A new path to the Waterfall

di TealRue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nausaea - JW ***
Capitolo 2: *** Il Jim-Diario di James Moriarty - JM ***



Capitolo 1
*** Nausaea - JW ***


Allora, questa è la mia prima long-fic, quindi, siate clementi. Questo più che il primo capitolo è il prologo. Il rating è arancione per la violenza della guerra e lessico: potrebbe cambiare durante il procedere della storia, però. Nel corso della storia si aggiungeranno sicuramente altri personaggi: ogni capitolo sarà dal punto di vista di un personaggio diverso.
Sherlock Holmes, John Watson e gli altri personaggi non mi appartengono e blablabla. Tutto merito di quel genio di Conan Doyle e degli altri due geniacci, Steven Moffat e Mark Gatiss.

 

 
 
Nausaea

 

 



 

Gli esseri umani sono straordinari. Seriamente.
Sono programmati per sopravvivere, proteggersi e ambientarsi.
Si perfezionano, gli esseri umani. Nel bene e nel male.
Diamine, se lo so. Sono un dottore. E ho visto la guerra.
Mi ricordo ancora tutto, veramente; non ho una grande memoria, ma il ricordo di quei giorni è marchiato a fuoco da qualche parte nella mia testa.
Anche i dettagli, Cristo, i dettagli, il sangue, il sudore, l'afa, la morte.

 

Il primo giorno, appena arrivato al campo, pensavo ancora a quante vite avrei salvato.
Sono saltato giù dal fuoristrada che mi aveva portato via dall'aeroporto e, improvvisamente, nella mia visuale è apparso un uomo portato in spalla da due compagni. Rosso ovunque. Ovunque. Un mitra lo aveva letteralmente ridotto a un colabrodo di sangue e urla. Non sembrava neanche più un uomo, no, era un ammasso di brandelli di carne, e di vesti strappate.
Cristo, sto male solo a ripensarci. Quando l'ho visto mi sono sentito svenire. E forse l'ho anche fatto.
Mi ricordo solo lo stupore: sono appena sceso dal fuoristrada e, bam! Il mondo che conosco non c'è più, non esiste e non è mai esistito, c'è solo l'incubo.
Il volto del ferito era una voragine, ma continuava a urlare. Senza bocca. Troppo rosso, troppo nero. Nessuno sembrava farci troppo caso, nessuno.
Continuava a gridare.
Mi ricordo di aver chiuso piano gli occhi sperando che sparisse: un attimo prima non c'era, era apparso di colpo, e speravo che sarebbe scomparso, una volta riaperti gli occhi.
Posso ancora vedere l'espressione del soldato che mi stava accompagnando.
Mi guardava, non era allarmato, né spaventato. Non c'era compassione, non c'era pietà.
Non c'era niente, avevo pensato allora, in quello sguardo.
Solo in seguito avrei capito quegli occhi. Per comprenderli bisogna conoscere tutta la guerra, il tempo che non scorre, il sangue che invece non vuole smettere di farlo.
E l'assoluta mancanza di senso della morte.
Era uno sguardo, posso dire adesso, stanco -sfinito-, vuoto, ma con una lieve traccia di disgusto e sarcasmo che sembrava volermi dire "Benvenuto all'inferno.".

 

