Clint x Natasha

di renney
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Budapest ***
Capitolo 2: *** La trappola - Prima parte ***
Capitolo 3: *** La trappola - Seconda parte ***
Capitolo 4: *** La trappola - Terza Parte ***



Capitolo 1
*** Budapest ***


Iniziò a piovere. E l’interrogatorio ancora non era finito.
«Muoviti! Dimmi chi è stato!»
«Non ci penso nemmeno…»
A Ivan arrivò una freccia che gli sfiorò la guancia e finì per penetrare nel muro su cui era appoggiato con una violenza tale che anche il cemento si incrinò. Ivan si guardò attorno stupito: a parte il casolare a cui dava le spalle, l’unico edificio presente nei paraggi era posto ad una distanza di circa un chilometro.
«Bene, ora almeno inizierai a pensarci se parlare o no…»
Il volto pallido e l’espressione attonita di Ivan parlavano da sole. Natasha si voltò verso l’enorme grattacielo che si ergeva lontano alzando un pollice in segno di vittoria e Clint mise via l’arco. Missione compiuta.
 
La pioggia aumentò e ormai l’informatore aveva svuotato il sacco: Ivan aveva confessato che il  mandante dell’omicidio di Samuel era niente meno che Dimitri Popolov, il temibile boss della mafia russa, famoso per i suoi vizi: donne, soldi e auto sportive. Era un piccolo passo, ma siccome le indagini erano ferme ad un punto morto da mesi, era un risultato ben accetto.
Natasha e Clint si incontrarono un’ora dopo nel luogo prestabilito, una volta sicuri di non essere visti da nessuno.
«Sei tutta bagnata, tieni.»
Clint le appoggiò sulle spalle una coperta.
«E questa? Da dove arriva?»
«L’avevo presa nel caso i cui avesse piovuto –e aggiunse in tutta fretta- per avvolgere il mio arco.»
Barton cercò di inventarsi al più presto una scusa plausibile, volendo nascondere il vero motivo per cui aveva pensato di portarsela dietro, ma sapeva fin troppo bene che con lei, la Vedova Nera, non c’era via di scampo: era capace di entrare nella mente di chiunque e leggere anche i pensieri più celati. Ma con sua grande sorpresa, Natasha semplicemente si avvolse nella coperta e chiuse gli occhi. Si lasciò andare alla stanchezza per un solo momento, ma questo non era accettabile per una spia addestrata solo a combattere. Riaprì subito gli occhi sperando che questo momento di debolezza fosse passato inosservato. Clint, nonostante la avesse incontrata solo qualche mese prima, aveva imparato a conoscere la freddezza e la durezza della collega e fece finta di non essersi accorto di nulla. Guardò altrove, ma dentro di sé era perfettamente cosciente dello stress accumulato dall’agente Romanoff in quei lunghi mesi di indagini che sembravano non portare a niente.
Poco riposo e lunghi giorni di appostamenti stavano logorando anche l’animo dell’agente più capace dello S.H.I.E.L.D. e della spia più crudele del Governo Russo, da quando erano arrivati a Budapest.

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Capitolo 2
*** La trappola - Prima parte ***


Pochi giorni dopo, Dimitri Popolov tornava a far parlare di sé. Ivan era misteriosamente morto: il corpo era stato ritrovato nelle fogne e non era un caso. La mafia russa riservava questa fine solo ai traditori e quale modo migliore per eliminare un traditore se non quello di gettare il suo cadavere nel luogo più infimo, in mezzo alla “feccia”? Ivan aveva parlato troppo. Nonostante in città tutti sapessero che molto probabilmente il malvagio boss fosse stato il mandante della morte di Samuel, nessuno doveva osare dirlo ad alta voce: l’omertà è alla base del suo immenso potere e serviva una punizione esemplare per mettere bene in chiaro che nessuno sfuggiva al suo volere.

