Col senno di poi

di Tenar80
(/viewuser.php?uid=192826)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Ritenere SH un genio porta sfortuna ***
Capitolo 2: *** Era orribile, ma gli ho voluto bene per questo ***
Capitolo 3: *** 3 - Un animale scarsamente istintivo ***
Capitolo 4: *** 4 - Una volta di troppo ***
Capitolo 5: *** 5 - Ho potuto solo restare a guardare ***



Capitolo 1
*** 1 - Ritenere SH un genio porta sfortuna ***



Che ansia, la mia prima FF in assoluto.
Dunque, i personaggi non sono miei, ma è stato tanto divertente prenderli in prestito. La storia non è stata scritta a fine di lucro.
Sono una donna senza malizia, dunque non troverete nulla di più verde di questo. E’ il racconto di Lestrade, su come ha incontrato Sherlock. Lestrade scrive al termine della seconda stagione, dunque vi sono alcuni accenni agli eventi.
Ogni recensione è, ovviamente, benvenuta.
COL SENNO DI POI
 Forse questo segnerà la fine definitiva della mia carriera. Forse darà solo origine a qualche risata in più durante la pausa caffè. Tanto, dubito ormai di rientrare dalla sospensione.
 Forse sono solo stufo di sentirmi domandare: “Con il senno di poi, come ha potuto fidarsi così tante volte di quell’impostore di Sherlock Holmes?” Per poi vedere il mio interlocutore andarsene mentre io sto ancora cercando di radunare i pensieri. L’ispettore Lestrade non sa rispondere alla domanda, scrivono poi. 
 Ma io ragiono lentamente, niente intuizioni come esplosioni di dinamite, per me. Ho bisogno di tempo e di silenzio.
 E’ passata una settimana dalla sua morte e adesso sono pronto a rispondere.
 Col senno di poi, non credo che Sherlock Holmes fosse un impostore o un criminale. 
 Questo è il racconto di come l’ho conosciuto e del perché mi sono fidato di lui.
*
 Ho incontrato per la prima volta il nome di Sherlock Holmes una mattina di febbraio, quasi sette anni fa, tra i documenti che stavo leggendo mentre mi recavo sulla scena di un probabile omicidio.
 Il morto era Oskar Harrison, professore emerito di paleopatologia - disciplina di cui non conoscevo neppure l’esistenza, figuriamoci cosa trattasse - anni sessantacinque, vedovo, senza figli. Trovato dalla donna delle pulizie alle ore 8.30 riverso nel salotto di casa sua. L’uomo soffriva di varie patologie e forse nessuno ci avrebbe chiamato, se il corpo non fosse stato trovato con un biro vicino alla mano e la lettera “M”, tremante, ma riconoscibile, scritta sul parquet. 
 In macchina avevo letto quello che avevo trovato su di lui. A quanto pareva si occupava delle malattie della gente morta. Morta da molto tempo. Il suo lavoro era cercare di stabilire causa di morte e patologie di mummie e scheletri antichi a favore della ricerca storica. Un’occupazione che mi parve di rara inutilità e profonda noia. Era tecnicamente un medico e insegnava nella facoltà di medicina al St Thomas’ - dove teneva un corso il cui numero di allievi oscillava tra uno e otto a seconda degli anni - ma collaborava con i dipartimenti di storia e archeologia delle principali università inglesi. Anche se avesse sbagliato una diagnosi, pensai, difficilmente il paziente gli avrebbe fatto causa e questo lo aveva aiutato nel condurre una vita priva di nemici. Fino al giorno prima.
 A quanto pareva, il pomeriggio precedente era stato convocato dal rettore per una riunione ristretta che aveva lo scopo di decidere se espellere dall’università un tale Sherlock Holmes, uno studente fuori corso e dai risultati non troppo brillanti. A quanto pareva, questo Sherlock Holmes aveva affrontato il rettore nel cortile dell’Università accusandolo di aver fatto pressioni per favorire nell’esame finale di specializzazione in patologia una candidata, tale Elizabeth Conner, su un’altra, Molly Hooper. Secondo lo studente, in base a tutta una serie di particolari da lui osservati, era deducibile che la Conner fosse l’amante del rettore.
 Nulla di strano, dunque, che questo Holmes, che immaginavo avventato, sciocco e innamorato dell’altra candidata, si fosse fatto espellere. La cosa strana era che Harrison l’aveva difeso. Negli atti della riunione era riportata la frase con cui era uscito sbattendo la porta.
 - Sherlock Holmes è un genio e l’università dovrebbe farsi un vanto ad averlo tra i suoi studenti.
 Col senno di poi posso affermare che ritenere Sherlock Holmes un genio non porta affatto fortuna.
La scena del crimine era come mi era stata descritta: una casa ordinata, nei caldi toni del legno di ciliegio, tanti libri, un caminetto, due poltrone di cui una palesemente più usata, un violino appoggiato ad una mensola. La casa di un nonno, che nessuno si sognerebbe di uccidere.
 Ero a capo di quella squadra solo da qualche mese, ma tutti si stavano comportando bene. Non che ci fosse molto da fare. Harrison era morto soffocato nel suo stesso vomito durante un attacco convulsivo e prima dei risultati dell’esame tossicologico non avremmo potuto stabilire se fosse o no omicidio. C’era quella biro, certo. Una Bic da pochi cent finita a qualche centimetro dalla sua mano, e la M e qualche altro scarabocchio sul pavimento di legno chiaro. A parte questo e la sedia fatta cadere, la stanza era in ordine. C’erano impronte ovunque, ovviamente, come ci si può aspettare che ce ne siano in una qualsiasi casa abitata prima dell’arrivo della donna delle pulizie. Osservai il morto. Da vivo Harrison aveva avuto probabilmente un aspetto placido e simpatico: un po’ di pancetta, folti baffi grigi, occhiali tondi, non troppo alto e una passione per i cadaveri ben spolpati o debitamente rinsecchiti. 