Il secondo mese la vista dei massacri mi faceva girare la testa. Mi faceva vomitare, a volte, per la nausea che di colpo mi stringeva la gola.
Avevo capito che ogni vita salvata mi faceva rinascere un pochino, in quell'incubo.
Lo so, un medico non dovrebbe essere così egoista, giuramento di Ippocrate, e così via, ma bisogna avere qualcosa per cui andare avanti, nella guerra.
Se no ci si lascia uccidere. Veramente, non sto scherzando. Ho visto decine e decine di soldati che involontariamente e inconsciamente si sono fatti uccidere. Ho capito presto, per fortuna, che dovevo -e avevo bisogno di- concentrarmi sul mio lavoro e sui miei ideali.
Sono venuto perché sono un dottore, mi dicevo, sono venuto per salvare vite, la guerra non mi riguarda, non deve distruggermi.
Mi allontanavo spesso dal campo, per cercare vita tra le dune torride. Affondavo le mani nei mucchi di cadaveri per controllare il battito dei loro polsi. Che solitamente non c'era.
Mi fermavo, nei turbini di sabbia, accovacciato sui corpi, e speravo, pregavo di sentire qualcosa, oltre al calore che fuggiva, sentire il fremito della vita al di sopra delle urla dei mitra.
A volte passavo anche ore -ore intere- a controllare gli stessi corpi, sperando nel miracolo -un solo miracolo, Cristo- che non avveniva mai, finché non li sentivo diventare freddi.
Freddi come può essere freddo qualcosa nel deserto dell'Afghanistan.
Mi prendevano per idiota, al campo, e forse facevano bene.
Non ero pronto, per la guerra, ma ero andato comunque, povero idiota. "Povero Dottor Watson." sussurravano stanchi i soldati, quando tornavo vuoto e sudato da far schifo al campo.
Se lo mormoravano a vicenda; niente sospiri di pietà, compassione o angoscia.
Era un'affermazione, i soldati non regalano a nessuno la propria pietà. La conservano per se stessi, per il caldo, il caldo torrido, e i morti. Cadaveri, la sabbia li ricopre.
Nemici, compagni; la morte è la stessa per tutti e fa paura. Prima sei vivo, puoi parlare, ridere, pensare, poi, bum! Un mitra spara -non te ne accorgi neanche- e sei un sacco di carne.
È questo che fa paura.
Così si dicevano "Povero Dottor Watson.", ma non mi guardavano negli occhi, mai. Mi passavano un thermos. I loro occhi rimanevano incollati sulla linea ocra e sfocata dell'orizzonte.
"Povero Dottor Watson.".



Dopo un anno, mi sono accorto con orrore che la nausea non c'era più.
Anche fissando un uomo dilaniato da una mina, anche un soldato distrutto dai proiettili, Dio, niente!
In quel periodo, però, mi resi veramente utile, bisogna dirlo. Ne ho salvati tanti di uomini, in quei mesi.
Pieno d'energia, ecco cos'ero allora, costantemente sovreccitato.
Dormivo poco, ma non ero stanco; mi alzavo, andavo nella tenda dei feriti e controllavo tutti. Non avevo tempo per pensare, davo le medicine a tutti e me ne andavo.
Dopo seguivo i soldati e mi appostavo nelle zone strategiche, dove sapevo ci sarebbero stati dei feriti.
Ho imparato a sparare, in quel periodo, e a uccidere.
Ho anche imparato a soffocare i sensi di colpa, con giustificazioni stupide come "Se non l'avessi ucciso, avrebbe sparato a uno dei nostri".
Anche a sopprimere la voce, in fondo alla mia testa, che mi domandava "Sei un dottore, tu salvi le vite degli uomini. Vuoi forse dire che non tutte le vite hanno lo stesso valore?"
Quando tornavo al campo, ancora carico di energie e con uno sguardo distaccato, sentivo i soldati mormorare "Povero Dottor Watson.", sempre guardando l'orizzonte.
Avevano capito che stavo perdendo la ragione ancor prima che me accorgessi io stesso.
Mi sentivo lucido, io, mio Dio, se mi sentivo lucido.
Appena vedevo qualcuno cadere, mi precipitavo ad assisterlo, correndo accucciato tra i proiettili vaganti, e lo trasportavo al sicuro.
Mi sentivo pieno, eccitato. Ero un idiota.
Mi correggo, sono un idiota: Mycroft ha ragione, quando dice che mi manca la guerra. Del resto, è mai capitato di vedere un Holmes sbagliare? Be', zucchero di Baskerville a parte.
Mi bastava il mio lavoro, mi bastava salvare vite. Mi bastava avere la coscienza a posto.
Era diventata una strana droga -o anestetizzante-.
La paura non era scomparsa, era semplicemente diventata un'altra. Era paura di perdere me stesso, paura di diventare un mostro.
Paura di denaturarmi completamente.
In parte l'avevo già fatto, a furia di ripetermi: io sono qui per curare, per guarire, la morte non mi riguarda. La morte NON mi riguarda.
Me l'ero cantilenato come un mantra per mesi e mesi e alla fine ero riuscito a convincermi. La nausea non c'era più.
La cosa strana è che sapevo benissimo che non era vero. La morte non mi riguarda.
La morte era ovunque, lì, la si poteva respirare.
Gli esseri umani sono straordinari, ribadisco: se non fossi riuscito ad auto-convincermi, ad adattare la mia mente a quelle condizioni, probabilmente mi sarei ucciso. Veramente.
Sono un dottore, sono un dottore, salvo persone, sono un dottore, sono un-
Così mi sentivo in pace con me stesso, non avevo più la nausea; la morte non mi riguarda e io punto solo alla vita.
Sarei andato avanti così se non mi avessero sparato.
È solo in quel momento che -Dio, che idiota che ero stato prima- ho capito che la morte mi riguardava eccome.
Ho capito che potevo anche essere diventato in un soldato, ma che la guerra mi avrebbe distrutto.
Avevo imparato a sparare, a sopportare il caldo e la vista del -tanto, troppo- sangue. Ma il dottore, quello che, uscito dall'università, aveva deciso di aiutare la gente, dov'era finito?
Avrei potuto benissimo fermarmi là in Afghanistan, me lo avevano anche proposto. Un lavoro ovviamente meno pericoloso, nelle retrovie; serve sempre gente nelle retrovie.
Non ho accettato, per fortuna.
Me ne sono andato per paura di non aver più paura.

