Kiam e il mondo.

di Vampiresroads
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Keep your feet on the ground ***
Capitolo 2: *** La scoperta di Kiam ***
Capitolo 3: *** Alison's story. ***
Capitolo 4: *** it's eating my mind. ***
Capitolo 5: *** Liam. ***
Capitolo 6: *** Emeryville. ***
Capitolo 8: *** The Power of Love. ***



Capitolo 1
*** Keep your feet on the ground ***


“Keep your feet on the ground, when your head’s in the clouds!”
Me lo ripetevano continuamente, da mattina a sera, ogni giorno della mia vita. Era a dir poco stressante, ma per fortuna ormai non ci facevo più caso.
I miei volevano fossi come Sam: camicie colorate e perfettamente stirate, capelli ordinati e puliti, sguardo superbo e una buona parte della mia insensata adolescenza spesa sui libri.
Sam era il mio migliore amico, diciamo anche unico.
Lo conoscevo dai tempi dell’asilo, la sua casa dal profumo di lampone diffuso per l’intera superficie, i suoi genitori umili ma sempre gentili e il suo carattere perennemente calmo contrastavano con il mio fetore, la mia ricca casa dalle stanze confuse e il mio carattere nervoso e compulsivo.
La mia vita?
Agl’ occhi dei compagni era perfetta. Avevo una bella casa con tanto di piscina, potevo avere l’ultimo modello di qualsiasi cosa, i vestiti che tutti i miei compagni invidiavano e un bel aspetto.
La scuola mi odiava e la cosa era pienamente ricambiata.
-Guardati, hai tutto quello che gli altri desiderano avere, possibile che tu non riesca a sorridere?!-
-Cambia espressione, sembri depresso!-
-Che hai fatto? Mettiti a studiare o st’anno non lo passi, cocco-
Altre delle frasi che mi seguivano come mostri, streghe che dovevano prendermi per lanciarmi le loro maledizioni e malauguri.
Poi c’era Anthony e il suo: -Levati quella fottuta espressione da pesce lesso che ti ritrovi in faccia e muovi il culo ad aiutarmi- che ogni tanto riusciva ad acchiapparmi e strapparmi quel faticoso sorriso che non si decideva a venir fuori in altre occasioni.
Nonostante sia mio fratello, Anthony non mi somiglia affatto. È più robusto e basso di me, ha gli occhi e i capelli chiari, spesso ordinati e tenuti bene.
Contrastavamo parecchio, io tenevo sempre i capelli dritti. Nemmeno fossero stati cactus, questi pungevano più di qualsiasi tipo di pianta e le persone si divertivano a giocarci.
Ero abbastanza ‘spilungone’, come dicevano i miei compagni, e forse un tantino inquietante.
Ma cosa importava? I miei sentimenti non dovevano interferire con la mia vita.
Dovevo studiare nelle scuole che i miei avevano scelto, ambientarmi nella società che i miei avevano scelto, laurearmi alla facoltà che i miei avevano scelto e ancora sposare la ragazza che i miei avevano scelto.
Ovviamente la scuola non sarebbe stata nientedimeno che un classico, la facoltà nientedimeno che giurisprudenza e lei sarebbe stata una ragazzina viziata e precisina di una famiglia come minimo benestante, rigorosamente ex studente del liceo classico e laureata in giurisprudenza.
Nemmeno fossimo stati al medioevo, doveva essere tutto così penosamente organizzato.

-Kiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiam, corri!-
La voce di mio fratello echeggiava dal fondo del corridoio.
-Tony, ch’hai combinato ora?-
-Imbecille testa di cazzo, smettila di cercare quel fottuto pacchetto di sigarette e vieni-
-Ma cosa urli scemo, se ti sentono addio vita per sempre-
Dalla comoda posizione in cui mi trovavo, corsi a soccorrere Tony, percorrendo tutto il perimetro della casa ed arrivando in cucina.
-Allora?- Chiesi curioso.
-Jason ha nascosto la droga di Alison qui, fai che non la trovi nessuno. Tantomeno Alison!-
Alison era una ragazza pieni di problemi ed era la migliore amica di mio fratello.
Lui e Jason facevano di tutto pur di farla star lontano da ogni tipo di cazzata, soprattutto quella di diventarne dipendente, l’avrebbe distrutta.
Nessuno conosceva bene la sua vita, a parte Anthony. Non me ne ero mai interessato molto, anche se in verità ero curioso, lasciavo mio fratello alla sua vita.
I miei non si fidavano di noi, soprattutto di me e cercavano di sorvegliarci il più possibile, eravamo morti lasciando quella roba lì.
-Dio mio!- Mi strofinai la mano tra la moltitudine di capelli. -Tony sei matto? La troveranno sicuro. E lì saremo morti. Conosci i miei, come t’è venuto in mente?- Mi girai per evitare lo sguardo di Tony.
Lo rimproverai, ma non riuscivo a guardarlo negli occhi. Sapevo che se Alison fosse stata mia amica, avrei fatto la stessa cosa.
-Cosa proporresti di fare, sentiamo!-
-Nascondila bene e non fare il coglione, la colpa poi te la prendi tu!-
Se ne andò soddisfatto e sicuro di sé, mi augurai che quella sicurezza durasse e me ne tornai alla mia comoda posizione.
Una pacca sulla spalla. -Andrà tutto bene.- Mi rassicurò.