 - Le ho detto che non può entrare! E’ la scena di un crimine!
 Le parole, gridate, venivano da fuori e la voce era quella di Sally Donovan, la più dotata della squadra, malgrado il suo fare da prima della classe. Il problema doveva essere serio.
 Fu così che lo vidi per la prima volta.
 Col suo immancabile cappotto nero sbottonato, pallido e dritto. 
 Col senno di poi, posso dire di essere stato fortunato, come un appassionato di ornitologia che colga per caso un falco pellegrino posato sul balcone di casa sua, perché aveva in viso un’espressione che mi sarebbe ricapitato di vedere solo due volte. La prima, per pochi secondi soltanto, quando l’anziana con cui stava parlando al telefono era stata fatta saltare in aria. La seconda per un tempo più lungo, quello da me impiegato per togliermi di torno, una mattina in una B&B vicino alla base di Baskerville, quando si accorse che John Watson ce l’aveva ancora con lui per qualcosa capitata la sera prima.
 Questo con senno di poi, però. Quello che vidi allora era un giovane tra i venticinque e i trent’anni che annaspava come se il terreno gli fosse mancato sotto i piedi e mi fece tenerezza. Il più grande errore della mia vita.
 - Voglio vedere il corpo. Subito. - disse.
 - Chi è? - chiesi.
 - Sherlock Holmes.
 - Ah. Quello che ieri Harrison ha difeso.
 - Si. Posso entrare?
 - Mi spiace. No. Era molto legato al professore?
 - Questo è ininfluente. Quello che voglio fare... Lasci stare. Mi arrangio da qui.
 Superò il cordone rosso e bianco, non si diresse verso l’ingresso, ma costeggiò l’edificio, lanciando qualche breve occhiata alle finestre.
 Era strano. Voglio dire, era già strano quel comportamento, ma pensai che fosse sotto shock, l’unica persona che l’aveva difeso era morta. Ho una certa esperienza, purtroppo, nel parlare con persone che scoprono che un proprio caro è appena morto. A volte è meglio assecondarle e stare loro vicine per evitare che facciano qualcosa di stupido.
 - Mi corregga se sbaglio. - disse un attimo dopo.
 - Cosa?
 - Harrison è morto in salotto, è lì che per lo più stanno lavorando i suoi uomini. Trovato al mattino, non troppo presto... Ah, la donna delle pulizie. Dunque niente colpo di pistola o collutazione, in caso contrario i vicini avrebbero sentito e del resto non ci sono segni di effrazione. Un assassino molto silenzioso e dotato di chiavi di casa? Improbabile, Harrison era un uomo prudente, abitando al piano terra aveva porte e finestre blindate e ieri sera, con la pioggia che c’era, aveva chiuso tutto. Solo lui e la donna delle pulizie avevano le chiavi di casa. Altro allora. Veleno? Ma spesso avvelenare un uomo anziano è affare sicuro, nessuno ci pensa, invece siete qui in forze... Ah... Tiene.. Teneva sempre una biro nel taschino, dunque ha scritto qualcosa, per far capire che era stato avvelenato. Come “Murder”.
 Io ero immobile, completamente incapace di parlare, con gli occhi spalancati come quelli di un rospo.
 Dietro di noi Sally Donovan mi faceva dei segni come “bloccalo, bloccalo, è lui!”
 - C’è altro? - chiesi infine, articolando a fatica.
 - Si. - disse lui, dopo averci pensato un attimo - Non è stato un medico.
 - Come?
 - E’ ovvio.
 - Davvero?
 - Ma si, certo. Harrison soffriva di cuore. Tutti lo sapevano in università. Chiunque, persino lei, potrebbe trovare un farmaco o un veleno che causi una crisi cardiaca. Il quel caso Harrison non avrebbe saputo di essere stato avvelenato. Avrebbe cercato di chiamare i soccorsi. Invece no, ha usato i suoi ultimi istanti di lucidità per dirci che si trattava di omicidio. Dunque i sintomi che stava provando non avevano nulla a che fare con le sue patologie. Un medico non commetterebbe mai un errore simile, dunque non è stato un medico. E’ ovvio.
 - Ovvio. - boccheggiai.
 Sally si stava per slogare un braccio a furia di farmi cenni, così le annuii.
 - Adesso l’agente Donovan l’accompagnerà dentro, potrà vedere la scena del crimine, ma non tocchi niente. Poi però dovrà venire con noi in centrale per rispondere a qualche altra domanda.
 Io avevo bisogno di prendere fiato. Sherlock Holmes aveva descritto la scena del crimine senza vederla. O era davvero un genio o era l’assassino più sprovveduto che avessi mai incontrato.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Era orribile, ma gli ho voluto bene per questo ***



 Quando rientrai era del tutto immobile al centro del salotto. Non avevo mai visto un assassino ostentare tanto distacco nei confronti della propria vittima. Col senno di poi, quello non era affatto distacco. Credo che prima di buttarsi da quel tetto, abbia avuto in faccia quella stessa espressione.
 - Non è entrato nessuno. - disse - Harrison aveva appena finito di fare colazione, brioche, the e succo d’arancia. Ha rassettato tutto ed è venuto qui, dove ha iniziato a stare male. Quello è il mio violino, posso riaverlo? 
 - Eh? - iniziavo ad essere piuttosto confuso - E’ normale che sia qui, il suo violino?
 - Ah, si. Ho... O meglio dire, avevo, una camera in una casa per studenti, si lamentavano. Ad Harrison piaceva Bach, quindi suonavo qui.
 - Era molto intimo con Harrison? - chiese Donovan
 - Intimo? - parve non capire la domanda, poi si strinse nelle spalle - Lavoravo con lui. Voleva essere il mio relatore. A volte venivo qui a suonare o a parlare dei casi di lavoro. Avevamo un accordo e ogni volta mi obbligava a mangiare qualcosa.
