… mi sei mancato - quelle parole, mi si conficcarono nella testa: erano quelle le parole che
volevo sentire due anni fa. 

La aiutai a rialzarsi e solo allora mi ricordai del bambino che teneva in braccio: era piccolo avrà avuto si e no un anno e
aveva i capelli neri come il buio e gli occhi ancora più neri. Lo sguardo era imperioso e suggeriva in chi lo guardava una
certa ammirazione.

Stetti per svariati minuti ad osservare quel bambino, tanto che non mi ero reso conto che nel frattempo Lee si era avvicinato
ed aveva iniziato a dirmi qualcosa, ma ero talmente rapito da quel suo sguardo che capii solo l’ultima parte del discorso.

- …Sasuke. Volevo dirtelo prima. - mi disse un po’ sconsolato. Io lo guardai non capendo cosa avesse detto.

- Scusa Lee, ma cosa volevi dirmi prima? - chiesi smarrito.

- Sei senza speranza – disse Sakura intromettendosi nel discorso. Io la guardai e abbozzai un sorriso.

- Stavo dicendo - disse tossendo per richiamare all’ordine - Che questo bambino è il figlio Sasuke e Sakura. - 

Avevo sentito bene? Realmente quello era il figlio di quel traditore e della mia dolce Sakura? Non ci potevo credere. No, non
poteva essere vero. Mi girai verso Sakura e guardai la sua reazione. Lei abbassò lo sguardo tristemente verso suo figlio e lo
guardò con una punta di malinconia. 

Era vero. Cazzo, era dannatamente vero. In quel momento avrei voluto dire mille cose, cattive per lo più ed ero seriamente in-
tenzionato a farlo. Feci per aprire bocca, ma Rock Lee mi precedette, probabilmente intuendo la mia intenzione.

- Ora hai capito perché quei tipi di prima la stavano insultando?! Loro vedono in quel bambino Sasuke e quindi odiano sia Sa-
kura sia lui, però loro non hanno colpe per quello che ha fatto lui al villaggio. Capito?! Naruto! - mi disse guardandomi con uno
sguardo che minacciava vendetta se non avessi risposto correttamente. Io presi quel poco di cervello che avevo in quel momen-
to e gli risposi con un cenno.

- Sakura chan, ehm come, come si chiama? – chiesi sorridendo, ormai convinto dalle parole di Lee. 

Sakura sorrise e mi guardò come se si stesse per togliere un peso dallo stomaco.

- Si chiama Naruto - disse orgogliosa. Io la guardai stupito: l’aveva chiamato come me, ma perché? Non aveva molto senso, ero
stato via per così tanto tempo e poi io non avevo nessun tipo di relazione con lei, a parte l’amicizia certo.

- L’hai chiamato come me?! - chiesi incredulo.

- Si - 

- Io, non so cosa dire. Io… cioè volevo sapere com…pe… - chiesi balbettando tanto ero scioccato.

- Vuoi sapere perché l’ho chiamato così? - chiese serena. Io avevo una faccia da beota e con tutta la buona volontà tentai di abboz-
zare un sì. Lei si mise a ridere attirando lo sguardo di Naruto che la fissò con i suoi occhioni neri.

- L’ho fatto perché tu sei il mio migliore amico e mi avevi riportato la persona che amavo… - a quelle parole si interruppe facendosi
triste, il ricordo di Sasuke era ancora forte in lei. Scosse la testa e riprese a parlare.

- Faccio ancora fatica a parlare di lui - mi disse malinconica - Scusa. - 

- Non preoccuparti Sakura chan. - le dissi.

- Volevo dargli il nome di una persona coraggiosa e generosa, di una persona che ammiravo. Ecco perché l’ho chiamato come te. -

A quelle parole, mi sentii piccolo e poco ci mancò che iniziassi a piangere come una ragazzina.

- Grazie… Sakura chan -

Lei mi guardò sorridendo poi improvvisamente fissò il figlio che aveva iniziato a ridere e tendeva le sue manine verso di me.

- Vuoi tenerlo in braccio? - mi chiese un po’ titubante.

- Si con piacere -

Mi avvicinai lentamente e con delicatezza lo presi in braccio. La sensazione che provai fu di smarrimento, non sapevo come compor-
tarmi, mi sembrava di tenere in mano qualcosa che poteva sgusciarmi via da un momento all’altro: avevo paura. Sentimento sciocco,
no?!

- Sii te stesso – mi disse Sakura.

Annuii e guardai il figlio di Sakura e di Sasuke. Lo guardai sorridermi e allora capii che cosa dovevo fare: l’avrei protetto. Decisi che
avrei fatto di tutto per evitare che questo bambino crescesse senza amore, con la consapevolezza che tutti lo odiassero perché era il
figlio di quel traditore. Decisi che questo Naruto non sarebbe cresciuto come me o come Gaara. Lui sarebbe stato viziato, coccolato ed
un giorno gli avrei insegnato tutto. Presi l’impegno di essere un padre con un figlio che non era mio, ma che era della donna che amavo
e di una persona che una volta era stata il mio migliore amico.

Alzai il pollice destro e feci la mia promessa a Naruto. 

- Io ti prometto che non ti farò mancare nulla. – dissi mentre Sakura mi guardava felice, mentre degli occhi indiscreti osservavano la scena
con rabbia, odio e delusione.   

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Mi scuso in anticipo per gli errori di ortografia. Avviso inoltre tutti i lettori che la rapidità con
cui sono usciti i capitoli era dovuta solamente al fatto che questa era una vecchia storia scritta,
ma riscritta e riadattata ai nuovi capitoli di Naruto, nell'oramai 2009, ergo i nuovi capitoli vedran
no un'uscita a cadenza settimanale o bisettimanale o, più banalmente, in base alla mia vena
"artistica". Buona lettura.

 

 

 

Capitolo 3

 

 

 

Dopo quello che era accaduto in precedenza a Sakura, non me la sentii di lasciarla tornare a casa
da sola, presi quindi la decisione di riaccompagnarla. Nonostante le insistenze di lei a farmi andare
a riposare, io ero irremovibile, tanto che alla fine dovette accettare. 

Mentre percorrevamo in silenzio le vie di Konoha diretti a casa sua, mi domandai come potesse sen-
tirsi al sicuro in un posto del genere, come poteva continuare a vivere in un luogo tanto ostile a lei e
a suo figlio. Potevo capire che non volesse allontanarsi dal luogo in cui era nata e dove, nonostante
quasi tutto il villaggio le era ostile, esistevano ancora degli amici a cui appoggiarsi, ma restavo
comunque perplesso davanti al coraggio di quella ragazza che pur odiata e maltrattata dalla gente,
restava lì a proteggere il proprio figlio. Volsi il mio sguardo verso naruto che sonnecchiava tra le brac-
cia della madre e nel vederlo così beato in quella culla fatta pelle vellutata, mi venne da piangere di
felicità: quel bambino aveva un supporto, un sostegno che io non avevo mai avuto e soprattutto aveva
una madre, una famiglia che lo amava. Sakura, che probabilmente si era accorta del mio stato emotivo,
mi guardò con i suoi occhi verdi e mi sorrise, ma non fu un sorriso che sapeva di vecchio, di comune,
mi dava la sensazione di nuovo e di fresco: fu un sorriso caldo, accogliente come quelli di una mamma.
Lo so che può sembrare strano come sentimento, ma quello era ciò che mi infondeva: calore materno.

Io le sorrisi e mi domandai cosa avrei potuto fare di più per lei; per loro! Nonostante avessi promesso,
non sapevo da dove cominciare e tutto ciò si tramutava in un senso di frustrazione che mi angosciava:
ero davvero capace di mantenere ciò che mi ero prefissato di fare? Pensai di no; ma mi risposi che, però,
ciononostante c’e l’avrei messa tutta.

«ti vedo turbato. Va tutto bene?» mi chiese lei dopo un po’ che camminavamo.

«Cosa?! Scusa, ma ero soprappensiero.» dissi guardandola un po’ scosso dalla sua domanda.

«Ah e, se posso saperlo, a cosa stavi pensando?» mi chiese titubante, ma c'era qualcosa di strano nel
suo tono di voce: troppo formale; troppo gentile, ma non quella che si mostra verso un'amico, bensì quella
che adopera nei confronti di un estraneo. Ero diventato un estraneo per lei? Possibile che quei due anni
di lontananza l'avessero portata a considerarmi solo un estraneo, un conoscente? 

«Sakura chan perché hai usato quel tono così formale? Siamo amici da una vita e non mi sembra il caso di
usare quel tono.» dissi un po’ arrabbiato. Lei mi guardò, sorpresa dalla mia risposta, poi scosse la testa e
mi sorrise.

«Scusa, non era mia intenzione. È solo che non ti vedo da così tanto tempo che non so perché, ma ho come
la sensazione che certe cose non possa più chiedertele, come se qualcosa tra di noi si fosse rotto, spezzato,
e perciò non potessi più permettermi certi comportamenti.» mi disse imbarazzata.

La guardai serio, indeciso sul da farsi: da un lato volevo riderle in faccia, ma dall’altra ero... offeso. Non saprei
dire il perché, ma non potevo credere che Sakura avesse fatto dei pensieri così equivochi su di me: ero davvero
così diverso dal me stesso del passato? questa domanda mi rimbalzò nel cervello una trentina di volte, finché
non trovo il canale per uscire dalla mia bocca.

«Mi trovi per caso diverso? cambiato?» 

«Penso che qualcosa sia cambiato, certo, ma non sono sicura se sia tu ad esserlo. - fece una pausa e levò gli
occhi al cielo e poi li puntò su di me - Potrei essere tranquillamente io. - notai nelle sue parole qualcosa di triste.
- Forse sono io a vederti in maniera diversa e ciò mi porta a parlarti come se non ci conoscessimo da una vita.»
Non sapevo cosa dire, per la prima volta da quando l’avevo rivista rimasi senza parole, mi aveva spiazzato con
quella frase. Capii solo in quel momento la sofferenza di quelle parole, quella sensazione di tristezza che avevo
avvertito prima era collegata in qualche modo a ciò che aveva perso in quegli ultimi due anni.

