I fiori del male

di Blityri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** VIII ***
Capitolo 10: *** IX ***
Capitolo 11: *** X ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


20 Dicembre 1998. Inghilterra

Hermione era rannicchiata in una delle poltrone sfondate a leggere Le fiabe di Beda il Bardo mentre con una mano sfogliava febbrilmente Il Sillabario dei Sortilegi.
“Hermione ho riflettuto e..” Iniziò Harry dopo essersi schiarito la gola.
“Harry, puoi aiutarmi?” gli chiese protendendosi verso di lui mostrandogli Le Fiabe di Beda il Bardo.
“Guarda quel simbolo” disse indicando in cima a una pagina. Sopra quello che Harry dedusse essere il titolo della storia ( non sapendo leggere le rune, non ne era sicuro) c’era un altro simbolo che sembrava un piccolo pianeta con un anello.
“Non ho mai studiato Antiche Rune, Hermione.”
“Lo so, ma questa non è una runa, nel sillabario non c’è. Finora pensavo che fosse un pianeta, ma non credo! E’ stato fatto dopo, guarda, qualcuno l’ha disegnato, non fa parte del libro. Pensaci : non l’hai mai visto prima?”
“No… ehi, aspetta un momento.” Harry guardò meglio. “ Non potrebbero essere due lettere ? Una O e una C? L’anello non è completo.”
“Due iniziali ? in effetti potrebbe essere, ma per cosa dovrebbero stare?”
Harry alzò le spalle, mentre Hermione iniziava a sfogliare gli altri libri che aveva al fianco, mormorando come in trans “O e C, O e C”.
Dopo qualche minuto si battè una mano sulla fronte e guardò Harry con la sua tipica espressione da ho-trovato-la-soluzione.
“Oliver and Cooper.” Disse
L’amico la guardò interrogativo. “Scusa?”
“Oliver and Cooper! Era la banca in cui mia madre teneva i gioielli di famiglia. Questo è il loro simbolo, l’ho visto milioni di volte sulle lettere  che arrivavano a casa!”
“Hermione, ne sei sicura? Perché diavolo Silente avrebbe dovuto disegnare il simbolo di una banca babbana su quel libro?”
Hermione si mordicchiò un labbro. “ Non lo so, ma non sarebbe la prima volta che fa cose che sembrano senza senso a prima vista, no? E poi è l’unica cosa che mi viene in mente.”
Rimasero in silenzio per qualche momento poi Harry si alzò, tirando fuori la sua bacchetta. “ Be’ tanto vale controllare, qui non stiamo concludendo nulla comunque.”
Hermione gli sorrise e iniziò a mettere via le loro cose.
Londra. 

La neve che cadeva ininterrotta da ore ,si posava pigramente sulla città regalandole un aspetto quasi fiabesco mentre
Harry e Hermione procedevano a braccetto in silenzio schivando le ultime persone che si affrettavano alla ricerca dei regali natalizi. Si fermarono solo una volta giunti davanti ad un imponente edificio, la cui targa dorata informava i visitatori che si trovavano davanti alla Oliver and Cooper Bank fondata nel lontano 1789.
I due amici si scambiarono uno sguardo poi ,dopo essersi accertati che nessuno li stesse seguendo, entrarono.
L’ingresso, ampio e luminoso, ospitava un grande abete riccamente decorato sui cui splendevano numerose candele, e alla sua vista Hermione si sentì prendere dalla malinconia dei Natali passati, trascorsi insieme ai parenti e agli amici.
Si riscosse dai suoi pensieri solo quando Harry le rifilò una gomitata e le indicò con un cenno del capo l’uomo che si stava avvicinando a loro, sorridendo.
“Buona sera Signori, posso aiutarvi in qualche modo?” chiese cortese.
“I-io… n-noi” iniziò a balbettare Hermione, dandosi mentalmente dell’idiota per non aver pensato ad una scusa che giustificasse la loro presenza lì.
L’uomo , vedendola in difficoltà, accorse in suoi aiuto. “Siete qui per depositare qualcosa?” chiese affabile.
“In realtà volevamo avere solo qualche informazione su questo posto.” Rispose Harry dandosi un’occhiata intorno, quel luogo decisamente non gli ricordava una banca.
“In questo caso signori, se volete posso organizzare per voi un breve giro guidato della Oliver and Cooper, prima però dovreste scrivere il vostro nome sul libro che trovate su quel tavolo. Un’antica tradizione sapete.” Li informò conducendoli davanti ad un tavolo di marmo bianco, su cui era appoggiato un grande libro rilegato in pelle.
Hermione scrisse il suo nome con l’elegante penna nera posato sul tavolo mentre ascoltava l’uomo narrare la storia della banca.
“E i soldi li tenete nei sotterranei immagino.” Disse Harry.
“Soldi? Noi non custodiamo soldi signore.”
“No? E che cosa tenete qua dentro?”
“Oggetti, signore. Oggetti che vengono dalle parti più disparate del mondo, noi li custodiamo finché i loro proprietari non vengono a ritirarli.”
Hermione  trattenne il respiro a sentire questa risposta e voltandosi verso l’amico capì che avevano pensato la stessa cosa. Che la spada di Godric Grifondoro si trovasse davvero in quella banca babbana?
L’uomo si avvicinò al tavolo e fece per chiudere il libro delle firme. “ Bene, ora se volete seguir…” si interruppe improvvisamente e si voltò verso Hermione. “ Signorina Granger ? Lei è la Signorina Hermione Granger?”
Hermione sgranò gli occhi mentre percepiva Harry irrigidirsi di fianco a lei, pronto a tirar fuori la bacchetta.
“Si, sono io.” Disse poi.
L’uomo sorrise ancora una volta. “ Iniziavamo a temere che non sarebbe più venuta.”

Hermione e Harry sedevano alla scrivania di quello che avevano scoperto essere Peter Oliver, discendente di uno dei fondatori della banca, e aspettavano in attesa di capire per quale motivo quell’uomo sembrava conoscerla.
Il Signor Oliver alzò lo sguardo dal computer per puntarlo sulla ragazza. “ Vede Signorina Granger, circa un anno fa è stata aperta a suo nome una cassetta in cui sono stati depositati uno o più oggetti.”
“Vorrebbe dirmi che voi non sapete cosa le vostre cassette contengono?”
“Ciò che esse contengono riguarda esclusivamente gli intestatari delle cassette, noi ci limitiamo  a custodirli, Signorina Granger.” Rispose tranquillamente Peter Oliver. “ Solo lei può aprire la cassetta di sicurezza 713, ma per farlo mi deve fornire una specie di parola d’ordine che è stata stabilita dalla persona che depositato qui qualcosa a suo nome.”
“Una parola d’ordine?” esclamò Hermione sorpresa, voltandosi a guardare Harry. “E com…”
Smise improvvisamente di parlare. 713 ? Aveva davvero detto 713? Si passò una mano tra i capelli. Era possibile che fosse una coincidenza? Che la sua cassetta avesse lo stesso numero di quella in cui era custodita la famosa Pietra Filosofale, che aveva aiutato a salvare dalle mani di Voldemort il primo anno ?
Le coincidenze non esistono le ricordò la parte più razionale della sua mente. Tanto valeva provare, in fondo che altre opzioni aveva ?
Trasse un profondo respiro.
“ Potrebbe essere… potrebbe essere Pietra Filosofale?” disse mentre sentiva lo sguardo curioso di Harry posarsi su di lei.
“Esattamente Signorina Granger.”
Hermione sentì allargarsi sul viso un ampio sorriso.
“Potremmo sapere Signor Oliver, chi ha intestato questa cassetta ad Hermione?” si intromise Harry diffidente.
Peter Oliver lanciò un’occhiata distratta allo schermo del computer.
“Il Signor Albus Silente, da quanto mi risulta, Lo conoscete ?”
“Lo conoscevamo.” Mormorò Harry mentre un’ombra calava sul suo viso.
L’uomo non fece altre domande, ma tornò a rivolgersi ad Hermione. “ Ora se vuole seguirmi Signorina Granger.
 No, lei no Signor Potter, solo gli intestatari delle cassette possono prelevare gli oggetti, temo dovrà attenderci nell’atrio.” Aggiunse vedendo che Harry si era alzato per seguirli.
Hermione fece un cenno all’amico, che era già pronto a schiantare il Direttore della banca, poi si voltò e seguì il Signor Oliver.

Lo sportello di metallo della cassetta numero 713 riluceva sotto la tenue luce che illuminava l’immensa stanza. Con mano tremante Hermione estrasse il sacchetto di velluto rosso che conteneva e lo soppesò. Delicatamente sciolse il nodo che lo chiudeva e le si formò un groppo in gola al pensiero che era stato Silente a stringerlo. Vi affondò la mano ed estrasse un pezzo di pergamena stropicciato. Sopra con l’elegante scrittura del Preside c’era scritta una breve frase: Cum nulla spes restat. Quando non resta nessuna speranza.
Hermione  si fece scivolare in mano il primo oggetto e si ritrovò a fissare con curiosità una sottile fiala di vetro, in cui fluttuava un denso liquido argentato. Trattenendo il respiro estrasse il secondo contenuto del sacchetto e  con tenerezza sfiorò la piccola clessidra di quell’oggetto che conosceva così bene, poi mise via il pezzo di pergamena e la fiala, si infilò il GiraTempo sotto la maglietta ed uscì dalla stanza, mentre il Signor Oliver chiudeva la cassetta dietro di lei.



24 Dicembre 1998. Inghilterra
Hermione  era seduta per terra, schiena appoggiata al tronco di un albero, e guardava frustrata il Giratempo mentre sole al di là della foresta tramontava lentamente e i rami degli alberi proiettavano ombre simili a lunghi artigli. Un soffio di vento la fece rabbrividire e la costrinse a stringersi ancora di più nel pesante golf mentre sentiva l’impotenza prendere il sopravvento.
Per un attimo ,dopo aver visto il lascito di Silente si era illusa di aver fatto qualche passo avanti, ma si era sbagliata. Aveva pensato di poter tornare indietro nel tempo e salvare il Preside, che fosse quella la chiave per sconfiggere Voldemort, ma il Giratempo non aveva funzionato. Aveva provato qualsiasi incantesimo le fosse venuto in mente per attivarlo, ma era rimasto freddo e immobile per tutto il tempo, e lei presto si era arresa.
Sentì le foglie scricchiolare dietro di lei mentre Harry si avvicinava e le si sedeva accanto, coprendola con una coperta,uno stanco sorriso le si dipinse sul volto mentre sentiva una parte della sua angoscia sparire alla presenza dell’amico.
“Hermione”.
“Mmm?”
“Ci ho riflettuto. Io… voglio andare a Godirc’s Hollow”.
Hermione si voltò a guardarlo. “Si” disse. “ Si, ci ho pensato anche io. Credo proprio che dovremmo”.
“Hai sentito bene’” chiese lui.
“Ma certo. Vuoi andare a Godric’s Hollow. Sono d’accordo. Credo che dovremmo. Insomma prima pensavo che potesse essere nella cassetta della O&C  ma ora non riesco a pensare a un altro posto dove potrebbe essere. Sarà rischioso, ma più ci penso, più mi sembra probabile che si trovi là.”
“Ehm… che cosa?”
Hermione lo guardò sconcertata. “Ma la spada Harry, la spada di Godric Grifondoro!”


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Capitolo 2
*** I ***


Alone, alone, all alone,
Alone on a wide wide sea!
And never a saint took pity on
My soul in agony. 1


2 Maggio 1998. Hogwarts

Hermione sentì l’urlo della McGrannit  e prima ancora di vedere capì. Harry era morto. Saltò senza fermarsi gli ultimi gradini, per bloccarsi sul portone della scuola, accanto a quelli dei suoi amici che ancora non erano morti.
Per un istante il suo mondo si fermò, poi lei lo vide e si ruppe in mille pezzi.
“Harry! HARRY!” sentì la sua voce urlare, mentre Ron le impediva di correre verso il corpo dell’amico.
Non poteva essere morto, non poteva. Ma le lacrime di Hagrid continuavano a scendere, e Voldemort continuava ridere, di una risata che fendeva l’aria come una lama, e frantumava ogni loro speranza.
Speranza. Pensò Hermione portandosi una mano al collo. Cum nulla spes restat. Non c’erano più speranze. Harry era morto.
Lentamente si svincolò dalla presa di Ron e si diresse verso l’unico posto che forse, finalmente, avrebbe potuto fornirle qualche spiegazione. Mentre una calma irreale la invadeva iniziò a salire le scale verso quello che una volta era stato l’ufficio del Preside.

La pesante porta di legno scricchiolò, ma si aprì senza opporre resistenza. Hermione si guardò intorno e si accorse che dalla finestra entrava la timida luce dell’alba. Da lontano sentì arrivare un grido, ma non si fermò a chiedersi di chi fosse, tutto le sembrava così lontano e sfocato.
Senza pensare troppo si avvicinò alla scrivania su cui era stato appoggiato in precedenza il Pensatoio di Silente ed estrasse dalla borsa la fiala di vetro.
Vi versò dentro il liquido  e per un istante si fermò ad osservare i ricordi argentati che vorticavano in una danza senza fine, poi in un disperato tentativo di allontanarsi dal presente vi si immerse.

Hermione si accorse di essere di nuovo davanti alla porta dell’ufficio del Preside e si guardò intorno incuriosita. Dall’interno non proveniva nessun rumore ma dagli spiragli della porta filtrava la viva luce del sole, cosa che le fece pensare che fosse pieno pomeriggio. All’improvviso senti un rumore di passi dietro di lei e, voltandosi, si ritrovò davanti la Professoressa McGrannit.
“Salve Professoressa” disse istintivamente.
Ma la donna non si accorse della sua presenta ed aprì con un cipiglio deciso la pesante porta. Che idiota che sei Hermione, sei in un ricordo! Non possono accorgersi di te!  Pensò, prima di scivolare nella stanza.
“ Albus”.
“Minerva! Che piacere vederti, non ti aspettavo così presto. Siediti,siediti!” esclamò il Preside sorridendo.
Hermione sentì gli occhi pizzicarle alla vista dell’amato Preside, e avrebbe dato qualsiasi cosa per potergli parlare, per avvisarlo di quello che stava per succedergli. Ma non poteva sentirla, quindi si limitò ad osservare la scena.
La McGrannit si sedette e lanciò preoccupato alla mano nera e raggrinzita del Preside.
“Cos’è successo alla tua mano Albus?”
“Ahimè, ho giocato troppo con il fuoco, come si suol dire. Ma niente di cui preoccuparsi! Ci sono nuovi sviluppi sul lavoro che ti ho chiesto di fare?”
La donna lo guardò scettica per un attimo, poi estrasse un oggetto dalla tasca e lo appoggiò sulla scrivania. “ L’ho finito Albus. Ora è programmato per tornare indietro solo in quella data. L’effetto durerà un anno, poi riporterà indietro la persona.”
Hermione si avvicinò per vedere meglio, mentre il Preside prendeva tra le mani il Giratempo.
“Bene,bene.” Tossicchiò. Poi sentendosi osservato alzò lo sguardo. “Si?”
“Mi stavo chiedendo Albus… mi stavo chiedendo a cosa ti servirà.”
“Immagino che una mente brillante come la tua avrà già elaborato una perfetta teoria, non è vero Minerva?” chiese sorridendo.
“In effetti si, ma preferirei sentire le tue parole.”
“Capisco.” Sospirò il Preside.
Dopo qualche istante di silenzio Silente continuò “ Tempi oscuri ci attendono Minerva, dobbiamo essere preparati a ogni evenienza.”
“Ci sarà una guerra, non è vero Albus? Come l’ultima volta. Lo sento… nell’aria.”
“ Temo che questa sarà ancora più terribile.  Se ogni tentativo di fermare il male fallirà bisognerà… come dire, estirparlo alla radice.”
“Vuoi mandare indietro Potter per uccidere Voldemort ancora minorenne Albus? E’ questo che intendi fare?”
“ Non tutte le guerre si vincono combattendo, Minerva” rispose enigmatico. “ E non sarà Potter a fare questa cosa.”
“No?” domandò stupita la McGrannit. “Chi allora?”
“ Spetterà all’unica persona in grado di farlo, credo che sia meglio, per il bene di tutti, che il suo nome rimanga segreto. Farò in modo che questo oggetto le arrivi nel modo più sicuro, se è questo che ti preoccupa.”
La Professoressa si accorse che non avrebbe ottenuto maggiori informazioni per cui si alzò e con un sorriso stanco disse: “ Ci vediamo a cena Albus?”
“Come sempre mia cara.” Le rispose il Preside sorridendo.
Dopo che la McGrannit fu uscita Silente si portò lentamente la bacchetta vicino alla testa, premendone la punta contro un tempia, ed estrasse un lungo filo argentato.

Hermione si ritrovò distesa sul freddo pavimento di pietra. Si mise lentamente a sedere mentre la sua mente elaborava ciò che aveva appena sentito. Le mura del castello tremavano  e da fuori giungevano urla e scoppi, segno che la battaglia era ricominciata.
Silente evidentemente aveva previsto tutto. Sapeva che l’unico modo per sconfiggere Voldemort era tornare indietro fino al tempo in cui non aveva ancora tutti i suoi poteri. Ma perché lei? Harry sarebbe stata la scelta più logica e giusta, non lei. Hermione non capiva, ma in fondo era da un po’ di tempo che ogni cosa sembrava aver perso ogni senso logico, forse era ora che si abituasse.
Tornare indietro, doveva tornare indietro e fermare Voldemort. Ma come poteva fermarlo lei? Lei che non aveva neanche la metà del potere o della forza di Silente o Harry!
Improvvisamente sentì il Giratempo diventare caldo sotto la stoffa della maglietta. Lo tirò fuori e si alzò.
“Harry è morto.” Sussurrò al piccolo oggetto, quasi che potesse suggerirle cosa fare. Altre urla arrivarono alle sue orecchie. Chi altro stava morendo in quel momento? Aveva la possibilità di fermare tutto quello, non se la sarebbe lasciata scappare.
Questa volta, tre giri non basteranno pensò con un debole sorriso.
Fece girare una volta la clessidra poi la guardò in attesa. Un attimo, poi il Giratempo iniziò a girare sempre più veloce, mentre ogni cosa intorno a lei vorticava e si confondeva.


Note
1"La ballata del vecchio marinaio" S.T. Coleridge
Salve a tutti ! Questa è la mia prima fic, l'idea è nata mentre guardava fuori dalla finestra durante un'interessantiiiiissima lezione di greco ! Ogni commento è apprezzatissimo!
Buona serata a tutti

Blityri

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Capitolo 3
*** II ***


Every night and every morn
Some to misery are born,
Every morn and every night
Some are born to sweet delight.
Some are born to sweet delight,
Some are born to endless night.1


1 Settembre 1944. Hogwarts

Hermione sbattè più volte le palpebre mentre l’ufficio del preside smetteva lentamente di turbinare intorno a lei.
Alzando la testa notò con sollievo che i presidi appesi alle pareti non si erano accorti della sua apparizione ma continuavano a sonnecchiare pigramente nelle loro cornici.
Il sole che entrava dalla finestra spalancata illuminava l’intera stanza, occupata in ogni angolo da libri disposti in ordinate fila.
A Hermione sembrò così insignificante senza gli oggetti di Silente.
Cercando di fare meno rumore possibile si avvicinò al davanzale e si sporse timidamente. Il castello era completamente intatto, il prato non era più coperto di cadaveri e macerie ma da uno strato omogeneo di erba verde brillante.
Si godette per un attimo la sensazione calda e avvolgente dei raggi del sole a contatto con la pelle intirizzita prima di permettere alle sue preoccupazioni di aggredirla.
Era riuscita a tornare indietro si, ma come poteva bloccare Voldemort?
Per prima cosa doveva trovare un posto in cui nascondersi, forse la Stanza delle Necessità…
Il cigolio della porta e una voce famigliare la distolsero dai suoi pensieri.
“Armando, penso proprio che dovresti leggere…”
Hermione si voltò e si trovò faccia a faccia con un perplesso e più giovane Albus Silente, mentre il suo battito subiva un’improvvisa accelerata e dalla gola le usciva uno strozzato “ Professor Silente !”
“Mi perdoni.” chiese Silente, osservandola con attenzione da dietro gli occhiali a mezza luna. “ Ci conosciamo ?”
Hermione si morse il labbro. “ N-no, cioè si! Insomma sono… sono nuova!” balbettò in un disperato tentativo di salvare la situazione.
“Nuova. Si, lo sospettavo.” Commentò Silente, rivolgendosi più a se stesso che a lei, mentre il suo sguardo si posava sul Giratempo ancora in bella vista.
Hermione si affrettò a nasconderlo sotto il maglione, mentre sentiva le guance arrossire senza motivo.
“Suggerirei di continuare questa conversazione in un luogo più appropriato, Signorina?”
“Granger. Hermione Granger.” Rispose prima di seguirlo fuori dalla stanza.

                                                                                          *

Lo studio di Silente era molto più piccolo dell’ufficio che avrebbe occupato entro non molti anni, ma anche se fosse stato più ampio l’effetto di confusione generale non sarebbe di certo diminuito.
Ogni superficie libera era occupata da oggetti dalle forme più disparate vicino a molti dei quali erano accatastati libri e pergamene ingiallite; almeno una mezza dozzina di orologi di diverse dimensioni ticchettavano all’unisono mentre sul soffitto levitava un perfetto modellino del Sistema Solare.
Continuando a guardarsi intorno Hermione si sedette sulla logora sedia imbottita davanti alla scrivania.
“Tè, signorina Granger?” chiese Silente mentre faceva apparire due tazzine decorate con delicati fiorellini azzurri e una teiera coordinata.
“No, veramente…”
“Suvvia, è come un abbraccio. In tazza.2” La invitò Silente.
Hermione sorrise, un abbraccio era proprio quello di cui aveva bisogno. “Volentieri professore.” Disse prendendo la tazza che l’altro le offriva, facendo attenzione a non rovesciarne il liquido bollente.
Gli orologi batterono le tre e da uno di essi, dall’aspetto tipicamente babbano, uscì un uccellino che la fece sobbalzare.
“Materia interessante il tempo, non è vero?” disse distogliendo lo sguardo dai suoi orologi.
Lei annuì sovrappensiero mentre cercava di capire se aveva macchiato di tè la pelle della sedia.
“Ultimamente poi si sono fatti notevoli passi avanti.” Continuò Silente. “ Conosce la teoria della relatività di Einstein?”
Hermione annuì di nuovo, chiedendosi dove volesse arrivare.
“Una mente davvero geniale. Non si può dire che non fosse già sveglio da bambino, un tantino troppo vivace però, ricordo che ha passato un intero pomeriggio a cercare di dare fuoco alla mia veste.” Il professore sorrise al ricordo.
“Einstein? Quell’Albert Einstein?”
“Oh si, amici di famiglia.”
“Cioè era un mago?”
“E’ un magonò , in effetti. Una grande perdita per il mondo magico, ma suppongo che ne abbia beneficiato quello babbano, non è d’accordo?”
Senza darle il tempo di rispondere estrasse dalla tasca una busta e gliela sventolò davanti.
“Proprio questa mattina mi è arrivata una lettera da suo cugino Jacob, grande mago, non immaginerà mai cosa mi ha scritto.” Fece una pausa e inclinò leggermente la testa. “ O forse si.”
Hermione si raddrizzò sulla sedia. Qualsiasi cosa ci fosse scritto in quella lettera portava complicazioni. Se lo sentiva
Andiamo, sarà anche il più grande mago di tutti i tempi, ma  non può sapere che vieni dal futuro! Tentò di tranquillizzarla la parte razionale della sua mente.
“E’ da anni che Jacob studia e controlla il tessuto spazio-temporale, il continuum come lo chiama lui, è convinto che fra non molto si potrà viaggiare nel tempo.”
Ok, lo sa.
“ E lei signorina Granger è la prova vivente che ha ragione, o mi sbaglio?” domandò mentre un lampo di curiosità gli accendeva lo sguardo.
Bluffa Hermione, bluffa. Non ha prove che lo confermino, sta solo ipotizzando.
“ I-io temo di non capire quello che sta dicendo. Sono nuova, tutto qui. Gliel’ho già detto prima.”
Pessima, pessima bugiarda.
“ Via, via non sono ancora totalmente rimbambito, nessuno mi ha mai avvisato del suo arrivo e quello che porta al collo, se non erro, è esattamente uguale al prototipo di Giratempo che il mio amico Jacob ha costruito.
In questa sua lettera inoltre mi ha gentilmente reso partecipe di  una sua recentissima scoperta. Il tessuto del continuum questa notte è stato lacerato, ed ecco lei. Spuntata dal nulla! Il motivo per cui è qui, è ciò che mi piacerebbe sapere.” Concluse scrutandola attentamente.
Hermione si passò una mano tra i capelli sentendosi improvvisamente messa alle strette. Era chiaro che fingere non aveva più senso per cui decise di dire la verità, sperando di poter trovare in Silente un alleato.
“Tempi bui attendono il mondo magico professore, mentre sono partita era in corso una battaglia. Tornare indietro era l’unica speranza rimasta, è stato lei a fare in modo che ciò fosse possibila.”
“ Si, ma perché proprio nel 1944, perché a Hogwarts?”
“ Per impedire a Voldemort di diventare…”
“ Voldemort?”
“ Tom Riddle signore.”
Silente si appoggiò all’alto schienale della sua sedia e un’ombra calò sul suo volto.
“ Tom Riddle.” Ripetè quasi in un sussurro.
“ E cosa… cosa diventerà?” chiese corrugando le sopracciglia.
“ Il più grande mago oscuro di tutti i tempi.”
“ E’ quello che temevo.” Commentò Silente con un sospiro.
Rimasero per alcuni minuti in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, prima che Hermione parlasse di nuovo.
“ Professore, adesso… adesso che lei sa, magari potrebbe lei…” iniziò incerta.
“ Temo proprio che questo non sia possibile signorina Granger. Presumo ci sia un motivo se il mio io del futuro ha deciso di mandare indietro lei. Non posso fermarlo io perché evidentemente solo lei può.”
Hermione non potè fare altro che annuire, anche se iniziava a sentirsi schiacciata dal peso di una missione così tanto più grande di lei.
“ Nel messaggio che mi ha lasciato dice che non tutte le guerre si vincono combattendo, sa cosa significhi?”
Sotto la barba di Silente si dipinse un sorriso triste. “ Mio fratello Aberforth mi ha sempre accusato di essere un tipo troppo enigmatico, a quanto pare in futuro non cambierò di molto. Suppongo che significhi proprio quello che intende : non sempre è necessario chiamare in causa la morte, signorina Granger.”
Lei lo guardò poco convinta. “ Professore, riguardo al suo futuro…”
“No, no, no.” La interruppe subito. “ Credo che sia meglio per tutti se non mi rivelerà più niente del futuro, quello che mi ha raccontato è più che sufficiente. Tuttavia, se avrà bisogno di un consiglio per il presente la porta del mio studio sarà sempre aperta per lei.”
Hermione gli sorrise sollevata, sentendosi per il momento un po’ meno sola.
“Ora, farò avere una lettera al preside Dippet riguardo il suo arrivo. Credo però che sia meglio che faccia un bagno prima di presentarsi da lui, per evitare scomode domande. Il bagno dei Prefetti al quinto piano dovrebbe andare bene.”
Alle parole di Silente Hermione abbassò lo sguardo e costatò il pietoso stato dei suoi vestiti che fino ad allora non aveva notato, e con orrore si accorse di avere le mani sporche di terra e sangue rappreso.
Si alzò lentamente e si diresse verso la porta.
“ Signorina Granger ?” la chiamo Silente.
Lei si voltò.
“ Credo che sia bene che lei tenga in mente una cosa : malvagi non si nasce, lo si diventa.” Per un attimo le sembrò che il suo sguardo penetrante riuscisse a leggerle dentro. “ Siamo nel 1944 e non è Voldemort che sta per arrivare a Hogwarts, ma Tom Riddle.” Concluse.
Hermione fece un leggero cenno col capo e poi uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé.
Ho decisamene bisogno di un bagno pensò mentre si incamminava verso il quinto piano.

                                                                                   *
Il bagno dei Prefetti era esattamente come se lo ricordava. Il lucido marmo bianco ricopriva tutto il pavimento, compresa la piscina incassata al centro della stanza. Su una parete era già appeso il famigliare dipinto della sirena dai capelli biondi, mentre su quella opposta, occupata da un’ampia vetrata, pendevano leggere tende di lino bianco.
In un angolo candidi asciugamani aspettavano solo di essere usati.
Hermione si tolse le scarpe coperte di fango notando, con sorpresa, di non aver lasciato neanche una macchia di sporco per terra. Dovevano aver usato qualche incantesimo particolare, evidentemente.
Si spogliò completamente mentre la luce che filtrava attraverso le tende colpiva i rubinetti d’orati della piscina, andando a creare affascinanti giochi di luce.
Con riluttanza posò delicatamente a terra la bacchetta, la sua unica assicurazione sulla vita. Era più di un anno che non se ne separava, anche mentre dormiva la teneva al suo fianco.
Sei negli anni Quaranta Hermione, nessuno tenterà di attaccarti alle spalle. E sicuramente non ora tentò di convincersi.
Seduta sul bordo freddo della vasca fece l’inventario dei danni. Le gambe e le braccia erano ricoperti da graffi superficiali, sul fianco destro spiccava un livido violaceo grande come il suo pugno e il ginocchio sinistro era incrostato parzialmente di sangue.
Poteva andarmi peggio pensò prima di aprire il rubinetto dell’acqua calda. Potevo essere morta.
Morta, come lo erano Lupin, Tonks, Lavanda e chissà quanti altri ancora dovevano fare la stessa fine. Se Voldemort non fosse stato fermato con ogni probabilità tutti loro sarebbero stati uccisi.
Mentre con la punta del piede sfiorava l’acqua bollente si chiese se il tempo nel momento in cui lei era partita si fosse fermato, cristallizzando ogni cosa come in un’agghiacciante cartolina.
O forse aveva continuato a scorrere e presto non ci sarebbe rimasto più nessuno a chiedersi che fine lei avesse fatto. Nemmeno i suoi genitori.
Scosse la testa, tentando come di scacciare questo pensiero e si lasciò scivolare nella vasca. Si immerse tutta.
Strano come anche sott’acqua le sembrasse di sentire ancora le grida dei suoi amici.
Solo quando i suoi polmoni iniziarono ad implorare pietà riemerse ansimando e si appoggiò al bordo della piscina.
Improvvisamente si ricordò di quando Harry le aveva del suo incontro con il fantasma di Mirtilla proprio in quel bagno, Sorridendo raggruppò intorno a sé più schiuma possibile, nel caso qualche altro fantasma decidesse di comparire.
Harry.
Perché aveva scelto di andare nella foresta? Perché aveva voluto consegnarsi ? Hermione sentì montare uno strano sentimento dentro di sé, era rabbia mista a frustrazione. Tutti loro erano pronti a morire per lui, perché aveva voluto a tutti i costi fare l’eroe? Così facendo non li aveva salvati, ma solo posticipato di poco la loro morte.
Uno sbuffo di bolle rosa uscì da un rubinetto e la rabbia sciamò via come era arrivata.
L’immagine dell’amico morto continuava a danzarle davanti agli occhi. Avrebbe tanto voluto piangere ma sentiva come un peso al centro del petto, un tappo che impediva alla lacrime di sgorgare.
Forse perché in fondo sperava che ci fosse ancora una possibilità di rimettere tutto a posto. Per quello era lì.
L’unica cosa a cui ora doveva pensare era riuscire ad avvicinarsi a Voldemort e fermarlo, le lacrime le avrebbe lasciate per dopo.
Sempre che ci sarà un dopo.
L’acqua era diventata tiepida e alzando lo sguardo Hermione si accorse che la luce del sole era più tenue.
Uscì dalla vasca, prese un soffice asciugamano dalla pila ordinata e si preparò ad incontrare Dippet.
       
                                                                                           *

La volta della Sala Grande riluceva, illuminata dalle centinaia di candele fluttuanti, e un brusio indistinto si levava dalle quattro tavolate dove gli studenti sedevano eccitati per l’inizio del nuovo anno.
Hermione osservava divertita le facce terrorizzate degli ultimi bambini davanti a lei che aspettavano di essere smistati.
Dopo che Zimmer Hans si fu unito al tavolo dei Grifondoro il preside Dippet si alzò in piedi.
“ Quest’anno Hogwarts è lieta di accogliere una nuova studentessa dell’ultimo anno, Hermione Evans. Sono sicura che ognuno di voi farò del suo meglio per farla sentire a proprio agio!” disse mentre i suoi occhi saettavano da una parte all’altra della sala.
Hermione sorrise appena al sentire il suo nuovo nome, aveva deciso che per evitare complicazioni sarebbe stato più utile abbandonare il cognome babbano. Dopo averne scartati alcuni la sua scelta era ricaduta su Evans che, oltre ad essere molto diffuso nel mondo magico, le ricordava Harry.  Il nome no, aveva deciso di tenere il suo, aveva la sensazione di  smarrire in qualche modo sé stessa cambiandolo.
Sentendosi chiamare si avviò incerta verso lo sgabello di legno, sentiva lo sguardo di ogni studente puntato su di sé.
Merlino, perché non possono… non so… guardare nel loro piatto?!
Dopo quelli che le sembrarono secondi lunghissimi si sedette e sentì con sollievo che il Cappello Parlante le veniva posato sulla testa.
“Mmm, interessante. Eppure mi sembrava di averti già smistata signorina Granger.”
“C-come fai…” iniziò stupita.
“Mia cara ragazza, sono un oggetto magico. Il tempo non esiste per me!”
“Manterrai il mio segreto?”
“Io sono un cappello, il mio compito è smistare non andare in giro a parlare degli affari altrui.” Le rispose piccato. “ A questo proposito mi domando in cosa potrei esserti utile, sai già in che casa ti sto per smistare.”
“ Questa volta però avrei bisogno di finire in Serpeverde .”
“ Non mi sembra la casa più adatta a te… ma se sei proprio sicura…”
“SERPEVERDE!” urlò il Cappello.
Hermione si alzò e si diresse vero il tavolo dei Serpeverde con la stessa allegria di un condannato a morte.
Si sedette di fianco ad una ragazza che le aveva gentilmente fatto posto.
“Ciao! Io sono Violet Bulstrode.”si presentò con un sorriso.
I capelli rosso accesi, tagliati corti, sparavano in tutte le direzioni, ricordandole quelli di Harry, e gli occhi chiari e sottili la osservavano con simpatia, più che con lo sdegno e l’altezzosità che si sarebbe aspettata da un Serpeverde.
Le sorrise di rimando.
“Da dove vieni?” domandò curiosa Violet.
“ Dalla Francia. Cioè, sono inglese ma mi sono trasferita là con i miei quando ero molto piccola.” Disse, ripetendo la storia che aveva già propinato al preside.
La cosa importante è che a nessuno venga in mente di intavolare una conversazione in francese con me!
“Sono stata in Francia qualche anno fa, bel posto. E fino ad adesso dove hai studiato?  A Beauxbatons?”
“No, i miei hanno preferito istruirmi a casa, mi hanno insegnato loro.” Rispose velocemente Hermione, sperando di esaurire il prima possibile l’argomento.
“ Quindi sei una Purosangue ?” si intromise una voce melliflua.
Hermione si girò per capire chi avesse parlato. I capelli biondi, quasi bianchi e l’aria di chi può permettersi tutto non lasciavano dubbi.
“Malfoy, non avrai intenzione di ricominciare con questa stupida storia del sangue, vero ?” commentò dura Violet.
“Taci Bulstrode, non è con te che sto parlando.” Le rispose il ragazzo tornando ad interrogare Hermione con gli occhi.
“ Si. Sono Purosangue.” Sbottò infine.
La voce di Silente,che si levò nella sala, pose fine alla conversazione.
“Ben ritrovati! E a coloro che sono nuovi benvenuti!” iniziò il professore. “ Prima di iniziare ad abbuffarci mi ritrovo costretto ad annoiarvi con le mie parole. Per prima cosa, viste le insistenza dei Prefetti, insieme con il preside noi insegnanti abbiamo deciso di accordarvi il permesso per organizzare il Ballo di fine anno.”
Incredulità e felicità serpeggiarono tra le tavolate.
“Tuttavia! Sarà solo per gli studenti del Settimo anno e” alzò la voce per superare il mormorio deluso degli studenti più giovani. “ sarà loro responsabilità che tutto vada per il verso giusto. Ora…”
Dall’ingresso della sala si sporse una testa ricciuta.
“Signor Nott!” esclamò Silente. “ Sono lieto che abbia deciso finalmente di unirsi a noi. Arriva giusto in tempo per il mio discorso di inizio anno, si accomodi si accomodi.”
Il ragazzo con ampie ed eleganti falcate si avvicinò al tavolo dei Serpeverde e si lasciò cadere sulla panca.
“Dicevo. Un altro anno insieme ci aspetta e vorrei che ciascuno di voi” e qui ad Hermione sembrò che il suo sguardo si soffermasse su un punto in particolare dietro di lei.  “ tenesse a mente una cosa importante. Tutti noi possiamo compiere degli errori più o meno gravi, forse anche irreparabili, in questo caso l’unica cosa che possiamo fare  è farcene carico e non lasciare che decidano il nostro futuro. Non lasciare che i nostri sbagli diventino ciò che siamo.” Fece una pausa. “E ora… Buon appetito!” così dicendo batté le mani e i vassoi davanti agli studenti ancora perplessi si riempirono.
Violet notò il suo sguardo confuso. “ Non ti preoccupare, è un tipo strano, ma ti ci abituerai.” La rassicurò prima di buttarsi sul cibo con una voracità degna di quella di Ron.
“Suppongo di si.” Rispose con un mezzo sorriso.
Il suo sguardo si posò sul ragazzo ritardatario, il cui nome le era sembrato familiare. Doveva essere con ogni probabilità uno dei primi seguaci di Voldemort, uno dei futuri Mangiamorte.
Lo osservò con più attenzione mentre discuteva animatamente con la persona seduta davanti a lui. I capelli ricci si spostavano di qua e di là assecondando i movimenti della sua testa, il viso era pulito e dai lineamenti decisi. Hermione notò che aveva la cravatta allentata e qualche bottone della camicia slacciato. Niente lasciava presagire il triste destino che lo attendeva.
Non sembra un assassino pensò lasciando vagare lo sguardo sulle altre persone sedute davanti a lei.
In fondo nessuno di loro lo sembrava. Si, forse c’erano un paio di tipi poco raccomandabili ma neanche loro davano l’idea di essere in grado di uccidere persone innocenti.
Non cercare le apparenze, possono ingannare  pensò tristemente.
Una voce stentorea interruppe i suoi pensieri.
“Ehi Vi, non mi presenti la nuova?” chiese il ragazzo riccio all’indirizzo di Violet.
“Lui è Vàli Nott, mio cugino di non so bene quale grado.” Le spiegò la ragazza.
Hermione si sporse verso di lui tendendogli la mano.
“Si, avete gli stessi occhi. Comunque io sono Hermione Gr-Evans, piacere.” Disse riuscendo a non tradirsi.
Vàli gliela strinse forte con un largo sorriso.
Si stava per rimettere a sedere quando lo sguardo le cadde sul ragazzo di fronte a Nott. Si immobilizzò e tutto ad un tratto le sembrò che il vocio nella sala fosse sparito, come se qualcuno avesse spento il volume. Davanti a lei c’era Voldemort. Un Voldemort diciassettenne che giocava tranquillamente con la forchetta.
Il suo istinto fece correre la mano verso la bacchetta prima che la razionalità bloccasse quel gesto avventato. Decisamente non era il momento di ucciderlo, lì davanti a tutti.
Si risedette sperando che nessuno avesse notato la sua reazione.
“Come te la cavi con il Quidditch?” La voce di Nott le arrivò come al di là di una bolla, ovattata e sfocata.
“Oh per carità, non torturarla è qui solo da pochi minuti!” si intromise Violet.
Hermione tentò di riscuotersi e ripensò ai commenti non propriamente positivi che Harry, Ron e Ginny erano soliti fare sulle sue capacità sportive.
“Sono un totale disastro.” Rispose con sincerità.
Un’ombra di delusione passò sul volto di Nott.
“E’ da tre anni che cerca invano di vincere la Coppa di Quidditch. I Grifondoro ci hanno sempre battuti.” Le spiegò la ragazza dai capelli rossi.
“Fon fi nuofo.” Bofonchiò Vàli con la bocca piena di cibo. Deglutì. “ Questo sarà un grande anno, me lo sento!”
 
                                                                                              *
Il fuoco della Sala Comune scoppiettava allegramente ed Hermione non si capacitava di come una così piccola fiamma riuscisse a scaldare perfettamente l’ambiente circostante.
Dopo aver tentato invano per almeno un’ora di prendere sonno si era data per vinta e, raccattato un libro, si era impossessata della poltrona più vicina al camino.
La Sala Comune dei Serpeverde era molto diversa da quella dei Grifondoro ma, per quanto le costasse ammetterlo, era altrettanto confortevole e sicuramente più ordinata.
Anche se il pensiero di essere sotto il lago non mi piace granché pensò mentre si toglieva una ciocca di capelli dagli occhi .
Lo sguardo le cadde sulle lettere impresse nella carne del suo braccio destro. Mezzosangue.
Hermione strinse i denti al pensiero della tortura subita e il ricordo dei lunghi capelli di Bellatrix che le solleticavano la pelle le diede la nausea. 
Per evitare domande inopportune decise che fosse meglio far sparire la cicatrice. Prese la bacchetta appoggiata al suo fianco e la puntò contro il suo braccio. “Reconditum” sussurrò. Le lettere sparirono lentamente, quasi inghiottite dalla sua stessa pelle.
Il rumore improvviso della porta della Sala Comune che si apriva la fece sobbalzare. Era lui. Non poteva essere nessun’altro, probabilmente stavo tornando dal suo giro di controllo per i corridoi.
Hermione respirò piano tentando di rallentare il battito del suo cuore, per nessun motivo doveva mostrarsi vulnerabile davanti a lui.
Sentì dei passi agili e sicuri dietro di lei. Hermione non si era mai sentita così completamente sola in vita sua come quando realizzò di trovarsi nella stessa stanza con la persona che aveva ucciso i suoi amici e tante, tante altre persone.
Si raddrizzò mentre il giovane Voldemort le passava vicino senza degnarla di un’occhiata. Fece un altro respiro, era arrivato il momento. Se voleva avvicinarsi a lui presentarsi era come minimo il primo passo necessario.
Il suo corpo fu più pronto della sua mente e in un attimo scattò in piedi.
“Hey!” sentì se stessa dire.
Voldemort si fermò e lentamente si girò fino a guardarla in faccia. 
Hermione notò con sorpresa che era piuttosto bello. Era una bellezza che non c’entrava niente con quella severa di Krum o quella luminosa di Nott, era carismatica e allo stesso tempo quasi pericolosa. C’era qualcosa nel suo viso che ti obbligava a continuare a fissarlo.
Hermione tentò di celare il suo disgusto, era di un assassino che si stava parlando.
Ma non lo è ancora diventato le suggerì una fastidiosa vocina dentro di sé.  Non è ancora del tutto Voldemort.
Ha aperto la Camera dei segreti e ucciso Mirtilla!
Le rispose la parte più razionale della sua mente. Conta anche se non l’hanno scoperto. Ha ucciso il suo stesso padre! Merlino lui è nato malvagio!
Le parole di Silente le tornarono alla mente riuscendo a confonderla ancora di più. Nessuno nasce malvagio.
Aggirò velocemente la poltrona e gli si parò davanti. Non potè fare a meno di osservare che ogni cosa nel suo aspetto era perfettamente in ordine dai capelli neri, che gli cadevano con elegante disinvoltura sulla fronte, alla cravatta annodata con cura.  L’uniforme per quanto immacolata era senza dubbio vecchia e in più punti erano riconoscibili rammendi eseguiti a regola d’arte. L’immagine di Voldemort che cuciva era talmente incredibile da sembrare improbabile.
“Hey,” ripetè Hermione.
Due occhi grigi la scrutarono con attenzione. Hermione raddrizzò le spalle, alzò lievemente il mento ed incontrò il suo sguardo. Non gli avrebbe permesso di intimidirla.
“Tu devi essere il Capo Scuola.”
Voldemort la osservo in silenzio per qualche secondo senza che il suo volto esprimesse una qualsiasi traccia di emozione. Poi con voce tagliente disse : “ Solo due persone a scuola portano questa spilla, quindi sembrerebbe di si, non credi?”
Acido e cinico. Fantastico!
“Io sono Hermione.” Disse sperando che l’odio che provava non emergesse nella sua voce e cercando di sorridere in maniera amichevole. “ Hermione Evans.” Aggiunse quando lui non disse niente.
“Lo so.” Rispose Voldemort con voce calma e indifferente. “Sei quella nuova. Hanno detto il tuo nome a cena.”
Certo, non era proprio il tipo da lasciare passare le cose.
Aspettò che l’altro dicesse qualcosa, ma Voldemort non sembrava intenzionato a portare avanti la conversazione, o almeno era quello che lasciava trasparire.
Fece un altro tentativo. “ Ok, questo dovrebbe essere il momento in cui tu ti presenti. E sarebbe carino se aggiungessi anche qualcosa del tipo ‘piacere di conoscerti’.”
Voldemort la guardò, una mano in tasca e l’altra che giocava tranquillamente con la bacchetta. Hermione aspettava continuando a fissarlo negli occhi. Dopo qualche istante inarcò un sopracciglio, tanto per fare qualcosa.
All’improvviso Voldemort allungò la sua mano destra verso di lei, facendola quasi saltare all’indietro per la sorpresa.
“Ciao, sono Tom Riddle. Piacere di conoscerti.” Disse con voce inaspettatamente cordiale.
Tom Riddle?
O certo, non poteva aspettarsi che andasse in giro a presentarsi chiamandosi Voldemort.
Hermione osservò la sua mano, incerta se dovesse stringerla, o se volesse in realtà.
“Non pensavo avresti ripetuto le mie esatte parole, ma va bene lo stesso, suppongo.”
“Una cosa che dovresti sapere di me, Evans,” disse Tom Riddle, continuando a tendere la mano verso di lei come se la sua esitazione nel stringerla lo lasciasse indifferente. “ è che non amo le formalità.”
“L’ho notato.” Commento secca incrociando le braccia. Il suo sguardo cominciava ad innervosirla. “ E posso chiedere perché?”
Lui alzò le spalle. “Come posso sapere che è un piacere incontrarti se neanche ti conosco?”
“Sai, la chiamano educazione.” Rispose Hermione senza neanche tentare di nascondere il sarcasmo mentre decideva infine di stringergli la mano. Non farlo non l’avrebbe aiutato molto nei suoi piani.
“Si, ne ho sentito parlare. Torna utile all’occorrenza.”
Ecco il Voldemort che conosceva, il grande manipolatore.
“Bene, non vorrei forzarti troppo. Credo che sia meglio che vada a dormire.”
“Lo credo anche io.” Commentò lui lasciandole la mano.
“Buona notte, Riddle.” Disse mentre si voltava per raggiungere il Dormitorio.
Lui le rispose con un cenno del capo.
“E non disturbarti ad augurarmela.”
“Non lo farò.”
Hermione scivolò velocemente dentro la stanza. Era più di quanto fosse in grado di sopportare in una sola giornata.
Si infilò sotto le pesanti coperte e si addormentò immediatamente.


Note :
1   William Blake 'Auguries of Innocence'
2    Citazione tratta  dalla serie 'The Mentalist'

Un grazie particolare a Phoebhe76 per le recensioni e a tutti coloro che seguono!
A presto,
Blityri
P.s. se avete voglia e tempo lasciate una recensione, almeno posso sapere se la storia vi interessa!
Grazie!

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Capitolo 4
*** III ***



Girls,
your final journey has just begun.
Your destiny
chose the reaper.1

2 Settembre 1944. Hogwarts

Hermione  sbadigliò sonoramente prima di tornare ad affondare la testa nel cuscino.
Qualcosa le toccò la spalla.
“Vai via Grattastinchi.” Biascicò, girandosi dall’altra parte.
“Hermione? Sono le otto.”
La voce squillante di Violet riuscì a penetrare attraverso i diversi strati di pesanti coperte sotto cui era sepolta raggiungendo il suo cervello ancora mezzo addormentato.
“Va bene Ginny, inizia ad andare io arrivo.” Borbotto.
Una mano la scosse energicamente.
“Dai, non puoi arrivare tardi il primo giorno di scuola!”
Primo giorno di scuola ?
Hermione sbucò improvvisamente da sotto le coperte e si guardò intorno confusa. Una mesta luce verde proveniente da una grande vetrata bagnava la stanza occupata da quattro letti a baldacchino in mogano, drappeggiati con tessuti verde smeraldo.
Per un brevissimo istante di beata ignoranza non capì dove fosse, poi una gelida ondata di ricordi la investì.
Battaglia. Harry morto. Giratempo. Tom Riddle. Come ho fatto a dimenticarlo? Si domandò con tristezza scuotendo i capelli elettrici.
“Hermione, tutto bene?” le chiese una voce premurosa.
Si voltò e trovò di fianco a sé Violet, la cui espressione metà incuriosita e metà preoccupata la fece sentire un po’ più a suo agio.
“Oh, si.” Rispose veloce. “ Per un attimo non ho capito dove mi trovassi, scusa.”
“Non scusarti  a me capita un sacco di volte.” La rassicurò con un sorriso mentre si passava una mano tra i capelli azzurri, in un vano tentativo di renderli più ordinati.
Azzurri?
“Ehm, Violet… i tuoi capelli sono…” iniziò senza sapere come affrontare l’argomento.
“Azzurri, lo so” le rispose con un sospiro. “Sono così tutte le mattina, c’entra con il fatto del sonno immagino. Poi tornano normali.” Aggiunse alzandosi dal letto e rassettandosi la gonna.
“I tuoi capelli cambiano colore? Per caso sei una Metamorfomago?” chiese stupita.
Violet socchiuse gli occhi. “ Si perché?” chiese sospettosa.
Hermione sorrise davvero, per la prima volta da quando era arrivata lì. “ Una mia amica lo era. Portava spesso i capelli rosa shocking. Non avrei mai pensato di incontrare un’altra come lei.”
Le spalle dell’altra ragazza si rilassarono . “Molti qui pensano che non sia una cosa bella, dicono che…sono un mostro, che ho il sangue sporco.” Disse in un sussurro.
Hermione si alzò veloce dal letto e le strinse piano un braccio. “Io invece credo che sia una cosa bellissima, e se per ‘altri’ intendi Malfoy e i suoi degni compari…” si fermò per cercare la definizione più adatta. “Loro non sono altro che una balbettante e bambocciona banda di babbuini 2” concluse decisa, pensando che la McGrannit sarebbe stata fiera di lei.
Violet le sorrise mentre i suoi capelli iniziavano a tornare del solito rosso fiammeggiante.
“E’ quello che dice sempre Nott, anche se non capisco perché ci stia insieme, lui è diverso dagli altri Ma…”
In lontananza una campane batté le otto e mezza e i rintocchi interruppero Violet.
“E’ tardi, conviene andare.” Aggiunse in fretta.
“Tu vai, ci vediamo a lezione direttamente.” La esortò Hermione.
Violet saltellò verso la porta del Dormitorio ma prima di uscire si voltò. “Questa notte hanno portato un baule, è davanti al tuo letto. E c’è anche una busta.” La informò indicandoglielo con il capo. “A dopo!”aggiunse scomparendo.

Hermione aggirò il letto ,si chinò sul vecchio baule e aprì la busta, riconoscendo subito la scritture di Silente.

Mi sono preso la libertà di procurarti la divisa, spero non ti dispiaccia. Per quanto riguarda i libri e gli strumenti potrai usufruire del fondo speciale della scuola, ti allego l’elenco per l’ordinazione.
Osservando l’orario scolastico noterai che ho pensato di farti frequentare le stesse lezioni di Tom Riddle, credo che ciò potrebbe aiutarti nel tuo scopo. Nel caso volessi cambiare qualcosa fammelo sapere.

Buon primo giorno di scuola,
AS

P.s. la lettera si autodistruggerà!


Letta l’ultima riga lasciò andare immediatamente il foglio che bruciò completamente prima ancora di raggiungere terra.
Dal baule estrasse la sua nuova, immacolata divisa sospirando alla vista dello stemma di Serpeverde e dei suoi colori.
Veloce si infilò la gonna, più lunga di quella a cui era abituata, e il resto del vestiario.
Mentre faceva il nodo alla cravatta sorrise all’imprevedibilità del destino. Chi l’avrebbe mai detto che Hermione Granger avrebbe dovuto un giorno vestire il verde e l’argento?
Io no di sicuro.
Mentre lontani rintocchi le annunciavano il suo ritardo Hermione si legò i capelli crespi nel modo più decoroso possibile, agguantò bacchetta e orario e si diresse di corsa alla sua prima ora di lezione.

