I nostri eroi a Hogwarts di flautista_pearl (/viewuser.php?uid=161931)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La lettera ***
Capitolo 2: *** Diagon Alley [parte1] ***
Capitolo 3: *** Diagon Alley [parte2] ***
Capitolo 4: *** Binario 9 e ¾ ***
Capitolo 1 *** La lettera ***
La
lettera
La
calda luce del sole che sorge, si posa delicata sulla mia bianca pelle.
È
mattina. Ed io ancora a letto, non mi sono alzata. Sono una pigrona.
Sì, anche
nel giorno del mio compleanno, 22 giugno.
Mi
rintanai sotto la coperta, al riparo dalla luce accecante del sole e
affondai
il mio viso nel cuscino.
«Lucinda
svegliati, devi venire ad aiutarmi», urlò mia
madre dal piano di sotto.
«Altri
cinque minuti», grugnii la solita risposta.
Ma
non poteva sistemare Coca-Cola, Sprite, pizzette, pasticcini, pop-corn,
patatine e roba varia sui tavoli con la magia? Cavolo! È una
delle migliori
Auror che il Ministero della Magia abbia mai avuto! Ha ottenuto tutti
Eccezionale in tutte le materie ai M.A.G.O.! E adesso non riesce
nemmeno ad
usare un Incantesimo Levitante! Merlino! Ma cosa succede?! Che mia
madre sia
sotto la maledizione Imperius? Impossibile. E da chi poi? Nessuno, a
meno che… Mi
alzai di scatto, scesi le scale correndo e mi ritrovai davanti una Olga
Winslow
a dir poco adirata.
«Ce
l’hai fatta a scendere!», sbottò mia
madre, scrutandomi torva.
«Credevo
che fossi stata assalita dai Mangiamorte! E poi pensavo che tu potessi
usare
magie», mi giustificai.
«Certo
che posso fare magie!», sbottò, «Ma,
ovviamente, non davanti ai nostri vicini
di casa, faremo la festa in giardino».
No,
perché proprio in giardino? Fa caldissimo, siamo in estate!
Mamma
mi fulminò con uno dei suoi sguardi prima che potessi
controbattere. «Comunque,
cos’è questa storia dei Mangiamorte?»,
domandò lei.
«Niente»,
dissi immediatamente ma mia madre, come al solito, inarcò un
sopracciglio ed intuì
che c’era dietro qualcosa.
«Vado
di sopra a farmi una doccia», dichiarai con voce tremante
correndo per le scale
e chiudendomi a chiave in bagno. Salva. Per un attimo credetti che mia
madre mi
avesse lanciato un Legilimens. Merlino! Ma cosa frulla la mia testa
malata proprio
oggi? Mangiamorte che attaccano mia madre. Sveglia Lucinda, tua madre
è la più
grande Auror di tutti i tempi, credi che non sappia difendersi?
Mamma
era diventata diversa da quando papà, Babbano, ha scoperto
che sua moglie,
ossia Olga Winslow, ossia mia madre, è una strega e fu
così che divorziarono;
avevo quattro anni quando mi chiesero con quale genitore stare, ma una
disgrazia colpì la mia famiglia poco dopo la separazione:
mio padre venne
assassinato da un gruppo di Mangiamorte davanti ai miei occhioni blu.
Mamma
accorse subito ma non fece in tempo, i Mangiamorte si smaterializzarono
prima
che arrivasse ma lasciarono un biglietto vicino al corpo
senz’anima di mio
padre:
Non
ti sei unita a noi Olga
Winslow, adesso ne paghi le conseguenze
Mia
madre si è rassegnata ad ammettere che aveva dato alla
luce una figlia Maganò. Io, Lucinda Winslow, figlia della
più grande Auror Purosangue,
Olga Winslow, e di un Babbano, non è riuscita neanche a fare
una piccola magia,
niente, non sono nemmeno riuscita a far volare una piuma.
Perciò se oggi non
succederà un miracolo, posso dire addio alla mia lettera per
Hogwarts e posso
dire di essere già iscritta in uno squallido collegio.
Dopo
l’estate mamma dovrà riprendere la caccia ai
Mangiamorte che uccisero mio padre, erano sette, di cui tre ad Azkaban,
perciò
ne mancano all’appello quattro. Mia madre vuole che stia al
sicuro, ha paura
che uno di quei Mangiamorte mi possa uccidere perché lei,
Purosangue, non si è
unita con loro.
Le solite madri
protettive,
è quello che dico sempre
io.
Lo scopo dei
Mangiamorte dopo la caduta di Voldemort è
“purificare”
il mondo da Babbani, Nati Babbani e perfino Mezzosangue ed io faccio
parte
dell’ultima categoria.
Mi buttai
sotto l’acqua fredda della doccia, che in quel
momento credevo che fosse la cosa più bella del mondo.
Scacciai via i brutti
pensieri e concentrai la mia mente al mio compleanno; sarebbe venuta un
quarto
di Due Foglie a casa mia, tra cui Kenny, Leona, Barry, Palmer, il Prof.
Rowan,
a festeggiare in giardino il mio undicesimo compleanno.
Uscii
dalla doccia, mi asciugai i capelli lasciandoli leggermente umidi,
andai in
camera mia e mi fermai, come al solito, davanti l’armadio,
con la solita
domanda che ogni ragazza si pone prima di un momento speciale.
E adesso cosa mi
metto?
La festa si
terrà in giardino e con il caldo che
farà… mi
metterò una maglietta e jeans, non si sbaglia mai con questo
look… almeno
credo.
Scesi le scale
ma, prima che potessi toccare con la punta
del piede destro l’ultimo gradino, mia madre mi
squadrò.
«E
la festeggiata si veste con t-shirt celeste, jeans e
infradito sempre celesti?», ironizzò mia madre.
Mi guardai le
infradito, i jeans e infine la maglietta.
«C’è
qualcosa che non va?», chiesi.
«Oh,
no, niente cara, pensavo che potevi metterti qualcosa
di elegante. Per esempio, quel vestito bianco nel tuo armadio, hai
presente?».
Sì,
che ho presente. Con il colletto, di pizzo, con fiocchi
da tutte le parti, lo odio. Mi faceva sentire una donna del '800
tremendamente
snob, in poche parole orribile.
«Ma
tu in ogni caso, Lucinda, puoi vestirti come ti pare.
Sei tu la festeggiata».
Ben detto
mamma, sono io la festeggiata e di conseguenza mi
vesto come mi pare. Ghignai.
Mamma mi
lanciò uno dei suoi sguardi. «Porto le bibite
fuori», affermai.
«Sì»,
borbottò mia madre. Risi sotto i baffi, presi le
bibite dalla cucina e li posai sul tavolo in giardino.
Erano le
quattro del pomeriggio ed era tutto pronto per la
festa, sarebbero arrivati fra mezz’ora.
Il campanello
suonò, mi alzai di scatto dal divano, chi
poteva essere adesso? Sono stata esplicita negli inviti la festa
è alle 16, 30.
Suonarono un’altra volta.
«Lucinda
vai ad aprire, sono occupata con la torta», tuonò
mia madre dalla cucina, così andai ad aprire.
Un uomo sulla
sessantina d’anni mi abbracciò. «Buon
compleanno, Lucinda!».
«Oh,
professore!», mi sorprese, chissà
perché è venuto in
anticipo.
«Professor
Rowan!», esclamò mia madre venuta dalla cucina.
Sì, certo, “occupata con la torta”, come
darle torto.
«Professore,
la stavo aspettando», disse mia madre, «venga
in cucina».
«Prima
che me ne dimentichi, questo è per te Lucinda», mi
diede una busta. «Grazie, professore!».
Mi sedetti sul
divano cercando di sbirciare nella busta, ma
come avrei dovuto prevedere era sigillata con la magia. Cosa dovevi
aspettarti
da un mago come il professor Rowan? Di tutto, anche dal sigillare la
busta che
contiene un regalo di compleanno con un incantesimo, era una sua mania
che era
cominciata quando era il mio settimo compleanno, non riuscivo ad aprire
il
pacco allora ero costretta a chiedere a mamma di levare
l’incantesimo. Abbandonai
la speranza e posai la busta sul divano.
Mi accorsi che
mamma e il professore stavano ancora in
cucina a discutere. Mi avvicinai alla porta in punta di piedi e cercai
di
origliare, ma non si sentiva niente. Ovvio, Incantesimo Imperturbabile,
mai che
non lo usasse mia madre per parlare. Merlino! Ma io sono
l’unica in questa casa
che non sa fare magie?! Quanto li invidio, loro con un colpo
di bacchetta possono fare tutto ciò che
vogliono. Adesso so come si sentono i Babbani, però in un
certo senso i Babbani
non sanno che la magia esiste quindi posso autoproclamarmi la persona
più
sfortunata del mondo. Posso fondare un club per tutti i
Maghinò di Sinnoh, il
problema e che l’unica Maganò della regione sia io.
Uscii fuori a
prendere una boccata d’aria, l’avevo detto io
che faceva un caldo bestiale e mamma vuole fare la festa in giardino,
solo
Morgana sa cosa le è passato per la mente.
Sentii delle
voci. Erano quelle di mamma e del professore:
avevano lasciato la finestra della cucina aperta, per la prima volta
sentii una
sua conversazione senza nessuna porta con sopra un Incantesimo
Imperturbabile
in mezzo.
Parlavano di
me, di come io non sia ancora riuscita a fare
magie, dei Mangiamorte che uccisero mio padre, del mio futuro collegio
e del
regalo di compleanno che mi ha dato il professor Rowan.
«C’è
solo un modo per sapere se tua figlia può fare
magie»,
disse il professore a mia madre.
«E
qual è?», sospirò mamma,
«Dubito che funzionerà».
«Abbi
un po’ di speranza, Olga. Hai presente la busta che
le ho dato».
«Sì»,
rispose non poco convinta. Che caspita centrava col
fatto che io sia una Maganò?
«Il
fatto è che la busta si apre quando una strega cerca di
aprirlo, perciò dobbiamo solo aspettare, l’ho
fatto anche l’anno scorso ed
anche l’altro». Il problema è che io ho
provato ad aprirlo ma non ci sono
riuscita, perciò addio Hogwarts.
«Ciao,
Lucinda!», sussultai, mi girai, «Ciao,
Kenny»,
risposi ringhiando, mi aveva interrotta.
«Che
ci fai accovacciata sotto la finestra?», domandò.
«Io?
Niente. Ehm, mi era caduto il braccialetto», risposi.
«Beh,
Lucinda, tanti auguri di buon compleanno».
«Grazie,
Kenny!», gli saltai al collo. Sciolsi l’abbraccio,
per poterlo far respirare, l'ho praticamente strangolato. Lo vidi che
inspirava
aria a fatica e avrei giurato che le sue guance si siano tinte di un
leggero
rossore. Con lo sguardo abbassato mi porse il suo regalo incartato in
una carta
azzurra.
«Vuoi
da bere?», gli proposi.
«Ehm,
sì, grazie».
«Gli
altri arriveranno a momenti», dissi guardando il mio
orologio da polso che segnava le 16, 35.
«Prima
che me ne dimentico, mamma e papà arriveranno fra
qualche ora, stanno ancora al ministero».
È
già, il mio migliore amico è un mago,
Mezzosangue,
entrambi i genitori Nati Babbani, anche Barry è un mago ed
anche lui
Mezzosangue, madre Babbana e padre Purosangue, l’unica
Babbana del nostro
gruppo è Leona.
Fortunatamente
gli altri arrivarono dopo poco, ci siamo
riuniti sotto l’ombra di un albero e Leona propose di giocare
ad obbligo e
verità.
«No,
Leona, no e poi no!», esclamò Kenny che
all’improvviso
divenne rosso come un peperone.
«Io
invece ci sto!», ero entusiasta, erano secoli che non
ci giocavamo.
«Anch’io!»,
disse Barry eccitato. Strano l’ultima volta che
ci abbiamo giocato si è ritrovato a fare cento piegamenti
con una mano ed aveva
detto che non ci avrebbe mai più giocato, l’aveva
considerato un gioco stupido
ed infantile.