 

Sono tornato a Londra, ho ricominciato. Veramente, da capo.
Sono felice di averlo fatto, perché ho incontrato lui.
Quell'insopportabile e amabile rompiballe di Sherlock Holmes.
Non dico che durante quella che io ormai tendo a chiamare 'la mia nuova vita nell'appartamento a 221b di Baker Street, sì, quella in cui rischio di essere ammazzato un giorno sì e l'altro no da criminali psicologicamente disturbati' non abbia mai pensato alla guerra.
Anzi; gli incubi, ad esempio, non mi lasciano mai. Sono sempre diversi: a volte ci sono sangue, urla e morte; altre volte sogno di guardarmi allo specchio e di trovare nel riflesso il mio volto sogghignante sporco di sangue. Alcune volte sogno semplicemente sabbia, infinita sabbia.
Di giorno, poi, mi perseguitano il dolore alla spalla, la gamba traballante, e il tremito della mano.
Ma questi problemi -anche gli incubi-, come posso dirlo, sono solo fantasmi.
Non è più "la Guerra": la Guerra è un mostro vivo, vivissimo, con gli artigli sporchi di sangue. La Guerra che in poco tempo mi aveva fatto impazzire.
La Guerra è terrore vivido, non so se mi spiego, è palpabile.
Gli incubi, il dolore fisico; sono solo... ombre.
Da qualche mese, mi fa molta più paura aprire il frigorifero -chissà quante teste umane ci ha messo dentro Sherlock, questa volta- che pensare all'Afghanistan.

 

Ma oggi è tornata, di colpo.
Dopo tanti anni, rieccola. Dio mio, la nausea, quella nausea!
E il sangue, quello del poveraccio che ho visto il primo giorno al campo. Cristo, sembra lo stesso.
Troppa nausea, mi sento svenire.
Perché sopra quel sangue c'è lui.
Non c'è un soldato che il giorno prima ha mormorato "Povero Dottor Watson.". C'è lui.
Improvvisamente tutti quegli anni di "sono un dottore, sono un dottore, la morte non mi riguarda" scompaiono; non riesco a trovarli dentro di me; non ci sono mai stati?
Probabilmente mi stanno sanguinando le ginocchia, l'asfalto della caduta di prima me le ha bruciate. Ma, Cristo, il suo sangue.
C'è della gente intorno a lui, non riesco a vederlo, ma il suo sangue, CRISTO.
"Sherlock... Sherlock..."
Non è lui. Non sei tu. Ahah. Me l'hai fatta ancora, eh? Scommetto che se adesso mi avvicino, lì ci trovo Moriarty, vero?
Perché TU NON PUOI ESSERE MORTO. La gente muore, ma tu, TU, non sei la gente.
Sei Sherlock Sono-un-fottuto-genio Holmes.
Oddio, no, la nausea, quella nausea.
"Sono un dottore, sono un dottore, lasciatemi- lasciatemi passare. Per favore."
La gente non si toglie, mi trattiene, maledizione! Mi faccio largo, mi getto sul tuo braccio, mi sta tremando la mano, no, il tuo polso; è così freddo.
"È mio amico. È mio amico... per favore."
Oddio, oddio. Il sangue è troppo. Il polso, non ha battito, è già freddo. È già freddo. Lo stringo di più; la vita, dov'è la vita?
Cerco il rumore dei mitra, ma non lo trovo. Solo la gente che urla.
Il polso, lo stringo, prego, supplico, il mio miracolo, dov'è il mio miracolo?!
Qualcuno mi strappa via dal tuo polso.
DIO, la nausea, non riesco a stare in piedi, le mie gambe non reggono, non puoi essere tu, non puoi essere tu, la morte non ti riguarda-
"Per favore, lasciate solo che-"
Qualcuno mi sorregge, troppa nausea, troppa.
Arriva un uomo, con una barella, che lo gira e, oddio no, non possono portarti via, non puoi essere morto.
Quegli occhi e quel sangue. Dio, sono i tuoi occhi, così chiari. Rigati di sangue.
Troppo rosso, troppo nero.
"Oh, Cristo. No. Dio, no."
Lo dico piano, con la voce impastata, mi ronzano le orecchie, adesso li sento, i mitra, che ronzano. Lo so che non ci sono, ma li sento lo stesso.
Mi tengono, non mi lasciano cadere, sto svenendo.
Se ne sta andando. Lo portano via in barella, non c'è più.
Se n'è andato.
Sherlock.