                                                                                                                            *
Trafelata irruppe nell’aula di Pozioni con una foga che interruppe il chiacchiericcio generale e dipinse un’espressione stupita sul volto di Horace Lumacorno.
Gli occhi acquosi la osservarono per un breve istante poi il professore sorrise cordiale.
“Benvenuta benvenuta signorina Evans, si accomodi pure.”
Hermione avanzò incerta mentre sentiva lo sguardo dell’intera classe su di lei. Si guardò intorno alla ricerca di un posto libero, ma a quanto pare erano tutti occupati.
“Venga qui in primo banco signorina Evans, non sia timida, il signor Riddle sarà felice di avere finalmente un compagno di lavoro.”
Hermione scoccò uno sguardo al giovane Voldemort che sembrava tutt’altro che contendo della proposta.
La cosa stranamente la divertì per cui si avviò velocemente verso il posto indicategli da Lumacorno e vi si sedette.
Il professore tossicchio. “Bene, come stavo dicendo quest’oggi dovrete preparare l’essenza di Dittamo, è una pozioncina alquanto difficile ma estremamente utile. Qualcuno sa perché?”
“Guarisce istantaneamente le bruciature e cicatrizza rapidamente tagli e ferite, signore. Inoltre è in grado di fermare le emorragie.” Rispose pronta Hermione ignorando lo sguardo infastidito dell’Erede di Serpeverde.
“Esattamente signorina Evans, dieci punti a Serpeverde!” esclamò soddisfatto Lumacorno.
“ Nonostante l’elevata difficoltà ho piena fiducia in ognuno di voi. Ora, le indicazioni sono sulla lavagna”  con un colpo di bacchetta la superficie nera si riempi di fitte scritte. “ e se avete bisogno di qualche ingrediente lo troverete nell’armadio”.
L’aula si riempì di rumori famigliari mentre tutti avvicinavano a sé paioli e bilance.
Lumacorno si avvicinò a Hermione e lei non potè far a meno di notare che sulla pancia il panciotto era molto più teso di quanto lo sarebbe stato in futuro. “Signorina Evans se avesse qualche dubbio per questa volta farò un’eccezione e sarò disponibile ad aiutarla, tuttavia il porfessor Silente mi ha assicurato che sarebbe stata all’altezza di questo corso.” Le sussurrò.
“Farò del mio meglio professore.”
Mentre Lumacorno si allontanava annuendo soddisfatto Hermione si girò e vide Violet, i cui capelli in quel momento tendevano al violetto, intenta febbrilmente a tagliuzzare i suoi ingredienti seduta vicino a Nott che invece, ostentando una grande calma, lasciava cadere nel suo calderone degli oggetti estratti da una delle sue tasche.
Dietro di loro intravide la testa bionda di Malfoy che confabulava con il suo vicino, dal cui calderone  era iniziato ad uscire un acre fumo nero.
Una voce fredda la costrinse a voltarsi.
“Sai, se davvero vuoi fare del tuo meglio devi almeno iniziare la pozione.”
“ E’ proprio quello che stavo per fare Riddle, non ho bisogno che tu me lo dica.”
Voldemort alzò leggermente un sopracciglio e stirò le labbra in qualcosa che si sarebbe potuto definire un ghigno. A Hermione vennero i brividi.
“Suppongo di no.” Le rispose prima di tornare alla sua pozione.
Si alzò e senza fretta andò verso l’armadio. Doveva essere la sua giornata fortunata perché quella pozione l’aveva preparata un milione di volte. Sarebbe riuscita a rifarla persino bendata.
Se si è amica di persone che ogni due per tre si rompono qualcosa o si feriscono a morte conviene imparare alla svelta come guarirli pensò mentre sorrideva per la seconda volta nell’arco della mattinata.
Tornata al suo posto gettò uno sguardo alla pozione di Voldemort, che evidentemente non aveva avuto le stesse necessità durante quegli anni, perché il suo liquido invece che essere marrone chiaro tendeva ancora ad un colore nero inchiostro.
Scommetto che se uno dei suoi si ferisce, per evitare problemi lo fa fuori direttamente commentò acida tra sé e sé.
Attenda a mettere più spazio possibile tra lei e l’Erede di Serpeverde accese il fuoco del suo calderone e iniziò a lavorare.

Prima dello scadere delle due ore Lumacorno iniziò a camminare come suo solito tra i banchi per controllare i risultati degli studenti. Dopo alcuni apprezzamenti tra i tavoli dei Corvonero si spostò tra i Serpeverde, curioso di vedere che cosa gli studenti della sua casa fossero riusciti a fare.
Hermione non riuscì a trattenere un sorriso divertito quando si fermò davanti al tavolo di Malfoy e con voce chiaramente delusa commentò: “Signor Lestrange, la prossima volta che le verrà voglia di fondere il suo calderone è pregato di farlo fuori da quest’aula e lei non rida signor Malfoy, non so se ha notato l’obbrobrio che è riuscito a creare. Per caso ha qualche problema alla vista?”
“N-no, professore.” Balbettò Malfoy che evidentemente stava cercando di trattenersi dallo strangolare Lumacorno.
“Allora sarebbe così cortese da leggermi la penultima riga delle istruzioni?”
Malfoy socchiuse gli occhi . “…a questo punto il liquido dovrebbe assumere un color marrone chiaro…”
“Bene.” Annuì Lumacorno. “Quindi mi dica, che cosa le sfugge del concetto di liquido? Perché quello che vedo io nel suo calderone è un grumo informe, assolutamente solido.”
“D-devo aver sbagliato qualcosa coi tempi, mi spiace professore.”
Dopo aver assegnato un lungo compito sulle proprietà del Dittamo ad entrambi passò al tavolo successivo.
“Molto ben signorina Bulstrode, come sempre! Le suggerirei però la prossima volta di aggiungere un pizzico di Valeriana in più.” Si complimentò mentre Violet sorrideva contenta.
Lumacorno spostò lo sguardo sul calderone di Nott e sospirò contrito.
“E questa volta signor Nott, che cosa ci ha preparato?”
“Oh, non credo che lo vorrebbe sapere.” Ghignò il ragazzo.
“Vede signor Nott, per quanto io apprezzi le sue eccellenti qualità di pozionista sarei più felice se i suoi esperimenti li facesse in un altro momento e qui si concentrasse su quello che dico io.  Ora mi dia il suo rospo.”
“La provi su di me professore, il povero Freddie non si è ancora ripreso dall’ultima volta.”
Lumacorno alzò gli occhi al cielo. “Il suo rospo signor Nott.” Ripetè con tono fermo.
Contro voglia Vàli infilò una mano in tasca e ne estrasse un grosso rospo addormentato, che posò sul tavolo.
Il professore fece cadere qualche goccia della pozione di Nott sul dorso dell’ignaro animale, mentre l’intera classe tratteneva il fiato.
Per qualche istante non successe niente poi dove il liquido era stato versato spuntarono due escrescenze.
Lumacorno guardò  interrogativo il rospo poi spostò lo sguardo su Nott.
“Sembra che questa volta la sua pozione non abbia funzionato, pecca…” Le sue parole furono interrotte dai commenti di stupore che si levarono dagli studenti e dalla risata argentina di Violet.
Il professore abbassò di nuovo lo sguardo e rimase senza parole, al posto dei due bubboni ora sul dorso del rospo stavano in bella vista due candide e perfette ali in miniatura.
“Oh, sembra invece di si professore.” Sorrise Nott prima di dare un colpetto al rospo. “ Su Freddie bello, fatti un volo.”
Il rospo aprì gli occhi contrariato e alla seconda spinta del ragazzo con un gracidio balzò in avanti.
Mentre era ancora in aria l’animale iniziò a sbattere forsennatamente le ali librandosi sempre più in alto, tra i mormorii di ammirazione generale.
Lumacorno estrasse la bacchetta e in un attimo il rospo ricadde tra le mani del suo proprietario. “Signor Nott, glielo ripeto per questa volta lascerò correre, ma se la cosa si accadrà ancora mi vedrò costretto ad avvisare suo padre.”
Detto questo si avvicinò al tavolo di Hermione, mentre il sorriso spariva velocemente dal volto di Vàli.
“Allora Tom, vediamo un po’ cosa hai fatto questa volta.” Iniziò avvicinandosi al calderone del giovane Voldemort.
“Molto bene molto be…” si interruppe di colpo quando notò la pozione di Hermione.
“Signorina Evans! Doveva dirmelo che ha un talento per le pozioni!” squittì lasciando perdere il ragazzo e avvicinandosi felice a lei, ignaro dell’occhiata assassina che Tom Riddle gli stava rivolgendo. “ Meravigliosa, meravigliosa. Mai vista un’essenza di Dittamo preparata così da uno studente! Cinquanta punti a Sepreverde.” Cinguettò, felice di aver trovato un nuovo talento, mentre tutti gli altri studenti iniziavano ad alzarsi.
Voldemort sbattè la borsa sul tavolo e ci ficcò dentro i suoi libri, poi senza neanche degnarla di uno sguardo si dileguò velocemente.
Hermione non ci badò più di tanto e si avviò verso l’uscita dove l’aspettavano Violet e Vàli.
Il ragazzo le batté una pacca sulle spalle. “Condoglianze, Mione, con ogni probabilità sei entrata a far parte della collezione di talenti del vecchio Luma. Sarai costretta ad andare a tutte le noiosissime cene a cui verrai invitata.”
“Mione?” ripetè lei.
“Non ti preoccupare,” si intromise Violet. “Vàli ha la fastidiosa tendenza a storpiare i nomi di chiunque. Comunque quelle cene non sono così male.” Commentò con un sorriso.
“Solo se ti porti dei tappi per le orecchie, Vi. E poi non vale, tu sei di parte. Lo so che non vedi l’ora di andarci.” Hermione osservò interrogativa la ragazza notando divertita che i suoi capelli si erano tinti di verde brillante.
“N-non è assolutamente vero. T-trovo molto allettante il dessert. Ecco tutto.”
Nott ghignò, mentre apriva la porta dell’aula di Difesa contro le Arti Oscure. “Credo che ci sia qualcos’altro che tu trovi allettante, cuginetta.”
I tre entrarono nella stanza mentre i capelli di Violet diventavano sempre più verdi.
La voce imperiosa della professoressa di Difesa delle Arti Oscure li costrinse a tacere.
“Su,su, entrate tutti e disponetevi in cerchio, per favore.” Li esortò Galatea Gaiamens, alzandosi dalla sua scrivania e dirigendosi al centro della classe. I capelli argentei erano legati in una lunga treccia che le arrivava fino alla vita e portava degli occhiali a mezzaluna simili a quelli di Silente. Si fermò in mezzo a loro, osservandoli con i suoi occhi di un colore molto più vicino al lilla che all’azzurro.
Quando calò il silenzio riprese a parlare. “Bene ragazzi, questo è il vostro ultimo anno ragion per cui daremo più spazio alla pratica che alla teoria. Per questo mese lavoreremo sui Patroni, qualcuno sa cosa siano?”
Hermione stava per rispondere ma un’altra ragazza fu più veloce di lei.
“E’ un incantesimo di protezione dai Dissennatori, professoressa. Il Patronus è una forza positiva, una proiezione delle cose di cui si alimenta il Dissennatore: la speranza e la felicità. Assume una forma diversa a seconda della persona che lo evoca.”
“Benissimo Minerva, dieci punti a Grifondoro.” Commentò Gaiamens.
Hermione osservò meglio la ragazza : i capelli castani erano raccolti in uno stretto chignon e gli occhi verdi da gatto fissavano concentrati la professoressa.
Non poteva crederci, si trovava di fronte a una Minerva Mcgrannit di diciassette anni.
Questa cosa sta diventando sempre più assurda.
“Ricordatevi per evocare un patronus è necessaria una grande concentrazione. Dovete pensare intensamente ad un ricordo felice e recitare la formula Expecto Patronum .  Purtroppo portare qui un Dissennatore è illegale, quindi sarete costretti a lavorare di immaginazione. Ora mettetevi in coppia, io passerò a controllare i vostri progressi.”
La professoressa si voltò a guardarla. “Signorina Evans, spero che non le dispiaccia se non la esonero dalla lezione, il professor Silente mi ha garantito che sarebbe stata in grado di stare al passo con la classe.”
“Nessun problema professoressa.” Rispose prima di spostarsi di fianco a Violet per iniziare a lavorare.

“Qual è il tuo ricordo felice?” le chiese l’amica eccitata.
“Mmm, non saprei. Ti va di iniziare?” rispose vaga.
La verità era che non aveva assolutamente voglia di mostrare di essere perfettamente in grado di evocare un Patronus, perché il farlo l’avrebbe costretta a rispondere a scomode domande.
Si limitò perciò ad osservare la compagna, i cui capelli per la concentrazione diventavano sempre più blu, fare i suoi primi tentativi, mentre la stanza si riempiva di urla di incantesimi.
Sposto lo sguardo sul resto della classe e notò, senza molta sorpresa , che la giovane Minerva dopo solo qualche tentativo era riuscita a produrre un Patronus corporeo, e ora osservava con evidente orgoglio il gatto soriano che le passeggiava intorno.
Chi invece con suo grande stupore sembrava avere seri problemi era l’Erede di Serpeverde, dalla cui bacchetta continuava ad uscire solo un triste vapore grigio.
Ma non si sarebbe dovuta meravigliare, in fondo che ricordi felici poteva avere uno come lui. La morte di Mirtilla o di suo padre probabilmente l’avevano reso soddisfatto, ma addirittura felice?
Hermione non credeva che da una azione malvagia potesse nascere alcun tipo di felicità. E Voldemort era malvagio.
Il ragazzo come se avesse sentito i suoi pensieri alzò frustrato lo sguardo per incontrare quello di Hermione.
Il freddo che trovò in quegli occhi grigi ebbe il potere di congelarle il sangue nelle vene mentre sentiva il cuore battere rumorosamente.
“Signorina Evans?”
Hermione si riscosse e si voltò verso la professoressa.
“Non abbia paura, non la mangio mica. Su, mi faccia vedere di cosa è capace.” Disse con un tono che più di un’esortazione sottintendeva un ordine.
Hermione balbettò qualcosa prima di capire che non aveva scelta. Chiuse gli occhi, fece un profondo sospiro e si concentrò sul suo ricordo felice.
Nella sua mente si rivide nella Stanza delle Necessità, poco prima della battaglia con Harry, Ron, Ginny, Neville e tutti gli altri. Tutti vivi, insieme. Quando ancora pensava che ci fosse una speranza.
Lasciò che ogni sfumatura, ogni sensazione di quel ricordo le si diffondesse nella mente, nel cuore e nell’anima. E quando fu certa di essere solo in quel ricordo mormorò : “Expecto Patronum.”
Un fiotto di luce argentata uscì dalla sua bacchetta e davanti a lei prese la forma di una lontra. Hermione guardò sorridente il suo Patronus che fluttuava nell’aria tra gli studenti stupiti. La lontra balzellò da una parte all’altra della classe per poi fermarsi davanti alla meno adatta delle persone, davanti a Tom Riddle.
L’animale piegò la testa da un lato e si voltò a guardare Hermione, che non riusciva a prevedere che cosa sarebbe successo, per poi tornare a guardare il ragazzo. Improvvisamente nel silenzio più totale fece un balzo in avanti,si lanciò verso il giovane Voldemort ed entrò nel suo petto. E si dissolse.
Il ragazzo cadde all’indietro mentre gli altri studenti iniziarono a mormorare tra di loro.
La professoressa lo ignorò e fissò Hermione. “Non era la prima volta che evocava un Patronus signorina Evans, non è vero?”
“No, professoressa.” Rispose mentre osservava Tom Riddle rialzarsi da terra, rifiutando l’aiuto di Malfoy.
“So che ti hanno istruito i tuoi genitori, sono per caso Auror?”
“No, loro erano degli specie di guaritori.”rispose in fretta, continuando ad osservare il ragazzo, come se la cosa le potesse dare qualche spiegazione per lo strano comportamento del suo Patronus.
Guaritori, dentisti più o meno è la verità.
“Erano? Ora cosa fanno?”
“Sono morti.” Rispose lapidaria. Spiegare che era stata costretta a cancellar loro la memoria e mandarli in Australia per proteggerli dalle torture di Voldemort sarebbe stato troppo complicato. E in fondo nella sua risposta c’era una parte di verità, loro non sapevano neanche di avere una figlia.
In qualche modo i suoi genitori erano davvero morti.
“Oh, m-mi dispiace, io non immaginavo…”
“Non si scusi, non poteva saperlo.” La rassicurò cercando di ignorare lo sguardo penetrante e imperscrutabile che il giovane Voldemort le stava rivolgendo, con un tono che lasciava intendere che il discorso poteva finire lì.
La professoressa annuì comprensiva. “Bene, la lezione è finita. Potete andare.”
“Signor Nott, la prossima volta” aggiunse con un mezzo sorriso. “è pregato di lavorare e non di  guardare…gli altri.”
Gli studenti si dispersero mentre Vàli arrossiva violentemente.
Hermione si diresse verso l’angolo della stanza dove aveva lasciato la sua borsa, la prese e fece per uscire.
“Scusa!”
Sentì una voce maschile che la chiamava. Si voltò e vide un ragazzo di Grifondoro che le tendeva un libro.
“Questo deve essere tuo.” Le disse continuando a porgerglielo.
Hermione si affrettò a prenderlo. “Oh, grazie.”
“Sei stata forte prima sai? Dico con il Patronus, di solito è Minerva la più brava con queste cose.”
Hermione lo guardò mentre sentì una curiosa familiarità verso quel ragazzo alto e moro.
“Comunque io sono Charlus. Charlus Potter.” Aggiunse tendendole la mano.
Non è possibile, questa deve essere una congiura contro la mia sanità mentale.
Divertita gliela strinse. “Piacere Charlus, io sono Hermione Evans.”
Il ragazzo scambiò uno sguardo con Minerva che lo aspettava sulla porta.
“Be’, allora io vado. E’ stato un piacere Hermione,ci vediamo in giro!” la salutò.

Hermione stava ancora realizzando di aver appena conosciuto il nonno di Harry quando la assalì Violet.
“Non mi avevi detto dei tuoi genitori, mi dispiace davvero, davvero tanto. Se hai bisogno di parlarne io ci sono va bene?”
“Grazie, Violet. Lo apprezzo molto.” Le rispose grata, anche se sapeva che non avrebbe mai potuto dirle la verità.
“Si, e nel caso lo volessi ti posso prestare mio padre, così io me ne libero per un po’.”
Violet gli scoccò un occhiataccia ma Hermione sorrise. “Cos’è che non va in tuo padre?”
“Oh, tu non lo conosci Mione, è un tipo che sa essere molto molto pesante se vuole. E a quanto pare con me vuole sempre.”
“Quindi fai innervosire Lumacorno per far arrabbiare tuo padre?”
“No, quello lo faccio perché è divertente!” le rispose facendole l’occhiolino.
“Comunque!” li interruppe Violet. I due si voltarono a guardarla.
“Allora? Cosa ti ha detto Charlus? Perché ti ha fermato?” sparò a raffica.
“Violet, tutto bene?”
“Oh, sta benissimo.” Commentò sorridendo Nott. “Ha solo una cotta per il signor Charlus-hovintoiolacoppadiQuidditch-Potter.” Aggiunse mimando un conato di vomito.
“Tu devi solo stare zitto Vàli. Chi è che è innamorato da sette anni di Minerva McGrannit?”
Nott si guardò nervosamente in giro per assicurarsi che nessuno potesse sentirli. “Abbassa la voce cugina-faina, se gli altri sentono sono morto.” Disse serio.
“ E comunque non sono innamorato di lei, la trovo solo molto…attraente, diciamo.”
“ Ecco a chi si riferiva la Gaiamens quando ti ha ripreso.” Commentò divertita Hermione.
“ Si, e se l’ha capito lei stai pur certo che la cosa non è sfuggita a Riddle.”
“Di lui non devi preoccuparti Vi.”le rispose egnigmatico. “ Passerei tutto il pranzo a parlare d’amore con voi ciambelline ma gli altri mi attendono. Ci vediamo a lezione.”aggiunse quando arrivarono davanti alla Sala Grande.

Le due ragazze entrarono nella Sala Grande che sebbene fosse l’ora di pranzo era quasi deserta, molto probabilmente erano tutti fuori a godersi le ultime giornate di sole.
Tutti tranne Tom Riddle pensò notando il ragazzo seduto a mangiare con dei libri aperti davanti. E poi uno si chiede perché è così pallido.
Dopo aver riempito i loro piatti si sedettero a debita distanza da Voldemort e iniziarono a mangiare.
“Senti, lo so che è stupido.” Iniziò imbarazzata Violet mentre le punte dei capelli iniziavano a tingersi di verde. “Ma non è che potrei vedere il libro che ti ha raccolto.”
Hermione cercò di soffocare una risata per l’insolita richiesta e le porse il libro.
“Allora è vero quello che ha detto Vàli, hai una cotta per Charlus Potter.”
“Purtroppo.” Rispose mesta, poi notando lo sguardo interrogativo dell’altra aggiunse. “Oh, ha una marea di ragazze che gli muoiono dietro. Sai è anche giocatore di Quidditch.”
“Ma non mi dire.” Commento ironica Hermione. “Scommetto che fa il Cercatore.”
“Come hai fatto ad indovinarlo?” le chiese stupita Violet aprendo il libro.
“Semplice intuito.”le spiegò sorridendo.
“Comunque. Non mi ha mai degnata di uno sguardo, né lo farà mai. Questo è il mio triste desti…”
Un pezzo del pesce che stava mangiando doveva esserle andato di traverso perché iniziò a tossire e a tossire. Finché non diventò paonazza.
Hermione iniziò a darle dei colpi forti tra le scapole nel tentativo di farla respirare.
“Potreste fare meno rumore?”
Hermione si voltò verso la persona che aveva parlato.
Voldemort. Chissà come mai me lo aspettavo.
“Nel caso non te ne fossi accorto sta soffocando.”gli rispose acida.
Tom Riddle finalmente alzò gli occhi dal librò e la guardò.
“Allora potresti chiederle di farlo in silenzio ?”
Hermione lo ignorò per tornare a concentrarsi sulla povera Violet che ormai rantolava piegata sulla panca. Estrasse la bacchetta e la puntò contro di lei. “Anapneo.
Le vie respiratorie dell’amica si liberarono permettendole di respirare normalmente. Si rialzò massaggiandosi la gola.
“G-grazie.” Disse con voce stridula mentre i capelli da grigi tornavano a tingersi di rosso.
Poi indicò il libro aperto davanti a lei.
“La piuma!” esclamò. “Hai ricevuto la piuma!” aggiunse come se ripetere la cosa servisse a spiegare meglio il concetto.
Hermione alzò le sopracciglia mentre notava che Voldemort, alzatosi, si era fermato ad osservarle.
 Spostò lo sguardo sulla piuma fiammeggiante posata tra le pagine del libro.
“Cosa vorrebbe dire?” domandò curiosa prendendola tra le dita.
“Che sei stata ammessa Hermione, ti hanno preso nell’Ordine della Fenice!”

                                                                                                       *

Hermione salì i ripidi scalini della Gufiera ed entrò nell’angusto edifico. Si diresse verso l’angolo dove di solito stavano appollaiati i gufi della scuola ma non ne trovò neanche uno. Decise allora di aspettare il ritorno di uno di quei volatili e si issò sul davanzale della grande finestra. Dalla borsa estrasse la piuma che poco prima aveva quasi causato la morte per soffocamento di Violet.
Da quanto aveva capito l’Ordine della Fenice non era quello che si aspettava lei, ma era una specie di società segreta i cui membri si riunivano per duellare tra di loro. Ovviamente era illegale.
La cosa più divertente era che dietro a tutto questo sembrava che ci fossero Minerva McGrannit e Charlus Potter, a quanto pare l’amore per l’infrazione delle regole doveva essere scritto nei geni Potter.
Professoressa, professoressa  pensò scuotendo la testa e sorridendo tra sé e sé.
La piuma veniva data a coloro che dimostravano abilità particolari ed era anche il mezzo che utilizzavano per comunicare l’ora e il luogo dell’incontro. A detta di Violet sul calamo comparivano tutte le indicazioni compreso un colore che cambiava di volta in volta.
Quello era il modo di sfidare una persona a duello, lasciarle una traccia di quel colore addosso o sui libri. O in qualsiasi modo ti venisse in mente.
A quanto pareva l’attese rendeva tutto più divertente.
 Un frullo d’ali l’avvertì che un gufo era finalmente tornato, Hermione lo prese e gli legò la sua lettera e nonostante la refrattarietà dell’animale lo convinse a ripartire.
Scese dal davanzale e prese la piuma. Notò sorpresa che sul sottile calamo si erano incise delle parole.

24.00 stanza delle necessità blu

Mise velocemente la piuma nella borsa e uscì di corsa per avvisare Violet. Non trovandola nella Sala Grande si diresse verso la Sala Comune ma nella foga saltò un gradino di troppo e perse l’equilibrio.
Prima che la sua faccia toccasse il pavimento sentì due braccia forti afferrarla, impedendole di spiaccicarsi al suolo.
La sorpresa fu tale che  il suo corpo agì d’istinto, girandosi estrasse la bacchetta e la puntò contro il petto di chi l’aveva salvata.
Col fiato corto per la corsa Hermione alzò il mento ed incontrò lo sguardo di Tom Riddle.
Lui la guardò e per un istante le sembrò di intravedere un’ombra di emozione nei suoi occhi.
“Evans, potresti togliermi la bacchetta di dosso?” chiese inaspettatamente gentile.
Hermione non si lasciò persuadere dalle parole cortesi. Era con Voldemort che aveva a che fare. Non solo non gli tolse di dosso la bacchetta ma la spostò più in alto, puntandola contro la carotide del ragazzo.
“Lasciami la mano Riddle.” Sibilò mentre sentiva la rabbia scatenarsi dentro di sé.
L’Erede di Serpeverde le lasciò subito la mano e fece un passo indietro, guardandola con sguardo indagatore.
Hermione capì di aver appena rischiato di mandare all’aria il suo piano, per cui decise di darsi un contegno.
“Scusa.” Borbottò. “M-mi hai colto alla sprovvisa.”
L’altro stava per replicare ma lei non gliene diede il tempo, veloce entrò nella Sala Comune e si chiuse nel Dormitorio deserto.
Si sedette sul letto mentre sentiva il sangue pulsare nelle tempie. Decisamente doveva stare più attenta, non poteva permettere all’odio di dominarla, non l’avrebbe aiutata.
Dopo sarebbe tornata dal giovane Voldemort e gli avrebbe dato una giustificazione plausibile per il suo comportamento, ecco cosa avrebbe fatto.
Il suo sguardo si posò su una piccola macchia nel pavimento che continuava ad allargarsi.
Fantastico, stai a vedere che mi sono rovesciata anche dell’inchiostro addosso.
Si accorse che il liquido proveniva dal suo braccio per cui alzò la manica per controllare.
Sul palmo della mano c’era una macchia di inchiostro incantato blu che continuava a scorrere. Era appena stata sfidata.



Note :
1 "No fear" The Rasmus
2 citazione dal film "Harry Potter e il calice di fuoco"

Grazie a tutti quelli che leggono e mille volte grazie a martymione97, Anastasia_Malfoy, fenice713,Erodiade e Phoebhe76 per le loro recensioni!!
Buona settimana a tutti!

P.s. i commenti e/o consigli sono sempre molto graditi, fatemi sapere cosa pensate di questa storia se avete voglia!!

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Capitolo 5
*** IV ***


And their hatred will be perfect 
like a shining diamond 
like a knife 
like a mountain 
like a tiger 
like hemlock 
1


22.00  p.m.

Violet le prese il braccio per la milionesima volta in due ore ed osservò la macchia blu che svettava sul dorso della mano.
“E quindi stavi cadendo.” Asserì, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Hermione si limitò ad annuire, stufa di dover ripetere la storia.
“E lui ti ha salvata.”
“Diciamo che ha impedito che cadessi a terra.” Puntualizzò.
Violet le lasciò andare la mano e la fissò.
“Sei sicura che sia stato lui a sfidarti? Magari qualcuno ti ha lanciato un incantesimo da lontano senza che tu te ne accorgessi.”
“Mi stava tenendo la mano, Violet. Comunque credo che nel caso me ne sarei resa conto, non so se l’hai notato ma l’inchiostro zampillava.”
Stupido incantesimo, ho passato mezz’ora a cercare di fermarlo.
L’amica si sdraiò sul materasso poco convinta.
“Scusa ma cosa c’è di strano, l’hai detto anche tu che fa parte dell’Ordine, perché non avrebbe dovuto sfidarmi?”
“Tom Riddle non ha mai sfidato nessuno.” Le rispose. “ In realtà non viene neanche troppo spesso agli incontri e quando c’è si limita ad osservare.”
“Comunque nessuno si sognerebbe mai di sfidarlo.” Aggiunse quando Hermione non disse niente. “A proposito com’è che ti è venuto in mente di puntargli addosso la bacchetta?” chiese quasi divertita.
“Colpa della sorpresa immagino, non me l’aspettavo.” Rispose, cercando di liquidare la faccenda.
E del fatto che abbia un passato, un presente e un futuro da assassino, aggiunse tra sé.
Improvvisamente un pensiero si fece largo prepotentemente in lei. “Violet?”
“Mmm?”
“Sai perché non partecipi alle riunioni dell’Ordine?”
L’amica si tirò su.
“ Una volta l’ho chiesto a Vàli e sai cosa mi ha risposto ? ‘Perché unirsi alla Marina se puoi essere un pirata? 2’” disse imitando la voce profonda del cugino.
“Non un granché come rispost… Hey! Dove stai andando?”
Hermione si alzò di colpo e prese a camminare avanti e indietro, la frase per Violet poteva anche essere oscura, ma per lei era tragicamente chiara. Voldemort non solo aveva già ucciso, ma aveva anche già iniziato a reclutare i propri seguaci. Fino a dove aveva osato arrivare?
Si fermò e guardò l’amica che osservava preoccupata i suoi movimenti. “Devo…devo chiedere una cosa a Vàli. Torno subito.” E senza neanche darle il tempo di rispondere uscì velocemente dal Dormitorio.
Quando questa storia finirà, non vorrò più saperne di correre in vita mia. Una tranquilla e pacifica vita sedentaria, ecco il mio unico desiderio.

La Sala Comune era molto più affollata del solito, nonostante l’ora, e numerosi gruppetti occupavano i vari punti della stanza bisbigliando eccitati tra loro, in attesa dell’imminente riunione dell’Ordine.
Il chiacchiericcio non sembrava tuttavia disturbare Vàli che, sprofondato in una delle poltrone, era intento a leggere con in testa quella che a primo acchito ricordava una corona di spine.
Hermione guardò stranita il copricapo del ragazzo poi gli appoggiò una mano sulla spalla. “Vàli.”
Il ragazzo chiuse di colpo il libro dalla copertina rosso sangue e voltò la testa.
“Hey Mione!” la salutò, prima di aggiungere con fare cospiratorio “Sei pronta per la riunione?”
“Più o meno.” Rispose controvoglia.
Vàli la scrutò per un secondo. “Non penserai di venire con la divisa,vero? Nessuno lo fa.”
“Solo se tu ci vieni con quella cosa in testa.” Ribattè ricevendo in risposta un’occhiata interrogativa.
Il ragazzo si passo veloce una mano sui capelli, si tolse la corona di spine e iniziò giocarci, passandosela tra le dita. 
“Mi ero quasi dimenticato di averla su.” Disse con un’alzata di spalle. “Sai, me l’ha data uno del terzo anno di Corvonero, ha detto che aumenta l'intelligenza. A quanto pare è piena di Nargilli.” Aggiunse come spiegazione.
Hermione cercò di trattenere una risata, immaginando che dietro quella trovata ci fosse lo zampillo di un Lovegood. “Non dirmi che c’hai creduto.”
“Io credo solo a quello che vedo Mione, però tanto valeva provare” le disse sorridendo.
Il ragazzo osservò pensoso la corona per qualche istante. “Per la cronaca, non credo che funzioni.” Disse lanciandola nel fuoco del camino.
Alzò di nuovo gli occhi verso di lei ed Hermione per un istante vi vide passare silenziosa e strisciante un’ombra di tristezza. “Avevi bisogno di qualcosa?”le chiese gentile, mentre la corona veniva fagocitata dalle fiamme trasformandosi velocemente in cenere.
Lei si guardò intorno e abbassò la voce, notando le occhiate sospettose che Malfoy continuava a rivolgere loro.
“Oh, è una cosa stupida sai. Ho..ho fatto una scommessa con una ragazza oggi. Diceva che avevi un tatuaggio sull’avambraccio sinistro. I-io ho scommesso di no.” Disse tutto d’un fiato, rendendosi conto che quella era davvero la scusa più penosa che avrebbe mai potuto inventare.
E infatti Vàli alzò un sopracciglio stupito per la richiesta ed Hermione sentì un sorriso nervoso prendere forma sulle sue labbra.
Facevi prima a chiedergli se era un Mangiamorte, Hermione. Una bella Avada Kedavra non te la toglie nessuno.
“Davvero voi ragazze scommettete su queste cose?” chiese incredulo.
Hermione fece una smorfia in tutta risposta.
“Be’ non so quanto avessi scommesso” iniziò Nott arrotolandosi la manica del gol “ma ti è andata bene.”
Hermione osservò l’avambraccio del ragazzo su cui guizzavano i pallidi riflessi delle fiamme e lasciò andare un sospiro di sollievo. Nessun marchio, solo pelle. Voldemort non era arrivato al punto di dover marchiare i propri adepti, non ancora almeno. Questo voleva dire che non aveva ancora acquistato buona parte della sua futura influenza, neanche sui suoi seguaci, e quindi era più vulnerabile. Più debole.
“Dalla tua faccia direi che hai vinto una bella somma.”
Hermione gli sorrise, trattenendosi dall’abbracciarlo. “Oh, non immagini quanto.”
Il ragazzo lanciò uno sguardo alla pendola che placida scandiva il tempo in un angolo della sala.
“Ti conviene andare a cambiarti, non manca molto.” Le consigliò riaprendo il suo libro.
Hermione annuì, poi istintivamente gli chiese: “Cosa leggi?”
“Un libro che ho… diciamo preso in prestito dalla biblioteca di mio padre.”le rispose accarezzandone il dorso. “Parla di magie dimenticate. E’ strano, strano ma interessante.”
Hermione annuì distratta, con la mente che ancora esultava per aver trovato un punto debole in quella muraglia che era la vita del giovane Voldemort.
Mentre Vàli riapriva il libro si diresse di nuovo verso il Dormitorio dove la stava aspettando Violet.

“Risolto?” le urlò l’amica da sotto la doccia.
Hermione annuì senza rendersi conto che l’altra ragazza non poteva vederla.
Dopo qualche minuto l’acqua smise di scorrere e dal bagno uscì Violet avvolta in un asciugamano.
“Tutto a posto allora?” le chiese frizionandosi i capelli.
Dopo aver ottenuto da Hermione solo un misero cenno d’assenso le si sedette di fianco e la guardò.
“Allora adesso puoi aiutarmi.”
“Aiutarti per cosa?”
“Per scegliere i vestiti da mettere per la riunione, ovvio no?” la informò sorridendo.


Numerosi cambi dopo le due ragazze scivolarono in silenzio fuori dalla Sala Comune riuscendo a raggiungere il settimo piano senza dare nell’occhio. Probabilmente il fatto che tutti i Prefetti ed entrambi i Capo Scuola facessero parte dell’Ordine facilitava la cosa.
Dopo essere passate davanti alla parete di pietra per tre volte finalmente di fronte a loro comparì l’imponente ingresso della Stanza delle Necessità e, gettatesi uno sguardo intorno, entrarono senza dire una parola.
Hermione era stata in quella stanza una miriade di volte, ma mai l’aveva vista così.
Una morbida moquette blu si stendeva sull’intero pavimento e si rifletteva negli specchi che ricoprivano due delle quattro pareti. Agli angoli della grande sala, come fossero di guardia, stavano quattro imperturbabili armature d’argento che, illuminate dalle fiammelle che levitavano sul soffitto, emanavano un’aurea quasi spettrale.
Al centro della stanza c’era una lunga pedana di legno, ricoperta da un tappeto di velluto blu come la notte, su cui pendeva un grande  lampadario in ottone.
Mentre la porta scompariva dietro di loro Hermione si guardò intorno ammirata.
“Niente male vero?”  Le sorrise Violet notando la sua reazione.
Hermione annuì mentre spostava lo sguardo sugli studenti già presenti. Di Voldemort nessuna traccia, anche se tra i capannelli di persone notò Nott in compagnia di Malfoy e altri Serpeverde. Il ragazzo, accortosi della loro presenza, abbandonò i compagni e con eleganti falcate si avvicinò alle ragazze.
“Pronte per combattere?”chiese divertito, poi lo sguardo gli cadde sui pantaloni di Hermione. “Per Salazar, Mione cosa ti sei messa addosso?”
Lei si passò una mano sudata sui jeans, se il suo strano abbigliamento non aveva suscitato domande da parte della svanita Violet non poteva sperare lo stesso per quanto riguardava il cugino.
“Oh, vanno molto di moda- negli anni Novanta- in Francia, sai?” mettendo su quella che sperava fosse la sua migliore faccia innocente.
“Sarà.” Concesse magnanimo Nott, anche se il suo sguardo rimaneva poco convinto.
“Tu sai già chi sfiderai Vàli?” Chiese Hermione, cercando di cambiare argomento.
Per tutta risposta il ragazzo le fece l’occhiolino, aggiungendo un “Ovviamente.” prima di girarsi verso la pedana dove in tutta la sua compostezza e determinazione si ergeva la giovane Minerva McGrannit.
“Ehm, ehm.” Si schiarì la voce, e nella stanza calò immediatamente il silenzio.
“Benvenuti al primo incontro dell’Ordine della Fenice di questo anno.”iniziò con il piglio severo che l’avrebbe caratterizzata anche in futuro. “Prima di iniziare con i duelli, vi ricorderò le poche ed essenziali regole che vigono qua dentro e gradirei che tutti ”fece una pausa lanciando un’occhiataccia a Nott che parlottava fitto con un occhialuto Corvonero. “ascoltaste con attenzione. Regola numero uno : in nessun caso potranno essere utilizzate le Maledizioni senza perdono.” Alzò la voce per mettere a tacere il mormorio che si era alzato dagli studenti. “Regola numero due : se l’avversario è a terra non lo si può colpire.” E qui Hermione giurò di aver intravisto un’espressione di disappunto passare sul volto di Malfoy. “Regola numero tre : quando l’avversario si arrende o non è più in grado di reggersi in piedi l’incontro finisce.” Minerva fece un’ulteriore pausa per permettere a tutti di assimilare i concetti.
Hermione notò oltre la pedana Charlus Potter che agitava forsennatamente la mano per salutarla, con più discrezione possibile rispose al saluto sperando che Violet non si fosse accorta di niente.
“Bene. Ora, chi è il primo sfidante?”
“Io.” Disse una voce incolore che Hermione riconobbe subito.
Se fosse stato un film tutte le persone della stanza si sarebbero girate verso il ragazzo si ritrovò a pensare, ma quello non era un film era la vita reale, e nessuno si voltò verso Tom Riddle. Gli occhi della McGrannit saettarono da una parte all’altra della sala finché non lo individuarono.
“Bene Riddle.” Disse prima di scendere dalla pedana, se era stupita non lo lasciò intravedere.
Il ragazzo si fece largo tra gli studenti, indifferente delle occhiate sospettose che gli stavano lanciando, salì con calma sulla pedana e fece vagare lo sguardo fino ad incontrare quello di Hermione.
Il giovane Voldemort incrociò pigramente le braccia. “Evans, hai bisogno di un invito scritto per caso?” Disse tranquillo, come se in quella stanza ci fossero solo loro due.
Hermione sentì lo stomaco contrarsi in una morsa mentre Violet le dava una leggera spinta per farla muovere.
“In bocca al lupo.” Le sussurrò.
E’ esattamente dove sto andando pensò Hermione rassegnata, salendo i gradini della pedana. L’ultima cosa che voleva fare in quel momento era duellare con Voldemort davanti a buona parte della scuola, non era neanche sicura che avesse intenzione di rispettare il regolamento. Ma non sembrava il momento adatto per chiederglielo.
Arrivò davanti all’Erede di Serpeverde ed entrambi sollevarono le bacchette.

Non sai com’è Hermione, quando ci sei solo tu e lui, e le vostre bacchette in mezzole parole di Harry le tornarono alla mente.
Il suo volto era così vicino a quello di Voldemort che avrebbe potuto contargli le ciglia.
“Paura Evans?” chiese Tom Riddle con una punta di divertimento nella voce.
“Ti piacerebbe.3” Ribattè gelida, abbassando la bacchetta.
Solo quando fu tornata al proprio posto si rese conto del silenzio che era calato nella stanza, perfino le fiammelle avevano smesso di volteggiare sul soffitto e restavano immobili, in attesa.
Stupeficium! Abbassò la bacchetta scagliando contro il giovane Voldemort quel semplice incantesimo, curiosa di vedere come avrebbe risposto. Bloccata la fattura ancora prima che gli arrivasse vicino, il ragazzo fendette l’aria con la sua bacchetta senza mostrare la minima traccia di tensione.
Fiamme blu guizzarono veloci verso di lei che immediatamente produsse un contro incantesimo. Precuzio!
Le fiamme si trasformarono in taglienti pezzi di vetro e puntarono dritti verso l’Erede di Serpeverde che con un dolce movimento del braccio li tramutò in sabbia. Riddle strinse concentrato la mascella mentre rimandava i granelli di sabbia contro di lei, mostrando finalmente una seppur minima traccia di emozione.
Protego! Tentò Hermione, ma l’incantesimo del giovane infranse il suo scudo e la sabbia le arrivò in faccia costringendola a coprirsi con le braccia.
Quando la tempesta intorno a lei si fu placata fece appena in tempo a rimettersi in posizione che Riddle agitò di nuovo la bacchetta. Hermione trattenne il fiato pronta a lanciare il suo contro incantesimo, ma non successe niente. Il silenzio intorno a lei era diventato quasi una presenza fisica e il solo rumore che sentiva erano le veloci pulsazioni del sangue nelle tempie.
 Pensò per un attimo che il ragazzo avesse sbagliato, ma poi lo sentì. Prima ancora che potesse difendersi lui era dentro alla sua mente, e lei aveva perso il controllo.
Davanti a lei sparì ogni cosa, non più Voldemort non più il duello. I suoi occhi erano attraversati dai ricordi di una vita che ora le sembrava così lontana, alla stessa velocità con cui Voldemort li passava in rassegna.
L’ultimo Natale con la sua famiglia,  i suoi genitori che ridevano, lei insieme a Ron e Harry e poi quel caleidoscopio di immagini e suoni si fermò ed Hermione vide una sola cosa.
Voldemort che rideva, rideva con Harry morto di fianco, rideva davanti a tutti loro. La sua risata rimbombò , rimbalzò e risuonò nelle sue orecchie come la prima volta che l’aveva udita, non c’era più niente, nessun passato nessun futuro, solo quella risata, affilata come una lama.
Lasciò cadere la bacchetta portandosi le mani sulle orecchie in un vano tentativo di farlo smettere, ma quell’agghiacciante suono veniva da dentro di lei e non c’era modo di arginarlo. Solo quando sentì il morbido velluto del tappeto a contatto con la sua guancia si rese conto di essere a terra. Una mano la scosse delicatamente e la risata di Voldemort venne sostituita dalla voce di Charlus Potter.
“Hermione! Hermione, stai bene?” continuava a ripetere scuotendola.
Lei sbattè più volte le palpebre mentre il presente la investiva con tutta la sua forza. Mugugnò quello che sperava venisse inteso come un cenno d’assenso, spostandosi i capelli dal viso.
Premurandosi di lanciare un’occhiata storta a Tom Riddle, l’aiutò ad alzarsi e le porse la bacchetta.
“Volevo fermarlo prima Hermione, ma Minerva ha detto che le regole sono regole, e tu non eri ancora a terra, mi dispiace.” Le offrì il braccio. “Ce la fai a scendere?”
Hermione, ancora intontita lo ignorò e si voltò a guardare Riddle che la stava osservando. Il volto, illuminato dalle deboli fiamme delle candele era ancora più pallido del solito e i capelli, neri come l’ala di un corvo, erano appiccicati alla fronte. Mentre lo scrutava a Hermione sembrò che il suo viso perdesse ogni attributo umano diventando simile a quello di un serpente: gli occhi si assottigliarono, il naso si ridusse a due fessure, i capelli sparirono. Ora non vedeva più Tom Riddle, ma Lord Voldemort.
Il ragazzo le diede le spalle e fece per scendere, ma la rabbia e l’odio che Hermione covava non glielo permisero.
Everte Statim! La bacchetta di Hermione tagliò l’aria e l’Erede di Serpeverde volò in alto, ricadendo malamente sugli scalini dalla pedana.
L’intera sala trattenne il fiato e con la coda dell’occhio Hermione vide la McGrannit richiamare Charlus mentre i capelli di Violet cambiavano improvvisamente colore.
Tom Riddle si alzò lentamente sputando il sangue che gli aveva riempito la bocca e risalì sulla pedana.
Il ragazzo fece per attaccare ma Hermione glielo impedì e, mentre il volto di Voldemort continuava a sovrapporsi nella sua mente a quello di Riddle, con un avvitamento secco del polso lanciò un nuovo incantesimo.
Sectumsempra! Il ragazzo non riconobbe l’incantesimo  ma si spostò con fulminea velocità e la fattura gli sfregiò solamente una guancia. Scioccato sgranò gli occhi portandosi una mano sulla ferita, da cui alcune gocce di sangue avevano incominciato a colare, macchiandogli il colletto bianco della camicia. Fu un attimo, la rabbia dai suoi occhi si propagò alla bacchetta da cui esplose un potente getto fiammeggiante.
Hermione, costretta ad indietreggiare per la furia di quell’attacco, lanciò il suo contro incantesimo. Le lingue di fuoco presero le sembianze di una fenice che si lanciò in picchiata verso il giovane Voldemort, che mosse qualche passo all’indietro.
Con un veloce movimento del braccio la fenice esplose disseminando lapilli sulle teste degli spettatori.
Per un attimo nessuno dei due si mosse. Hermione si scostò una ciocca di capelli dagli occhi stringendo forte la bacchetta e Riddle cercò di controllare il respiro affannoso.
Poi il ragazzo fece un passo in avanti e iniziò a lanciare incantesimi così velocemente che Hermione non ebbe quasi il tempo di creare una protezione davanti a sé.
Strinse i denti mentre cercava di mantenerla, sapendo che in breve si sarebbe frantumata.
Poi ebbe un’idea, la punta della sua bacchetta fendette l’aria e spedì il suo scudo verso il giovane Voldemort che dovette interrompere la sua raffica di fatture.
Hermione scagliò il suo incantesimo e sorrise.
Dopo tutto questo, battuto con un Expelliarmus.
Riddle guardò la sua mano, poi la sua bacchetta a terra e infine Hermione. La furia nei suoi occhi era scomparsa, sostituita dalla consueta indifferenza.
Il silenzio si protrasse per secondi che a lei parvero un’agonia, poi gli studenti iniziarono ad applaudire. Riddle le fece un cenno col capo, si chinò a raccogliere la sua bacchetta e scese dalla pedana.
Hermione scese traballante i gradini mentre persone di cui neanche sapeva il nome si congratulavano con lei.
“Gran bella fenice Mione.” Le disse Nott tirandole una pacca tra le scapole. “Ma adesso stai a vedere.” Aggiunse trotterellando sulla pedana.
Le labbra si stirarono in un sorriso prima che il suo corpo si lasciasse cadere su uno dei divanetti che occupavano la stanza, subito Violet le si sedette affianco.
“Sei stata assolutamente meravigliosa.”le disse seria l’amica. “Anche se devo dire che per un attimo tu e Riddle mi avete fatto paura.”
Hermione non si era mai ubriacata in vita sua, ma immaginava che il post-sbronza dovesse essere simile a quello che provava in quel momento. Ogni singolo muscolo le doleva e le sembrava di avere tanti spilli infilati nella testa.
“Hermione?” la richiamò Violet. “Tutto bene? Sembri sconvolta.”
“M-mal di testa.” Le rispose massaggiandosi una tempia.
La risata che proruppe dal pubblico che assisteva al duello successivo interruppe un eventuale interrogatorio di Violet sulle cause del suo malessere.
Hermione spostò lo sguardo sulla pedana dove, a giudicare dagli sguardi dei due duellanti, si stava consumando uno scontro all’ultimo sangue.
Vàli e la McGrannit si fronteggiavano in quella che assomigliava molto ad una danza, avanzando ed indietreggiando ad intervalli regolari, mentre le loro bacchette sputavano fasci di luce che non riuscivano a raggiungere mai l’avversario.
Entrambi accompagnavano i loro incantesimi con agili movimenti che rendevano lo spettacolo affascinate.
Sembra quasi che siano coordinati pensò ammirata Hermione, dimenticandosi per un attimo il suo incontro con il giovane Voldemort.
Dopo parecchi minuti di tale affascinante spettacolo, Vàli fece un’armoniosa giravolta su se stesso e con un luccichio divertito nello sguardo lanciò un incantesimo che Minerva non riuscì a schivare.
In un secondo la stretto chignon si sciolse, liberando una cascata di lunghi capelli castani. La ragazza guardò Nott con malcelato divertimento prima di abbassare la bacchetta in segno di resa.
Gli studenti applaudirono divertiti e Vàli si inchinò ripetutamente sogghignando tra sé e sé.
“Violet?”
La ragazza tornò a guardarla. “Si?”
“Non mi sento troppo bene, credo che andrò a dormire.” Disse, desiderando solo di potersi smaterializzare direttamente nel suo letto.
“Vuoi che venga con te?” chiese osservandola attentamente, come per giudicare se fosse effettivamente in grado di raggiungere il Dormitorio senza il suo aiuto.
“Nah, ce la faccio ancora a reggermi in piedi.” Le rispose alzandosi velocemente, e dirigendosi verso l’uscita della Stanza delle necessità.
Arrivata nella Sala Comune superò velocemente la porta del Dormitorio maschile, da cui provenivano voci arrabbiate.
Che cosa turberà mai l’umore del giovane Voldy pensò tra sé e sé, quasi divertita.
Curiosa si avvicinò silenziosamente alla porta, sperando che non ci fosse nessun incantesimo sopra.
“Allora dimmelo tu, perché l’hai fatto?” chiese una voce che le sembrava familiare.
“Ho i miei motivi, Malfoy. Non credo di doverne rendere conto a nessuno, men che meno a te.” Rispose la voce di Tom Riddle, velata di astio.
“Non avresti dovuto esporti in ogni caso, siamo stufi di non essere mes…”
“Siamo?” lo interruppe l’altro. Hermione per un secondo provò pietà per Malfoy. Ma fu solo un istante.
“R-Rosier dice...” tentò Malfoy.
“Dimmi Malfoy, chi ti ha insegnato tutto quello che sai?” lo interrogò freddo e spietato il giovane Voldemort.
“Tu.” Disse talmente piano che Hermione a stento sentì.
“E a chi va la tua fedeltà?” continuò minaccioso.
“A te.”
“Sono felice che ci siamo chiariti su questo punto Malfoy, spero che la cosa non si ripeterà.”
Hermione aspettò ancora qualche minuto, poi quando non riuscì a sentire più niente si allontanò.
La sua intuizione era dunque fondata, i Mangiamorte c’erano già. Nei giorni seguenti avrebbe fatto qualche indagine per capire meglio come funzionasse e chi ne facesse parte. Ma non ora, era troppo stanca per pensare ad un qualsiasi piano d’azione.
In quel momento si rese conto di aver effettivamente superato il temuto duello, senza essersela cavata poi troppo male.
Lasciare che Voldemort entrasse nella sua mente era stato un errore imperdonabile, che avrebbe anche potuto rovinare tutto, ma fortunatamente Riddle aveva avuto troppo poco tempo per scoprire la verità.
Peccato per un piccolo dettaglio, l’Erede di Serpeverde nei suoi ricordi aveva visto il se stesso di cinquant’anni dopo.
Forse però la cosa non era poi così grave, pensò mentre iniziava a lavarsi i denti, era quasi impossibile che si fosse riconosciuto in quell’uomo dai tratti serpenteschi, anche se avrebbe dovuto inventarsi una scusa decente nel caso avesse iniziato a fare domande.
Devo aggiungerla alle lista delle cose da fare per non essere scoperta, insieme al comprare dei vestiti adatti per gli anni Quaranta rifletté uscendo dal bagno.
Mentre si infilava sotto le coperte decise che il giorno dopo si sarebbe recata in Biblioteca. Non poteva permettere a Voldemort di infilarsi nella sua mente a piacimento, doveva imparare a chiuderla con l’Occlumanzia, sicuramente là avrebbe trovato dei libri sull’argomento, anche a costo di guardare nella Sezione Proibita.
Per un attimo Hermione si scioccò del proprio pensiero. Lei che cercava nella Sezione Proibita? Scosse i capelli cespugliosi con un mezzo sorriso, per il bene comune le toccava pure infrangere le regole.
La sua testa sprofondò nel morbido cuscino e nell’istante in cui i suoi occhi si chiusero Hermione si addormentò.


Note:
1 Charles Bukowski
2 Steve Jobs 
3 citazione da "Harry Potter e la camera dei segreti". Lo so questo è plagio allo stato puro, ma è da quando ho undici anni che aspetto di usare questa battuta nella vita, e non essendosi presentata ancora l'occasione (ma io non perdo le speranze) ho pensato di metterla nella mia storia, non me ne vogliate!

Scusate per il ritardo dell'aggiornamento e per la brevità del capitolo, ma in questo momento la scuola assorbe gran parte del mio tempo e delle mie energie, spero comunque di riuscire a postare il prossimo capitolo il prima possibile!
Un immenso grazie a Potion Fang, Anastasia_Malfoy, martymione97,  Phoebhe76 e lory 1989 per le loro recensioni!!