L’agente Romanoff era preoccupata anche se non voleva darlo a vedere, come del resto non mostrava ogni altro suo pensiero o emozione.
«No, non capisci. Il clima di paura che ora si andrà diffondendo non ci aiuterà nelle nostre ricerche…»
«Questo lo so perfettamente.»
«Allora si può sapere perché continui a ripetermi che la morte di Ivan non ci sarà d’ostacolo?»
«Perché in questo modo Dimitri si è esposto, i giornali non parlano d’altro e le persone iniziano ad aprire gli occhi!! Non è stata una buona mossa uccidere il più importante imprenditore nel settore automobilist…»
«Basta, ne ho abbastanza. Abbiamo due opinioni troppo diverse…»
Clint non fece in tempo a finire la frase, che venne bruscamente interrotto da Natasha e nel sentire la sua risposta si mise a ridere, nervoso.
«Ti fa ridere sapere che la nostra unica fonte di notizie non è più in vita?»
«No, rido perché hai detto che noi abbiamo opinioni diverse… E’ la prima volta che ti riferisci alle mie idee con il termine di “opinione”: è un passo avanti rispetto quando neanche mi ascoltavi.»
Natasha si infuriò ancora di più e senza dire una parola si diresse verso la porta della camera del motel che condividevano con l’intenzione di uscire, ma Clint la afferrò per il braccio trattenendola.
«Credi veramente che mi stia divertendo? Che sia felice di questa situazione? Che sia soddisfatto di ritrovarmi qui in Ungheria senza la minima idea di quando finirà questa storia?»
«Se è così puoi andartene quando vuoi.»
Sentendo queste parole allentò la presa lentamente come se sperasse di non doverla veramente lasciar andare, ma le parole gli arrivarono così dirette e dure che neanche la migliore delle sue frecce avrebbe mai potuto scalfire in quel modo qualcuno… e così lasciò del tutto il braccio a Natasha, che fu libera di uscire dalla stanza.

Si girò e vide la coperta, ancora umida, stesa su una sedia posta di fronte alla stufetta improvvisata per fronteggiare il freddo più pungente dell’inverno. Guardò fuori dalla finestra e anche il clima non era d’aiuto, il cielo grigio e buio sembrava volesse riflettere il suo stato d’animo e in un impeto di rabbia scaraventò la sedia per terra. Tanti, troppi pensieri attraversarono la sua mente, ma ce n’era sempre uno che prendeva il sopravvento facendosi largo nella confusione che regnava nella sua testa e si chiamava Natasha. Se voleva risolvere i suoi problemi, la chiave di tutto era lei, perciò doveva trovarla al più presto e mettere in chiaro le cose… lui era Occhio di Falco, un’arciere audace e sfrontato, non una marionetta qualsiasi.
Si avvicinò alla porta per aprirla, ma per poco non gli arrivò in pieno volto, qualcuno infatti lo precedette… era Natasha.
I due si guardarono intensamente negli occhi.
«Scusa.» disse lei.
«Fa niente, mi sono fermato in tempo, stavo proprio per uscire.»
«No, scusa per…»
«Accettate.»
Nonostante la rabbia e la delusione, Clint non le permise di finire la frase sapendo quanto fosse difficile per Natasha chiedere scusa. Ripensandoci bene, non l’aveva mai vista tornare sui suoi passi…. e allora che cosa stava facendo?
«No scusa, come hai detto?»
«Su, non farmelo ripetere, hai capito.» Abbassò lo sguardo.
«Io non ho sentito proprio niente. Io ci vedo veramente bene, ma ci sento molto poco.»
Sul viso di Natasha spuntò un sorriso,che ben presto divenne una risata non appena alzò gli occhi e vide che pure lui si stava trattenendo dal ridere.
Clint la guardò negli occhi e dimenticò il motivo per cui la stava andando a cercare: era troppo bella e in fondo anche lui ora che avevano chiarito si sentiva sollevato.
«Senti, Nat, io non sto prendendo come un gioco la tua missione, voglio che questo sia ben chiaro.»
«Lo so, lo so… E per questo ti ringrazio. Ormai comunque puoi dire la nostra missione…» Natasha si avvicinò a Clint, gli passo delicatamente una mano fra i capelli e lo baciò.