 - Perché?
 - Mangiare è noioso. Tendo a non farlo.
 Donovan, dietro di lui, stava iniziando a picchiarsi un dito sulla tempia e a muovere in silenzio le labbra “Questo è pazzo. Completamente.”
 - L’agente Donovan l’accompagnerà in centrale, la raggiungerò appena possibile.
 Uscii con loro.
 - Devo proprio andare con la macchina della polizia? - mi chiese, ignorando Sally Donovan.
 - Si, temo di si. 
 Se lo lascio andare ora, pensai, non lo vedrò mai più. Col senno di poi, ovviamente, era una sciocchezza. Mi ero solo imbattuto in una delle sue stranezze. Ma quel giorno non lo sapevo e Sherlock si limitò ad annuire. La prima ed unica volta che sia riuscito a farlo salire su una delle nostre auto.
 Il quel momento, da una strada laterale, vidi arrivare una donna di corsa. Era una ragazza più o meno dell’età di Sherlock, capelli lunghi che fuggivano da una coda e l’abbigliamento dimesso di chi non vuole farsi troppo notare.
 - Cos’è successo? - gridò, rivolta al nostro sospettato.
 - Molly, cosa ci fai qui? - rispose lui
 - Volevo ringraziare Harrison, ho saputo che ti ha difeso, anche se non è bastato. Non sai quanto mi dispiaccia che tu sia stato espulso...
 - Smettila di dispiacerti per me, Molly Hooper. Harrison è stato ucciso.
 - Ah...
 La ragazza, Molly Hooper era già pallida, ma sbiancò ulteriormente.
 - E tu, Sherlock, stai bene? Perché stai andando con la polizia?
 - Ti fideresti di loro per trovare un assassino? Mi rendo utile.
 E salì in macchina.
 Io rimasi davanti alla casa con Molly Hooper, la ragazza per la quale Sherlock si era fatto espellere dall’università. Avevo supposto tra loro un rapporto che di certo non era trapelato da quel rapido scambio. 
 - Da quanto ho capito, quel ragazzo si è preso un bel rischio per difenderla. Siete molto amici? - chiesi.
 - Con Sherlock? Fino a ieri ero convinta che mi odiasse.
 - Cosa?
 - Se gli serviva un’analisi aveva sempre una scusa per farla fare a me, oppure voleva vedere i cadaveri su cui dovevo fare le autopsie per confrontarli con i suoi resti ossei. - disse - E ogni volta, ogni dannata volta, mi diceva qualcosa di orribile. “Sei patetica nel tuo tentativo di piacere a George, Molly Hooper, lui si sbatte già l’infermiera del quarto piano”. Oppure: “Le canzoni che ascolti, Molly Hooper, mi fanno dubitare che tu abbia più attività celebrale del cadavere che stai esaminando”. Eppure a volte gli ho voluto bene per questo.
 - Davvero?
 - Non ho avuto un gran periodo. - disse, un po’ in imbarazzo - Mio padre è morto da poco, dopo una malattia... Difficile. Tutti si sforzavano di essere gentili con me, in modo falso e zuccheroso. Tranne Sherlock. Lui era orribile come al solito. E riusciva a farmi sentire di nuovo me stessa.
 - Tutto è iniziato per il suo voto di specializzazione, vero? E’ così importante aver preso più o meno di un’altra candidata?
 - Al Bart’s cercano un patologo, adesso il posto lo avrà Elisabeth, immagino. E io... Avrei davvero bisogno di lavorare, ecco.
 - Se non eravate amici, le ha detto perché l’ha difesa?
 - Oh, certo. “Perché è così che è andata Molly Hooper. E tu devi fare le mie analisi e al Bart’s saremmo stati comodi entrambi. Ha ottimi laboratori”. C’era anche Harrison, si è messo a ridere. Forse è questo che bisogna fare con Sherlock, lasciarlo parlare e poi mettersi a ridere, ma non è facile.
 Mettersi a ridere. Me lo appuntai mentalmente. Col senno di poi, la frase da ricordare era l’altra, “ma non è facile”. L’unico che ci sia riuscito dopo Harrison, che io sappia, è John Watson.
 - Che rapporti aveva Sherlock con Harrison?
 - Era l’unico che lo sopportasse. Senza Harrison Sherlock si sarebbe fatto espellere anni fa, o forse avrebbe solo smesso di frequentare. Harrison l’ha preso nel suo staff, anzi, Sherlock è diventato lo staff di Harrison, dato che prima non ne aveva uno. Sherlock si divertiva davvero a cercare di capire chi fosse stato in vita uno scheletro e come fosse morto. Se poi scopriva che era stato ucciso diventava euforico e si buttava alla ricerca del probabile assassino come se la vittima fosse stata il suo migliore amico. E Harrison... Sherlock lo ascoltava davvero, senza supponenza, come se fosse un suo pari. Gli obbediva perfino. Lui, Sherlock, aveva smesso di dare esami anni fa. E’ il migliore, davvero, non c’è biochimico che possa stargli a pari, ma difficilmente dava un esame e quasi sempre finiva per farsi buttare fuori. Harrison aveva deciso che Sherlock si sarebbe laureato e lui tre settimane fa ha dato farmacologia senza irritare nessuno. Un evento. C’era persino un giro di scommesse a riguardo. 
 Sorrisi mio malgrado. La ragazza era cotta. Parlava con orgoglio di quel giovane psicotico.
 - Dunque non pensa che potrebbe averlo ucciso?
 - Sherlock? Io voglio pensare, no, sono sicura che sia una brava persona.
 Proprio cotta. Eppure, con il senno di poi, sono nella sua stessa situazione. Nonostante tutto voglio pensare che Sherlock Holmes fosse una brava persona.
Note: eccomi qui, a litigare con la connessione che va e viene. Un enorme grazie a quanti sono giunti a leggere fin qui e uno ancora più grosso a chi ha voluto commentare.