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Capitolo 6
*** V ***


Il mondo intero è in quel che diciamo
e tutto illuminato da quel che omettiamo. 1



24 Settembre 1944. Hogwarts.

Hermione inspirò profondamente sorridendo al familiare odore delle pagine di pergamena, mentre con una mano teneva aperta la porta della Biblioteca.  Un piccolo Tassorosso le passò velocemente di fianco rischiando di farle perdere l’equilibrio. “Hey!” iniziò con tono severo. “Non si corre in giro per la scuola.”
Il ragazzino si voltò e non appena vide chi aveva parlato sgranò gli occhi terrorizzato. “S-scusa non volevo.” Balbettò, defilandosi prima che Hermione avesse avuto il tempo di tranquillizzarlo. A quanto pareva la voce del duello si era sparsa in tutto il castello.
Fantastico.
Hermione cercò di non pensarci e si avvicinò al tavolo vicino alla finestra, da cui filtrava la calda luce del sole. Appoggiata la borsa piena di libri per terra si lasciò cadere stancamente sulla sedia, allentando con una mano il nodo della cravatta verde-argento. Erano passate più di due settimane dalla notte del duello con Voldemort ma si sentiva ancora debole e le sembrava che la sua testa ogni due ore fosse in procinto di scoppiare. Per colpa del signor Legilimens Violet l’aveva trovata la mattina successiva con la fronte bollente  praticamente in preda al delirio  e lei era stata costretta a passare interminabili giornate in Infermeria.  Aveva deciso di non rivelare quello che era successo durante il duello, e così l’Infermiera, dopo vane insistenze, era stata costretta ad accontentarsi della diagnosi di ‘Febbre da stress’ e a tenerla sotto osservazione per quello che a lei era sembrato un’eternità.
“Mi hai fatto venire i capelli bianchi per la paura!” continuava a ripeterle l’amica, e nel suo caso si poteva dire che la frase non fosse strettamente letterale.
Per risarcirla dello spavento era stata costretta a sorbirsi le soffocanti attenzioni sue e di suo cugino per tutti quei giorni senza fiatare e ora ritrovarsi finalmente sola la rendeva quasi euforica.
Un effetto positivo la sua malattia l’aveva avuto però : era riuscita a convincere Silente,preoccupato per la sua salute,  a procurarle il libro che le serviva senza dovergli dare troppe spiegazioni.
Non potendo però rischiare di essere vista a studiare Occlumanzia  aveva dovuto aspettare il momento adatto per defilarsi e raggiungere la Biblioteca.
Qual posto è migliore di questo per leggere senza dare nell’occhio ? pensò mentre tirava fuori il libro che Silente le aveva portato qualche giorno prima.
La copertina un tempo probabilmente era stata marrone ma ora era di un colore indefinito a causa dell’usura e dal dorso sdrucito pendevano alcuni fili grigi. Lanciò uno sguardo all’orologio appeso poco distante da lei e si rilassò, erano le sei del pomeriggio. Vàli sarebbe stato impegnato con la selezione dei giocatori della squadra di Quidditch ancora per qualche ora e lo stesso valeva per  Violet, che  era stata trascinata ad assistere da una loro compagna a quanto pareva innamorata di uno degli aspiranti Portieri.
Aprì il librò sfogliando delicatamente le pagine ingiallite fino a quando non trovò il capitolo che la interessava.
Non era sua abitudine saltare parti di spiegazione, ma il tempo a sua disposizione era troppo poco per potersi soffermare sulla derivazione del termine ‘Occlumanzia’e altre informazioni di questo genere.
“…riteniamo che siano principalmente tre le tecniche per chiudere la mente in maniera efficace. Prima fra tutte è il controllo del proprio respiro, esso è infatti il filo invisibile che  collega la mente al corpo e per questo di fondamentale importanza. Chiunque voglia apprendere l’arte dell’Occlumanzia deve quindi imparare ad effettuare una respirazione cosiddetta diaframmatica. Essa infatti oltre ad agevolare il rilassamento permette un maggiore afflusso di ossigeno al cervello, aumentando così la concentrazione. Proponiamo ora un utile esercizio per imparare questa semplice ma utilissima  tecnica. Dopo esservi seduti con la schiena eretta chiudete gli occhi e rilassate le spalle.”  Hermione si lanciò uno sguardo intorno ma a parte un gruppo di ridacchianti Corvonero in fondo alla sala la Biblioteca era deserta, per cui chiuse gli occhi e tentò di rilassarsi. “Appoggiate la mano destra sul vostro petto e quella sinistra sul vostro diaframma. Ora inspirate gonfiando l’addome ed espirate sgonfiandolo. Se eseguirete l’esercizio in modo corretto vi accorgerete che la vostra mano destra non si muoverà, al contrario di quella sinistra. Respirate in questo modo per alcuni minuti…”
Hermione iniziò ad ispirare e ad espirare profondamente, dimenticandosi dell’ambiente circostante mentre sentiva l’ossigeno fluire dentro e fuori dai suoi polmoni con la stessa regolarità delle onde del mare.
Continuò così per lungo tempo, finché non sentì il raschiare di una sedia che veniva spostata.
“Ciao Hermione, posso sedermi?” sentì chiederle la voce educata di Charlus.
Spalancò veloce gli occhi e aprì il primo libro che trovò sul tavolo, usandolo per coprire quello di Occlumanzia.
Senza aspettare la sua risposta le si sedette davanti, appoggiando il mento sul palmo della mano con ostentata nonchalance.
“Cosa fai di bello?” chiese gettando uno sguardo sui libri appoggiati sul tavolo.
“Mi porto avanti con lo studio.” Rispose cordiale, anche se l’aveva interrotta non le sembrava il caso di farglielo notare.
“E da quando si studia con i libri al contrario?” domandò curioso.
Hermione abbassò di colpo lo sguardo sul libro di Pozioni davanti a lei, effettivamente era al rovescio. Cercò di non perdere la calma, mentre sentiva le guance diventare bollenti. Stava per balbettare una scusa poco convincente ma Charlus continuò a parlare, salvandola dall’imbarazzo.
“Sai, non ti ho ancora fatto i complimenti per il tuo duello. Fenomenale, dico davvero. Ero convinto che Riddle avrebbe tentato di affogarsi nel bagno dei Prefetti per l’umiliazione. Tra parentesi, una dannata sfortuna che non l’abbia fatto. Comunque, quella fenice era… wow.” Concluse tutto d’un fiato.
“Si, direi che ‘wow’ è la parola esatta.” Commentò con un mezzo sorriso cercando di mettere via il libro con più discrezione possibile. Tornando a guardare il ragazzo notò che aveva la cravatta quasi slacciata e il colletto della camicia metà alzato e metà no. Nonostante tra Charlus e Vàli ci fosse un’apparente rivalità i due sembravano per ceri versi molto simili.  
Hermione pensò che non le potesse capitare occasione migliore di quella per dare avvio alle sue indagini.
“Charlus, ho… ho sentito delle voci in giro e speravo che tu fossi in grado di aiutarmi.” Disse pregando che la tecnica della fanciulla bisognosa d’aiuto funzionasse.
Il ragazzo si sporse in avanti. “Dimmi tutto.” Le rispose interessato.
Uomini. Sono così scontati.
“Prima alcune ragazze stavano parlando di qualcosa che non ho capito bene.” Fece una pausa e decise di sbattere un po’ le ciglia come aveva visto fare a Lavanda una volta. Charlus deglutì. “Hanno detto qualcosa su dei M-Mangiamorte.” Disse infine mentre, tramontato il sole, le candele della Biblioteca si accendevano.
Charlus strinse la mascella e si appoggiò allo schienale della sedia.
“Non ti conviene andare a fare questo tipo di domande in giro Hermione, potrebbe essere pericoloso.” La informò sottolineando il concetto con uno sguardo nervoso intorno a sé. “Comunque,” continuò iniziando a giocherellare con l’estremità della sua cravatta. “Per tua fortuna sono ben informato, e posso aiutarti. Mangiamorte è il nome di coloro che fanno parte di una…diciamo particolare società segreta di questa scuola.”
Hermione lo incoraggiò a proseguire con lo sguardo.
“A quanto mi risulta nessuno conosce l’identità di tutti i partecipanti visto che durante le loro riunioni tutti hanno il viso coperto da una maschera, nemmeno i Mangiamorte sanno chi siano tutti gli altri. “ abbassò il tono di voce. “Si dice che durante quelle riunioni pratichino l’Arte Oscura e solo il capo conosce l’identità di tutti gli affiliati.”
“E chi è il loro capo?” chiese Hermione in un sussurro, nonostante conoscesse già la risposta.
Lo sguardo di Charlus si spostò dal suo viso per posarsi su qualcosa dietro di lei.
“Riddle?” disse spostandosi velocemente indietro.
Hermione lo guardò confusa, poi si voltò. Dietro di lei c’era il giovane Voldemort che, immobile, li guardava.
Quando si parla del Diavolo.
“Cosa vuoi, Riddle?” chiese Charlus senza preoccuparsi di celare il disprezzo nella sua voce.
“Dieci punti in meno a Grifondoro, Potter. Non è questo il modo di rivolgersi al Caposcuola. Sei fortunato che non te ne tolga altri per lo stato dei tuoi vestiti.” Rispose calmo mentre i suoi occhi si posavano su Hermione.
Comunque. Per rispondere alla tua domanda sono qui solo per avvisarvi che la cena è già iniziata da parecchi minuti quindi sareste pregati di continuare la vostra conversazione in un altro momento.”
Charlus si alzò stritolando le cinghie della sua borsa e dopo averle rivolto un sorriso, se ne andò veloce borbottando arrabbiato tra sé e sé.
Hermione mise in fretta via tutti i libri sparsi sul tavolo evitando accuratamente di guardare Tom Riddle che invece continuava a fissarla, con quei suoi occhi grigi e freddi.
“Evans.”
Con riluttanza si voltò verso di lui, iniziando a respirare con il diaframma.
“Mmm?”
“ Il Preside mi ha detto di dirti che ti aspetta nel suo ufficio alle nove.” Le disse.
Hermione annuì cercando di non sembrare troppo sorpresa e fece per superarlo.
Ultima latet
Si fermò, pensando di aver capito male, si voltò e finalmente lo guardò negli occhi.
“Scusa?” chiese  perdendo il controllo del suo respiro mentre sentiva il battito accelerare, aveva così paura che potesse leggerle di nuovo la mente.
Ultima latet . E’ la parola d’ordine per entrare nell’ufficio del Preside.” Le spiegò atono.
Hermione fece un leggero segno di assenso e prima che lui potesse fare qualcos’altro si allontanò velocemente dalla Biblioteca.

Nott si avviò allegramente per il corridoio poco illuminato, cercando di non badare alle macchie di fango che lasciava dietro di sé.  La sua giornata non era incominciata nel migliore dei modi : dopo essere stato buttato giù dal letto in malo modo da Tom aveva trovato ad aspettarlo a colazione una lettera da suo padre che si dichiarava deluso dal suo irriverente comportamento e diceva di volergli parlare seriamente durante le vacanza natalizie.
Grazie a Merlino siamo solo a Settembre pensò con un sorriso. Ora di dicembre la rabbia avrebbe fatto in tempo a sbollirgli e per quanto riguardava la delusione, in fondo c’era abituato e non aveva sicuramente intenzione di pensarci in quel momento.
La selezione era andata bene, ed era quella la cosa importante. Come primo giorno da capitano della squadra di Serpeverde era convinto di essersela cavata egregiamente, nessuno si era fatto male a parte Parkinson, ma lui era un caso senza speranze riusciva a slogarsi qualcosa ogni volta che saliva su una scopa l’unico motivo per cui l’aveva ripreso in squadra era che come portiere era davvero bravo. Almeno finché riesce a stare in sella.
E un Serpeverde del terzo anno si era preso un bolide addosso e si era rotto una gamba.
Insomma, diciamo che nessuno si era fatto gravemente  male. Per di più la squadra prometteva bene e forse quell’anno ce l’avrebbero davvero fatta a vincere l’agognata coppa.
Il solo pensiero aumentò il suo buon umore e scese saltellando i gradini.
Vedranno i Grifondoro, li faremo ner … non fece in tempo a finire il pensiero che gli scalini sotto i suoi piedi diventarono un unico scivolo e lui si ritrovò disteso per terra.
Assicurandosi di non essersi rotto niente si rialzò e si voltò verso la statua di Merlino, da dove sentiva provenire una risata familiare.
“Dovresti stare attento a dove metti i piedi Capitano Nott, non vorrai infortunarti ancora prima dell’inizio del Torneo.”
“Dovessi anche essere costretto a volare con tutte e due le gambe ingessate quest’anno ti batterò Minerva.” Ribatté sorridendo, mentre sentiva un famigliare formicolio nello stomaco alla vista della ragazza che se ne stava tranquillamente appoggiata alla statua di marmo.
Fece qualche passo verso di lei e Minerva dopo avergli regalato un largo sorriso gli si gettò tra le braccia e lo baciò. Il ragazzo rispose al bacio stringendola forte a sé. Per quanto stessero insieme ormai da quasi tre anni Vàli a volte non riusciva ancora a capacitarsi della cosa. Affondò la testa nei suoi capelli, notando che finalmente li aveva sciolte annusò a pieni polmoni il suo profumo. Minerva McGrannit sapeva di Gelsomino.
La ragazza si allontanò un poco da lui. “Che schifo Vàli, lo sai che puzzi peggio di un Troll?”
“Puzzeresti anche tu così dopo due ore di selezioni, Minnie.” Le rispose riagguantandola.
Minerva cercò di liberarsi senza successo dalla sua morsa, poi si arrese. “Te l’ho già detto, smettila di chiamarmi Minnie, è un nome così… così stupido.”
Vàli strofinò il naso contro la fronte della ragazza. “Lo sai Minnie, la mia memoria è come una possente fortezza da cui non scappa nessuna informazione.” Iniziò a baciarle il collo. “Ora, quando mi dici queste cose noiose le rilascio immediatamente.” Si fermò e per un attimo si perse negli occhi verdi di lei. “Previene l’affollamento.” Concluse con un’alzata di spalle, prima di chinarsi e posare le sue labbra su quelle di lei.
Le mani di Minerva risalirono fino alla sua nuca gli afferrarono i capelli ancora sporchi di terra, provocandogli un piacevole brivido lungo la schiena.
Il baciò aumentò di intensità e Nott si ritrovò senza sapere come con la schiena appoggiata contro i piedi appuntiti di Merlino, mentre iniziava a perdere la concezione di qualsiasi altra cosa che non fossero le labbra di Minerva sulle sue e le loro lingue che si accarezzavano.
Dopo lunghi istanti di beato oblio fu costretto a staccarsi per mancanza di ossigeno. “Che ne dici di un bagno?” le sussurrò mordicchiandole il lobo destro.
“Scordatelo.” Gli rispose veloce. “L’ultima volta c’è mancato poco che ci scoprissero, ho passato mesi a cercare di convincere Mirtilla a non raccontare niente.”
Vàli fece una smorfia “Provvidenziale quello che è successo.” Commentò ironico.
Lei gli tirò uno scappellotto. “Vàli.”lo riprese con lo stesso tono che avrebbe usato sua madre. “Non si scherzano su queste cose, quello che è successo è stato terribile.” Gli sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Comunque lo sai che se fosse per me non saremmo costretti a nasconderci, sei tu quello che vuole mantenere il segreto. Io mi sono solo adeguata.”
“Minnie, l’anno scorso durante la prima partita c’è mancato poco che non mi ammazzassi.” Le ricordò divertito.
“Diciamo che mi sono arrabbiata ma poi  mi sono adeguata.” Gli rispose fingendo un tono indifferente che non ingannò Vàli.
La conosceva bene e sapeva quanto odiasse mentire agli altri, ma lo faceva. Per lui. Lui che non la meritava affatto che era talmente debole e codardo da non avere il coraggio di dire ai suoi compagni che amava una Mezzosangue, non che a Nott importasse niente di quelle stupide questioni razziste. Ma se l’avessero saputo sarebbe stato buttato fuori dal gruppo e riusciva a sentire di valere davvero qualcosa solo quando era con i Mangiamorte, per quanto a volte litigassero lo facevano sentire accettato, al sicuro.
Minerva preoccupata per il suo silenzio gli diede un bacio sulla punta del naso. “Ne abbiamo già parlato un milione di volte, ma non mi stancherò mai di ripeterlo. Io ti amo Vàli Nott, e preferisco averti in questo modo che perderti.” Gli allacciò il colletto della divisa da Quidditch. “Ti conosco, a volte ci metti un po’, ma poi capisci sempre qual è la cosa giusta da fare. E presto ti renderai conto che questo tuo comportamento fa male a te.” Lo guardò dritto negli occhi e Vàli avrebbe voluto farsi piccolo piccolo e scomparire. “ E a me. Di certo non a tuo padre.” Concluse.
“S-se lo sapessero, mi butterebbero fuori Minnie. E stanno diventando sempre più forti, tu non sai che cosa facciamo lì.” Le prese le mani tra le sue e le strinse forte. “Se scoprono che stiamo insieme, potrebbero farti qualcosa.”
Minerva lo guardò triste. “Vàli, lo sai anche tu che questa è solo la scusa che usi sempre per non ammettere che ti manca il coraggio di lasciarli.”
Vàli non rispose, limitandosi a mordersi a sangue il labbro inferiore.
I rintocchi di una pendola li raggiunsero segnalando loro che era arrivato il momento della cena. Minerva si raddrizzò e gli accarezzò una guancia con la punta delle dita. “Facciamo come al solito, io inizio ad andare e tu ti muovi fra cinque minuti.” Disse dandogli un bacio veloce prima di iniziare ad incamminarsi verso la Sala Grande.
“Minnie!” la voce profonda di Vàli riecheggiò nel corridoio deserto.
La ragazza si voltò con espressione interrogativa.
“Sei bellissima con i capelli sciolti.”
Minerva gli fece l’occhiolino e poi a passo veloce si allontanò.


Hermione si sedette sulla panca e Violet le lanciò un occhiata di eloquente rimprovero mentre finiva di ingoiare il budino al cioccolato davanti a sé.
“Biblioteca.” Si giustificò Hermione salutando con un cenno la ragazza seduta di fianco all’amica.
“Com’è andata la selezione Dorea?” le chiese prima di lanciarsi sul cibo che le era stato messo da parte. Tutto quell’inspirare ed espirare le aveva messo decisamente fame.
Dorea Black le sorrise mentre si legava i lunghi capelli biondi in una coda sbilenca. “Non male.” Commentò iniziando a sbriciolare il pezzo di pane che aveva in mano. “Ovviamente Nott non ha potuto non riprendermi in squadra.”
Hermione si scambiò uno sguardo divertito con Violet che aveva alzato gli occhi al cielo, Dorea Black, che a quanto pareva doveva essere imparentata con Sirius, era una tipa in gamba anche se un po’ troppo propensa all’autoincensamento.
“Solo perché eri l’unica che si è presentata per il posto di battitore,Dorea.” Da dietro ‘La Gazzetta del Profeta’  spuntò la faccia del fratello della suddetta, Orion Black.  Con i suoi occhi azzurri e il naso all’insù aveva ricordato ad Hermione, la prima volta che l’aveva visto, un folletto di quelle storie irlandesi che Seamus raccontava spesso, ispirandole un’immediata simpatia. Dopo avere conosciuto lui e la sua gemella aveva deciso che in fondo i Serpeverde non erano poi così male, se si riusciva ad ignorare la loro tendenza a voler vincere sempre e comunque.
“Crabb si lamentava che l’avessi praticamente minacciato per non farlo venire oggi.” Aggiunse senza scomporsi, ma con una punta di ironia nella voce.
“Questo non è assolutamente vero.” Gli rispose Dorea piccata, tirandogli un pezzo di pane addosso.
“Nott mi ha ripreso in squadra per il mio innegabile talento e…”
“Per la tua dannatissima mira, Dorea.” Concluse Vàli, sedendosi di fianco ad Hermione che fu investita dall’odore di fango e sudore che emanavano gli abiti del ragazzo.
“Merlino Vàli, quanto puzzi.” Fu il commento della cugina.
“La prossima volta però è meglio se decidi di eliminare un avversario, quel povero ragazzo passerà un bel po’ di tempo in infermeria.” Disse ignorandola e aggiungendo un saluto generale.
“Cosa ci posso fare se mi faccio prendere dalla situazione?” gli rispose facendogli una linguaccia.
“Quindi quest’anno pensate di vincere?” chiese Hermione prima di bere un sorso di succo di zucca. Ascoltare e partecipare a quelle conversazione così, così normali la mettevano di buon umore facendola sentire quasi come ai vecchi tempi. Quasi.
“Ci puoi scommettere Hermione.” Le assicurò convinto Orion. “Quest’anno soffierò il Boccino proprio sotto il naso di quel damerino di Potter, fosse l’ultima cosa che faccio. Giusto Capitano?”
Vàli troppo impegnato con la sua coscia di pollo si limitò ad alzare il pollice in direzione dell’amico.
“E tu cosa hai fatto tutto questo tempo in Biblioteca Hermione?” le chiese Violet, probabilmente stufa quanto lei dell’argomento Quidditch.
“Studio.” Borbottò Hermione, cercando di rimanere sul vago. “Sarei rimasta lì un altro po’ se Riddle non fosse venuto a chiamarmi.”
Dorea spalancò la bocca. “Riddle?”
Hermione annuì. “Voleva dirmi che il Preside mi aspetta nel suo ufficio dopo cena.”
“E perché?” chiese curioso Nott, che a quanto pareva aveva finalmente smesso di mangiare.
Hermione alzò le spalle, in realtà era curiosa anche lei di saperlo anche se non era del tutto convinta che fosse per qualcosa di positivo.
“Lufkin.” Disse Orion, piegando accuratamente il giornale. “Artemisia Lufkin.” Ripetè guardandoli divertito.
“Embè?” gli rispose Nott non capendo dove volesse andare a parare.
Orion alzò un sopracciglio. “Ma davvero voi vivete in questa scuola?” commentò fingendosi scandalizzato. Orion Black era famoso per essere sempre al corrente di qualsiasi avvenimento o pettegolezzo della scuola e trovava molto divertente far notare a tutti gli altri la loro triste ignoranza.
La sorella piegò il capo accondiscendente. “Chiediamo venia, Mastro Black. La prego ci illumini.” Lo incoraggiò divertita.
“Artemisia Lufkin, di Tassorosso, era la Caposcuola.”si fermò per creare un minimo di suspense. “Fino a ieri sera. Quando ha misteriosamente consegnato le dimissioni.” Concluse compiaciuto vedendo che gli amici pendevano dalle sue labbra.
“Scusa, ma io cosa c’entro?” chiese Hermione che continuava a non capire.
“Mi sembra ovvio ragazza mia, o il Preside Dippet ti aspetta nel suo ufficio per regalarti delle Cioccorane oppure ti vuole offrire il posto.”
Quattro paia di occhi la fissarono incuriosita ed Hermione non potè fare altro che muoversi imbarazzata sulla panca.
Dorea soffiò via dal viso una lunga ciocca di capelli. “Oh ma chi se ne importa di cosa vuole il Preside. Quand’è l’ultima volta che avevate visto Riddle parlare con una ragazza?”
“Ieri io l’ho visto dire qualcosa a Sally Bones.” Commentò Vàli con un’alzata di spalle.
“Gli insulti non valgono Nott.” Precisò Dorea.
“Che informazioni ha il nostro Black?” chiese Violet divertita.
“Nada de nada, non ci sono pettegolezzi sul suo conto. Riesce sempre a metterli a tacere subito.” Rispose quasi infastidito dalla cosa.
Quali rapporti avesse Riddle con il mondo femminile era l’ultimo pensiero di Hermione, la cui mente era focalizzata su una parola pronunciata da Orion. Caposcuola. Si fece rigirare la parola sulle labbra, assaporandola come fosse una caramella alla fragola.  Era sempre stato uno dei suoi piccoli sogni nel cassetto ma quando aveva deciso di seguire Harry nel suo viaggio alla ricerca degli Horcrux aveva accantonato il progetto, mettendosi il cuore in pace. Ed ecco che ora forse le si presentava l’occasione perfetta per realizzare il suo desiderio e avvicinarsi a Riddle.
“Hermione?” la voce di Violet la strappò dai suoi pensieri ed Hermione si accorse che gli altri erano già tutti in piedi.
“Ti accompagniamo fino dal Preside ti va?”
Hermione annuì e dopo essersi alzata seguì i suoi nuovi amici fuori dalla Sala Grande.
Dorea e Vàli avevano già ripreso a parlare di Quidditch quindi si affiancò a Violet e Orion.
“Tu sai già come ti vestirai per il ballo?” le chiese allegra l’amica.
“Ballo?”
“Il Ballo di Fine Anno.” Si affrettò a spiegarle Orion. “Praticamente l’unico evento mondano che questa scuola abbia il coraggio di organizzare. Sempre se escludiamo quelle patetiche cene di Lumacorno.”
“Oh, quel Ballo.” Commentò lei senza troppo entusiasmo, l’ultima cosa di quel genere a cui aveva partecipato non si era conclusa in maniera propriamente idilliaca.
“Credo che inizierò a pensarci più in là.” Disse sinceramente. “Voi sapete già con chi andare?”
Le punte dei capelli di Violet vararono improvvisamente verso il verde. “I-io pensavo di provare, sai com’è no?” si interruppe per tirare una gomitata ad Orion che ridacchiava. “Volevo chiederlo a Charlus, ma con ogni probabilità mi dirà di no. Dite che ci si può andare anche senza accompagnatore?”
Hermione alzò le spalle, in quel momento le sembrava proprio il problema minore, lei ne aveva un ben più terrificante che probabilmente la aspettava in Sala Comune. Iniziava per Lord e finiva per Voldemort.
“Tu Orion?” chiese per non lasciare cadere la conversazione. Aveva il terrore del silenzio, nel cui boato aveva l’impressione di sentire in lontananza, come sfuocati, i lamenti dei suoi amici. Ogni volta che si ritrovava da sola con i suoi pensieri l’angoscia del presente la assaliva, togliendole il fiato.
“Ci sarebbe una persona con cui vorrei andare.” Le rispose con un luccichio malizioso nello sguardo. “Ma credo sarà impossibile. Mi toccherà scegliere tra le dame che già mi hanno invitato.” Si sistemò la cinghia della borsa sulla spalla.
“In effetti gli occhi di Felicity si abbinerebbero benissimo con il mio completo.” Aggiunse quasi sovrappensiero, poi il suo sguardo si spostò sull’amica che gli camminava affianco. “Facciamo così Violet, se non trovi nessuno ci andiamo insieme.”
La ragazza lo squadrò per un istante. “Cosa vuoi in cambio?”
Le labbra di Orion si distesero in un sorriso sornione. “Il colore dei capelli lo scelgo io.” Disse porgendole la mano.
Violet annuì e gliela strinse con convinzione. “Affare fatto Black.”
Arrivati davanti alla grande aquila di pietra che presidiava l’ingresso dell’ufficio di Dippet gli amici la salutarono e si allontanarono in direzione dei sotterranei.
Hermione li guardò sorridendo per un attimo, poi si voltò verso la statua e sussurrò la parola d’ordine.
Ultima latet. 2
Il preside Dippet non avrebbe potuto scegliere frase più appropriata.


Hermione bussò leggermente sulla pesante porta di legno ed entrò nella stanza.
La prima cosa che notò fu l’espressione scocciata dipinta sul volto rugoso del preside e la seconda fu Tom Riddle.
Il ragazzo era tranquillamente seduto su una sedia di fronte alla scrivania di Dippet e al suo ingresso non si voltò.
“Ci stavamo chiedendo signorina Evans,” la apostrofò invitandola a sedersi con un secco gesto della mano. “quando ci avrebbe onorato della sua presenza.”
I suoi occhi corsero immediatamente all’orologio appeso in un angolo le cui lancette le segnalavano impietosamente che era in ritardo di venti minuti.
Deve essere quello che chiamano Karma, perché normalmente io non sono mai in ritardo pensò scocciata mentre si sedeva di fianco al giovane Voldemort. Il ragazzo la degnò di un cenno del capo mentre si passava una mano sui pantaloni probabilmente per eliminare pieghe che solo lui poteva vedere.
“Ho perso la concezione del tempo, mi scusi.” Spiegò ignorando la presenza alla sua destra.
Il preside annuì fingendosi comprensivo. “Immagino comunque che il signor Riddle le abbia già spiegato il motivo di questo colloquio.
“No, il signor Riddle non mi ha riferito niente.” Sibilò Hermione.
“A no?” commentò confuso Dippet spostando il suo sguardo sul ragazzo.
Riddle si protese leggermente in avanti e si schiarì la voce. “In realtà signor Preside, credevo che sarebbe stato meglio se glielo avesse prima riferito lei.” Il cui tono di voce era un perfetto equilibrio tra disinteresse e cortesia.
“Potrei sapere di cosa state parlando?” si intromise Hermione, che se da una parte era elettrizzata per la probabile nomina dall’altra temeva una brutta sorpresa.
“Purtroppo ieri sera la Caposcuola, la signorina Lufkin di Tassorosso, ha rinunciato all’incarico.” Iniziò Dippet, torcendosi nervosamente le mani. “Può ben capire in che stato mi abbia gettato questo improvviso incidente, ma per mia fortuna il signor Riddle è riuscito a salvare la situazione.”
Ha deciso di diventare donna per fare anche la Caposcuola?
Hermione alzò un sopracciglio in maniera interrogativa.
“Mi ha suggerito lei come rimpiazzo.”
“Me?” commentò stupita.
“Si signorina Evans, mi ha assicurato la sua piena competenza per questo tipo di incarico. Lo stesso professor Silente mi ha confermato la cosa.”
Hermione chiuse velocemente la bocca, spalancata per la sorpresa. Tom Voldemort Riddle aveva consigliato di assegnare la spilla di Caposcuola a lei? Si voltò a guardarlo ma il ragazzo fissava imperterrito un punto davanti a sé.
Cercò di ridarsi un contegno iniziando a sospettare che l’Erede di Serpeverde avesse organizzato tutto quello con uno scopo ben preciso in mente. Doveva solo capire quale.
“Lo so che solitamente non assegniamo questa nomina a studenti della stessa casa ma visto la situazione spero che entrambi opererete con la massima imparzialità. Ovviamente se accetta, signorina Evans.”
Hermione annuì energicamente. Una volta aveva perso l’occasione di essere Caposcuola per colpa di Voldemort ora lo stesso le stava offrendo l’opportunità di diventarlo, la situazione era davvero ironica sebbene sapesse di dover stare molto attenta con tutto ciò che riguardava direttamente o indirettamente Tom Riddle.
“Accetto molto volentieri Preside Dippet.”
“Bene bene.” Mormorò compiaciuto il Preside. “Tom ti spiegherà ogni cosa e mi raccomando, tenete gli occhi aperti.
Non vogliamo per nessuna ragione che gli eventi dell’anno scorso si ripetano.”
“Certo, Preside.” Disse Tom Riddle, senza nessuna sfumatura nella voce.
Certo? Hermione, che aveva ben capito a quale avvenimento si stesse riferendo, dovette reprimere un moto di disgusto di fronte alla fredda impassibilità del ragazzo.
“Quali eventi?” sentì la sua voce chiedere ancora prima di potersi fermare.
Dippet iniziò ad accatastare nervosamente una serie di fogli sparpagliati sul tavolo.
Sfortunatamente signorina Evans in questo momento non ho il tempo per rispondere alla sua domanda, ma sono sicuro che il signor Riddle farà un ottimo lavoro.”
Gli occhi di Riddle si spostarono velocemente sul volto del Preside ed Hermione giurò di averci visto una scintilla di odio.
“Non crede che sarebbe meglio se sentisse queste cose da qualcuno come Lei?” chiese senza che la voce tradisse il suo disappunto.
“Oh no, signor Riddle. Ho piena fiducia in lei, sono convinto che farà un ottimo lavoro.” Disse, mentre un’ombra calava sul volto del ragazzo. “Ora se non vi dispiace avrei una scuola da mandare avanti. Per cui andate, andate!”


Hermione era in contemplazione della scintillante spilla da Caposcuola che il Preside le aveva ficcato in mano, rischiando di infilzarla, e non aveva ancora realizzato di stare camminando per corridoi deserti e poco illuminati fianco a fianco con il giovane Voldemort.
Entrambi camminavano senza dire una parola e l’unico suono che si udiva era quello dei loro passi che rimbalzava contro le pareti di pietra perdendosi nei corridoi senza fine di Hogwarts.
Nonostante gli avvenimenti delle settimane precedenti Hermione  non sentiva nessuna urgenza di domandare al ragazzo il motivo del suo incantesimo, né tantomeno era smaniosa di dover rispondere agli eventuali interrogativi dell’altro. Insomma era ben contenta dell’equilibrio che sembrava essersi instaurato per quei brevi minuti e non aveva nessuna intenzione di rompere il silenzio. Evidentemente Tom Riddle non era della sua stessa opinione.
“Io non ti piaccio.” Disse senza guardarla, continuando a camminare.
Lei per un attimo rimase spiazzata, tra tutte le cose che poteva aspettarsi che le dicesse quella si piazzava decisamente  nelle ultime posizioni. Aprì la bocca, per replicare istintivamente, poi la richiuse rendendosi conto che non aveva nessun buon motivo per smentirlo.
“Non c’è bisogno che tu finga il contrario.” Le disse il ragazzo, che probabilmente aveva intercettato il suo movimento.
“Non stavo per farlo.” Gli rispose pronta.
Tom Riddle annuì, senza mostrarsi offeso. “Non piaccio a molte persone, quindi credo di riuscire a sopravvivere comunque.” Si fermò e finalmente si girò verso di lei.
Hermione suo malgrado fu costretta a fare lo stesso.
“Vista la nostra posizione però credo che sarebbe meglio se cercassimo di instaurare un rapporto almeno civile.”
Hermione annuì poco convinta, chiedendosi che cosa volesse esattamente dire. Improvvisamente il giovane Voldemort raddrizzò le spalle e la sua mano destra scattò in avanti.
“Forse sarebbe meglio quindi ricominciare da capo. Piacere io sono Tom Riddle.” Disse aggiungendo quello che nella sua gamma di sorrisi doveva essere il più cordiale.
Hermione guardò la sua mano, poi lui, poi di nuovo la mano. Per un attimo pensò che il ragazzo fosse completamente impazzito, che la caduta dell’ultima volta gli avesse procurato qualche danno?
Riddle attese senza dare segni di impazienza e finalmente Hermione si decise a stringergli la mano.
“Hermione Evans.” Disse senza troppo entusiasmo.
Il ragazzo annuì. “Direi che è un buon inizio.”
Arrivati davanti all’ingresso della Sala Comune Hermione ripetè la parola d’ordine ed entrambi entrarono.
La sala,completamente deserta, era illuminata dal solo grande camino in marmo e oltre l’ampia vetrata le profondi e verdi acque del lago riposavano quiete.
Hermione fece per avviarsi verso il dormitorio quando sentì un tonfo dietro di lei, si voltò e vide Tom Riddle per terra.
“Vorrei sapere,” sibilò mentre lei sopprimeva a stento un sorriso. “chi è l’idiota che lascia una Pluffa in mezzo alla sala.”
“Nott, con ogni probabilità.” Commentò tendendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi.
Il ragazzo guardò stupito la sua mano e per un attimo la stessa Hermione si meraviglio del gesti istintivo. Dopo un brevissimo istante Riddle la strinse e si tirò su, riassettandosi la divisa. Era forse imbarazzo quello che ad Hermione sembrava di scorgere nella sua espressione?
Il suo sguardo fu catturato da un oggetto che doveva essere caduto dalle tasche dell’Erede di Serpeverde, si chinò e lo raccolse. Era un semplice diario nero, con inciso il suo nome in lettere dorate. Hermione fece scorrere le pagine velocemente e notò che erano fitte di scritte  in inchiostro nero, ed erano disegni quelli negli angoli?
Riddle, evidentemente riavutosi dall’imbarazzo, si accorse di quello che lei aveva in mano e con un gesto fulmineo glielo strappò.
“Questo è mio.” Disse irrigidendosi.
“Lo so, te l’ho solo raccolto.” Gli rispose tranquillamente.
Lui la guardò a lungo con i suoi occhi grigi senza dire una parola ed Hermione fece istintivamente un mezzo passo indietro.
“Be’, buonanotte.” Le disse alla fine, prima di dileguarsi.
Hermione, voltatasi a guardare il fuoco che scoppiettava nel camino, si passò una mano tra i capelli cespugliosi. Almeno sembrava che Tom Riddle avesse imparato l’educazione. Poi ebbe come un illuminazione, anche se a lei sembrò più come se qualcuno l’avesse appena schiaffeggiata.
Quello che era caduto dalla tasca del ragazzo, che lei aveva raccolto e tenuto tra le mani era il diario di Voldemort. Il suo primo Horcrux. Subito scosse la testa, non poteva essere un Horcux era stata abbastanza in contatto con uno di essi da essere in grado di riconoscerlo. Quello era ancora un semplice diario pieno di parole e disegni. Hermione trattenne il respiro, se aveva ragione quella  significava una cosa sola. Tom Riddle aveva ancora un’anima.


Note :
1 Daniel Pennac
2 dal latino : L'ultima ora è nascosta. Mi sembrava che fosse particolarmente adatta visto che la conclusione della storia tra Tom e Hermione è completamente diversa da quella che entrambi si aspettano.

Allora, come avete potuto notare c'è stato un cambio di prospettiva in questo capitolo. Mi sembrava utile per poter descrivere anche scene in cui non è presente Hermione e avevo intenzione di usarlo anche in futuro. Voi cosa ne pensate?

Un grazie a tutti quelli che seguono e soprattutto a martymione97, poppi, Fenice 713, lory 1989, Asile7, Erodiade e Silent_ Warrior per il loro supporto !
Un bacio e a presto

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Capitolo 7
*** VI ***


“Ma come vuoi morire un giorno, Narciso, se non hai una madre?
Senza madre non si può amare. Senza madre non si può morire.”1

26 Settembre 1944. Hogwarts

Tom, abbassando lo sguardo, notò i suoi piedi nudi, ed intorno ad essi macerie. Camminò per un po’ in quello strano luogo deserto, chiedendosi dove si trovasse, finché non arrivò in un grande spiazzo, circondato da un porticato crollato. Tutto intorno a lui era grigio, il cielo, il terreno e quelle strane rovine. Perfino il silenzio sembrava avesse assunto consistenza nella nebbia che lo circondava, grigia e fredda come i suoi occhi.
Poi da lontano si avvicinò lentamente, quasi scivolando, una figura vestita di nero. Tom avrebbe voluto scappare ma sentiva le sue gambe come ancorate alla terra e dunque non si mosse. La strana creatura gli si avvicinò sempre di più fino ad arrivare davanti a lui. Tom tentò di urlargli di andare via, di lasciarlo in pace ma le parole gli si aggrappavano in gola e non volevano saperne di uscire. Lunghe dita grigie gli strinsero il viso e sentì quell’essere dai tratti serpenteschi sussurrargli qualcosa nell’orecchio, mentre cercava in vano di divincolarsi.
Il suo respiro freddo gli grattò la pelle, facendolo rabbrividire.
“Di cosa hai paura, Tom?”

“Tom! TOM!” una mano lo scrollò forte, costringendolo ad aprire gli occhi.
Si tirò su di soprassalto e si guardò intorno senza riuscire a nascondere il proprio sollievo, le macerie erano sparite lasciando posto al più familiare ambiente del Dormitorio maschile.  Si passò una mano tra i capelli neri che si erano appiccicati alla fronte, madida di sudore.
“Tutto bene Tom?” ripetè Vàli, che si era tranquillamente seduto sul suo letto.
Il ragazzo annuì mentre cercava di calmare il suo respiro. “Non appena avrai tolto la tua ingombrante presenza dal mio materasso starò benissimo.” Disse cercando di sembrare naturale.
Nott alzò gli occhi al cielo, ma non si mosse dalla sua posizione.
“Dove sono tutti?” chiese perentorio, notando che i letti dei suoi compagni di stanza erano vuoti.
Nott lo guardò stranito. “Riddle, ma cos’hai sta mattina? Come diavolo faccio a sapere dove sono? E’ domenica oggi!”
Domenica. Pensò, stringendo la mascella. Non gli era mai piaciuta la domenica, un’inutile parentesi all’interno della settimana, tutto quel tempo lasciato libero di scorrere come preferiva. Nessun tracciato, nessun controllo.
Gli studenti di Hogwarts trascorrevano la domenica in uno stato di indolente riposo, senza programmi e senza ordine. E Tom Riddle detestava il disordine.
Infastidito scavalcò Nott e si avviò verso il bagno, deciso più che mai a rispettare la sua scaletta del giorno.
“Tom avevo bisogno che tu…” gli urlò dietro Vàli.
“Dopo.” Lo interruppe e senza lasciargli il tempo di controbattere chiuse la porta dietro di sé.
Davvero non capiva perché Nott si ostinasse così tanto a voler essere suo amico, non credeva di avere niente che valesse lo sforzo. Certo sapeva essere affascinante, era particolarmente dotato nelle Arti Oscure e per queste sue qualità gli altri Mangiamorte lo ammiravano e lo temevano ma nessuno di loro lo considerava un amico né tantomeno cercavano di esserlo per lui, nessuno tranne Vàli. Dall’accaduto del primo anno aveva deciso di eleggerlo suo confidente personale, innervosendolo parecchio nei primi tempi, ma alla fine ci aveva fatto l’abitudine. Ormai considerava la sua relazione con Nott come una divertente distrazione che gli permetteva ogni tanto di evadere dalla realtà, di dimenticarsi del peso che costantemente lo opprimeva.
Tom rabbrividì al contatto con le mattonelle gelide del pavimento del bagno e quella sensazione gli ricordò l’incubo da cui si era appena svegliato. Era già la seconda volta che rivedeva quella creatura, la prima nei ricordi della Evans e ora nei suoi sogni.  Per quanto il suo aspetto lo disgustasse c’era qualcosa in quella figura che lo affascinava terribilmente e negli ultimi giorni non era riuscito a togliersela dai pensieri. 
Appoggiato alla ceramica del lavandino fece qualche respiro profondo finché non sentì il suo battito tornare alla normalità e, alzata la testa, si scontrò con la sua immagine riflessa nello specchio.  Notò senza particolari reazioni che il taglio sulla guancia era quasi sparito, anche se non si poteva dire la stessa cosa del colpo che il suo orgoglio aveva subito. Essere battuto dalla ragazza nuova non gli andava giù, per quanto lei avesse già dimostrato di essere di molto superiore a chiunque in quella scuola. Quando l’aveva sfidata l’idea di perdere non l’aveva minimamente sfiorato, in realtà più che pensare si era limitato ad agire. Un comportamento non da lui, come gli aveva gentilmente ricordato Malfoy. Al pensiero della loro discussione storse la bocca in un’espressione a metà tra il disprezzo e a rabbia, mentre si toglieva la maglietta del pigiama, appiccicata alla pelle sudata e fredda.
L’aveva sfidata per sondare il terreno, non era per quello che l’aveva fatto? Per capire se gli potesse essere utile e lei l’aveva battuto.
Se non puoi batterli allora fatteli amici, si diceva così no? Tom finì di spogliarsi mentre questi pensieri gli ronzavano nella mente e si infilò sotto il getto bollente della doccia. Dopo la sera del duello l’aveva osservata attentamente e il suo comportamento l’aveva in qualche modo stupito. Era costantemente circondata da persone, ma lei sembrava sempre essere da qualche altra parte con la testa, all’interno del gruppo ma allo stesso tempo era come se non volesse farne totalmente parte. Anche mentre parlava non sembrava totalmente… presente.
Malfoy non riusciva a capire quella che chiamava la sua ‘ossessione’ per Hermione Evans, ma Abraxas era solamente un idiota con la testa piena di brillantina, che non riusciva a guardare al di là del proprio naso. La sera prima avevano di nuovo litigato, l’altro ragazzo era infatti convinto che Tom avesse tirato un po’ troppo la corda con la storia della Lufkin, che avesse rischiato di mettere in pericolo tutti loro.
Quando capiranno che sono io  che comando sarà sempre troppo tardi  pensò sputando con rabbia dell’acqua sul pavimento della doccia. Tom Riddle a differenza degli individui che lo circondavano non era stupido, sapeva che se voleva rimanere a capo dei Mangiamorte aveva bisogno del supporto di Malfoy e dei suoi amici, Erede di Serpeverde o no ai loro occhi restava uno sporco mezzosangue e doveva muoversi con cautela.
Almeno fino quando non riuscir…
I colpi di Nott sulla porta lo costrinsero ad interrompere i suoi pensieri e ad uscire dalla doccia.
“Datti una mossa Tom, ho bisogno di un favore.” Gli urlò dall’altra stanza.
Il ragazzo si asciugò con tutta calma e avvolto in un asciugamano verde uscì dal bagno.
“Io ho l’allenamento di Quidditch ora, mi stavo chiedendo se ti va di dare un’occhiata a Freddie.”
Tom, infilatosi i pantaloni, iniziò ad allacciarsi la camicia bianca. “No.”rispose secco. “Ma immagino che questo non ti fermerà dall’ affibbiarmi  quel tuo stupido rospo un’altra volta.” Aggiunse, allungandosi sul letto per prendere la cravatta verde-argento.
Vàli ridacchio divertito. “La tua ironia non mi scalfisce neanche un pochetto. Comunque lo so che in fondo in fondo  Freddie ti piace, avete molte cose in comune.” Commentò depositando il rospo addormentato sul materasso.
“Stai dicendo che anche io sono verde, viscido e mi cibo di mosche?” chiese senza vero intersesse, dandogli le spalle.
“Nah, sto dicendo che tutte e due state aspettando il bacio di una principessa per smettere di essere così tragicamente silenziosi.”
Tom si voltò e squadrò il compagno. “Fino a quando lo devo tenere?” disse infine distaccato.
“Domani mattina?” tentò Nott con un sorriso.
“Ti vedi ancora con lei?”
Il rossore che si dipinse sulle guance di Nott bastò come risposta.
“Lo sai che è pericoloso, se gli altri lo venissero a sapere…” lasciò in sospeso la frase, sicuro che Vàli avesse afferrato il concetto.
“Lei non sa niente.”
“Questo è quello che dici tu Vàli. Lo sai che loro non ti crederanno mai.”
“Non permetterò che le facciano niente, non preoccuparti.” Gli rispose deciso, stringendo i pugni.
“Io non sono preoccupato. Tu dovresti esserlo, non fare lo sbaglio di sottovalutarli.”
Tra i due calò il silenzio e Tom finì di allacciarsi le scarpe.
“Non avevi un allenamento di Quidditch?” chiese, facendogli capire che la conversazione si era conclusa lì.
L’altro annuì e dopo aver gettato un ultimo sguardo al rospo, si allontanò senza proferir parola.
Tom lo guardò allontanarsi poi si girò ad osservare leggermente schifato l’animale che riposava placidamente sul suo materasso, prima o poi avrebbe saldato il suo debito con Vàli Nott e allora avrebbe smesso di fare il baby-sitter ad un rospo.

Dopo essersi messo il rospo in tasca si avviò a passi veloci verso l’unico posto dove sapeva di non poter essere disturbato. Mentre camminava si accorse all’improvviso di provare una strana sensazione, come una sorte di eccitazione che gli scorreva sottopelle. La stessa che provava prima di un esame che sapeva sarebbe andato bene, o prima degli incontri con i Mangiamorte. Una sensazione di piacevole attesa mista ad una leggera aspettativa, ma quel giorno da cosa nasceva? Non aveva assolutamente niente in programma che non fosse lo studio e…
Hermione Evans. Gli tornò in mente che quella sera avrebbero dovuto fare il giro di controllo insieme e aveva programmato di forzare un po’ la mano con le domande, ma questo non giustificava le sue emozioni. Si passò una mano stanca sul viso mentre con l’altra apriva la porta della Biblioteca, cercando di ricacciare il pensiero nell’angolo più remoto della sua mente.
Lentamente si avvicinò al tavolo che era solito occupare e si piazzò di fianco alla ragazzina seduta lì. La giovane Corvonero, accortasi di una presenza estranea alzò gli occhi e riconoscendolo iniziò a balbettare.
Dopo che il su tavolo si fu liberato si sedette e vi dispose ordinatamente i libri. Dalla tasca trasse il suo quaderno nero, mentre decise di lasciare l’animale dov’era.
Iniziò a sfogliare le pagine polverose e il loro fruscio gli ricordò il sibilo della voce del sogno .
“Di cosa hai paura, Tom?”
Si agitò infastidito sulla sedia, lui non aveva paura di niente semmai erano gli altri ad aver paura di lui.
Però c’è una cosa di cui hai paura, non è vero Tom? Sentì dire una fastidiosa voce nella sua testa. Quella cosa per cui ti svegli di soprassalto nel cuore della notte, sudato e tremante. Non ti ricordi quanto ci sei andato vicino il primo an…
“Basta!” urlò, ricevendo occhiate perplesse ed intimorite dagli altri studenti.
Appoggiò la fronte sul palmo della mano, pensando che forse stava impazzendo. Da quanto aveva letto parlare con sé stessi era il primo  sintomo di un disturbo mentale, discutere  con sé stessi doveva essere ancora più preoccupante.
Ma Tom sapeva che quella voce aveva ragione, la sua paura era diventata la sua ossessione e ormai passava ogni suo istante il Biblioteca nella speranza che in quei vecchi libri potesse esserci una soluzione. Perché Tom Riddle, l’Erede di Serpeverde, capo dei Mangiamorte, aveva paura della morte. Una paura che gli prendeva ogni volta lo stomaco per poi risalire veloce verso la gola, che lo lasciava boccheggiante e stremato. Aveva cercato in ogni modo di contenerla, ma non aveva ancora capito cosa temesse di più, se l’idea che dopo non ci fosse nulla o il contrario. Perché il pensiero di dimenticarsi di sé era tremendo, ma quello di ritrovarsi con i fantasmi che popolavano i suoi incubi gli metteva i brividi.
Alla fine aveva deciso che l’unico modo per smettere di averne paura era trovare un modo per non morire. Questo cercava Tom Riddle durante le sue giornate in Biblioteca, leggendo ogni libro che si trovava su quei polverosi scaffali. L’immortalità.
C’era andato così vicino l’anno prima, era riuscito ad estorcere delle informazioni a Lumacorno su dei cosiddetti Horcrux. Ma la sua curiosità aveva insospettito il professore, che si era affrettato ad eliminare dalla collezione di libri della scuola qualsiasi informazione che avrebbe potuto rivelarsi utile ai suoi scopi.Così era costretto a brancolare nel buio in mezzo a tutte quelle carte.
Stupido vecchio grassone.
Frustrato chiuse di colpo l’ennesimo tomo che stava controllando e si appoggiò allo schienale, iniziando a giocare con la bacchetta. Sentendo dei passi che si avvicinavano alzò la testa e vide Hermione Evans passargli di fianco.
“Evans.” La chiamò, senza un vero motivo.
La ragazza fu costretta a fermarsi e lo osservò per un istante con i suoi occhi scuri. Tom non capiva perché ogni volta che si posavano su di lui assumevano uno sguardo di silenziosa accusa.
“Riddle.” Disse infine.
“Toglimi una curiosità, sei sempre di corsa?” le chiese, coprendo il quaderno nero che aveva attirato l’attenzione di lei.
“E tu stai sempre sui libri?” gli domandò di rimando, facendolo quasi sorridere.
Alzò le spalle, come per scrollarsi di dosso il suo sguardo penetrante. “Preferisco i libri alle persone, nella maggior parte dei casi dicono cose molto più intelligenti.”
“ E a quanto pare ti sopportano con più facilità, non è vero?”commentò tagliente.
Tom incassò il colpo senza una parola mentre i suoi occhi si posavano sui libri che la ragazza stringeva al petto.
“A quanto pare.” Le concesse infine, aprendo uno dei numerosi tomi posati davanti a lui.
Hermione fece per girarsi.
“Ci vediamo sta sera allora.”
La ragazza lo guardò per un attimo leggermente stupita, prima di mordicchiarsi nervosamente un’unghia. “Si. Sta sera.” Confermò con un cenno del capo.
Tom la guardò ancora per un istante, poi tornò a concentrarsi sul libro mentre sentiva Hermione allontanarsi.
Malfoy poteva dire quello che gli pareva, ma non avrebbe cambiato la situazione. Hermione Evans nascondeva un segreto e lui era deciso a scoprire quale fosse.