Se n'è andato.




Note dell' idiota autrice:

Il titolo di questa storia è il titolo di una raccolta di poesie di Raymond Carver. Si riferisce, però, anche al titolo dell'episodio "Reichenbach falls/Cascate di Reichenbach": in questa storia tutti i personaggi cercheranno "un nuovo sentiero verso la cascata" da cui sono metaforicamente caduti nell'ultimo episodio con la "morte" di Sherlock.
Spero che vi piaccia, anche perché per scrivere questo capitolo ho sputato l'anima, veramente. XD

Grazie a tutti quelli che sono arrivati a leggere fino a qui.
Non mi aspetto recensioni perché ormai sono disillusa da questo punto di vista, ma, se qualcuno ne lasciasse una, sappia che la mia autostima lo ama alla follia. 8D

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Capitolo 2
*** Il Jim-Diario di James Moriarty - JM ***


Allora, prima di iniziare il capito, volevo scusarmi in anticipo in caso di errori di traduzione. Ho visto "Sherlock" solamente in inglese (senza sottotitoli, yeah. *si gasa*) e quindi non so effettivamente come siano state tradotte alcune espressioni (e non ho voglia di andarle a cercare). Questo capitolo era nato come una cosa seria, ma ho capito che con James Moriarty non potrà mai uscirmi niente di serio. Chiedo venia anche per questo.
I personaggi non mi appartengo e blabla, come al solito. Nessun Moriarty è stato maltrattato durante il concepimento di questo capitolo. Forse.

 



 

 

Il Jim-Diario di James Moriarty*


 

 

 

Dal Jim-Diario - 26 Novembre, ovvero: il giorno del grande splat.

 