Mi sono sempre chiesta a che facoltà fosse iscritto Sherlock Holmes, di sicuro avrebbe apprezzato paleopatologia, una disciplina in cui si ragiona come detective. Da qui l’idea del professor Harrison. Dato che nella serie la persona verso la quale S. mostra più spontaneamente affetto è la signora Hutson, ho pensato che forse si sente meno minacciato dagli anziani e un anziano luminare senza figli avrebbe potuto avere l’istinto di prenderlo sotto la propria ala. 
Questo però è il capitolo di Molly, un personaggio che amo molto, ma che non avrà modo di rientrare in scena.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3 - Un animale scarsamente istintivo ***



Rientrai in centrale una volta finiti i rilievi.
 Trovai Sherlock Holmes su un terrazzo all’ultimo piano, seduto per terra, con una sigaretta in mano. E tre mesi di orgogliosa astinenza andarono, letteralmente, in fumo.
 - Ne hai una ? - chiesi, passando inconsciamente ad un approccio meno formale.
 Annuì.
 - La nicotina aiuta a pensare. - disse.
 Allora, pensai, ho qualcosa in comune con lui, non può essere così strano come tutti vogliono farmi credere. 
 - Non è stato per me che Harrison è stato ucciso. - continuò. - Ormai sono espulso e lo scandalo sul rettore è scoppiato. La difesa di Harrison non ha influito minimamente. Questo rafforza la mia ipotesi. Non è stato un medico. Si sa cosa l’ha ucciso?
 Ecco, io dovevo interrogare lui e invece lui stava interrogando me. Tipico. Ma allora non lo sapevo.
 - No. Non avremo i risultati prima di domani.
 - Siamo nel XXI secolo e la tecnologia ancora non sta al passo col pensiero. Patetico. Fatele fare a Molly le analisi, se volete stare tranquilli.
 - Perché?
 - E’ la più brava. Anche quando è sotto stress riesce ad essere accurata e obiettiva. 
 - Mi pare di capire che tu ti diverta a metterla sotto stress.
 - Mi toglie la noia, per un po’.
 - Il violino non è l’unica cosa tua che abbiamo trovato a casa di Harrison.
 - Lo so. 
 Non aveva mosso neppure un muscolo.
 - Una busta sigillata, nella cassaforte del professore. - dissi
 - Contenente una custodia in marocchino, una siringa e delle fiale. - continuò lui.
 - Sei all’antica. Oggi la gente preferisce sniffare.
 - Effetto troppo breve.
 - Vuoi spiegarmi?
 - Non sai dedurre niente, ispettore? Mi facevo ricattare. Un pasto per ogni esecuzione al violino e un premio ogni tre mesi senza droga. Mancava poco, c’era altro in cassaforte?
 - Due biglietti per il Don Giovanni, tra due settimane.
 Chiuse gli occhi. Mi apparve glaciale, forse era disperato.
 - Ah. Sapeva come motivarmi. - disse infine.
 - Qualcuno pensa che questo ti dia un movente. Magari non volevi che dicesse in giro che ti facevi, magari volevi solo riprenderti la roba.
 - Qualcuno pensa. Non lei. Perché?
 - Istinto.
 - L’uomo è un animale scarsamente istintivo, ispettore. Dovrebbe affidarsi alla logica, piuttosto.
 - Va bene. Solo ieri Harrison ti ha difeso, non voleva denunciarti. La droga era ancora nella sua cassaforte e comunque avresti potuto procurartene altra con facilità.
 - Meglio. Posso andare?
 - Si, ma potrei aver bisogno di riparlarti.
 - Ma certo che riparleremo. Appena ci saranno i risultati. Le telefonerò e verrò da lei.
 Se ne andò e io rimasi sul terrazzo a fumare la sigaretta che mi aveva dato. Buonissima. Non gli avevo dato il mio numero e lui non mi aveva dato il suo. Come mi avrebbe chiamato?
 Mi avvicinai alla balaustra e guardai giù. Stava uscendo in quel momento. C’era una macchina scura, elegante, posteggiata proprio davanti all’ingresso. Sherlock vi si diresse. Una portiera si aprì, ma il giovane non salì e iniziò una discussione con qualcuno che era a bordo. Dunque aveva conoscenze altolocate, molto altolocate, a giudicare dall’auto, con le quali non era in buoni rapporti. La portiera di richiuse con violenza e Sherlock si allontanò a piedi, solo.
 Sospirai, rientrando in ufficio.
 Donovan non era affatto entusiasta del fatto che io avessi lasciato andare Sherlock Holmes.
 - Come faceva a conoscere la scena del crimine?
 - Harrison è stato avvelenato, Sally, l’assassino non doveva essere presente. Può averla davvero dedotta.
  • E’ una psicotico drogato. E’ pericoloso. E non lo rivedremo più.
*
 Il mattino dopo ero di buon umore. Quando si fa il mio lavoro si ha a che fare ogni giorno con delle tragedie e ci si abitua a non farsi turbare. La sera prima ero uscito con mia moglie per festeggiare il nostro anniversario, le avevo regalato una collana che le stava d’incanto e lei un profumo che aveva insistito mettessi subito. Poi avevamo fatto l’amore. Due volte. Erano anni che non capitava.
 Guardai il messaggio con un sorriso.
Veleno per topi.
SH
 Come diavolo aveva fatto ad avere il mio numero? E i risultati prima di me? E meno male che Sally aveva detto che non l’avremmo più rivisto o sentito. Non mi aveva fatto neppure terminare la colazione.
Vieni in centrale tra un’ora.
Lestrade

Tra mezz’ora andrà benissimo. Sbrigati.
SH
 Col senno di poi, quel messaggio definì per sempre i nostri rapporti. Gli lasciai l’ultima parola e ubbidii. 
 Lo trovai nel mio ufficio, seduto sulla mia sedia, con in mano una tazza di the, la mia tazza, che si era preparato con il mio bollitore. 