Violet si chinò a raccogliere alcune margherite che crescevano nell’erba vicina  alll’ingresso principale del castello mentre il sole si immergeva lentamente nelle acque nere del lago. Così rosso e rotondo le ricordava quasi una di quelle caramelle di zucchero che il padre teneva sulla sua scrivania al San Mungo. “Una chicca per la mia Chicca.” Diceva sempre, dandogliene una, quando passava a trovarlo. Sorridendo piegò accuratamente la lettera che aveva ricevuto quella mattina da casa e se la mise in tasca, mentre un vento freddo iniziava a far turbinare le foglie intorno a lei.  Dalle parole rassicuranti del padre sembrava che la madre si stesse rimettendo abbastanza bene, anche se la gamba rotta ci avrebbe messo ancora qualche tempo per guarire completamente. Susan Wright, la madre appunto di Violet, era rimasta gravemente ferita durante l’attacco aereo nemico su Londra della settimana precedente. Quando era partito l’allarme antiaereo si trovava nella casa della sorella babbana ed era immediatamente uscita per poter installare una protezione su tutto l’edificio ma a causa della stessa goffaggine che sembrava aver trasmesso alla figlia, era inciampata sulla gradinata di pietra. La caduta aveva causato la rottura di qualche ossa ed una scheggia partita dall’esplosione l’aveva colpita pericolosamente vicino all’occhio, provocando a detta del padre un danno alla cornea.  Nonostante sapesse che si sarebbe rimessa in fretta la ragazza non riuscì a reprimere un brivido al pensiero del pericolo che la madre aveva corso, allo stesso tempo accompagnato da un moto di orgoglio per il suo coraggioso gesto. Si era lasciata come al solito scivolare addosso i commenti maligni di Malfoy e dei suoi compari ( “Un Mezzosangue in meno avrebbe fatto comodo.”) anche non aveva potuto fare a meno di ridere quando il Serpeverde si era ritrovato completamente nudo in corridoio per un incantesimo che Orion aveva accompagnato con un occhiolino malizioso verso di lei.
Con un sorrisino stampato in faccia e annusando i fiorellini appena colti entrò nell’aula di canto dove i suoi compagni di coro si stavano riscaldando la voce accompagnati dalla professoressa Gaiamens  che era seduta davanti al vecchio pianoforte a coda. Preso posto iniziò a rovistare dentro la sua borsa alla ricerca degli spartiti quando si accorse che Charlus Potter era proprio di fianco a lei.
Contro ogni regola della natura le sembrò che il cuore le si fosse piazzato in gola, iniziando a battere  sempre più furiosamente.
“Ciao Charlus.” Tentò timidamente, con voce flebile.
Il ragazzo smise di parlare e scambiò un occhiata con l’altro Grifondoro.
“Ciao,” le rispose senza molta enfasi, “Virginia?”
Se le avesse strappato il cuore e ci fosse saltato su ripetutamente, forse Violet si sarebbe sentita meglio.
“Violet, in realtà.” Sussurrò triste, mentre avvertiva i suoi capelli cambiare colore senza che lei riuscisse a controllare la cosa.
“Oh, scusa. Sono una frana con i nomi.” Le disse con un sorriso smagliante che ebbe la forza di tramutarle le gambe in gelatina.
Violet tentò un poco convincente sorriso, prima di trasferirsi affranta nel posto più lontano da Charlus e iniziare a distruggere petalo per petalo uno dei fiori che aveva in mano. Sedutasi tra i soprani cercò di non pensare alla figura appena fatta provando ad immaginare che fine avessero fatto le sue parti.
Se Vàli le ha usate ancora per farci delle barchette, giuro che questa volta lo ammazzo.
Sentì un bisbiglio dietro all’orecchio e si ritrovò di fianco il volto sorridente di Malcolm McGrannit.
“Ciao Violet.” La salutò sorridente.
Lei sorrise al ragazzo che aveva gli stessi occhi verdi della sorella ma nessuna traccia della sua severità.
“Sai,” iniziò trafficando con la sua borsa, “credo che questi siano tuoi.” Disse consegnandole una serie di fogli spiegazzati. “Li avevi lasciati qui l’ultima volta, così li ho presi io.” Aggiunse come spiegazione.
Violet si pulì le mani dai residui di corolla sulla gonna e prese sollevata i suoi spartiti, ringraziandolo silenziosamente mentre la professoressa iniziava la lezione di canto.
“Ai vostri posti per favore, ragazzi.” Batté le mani sbrigativa con la treccia argentata che ondeggiava dietro di lei. “Oggi proviamo il brano che avevamo lasciato a metà la scorsa volta. Prima i soprani prego.”
Violet iniziò a cantare sentendo che la tensione che aveva accumulato in quei giorni la stava lentamente abbandonando e la sua mente, concentrata solo sulla musica, si dimenticò per qualche momento di tutto il resto. Ma quando le voci dei tenori si sostituirono alla sua Violet emise un rassegnato sospiro mentre posava i suoi occhi su Charlus.  Che fosse troppo per lei lo sapeva da sempre ma aveva continuato a  sperare che dopo averla conosciuta avrebbe capito che lei, Violet Bulstrode, era la ragazza giusta per lui. Ma non aveva l’intraprendenza del cugino e, nonostante i continui consigli di Orion e le lavate di capo di Dorea, non era riuscita ad andare oltre qualche semplice saluto ogni tanto. Ormai la situazione sembrava essere senza speranza.
Un’occhiataccia della professoressa la costrinse a riprendere a cantare e la lezione finì in quello che a lei sembrò un brevissimo istante.
“Bravi, la prossima volta inizieremo qualche brano natalizio da cantare prima delle vacanze. Potete andare.” Disse sbrigativa Gaiamens.
Violet mise subito via gli spartiti per non rischiare di lasciarli un’altra volta in giro e attraversò la sala a passo veloce; si sentiva ancora in colpa per aver lasciato Hermione da sola con Dorea, che era fantastica ma andava presa a piccole dosi, e voleva raggiungerla il prima possibile. Era tutto il giorno che l’amica era agitata per la sua nuova carica e sperava di riuscire a calmarla prima della sua ronda notturna con l’agghiacciante Riddle.
“Violet!” la chiamò una voce.
La ragazza riconobbe all’istante  la voce e prima di voltarsi fece un respiro profondo.
“Si?”  Il suo sorriso illuminò l’intera sala.
Charlus le si avvicinò passandosi una mano tra i capelli castani, spettinandoli ancora di più.
“Senti mi stavo chiedendo…” iniziò senza imbarazzo.
Controlla i capelli Violet, controlla i capelli e respira.
“Tu sei amica di Hermione, vero?”
Il sorriso le si spense immediatamente, alla stessa velocità di una lampadina fulminata.
“Si, perché?” chiese sospettosa.
“Per caso ti ha detto qualcosa su di me?”
Datemi una corda. Voglio impiccarmi.
“Qualcosa in che senso?”
“Non so, che tipo le sto simpatico o cose di questo genere.”
“No.” Commentò in quello che si rese conto essere una specie di pigolio.
Un’ombra di delusione calò sul viso di Charlus. “Oh. Be’ nel caso tu fammelo sapere, mi raccomando Violet!” le disse dandole una pacca sul braccio, prima di sparire.
“Contaci.” Rispose lei all’aria.
Come volevasi dimostrare.  Aprì la porta davanti a sé con un brusco movimento e la cinghia della sua borsa cedette. Tutto il contenuto si rovesciò a terra e l’inchiostro si sparse sugli spartiti mentre con uno sbuffo Violet si chinava per cercare di limitare i danni. Una mano le venne in aiuto passandole alcuni libri.
“Grazie Malcolm.”
Il ragazzo le sorrise e senza dire una parola la aiutò a raccogliere gli altri oggetti.
“Per l’inchiostro prova l’incantesimo Gratta e Netta, di solito funziona bene.” Le disse semplicemente, prima di rialzarsi.
“Qualunque cosa ti abbia detto Charlus per farti stare così non darci troppo peso, nella maggior parte dei casi spara idiozie.”
“L’hai capito dai capelli?” gli chiese per metà curiosa e per metà infastidita che il suo stato d’animo fosse così facile da leggere, a causa della sua particolarità.
Lui la osservò attentamente. “No, dalla tua faccia.”
“Oh, si vede così tanto?”chiese preoccupata, stringendo la borsa tra le braccia.
“Sono bravo a leggere le persone.” Le rispose con un’alzata di spalle. “Immagino che sia l’effetto collaterale di vivere in una famiglia come la mia.”
Quello era il primo vero discorso che Violet aveva con il fratello di Minerva, da quando si era unito al coro della scuola e si scoprì curiosa di sapere qualcosa su di lui.
“In che senso?” lo incoraggiò gentilmente, mentre uscivano dall’aula di canto.
“ Be’, immagino che tu abbia presente mia sorella: ha sempre la risposta pronta e, per quanto non lo ammetterebbe mai, adora stare al centro dell’attenzione. Mentre il mio fratellino Robert, al secondo anno, è un piccolo mostriciattolo scatenato. A casa non smette un attimo di urlare e cantare.” Le spiegò.
“Quindi tu, per compensarli, fai il fratello silenzioso?”
Malcolm le fece un piccolo sorriso. “Praticamente. Credo di aver preso da mio padre, sai? E’ un pastore protestante e a quanto dimostra non è particolarmente entusiasta di tutta questa storia della magia. Ma  il silenzio ha anche i suoi lati positivi. Si impara ad osservare.”
Violet gli sorrise di rimando, più lo conosceva e più Malcolm le sembrava un tipo simpatico.
“E tu?”
“Io cosa?”
“Io ti ho raccontato la mia triste storia, ora tocca a te.” Esclamò.
“Non credo che ci sia molto da raccontare in realtà…” rispose Violet, che per la prima volta si accorse della mancanza di eventi degni di nota nella sua vita.
“Mi stai dicendo che la figlia del grande Medimago, ripudiato dalla famiglia per aver sposato una mezzosangue non ha niente da raccontare?”
Il viso di Violet si adombrò e il ragazzo capì di aver fatto un passo falso.
“S-scusa, non volevo offend…”
“Non fa niente.” Lo bloccò subito lei. “E’ solo che non mi piace troppo parlarne.”
Lui tentò di riparare all’errore ma Violet non era più in vena di chiacchiere e con un ‘ci vediamo’ si allontanò veloce in direzione della Sala Comune.


Le verdi acque del lago turbinavano davanti agli occhi di Hermione che si sforzava di scorgere senza successo le ombre indicategli da Dorea.
“Eccone una!” esclamò l’altra ragazza, stritolandole un braccio per l’eccitazione. “Là, proprio là! L’hai vista?”
Hermione sorrise. “Dorea, mi sa tanto che sei l’unica a vedere le Sirene in questo lago.”
L’amica incrociò le braccia fingendosi offesa. “Io ci vedo benissimo, se è questo che stai insinuando Hermione Evans.” Commentò imbronciata, prima di avvicinarsi con aria cospiratoria ignorando le occhiate degli altri Serpeverde.
“In queste acque si annidano infinite creature,” le sussurrò in un orecchio. “ di cui le Sirene sono solo una parte.”
“Oh, ne sono sicura.” Commentò scettica Hermione.
“E ce n’è una, la più pericolosa di tutte.” Continuò Dorea, ignorandola. “Noi la chiamiamo… Sid the Squid.” Concluse con enfasi.
Hermione alzò un sopracciglio. “Non è che il nome incuta molta paura.”
“Oh, ma che cosa c’entra?” sbuffò l’altra, allontanandosi dalla vetrata della Sala Comune per sedersi su uno dei divani.
Lei alzò gli occhi al celo. “Va bene, dai. Che cosa farebbe questo fantomatico Sid the Squid?”
Dorea la guardò un istante, come per decidere se valesse la pena di raccontarle la sua fantastica storia.
“Allora,” iniziò incrociando le gambe. “Si racconta che durante le notti nebbiose i suoi viscidi tentacoli striscino fuori dalle profondità lacustri per avvolgersi intorno alle caviglie degli incauti studenti che non si trovano nei loro lettucci e li trascinino in fondo al lago per divorarli.” Spiegò senza che Hermione riuscisse a capire se ci credesse veramente o no.
“Ovviamente io e il mio fido compare” aggiunse indicando il fratello, seduto poco lontano, “abbiamo provato a verificare la sua esistenza con numerosi appostamenti, ma fino ad ora non abbiamo avuto molta fortuna.” Concluse con un’alzata di spalle, mentre i lunghi capelli biondi costretti in una scompigliata coda si agitavano di qua e di là.
“E’ vero Orion?” chiese Hermione divertita.
Il ragazzo, sentendosi chiamare alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e fece un sorriso. “Purtroppo. Non ero ancora abbastanza alto per potermi opporre ai suoi assurdi piani.” Disse alzando gli occhi al cielo.
Dorea stava per ribattere ma fu interrotta dall’ingresso di Violet che si avvicinò al divano strascicando i piedi con aria afflitta.
Le due ragazze le rivolsero uno sguardo interrogativo, ma Orion fu più veloce di loro e, lasciata con un balzo la sua poltrona, la abbracciò velocemente da dietro prima di decretare con decisione : “E’ un’idiota!”
Violet mugugnò qualcosa di incomprensibile prima di lasciarsi cadere di fianco alle due amiche.
“Fammi indovinare,” tentò Dorea. “Charlus?”
L’amica annuì velocemente prima di spostare lo sguardo su Hermione. “A quanto pare gli interessi.”  Riuscì a dire sconsolata alla fine.
Lei sentì di nuovo la fastidiosa sensazione di avere tutti gli sguardi puntati su di lei e per un attimo non realizzò quello che l’amica le aveva appena detto.
“Come scusa?”
Violet  si strofinò la punta del naso con una manica. “M-mi ha chiesto se mi avevi parlato di lui.”  Spiegò mentre Dorea le dava delle pacche amichevoli, o almeno quelle che lei considerava tali, sotto lo sguardo esasperato del gemello.
“E tu cosa gli hai detto?” chiese Hermione, che iniziava a preoccuparsi seriamente.
“Be’ la verità, gli ho detto di no.” Le rispose tentando di sprofondare ancora di più nel divano.
Hermione aprì la bocca, ma in quel momento non le veniva in mente nulla di sensato da dire. Non riusciva a capacitarsi della cosa, il nonno di Harry che aveva un qualche interesse per lei? Scosse la tesa per scacciare il ridicolo pensiero, doveva esserci una spiegazione per quella cosa, sicuramente.
Fu Violet a parlare di nuovo. “Hermione, s-se ha te piace… non farti problemi. Seriamente. N-non voglio essere d’intralcio.” Disse con un’espressione che lasciava intendere il contrario.
Hermione, tanto le sembrava assurda una cosa del genere, ci mise un po’ a capire che stava parlando sul serio e quando lo fece saltò in piedi. “No, Violet. Assolutamente. Non mi piace Charlus, davvero.” Urlò quasi, sottolineando ogni frase con imperiosi gesti delle braccia.
Un timido sorriso spuntò sul viso dell’amica.
“Davvero?”
“Davvero.” Confermò Hermione sicura come non mai.
Charlus era gentile con lei e le sembrava anche abbastanza simpatico, ma non era il suo genere. Troppo egocentrico e decisamente non era il caso di mettere in mezzo alla sua missione anche complicazioni sentimentali. Era già abbastanza difficile così.
Violet sembrò un po’ risollevata. “Scusate, non so cosa mi è preso.”disse rivolta ai tre amici che la guardavano preoccupati. “Sei pronta per il primo controllo come Caposcuola?” chiese poi rivolta ad Hermione per cambiare discorso.
Il volto di Hermione si contorse in una smorfia al pensiero delle ore che la attendevano. “Oh, non vedo l’ora delle meravigliose conversazioni che avrò con Riddle.” Disse facendoli ridere.
“A proposito, ti conviene andare Hermione. Tom non ama i ritardatari.” Le consigliò Orion.
“L’avevo intuito.” Rispose lei prima di spostare di nuovo lo sguardo su Violet. “Sicura di stare ben?”
“Oh si, vai pure tranquilla adesso Orion mi farà un’ora di analisi per sottolineare l’idiozia di Charlus.”
“Esattamente.” Confermò il ragazzo divertito .
Hermione, data un’occhiata alla pendola nell’angolo, non potè che acconsentire ed uscì a passo spedito dalla Sala Comune per dirigersi al punto di incontro concordato con il giovane Voldemort.
I corridoi del castello erano completamente deserti e l’unico suono che giungeva alle sue orecchie, oltre a quello dei propri passi, era lo stormire del vento. Cercò di rilassarsi e di pensare ai passi avanti che era riuscita a fare in poco tempo: non solo era riuscita a trovare un modo per passare molto tempo con Tom Riddle, anche se a dire la verità il merito era più del ragazzo che suo, ma soprattutto credeva di aver capito perché il Giratempo l’aveva portata in quel preciso momento. Tom Riddle, per quanto già assassino, non aveva ancora smembrato la sua anima probabilmente perché non era riuscito ancora a trovare un modo. Per quello era lì per impedire al giovane Voldemort di diventare immortale, cosicché tornata nel presente avrebbe potuto finirlo senza problemi. E dove poteva trovare delle informazioni del genere quel ragazzo  che passava le sue estati in un orfanotrofio babbano se non in un libro? Per quello aveva passato gli ultimi due giorni in Biblioteca a cercare come un’ossessa qualsiasi pagina da distruggere, ma nonostante tutti gli sforzi che aveva fatto non era ancora riuscita a trovare le informazioni che le servivano. Ma in fondo non era una cosa totalmente negativa perché probabilmente Tom Riddle al suo stesso punto.
Così, illudendosi allegra di aver capito i piani di Silente, Hermione Granger ,ora Evans, arrivò davanti alla scalinata del primo piano. Lì si sedette ad aspettare il suo nemico, iniziando a giocherellare con un filo che le pendeva da una manica della divisa.
“Evans.” Una voce gelida la raggiunse, facendole alzare rapidamente la testa. Il giovane Voldemort era davanti a lei che la fissava, con la testa leggermente piegata su un lato.
Hermione scattò in piedi e si rassettò con gesti sbrigativi la gonna. “Ciao Riddle.” Rispose senza troppa gioia nella voce.
“Andiamo?” aggiunse quando il ragazzo non disse niente, limitandosi a fissarla.
Riddle annuì e i due iniziarono il giro di controllo del primo piano tra i corridoi del castello dormiente. Hermione si torturò il labbro inferiore per qualche secondo prima di decidere di parlare.
“Non hai ancora risposto alla mia domanda Riddle.” Disse e le sembrò che la sua voce rimbombasse terribilmente tra quelle pareti di pietra.
“Quale domanda?” chiese lui continuando a camminare, senza guardarla.
“Sai benissimo quale. Di che eventi parlava il preside Dippet ?”
Il giovane Voldemort rallentò il passo fino a fermarsi e lentamente si girò verso di lei.
“Una ragazza. E’ stata uccisa l’anno scorso.” Le disse semplicemente.
Hermione lo guardò cercando di rintracciare nella sue espressione il sentimento di soddisfazione che si aspettava avrebbe accompagnato quella frase, ma non c’era orgoglio né felicità negli occhi del giovane Voldemort.
Per giorni avrebbe ripensato a quel momento cercando di capire perché lo sguardo di Tom Riddle le ricordasse quello di un animale in trappola.
Ripresero a camminare senza che nessuno dei due dicesse una parola.
“Com’è successo?” chiese infine. Hermione conosceva già la risposta ma voleva sentirla dalla bocca del ragazzo, non sapeva perché ma qualcosa le diceva che era importante. O forse voleva solo vederlo mentire.
“Un mostro che si aggirava nel castello.” Rispose lui, questa volta voltandosi a guardarla.
Le sembrò che volesse sondare la sua reazione per cui si limitò ad annuire.
“E ch…” tentò, ma l’altro la interruppe.
“Troppe domande in una sola volta Evans. Sono un tipo tendenzialmente silenzioso, io.” Disse con velata ironia.
“Be’ cosa dovremmo fare, continuare a camminare nel silenzio totale?”
“No.” Rispose prima di aggiungere: “Adesso è il mio turno.”
Hermione irrigidì le spalle, infastidita. Le sembrava di essere tornata alle elementare con il gioco ‘obbligo o verità’ che aveva sempre detestato, ma se l’unica sua possibilità per avere più informazioni sul giovane Voldemort era quella le sarebbe convenuto non fare troppo la preziosa.
Il ragazzo aveva evidentemente preso il suo silenzio come un tacito assenso per cui fece la sua domanda.
“Dove hai imparato a combattere?”
“I miei genitori mi hanno insegnato tutto.” Rispose cercando di mantenersi sul vago.
“Non insultare la mia intelligenza Evans, tu mi hai battuto. Ci vuole ben altro che un insegnamento per questo.” Commentò guardandola con quegli occhi grigi, che sembravano risucchiare ogni sua emozione.
Forse tu  ti sopravvaluti Riddle.” Commentò gelida.
Il ragazzo la ignorò. “Come vuoi, proviamo con una più semplice. Durante il duello, quando sono entrato nella tua mente ho visto una… una specie di creatura. Chi era?”
Quella non era una domanda, era un ordine ed Hermione si ritrovò a pensare freneticamente ad una storia credibile perchè all’improvviso tutte quelle che aveva elaborato le sembravano assolutamente ridicole.
Il silenzio riempì lo spazio tra loro due mentre iniziavano a salire le scale, diretti verso il secondo piano.
Ad Hermione sembrava quasi di poter sentire le connessioni dei propri neuroni andare in tilt. Non poteva dirgli la verità, ma bisognava trovare qualcosa che fosse perlomeno verosimile.
“Grindelwald.” La sua lingua si mosse senza nessun ordine da parte del cervello e l’espressione stupita che si dipinse sul volto di Tom Riddle faceva da specchio alla sua.
“Grindelwald?” chiese l’altro.
“Quanti altri Grindelwald conosci?” ribattè lei, sperando di mascherare la propria incertezza.
L’Erede di Serpeverde non rispose e per qualche istante sembrò perdersi nei suoi pensieri. Hermione ne approfittò per un breve ripasso di Storia della Magia: dopo aver conosciuto Silente e aver probabilmente causato la morte di Ariana aveva lasciato l’Inghilterra ed era riuscito a mettere insieme un potente esercito, facendo stragi di babbani e maghi in vari paesi; Silente lo avrebbe sconfitto nel 1945. Tirò un sospiro di sollievo, Grindelwald in quel momento era ancora vivo quindi la sua storia non era totalmente insensata, forse se avesse fatto attenzione sarebbe anche riuscita a cavarsela.
“Non sapevo fosse arrivato anche in Francia.” Disse Riddle più a se stesso che a lei.
Hermione, non fidandosi della propria voce, si limitò ad un leggero movimento del capo.
“Non capisco, nel tuo ricordo sembrava che stessi combattendo contro di lui, è così ?” continuò il ragazzo la cui voce aveva abbandonato la consueta compostezza e ora bruciava di curiosità.
Lei deglutì nervosamente, era arrivato il momento di iniziare la recita. “Quando i miei genitori sono m-morti non sapevo da chi andare, dove stare.” Iniziò incerta, continuando a lanciare occhiate a Riddle per controllare le sue reazioni. “ Un gruppo di ragazzi mi ha accolta, loro… avevano creato una sorta di resistenza per tentare di fermare Grindelwald. Mi hanno insegnato a combattere e io mi sono, come dire, unita alla causa.”
“Perché sei venuta qui?” chiese l’altro seccamente, quasi sospettoso.
“Sono morti. Sono tutti morti.”commentò lapidaria mentre sentiva una mano invisibile prenderle le viscere e torcergliele senza pietà, al pensiero dei suoi amici. “Silente era un amico dei miei genitori, è riuscito portarmi in Inghilterra.”
“E i tuoi genitori? Come sono morti?”continuò l’altro, senza pietà.
“Lui me li ha portati via.” Rispose, pensando che quella era la cosa che più si avvicinasse alla realtà che gli avesse detto fino a quel momento.
Il giovane Voldemort annuì senza partecipazione mentre la voce della ragazza si perdeva in quei corridoi senza fine. I secondi passarono interminabili fino a che il giovane Voldemort non ruppe di nuovo il silenzio.
“Sai Evans, l’Ordine della Fenice non è l’unica società segreta di questa scuola.” Le comunicò con uno strano luccichio negli occhi. “Ce n’è un’altra, ben più potente. I suoi affiliati si fanno chiamare Mangiamorte.”
Hermione lo guardò, cercando qualche indizio su dove volesse andare a parare, ma il volto del ragazzo non lasciava trasparire niente.
“Ho sentito qualcosa.” Fu la sua unica risposta.
“Dovresti mostrare un po’ più di partecipazione Evans, ti sto per proporre di entrare a far parte di un gruppo assolutamente elitario.” Commentò, alzando un sopracciglio.
Per un attimo Hermione ebbe l’impulso di scoppiargli a ridere in faccia, tanto le suonava ridicola ed improbabile quell’idea. Lei una Mangiamorte? Lei che era tornata indietro di cinquant’anni solo per distruggere Lord Voldemort? Ma sapeva che l’Erede di Serpeverde non avrebbe gradito una tale reazione, per cui finse di ponderare la sua proposta cercando di prendere tempo per capire la situazione.
“Cosa ti fa pensare che mi interessi farne parte Riddle?” replicò fredda.
“Perché io posso darti una cosa che tu vuoi Evans.”
Hermione sollevò entrambe le sopracciglia, in espressione di finta sorpresa. “Sono colpita che tu mi conosca così bene Riddle. E dimmi, che cosa vorrei?”
“Tu vuoi vendetta, e io te la posso dare. Ti posso consegnare l’uomo che ha ucciso i tuoi amici e i tuoi genitori, io posso portarti da Grindelwald.”



Note:
1 'Narciso e Boccadoro' H.Hesse

Mi scuso per l'immenso ritardo ma la scuola in questo periodo mi lascia pochissimo tempo libero in più è da una settimana che la mia connessione fa i capricci, perdonatemi! Purtroppo anche il prossimo avrà un periodo di gestazione un po' lunghetto ( sempre per il motivo sopracitao), ma arriverà. Non disperate!

Scrivere dal punto di vista di Tom è stata una fatica immane, spero che il risultato vi soddisfi! Mi è stato fatto notare ( dalla mia amica Matilde, che colgo l'occasione di ringraziare visto che si deve sorbire tutti i miei capitoli in anteprima) che il personaggio di Tom nel rapporto con Vàli è un po' OOC. Io ho cercato di mantenermi il più possibile fedele all'immagine che i libri ci danno di lui, però è anche vero che in questa storia Tom deve fare un bel salto di qualità quindi se fosse stato davvero completamente malvagio per me ( e per Hermione) sarebbe stato un bel problema. 
Non era mia intenzione dividere a metà il dialogo tra Tom ed Hermione ma per ragioni di tempo ho pensato fosse più carino farvi leggere la parte che avevo già scritto, spero vi piaccia!
Prima di lasciarvi in pace vorrei ringraziare tutti coloro che leggono questa storia e in particolar modo quelli che mi hanno lasciato una recensione,
Quindi Violet Acquarius, Silent_Warrior, Anastasia_Malfoy, Martymione97, Asile7, Potion Fang, Princess_Slytherin,  Black_Yumi, lory1989, poppi, phoebe76 e DPotter mille mille grazie!

A presto un bacio a tutti


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Capitolo 8
*** VII ***


“When thy little heart doth wake,
then the dreadful night shall break.”  1



Hermione batté le palpebre un paio di volte cercando di capire per cosa dovesse essere più stupita: se per il fatto che il giovane Voldemort si fosse bevuto la sua trovata o per quello che le aveva appena detto. Dopo un momento di indecisione optò per la seconda.
“Quel Grindelwald?”
“Quanti altri Grindelwald conosci?” le fece il verso.
Le sue labbra si contrassero in una smorfia che tentò invano di dissimulare. “Come?” indagò.
“Diciamo che ho i miei contatti.” Si mantenne sul vago l’altro.
Hermione annuì. “Cosa vuoi in cambio?”
“In cambio?”
“Non dai l’idea di essere uno che fa qualcosa per niente Riddle. Quindi ti ripeto la domanda, cosa vuoi in cambio?”
Il ragazzo stirò le labbra. “Io voglio quello che vuoi tu Evans, la fine di Grindelwald.”
Hermione continuava a non capire ed iniziò ad innervosirsi mentre cercava di ricordarsi anche i più minimi dettagli di Storia della Magia. Frustrata si ritrovò a scuotere la testa: in nessun libro che lei avesse letto si faceva cenno a qualche contatto tra Tom Riddle ed Gellert Grindelwald.
“Evans?”
“Mmm?”
“Sto aspettando una risposta.”
“Non capisco perché tu abbia bisogno di me. Se volessi potresti benissimo farlo da solo, oppure potresti chiedere ad uno dei tuo amici.”
Tom Riddle smise finalmente di camminare e si voltò a guardarla dritta negli occhi, costringendo anche Hermione a fermarsi. Rimasero così immobili, come sospesi, per lunghi minuti mentre sembrava che il tempo improvvisamente si dilatasse, inciampasse su se stesso.
Hermione fissò quegli occhi grigi mentre nella sua mente sentiva rimbombare una sola parola, quasi una supplica : perché?
Perché quel ragazzo sarebbe dovuto diventare Voldemort, perché avrebbe ucciso così tanti innocenti, perché aveva già ucciso il suo stesso padre? Perché.
“Sono disposto Evans a dirti la verità, ma in cambio tu devi fare una cosa.”
“Cosa?” fu il suo scontato commento.
“Pronuncia il Voto Infrangibile Evans.”le disse. “Pronuncialo e io ti dirò tutto.”
Hermione cercò di controllare ogni muscolo del suo viso mentre sentiva il battito del cuore subire un’improvvisa accelerata. Se si fosse trovata in una situazione normale, non avrebbe avuto dubbi su che cosa fare. Ma quella in cui si trovava in quel momento si discostava parecchio dalla normalità e lei non sapeva cosa fare. Per un attimo provò a riflettere su come avrebbe agito Harry, ma l’amico con ogni probabilità avrebbe gi ucciso Riddle se fosse stato al posto suo e il pensiero non l’aiutò. Doveva pronunciare il Voto Infrangibile per avvicinarsi a Riddle? Era giusto? Era prudente?
Mentre Hermione cercava di mettere ordine tra le sue priorità un’immagine le si affacciò alla memoria, o per meglio dire irruppe prepotentemente, e per un attimo le sembrò di vederli di nuovo. I cadaveri di Lupin, Tonks, Lavanda, Colin e di tutti gli altri. Erano tutti morti, lei aveva la possibilità di far si che la loro morte non fosse stata vana. Le era stata offerta la possibilità di cambiare il passato, di modificare il presente, non era lì per un vacanza. Solo in quel momento Hermione capì che era disposta a correre qualsiasi rischio, a compiere qualsiasi azione e a dire qualsiasi bugia per raggiungere il suo scopo. Avrebbe portato a termine la missione che le era stata affidata, o sarebbe morta nel tentativo. Non c’erano altre strade.
“Va bene.”
Riddle alzò un sopracciglio, quasi come fosse stupito della sua decisione, poi annuì compiaciuto.
“Abbiamo bisogno di un terzo per pronunciare il Voto però.” Gli fece notare lei.
“In realtà no.” Le rispose veloce, poi notata la sua perplessità aggiunse. “La mia versione non necessita di una terza persona, Evans.” Le spiegò sintetico.
Fantastico, ha anche una sua versione del Voto Infrangibile.
“Bene, allora quando…”
“Ora.” Disse con un tono che non ammetteva repliche, stendendo in avanti il suo braccio sinistro.
“Riddle hai sbagliat…”
“Mi sembrava di averti detto che avremmo utilizzato la mia versione Evans, o sbaglio?”
Hermione evitò di rispondergli e guardò, per un attimo esitante il braccio del ragazzo, poi con decisione allungò il suo, pronta a stringere il patto col Diavolo.
Nel momento esatto in cui la mano di Riddle strinse il polso di Hermione sottili lingue di fuoco verde iniziarono ad attorcigliarsi lungo le loro braccia, serrandole sempre di più. Un dolore acuto le trafisse il muscolo mentre si rendeva conto che l’aria aveva iniziato a vorticare intorno a loro.
Gli occhi grigi e concentrati di Riddle la fissavano intensamente. “Giuri tu, Hermione Evans di non rivelare a nessuno, vivo o morto che sia, ciò che ti dirò riguardo a Grindelwald?”
Il dolore era sempre più presente e sentì che la testa le iniziava a girare, ma si costrinse a rimanere lucida.
“Lo giuro.”
“E giuri tu, Hermione Evans, di aiutarmi in ogni possibile modo nella mia missione?” aggiunse e la sua voce le arrivò fioca, come d’un sogno.
Hermione avrebbe voluto dire di no, che non voleva affrontare nessuna missione. Non sapeva neanche di cosa stessa parlando. Voleva smetterla, andare a casa e riabbracciare i suoi genitori. Dormire e dimenticare tutto. Ma sapeva bene che l’unico modo perché i suoi desideri si avverassero era fermare Riddle e quindi, lentamente, disse “Lo giuro.”
Il ragazzo tenne fisso lo sguardo su di lei anche dopo che i verdi lacci furono scomparsi e il sibilo del vento sparito, continuò a guardarla finché Hermione non fu costretta a distogliere lo sguardo. Solo allora le lasciò la mano.
Lei respirò a pieni polmoni per cercare di calmare il dolore bruciante che provava nel punto esatto in cui la lingua di fuoco era sparita nella carne del suo braccio, cercando di non pensare alle conseguenze del suo gesto.
“La verità Riddle, ora voglio la verità.” Disse, massaggiandosi l’avambraccio sinistro.
“Lo sapevi Evans che l’anagramma di la verità è relativa ?” le rispose, quasi non avesse sentito la sua domanda. “Non esiste una sola verità, ne esistono solo delle facce. La mia verità è l’unica cosa che ti posso dare.”
“Dovrei complimentarmi con te Riddle, per questa riflessione filosofica? Come puoi portarmi da Grindelwald?”
Negli occhi del ragazzo si accese una luce divertita. “La prima volta che mi imbattei in un articolo su di lui ricordo che mi colpì molto. Tutti erano scioccati, addirittura disgustati dalle sue azioni tanto da non vedere la potenza della sua magia.” Riddle si interruppe per guardarla. “Certamente ha fatto cose terribili, terribili ma in qualche modo grandi. Si è spinto al di là di ogni confine magico. Incantesimi che neanche Silente in persona avrebbe mai il coraggio di provare.”
Hermione represse un brivido di disgusto nel sentirlo parlare così, sembrava un giovane fanatico di qualche ideologia estremista.
“Ha ucciso i miei genitori Riddle, non credi che mi possa dar fastidio sentirti parlare così di lui?”
“Ci stavo arrivando Evans, ci stavo arrivando.” La bloccò con un cenno della mano. “Ma ahimè, ha compiuto un fatale errore a mio parere. Scagliarsi contro tutti quei maghi, ucciderli addirittura. Non sono cose da fare se si vuole restare in cima.”
Hermione lentamente iniziò a capire dove il giovane Voldemort stesse andando a parare, ma tentò di rimanere impassibile.
 “Quest’estate sono riuscito a mettermi in contatto con lui…”
“Come?”
“Diciamo che tenevo d’occhio qualcuno che lo controllava.”
“Riddle, ho appena pronunciato un Voto Infrangibile nel caso non te ne fossi accorto, credo che tu possa dirmi tutto di questa storia.”
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli neri, che gli ricaddero ordinatamente sulla fronte. “Tenevo d’occhio Silente.”
Hermione annuì. “Ma se Silente sapeva dove si trovava Grindelwald perché non è andato a fermarlo lui stesso? O non ha avvertito il Ministero? Sono mesi che gli danno la caccia.”
Un’espressione di disappunto si dipinse sul volto di Tom Riddle. “Non lo so.” Ammise a denti stretti. “Non sono riuscito a capirlo.”
Se avessi un cuore Tom Riddle, l’avresti capito.
“Comunque, sono riuscito a mettermi in contatto con lui e mi ha fatto capire che era sua intenzione tornare in Inghilterra. Mi sono offerto di aiutarlo.”
“Come puoi farlo arrivare in Inghilterra? I confini non sono tutti controllati a causa della guerra?”
“Acuta osservazione Evans, infatti non sono io che lo farò arrivare qui, come potrei? Ho trovato qualcuno che lo farà per me.”
Hermione riprese a camminare senza dire niente, lasciando che il ragazzo continuasse a parlare.
“I miei Mangiamorte vengono per la maggior parte da ricche e influenti famiglie purosangue e sapevo che alcuni dei loro genitori sarebbero stati ben lieti di liberarsi della feccia babbana e Mezzosangue che infesta la loro terra.” La voce di Tom Riddle era un dilaniato ed interessante misto di invidia, sarcasmo e disprezzo. “Saranno loro a far arrivare qui Grindelwald e subito dopo gli dichiareranno la loro fedeltà.”
“Continuo a non capire a cosa ti servo io.”
Il ragazzo la guardò e nei suoi occhi c’era la serietà, e la ferocia che è della serietà. “Grinelwald ha fatto troppi errori e ormai il suo tempo è passato. In pochi lo seguiranno qui in Inghilterra, nonostante lui si ostini a non capirlo, ed è arrivato il momento che si faccia definitivamente da parte.”
“I-io credo di non capire complet…”
Il ragazzo alzò un sopracciglio, come leggermente infastidito. “Evans, mi sto quasi pentendo di averti scelto. Ti facevo più sveglia.”
Hermione lo fulminò con lo sguardo.
Il giovane Voldemort si passò una mano sul viso quasi che ne volesse scacciare la stanchezza. “Tenterò di essere più chiaro: voglio eliminare Grindelwald, Evans, ma non posso farlo da solo. Quando il momento arriverà avrò contro di me non solo tutti quelli che si sono dati da fare per preparargli un degno comitato d’accoglienza ma anche la maggior parte dei loro figli. Non sono granché brillanti, questo te lo posso concedere, ma li ho…per così dire istruiti io e la cosa non è da sottovalutare. Da solo non resisterei molto, ma con te è tutta un’altra storia. Potremmo addirittura sconfiggerli.”
Finalmente ad Hermione apparve chiaro tutto il piano di Riddle e le si congelò il sangue nelle vene.
“Tu vuoi prendere il posto di Grindelwald.” Disse più a se stessa che a lui.
“Sono felice che tu ci sia arrivata Evans.” Commentò il ragazzo sorridendo debolmente.”Anche se non è del tutto esatto. Io non voglio prendere il posto di Grindelwald, non voglio eliminare tutti i babbani né tantomeno i Mezzosangue, non voglio nemmeno instaurare un regime del terrore. Voglio rivoluzionare il mondo come noi lo conosciamo. Se riuscirò a prendere il potere non saremo più costretti a nasconderci come fossimo sudici ratti, il mondo intero potrà apprezzare, ammirare ed invidiare le nostre doti. Finalmente senza paura di essere scoperti potremmo indagare le più misteriose ed inesplorate pieghe della magia.”
Hermione si era accorta dell’aria stupita che aveva assunto il suo volto, ma non riusciva a fare niente per darsi un contegno: non poteva essere veramente il giovane Voldemort quello che le aveva appena detto che non aveva intenzione di eliminare babbani  e Mezzosangue, ci doveva essere un errore o lei doveva aver capito male.
“Non vuoi uccidere tutti i Mezzosangue e poi, finito con loro, tutti i babbani?”
Riddle la guardò colto alla sprovvista. “Non me ne fare niente della loro morte Evans, è la loro invidia e la loro adorazione che voglio.”
“E perché devi per forza coinvolgere Grindelwald?”
Questa volta Tom Riddle rise, di una risata amara. “Guardami, sono un ragazzo di diciassette anni. Credi davvero che qualcuno mi prenderebbe sul serio se reclamassi il potere del Ministro della Magia? Nessuno mi seguirà, a meno che io non dimostri prima il mio valore. Ed è quello che voglio fare, duellando con Grindelwald e sconfiggendolo.”
“Mettiamo caso che tutto va come hai detto, poi cosa succede? La tua sarebbe comunque una dittatura, in ogni caso  prenderesti il posto di Grindelwald, nessun, a parte forse i tuoi Mangiamorte e i loro parenti, reputeranno giusto quello che hai fatto. Una gran parte della popolazione magica si schiererebbe contro di te.”
Sul volto i Riddle si dipinse una specie di sorriso. “Bene e male sono solo concetti infantili Evans, io ti sto parlando di potere e di quelli troppo deboli per averlo. Una volta preso nessuno potrà fermarmi e ben presto si accorgeranno che ho ragione.”
In silenzio iniziarono a salire gli scalini che conducevano al terzo piano, eccetto loro niente si muoveva. Dopo qualche istante Riddle riprese a parlare.
Ovviamente, come ringraziamento per il tuo aiuto sarai ricompensata. Potresti addirittura diventare il mio braccio destro, chi lo sa?” la informò inaspettatamente loquace.
“Grazie, ma come hai detto tu per ora ho in mente una cosa sola: la morte di Grindelwald. Il resto verrà dopo.” Gli rispose lapidaria, sperando di porre fine al discorso. Sentire Riddle sproloquiare sui suoi piani di gloria non era esattamente una delle cose che aveva voglia di fare.
“Mi piace il tuo modo di lavorare Evans, bisogna sempre rimanere concentrati sull’obbiettivo principale.”
Hermione non rispose e i due Caposcuola iniziarono a pattugliare  il terzo piano.
“Toglimi una curiosità Riddle, perché ti interessa tanto il potere?”
Il giovane Voldemort, per la prima volta da quando l’aveva conosciuto, sembrò spiazzato da quella domanda, tanto che aprì la bocca più volte prima di iniziare a parlare. “Credo sia ovv…”
Hermione era curiosa di conoscere la risposta e proprio per questo probabilmente il destino, il fato, Dio o come lo si voglia chiamare decise di intromettersi e lei non poté sapere come il ragazzo avrebbe finito la frase.
Un fracasso frantumò il sonnacchioso silenzio del terzo piano costringendo Riddle a tacere ed entrambi a voltarsi verso la fonte del frastuono. Hermione fece per muoversi ma il ragazzo le prese un braccio.
“Non c’è bisogno di controllare Evans, uno degli elfi avrà fatto cadere una coppa. Succede spesso.” Le disse con inusuale gentilezza tirandola dalla parte opposta. Hermione l’avrebbe probabilmente seguito se non avesse sentito provenire dalla Sala dei Trofei anche il suono di alcune voci. Bastò un attimo, uno sguardo solo. Riddle capì che Hermione aveva sentito e lei intuì che lui le stava nascondendo qualcosa. Si scrollò il suo braccio di dosso e si avviò a passi veloce verso la Sala dei Trofei con al seguito un giovane Voledmort che, affannandosi cercava di convincerla a tornare indietro. Arrivati davanti alla porta socchiusa, da cui filtrava una luce tenue, il ragazzo le sbarrò definitivamente la strada.
“Davvero Evans, sono gli elfi. Li spaventeresti e basta.” Disse, ostacolandole l’entrata.
Lei tirò fuori la bacchetta e gliela puntò contro.
“Levati di mezzo Riddle, o giuro che ti schianto.”
Dopo qualche secondo di indecisione il ragazzo, contro voglia e lentamente, si fece da parte e lei spalancò la porta.
Entrata nella larga stanza Hermione spalancò gli occhi per la sorpresa. Quella volta non si era intromesso il destino, il fato o Dio, ma solo Vàli Nott.
La luce fioca delle poche candele accese non permise ad Hermione di avere una visione completa della situazione. Per primo vide Nott, che si stava piegando per raccogliere una delle coppe cadute, poi notò la sua camicia slacciata. Perché la cintura dei pantaloni era aperta?
Il suo sguardo saettò verso la figura che stava cercando di nascondersi dietro il ragazzo. Minerva McGrannit.
“Per le mutande di Merlino!” esclamò quando comprese la situazione.
Si portò una mano sugli occhi, sperando in un gesto infantile che i due ragazzi sparissero dalla stanza, e si voltò verso Tom Riddle. “Elfi, eh?!”
Dopo qualche secondo di imbarazzante tramestio la voce stentorea di Vàli risuonò nella stanza. “Mione, puoi toglierti la mano dagli occhi se vuoi.”
Lei lo fece, ma lentamente. L’amico si era risistemato e anche la giovane professoressa si era affrettata a riallacciarsi i vestiti, che però rimanevano colpevolmente sgualciti. Hermione non sapeva cosa dire, per cui fece la cosa più semplice: se la prese con il giovane Voldemort.
“TU lo sapevi!” sbraitò, puntandogli la bacchetta contro. “Piccola serpe bugiarda, ‘Sono solo gli elfi.’ , ma come ti è venuto in mente?”
“Già Tom, potevi inventarti qualcosa di meglio.” Commentò Vàli.
“Tu taci Vàli Nott! Siete forse impazziti completamente?  Venire qui nel cuore della notte a fare… fare…” Hermione si bloccò imbarazzata mentre sentiva le guance iniziare a prendere fuoco.
“Hai tutte le ragioni per arrabbiarti Hermione.” Disse Minerva, in un tentativo di salvare la situazione. “E ti capiremo se vorrai riferire al Preside l’accaduto.” Aggiunse con tutta la dignità che la situazione le consentiva, beccandosi un’occhiataccia da parte di Vàli.
“Eddai Mione, mica stavamo torturando qualcuno!” tentò di farla parlare Nott, accompagnando le sue parole con un sorriso smagliante.
“I-io.. V-voi non…” incominciò a balbettare, incerta sul da farsi.
“Quello che la Evans sta cercando probabilmente di dire,” le venne in aiuto Riddle “è che per questa volta non faremo rapporto a nessuno. Se dovessimo ribeccarvi però saremo costretti a prendere provvedimenti.” Concluse, facendo un occhiolino all’amico attento a non farsi vedere da lei.
Hermione non poté che annuire e poi fece loro cenno di andare.
Dopo che i due ragazzi, tenendosi per mano, furono usciti dalla sala Hermione si lasciò cadere su uno dei divani. Era esausta.
Riddle  le si sedette affianco ridacchiando. Hermione lo guardò. Non stava ghignando né sogghignando stava ridendo. Di una risata mite certo, ma in qualche modo gentile.
“Dovevi vedere la tua faccia Evans, eri fantastica.”
Lei si spostò i capelli di lato e ancora imbarazzata fece un mezzo sorriso. “E’ inutile che ridi Riddle, è stata una delle scene più imbarazzanti della mia vita!”
Tom le sorrise e per un breve istante le sembrò solo un ragazzo e nient’altro.
“Quindi tu lo sapevi che stavano insieme.”
Lui annuì. “Certo che lo sapevo. Altrimenti sarebbero già stati scoperti tempo fa.”
“Va avanti da così tanto tempo?”domandò stupita.
Tom sorrise di nuovo, con un briciolo di malizia nello sguardo. “Anni.”
Hermione scosse la testa. E brava professoressa.
“Non lo dirai a nessuno, vero?” le chiese ed Hermione notò che il muro di impassibilità si stava piano piano sgretolando, perché in quel momento Tom Riddle sembrava preoccupato.
“Ovvio che no, vuoi stringere un altro Voto?” ironizzò.
Lui si voltò a guardarla. “No, credo di potermi fidare.”
Hermione spostò lo sguardo sulle coppe che, in ordinate fila lungo le pareti, rilucevano della pallida luce delle candele.
“Perché si nascondono?”
“E’ una storia lunga.”
Lei lo guardò interrogativa, aspettandosi che continuasse.
“Devi sapere, Evans, che quando qualcuno ti dice che qualcosa è una storia lunga, in realtà è solo un modo gentile per dirti che non te la racconterà mai.”
“Dai Riddle, non prendere tutto così sul serio. Non lo racconterò a nessuno, giuro!” lo pregò sorridendo, stupida della normalità di quella situazione. Le sembrava di parlare davvero con un ragazzo e non con Voldemort.
Il ragazzo sprofondo ancora di più nel divano. “Credo che in realtà all’inizio non lo sapessero bene neanche loro. A quanto ho capito all’inizio l’hanno tenuto nascosto quasi per gioco, si divertivano ad avere un segreto.” Le labbra gli si contrassero in un sorriso amaro. “Poi gli anni sono passati, loro sono cresciuti e Vàli è entrato nei Mangiamorte.” Fece una pausa e la guardò intensamente. “Mi credi se ti dico che non volevo che lo facesse?”
Hermione preferì non rispondergli, poteva credergli ?
“Ma lo sai com’è fatto. Quando si impunta su una cosa diventa insopportabile. Dannato idiota.”Si fermò di nuovo, passandosi una mano tra i capelli. “Ha capito che avere per fidanzata una Natababbana non sarebbe stato preso bene dagli altri, quindi ha continuato a non dire niente.”
“E lei non ha mai protestato?” chiese stupita.
“Ogni tanto, ma mai da costringerlo ad uscire allo scoperto. Dice che lo ama e che preferisce vederlo di nascosto che perderlo. Merlino, come si fa ad essere così stupidi? Lasciarsi rovinare la vita per… per amore!”
“Cosa c’è che non va nell’amore Riddle?”
Lui la guardò freddo. “L’amore rende stupidi Evans, o peggio, deboli. L’amore è per gli illusi che credono che altre persone possano renderli felici. Io rifuggo ogni specie di dipendenza Evans, l’amore è una di queste. Lega i tuoi pensieri, i tuoi atti e il tuo futuro ad un’altra persona. Ti impedisce di essere felice solo con te stesso.”
Hermione guardò il ragazzo che rigurgitava quelle frasi una dopo l’altra, una più piena di risentimento dell’altra.
“E tu Riddle sei felice?”
Lui la guardo, sollevando leggermente un sopracciglio, poi si alzò e si avvicinò ad una delle candele accese e si bagnò due dita.
“Che il bello e l’incantevole siano solo un soffio e un brivido, che il magnifico entusiasmante amabile non duri ahimè lo sappiamo con tristezza.” Disse piano, soffocando la fiammella tra le dita.
“Hermann Hesse.2
Lui non rispose ma si spostò per spegnere le altre candele ed Hermione, alzatasi in piedi, si avvicinò alla porta della Sala dei Trofei.
“Solo perché pensi che la felicità sia un breve attimo, non vuol dire che condividerla con altri la distrugga Riddle, di solito la aumenta, sai?”
L’ardente e indifferente mutismo dell’altro la spinsero a rincarare la dose. “Non si può vivere senza amore Riddle.” Improvvisamente si rese conto, con nauseante disgusto, che voleva fargli capire quanto misera e pietosa fosse la sua vita, voleva che ammettesse di essere quello che era.
La mano del ragazzo tremò impercettibilmente nello spegnere l’ultima fulgida fiammella. “No Evans, è senza ossigeno che non si può vivere.”
“Mi correggo, nessuno di umano può vivere senza amore.”
Non appena quella frase le uscì dalla bocca si penti di averla pronunciata, non per paura di una reazione del giovane Voldemort ma perché era una frase che nella sua spietata crudeltà feriva quanto una lama e lei in una situazione normale non l’avrebbe mai pronunciata.
Ma il ragazzo non reagì, non fiatò, non si mosse. Continuò statuariamente a darle le spalle e lei piano lo lasciò solo nella stanza.
Così non lo vide sedersi al buio sul divano e prendersi la testa tra le mani, come improvvisamente pesante di cose non dette e orribili pensieri. Non lo sentì mormorare parole sfuggenti a se stesso, ai suoi demoni e a nessuno in particolare


28 Ottobre 1944. Hogwarts

I possenti e prepotenti rintocchi di un lontano orologio raggiunsero la mente di Tom Riddle avvisandolo che la lezione era finita. Il suo sguardo indagatore saettò verso la cattedra, chiedendosi per quale motivo il professor Silente non lo avesse ripreso durante l’ora di Trasfigurazione, che aveva passato a fare  tutt’altro che seguire la lezione. Ignorando gli squittii eccitati e provocanti di alcune Corvonero dietro di lui si alzò, ficcando con inconsueta noncuranza i libri nella sua borsa. Evitò di guardare, come del resto aveva fatto per tutto il mese, Hermione Evans che era ancora seduta a pochi passi di distanza da lui.
“Tom,” la voce di Silente richiamò la sua attenzione. “una parola per favore.”
Controvoglia si avvicinò lentamente al professore, i cui occhi lo scrutarono chirurgicamente da sotto gli occhiali a mezzaluna.
Il vecchio continuò a guardarlo senza dire una parola e lui non abbassò lo sguardo, ma ferocemente quasi provocante lo sostenne.
Le sue orecchie si erano quasi abituate al silenzio quando la voce del professore crocchiò sonoramente. “Ti vedo distratto in quest’ultimo periodo Tom, va tutto bene?”
Trattenne una risata affilata e tagliente. “Si, ho solo molte cose per la testa in questo periodo.”
“Capisco.” Annuì Silente, accarezzandosi la socratica barba.
Tom si irrigidì tutto, lo irritava quando la gente rispondeva ‘Capisco’. Lo trovava insultante e vagamente aggressivo. Che cosa capivano? Che cosa sperava di capire Silente?
“Non c’è niente Tom, di cui vorresti parlarmi?”
Silente sapeva ma non aveva mai detto niente e il ragazzo non capiva perché.
“Mi ha già fatto questa domanda professore.”
“Oh lo so Tom, ma cosa ci vuoi fare… i vecchi ripetono sempre le stesse cose.” Rispose, sistemandosi con un dito gli occhiali. “Tuttavia le persone cambiano e così le loro risposte.”
“Non la mia professore.” Disse con glaciale cortesia.
Il ragazzo fece per voltarsi ma Silente si protese in avanti. “Un ultima cosa Tom, credo sia giusto ricordarti che non c’è niente di male nel farsi aiutare dagli altri.”
“Ero solo distratto professore, non ho problemi con i suoi incantesimi.”
“Non è di incantesimi che io sto parlando ragazzo mio.”
“Non capisco a cosa si riferisca allora professore.”
Silente tornò ad appoggiarsi all’alto schienale della sua sedia. “Io credo invece di si.”
Sentì gli occhi sondanti del vecchio mago frugare dentro i suoi alla ricerca di qualcosa di cui Tom ignorava l’identità.
Un’ombra sfuggente di delusione segnò il volto di Silente. “Non vorrei rubarti altro tempo prezioso Tom, va’ pure.”
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e in un attimo era fuori dall’aula la cui aria aveva iniziato a sembrargli soffocante nel suo riempirsi di segreti e allusioni.
Non appena fu uscito sentì la voce saccente di Charlus Potter sgomitare tra le altre nel corridoio. Girò l’angolo, mentre all’idea di potergli sottrarre qualche punto gli si accendeva in petto una scintilla di buon umore.
Il Grifondoro era fastidiosamente appoggiato ad una parete e la sua divisa era indecentemente disordinata. Continuava a passarsi una mano nei capelli nel presunto, e a parere di Tom assolutamente vano, tentativo di sembrare più affascinante agli occhi di Hermione Evans.
“E quindi cosa fai per Halloween Hermione?”
Tom notò che la ragazza muoveva nervosamente gli occhi al di là del corpo di Charlus, quasi implorante un aiuto.
“Io… in realtà, sai com’è…”
“Potremmo andare ad Hogsmeade insieme, che ne dici?”
Anche dalla sua posizione Tom poté notare il rossore che si dipinse sulle gote della ragazza e, mentre sentiva un pungente fastidio impossessarsi di lui, decise di intervenire. Dopotutto Hermione Evans era uno dei suoi Mangiamorte.
“Mi dispiace rovinarti i programmi Potter,” disse avvicinandosi ai due “ma per Halloween Hermione è già occupata con me.”
Il Grifondoro all’improvvisa interruzione reagì staccandosi dalla parete e gonfiando il petto.
“A davvero?” tentò con aria di sfida e con malcelato disgusto.
Tom strinse la mandibola e uno dei suoi sopraccigli scattò in su. “Che tu ci creda o no Potter, non è un mio problema.”
Lo sguardo del ragazzo si spostò allora sulla Evans assumendo un’espressione languida che diede il voltastomaco a Tom Riddle.
La ragazza se la cavò con un sorriso nervoso.
“Magari allora la prossima volta.” Disse tentando di salvarsi la faccia.
“Magari.” Fu la unica risposta che ottenne.
Dopo che Charlus Potter si fu dileguato sentì lo sguardo di Hermione Evans posarsi su di lui. Lo evitò accuratamente e fece un passo in dietro.
“Grazie.”
Tom istintivamente tirò su la testa e fissò la ragazza, convinto nella sua saccente freddezza di aver capito male.
“Come ?”
“Grazie, per avermi sai no… salvato da questa situazione imbarazzante.”
Scrollò le spalle, per minimizzare l’azione, e infilate le sudate mani in tasca fece un altro passo indietro. Continuò ad evitare i suoi occhi  che sapeva esigenti di spiegazioni per il suo comportamento. Nell’istante esatto in cui la ragazza l’aveva lasciato solo quella notte si era subito pentito di quello che aveva appena fatto. Aveva maledetto se stesso e la sua patologica ossessione per i misteri che l’avevano portato a coinvolgerla nei suoi piani. Lui non aveva bisogno di nessuno, non ne aveva mai avuto, ed ecco che per colpa di un momento di debolezza si ritrovava legato mani e piedi a quella ragazza dagli occhi accusatori e un passato interrogante.
Se avesse potuto l’avrebbe sciolta dal Voto e l’avrebbe obbligata a dimenticare ogni cosa, ma razionalmente Tom si rendeva conto che non poteva, perché dopo tutto aveva d’avvero bisogno delle sue capacità. Questo però non l’aveva fermato dall’ignorarla fino ad allora nell’infantile speranza che lei sparisse dalla sua vita. Per non parlare del fatto che avesse deliberatamente omesso di informare dell’aggiunta gli altri e sapeva che non ne sarebbero stati contenti, in ogni caso a quello ci avrebbe pensato quella sera. Ora aveva un problema più pressante, un problema che, non aveva bisogno di alzare gli occhi per capirlo, continuava ad osservarlo.
“Senti, non avrei dovuto dirti quella cosa mi dispiace.”
Tom spostò velocemente gli occhi, appuntiti come frecce, su di lei cercando di controllare la propria sorpresa. Delle scuse erano l’ultima cosa che si aspettava.
“Cosa ti fa pensare che mi importi qualcosa di quello che pensi di me Evans.” Ribattè con il suo solito tono respingente.
“E’ praticamente un mese che non mi parli Riddle.” Disse lei incrociando le braccia.
“Il mondo non gira tutto intorno a te Evans.”
Dall’espressione che assunse il volto di lei Tom capì di averla ferita e se ne stupì. Solitamente sembrava inscalfibile ad ogni tipo di commento e Tom sentì come qualcosa rivoltarsi nel suo stomaco e per un attimo si dispiacque di quello che aveva detto. Ma l’espressione della ragazza torno impassibilmente normale e lui con un movimento della testa allontanò quel momentaneo attimo di rimorso.
“Sta sera alle dieci trovati fuori dal castello. Al campo delle zucche, all’ingresso della Foresta Proibita.” Le disse iniziando ad incamminarsi.
“Perché?”
“Lo vedrai Evans, un po’ di pazienza.” Le rispose con un mezzo misterioso sorriso.