______________

NOTA: i rifertimenti alla mafia russia sono di mia immaginazione, non avendo molto materiale (ma soprattutto tempo) da cui attingere informazioni più dettagliate sul loro modus operandi.

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Capitolo 3
*** La trappola - Seconda parte ***


Si svegliarono tardi la mattina dopo, nello stesso momento e distesi l’uno accanto all’altro nel letto. Clint fu il primo ad alzarsi e andò in bagno per farsi una doccia, mentre Natasha riordinava con cautela i vestiti sparsi per tutto il pavimento.
«Che ne dici di darci da fare stamattina?» disse Natasha ad alta voce per farsi sentire nonostante il rumore dell’acqua che scorreva.
«Ancora? Non ne hai avuto abbastanza stanotte, Nat?» rispose con un pizzico di malizia.
Natasha fece finta che quella notte non fosse successo nulla e non rispose. “L’amore è per i bambini.” ripeteva sempre, ma allora come mai quando guardava Clint provava una fitta allo stomaco e si sentiva finalmente viva? Tra l’altro, lui era l’unico su cui il suo dono di leggere nella mente altrui sembrava neutralizzato e questo proprio non riusciva a spiegarselo. Possibile che si stava… innamorando? No, era escluso. La Vedova Nera non poteva cedere a questi sentimentalismi.“Ciò che è successo stanotte è semplicemente il risultato di un momento di follia, sì, deve per forza essere così, quindi non è successo niente”
«Scherzi a parte, hai ragione, dobbiamo andare a scovare quel certo Adrian…» rispose Clint dopo aver atteso invano una risposta alla sua battuta.
Adrian era la nuova pista, un uomo legato alla mafia russa che lavorava per Dimitri come meccanico e per questo conosceva Ivan: prendeva personalmente in consegna le auto che l’imprenditore forniva illegalmente al boss. Era un vecchio amico di Natasha, ma migrò in Ungheria dopo la sanguinosa faida che vide coinvolta la sua famiglia, anch’essa legata alla mafia, e da allora non si sentirono più per il bene della ragazza che all’epoca era ancora una bambina.
«Mi ricordo che diceva di voler aprire un ristorante, era stufo di avere sempre le mani nell’olio e nel grasso.»
«Beh, non è molto, ma è sempre un inizio.»
Clint apparse sull’uscio della porta e vi si appoggiò con una spalla, intanto che si asciugava i capelli con solo un asciugamano avvolto alla vita.
«Ivan aveva detto di provare a cercarlo nel quartiere cinese, ma di fare in fretta, non abbiamo tempo da perdere.» rispose lei guardandolo di sbieco per fargli capire di doversi muovere a prepararsi.
“Ecco, la spia russa che è in lei si è fatta già viva un’altra volta. -pensò mentre indossava pantaloni e anfibi- A volte non riesco a capire chi sia veramente… la meschina agente Romanoff o Natasha che vuole cambiare vita?”
 