«Ricorda Sakura chan che io sono tornato per restare e non ho intenzione di andarmene via un’altra volta senza
dire niente. - mi spostai davanti a lei e l’abbracciai facendo attenzione al bambino - Io non sono un amico, io sono
il tuo amico e per te farò di tutto, probabilmente l’hai solo dimenticato, ma io per te ho sempre fatto di tutto, anche
ritrovare ciò che era impossibile.»

La guardai negli occhi, quegli stesse stupendi occhi verdi che avevo amato a dodici anni, li stessi che avevo
amato a quattordici e a sedici anni, li stessi che amavo adesso nonostante fossero passati tanti anni e lei portasse
tra le braccia il figlio di quello che una volta era un amico e un fratello. Ma ora in quel verde vedevo anche l’azzurro
delle lacrime che le solcavano la bianca pelle fino a cadere sulla faccia di naruto, il quale svegliatosi si mise a
piangere. Sakura sentito il pianto del figlio si adoperò a calmarlo. Io preso alla sprovvista mi staccai da lei imbaraz-
zato ed iniziai a guardarmi intorno e notai che molte persone, sentito probabilmente il pianto del bambino, si erano
girate verso di noi con sguardi animosi. Preoccupato che si riproponesse la medesima situazione di prima, presi in
braccio Sakura e il figlio e saltai via in direzione di casa mia.

«Cosa fai Naruto mettici giù, non vedi che spaventi mio figlio, BAKA che non sei altro» urlò Sakura presa alla sprov-
vista dal mio gesto. Io guardai naruto, preoccupato dalle sue parole, ma lo vidi più che impaurito, divertito: il piccolo rideva.

«A me non pare - dissi guardando dritto davanti a me per evitare di andare a sbattere contro qualche edificio. - Non
vedi come si diverte. A quanto pare a tuo figlio piace molto il vento. Magari è del mio stesso elemento!» dissi convinto
mentre Sakura osservava il proprio figlio divertirsi quando le folate di vento gli scompigliavano i capelli. 

«D'accordo si diverte, ma questo non toglie che sei un baka di prima categoria. Mi spieghi perché diamine ci hai pre-
levato di peso per saltellare di qua e di la?» disse lei con tono autoritario. Sorrisi: questa era la vecchia Sakura: tutto
fuorché una donna abbattuta, magari era diventata un po' malinconica negli ultimi anni, durante la guerra con Madara,
ma non si era mai lasciata andare, non si era mai abbattuta. 

«Non volevo che si riverificasse quello che era successo poco fa. - le dissi seriamente - Quindi in questo momento ti sto
portando a casa mia.» 

«E perché di grazia mi staresti portando a casa tua? è vero che da quando mi sono trasferita, casa tua e di fianco
alla mia, ma mi spieghi perché?» mi disse perplessa. La notizia che fossimo vicini di casa mi prese in contro piede,
in fondo la decisione di portarla a casa mia era dovuta proprio al fatto che pensavo fosse lontana dal mio appar-
tamento. Quello che mi domandavo era: perché si era trasferita di fianco a me? Questa domanda mi ronzò in testa
per una decina di secondi, che a me parvero minuti, e poi preso, più da curiosità che da malizia, le domandai come
mai si fosse trasferita vicino a me. «Per caso - mi disse - a quell'epoca cercavo un posto dove vivere, non avevo
tanti soldi e quell'appartamento era sfitto, solo in un secondo momento mi ricordai che anche tu abitavi lì e proprio
alla porta accanto. - disse laconicamente - Comunque non mi hai ancora dato una risposta.»

«A che cosa?»

«Sul motivo che ti sta spingendo a portarmi a casa tua» chiese impettita per il fatto che mi ero dimenticato della
sua domanda.

« Ehm...perché non volevo che ti succedesse più nulla di male.» dissi arrossendo leggermente.

«Naruto, credi seriamente che io non sappia difendermi benissimo da sola?» chiese stizzita.

«Certo che sei in grado di farlo, ma adesso sei legata a tuo figlio. Capisci cosa intendo?» 

«Ovvio non sono scema come te! Ma comunque non capisco perché secondo te avrei accettato la tua proposta
quando me l’hanno già chiesto: Ino, Shikamaru, Tsunade - sama, Lee, Ten Ten, Choji e pure Sai!!» mi chiese in
maniera inquisitrice. In effetti la cosa aveva senso. «Non ci avevo proprio pensato, ma, non so perché, ero certo
che avresti accettato.» dissi superbamente sicuro della mia risposta. Feci male. 

«Pensi male. - disse seccata - Ma in fondo mi sento più sicura a sapere che tu sia di fianco a me.» 

«Ah allora vedi che in parte avevo ragione.» dissi sorridendole mentre con lo sguardo avevo, a poco più di due-
cento metri, intravisto la mia palazzina.

Atterrai facendo in modo di non essere troppo brusco, feci scendere Sakura e mi accorsi che naruto mi guardava
male perché avevo interrotto il suo divertimento. Mi chinai su di lui e gli dissi che se sua madre mi avesse dato
il permesso lo avrei portato a fare un giro qualche volta. Ovviamente le reazioni furono diverse: Sakura mi guardò
malissimo, mentre lui mi sorrise. 

«Comunque eccoci finalmente arrivati.» dissi stiracchiandomi, mentre lei sia avvicinava alla porta del suo apparta-
mento e faceva girare la chiave nella toppa. Guardai la zona intorno al mio vecchio edificio e notai che nulla era
cambiato, ma una volta giratomi verso l’appartamento di Sakura, notai delle scritte sulla sua porta, erano insulti
violentissimi contro di lei: Vattene, Troia, Puttana, Mostro, cagna del diavolo. La rabbia iniziò a montarmi e ci mancò
poco che non esplodessi se lei non mi avesse fermato.

«Calmati Naruto! - disse prendendomi per il polso - Arrabbiarsi non serve a nulla.»

«Come fai? - cercai di essere il più calmo possibile mentre glielo chiedevo - Come fai a sopportare tutto questo?
come fai a restare indifferente a tutto ciò. Perché non ti arrabbi, Perché non....» lei interruppe le mie domande strin-
gendomi più forte il polso. Restò in silenzio per qualche secondo poi parlò.

«Come hai fatto te, cercando di mostrare quella che sono realmente e non per quello che loro vogliono che io sia.»
detto ciò lasciò il mio polso ed entrò in casa. Quella frase mi aveva veramente scioccato, lei voleva fare come me?
ne era certa? NO! Lei non doveva subire quello che io avevo patito.

«Sei stupida? Vuoi davvero patire quello che io ho patito? Solo uno stupido lo vorrebbe. - dissi fuori di me. - Credi
che se potessi tornare indietro farei le stesse cose? Beh ti sbagli!» davanti al mio tono di voce alto e arrabbiato il
bambino aveva iniziato nuovamente a piangere. Sakura era diventata rossa dalla rabbia; Mi guardò torva e dopo
pochi secondi di silenzio esplose.

«COME TI PERMETTI DI DARMI DELLA STUPIDA, NON SONO IO LA STUPIDA CHE SE NE È ANDATA DAL VIL-
LAGGIO SENZA DIRE NULLA.» urlò lei mentre il bambino iniziava a piangere in maniera sempre più rumorosa.

«E questo che centra. E QUESTO CHE CENTRA!!!! QUI SI PARLA DELLE TUE AZIONI E DEL FATTO CHE VUOI
FARTI CARICO DI UNA COSA GROSSA, DI CUI POTRESTI PERDERE IL CONTROLLO. NON PUOI FARE TUTTO
DA SOLA! - presi un attimo per respirare e poi conclusi la frase - NON PERMETTERE A QUESTO BAMBINO DI
CRESCERE IN UN LUOGO OSTILE!!! FATTI AIUTARE!!!!»

Lei mi guardò arrabbiata, ma era chiaro che fosse sull’orlo di una crisi di pianto.

«Farmi aiutare. Farmi aiutare... - disse stancamente - credi che non lo voglia? Pensi davvero che non vorrei scap-
pare da qui, da tutto e tutti? Ma non posso e lo sai perché? Perché questo è il mio villaggio e nonostante tutti mi
evitino come la peste, io so di essere migliore di loro e poi... - si interruppe due secondi prima di continuare - io non
voglio dipendere ancora da qualcuno, voglio riuscire a stare in questo mondo con le mie sole forze e risolvere le
mie difficoltà con le mie sole forze» detto ciò entrò in casa chiudendosi la porta dietro. La sentì parlare con naruto
che piangeva, gli diceva che insieme ce l’avrebbero fatta.

Erano sciocchezze, da sola non ce l’avrebbe mai fatta.

Ero fuori di me, come mai era in quella situazione, dovevo avere delle risposte. Decisi pertanto di andare dall’hokage
per chiedere spiegazioni. Mi arrampicai sul tetto e feci un salto verso la direzione del palazzo dell’hokage.

Mentre saltavo da un palazzo all’altro, mi domandavo se avessi fatto bene ad andarmene quel giorno di due anni fa.
Avevo davvero compiuto una buona scelta all’epoca? Forse se non me ne fossi andato ora Konoha sarebbe salva,
Sakura starebbe bene e nessun ora soffrirebbe: probabilmente persino Sasuke avrebbe lasciato perdere la sua
vendetta ed ora il piccolo naruto avrebbe avuto un padre a fianco. Lui invece aveva voluto andarsene per una
cosa stupida come... come... come cosa?! La gelosia forse era il sentimento che più avevo provato quel giorno
vedendo Sakura con Sasuke, non era stato il fatto che lei non mi avesse salutato o per il fatto che nessuno mi 
avesse detto: “bravo”, “sei il migliore”; era stata la gelosia del momento, l'avere visto come, alla fine, chi non aveva
mai voluto, chi era sempre scappato dalle proprie paure e che non aveva fatto altro che seguire i propri più biechi
istinti, ora poteva godersi tutto senza esserselo meritato. Ecco perché me ne ero andato: per gelosia e invidia. E solo
ora mi rendevo conto che forse, anzi ne ero certo, avevo fatto una scelta stupida.