«Perfetto,
giochiamo tutti!», si esaltò Leona.
«Ma
io ho detto di no!».
«Oh,
Kenny ma lo sappiamo che volevi dire tutto il
contrario», rispose Leona, «Comincio io per prima!
Allora Barry obbligo o
verità?».
Il biondo ci
penso su qualche secondo e rispose. «Obbligo».
Sgranai gli
occhi alla sua risposta, perché obbligo? Sai
benissimo che Leona è una ragazza furba e ti
darà un ordine faticoso.
«Mmm,
fammi pensare. Dunque… Fai il perimetro della casa
per quindici volte correndo».
Okay, non
pensavo che la mia migliore fosse così maliziosa.
Per la barba di Merlino! Se fosse una strega sarebbe smistata a
Serpeverde.
«Bene!
Quindici volte il perimetro della casa. E che sarà
mai. Sarò anche disposto a scalare il Monte
Corona!», così si alzò e
cominciò a
correre.
Non esagerare
Barry non so se sarai ancora vivo dopo la corsa.
Infatti dopo il decimo giro strisciava sull’erba come un
Arbok. «Dai, ce la
posso fare», grugnì.
Barry non ce
la farai, te lo dice una che conosce molto
bene Leona.
«Non
ce la farai, Barry! Bene, a questo punto tocca ancora
a me», la ragazza spostò lo sguardo dal defunto a
me e Kenny, «Kenny!», il
ragazzo trasalì. «Sì?!».
«Obbligo
o verità?».
«Ehm,
obbligo». Ma ti si è fumato il cervello? Per le
mutande di Merlino! Hai visto cosa ha fatto fare a Barry? Oh, anche gli
occhi ti
sono andati a fuoco?
«Mmm…
dai un bacio a Lucinda».
Cosa?! No cara
Leona, tu non mi rovini il mio primo bacio
in questo modo. Okay, la mia migliore amica non era così,
non è così. Chiunque
tu sia esci subito dal suo corpo, rivoglio la mia Leona! Poi, proprio
il mio
compleanno devono succedere queste cose? Circe ma cosa ho fatto di male
io?
Alzai gli occhi al cielo sperando che qualche angelo liberi la mia
amica dal
demone, ma non vidi nessuna figura alata scendere. Spostai lo sguardo
su Kenny,
rosso come un semaforo.
«Su
avanti baciatevi!», ci incitò Leona.
Tranquilla
Lucinda, questo è solo un brutto sogno, respira
profondamente.
«Ma
proprio sulla bocca?», domandò Kenny.
«Sì»,
rispose.
«Ma…»,
obbiettai, «perché non facciamo sulla guancia, non
puoi rovinarmi il mio primo bacio in questo modo».
«Oh.
E va bene, se no facciamo notte adesso».
Chiusi gli
occhi e gli detti un bacio sulla sua guancia, mi
accorsi che era bollente. Aveva lo sguardo fermo, gli passai una mano
davanti.
«Okay,
lo abbiamo letteralmente perso», dichiarai passando
una seconda volta la mano davanti agli occhi. Lo scrollai e fortunatamente si
svegliò.
«Che
mi sono perso?», chiese Barry arrivando strisciando
sull’erba.
«Il
bacio tra Lucinda e Kenny», rispose Leona.
«Bene.
Cosa?!».
«Niente,
Barry. Niente», risposi prima che Leona potesse
intervenire, «Su, andiamo a mangiare».
Ci abbuffammo
al tavolo: patatine, pop-corn, pizzette,
pasticcini al cioccolato, alla crema, alla vaniglia, di tutto.
Sentii
l’inconfondibile voce di mia madre gridare:
«Lucinda,
ragazzi entrate a scartare i regali».
«Mamma
arriviamo!», risposi.
Ero seduta sul
divano, con una ventina di occhi puntati su
di me che scartavo uno ad uno i regali. Mi sono assicurata che
l’ultimo che
avrei scartato fosse quello del professor Rowan. Ero arrivata al
penultimo
regalo, quello di Kenny, una carinissima collanina d’oro,
quando ad un certo
punto, fissai l’ultimo regalo accanto a me. Datti forza
Lucinda! Merlino cosa
può fare un regalo? Lo presi, me lo passai tra i
polpastrelli, il ritmo del mio
cuore accelerò, sentì una vampata di calore
diffondersi in tutto il mio corpo.
Cominciai ad aprirlo, chiusi gli occhi e strappai la carta.
L’avevo aperto! Non
ci posso credere! Ma strano non avevo fatto nessuna magia nelle ultime
ore.
Incrociai lo sguardo di mia madre e del professor Rowan, avevano gli
occhi
sgranati ed erano anche un po’ bassi, li guardai meglio, a
dire il vero erano
tutti un po’ bassi. Guardai per terra. Morgana! Stavo
fluttuando! Guardai Leona
e i suoi genitori, erano allibiti.
«Mamma,
presto, Leona e i suoi genitori», capì subito, li
accompagnò in cucina, chiuse la porta e sentii la sua voce
pronunciare Oblivion,
intanto mi adagiai piano sul divano e mi detti un pizzicotto sul
braccio. Allora
non stavo sognando! È tutto vero! Sono una strega!
Guardai
cos’avevo tra le mani, un diario ed un biglietto,
lo lessi.
Se
leggi questo biglietto vuol dire
che sei una strega
Andai
dal professor Rowan e lo abbracciai forte forte.
È
il giorno più bello della mia vita.
Sono seduta
sul letto di camera mia, la festa era finita, l’orologio
sul comodino segnava le 23:40, ancora non ci potevo credere, io,
Lucinda
Winslow una strega, e dire che qualche ora fa credevo di essere la
persona più
sfortunata del mondo.
Una figura mi
distrasse dai miei pensieri, assomigliava
molto ad un Noctowl, ma allo stesso tempo era differente, aveva al
becco una
lettera. Spalancai la finestra e presi la lettera. L’aprii e
lessi:
Cara
signorina Lucinda Winslow,
lei è stata ammessa alla Scuola di Magia e Stregoneria di
Hogwarts
|
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Capitolo 2 *** Diagon Alley [parte1] ***
Diagon
Alley [parte 1]
Cara
signorina Lucinda Winslow,
lei
è stata
ammessa alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts
Ancora
non potevo crederci! La lettera. La mia
lettera da Hogwarts. Così non passerò il resto
dell’anno in uno squallido
collegio ma in una prestigiosa scuola per maghi e streghe. Perché io
sono
una strega!
Mi svegliai,
mi ero addormentata con la lettera
d’ammissione tra le dita. Dovevo essere stanca, 22 giugno
2017 è stata una
giornata emozionante, piena di… di magia. Sì, magia
è la parola giusta.
Cominciai a
saltare sul letto, nonostante mi fossi appena
alzata, gridando per la felicità: «Sono una
strega! Sono una strega! Sono una
strega! Andrò a Hogwarts!».
«Lucinda,
sei sveglia?».
La voce di mia
madre mi fece tornare con i piedi sul letto.
«Sì,
mamma», risposi fermandomi.
«Preparati.
Andiamo dal professor Rowan».
Rimasi un
attimo attonita da ciò che appena recepii. Dal
professor Rowan? Che cosa dovrei fare dal professor Rowan? Secondo me,
saranno
le loro solite discussioni e mamma non vuole che resti da sola in casa,
dei
Mangiamorte potrebbero assalirmi. L’ho sempre detto: queste
mamme moderne sono
più protettive.
Detti una
occhiata fugace alla lettera e la poggiai sul
comodino. Scesi in cucina a fare colazione: latte, cornetto, biscotti e
fette
biscottate con Nutella, la mia Nutella. Ma quanto amo i Babbani e i
loro
prodotti? Nutella, cioccolato… Per non parlare delle loro
invenzioni:
televisione, computer, cellulare. Come fa una ragazza a vivere senza
cellulare?
Fortunatamente io ce l’ho, ho convito mia madre
l’anno scorso ha comprarmelo
per il compleanno, era indispensabile per me. Come facevo a stare in
contatto
con i miei amici quando io stavo rinchiusa in casa e loro che stavano
in
vacanza lontani chilometri da me? E poi, con il cellulare potevo
rimanere in
contatto con lei. Per esempio, quando aveva da fare delle commissioni e
si recava
al Ministero della Magia – di conseguenza lanciava tremilioni
d’incantesimi protettivi
alla casa – mi chiamava ogni cinque minuti. Non conosco una
persona più angosciata
di lei.
Appena finii
la mia gustosa colazione – e per questo dovrei
ringraziare gli adorati Babbani – mi feci una bella doccia
fresca, mi vestii ed
uscimmo.
Salimmo in
auto e ci dirigemmo verso Sabbiafine. Entrammo
nel laboratorio del professor Rowan. È
sempre rimasto uguale: un posto luminoso con ampie finestre, diavolerie
elettroniche alle pareti, un enorme schermo, che avrebbe voluto
incantare
rendendo le immagini veramente in tre D senza aver bisogno di
occhialetti
speciali, e una scrivania al centro. E proprio dietro quella scrivania
vi è
seduto il professor Rowan intento ad esaminare tre Pokèball.
«Buongiorno
professore!», salutò mia madre.
«Oh,
buongiorno Olga, buongiorno Lucinda! Prego sedetevi!»,
ci invitò.
Ci sedemmo
davanti a lui. Strano pensavo che mamma e il
professore dovessero fare una di quelle conversazioni in cui centravo
io,
invece sembrava di no.
«Allora
Lucinda, ti staresti chiedendo perché sei qui oggi.
Giusto?».
«In
effetti», risposi, cosa voleva da me il professore,
quando già sa che io sono una strega? Non gli servono di
certo altre prove,
visto che mi ha già visto fluttuare a mezz’aria.
Quindi non vedo proprio cosa
voglia da me.
«Il
1° settembre andrai ad Hogwarts».
Annuii, a cosa
voleva arrivare? So perfettamente che il
primo inizia la scuola.
«E
come ogni ragazzo puoi portare un animale». Animale?!
Dove ho già sentito questa parola? Giusto, perché
non ci ho pensato! C’è
scritto nella lettera! Se non ricordo male c’è
scritto che posso portare un
animale, ma sinceramente non ho la più pallida idea di
cos’è.
«Un
animale? Cos’è un animale?», chiesi.
Sarà un aggeggio
Babbano? Una nuova specie di Pokémon? Una prelibatezza che
hanno inventato i
Babbani come la Nutella?
«Sapevo
che me lo avresti chiesto. Lucinda, conosci la
nostra storia?».
Sì,
che la so. Mamma mi fece una testa grande quanto un
grattacielo con la storia del Mondo Intero: nella seconda
metà del 1600, prima
che venne emanata dalla Confederazione Internazionale dei Maghi lo
Statuto
Internazionale di Segretezza Magica nel 1689, i maghi e le streghe
inglesi perseguitate
dai Babbani scoprirono una dimensione parallela – che
chiamarono Mondo Interno
– dove rifugiarsi e quando la caccia finì, maghi e
streghe si vendicarono
rinchiudendo i cacciatori Babbani nel nuovo mondo che avevano
conosciuto. Questo
mondo è il mio. Ma la mia casata,
quella dei Winslow, non ha mai
rinchiuso nessun Babbano nel Mondo Interno, anzi al contrario, i miei
avi
difendevano i Babbani dagli altri maghi: ritenevano che la vendetta non
portasse a niente.
Feci cenno di
sì col capo al professore.
«Devi
sapere Lucinda che il Mondo Esterno è molto diverso
dal nostro mondo».
Un mondo diverso
dal nostro?
«In
che senso
diverso?», domandai curiosa.
«Nel
senso che nel Mondo Esterno non ci sono Pokémon».
«Non
ci sono Pokémon?», ripetei.
Annuì.
«Non ci sono Pokémon ma ci sono gli animali, che
sono molto simili ai Pokémon ma in un certo senso anche
diversi».
«Oh»,
mi stupii. «Ma in che senso diversi?».
«Oh
Lucinda, lo scoprirai molto presto», rispose il
professore con un tono allegro. «Ma non sono qui per parlare
solo di questo,
volevo darti una cosa che un anno fa non ti è stata
data».