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Capitolo 2
*** La scoperta di Kiam ***


I miei pensieri caddero in un sonno irrequieto.
Anime e problemi mi tormentarono fino al mattino seguente, dove mia madre mi scosse violentemente liberandomi dall’incubo.
All’apertura degli occhi mi ritrovai uno schiaffo buttato in viso.
-Come sei conciato? Muoviti e preparati, oggi hai la verifica di latino. E smettila di conciarti in quel modo assurdo. Se vuoi ti compro un paio di scarpe decenti, va bene? Ma togliti quegli scarponi rotti!-
La voce di mia madre mi dava il buon giorno come tutte le mattine. Che piacere sentirsi dire parole simili. Il mio momento preferito.
-Mi farai impazzire.- Concluse.
Risponderle era inutile. Mi limitai a strusciarmi la faccia imitando gli scoiattoli e mi rintanai in bagno conciandomi come volevo io, dimenticandomi delle sue solite ramanzine.
Le sette in punto.
Ero in anticipo.
Per la prima volta in tutta la mia vita, ero in anticipo. Mi chiesi cosa si facesse in queste situazioni, mi domandai lo strano motivo del mio anticipo collegando il tutto alla sera prima.
La mia sensazione negativa aumentava di giorno in giorno, sentivo che mi avrebbero scoperto, che non avrebbero creduto  né a me né a Tony e che avrei passato il resto dei miei giorni in uno dei lati più bui della casa.
Sapevo che lo stavamo facendo per un motivo giusto, perché lei altrimenti non se ne sarebbe mai liberata, ma il pensiero che i miei avrebbero trovato tutto mi abbatteva sempre di più.
Secondo per secondo, battito per battito, respiro per respiro.
Vidi mio fratello sollevare lo zaino e appoggiarlo sulle spalle, senza rivolgermi parola.
Corsi verso la cassapanca e feci lo stesso, mi avvicinai velocemente alla porta per rubargli uno sguardo.
Teneva lo sguardo perennemente abbassato, il malore mi colse appena riuscii ad incontrare i suoi occhi.
Chiusi il portone di casa e lo presi da parte:-Siamo in anticipo, ti devo parlare-
-Qui ci sentono, coglione.-
Mi allontanai di tre passi aggrappandomi alla sua maglia.
-Nascondila da qualche altra parte.- Aspirai ogni singola lettera, scandii ogni parola.
Nonostante il mio aspetto, non avevo mai coraggio, tendevo a farmi sottomettere, ma quel caso era esagerato.
Balbettò il mio nome, per qualche attimo mi apparse impaurito dalla mia aggressività.
-Buono Kì, stai calmo.-
-Calmo cosa?- Ripetei le lettere ancora, stavolta lentamente, cercando di rimpadronirmi della mia rabbia.
-Può essere rischioso, ma è necessario. La sua vita dipende da noi, ora.- Mi guardò sconsolato con le lacrime pendenti. Non l’avevo mai visto buttar fuori questo suo lato con tanta disinvoltura.
Riabbassò lo sguardo e riprese: -Devi solamente avere un po’ di fiducia.-
Ammorbidii la stretta e lasciai a mio fratello la libertà di respirare: -Ti chiedo un favore, fratello. È un solo favore, nient’altro. Devi fidarti di me. È una vita, il battito di un cuore quasi solo. Pazienta appena il tempo che capisca. Che comprenda tutto. Altri pochi giorni e tornerai tranquillo. Credi che io non mi senta male? Che non sia preoccupato?-
-Non lo metto in dubbio.-
Mi sorrise liberandosi dalla mia stretta, o da quel poco che ne era rimasto.
-E se la ricomprasse?- ribattei.
-Jason la segue sempre, anche se lo facesse lo scopriremmo subito.-
Feci finta di credere alle sue parole, abbandonando l’argomento.
Se avessimo continuato così probabilmente sarei caduto nel trabocchetto e mi sarei affezionato anch’io alla salute di quella ragazza complicata.
Mi infilò una sigaretta della mia marca preferita in tasca e salì in fretta nel pullman tenendo lo sguardo basso.
Lo guardai andarsene e fissando il suo viso torto, finché il mezzo non lo trascinò via dalla mia vista.
Feci per accendere la sigaretta, ma il rimorso mi costrinse a gettarla.
Se avessi mantenuto quello stupido segreto, di certo non mi sarei fatto comprare.
Pestai convinto quella raccolta di tabacco e mordendomi le labbra mi incamminai verso scuola.

Ancora quel tormento. Quel luogo dal quale nessuno ha mai avuto bisogno di fuggire quanto me.
O almeno, così credevo.