Ormai entrambi erano pronti e dopo una breve ispezione dell’isolato a piedi, salirono in auto e partirono per Köbánya, il quartiere popolare che ospitava da anni il mercato cinese. Caos, tanta gente e molto rumore rendevano il posto poco gradevole, ma nulla sembrava fermare i due agenti, intenzionati in tutto e per tutto a trovare Adrian.
«Bene, da che parte iniziamo?»
«Io vado lassù.» Barton indicò un edificio abbastanza alto che si ergeva a circa 500 metri dalla piazza principale del paese.
«Allora io inizio a cercare informazioni… a mio modo.»
Neanche finì la frase, che tre uomini dall’aspetto grezzo iniziarono a fissarla e lei ricambiò maliziosamente lo sguardo. Clint ormai era già sparito nell’ombra.
«Ei ciao bellissima.» disse uno dei tre, il più basso.
«Cosa ci fai qui tutta sola? Capisci quello che diciamo?»
«Certo.» rispose Natasha con un perfetto ungherese.
«Bene, così faremo prima…» il più alto dei tre la prese per un braccio e la sbatterono al muro di un vicolo sulla loro destra. Nessuno fra la folla sembrò farci caso, questo genere di cose erano all’ordine del giorno.
«Prima di iniziare a giocare, conoscete Adrian Morozov?»
«Adrian proprietario del ristorante? Perché? Vuoi portarci a cena?» si misero a ridere.
«Prima vi faccio assaggiare il dessert.»
La Vedova Nera si liberò agilmente dalla presa girando il polso dell’uomo che la stava tenendo riuscendo in un sol gesto a spezzargli anche il braccio. Successivamente fermò il pugno del secondo, ricambiando con un calcio nello sterno così forte da mandarlo in tilt. Dopo un solo minuto di combattimento, due dei tre malviventi erano già stati sconfitti; nonostante ciò, ricevette dal terzo, il più alto, un colpo ben assestato alla guancia. Indietreggiò un attimo fingendo di aver perso l’equilibrio in modo tale che il suo avversario, convinto di aver fatto centro, si fermò un attimo, ma quell’istante di esitazione segnò la sua sconfitta. L’abilissima Vedova Nera infatti, ne approfittò subito e mentre gli altri due erano ancora per terra, con un colpo secco e netto sul collo mise fuori gioco anche l’ultimo dei tre, facendolo cadere per terra senza sensi.
«Conoscete Adrian Morozov?»
«Sorgyar utca, numero 30.»
«Ci voleva così tanto? Grazie per la collaborazione.» Come sempre, i tre si rivelarono semplicemente dei poveri ubriaconi, incapaci anche solo di stare in piedi.
 
Clint invece, si era appostato all’ultimo piano del palazzo e aveva assistito ad una scena curiosa. Due uomini che apparentemente non si conoscevano camminavano da molto tempo uno dietro all’altro e proprio all’incrocio sotto l’edificio da li cui stava osservando, si scambiarono un foglietto di carta e in un attimo uno dei due svanì nel nulla. Lo rivide poco tempo dopo, ma questa volta era nella via di fronte a quella del suo compagno ed esattamente a metà fra loro c’era un ristorante. La via era Sorgyar utca.
 
Due minuti dopo, Barton e Romanoff si ritrovarono esattamente in quel punto. Ormai dopo mesi di lavoro fianco a fianco, avevano studiato e collaudato una strategia perfetta: una volta stabilito ciò per cui dovevano indagare, si davano dieci minuti per raccogliere indizi utili e allo scadere del tempo si recavano nel posto o dalla persona che ritenevano essere il loro target, che concordavano preventivamente. Se si ritrovavano nello stesso posto, allora le loro conclusioni erano sicuramente corrette e anche questa volta, come sempre, entrambi gli agenti non avevano sbagliato.
«In fretta. Ci sono due uomini, probabilmente armati, che stanno per entrare nel locale di Ivan.» Clint informò la collega senza perdere tempo.
«Ok, io entro e tu fai la guardia qui fuori.»
«Mi raccomando, stai attenta!»
«Come sempre. Fai attenzione anche tu.»

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Capitolo 4
*** La trappola - Terza Parte ***