La mia mente
cominciò a lavorare, un anno fa… qualcosa che non
mi è stata data… Okay, non lo so.
«Voglio
darti una di queste», ed indicò le tre
Pokéball
poggiate sulla scrivania. «Sai bene che un normale Babbano
viene da me quando
compie dieci anni e mi chiede di dargli un Pokémon per
cominciare il suo
viaggio. Ecco, io voglio darne uno anche a te visto che a coloro che
vengono
dal Mondo Interno hanno il permesso di portare Pokémon a
Hogwarts. E adesso
Lucinda scegli».
Tre
Pokéball sono davanti hai miei occhi, quale scelgo?
Quella di destra, di sinistra o quella al centro? Merlino! Sentivo lo
sguardo
di mia madre su di me! Non pensavo che scegliere una
Pokéball fosse così
difficile! Adesso so come si sente un ragazzino! Okay, Lucinda prendi
un bel
respiro.
«Scelgo
la Pokéball di destra», dichiarai ad alta voce.
«Prendila»,
mi suggerì mamma. Circe! Avevo la mano tremante!
La presi. Non seppi nemmeno io perché dissi quella di
destra, forse è il mio
istinto da strega che mi guida.
«Bene»,
disse il professore. «Adesso lanciala e scopri che
Pokémon hai preso».
Feci come mi
disse: la lanciai e dalla Ball uscì un piccolo
Pokémon azzurro, con due occhi dolcissimi. Oh, ma che carino!
«Oh!
Hai scelto un Piplup. Interessante!», commentò il
professore. «Adesso è tuo!».
«Grazie!»,
dissi abbracciandolo.
Erano passati
un paio di giorni da quando ricevetti Piplup
ed abbiamo fatto subito amicizia. Abbiamo visitato i luoghi
più vicini a Due
Foglie: solo il Lago Verità e Sabbiafine, perché
mamma non vuole che mi
allontani troppo da casa e mi ha perfino affibbiato una baby-sitter che
mi
accompagnasse, rigorosamente strega, anziana, zitella e mezza cieca.
Per le
mutande di Merlino! Tutte a me devono capitare?!
Fortunatamente
costrinsi mia madre ad accompagnarmi a
Diagon Alley dicendole che dovevo passare un po’ di tempo
nell’altro mondo così
da conoscere il Mondo Esterno e da non risultare una stupida che non sa
cos’è
un gufo – credo si dica così. Perfetto! Tra un
paio di mesi andrò ad Hogwarts e
non so neanche cos’è un gufo! Mi prenderanno
subito in giro a scuola. Perciò Diagon
Alley aspetta, sto arrivando! Devo sapere cos’è un
gufo e tutti gli altri
animali e soprattutto devo incontrarli!
«Lucinda
sei pronta?», urlò mia madre dal piano di sotto.
«Sì,
mamma», risposi urlando. «Piplup, hai per caso
visto
la mia cintura?», chiesi al Pokémon accanto a me.
Lui osservò attentamente la
camera e fece cenno di no. «Fa niente, Piplup».
«Lucinda
non scordarti la lettera, mi raccomando!», gridò
ancora.
E chi se la
scorda? Non potrei mai scordarla! Dopo tutto
quello che ho passato! Sta nella borsetta… Dov’è
la borsetta?!
Merlino!
Lucinda
è la prima volta che vai nel Mondo Esterno e ti
scordi la cosa più importante! Mantieni la calma! Respira
profondamente e
vedrai che la trovi. Dov’è?!
«Allora
Lucinda, hai finito?», sbottò mamma.
«Ehm…
sì. Ma non trovo la borsetta».
«L’ho
vista sul divano». Merlino esisti! Feci tornare
Piplup nella Pokéball, scesi, presi la borsetta e raggiunsi
mamma all’ingresso.
«Per
andare nel Mondo Esterno bisogna prendere la ferrovia
che collega i due mondi e questa ferrovia…».
«Sta
nella stazione di Sciroccopoli a Unima», completai io.
«Sì, lo so mamma».
Odio quando mi
tratta come una bambina di quattro anni. Per
l’amor del cielo! Ne ho undici! UNDICI!
«Allora
saprai anche che dall’altra parte c’è la
stazione
di King’s Cross di Londra. E Londra è una delle
metropoli più importanti del Mondo
Esterno dove è facile perdersi»,
affermò lanciandomi uno dei suoi sguardi. Mi
spiazzò.
«Okay,
questo non lo sapevo», ammisi. «Ma come facciamo ad
andare a Unima? È distante chilometri».
«Per
questo non dovresti preoccuparti: ci Smaterializziamo»,
disse tranquilla mia madre.
Ci
Smaterializziamo! E che sarà mai?! Morgana! Ho appena
undici anni e pretendete che mi Smaterializzi? E se mi spacco? Non ci
voglio
neanche pensare.
«Ma
sei sicura? Non è c’è il rischio che mi
spacchi?»,
domandai.
«Nessun
rischio», mi assicurò. «Tienimi il
braccio forte. E
non lasciarlo, mi raccomando. Fidati».
Feci come mi
disse, le afferrai l’avambraccio.
«Lucinda,
pronta? Uno, due e tre…».
Sentii il
braccio di mia madre scappare, di conseguenza
saldai la presa. Mi sentii schiacciare da tutte le parti, non riuscivo
a
respirare, avevo i polmoni compressi come se fossi stata travolta da un
camion
pesante cinquecento chili, forse anche di più. Non mi sentii
più le gambe e mi
aggrappai stretta a quella che doveva essere il braccio di mia madre,
respirai
a fatica enormi quantità d’aria e aprii gli occhi
lentamente, scoprendo che non
eravamo più nell’ingresso di casa mia ma in un
buio stanzino, a parte la luce
che emanava la bacchetta di mia madre.
«Anch’io
la prima volta che mi sono Smaterializzata mi sono
sentita così», commentò mia madre
sorreggendomi, «È normale, di solito si
vomita».
Di solito si
vomita! O cielo!
«Ma
non potevamo usare la Metropolvere?», domandai.
«Secondo
te, come fa ad esserci un camino in una stazione
metropolitana e per giunta a Sciroccopoli?».
«Giusto»,
odio quando mamma ha ragione.
Uscimmo da
quel tetro ripostiglio che ben presto scoprii
essere il ripostiglio delle scope, infatti, prima di aprire quella
maledetta
porta difettosa, inciampai in una di queste ultime la quale non era
illuminata
dalla fioca luce della bacchetta di mamma. Ci trovammo poi in un lungo
corridoio illuminato che finì in una grande sala
d’attesa. Non ero mai stata in
una stazione ferroviaria, se hai come madre Olga Winslow è
praticamente impossibile
uscire di casa, solamente nel caso in cui tu abbia una baby-sitter,
allora sì.
Ma sinceramente se la baby-sitter in questione è una
zitella, vecchia e mezza
rimbambita – a parer mio ma credo che non sia
l’unica – allora preferisco stare
a casa. Rimasi imbambolata per un attimo ammirando la sala
d’attesa che non
avrebbe niente di speciale per qualunque persona, solo file di sedie
schierate
come soldatini, ma per me era diverso: assaporavo il dolce gusto dello
stare
lontana da casa. Quella visione di
“libertà” sfumò
nell’attimo in cui mamma mi
prese per mano e mi trascinò, come se fossi una bambina,
verso i binari dei
treni – credo che qualcuno non abbia ancora capito che io ho undici
anni!
Tutti i
Babbani ci fissarono, lavoratori e studenti. Sono
sicura al cento per cento che i pendolari ci abbiano scambiate per un
duo
comico.
«Mamma
hai attirato l’attenzione di tutta la stazione», le
ricordai.
«Fra
qualche secondo non più», mi rispose.
Come fra qualche
secondo non più?
«Chiudi
gli occhi», mi disse ed io feci quanto mi è appena
stato detto.
Infatti dopo
due secondi aprii gli occhi e mi trovai
davanti una banchina gremita di gente, ma non come quella di prima le
cui
persone erano lavoratori e studenti, ma una folla di maghi, si capiva
dagli
abiti, mantelli neri svolazzanti e bombette spiccavano qua e
là in mezzo alla
folla, e da una scintillante locomotiva a vapore nera la quale era
pronta a
partire, che non centrava affatto con i treni super velocissimi dei
Babbani.
Rimasi incantata da ciò che avevo davanti, non avevo mai
visto una locomotiva
fumante, beh in televisione sì, ovviamente, ma mai dal vivo.
Giusto in qualche
film ma mai davanti ai miei occhi color zaffiri.
«Come…?»,
domandai a mia madre.
«Magia»,
ovvio, «Siamo
passate attraverso il muro situato tra i binari quattro e cinque.
Perciò eccoci
qua nel binario 4 ½ che
ci porterà in
un’ora nell’altro mondo», mi rispose.
Compresi
quanto appena mi disse.
Non avrei mai immaginato a quanto la magia potesse arrivare. Collegare
la
stazione di Sciroccopoli con la stazione di King’s Cross a
Londra. Un’impresa
quasi impossibile ma non per i maghi ingegneri dell’epoca.
«Dai,
vai sul treno, io vado a
comprare i biglietti», mi disse, «Intanto cercati
uno scompartimento».
Annuii
e vidi la figura di mia
madre confondersi tra la folla. Balzai a bordo e chiusi lo sportello
dietro di
me. Mi misi subito alla ricerca di uno scompartimento vuoto quando,
dopo un
paio di minuti di ricerca, mi scontrai contro un uomo basso e
corpulento, con
un paio di baffi grigi il quale indossava una giacca di velluto
marroncino con lustri
bottoni dorati che sembravano partire dal farsetto da un momento
all’altro.
«Oh!»,
fece il mago.
«Mi
scusi, signore», dissi.
«Per
la barba di Merlino! Lucinda
Winslow!», dichiarò con voce solenne che per poco
quasi non gridava. Rimasi un
attimo sorpresa. Sono così famosa che mi conosce persino uno
sconosciuto? Solo
il piccolo paesino di Due Foglie mi conosce ed io conosco il paesino. E
quest’uomo davanti a me non sembra proprio uno di Due Foglie.
«Hai
gli stessi occhi di tua
madre», affermò infine il signore.
Ho gli occhi di mia madre, che
c’è di strano?
E
in quel momento mi sentii
piccola piccola, con lo sguardo pesante del signore su di me, ma
precisamente
sui miei occhi blu.
«Oh!
Che sbadato! Ancora non mi
sono presentato. Sono Lumacorno, Horace Lumacorno», disse
porgendomi la mano
destra. Gliela strinsi, «Molto piacere, signore. E come lei
sa io sono Lucinda,
Lucinda Winslow».
«Molto
piacere. È un onore per me
conoscerla», e sorrise.
«Horace
stiamo aspettando te», fece
una voce proveniente da uno scompartimento non troppo lontano da noi.
«Sì,
arrivo», rispose il signor
Lumacorno al ragazzo dello scompartimento poi si rivolse a me,
«Allora
arrivederci signorina. Salutami tua madre. Ci vediamo a
scuola», e si dileguò.
Ci vediamo a scuola? Forse
è un insegnante. Però un tipo molto buffo.
Chissà
che materia insegna a Hogwarts, forse Divinazione, sì,
è molto probabile.
Ci
misi poco a trovare uno
scompartimento vuoto e mi ci infilai subito. E subito ci si
infilò anche mia
madre sedendosi davanti a me.
Restammo
qualche minuto in
silenzio, nel quale il treno cominciò a fischiare e a
muoversi, finché decisi
di romperlo.
«Mamma
ti saluta un certo… Luma…
Lumacorno, Horace Lumacorno».
«Oh!
Il professore! Da quanto
tempo! È sul treno? Vorrei salutarlo», mi
domandò.
«Sì.
Ma mi chiedevo che materia
insegnasse il professor Lumacorno, Divinazione? Sa è un
po’ bizzarro», domandai
invece io.
«Il
professor Lumacorno? Certo
che no!», e rise. Cosa c’è da
ridere?
«Il
professore non insegna
affatto Divinazione, ma pozioni».