Vidi comparire ad un tratto il palazzo dell’Hokage, scesi per strada e mi diressi verso il cancello, lo oltrepassai
entrando nell’ampio cortile stranamente deserto. Mi diressi celermente sulle scalinate che portavano al piano di
Tsunade, tutto era tranquillo, solo una leggera brezza muoveva le foglie degli alberi vicini: era un piacere che non
provavo da molto tempo. Arrivato in cima aprii la porta ed entrai deciso, nel farlo però sbattei contro qualcuno che,
per la mia esuberanza era caduto per terra.

«Ahia che male» disse la ragazza con il sedere per terra.

«Scusami. Non ti avevo vista.» dissi cercando di scusarmi per il comportamento. Le tesi la mano per aiutarla ad alzarsi,
notai che la sua era più piccola e sottile della mia, era inoltre straordinariamente morbida e vellutata.

«Ti chiedo scusa ancora per quello che è successo» 

«Non preoccuparti io sto ben...» interruppe al frase a metà dopo che, tiratasi in piedi, mi aveva visto in faccia: aveva
due occhi blu chiarissimi e la frangia dei capelli neri le cadeva sulla fronte. Aveva dei lineamenti infantili, ma che trala-
sciavano intravedere la donna adulta del futuro. Quegli occhi così chiari e luminosi ad un tratto cambiarono, si fecero
duri, severi.

«Scusa va tutto bene?» chiesi incuriosito dal suo cambiamento. Lei però non disse si limitò a guardarmi male ed andar-
sene giù dalla scalinata.

“Chissà chi era?” pensai. “Non è questo però il momento di incuriosirsi, ho cose più importante a cui pensare” mi dissi
inforcando la porta per il corridoio del piano superiore.

Superai una serie di porte alcune aperte, altre chiuse, ma ovunque incontravo degli sguardi ostili come quelli della
ragazza di prima. Non che mi importasse qualcosa, infondo c’ero abituato, ma non ne capivo il motivo dopo tutto quello
che avevo fatto per loro in passato. Girai l’angolo con questo pensiero che mi frullava in testa, quando notai la porta
dell’ufficio di Tsunade. Mi avvicinai intenzionato ad entrare con irruenza e con fare minaccioso, ma venni interrotto da
un urlo o meglio da un’imprecazione.

«Non mi interessa cosa tu possa pensare della situazione e francamente me ne frego - disse una voce che assomigliava
a quella di Tsunade - Lei da qui non se ne va. CAPITO?!» urlò infine la donna.

«Non puoi continuare ad essere contro la volontà del popolo Tsunade e questo tu lo sai. IO seguo la voce del popolo
e il popolo vuole che lei se ne vada, lei e quel mostro che si porta appresso.» disse l’altra voce ringhiando: assomigliava
vagamente alla voce di Kiba, ma allo stesso tempo era diversa, carica di odio e di superbia. Non riuscii a capire di cosa
stessero parlando, ma soprattutto con chi stesse parlando Tsunade.

«Quindi io ti chiedo come rappresentante della famiglia più importante di Konoha di cacciare da questo villaggio Sakura
e quel mostro di suo figlio.» a quelle parole non ci vidi più, sfondai la porta e, con tutta la rabbia che avevo, entrai per
picchiare l’autore di quelle parole, ma quando vidi chi era stato mi bloccai per un secondo: davanti a me, ritto in piedi,
con quella sua aria strafottente, stava Kiba che appena mi vide strabuzzo un attimo gli occhi, poi, si ricompose e parlò.

«Ecco che è tornato l’altro mostro. La volpe Uzumaki, l’amico del traditore!» disse con disgusto. Non era la prima volta
che Kiba mi insultava, ma era la prima che lo faceva con odio, vero odio. Gli saltai addosso pronto a colpirlo in faccia
con un rasengan, ma Tsunade si mise in mezzo per  bloccarmi: mi colpì alla bocca dello stomaco e mi fece cadere per terra.
Piegato al suolo sentii la voce di Kiba dire sarcasticamente: «Ottimo lavoro Godaime» 

Quelle furono le ultime parole che capii prima di svenire.

  

Quando mi risvegliai stava tramontando e la luce rossa entrava calda nella stanza. Mi tirai su per capire dove fossi e
notai che ero nel mio letto, ma dopo pochi secondi sentii un dolore lancinante provenirmi dallo stomaco proprio nel punto
in cui Tsunade mi aveva colpito. 

«Cazzo non è possibile che sia stato battuto da un semplice pugno di quella nonna.» dissi quasi sotto voce mentre
mi lasciavo ricadere sul letto.

«Nonna a chi, maledetto impertinente?» disse una voce femminile proveniente dai piedi del letto. Vidi una donna che
poteva avere circa venticinque anni con capelli biondi e una sorta di rombo disegnato in fronte, ma la cosa che però
si notava di più era il prosperoso seno che faceva intravvedere dalla scollatura.

«A te ovviamente. Hai più di cinquant'anni te lo sei dimenticato.» dissi sarcastico.

«Oh però questa “vecchia” ti ha steso con un solo pugno - replicò canzonandomi. - comunque è bello rivederti, anche
se avrei preferito incontrarti in maniera diversa.»

«Immagino. Ma dimmi perché mi hai bloccato? Quel cagnaccio stava insultando Sakura chan e tu non hai fatto niente
per chiudergli la bocca. Come hai potuto non fare nulla!?» dissi rosso in viso per la rabbia. Ultimamente mi stavo arrab-
biando un po’ troppo, se continuavo in quella maniera mi sarebbe venuto un infarto.

Lei mi guardò inespressivamente; gli occhi verdi puntati fissi nei miei, poi si alzò lentamente dalla sedia e si girò verso
la finestra e appoggiò le mani sul bordo e senza guardarmi iniziò a parlare.

«Vedi, molte cose sono cambiate nel villaggio e... »

«Questo lo so già! - dissi interrompendola - Quando sono arrivato ho incontrato Lee che mi ha parlato di Sasuke e di
ciò che ha fatto, ma è ciò che ho visto e saputo dopo, che mi ha fatto domandare se tu avessi davvero fatto qualcosa.
Come puoi lasciare Sakura in quelle condizioni. EH?! DIMMELO TSUNADE COME PUOI PERMETTERE A DEGLI IDIOTI
DI PICCHIARE E INSULTARE SAKURA E SUO FIGLIO?» dissi tutto d'un fiato.

«CREDI CHE SIA FACILE PROTEGGERE SAKURA QUANDO HAI TUTTO IL CONSIGLIO CONTRO? - mi disse girandosi
di scatto verso di me e afferrandomi con forza il collo della maglia che indossavo - QUANDO LA QUASI TOTALITÀ DELLE
PERSONE DI QUESTO VILLAGGIO VORREBBE LINCIARE SUO FIGLIO? CREDI CHE SIA SEMPLICE?!» mi chiese urlando.

«No! Non credo che sia facile, ma almeno tentare il possibile, starle vicino e soprattutto portarla in un luogo più tranquillo,
come Suna.» dissi pensando a Gaara e a quello che aveva passato anche lui.

«Suna?! SUNA?! Sei fuori di testa? Quel villaggio, ti ricordo, che è legato a noi a filo doppio. Forse Gaara sarebbe anche
disposto, ma credi che tutti gli altri lo lascerebbero vivere nel loro villaggio? Ti rendi conto di chi è figlio?»

«Le colpe padri non devono ricadere sui figli» dissi convinto e stupido dalle parole pronunciate da Tsunade, sembrava
quasi che lei stessa capisse i timori della gente, come se li condividesse anche lei.

«Naruto - disse passandosi le dita sugli occhi - Sentimi. Io non sto dicendo che quel bambino a colpa di quanto Sasuke ha
fatto al villaggio...al nostro villaggio, ma posso, anzi devo, ricordarti che ormai Sasuke è diventato un mukenin di un livello
che va oltre la S e quel bambino, per quanto non lo vogliamo, ne dovrà portare le conseguenze. - si rigirò verso la finestra
- Io ho le mani legate Naruto. Gli equilibri all'interno sia del consiglio, che all'interno del villaggio pendono tutte oramai verso
gli Hyuga e non mi sorprenderei se un giorno tenteranno di agire contro di me per assumere loro stessi il potere.» disse
mostrandomi un sorriso amaro. 

«Cosa intendi con gli Hyuga?» chiesi curioso, ma lei non mi rispose subito, prima si limitò soltanto a scuotere la testa, poi
dopo un attimo di titubanza mi disse qualche cosa.

«Esatto! Durante l'attacco fu una delle famiglia più colpita di Konoha. In molti di quella famiglia sono morti tra i quali il vecchio
capo e l’attuale brama vendetta ed è disposto a tutto per averla: sta fomentando l’odio del villaggio per scalzarmi.» mi disse
sorridendo e io non so perché, ma non volli replicare.

«Questo è uno dei motivi per cui non voglio lasciare partire Sakura dal villaggio. Nonostante sembri un controsenso, in questo
momento è più protetta qua che in qualsiasi altro posto. Qui la possiamo controllare e possiamo controllare loro, mentre se
la inviassi in un altro posto potrebbe incorrere in pericoli maggiori. - mi disse decisa - Comunque Naruto adesso è meglio
che vada.» poi lei si girò come per andarsene, ma io la bloccai.

«Tsunade! - c'era ancora una cosa che volevo assolutamente sapere. - Lui ora dov’è?» chiesi a bruciapelo. Lei mi guadò
un attimo stupida, dopo di che mi rispose serafica.

«Non lo sappiamo. Ma ipotizziamo che possa trovarsi nel paese della pioggia.»

«Come lo sapete?» 

«Il paese della pioggia era uno dei luoghi in cui si trovavano i rifugi dell'alba, quindi è possibile che Sasuke si trovi lì, ma
non ne siamo certi»

«Non avete inviato nessuno a controllare» chiesi per scrupolo, ma ipotizzando una sua risposta negativa.