Quella mattina la passai ponendomi centinaia di domande su cosa spingesse quella ragazza ad autodistruggersi.
Iniziai ad interessarmi della storia di qualcuno, imparai a vedere le persone come qualcuno in cui rispecchiarsi, non in cose da distruggere.
Attesi il ritorno immaginandomi le storie più assurde. Il mio viso turbato non mi abbandonava, ma per la prima volta ne avevo un motivo concreto.
Dopo l’assillo di domande che mi accoglievano ogni giorno dalla bocca dei miei, chiamai mio fratello un istante.
Mi seguì con il viso agitato e mi fece cenno di parlare a bassa voce.
-Ora pretendo di sapere la storia.-
-Storia?-
-Cos’è successo ad Alison?-
-E’ una storia lunghissima. La storia di una vita.-
-Ho molto tempo, ora come ora.-
-Sicuro di volerla sapere?-
Annuii convinto.
-Bene, prepara le lacrime.-

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Capitolo 3
*** Alison's story. ***


Ci assicurammo che i miei si fossero addormentati e ci rifugiammo in camera di mio fratello.
Al buio, iniziò il racconto.
-La storia inizia con una normale bambina di sei anni, dalla famiglia unita e l’anima serena.
Due fratelli grandi e affettuosi, una madre tranquilla ed un padre meraviglioso.-
-Vita perfetta.-
-Sì. Vita perfetta, finché un incidente apparentemente causale non le portò via un pezzo della sua vita, strappandole il padre che tanto amava.
L’anno successivo, mentre cercava di riprendersi, la madre perse il lavoro e mancavano soldi per poter mantenere i due fratelli all’università.
La madre divenne ogni giorno più nervosa ed ansiosa. L’atmosfera in famiglia si faceva ogni singolo giorno più tesa e la convivenza non era affatto facile.
I fratelli cercarono disperatamente un lavoro, trovandone solo di pessimi e per breve tempo.
Finalmente Josh, il primogenito, trovò un lavoro stabile, che raccolse poi anche il secondogenito.
Intanto Alison cresceva e maturava, compì quindici anni e come regalo ricevette una persona che l’amava profondamente, un amore incondizionato e dolcissimo. Sembrava addirittura più stabile di quello di una favola.
Si era innamorato del più assurdo essere vivente della zona.
Nessuno aveva mai rivolto parola a quel ragazzo. Tu non eri ancora in grado di capire, ma quando io ero adolescente si sentiva parlare tantissimo di lui.
Alcuni dicevano che aveva passato anni in un centro di riabilitazione mentale, altri ancora che era cresciuto solo, nel garage di casa, perché i suoi erano morti.
Giravano storie assurde, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi a quel ragazzo.
Non trovai alcuna persona che conoscesse il suo nome, ma “Mistero” era ormai diventato il modo più comune di chiamarlo.
Nemmeno Alison ha mai voluto rivelarmi il nome di quel ragazzo, che probabilmente solo lei sapeva davvero.
Mistero era alto, magrolino, dai capelli biondicci, che imitavano le sopracciglia e ne delimitavano il viso.
Il mondo rifiutava Mistero proprio per il suo carattere inquieto ed oscuro, di cui la gente aveva paura. Gli occhi grandi e neri in contrasto con quella chioma chiara infilavano paura nelle amine di ogni singolo cittadino, tranne Alison.
Nessuno capì come si erano conosciuti o con che coraggio Alison gli sia andata a parlare, ma tutte queste cose erano superflue. Non importavano.
Aveva trovato qualcuno che la capiva, qualcuno che aveva passato un’altra storia orribile, ma che era pronto a prestarsi ogni giorno e ad interessarsi della sua infanzia. Lei era perdutamente innamorata di lui, sono sicuro che se avesse potuto, l’avrebbe portato all’altare senza esitazioni di nessun genere.-
Sospirò e riprese fiato, stava per finire di raccontare, ma lo interruppi con una domanda fastidiosa.
-E lei era felice?-
-Felice? Era entusiasta.
Aveva dimenticato ogni problema, anche se la gente la squadrava, facendole l’esame più duro dell’adolescenza: l’opinione altrui.-
-Lo superò?-
-Senza problemi. Era la persona più forte che io abbia mai visto.-
-Allora cos’è successo?-
-Mistero.-
Torsi lo sguardo pretendendo una descrizione più dettagliata, e lo costrinsi a rivelarmi ancora della complicata storia della ragazza.
-Il mito di Mistero se ne andò com’era arrivato: con mille dubbi.-
-Mistero la tradì?-
-Sei fuori strada, Kì.-
Attesi ancora un chiarimento: volevo andare in fondo a quella storia.
-Fu lei a tradire Mistero.-
Il finale più inaspettato che potessi aspettarmi. Era la storia più assurda che mi fosse mai scorsa per le vene, che mi avesse battuto la schiena, che mi pugnalasse meschinamente.
Balbettai un’esclamazione confusa, non riuscivo a formulare frasi sensate.
-Sua madre non accettava quel ragazzo e i fratelli l’ossessionavano costringendola a rifiutarne un rapporto. La bocciarono tre volte di fila, perse ogni amico, ogni rapporto, l’unico che le rimaneva era quello con Mistero, che i parenti cercavano continuamente di bloccare.-
-Dico io … Con quale coraggio non riuscivano ad accettare la felicità della povera ragazza?-
-Con lo stesso coraggio che i nostri fanno con te.-
Non avevo la minima voglia di affrontare l’argomento, mi levai con fatica il pensiero di testa e implorai Tony di continuare.
-Non sono sicuro che tu voglia sapere la fine.-
-Non aspetto altro.-
-Bene.
La vita stava tornando alla solita merda che la accompagnava quasi da quando era nata e il peso che aveva sulle spalle diventava ogni minuto più insopportabile.
Alison scelse l’impiccagione.-
-Cosa?- Balbettavo ancora, nonostante non realizzassi a pieno tutto ciò che mi stava raccontando.
-Per fortuna Mistero la trovò pochi secondi prima della sua fine, sua madre rincasò mentre cercava di slegarla e interpretò la mossa del modo opposto.-
-Vuoi dire che …-
-Esatto. La polizia arrestò Mistero.-
-E poi? Non si rividero mai più?-
-Certo. Lei lo andava a trovare di nascosto ogni settimana.
Un giorno le guardie abbassarono la protezione e trovarono la cella vuota. Da quel giorno non si seppe più nulla di quel ragazzo.-
Lo fissai con gli occhi di un bambino che scopre l’inesistenza dell’amatissimo Babbo Natale.