 - Chi ti ha dato i risultati?
 - Nessuno. Ho fatto le analisi da me.
 - Come?
 - Voi davvero saperlo?
 - Non lo so. Forse. - controllai che fossimo soli - Si.
 - E’ ovvio. Sono entrato nel laboratorio questa notte. Non mi fido della vostra scientifica. Dovreste assumere voi Molly. Comunque è stato banale. Ci arriverà anche il vostro uomo, mezz’ora e avrete i risultati.
 - E come saresti entrato... No, non voglio saperlo. Sei pazzo, lo sai?
 - Sociopatico iperattivo ad altissimo potenziale. Forse sindrome di Aspenger, ma non ne era sicuro.
 - Chi?
 - Chi mi ha fatto la diagnosi. Anch’io ho una famiglia che si preoccupa per me. Purtroppo. 
 - I sociopatici non sono i serial killer? - boccheggiai.
 - Solo quelli impotenti che si eccitano uccidendo. 
 - Ah.
 - Non preoccuparti. Il Governo non mi lascerebbe andare in giro, se fossi un pericolo per la società.
 - Il governo si preoccupa di te?
 - Costantemente.
 In quel momento la porta del mio ufficio si aprì e entrò Sally, che strabuzzò gli occhi nel vedere Sherlock.
 - Veleno per topi. - dissi.
 - Come lo sai? - chiese.
 - Ho telefonato in laboratorio. - mentii. Era meglio.
 - C’era del veleno per topi a casa di Harrison. - disse Sally
 - Ovvio. Abitava al piano terra. Nessuno può sopravvivere a Londra al piano terra senza veleno per topi. - si intromise Sherlock.
 - Bene, genio. Questo restringe i sospetti a quanti frequentavano la sua casa. Margaret Olver, la donna delle pulizie e tu.
 Sherlock non si scompose.
 - Maggie non è stata, avrebbe ricevuto un aumento a fine mese. Aveva bisogno di quel denaro. Sicuri che sia proprio lo stesso veleno per topi?
 - Controlleremo. Se non è stata Maggie non resti che tu. Beneficiario di parte dell’eredità di Harrison. Immagino che sia una bella tentazione per uno studente fuori corso e senza lavoro. - continuò Sally.
 - Non ho bisogno di denaro. E di certo non l’avrei ucciso con del veleno per topi preso in casa sua.
 - Sotto l’effetto di droghe si perde lucidità.
 - La mia droga era nella cassaforte di Harrison, in caso contrario non l’avreste trovata.
 La discussione sembrava senza via d’uscita. Donovan si era cimentata in un’impresa impossibile: tacitare Sherlock.
 - Va bene, Sally. Vai pure. Con lui parlo io. - intervenni.
Aspettai che si fosse allontanata, prima di tornare a rivolgermi al giovane.
 - Il professor Harrison ti era davvero affezionato. - dissi.
 Sherlock aveva ripreso a bere il the.
 - Non sapevo che mi avesse inserito nel suo testamento. - disse, con lo stesso tono con cui avrebbe potuto dire “Non pensavo che sarebbe uscito il sole così presto.”
 - La cosa ti stupisce?
 - No. Non aveva figli, solo un paio di nipoti che vedeva un paio di volte l’anno. Sperava che continuassi le sue ricerche. Ovvio che si fosse affezionato.
 - Ne parli come fosse una delle mummie che studiavate.
 - Lo riporterei in vita se mi mostrassi afflitto? Prenderemmo prima il suo assassino?
 - No. Ma mineresti un poco la sicurezza di Donovan che l’assassino sia tu.
 Sorrise.
 - Mentre aspettiamo il confronto col veleno trovato in casa, ragioniamo. - disse - Con cosa l’ha assunto? Controllate il succo d’arancia. Nel the è improbabile.
 Annuii. 
 - Io devo andare a interrogare la donna delle pulizie, Maggie. Tu resta qui.
 - Non essere assurdo. Ho da fare.
 - Sei un sospettato. Hai un movente e il profilo psicologico di un serial killer, considerati in stato di fermo.
 - Te ne pentirai.
 - Probabile.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4 - Una volta di troppo ***



Tornai verso mezzogiorno. Come aveva detto Sherlock, non era stata Maggie. Aveva tre figli piccoli e la sua maggiore preoccupazione era quella di aver perso il posto. Non è una buona nota sul curriculum l’aver trovato il proprio datore di lavoro morto.
 L’ufficio era nel caos.
 - Perché non l’hai messo in cella? - mi aggredì Sally - Io lo ammazzo.
 - Cos’ha fatto?
 - Si è appropriato del tuo computer e da lì di tutto il sistema informatico. Ha avuto accesso ai casi aperti e ha iniziato a mandare messaggi a tutti i responsabili indicando quelli che secondo lui erano i colpevoli.
 - E le password?
 - Erano banali, ha detto.
 - Cambiate le password e cambiamo i programmi. E i programmatori. - sospirai.

 Trovai Sherlock e gli lanciai un panino.
 - Mangia.
 - La digestione impegna sangue. Lo toglie al cervello. 
 - Appunto. Mangia o ti sbatto dentro. Quello che hai fatto era illegale.
 - Era indispensabile. Avete una marea di casi banali ancora aperti, con le prove lì sotto il vostro naso. Ne ho risolti almeno sette. Dovresti darmi una medaglia, non minacciarmi.
 - Mangia. - ringhiai.
 Con la bocca piena e le mani impegnate sarebbe stato più controllabile.
 - C’è stata una rissa ieri sera nell’isolato di fianco a quello della casa di Harrison. Devo controllare come si sono svolti i fatti.
 - E secondo te le cose sono collegate?
 - Forse. Non bisogna fare teorie prima di aver raccolto tutti i dati e qui non posso farlo. Il mio cervello ammuffisce e l’assassino rimane libero.