«No e non lo farò!» rispose infatti decisa lei. - Più di una volta ho ipotizzato di mandare qualcuno, ma dopo attente
riflessioni mi sono accorta che non ho le risorse sufficienti per delle missioni a vuoto come questa. - disse sconsolata
- Devi capire che durante gli scontri di un anno fa, abbiamo perso molti ninjia validi e la colpa di quel disastro è stata
tutta scaricata su di me. - si girò verso il fondo del letto ed andò a sedersi. Poi mi guardò con un sorriso malinconico.
- In questo momento sono in pochi quelli che mi seguono nelle decisioni come ben avrai capito.» disse abbozzando
un sorriso falso e forzato.

Io la guardai stupito per vari motivi, ma il principale era che non riuscivo a capire perché non potesse inviare qualcuno
a controllare: era così difficile?

«Potrei andare io e...» iniziai convinto, ma lei alzò una mano per interrompermi. 

«No e ti spiego perché. Ora come ora ho bisogno di tutti i ninja possibili per potere fronteggiare meglio gli Hyuga.
Inoltre mi servono tutti i ninja possibili per potere tirare su le nuove reclute.» mi disse seria, poi mi guardò un attimo,
si passò una mano fra i capelli e poi mi chiese a bruciapelo.

«Dimmi Naruto non ti piacerebbe insegnare?» chiese sorridente.

«Io... insegnare?!» chiesi sorpreso.

«Si, perché ti crea problemi?»

«No, nessuno, ma come credi che possa farlo quando non sono nemmeno un Chunin.»

«Si è vero forse non hai il titolo, ma hai sconfitto Pain e Madara, hai addomesticato il Kyubi e hai fronteggiato a testa
alta il Raikage. - disse orgogliosa di quello che stava elencando - Quindi non credo che avrai problemi ad addestrare
un manipolo di aspiranti genin. - disse strizzandomi l’occhio. 

Preso alla sprovvista da quella richiesta così strana, non seppi cosa rispondere: Si, no, boh... Cosa dovevo fare? cosa
dovevo dire? Guardai distrattamente la camera da letto finché il mio sguardo non cadde sulla fotografia del gruppo sette
appoggiata sul comodino: c’era Kakashi che da dietro la maschera sorrideva, io che come uno scemo sorridevo e facevo
il simbolo della vittoria con le dita, Sakura imbarazzata dalla vicinanza con lui, già lui, Sasuke che con fare seccato
guardava da un’altra parte. “Quanti ricordi” pensai “ma soprattutto quanti ricordi belli e nello stesso tempo tristi.” Feci passare
una mano sopra il vetro impolverato di quella fotografia che lentamente s’ingialliva e pensai a Sakura; in quell’istante
mi balenò nella testa un’idea...

«Se io accetto, tu sei disposta a darmi qualcosa in cambio?»

«Uh?! mi stai chiedendo un scambio?»

«Un prezzo più che altro» dissi sorridendo allo sguardo perplesso di lei.

«E cioè? Cosa vorresti?»

«Voglio questo complesso!»

«Scusa?! puoi ripetere?»

«Ho detto che voglio questa palazzina, l’intera palazzina. - mentre lo dicevo vidi lo sguardo perplesso di Tsunade
che iniziò a squadrarmi - Non voglio che qualcuno possa avvicinarsi a Sakura e farle del male, e visto che sia io
e lei siamo vicini di appartamento, voglio isolare l’intero complesso così che i soli occupanti saremo io e lei.» dissi
fiero della mia stupenda idea.

«Capisco, ma mi spieghi una cosa?»

«Si, cosa?»

«DOVE LI VADO A METTERE GLI ALTRI INQUILINI???»

«Beh nel caseggiato di fianco e poi comunque credo che qua ci siamo soltanto: io sakura - chan e altre due o
tre famiglie.» dissi continuando a difendere la mia impareggiabile idea. 

Dopo due minuti di sguardi più o meno truci da parte di entrambi, Tsunade crollò.

«D’accordo e sia: io ti do questo complesso, ma in cambio voglio che tu mi tiri su dei ninjia, non di primo, ma di
primissimo livello!! Capito? Quindi domani alle nove presentati in accademia per farti assegnare i tuoi nuovi allievi.»

Feci un cenno con la testa e lei si girò per uscire dalla stanza, ma, poco prima di varcare la soglia della camera,
si voltò verso di me sorridente.

«Sono contenta che tu sia tornato e che ti stia prodigando tanto per Sakura. Grazie!» detto ciò uscì dalla stanza
lasciandomi solo con i miei pensieri. 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Dato che è stato scritto nel giro di un'ora, mi scuso in anticipo per errori di grammatica e-o di sintassi. Buona lettura.

 

 

 

Capitolo 4

 

 

 

 

 

Appena tsunade ebbe lasciato la stanza cominciai a chiedermi se la decisione di diventare insegnate fosse
quella giusta. Se da un lato mi ci vedevo, mi immaginavo già come il modello per tre giovani genin, dall'altro
non mi sentivo pronto: ero veramente capace di trasmettere le mie conoscenze, le mie idee a dei giovan
i ninja? Ero combattuto. Io non ero mai stato in fondo il miglior ninja della foglia: ero pasticcione, impulsivo e
scarso con le tecniche. Certo, non posso negare il fatto che nel corso degli anni fossi migliorato, ma...ma quel
ma perdurava e io non mi sentivo comunque pronto.

Mi alzai dal letto e mi avvicinai verso il frigorifero, il quale era miseramente vuoto. Pensandoci bene, in effetti,
era impossibile che fosse pieno, o quanto meno ci fosse qualche genere alimentare al suo interno, dato che
ero stato via per due anni. Sorrisi. Un altro difetto era emerso: ero uno smemorato.

"Non ti sembra di essere troppo negativo con te stesso?" disse una voce da dentro me.

"Forse Kurama, ma anche tu sai che in fondo ho molti difetti" dissi sorridendo comparendo di fronte a Kyubi.

Kurama stava acciambellato sul pavimento giallastro di quella sua strana casa che era il mio io interiore.

"Io sono stato uno dei tuoi più grandi detrattori nel passato, ma ti ho rivalutato" disse mostrando un sorriso
che, per via dei denti non certo rassicuranti, si mostrava a metà tra il rassicurante e il minaccioso.

"Kurama il fatto che io e te siamo diventati amici non cambia certamente la sostanza" dissi un po sconsolato,
ma lei scosse la testa e mi guardò arrabbiato. "Tu sei un idiota. In questi ultimi due anni passati insieme, ti sei
lamentato, lagnato, pianto addosso moltissime volte. Tu sei un grande ninja e hai il potenziale per essere un
bravo insegnante. Non fartene una colpa se Sasuke ha tradito il villaggio." concluse laconicamente.  

Realmente non sapevo cosa dire, come ribattere a quelle parole che era tanto vere quanto stupide e false. Io
avevo riportato Sasuke a casa, ergo la colpa era mia, ma quelle che mi colpirono di più di quelle sentenze
furono quelle sulla mia condotta lagnosa. In tutti quegli anni passati a dimenticare Sakura e la mia vita mi ero
lasciato andare, mi ero sentito sempre più depresso inutile e avevo finito per risultare lagnoso alla povera volpe.

"Hai ragione te" dissi sorridendo "Devo ricominciare ad essere un po' più positivo e insegnare può essere un
buon punto di partenza quello che mi chiedo - dissi portandomi la mano chiusa a pugno sulla bocca - è se sia
il caso di rivelare la tua presenza a tutto il villaggio o quanto meno a Tsunade" 

Kurama mi guardò dubbioso, ma mi rispose in maniera secca e decisa. "No e ti spiego perché: il villaggio in
questo momento non mi sembra molto in condizione di accettare la mia natura, la nostra  natura. Già all'epoca
della grande guerra ninja sia Kakashi che il tizio con la calza maglia verde erano stati molto reticenti nei nostri
confronti ci pregarono di non mostrare il nostro patto troppo in giro." Ricordavo ancora la bocca semi chiusa in
una smorfia del mastro sopracciglione e del mastro kakashi che molto laconicamente mi dissero di non rivelare
a nessuno, neppure a Tsunade, quello che avevo creato con Kurama. All'epoca chiese spiegazioni, non riuscivo
a capire il motivo di quel divieto impostomi. Kakashi rispose che era per la mia sicurezza, che era meglio che tutto
il villaggio credesse che io ero ancora il carceriere di Kurama, ché tutti non avevano dimenticato quello che aveva
fatto. Sull'onda di quelle parole mi prodigai ancora di più per fare accettare Sasuke al villaggio, dopo che tanto
dolore aveva provocato. Fu un errore. Credevo che se ero riuscito a salvare dall'odio Kurama, che era sempre
stato un ammasso di odio, allora anche con Sasuke avrei potuto riuscire nel mio intento: mi sbagliai. A torto o a
ragione decisi che forse era meglio seguire le parole di Kurama ed evitare di svelare quanto meno la sua presenza. 

Dopo quella conversazione il mio stomaco iniziò a brontolare, era già pomeriggio inoltrato e io non avevo ancora
pranzato. Guardai se dentro l'armadio ci fosse qualcosa di portabile, i miei vestiti erano tutto fuorché lindi e profumati,
ma all'interno trovai solo un paio di pantaloni e una maglietta con su stampato il simbolo della mia casata. "Meglio
che niente" pensai mentre mi cambiavo. Certo che in tutti quegli anni non avevo mai avuto tempo di fare una cosa
così banale come quella di comprarmi un paio di vestiti. Molti sorrideranno pensando che il grande Naruto possedeva
in totale solo tre paia di pantaloni, tre magliette, due casacche, ma in compenso avevo ben dieci paia di coprifronte.
"Più tardi andrò a comprare qualche cosa" pensai mentre uscivo di casa.

Passando davanti alla porta di Sakura fui tentato di bussare per scusarmi delle brutte parole che le avevo rivolto,
ma pensai che non era il momento. Sakura non era mai stata una persona livorosa, ma se il tempo era riuscito a
cambiare Kiba che certamente non era mai stato un esempio di pace e amore, ma che comunque non aveva ma
portato rancore a nessuno, non ero certo che gli avvenimenti non avessero avuto qualche tipo di effetto anche sul
carattere di Sakura. Decisi quindi di rimandare, non perché avessi paura di una sua reazione negativa, solo in
parte lo confesso, ma era anche perché, nonostante volessi un bene dell'anima a Sakura, il mio stomaco stava
iniziando a brontolare rumorosamente. 