Oh.
Mio.
Dio.

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Capitolo 4
*** it's eating my mind. ***


-Sembra quasi una storia presa da un libro. È a dir poco assurdo.-
-Solo assurdo? È pazzesco.- Ribatté Tony. -Ora capisci perché la voglio tenere stretta? La sua vita è a costante rischio e pericolo.- Accennò ad uno sbadiglio e cercò una risposta sicura, insistendo con lo sguardo.
-Faremo di tutto per salvarla. O meglio, per non perderla. Va bene?-
-Con questo ‘faremo’ posso stare tranquillo di avere il tuo appoggio?- Nella fioca luce accennata notai un’insistente lacrima passeggiare per il viso di mio fratello. Non potevo abbandonarlo e non avevo intenzione di farlo.
-Hai tutto me, fratello.- acconsentii semplicemente. - Non avevo la minima idea... Pensavo giusto ad un piccolo schiribizzo adolescenziale.-
-Alison non è più un’adolescente. Entra in quest’ ottica.-
Fu il primo discorso che facemmo seriamente, senza nervosismi o battute acide in mezzo.
-Ora vai a dormire, Kiam.- Concluse.
-Sai che non chiuderò occhio, non è vero?-
-Vedi di non farmi pentire di quello che ti ho raccontato stasera.-
Alzò i tacchi e, inciampando su una mia maglietta sporca, chiuse lentamente la porta, prendendo tempo pur di non creare troppo rumore e svegliare i miei.
Tony sapeva benissimo che non l’avrei deluso. Eravamo due fratelli uniti, dopotutto.

Quella notte, come previsto, Morfeo mi evitò superbamente.  Impiegai il tempo a pensare, in teoria avrei dovuto evitare di farlo, ma i vari ragionamenti rapivano ogni mio tipo di stanchezza, mentre la confusione si univa alla tristezza.
Tutto ciò era qualcosa di inevitabile, potevo solo aspettare.
Nascondevo la mia paura dietro i pensieri. Mentre sommavo le mie medie per prevedere la mia promozione o eventuale bocciatura, il ricordo di Alison mi persuase come poche cose.
A vederla non sembrava nascondere una storia simile, aveva decisamente un bel aspetto.
Era magra e non troppo alta, aveva una lunga chioma scura e degli occhi grigi in cui vedevo mio fratello sprofondare ogni volta. Iniziai a temere la sua stessa fine.
Era una sottospecie di sogno per lui, era la cosa a cui teneva di più. Aveva l’inevitabile bisogno di tenersela stretta.
Suppongo che anche lui fosse terrorizzato da quel “mistero” di cui tanto parlava, ma lo leggevo nel suo sguardo, era per un altro motivo.
Gli altri temevano il suo ‘essere strano’ , la sua solitudine, il suo carattere, il suo mistero, ma per lui non era altro che una minaccia.
Non riflettei mai quanto quella notte, in effetti Tony non ha approfondito affatto la storia della scomparsa del ragazzo. Mi passarono davanti tutte le parole che mi aveva detto, ogni dettaglio, ogni accortezza.
Era quasi assurdo. Per qualche millesimo di secondo la mia pazza mente mi portò a credere che in questa faccenda mio fratello avesse avuto un ruolo più significativo di quello che mi aveva raccontato.
Avevo bisogno di parlare con qualcuno; mi sfogai con la solita voce che mi teneva sveglio, ma dovevo avere un’opinione, l’opinione di qualcuno che non avrebbe influenzato il mio rapporto con Tony.
Prima che potessi controllare l’orario, il sonno mi avvolse e le coperte accompagnarono il tutto. I pensieri fuggirono dalla mente come nuvole con troppo vento e dedicai qualche minuto, o forse ora, al riposo.
_

Passarono parecchi giorni, io e Tony non accennammo più all’argomento, la cocaina restava nascosta in una parte molto remota di camera mia e i miei non sospettavano nulla.
Apparentemente andava tutto alla perfezione, ma io continuavo ad avere un terribile bisogno di qualcuno con cui sfogarmi. Il primo coglione penserebbe a rivolgersi al proprio migliore amico, ma per quanto mi fidassi di lui, non riuscivo a scambiarci parola.