Le foglie autunnali scricchiolavano e crocchiavano sotto le suole delle sue scarpe, ma Hermione non ci fece più di tanto caso mentre percorreva la breve e regolare strada che portava verso l’albero preferito di Vàli Nott, una frondosa quercia la cui chioma, una pennellata di arancio e giallo, si stagliava contro il raro e luminoso azzurro del cielo.
Tirò un calciò ad una pietra improvvisamente di buon umore, in una sola volta era riuscita a liberarsi di Charlus e risistemare le cosa con Riddle e per quel giorno poteva ritenersi soddisfatta.
Già la mattina che aveva segnato il loro intenso colloquio si era pentita di quello che gli aveva detto e la reazione del ragazzo non aveva tardato a farsi notare anche se , Hermione doveva ammetterlo, era stata diversa da quella che si sarebbe aspettata.
Tom Riddle non l’aveva uccisa, non l’aveva neanche ferita lievemente, si era limitato ad ignorarla. Semplicemente si era comportato come se lei non esistesse, o tutt’al più come se fosse un qualche fastidioso insetto da sopportare con pazienza. Il che se era possibile l’aveva irritata ancora di più e aveva reso ancora più silenziosamente tese le loro ronde notturne.
Per tutto quel mese si era consumata nell’angoscia che la sua lingua avesse rovinato tutto e ogni volta che i suoi tentativi di appianare i rapporti con il giovane Voldemort non andavano a buon fine la sua ansia cresceva a dismisura.
Il ragazzo si era rinchiuso in una silente fortezza da cui era uscita solo per risponderle a monosillabi, e per tutto quel periodo le era sembrato ancora più, se era possibile, tristemente e gloriosamente solo.
Visto che i problemi, come si suol dire, non vengono mai soli al mal celato raffreddamento dei suoi rapporti con Riddle si era aggiunto Charlus che, assillante e premuroso, non la lasciava un attimo per la disperazione di Violet, i cui capelli da qualche settimana tendevano al grigio topo.
La cosa aveva raggiunto il suo climax qualche ora prima, quando si era vista praticamente placcare fuori dall’aula di Trasfigurazione dal giovane nonno di Harry con il palese intento di invitarla ad andare con lui ad Hogsmeade il 31 ottobre. Non era nelle corde di Hermione essere maleducata o insensibile, non lo era mai stato e non avrebbe certo iniziato ad esserlo in quel momento ma fortunatamente a quanto pareva Tom Riddle non si faceva un problema a sbattere le sue parole in faccia alle persone quasi fossero niente più che apatiche comparse nella sua tragedia personale.
Per una volta però era grata all’insensibilità del giovane Voldemort che l’aveva salvata dal dover scegliere tra la prospettiva della morte per mano di Violet e l’odio sempiterno di Charlus. Il repentino e inaspettato cambiamento di atteggiamento nei suoi confronti l’aveva sorpresa ma fortunatamente il ragazzo aveva ripreso velocemente i suoi modi freddi e scostanti, seppur le avesse lasciato intendere che le cose tra loro erano in qualche modo risolte.
Avrebbe dato tutti i galeoni del mondo per essere in grado di leggere nella mente di Tom per capire che cosa vi frullasse, ma se anche in Occlumanzia aveva fatto grandi miglioramenti, era ancora totalmente ignorante nel campo della Legilimanzia. Si sarebbe dovuta accontentare di Vàli Nott, pensò sospirando.
Il ragazzo stava proprio davanti a lei, disteso sotto la grande quercia con gli occhi chiusi e le mani incrociate dietro la testa sognante. Gli si sedette di fianco in un gran scricchiolio di foglie secche. Il ragazzo aprì un occhio ed Hermione notò che tra le dita di una mano stringeva una sigaretta accesa.
“Hey Mione.” La salutò con un mezzo sorriso.
“Cosa fai?” gli chiese lei stringendo le ginocchia al petto, mentre una brezza fredda iniziava a salire.
“Immagazzino il sole per i giorni bui. Sarà un lungo inverno quello di quest’anno.” Le rispose come se fosse la cosa più normale di tutte.
Lei rimase in silenzio, mordicchiandosi il labbro inferiore incerta su come introdurre l’argomento.
“Non ti ho ancora ringraziata sai? Dico per non essere andata dal preside per riferire che io… be’ di me e Minnie.”
Hermione sentì le guance scaldarsi al ricordo dell’imbarazzante situazione in cui si era trovata il mese prima e sperò che Vàli avesse ancora gli occhi chiusi.
“E anche per non aver detto niente a nessuno sul fatto che stiamo insieme.” Continuò Nott, tirando una boccata di fumo.
“Posso chiederti perché lo tenete nascosto?”
“Pensavo che Tom te l’avesse già detto.”
“Diciamo che si è tenuto sul vago.”
Il ragazzo aprì gli occhi e si tirò, dopo un’occhiata circospetta intorno a loro tornò a concentrarsi su di lei.
“Tom mi ha detto che sei diventata una dei nostri.” Disse, facendole un occhiolino.
“A quanto pare.”
“Immagino ti avrà anche informato di tutta quella storia su Grindelwald eccetera eccetera, no ?”
Hermione annuì lieve.
“Come Mangiamorte ci sono dentro anche io, fino al collo possiamo dire, il problema è che gli altri non si fidano di me. Il che è da veri idioti visto che siamo stati tutti costretti a stringere un Voto Infrangibile.” Vàli aspirò una boccata, rabbioso. “Sono convinti che visto che io e Tom siamo amici il mio possa essere infranto.” La informò con una plateale alzata di sopracciglia.
“Si aspettano che da un momento all’altro corra dal mio vecchio a rivelare tutto.”
“Vecchio?”
“Mio padre.” Rispose secco Nott, iniziando a produrre cerchi di fumo con la bocca.
Hermione rimase in un silenzio discreto, che tra Vàli e suo padre non corresse buon sangue l’aveva capito da tempo.
Dopo un po’ il ragazzo chiuse la bocca. “E’ il capo degli Auror che gli stanno dando la caccia.” La informò senza troppi giri di parole.
Colpita e affondata.
“E per rispondere alla tua domanda, se venissero a sapere di Minnie alcuni di loro potrebbero benissimo decidere di rapirla per tenermi buono, o che so io.”
Hermione non riusciva a comprendere e sentì una tristezza invaderla, quasi come una marea. “Vàli ma perché tu vuoi portare al potere Grindelwald? La pensi come lui sui babbani?” la sua voce era diventata una flebile supplica.
“Forse Tom non lo vuole?” ribattè con uno sguardo improvvisamente freddo.
“Credevo che tu fossi meglio di lui.”
Il ragazzo spense la sigaretta, che sfrigolò al contatto con il tronco dell’albero.
“Le persone non sono tutte bianche o nere, Hermione.” Le disse, girando la testa verso il solo bruciante che iniziava a morire. “Ho i miei motivi per fare quello che faccio.”
Hermione fu tentata di ribattere, ma si costrinse a lasciar perdere. Non era lì per salvare Vàli Nott dal suo destino.
“Per caso Riddle ti ha detto perché ce l’ha con me?” iniziò, stringendosi sempre di più nel mantello.
“Non so se l’hai notato, ma non è un tipo propriamente loquace.”
Lei fece una smorfia. “Credevo foste amici.”
“Diciamo che la nostra è un’amicizia strana, comunque no, non mi ha detto niente.” La informò. “E’ dall’anno scorso che è diverso.” Aggiunse iniziando a fare a pezzi una foglia che aveva tra le mani. “Quest’estate non ha risposto neanche ad una mia lettera, nemmeno a quelle in cui minacciavo di andarlo a trovare in orf… lì dov’era. E non è normale.” Concluse, sottolineando il concetto lanciando in aria i rimasugli della foglia.
Hermione sapeva bene che cosa aveva fatto cambiare il giovane Voldemort ma non poteva certo dirlo a Vàli.
“E anche i suoi incubi sono peggiorati.” La informò con lo stesso tono che avrebbe usato una madre apprensiva.
“Incubi?”
Il ragazzo annuì serio, mentre una ruga di preoccupazione andava a solcargli la fronte. “Non passa notte senza che ne abbia uno, ormai dormiamo tutti con i tappi. Ho provato  a convincerlo a prendere qualcosa, ma non mi ha voluto ascoltare.” Si voltò a guardarla. “Una volta mi ha detto che doveva avere gli incubi, che era giusto così. Non ho ancora capito perché però.”
Hermione iniziò a sospettare che Tom Riddle fosse addirittura più complesso di quello che perfino lei si immaginava.
Vàli si alzò ed iniziò a pulirsi la divisa dalle varie foglie e rametti che vi si erano attaccati. “Ti posso dire però una cosa Mione, di solito quando Tom si arrabbia con qualcuno sa essere davvero pericoloso e di solito finisce male per la persona in questione, ma quando si comporta come sta facendo ora vuol dire che è spaventato, non so perché ma fidati di me, lo è. Non credo lo ammetterebbe mai nemmeno a se stesso, ma questo è quello che mi ha insegnato la mia lunga convivenza con lui.”
Lei strinse la mano che Nott le offriva e si tirò su. “ Com’è che siete diventati amici?” chiese improvvisamente curiosa.
“Diciamo che l’ho tratto d’impiccio da una situazione non particolarmente gradevole.” E sotto lo sguardo interrogativo di Hermione aggiunse : “Credo sia meglio se te lo fai raccontare da lui, Mione.”
Lei sospirò, perché la sua vita doveva essere costellata di segreti?

Il vento rombante sollevava ogni cosa intorno a lei ed Hermione si strinse con un brivido nel suo mantello, mentre scendeva a passi lenti e misurati la strada verso il campo di zucche. Il buio aveva ingoiato tutto il paesaggio circostante e la punta della sua bacchetta riluceva di una tiepida luce senza poter così esserle di alcun aiuto. Uno scricchiolio sinistro ed improvviso la raggiunse facendola sobbalzare. Le bastò quell’attimo di esitazione per mettere il piede in fallo e la sua caviglia destra, sotto il peso di tutto il corpo, cedette ed Hermione ruzzolò malamente a terra, mentre sentiva sassi pungenti sotto di sé. Rimase per un attimo immobile nella speranza che niente e nessuno potesse aver assistito a quel suo improvviso attimo di goffaggine, ma non un suono le rivelò la presenza di testimoni.
Sollevata sospirò, mettendosi a sedere. Tom Riddle non l’aveva vista.
“Non ti sarai già fatta male ancora prima di cominciare spero.”
Fantastico, l’aveva vista eccome.  Hermione cercò di aguzzare la vista ma i suoi occhi non riuscivano a distinguere nient’altro che l’oscurità. Una stretta ferrea le serrò il braccio e in un attimo si ritrovò in piedi. Il ragazzo le puntò delicatamente la bacchetta in faccia, costringendola a socchiudere gli occhi, e la osservò con occhio critico.
“Tutta intera?”
Lei si liberò da quel contatto indesiderato. “Da quando la cosa ti riguarda?”
“Da quando sei diventata il mio asso nella manica Evans.” Le rispose facendo un passo indietro ed Hermione riuscì finalmente a vederlo più chiaramente. Il ragazzo aveva abbandonato la divisa scolastica a favore di un lungo mantello nero il cui cappuccio gli copriva in parte il volto. L’effetto complessivo dava i brividi.
Il giovane Voldemort le lanciò qualcosa di ingombrante che lei cercò di prendere al volo.
“Indossalo.”
Hermione refrattariamente si mise su il lungo mantello che aveva l’unico pregio di ripararla alla perfezione dal freddo.
“Niente maschera?”
Il buio non le permise di vedere il volto di lui ma Hermione avrebbe potuto scommettere che Riddle aveva appena alzato un sopracciglio. “Chi ti ha detto una tale idiozia?” le disse con voce tagliente, ma velata da un certo divertimento.
“Charlus.”
Il ragazzo, che aveva iniziato a camminare, sogghignò. “Allora la cosa si spiega.”
Lei si mosse veloce cercando di tenere il passo dell’altro. “Com’è che ce l’hai tanto con lui?”
“E’ un idiota egocentrico.” Le rispose secco.
Hermione trattenne un sorriso, i due avevano allora qualcosa in comune. Quando nessuno di loro disse più una parola, solo allora si accorse di essere sola di notte con il giovane Voldemort e per di più fuori dal castello e le sue dita si serrarono incerte  intorno alla bacchetta. Arrivati al limitare della foresta il ragazzo si voltò a guardarla.
“Si può sapere dove stiamo andando?” gli chiese, sperando che l’altro non si fosse accorto di quanto debole e lamentosa suonasse la sua voce.
“Fra poco lo vedrai.” Le disse semplicemente. “Solo una cosa Evans, lascia parlare me.” Aggiunse mentre la sua espressione si faceva mortalmente seria.
“Lasciarti parlare con chi?” cercò di domandargli, ma il ragazzo ignorò la sua domanda e si posò l’indice sulle labbra in un chiaro ordine.
Con un colpo di bacchetta tutti i rami che impedivano il passaggio si districarono fluidi e silenti, mentre loro si inoltravano nella Foresta Proibita.
Gli alberi fitti e storti impedivano al vento di passare cosicché all’interno regnava un’irreale e inquietante calma, disturbata solamente dai fruscii dei loro mantelli e dagli scricchiolii dei loro passi, che sembravano risuonare terribilmente in quella bolla silenziosa. A Hermione la foresta non era propriamente sconosciuta, tuttavia non riconobbe la parte che stavano percorrendo a differenza del giovane Voldemort che, senza indecisioni o rallentamenti, camminava a passo spedito. Finalmente delle voci in lontananza ruppero il silenzio e Tom Riddle, fermatosi, le sussurrò : “Tirati su il cappuccio Evans.”
Lei obbedì prima di seguirlo in quella che doveva essere una pianura erbosa di discrete dimensioni e finalmente capì. Circa una dozzina di ragazzi incappucciati occupavano lo spiazzo, parlottando fitto a gruppetti. Finalmente eccoli lì, davanti a lei. I Mangiamorte.
Accortisi dell’arrivo dell’erede di Serpeverde il brusio cessò all’istante, i crocchi si dispersero e i ragazzi si disposero ordinati in un nero semicerchio.
Un mortale silenzio, elettrico di aspettative, incombeva su di loro mentre Riddle avanzò verso il centro. Hermione non sapeva cosa fare per cui si decise a rimanere immobile dove si trovava.
“Amici, ben ritrovati.” Il giovane Voldemort iniziò a parlare con voce sinuosa e profonda, ma lei notò un impercettibile tremore nella mano destra. “ E’ passato molto tempo dalla nostra ultima riunione ma non possiamo dire che notevoli passi avanti non siano stati fatti. Tuttavia di questo parleremo in una prossima riunione, per questa volta credo sarà meglio riprendere i nostri abituali allenamenti.”
Una voce acuta si levò dal gruppo. “Chi hai portato con te Riddle?”
Lui si voltò verso di lei e con un solo movimento degli occhi inespressivi le fece cenno di avvicinarsi. Incerta Hermione si mosse, stando ben attenta a non cadere nuovamente, e si affiancò al giovane Voldemort.
“Hermione Evans.” La presentò e le parole gli uscirono reticenti dalla bocca, come da una gabbia di ferro.
Apprezzabile la capacità di sintesi sicuramente cercò di sdrammatizzare lei.
Un brusio sorpreso serpeggiò tra quei mantelli neri e un’altra voce parlò. “ Una donna, Mio Signore?” sputò con disgusto, accompagnato da qualche cenno di assenso.
Hermione si accorse che Riddle si era completamente irrigidito. “Vieni avanti Malfoy.” Sibilò.
Il ragazzo avanzò e, abbassatosi il cappuccio, rivelò il viso pallido e smunto.
“Hai altre obiezioni Malfoy, oltre il suo sesso?” lo interrogò, con una punta di canzonatura nel tono di voce.
“Credo di poter esprimere una comune perplessità, Mio Signore, dicendo che forse sarebbe stato meglio avvisarci prima di farla entrare arbitrariamente tra i Mangiamorte.”
Bastò quello a Tom Riddle, e con un solo secco scatto del braccio Malfoy si ritrovò a terra trasformato in un mugolante e sofferente grumo.
Forse Malfoy dovresti ricordarti chi comanda qui.”
“Forse Riddle tu dovresti ricordarti che sono i nostri genitori che faranno in modo che il tuo piano possa funzionare.” Disse un’altra voce, calma e quasi pesante ogni parola.
Gli occhi del giovane Voldemort si assottigliarono all’inverosimile ma questa volta non fece niente.
“Tutti voi avete potuto osservare le sue abilità nel duello nel mese scorso.” Riprese, ignorando Malfoy che iniziava ad allontanarsi strisciando nell’erba secca. “E sarete tutti d’accordo che ci servono nuovi membri.” Nessuno osò replicare e l’unico rumore udibile era il suono dei loro respiri mischiato al fragore del vento al di là degli alberi. “Se non ci sono altre repliche,” aggiunse congelandoli tutti con lo sguardo “ dividetevi a gruppi ed iniziate ad allenarvi, io passerò a controllare i vostri progressi.”
Non appena un grande fuoco si accese al centro della radura i Mangiamorte sciolsero i ranghi ed iniziarono a  duellare tra loro.
Hermione si ritrovò in gruppo con due ragazzi, un Grifondoro e un Serpeverde, con cui non aveva mai parlato prima e cercò di comportarsi con naturalezza, sebbene le venisse difficile sentendo costantemente lo sguardo di Tom su di lei.
Benché conoscessero incantesimi a lei sconosciuti lì batté entrambi senza troppo sforzo ed ebbe qualche minuto per poter osservare gli altri, ritrovandosi costretta ad ammettere che Riddle li aveva effettivamente ben allenati. Una calda sensazione, molto simile ad una carezza, le strinse il cuore al ricordo delle prime riunioni dell’ E.S. e alla goffaggine di Neville.
“Permettete?” la voce calma che aveva parlato in precedenza la fece sobbalzare.
“Tutta tua Rosier.” Commentò uno dei suoi due compagni, sogghignando.
Il ragazzo abbassò il cappuccio nero ed Hermione poté vederlo in faccia. Aveva slavati e cinerei capelli biondi che gli ricadevano senza forma sul viso emaciato, conferendogli un’aria stropicciata e stanca. Gli occhi acquosi, illuminati dalle fiamme, la osservavano impazienti da dietro un paio di occhiali.
La sua bacchetta si alzò. “Pronta Evans?” la schernì.
“Sono nata pronta Rosier.” Rispose pungente, prima di potersi fermare.
Quando aveva circa nove anni suo padre l’aveva portata a vedere una partita di tennis di cui Hermione ricordava davvero poco. Una cosa che le era rimasta in mente, a parte i buffi ed esagerati cappellini di alcune signore, erano le mosse di uno dei due giocatori. Quando la pallina colpiva la sua racchetta sembrava tutto normale, ma non appena rimbalzava sul campo avversario ecco che improvvisamente schizzava inaspettatamente da un’altra parte, spiazzando l’avversario.
Rosier duellava allo stesso modo e i suoi incantesimi subdoli e sfuggenti rischiarono di metterla, per la prima volta da tanto tempo, veramente in crisi. Non che fossero particolarmente potenti, erano però imprevedibili ed Hermione, costretta a rimanere sulla difensiva, faticava a lanciarsi nel contrattacco.
Improvvisamente dalla bacchetta del Corvonero partì un lungo fiotto di luce bianca che si insinuò sotto il suo scudo difensivo, colpendola alle caviglie e facendola cadere. Il ragazzo approfittò di quel momento di debolezza per puntarle la bacchetta contro il viso e Hermione vide le sue labbra mormorare “Legilimens!”.
Se avesse avuto tempo per pensare sicuramente Hermione avrebbe ironizzato sull’amore dei Mangiamorte per quell’incantesimo, ma non ne ebbe il tempo, non pensò e si limitò ad agire.
Il suo respiro, seguendo i consigli del libro, divenne subito regolare così come il battito del suo cuore e poi Hermione pensò alla spiaggia di Villa Conchiglia. Davanti a sé vide le onde del mare che con una calma atavica lambivano la costa, ma non si limitò a focalizzarsi su quell’immagine, lei divenne quel ricordo. Divenne ogni granello di sabbia spostato dal vento o bagnato dal mare, divenne la schiuma delle onde e il dolce cullare del mare.  Sentì il delicato calore del sole, il sapore di salsedine e gli stridii dei gabbiani.
Non era più Hermione Evans era quell’immagine.
Lontano, come da un’altra galassia sentiva Rosier che, disturbante, cercava di entrare nella sua mente ma frustrato continuava a sbattere contro quel ricordo che Hermione stava usando come barriera. Lentamente, come se avesse tutto il tempo del mondo a disposizione, isolò quella presenza estranea e la circondò con il suo ricordò finche Rosier, sentendosi soffocare, desistette e uscì dalla sua mente.
Hermione aprì gli occhi e sorrise soddisfatta di se stessa, poi si alzò e si girò per andare a trovare un nuovo sfidante.
Crucio!” la voce rabbiosa di Rosier fendette l’aria e un getto di luce rossa le colpi la gamba destra con una tale forza e provocandole tanto dolore da farle pensare che si fosse rotta.
Con la maggiore velocità che il suo dolore lancinante le permetteva si voltò per fronteggiare Rosier.
“Cos’è pensavi che fosse vietato colpire alle spalle Evans? Qui siamo tra Mangiamorte, tutto è lecito.” Le disse ridendo di una risata priva di gioia, ma sola crudeltà.
Hermione sentì gli occhi riempirsi di lacrime per il dolore pulsante e rovente alla gamba, ma si intimò di non piangere.
“Cosa fai Evans, piangi?” la schernì l’altro impietoso. “Perché non torni da dove sei venuta?”
Lei cercò con lo sguardo Tom, che poco distante, la osservava impassibile a braccia conserte. Improvvisamente si accorse che tutti i Mangiamorte avevano smesso di duellare e si erano fermati a guardarli. Hermione capì che quella era una specie di prova, che tutti, compreso Riddle, stavano aspettando di vedere la sua prossima mossa per giudicarla. Doveva scegliere bene il suo incantesimo perché non le era concesso di commettere errori.
Tutto è lecito, tutto è lecito. La frase usata poco prima da Rosier le rimbombava nella mente confondendola. Alla fine prese la sua decisione e con un corto respiro alzò la bacchetta. Il suo braccio fendette l’aria al pari di una lama affilata.
Levicorpus!” urlò, senza quasi più voce per il male.
Il Corvonero venne preso alla sprovvista dal quell’incantesimo mai visto e finì in un lampo a testa in giù, dondolando come una coscia di maiale in esposizione in una macelleria.
I ragazzi scoppiarono a ridere mentre lui si divincolava nel vano tentativo di prendere i suoi occhiali, a terra sotto di lui.
Hermione rinfoderò la bacchetta. Poteva fare anche parte del loro gruppetto, ma non avrebbe mai permesso loro di trasformarla in un Mangiamorte.
“Direi che può bastare.” La voce di Tom Riddle che le si era avvicinato silenzioso la fece trasalire. “Per questa volta basta così, vi farò sapere quando si terrà la prossima riunione.” Aggiunse mentre lei recitava il contro incantesimo e il ragazzo con un sonoro tonfo cadeva a terra.
I ragazzi si dispersero chiacchierando tra loro e anche Rosier, dopo averle lanciato un’occhiata piena di astio, si allontanò nell’oscurità della foresta.
Quando fu sicura che non la potessero vedere lasciò finalmente libero il dolore di scorrere nella gamba ferita e, piegandosi con un gemito, si sedette a terra. Non appena Tom se ne accorse le si affiancò veloce e corrucciato.
“Che incantesimo ha usato?” le chiese pratico.
“C-crucio.” Mormorò lei cercando di non piangere, sentiva la gamba ora mortalmente fredda, come se il sangue avesse smesso di scorrervi.
Con un colpo di bacchetta le aprì in due la stoffa dei pantaloni e le toccò delicatamente la tibia.
“Qua?”
Hermione si morse a sangue le guance per non urlare.
“Sembra rotta.” Commentò e come risposta ottenne una smorfia ironica.
“Non puoi portarmi in Infermeria, farebbero troppe domande.” Disse lei con le ultime forze che aveva.
“E chi ha parlato di Infermeria? Ora Evans, cerca di rilassarti.”
Lei borbottò qualcosa ma provò a fare come le diceva.
Avulsa, florescit!”
Sentì la punta di legno della sua bacchetta contro la pelle e poi una tiepida corrente le attraversò la gamba. Uno strappo improvviso la fece sussultare e afferrò il braccio di Tom.
“Va tutto bene Evans, è normale.”
Lentamente sentì un calore diffondersi nell’arto ferito a partire dalla punta dei piedi e il dolore sciamare silenziosamente via.
Hermione riprese a respirare normalmente e lasciò il braccio del ragazzo.
“C-come hai fatto?” gli chiese stupita, tentando di alzarsi.
“Stai giù, o il mio lavorò sarà inutile.” Le disse freddo prima di mettere via la bacchetta. Vedendo che lei continuava a fissarlo in attesa di una risposta aggiunse: “Ho imparato.”
“Da solo?”
“Da solo.”
“Come mai?”
“A volte sei fastidiosa Evans, lo sai?”
“Tu sempre Riddle.” Ribatté lei mentre un’ombra di sorriso illuminava il volto del ragazzo.
Hermione si ritrovò a pensare che preferiva quando lui si dimostrava insofferente nei suoi confronti, o quando sproloquiava sul suo futuro di gloria. In quei momenti era più facile ricordarsi che era un assassino e quanta morte ancora avrebbe causato. In altri momenti Tom Riddle le sembrava così vulnerabilmente umano.
Tom prese a giocare con alcuni fili d’erba del prato, staccandoli e riducendoli in pezzettini. “Quando avevo circa undici anni un’estate mi sono rotto una gamba cadendo da degli scogli. Non potevo muovermi per chiamare aiuto e ho passato tutta la notte su quella spiaggia. Faceva così freddo.” Il ragazzo deglutì, come affaticato dal ricordo. “ La mattina quando dei turisti mi hanno trovato e mi hanno portato in ospedale ho giurato a me stesso che avrei imparato come guarirmi da solo e così ho fatto.”
“Perché nessuno per tutto quel tempo è venuto a cercarti?”
Lui si girò a guardarla ed Hermione vide in quegli occhi grigi, che sembravano risucchiare ogni cosa, per la prima volta una profonda e bruciante tristezza.
“Ora puoi alzarti.” Le disse tirandosi su ed Hermione capì che la conversazione era da considerarsi conclusa.


Note:
1 'Cradle Song' di William Blake
2 Hermann Hesse appunto 'Scritto sulla sabbia.'

Finalmente ecco il nuovo capitolo, spero possa ripagare almeno in parte la vostra attesa!
Un grazie a tutti voi che leggete e un abbraccio a DPotter, Elpis, poppi, martymione, Violet Acquarius, lory1989, alvigi, dragon_queen e FuerGrissaOstDrauka, grazie mille per le vostre recensioni.
A presto e buon weekend a tutti!

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Capitolo 9
*** VIII ***


Attenzione : essendo uno dei personaggi di questa storia gay, nel seguente capitolo saranno trattate delle tematiche omosessuali (Oddio, dite che si può dire?), spero che questo non fermi nessuno di voi ma nel caso Don’t like, don’t read!

“La realtà dell’altro non è in ciò che ti rivela,
ma in quel che non può rivelarti.”1


31 Ottobre 1944. Hogwarts

Un urlo lacerò la calda coperta di sogni in cui Hermione si stava ancora cullando in quella fredda mattina di vacanza e i suoi riflessi la costrinsero a balzare sul letto, in un equilibrio alquanto precario. Fece così appena in tempo a vedere il cuscino di Dorea che si dirigeva a tutta velocità verso di lei, un istante dopo era riversa sul pavimento.
“Complimenti Dorea, se volevi ammazzarla ci sei riuscita!” commentò Violet infilandosi un maglione a collo alto.
“Oddio, dici che lo ho fatto male ?” rispose Dorea leggermente preoccupata dall’assenza di reazioni di Hermione.
La ragazza si alzò leggermente frastornata per la caduta e non ancora completamente sveglia.
“N-no, sto bene.” Informò le altre due, risedendosi sul letto. “Almeno credo.”
Dorea sospirò di sollievo e le si sedette di fianco mentre Violet sgusciava veloce in bagno.
Hermione si legò i capelli, terribilmente elettrici in quella mattina di ottobre, in una frettolosa coda. “Cosa ti ho fatto per meritarmi questa sveglia?”
L’amica ridacchiò. “Avresti potuto dirlo almeno a noi!”
Hermione la guardò spaesata non capendo a cosa si riferisse.
L’altra allora le tirò una gomitata, che solo per grazia divina non le frantumò le costole. “Vuoi fare la misteriosa eh? E’ ovvio no? Di te e Riddle!”
La paura che qualcosa di quello che si erano detti nelle loro varie conversazioni potesse in qualche modo essere trapelato la pietrificò all’istante, obbligandola a balbettare. “S-scusa?”
Dorea sbuffò spazientita. “E’ in utile che fai la finta tonta, Charlus l’ha detto praticamente a tutto il castello.”
Charlus? Hermione sospirò sollevata, il Grifondoro non poteva aver sentito niente dei loro piani, quindi la cosa doveva riguardare un’altra questione.
“Hermione sei sicura di essere sveglia? Sto parlando del tuo appuntamento con Riddle!”
Da quando lei aveva un appuntamento con Riddle?
“Io non ho un app… Oh.” Improvvisamente si rese conto a cosa poteva riferirsi. “Non è un appuntamento, era solo un…un…”
“Un cosa?”
“Non parlava sul serio.” Concluse veloce.
“Charlus dice il contrario.”
Lei si alzò spazientita. “Non ho un appuntamento con Riddle.” Lui l’aveva detto solo per salvarla da quella situazione imbarazzante con Charlus, niente di più. Non ne avevano neanche riparlato e la sola idea di poter interessare al giovane Voldemort le pareva inconcepibile.
Dorea incrociò le braccia offesa per il suo tono acido.
“Dai Dorea, non sfinirla.” Cercò di rabbonirla Violet, poi si rivolse ad Hermione. “Comunque nel caso non ci sarebbe niente di male, fisicamente non è proprio il mio tipo, ma non si può dire che sia brutto.”
“Oh no,” si intromise Dorea, a cui era già sparita l’arrabbiatura. “se ti piacciono belli e tenebrosi è perfetto!”
“Ok, ok fermatevi tutte e due!” le bloccò ridendo lei. “Non c’è niente tra me è Riddle e non ho un appuntamento con lui, sul serio.”
Dorea la guardò scettica mentre si legava al collo la sciarpa verde-argento ma Violet le sorrise.
“Nel caso ce lo diresti vero?”
“Violet, ti assicuro che non si presenterà mai il problema!” rispose esausta.
“Si ma nel caso caso?”
Hermione alzò gli occhi al cielo. “Ve lo direi. Contenta?”
L’amica le lanciò la sua sciarpa. “Contenta.”
Con Dorea parlava a raffica della futura partita di Quidditch contro Corvonero raggiunsero la Sala Grande dove si stavano radunando tutti gli studenti in procinto di recarsi a Hogsmeade  e un eccitato brusio regnava nel salone.
Vàli arrivò velocemente verso di loro. “Pronte per l’ora d’aria donzelle?”
Hermione colse al volo l’occasione. “No, in realtà io resto qui.”
Tre paia di occhi la fissarono allibiti.
“Come resti qui?”
“Mi sono fatta un programma per lo studio, non posso sgarrare.” Poi vedendo lo sguardo interrogativo che continuavano a rivolgerle gli altri aggiunse. “Verrò la prossima volta, promesso.”
Le sue motivazioni in realtà erano ben diverse. Per prima cosa non aveva ancora finito di controllare tutti i libri in cui Riddle avrebbe potuto trovare qualcosa sugli Horcrucx e in secondo luogo non voleva tornare ad Hogsmeade. Non senza Harry e Ron.
A Hogwarts era in qualche modo riuscita ad addomesticare i ricordi e ormai riusciva a camminare per i corridoi senza rivedere i fantasmi del suo passato ma sentiva di non essere ancora abbastanza forte per affrontare quelli che la aspettavano, ne era certa, fuori dalle mura del castello. E poi c’era un’altra cosa.
Si era accorta che i volti, le voci, i dettagli di tutti quelli che aveva lasciato indietro stavano iniziando a scomparire, mischiandosi e confondendosi con il suo nuovo presente, come colori sulla tavolozza di un pittore. Il presente stava andando a sostituire lentamente il passato, tanto che ogni volta che qualcuno dei suoi nuovi amici accennava ai momenti precedenti al suo arrivo ad Hogwarts lei si chiudeva a riccio, terrorizzata che i suoi ricordi potessero sfuggirle come sabbia tra le dita, che trasformare il ricordo in parole in qualche modo equivalesse a distruggerlo e a perderlo per sempre.
C’erano addirittura alcuni istanti, solo secondi niente di più, in cui si dimenticava di essere Hermione Granger ed era all’improvviso Hermione Evans, istanti in cui rischiava di perdersi nel fitto intrico di bugie e segreti che si era costruita intorno.
Semplicemente non poteva andare ad Hogsmeade perché non poteva permettere che quel luogo diventasse altro da quello che aveva lasciato quando era partita.
Vàli le mise una mano sulla fronte. “Sicura che Tom non ti abbia attaccato il suo disprezzo per Hogsmeade?” le chiese divertito.
“Fa così solo perché lui non c’è mai potuto andare.” Commentò Violet, e Hermione per la prima volta notò nel suo tono una punta di acidità.
“Hogsmeade. Luogo buono solo per gozzovigliare e pomiciare.” Disse Dorea in una perfetta imitazione del giovane Voldemort. “Buono solo per le piccole menti come noi.” Aggiunse, sistemandosi la capiente borsa sulla spalla.
“No davvero, la prossima volta ci sarò.” Sorrise cercando di sembrare convincente.
“Vuoi che ti portiamo qualcosa?” chiese Dorea, mentre la fiumana di ragazzi si avviava verso l’ingresso principale.
Hermione ci pensò su un istante. “ Magari qualche Piuma di Mielandia, se ne trovate.”
La ragazza la guardò per un attimo stupita, poi annuì. “Ricevuto.”
Vàli le prese entrambe per un braccio e le trascinò. “Ci vediamo dopo Mione, divertiti con i tuoi libri!” le gridò, facendosi largo tra la folla.
Non appena la Sala Grande si fu svuotata Hermione tirò un sospiro di sollievo e fece per avviarsi verso le scalinate, pregustandosi un’intera giornata di tranquillità e solitudine.
“Evans.”
La voce di Riddle rimbombò contro le pareti di dura pietra e la bloccò sul primo scalino.
Hermione si girò lentamente e, visto gli ultimi sviluppi del loro rapporto, decise per quella volta di essere cordiale. “Hey Riddle. Neanche tu vai ad Hogsmeade.”
“Acuta deduzione.”le rispose l’altro, che evidentemente non aveva fatto il suo stesso ragionamento.
La raggiunse a passo veloce e le si piazzò davanti. “Dove stai andando?” le chiese con un tono che a Hermione ricordò quello degli interrogatori di quei polizieschi che adorava suo padre.
“Biblioteca.”
“Mi sembrava avessimo un appuntamento.”
Hermione dovette frenare l’istinto di guardarsi intorno alla ricerca di una telecamera. Perché quello doveva essere uno scherzo, o lei doveva aver capito male. Tom Riddle non poteva aver pronunciato la parola appuntamento.
“Noi?”
Il ragazzo alzò un sopracciglio, quasi stupito della domanda. “Hai qualche problema di memoria di cui dovrei essere a conoscenza Evans?”
Lei capì che stava facendo sul serio e non poté fare altro che arrossire. “N-no…I-o…”
Il ragazzo alzò anche l’altro sopracciglio. “Tutto bene Evans?”
Lei cercò di pensare razionalmente. “Riddle, davvero la cosa mi lusinga ma io non credo di poter ricamb…”
Il ragazzo sgranò gli occhi incredulo e lei notò con stupore che sulle guance era comparso dell’inaspettato rossore. Possibile che Tom Riddle sapesse arrossire?
 “Non ti stavo invitando ad un appuntamento galante Evans.”disse in fretta facendo sospirare di sollievo Hermione, che si diede mentalmente dell’idiota per l’incomprensione. “E’ più una cosa di lavoro, diciamo.”
“Di cosa si tratta?”
Le labbra di lui si stirarono nel classico sorriso misterioso che lei stava iniziando a non sopportare più. “Abbi pazienza.”
“Perché devi essere sempre così misterioso Riddle.” Gli chiese spazientita.
Lui le si avvicinò e si chinò impercettibilmente.
“Il mistero rende tutto più divertente, non credi?” le sussurrò con un aria quasi diabolica e il suo respiro caldo le fece venire i brividi.
Senza aspettare una sua risposta il giovane Voldemort si girò e si avviò verso l’ingresso della scuola.

Dorea tirò un forte calcio alla pietra che si era inavvertitamente trovata sul suo cammino e si mise con una mano a giocherellare con le frange della sua sciarpa.
“Che ti aveva fatto quel povero sasso Didi?” le chiese Vàli, dandole una leggera spinta.
Lei alzò le spalle mentre il suo sguardo si posava qualche metro più avanti dove Violet stava attendendo il momento propizio per sferrare un nuovo attacco a Potter.
“Uno zellino per i tuoi pensieri.”
“Ti ci vorrebbe molto più di un misero zellino per avere l’onore di conoscere i miei pensieri Capitano.”
“Avida.” Sorrise lui.
“Come sempre.”
Dorea affondò ancora di più il mento nella lana della sciarpa e così a Nott le sue parole arrivarono pressoché in un timido sussurro.
“Secondo te sono carina?”
Lui ebbe per un istante l’istinto di fermarsi e di guardarla con la bocca spalancata ma sapeva che una reazione del genere avrebbe finito per far chiudere ancora di più Dorea in se stessa. La conosceva praticamente da sempre e sapeva che nonostante passasse il suo tempo a tirare bolidi e battute addosso alla gente aveva un lato tremendamente fragile, che emergeva in delicati sprazzi quando meno ce lo si aspettava. Questa era una cosa che aveva sempre amato dell’amica,  era una di quelle rare persone che riuscivano sempre a sorprenderti.
“Cero che lo sei perché?”
Dorea si mordicchiò il labbro inferiore tentando di trovare le parole giuste per tradurre le sensazioni che vorticavano circensemente dentro di lei.
“Hai presente la sera prima di una partita? Quell’ansia che ti prende lo stomaco e non ti fa mangiare, quella cosa che è un misto di aspettative e paure?”
Lui annuì piano, cercando nella tasca del mantello l’ultima sigaretta della sua scorta.
“Mi sento come se stessi aspettando qualcosa, senza sapere cosa però.” Concluse spostandosi velocemente i capelli che le erano ricaduti sugli occhi.
Vàli continuò a rimanere in silenzio sperando che lei chiarisse in qualche modo le sue parole.
“Tu ti sei mai innamorato Vàli? Dico seriamente.” Gli chiese improvvisamente alzando il suo sguardo verde su di lui.
Lui distolse gli occhi colpevole, temendo di lasciarsi scappare con una sola occhiata il suo prezioso segreto. Ma Dorea, ripiegata su se stessa, non stava cercando di svelare misteri quel giorno e si accontentò di un cenno d’assenso.
“Io no.”commentò con una smorfia. “Mi sembra di essere sempre un passo indietro,” lanciò un’occhiata divertita a Violet. “persino una cotta infantile come quella di Vi mi andrebbe bene.”
“Lo vedo come mi guardano i ragazzi,” continuò infilandosi le mani in tasca. “mi trattano come fossi una di loro. Fino a poco tempo fa mi andava benissimo così… ma ora, non lo so, mi sembra come di essere fatta sbagliata…” Lo guardò di nuovo, le labbra stirate in un debole sorriso. “Scusa, non so cosa  mi è preso non…”
Vàli non le lasciò neanche finire la frase e la stritolò in un possente e goffo abbraccio.
“L’amore non va a comando. È un po’…un po’ come la cacca.” Disse, facendole sgranare gli occhi. “Si, è inutile andare in bagno se non  è il momento giusto.”
L’amica lo guardò stranita. Sono un genio incompreso, sospirò tra sé e sé.
“Sono pronto a scommettere che fra poco incontrerai un ragazzo fantastico di cui innamorerai follemente Didi.” Le sussurrò per chiarire il concetto. “E scommetto che sarà anche bravo a Quidditch.”
“Mai bravo quanto me Capitano.”
Ridendo la lasciò andare.
 “Questo è poco ma sicuro signorina Black!”commentò strappandole finalmente un vero sorriso.
Arrivati all’ingresso di Hogsmeade Dorea si bloccò di colpo, battendosi platealmente una mano sulla fronte.
“Avevo promesso a Will di accompagnarlo a vedere i nuovi articoli per il Quidditch, ha bisogno di un consiglio per la sua nuova scopa!” Lo informò prima di sgranare gli occhi all’inverosimile, in modo da far assumere al suo viso un’incredibile somiglianza con quello di un cucciolo di unicorno.
“Di cosa hai bisogno sta volta?”le chiese lui distratto, mentre cercava invano di raddrizzare la sigaretta sopravvissuta che era riuscito a recuperare.
“Non è che puoi andare tu a prendermi i dolci da Mielandia?”
Lui alzò veloce gli occhi. “Scordatelo.”
“Eddai Vàli, in fondo cosa ti costa?”
“Tutto quell’odore zuccheroso di dolci mi dà la nausea.”
La ragazza mise su il suo broncio migliore, poi un’improvvisa e pericolosa scintilla le animò lo sguardo.
“Si dà il caso che ho un pacchetto di sigarette nuovo di zecca nella borsa, sai com’è…”
“Tu non fumi, Didi. Non tentare di fregarmi.”
“Ma tu si.” Gli sorrise diabolicamente lei, prima di estrarlo dalla sacca.” Me lo porto sempre dietro, per evenienza.”
Vàli storse la bocca indeciso. “Ti odio.”
La ragazza ridacchio leggermente, porgendoglielo. “Lo so, neanche tu puoi fare a meno di me.”
Lui lo afferrò e veloce se lo mise in tasca, mentre con una mano prendeva rassegnato la borsa che gli sembrava occhieggiasse sadicamente nella sua direzione.
“Direi il solito,” lo istruì Dorea “ e ricordati le Piume per Hermione!” aggiunse prima di volatilizzarsi.
Vàli si infilo la cinghia a tracolla e si avviò controvoglia verso Mielandia, mentre sentiva già il suo povero stomaco rivoltarsi al pensiero di dover entrare in quel posto caramelloso.
I suoi timori non si dimostrarono infondati e, non appena varcò la soglia del negozio, mise in pratica un’acuta tecnica più volte sperimentata. Con veloci falcate si avvicinò al bancone badando di respirare solo con la bocca. Probabilmente sembra un pazzo in preda ad un attacco di panico, ma almeno così la puzza era gestibile.
Il grasso e stempiato proprietario del negozio si protese oscillante verso di lui.
“Come posso aiutarti caro?”
“Vorreiduesacchettidiapifrizzoleunodibollebollenticinquetorroniallaponeeunsacchettodipiperillenere.” Disse tutto d’un fiato sperando di essere compreso al primo colpo.
L’uomo, che aveva evidentemente la velocità mentale pari a quella di uno Schiopodo, sbattè le palpebre. “Non è che potresti ripeterlo? Magari questa volta respirando.”
Vàli deglutì. “Due sacchetti di api frizzole, uno di bolle bollenti, cinque torroni al lampone e un sacchetto di piperille nere.” Ripetè con più calma.
“E delle Piume.” Aggiunse mentre l’altro ravanava nei suoi cassetti alla ricerca della mercanzia.
L’uomo con inaspettata e fulminea velocità si voltò di nuovo verso di lui e lo afferrò per il bavero della camicia, iniziando a scuoterlo con inattesa solerzia.
“Come hai detto ragazzo?”gli sibilò, badando di non farsi sentire da tutti gli altri ragazzi che fissavano la scena allibiti.
“D-due s-sacch…” balbettò lui.
“No,”ringhiò l’altro.”dopo.”
Vàli sgranò gli occhi stupito, sperando che il suo odio per quel negozio non gli avesse fatto dire nulla di inappropriato. “D-delle Piume?!”
Il negoziante serrò la presa sul suo bistrattato colletto. “Chi ti ha mandato a spiarci ragazzo? Sono stati quelli della Dolci Danzanti, non è vero?” sussurrò minaccioso.
“I-io non credo di capire signore…” tentò Vàli, mentre sentiva le narici riempirsi di quel nauseane e appiccicoso odore.
“Le Piume, per la barba di Merlino!”abbaiò quello sull’orlo dell’isteria. “Non le abbiamo ancora fatte entrare in commercio, come fai a conoscerle, eh?!”
Vàli ne aveva abbastanza e con mano ferma si liberò dalla presa dell’uomo. “Non erano per me, io detesto qualsiasi tipo di caramella che la vostra mente contorta possa concepire. Ora se non le dispiace,” sputò con aria sprezzante, afferrando la borsa che aveva appoggiato sul bancone.” Me ne vado. E le assicuro che non mi rivedrà più in questo squallido posto, signore.” Commentò offeso, lanciandosi verso l’uscita tra i mormorii di sorpresa generale.
Arrivato fuori ispirò a pieni polmoni l’aria fresca e si andò a sedere sulla panchina più vicina per schiarirsi le idee.
Si era appena acceso l’agognata sigaretta quando una voce, con un tono terribilmente simile a quello di sua madre, lo colpì alle spalle.
“Dovresti decisamente smetterla di fumare.”
Lui non si voltò neppure ma, quasi con palese provocazione, espirò una grande boccata di fumo argenteo.
“Non vedo come la cosa ti possa riguardare Minnie. I polmoni sono i miei.”
La ragazza aggirò la panchina e, lanciato uno sguardo intorno a loro, gli si sedette di fianco. “Forse. Ma poi quando mi baci hai un alito che fa veramente schifo.”ribattè pungente.
Lui sbuffo, evitando accuratamente di risponderle.
“Che è successo da Mielandia?” gli chiese con voce decisamente più dolce, accortasi del suo malumore.
“Ah. Mi hai visto?”
“Ti ha visto metà della scuola, Vàli.”
“È colpa di quella specie di foca con il parrucchino, credeva che volessi rubargli un nuovo tipo di caramella a quanto pare.”
“E tu come facevi a conoscerlo?”
“Era per Hermione.”
“Probabilmente in Francia è già uscito allora.” Concluse lei con semplicità.
Lui giocherellò pensoso con il mozzicone di sigaretta prima di spegnerla. “Probabilmente.” Commentò senza vero interesse.
Minerva gli lanciò un’occhiata di traverso, preoccupata dalla sua strana espressione.
“Tutto bene Vàli?” gli chiese delicatamente, appoggiandogli una mano sulla spalla.
Quando lui gliela prese ed iniziò a giocherellarci, si rilassò sollevata.
“Tutto bene.” Rispose baciandole il palmo della mano.
Gli occhi felinamente verdi della ragazza sorrisero. “E se ti dicessi che i miei ti vogliono conoscere e che ti devi ritenere ufficialmente invitato a cena da me per la Vigilia di Natale cosa mi risponderesti?”
Lui alzò il viso, illuminato dal sorriso che l’aveva fatta innamorare. “Ti direi che non vedo l’ora.” Rispose avvicinandosi per baciarla, questa volta sulla bocca.