Nulla era cambiato da quando ero partito due anni fa: gli odori e i colori che avevano caratterizzato l'ichiraku e
rano rimasti gli stessi e la stessa struttura e posizione era rimasta la medesima. L'insegna svettava ancora sopra
il locale colorata di rosso come ad ostentare la propria superiorità, sembrava che dicesse "sono io il miglior
ristorante di Konoha", cosa che per me era un dato di fatto. Avvicinandomi mi accorsi che neppure le tende erano
state cambiate. Il vecchietto non aveva voluto cambiare nulla di quel posto. Entrai scostando le tende e vidi che
il signore sorridente, che tanti pasti mi aveva servito in tutti quegli anni, non c'era, al suo posto c'era la figlia, la
quale mi sorrise e mi domando che cosa volessi. Nonostante mi stesse sorridendo, notai che quello era tutto
fuorché un sorriso sincero, certo io per lei non ero che un semplice cliente, era anche probabile che non mi
avesse riconosciuto, ma vi era anche qualche cosa d'altro oltre a quello e pensai che doveva centrare la non
presenza del padre.

«Buona sera signore! Cosa le posso dare?»

«Una porzione doppia di ramen con tanta carne.» dissi convinto che così mi avrebbe riconosciuto: era il piatto
che avevo sempre ordinato, ma ciò la insospettì soltanto, fu la mia successiva esclamazione, che però non
usavo da molto tempo, dattebayo, che le fece capire chi fossi. 

«Naruto?! Ma sei proprio tu?» chiese titubante lei.

«Certo! - dissi sfoderando un sorriso a trentadue denti - Sono appena tornato da una lunga missione e non
potevo certo non fermarmi qui a mangiare i ramen di ichiraku del vecchio signore, il quale però non vedo.
Quando tornerà?» Lei si rabbuiò a sentire nominare il padre e in quel preciso momento mi domandai perché
ero stato così stupido a domandarle qualche cosa che già sospettavo.

«È morto!» rispose laconicamente. "Bravo Naruto. Ecco che hai fatto un'altra stupidata. Sono appena tornato
già ho combinato due cretinate!"

«Mi dispiace - dissi tentando di rimediare alla stupidata appena fatta - Non lo sapevo. Com'è successo se
posso chiedere?» 

«Due anni fa! Un'esplosione fece crollare il tetto della nostra casa. - disse mentre mi porgeva dava la ciotola
fumante di ramen. - Ma io non ho voluto fermarmi e sono andata avanti e sono riuscita a costruire il ristorante
che tanto faticosamente mio papà aveva costruito.» questa volta il sorriso che mi diede era sincero, luminoso
e vivo. Questo mi risollevò il morale, non saprei dire il perché, ma pensai che in fondo a Konoha esisteva
qualcuno che era riuscito ad andare avanti senza rimuginare. 

Finii il mio Ramen e mi spostai verso il monte degli hogake. Salii velocemente le alte facce e mi sedetti sopra
quella di mio padre ad osservare il tramonto e il mio villaggio: il rosso della luce iniziava lentamente a rosicchiare
i colori delle case e dei tetti, dei parchi e dell'acqua. Il mio villaggio aveva dovuto affrontare tante sfide e sarebbe
uscita anche da quella più difficile: l'odio. Sapevo che non era facile, combattere contro l'odio voleva dire
combattere anche contro se stessi, ma sapevo, o mi auto convincevo, che ci saremmo riusciti.

Quando stavo rincasando erano oramai passate da un po' le luci del tramonto e la sera esibiva tutta la sua
maestosa luminosità che ricadeva leggera come la neve a dicembre sulle spalle di Sakura appoggiate al muro
del mio appartamento: lo sguardo fisso per terra e le braccia incrociate.

«Ciao Sakura! - dissi facendola sobbalzare e girando velocemente la testa verso di me - Come mai qui? Vuoi
forse chiedermi di uscire con te per un appuntamento?» dissi sorridendole, ma lei non mi rispose, si limitò
solamente ad abbozzare un sorriso.

«Sakura tutto bene? - domandai preoccupato per tutto quel silenzio - È successo qualcosa di brutto a te o
a Naruto?» 

«No, no. - rispose lei per rassicurarmi - Il fatto è che ho ripensato a quello che ci siamo detti prima. Il litigio.
Io so che tutti mi vogliono aiutare. - il silenzio ci avvolse per qualche secondo - Io non voglio aiuto, cerca di
capirmi. Io...»

«Fermati subito - dissi interrompendola bruscamente - posso capire che tu voglia fare tutta da sola. Nonostante
tutti credessero che tu fossi il punto più debole della nostra squadra, io ho sempre pensato il contrario e lo stai
dimostrando. - mi avvicinai e l'abbracciai - Quindi, nonostante mi sembri ancora una stupidata, io ti sosterrò in
questa tua pazzia. - mi girai appena in tempo per sentirla iniziare a piangere - Inoltre Sakura, ricorda, che io
abito esattamente di fianco a te. Se hai un problema puoi sempre passare e chiedere.» Il lento incedere delle
sue lacrime scavava la pelle biancastra bagnata dalla luna, lei si avvicinò a me e mi abbracciò. Non so dire
quanto rimanemmo abbracciati: dieci minuti, un'ora, non lo so. Quello che so è che quando la lasciai andare
a casa, era molto più felice e rilassata. 

Entrando in casa ripensai alla giornata appena trascorsa e mi resi che era stata molto piena.

"Speriamo che domani sarà una giornata migliore." pensai dimenticando che il giorno dopo avrei iniziato la
mia vita d'insegnante.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Mi scuso per il mostruoso ritardo.

Capitolo 5

Quel giorno arrivò stranamente in fretta. Dato che mancava ancora molto all'inizio della cerimonia per l'assegnazione
dei genin decisi di uscire per andare a correre. Negli ultimi mesi mi aveva preso questa mania di andare a correre, non
perché lo trovassi utile come allenamento, ma piuttosto per il semplice fatto che in quei momenti la mia mente andava
in out: ci sei solo tu, le tue scarpe, il vento, il sudore che ti cola dalla fronte, i dolori alle gambe e quell'irrefrenabile
sensazione di spingere ancora di più finché le gengive non ti si asciugano; finché all'ultimo di quella corsa non senti
la gamba cederti e cadi di schianto sul terreno erboso: adoravo correre. In realtà anche quando ero più piccolo mi pia-
ceva, diciamolo non sono mai stato un bambino sedentario, ma non l'avevo mai vista sotto questo aspetto.

Mentre correvo a perdifiato su per la collina per raggiungere la cima dei cinque testoni mi domandai chi mi sarebbe
stato assegnato: sarebbero stati sfrontati oppure timidi? Dei geni o degli idioti? Sarebbero stati amichevoli oppure scon-
trosi? 

Raggiunta la sommità mi accorsi che esattamente sotto di me stava la testa del quarto Hokage. Saltai giù sul suo naso e
mi sedetti con le gambe incrociate. Fissai gli occhi spenti e ruvidi come solo la roccia può essere per un paio di secondi,
o forse minuti, non saprei.

«Ciao Papà - dissi con tono gioioso ma anche malinconico - Sai oggi divento un maestro. Chissà chi saranno i miei al-
lievi? - il due occhi continuarono ad ignorarmi guardano il cielo mutare - Magari saranno dei geni come il sottoscritto -
sorrisi debolmente, mi sentivo un idiota a parlare ad una statua, ma sentivo che fosse necessario - Papà il mio animo è
sicuro e non trema, ma allora perché le mie mani sono scosse? Io non ho paura del confronto, non ho paura dell'odio
del villaggio, finché avrò degli amici su cui contare, ma allora perché?» Gli occhi non fecero una piega continuando
imperterriti a guardare l'infinito, quel fluire lento delle nuvole: il futuro! Eccola la mia risposta. Nonostante tutto devo
credere al futuro e quei ragazzi, chiunque essi saranno, non dovranno essere etichettati dalle loro fazioni di provenienza.
Li tratterò come se fossero dei semplici ragazzini.

Detto ciò puntai il pollice in su e feci la mia promessa a mio padre e saltai via verso l'accademia ninja.

L'accademia non era più come me la ricordavo. All'entrata era stato posto un portone ad arco con inciso il nome
dell'accademia: Accademia Konoha. Sobrio, ma coinciso. Attraversai il portone con passo sicuro nonostante avvertissi
qualche occhiata, anche se non sono certo della loro tipologia, potevano essere di stupore, di odio o anche di curiosità,
ma comunque non erano certamente problemi miei. Notai che nella zona adiacente all'entrata vera e propria per il palaz-
zo dell'accademia, non vi fosse più l'altalena su cui così tanto tempo avevo passato nella mia infanzia: brutti ricordi, ma
che sanno tuttavia di nostalgia.

Entrai e chiesi ad una signora, che aveva l'aria di essere una delle docenti, ma non ero sicuro, dove si trovasse il respon-
sabile per l'assegnazione dei gruppi di genin. Nonostante la mia inflessione gentile ricevetti una risposta per niente calorosa.

«Prenda la scala in fondo a questo corridoio, le salga fino all'ultimo piano ed entri nella secondo porta a destra.» Detto que-
sto si girò di scatto e se ne andò, lasciandomi li alquanto inebetito da quella risposta. Biascicai un grazie e mi diressi nella di-
rezione indicatami. Avvicinandomi senti un vociare infantile provenire dall'aula. "Forse non mi ha capito. Avevo chiesto l'aula
insegnanti e non quella dei ragazzi appena diplomati" Mentre ero assorto i questi dilemmi si avvicinò a me una persona che
picchiettò con due dita la mia spalla. «Vedo con sommo rammarico che quella chioma gialla è rimasta la stessa» disse
una voce alle mie spalle. Mi girai curioso di chi mi sarei trovato davanti: era un ragazzo di all'incirca la mia età con la barba rada
e una sigaretta in bocca; i capelli lunghi gli cadevano dietro legati da un elastico su cui vi era scritto “con amore”, il tutto condito
da un'aria al quanto svogliata negli occhi del ragazzo.