«Pozioni?!»,
ripetei. E
chi l’avrebbe detto che quella persona conosciuta qualche
minuto fa fosse in
realtà un professore di pozioni? Nessuno l’avrebbe
affermato. «Comunque il
professor Lumacorno sta nello scompartimento a destra in
fondo», le dissi e lei
si alzò.
Cominciai
ad annoiarmi presto,
anche per il fatto che il bellissimo parco con tutti i
Pokémon selvatici, i
quali non riconobbi, che si poteva ammirare dal finestrino,
svanì e lasciò
posto a un “paesaggio”, se così si
potrebbe definire, bianco, totalmente
bianco. Senza parco e senza Pokémon, come se mi avessero
attaccato al vetro del
finestrino un foglio di carta.
Credo fortemente che sia il
limbo tra i due mondi.
Non
c’è ombra di dubbio che sia
il limbo. Beh, ma dopo il limbo ci sarà la stazione di
King’s Cross e poi
Diagon Alley!
Cominciai
ad esaminare lo
scompartimento, non c’ero mai stata prima d’ora in
un treno. Le pareti sono di
un legno pregiato che osservandone le venature ed il colore
probabilmente direi
che sono di mogano, i sedili sono rivestiti di velluto color bordeaux e
sopra
il sedile in cui prima era seduta mia madre vi è posato un
giornale.
L’avrà scordato.
Lo
raccolsi e lessi grande a
caratteri cubitali nella prima pagina Gazzetta del Profeta.
Pensai
subito che non avrei dovuto prenderlo. Mamma mi aveva sempre proibito
di
leggere i giornali, non so per quale ragione. Ma che
c’è di male a leggere
un quotidiano?
Dalla
prima pagina mi saltò agli
occhi la foto di un uomo incatenato che reggeva un cartello con scritto
§h56. Lessi
il primo articolo in prima pagina:
Il Mangiamorte Avery fa
un’altra vittima
Ieri, verso le otto di sera il
pericolosissimo Mangiamorte
Avery ha fatto un’altra vittima. Si tratta di una vecchia
Babbana alla
periferia di Londra. È stata ritrovata in casa dal nipote
che avvertì
all’istante la polizia babbana, l’autopsia babbana
afferma che la vecchia è
morta per una fuga di gas. Noi sappiamo che è stato Avery:
c’era un testimone
al momento dell’omicidio. Il magonò Andrea Feed
vide il Mangiamorte entrare
nella casa e puntare la bacchetta contro la vecchia. Il primo Ministro
della
Magia Kingley Shacklebolt chiede di stare attenti di questi tempi. Dopo
l’evasione da Azkaban questa è la sua seconda
vittima dopo la terribile morte
di Richard Bones in cui prese la sua bacchetta. Olga Winslow si
metterà al più
presto alla ricerca dello spietato Mangiamorte dopo che sua figlia
avrà
cominciato il suo primo anno scolastico a Hogwarts. Suo padre era stato
una
vittima di Avery, la sua ultima vittima prima di essere rinchiuso ad
Azkaban dalla
stessa Olga Winslow.
Rimasi
allibita da ciò che appena
lessi. Ecco perché mamma non vuole che io legga i giornali.
Lo ripiegai e lo
rimisi sul sedile. È la notizia più brutta che
lessi in vita mia, invece quella
più bella è stata la lettera
d’ammissione a Hogwarts. Oddio! La lettera!
Ah, già! Nella borsa… Piplup!
Frugai
nella borsetta per qualche
secondo e ne trassi una Pokéball, quella di Piplup. Lo feci
uscire. Ho sempre
pensato che le Pokéball fossero scomode. Per le mutande di
Merlino! Stare in
una ball grande quanto un pugno mi dà una sensazione strana,
mi sentirei
compressa se fossi un Pokémon. Ed il povero Piplup
c’è stato per circa un’ora.
«Oddio
Piplup, ti senti bene?»,
gli domandai preoccupata.
«Piplup!»,
fece lui agitando il
capo affermando.
«O
che bello! Un Piplup!», fece
una voce femminile dal corridoio. Fissai il volto della ragazza
schiacciato sul
finestrino che dà sul corridoio. Aveva gli occhi di un
bellissimo verde e
teneva legati i capelli rossi in un codino.
«Ciao!»,
dissi alla ragazza
aprendogli la porta scorrevole e facendola entrare.
«Ciao!
Piacere, mi chiamo Misty
Williams!», mi porse la mano e io gliela strinsi.
«Posso accarezzare il tuo
Piplup?», mi chiese.
«Oh,
beh. Sì, certo», le risposi.
Stavo
per darle Piplup, quando ad
un tratto, un ragazzo dai capelli corvini e dagli occhi marroni, un
po’ più
alto di qualche centimetro di me e di Misty, afferrò
quest’ultima per il
braccio e la trascinò via dal mio scompartimento
borbottando: «Misty sei sempre
la solita!».
Questo
sarebbe dovuto essere il
mio primo viaggio in treno. Ma più che un treno questo mi
sembra sempre di più
un circo, tutte persone un po’ strampalate. Prima il
professor Lumacorno che
invece di insegnare Divinazione insegna Pozioni, dopo quella ragazza
rossa e
quel ragazzo, infine:
«Ti
chiedo di perdonare mio
figlio», disse una donna abbastanza giovane con un bel
sorriso sulle labbra.
«Oh,
non si preoccupi signora»,
le risposi gentilmente.
«Sai
qualche volta Ash è un po’
scontroso», aggiunse poi la signora, «Scusami devo
andare. Ash dove stai
andando?».
Il
mio primo viaggio in treno, o
per meglio dire in circo, risultò poi alla fine un
po’ noioso, abbastanza
noioso. Il viaggio durò un’ora che per me sembrava
un’eternità. Mamma, quando
tornò, si accorse che avevo letto il giornale, dato che la
posizione in cui
poggiai il quotidiano non era la stessa di quando andò da
Lumacorno, e di
conseguenza mi fece una delle sue lavate di capo. Rimasi la
mezz’ora che mi
separava dal Mondo Esterno giocando con Piplup, rileggendo la lettera
d’ammissione a Hogwarts e guardando fuori dal finestrino
nonostante fosse
bianco come un foglio di carta. Ma poi il bianco del finestrino si
trasformò in
qualcosa di magnifico: una campagna verde si estendeva fino
l’orizzonte e
piccoli animali che brucavano assomiglianti a piccoli Mareep.
Il primo paesaggio che vedo
del Mondo Esterno.
«Preparati
a scendere», la voce
di mamma mi distrasse dal magnifico paesaggio.
Infatti
dopo un paio di minuti il
treno rallentò fino a fermarsi completamente, mi alzai con
Piplup tra le
braccia ed uscii dallo scompartimento. Appena scesi dal treno venni
assalita da
una folla di fotografi e giornalisti che cominciarono a bombardare di
domande
me e mia madre.
«Vieni»,
sentii la voce di mamma
e la sua mano afferrare la mio braccio e poi la stessa sensazione di
compressione che provai non più di un’ora e mezza
fa. Merlino! Un’altra
volta!
«Tutto
bene?», mi domandò mamma.
«Sì…
bene», non proprio, «Potevi
almeno avvertirmi che ci saremmo Smaterializzate».
E
Olga Winslow mi lanciò uno dei
suoi sguardi assassini che parve dire siamo scampate per un
pelo e ti
lamenti?
«Comunque
dove siamo?», chiesi
guardandomi attorno. La strada non era proprio deserta ma non era certo
affollata, qualche autobus passava, carico di turisti immagino, e di
rado
passavano macchine. I negozi di musica, librerie e le boutique non
erano molto visitati.
Beh, come smentirli con questo
caldo bestiale?
«Siamo
a Charing Cross Road, una
nota via di Londra», mi rispose.
Charing Cross Road...
Per
essere una nota via di Londra
non era di certo molto frequentata, giusto qualche turista che
passeggiava con
una bottiglietta di acqua in mano ed un ventaglio. Cosa strana non
entravano
nel locale con l’insegna di legno con su scritto Il
Paiolo Magico. Stretto
tra una grande libreria e un negozio di dischi, i Babbani non vi
facevano caso.
«Ti
sei incantata un’altra volta?»,
mi domandò.
«Arrivo».
Entrammo nel locale che
ben presto si rivelò un pub non molto luminoso, con una
grande sala da pranzo
ed un bar. Dietro al bancone una donna sui trent’anni stava
asciugando dei
bicchieri con un panno ma smise subito quando alzò lo
sguardo e fissò me e mia
madre. Ci raggiunse sorridendo e domandò a mia madre
abbracciandola: «Olga da quanto
tempo? Come stai?».
«Bene
Hannah, grazie. Tu?».
«Bene
anch’io. E tu dovresti
essere la piccola Lucinda?», domandò spostando lo
sguardo da mamma a me. Annuii
solamente.
«Hai
gli occhi di tua madre lo
sai?».
Perché oggi ce
l’hanno tutti
con i miei occhi?
«Beh,
scommetto che siete qui per
Diagon Alley, non è così?», mi fece
l’occhiolino, « Vi accompagno nel
retrobottega».
La
seguimmo nel retrobottega e ci
lasciò in quella piccola stanza.
«E
adesso?», domandai a mia
madre.
Lei
sfoderò la bacchetta. Pensai
subito che da un momento
all’altro
sarebbe comparso un Mangiamorte, di conseguenza mi aggrappai forte al
suo
braccio sinistro – stavo quasi per soffocare Piplup tra le
braccia – ma invece
mia madre fece una cosa alquanto insolita: picchiettò tre
volte la punta della
bacchetta sul muro di mattoncini davanti a noi. Dopo qualche secondo i
mattoncini si mossero formando un arco e permettendo la vista
straordinaria di
una grande via gremita di gente, di maghi.
«Ecco,
Lucinda. Questa è
Diagon Alley».
Angolo
autrice:
Perdonatemi!
Il precedente
capitolo l’ho scritto in tre giorni e invece questo in due
mesi D:
Ho
avuto moltissimi impegni poi
metteteci in mezzo la scuola…
Perché
4 e ½? Perché nel film le
scene alla stazione non vennero fatte tra i binari 9 e 10 ma 4 e 5.
Quindi ho
scelto questi numeri per il binario.
Inizialmente
il capitolo doveva
essere unico ma era impossibile, perciò l’ho
sdoppiato.
Ringrazio
tutti coloro che mi
seguono e soprattutto quelli che recensiscono!
Grazie
per la vostra pazienza!
Speriamo che io non ci metta tanto per il prossimo capitolo!
Alla prossima! La
vostra
flautista_pearl! <3
|
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Capitolo 3 *** Diagon Alley [parte2] ***
Diagon Alley [parte 2]
«Ecco,
Lucinda. Questa è
Diagon Alley».
Spalancai
immediatamente la bocca e gli occhi alla vista spettacolare del viale.
Alcuni
maghi chiacchieravano, altri erano seduti a leggere il giornale, alcuni
si
scambiavano oggetti misteriosi – che non potevo identificare
dovuta alla mia
scarsa conoscenza sul Mondo Esterno – e talismani, un
alquanto bizzarro uomo dovuto
al fatto che indossava gilè verde fosforescente, pantaloni
viola e scarpe rosso
vermiglio, reggeva nel braccio sinistro una pila di quotidiani e nella
mano
destra sventolava un giornale, gridando: «Avery fa
un’altra vittima! Comprate
la Gazzetta del Profeta!».
«Su,
Lucinda! Non mi dire che ti sei incantata un’altra
volta!», esclamò mamma,
riportando il mio cervello alla realtà.
Okay,
questa è stata la terza volta che mi incantavo: la prima
è stata nella sala
d’attesa della stazione di Sciroccopoli, la seconda a Charing
Cross Road e la
terza qui, a Diagon
Alley.
Cominciai
a pensare che questa giornata d’estate sarà piena
d’incontri e di magia.
Oserei definirla incantevole.
«Adesso
dove andiamo?», domandai, guardando le botteghe davanti a me.
«Alla
Gringott», rispose
lei. «La banca dei maghi», ed indicò un
palazzo di
marmo candido.