L’erba morta si piegava sonoramente sotto il peso dei loro passi e per tutto il muto tragitto Hermione si maledisse per essersi fatta di nuovo trascinare via da Riddle, senza nemmeno una spiegazione decente che giustificasse la sua fretta.
Si stava decisamente rammollendo.
Si bloccò quindi all’improvviso decisa a non muovere più neanche un passo prima di aver ricevuto almeno una parvenza di informazione.
Quando si accorse di non essere più seguito il ragazzo si voltò a guardarla, ma nessuna espressione di sorpresa sfiorò il suo volto.
Quello scambio di sguardi sarebbe andato avanti fino a sera se Hermione non si fosse ben presto stufata, e se non avesse avuto così freddo a stare immobile.
“Io non mi muovo.” Lo informò, incrociando le braccia per sottolineare la sua affermazione.
“Questo l’avevo notato Evans.”ribattè l’altro inscalfibile.
Lei sbuffò. “Non sono una delle tue marionette, quindi esigo sapere dove stiamo andando.”
Gli occhi grigi di Tom si assottigliarono e a Hermione sembrò che il suo sguardo la passasse ai raggi x.
“Io non..” iniziò il ragazzo.
“Oh, non mi venire a dire che non li usi come fossero dei burattini.” Lo interruppe lei, impietosa.
Le labbra di Tom si stirarono in uno strano sorriso.
“Potresti evitare di interrompermi sempre Evans, mi infastidisce.” La gelò, serrando la mascella. “In realtà stavo dicendo che non ti considero una delle mie marionette.”
“Bene. Perché non lo sono.”
Tom le si avvicinò. “Questo l’avevo capito da un pezzo.” Commentò, prendendola per un gomito.
Quando lei fece resistenza addolcì un po’ la presa. “Ti spiego mentre camminiamo. Fa freddo a stare fermi, non credi?”
Lei evitò di rispondergli ma riprese a camminare.
“Abbiamo bisogno di alleati per il nostro piano Evans,” le comunicò senza guardarla, dopo qualche istante di silenzio “di tutti gli alleati possibili.”
Hermione rabbrividì disgustata nel sentire il giovane Voldemort usare il pronome al plurale, ma cercò di non dare a vedere il suo fastidio. Si era ormai  rassegnata al fatto che ogni sua conversazione con Riddle non fosse nient’altro di più che una partita a scacchi. Ora toccava a lei la prossima mossa.
“Quindi?”
Il ragazzo dischiuse le labbra in un sinistro sorriso e con un cenno del capo le indicò una  casupola che sorgeva al limitare della Foresta Proibita.
“H-Hagrid?” domandò lei corrucciata, mentre l’altro affrettava il passo.
“Rubeus Hagrid è un mezzo gigante nel caso non lo avessi ancora notato.” La liquidò con freddezza. “Il che vuol dire che ha il modo per arrivare ai giganti. Questa non è una cosa da sottovalutare.”
“Io a cosa ti servo?” indagò Hermione, improvvisamente a disagio al pensiero di incontrare il vecchio amico.
Tom Riddle si fermò sulla soglia della capanna di Hagrid e si voltò leggermente a guardarla.
“Io e lui non siamo in buoni rapporti.” Le disse mentre i suoi occhi indagatori la squadravano con circospezione. “ E tu sei brava con le persone.”
Lei non fece in tempo a ribattere che il giovane Voldemort aveva già bussato alla pesante porta di quercia.
“Fammi vedere di cosa sei capace, Evans.” Le sussurrò tagliente mentre il rumore di possenti passi si avvicinava loro.
La porta si aprì quel tanto che bastava per permettere ad Hermione di vedere la faccia famigliare del Guardiacaccia, che non appena vide Riddle si irrigidì tutto.
Fece per chiudere ma Tom non glielo permise e previdente sgusciò nello spiraglio, obbligando Hagrid a farli entrare.
“Cosa vuoi Riddle?” chiese la voce profonda di Hagrid.
Il ragazzo non rispose subito ma con infinita calma si sedette sullo sgangherato divano che occupava buona parte della stanza, tirando Hermione vicino a sé.
“Suvvia Hagrid, rilassati. Sono qui in veste non ufficiale.” Disse sorridendogli.
Hermione notò che la sua voce si era trasformata ulteriormente, era vellutatamente calma e suadente come non l’aveva mai udita, ma nonostante la sua apparente tranquillità gli occhi del giovane Voldemort erano attenti ad ogni reazione dell’altro. Tom Riddle era come un serpente pronto ad attaccare la sua preda.
“Mi sono reso conto di non averti ancora presentato le mie scuse.” Iniziò candidamente Tom.
Hagrid per un attimo rimase sorpreso ma subito incrociò le braccia sulla difensiva.
L’altro non si fece scoraggiare per così poco. “Devi credermi, non era mia intenzione farti espellere, ma solo fermare quel mostro.”
“Aragog non ha mai fatto male a nessuno.” Quasi ruggì l’altro, mentre i suoi occhi si assottigliavano per la rabbia.
Hermione sentì il corpo del giovane Voldemort irrigidirsi di fianco a lei e per un attimo temette per il suo amico.
“I ragni giganti non sono animali da compagni Hagrid.” Rispose lapidario Riddle.”Comunque non sono venuto qui per questo, devo chiedert…”
Fremendo di indignazione Hagrid si alzò dalla sedia e si avvicinò al giovane Voldemort, puntandogli il suo grosso indice contro il viso. “Tu mi hai fatto espellere.” Iniziò con voce tremante.” Ora, esci immediatamente da casa mia.”
Tom Riddle non solo non accennò ad alzarsi, ma si sistemò il più comodamente possibile sul divano.
“Forse per causa mia sei stato espulso,” concesse il ragazzo “ma è grazie a me che sei ancora ad Hogwarts come Guardiacaccia, te lo sei dimenticato?”
Hagrid alle velenose parole dell’erede di Serpeverde impallidì vistosamente e ritirò la mano.
L’altro continuò impietoso, scoprendo quella che doveva essere la sua carta vincente. “Sono stato io a consigliare a Silente di assegnarti questa carica, io ho convinto il preside Dippet.”
Il Guardiacaccia si risedette pesantemente.
Tom si voltò compiaciuto verso di lei e con uno sguardo le fece capire che era arrivato il suo momento.
Hermione sollevò vergognosamente gli occhi per poi fissarli sul fuoco che scoppiettava indifferente dietro ad Hagrid, il senso di colpa per quello che stava per fare non le permetteva di parlare guardando in faccia l’amico.
Per un attimo, come molte volte fino ad allora, pensò che forse la soluzione più semplice sarebbe stata quella di estrarre la bacchetta ed uccidere Riddle.
Davanti a lei si dipinse la scena: il corpo del ragazzo riverso sul tappeto logoro e scolorito, gli occhi grigi muti e spalancati, lo stupore di Hagrid. Silente l’avrebbe nascosta finche il Giratempo non fosse ripartito, lo sapeva.
Ma c’era qualcosa in lei che la frenava, qualcosa che era talmente radicato nel suo modo di essere che le impediva di compiere quel gesto.
Forse se di fianco a lei ci fosse stato Lord Voldemort sarebbe riuscita a farlo, ma seduto sul divano c’era Tom Riddle, che aspettava.
“Noi …” incominciò con una voce che le sembrò infelicemente stridula. “Noi stiamo pensando di fondare un gruppo all’interno della scuola, un gruppo contro la segregazione dei giganti.” Concluse tutto d’un fiato, con il viso rosso per la menzogna.
Sentì distintamente uno sbuffo divertito provenire da Riddle, ma Hermione continuò a tenere lo sguardo fisso sulle fiamme che danzavano nel caminetto.
“Per la loro reintegrazione nella società.” Aggiunse per ribadire il concetto. “E vorremmo sapere se p-potresti metterci in contatto con alcuni di loro.” Concluse, mentre sentiva un conato di vomito risalirle la gola.
“E’ un tema che ci sta molto a cuore.” Si inserì il giovane Voldemort.
Cuore? Hermione si stupì che lui conoscesse addirittura la parola.
“I-io…” balbetto Hagrid preso alla sprovvista. “Io non saprei, si, potrei pensarci. Ma cosa vorreste fare di preciso?”
Riddle ripreso in mano la situazione. “Raccogliere testimonianze per lo più.” Disse convincente.
Hagrid, sotto lo sguardo terrorizzato di Hermione, sembrò pensarci un po’ su, ma il suo sospetto non era del tutto sparito.
Compreso che non avrebbe ottenuto molto di più in quella visita, Tom si alzò riassettandosi i pantaloni e rivolgendo un cenno del capo ad Hermione.
“Prenditi tutto il tempo che ti serve Hagrid, ripasseremo noi.” Disse il ragazzo, con un tono troppo minaccioso perché la frase venisse intesa come una semplice formula di circostanza.
Il Guardiacaccia senza proferire una sola parola li scortò alla porta e in un attimo si ritrovarono di nuovo alla mercé del gelido vento autunnale.
Hermione camminò lentamente per quella che a lei sembrò un’eternità, profondamente nauseata dalla sua azione. Cercò di mettere a fuoco i suoi ricordi di Storia della Magia ma la sua memoria si rifiutava di funzionare a dovere.
Voldemort sarebbe riuscito ad allearsi effettivamente con i giganti?
Un’ipotesi le attraversò la mente, lucida e letale quanto un fulmine. Si sarebbe messo in contatto con loro grazie a lei?
Le infinite e ingarbugliate possibilità future si mischiarono con quello che era stato il suo passato, lasciandola boccheggiante in uno stato di confusa disperazione.
A parole poteva anche dire di non essere il burattino di Tom Riddle, ma era quello che era appena diventata.
“Guanti.”
Il ragazzo la guardò interrogativo.
“Ho dimenticato i guanti da Hagrid.” Ripetè.
Prima che lui potesse dire qualcosa Hermione si era già girata e avviata di corsa verso il punto da cui erano appena venuti.

La strada che portava fuori da Hogsemeade si estendeva stranamente deserta davanti ad Orion che la percorreva con il mantello aperto, indifferente del freddo quasi invernale che regnava.
Nell’inatteso silenzio che si era creato, le foglie autunnali scricchiolavano allegramente sotto i suoi passi veloci e gli giungevano lontani e soffocati i chiacchiericci degli studenti rintanati nei pub.
Superata una fila di alberi al limitare del villaggio Orion sorrise alla vista della casa della anziana signora Hudson che svettava su una collinetta davanti a lui.
Il marito della signora, ormai defunto da tempo,che aveva costruito personalmente quella villa, doveva avere un concetto personale ed estremamente relativo di architettura: l’alto edificio era infatti pericolosamente inclinato sul lato destro e, quasi a compensare questa sua tendenza, dalla parte opposta spuntava quella che sembrava essere dall’esterno l’allargamento di una stanza.
Comignoli di ogni forma ed altezza decoravano il tetto indifferenti ad ogni principio di equilibrio e ordine.
Il sorriso del ragazzo si allargò ancora di più quando arrivò davanti alla porta rossa, che si aprì dolcemente. Entrato nel buffo edificio venne investito dai caldi colori delle pareti e dal profumo di biscotti presumibilmente appena cotti.
Non appena si tolse il cappotto un aereoplanino di carta si schiantò con uno sbuffo contro la sua fronte e iniziò a picchiettarla finché Orion non lo prese in mano e lo aprì divertito.
Sulla carta lilla svettava la tondeggiante e morbida calligrafia della signora Hudson: Sono ai Tre Manici di Scopa e tornerò sta sera. Ci sono dei biscotti nel forno. Baci belli.
Grato per le materne attenzioni della signora Hudson, Orion si recò velocemente in cucina e in un attimo riempì un piatto di porcellana  di biscotti bollenti e profumati. Con l’acquolina in bocca salì le scale, inclinate quanto tutto il resto della casa, che portavano all’ultimo piano e con stupore si accorse che il cuore aveva preso a battergli più velocemente. Scosse la testa senza speranze, si stava trasformando in una ragazzina ormai.
Con l’aiuto del piede sinistro aprì la porta ed entrò nella stanza che ormai da qualche tempo gli era diventata così famigliare.
La luce, che entrava dall’ampia vetrata, rendeva ancora più luminosa la camera le cui pareti erano state dipinte di giallo. A ridosso di una di queste stava un imponente letto a baldacchino i cui colori chiari andavano a contrastare con il pianoforte a coda, nero come la pece, che riposava tranquillo nell’angolo opposto.
Orion ispirò l’odore di pulito della stanza che si mischiava a quello del fuoco del camino e a quello di…
All’improvviso sentì una morsa gentile stringerlo da dietro e lui per poco non lasciò cadere a terra il piatto di biscotti.
“Hanno un buon profumo.” Gli sussurrò all’orecchio una voce famigliare. “Quasi meglio del tuo.”
Orion, imponendo al suo cuore di smettere di martellargli nel petto così forsennatamente, si voltò. “Stai dicendo che profumo come un biscotto al cioccolato, Oliver?”
Il ragazzo biondo strofinò il proprio naso contro il suo. “È per questo che ho detto quasi.”
Lui non poté fare a meno di sorridere come un ebete, era incredibile l’effetto che Oliver aveva su di lui. Fin dalla prima volta che l’aveva visto si era sentito liquefarsi in un istante e da allora le cose non erano molto cambiate. Perfino in quell’ esatto momento Orion poteva avvertire con precisione qualcosa nel suo petto iniziare a sciogliersi.
“Vuoi?” gli offrì uno dei biscotti, in un vano tentativo di darsi un contegno.
“Mi sei mancato.” Disse l’altro in tutta risposta, ignorando la sua gentile offerta.
Anche a lui era mancato, in ogni singolo dannatissimo istante in cui non aveva potuto vederlo o parlarci.
I momenti peggiori erano sempre quelli durante le lezioni che avevano in comune: le aspettava con la stessa maniacale trepidazione con cui i bambini attendono la mattina di Natale per aprire i pacchi sotto l’albero, l’unica differenza era che lui il suo regalo non poteva aprirlo, al massimo gli era consentito ammirarlo da lontano.
 La sua settimana ruotava intorno a quelle misere ore che trascorreva a guardarlo con la coda dell’occhio, a contare ogni suo respiro, mentre le crudeli lancette sembravano fare a gara ogni volta per girare più velocemente.
Poi, in un soffio, erano passate e tutto il gioco ricominciava da capo.
Avevano provato all’inizio a stare insieme fingendosi solo amici, ma non aveva funzionato. Troppe parole non dette, troppi gesti trattenuti e sguardi nascosti.
Era meglio così: essere se stessi in pochi momenti rubati e poi fingere per il resto del tempo. In fondo, come Orion continuava a ripetersi nei momenti di sconforto, il gioco valeva la candela perché nelle ore passate con Oliver gli sembrava di comprendere finalmente appieno il significato di felicità.
Oliver prese un biscotto e iniziò a mordicchiarlo. “A cosa pensi?”
“A te.” Rispose Orion, subito pentendosi della sua sdolcinata risposta.
L’altro lo guardò serio, sedendosi sul bordo del letto. “Sai, mi piacerebbe andarci con te al ballo.”
Lui, con un sorriso triste, gli si sedette affianco, dopo aver abbandonato i biscotti sul tavolino di legno.
Gli passò un braccio intorno alla vita e si strinse contro di lui. “Anche a me, ma è troppo pericoloso. Credo che papà mi ucciderebbe senza pensarci su due volte. È stato già abbastanza difficile convincerlo a farmi tornare a Hogwarts quest’anno.”
Oliver affondò il viso nei suoi capelli e Orion, senza bisogno di vederlo, seppe che stava fremendo di rabbia.
“E poi lo sai anche tu che quello che è successo a Toby Finch due anni fa non è stato un incidente.”
L’ex capitano di Quidditch di Corvonero era stato sbalzato giù dalla sua scopa quando si trovava a centinaia di metri di altezza ed era successo a causa dei suoi gusti sessuali più che per mera competitività, lo sapevano tutti. Il ragazzo era stato a tanto così dalla morte e Orion non ci teneva a seguire le sue orme.
“Non è per quello.” Gli rispose l’altro, sciogliendosi dal suo abbraccio e stendendosi sul letto con gli occhi chiusi. “È per il dopo.
Lui capì subito a cosa si riferiva. Dopo. Orion aveva un matrimonio combinato che impendeva sopra la sua testa come una ghigliottina pronta a scattare e il boia erano i suoi stessi genitori. Quando sua sorella aveva urlato, puntato i piedi, minacciato il suicidio e fatto scappare i futuri suoceri, lui non aveva più potuto sottrarsi.
“Perché lo fai?”
Orion aveva perso il conto di tutte le volte che Oliver gli aveva fatto questa domanda, prima arrabbiato, poi deluso infine implorante. La sua risposta non era mai cambiata. “Devo. Anche tu lo faresti se fossi nella mia situazione.”
La situazione più precisamente era rappresentata dal devastante stato economico dei suoi genitori. La famiglia della sua futura sposa era ricca e li avrebbe salvati dal lastrico. Per quanto a tratti li odiasse con tutto se stesso, non sopportava l’idea di loro obbligati a chiedere l’elemosina a Notturn Alley.
“E poi in fondo non cambia molto, no? Se non lei alla fine sarebbe un’altra che non potrò mai amare.” Concluse lasciandosi cadere indietro.
Oliver si girò sul fianco e lo guardò, perforandolo con i suoi occhi scuri. Ora le loro fronti si toccavano. “Sposa me.”
Lui spalancò gli occhi per la sorpresa, questo non gliel’aveva mai detto. “Devo prenderla come una proposta ufficiale Oliver?” chiese sorridendo.
L’altro si avvicinò quel poco che bastava per baciarlo piano. Quando le loro labbra si separarono, finse di pensarci sopra. “Si, direi di si.” Concluse, facendogli l’occhiolino.
Per un attimo Orion si immaginò un loro improbabile futuro: insieme, magari in un bel posto sul mare, con una casa tutta per loro. Ovviamente l’avrebbe arredata lui, Oliver era assolutamente pessimo nell’abbinamento dei colori.
Ma la realtà ci mise un secondo solo per frantumare le sue fantasie e un peso gli si formò nel petto.
Oliver capì senza bisogno di parlare e gli passo una mano gentile sulla guancia.
“Ehi, non fare così. Lo so che è impossibile, però volevo chiedertelo lo stesso.”
Orion pensò che la vita era profondamente ingiusta: era riuscito a trovare la persona giusta tra tutte quelle che popolavano il mondo e ora non poteva passarci il resto della sua vita. Sentiva che c’era qualcosa di sbagliato in questo, era come gettare via un dono che qualcuno aveva voluto fargli.
Solo perché erano due ragazzi.
Aveva provato a guardare la cosa dalla prospettiva degli altri, ma davvero non aveva capito cosa ci fosse di così sbagliato, loro si amavano, non era questa la cosa importante. A tutto l’odio e la violenza di quel periodo gli sembrava che loro avessero aggiunto qualcosa di buono, e allora perché punirli?
Perché obbligarli a fare tutto di nascosto come fossero ladri? Qual’era la loro colpa, il loro crimine?
Orion ci ripensò, le persone erano ingiuste.
Non la signora Hudson però. Lei li aveva scoperti a baciarsi contro un albero l’anno precedente e si era subito offerta di ospitare i loro incontri clandestini in casa sua. Era una Maganò, sapeva cosa voleva dire sentirsi diversi ed emarginati.
Orion lo guardò, quasi implorante. “Ma continueremo a vederci, vero?”
Questa volta Oliver fece un grande sorriso che a Orion, per un attimo, sembro illuminare tutta la stanza. Poi si disse che quelli erano pensieri degni di una dodicenne alle prese con la sua prima cotta, per cui tentò di arginarli.
“Né tuo padre né quella megera della tua futura moglie riusciranno ad impedirmi di vederti, dovessi anche volare su una scopa!”
Al pensiero di Oliver su una scopa, Orion non poté fare a meno di ridere, le uniche volte che ci aveva provato era finito prima appeso al ramo di un albero e poi era riuscito a fare irruzione nell’aula di Occlumanzia passando per la finestra, fortunatamente aperta,  e provocando il caos generale. Insomma, non era proprio uno dei suoi talenti.
“Non ti facevo così coraggioso.” Lo prese in giro.
“Beh, diciamo che ho un lato Grifondoro nascosto.” Ribattè l’altro.
Orion gli passò una mano tra i capelli biondi, scompigliandoglieli tutti. “Davvero, a volte mi chiedo come abbia fatto ad innamorarmi di un Tassorosso.”
“Oh si, forse tuo padre si è arrabbiato per questo, perché sono un Tassorosso e non perché sono un ragazzo.” Propose l’altro con una punta di acidità nella voce.
Orion pensò che il modo migliore per ribattere al suo sarcasmo fosse con una cuscinata in piena faccia e così fece, dando inizio ad una vera e propria lotta.
In breve tempo i due furono sommersi da una pioggia di candide piume e, mentre Oliver iniziava a slacciargli la camicia, Orion si ritrovò a sperare che la signora Hudson non rientrasse prima del previsto.

Tre volte picchio Hermione con forza alla porta, prima che la gigantesca persona di Hagrid le apparisse davanti.
“Si?” chiese con un’espressione che era un misto di sospetto e curiosità.
“Ho dimenticato i guanti.” Ripetè lei con il fiatone per la corsa.
Non appena entrò nella stanza dovette appoggiarsi ad una sedia, decisamente non era più in forma come una volta.
Hagrid aveva già iniziato a spostare i cuscini del divano per aiutarla a cercare i suoi guanti, ma lei sapeva che non ce n’era bisogno.
Non aveva dimenticato niente.
“Non credergli.”
Il Guardiacaccia si voltò con aria confusa a guardarla.
“Non credere ad una parola di quello che ti ha detto o di quello che ti dirà.”
“Io non capisco, tu non er…” borbottò l’altro.
“Tom Riddle non ha un cuore, ti userà e basta per ottenere ciò che vuole.”
Hagrid non rispose ma sembrò aver capito almeno in parte quello che lei stava cercando di dirgli in un ultimo disperato tentativo.
“Non permettergli di entrare in contatto con i giganti.”
Il silenzio calò tra loro ed Hermione capì di aver parlato abbastanza, con un ultimo cenno del capo uscì dalla casupola alla stessa velocità con cui era entrata.
Il giovane Voldemort la stava aspettando seduto sul tronco di un triste albero abbattuto e quando la vide si alzò, spolverandosi accuratamente i pantaloni.
“Ci hai messo molto.” Asserì indagatore.
“Si erano infilati sotto il divano.” Lo liquidò lei, evitando di incrociare il suo sguardo.
Annuendo, il ragazzo riprese a camminare, immerso silenziosamente nei suoi pensieri. Hermione dopo qualche istante riuscì a rilassarsi, finalmente aveva fatto qualche passo avanti e, se Riddle non fosse riuscito a mettersi in contatto con i giganti, avrebbe potuto sentirsi soddisfatta. Certo, le restavano ancora un sacco di cose da fare, impedire all’erede di Serpeverde di lacerare la propri anima non sarebbe stato facile, ma in quell’istante le venne facile essere positiva.
“Dici che ci aiuterà?” tastò il terreno delicata.
Il ragazzo si fermò vicino alla superficie del Lago Nero ad osservare la propria immagine riflessa. Un manto nebbioso stava iniziando a dipanarsi intorno ad Hogwarts, tanto che i confini della Foresta Proibita apparivano incerti e sfuocati.
“È abbastanza idiota da farlo.” Commentò lui, chinandosi a raccogliere una lucida e tondeggiante pietra grigia.
Hermione tirò un calcio ad un mucchio di foglie secche e aspettò qualche secondo prima di rispondergli, riempirlo di insulti non le sembrava davvero il caso.
“Quindi avremo l’appoggio dei giganti. Bene.” Commentò, recitando la parte che si era scelta.
Il ragazzo spostò il peso del corpo leggermente all’indietro e con la crudele eleganza che lo contraddistingueva lanciò la pietra più lontano che poté.
Con un suono scuro il sasso infranse l’immobile superficie del lago e affondò nelle sue acque cupe.
“A quanto pare.”
“Pensavo saresti stato più contento.”
Tom Riddle si chinò per raccogliere un'altra pietra e poi si voltò verso di lei.
“Hagrid è solo una delle pedine, Evans, non canto vittoria per così poco.”
Hermione gli si avvicinò, notando che alla pallida luce autunnale il viso del ragazzo appariva ancora più emaciato e livido. Gli zigomi sporgevano in maniera quasi preoccupante e due occhiaie violacee gli incorniciavano gli occhi, probabili sintomi degli incubi di cui Nott le aveva parlato.
“Perché c’è tutto quell’astio tra te e Hagrid?”
Lui soppeso la pietra tra le mani ma aspettò a lanciarla.
“Credevo te l’avessero già detto.”
“Molto vagamente.”
Tom annuì in maniera impercettibile ma non sembrava propenso a rispondere alla sua domanda.
“Sembrava sincero.” Commentò lei. “Quando ha detto che il suo ragno non avrebbe fatto del male a nessuno, intendo.” Aggiunse, cercando di indovinare cosa passasse per la testa dell’altro.
“Dove vuoi arrivare Evans?” le chiese, guardandola con uno sguardo famelico.
“Da nessuna parte, mi stavo solo chiedendo come hai fatto ad essere così sicuro della sua colpevolezza.”
Il giovane Voldemort lasciò cadere la pietra che, rovinando a terra, provocò uno stridente frastuono. Fece un passo verso di lei, avvicinandosi pericolosamente.
“Cosa ti hanno detto?” sibilò, riducendo gli occhi a due fessure.
Lei indietreggiò.
“Cosa mi ha detto, chi?”
Lui rise, di una risata roca e agghiacciante.
“Credono che non me ne accorga,”aggiunse, mentre la mano destra incominciava a tremargli leggermente,”ma io li sento, i loro sussurri. Senza neanche degnarsi di verificare i fatti hanno puntato il dito contro di me. C’erano prove contro Hagrid eppure nessuno di loro ci ha mai creduto. ‘E’ stato Tom Riddle’.
Hermione era immobilizzata dalla ferocia del suo sguardo e, mentre il giovane Voldemort sputava veleno, non si accorse che sulla piatta superficie del lago avevano iniziato a disegnarsi cerchi concentrici e piccole onde si infrangevano contro i loro piedi.
“E-ed è vero?”
La mano del ragazzo scattò in avanti e le strinse il polso in una gelida e ferrea morsa. Hermione sobbalzò a quel contatto improvviso ma continuò a rimanere immobile, anche quando lui si avvicinò ulteriormente.
“Ha mai avuto importanza la verità, Evans?” le sussurrò e per un attimo ad Hermione sembrò di sentire nella sua voce un tono di velata accusa.
Tom stringeva sempre con più forza il suo polso, tanto che cominciava a formicolarle fastidiosamente la mano, e il suo corpo sembrava completamente proteso verso di lei. Hermione aveva perso la concezione del tempo, era minuti o solo secondi quelli che erano passati silenziosi?
“Quando ti danno il permesso di essere un mostro, alla fine finisci per diventarlo.” Disse, più a se stesso che a lei.
Il ragazzo le lasciò il polso e per un pericoloso istante sembrò perdere l’equilibrio, poi barcollando si ritrasse.
“Che differenza fa quindi?”
Hermione per un attimo credette  di aver capito male, perché sapeva che Tom Riddle era malvagio, ma quello che aveva detto rasentava la stupidità.
“Che differenza fa?” ripetè piano poi alzò improvvisamente e coraggiosamente il tono di voce. “Fa tutta la differenza del mondo! E il fatto che tu non lo capisca mi fa quasi avere pietà di te Tom Riddle.”
Il ragazzo raddrizzò le spalle evidentemente sorpreso per quelle parole ed Hermione trattenne il fiato, in attesa di una sua reazione.
Il giovane Voldemort piegò leggermente la testa su un lato e la scrutò, quasi a soppesarla. Poi un sorriso malvagio si fece strada sulle sue labbra. “Pietà?” sibilò.
Solo in quell’istante Hermione si accorse che una densa coperta di nebbia li aveva ormai quasi completamente avvolti. Si girò di scatto, Hogwarts era stata già stata fagocitata.
Un secondo dopo avvertì un improvviso movimento alle sue spalle che la obbligò a voltarsi velocemente, appena in tempo per vedere il giovane Voldemort trascinato verso il Lago Nero da un lungo viscido tentacolo.
La borsa del ragazzo giaceva abbandonata e aperta lì, dove fino ad un istante prima c’era lui, e la sua bacchetta era poco distante.
Mentre una decina di fogli, ricoperti di inchiostro nero, volteggiavano sopra la sua testa andando a posarsi su quella nera superficie, Hermione si tolse con un gesto secco le scarpe si puntò la bacchetta contro il viso. Non appena sentì l’incantesimo Testabolla fare effetto si tuffo nel gelido abbraccio del lago, lasciando che le parole di Tom Riddle venissero cancellate dall’acqua.
Nonostante le correnti fossero così torbide da impedirle una visuale precisa, Hermione continuò a nuotare con foga, cercando di non pensare al fatto che era la vita del giovane Voldemort che stava andando a salvare.
Lunghe alghe le lambivano le caviglie, ostacolandola ulteriormente, e sentiva la temperatura abbassarsi sempre di più. Doveva sbrigarsi.
All’improvviso, quasi in risposta alle sue mute preghiere, intravide con la coda dell’occhio un’enorme massa scura, aveva trovato la fantomatica Piovra Gigante. Il mostro non sembrava essersi accorto della sua presenza e continuò indifferente la sue lenta discesa negli abissi. Lei , con un sollievo che la stupì, intravide tra i grossi tentacoli il corpo privo di sensi di Tom Riddle, un sorrisetto le stirò le labbra, in fondo avrebbe dovuto aspettarselo da lui: era stato così previdente e veloce da fare su di sé lo stesso incantesimo di Hermione.
La ragazza sapeva di aver poco tempo a disposizione quindi fece la cosa più immediata, e probabilmente la più stupida, che le venne in mente: scagliò un incantesimo con il tentacolo in cui era invischiato il giovane Voldemort.
Sid the Squid non dovette gradire particolarmente la cosa, perché subito lasciò andare il ragazzo e protese i suoi lunghi tentacoli verso di lei.
Alla vista del corpo di Tom, che scendeva lento nell’oscurità di quei fondali, Hermione sobbalzò e immediatamente si lanciò nella sua direzione, evitando con facilità i colpi della piovra, che in tutti quegli anni di assoluto riposo doveva avere perso le sue abilità predatorie.
Solo un attimo di ritardo e il nome di Tom Riddle sarebbe stato cancellato dal libro della vita, tutti si sarebbero in breve dimenticati di lui e il mondo non avrebbe mai saputo il terribile rischio che aveva corso, ma Hermione gli afferrò la mano e con tutta la forza che aveva in corpo riuscì a trascinare entrambi fuori da quelle acque gelide.
Hermione, sfinita e con ancora nelle orecchie le ruggenti grida della piovra, posò a terra il corpo privo di sensi del ragazzo.
Tentò un incantesimo per farlo respirare ma, quando dalla bacchetta tremante uscì solamente un sbuffo di deboli scintille azzurre, capì che avrebbe dovuto ricorrere ad un altro sistema.
“Aiuto!” urlò alla nebbia, pienamente consapevole del fatto che nessuno avrebbe potuto sentirla. “Qualcuno mi aiuti!” tentò di nuovo.
Dopo qualche istante di tombale silenzio con mani incerte e con uno strattone fece saltare i bottoni della camicia appiccicosa e iniziò a comprimergli il petto con forza.
Uno. Due. Tre. I muscoli delle braccia le dolevano e lo sforzo stava iniziando a darle il capogiro. Quattro. Cinque. Sei. Sette.
Ad un certo punto smise le compressioni, delicatamente gli strinse il naso tra due dita e con la mano libera gli aprì la bocca.
Le sue labbra erano mortalmente fredde ma Hermione non ci fece caso e soffiò la sua aria dentro di lui per tre volte prima di ricominciare le compressioni.
Dopo qualche minuto si fermò esausta, con il cuore che le batteva all’impazzata e senza più fiato.
Forse era meglio così, pensò prendendosi la testa tra le mani. Il giovane Voldemort era morto e non era stata lei ad ucciderlo.
Ma il momento di Tom Riddle non era ancora arrivato, perché mentre lei si stava alzando per andare a chiamare finalmente qualcuno il ragazzo inaspettatamente si mosse.
Tom si girò a fatica su un lato e iniziò a vomitare l’acqua che aveva bevuto quando il suo incantesimo si era rotto, accompagnato da violente convulsioni. Se fosse stato un altro lei probabilmente si sarebbe avvicinata per aiutarlo ma, vista la situazione, rimase dov’era.
Il ragazzo si puntellò con i gomiti e si tirò a sedere, ansimando. I suoi occhi grigi, ora iniettati di rosso,saettavano da una parte all’altra, evitando accuratamente di guardare Hermione.
“Perché l’hai fatto?” le chiese, guardando fisso verso la superficie nera del lago, che nel frattempo era tornata tranquilla.
Lei lo guardò stranita. “Fatto cosa?”
“Non credo di essermi tirato fuori dal lago da solo, Evans.” Commentò prima di essere bloccato da un attacco di tosse.
“Hai bisogno di un motivo?”
“Potevi morire.”
“Tu lo saresti stato di sicuro se non mi fossi tuffata.”
Tom spostò lo sguardo su di lei.
“Ho un debito nei tuoi confronti, Evans.”
Da lontano giunse ovattato il suono dei rintocchi del campanile di Hogwarts ed Hermione si alzò, rendendosi conto solo allora di tutto il tempo che era trascorso.
“Dovremmo andare ad avvisare il preside Dippet di ciò che è successo.”
Il ragazzo si alzò. “Non faremo niente del genere.” Disse lapidario.
“Sei stato quasi ammazzato da una piovra gigante e non hai intenzione di fare niente?” chiese lei senza parole.
Per ora non diremo niente, c’è qualcosa che non mi quadra.”
“Io non prendo ordini da te, Riddle.” Rispose lei, piccata.
“Consideralo un consiglio allora.” Ribattè lui, avvicinandosi con passi incerti al lago.
Hermione lo guardò incuriosita, non capendo cosa volesse fare.
La bacchetta del ragazzo disegno un cerchio deciso nell’aria e dall’acqua apparve una dimenante e viscida creatura.
“Ci stava spiando.” Spiegò il giovane Voldemort, osservando con disgusto la creatura sospesa a mezz’aria davanti a lui.
Hermione si avvicinò. “È-è una sirena?”
Lui annuì e poi agitò di nuovo la bacchetta. Il doloroso verso che la sirena produsse perforò i timpani di Hermione.
“Perché cui spiavi, ripugnante essere?”
La creatura si contorceva, emettendo flebili lamenti. Riddle la colpì di nuovo.
“N-non… v-i spiavo.” Gemette dopo poco, con voce stridula.
“Non mentirmi.”
La sirena si graffiò per il dolore la pelle verdastra del viso fino a farla sanguinare.
“H-ha detto che l’avrebbe uc-uccisa.” Disse piangendo.
“Chi?”
“M-mia sorella, l’ha presa..l’ha presa.”
Tom Riddle scambiò uno sguardo con lei.
“Chi ha preso tua sorella?”
La sirena aveva iniziato a singhiozzare, tirandosi i lunghi capelli biondi.
Il ragazzo era impaziente. Un altro urlo.
“CHI?”
La creatura si abbracciò, quasi a volersi rassicurare.
“N-non lo so… lui è venuto di notte…non ho visto…” disse tirando su col naso. “H-ha detto che l-l’avrebbe ammazzata… la Piovra...d-dovevamo svegliarla…d-doveva uccidere…”
“Doveva uccidere chi?” chiese lui, stringendo la mascella.
“T-te.”
Hermione non aveva mai visto alternarsi sul viso del giovane Voldemort così tante emozioni. Sorpresa, sospetto, rabbia.
Il ragazzo urlò e iniziò a colpire, senza più alcun freno, la creatura inerme.
Lei non poté sopportare un secondo di più quel crudo spettacolo e con una forza, che sorprese lei per prima, gli bloccò il braccio.
L’incantesimo si ruppe e la sirena, con un tonfo sordo, ricadde in acqua e subito si dileguò nell’abisso.
Tom rimase immobile mentre lentamente il suo viso tornava impassibile, poi si girò e allungò il braccio sinistro verso di lei.
Prima che Hermione potesse fare niente per impedirlo, le lunghe dita del giovane Voldemort si chiusero sulla sua gola, iniziando a stringerla sempre di più.
“Non. Osare. Fermarmi. Mai più.”
Hermione sentì che le ginocchia iniziavano e aprì la bocca alla ricerca di aria.
“Non metterti contro di me Evans.”
Lei si aggrappò alla sua mano, cercando di fargli allentare la presa.
“O ti spazzerò via.”
Finalmente la lasciò andare e lei si accasciò a terra, massaggiandosi la gola.
Il ragazzo si chinò su di lei e si avvicinò al suo viso, con una delicatezza stridente le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Non obbligarmi a ripetertelo di nuovo.” Le sussurrò.
Hermione chiuse gli occhi disgustata, mentre un brivido le correva lungo la schiena, quando li riaprì lui era scomparso.


Tom Riddle, dopo essersi guardato con sospetto intorno, entrò nel dormitorio, lanciò le sue cose per terra e si chiuse a chiave in bagno.
Iniziò a camminare avanti e indietro per cercare di pensare lucidamente. Avanti e indietro per calmare il suo respiro.
Nella sua mente riordinò ogni istante, come fossero foto, per tentare di ricostruire con maniacale precisione quello che era appena successo.
Ma l’unica cosa che continuava a tornargli in mente erano gli occhi della ragazza, grandi e scuri, ricolmi di una muta accusa e nessuna paura.
Scosse a testa e si appoggiò al lavandino bianco. Qualcuno aveva tentato di ucciderlo, doveva rimanere concentrato su quello.
Strinse il bordo lucido del lavandino  fino a far sbiancare le nocche delle mani, mentre le sue spalle iniziavano a tremare convulsamente.
Lasciò fluire la rabbia liberamente, era così facile non opporre resistenza, mentre i volti dei probabili colpevoli si susseguivano davanti ai suoi occhi. Chiunque avesse osato compiere un gesto del genere l’avrebbe pagata cara, l’avrebbe trovato, l’avrebbe torturato e poi…
Improvvisamente alzò la testa e il suo sguardo incontrò quello del ragazzo riflesso nello specchio.
Gli occhi grigi erano ridotti a viperine fessure e la pelle era talmente tirata e livida che sembrava bastasse un movimento improvviso per lacerarla, Tom si guardò e non si riconobbe. L’immagine gli restituì un ghigno malvagio e lui vide in se stesso la creatura dei suoi incubi, e gli sembrò di sentire di nuovo il suo fiato gelido sulla pelle. Di cosa hai paura, Tom?
Sbattè più volte le palpebre ma lo specchiò continuò a restituirgli l’immagine di quell’agghiacciante essere. Un sudore freddo iniziò a colargli lungo il collo, si staccò dal lavandino. Sicuramente la sua immaginazione gli stava giocando qualche strano scherzo, pensò respirando pesantemente, e la stanchezza ci stava mettendo del suo. La creatura continuava a sorridergli, doveva uscire da lì, doveva mettersi a letto e dormire un po’, doveva…
Infinite schegge di vetro ricoprivano ora il pavimento, luccicando fiocamente. Tom le guardò, per un istante come incantato da quel sinistro spettacolo, poi spostò l’attenzione sulla propria mano. Il palmo era decorato da lunghi e profondi tagli, da cui scorreva del sangue. Mentre il suo respiro andava lentamente calmandosi, il ragazzo si sedette a terra, tra quei frammenti di specchio che finalmente riflettevano la sua vera immagine. Chiuse gli occhi e si concentrò sul sangue pulsante che gli scorreva lungo le dita. Era così veloce, quasi avesse fretta di lasciare il suo corpo. Gli ricordò il ritmo del cuore della ragazza, quando l’aveva presa per la gola. Gli era sembrato di stringere tra le dita un delicato pettirosso, gli sarebbe bastato un niente, una pressione un poco maggiore, una stretta più prolungata e lei non ci sarebbe stata più. Così fragile.
Si era raggomitolato nel mezzo di una grande felce, uno dei suoi nascondigli preferiti, sperando che nessuno lo avrebbe cercato lì. Dopo lunghi istanti di solitudine sentì le voci dei suoi compagni poco distanti, si fece ancora più piccolo. Non aveva voglia di vederli, né che loro vedessero lui. Lo sapeva che l’avrebbero fatto di nuovo e quel giorno non era dell’umore giusto per le loro prese in giro. I bambini si fermarono a pochi metri da lui.
“Come andato l’incontro dello strano?”
“Nessuno se lo prenderà mai, cosa credi?”
Tom si tappò le orecchie con le mani, con tanta forza che le sue unghie si conficcarono nella pelle.
“Io invece mi vengono a prendere domani.2” Dichiarò qualcuno orgogliosamente.
Ci fu un tramestio, poi un misterioso“Guardate cos’ho acchiappato!” e infine delle risate mischiate a degli squittii.
La campanella della cena.
Quando fu sicuro di essere solo Tom Riddle uscì dal suo nascondiglio, togliendosi dai capelli i rametti secchi che vi si erano impigliati.
Si avvicinò curioso all’oggetto che i suoi compagni avevano abbandonato: un bianco coniglietto. Quando il bambino lo prese tra le mani non fece segno di voler scappare e in un attimo lui si accorse che aveva due zampe rotte.
Tom chiuse le mani a coppa sull’animale e se lo avvicinò al petto, il suo battito era così delicato che gli ricordava il frullo d’ali degli  uccelli, di reale sembrava avere così poco.
Lo accarezzò per un po’ sentendo sotto le dita le sue fragili ossicina, con pochissimo sforzo avrebbe potuto romperle, ma il coniglio aveva già due zampe spezzate, non ne valeva la pena.
Lo sguardo di Tom si sposto sull’imponente nero cancello che circondava il collegio, poi avvicino l’animaletto alla sua bocca.
“Ti posso liberare io.” Gli sussurro.
Come faceva di solito chiuse forte gli occhi per un secondo stringendo forsennatamente la mascella, li riaprì e fisso il coniglio. Dopo qualche istante, l’animale iniziò a levitare davanti a lui, su sempre più su fin quasi a superare l’alto cancello per arrivare dall’altra parte.
“TOM!” la voce di una delle sorveglianti lacerò il silenzio. “Tom dove ti sei caccia…”
La donna urlò, mentre il sangue del coniglietto bianco scorreva lungo le inferriate, lì dove era stato trafitto.
Tom chiuse gli occhi mentre la donna lo trascinava via, maledicendolo, e gli sembrò quasi di sentire il battito del coniglietto ancora sulle sue mani.
Delle voce provenienti dalla Sala Comune lo costrinsero ad aprire gli occhi, le ferite avevano quasi smesso di sanguinare e si sentiva tutto il braccio dolorante.
Si guardò intorno e, frastornato dal presente e dal passato, si alzò in piedi. Con un colpo di bacchetta risistemò lo specchio, evitando accuratamente di guardarsi, pulì il sangue e cercò di sistemare le ferite, mentre pensava che avrebbe fatto meglio ad andare in fretta al banchetto, o il suo ritardo avrebbe destato qualche sospetto.
Dopo essersi cambiato, il giovane Voldemort fece il suo ingresso nella Sala Grande, ben attento a nascondere la mano bendata sotto la lunga manica nera della divisa.
Senza dire una parola scivolò nel posto che Vàli gli aveva lasciato libero e ostacolò ogni tentativo del ragazzo di fare conversazione, quella sera non aveva voglia di essere affascinante.
“Tom?”
Il ragazzo alzò gli occhi dal piatto, che era praticamente ancora intonso. “Mm?”
“Tutto bene?” chiese Vàli, ingurgitando in maniera tutt’altro che elegante il suo succo di zucca.” Sei strano anche per essere tu sta sera.”
“Tutto bene.” Fu la sua laconica risposta.
L’altro lo guardò scettico per alcuni istanti, ma il suo ostinato silenzio lo costrinse a desistere e preferì lanciarsi in una conversazione sulla sua agghiacciante esperienza a Mielandia con il vicino.
Mentre Tom aveva iniziato a fare a pezzi il pane che aveva di fronte, una ragazzina di Tassorosso, presumibilmente del primo anno vista l’altezza, entrò nella sala urlando.
Il tramestio confuso che vi regnava si acquietò all’istante e tutti la fissarono.
“C’è…c’è u-una…” balbettò, indicando con il dito un punto imprecisato fuori dalla Sala Grande.
Il Prefetto della sua casa si alzò per cercare di calmarla, mentre Tom si alzava un po’ dalla panca per vedere meglio.
La ragazzina iniziò a singhiozzare confusamente, ma ad un certo punto un’esclamazione si udì chiara e forte. “È-è m-morta…”
Fu un attimo, tutti si alzarono contemporaneamente e si diressero verso il punto indicato da lei, ignorando gli ordini di Prefetti ed insegnanti.
Il giovane Voldemort  fu il più svelto di tutti ed in un attimo si ritrovò nell’atrio. E lì, fluttuante a mezz’aria sopra di lui, la vide.
Una sirena dai lunghi capelli biondi, sporchi di terra e foglie, levitava a testa in giù, senza più vita.
Tom si avvicinò per guardarla meglio. La coda squamata mandava deboli bagliori e il ventre liscio era ricoperto di lividi e ferite. Una fra tutte svettava, rossa e gonfia, incisa nella carne intorno al suo ombelico. Riconobbe subito quel simbolo. Un triangolo, un cerchio, un'asta. Il simbolo di Grindelwald.
Tom Riddle fece un passo indietro, mentre intorno a lui si andava radunando il resto della scuola. Impassibile si voltò e cercò tra la folla lo sguardo di Hermione Evans.

Note:
1 K.Gibran
2 Lo so che la frase è sgrammaticata, ma è un bambino di otto anni che sta parlando, concediamogli qualche errore!

Allora. Mi scuso per l'imperdonabile ritardo con cui posto questo capitolo, purtroppo la maturità si avvicina e insieme a lei anche alcuni temibili esami di ammissioni per l'università, quindi il mio tempo per scrivere è praticamente nullo.
Vi avviso già che, causa studio, il prossimo capitolo avrà una gestazione presumibilmente lunga quanto questo, vi chiedo scusa in anticipo!

Ringrazio tutte le meravigliose ragazze che hanno recensito i capitoli precedentementi ( questa volta non vi nomino perchè devo uscire fra tipo tre minuti da casa, scusate!), grazie grazie grazie!

Per chi avesse voglia ho pubblicato una raccolta di drabble (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=902298&i=1) e un missing moment su Vàli/ Minnie (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=917998&i=1), se avete voglia e tempo fatemi sapere cosa ne pensate!
(Un grazie particolare alle fantastiche persone che le hanno recensite, i vostri commenti mi hanno fatto davvero tanto piacere)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Un abbraccio e a presto (spero),

Blityri



P.s. Ditemi la verità, di Orion ve l'aspettavate? Cosa ne pensate di questa nuova coppia?

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Capitolo 10
*** IX ***


“And all of the ghouls come out to play
And every demon wants his pound of flesh
But I like to keep some things to myself
I like to keep my issues drawn
It's always darkest before the dawn”1


 

2 Novembre 1944. Hogwarts

Un’ombra era calata cupa su Hogwarts, insinuandosi furtivamente all’interno del castello ed elevando tra gli studenti muri di paura e sospetto. Di nuovo e troppo presto Silente si ritrovò ad ammettere che la scuola non era un luogo sicuro, c’era una falla che nessuno di loro era riuscito ad arginare, una crepa che allargandosi avrebbe trascinato tutti loro in una spirale di morte. E il loro più grande e sottovalutato fallimento si trovava in quella stessa stanza, seduto davanti al preside. Tom Riddle guardava davanti a sé, gli occhi sfuggenti e segreti, e non diceva nulla.
Con un sospiro distolse lo sguardo dal mare di nebbia  fuori dalla finestra e riprese a prestare attenzione alle parole di Armando. Il preside era convinto che c’entrasse Grindelwald aveva riconosciuto il simbolo, nessun altro avrebbe rischiato di scatenare la sua ira firmandosi in quel modo, doveva essere tornato in Inghilterra. Il suo ragionamento era irreprensibilmente logico ma Silente sentiva che si stava sbagliando, aveva conosciuto Gellert abbastanza bene da poter affermare che quella messa inscena non fosse nel suo stile. Era un raffinato cultore della bellezza, lo era sempre stato, e non avrebbe mai deturpato in quel modo una creatura tanto delicata come una sirena. In più fonti sicure lo davano nascosto come un topo in un bunker in Germania, troppo lontano dunque per riuscire ad intrufolarsi ad Hogwarts. Sospirò di nuovo, non riuscendo a lenire con questi razionali pensieri il suo strisciante senso di colpa, chiunque fosse stato rimaneva sul corpo tumefatto di quella povera sirena il simbolo di Gellert, e lui non si sarebbe mai, mai perdonato il fatto di non averlo fermato quando ne aveva avuto l’occasione.
L’amore l’aveva portato a commettere uno dei suoi più grandi errori, lo aveva reso cieco e in balia dei folli piani di Gellert. Passione e desiderio di gloria erano stati per lui un miscuglio letale, ma la sua punizione lo era stata ancora di più e avrebbe portato la sua croce fino alla fine.
Il suo sguardo si posò sul giovane Tom, i cui lineamenti erano modellati in un’espressione di neutra apprensione, e pensò che con il suo disprezzo verso chiunque altro si era in qualche modo precluso quel genere di errori, ma forse ne aveva commessi di ben peggiori.
Di fianco a lui stava seduta Hermione Evans, rigida e fremente sull’orlo della sedia, che fissava ora il preside ora Tom senza dire una parola. Silente si stava convincendo che lei sapesse ben più di quello che dimostrava, ogni suo muscolo era contratto, sapeva ma non voleva parlare.
L’amore con lei aveva fatto un buon lavoro, per i suoi amici aveva deciso di tornare indietro per cambiare il futuro, lasciando ogni cosa con la consapevolezza che avrebbe anche potuto non esserci un ritorno. Più volte si era ritrovato a chiedersi perché il suo io del futuro avesse pensato a lei, certo era brillante, era coraggiosa, ma sarebbe bastato quello a bloccare la falla, a riparare la crepa?
Silente fece un passo verso di loro, con circospezione. Per quanto disperata la situazione sembrasse aveva notato degli impercettibili cambiamenti in Tom, niente di eccezionale ovviamente, ma c’era qualcosa di diverso in lui, c’era dell’interesse. Interesse verso qualcuno che non fosse se stesso, verso un’altra persona o più presumibilmente i misteri che nascondeva. Vago e indistinto certo, ma abbastanza da seguire la ragazza con lo sguardo quando non era con lui, da sedersi di fianco a lei a lezione. Queste sottigliezze non erano sfuggite all’occhio attento di Silente, e anche in quel momento notò che il corpo di Tom era leggermente inclinato verso quello della ragazza, tanto che le loro spalle si sfioravano. Dettagli certo, ma si sa, Dio è nel particolare.
Si passò una mano sulla barba che stava diventando sempre più lunga, un memento per il suo errore, l’avrebbe tagliata solo se e quando gli avrebbe mai posto rimedio.
“C’è qualcosa Tom, qualcosa che vorresti dirci?” chiese Silente, nonostante conoscesse già la risposta del ragazzo.
Il tagliente grigio dello sguardo di Tom lo trapassò e le sue labbra si stirarono in un accenno di sorriso compiacente, lasciando vedere i denti.
Silente era sempre stato affascinato dal fatto che quello che era universalmente riconosciuto da tutte le creature come un segno di avvertimento, fosse diventato per gli uomini un mezzo per esprimere la propria empatia. Ma non per Tom Riddle, il suo sorriso sembrava anticipare un cupo ringhio, un avvertimento al pericolo che teneva celato dentro di sé.
“Continua a farmi questa domanda professore, e la mia risposta non cambia. Perché dovrei dirvi qualcosa?”
La mente di Silente ritornò all’anno precedente, quando  si trovava in quella stessa stanza con lo stesso ragazzo davanti, il cui viso era allora deformato da una rabbiosa impotenza. Dovevano credergli, continuava a ripetergli con fare ossessivo, aveva trovato il colpevole, la scuola non avrebbe chiuso.
Gli avevano creduto e si erano pulite le mani sporche del sangue di quella ragazza sulla vita di un altro studente. La soluzione era facile e la crepa sempre più profonda.
“Dopotutto sei il Caposcuola, è lecito pensare che tu possa essere a conoscenza di cose che noi ignoriamo.”
“Non so niente professore.” Concluse Tom, mentre Hermione storceva la bocca.
I loro sguardi si fronteggiarono in una muta battaglia. Silente sapeva che il ragazzo stava mentendo e Tom conosceva quello che il professore era riuscito ad intuire. Un baratro insuperabile tra i due, un combattimento che aveva solo perdenti.
“In ogni caso la sorveglianza sarà raddoppiata.” Si intromise il preside Dippet. “ Gli insegnati prenderanno parte alle ronde notturne, faremo in modo che tutti i corridoi siano illuminati e che ogni ingresso, ogni finestra, ogni spiffero sia controllato. Se Grindelwald è là fuori non riuscirà ad entrare.” Concluse liquidando i due ragazzi con una mano.
Tom abbassò gli occhi educatamente e si alzò seguito da una titubante Hermione, mentre Silente faceva un passo indietro continuando ad osservarli.
Il ragazzo si alzò in fretta, si diresse verso la porta e, inaspettatamente, fece un passo di lato lasciando uscire prima la ragazza, poi venne inghiottito dall’ oscurità del corridoio.
 “Non è carino da parte tua Albus, metterlo sempre sotto pressione. Dopotutto Tom ci ha già aiutato una volta.”
Silente lo superò, senza una parola.
“Cosa diremo ai ragazzi, Armando?”
Il preside serrò la mascella. “La scuola è sicura. Se c’è qualcuno di pericoloso là fuori verrà presto catturato.”
E se il pericolo fosse stato all’interno, come avrebbero fatto ? Ma Albus non esternò le sue preoccupazioni.
“Se non ti dispiace mi ritirerei adesso, sono molto stanco.”
“Oh certo, certo. Vai pure, in ogni caso alcuni Auror saranno qui a momenti, discuterò con loro sul da farsi e poi ti informerò.”
Lui chinò la testa ed uscì dallo studio, lasciando il preside affannarsi nel cercare risposte.
A passi veloci attraversò i corridoi esageratamente illuminati, incontrando alcuni prefetti e Galatea che li pattugliavano con estrema precisione.
Silente scosse piano la testa, attanagliato dall’impotenza, mentre varcava la soglia delle sue stanze, scarsamente illuminate.
Il suo respiro si mozzò e i suoi arti si immobilizzarono alla vista di un’indistinta figura di uomo, seduta alla sua scrivania.
Gellert, gli sussurrò il suo cuore ma era da tempo che lui aveva smesso di ascoltarlo e, mentre l’uomo si alzava avvicinandosi velocemente, con un cenno della mano illuminò la stanza.
Gli occhi di Silente incontrarono così quelli verdi, cerchiati di blu, dell’intruso. Il suo sguardo era dolce e stanco e le sottili rughe ne accentuavano la malinconia. Non era Grindelwald.
Gli tese la mano. Una stretta decisa.
“Alastair, da quanto tempo.” Sussurrò Silente, sorpreso.
L’uomo continuò a tenergli la mano. “Secoli professore, secoli.”
Silente lo invitò a sedere e con un colpo di bacchetta mise dell’acqua a bollire, era sempre il momento giusto per un buon tè, poi si accomodò a sua volta.
“Dopo tutti questi anni, direi che è giunto il momento di iniziare a chiamarmi con il mio nome, che ne dici?”
Gli occhi dell’uomo sorrisero, e lui notò delle lunghe cicatrici rosse lungo il collo, nascoste in parte dal cappuccio blu.
“Le vecchie abitudini sono dure a morire.”
Silente lo osservò con attenzione quasi paterna, era stato uno degli alunni dei suoi primi anni di insegnamento e gli faceva impressione vederlo così invecchiato, il nero dei suoi ricci stava iniziando a tingersi di grigio.
“Non credevo avrebbero mandato te, non hai cose più importanti da fare sul continente?” chiese, mentre due tazzine fluttuavano verso di loro.
L’uomo non rispose subito, ma sorseggiò per qualche istante il tè, che sembrò dargli qualche forza.
“Dopo la mort…” si interruppe subito, chiudendo gli occhi. “Dopo l’ultimo attacco non abbiamo fatto molti progressi, siamo ad un punto morto.”
Silente annuì comprensivo.
“Ad essere sincero, credo mi abbiano voluto allontanare da lui, sai le solite stronzate per cui il privato non deve interferire con il lavoro.”
“Capisco. Mi dispiace per Richard, era un grande uomo.”
“Già.”
I minuti successivi passarono silenziosi, scanditi solo dal ticchettio di alcuni orologi che davano il ritmo ai pensieri dei due uomini.
“Armando ti aspetta da lui.”
“Volevo prima vedere te. Volevo sentire cosa ne pensi di questa faccenda.”
“Hai visto il corpo?”
“Gli ho dato un’occhiata qualche minuto fa. E te lo devo dire Silente, non è per niente il suo stile.”
Albus posò la tazzina smaltata di verde. “È quello che penso anche io.”
“Troppi altri lividi e ferite, non è così che lavora. E poi perché diavolo una sirena, non riesco a capire.”
Lui scosse la testa. “Ho il sospetto che qualcun altro sia dietro questa faccenda, Alastair, ma non riesco a capire chi.”
“Sicuramente qualcuno abbastanza in gamba da riuscire a trascinare un cadavere nell’atrio senza essere visto.”
“Abbastanza malvagio da fare quello che ha fatto, aggiungerei.”
“Come hai intenzione di muoverti?”
L’uomo poggiò con delicatezza la tazzina sulla scrivania, appoggiando il cucchiaino d’argento sul piattino. “Come al solito immagino. Insieme ai miei uomini setaccerò l’intero perimetro e credo sia il caso di fare qualche interrogatorio.”
“Ti converrà andarci cauto con le sirene, sono ancora molto scosse, fino ad adesso si sono rifiutate di dire una sola parola.”
Alastair sospirò e Silente vinte quanto era vicino dal crollare.
“Tu come stai?”
Due occhi tristi e gentili lo fissarono. “ Tutta quella morte, tutta quella distruzione, mi sembra di averla dentro le ossa Silente. Sento che mi  scorre dentro insieme al sangue. Non è una bella sensazione.”
“Forse dovresti fermarti per un po’, stare con Clarissa.”
Al nome della moglie le spalle dell’uomo si abbassarono, come schiacciate da un macigno invisibile.
“Il male non va in vacanza, non possiamo permetterci nessuna pausa. Non ora che siamo tanto vicini a prenderlo, è come un topo in trappola, guidato dalla disperazione. La disperazione offusca anche le menti più geniali, presto commetterà l’errore che gli sarà fatale.”
“Lo spero davvero Alastair, con tutto il cuore.”