«Shikamaru - dissi contento - Felice di vederti ancora lo stesso» 

Lui fece una smorfia, poi fece un cenno verso la porta: «Hanno incastrato anche te? - chiese svogliatamente - Ma non eri
in missione?»

« Sono tornato ieri e comunque io non mi sento un incastrato. Piuttosto sei tu quello incastrato stando a quell'elastico» dissi
maliziosamente.

Shikamaru non disse nulla se non un sommario, e alquanto classico, “Tsk”, però poi fece qualcosa che non mi sarei aspettato
da lui, o almeno non in quella situazione, mi chiese scusa.

«Perché mi domandi scusa?» chiesi curioso.

«Perché in tua assenza noi ti abbiamo voltato le spalle ci siamo ritirati e non abbiamo voluto combattere seriamente quello che
stava capitando a Sakura. Per questo io ti chiedo scusa.»

«Shikamaru in questo momento io vi vorrei picchiare tutti voi cosiddetti amici, ma sono sicuro che sarebbe inutile e non
restituirebbe sicuramente il sorriso a Sakura. Quindi per favore stai zitto e agisci invece di chiedere scusa.» Detto questo en-
trai nell'aula.

L'aula era gremita di ragazzi che scherzavano tra di loro indicandosi sorridenti il coprifronte faticosamente conquistato. Le
ragazze, invece, erano più riservate, ma i loro sguardi erano traditi dall'emozione: certe cose non cambiano mai. Mi avvicinai
verso il banco piazzato ai piedi dell'aula a gradinata dov'era seduto un ragazzo magro e con le guance segnate da delle spirali:
Choji. Di fianco a lui, con mio sommo disgusto, stava seduto il cagnaccio, il quale appena notata la mia presenza iniziò il suo
monologo denigratorio.

«Come osi mostrare la tua faccia qui?» chiese sprezzante Kiba. Choji girò la testa verso di me con curiosità. Mi sarei aspet-
tato tante reazioni da Choji: rabbia, riluttanza, gioia oppure un semplice sorriso, ma non certamente lo sguardo che mi rivolse:
apatia misto noia. Era come se io non esistessi; la situazione non lo toccava minimamente. Dopo avermi guardato dalla testa ai
piedi e avere detto un semplice “Ciao ben tornato”, torno a guardare il foglio che aveva davanti a se. Kiba invece si era alzato
e stava per venirmi addosso.

«Allora? Rispondi maledetto traditore! Come mai sei qui?» chiedeva insistentemente Kiba. 

«Si trova come insegnante di uno dei gruppi di quest'anno - disse Choji pacatamente - Quindi siediti e cerca di andarci d'ac-
cordo. - poi girò la testa verso di lui - Ci siamo capiti Kiba?» disse interrompendo sul nascere quella che poteva essere, per lui,
una grossa seccatura. 

Io rimasi basito nell'osservare un Choji completamente diverso da quello di prima. Sembrava che qualcosa si fosse impadronito
della sua vivacità: dov'era finito Choji?

Gli occhi spenti posati sul foglio si alzarono sulla platea davanti a loro, stancamente Choji si schiarì la voce e incominciò a parlare.

«Allora ragazzi se avete la cortesia di stare zitti incominceremmo con l'assegnazione.» tutti i genin udita la sua voce si sedettero
diligentemente al loro posto: si c'era veramente qualcosa che non quadrava. 

«Allora quest'anno siamo riusciti a formare solo sette gruppi. - iniziò a dire - Quindi ascoltatemi bene perché non ho intenzione
di ripetermi: Voi siete i migliori del vostro anno. Cercate di non deluderci!» detto ciò iniziò ad assegnare i gruppi. Io attendevo
impazientemente che il mio nome venisse chiamato, ma arrivato al quinto gruppo ancora tutto taceva. Davanti a me vedevo i
ragazzi alzarsi ed uscire dalla porta seguendo emozionati i propri maestri.

«Bene! Kiniji, Maki e Fuka con il maestro Nara. Sarete il gruppo sei.» disse Choji non degnando nemmeno di uno sguardo
il suo amico di sempre che non dicendo niente si avviò verso l'uscita seguito dai tre ragazzini.

«Suki, Mikio e Hiroshi. Voi tre sarete con Ukumaki e sarete il gruppo sette!» concluse uscendo dalla porta insieme a Kiba lascian-
domi soli con i tre ragazzi del gruppo sette. "Il gruppo sette" appena realizzai il fatto la mia mente scoppiò: era uno scherzo? Io
avrei guidato il gruppo sette? Cosa aveva in mente quella maledetta del Godaime?

I ragazzi stettero seduti impazienti che io dicessi qualcosa, ma io ero perso nelle mie elucubrazioni, se non maledizioni, mentali
sul numero del gruppo. Resomi conto di quello che stavo combinando cercai di recuperare il mio aplomb.

«Ehm ragazzi...seguitemi.» detto ciò ci dirigemmo verso il monte degli Hokage. Durante il tragitto mi venne in mente, più che
la prima volta che conobbi Kakashi, Sakura e Sasuke, un'anatra seguita dai suoi anatroccoli: ogni tanto anche la mia mente vagava.

Arrivati sulla sommità del monte mi girai verso i tre, i quali, seduti su delle asperità del terreno, mi guardavano curiosamente.

«Ehm...Allora Io mi chiamo Naruto Uzumaki, 20 anni e sarò il vostro esaminatore.» dissi rapidamente.

«Scusi, ma cosa significa "esaminatore"?» chiese immediatamente l'unica ragazza del gruppo, portava il coprifronte come se fosse
una cintura, chissà come faceva, aveva i capelli che tendevano al rosso, la pelle color latte e gli occhi verdi.

«Non vorrei contraddirla, ma noi abbiamo già superato l'esame per Genin.» disse fermamente, mentre gli altri due le facevano eco
con la testa.

«Certamente. Non lo metto in dubbio, ma quello che avete superato è solo quello dell'accademia. Io non sono qui per esaminare
il vostro operato, ma se siete pronti per diventare dei ninja di Konoha, se avete le capacità necessarie per affrontare le missioni che
ci verranno affrontate.» dissi lasciandoli tutti e tre esterrefatti. 

«Questo non ce l'avevano detto però!» eruppe uno ragazzo con i capelli lunghi e viola e gli occhi bianchi come quelli di neji e ciò
non mi piaceva, ma mi ero ripromesso che non avrei fatto discriminazioni in base alla fazione. 

«Beh è una cosa che sanno tutti, ma che nessuno dice. - dissi sorridendo - E comunque non mi avete detto ancora i vostri nomi.»

«Oh! Beh io mi chiamo Suki Tokichi.» disse la ragazza.

«Io mi chiamo Hiroshi Hyuga.» disse il ragazzo con i capelli viola.

«Mikio Edogai.» disse semplicemente l'ultimo ragazzo, il quale sembrava essere un solitario, cioè un problema per me.

«Bene! Ora che conosco i vostri nomi vi chiedo di andare al campo di allenamento numero 5 ed aspettarmi, visto che mi devo assen-
tare un minuto.» detto ciò scomparii in una nuvola di fumo lasciandoli soli.

In realtà non avevo nulla da fare, a parte mangiare cosa che feci fiondandomi da Ichiraku, ma volevo che, come aveva fatto il mae-
stro kakashi con noi, lasciarli a digiuno per poi sottoporli al test delle campanelle.

“Sei una carogna Naruto e in più non hai tanta fantasia” disse Kurama ridendo forte.

“Kurama non ridere così forte che se no mi rimbomba tutto il cervello”

“Scusa, ma perché usare quello stesso test?” domandò lui.

“Perché mi ha insegnato ad essere un vero ninja, perché mi ha insegnato il valore della parola gruppo.”

Kurama non disse nulla, si limitò a sorridere.

Dopo aver mangiato mi diressi verso il campo e furtivamente vi entrai. I ragazzi erano esattamente al centro dello spiazzo che confa-
bulavano tra di loro.

«Secondo te come mai tarda così tanto? Io inizio ad avere fame e vorrei andare a casa.» disse Suki nervosamente. 

«Ma sarà serio 'sto qua? Io non ho mai sentito parlare di Naruto. Inoltre è l'unico che non è stato chiamato "Maestro". Non vi sembra
strano?» continuò Hiroshi.

«Boh! In fondo durante la quarta guerra eravamo piccoli. Però è anche vero che non l'ho mai visto neanche durante i tumulti dell'anno
scorso. - affermò Suki, la quale appena finita la frase si girò di scatto verso Mikio con l'aria di una che aveva detto una parola di troppo. -
Scusa Mikio, non era mia intenzione ricordare quei giorni»

Mikio non disse nulla, si limitò a guardarla negli occhi ed a risponderle con un laconico "Non importa."

A quanto pare il mio gruppo era tutto che semplice.

«Scusate il ritardo» incomincia a dire entrando in nel campo.

«Maestro siete in ritardo» disse Hiroshi.

«Scusate, scusate. Comunque è ora del vostro test. - estrassi i due campanelli - Questi due sono il vostro esame. In altre parole me li
dovrete prendere. Chi ci riuscirà diventerà un genin a tutti gli effetti.»

«Ma...Ma...li ce ne sono solo due e noi siamo in tre. - iniziò a dire Suki - Questo vuol dire...»

«Che solo due di voi tre potrà passare l'esame. Quindi impegnatevi.» conclusi io sorridendo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Mi scuso in anticipo per gli errori di sintassi. buona lettura 

Capitolo 6


Due minuti. Due minuti. Sono passati, anche se rischio di ripetermi, due minuti e questi ragazzi si erano rivelati
una vera spina nel fianco. Quando Choji aveva esordito con la frase "i migliori del vostro corso", avevo pensato
che fosse una frase di circostanza e quindi non vera. Quindi due erano le ipotesi: o io ero stato sfigato e mi ero
beccato i migliori del corso, oppure erano tutti dei geni.