Le giornate cominciarono davvero a peggiorare; riuscivo a parlare solo con me stesso.
La città si stava ricoprendo di neve e mentre la gente esultava o bestemmiava per il disastro creato tra le strade, i miei pensieri mi mangiavano il cervello. A volte mi veniva l’idea che tutto questo mi avrebbe consumato l’anima, altre volte mi convinsi di non averla affatto, quell’anima di cui i preti tanto parlano.
Ero sempre stato un tipo tremendamente apatico, persino le maestre ne insistevano fin dalle elementari.
Ero sempre stato troppo sbagliato per la mia famiglia. Secondo i miei parenti non li meritavo. Non mi ero mai meritato nulla.
Ad ogni lezione mi perdevo in quei pensieri, che, come al solito, si bloccavano ad un vicolo cieco, un vicolo in cui sarei morto terribilmente presto.
Scarabocchiando mostri che mangiano uomini e mummie squartatrici di bambini, le mie riflessioni furono rubate da una costretta attenzione al professore, che attirò strappandomi i disegni dalle matite varie.
-Allora Kiam, ripetimi l’ultimo argomento.-
Mi alzai in piedi, con la massima sicurezza che si deve ad un “odiato della scuola” e cominciai a ripetere.
Le parole andavano da sole ed era tutto terribilmente eccitante, sapevo ogni singolo dettaglio di quella insopportabile  lezione di storia. Giorni indietro cercai di studiare qualcosa, ma non mi accorsi di aver appreso così tanto, fino a quel momento.
-Mi hai sorpreso, ragazzo.- Mi stoppò infine il professore, accennando ad un sorrisetto compiaciuto.
Quell’uomo adorava vederci soffrire, e fingeva un sorriso ogni risposta esatta, programmando per noi la fine peggiore.
-Ho sorpreso persino me stesso.- Risposi con un tono di voce calante. –Ma per la seconda volta in vita mia non me ne pento.-
-Ci vediamo domani, Kiam. Mi piacerebbe sentirti anche a italiano, preparati.-
La campanella interruppe la lezione e mi lasciò tempo per un povero gesto affermativo. Non avevo idea di cosa avrebbe trattato l’argomento, ma iniziai a provare gusto nell’andare bene a scuola.
Magari stavo cambiando.
O forse, stavo solo cambiando maschera dietro alla quale nascondermi.

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Capitolo 5
*** Liam. ***


Era un argomento interessante, lo studiai scorrevolmente, interrotto solo dal bisogno di qualcuno con cui sfogarmi.
Finito di ripetere quelle lunghe pagine di italiano, mi precipitai a letto, per assicurarmi di non fare tardi il giorno dopo. Era buffo da parte mia, mi svegliai anche in anticipo per sistemarmi i capelli e i vestiti.
Era quasi assurdo, non mi ero mai occupato del mio aspetto o del mio andamento scolastico, cosa mi stava succedendo?
Sgrullai lo zaino e lo appoggiai di peso sulle spalle, sembrava più leggero del solito, o forse ero stranamente tranquillo.
Misi il piede convinto dentro la classe e mi sedetti al solito posto, come ogni mattina, ma girava un’aria completamente diversa.
Per la prima volta salutai i miei compagni e sorrisi. Sorrisi veramente, nonostante  il solito bisogno di comprensione.
I passi pesanti del professore non abbatterono  la mia sicurezza.
-Allora Kiam, alzati in piedi. Hai studiato?-
Stavo per urlare un “secondo lei?!”, ma mi trattenni, e mi limitai ad un: -Sì, professore.-
-Di cosa parlava il testo?-
-Parlava dei diritti.-
-Cerca di farmi un’analisi più precisa.-
-Era la storia di un gruppo di amici che nella vita si sono visti strappare via tutto. Quello che possedevano, che amavano fu portato via dal governo, compresa la loro dignità.- La storia mi aveva coinvolto, ripetei quelle parole con disprezzo, quasi fossi l’avvocato dei giovani.
-Parlami ancora di questi quattro ragazzi.-
Questa domanda mi diede la forza di parlarne per più di quaranta minuti, iniziai a descrivere ogni particolare delle loro storie, quasi l’avessi vissute,ero sicuro di me.
-Ottimo lavoro, qui c’è più che qualche minuto di studio.- Si complimentò lui.
Soddisfazione.
Annui convinto attendendo l’esito del voto. Spalancò gli occhi e mi guardò incuriosito: -Kiam, le va se a lezione finita si ferma a parlare un po’ con me?-
“Ecco che mi boccia”, pensai, per poi vedere la sua espressione allegra e notare il tono gentile con cui aveva posto la domanda. Sapevo che avrei perso l’autobus, che mia madre si sarebbe lamentata per il ritardo e che mio fratello me lo avrebbe rinfacciato, ma accettai.
Ci trovammo fuori completamente soli, a contemplare l’acidità e il disprezzo con cui i miei compagni lasciavano l’edificio.
-Sono decine di anni che insegno, ho visto poche volte un ragazzo come te.-
-Che intende, scusi?-
-Intendo dire che sei un ragazzo particolarmente diverso dagli altri. Se tutti avessero le tue fortune non si atteggerebbero di certo così.-
-Ho già sentito molte volte farmi questa ramanzina. La ringrazio, ma non ne ho bisogno.- Feci per andarmene, ma mi sentii costretto ad attendere una risposta.
-Non è una ramanzina, e tantomeno un rimprovero. È solo una richiesta. Ti va di raccontarmi qualcosa della tua vita?-
-La mia vita è una merda tot…- Mi ricordai di aver davanti un professore. –Scusi il termine, intendevo dire che la mia vita è ripugnante.-
-Oh fai pure, come se io non avessi mai usato quel  tipo di termini!- Mi tranquillizzò lui: -Vai avanti. Cos’è che la rende ripugnante?- Continuava a parlare con estrema gentilezza, era davvero strano da parte sua.
-La perfezione. Pretendono tutti la perfezione.-
-E allora dagliela ‘sta perfezione! Ma da un’altra parte!- Scherzò lui.
Scoppiammo entrambi una risata sentita. Non credevo che fosse persino capace di essere simpatico.
-Oltre a questo, c’è qualcos’ altro che ti disturba?
-Disturbare no, ma impazzire sì.- Poco dopo aver concluso la frase, ebbi il desiderio di rimangiarmi tutto, cosa stavo facendo?
-Hai tempo di raccontarmelo?-
Immagino che avrei dovuto negargli i miei racconti e scappare col primo pullman, ma sentivo di potermi fidare di lui, così mi esposi.
-Mio fratello ha portato a casa due chili di cocaina per proteggere una sua amica da una brutta sorte.-
-E quindi?-
-E quindi l’ha nascosta in camera mia.-
-Oh, hai paura che i tuoi la possano trovare e pensar male?-
-Non solo.-
-Cos’altro c’è, allora?-
-La storia della ragazza mi ha inquietato da morire. Credo che l’ansia mi distruggerà.-                                   
-Hai voglia di raccontarmene un pezzo?-
-E’ la fine che mi ha distrutto … L’improvvisa scomparsa del suo ragazzo senza nome, la sua eterna sfortuna, la sua vita sballata.-
-Fermati un secondo. Stiamo parlando di Alison e Liam?-
-Alison, esatto! Alison!- Sobbalzai immediatamente. Persino lui ne aveva sentito parlare? Anche lui conosceva la storia? Mi domandai mille cose, per poi soffermarmi sul secondo nome: -Chi è Liam?-
-Il rinomato “mistero”.-
-Come conosce il suo nome?-
-Conosco a memoria quella storia, molto meglio di chiunque altro. L’unica cosa che mi sfugge è la fine, la fatidica fine.-
-Come mai si meritò quella reputazione?-
-Quel ragazzo non fece mai nulla di strano, fu solo questione di vendetta.-
-Vendetta?-
-Hai capito bene. Una persona voleva la sua distruzione. Il suo disprezzo. Così mise in giro assurdità, che lo fecero appassire.-
-Chi?-
-Un ragazzo. Era il suo migliore amico.-
-Come fa a sapere tutto questo?-
-Prometti di credermi?-
Annuii convinto.
-Che tu ci creda o no, Liam era mio figlio.-