Il silenzio era diventata una specie di costante tra di loro in quegli ultimi giorni, pensava Tom. La cosa non gli era dispiaciuta affatto inizialmente visto che sopportava a malapena le cinguettanti chiacchere delle ragazze, poi aveva capito che quello di lei non era affatto un buon silenzio. Era astioso, ribollente e pieno di disprezzo e la cosa aveva iniziato a disturbarlo, ma ancora di più lo indisponeva il fatto di non riuscire a superare con la sua solita impermeabile indifferenza la cosa.
Nonostante lei non avesse aperto bocca su quello che era successo il 31 Ottobre, Tom Riddle era turbato.
“Non hai detto niente.”
“Sei più perspicace del solito oggi Riddle.”
“Pensavo l’avresti fatto.”
La sua risposta gli arrivò come un impercettibile sussurro. “Anche io.”
Si voltò confuso a guardarla, mentre sentiva ancora quel turbamento, corrente elettrica sotto la pelle, avvertimento di pericolo. Il suo sguardo cadde sul collo della ragazza, su cui, sebbene nascoste dalla camicia e dai capelli, a un osservatore attento erano ben visibili dei segni bluastri. Le impronte delle sue dita.
La violenza non l’aveva mai disturbato più di tanto, come avrebbe potuto? Era cresciuto in orfanotrofio dove la cosa più normale era venir picchiato dai ragazzi più grandi, o assistere all’agonia di un compagno malato; ma quei lividi erano così blu, e il suo collo così fragile…
Scosse via quei pensieri, ma i suoi occhi non si mossero. Iniziò a pensare che forse prendersela con l’unica che avrebbe potuto essergli di qualche utilità non era stata una mossa degna di lui, avrebbe dovuto trovare un modo per rimediare.
Fece per parlare di nuovo ma lei stava già girando a destra. Improvvisamente gli sembrò di aver annodato troppo stretta la cravatta quella mattina, con un gesto sbrigativo l’allentò.
“Dove vai, Evans?”
“Non credo di doverti rendere conto di ogni mio spostamento.”
“N-no, chiedevo solo.”
Lei si girò, evidentemente intenzionata a porre fine a quelle insignificante e stancante conversazione, Tom la afferrò per il gomito sinistro.
“Ti prego Riddle, sono stanca.” Sospirò lei.
Lui fece una strana smorfia, avvicinandosi, e le sue dita le sfiorarono i lividi sul collo. 
Hermione si irrigidì. “Non mi toccare” sibilò.
Poi prima di rendersi conto di quello che stava facendo lo disse: ammissione di errore, accettazione di colpa, volontà di rimediare, o forse solamente, una nuova bugia. “Scusa.”
Ritrasse la mano, ma non le lasciò il gomito, sentiva che in qualche modo doveva mettere le cose a posto. Qualcuno aveva tentato di ucciderlo e forse lei era l’unica di cui poteva, in un modo tutto suo, fidarsi.
Mentre faticava per trovare le parole, qualcuno arrivò loro addosso, spingendo Tom lontano dalla ragazza.
“Miseriaccia, non pensavo avessi dei gusti così pessimi, Riddle.” La derisoria voce di Rosier, risuonò stonata per il corridoio deserto.
Tom si girò, pronto a rispondergli, quando uno strano suono lo distrasse. Un respiro mozzato, metà singulto metà sospiro, venne da dietro di lui e quando si voltò fece appena in tempo a vedere la maschera, apparentemente inscalfibile, di serietà e impassibilità della ragazza andare in mille pezzi. Gli occhi sgranati sembravano vedere altro da loro, le labbra tremavano e delle silenziose lacrime iniziarono a solcarle le guance.
“Evans?” la chiamo, quasi imbarazzato da quel dolore senza veli. Ora gli sembrava che l’intera camicia lo comprimesse, impedendogli il movimento, che ne avesse presa una vecchia?
Lei deglutì, persa in un mondo in cui la sua voce non riusciva a raggiungerla, camminò a ritroso e scomparve dietro l’angolo.
Tom rimase immobile, confuso, preso alla sprovvista da una reazione di quel genere. Si riscosse solo al ritmico suono della risata di Rosier.
“E’ un po’ suscettibile la tua ragazza, no?”
Un familiare formicolio gli si diffuse lungo il braccio sinistro, le cui dita si erano già strette intorno al legno della bacchetta, mentre sentiva le pulsazioni aumentare. Calore come di ribollente lava nel suo stomaco, volò in avanti e Rosier finì al muro.
Il braccio destro di Riddle era ora compresso contro la gola dell’altro, obbligandolo all’immobilità. Bacchetta puntata alla tempia, occhi negli occhi, rabbia e terrore.
“Dillo ancora una volta e saranno le tue ultime parole Rosier.” Il suo respiro lacerava l’aria intorno. “Sai che non scherzo.”
Il ragazzo tentò di raddrizzare invano le spalle, fece un debole sorriso di sopportazione. La bacchetta premette più forte.
“Cos’è Rosier, ti dà fastidio che una ragazza ti abbia battuto? E’ questo il problema, non è vero?”
Il sorriso si sciolse in una smorfia di disprezzo, mentre la presa di Tom si intensificava.
“L’amore ti rende cieco, Riddle.”
L’altro lo ignorò. “Stalle lontano.”
Finalmente Rosier poté tornare a respirare normalmente e mentre Tom si allontanava, si risistemò la giacca della divisa, con gesti lenti e studiati.
“Brutta bestia la gelosia.”
Tom Riddle aveva imparato presto che la diplomazia era uno strumento assai utile durante le discussioni, e in breve era diventata un’arma potente tra le sue labbra, ma sapeva altrettanto bene che talvolta c’era un unico mezzo per risolvere determinate situazioni, e quella era una di esse.
Si voltò lentamente, infilandosi la bacchetta in tasca, e si avvicinò quel tanto che bastava a Rosier perché il suo pugno chiuso potesse andare a collidere con il naso dell’altro ragazzo senza troppi sforzi.
Un allegro scricchiolio si levò nell’aria, mentre la cartilagine si frantumava e Rosier si accasciava piagnucolante a terra, con il viso imbrattato di sangue.
Tom si chinò e si pulì gli schizzi rossi dalla mano sulla camicia dell’altro. “ Venti punti in meno a Corvonero. Non si corre per le scale, Rosier.”
Soddisfatto del suo operato e indifferente ai lamenti del ragazzo svoltò l’angolo e si incamminò lungo i corridoi silenziosi, alla ricerca della ragazza.
Qualche minuto dopo, grazie all’indicazione di una zelante Tassorosso, si trovò davanti alla porta del bagno delle ragazze al secondo piano. La porta si aprì senza un suono sotto la sua mano e lui entrò nel bagno deserto, mentre subito veniva investito dal suono di singhiozzi che si mescolavano alle gocce che ritmicamente precipitavano da uno dei lavandini.
Si avvicinò all’unico cubicolo chiuso incerto su cosa fare. In realtà non sapeva bene neanche perché l’avesse seguita, o avesse picchiato Rosier. No, quello lo sapeva, perché era un maledettissimo snob viziato e non l’aveva mai sopportato. Ma rimaneva da spiegare razionalmente perché si trovasse nel bagno delle ragazze con Hermione Evans che piangeva per un motivo a lui sconosciuto.
Decise che la cosa migliore sarebbe stata quella di non fare niente, per ora. Si sedette accanto alla porta chiusa sul pavimento freddo, mentre i regolari singulti sembravano andare placandosi. Tom Riddle non aveva mai sopportato sentire le persone piangere, in qualche modo quell’infantile dimostrazione di debolezza lo disgustava, che senso avevano le lacrime? Non potevano certo cambiare le cose, nessun genitore sarebbe venuto a prenderti, la gamba non avrebbe smesso di farti male, non avresti cambiato il passato. Ma quel pianto aveva qualcosa di diverso dai singhiozzi del suo orfanotrofio, non lo infastidiva, lo imbarazzava. Come se stesse ascoltando qualcosa di assolutamente privato, qualcosa che in nessun modo lo riguardava. Sentiva che avrebbe dovuto alzarsi e andarsene silenziosamente come era venuto, c’era qualcosa di sbagliato nell’origliare quel suono.  Stava per farlo, ma la sua coda dell’occhio vide il serpente sul lavandino, che ogni fibra del suo corpo aveva cercato di ignorare fino a quel momento, e subito vi si ritrovò di fianco, come ipnotizzato.
La sua mano iniziò a seguire i contorni della sinuosa figura, mentre la sua mente mandava segnali di avvertimento e pericolo. Doveva allontanarsi da lì, non doveva farlo di nuovo.
“Vieni a da me.”
La voce della creatura si insinuò con disarmante facilità nel suo corpo, sarebbe stato così facile lasciarsi andare, seguire quello che il sangue gli diceva, andare giù, sempre più giù, dove il potere l’avrebbe invaso. Tom ritrasse la mano, mentre sentiva gocce di sudore freddo colargli lungo la schiena, non poteva permettersi di perdere di nuovo il controllo.
“Ti sto aspettando Tom, è tempo…”
La porta del bagno sbattè rumorosamente, facendolo sussultare.
“Riddle?”
Tomi sia allontanò veloce dal rubinetto e si passò una mano frettolosa tra i capelli.
“Cosa ci fai qua?”
Lui notò i suoi occhi rossi, lei la sua paura.
“I-io, in realtà..” Tom si morse il labbro, cosa ci faceva lì? Perché l’aveva seguita? La cosa più semplice da dire sarebbe stato che voleva assicurarsi che stesse bene, ma non si era mai preoccupato delle persone intorno a lui, quindi perché farlo adesso?
Si infilò una mano in tasca.
“Un fazzoletto.” Disse, porgendoglielo.
Hermione guardò lui, il fazzoletto e di nuovo lui.
Tom raddrizzò le spalle, in evidente imbarazzo. “Ho pensato ti sarebbe servito un fazzoletto, sai no, per asciugarti gli occhi e così via.” Concluse in fretta.
“So a cosa serve un fazzoletto.” Rispose sulla difensiva, poi addolcì il tono di voce. “Comunque grazie Riddle.”
Tom alzò le spalle. “E’ da stupidi ascoltare le idiozie di Rosier, non avresti dovuto scappare in lacrime.” Gli uscì, ma non era quello che avrebbe voluto dire.
Hermione strinse con ferocia il fazzoletto. “Smettila.”
Lo sguardo di Riddle tornò ad essere glacialmente normale. “Smettere cosa?”
“Di fare così. Di fare un gesto carino e poi subito dire cose di questo genere, mi dà sui nervi.” In realtà la infastidiva solo la prima parte, non sopportava i momenti in cui lui sembrava quasi un ragazzo normale, in cui rischiava di considerarlo una vittima e non più il carnefice. Tom Riddle era un assassino, non importava quanti fazzoletti decidesse di offrirle, ma a volte odiava se stessa perché se ne dimenticava.
“Ti fa così tanta paura la debolezza?” continuò, visto che l’altro stranamente rimaneva in silenzio. “Credi davvero di essere superiore a tutti noi perché ti costringi a non provare niente?”
Tom chiuse gli occhi, perché doveva sempre degenerare tutto in una discussione? Le loro liti stavano iniziando a stancarlo e i suoi attacchi ad infastidirlo, perché non poteva semplicemente asciugarsi le guance e uscire?
“Vieni Tom, vieni da me…”
“O forse,” continuò Hermione, inconsapevole della battaglia interiore che si stava svolgendo all’interno del ragazzo,”forse lo fai perché non li hai mai avuti dei sentimenti. “
Tom aprì gli occhi.
“Hai mai avuto paura Riddle, veramente paura? Paura che tutta la tua lotta fosse stata vana, di perdere tutto quello per cui avevi combattuto fino a quel momento, per cui avevi già perso amici che amavi.”
“Non capisco cos’a c’en…”
“ Hai mai sentito il cuore frantumarsi in mille pezzi, alla vista del cadavere di una persona che amavi,  e pensare che non avrebbe più ripreso a battere, non importa quanto tempo sarebbe passato?”
Hermione fece un passo verso di lui. “Non osare pensare per un solo momento che chi prova dei sentimenti sia un debole Tom Riddle.” Disse, restituendogli il suo fazzoletto inutilizzato.
Tom aprì la bocca, pronto a ribattere, ma le sue parole furono interrotte dai ritmici rintocchi di un orologio.
“Faremmo meglio ad andare a lezione.”
Hermione non gli rispose e uscì dal bagno.

L’aula di pozioni si era in brevi minuti riempita di fumi e discorsi e il professor Lumacorno saltellava da un banco all’altro, cercando di riportare l’attenzione dei suoi studenti sul liquido in fermentazione nei loro calderoni. Nemmeno il fatto che quella che ribolliva sotto i loro nasi fosse la pozione Polisucco scuoteva i ragazzi, i cui occhi vedevano ormai da qualche giorno solo la giovane sirena.
Nella mente di Violet, per metà concentrata a tritare la pelle di Girilacco, quella creatura assumeva le forme indistinte e fiabesche della sirena dei racconti di quando era piccola.
Non l’aveva mai fatta impazzire a dire la verità, preferiva le storie a lieto fine, ma ora, tormentata anche lei da un amore non corrisposto, non riusciva a non provare un sentimento di profonda empatia nei confronti di quella creatura.
Rovesciò i resti del Girilacco nel calderone con un sospiro. Non aveva nessuna speranza di andare al ballo con Charlus, né di andare con lui alla prossima uscita a Hogsmeade, né di instaurarci un rapporto che fosse degno di questo nome. Sospirò di nuovo, mentre la sabbia della piccola clessidra scivolava in basso.
 Amava il suo sorriso, amava il modo leggero in cui tamburellava sul tavolo mentre rifletteva e le ginocchia le si scioglievano puntualmente quando si passava una mano trai i capelli disordinati. Violet era innamorata, ma era come se quel sentimento rimanesse bloccato dentro di lei, ostacolato dalla sua goffaggine e dalla sua timidezza. Faceva già abbastanza fatica a rivolgergli la parola, figuriamoci ad invitarlo al ballo.
Si era innamorata di un sogno, vago  e rarefatto come quelle fiabe, ma pur sempre migliore della sua realtà.
“Vi, ehi Vi!” la voce di Orion la riportò alla lezione.
“La tua pozione sta iniziando a bruciare.” Le disse, mentre con una mano cercava di allontanare quel fumo grigio.
Lei si affrettò ad abbassare la fiamma, tentando di salvare il salvabile.
“Guarda che è veramente scemo, te lo assicuro.”
Violet aggrottò la fronte, non capendo a chi si riferisse, non era da lui insultare Lumacorno. L’amico alzò gli occhi al cielo. “Charlus, sto parlando di Charlus.”
“Oh.”
“L’altro giorno l’ho sentito vantarsi di aver fatto sparire i capelli a McCornack. Quindi se fossi in te non perderei tempo a chiedermi perché non interessi ad uno così, la risposta è semplice: tu sei intelligente. Qualità decisamente non compatibile con le sue.”
Violet emise un piccolo sbuffo, in perfetta sincronia con la sua pozione che stava virando verso un preoccupante colore nero pece.
“C’entra forse il fatto che l’anno scorso ti abbia soffiato il Boccino da sotto il naso, Orion?” chiese con una punta di cattiveria.
Lui rovesciò nel suo calderone una manciata di polvere di corno di bicorno, con un’alzata di spalle. “Fortuna.”
“Sicuramente.”
Il ragazzo si guardò per un attimo intorno, con insolita circospezione. “Vi, senti… c’è una cosa che non ti ho detto. In realtà mi è tornata in mente l’altra sera, quando abbiamo trovato il cad… be’, la sirena.”
Lei si spostò verso di lui, attenta.
“Quest’estate, prima di tutto il casino per Oliver, ho sentito papà parlare con delle persone.” Iniziò incerto, dando qualche rimescolata alla pozione.  “Parlavano di Grindelwald, di un suo ritorno.”
A Violet per poco non cadde il mestolo nel calderone. “Cosa?” sibilò. “Come hai fatto a dimenticartene?”
Orion aspettò che Lumacorno li superasse per riprendere a parlare. “Te l’ho detto mi è passato di mente.”
“Le date di storia ti possono passare di mente, gli appuntamenti, non una cosa del genere!”
Lui non le rispose, chiaramente offeso.
“E cosa dicevano?”
“Te l’ho detto, vogliono farlo tornare.”
I capelli di Violet virarono improvvisamente verso il viola.
“Ehi, non guardarmi così.”
“Dovremmo dirlo a qualcuno del Ministero.”
“Vi, alcune di quelle persone ci lavorano al Ministero, non sarebbe una cosa molto intelligente.”
“Allora a Silente, o a qualcuno. Non possiamo semplicemente starcene qui a fare stupide pozioni.”
“E cosa vorresti fare? Stampare dei volantini ? Proclamare al mondo che forse qualcuno sta organizzando di fare tornare Grindelwald in Inghilterra? Non sembrava ci fosse niente di certo nei loro discorsi, ipotesi per lo più, e credi davvero che la gente ci starebbe a sentire?”
“Sempre meglio che non fare niente.”
“Senti , c’è un motivo per cui non siamo stati messi in Grifondoro e si chiama prudenza, condita da una certa mancanza di impulsività. Non ho nessuna intenzione di lanciarmi in un’impresa suicida.”
“Dove vuoi arrivare?”
“Hai sentito quello che ha detto Dippet sta mattina?” chiese, aggirando la domanda.
“Ero di fianco a te, Orion.”
“Io credo che si sbagli.”
Violet controllò che Lumacorno fosse abbastanza lontano e lo individuò chinato sul calderone di Malfoy.
“Non credi sia stato Grindelwald?” sussurrò scettica.
“Non più di quanto io creda all’esistenza di Babbo Natale.”
“Quattro anni fa gli hai scritto una lettera se non mi sbaglio.” Sorrise lei. “Un’adorabile lettera.”
“Non più di quanto ci creda attualmente allora.” Ribattè, fingendo di prendere qualche appunto sulla pergamena davanti a lui.
“Illuminami.”  Lo incoraggiò Violet.
“Dunque, immaginati di essere lui, braccato come una volpe in una battuta di caccia…”
“Un giorno mi spiegherai da dove ti escono queste metafore.” Lo interruppe, beccandosi una mestolata sulla testa.
“Dicevo, hai passato gli ultimi anni a nasconderti e finalmente riesci a tornare in Inghilterra, con il probabile intento di rovesciare il Ministero. Qual è una cosa che non faresti assolutamente?”
“Indossare il pigiama che avevi ieri?” tentò lei.
“Che hai contro il mio pigiama?”
Violet alzò gli occhi al cielo, trattenendo una risata. “Ha i pinguini.”
“E allora? Un sacco di gente ha un pigiama con su dei pinguini.” Rispose piccato.
“Forse, ma dubito che i loro sciino.” Ribatté, mentre sentiva i capelli tornare al loro solito colore magenta. “Spero per te che Oliver non l’abbia visto.”
“Gli è piaciuto invece.” Disse, fingendosi offeso.
Questa è una grande prova del suo amore, Orion.”
Esasperato Lumacorno, sbattè un pugno sulla cattedra, intimando il silenzio.
“Quello che non faresti mai, mia piccola Violet, è metterti in mostra.” Riprese il ragazzo,sottovoce. “E incidere il proprio simbolo sulla pancia di una sirene equivale ad esporre un cartello rosso con scritto su ‘sono qui, venite a prendermi’. E’ una cosa senza senso.”
Violet rimuginò per qualche secondo quello che le aveva detto, poi sembrò convinta.
“E quindi chi è stato secondo te?”
Orion annusò la sua pozione che aveva assunto un disgustoso colore verdastro, ma pur sempre migliore della sua, che stava iniziando a solidificarsi.
“Non ne ho la più pallida idea. Il perché, credo sia più importante ora.”
“Non ti seguo.”
Il ragazzo sbuffò. “Allora, abbiamo un ipotetico signore che decide di uccidere una sirena e di incidervi sopra il marchio di Grindelwald, giusto?” Violet annuì. “Ma la cosa più importante è il fatto che l’abbia portata dentro la scuola. Chiunque l’abbia fatto sapeva che tutti gli studenti l’avrebbero vista.”
“Stai pensando a un messaggio?”
“Circa. Per un messaggio si usa la pergamena, questo tale ha ammazzato una sirena. C’è molto di più dietro. Io penso a un avvertimento.”
“Quindi se capissimo qual è questo avvertimento, riusciremmo a trovare la persona che l’ha fatto?”
“Mi piace quando mi segui.”
“Hai qualche idea?”
Orion mordicchiò la punta della sua penna, poi le lanciò uno sguardo serio. “Hai mai sentito parlare dei Mangiamorte?”
Violet storse la bocca. “Ho sentito qualcosa, credi che esistano veramente?”
“Fino all’anno scorso ne dubitavo, ma durante quel discorso che ho origliato sono quasi certo che sia venuto fuori il loro nome. E’ stato poco prima che mia madre mi beccasse, purtroppo mi sono perso tutto il resto. Quindi ho tenuto gli occhi e le orecchie ben aperte e una volta mi è capitato di ascoltare Charlus in Biblioteca che ne parlav…”
“Dici che è coinvolto?” chiese lei preoccupata.
“Sinceramente? Se lui ne fa parte, allora è tutt’altro che pericoloso.”
“Meglio. Quindi come procediamo?”
“Direi che possiamo dare inizio alle indagini.”
“Ti ho prestato troppi gialli, Orion.”
Il ragazzo sorrise, al pensiero  delle notti passate a leggere di nascosto i libri babbani.
“Elementare Bulstrode, elementare.”
Ignara delle trame segrete che suo fratello e Violet erano intenti a tessere a qualche metro di distanza da lei, Dorea cercava con fatica di portare la sua pozione alla fermentazione. Si asciugò con la manica alcune gocce di sudore dalla fronte. Non era mai stata particolarmente dotata in quella materia e in più quel giorno era in ansia per la partita. Dovevano vincere, non solo per l’euforica sensazione che la vittoria portava con sé, ma soprattutto per evitare che Vàli commettesse qualche gesto suicida, sapeva quanto ci teneva a vincere quell’anno il loro capitano. Ma intanto Hermione, seduta di fianco a lei, continuava a picchiettare con la punta della penna il tavolo, deconcentrandola ulteriormente.
Pick-pick-pick.
“Hermione.”
La ragazza alzò lo sguardo, verso di lei. “Si?”
Pick-pick-pick.
Massaggiandosi l’avambraccio, dove l’aveva colpita a tradimento un Bolide il pomeriggio precedente, Dorea lanciò un’occhiata penetrante alla sua mano. “ Ti prego. E’ dall’inizio della lezione che fai così, mi fa saltare i nervi.”
Hermione lasciò andare la penna. “Scusa.”
“Tutto bene? Sembri tesa.” Chiese, aggiungendo un pizzico di erba nel suo calderone, pregando che l’aspetto della pozione migliorasse. “No, tutto…tutto bene. Sono solo un po’ stanca. Tu sei pronta per la partita?” chiese Hermione, sperando di dirottare la conversazione sul Quidditch.
Dorea fece uno strano ghigno. “Vàli ci ha praticamente ammazzato di allenamenti, ieri sera non mi sentivo più le gambe dal dolore. Quindi si, sono pronta. I Corvonero avranno una bella lezione, questo pomeriggio.”
Se a Hermione avessero detto che si sarebbe ridotta a tifare Serpeverde a una partita di Quidditch non ci avrebbe mai creduto, ma la vita aveva sicuramente senso dell’umorismo.
“A proposito di Corvonero,” aggiunse Dorea. “ hai saputo di Rosier?”
A Hermione si presentò alla mente l’incontro di qualche ora prima, ma dubitava c’entrasse con quello che l’amica sembrava ansiosa di riferirle.
“Be’, l’ho visto arrivare strisciante in Infermeria. Qualcuno gli ha rotto il naso, uno spettacolo abbastanza orrendo a dire il vero, ma non si può dire che la sua faccia non ne abbia giovato. Almeno adesso ha un vero motivo per essere brutto.”
Hermione sorrise, mentre iniziava a pensare che quel pugno potesse essere in qualche modo collegato a Riddle.
“E si sa chi è stato?”
“In realtà lui ha detto di essere andato a sbattere contro un muro, ma chi vuoi che ci creda? Al massimo sarebbe dovuto andarcisi a schiantare volando a tutta velocità. E’ ovvio che qualcuno l’ha picchiato, vorrei solo sapere chi, per andare a stringergli la mano.”
“É  così insopportabile?” chiese Hermione, anche se sapeva bene che quel ragazzo era una vera e propria carogna, la sua gamba ne era la prova.
“È peggio. L’anno scorso lui e i suoi amichetti hanno avvelenato a tutta la squadra il succo di zucca a colazione, durante la partita siamo stati tutti male. E puoi immaginarti la reazione di Vàli quando si è ripreso.” La informò Dorea con un sospiro.
“Tra l’altro,” disse Hermione, guardandosi intorno. “Non è strano che non ci sia a lezione?”
Dorea abbassò la fiamma sotto il suo calderone da cui stava iniziando a fuoriuscire la pozione. “Vàli dici? Nah, dice sempre che per la sua salute psicofisica è costretto a saltare qualche lezione ogni tanto, sarà da qualche parte a fumare.”
Poi alzò gli occhi e si voltò a guardarla. “Sai cos’è strano invece? É da tutta la lezione che Tom Riddle ti fissa.”

I corridoi di Hogwarts si snodavano infiniti davanti agli occhi di Alastair, ricolmi in ogni angolo di ricordi creduti perduti. L’angolo in cui si nascondeva con Clarissa per baciarla, la scala su cui aveva fatto a pugni per la prima volta, la statua che lui e Richard avevano dipinto di rosa…
C’erano pezzi di memoria nascosti in agguato dietro a ogni tenda. Gli sembravano passati secoli, un momento prima era lì, seduto su quel gradino (aveva sedici anni, una massa di capelli ricci e la divisa disordinata) e un momento dopo era in Germania, immerso in un’aria irrespirabile smembrata da incantesimi. La velocità con cui il tempo era passato gli faceva paura, era come se si fosse addormentato perdendosi una parte della sua vita. Improvvisamente era diventato un Auror, si era sposato, aveva avuto un figlio, Richard non c’era più, tutto senza preavviso, nessuno che lo avesse avvisato che la sua vita gli sarebbe sfuggita tra le mani come tele invisibili tessute da ragni immaginari.
Improvvisamente tra le ossa dei suoi ricordi si fece strada una figura viva, un ragazzo camminava verso di lui con lunghe falcate e le mani in tasca. Suo figlio.
“Vàli.” Lo chiamò e il ragazzo alzò la testa, mentre prima stupore, poi rabbia e infine freddezza, passavano nei suoi occhi.
“Papà?” chiese, nascondendo la sigaretta nella tasca. “Cosa ci fai qui?”
“É da quasi un anno che non mi vedi ed è tutto quello che riesci a dire?” In un attimo gli si avvicinò e lo abbracciò, mentre il figlio si irrigidiva, senza però opporsi.
“La mamma lo sa che sei a Hogwarts?”chiese, non appena si furono staccati.
“Sono arrivato sta notte, non ho ancora fatto a tempo ad avvertirla.”
Vàli sbuffo, chiaramente infastidito. “Cosa vuol dire che non hai ancora fatto in tempo ad avvertirla? Non credevo che ci volesse così tanto a spedire un gufo. Avresti almeno potuto farlo fare da uno dei tuoi uomini.”
“I miei uomini sono Auror Vàli, non camerieri.”
Gli occhi del ragazzo si ridussero a due fessure. “Sai cosa intendo.”
L’uomo sospirò. “Quand’è che hai intenzione di finirla con questa infantile guerra nei miei confronti?”
“Io non combatto nessuna guerra contro di te papà,” rispose incrociando le braccia “vorrei solo che la smettessi di farla stare così male.”
“Credi che lo faccia apposta Vàli? Credi davvero che mi faccia piacere questa lontananza?”
“Io so solo che è da un anno che non torni a casa, non sei venuto neanche per il suo compleanno.” Ribatté sordo alle rimostranze del padre.
“Merlino Vàli, credevo fossi cresciuto, non sono stato in Germania per una vacanza, lo capisci?”
“I tuoi uomini sono tornati.”
“Ero al comando di questa missione, non potevo abbandonarli.” Disse, iniziando ad alzare la voce.
“Giusto, capisco. Quindi hai abbandonato noi.”
“Perché devi essere così crudele, Vàli?”
“Non sono io che sono crudele papà, sei tu che non hai il coraggio di accettare le conseguenze delle tue sc…”  La sua invettiva venne interrotta da un bollente e sonoro schiaffo.
“N-non parlarmi così Vàli, io ti amo ma non permetterti di prenderti gioco di me in questo modo!” Lo informò con voce rotta.
Il ragazzo si passo una mano sulla guancia arrossata, sorpreso da quel gesto inaspettato.
“Lo sai qual è la cosa più terribile di questa situazione?” Lo interrogò, rialzando gli occhi. “Io la sento piangere. Continuamente. Negli istanti di silenzio io sento i suoi singhiozzi, anche se non è qui.”
Si sfilò la sigaretta dalla tasca e l’accese. “Quindi fai almeno il piacere di dirle che sei tornato.” 
Si allontanò, aspirando una boccata di fumo e lasciando il padre a passarsi una mano sul viso stanco.
Vàli sentiva di aver bisogno di uscire all’aria aperta, o di picchiare qualcuno, ma in quel momento tutti erano a lezione, quindi la cosa migliore era sgattaiolare in giardino, cercando di non essere visto da nessuno di quegli schizzati che pattugliava costantemente i corridoi, o da Pix.
Silenzioso e veloce riuscì ad arrivare all’aperto e iniziò a camminare avanti e indietro con ferocia, mentre il fumo della sigaretta si alzava sopra di lui.
“Non dovresti essere in classe?”
Il ragazzo sobbalzò e si girò verso il punto da cui proveniva la voce. “E tu non dovresti smetterla di farmi da madre?”
Minerva alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo, rivolgendogli un sorriso condiscendente. “Solo quando diventerai grande, Vàli.”
Un sorriso triste si dipinse sul suo volto, mentre si portava di nuovo alla bocca la sigaretta.
“Tu fumi troppo.”
Lui alzò le spalle. “Sei fortunata, oggi non ho la forza per essere sarcastico.”
“Hai viso tuo padre.” Sospirò lei.
“Come fai a saperlo?”
“Oggi hanno detto che sarebbero arrivati degli Auror ad indagare, mi sembra logico che ci sia tuo padre tra loro.” Iniziò con tono saccente, poi lo smorzò. “E tua hai quella faccia.”
“Che faccia?”
“Quella che hai quando perdi una partita o ti arriva una lettera da tuo padre.” Spiegò, glissando con delicatezza sulla macchia rossa sulla sua guancia.
Lui non rispose, ma le si sedette di fianco.
“Dovresti cercare di mettere le cose a posto con lui.” Disse, passandogli una mano nei capelli, nel vano tentativo di metterglieli in ordine.
“Tu non capisci, non è facile.”
“Ma è tuo padre e ti vuole bene, e tu non hai mai risposto neanche a una delle sue lettere.”
Vàli chiuse gli occhi, quasi nel tentativo di scacciare i pensieri cattivi che gli si affollavano nella mente.
“Ci ha abbandonati lo capisci? Non festeggiamo un Natale insieme da…be’, non me lo ricordo nemmeno da quando.”
“Non via ha abbandonato, quello che fa è importante.”
“Più importante di sua moglie? Più importante di suo figlio?” chiese.
Minerva si accorse che aveva le lacrime agli occhi e lo strinse a sé.
“Ti vuole bene e anche tu gliene vuoi, adesso che è tornato prova…prova a dargli un’opportunità per mettere le cose a posto.” Gli sussurrò.
Vàli storse la bocca, ma lei sapeva che ci avrebbe pensato, almeno quello l’avrebbe fatto.
“Da quando ti salti le lezioni, Minnie?”
Lei si finse offesa e gli diede un pizzicotto. “Io non salto le lezioni Vàli Nott, oggi Binns non sta bene.”
“Questa è una vera ingiustizia, perché non sta mai male quando ha lezione con me?”
Lei rise. “Perché la vita è ingiusta e crudele.” Commentò con tono drammatico.
“Il tuo senso dell’umorismo mi uccide,Minnie.” Disse portandosi una mano sul cuore e  alzandosi.
Minerva chiuse il libro e lo guardò con attenzione. “Vàli, c’è una cosa,” iniziò lentamente “una cosa che volevo chiederti.”
Lui si chinò a raccogliere una larga foglia arancione che gli era appena caduta ai piedi.
“Ho sentito delle voci.”
L’attenzione di Vàli passo dalle venature della suddetta foglia al viso corrucciato della sua ragazza. “Che genere di voci?” Chiese, con tono sospettoso.
“Ho sentito qualcuno dire…dire che dietro a quello che è successo ci sono i Mangiamorte.”
Iniziò a fare a pezzettini la foglia.
“É vero?”
La ridusse in pezzi ancora più piccoli.
“Pensi davvero che sarei in grado di fare una cosa del genere?”
“No, no!” Si difese subito lei. “Tu assolutamente no, ma loro…io non lo so, sei tu che dici che sono pericolosi.”
“Non sono degli assassini.”
“Allora spiegami che cosa sono, dimmi che cosa fate!” Lo pregò. “Perché non è per loro che non vuoi che si sappia di noi due?”
Coriandoli arancioni caddero dalle sue mani.
“O forse è perché ti vergogni di me e quella dei Mangiamorte è tutta una scusa.”
Lui la guardò. “Io non mi vergogno di te.”
Minerva si alzò in piedi e gli si avvicinò. “ E allora facciamolo Vàli, diciamolo a tutti, me ne frego di quanto possano essere pericolosi i tuoi amichetti.”
Il ragazzo distolse lo sguardo, iniziando a torturarsi il labbro inferiore.
Minerva sospirò. “Come immaginavo. Ci vediamo Nott.” Gli sussurrò, ponendo grande enfasi sul cognome.
Prima che Vàli facesse in tempo a metabolizzare quello che gli aveva appena detto lei se ne era già andata, lasciandolo alle prese con le sue battaglie interiori.
Cercò freneticamente nelle tasche un’altra sigaretta, doveva assolutamente schiarirsi la mente. No, doveva andare a scusarsi con lei, dirle che l’amava e che avrebbe appeso dei manifesti in giro su loro due se avesse voluto. Poi avrebbe tirato un pugno a Malfoy, per sicurezza.
Fece un respiro profondo. Doveva fare le cose con ordine: prima le sigarette. Era quasi certo di averne ancora un pacchetto in camera, avrebbe fatto in tempo ad andare a prenderle prima della prossima lezione.
Dribblando con eleganza una serie di insegnanti, arrivò in pochi minuti nella sala comune dei Serpeverde, ovviamente vuota. Entrò veloce in camera e si stupì nel vedere Tom accucciato per terra con uno dei cassetti del suo comodino in mano.
“Che ci fai qui?”
“Potrei farti la stessa domanda. Non c’eri a Pozioni.”
Vàli andò verso il suo letto. “Avevo bisogno d’aria.”
Tom rovesciò tutto il contenuto del cassetto per terra, di fianco a lui. “Come se l’aria non ci fosse anche dentro.”
L’altro si voltò e sospirò. “Cos’è successo ?”
“Perché?”chiese interrogativo Tom.
“Stai facendo ordine, lo fai quando qualcosa non va.”
“Non è vero.”
“Tom, quando sembrava che la scuola stesse per chiudere hai messo a posto l’intero dormitorio. C’ho messo due giorni per ritrovare tutti i miei calzini.”
L’altro iniziò a riporre gli oggetti al loro posto. “Il posto dei calzini non è l’armadietto del bagno.”
“Non cercare di spostare la conversazione sulle mie calze.”
Tom non rispose, infilò il cassetto al suo posto e ne tirò fuori il secondo, tutt’altro che interessato a portare avanti quel colloquio.
Vàli iniziò allora a frugare nel suo baule alla ricerca delle agognate sigarette, era sicuro di averle messe in un cappello che però sembrava essersi dato alla macchia.
Tom si alzò e aprì l’armadio. Tirò fuori tutti i suoi vestiti, ordinatamente impilati, li mise sul letto e prese a piegarli di nuovo.
“Devo preoccuparmi?”
Ignorò la voce del compagno e con una passata di mano eliminò le pieghe della camicia aperta davanti a lui. Bottoni chiusi, manica destra, manica sinistra, piega orizzontale, colletto ordinato.
“Ho visto mio padre prima, sai?”
Con i golf era più semplice.
“Abbiamo litigato di nuovo.” Lo informò, senza ricevere nessun segno di attenzione. “A volte vorrei che fosse morto laggiù, forse allora ne sentirei la mancanza.”
Tom finì di impilare una parte dei vestiti, poi alzò gli occhi. “Perché mi stai dicendo queste cose?”
Vàli corrugò la fronte. “Be’, perché siamo amici…”
Lui prese ad appendere di nuovo tutte le cravatte, perché Vàli continuava a parlare? Aveva bisogno di silenzio, i suoi pensieri facevano già troppo rumore senza che si aggiungessero quelli di un altro.
“Sotto il cuscino.” Disse senza voltarsi.
“Eh?”
“Le tue sigarette sono sotto il cuscino. Non eri venuto per quelle?”
L’altro si alzò. “Vai al diavolo Tom.”
Finalmente Riddle lasciò perdere i suoi vestiti e si girò.
“Hanno ragione gli altri, sei solo uno schifoso egocentrico. Non so perché perdo tempo con te.”
“Nessuno ti ha mai chiesto di farlo.” Ribattè Tom.
Vàli non lo ascoltò. “Non so se te ne sei accorto, ma ti stavo parlando dei miei problemi e tu non hai neanche smesso per un secondo di piegare le tue stupide camice.”
“Problemi?” chiese, mentre il suo sguardo si induriva. “Che ne sai tu dei problemi Nott?”
Vàli agguantò le sue sigarette che in effetti si trovavano proprio sotto il cuscino.
“Sei solo un ragazzino viziato, che si diverte a fare l’adolescente ribelle. Non hai idea di cosa sia la vita vera.”
Il ragazzo si voltò e per un attimo il suo viso assunse un’espressione ferita. Riddle lo guardò impassibile.
“Fanculo, Tom.” Sputò fuori, prima di uscire a tutta velocità dalla camera, sbattendo la porta.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli prima di ritornare ad ordinare i suoi vestiti, a disfare il caos del suo subbuglio interiore.

Violet alzò gli occhi dal piatto ricolmo di cibo, che praticamente non aveva toccato.
“Hai presente Fiona?”
Orion finì di masticare il suo pollo. “Quella che il Cappello Parlante ha mandato a Corvonero perché probabilmente in quel momento aveva avuto un ictus?”
Lei rise, spezzettando del pane con le mani.
“Ho presente, perché?”
“Secondo te com’è?”
Orion si voltò verso il tavolo dei Corvonero e cercò con gli occhi la ragazza. “Niente di che. Potrebbe anche tagliarseli quei capelli tra l’altro, sta aspettando di poterci pulire i pavimenti?”
Dall’amica giunse un mormorio indistinto. “Oh no, ti prego Vi. Basta pensare a Potter, stai diventando monotematica.”
“Non lo faccio apposta.” Protestò lei, infilandosi della mollica in bocca.
“E dovresti mangiare qualcosa.”
“Non ho fame.”
Orion alzò le spalle.”Come vuoi, però vedi di non svenire durante la partita.”
“Come prevedi che finirà?”
“L’unica cosa che prevedo ora è un temporale e poi lo sai Vi, niente pronostici prima dell’inizio.”
Lei alzò gli occhi al cielo e poi si accorse del ragazzo in piedi dietro a Orion.
“Ciao Malcolm!” lo salutò, prima di tornare a fissare il suo piatto.
Orion si schiarì la gola, attirando la sua attenzione, e con gli occhi le indicò il Grifondoro che non si era ancora allontanato
“Hai bisogno?”
Malcolm si passò una mano dietro al collo. “In realtà..” iniziò tentennando sotto lo sguardo scrutatore di Orion. “Volevo solo dirti che mi è appena arrivato quel disco di canzoni natalizie di cui avevamo parlato, ti ricordi?”
Violet sorrise. “Certo che mi ricordo, e com’è?”
“Perché non ti unisci a noi Malcolm?” gli sorrise Orion.
Il ragazzo sorrise di rimando e si sedette al loro tavolo, tirando fuori dalla borsa, con delicatezza, la custodia di un 78 giri. La porse a Violet.
“In realtà non l’ho ancora ascoltato,”disse abbassando la voce “ma dovrebbe arrivare presto un giradischi, se ti va potremmo sentirlo insieme.”
Lei si rigirò tra le mani l’album natalizio e alla vista della faccia del cantante babbano con su un cappello da Babbo Natale i suoi occhi si accesero. Violet adorava il Natale, fosse per lei avrebbe già iniziato a decorare tutta la scuola, aveva tentato di convincere Dippet della necessità di iniziare a preparare almeno l’albero, ma per assurde ragioni le era stato impedito.
“Volentieri.”
Orion appoggiò il bicchiere. “Ci vieni alla partita Malcolm?”
Il ragazzino si girò a guardarlo. “Si, ovvio. Anche se credo che sarò neutrale.”
L’altro annuì. “Neutrale va bene, indossare una maglietta blu invece no, vero Violet?”
L’amica sbuffo. “Sei noioso, non vuol dire che io tifi Corvonero. Poi guarda,” aggiunse sventolandogli la sua sciarpa sotto il naso “mi sono messa anche questa.”
“Quella la metti tutti i giorni.”
“Non è vero, solo quando è freddo e oggi non lo è. Quindi il mio è vero orgoglio della casa.”
Malcolm sorrise. “Se ti può consolare Orion ho visto due Tassorosso del secondo anno con in testa quelli che avrebbero dovuto essere dei serpenti.”
“Vedi Vi, dei Tassorosso hanno più spirito Serpeverde di te.” Sottolineò, beccandosi in risposta una linguaccia.
L’arrivo di Hermione pose fine alla discussione. “Ragazzi, avete visto Riddle?”
“In fondo alla tavolata.” Le rispose Orion, indicandoglielo. “Ehi Hermione, tu ci vieni alla partita?”
“Si, perché?”
“Ci vieni con quella maglietta bianca?”
Violet gli lanciò un pezzo di pane in testa.
Hermione sorrise. “Mi metto la sciarpa, non preoccuparti.” Disse allontanandosi.
Lui scosse la testa con fare melodrammatico. “Perché? Perché tutti si mettono la sciarpa e nessuno pensa a fare uno striscione come si deve?”
“Non vi sembra strano Riddle in questo periodo?” chiese Malcolm, cambiando argomento.
“A me sembra sempre strano, se devo essere sincera.” Rispose Violet, lanciando un’occhiata ai due Capo Scuola, seduti uno di fronte all’altro.
“Non saprei, non lo conosco granché bene.” Commentò Orion.
“Neanche io, però non l’ho mai visto passare così tanto tempo con la stessa persona.”
“Intendi con Hermione? Sarà per il fatto che sono Capo Scuola immagino.”
“Però ha ragione Malcolm, non l’ho mai visto stare così a lungo nemmeno con Vàli.” Confermò Orion, mentre nella sua mente prendeva forma una nuova teoria. “Dite che c’è qualcosa tra i due?” Chiese interessato.
Violet si sistemò la sciarpa. “Hermione mi ha giurato di no, magari c’è qualcosa da parte di Riddle.”
“Tom Riddle che si interessa ad un’altra persona? Sarebbe davvero divertente da osservare, ma alquanto improbabile.”
Malcolm distolse lo sguardo dai due Capo Scuola. “Non lo so, non mi sembrano innamorati, si comportano più come se fossero alleati. Ehi, perché mi guardate così?” disse, sotto gli occhi sgranati dei due Serpeverde.
Orion appoggiò il mento sul palmo della mano. “Spiegati meglio.”
“Quando li incontro in corridoio sembra sempre che si guardino le spalle a vicenda. Lui non si perde un gesto di lei, e lei fa altrettanto.” Li informò. “Ma magari è solo una mia impressione.” Si affrettò ad aggiungere.
Orion gli sorrise e gli scompigliò i capelli. “Sei sprecato come Grifondoro Malcolm.”
“Lo prendo come un complimento.”
“Assolutamente.” Annuì l’altro.
Inconsapevoli di essere oggetto di una conversazione che si svolgeva a pochi metri da loro Tom e Hermione sedevano uno di fronte all’altra, in silenzio.
La ragazza continuava a mordersi il labbro, incerta se quello che stava per fare fosse la cosa giusta. Dopo qualche istante Riddle alzò gli occhi e la guardò. “A cosa devo l’onore della tua compagnia Evans?”
“Hai sentito di Rosier?”
L’altro non mosse un muscolo. “No, cosa avrei dovuto sentire?”
“Qualcuno gli ha rotto il naso.”
“Oh.” Fu l’unico commento che lei riuscì ad ottenere.
Per numerosi secondi nessuno dei due disse niente.
“Non ti facevo tipo da pugni, Riddle.”
“Non so di cosa tu stia parlando.”
Lei lo ignorò. “Pensavo che avresti usato un incantesimo.”
“Perché avrei dovuto picch…”
“Grazie.”
“Come?”
“Grazie.” Ripetè lei, contenta di essere riuscita nel suo intento. Nonostante condannasse la violenza, il fatto che Riddle avesse tirato un pugno all’altro ragazzo perché l’aveva fatta piangere le aveva fatto quasi tenerezza.
“Chi ti dice che l’ho fatto per te.”
“Non fare sempre il difficile Riddle.”
Lui la osservò per qualche secondo, poi abbassò gli occhi. “Posso chiederti una cosa?”
“Immagino che me la chiederai comunque.” Rispose, strappandogli un sorriso.
“Perché hai avuto quella reazione?” chiese Tom, esternando finalmente la domanda che l’aveva perseguitato per tutto il pomeriggio.
Tutto Hermione si aspettava, tranne quella domanda. “Perché ti interessa?”
“Voglio capire.”
Lei accennò un sorriso. “Miseriaccia.
Riddle non capì e il suo sguardo si fece interrogativo.
“É stata la prima parola che ha detto quando è venuto addosso a noi.” Iniziò a spiegare. “La usava sempre un mio amico, un mio amico di prima.” Aggiunse guardandolo.
Riddle non disse niente.
“É stata una reazione esagerata, lo so. Ma è stato come…come se tutto ritornasse, capisci?”
“Non credo.”
“In ogni caso ho avuto momenti migliori.” Concluse lei.
Tom iniziò a mettere via i libri, sparsi intorno a lui.
“Ci vieni alla partita?”
“Non saprei, non mi è mai piaciuto troppo il Quidditch.” Tentennò lui.
“Potresti dargli una possibilità.”
Riddle la studiò per qualche istante. “Prima mi urli addosso e ora mi inviti alla partita, c’è qualcosa che dovrei sapere Evans?”
Forse mi sento un po’ in colpa per quello che ti ho detto e sto cercando di rimediare, in più hanno appena cercato di ammazzarti, nel caso te lo fossi dimenticato, e non mi sembra il caso di lasciarti da solo al castello.”
“Da quando ti preoccupi per me?”
“Da quando ho scoperto che se ti succede qualcosa finisco a fare i turni di sorveglianza con Potter.”
Lui alzò un sopracciglio. “Pensavo che ti piacessero i tipi pieni di sentimenti come lui.” Le disse mentre i suoi occhi grigi la osservavano, pronti a captare ogni sua minima reazione.
”Ci vieni o no?” Rispose semplicemente.
Tom si alzò in piedi e prese la sua borsa sdrucita. “Certo, non vedo l’ora di passare l’unico mio pomeriggio libero sotto la pioggia a guardare degli idioti che si ammazzano per prendere una pallina luccicante con le ali.”
“Non è così male.” Ribattè, alzandosi a sua volta Hermione.
“Lo spero per te Evans.”