 - Tu adesso mangi e rimani qui. Se il veleno si rivelerà diverso da quello che aveva Harrison potrai uscire, se no ti arresto per omicidio.
 Sbuffò e diede un morso svogliato al panino.
 - L’hai comprato nella panetteria vicino alla casa di Harrison. - disse, soprappensiero, - Lo stesso che mangiava lui. Se lo faceva portare ogni mattina.
 Cercai di non ascoltarlo. Volevo mangiare anch’io, ma vidi Sally che mi faceva cenno da fuori la porta. Dovevo lasciarlo di nuovo solo nel mio ufficio? Che il cielo me la mandasse buona.
 - Dimmi. - disse, chiudendo la porta dietro di me.
 - La sua posizione si complica. - disse la donna.
  • Ancora di più? - Improbabile.
 - Harrison riceveva bonifici regolari, 400 sterline la settimana, causale: “Controllo SH”.
 - Chi lo pagava?
 - Questo è complicato. Se cerchiamo di risalire al conto, il sistema continua a darci errore.
 - Vedete di risolvere il problema, in caso contrario sarà ininfluente, in tribunale.
 - Tu però pensi ancora che sia innocente.
 - Si.
 - Perché? 
 - Avevo un compagno così al liceo. - dissi - Su di lui la pensavo come te su Sherlock.
 - Ed è diventato un assassino?
 - Si è buttato sotto un treno a diciannove anni. Qualcuno gli ha dato dello psicotico una volta di troppo.
 Il mio cellulare squillò e mi allontani per rispondere. Quando tornai da Sally, lei vide il mio sorriso.
 - Uno dei detective che Sherlock ha contattato. Hanno arrestato l’uomo che il tuo psicotico ha indicato.  Hanno seguito le sue istruzioni e l’assassino è crollato subito, era un caso aperto da quattro anni. Vogliono sapere il nome del mio consulente.
 - Fortuna.
 - Forse no, Sally.
 Facendomi forza, tornai da lui. 
 Il mio ufficio era ancora intatto.
 - Posso andare? - chiese Sherlock
 Il panino era ancora quasi tutto sulla mia scrivania.
 - No. Sei il nostro principale sospettato, rassegnati. Chi pagava Harrison per avere notizie su di te?
 - Mio fratello. - rispose, senza scomporsi - Io e il professore ci dividevamo i soldi. Era la mia principale entrata.
 400 sterline alla settimana. Del resto Sherlock indossava un cappotto che ne valeva almeno mille e ripensai all’auto elegante che si era fermata vicino a lui.
 - Vorrei volerlo anch’io un fratello così.
 - Mi creda, no.
 Col senno di poi devo dire che aveva ragione.
 - Devo andare a parlare col rettore, posso sperare che non farai nulla di stupido?
 - Posso continuare a risolvere i vostri casi?
 - Aspetta.
 Gli diedi un elenco di detective che non si sarebbero offesi, se avessero avuto un’imboccata. Mi vennero in mente solo tre nomi. Ci fa così paura ammettere di non essere perfetti e dover accettare la superiorità altrui? C’erano delle vittime, maledizione, e dei parenti che aspettavano risposte. Pensai che se avessero ucciso un mio caro avrei voluto che la polizia si servisse di qualsiasi mezzo, anche del diavolo, pur di trovare il colpevole.
 Il rettore mi fece una pessima impressione. Un uomo untuoso e troppo abituato al potere. Ammise la relazione con la specializzanda, ma negò di aver fatto pressioni. In ogni caso stavano ricontrollando le prove d’esame, poteva essere, ammise, che ci fosse stato un errore. 
 - E quello studente, Sherlock Holmes, c’è la possibilità che sia riammesso? - chiesi.
 - La sua condotta è stata giudicata inammissibile da una commissione. - rispose - E comunque era svogliato e incostante, non è una gran perdita per l’università.
 - Il professor Harrison non la pensava così.
 - Un parere contro nove. E poi sarebbe andato in pensione tra poco. So che considerava quell’Holmes una sorta di pupillo e ci teneva a vederlo laureato, ma ne sarebbe rimasto deluso. Era troppo indietro con gli esami e ho una lista di docenti che non lo avrebbero mai accettato nel loro corso.
 Era vero.
 La difesa solitaria di Harrison era del tutto ininfluente per la sorte di Sherlock e dava poco fastidio. Assai meno dei pettegolezzi che il ragazzo aveva scatenato. Il rettore non aveva alcun interesse a vedere Harrison morto, anzi, il suo omicidio gettava un’ulteriore luce sinistra su di lui. Pensai alle teorie di Sally. Possibile che Sherlock avesse ucciso Harrison solo per mettere in difficoltà il rettore? Per cosa? Fare in modo che Molly Hooper avesse il posto al Bart’s, così Sherlock poteva riavere la sua vittima preferita a portata di mano? Un ragionamento da vero psicopatico. Ma fuori dall’università, senza una laurea, Sherlock non poteva continuare i suoi studi e dunque non avrebbe più avuto accesso ai laboratori o a Molly Hooper. 
 Per sicurezza chiamai tutti quelli che in Inghilterra si occupavano di paleopatologia (cinque in tutto). Nessuno era stato contattato da Sherlock per poter riprendere con lui le sue ricerche. Due, quelli che non l’avevano mai incontrato di persona, espressero rammarico per questo. I tre che lo avevano visto dissero che non avrebbero mai voluto avere a che fare con lui, grazie. 
 Era sera. Le analisi sui campioni di veleno per topi non erano ancora pronte. Avrei dovuto tenere Sherlock in fermo. Tutta una notte nell’edificio di Scotlan Yard, uno che era già riuscito ad entrare nei nostri laboratori e nel nostro sistema informatico? Una cella l’avrebbe fermato? Improbabile.
Niente di nuovo. Vai a  casa. Ti aggiorno domani.
L
Risolti tre casi. Siete tutti idioti in polizia?