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Capitolo 6
*** Emeryville. ***


L’arrivo dell’ultimo autobus utile per tornare a casa rapì tutti i pensieri che la confessione provocò.
-Kiam, è l’ultimo mezzo che hai per tornare a casa, sarebbe meglio che tu vada, o i tuoi si preoccuperanno, non credi? Ne parleremo domani, abbiamo un anno intero per combattere.-
-Non so se ne avremo l’opportunità.-
-L’anno è lungo, l’avremo eccome!-
-Ne è sicuro?-
-Sicurissimo.- confermò annuendo.  -Ora vai o perderai il pullman!- Sorrise e fece cenno con la mano di correre, mi chiesi se quell’uomo avesse ancora tanto da nascondermi, perdendomi nei miei pensieri, e non notai il mezzo in fase di partenza.
Iniziai a correre come un ossesso, inseguii l’ammasso di gente e carrozzeria fino alla fermata e il gentile autista si fermò, dandomi la possibilità di salire.
Un ultimo posto vuoto. Un’ ultima occasione di pensare in solitudine.
La pioggerella batteva tranquilla sui finestrini del veicolo, mentre io tentavo di illudere la mia mente di star sognando e di potermi permettere un meritato riposo. I tentativi fallirono e mi vidi costretto a nascondermi sotto ogni tipo di pensiero e mascherarmi dal giullare che avevo sempre voluto essere.
Appiattii l’ammasso di capelli dritti sotto un cappellino che un passante aveva appoggiato sul sellino e mi tolsi il giacchetto, nonostante fossero appena nove gradi ed ero l’unico cittadino in maniche corte.
Ero seduto all’’ultimo posto, il più lontano, per nascondermi da occhi indiscreti, e misi il giacchetto dentro lo zaino. Feci la stessa cosa per gli anfibi.
Controllai il portafogli: ero rimasto con ventuno dollari e poca fiducia di andare avanti, ma scesi alla fermata prima della solita e presi il primo treno che passò, senza nemmeno controllare la direzione.
Finalmente ero scappato: scappato a da tutti e tutto, fuggito dalla gente superficiale che non mi aveva mai voluto capire, fuggito dal mondo che non mi aveva mai voluto accettare, lontano da una storia che non sarei mai riuscito a capire.
Probabilmente era meglio così.
Non avevo la minima idea di come sarei sopravvissuto:  ventuno dollari sarebbero stati sufficienti per sopravvivere massimo un paio di giorni, ma non importava.
Per parecchio rimasi convinto che la vita si stava prendendo gioco di me, era tutto terribilmente assurdo, esageratamente assurdo. Mi convinsi della veridicità dei miei pensieri e affogai nel freddo clima del treno solitario.
Il suono allucinante dell’ultima fermata mi riportò nel mondo degli umani e scesi rapidamente dal treno.
Non ero mai stato in quella stazione, non era molto grande e non avevo la minima idea di dove mi trovavo, ma sembrava un posto abbastanza tranquillo e semplice.
Probabilmente non avevo ancora preso coscienza: cosa cazzo stavo facendo?
Il treno abbandonò la fermata con un fischio ancora più prolungato ed assordante, tanto da svegliarmi definitivamente e farmi realizzare l’enorme stupidaggine che stavo facendo.
Scappare di casa alle quattro del pomeriggio, con ventuno dollari in tasca, in una città di cui non sapevo assolutamente nulla; probabilmente ero drogato.
Un ragazzino dalla maglia colorata e l’aspetto simpatico mi si avvicinò quasi fossi un suo vecchio amico, e in effetti quel viso e quell’espressione eternamente giovane mi erano familiari, ma non la ricollegai a nulla.
Il suo passo rallentava costantemente e teneva lo sguardo fisso su di me, mentre cercavo di evitarlo per non farmi riconoscere, in caso anche lui abbia visto qualcosa di familiare in me o, magari, anche riconosciuto, mandando a monte i miei piani assurdi.