Ci
dirigemmo verso l’imponente struttura bianca che spiccava tra
i piccoli negozi
di Diagon Alley, sentii che pian piano il vociare della folla scemava e
percepii
gli sguardi pesanti dei maghi su di me e i loro frasi sussurrate, quasi
avessero paura che io le sentissi: «Non avevo visto la
Winslow da più di un
anno» o «Povera bambina! Vedere il proprio padre
morire!».
Piplup
cominciò ad imprecare gettando sguardi truci ai maghi, ma lo
frenai quando
stava per lanciare un bollaraggio verso una strega orribile, era
vestita di
stacci con il volto oserei dire deturpato e gli occhi infossati ma
stranamente
luminosi, vispi.
Volevo gridare ma mi trattenni. Una brava
strega si comporta in modo educato!
Sembrava
che fossi una sfortunata, la povera figlia che assistette alla morte
del
proprio padre e che era rinchiusa in casa per non fare la stessa fine
del
genitore.
Stavo
per poggiare il piede sul primo gradino della scalinata di marmo della
banca,
quando una voce proveniente dalla farmacia mi fece trasalire e voltare.
«Che
vi fissate tutti quanti?», urlò un uomo dal viso
tondo. «Ritornate a dove
eravate rimasti!», aggiunse poi.
«Neville?»,
domandò sbalordita mamma voltandosi.
«Olga!»,
disse il signore avvicinandosi e abbracciando mia madre.
«Lucinda!»,
fece il signore stupito. «Assomigli sempre di più
a tua madre, hai suoi stessi
occhi», aggiunse poi scrutandomi.
Okay,
è ufficiale: tutte le persone che ho incontrato oggi
– che per altro non ho mai
incontrato in vita mia e non pensavo per niente di essere
così, per come dire, “famosa”;
beh, mia madre è la più famosa Auror di tutti i
tempi ma è un fatto irrilevante
– ce l’hanno con i miei occhi. Credo di essere
l’unica di questi due Mondi con
questo, chiamiamolo, “problema”. E se poi non sono
l’unica, allora
potrei fondare il club dei “Hai gli
stessi occhi di tua madre”. Ho
dovuto rinunciare al club dei Magonò di Sinnoh –
fortunatamente – e adesso perché
non farne uno nuovo, sul serio?
«Mi
scusi signore, lei chi è?», chiesi. Credo che sia
un mio diritto sapere con chi
stia parlando soprattutto perché il signore conosce
già la sottoscritta.
«Oh,
giusto! Io sono Neville», a questo punto
c’ero arrivata anche io, «Neville
Paciock».
Sgranai
immediatamente gli occhi quando l’uomo davanti a me
pronunciò l’ultima parola: Paciock.
Feci
scendere Piplup dalle mie braccia e frugai velocemente nella mia
borsetta,
finché non presi ciò che volevo: la
lettera.
La aprii:
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts
Cara
signorina Lucinda Winslow,
lei
è stata ammessa alla scuola di Magia
e
Stregoneria di Hogwarts
I
corsi avranno inizio il 1° settembre. Restiamo
in attesa della Sua risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio
p.v.
Con
ossequi,
Neville
Paciock Vicedirettore
Ecco:
Paciock, Neville Paciok è il vicepreside della scuola.
Adesso che ci faccio
caso però, non c’è scritto il nome del
direttore.
«Lucinda,
cosa succede?», domandò mia madre con un
sopracciglio alzato.
«Ehm,
no niente. Non pensavo che lui fosse il vicepreside di
Hogwarts».
«Oh,
per, favore non chiamarmi signore, chiamami semplicemente Neville. Ti
conosco
da quando avevi cinque mesi», sgranai immediatamente gli
occhi. Il
signore davanti a me, mi conosce da
quando avevo cinque mesi?
«Però,
a scuola non puoi», e mi fece l’occhiolino.
«Adesso vado, ancora devo ancora
fare delle commissioni», e se ne andò non prima di
abbracciare mia madre, di
darmi un bacio sulla fronte e di dare un pizzicotto sulla guancia di
Piplup.
Salimmo
gli ultimi gradini di marmo della scalinata e ci fermammo davanti
all’entrata.
Sulla grande insegna che portava la banca vi è scritto “Gringott,
banca dei maghi”.
Mi
fermai davanti alle porte interne d’argento che recavano
incisa una poesia: Quindi se cerchi nel
sotterraneo un tesoro
che ti è estraneo, ladro avvistato mezzo salvato.
Deglutii
e avanzai verso l’ampio atrio, dagli alti banconi della sala
di marmo spuntavano
piccoli esseri di carnagione scura, con occhi scuri e stretti, gli
occhiali a
mezza luna sul naso, le orecchie a punta e le dita, che stringevano
piume di
Staraptor ‒ ma molto probabilmente si tratta di un animale ‒
lunghissime.
Mamma
si avvicinò a uno di questi, la creatura alzò gli
occhi dalla scrivania ed
abbassò gli occhiali.
«Mi
chiedevo quando sareste arrivate signora e signorina
Winslow», disse
l’esserino, che saltò sul pavimento e ci fece
cenno di seguirlo. Mi accorsi che
era bassissimo, forse aveva la stessa altezza di Piplup.
«Mamma,
ma chi è?», sussurrai in modo che
l’individuo davanti a noi non ci sentisse.
«Un folletto».
Il
folletto ci guidò in una delle molteplici porte che
conducevano fuori dalla
sala ed entrammo in un corridoio di pietra illuminato da delle torce.
Ci
avviamo a passo rapido lungo i binari, il folletto fischiò e
un carrello arrivò
sbucando dal buio; balzammo a bordo, il folletto davanti ed io, Piplup
e mia
madre dietro, il vagoncino prese subito velocità e
cominciò a curvare sempre in
discesa, i miei capelli che volavano indietro. Dopo un paio di minuti o
forse
anche di più, il vagone si fermò davanti ad un
atrio semicircolare di pietra
illuminato solo da quattro torce, scendemmo e ci avvicinammo
all’unica porta
che c’era. Il folletto premette il palmo della mano destra
sulla porta di legno
e questa si dissolse all’istante svelando montagne di monete
d’oro, d’argento e
di bronzo, gioielli, tiare, diademi, medaglie, pietre come il rubino,
l’opale,
il zaffiro, lo smeraldo, l’ametista, il topazio e perfino il
diamante; sulla
sinistra c’erano tre file di scaffali su cui erano poggiate
piccole fialette,
alcune emanavano un odore inebriante, altri delicato, alcuni invece
erano
terribili; su certe boccette vi era scritto Pozione Restringente,
Amortentia,
Pozione Polisucco, Felix Felicis, Pozione Rimpolpasangue e altre di cui
l’etichetta era rovinata. Girai intorno alle montagne di
monete, provando
diademi, pendenti, anelli; Piplup si provò alcune collane
bizzarre, con piume e
perle colorate; sinceramente non pensavo affatto che la casata dei
Winslow
fosse così ricca.
Beh,
la mia famiglia aveva almeno cinque ville in ogni regione del mondo,
casa mia
era tra le più piccole con quattrocentocinquanta
metri quadrati disposti
su tre piani più trecento metri di giardino, se si potrebbe
chiamare giardino
perché il mio assomiglia più a un parco ‒ e poi
ti credo che Barry strisci già
al decimo giro del perimetro ‒. Okay, casa mia non si può
definire una delle
case più piccole dei due Mondi.
Il mio giro
d’ispezione intorno ai tesori dei Winslow terminò
quando mamma finì di riempire due piccoli sacchetti di
monete d’oro e d’argento.
Dopo una
decina di minuti eravamo al Ghirigoro: un negozio
bellissimo, gli scaffali colmi di volumi,
enciclopedie, romanzi, libri specifici sulla difesa, sugli incantesimi
elementari
fino ai più complessi, la trasfigurazione e le pozioni.
Mamma mi comprò un
libro: Differenze
e analogie,
è un
libro che mette a confronto le caratteristiche degli animali con quelle
delle
creature magiche e dei Pokémon. Questi tipi di enciclopedie
le definisco mattoni, che a me fanno
impazzire,
passavo gran parte del mio tempo a casa ascoltando concerti
di Bach e
Mozart, suonando il pianoforte o il flauto traverso o semplicemente
leggendo
romanzi gialli di Arthur Conan Doyle o di Agatha Christie e tutti libri
che mi
capitavano sotto il naso, passavo le ore in biblioteca
tant’è che certe volte non
pranzavo semplicemente perché mi ero tuffata in una lettura
avvincente.
Presto
l’aria del negozio fu irrespirabile con tutta la gente
che affluiva per prenotare o prendere i libri per la scuola, di
conseguenza
chiesi a mia madre se potevo fare un giro per Diagon Alley ‒ anche
perché
Piplup cominciò a sudare tantissimo ‒, all’inizio
esitò ma alla fine dovette
cedere perché la coda di maghi all’esterno del
negozio divenne lunghissima.
Uscii dal
Ghirigiro, non prima che mamma mi desse un sacchetto
pieno di monete, e respirai ingenti quantità
d’aria, spostai lo sguardo da destra
a sinistra valutando dove si potesse trovare Olivander, visto che la lettera
ce l’ha mia madre per i libri e per
tutte le cose di pozioni e astronomia, decisi di comprarmi una
bacchetta.
Voltai a
destra e camminai senza spostare lo sguardo dalle
insegne dei negozi: Madama McClan: abiti
per tutte le occasioni, Accessori da Quiddich di Qualità,
Emporio del gufo,
Telami e Tarlatane…
Quasi alla
fine di del viale acciottolato di Diagon Alley vi
era un’insegna a lettere d’oro scortecciate che
portava scritto Olivander: Fabbrica di
bacchette di qualità
superiore dal 382 a.C., un lieve
scampanellino accompagnò la mia entrata
nella bottega; era un luogo molto piccolo, quasi buio.
Un uomo
anziano, molto probabilmente sugli ottanta, sbucò
dalla porta del retrobottega. Aveva due occhi vitrei. Mi
osservò
attentamente e disse:
«Buongiorno
signorina Winslow», e sparì. Poco dopo riapparve
con una scatoletta, l’aprì e rivelò una
bacchetta, io la presi e la maneggiai.
«Acero»,
affermai, «Dieci pollici e tre quarti,
sufficientemente elastica», il signor Olivander mi
guardò stupefatto; non tutti
sanno riconoscere una bacchetta, ma io sì: passavo sempre il
tempo leggendo e
un giorno scoprì nella biblioteca di casa un libro sui legni.
«Nucleo?»,
domandai, visto che non sapevo come scoprirlo.
«Crine
di unicorno».
Prevedibile, tutta
la famiglia Winslow aveva nella sua bacchetta il nucleo di crine di
unicorno
dato che il simbolo dello stemma della casata è un unicorno.
La agitai: un’ampolla
poggiata sul bancone scoppiò, riposi la bacchetta nella
scatoletta; il signor
Olivander era stupito.
«Non
mi era mai successo», mormorò, «Tutti i
Winslow hanno una
simile bacchetta da più di cinquecento anni»,
sospirò. «Comunque, è la
bacchetta a scegliere il mago e non
viceversa»,
aggiunse; sgattaiolò dietro un mobile e riapparve con
un’altra
scatoletta che mi porse.
«Quercia,
dodici pollici esatti, rigida, sempre nucleo
d’unicorno», disse prima che potessi esaminarla.
La agitai e
gli sportelli del mobile di legno accanto a me si
aprirono e i fogli in essa contenuti volarono per tutta la stanza.
Piplup scappò
dalla parte opposta per non essere investito dalla folata di fogli.
«No.
Neanche questa», sospirò.
«Perché non proviamo…», si
voltò e cercò una precisa scatoletta negli
scaffali dietro al bancone.
«Eccola!»,
disse quando la trovò e me la porse. «Biancospino,
undici pollici e mezzo, elastica, nucleo di fenice».
Esitai, nessun
Winslow aveva la bacchetta con nucleo una piuma
di fenice. Aprii con mani tremanti la scatoletta e presi la bacchetta
in mano,
immediatamente una sensazione di calore mi percorse la mano destra e
ben presto
la vampata si diffuse in tutto il corpo.