SH
Quanta gente hai offeso?
L
Non so.  Non influente. Vado a risolvere anche questo. 
Finalmente.
SH
Hai una pista?
L
Dovresti averla anche tu. Hai già le prove. 
Guardi, ma non osservi.
SH
 Non risposi. Mia moglie mi aspettava. Mi fermai a prenderle un fiore e pensai che, per fortuna, nella mia vita non c’erano solo i casi da risolvere.
Note. Ecco qua, il giallo è quasi al termine. Sherlock gli avrebbe dato un 3, credo, e non se ne sarebbe mai interessato, se il morto fosse stato un alto. 
In questa parte non ho resistito alla tentazione di inserire la storia del denaro pagato da Mycroft anche se, di fatto, non porta avanti la trama. Ne Uno studio in rosa, quando Sherlock dice a John che avrebbero potuto dividerli, ho avuto la netta impressione che Sherlock lo avesse già fatto prima. E’ da quella scena che è nato il professor Harrison. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5 - Ho potuto solo restare a guardare ***



 Il giorno seguente arrivai in ufficio senza trovarvi Sherlock e senza aver ricevuto messaggi. Avrei dovuto esserne preoccupato, lui rimaneva il nostro unico indiziato, ma ne fu sollevato. La mia sedia, il mio computer, il mio bollitore, la mia tazza, tutto di nuovo mio.
 Erano arrivate le analisi. Il veleno trovato a casa di Harrison era lo stesso che lo aveva ucciso, ma era di una marca comune. Il succo d’arancia nel suo frigo non ne conteneva. Con un po’ di timore, mandai un messaggio a Sherlock per informarlo.
Lo so. 
Vieni ad arresta l’assassino.
SH
Dove???
L
In panetteria. E’ ovvio.
SH
Non sa ancora di essere in trappola. Non venire in pompa magna. Non voglio che scappi.
SH
 Trovai Sherlock appoggiato ad un muro, vicino alla panetteria in cui avevo comprato il pranzo il giorno prima.
 - Vuoi spiegarmi? - chiesi. 
 Ero solo. Meglio evitare di rendermi ridicolo davanti a tutti.
 - Ovvio. Il veleno per topi, di solito ha un colore vivo e un odore caratteristico per evitare che la gente lo ingerisca per errore. Dunque doveva essere mescolato a qualcosa di colorato e con un sapore forte. Non era nel succo d’arancia. Era nella brioche, come questa.
 Ne teneva una in mano. Era tagliata a metà e mi fece vedere la ricca farcitura all’albicocca.
 - E’ un prodotto artigianale, la marmellata viene inserita dopo la cottura. - spiegò.
 - Chi ha detto che Harrison abbia mangiato una brioche prima di morire?
 - Te l’ho detto io dopo aver visto il corpo, ne aveva delle piccole briciole sul maglione.
 - E chi lo avrebbe avvelenato?
 - Il panettiere, è ovvio.
 - Perché?
 Era del tutto privo di senso.
 - Non era diretta a lui, la brioche avvelenata. Tra le persone che si fanno recapitare il pane a casa da questa panetteria c’erano solo due uomini che vivono soli. Harrison e un trentenne nell’isolato a fianco. Il trentenne è l’amante della moglie del panettiere. La brioche era per lui. Il ragazzo che distribuisce il pane si è sbagliato e ha confuso le due buste più piccole. Harrison di solito non si faceva portare la brioche, ma era goloso e ha approfittato dell’errore.  Il panettiere non ha neppure collegato la sua morte con il suo tentativo di avvelenamento. Sapeva solo che il suo rivale era ancora vivo e l’ha aggredito la sera stessa, all’uscita dal negozio. L’amante ha due costole rotte e il setto nasale incrinato. Vai ad interrogarlo. Crollerà. Non credo volesse davvero uccidere, su un uomo più giovane e sano forse la dose non sarebbe stata letale.
 - Ci hai già parlato?
 - No, l’onore sarà tutto tuo, Lestrade.
 Fece per andarsene.
 - Vai in centrale e aspettami. Dovrò raccogliere la tua testimonianza.
 Lui annuì. Col senno di poi, se l’avessi lasciato andare allora, non l’avrei più rivisto. Mi chiedo se lo rimpiango. No, non penso.
 Il panettiere confessò tutto. Come aveva detto Sherlock, non aveva collegato la morte dell’anziano professore con la sua brioche “speciale”. Era un ometto piccolo, dai tratti topeschi, ossessionato dai tradimenti della moglie. Voleva solo dare una lezione all’ultimo amante di lei, ma era stato sollevato quando alla sera lo aveva visto vivo e vegeto. Meglio sfogarsi a pugni e calci. Gli aveva perfino detto di non mangiare la brioche perché ci aveva sputato dentro. Non aveva l’intenzione di uccidere il simpatico anziano che ogni mese, quando saldava il conto, gli lasciava una mancia.
 Qualche giorno dopo le analisi confermarono che il veleno per topi del panettiere era proprio lo stesso usato per uccidere Harrison. Neppure Sally Donovan, di fronte ad un reo confesso e a tutti i particolari che combaciavano, osò mettere in dubbio l’innocenza di Sherlock, almeno per quel caso.
 Quanto a me, riuscii a tornare a Scotlan Yard solo nel pomeriggio.
 Trovai Sherlock di nuovo sul terrazzo, con una sigaretta spenta in mano. Aveva un aspetto esausto. In seguito scoprii che durante un caso quasi non mangiava né dormiva, al massimo sorseggiava un the o un caffè, ma non lo rividi più così stanco. 
 - E’ morto per stupidità. - disse.
 - Cosa? 
 Lo conoscevo da tre giorni e già avevo rinunciato a seguirne i pensieri.
 - Harrison non  era un genio, ma neppure un idiota, uno dei pochi che avessi mai incontrato. - disse.
 Col senno di poi, uno dei più sinceri complimenti che gli abbia mai sentito esprimere. Non era un idiota. 