-Mio Dio Kiam!- Il ragazzo mi aveva visto davvero, ero spacciato.
-Da quanto tempo!- Improvvisai, fingendo di riconoscere la figura colorata ed agitata.
-Davvero amico… hai cambiato stile eh? Stai bene!-
-Ti ringrazio.- Risposi semplicemente abbozzando un sorriso inutile.
-Cosa ci fai qua? Non mi aspettavo di incontrarti. Qui il turismo sembra deceduto ed è difficile che qualcuno di Oakland venga a finire qui a Emeryville.- Affermò prendendomi a braccetto conducendomi fuori dalla stazione.
-Oh, Emeryville!- Esclamai sovrappensiero. –Perché? È proprio un bel posto dove vivere, no?-
Era tutto molto umiliante: stavo parlando con un ragazzo che si ricordava tutto di me, mentre io annuivo distratto, rischiando sempre che cogliesse la mia amnesia.
-Ma perché sei venuto?-
-Volevo solamente fare un giretto, Oakland dopo un po’ diventa parecchio noiosa.- Mi scappò una risatina, la noia era l’ultima cosa che popolava la mia mente contorta in quel periodo.
-Potevi almeno avvertirmi!- Esclamò irritato. –Ah, non importa. Ormai sei qui e dopo tutti questi anni possiamo ancora parlare come un tempo!- Quel ragazzo aveva ancora l’entusiasmo di un bambino. Contrastavamo parecchio: lui allegro e spensierato, io nero e contorto nei miei pensieri confusi di una vita in bilico, una scomparsa insensata e un professore collegato a tutto.
Stavo ragionando su come scoprire il suo nome e come c’eravamo conosciuti senza fare domande dirette, quando la mia suoneria improvvisa mi costrinse a distrarmi.
Mia madre: non potevo risponderle.
-Tutto bene?- Chiese, torcendo lo sguardo.
-Sì, tutto benissimo.- Risposi con la menzogna fra i denti e massacrandomi i capelli.
Ancora quella suoneria che iniziavo ad odiare: stavolta era mio fratello.
In quel momento la confusione mi divorò l’anima.
Aveva il diritto di sapere. Mi stavo arrendendo:entro domani mi avrebbero ritrovato e finita la punizione sarebbe tornato tutto come prima. Forse sarebbe meglio così: dovevo risolvere quell’arcano.
-Scusa amico, rispondo a mio fratello, poi mi racconti della tua vita!- Mi scusai, con aria un po’ acida.
-Fai pure!- Rispose, con la solita grazia.
_
-Pronto?-
-Porco cazzo Kiam, dove ti sei cacciato ora? Ti ammazzo due volte! Cosa cazzo ti è saltato in mente?-
La sua solita finezza mi fece sobbalzare.
-Tony, tranquillo, va tutto bene!- Tentai di calmare le acque, con scarsi risultati.
-Dove sei?-
-Mi devi promettere che non mi opporrai resistenza.-
-Dove sei?- Ripeté ancora, stavolta scandendo meglio le parole.
-Promettimelo!-
-Dipende. Ora parla.-
-Sono a Emeryville.-
-Cosa? Emeryville? Con chi sei? Sei solo? Perché sei lì?Oddio, che cazzo fai?-
-Ho sedici anni, so badare a me stesso.-
-Non mi sembra.-
-Non sono solo, sto con un amico.- Dissi, abbassando la voce.
-Kiam, perché? Ti hanno detto qualcosa?-
-Il signor Backfield….”
-Il tuo professore?-
-Esattamente.-
Tony si zittì e supposi che si pietrificò. Quel nome gli diede una stretta al cuore.
-Backfield? Cosa di ha detto?- Balbettò.
Stavo per rispondere, quando cadde la linea a causa della mancanza di soldi di mio fratello.

Il ragazzo mi chiamò.
-Hei, Kiam, ma sei sicuro di ricordarti di me?-
-Devo essere sincero? Non ricordo.- Azzardai.
-Oh, capisco. Eri così piccolo. Sono Liam! Non ricordi nulla? Giocavo con tuo fratello e la sua amica da sempre.
Forse lui ti ha raccontato diversamente. Ha rinnegato tante volte di conoscermi.
Giù a Oakland non ero considerato un granché.
Lì è rimasto mio padre, l’hai più visto? Henry Backfield.-

Backfield.
Una stretta al cuore mi tolse il respiro.

Un’altra chiamata, ancora mio fratello.