Noooooia.
Sto fissando il cielo da più di due minuti e non posso neanche muovere gli occhi.
E mi si è anche rovinata la giacca. Westwood, tra parentesi.
Stupido sangue, spero che non mi abbia sporcato troppo il colletto della camicia.
"Tutti i giorni si impara qualcosa" dicono le personcine ordinarie.
E, ogni tanto, hanno ragione anche loro.
Oggi, ad esempio, ho imparato che -se proprio voglio spararmi in bocca e cadere di schiena- devo prepararmi un materasso dietro.
Perché ovviamente domani mi verrà un bernoccolo gigante sulla testa. Poco sexy, insomma.
E poi, non pensavo che fingersi morto fosse così noioso. Tra l'altro mi fa male la schiena.
Devo anche tenere la bocca socchiusa. E non devo pensare alle gomme alla menta che ho in tasca.
Doppio strato di menta super forte con cuore di eucalipto.
Ahhh, nonono.
Devo fissare sempre lo stesso misero puntino di cielo.
No-o-oooia.
Bah, non ci metterà ancora molto, immagino; sa che il mio cecchino sta solo aspettando di fare un bel buchino in testa al piccolo Johnny.
Bang, Johnny per terra, Johnny morto.
Johnny, piccolo, banale, ottuso Johnny.
La sua sola esistenza mi fa capire quanto tu non sia me, Sherlock.
I cuccioli mi annoiano. Ci ho provato, una volta, a tenerne uno in casa. Non è finita bene, però; ci ho provato, ci ho provato, ma non siamo riusciti a legare.
O meglio: sono riuscito a legarlo, ma poi mi sono dimenticato di portargli da mangiare. Oh, be'.
Sherlock, daaaaai, suuuu, non fare tutte queste scene.
Ti stai guardando intorno, Sherlock, ma nessuno ti aiuterà, anche con quell'espressione ridicola che ti ritrovi.
Non la vedo, ma so che è patetica Qualcuno qui non è capace di perdere, eh?
Su, su, Papino ti consolerà.
Potrei anche cercare di empatizzare, tanto, non ho niente da fare, ma, no, no, i perdenti non li capisco proprio.
Dai, muoviti, fai il bravo e buttati giù. Per favoooore.
I giornali dicono che sei una cattiva persona -e io mi fido dei giornali, eh-, quindi te lo meriti.
Non capisco perché la stia prendendo così male. Devi solo suicidarti.
Io non sono stato così melodrammatico, quando mi sono sparato in bocca. Ok, ok, forse un pochino.
Se fossi un attore, dovrei prendere almeno un premio Bafta, seriamente.
La stretta di mano, aaaah, è stata un colpo di genio- oh, ma, aspetta aspetta, io sono un genio.
Sono un attore nato: me lo diceva sempre, quand'ero bambino, la mia maestra di teatro.
Mrs Jefferson. Un brava donna, eh.
Ripetitiiiva.
Me lo diceva, sempre, sì, tutte le santiiissime volte. Prima che le mettessi del veleno per topi nel the, ovviamente; ma questa è un'altra storia.
"James, James, devi lavorare sull'autocontrollo. Ti salvi solo perché hai talento." Lei invece non si era salvata proprio.
Però, forse, è -un pochiiiino- vero.
Autocontrollo.
Stavo per mettermi a ridere, prima. Istericamente. Avrei rovinato la mia meravigliooosa uscita di scena.
E' che, quando hai fatto tutto il tuo discorsetto, sì, "Io sono te" e blablablaaa, stavo proprio per scoppiare.
Oh, sono Sherlock Holmes, in realtà sono cattivo cattivone, non sono un angelo, anche se li aiuto, sono disposto a tutto, posso brrrruciarti, faccio pauuuura. Buuuuu.
Ahahah! Ti prego, Sherlock, Papino non è mica stupido.
Potrai essere anche un genio, potrai anche essere simile a me -molto simile-, potrò anche avere bisogno, di te, ma sei verameeente noioso, a volte.
Le persone noiose parlano in grande per sembrare meno banali, ma non agiscono.
E' per questo che io l'ho sempre detto che, dopo tutto, sei ordinario, Sherlock. Un genio, sì, ma ba-na-le.
Perché lo so che, dopo tutto, tu hai un cuore.
L'ho vista, la tua faccia spaventata, quando ho nominato il tuo animaletto, eh.
Come si fa ad affezionarsi a una persona così insignificante?
Però, a tua discolpa, Sherlock, devo dire che il piccolo Johnny è piuttosto adorabile.
Prima, ad esempio- oh, nonono, non devo ridere. L'autocontrollo, Jimmy.
A casa di Cerebralmente Piatta Kitty, quando Johnny si è messo a strillare "No, tu sei Moriarty! Lui è Moriarty! TU-", sventolandomi l'indice davanti al naso e saltellando come un piccolo gnomo esaltato- ahhh, non riesco! Jim, Jim, noooon ridere.
Mmm, lo devo riconoscere, però, al piccolo Johnny: non pensavo che una personcina così mediocre potesse sorprendermi tanto.
Nelle mie previsioni c'era scritto che avrebbe perso fiducia in Sherlock.
L'ho sopravvalutato; mi ero dimenticato di quanto i cani restino sempre fedeli ai padroni. Non capiterà più.
Mi hai preso alla sprovvista, ahhh, Johnny, non sono riuscito a trattenermi dal ridere quando Richard Brook ti ha risposto**.
Solo Sherlock se n'è accorto, ovviamente.
Cerebralmente Piatta Kitty è troppo stupida. Noiosa-comune-o-o-ordinaria.
E ha anche il brutto difetto di abbracciare sempre Richard Brook, alla sera, e di dargli un bacio della buona notte. Sulla guancia- sulla MIA guancia.
Devo ricordarmi di ucciderla, appena Sherlock si decide a buttarsi giù da questo stupidissimo palazzo.
Mi delude sapere che il povero, onesto, ordinario Sherlock tra pochi minuti finirà spiaccicato come una formichina sul marciapiedi.
No, no! Troppo facile. Uffa.
Basta spararsi un po' d'aria compressa in bocca e agganciarsi una sacca di sangue aperta tra la giacca e il giaccone per batterti, Sherlock?
Nah, non sei così scemo, non sei così banale.
I owe you a fall. IOU, capito, Sherlock? IOU, A-F-A-L-L; l'hai capita?
Dai, su, forza, ragazzo. Puoi arrivarci, fallo per Papino, suuuu.
Ah, e spero che tu abbia capito che prima stavo bluffando.
Ti avevo anche avvisato: sono cosììì volubile.
Quando prima ti ho detto che il tuo difetto è che pensi che tutti i problemi abbiano sempre una soluzione geniale, ho mentito.
Niente di sconvolgente, eh.
Il tuo vero problema è che sei onesto -deludente, già-, e che ti aspetti che anche tutti gli altri lo siano.
L'onestà è il lato più socialmente apprezzato dell'idiozia, non lo sai?
Scusa, pensi ancora che, dopo aver fatto mangiare a due bambini caramelle al mercurio, io non sia capace di mentire?
Pensi veramente che io non sia in grado di infrangere le regole, quando si tratta di vincere e sconfiggere la noia?
Sei convinto che la strega sia andata da Biancaneve e le abbia detto: "E' velenosa, sai. Però mangiala, che è rossa e antiossidante.".
Ah, deludente, Sherlock, deludente!
I cattivi delle favole non seguono le regole, non sono onesti, mai, soprattutto quando rapiscono principesse o mandano in tilt il sistema di sicurezza della Banca inglese; loro SONO le regole.
E' ovvio che esiste, la chiave.
I owe you a fall. Angeli, angeli. Benedetto sia Johann Sebastian Bach!
Ho anche cercato di aiutarti, darti indizi -anche troppi-.
Sono così buono che potrei commuovermi.
Ti ho svelato tuuuutto l'indovinello, ma tu, tu mi hai ascoltato?
Ti lascerò giusto ancora un pochiiiino di tempo per capirlo.
Solo se riuscirai a vincere quest'ultima sfida, ovviamente.
Io la mia mossa l'ho fatta. Sto aspettando.
Riuscirai a lasciare questo edificio da morto, per poi risorgere? O morirai nell'impresa? Du-du-du-DUUUUN.
Sì, la seconda opzione è decisamente più sexy.
Oh, adesso stai telefonando?
A chi... ah, a Johnny. Figurati. Utilissimo, telefonare a Johnny. Cosa può fare, per aiutarti: abbaiare?
Una mossa verameeente brillante. Clap clap.
Ma adesso basta. Mi sto annoiando.
IO sto aspettando, Sherlock.
Fffffiiiiiiiu- splat.
La tua caduta.
 