 - Eppure è morto in modo stupido e insensato. - continuò - Mi chiedo se abbia senso vivere in un mondo in cui l’intelligenza serve a così poco.
 Sulle sue labbra, pronunciata con tanta calma, quella frase mi raggelò.
 Sono uno sbirro fino al midollo. Ho visto un sacco di ragazzi con problemi o finiti in giri pericolosi e riesco sempre a farmi un’idea più o meno chiara del loro futuro. Quelli che proseguiranno lungo la cattiva strada e quelli che invece si risolleveranno o quelli che non dureranno a lungo. Ma con Sherlock non riuscivo a vedere niente. Che tipo di vita avrebbe condotto, se sarebbe andato avanti oppure no. Pensai che poteva riprendere a drogarsi e morire anche lui di stupidità, per overdose o per una partita tagliata male, o innamorarsi, o uccidere qualcuno. Io avrei potuto solo stare a guardare. E in quel momento, senza un motivo, mi dispiacque. Non potevo fare nulla. Infatti, col senno di poi, non ho potuto fare nulla. Ma non volevo lasciarlo andare da solo nell’oscurità.
 - Cosa pensi di fare? - chiesi
 - Nell’immediato, liberare la mia stanza e cercarmi un posto dove stare. L’eredità di Harrison mi aiuterà, immagino.
 - Ti iscriverai ad un’altra università?
 - Che senso avrebbe?
 - Senza di te quest’indagine sarebbe durata mesi. Potresti entrai in polizia.
 - Ci ho pensato, da ragazzo. Quello che facevo con Harrison era la stessa cosa che fate voi, solo con morti più vecchi ed era frustrante non avere un avversario vivo da battere. Ma lavorare in squadra? Con una come Donovan?
 - Potresti fare il consulente. Come ne abbiamo per le questioni tecniche o scientifiche, potremmo averlo anche per i casi più complicati. Un consulente investigativo.
 Sorrise.
 - Potrei davvero. - disse.
 Si accese una sigaretta e ne accese una anche per me, senza avermi chiesto se la volevo. La volevo, era ovvio.
 - Che probabilità ci sono? - chiese poi.
 - Scusa?
 - Che probabilità ci sono che io incontri un altro come Harrison, che mi tolleri e sia disposto a lavorare con me?
 - Io sono disposto a lavorare con te. - dissi.
 - A piccole dosi, Lestrade, solo a piccole dosi.
 - E’ vero. - ammisi.
 Ripensai a Walter, il mio compagno, con cui nessuno mai voleva fare gruppo. Ma i miracoli, pensai, a volte avvengono.
 - Puoi aspirare a qualcosa di più che a a “qualcuno che ti tolleri”. Prima o poi troverai una donna che ti farà sentire speciale e darà un senso a questo mondo senza intelligenza. Quella Molly Hooper sembra volersi candidare per il ruolo.
 - Una donna... - Sherlcok ridacchiò - Le relazioni sentimentali sono sopravvalutate, ispettore. E’ solo chimica. Una volta esaurito l’effetto, non rimane niente, se non il dolore. Soffrire un è mai un vantaggio. Guarda cos’ha combinato per amore quel panettiere.
 - Ti sbagli. Senza mia moglie, ad esempio...
 - Tua moglie ti tradisce. - mi interruppe. - Un uomo più giovane. L’altra sera ti ha regalato un profumo insolito, il profumo del suo amante, uno sportivo, a giudicare dalla fragranza. Avete fatto l’amore con più passione perché lei immaginava di essere con lui, le sensazioni olfattive sono molto importanti per il piacere femminile. 
 Ero rimasto... Non so descrivere com’ero rimasto. Accecato da una luce dolorosa e inequivocabile. Perché sapevo, e non volevo vedere. E lo odiai, per aver detto la verità.
 - Va a quel paese Sherlock Holmes. Sparisci. - gridai.
 Lui non se lo fece ripetere. Spense la sigaretta e uscì, come se se lo fosse aspettato. Ma mi lanciò un’ultima occhiata, come se per un attimo avesse desiderato una reazione diversa.
 Rimasi sul terrazzo, cercando di smettere di tremare. Non volevo farmi vedere così dagli altri. Come l’altra volta, lo vidi uscire dall’edificio, solo, con tutta l’intelligenza di cui un uomo può disporre e nessun posto dove andare.
 Note. Eccoci arrivati alla fine. Un grosso, enorme grazie a coloro che sono giunti a leggere fin qui, uno ancora più grosso a Hotaru per avermi preso per mano e accompagnata fino alla fine.
Questa è la storia di un senso di colpa. A ben vedere, è il classico caso che Sherlock avrebbe potuto manipolare con facilità. Lestrade dice di volerlo raccontare per spiegare la sua fiducia, ma è solo la sua ammissione di impotenza verso qualcuno che sente di non essere mai riuscito ad aiutare del tutto. Per questo ho deciso di fare finire il racconto così, come se Sherlock se ne andasse per sempre, anche se sappiamo benissimo come se ne sono andate le cose.
Il suo ragionamento sui ragazzi di cui di solito riesce a intuire il futuro è preso quasi parola per parola dal vol.2 di Wild Adapter, un manga che dovrebbe piacere agli Sherlockiani. Racconta di un sociopatico, Kubota e del suo coinquilino, Tokito, un ragazzo dotato di istintiva moralità (ricorda qualcosa?). Il discorso è pronunciato dallo zio poliziotto di Kubota.
Quanto a Sherlock, non so se sono riuscita a passare l’idea che  nella sua mente rapporto con Harrison era puramente professionale. Era l’altro ad essersi affezionato. E se si sente perso è perché non ha più un lavoro o qualcuno con cui lavorare. Ci vorranno ancora anni, ovviamente, perché ammetta di avere degli amici. 
Ancora grazie a tutti e specialmente a chi vorrà recensire.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1117555