«Interessante»,
commentò il signor Olivander. «Devi sapere che
il biancospino ha significati contraddittori: per i greci e i romani
era
simbolo di speranza e matrimonio, per i celti era invece simbolo di
stregoneria
e malasorte. Beh, dopotutto il biancospino ha sia bellissimi fiori
bianchi sia
spine aguzze. Nel folklore, il cespuglio di biancospino è
legato alle fate: si
dice che un biancospino solitario segnali la presenza di un reame
fatato ‒ e
generalmente è così ‒, mentre un boschetto con
biancospini, querce e frassini
sia un luogo in cui le fate sono visibili anche agli occhi
dei
Babbani. Secondo la tradizione, il legno per fabbricare una bacchetta
magica
può essere preso solo nel giorno di Beltane, a
maggio».
«Fantastico!
Ma, sa per caso perché la bacchetta ha scelto me?
Nel senso perché nucleo di fenice se sono una
Winslow?».
«Non
lo so. Tua madre è una Winslow e tuo padre è
Babbano. La
fenice è il simbolo della famiglia dei Selwyn, la piuma
contenuta nella tua
bacchetta è la stessa di tutti loro, ma sinceramente non so
cosa centri con te.
Sa, signorina è stata la seconda bacchetta che ho fabbricato
e adesso ha trovato
una padrona».
«Capisco.
Quanto costa?», domandai.
«Sette
galeoni», afferrai il sacchetto che mi dette mamma e
presi sette monete.
«Arrivederci
e grazie!», salutai e afferrai la maniglia della
porta.
«Grazie
a lei. Credo che farà grandi cose con quella bacchetta
signorina Winslow», disse il signor Olivander prima che
uscissi.
Credo che
farà grandi
cose con quella bacchetta signorina Winslow.
Che intendeva
dire? Avevo sì una bacchetta interessante, ma
non credo che farò così spettacolari magie,
c’ho messo un’eternità a fare una
magia librandomi a due metri da terra.
Andai verso il
Ghirigoro con dietro Piplup che marciava a
testa alta: tutti lo guardavano, non deve capitare tutti i giorni di
vedere un
Pokémon.
Lo guardai
divertita.
«Wow!
Un Piplup!», urlò una ragazza, la voce era
stranamente
familiare, mi voltai e un dolore tremendo provai sulla fronte, caddi
sul viale
acciottolato e mi scivolò dalle mani il libro Differenze e
analogie .
Massaggiai la testa e vidi che la persona contro cui mi scontrai ‒
precisiamo è stata lei a scontrarsi contro di me ‒ era la
stessa del treno: Misty Williams.
«Oh,
scusami. È che ho visto il tuo Piplup», si
alzò e mi
aiutò a rialzarmi, poi corse da Piplup e lo
abbracciò. Era una ragazza molto
eccentrica.
Mi piegai per
raccogliere il libro caduto ma sfiorai
accidentalmente una mano, alzai lo sguardo e incrociai i miei occhi con
due
occhi color nocciola. Il mio cuore cominciò inspiegabilmente
a battere, non ero
mai stata tanto vicina ad un ragazzo, soltanto a Kenny e Barry
perché erano i
miei unici amici maghi di Due Foglie, ma adesso siamo nel Mondo Esterno.
«Perdona
la mia amica, non sa quel che fa», disse porgendomi
il libro.
Lo osservai
attentamente e gli domandai: «Grazie, ma tu non
sei quello del treno?», il mio cuore non voleva cessare di
martellare.
«Sì,
sono io, Ash Ketchum. Con chi ho il piacere di parlare?».
«Io
sono Lucinda Winslow».
«Sei
la ragazza che ha visto mori…», adesso il mio
cuore
cominciò a pulsare di rabbia.
«Sì,
sono la ragazza che ha visto morire suo padre», completai
io mesta. «Andiamo Piplup!», il Pokémon
saltò dalle braccia di Misty e camminò
accanto a me, più che camminare marciavamo, beh forse
correvamo perché quando
mi fermai Piplup aveva il fiatone. Lacrime mi uscivano calde e amare,
mi
fermai, nessuno mi riconosceva come quella persona che vide il proprio
padre
morire, mi conoscevano come Lucinda.
Mi asciugai le
lacrime col dorso della mano e sentii qualcuno
sfiorarmi la schiena, alzai gli occhi e vidi un ragazzo castano con due
occhi
azzurri come il cielo e con un gelato in mano.
«Prendi»,
mi porse il gelato. «Credo che serva più a te che
a
me».
«Grazie!»,
lo presi e lo assaggiai. Era delizioso e fresco, la
cosa ideale in quel momento.
«Io
adesso devo andare», disse guardando il suo orologio al
polso. «Ci si vede!».
«Aspetta
dimmi almeno come ti chiami!», gridai ma lui non
sentì, svoltò a destra con una mano in aria che
mi salutava.
Piplup mi
guardò con due occhi luminosi e le pinne giunte.
«Va
bene, tieni», gli donai il mio gelato, era comprensibile
che il Pokémon pinguino volesse un po’ di
freschezza in una giornata d’estate
come questa.
Chi era quel
ragazzo?
Guardai
pensierosa l’angolo in cui sparì il ragazzo,
volevo
almeno ridagli i soldi per il gelato. Piplup mi diede una gomitata e mi
guardò,
i suoi occhi volevano dire Lucinda
Winslow ti sei innamorata.
«Non sono innamorata!»,
urlai, ma il mio cuore non smise di battere da quando avevo sfiorato la
mano di
Ash Insensibile Ketchum e non smise di
martellare neanche quando quel ragazzo mi
diede il suo gelato.
Raggiungemmo
mamma al Ghirigoro e andammo a Il Calderone per comperare un
calderone in
peltro, misura standard due, un set di provette in vetro o di provette
in
cristallo ‒ scelsi quelli in cristallo ‒ e un set di bilance in ottone.
Poi entrammo
in Farmacia per acquistare gli
ingredienti essenziali per le lezioni di pozioni come aconito, zanne di
serpente, lumache cornute. Andammo poi da Winseacre’s
Il Telescopio
per comprare, appunto, un telescopio per astronomia.
Ci dirigemmo
verso l’Emporio
del Gufo,
vendeva gufi selvatici, barbagianni, gufi da granaio, gufi bruni
e civette bianche come recitava l’insegna. Mi ci volle un
po’ per scegliere
perché non capivo bene le caratteristiche di questi animali. Infine, presi una
civetta bianca per le sue piume candide
come la neve e per i suoi occhi color topazio, era bellissima, la
chiamai Regina, pensai che fosse una
buona
compagna per Piplup quando saremmo ad Hogwarts.
Infine
entrammo da Madama
McClan: abiti per tutte le occasioni, Madama McClan mi
prese le misure,
Piplup cominciò a infilarsi tra le file di divise e a
provare i mantelli che
erano decisamente il triplo di lui, e in poco meno di
mezz’ora la divisa
scolastica era pronta; beh, con un colpo di bacchetta si possono fare
grandi
cose ed io vorrei scoprire le mie di
cose.
Poco dopo ci
ritrovammo alla stazione di King’s Cross,
persuasi mamma a non Smaterializzarci per non provare per la terza
volta in un
giorno quella sensazione di compressione, quindi ci incamminammo per
Londra con
tutti i Babbani che ci scrutavano ‒ certamente girare per la
città con in mano
una gabbia in cui c’era una civetta non era una cosa che si
vedeva ogni giorno
‒.
Non sono
riuscita, però, a convincere mamma a non farci
Smaterializzare a casa, perciò quell’orribile
sensazione la riprovai; dopotutto
avrei potuto provare la bacchetta subito: feci librare gli oggetti
della mia
camera per aria ‒ era sorprendente quanto fosse semplice fare magie con
uno
strumento che incanala tutta la tua forza, forse prima il problema era
che non
riuscivo a controllare i miei poteri ‒, feci suonare il pianoforte a
colpi di
bacchetta ed anche il flauto e il violino, ordinando il brano da
eseguire e
dando il tempo come un direttore d’orchestra.
Il primo
settembre si avvicinava sempre di più, passavo intere
giornate a compiere incantesimi, a leggere il libro che mi
regalò mamma, a
suonare e a passare i pomeriggi nelle spiagge di Sabbiafine, adesso che
avevo una
bacchetta avevo imparato la Fattura Gambemolli quindi in un certo senso
sapevo
anche proteggermi, e poi non ero sola c’erano con me anche
Kenny e Barry, di
conseguenza due maghi in più.
Alla fine ho
fatto il forum su internet intitolato Hai gli occhi di tua
madre.
Non mi
aspettavo che ci fossero degli iscritti, eravamo solo due: io e Harry Potter.
Angolo autrice:
Mi dispiace
per l’attesa ma ho avuto gli esami di terza media,
sono andati bene.
Allora,
veniamo al capitolo vi chiedo di mettere in
considerazione ogni fatto perché alcuni dettagli possono
essere irrilevanti ma
vi posso assicurare che fa tutto parte della storia.
Allora, la
bacchetta: il legno è già stato spiegato sopra,
nucleo
di fenice lo scoprirete il perché più avanti, il
significato è la rinascita,
infatti la fenice muore e poi risorge dalle ceneri, la lunghezza:
volevo che la
bacchetta non fosse né troppo corta né troppo
lunga, perciò dovevo scegliere un
numero maggiore di nove e minore di tredici, ho pensato a un numero
primo (11)
e poi ho aggiunto 0,5, l’ho scelta inoltre elastica per
facilitare a Lucinda la
praticità.
Le bacchette
d’acero sono adatte a persone con la mente
indipendente, dotata d’ambizione e forte desiderio di
conoscere e sperimentare
cose nuove, ma anche adatte a persone riservate e complicate; legno
adatto a
Lucinda.
La quercia
poteva adattarsi perfettamente a Lucinda la cui
data di nascita corrisponde alla quercia nel calendario degli alberi
celtico.
La quercia è “il re della foresta”,
simbolo di forza.
Tenete in
considerazione la camera blindata dei Winslow e
l’atteggiamento che ha la gente con Lucinda specialmente Ash,
poi il gesto
fatto dal ragazzo dagli occhi azzurri di cui ancora non ho rivelato il
nome.
Insomma,
tenete in considerazione tutto e fatemi sapere nelle
vostre recensioni.
Poi vi ricordo
che mentre leggete immaginatevi la scena nella
vostra testa con le voci dei personaggi, credo che sapete come sono; la
voce
del ragazzo sconosciuto è quella di Renato Novara.
flautista_pearl
P.s.: Se non
lo sapevate ieri era il compleanno della mia
Lucinda ^.^
|
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Capitolo 4 *** Binario 9 e ¾ ***
Binario
9 e ¾
Harry Potter.
Sinceramente, chi l’avrebbe mai immaginato che il
grandissimo e assai illustre Harry Potter ‒ colui che sconfisse
Tu-Sai-Chi, il
Prescelto, il Salvatore, insomma Harry James Potter ‒ si sarebbe
iscritto al
mio, insulso suvvia, club?
Lo vidi in linea e non pensai minimamente che potesse
cominciare una chat tra me e il suddetto Potter. A dire la
verità non sapevo
che il Prescelto si dilettasse a iscriversi a forum creati su internet
e a
chattare. Non capita comunque ogni giorno di vedere il Salvatore del
Mondo
magico cercare d’instaurare una conversazione con una quasi
adolescente
pseudo-famosa per aver visto la morte del proprio padre in faccia con
almeno
una dozzina di Mangiamorte a un palmo dal naso.
Savior ‒ Ehi ciao!
Mother’s Eyes (fu
il primo nick che mi venne in mente) ‒ Salve signor Potter. Mi scusi,
ma come
ha fatto a iscriversi al forum?
Giusto per essere un po’ schietti e arrivare dritti al
punto. Sembrai distaccata e un tantino curiosa nel contempo: stavo
sempre e comunque
mandando messaggi a un trentenne che sconfisse uno dei più
grandi maghi oscuri.
Savior ‒ L’aveva
scoperto mio figlio Al navigando su internet.