Natasha entrò nel locale, si guardò intorno e rimase stupita. Era un ristorante in tutto e per tutto, ma in fondo alla sala c’era un bancone da pub che serviva gli aperitivi e dava un tocco di personalità in più: era tutto molto grazioso per essere un locale aperto da un vecchio componente della mafia russa, pensò. Non c’era nessuno ed in fondo era normale, erano solo le 11.00, troppo presto per pranzare. Ciò che la preoccupava era il fatto che non ci fosse neanche un cameriere o un cuoco, ma uno dei posa ceneri appoggiati sui tavoli conteneva due mozziconi di sigarette spente da non più di qualche minuto e il suo vecchio amico Adrian, ne era certa, non fumava e non avrebbe mai iniziato a quella età. Forse erano già entrati i due uomini di cui parlava Clint? Si diresse velocemente verso il bancone e vide una porta semi aperta che dava sul retro dove si trovava la cucina; entrò appena in tempo per scoprire che i suoi sospetti erano corretti: i due loschi individui erano già entrati e gli avevano sparato un colpo nello stomaco. Riconobbe Adrian nonostante non lo vedesse da anni: era accasciato per terra quasi senza sensi e stava perdendo molto sangue, ma trovò lo stesso la forza per parlare a Natasha.
«Tasha, sei tu? Non sai quanto ho aspettato questo momento.» disse con un filo di voce e le lacrime agli occhi.
«Ian, non sforzarti. Avremo tempo più tardi per parlare, ora pensa a non perdere le forze. Devi rimanere sveglio o è la fine.» rispose con tono deciso.
«Non preoccuparti per me, era scontato che sarebbe finita in questo modo, anzi, non mi sarei mai immaginato che mi avrebbero lasciato vivere per così tanto tempo… pensavo si fossero scordati di me –fece un sorriso- ma ora è tutto chiaro… -un’espressione di terrore pervase i suoi occhi e qualsiasi traccia del precedente sorriso scomparve- Nat sei in pericolo!! Vai via!!»
La ragazza capì tutto: la morte di Ivan era un falso. Ripensandoci, non erano state mostrate foto del cadavere e l’attenzione che i media diedero alla vicenda era sproporzionata: di solito questi regolamenti di conti tra mafiosi non erano oggetto di interesse dell’opinione pubblica, se non sporadicamente e solo nel caso in cui le vittime fossero state personaggi veramente di rilievo; inoltre, non era consuetudine per la mafia russa gettare i cadaveri nelle fogne, non era il loro modus operandi. Dimitri sapeva bene che se fosse morto Ivan, Natasha avrebbe subito cercato Adrian e così per tutti questi anni lo stavano tenendo sotto controllo in attesa che lei arrivasse, per poterla finalmente catturare, e quel momento arrivò.
«Clint!» fu il primo pensiero che fulminò nella sua mente non appena capì che era in pericolo, che erano in pericolo.
Affidò Adrian ai suoi due colleghi che arrivarono proprio in quel momento.
«Io tornerò più tardi, per fortuna non hanno sparato per ucciderti, se fosse stato quello il loro scopo a quest’ora non eri più fra noi. Non sbagliano mai.»
«Dove devi andare? Resta qui, è pericoloso aggirarsi per queste strade da soli! E poi, ti stanno cercando!»
Natasha non lo ascoltò e senza pensarci un secondo di più uscì dalla porta sul retro, in cerca di Barton.
 
Si guardò attorno, ma non c’era nessuno e solo un piccolo vicolo si faceva strada tra gli alti muri delle case che vi si affacciavano. Visto che nessuno era tornato indietro nel locale, l’unica via d’uscita era sicuramente quella e così lo percorse di fretta. Con grande sorpresa ciò che vide una volta terminato il vicolo fu un enorme cortile su cui si affacciavano quattro palazzi apparentemente disabitati e nessuna strada che permettesse di uscire da quello spiazzale.
Dove erano andati i due assassini? Che fosse una trappola per attirarla in quel posto senza via di scampo? Doveva tornare indietro o cercare in uno dei palazzi? Ma quale dei tanti?
Un rivolo di sangue che vide scorrere sotto la porta del palazzo alla sua destra attirò la sua attenzione. “Quel sangue è ancora fresco, appartiene sicuramente a qualcuno che si trovava qua poco fa… forse è la risposta alle mie domande”
Prima di fare qualsiasi mossa però, alzò lo sguardo e rapidamente, ma molto attentamente, studiò la situazione come una vera spia sa di dover fare per evitare ogni possibile pericolo. Ora che guardava meglio, i palazzi più che disabitati dovevano essere ancora in costruzione; i vetri erano blindati, gli infissi non mostravano segni di usura e guardando dentro ai locali dei primi piani sembrava che nessuno degli appartamenti fosse ancora abitato... solo una piccola finestra sull’ultimo piano del palazzo alla sua destra era aperta. Lo stesso dalla cui porta al piano terra sgorgava il sangue visto poco prima. “No… non può essere…”
Natasha pensò immediatamente che lassù doveva esserci lui, Occhio di Falco, e non aveva torto: si era infatti appostato in quel palazzo in modo tale che se i due presunti assassini, che si rivelarono tali, fossero scappati dal retro del ristorante avrebbe potuto facilmente bloccarli senza farsi vedere e prendendoli alla sprovvista. Se si fosse messo sul palazzo di fronte sarebbe stato facilmente notato anche dal più inesperto malvivente.
Natasha fissò il sangue incapace di muoversi. Non riusciva a pensare a niente, sentiva di aver totalmente perso il controllo del suo corpo e della sua mente, ogni muscolo era come paralizzato. Era la prima volta in vita sua che le capitava una cosa del genere, anzi, la seconda.
Il suono di un uccellino che le volò accanto risvegliò i suoi sensi, ancora intontita fece un passo, poi un altro e un altro ancora finché non si ritrovò a correre verso quella porta… fece per aprila, ma lo ritrovò davanti a sé.