Dal Jim-Diario - 26 Novembre, più tardi, ovvero: attimi dopo la frittata.

 

Whether you're a brother or whether you're a mother, you're stayin' alive, stayin' alive.
Feel the city breakin' and ev'rybody shakin'.

And we're stayin' alive, stayin' alive!
Ah ah, Sherlock! De-lu-den-teee!
Me la merito adesso una gomma alla menta, o no? Ma ceeerto, che me la merito!
La partita finisce 1 a 0 per JAMES MORIARTY, fine dell'ultimo tempo! Uuuuu-n applauso!
La gente che corre, tutta addosso a te, dall'alto sembra uno sciame di mosche.
Tutto inutile, tutto inutile, sperate ancora di salvarlo?
E Johnny, oh, Johnny: una bicicletta l'ha tirato sotto e adesso si sta rotolando come un riccio sull'asfalto.
Questo bel panorama è esattamente il premio che desideravo.
Anche se, in realtà, mi dispiace. Veramente. Adesso con chi giocherò?
Adesso come- oh?
Cosa?
C'è qualcosa di strano.
Quello, quello con la divisa gialla, non è lo stesso uomo di prima? Sì, sicuramente.
Solo che prima non era vestito da paramedico.
Oh, sì.
E quella è la stessa infermiera di prima, quella che stava sulla panchina -esattamente davanti al punto in cui è caduto- con la sacca piena di-
No. No! Veramente?
E quello che è passato è-
Oh, sì, SI'!
E' per questo che ho bisogno di te, Sherlock! Lo sai che io ti adoro, ah!
La partita è ancora aperta.
Splendida, mossa, complimenti.
Davanti agli occhi di John, davanti ai miei occhi!
Devo scendere subito, veloce. Spero che nessuno veda che ho il colletto bagnato di sangue, ma, nono, cosa dico: da quando la gente osserva, quando può semplicemente dare occhiate superficiali? Da mai, ecco, quindi. Basta non dare nell'occhio.
Uh, troppe scale. Fiatone.
Ok, uh, ok, ci sono.
C'è più gente di prima, ma -ne sono sicuro- l'infermiera e il paramedico sono gli stessi, lo stanno portando via.
Interessante, mooolto interessante.
Devo prendere quello che mi serve prima che se ne accorga qualcun altro.
Dov'è, dov'è, dov'è... oh!
Ok, fatto, ce l'ho: e adesso via. Ohhh, è andata meglio del previsto, Sherlock.
Ti ho sottovalutato... stallo, per adesso, sì. Rimaniamo in stallo.
Tranquillo, ti verrò a cercare; non ci annoieremo.
Mentre me ne vado, riesco a intravedere la sagoma del povero, stupido Johnny. Che non riesce neanche a stare in piedi.
Hai fatto male i conti, Sherlock. Non sai quanto.
Perché forse non avremo risolto il "nostro problema" -il problema finale-, ma sicuramente ti ho bruciato.
Ho sentito la vostra telefonata, Sherlock, ho visto l'espressione distrutta di John.
Posso quasi contarla come una mezza vittoria, perché avevo ragione.
Ti ho bruciato. Ti ho bruciato il cuore, Sherlock Holmes.
Adesso non mi rimane altro che strappartelo.
E so già come fare.