E fu così che il Salvatore del Mondo magico mi
parlò dei
suoi figli James Sirius, Albus Severus e della piccola Lily Luna. Albus
o Al
come lo chiamava lui era pure del mio stesso anno e come aveva spiegato
fu lui
a trovare il club su internet, ma non si iscrisse perché
aveva gli occhi di suo
padre, gli somigliava molto diceva: occhi verdi, capelli corvini e una
corporatura minuta.
Non avevo mai conversato così a lungo con un adulto che non
fosse mia madre o il Professor Rowan. Era stato in un certo senso
liberatorio
parlare di me, della mia ‒ assai discutibile ‒ popolarità e
dei miei genitori.
Di solito non parlo con tutti di me e specialmente dei miei
genitori, ma il signor Potter si rivelò
davvero disponibile e comprensivo. Non parlavo di me
nemmeno con Kenny,
Barry e Leona. Sarei apparsa
troppo come
una bambina bisognosa di attenzioni di fronte ai ragazzi. E poi
onestamente,
apparire ancor di più solitaria, chiusa e da psicanalisi
credo non avrebbe
fatto bene a nessuno; oltretutto Leona è Babbana, quindi era
quasi impossibile
parlare quando stavamo tutti insieme.
Avevo sì appena conosciuto il Prescelto con cui avevo
discusso di argomenti prettamente personali, ma è stato come
se lo avessi
conosciuto da sempre, per un momento mi sembrò di parlare
con me stessa. Una
delle cose su cui sono sicura (alquanto bizzarro dato che sono la prima
ad
essere insicura su questo mondo) è il saper ascoltare. So
ascoltare, anche se
l’argomento della conversazione non mi interessa minimamente.
Ascolto,
recepisco il pensiero altrui e poi ne formulo uno mio. Mi piace
ascoltare le
persone, credo di non avere un motivo preciso sul perché, ma
mi fa sentire me
stessa. Io ascoltavo il signor Potter e lui ascoltava me. Ci fu quasi
un
rapporto di fiducia o forse era
già
radicato da quando ci eravamo presentati.
Salutai cortesemente il signor Potter verso le otto e mezza,
svegliai prima Piplup che si era appisolato sul letto e liberai Regina
dalla
gabbia lasciandola volare intorno al giardino, andai infine
giù a cenare.
A tavola io e mia madre eravamo entrambe silenziose come al
solito (e Piplup stava cercando di non collassare sulla ciotola di cibo
per
Pokémon). Non perché ci detestavamo o altro ‒ che
poi non è che ci detestiamo,
è che il nostro è un modo alquanto diverso di
amare: lei troppo protettiva e io
troppo desiderosa di libertà e di una vita sociale stabile,
sia chiaro, ma che
per amore rinuncio per farla stare bene ‒ ma perché non
c’era assolutamente
niente su cui discutere. Entrambe sapevamo benissimo che alla
sottoscritta
Lucinda Winslow non piacevano i suoi «Domani
vado al Ministero della Magia a parlare col ministro. Stai a attenta a
casa».
Ed entrambe sapevamo senz’ombra di dubbio che alla madre non
piacevano i miei «Sono riuscita a
suonare la prima parte di
Syrinx di Debussy» o «Sai
che la
prima fenice comparsa nel Mondo Interno è il
Pokémon Leggendario Ho-Oh?» oppure
semplicemente «Ho conosciuto il
signor
Potter su internet».
Forse l’ultima l’avrebbe interessata pure, ma sta
di fatto
che il silenzio incombeva, rotto forse dal rumore delle posate e dal
ticchettio
dell’orologio.
Sparecchiai e lasciai mia madre a lavare i piatti, presi
Piplup in braccio ormai collassato sulla ciotola e salii in camera, lo
misi
sotto le coperte e mi sdraiai accanto a lui sul letto.
Sentii qualcosa d’impresso sulla mia guancia destra che
toccai un paio di volte. Aprii gli occhi con un po’ di fatica
stropicciandoli.
La luce della stanza era spenta e l’orologio a forma di
Starly sul comodino
segnavano le tre e trentasei. Mi sedetti sul bordo del letto ma crollai
immediatamente sul fianco senza forze.
Una settimana e io
sarò ad Hogwarts.
Una settimana e
lascerò Due Foglie.
Una settimana e sarò
libera.
Una settimana e sarà
aperta la caccia ai Mangiamorte.
Rabbrividii al solo pensiero e mi raggomitolai sotto le
coperte.
I Mangiamorte. E
dire che Voldemort era stato sconfitto. E allora mi chiedo
perché? Perché
colpire la mia famiglia, mio padre, mia madre, me?
Perché colpire quando è
tutto finito?
Non riuscii a darmi ‒ a trovarmi ‒ una risposta ché la
stanchezza e l’angoscia mi pervasero, lasciandomi cadere in
sonno. Eppure i
sogni per quanto irreali possano essere sono un modo per sfuggire alla
realtà,
a volte ingiusta e a volte severa.
Li passai tranquillamente gli ultimi giorni qui a Due Foglie,
gli ultimi giorni prima della mia pseudo-libertà. Mi
mancherà la biblioteca, la
scrivania, soprattutto la sala degli strumenti. Gli archi, i fiati (sia
i legni
che gli ottoni), il piccolo mandolino nella sua custodia e il
pianoforte di
papà erano tutti in quella stanza. Il mio flauto
d’argento nella sua custodia
ricoperta di lana stava sempre sulla mia scrivania accanto al
metronomo. Invece
il violino di mia madre penso che stia in camera sua. Non
c’ero mai entrata là,
giusto qualche occhiata fugace da dietro la porta.
Ricordo ancora le mani di mio padre che premevano i tasti e
mia madre al suo fianco col suo violino, si esibivano nella sala degli
strumenti facendomi assistere a qualche mini-concerto. Era stato
papà a farmi
avvicinare alla musica: mi metteva seduta sulle sue gambe, prendendo
poi le mie
minuscole manine e facendole poi scorrere sui tasti. Non sono una vera
e
propria pianista, ma diciamo che me la cavavo abbastanza bene. Avrei
voluto
fare un brano per flauto con l’accompagnamento del pianoforte
di papà. Ma i
Mangiamorte giustamente me lo impedirono.
Avrei voluto chiedere al signor Potter a proposito della
caccia ai seguaci di Tu-Sai-Chi in quei giorni che mi rimasero, ma non
fu mai
in linea. Sembrava quasi mi evitasse. Ma sta di fatto che
l’ultima volta che mi
ero connessa lui non c’era.
Il 30 agosto mamma ed io, insieme a Piplup, baule e Regina,
prendemmo il primo vascello del pomeriggio da Canalipoli diretto ad
Austropoli,
per poi raggiungere Sciroccopoli con la corriera. Mamma ritenne saggio
non
abusare del mio fisico ‒ e diciamo anche della mia magia ancora in fase
di
controllo, Merlino! C’ho
messo secoli
per manifestare la magia ‒ per smaterializzarci.
Arrivammo così il pomeriggio del giorno dopo nel Mondo
Esterno. Andammo subito al Paiolo Magico e mamma prenotò una
stanza a due.
La camera si affacciava sulla via acciottolata di Diagon
Alley. Si vedeva spiccare l’imponente figura marmorea della
banca su tutte le
botteghe del viale. La stanza era la numero 21. C’erano
mobili di quercia
lucidissimi, a due lati opposti troneggiavano due letti a baldacchino e
uno
specchio era appeso vicino alla porta.
Mamma, ovviamente, mi proibì categoricamente di lasciare il
Paiolo, perfino di fare una passeggiata per i negozi.
Non la vidi poi per tutto il giorno, perciò ne approfittai
per impararmi tutta Syrinx di Debussy; Piplup era steso a pancia in
giù sul
letto a fissarmi insieme a Regina appollaiata sopra l’armadio
e si facevano
cullare dalla musica. Fu particolarmente difficile, era sì
per flauto solo,
perciò un brano molto libero (con pause e semibrevi lunghe a
piacimento), ma le
troppe alterazioni mi stavano uccidendo. Così finii per
ripassare i brani già
fatti fino all’ora di cena, quando mamma mi fece chiamare per
mangiare. La sala
era molto affollata: molti studenti erano al Paiolo per
l’inizio della scuola,
ma non vidi né Barry né Kenny. Tuttavia di
sfuggita notai il ragazzo del gelato,
ma solamente per
pochi secondi dato che era scomparso tra la folla. Abbozzai un piccolo
sorriso
che sparì quasi subito quando mia madre mi fece notare che
avevo la forchetta
sospesa a mezz’aria.
Piplup se la rideva in silenzio, ma lo squadrai di
sottecchi.
Mi ero svegliata veramente tardi la mattina seguente. Non
avevo chiuso occhio per circa sei ore per l’agitazione, forse
neanche per
quella, ma per mamma.
Alle undici meno dieci circa stavo superando la barriera che
separava i binari nove e dieci. Inspirai un paio di volte prima di
attraversarlo, avevo Piplup aggrappato alla mia spalla e il carrello
saldato al
mie mani. E poi presi l’ultima boccata d’aria, mi
guardai intorno un paio di
volte per assicurarmi che non ci fossero Babbani a guardarmi intorno
(all’entrata
alcuni mi guardavano storto e contemporaneamente fulminavano la mia
civetta) e
corsi verso il muro con gli occhi chiusi. Poi li aprii e la locomotiva
a vapore
era lì, davanti a me, di uno scarlatto acceso, che sbuffava
anelli di fumo. L’autunno
quest’anno a Londra si era fatto sentire prima e la banchina
era avvolta da una
densa foschia. Era
gremita di maghi, un
bel po’ a dire la verità ché mi sentii
a disagio. Non amo essere circondata da
troppa gente, forse perché ho passato la mia vita a non
circondarmi di molte
persone o forse anche perché non ho avuto molte occasioni di
legare.
Erano quasi le undici e il treno stava per partire. Salutai
mia madre con un strettissimo abbraccio; non ci parlammo, anche
perché le
parole in quel momento non servivano, avrebbero guastato
quell’atmosfera magica
che si era creata, carica sia di ansia sia d’amore. Mi diede
un piccolo bacio
fugace in fronte e mi aiutò a caricare i baule insieme a
Piplup che poi si
limitò a portare la gabbia di Regina a bordo. Lanciai
un’occhiata a mia madre a
constatai la sua preoccupazione. Le rivolsi un enorme sorriso e le
dissi di non
preoccupassi. Lei fece una faccia corrucciata ma poi sul suo viso si
dipinse un
grande sorriso, uno dei rari sorrisi di mamma, uno dei più
sinceri.
Balzai a bordo prima che il treno partisse e chiusi lo
sportello. Si udì un fischio, il treno sbuffò e
partì. Salutai mia madre dal
finestrino della porta finché il treno non imbucò
la prima curva. Mamma aveva
un’espressione così seria che faceva trasparire la
sua inquietudine, quasi
palpabile. Asciugai la lacrima che non riuscii a trattenere e mi misi
con
Piplup alla ricerca di uno scompartimento. Ne passammo in rassegna
cinque ma
erano tutti occupati da studenti. Ce n’erano tanti anche nel
corridoio, infatti
venni spintonata un paio di volte, una delle quali la botta fu
decisamente
forte che caddi a terra.
«Merlino, che botta!»,
mormorai.
Mi massaggiai la schiena perché avevo urtato contro il baule
che cadde anch’esso fragorosamente.
«Piplup! Pi-Piplup!», strepitò il
Pokémon accanto a me
contro la persona che mi fece crollare.
«Piplup, basta!», gli ordinai. Guardai in faccia la
persona
di fronte a me e involontariamente rifiutai la mano che mi porse.
«Perché?»,
mi
domandò Ash Ketchum, tra il perplesso e l’offeso.
Mi chiedi pure perché?
Mi limitai a scrutarlo torva e lo superai trovando poi uno
scompartimento vuoto. Mi ci infilai immediatamente, chiudendo poi la
porta,
isolandomi così dalla
confusione di
fuori. Misi il baule sul portabagagli in alto con il supporto del
Bollaraggio
di Piplup e mi sedetti sul sedile di pelle estremamente confortevole.