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Capitolo 8
*** The Power of Love. ***


Non era il momento giusto per parlare con lui, ma anche evitando la chiamata, avrebbe continuato ad assillarmi . Optai per spegnere il telefono.
-Tutto bene?- Chiese il ragazzo.
-Io sto bene, sto bene.- Ripetei trilioni di volte quel inutile ‘sto bene’ a cui nessuno credeva, tantomeno io, giusto per darmi un po’ di fiducia e sperare che diventasse sincero.
-Sei sicuro di star bene? Non mi sembra.-
-Sto benissimo, Liam. Ti ringrazio.-
-Kiam, ascoltami…- Disse freneticamente. Mi fissò con quei suoi grandi occhi chiari e riprese: -Devi essere sincero con me, sono tuo amico, ti ho sempre voluto bene.- Parlava come se fossi ancora un bambino che deve imparare a distinguere un finto naso per clown da un pomodoro. Io mi limitavo ad annuire, tenendo lo sguardo basso, in modo da renderlo  indecifrabile.
-Cosa ti ha detto di me tuo fratello?-
Non me la sentivo di rispondere; le idee erano completamente confuse, la mia mente continuava ad essere convinta di vivere un terribile incubo e il battito del mio cuore faceva invidia alla batteria di un professionista.
-Tanto non posso fare niente contro di lui. Ti prego, Kiam.-
-Perché raccontarti di mio fratello quando non vuoi raccontarmi nemmeno la tua stessa storia?-
-Ho bisogno di saperlo. Devo capire cosa sa la gente di me, giù a Oakland. Poi, potrò raccontarti cosa successe veramente.-
-Ti chiamava come “Mistero”, diceva che eri strano…- Avevo in mente di fermarmi lì e non toccare l’argomento Alison, supposi che non fosse molto gradito.
-Che altro ti ha detto?-
-Nulla. Non ha detto altro.- Balbettai, fu quello ad ingannarmi e a far insospettire Liam.
-Non avresti quella faccia se fosse così.-
Ironizzai buttando un: “ Ma ho solo questa di faccia!”, ma l’ironia non era mai stata il mio forte.
-Dimmi, ti ha parlato di una certa Alison?-
Finsi di non capire torcendo lo sguardo, ma non resse molto.
-Okay, te ne ha parlato.- Dedusse.
-Lo ammetto. L’ha fatto.-
-Avrà detto che sono un pezzo di merda, che mi approfittavo di lei, che ho tentato di ucciderla, che non l’ho mai amata, che era solo un modo per avere vendetta e che sono un povero stronzo che desidera morto. O sbaglio?-
-Sbagli.-
-Non mi mentire ancora, ti prego.-
-Cosa me l’hai chiesto a fare se non mi dai nemmeno spazio per risponderti sinceramente?- Risposi acido, stava incominciando ad odiarmi.
-Voglio assicurarmi che tu non mi racconti altre stronzate.-
-Ha parlato di te come un ragazzo che non conosceva, in cui Alison aveva rivisto se stessa, una povera anima odiata dai genitori, dai ragazzi, perfino dalla vita.-
Mi nascose lo sguardo voltandosi, non ho idea dell’espressione che aveva assunto, ma potevo immaginarla.
Giocò con i capelli e finalmente si voltò, notai che le mani erano impresse da morsi.
-Tutto bene?- Domandai.
Come risposta uno sguardo perso, un viso spento.
-Non ha mai parlato di te con rancore.-
-Davvero? Non me l’aspettavo.-
-Perché? Avrebbe dovuto?-
-Lo ha sempre fatto.-
-Cosa?- Esitai. Mi ero perso un pezzo del puzzle.
-Sai, Kiam, ci sono cose che vanno oltre la ragione, oltre l’amicizia, oltre l’uomo, oltre la vita.-
Sospirai, pregandolo di continuare.
-Sono cose a cui non si può dare una spiegazione: è come un fantasma che cresce dentro di noi e ci perseguita finché non ci ha distrutto completamente.
L’uomo ha sempre stupidamente cercato di controllarlo, ma spesso un essere umano sarebbe disposto a partire e cercare la fine dell’universo, pur di averlo. La cosa ridicola è che tutto ciò consuma ognuno di noi, così finiamo per dimenticarcene, ma ciò che più è assurdo e delirante è che lui non si dimentica mai di noi.-
Corrugai lo sguardo e lasciai che Liam leggesse la mia incomprensione.
-Si chiama amore, ragazzo.-
-Vuoi dire che…- cercai le parole giuste. –Vuoi dire che fu questo a consumarti?-
-Il contrario. Mi fece rinascere, mentre s’impossessava del tormentato spirito di tuo fratello.-
-Fu lui quel migliore amico che ti rovinò la reputazione, di cui tanto tuo padre mi raccontò?-
-Vedo che hai parlato anche con mio padre.-
-Rispondimi, per favore.-
-Non mi rovinò la reputazione, non ho mai avuto una reputazione.-
Continuai a tacere nell’ombra della notte di Emeryville.
-L’idea di ragazzo sfigato che avevano, si trasformò in paura.-
-Paura?-
-La gente era terrorizzata da me, lì hanno una mentalità di merda, credulona e spietata. Alle prime cazzate di tuo fratello, smisi di vivere.
Poi, finalmente, Alison trovò la mia anima smarrita, quando erano già due anni che aspettavo.
-L’amore fa davvero questo?-

-Un giorno l’imparerai. Prego per te che questo sia il più lontano possibile.-

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