«Ahah ora sono io che ho aperto prima di te, ho come un flashback!! - le sorrise guardandola negli occhi e notò le lacrime che le rigavano il volto- …Ehi, che cosa è successo Nat?»
Clint si accorse che lo stava fissando, incredula, ma notò che i suoi occhi erano spenti, come se ci fosse davanti un velo trasparente che non le permetteva di vedere.
«Nat? Nat!! Rispondimi!!» la scrollò dalle spalle.
Natasha avvertì un brivido correre dalla schiena fino alle gambe e si portò via quella sensazione di impotenza che l’aveva bloccata: finalmente, veramente, lo vide.
«Come hai potuto!!! -gli urlò contro iniziando a battergli i pugni sul petto- Non farlo mai più!!! Dovevi avvisarmi che eri lassù e che stavi bene! Dove sono gli assassini?» le parole uscivano da sole dalla sua bocca come un fiume impetuoso.
Barton la strinse forse a se e rimase in silenzio. Lei, lentamente, si lasciò andare e si calmò, ogni pensiero svanì nel nulla e il respiro si fece più regolare: ora, l’unica cosa a cui riusciva a pensare, è che li tra le sue forti braccia che l’avvolgevano, stava veramente bene. Si sentiva al sicuro. Il fatto che questo non dipendesse solo ed esclusivamente da lei la faceva sentire finalmente libera, libera di non dover essere sempre e costantemente vigile su ciò che poteva accaderle e libera di poter pensare a niente… c’era qualcun altro che era attento al suo posto, che la proteggeva. Non era sola.
Fare affidamento su qualcun altro voleva dire proprio questo: fidarsi, creare un legame, lasciarsi andare e mostrare le proprie debolezze; lei, però, era stata addestrata come una macchina da guerra a disposizione del governo russo e non le era permesso provare dei sentimenti. L’amore particolarmente, fra tutti, era il sentimento più pericoloso; era innaturale, le avevano detto. Come può un essere umano, che per sua natura agisce per istinto di conservazione, rischiare la propria vita per salvare quella di qualcun altro? No, non c’è tempo di preoccuparsi per gli altri quando si è in guerra; infatti, era stata proprio la paura di perderlo che aveva azzerato ogni sua difesa lasciandola scoperta e indifesa, intenta solo a fissare il sangue senza riuscire a elaborare un piano per difendersi e all’occorrenza attaccare. Ma ora era passato tutto e non riusciva a pentirsi per ciò aveva provato.
Appoggiò il volto sul petto di Clint e poteva distintamente ascoltare il suo cuore, il proprio respiro andava a tempo con il suo, erano una cosa sola.
Clint non smise un attimo di tenerla forte a sé e pensò solo a quanto la amasse. Ormai ne era certo: lei era l’unico motivo per il quale si trovava a Budapest ed ora poteva averla. Chiuse gli occhi e appoggiò la sua guancia sulla testa di Nat. Rimasero così, immobili, per qualche lungo e interminabile minuto che sembrò durare una eternità. 

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