 

 

Dal Jim-Diario - 27 Novembre, ovvero: il giorno in cui ho dovuto disinfettarmi le mani. Due volte.

 

"Kitty, tesoro, devo... penso che sia arrivato il momento di dirti una cosa."
Poso il bicchiere di vino rosso sulla tovaglia candida: è una cena al lume di candela, una cosa fatta bene.
Sono state le due ore più noiose delle ultime tre ore.
Scrocchio il collo.
Una mano morbidamente appoggiata sulla sua spalla, e nonono; non solo quello: infierisco sfoggiando un "sorriso irresistibile". Quello da Mr. Sex, per capirci.
Insomma, roba forte, eh.
"Rick, cosa c'è?"
La mano scivola sulla sua, sul suo polso. L'altra le sfiora una guancia.
Uff, poi devo ricordarmi di lavarla.
La mia bocca che si avvicina alla sua. Le lancio uno "sguardo malizioso", faccio soffermare i miei occhi sulle sue labbra.
Ehi, l'herpes non l'avevo visto. Bleah.
"Kitty, io-"
Battito raddoppiato, guance calde, respiro trattenuto.
Cerebralmente Piatta Kitty si aspetta la dichiarazione d'amore del piccolo Richard: non è ordinariamente adorabile?
Le stringo il polso, sento le suo vene pulsare.
"-ti ho mentito. Sherlock Holmes ha detto solo la verità. Sorpresa sorpresa! E-"
La sua espressione stupita e stupida è impagabile: gli occhi sbarrati, la bocca a "O", il respiro brusco. E' tutto perfetto.
O almeno, finché non si riprende.
Di colpo cerca di liberarsi, non si ricorda della mia mano intorno al suo polso.
Fa cadere la sedia, e, steng, il bicchiere di vino rosso è solo un frammentato ricordo sparso sul pavimento.
Cerca di urlare, ma non si è accorta che l'altra mia mano sta già premendo contro la sua bocca. Che schifo, sull'herpes!
Su, su, povera piccola idiota, non fare quella faccina così patetica.
"-e, tranquilla, non voglio farti niente di male."
Sfodero un "sorriso rassicurante" e una "voce confortante".
Sembra essersi un po' calmata. Ha la mano sudaticcia: Jim, non pensarci, NON FARLO.
"Voglio ucciderti, sì, ma lo farò piano. Giuro."
Ok, non si è calmata. Pazienza.
Uh, non me la sarei mai aspettata così combattiva; ha una mano libera di troppo- AHIA, mi sta sfondando la schiena!
Mi... mi sta sbavando sulla mano? Jim, calmo. Bravo.
Rapidamente riesco ad intrappolarle anche l'altro polso, e, con enooorme maestria -modestamente-, riesco a bloccarle entrambe le braccia con una mano.
Wow, viriiile.