"Se becco il Godaime" pensai tra me e me, mentre evitavo l'ennesimo attacco di Suki. "Questa bambina è indemo-
niata!!!" pensai.

Suki era comparsa alle mie spalle e aveva tentato di rubarmi i campanelli, appena mi girai per fare un salto indietro
ed evitarla, ecco che subito aveva creato una sua copia che mi aveva attaccato di lato. "Certo che di fantasia e di
reattività ne ha da vendere" pensai divertito. Schivai il suo tentativo volatilizzandomi in una nuvola di fumo. Non feci
in tempo a sbattere le ciglia che immediatamente mi ritrovai bloccato nel terreno: i piedi erano come infilati in una
melma. Abbassai lo sguardo e notai una sostanza fangosa che mi ricopriva i piedi. Rimasi fermo una decina di secon-
di a guardarla, aspettando l'attacco di uno degli altri due che ancora non avevano attaccato, ma vidi comparire ancora
Suki. "Vuoi vedere che questi bambini hanno capito il senso di questo test?" pensai contento. Tanto che ero intenzio-
nato ha lasciarle prendere il campanello e finire l'esame. Ma, nonostante si dica che la speranza è l'ultima a morire,
in questo caso quella era morta senza neanche avere il diritto di replica. Quei ragazzi non avevano capito il senso dell'esame,
stavano solo cogliendo l'occasione. Infatti immediatamente comparvero anche gli altri due per tentare di rubarmi i
campanelli. Sbuffai e saltai via liberandomi dalla trappola, con la conseguenza che i tre andarono a scontrarsi tra di loro.

«Sei un'idiota! - esplose furiosamente Mikio - Lo avevo in pugno e se non ti fossi buttata in quell'attacco frontale gliel'avrei preso.»

"Pensavo che quel ragazzo fosse più posato, invece, si scalda velocemente. Pericolosa come cosa." dissi tra me e me.

«Io? Io sarei che cosa? Ho solo tentato di fare che stavi per fare te. Non voglio mica essere rispedita all'accademia.
Semmai è LUI che se ne deve tornare in accademia - disse indicando Hiroshi - che pur non essendo capace di fare un
cazzo, si è lanciato all'attacco.» disse pacatamente Suki.

«Guarda che l'ho superato anche io l'esame.» disse offeso Hiroshi.

«Quindi mi vuoi dire che il tuo caro paparino e tua zia non hanno avuto nessun coinvolgimento nella tua promozione?!-
gli chiese Suki canzonandolo - Il supremo Hiroshi Hyuga, il cocco di papà. Tu non sarai mai come lui mettitelo in mente.»
concluse dandogli le spalle. Quello a cui stavo assistendo non mi piaceva affatto: dei possibili compagni che si combattono
e si fronteggiano. Io e Sasuke saremmo stati anche dei rivali, ma non ci eravamo mai odiati. Qui non vedevo rivalità, solo
astio e tanto odio, inutilmente. 

Il ragazzino sentitosi offeso tentò di tirare un pugno usando il Byakugan, il che avrebbe potuto ferire anche mortalmente
Suki, che era di spalle e non avrebbe potuto proteggersi. Questo era troppo. Decisi di intervenire. Apparsi in mezzo hai due
ragazzi e fermai il pugno di Hiroshi. 

«Ora basta!! - dissi guardandolo negli occhi - La prova finisce qui. Tornatevene a casa.» 

«Abbiamo superato l'esame?» chiese timoroso Mikio.

«No. Tornate all'accademia tutti e tre.» e detto ciò sparii e mi diressi verso casa di Sakura. Avevo bisogno di sfogarmi con
qualcuno, che mi potesse capire e Sakura a suo modo era una persona, che sapeva prendermi per il verso giusto, non sem-
pre, ma era quanto di più vicino ad una amica che avessi in quel momento. Bussai alla sua porta speranzoso di trovarla in
casa. Sentii i suoi passi avvicinarsi e la serratura scattare. Mi aprii la porta con aria molto assonnata, come se si fosse appena
svegliata. «Ciao, come mai già di ritorno? Non avevi l'incontro con i genin?» chiese non a torto lei.

«Si, ma li ho bocciati tutti e tre.» risposi un po' sbrigativamente. «Scusa se te lo chiedo, ma posso entrare?» le domandai.

«Che domande, ma certo. - rispose facendomi entrare in casa - Vuoi un tè? te lo preparo se lo vuoi»

«Si grazie mi andrebbe. Ho bisogno veramente di qualcosa per calmarmi.» e detto ciò le raccontai di quello che era successo.
L'acqua bolliva: io mi scaldavo. L'acqua veniva versata: io ero un fiume in piena. L'acqua diventava tè: io mi calmavo e bevevo. 

«Mmm come hai detto che si chiamava il bambino Hyuga?» chiese lei mentre assaporava il tè.

«Hiroshi. Perché me lo chiedi? Sai chi è?»

«Certo. - disse dopo una lunga pausa - è un cugino di Hinata. Suo papà, Kino Hyuga, è il braccio destro di Hinata.»

«Come il Braccio di destro?» chiesi perplesso.

«Nel senso che cura i suoi affari, chiamiamoli militari, della famiglia. Lei invece si occupa di tutto il resto.»

«In che senso?»

«Ma Naruto sei scemo o cosa? Lei è il capo del clan Hyuga e Kino è il suo consigliere.»

«COSA?» chiesi esterrefatto.

«Uff Naruto, ma dove vivi? Pensavo l'avessi già oramai capito. Alla morte di suo padre è lei che ha preso le redini del clan.» dis-
se frettolosamente lei, le sue mani si mossero veloci e presero la teiera per versarsi altro tè nella tazza. 

«Hinata capo clan. Non me lo sarei mai aspettato. - dissi pensoso. - Però, aspetta, se lei è a capo del clan, allora è lei che ha
scatenato tutto questo odio nel villaggio. Ma perché? Hinata non è mai stata una persona rancorosa.» esclamai concitatamente. 

Sakura mi guardò dall'alto della sua tazza. Sorseggiava rumorosamente, come a dare l'impressione che stesse riflettendo
sulla risposta da darmi. Le dita strette intorno alla tazza grattavano gli sbalzi presenti sulla superficie. Poggiò la tazza davanti
a se e stette qualche secondo immobile ad osservare il vapore opaco salire ed inondargli il viso. «Ci sono episodi, Naruto,
che possono cambiarci. - iniziò a dire sempre osservando il tè difronte - Che possono farci cambiare idea su cose, persone,
a volte in bene, a volte anche in male. Per quanto Hinata possa odiarmi, per quanto lei possa provare rancore e voglia spazzarmi
via dalla faccia della terra. Io, Naruto, la capisco. Magari non avrò visto lo stesso orrore che lei ha dovuto subire, ma non
per questo io non la devo capire. Anzi, ci provo ed è per questo che io non la odio per tutto il male che mi ha e mi crea
anche adesso. - si fermò e poi con un sorriso falso e carico di solitudine e tristezza - Me lo merito.»

Giuro di non avere mai picchiato nessuna donna, ma quando vidi la mia mano partire e scaricarsi sulla guancia di Sakura,
non credo di essermi mai sentito così nel giusto.

«Mai e ripeto MAI dire queste stronzate difronte a me. - dissi quasi sibilando, tanta era la rabbia che mi aveva invaso e,
nonostante lei mi guardasse con le lacrime agli occhi e uno sguardo omicida, continuai - Nessuno si merita di soffrire per qual-
cosa che non ha fatto. Tu non hai colpa Sakura. La colpa è solo sua di...» lei mi prese la mano e la strinse.

«Non pronunciare il suo nome. - disse implorante - NON PRONUNCIARLO. TI PREGO!!!»

«Sasuke!!» lo dissi tutto d'un fiato, senza tentennamenti, senza odio o simpatia o pietà, senza emozioni: apaticamente. Sakura
si lasciò cadere sul tavolo ed iniziò a piangere.

"Cazzo in due giorni sono riuscita a farla piangere troppe volte, ma certi discorsi mi fanno andare in bestia." mi alzai da tavola
e mi girai come per andarmene, ma senti afferrarmi la mano. Mi voltai di di scatto e vidi che era stata lei, con i lacrimoni che
scendevano copiosi e che gli aravano il viso tanto erano carichi, in quel momento mi resi conto delle borse che aveva sotto gli
occhi: nere e profonde. Da quanto non dormiva? La sua mano stringeva la mia con forza, ma invece che sentire male, la sua forza
penso sia ormai da definire leggendaria, sentivo solo una calorosa pressione.

«Non andartene!» mi disse singhiozzando.

«Non mi odi per quello che ti ho detto.» chiesi cercando di capire meglio la sua reazione. Lei si limito a scuotere la testa in segno
di diniego. Allora mi avvicinai e stando in piedi l'abbracciai. "I rapporti umani sono d'avvero complicati!" pensai nella mia testa.

Non so per quanto restammo fermi in quella strana posizione: secondi, minuti, ore. Il suo silenzio così pregnante di sofferenza,
che in quel momento stava scaricando nella stanza, mi soffocava, mi stava esaurendo le forze. Potevo sentire lo struscio della
tristezza mentre strisciava sul pavimento. L'odore stantio e malsano della tristezza, che impregnava le pareti, i futon, i tavoli;
potevi vederne i segni, che rigavano le sue mani trasformandole in quelle di una donna di mezza età, che aveva sempre lavorato.
Quando aveva permesso Sakura di lasciarsi andare a tutto quello?

«In tutti questi anni, che sono stato via ho sempre saputo che, semmai fosse riuscito a tornare, la prima cosa che avrei fatto sareb-
be stata quella di perdonare me stesso per tutto il male che mi ero fatto. Tu, Sakura, devi fare lo stesso. Capisco che non possa
essere facile, ma vedrai che come il mare si ritira anche tu riuscirai a fare lo stesso con questi brutti pensieri.» dissi con la faccia
più convinta che potessi fare. Sakura alzò la testa. Mi scrutò con circospezione. Poi mi diede un pizzicotto.

«Ahi!! Ma perché lo fai?» chiesi.