Regina in
gabbia affianco a me dormicchiava sotto l’ala. Guardai il
paesaggio fuori dal
finestrino: il cielo era coperto di nuvole ma non troppo e agli scorci
di
Londra babbana si sostituirono ben presto la campagna, immensi campi
dedicati
ai cereali e al pascolo. Piplup si era addormentato sulle mie gambe ma
fu
presto svegliato dallo sbattere della porta: Kenny e Barry entrarono
nello
scompartimento senza fare troppi complimenti.
«Ti abbiamo cercata per tutto il treno. Per un momento
abbiamo temuto che ti fossi infiltrata nella carrozza dei
prefetti!», mi
rimproverò Barry sistemando il proprio baule e poi quello di
Kenny.
«Be’, almeno adesso mi avete trovata»,
risposi sottovoce.
«Leggi», fece
Barry
schietto.
Mi lanciò il giornale, la Gazzetta
del Profeta.
In prima pagina c’era un’enorme fotografia in cui
potevo
distinguere mia madre e il signor Potter.
Caccia ai Mangiamorte
aperta
Si sono riuniti tutti gli Auror al Ministero
della Magia per prendere
ciascuno le informazioni sui Mangiamorte in fuga. Gli Auror si
muoveranno a
squadre. Secondo alcune fonti alcuni fuggiaschi sono
all’estero, probabilmente
sotto falsa identità, se non oltreoceano. Il Ministero
è cauto sul divulgare
alcune notizie.
Aprii la bocca un paio
di volte non sapendo trovare le
parole adeguate.
«Cosa?!», feci
infine perplessa con un tono di voce abbastanza alto da far sussultare
Regina
che stava riposando.
«Quello
che mi son detto io», disse Barry. «Anche se non
è
certo, perché all’estero?».
«Non
ci sono i controlli? Si saprebbe se un mago, oltretutto
Mangiamorte si fosse imbarcato per l’estero o anche
smaterializzato, no?»,
domandai.
«Non
tieni conto delle Passaporte illegali», aggiunse Kenny
piatto.
«Ma
ci dev’essere un modo, non credete? Mia madre deve
andare anche all’estero?».
«Ehi,
calma! Non è sicuro che vada fuori la Gran
Bretagna»,
cercò di rincuorarmi Barry.
«Tu
non hai una madre Auror, non hai una famiglia distrutta,
non sei mai stato rinchiuso in casa per anni affinché non
morissi», le parole
mi morirono in gola. Tentai di trattenere le lacrime ma inutilmente,
anzi,
scesero senza sosta.
Entrambi
ammutolirono, non sapendo come controbattere, forse
perché Piplup si era messo a scrutarli torvo. Credo fosse
pronto a lanciare uno
dei suoi miglior Bollaraggio se uno dei due fosse stato in procinto di
fare una
mossa sbagliata.
Intanto fuori
la confusione era diminuita e nel nostro
scompartimento si sentivano ogni tanto lo scoppio di qualche carta ‒
che fece
coinvolgere Piplup nella partita a SparaSchioccoBumBum tra Kenny e
Barry ‒ e le
pagine di giornale. Ben presto finii il quotidiano, così
dovetti chiedere ai
ragazzi di prendermi il baule. Fu più difficile del
previsto, ci impiegammo dei
minuti veramente sudati per tirarlo giù perché
Kenny mollava la presa. Presi dal
baule il libro che mi serviva e lo richiusi. Barry mi guardò
male: «No! Non te
lo metto a posto! Non ci pensare minimamente!»,
sbraitò.
Gli feci una
delle facce più innocenti che sapevo fare dando
energia alla mia vena d’attrice, tanto innocente che alla
fine prese il baule e
lo mise, sbuffando sonoramente, a posto. Sorrisi compiaciuta e aprii il
libro
al punto in cui ero arrivata: Volatili.
Ma prima che potessi cominciare il capitolo sentii dei colpetti battere
il
vetro della porta. Alzai lo sguardo e un’anziana signora con
una divisa da
cameriera mi sorrise. Kenny aprì la porta e chiese a noi se
avessimo fame:
Barry rispose che non aveva soldi, io invece una certa fame
l’avevo così uscii
dallo scompartimento e chiesi alla signora cosa ci fosse. Lei si
apprestò
subito a rispondere: il carrello era stracolmo di dolciumi di ogni
tipo,
Zuccotti di zucca, Gelatine Tuttigusti+1, Api Frizzole, Gomme Bolle
Bollenti,
Cioccorane, Mou, Cioccalderotti, Cioccoli, Calderotti, Bacchette
magiche alla
liquerizia.
Domandai a
Barry e a Kenny se volevano qualcosa ma risposero
entrambi che avevano il panino da casa; così decisi di
comprare un po’ di
tutto, presi il sacchetto con le monetine e le contai.
«Tre
Bolle Bollenti, per favore», chiese una voce familiare
dietro la signora. Alzai lo sguardo dal sacchetto di monetine e
incontrai due
occhi azzurri, il ragazzo del gelato.
«Niente
lacrime oggi, eh?», fece lui ammiccando.
«Tieni!»,
mi lanciò una delle Bolle Bollenti che aveva appena comprato
e sparì dietro la
signora.
«Allora
signorina, cosa vuole?».
Stavo
osservando il pacchetto di gomme come se fosse oro, ma
fortunatamente la signora del carrello mi riportò alla
realtà. Mi scrollai,
diedi un’occhiata fugace al sacchetto e risposi:
«Un po’ di tutto, grazie».
Pagai e posai
la refurtiva sul sedile, li spostai facendomi
un po’ di spazio per sedermi. Offrii più di
metà bottino ai ragazzi che
cominciarono a ingozzarsi come Piplup che aveva già finito
tre scatole di Api
Frizzole e ora stava levitando per lo scompartimento da più
di cinque minuti.
Cominciai con una Cioccorana aprendo la scatola di carta. La rana
(ormai avevo
imparato un po’ di animali col libro) di cioccolato fece un
balzo e si buttò
sul finestrino, verso la libertà.
«Devi
afferrarlo», bofonchiò Barry con la bocca piena.
«Fanno un solo salto. Carpe diem!».
Sì,
certo. Cogli
l’attimo.
Però
in compenso guadagnai una figurina, quella di Harry Potter. La girai e lessi la
descrizione:
Harry James
Potter,
Auror. Ritenuto uno degli Auror più forti del terzo
millennio. Noto soprattutto
per aver sconfitto nel 2 maggio 1998 a soli diciassette anni il mago
oscuro più
potente dell’epoca, Lord Voldemort, per aver vinto il Torneo
Tremaghi e per
aver ucciso il mostro nella Camera dei Segreti. Ama il Quiddtch ed
è stato uno
dei più giovani cercatori da un secolo.
La figurina
ritraeva un uomo sulla trentina, quasi
quarantina, dal viso sottile con i capelli corvini e due occhi di un
verde
molto intenso. Per un momento pensai che Harry Potter mi stesse
rivolgendo un
piccolo sorriso, ma poi la sua figura sparì.
Il paesaggio
fuori cambiò: ai grandi campi si sostituirono
fitti boschi e montagne e il cielo si fece più scuro.
Il sole stava
tramontando e molti studenti nel corridoio
giravano già con la divisa. Perciò con
l’aiuto di Kenny ‒ Barry si rifiutò
categoricamente ‒ e Piplup tirammo giù il mio baule. Presi
la divisa e proposi
ai ragazzi che sarei andata in bagno a cambiarmi e che loro potevano
mettersela
nello scompartimento nel frattempo ‒ con le tendine tirate ovviamente,
il
nudismo a undici anni non era il caso.
Così
uscii alla ricerca di un bagno. Ci misi cinque minuti
per trovarne uno, la quantità di studenti nei corridoi era
aumentata ed era
difficile sgusciare fuori. Poi finalmente trovai il bagno che
(giustamente) era
occupato. Mi appollaiai alla parete davanti alla porta con in braccio
la divisa
ad attendere.
«Domi
ci mette secoli a sistemarsi in bagno», disse una
ragazza che si era accostata a me, dai capelli rosso fuoco, leggermente
ondulati, il viso era tempestato di lentiggini e aveva due occhi vispi
color
miele. E aveva già la divisa.
Mi limitai ad
annuire in silenzio, sperando che questa Domi finisse presto.
«Se
vuoi puoi cambiarti nel mio scompartimento, posso far
uscire James e Al per qualche minuto», propose.
«Oh,
be’ grazie… aspetta un momento. Hai detto James e
Al? I
due Potter?».
«Proprio
loro due. Perché?», sorrise, mostrando le due
fossette che si erano formate sulle guance.
«Una
settimana fa conversai con loro padre», risposi
divertita.
Lei mi fece
strada verso il suo scompartimento che non era
molto distante.
«Comunque
io sono Rose, Rose Weasley», fece con un tono di
voce più alto per sovrastare il vociare nei corridoi.
«Io
invece sono…».
«Sì.
So
chi sei»,
mi interruppe. «Credo tutti sappiano chi tu sia. La figlia di Olga
Winslow non passa di certo inosservata», aggiunse
ammiccando.
Quando
arrivammo, Rose fece uscire i due Potter, in divisa
pure loro. Ci misero un po’ per uscire: la partita di scacchi
fra loro stava
entrando nel vivo per poi sfociare nello scacco matto vincente di
Albus. Mi
ritrovai perciò sola, tirai le tendine e nel modo
più veloce per potei mi
sfilai la maglietta e i pantaloni. Con altrettanta velocità
mi infilai la divisa
per poi uscire dopo non più di due minuti.
«Miseriaccia,
ci hai messo pochissimo!», si meravigliò Rose.
«Adesso è meglio che ti sbrighi che stiamo per
arrivare».
Non me lo feci
ripetere due volte: corsi il più in fretta possibile
da Kenny e Barry urtando contro una cinquina di studenti. I ragazzi
erano già
pronti nelle loro divise e i loro bauli a terra; io invece ancora
dovevo
mettere a posto gli abiti e il mio libro nel mio. Ma fummo di una
velocità
incredibile. Kenny, Barry ed io (col supporto del Bollaraggio di
Piplup)
posammo il mio baule sul sedile.
Il treno stava
pian piano decelerando e quando si fu
definitivamente fermato io ero pronta con Piplup sulla spalla, la
gabbia di
Regina nella mano sinistra e il baule nella destra.
La
quantità degli studenti nei corridoi era enorme,
tant’è
che pensai che fossimo gli ultimi a uscire, c’erano come
minimo duecento
studenti o forse anche di più.
Ero
completamente buio pesto quando eravamo scesi e non
vedevamo un palmo dal naso. Ma un uomo enorme alto sì e no
tre metri, con una
folta barba reggeva una piccola lanterna, piccola tanto da illuminarlo.
«Primo
anno! Primo anno! Quelli del primo tutti qua!»,
gridava in continuazione.
Angolo autrice
(a cui mancano 4 kanji per il test di
giapponese):
Allora…
che dire? Salve!
Sì
insomma, è dal 23 giugno 2012 che non aggiorno la fanfic
e oggi a mezzanotte mi metto a pubblicare il quarto capitolo.
:’D
Si ringrazia
la cara e vecchia babbana della mia Miki per il
betaggio (non ha efp, se volete sapere)
E tantissimi
auguri ad Andrea! Ecco il tuo regalo di
compleanno, spero ti piaccia :3
E mi dispiace
che abbiate aspettato così tanto per questo
aggiornamento, sono mortificata çwç
Però
tanto adesso potrete enjoyare, fangirleggiare,
volteggiare e recensire. E vi invito a
chiedermi l'amicizia su fb :3
Saluti a tutti
i babbani, pueri e puellae che cominciano l’11
la scuola (o l’hanno già cominciata)
dalla vostra
(pigra e tanto stanca) flautista_pearl :3
P.S. Se volete
saperlo il brano Syrinx io non lo so proprio
fare, come già detto nella ff troppe alterazioni. So fare
giusto le prime tre
battute. E se volete sentirlo ci sono alcuni video su youtube, vi
consiglio di
ascoltarlo se vi piace il flauto.
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