L'altra mano intanto resta sulla sua orrida bocca bavosa, soffocando le inutilissime urla che cerca di lanciare.
Sta piangendo mascara ovunque.
Disgusto a palaaate.
Ma poi mi morde la mano. Mi morde la mano fino a farla sanguinare.
Questo non doveva farlo. NON. DOVEVA. FARLO.
Le schiaccio la testa contro il frigo. Più volte. Ovviamente, quando ci sbatte contro, fa un sonoro "Tuum". E' sicuramente più pieno il frigo -che adesso è macchiato di sangue- della sua testa.
"Lo sai, vero? Lo sai perché ti ho appena confessato tutto?"
Scuote la testa, con gli occhi serrati, e trema. Come un povero, stupido, pulcino.
Mi sono sempre chiesto -fin da bambino- quanto tempo ci metta un pulcino, nella morsa di un pugno, a soffocare.
Be', tempo di colmare le mie lacune.
"Perché voglio che tu muoia sapendo cosa sei. Una. Grandiiissima. Idiota."



 

Dal Jim-Diario - 29 Novembre, ovvero: il giorno in cui abbordai Capitan Johnny

 

Sono seduto sul muretto del cimitero di Londra, con una gomma in bocca e le gambe che dondolano nel vuoto.
I fiori sono a portata di mano, devo solo aspettare che-
Stanno arrivando, stanno arrivando.
Salto giù dal muretto e sputo la gomma per terra.
Una mano tra i capelli, scrocchio il collo; i fiori in mano e sulle labbra il "sorriso mesto"; quello che, in ordine alfabetico, sta tra "sorriso malizioso" e "sorriso mieloso".
Ci sono, ci sono. Ciak, siiiiiiii- GIRA.
"Signora, signora, vuole un fiore da lasciare a un suo caro? I miei crisantemi sono i più bianchi che potrà mai trovare."
Poso una mano sulla spalla della Vegliarda e al sorriso aggiungo appena un pochettino di "sorriso affascinante".
Ricambia il mio sorrisetto mesto scuotendo la testa.
"No, no, grazie... scusi, adesso-"
Ha gli occhi rossi, la Vegliarda, e, appena finisce di parlarmi, ricomincia a camminare.
Passettini fastidiosamente lenti, che possono solo significare problemi all'anca e protesi malconcia.
Non si accorge che il piccolo Johnny è ancora immobile, un passo dietro di lei, con la bocca aperta come un idiota- che lui, per altro, è.
E meno male, che non se ne sta accorgendo.
Come farei, se no, a fargli l'occhiolino e a sussurrargli nell'orecchio, con il mio collaudatissimo "sorriso perverso"?

"Tu mi servi, Johnny boy."

 

 

 

 

 

 

Note dell'idiota autrice:

 

 

Queste note saranno lunghissime, vi avverto adesso, così potete scappare subito. Devo sfogarmi.
Pensavo che, essendo Moriarty il mio personaggio preferito ed avendo io, come dice una mia amica, un lato psicopatico, mi sarebbe riuscito facile scrivere dal POV in prima persona del mio amato Jimmy. Perché Moriarty sostanzialmente è infantile, sadico e, a volte, perverso. Singolarmente sono tutti fattori "scrivibili", per questo l'avevo sottovalutato, ma tutti e tre insieme OMMIODDIO. Ho passato decine di minuti a scrivere frasi come "Uhhh, mi piacciono le caramelle al cianuro! Solo semidigerite nel tuo stomaco, ovviamente. Perché sei cooosì sexy, con la schiuma alla bocca." per poi cancellarle violentemente. Ho usato tantissime -troppe- interiezioni e parole distorte con troppe vocali per cercare di mantenere il meraviglioso modo di parlare di Andrew Scott. Missione fallita. Mi sarebbe piaciuto anche mantenere in qualche modo il forte accento irlandese, ma ho rinunciato.
E, dopo aver usato tutto il mio tempo libero tra un bagno in piscina e l'altro a editare 'sta schifezza, non sono neanche soddisfatta. Puzza troppo di OOC! D: *si eclissa*

*Ero tentata di non usare questo termine, ma mi ci sono affezionata! XD E' un po' la versione Moriartesca del palazzo della mente di Sherlock: è un suo diario mentale dove tutti i suoi pensieri vengono impressi. Spero che non risulti troppo OOC.

**Guardando bene la scena sembra che stia per mettersi a ridere veramente! E' per questo che amo Andrew Scott! Ovviamente la parte del "Bafta" è riferita a lui.

 

Grazie a chi è arrivato fino a qui, sopportando il mio sfogo.
Se avete consigli, critiche o suggerimenti per migliorare il povero Jimmy, vi prego: scrivetemelo!

 

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