«Tu sei davvero Naruto? Da quando riesci a tirare fuori queste perle di saggezza?» mi chiese con un'aria mista tra divertita e scettica.

«Ché intendi dire che non pensavi che ne fossi capace??»

«Beh, con tutta onesta, Naruto, no non pensavo ne fossi capace dato che sei sempre stato uno stupido ragazzino poco avvezzo a
riflettere.»

Ci guardammo entrambi negli occhi e dopo poco iniziammo a ridere sonoramente. La nostra non sembrava la risata di due ragazzi
di vent'anni, bensì quella di due adolescenti dopo che si sono raccontati una storiella cretina e senza senso. 

«Comunque, Naruto, per tornare al discorso iniziale. Credo che tu abbia preso la decisione più affine a quello che sei. Hai fatto
bene, ma ricordati che questo potrebbe causarti molti problemi.» disse mentre si toglieva una lacrima dal viso rosso per le risate.

«Sul momento non ci avevo proprio pensato. - pensai - Ero troppo arrabbiato per quello a cui avevo assistito, ma anche adesso,
pensando a mente fredda, prenderei la medesima decisione. Quei tre sarebbero stati un disastro insieme. - riflettei sui loro movi-
menti - Però non nego individualmente, per quel poco che ho visto, ci sanno fare. Ma non è sufficiente!!»

Sentimmo suonare alla porta. Sakura aprì e vedemmo Tonton davanti alla porta, che ci porgeva la schiena su cui era stata legata
una pergamena probabilmente di Tsunade. L'aprimmo e scoprimmo che era indirizzata a me. «Te l'avevo detto Baka, che sareb-
be finita così. - mi disse - Ora sarà meglio se vai. - detto ciò, si avvicino e mi dette un bacio sulla guancia. - Grazie di tutto, Naruto.»
e detto ciò rientrò in casa.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Mi scuso per: ritardo, brevità del capitolo, errori di battitura e grammaticali. Buona lettura.



Ora che ero rimasto solo a saltellare come un grillo di palazzo in palazzo per raggiungere il Godaime, mi domandai quale sarebbe dovuta essere la mia reazione. Non avrei certamente negato il fatto: quei tre erano un disastro come gruppo. Ma se mi avessero imposto comunque di lavorarci insieme, cosa avrei fatto? Mi sarei incaponito oppure avrei concesso una seconda chance?
Arrivai al palazzo del Hogake. Il sole era oramai basso, eppure il palazzo era una esplosione di luci. Mi addentrai a passo sicuro all'interno di esso e raggiunsi la porta di Tsunade. Prima di entrarvi sentii una voce molto arrabbiata, che sembrava stesse urlando, o comunque esternando, tutto il suo disappunto.
«Mio figlio non può essere rimandato all'accademia. Su che basi? Ha passato l'esame, quindi esigo diventi un genin.» disse la voce maschile da dietro alla porta.
Quando entrai vidi un uomo della stessa età del padre di Hinata, che stava, con le mani entrampe appoggiate sul tavolo, urlando all'indirizzo di Tsunade. Nel vedermi fece una faccia disgustata e irata. Si girò di scatto e mi venne incontro se non addosso.
«Tu, piccolo fetente traditore. Come osi rimandare indietro mio figlio all'accademia?? Lo fai per vendetta o per aiutare la tua piccola padrona qui?» occhi gelidi e pieni di risentimento, ma anche pieni di orgoglio ferito.
«Io non ho respinto solo suo figlio, ma anche altri due ragazzini e lo fatto per un buon motivo.» presi un bel respiro, ero conscio che non sarebbe stata una passeggiata.
«Quei tre insieme sono un disastro! - dissi tutto d'un fiato - Non collaborano, si azzannano tra di loro con insulti e lavorano come degli egoisti. Per questo motivo li ho bocciati.»
«A me non importano le tue giustificazioni. Non me ne importa un fico secco. Tu adesso li fai rientrare nella squadra e incominci a fare missioni, così che MIO figlio diventi un ninja a tutti gli effetti.»
«Oh e se non lo volessi fare? Mi obblighi? Sulla base di che cosa? Non sei un Hokage solo lei può obbligarmi a farlo!» ne ero convinto e speravo che Tsunade capisse le mie motivazioni.
Lei era rimasta in silenzio fino a quel momento, non aveva proferito parola da quando io ero entrato e sembrava che non avesse parlato neanche in precedenza.
«Naruto, io ti ordino di riformare il team 7, che domani mattina svolgerà la sua prima missione. - non si mosse, parlò e basta - Questo è un ordine non negoziabile!»
L'uomo, soddisfatto, uscì dalla stanza con un sorriso di vittoria stampato in faccia.
Io rimasi fermo ad aspettare una spiegazione, che infatti non tardò ad arrivare. Tsunade alzò il braccio di scatto e colpì la scrivania spaccandola. Pezzi di legno e carta si sparsero per tutta la stanza. Aveva la vena della tempia che pulsava maledettamente veloce. Era incazzata nera e questo lo si poteva vedere dall'aurea nerastra che l'ammantava.
«Tu, piccolo idiota di un ragazzino. Ti avevo detto che fare l'insegnante era importante, che sono una situazione problematica e tu vai a bocciare il figlio del braccio destro di HINATA HYUGA?! - mi prese per il colletto ed iniziò ad urlarmi addosso - Sei uscito fuori di senno? Ti ho affidato quel ragazzino, perché tu potessi usare quella tua strana influenza positivista, che contagia chiunque ti stia vicino e tu, idiota, vai a rovinare tutto. - si fermò un secondo, mi fisso dritto negli occhi - Ora Naruto, tu, ingoi il boccone amaro, come fanno tutti e li addestri. Gli insegnerai come si collabora e come si diventa dei buoni ninja.» detto questo lasciò la presa, si girò e non disse più nulla.
Io ero frastornato, non sapevo cosa dire, mi passai una mano fra i capelli.
«Ok. Vedrò di fare quello che posso.» mi girai e me ne andai.
Avevo forse sbagliato? Avevo veramente causato dei problemi a Tsunade. A quanto pare i problemi si stavano ammassando sempre di più sotto il tappeto. Immerso in questi pensieri, non mi resi conto della persona davanti a me, tanto che ci andai a sbattere.
«Scusa non l'avevo vista» dissi io imbarazzato. Era una ragazza con i capelli biondi corti, gli occhi celesti e un corpo da favola. Era bellissima. Non sapevo che al villaggio ci fossero tali bellezze. Lei mi scrutò un attimo.
«Io ti ho già visto da qualche parte - disse lei con sguardo indagatore - ma non ricordo. Aspetta, ma tu sei Naruto!!» esclamò gridando.
Io non capivo, non conoscevo nessuna così bella, a parte Sakura, al villaggio. Vedendo che io non reagivo, si mise a ridere.
«Naruto, guarda che sono io, Ino.»
«Tu sei Ino? Non ti avevo riconosciuta con quei capelli corti»
«Oh questi - si prese una ciocca tra le dita - piccolo incidente di percorso.» non aggiunse altro come se fosse parte di una cicatrice ancora aperta.
«Non sapevo fossi tornato.»
«Sono rientrato due giorni fa - il mio stomaco iniziò a brontolare - Scusa, ma inizio ad avere un po' fame.» dissi imbarazzato. Lei si mise a ridere.
«Beh se hai voglia ti faccio compagnia io. Immagino tu stia andando da Ichiraku.»
«Grazie Ino, ma come mai vieni anche te?» domandai per curiosità. In fondo io e Ino non avevamo mai avuto un vero e proprio rapporto, le uniche cose che avevamo in comune erano sakura e alcuni amici, come Shikamaru, oltre a questo il nostro era sempre stato un rapporto lavorativo.
Lei mi guardò sorpresa, come se la domanda che le avevo posto fosse insensata.
«Siamo amici e non ci si vede da un po', tutto qua, o per caso ti do fastidio?»
«Per nulla, anzi mangiare in compagnia è sempre meglio che da soli.»
Ci avviammo chiacchierando per le vie di Konoha. Mi raccontò di Shikamaru e del fatto che, dopo essere stati insieme per qualche tempo, era stata lei a lasciarlo, si era messo con Temari.
«Temari? La sorella di Gaara?» chiesi stupito io.
«Si proprio lei. Come al solito lui non ha fatto nulla, decise tutto Temari.» si mise a ridere, sembrava fosse veramente felice.
Arrivati all'Ichiraku ci sedemmo ed ordinammo. Finito di mangiare, per festeggiare quella atipica rimpatriata decisi di offrirle da bere sakè. Mentre stavamo bevendo, con l'alcool che iniziava ad affacciarsi ai nostri cervelli, le feci la domanda che più in realtà volevo porle.
«Dimmi Ino, come hai potuto lasciare Sakura sola?» lei si rabbuiò e prese a giocare con il bicchierino del sakè.
«In realtà io...No, la verità è che ero molto felice quando si mise con Sasuke, ero contenta, perché finalmente aveva realizzato il sogno della sua vita. Ma quando Sasuke fece quello che fece, io, non seppi più come trattarla: era un'amica o una nemica. Vigliaccamente mi allontanai. Con la nascita del figlio, per senso di colpa, tentai di riavvicinarmi, ma lei era diventata un istrice, chiusa in se stessa non faceva avvicinare nessuno, neppure Lee. Io ora mi limito a farle da guardia del corpo da lontano.» davanti a tutta quella tristezza l'abbracciai forte, lei ricambiò. Fu un abbraccio strano, tra i fiumi dell'alcool e la situazione, per la prima volta provai un forte affetto per Ino. Le diedi un bacio sulla guancia e sorrisi.
«Non preoccuparti Ino, ci penso io a proteggere Sakura e suo figlio.»
«Sei il solito idiota. Sempre a correrle dietro, sempre a proteggerla. Perché Naruto, quando sei davanti a lei non ti arrabbi mai? Perché la difendi sempre, qualsiasi cosa lei faccia?»
Ci pensai su a causa della sbronza, che iniziava a salire, poi mi venne l'illuminazione.
«Perché ogni principessa ha diritto al suo cavaliere!»

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