Il campo ovale si stendeva deserto davanti a Dorea che ne percorreva il perimetro di corsa, mentre sopra di lei si andava ad accumulare un nero di nubi, in aperto contrasto con i colori sgargianti degli spalti.
Il rintronante silenzio di quel posto la rilassava e ormai da qualche tempo era diventata per lei un’abitudine quella di riscaldarsi nello stadio deserto prima di una partita. Trovava divertente osservare le tribune vuote, immaginando le persone che presto le avrebbero riempite, o fantasticare sullo svolgimento dell’incontro. Si fermò ansimando ad un’estremità, con il sangue che le pompava veloce nelle vene, mentre percepiva l’aumento continuo dell’adrenalina.
Si scostò con un gesto sbrigativo i lunghi capelli biondi, appiccicati alla fronte, e iniziò a fare stretching, mentre dal cielo provenivano cupi brontolii. Di male in peggio, pensò alzando gli occhi. Aveva intravisto Vàli mentre si fiondava negli spogliatoi e le aveva praticamente abbaiato contro, un temporale avrebbe solamente peggiorato il suo umore.
Mentre stava iniziando a lavorare sui muscoli delle gambe si accorse che qualcuno si stava avvicinando, costringendola a strizzare gli occhi per identificare l’intruso. Charlus Potter avanzò fin dove si trovava lei con il suo solito passo baldanzoso e quando la vide un’aria colpevole per un attimo passò sul suo volto.
“Non è ancora aperto il campo per gli spettatori.” Lo informò Dorea, continuando i suoi esercizi.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli scuri, aumentando così l’effetto di voluto disordine.
“Oh lo so,” le sorrise “sono solo venuto a riportare questo.” Disse, tirando fuori dalla tasca della divisa il Boccino D’oro.
Se voleva impressionarla non funzionò. Lei lanciò un’ occhiata distratta alla sua mano.
“Ti conviene rimetterlo a posto prima che Vàli se ne accorga, sarebbe in grado di ammazzarti oggi.”
“Sono qui per questo.” Commentò con un’alzata di spalle e lanciando un’ultima occhiata al Boccino prima di rimetterselo in tasca.
“Com’è che te lo porti in giro?” gli chiese Dorea.
“Le ragazze lo adorano.” La provocò con un sorriso sornione.
“Non devi conoscere ragazze molto intelligenti allora.” Fu l’unico commento di Dorea.
Charlus rimase per un attimo interdetto. “Non molte in effetti.” Le concesse, prima di porgerle la mano. “Io sono Charlus,comunque.”
Lei si pulì la mano destra, sporca di terra, e gliela strinse. “Lo so, ti ho rotto il braccio durante la scorsa partita. Dorea.”
“Un’esperienza poco piacevole di cui ho solo brevi e dolorosi ricordi.”
“Potrei dirti che mi dispiace, ma avevi appena tentato di buttare giù mio fratello dalla scopa e il Quidditch è il Quidditch.” Lo informò con disarmante sincerità.
Il ragazzo le lasciò la mano. “Be’ Dorea, vado a rimettere a posto il Boccino prima che Nott se ne accorga, buona fortuna per la partita allora.”
“Io sono nata fortunata Potter.”
Lui le sorrise. “Tiferò per te questa volta.” Le urlò mentre si incamminava verso il capanno degli attrezzi.
Dorea scosse la testa, Charlus Potter era davvero incorreggibile, bastava che si trovasse davanti una ragazza per iniziare a flirtare.
Iniziò a scaldarsi le spalle con gesti circolari. Certo non si poteva dire che fosse brutto, anzi a dirla tutta aveva un naso davvero bello e il suo sorriso era riuscita a metterla di buon umore, ma non era decisamente il suo tipo.
Ma se in quel momento qualcuno le avesse chiesto quale fosse il suo tipo, Dorea non avrebbe avuto una risposta.
Meno di un quarto d’ora dopo questi pensieri aveva già lasciato la sua mente e lei era appollaiata su una delle panchine dello spogliatoio maschile, saturo di testosterone, in attesa del consueto e tranquillizzante discorso di Vàli.
Il capitano, ancora in canottiera, si schiarì la voce e si issò su una sedia, per poterli guardare tutti negli occhi.
“Bene.” Incominciò con voce sicura, cercando di scacciare dalla mente l’intera giornata. “Per sei anni abbiamo lottato con le unghie e con i denti per vincere questa maledetta Coppa e per sei anni non ci siamo riusciti. Ora vi chiederete perché quest’anno dovrebbe andare diversamente, ve lo dirò io: perché abbiamo un Portiere che probabilmente in un’altra vita è stato un funambolo,” disse facendo un cenno a Parkinson, ancora in mutande “tre Cacciatori infallibili, un Cercatore con un occhio di lince e una Battitrice che ha una forza da fare invidia ad un gigante.” Si fermò, perché tutti metabolizzassero la cosa, aveva bisogno che ci credessero fino in fondo.
“E il miglior capitano di tutti i tempi.” Gli sorrise Orion.
Vàli annuì serio. “Giusto, ma non mi sembrava bello incensarmi da solo. Comunque, sappiamo come giocano i Corvonero, i loro cacciatori voleranno isolati per procurarsi ciascuno la gloria che pensa di meritarsi…”
“E se iniziano a fare gioco di squadra?” domandò Malfoy, finendo di infilarsi un calzino.
“In tutti questi anni non ho mai visto un Corvonero passare la Pluffa a meno che non fosse seriamente convinto di stare per perderla, è per questo che i vostri attacchi saranno a sorpresa. Dakin, contiamo su di te.”
Il ragazzino dai capelli rossi annuì solennemente, investito di una tale responsabilità.
“Solo le ultime cose.” Riprese Vàli. “ Fuori sta per scatenarsi un temporale quindi Orion cerca di prendere quel Boccino il prima possibile.” Poi si girò verso i tre Cacciatori. “Non ho nessuna voglia di stare a discutere con Madame Lapin su falli e cazzate di questo genere, quindi limitatevi a delle spallate se proprio sono necessarie.” Scese dalla sedia. “Ah, Parkinson, ti prego, ti imploro non romperti niente, ci servi intero.”
Dorea trattenne un risatina alla faccia mortificata del Portiere e si legò i capelli in una lunga treccia.
Si girò a sentire un fischio di Vàli.”Per la barba di Merlino Malfoy, quella è la nuova Comet?” chiese ammirato.
Il ragazzo scattò in piedi con fare militaresco. “Si Capitano, praticamente appena uscita dalla fabbrica.” L’altro ragazzo si illuminò. “Fantastico, fantastico. Una grande squadra e una nuova Comet, non poteva andare meglio.” Borbottò tra sé, poi si riscosse. “Bene, se avete finito di vestirvi possiamo andare.”
L’intera squadra uscì, lasciando indietro Orion che era sempre il più lento a vestirsi. In realtà la sua lentezza era calcolata, gli piaceva gustarsi quel momento di adrenalina in solitudine, facendo respiri profondi mentre si allacciava la divisa. Lo calmava e lo concentrava, permettendogli di liberare la mente dai pensieri inutili.
“Ehi Orion,” la voce della sorella lo fece sussultare “guarda chi ho trovato che gironzolava qui intorno!” Disse, spingendo dentro Oliver e facendogli l’occhiolino.
Lui si sentì come scaldato in un solo istante e sorrise al ragazzo che camminava impacciato verso di lui.
“Non pensavo saresti venuto.” Commentò, conoscendo l’avversione dell’altro per quello sport.
Oliver gli tirò un pugno amichevole sulla spalla. “Giochi tu. Era ovvio che sarei venuto.” Poi, con fare cospiratorio spostò la sciarpa di Tassorosso (Orion era convinto che lui fosse l’unica persona a cui quell’orrendo giallo donasse veramente) e gli mostrò una minuscola spilla di Serpeverde. “Guarda cosa mi sono messo.”
Lui smise di allacciarsi i parabraccia e gli gettò le braccia al collo, arrossendo per primo. “Grazie per il supporto.” Gli sussurrò, dandogli un bacio sulla guancia gelata.
Oliver lo strinse. “Figurati, cerca solo di stare attento, sembra che stia per crollare il cielo.”
“Un po’ di pioggia non ha mai fatto male a nessuno.” Commentò l’altro con un’alzata di spalle, infilandosi i guanti.
“Basta che non ti fai colpire da un fulmine.”
“Starò attento.” Lo rassicurò girandosi per prendere la scopa.
Quando si voltò l’altro lo stava guardando con uno strano sguardo.
“Che c’è? Ho qualcosa in faccia?”
Oliver ridacchiò. “Stai…stai bene vestito così.”
Orion non poteva guardarsi allo specchio, ma sentiva benissimo di essere diventato dello stesso colore della sciarpa dei Grifondoro e si sentì trasformato in una ragazzina di dodici anni, a quanto pareva conveniva che ci facesse l’abitudine.
L’altro ignorò il suo imbarazzo e gli diede un bacio veloce. “Ci vediamo dopo la partita?”
Orion sbattè le ciglia più volte, preso alla sprovvista e con lo stomaco in subbuglio. Decisamente i suoi ormoni dovevano darsi una calmata. “S-si…”
Ancora intontito uscì dallo spogliatoio e raggiunse i compagni, sotto un cielo tempestoso.
In contemporanea montarono sulle loro scope.
“Non è ammessa la sconfitta.” Li spronò Vàli prima di alzarsi in volo, seguito da tutta la squadra.
L’aria pesava su di loro, già pregna delle gocce che presto sarebbero cadute, e le urla del pubblico arrivavano attutite e confuse.
Un fischio lacerò l’aria, la Pluffa volò in alto e la partita cominciò.

“Malfoy intercetta la Pluffa e si lancia verso gli anelli avversar…Per Merlino, quella che vedo è la nuova Comet? Se è così i Corvonero avranno ben poche possibilità di fermarlo ho senti…Sisi professoressa, riprendo la cronaca. Dicevo, Malfoy ha la pluffa, la passa indietro al piccolo Higgs che scarta a destra, di nuovo a Malfoy… Ma i Corvonero cosa fanno, dormono?”
Orion strizzò gli occhi, iniziando a salire di quota, sperando di individuare il boccino. Improvvisamente un fulmine illuminò il cielo e lui individuò un guizzo dorato vicino ad uno degli anelli avversari. Si lanciò in picchiata con il vento che, sprezzante, lo spingeva da dietro.
“DIECI A ZERO per Serpeverde! Mai vista un’azione così veloce, quella Comet fa miracoli. Daves in possesso di palla, punta dritto agli anelli dei Serpeverde, Higgs gli sta dietro…Ha fegato quel ragazzino signori. Ecco Warrington che gli sbarra la strada, ma Daves non cede, per tutte le mutande di Merlino, scusi professoressa, perché non passa la Pluffa?”
Dorea soppesò la mazza, le piaceva quella sensazione, quando la sentiva diventare un prolungamento del suo braccio. Si preparò all’impatto con quel Bolide furioso e con un fluido movimento lo scagliò verso Daves, facendogli perdere l’equilibiro.
“Gran colpo da parte di Black femmina, che stordisce Daves, Higgs ha la Pluffa, ora Warrington, la passa a Malfoy che vola sotto di lui... ma Samuels la intercetta.”
Orion intanto seguiva il Boccino che appariva spariva in quel pomeriggio senza sole, rendendogli le cose più difficili del solito, sentiva intanto il Cacciatore di Corvonero dietro di lui. Il pubblico esultò e lui si distrasse.
“VENTI A ZERO per Serpeverde!”
Strinse i denti, cercando di intercettarlo di nuovo mentre un bolide gli passava di fianco.
“Wow, avete visto cosa ha appena fatto Stretton, quel ragazzo è un mago delle acrobazie! Si avvicina agli anelli, Parkinson sembra teso…azione poco pulita da parte di Warrington ma nessuno chiama il fallo. Pluffa di nuovo in possesso dei Serpeverde…”
Un altro fulmine, il cielo si fece bianco e iniziò il diluvio, mentre i giocatori si trasformavano in fantasmi danzanti sotto la pioggia.
Warrington teneva stretta la Pluffa contro il petto e andava dritto a tutta velocità, senza vedere molto. Qualcosa urtò il manico della sua scopa e lui sentì la palla sfuggirgli dalle dita e poi il vuoto.
“Diamine! Warrrington a terra, speriamo non si sia rotto niente, certo che con questa pioggia…”
Vàli imprecò a qualche metro di distanza, zuppo di pioggia. Guardò il compagno mentre veniva portato via, poi vide qualcosa che lo fece sobbalzare. Che diavolo ci faceva Tom Riddle ad una partita di Quidditch?
“VENTI A DIECI per Serpeverde! I Corvonero sembrano intenzionati a rimontare...”
Era ufficiale, Orion ormai non vedeva più niente. La pioggia cadeva talmente fitta e violenta che neanche se il Boccino si fosse messo a svolazzargli sotto il naso se ne sarebbe accorto.
“Non vedo più i due Cercatori e voi? Che si siano messi al riparo?”
Orion mandò il cronista a quel paese e poi si gettò a sinistra, sperando di imbattersi nel Boccino.
“TRENTA A DIECI per Serpeverde, il primo punto della carriera di Higgs! Converrà tenerlo d’occhio, mi sembra molto promett…”
La cronaca della partita arrivava a Dorea inframezzata dalle urla del vento che tentava costantemente di disarcionarla. Mandò un Bolide contro un Corvonero, ma non riuscì a capire chi fosse.
“Daves si avvicina di nuovo agli anelli, scarta Malfoy, non molla la Pluffa…”
Parkinson strinse convulsamente il manico della sua scopa, mentre vedeva una macchia blu avvicinarsi a tutta velocità. Non riusciva a prevedere le sue mosse, da che parte lanciarsi, destra o sinistra.
“TRENTA A VENTI per Serpeverde! Daves è riuscito a piazzare un bellissimo colpo anche perché Parkinson deve essere stato confuso dalla pioggia, si è diretto dalla parte opposta…”
Vàli sputò rabbioso e salì di quota, affiancandosi a Orion. “Dannazione Orion, cerca di prendere questo Boccino, non so quanto riusciremo a resistere senza Warrington.”
“Fosse facile!” gli urlò di rimando il Cercatore, tentando di sovrastare il frastuono.”Non si vede niente!”
Quasi si fosse sentito chiamato in causa il Boccino d’Oro apparve davanti a loro, sbattendo provocatoriamente le ali e lasciandoli attoniti.
Orion si lanciò in avanti, protendendo il braccio. Page lo vide e lo imitò, mentre Vàli li seguiva con lo sguardo pronto a lanciare contro di loro un Bolide all’occorrenza.
“Sembra che Black maschio abbia appena visto il Boccino…”
Orion aggirò gli anelli e scese sempre più in basso, deciso a non perderlo di vista. Page gli si affiancò ed entrarono in collisione.
Lui perse il controllo della scopa, scese ancora di più e sbattè contro il suolo. Una scarica di dolore gli invase il braccio destro mentre riprendeva quota. Raggiunse Page e insieme girarono attorno ad una delle torri, il braccio del Corvonero si allungò fino a sfiorare il Boccino. Orion gli tirò una spallata, allontanandolo.
“Malfoy si impossessa della Pluffa e la passa a Higgs, Malfoy, Higgs, Malfoy, Higgs…Insomma decidetevi ragazzi!”
Il Boccino iniziò a sbattere più freneticamente le sue ali dorate mentre i due Cercatori si affannavano dietro di lui. Da lontano Vàli vide Orion in difficoltà e poi vide un bolide arrivare verso di lui. Frenò la scopa, preparò la mazza.
Il Cercatore allungò il braccio più che poté, gli sembrava di sentire lo spostamento d’aria provocata dalle ali. Il Bolide si avvicinava sempre velocemente.
Orion si spinse in avanti e perse l’equilibrio, il Bolide sfiorò la mazza di Vàli e cambiò direzione.
Le dita di Orion si strinsero intorno al Boccino, mentre la sua scopa veniva allontanata dal vento e lui cadeva a terra.
Il Bolide continuò la sua incontrollata corsa.
Tom Riddle allungò come tutti il collo bagnato per capire se il Cercatore di Serpeverde avesse davvero preso il Boccino, poi delle urla spaventate lo distrassero. Un Bolide impazzito si stava dirigendo a tutta velocità verso la tribuna dei Serpeverde, molti dei quali si buttarono a terra.
Fu una questione di attimi, con un gesto secco spinse di lato Hermione e poi fu il buio, mentre dal cielo continuava a scendere indifferente la pioggia.

Note:

1 "Shake it out" Florence+the Machine. Consiglio a tutte l'ascolto di questa canzone che, oltre ad essere bellissima, a me fa venire in mente il nostro Tom !

Mie meravigliose lettrici, questo capitolo è stato un vero parto ( e ci mancava che ci mettessi pure nove mesi), alla scuola si è aggiunto un blocco creativo contro cui ho dovuto lottare per giorni, ma da cui sono usicita finalmente vittoriosa !
*solleva trionfante la testa mozzata del blocco creativo*
Vorrei quindi ringraziare con tutto tutto il cuore coloro che hanno trovato il tempo per recensire la mia storia, davvero ragazze se trovo la forza di mettermi a scrivere di notte è solo grazie al vostro supporto e ai vostri bellissimi commenti!

Quindi un mega grazie a callas snape, pluffa (triplo grazie per te che sei riuscita a trovare il tempo di recensire pure la raccolta), Gabrielle Pigwidgeon( spero di averlo scritto giusto), Sara Luna 555, fenice713, martymione, Elpis (che sta scrivendo anche lei una bellissima storia su Tom, che consiglio a tutte), Santa Vio da Petralcina, lory1989, PikkolaSerpe99 e Konny.

Vorrei ringraziare anche le 72 (!!!!!!!) persone che seguono e le 40 che preferiscono, davvero grazie!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, come potete vedere mentre il mistero sulla sirena si infittisce, le cose tra Tom e Hermione  stanno iniziando a cambiare, spero di non farvi venire il latte alle ginocchia per la lentezza con cui si evolve il loro rapporto, ma sono terrorizzata dal fare diventare questa storia una farsa!
Intanto Vàli inizia a svelare qualche lato oscuro, spero che questo non deluda le sue fan!
Per quanto riguarda l'ultima parte credo si capisca che quella tra le virgolette e la cronaca della partita. Devo ammettere che, non avendo mai seguito in televisione uno sport che sia uno, è stata la parte più difficile da scrivere, spero che non vi abbia fatto schifo!
 
Ora, biscottini virtuali per tutti data la pazienza che avete mostrato.

Un bacio,

Blityri



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Capitolo 11
*** X ***


“Là in fondo,
altro stormo si muove; una tregenda
d’uomini che non sa questo tuo incenso,
nella scacchiera di cui puoi tu sola
comporre il senso.
[…] tu stessa ignori il gioco che si svolge
sul quadrato e ora è nembo alle tue porte”1



2 Novembre 1944. Hogwarts


Le coperte verdi le si erano attorcigliate intorno alle gambe, impedendola nei movimenti e costringendola a rimanere seduta e torturare il cuscino. Forse però era meglio così, pensava Hermione, girandosi nervosamente una ciocca di capelli intorno a un dito. Da dopo la partita si era ritrovata in un fastidioso stato di iperattività che aveva irritato persino la paziente Violet e che si accompagnava ad un’antitetica paralisi mentale, o almeno a lei sembrava tale. In quelle poche ore che erano trascorse dalla partita la sua mente era come rimasta bloccata su un unico fotogramma e i suoi occhi rivedevano in continuazione Riddle che la spingeva a terra, prima di essere sbalzato al di là delle gradinate.
C’era così tanto sangue, Hermione si era stupita che un solo corpo ne potesse contenere una tale quantità, o forse che il corpo del giovane Voldemort fosse fatto di sangue e carne, come tutti. Era stato portato via, velocemente quasi una fuga, e lei era rimasta immobile per un istante, senza riuscire a riafferrare la realtà che le vorticava intorno. Poi aveva sentito la sua voce intimare l’ordine, mentre spingeva i Prefetti a radunare gli studenti delle proprie case per riportarli al Castello. Non si era neanche accorta di essere completamente fradicia finché non era entrata nella Sala Comune e aveva notato il tappeto cambiare colore sotto i suoi passi.
Irreale, scombussolate, disarmante. Tom Riddle l’aveva spinta a terra, l’aveva allontanata dalla traiettoria del Bolide. Hermione continuava a far lavorare la sua memoria senza sosta per riordinare i tasselli mancanti. Forse si era sbagliata, davvero l’aveva fatto ? Davvero l’aveva salvata?
“…e proprio non credo che sia stato Vàli.” Sentì ripetere Violet per l’ennesima volta.
Gli occhi vacui di Hermione si spostarono sulla compagna e si socchiusero, come a focalizzarsi sulla realtà di quella conversazione.
“Dico a lanciare quel Bolide.”
“É tipo la trecentonovantaquattresima volta che lo ripeti Vi, abbiamo capito sai?” sbuffò Dorea dal letto affianco, scalciando via gli strati che la ricoprivano.
L’altra si mordicchiò il labbro inferiore, spostando lo sguardo su Hermione, quasi a cercare un supporto. “E allora perché non è ancora tornato in Dormitorio ?”
Hermione tentò di riscuotersi dalla sua apatia per rassicurarla. “Sicuramente sarà in infermeria con Tom…” tentò.
“E scusate avete visto che colpo che ho tirato all’inizio?” si intromise Dorea, spostando il discorso con poco tanto e quasi nessuna reazione da parte delle altre due.
“Secondo te cosa può essere successo?” continuò infatti Violet.
Hermione sospirò, scuotendo la testa, non aveva mai creduto alle coincidenze. Prima la Piovra Gigante aveva cercato di uccidere Riddle, poi un Bolide l’aveva quasi ammazzato. Qualcuno stava cercando di eliminare dalla scena il giovane Voldemort.
“..così ho deciso di andare a sinistra per poi lanciarmi contro Daves…”
“Non lo so, l’anno scorso Mirtilla, poi quella sirena e ora il Bolide. Inizio ad avere paura.”
“…e bum! Praticamente l’ho quasi disarcionato…”
“Poi ci sono quelle strane sparizioni, ne hai sentito?”
“Ho letto qualcosa sulla Gazzetta, dici che c’è qualcosa di più grosso dietro?”
“Non lo so, ma il Ministro non sembrava avere molto il polso della situazione. Ho paura… paura che si stia movendo qualcosa.”
“…poi Malfoy con quella nuova scopa ha fatto miracoli! Immagino che centri il fatto che abbia preferito allenarsi invece che andare ad Hogsmeade…”
“Oh, Dorea per Salazar! Ce la fai a stare zitta ? C’eravamo tutte e due alla partita.”
La ragazza si lasciò cadere sgraziatamente sul letto, chiaramente offesa.
“Non saprei, non sembrano avere qualche legame tra loro quelle spar…” riprese Hermione, prima di interrompersi bruscamente. Il suo sguardo si spostò sulla giovane Black, che sedeva a gambe incrociate, tenendo il broncio.
“Come hai detto?” chiese Hermione, mentre sentiva il battito improvvisamente accelerare.
L’altra continuò a guardarsi le punte della lunga coda, tentando di ignorarla. Ma se c’era una cosa che Dorea Black amava più del Quidditch era parlare di Quidditch, quindi la sua resistenza durò pochi secondi.
“Stavo parlando della nuova scopa di Malfoy, l’hai vista? É la nuova Comet, quella che arriva a fare 100 chilometri all’ora, quella che ha il sell…”
“No, no. Dopo.” La interruppe Hermione.
Dorea corrugò la fronte, cercando di capire cosa intendesse. “Che Malfoy si è allenato tutto il giorno, invece che andare ad Hogsmeade?”
Hermione saltò su eccitata, mentre sentiva una strana corrente percorrerle il corpo. Era la stessa sensazione che provava quando conosceva tutte le domande di un test, eccitazione e soddisfazione. Svelta si lanciò giù dal letto e si infilò il primo paio di pantaloni che trovò a portata di mano, se era giusto quello che aveva in mente non c’era tempo da perdere.
Sotto lo sguardo allibito delle sue due compagne finì di vestirsi.
“Dove diavolo stai andando?” le chiese Violet.
Hermione si soffiò via i capelli crespi dal viso. “ In Infermeria.” Rispose veloce, prima di sparire dal Dormitorio.
Mentre usciva dalla stanza fece in tempo a sentire il commento di Dorea. “Io l’avevo detto che tra quei due c’era qualcosa.”
Camminò veloce fuori dalla Sala Comune, poi giù, saltando qualche scalino mentre sentiva finalmente la sua mente tornare ad appartenerle. Abraxas Malfoy non era andato ad Hogsmeade il 31 Ottobre. Abraxas Malfoy era rimasto ad Hogwarts forse ad allenarsi a Quidditch, forse no. Hermione saltò altri due scalini prima di fermarsi al suono del suo nome che era rotolato fuori da uno dei corridoi dietro di lei.
Charlus Potter le si avvicinò con un sorriso sornione stampato su quella faccia dolorosamente familiare.
“Non dovresti essere in giro Hermione, c’è il copri fuoco.” La informò, finendo di infilare qualcosa sotto il mantello.
“Sono Caposcuola, tu piuttosto cosa fai qua?” rispose piccata lei, con cipiglio autoritario.
“Giro di ronda, è il mio turno sta sera.” Rispose tranquillo.
Hermione annuì, poi si voltò e lo osservò con sguardo investigativo. Charlus raddrizzò le spalle.
“Cosa sai di Malfoy?” domandò forse eccessivamente diretta.
Il ragazzo fece un mezzo sorriso. “Non pensavo ti piacessero i biondi.” La prese in giro.
Lei sbuffò. “Infatti non mi piacciono.”
“Dite tutte così.”
Hermione lo ignorò e alzò un sopracciglio in attesa.
“Non era male un tempo,” rispose Charlus, spostando gli occhi verso le scale e un non troppo lontano passato “poi è iniziata quella sua fissa per il sangue puro…”
“Lo conoscevi bene quindi ?”
Questa volta Charlus parlò veloce e la sua risposta arrivò secca e inaspettata come un colpo di cerbottana. “Eravamo amici.”
Se l’espressione del ragazzo non l’avesse frenata, probabilmente Hermione avrebbe riso per la sconcertante ironia della cosa.
Charlus colse quell’espressione di sorpresa e si passò una mano tra i capelli. “Non guardarmi così, era in gamba fino a qualche..bè facciamo almeno quattro anni fa, prima che diventasse strano.”
“Oh.” Fu l’unica cosa che lei riuscì a dire.
“Già.”
Hermione si strofinò la punta del naso con il dito indice. “Ora non vi parlate molto.”
“Nah.” Confermò con un’alzata di spalle. “L’ultima volta che l’abbiamo fatto ci siamo presi a pugni, quindi forse è meglio così.”
Lei sgranò gli occhi. “Vi siete presi a pugni ?”
Charlus si passò una mano tra i capelli. “In realtà io l’ho preso a pugni, lui si è lasciato picchiare ora che ci ripenso. Mi sono beccato due settimane di punizione per quello, dannato Malfoy! Non sono riuscito più a scrivere per giorni dopo aver lucid…” si interruppe per tornare a guardarla. “Com’è che stiamo parlando di lui?”
Hermione si pentì di aver introdotto l’argomento, chiedere altre informazioni avrebbe significato destare sospetti. Sospetti che avrebbero portato domande per cui lei non era sicura di avere risposte. A volte si dimenticava del suo passato sempre in agguato, un gigante chiuso in un ripostiglio che cercava in ogni modo di uscire, di non essere abbandonato.
“La mia passione per i biondi.” Tentò.
Prima che Charlus avesse avuto il tempo di commentare, si era già allontanata di corsa arrivando al primo piano.
Rallentando il passo si avvicinò alla porta dell’Infermeria stranamente socchiusa, da cui scivolava un delicato bagliore. Silenziosa sbirciò dentro e non vide nessuno, poi il suo sguardo cadde sull’ultimo letto della fila di sinistra dove era sdraiato Tom Riddle. Il ragazzo continuava a muoversi, come tormentato, mentre dalla sua bocca chiusa, a intermittenza, uscivano dei flebili lamenti, come sussurrati.
La sua mente le disse di tornare indietro ed Hermione fece un passo avanti.


8 Novembre. Hogwarts

La Foresta Proibita era molto di più che un semplice agglomerato di alberi e creature, per secoli aveva rappresentato le paure e le fantasie di generazioni di studenti. Era sfide di coraggio, era libertà, era solitudine: la foresta aveva mille facce, una per ognuno dei ragazzi che vi era entrato, per Alastair in particolare era tutte le sue confessioni.
Mentre camminava, scandagliando il terreno con la bacchetta alla ricerca di indizi, gli sembrava di poter percepire con chiarezza le foglie bisbigliare parole dimenticate, segreti affogati in quel marasma di foglie e rami, e mai più ritrovati. Risentiva, mentre alcuni ramoscelli secchi si spezzavano al suo passaggio, le confidenze che lui e Richard erano soliti farsi in quel luogo, parlavano sempre di tutto ma solo in quella foresta, nascosti dal sole, parlavano veramente di sé.
Una minuscola macchia blu sopra di un sasso attirò la sua attenzione e si chinò a raccoglierlo, mentre lontano sentiva sfumare le risate di un tempo ormai morto.
Si porto la pietra vicino al viso e la annusò, sangue di sirena. Si rialzò lentamente, soddisfatto di essere sulla pista giusta e sollevato che la pioggia di quei giorni non avesse cancellato ogni traccia.
Continuò a camminare, lasciandosi guidare dal suo istinto, mentre gli alberi si aprivano fantomaticamente davanti a lui. Alastair sospirò, era sempre stato tutto un gioco per loro, un gioco quei sette anni trascorsi protetti da ogni altra realtà, un gioco sposarsi subito dopo con Clarissa, un gioco andare in missione.
Là la loro cielo di illusioni era stato frantumato dall’orrore e da un odio che non pensavano fosse proprio dell’essere umano, le schegge che erano precipitate sulle loro teste li aveva trovati attoniti e pietrificati.
Avevano ucciso e avevano visto uccidere, avevano perso per sempre ogni innocenza precipitando in una spirale di distruzione che li aveva logorati fino all’apatia.
Ogni singola parte di loro si era riempita di quella morte che tentavano ogni giorno invano di fermare, si sentivano come appestati, portatori sani di quella violenza inarrestabile, e così si erano chiusi nella loro diade, dove ognuno sapeva cosa provava e pensava l’altro. Nessun’altro a casa l’avrebbe capito mai come faceva Richard, per questo faceva fatica a tornare.
Anche in quel momento, mentre camminava, gli sembrava di essere come sospeso in un sogno lontano e sfumato, niente di quella foresta gli sembrava reale.
Improvvisamente quello che a prima vista poteva sembrare uno Snaso, sgusciò fuori da un enorme cespuglio carico di foglie secche, nella fretta però la creatura rimase impigliata e iniziò a emettere striduli lamenti che obbligarono Alastair a piegarsi per tentare di liberarla.
Con un colpo di bacchetta lo Snaso fu in grado di dileguarsi, lasciando l’uomo a fissare il cespuglio. Da lontano gli era sembrato che coprisse una delle solite grotte della foresta, ma da quella angolatura poteva benissimo vedere una radura sconosciuta.
Incuriosito, Alastair si fece largo tra i rami appuntiti e in breve fece il suo ingresso in quel luogo inesplorato : una pianura erbosa di discrete dimensioni, completamente vuota fatta eccezione per una grossa quercia sulla sinistra.
Alastair non ricordava di averla mai vista e iniziò a esaminarla con particolare attenzione alla ricerca di indizi rivelatori, finché non trovò numerose macchie di sangue cobalto, rappreso su alcuni fili d’erba. Si stava convincendo sempre di più di aver trovato il luogo del delitto.
“Signorina Evans?”
La ragazza spostò lentamente lo sguardo su di lui. “Mm?”
“Le ho chiesto dove si trovava il 31 Ottobre, mi è stato riferito che non si è recata ad Hogsmeade.”
Hermione annuì. “Ero con Riddle, siamo andati da Hagrid e poi al lago.”
“Intende il Guardiacaccia?”
“Precisamente. Chieda a lui, se vuole una conferma.”
“Se non sbaglio è stato accusato di omicidio, non è un granché come testimone.”
“Allora lo chieda a Riddle, quando si sveglierà.”
Lui si appoggiò allo schienale della sedia. “Mi sembra nervosa, signorina Evans.”
“Un mio compagno è stato colpito da un Bolide impazzito e  il cadavere di una sirena è stato appeso all’ingresso della scuola, certo che sono nervosa.”
Mentiva. Alastair ne era quasi certo.
Era inutile cercare un’arma del delitto, la creatura era stata uccisa da un Anatema Che Uccide e ognuna di quelle ferite proveniva da una bacchetta. Evidentemente l’assassino non aveva voluto sporcarsi le mani.
Alastair maledisse la pioggia che aveva cancellato ogni impronta del colpevole, obbligandolo a brancolare nel buio. Abbandonate quelle inutili prove, si spostò vicino al maestoso albero e il suo sguardo fu attirato dagli sfregi sul tronco nodoso. La sua mano ne accarezzò la superficie rugosa, indugiando su quelle che sembravano ferite ancora non perfettamente rimarginate. Alastair guardò con più attenzione e si accorse che quei profondi graffi erano stati provocati da incantesimi potenti. Si girò e scrutò la radura. Era praticamente impossibile che un incantesimo fosse sfuggito al colpevole e avesse colpito quella quercia, quel punto non era sulla traiettoria delle macchie di sangue.
In alcune ferite della sirena era stata trovata della terra quindi con doveva essere stata torturata da sdraiata, da dove venivano quegli sfregi sulla corteccia allora ?
“Signor Potter, si accomodi.”
Il ragazzo si sedette davanti a lui con fare svogliato.
“Di cosa vuole che parliamo ?”
“Sono un Auror non uno psicologo, siamo qui per parlare dell’omicidio.”
“Era solo per sciogliere la tensione.”
Alastair scrutò attentamente il ragazzo.
“Si sente teso, signor Potter?”
“Non particolarmente.” Rispose con un’alzata di spalle, mentre il suo sguardo iniziava a vagare sul lampadario appeso sopra di lui.
“E’ un brutto graffio quello che ha sul collo.” Commentò Alastair.
Il ragazzo immediatamente abbassò il capo imbarazzato e la ferita tornò a nascondersi sotto la sciarpa rossa-oro.
Un sorriso nervoso gli si dipinse sul volto. “Quidditch.”
Alastair annuì comprensivo.
“Sa signor Potter, mi sono arrivate strane voci in questi giorni.”
Il ragazzo assottigliò gli occhi chiari, in attesa.
“Si dice che esista una specie di società segreta a Hogwarts, la chiamano l’Ordine della Fenice’.” Alastair fece una pausa, per permettere all’altro di assimilare l’informazione. “Se esistesse, lei capisce che mi troverei nella spiacevole posizione di doverne trovare i capi. Sto parlando ipoteticamente, sia chiaro.”
“E in via ipotetica, che cosa succederebbe a questi…questi capi.”
“Chiaramente sarebbero espulsi, mi capisce, ma non sarebbe questa la cosa peggiore.”
“Ah no?”
“Stiamo parlando di omicidio signor Potter, per quanto ne so io potrebbe trattarsi di un’iniziazione o di qualcosa di simile. Non c’è mai da fidarsi di queste sette. Se esistesse effettivamente e se ne riuscissimo ad individuare i membri, rischierebbero di essere tutti quanti indagati”.
Il ragazzo raddrizzò le spalle e lo guardò con aria di sfida.
“Quello che le posso dire, Capitano Nott, è che se esistesse davvero questo Ordine della Fenice, lei non dovrebbe preoccuparsi che fosse coinvolto in tutta questa faccenda, non sarebbe nel suo stile.”
L’uomo gli fece segno di andarsene e il ragazzo si alzò.
Prima di chiudersi dietro la porta però Charlus si voltò. “Tuttavia signore, sempre in via ipotetica, potrebbe esistere un’altra società segreta in questa scuola, le cui idee potrebbero ricordare quelle di Grindelwald. Potrebbero, se esistessero ovviamente, essere i Mangiamorte quelli che cerca.”
Alastair alzò il capo e notò che alcuni dei rami erano stati completamente bruciati. Con giovanile agilità si arrampicò e strappo un ramoscello carbonizzato. L’odore era inconfondibile, qualcuno in quella radura doveva aver usato l’incantesimo Ardemonio, o qualcosa di simile.
Ridiscese pensieroso, era un incantesimo estremamente difficile e pericoloso, uno di quelli che non si imparano per divertimento o per fare colpo su una ragazza.
La ragazza dalla zazzera rossa gli si avvicinò e gli diede due affettuosi baci sulle guance.
“Da quanto tempo Violet!” la salutò lui.
“Praticamente epoche, Capitano Nott.” Gli sorrise, sedendosi davanti a lui.
“Un tempo mi chiamavi per nome se non sbaglio.”
Lei mise su un’aria cospiratoria. “Si, ma sai com’è…ora sei in servizio.”
Alastair rise divertito mentre si accomodava a sua volta.
“Allora Violet, hai visto o sentito qualcosa di strano in questi giorni?”
La sua faccia non tradì la minima espressione, ma i suoi capelli iniziarono a scurirsi sulle punte. “Era il simbolo di Grindelwalt, non è vero ? Quello inciso s-sulla…sulla…”
“Si, era il suo simbolo. L’avevi già visto prima ?”
Lei scosse la testa. “Ho letto di quella coppia di Gloucester.”
“Brutta storia. Non sono riusciti ancora ad individuare i colpevoli.”
“E se tutti questi omicidi e sparizioni fossero collegati?”
“C’ho pensato anche io Violet, ma per molti sono stati arrestati dei babbani.”
“Oh, andiamo Capitano Nott, non ci crederai veramente.”
Lo sguardo di Alastair si indurì. “Mi fido del lavoro degli Auror e tu dovresti fare altrettanto.” Ribattè secco.
Violet lo guardò scettica. “Non hai pensato che potrebbe essere tutto collegato? Che qualcuno stia cercando di riportare qui Grindelwald, avrebbe il terreno spia…”
“La tua fantasia galoppa troppo, mia piccola amica.” La interruppe veloce. “I confini sono altamente sicuri e se qualcuno stesse cercando di farlo arrivare in Inghilterra, il Ministero ne sarebbe al corrente.” Continuò, senza troppa convinzione.
“E se fosse qualcuno del Ministero?”


Il fuoco scoppiettava, la penna di Augusta scricchiolava, qualcuno stava scendendo le scale saltellando e Minerva McGrannit credeva di impazzire.
“Dannazione.” Sbottò, accartocciando la pergamena che aveva davanti e gettandola tra le fiamme poco lontano.
Augusta, seduta vicino a lei alzò la testa dai suoi compiti e la guardò, palesemente preoccupata.
“Tutto bene Minerva?”
L’altra strinse le labbra e annuì decisa, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo. Prese un altro foglio e intinse la piuma nel calamaio, ma quando ricominciò a scrivere subito una macchia si distese veloce sulla pergamena.
“Dannazione.” Ripetè.
Minerva lasciò perdere il compito di Rune e appoggiò la fronte sui palmi delle mani, cercando di darsi una calmata. Chiuse gli occhi e immaginò di trovarsi sulle scogliere a nord del suo paese, con i gabbiani che volavano sopra la sua testa giocando con il vento, e le onde che si frangevano violente sulla costa.
Alzò la testa di scatto. “Per Godric, Charlus la vuoi piantare?”
Il ragazzo immediatamente smise di lanciare in aria la pallina e se la infilò in tasca, scrutandola con attenzione.
“Chi è lui?”
Il sopracciglio sinistro della ragazza scattò in alto, sulla difensiva. “Lui chi?”
Charlus si tirò su dalla poltrona in cui era sprofondato e le si avvicinò con un sospiro. “Mia dol… spostati un po’ Aug, su!” Si fece spazio fra le due. “Mia dolce Minerva, stavo dicendo, mi ritengo perfettamente ferrato nei problemi di cuore…”
“Più che altro sei bravo a causarli, Potter.” Commentò Augusta Paciock, senza alzare la testa dalla pergamena, lui la ignorò.
“…e tu hai scritto sulla fronte ‘Sto male per un ragazzo’, quindi non tentare di prendermi in giro.”
Lei non rispose ma iniziò a mordersi il labbro inferiore.
“Prendo il tuo silenzio come un si…”
“Io lo prenderei come un ‘levati di torno che stiamo strette’, però fai tu.”
“Sei più acida del solito oggi Aug, che ti è successo?”
“E’ il tuo gomito conficcato nelle mie costole che mi rende acida, Potter.”
Minerva cercò di ignorare il battibecco, concentrandosi sul groviglio di sensazioni che si era andato a depositare sul suo stomaco. Le sembrava di avere un buco al centro del petto in continua crescita, un abisso che risucchiava ogni altro pensiero o sensazione che non fosse quella di profonda tristezza e delusione. Lo amava, era certa di amarlo ma evidentemente lui non la pensava allo stesso modo: aveva voluto tenere segreta la loro relazione, aveva preferito quel branco di idioti dotati di cappuccio nero a lei.
“E’ un idiota.” Mormorò, più a se stessa che agli altri due.
Charlus sogghignò, felice di averci azzeccato, e le passò un braccio sulle spalle. Lei era troppo giù per scrollarselo di dosso.
“Non lo siamo tutti?”
“Parla per te Potter.”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e tentò, per quanto fosse possibile di dare le spalle ad Augusta.
“Sotto il prezioso consiglio della signorina Paciock riformulo la frase, noi ragazzi lo siamo abbastanza spesso a quest’età, quindi trovami un altro motivo.”
Minerva iniziò a torturare la manica della sua divisa. Non avrebbe dovuto parlarne con Charlus, non avrebbe dovuto parlarne con nessuno ma temeva che sarebbe presto esplosa se avesse continuato a rimanere zitta.
“L-lui non vuole che si sappia che stiamo insieme.” Sputò, senza essere molto sicura di quello che aveva appena detto, come se le parole si fossero fatte strada da sole tra le sue labbra, smaniose di vedere la luce.
Augusta alzò gli occhi al cielo, erano anni che la situazione non cambiava, non riusciva proprio a capire perché l’amica avesse iniziato proprio in quei giorni a dare di matto.
“E mi nasconde qualcosa.” Aggiunse, quando si accorse che l’altro non aveva ancora commentato.
“Tutti nascondiamo qualcosa, Minerva.” Fece dopo qualche istante, con fare saccente. “Alcuni segreti sono come dei rifugi, dove nascondiamo una parte di noi, dove mettiamo al sicuro la nostra felicità.”
Augusta posò la piuma. “Amen.” Sotto lo sguardo penetrante del ragazzo si stiracchiò. “ E sentiamo Potter, qual è il tuo di segreto?”
Il ragazzo fece un mezzo sorriso e il suo pensiero andò per un istante a quella ragazza strana che incontrava ogni tanto. “Se te lo dicessi non sarebbe più un segreto, no?”
Lasciando Augusta a borbottare contro di lui, tornò a concentrarsi su Minerva che osservava afflitta un punto imprecisato davanti a lei.
“Dici che ha un'altra?” chiese con poco tatto.
La ragazza subito si riscosse. “No. Assolutamente no.”
Charlus finse di riflettere per un attimo, poi sul suo volto si dipinse un’espressione trionfante. Si girò di scatto e sussurrò qualcosa nell’orecchio della spaventata Augusta, prese Minerva per un braccio e la trascinò fuori dalla Sala Comune.
“Ehi ! Si può sapere dove stiamo andando?”
L’altro iniziò a saltellare giù per le scale. “Sala Grande.”
“Ma manca mezz’ora buona per la cena, che ci andiamo a fare?” tentò di protestare lei.
“Vedi mia inesperta Minerva, ora vedrai all’opera qualcosa di più potente di tutti gli incantesimi che ti potrai mai sognare, la più distruttiva della forze.”
“Sarebbe?” chiese per niente convinta.
“La gelosia, mio delizioso Capitano, la gelosia.”
Con uno strattone si liberò dalla presa del compagno e si immobilizzò. “Non mi muovo finché non mi spieghi cosa ha intenzione di fare, lo so come vanno a finire di solito i tuoi piani.”
“Le probabilità di successo in questa situazione sono del novanta per cento dei casi.”
La ragazza incrociò le braccia. “ E il restante dieci per cento ?”
Charlus la prese per una manica e la tirò avanti. “Devi pensare positivo se vuoi riconquistare il tuo bello. A proposito, chi è?”
Minerva abbassò gli occhi.
“Giuro solennemente che mi porterò il segreto nella tomba eccetera eccetera.”
Due occhi felini lo fissarono intensamente. “Nott.” Bisbigliò infine.
Il ragazzo le tirò una pacca sulla spalla. “E brava la McGrannit, ti sei scelta un Capitano eh?”
Minerva lo fulminò. “Abbassa la voce per l’amor del cielo, vuoi che lo sappiano tutti?”
“Di questo ne parleremo dopo. Ora concentriamoci sul mio brillante piano.”
“Sentiamo.”
“E’ molto semplice, dobbiamo solo fare finta di stare insieme, il resto verrà da sé.”
Lei si blocco davanti all’ingresso della Sala Grande. “Sei completamente andato fuori di testa Charlus ? Io non ti bacio neanche morta.”
Lui si portò una mano sul cuore, mettendo su un’espressione contrariata. “Mi ritengo ufficialmente offeso. Non pensavo che avessi tali opinioni nei miei riguardi.”
Minerva alzò gli occhi al cielo. “Sai cosa intendo.”
“Bene, allora morirai zitella Minerva McGrannit.”
“Questo è un colpo basso Potter.”
Il ragazzo le fece un occhiolino e, prendendola per la vita, fecero il loro ingresso nella Sala Grande.
I minuti passarono agonizzanti finché finalmente gli studenti iniziarono a prendere posto nelle varie tavolate e Minerva capì che era arrivato il momento.
Charlus la tirò in piedi e le si avvicinò pericolosamente.
“Pensa,” le sussurrò divertito ad un orecchio “decine di ragazze ucciderebbero per essere al tuo posto.”
Lei strinse i denti. “Se dobbiamo faro, facciamolo Potter, ma evita le questi commenti.”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. “Deve avere la pazienza di un santo Nott.”
“Molto divertente, Charlus dav…oddio è arrivato.”
Lui non si voltò per controllare ma le posò le mani sul collo. “Rilassati vecchia mia, mi è stato detto più volte che sono un ottimo baciatore.”
“Baciamoci e basta.” Commentò decisa.
E fu quello che fecero, mentre una mezza dozzina di cuori andava in pezzi nell’ammirare il giovane Cacciatore di Grifondoro e quello di Vàli Nott smise di battere nel vedere la sua Minnie, baciare un altro.
Minerva si intimò di tenere gli occhi chiusi e continuò a baciare Charlus con una rabbia che non credeva di essere in grado di provare, le loro labbra si toccano e si separavano in una danza violenta che obbligava chi era intorno a loro a distogliere lo sguardo imbarazzati.
Quando finalmente si separarono la ragazza non riuscì a guardarsi intorno, ma continuò a fissare gli occhi di Charlus così vicino ai suoi.
“Come dici che è andata?” sussurrò.
Lui le accarezzò una guancia. “Non ti facevo così focosa McGrannit.” Scherzò.
“Com’è che tu sai di torta di zucca.”
“Ho degli amici nelle cucine.” Disse prima di baciarla ancora.
Quando si sedette di fianco ad Augusta sentì di avere le guance in fiamme ma non si pentì di quello che aveva appena fatto.
L’amica le fece l’occhiolino. “Direi che è andata bene no? E’ fermo all’ingresso da dieci minuti buo… No! Non ti voltare, rovini tutto se no.” Le intimò.
Minerva sbuffò, lottando contro il suo desiderio e si intimò di continuare a fissare il bicchiere davanti a lei. Anche se non lo vedeva la sua mente impietosa le riproponeva un’immagine estremamente fedele alla realtà, e lei non poté fare a meno di sentirsi un mostro egoista per quello che aveva fatto. Sapeva dentro di sé che sarebbe bastato lasciare che Vàli le parlasse, come aveva tentato di fare nei giorni precedenti, per sistemare le cose. Ma non le sarebbe bastato, aveva voluto fargli male, ferirlo lì dove sapeva che avrebbe sofferto di più, nel punto più delicato della sua insicurezza. Perché voleva punirlo, punirlo per i segreti che non voleva condividere, punirlo per le sue bugie, punirlo per l’arrendevolezza a cui lei stessa si riduceva.
 “Com’è che sai già tutto?”
“Charlus me l’ha bisbigliato prima, ho fatto anche io la mia parte. Ora tutto il castello è convinto che stiate insieme.”
“Non sei contento zuccherino?” si intromise Charlus.
“Chiamami ancora così e ti infilzo con la forchetta.” Commentò facendo sorridere entrambi.
“Oh. Se n’è andato.” La informò Augusta. “Non ti azzardare a seguirlo.”
Mentre Minerva rimaneva seduta a rimuginare su quello appena fatto e i sensi di colpa cercavano di farsi strada in lei, Vàli era indietreggiato velocemente ignorando le chiamate di Violet.
In un attimo era sparito dalla Sala Grande e aveva iniziato a correre su per le scale. Non riusciva a capire, a mettere insieme i pezzi, a ricostruire la scena. Minerva aveva baciato un altro, qualcuno che non era lui. Minerva l’aveva baciato davanti a tutti, davanti ai suoi occhi, davanti ai professori.
Sentiva un mostro ruggire nel suo petto, avrebbe voluto picchiare qualcuno, urlare, saltare; ma non lo fece, perché sapeva che in fondo era solo colpa sua, era lui che aveva rovinato tutto fin dall’inizio, era un debole, un vigliacco, lo era sempre stato e ora aveva perso l’unica persona che lo sosteneva.
Tirò un calcio ad una statua e senti le ossa del suo piede scricchiolare, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. Cercò di concentrarsi sul piede che pulsava ritmicamente e di allontanare quell’immagine dolorosa. Aveva tentato di scusarsi, di parlarci per l’intera settimana ma lei aveva fatto finta di non sentire, aveva creduto fosse perché era arrabbiata, non perché ci fosse un altro.
“Vàli?”
Il ragazzo si voltò, sperando che fosse Minnie, venuta a dirgli che c’era stato uno sbaglio, che Charlus non le piaceva, ma era solo Hermione Evans.
“Tutto bene?”chiese preoccupata dalle lacrime che continuavano a scendergli lungo le guance, anche senza il suo permesso.
“Mmm.” Mugugnò, cercando di pulirsi la faccia con la manica del golf.
Lei gli si sedette di fianco e aspettò che lui dicesse qualcosa.
“Minnie.” Sputò fuori. “Stava baciando Potter.” Nel momento in cui lo disse la situazione gli apparve in tutta la sua cruda realta e si sentì ancora peggio.
Hermione rimase a bocca aperta e per un attimo non seppe cosa dire. “Ma sei sicuro?” commentò infine, rendendosi conto che era la cosa più stupida che le potesse venire in mente.
“Certo che sono sicuro, li ho visti. Anzi, tutta la scuola li ha visti.” Rispose acido.
“Oh.”
“Già.”
Vàli si prese la testa tra le mani ed Hermione cercò di confortarlo con qualche leggera pacca sulla spalla sinistra. Quando i tuoi migliori amici sono maschi si finisce per avere il tatto di un rinoceronte.
“Credo si sia stufata della nostra relazione, dei segreti…”
“Perché non provi a farle capire che sei disposto a cambiare le cose? Sempre se lo sei.”
Il ragazzo si interrogò per un secondo solo, era disposto a tutto per Minerva McGrannit. “Cosa posso fare?”
Hermione alzò le spalle. “Non sono molto brava in queste cose, ma credo che potresti...parlarle ?.”
“Parlarle?” chiese incredulo “E’ una settimana che tento di parlarci e comunque uno dovrebbe riuscire ad allontanarla da quella sanguisuga di Potter, dovevi vederli” commentò con foga “erano così…così avvinghiati.”
Lei sorrise, il pensiero che la professoressa McGrannit potesse avvinghiarsi a qualcuno  non l’aveva mai sfiorata.
“Allora scrivile una lettera o una cosa del genere.” Propose.
“Una cosa del genere…” ripetè lui poco convinto, poi alzò la testa e la guardò con aria stupita, come se si fosse accorto solo in quel momento che lei era veramente lì. “Com’è che non sei a cena tu?”
“Ho mangiato prima in Infermeria e ho un appuntamento con il professor Silente.”
“Come sta?” chiese preoccupato.
“Al solito.” Rispose atona lei, alzandosi. “Magari ci vediamo dopo.”
“Se non ho deciso di affogarmi nel Lago Nero, si.” Sussurrò Vàli, con aria depressa.
Dopo avergli rivolto un sorriso che sperava fosse pieno di ottimismo e fiducia, Hermione si avviò verso l’ufficio di Silente domandandosi il perché di quella convocazione. Mentre passava al vaglio le possibili motivazioni, per un attimo temette che potesse c’entrare con il suo terribile interrogatorio.
Aveva fatto di tutto per sembrare rilassata e all’oscuro di qualsiasi faccenda, ma non era mai stata brava a mentire e lo sguardo che le aveva rivolto il padre di Nott alla fine del loro colloquio era stato abbastanza eloquente. Tuttavia Hermione era convinta che, per quanto l’Auror potesse essere perspicace, mai avrebbe potuto collegare Riddle alla sirena.
La porta dello studio era socchiusa e dall’interno proveniva un rimestare di carte e un borbottio quasi impercettibile. Entrò, dopo aver bussato, e si ritrovò circondata da pezzi di pergamena che levitavano tranquillamente sopra la sua testa mentre vicino alla scrivania del vice preside fluttuavano formule matematiche che venivano sistematicamente cancellate da gesti decisi di Silente.
“Professore ?” chiese, abbassandosi per evitare di urtare quello che sembrava essere il disegno del sistema solare, che iniziava a perdere quota.
“Prego, prego signorina Granger si accomodi.” Le rispose l’altro distratto.
“Va tutto bene professore ?” si preoccupò.
Lui alzò la testa ed Hermione vi vide dipinta un’espressione sconfortata.
 “Temo proprio di no. E’ per questo che l’ho fatta venire qui.” Disse, spostando le carte che aveva davanti. “Mi stavo chiedendo se per caso non avrebbe potuto aiutarmi.”
Hermione annuì decisa. “Certamente, di cosa ha bisogno?”
“Mi domandavo se lei, venendo dal futuro, fosse già a conoscenza degli eventi appena accaduti.”
Non era quello che lei si aspettava, ma la domanda non la colse impreparata perché lei per prima aveva cercato nella sua memoria una traccia di quello che era accaduto, senza trovarne.
“No professore, forse sono io che ricordo male…ma non ho mai letto di tutto questo.”
Silente annuì, poi tirò fuori da un cassetto alcune grosse pergamene, fitte di formule e disegni. Gliele mise davanti e ne indicò una.
“Vede qui, signorina Granger?”
Lei osservò con attenzione, ma l’unica cosa che riusciva a scorgere erano delle rette, il resto non aveva un senso.
“Cosa dovrei vedere?”
“Queste pagine mi sono arrivate qualche giorno fa e riportano una strana scoperta.”
“Credo di non capire, professore.”
Silente si protese in avanti e indicò una delle due rette. “Questa qui è l’asse temporale che viene percorso in ogni istante dal nostro pianeta, non tutti si trovano d’accordo sulla sua rappresentazione grafica… ma non è questo che ci interessa!” Si interruppe brusco e si lisciò la barba.
Hermione osservò la carta che aveva davanti. “Professore?”
“Si?”
“Se questa è la linea temporale perché il nostro pianeta sembra spostato?”
Lui sospirò. “E’ proprio questo il punto, signorina Granger, il nostro pianeta non sembra spostato, il nostro pianeta si è spostato.”
La ragazza lo fissò, in attesa di un’ulteriore spiegazione.
“A quanto pare il nostro pianeta si è allontanato dalla linea spazio temporale che stava percorrendo.”
“E dov’è adesso?”
“Su un’altra linea immagino.”
Gli occhi di lei si abbassarono di nuovo, mentre nella sua mente si andava a costruire precisa e implacabile l’ovvia conclusione.
Fu Silente a dare voce ai suoi pensieri. “E’ successo qualcosa che ha come fatto deragliare il nostro mondo, qualcosa è stato modificato e…”
“Il futuro cambierà, non è vero?” concluse Hermione sottovoce. “La terra si è spostata perché è stato modificato il presente, di conseguenza anche il futuro cambierà.”
“Non abbiamo ancora delle prove certe, ma in linea puramente teorica dovrebbe essere così.”
Cose terribili accadono ai maghi che non rispettano le regole del tempo, si ricordò Hermione. Era tornata indietro e si era inserita nel passato, una delle sue azione doveva aver provocato quello slittamento, ma quale ?
“Se il futuro è cambiato, significa che non è più il mio, che non potrò…non potrò tornare indietro?” chiese spaventata.
Silente la guardò assordo per alcuni secondi, poi allungò una mano e strinse la sua, Hermione tentò di sorridere, ma non ci riuscì. Il pensiero di dover rimanere lì per sempre l’aveva pietrificata, come se il suo corpo si fosse rifiutato di apprendere quell’informazione.
“Voglio essere onesto con lei: non ne ho idea. Tuttavia immagino che ci debba essere una soluzione, se nel futuro ho deciso di rimandarla indietro devo aver calcolato questa probabilità.” Cercò di rassicurarla. “Ci deve essere una soluzione.” Ripetè, più a se stesso che a lei.
Con la mano libera dalla stretta di Silente estrasse il Giratempo da sotto la camicia e lo osservò, cercando di trattenere le lacrime che iniziavano a pizzicarle gli occhi. Voleva tornare indietro, riabbracciare Ron e Ginny, voleva salutare Harry un’ultima volta. Sentì una goccia salata farsi strada tra le sue ciglia e scivolare mesta lungo la guancia.
“Signorina Granger, m-mi permetterebbe di prendere in custodia quell’oggetto? Vorrei studiarlo, forse potrebbe aiutarci.”
Lei annuì e gli consegnò il Giratempo, freddo e immobile tra le sue dita.
Il professor Silente lo prese con delicatezza e lo guardò con un misto di interesse e reverenza, mentre si domandava se rimandare indietro quella ragazza fosse stato solo un altro dei suoi errori.


Dorea lasciò penzolare pigramente la gamba, mentre si stiracchiava contro la colonna di legno del letto a baldacchino, pronta per dormire.
“E la McGrannit e Potter stanno insieme.” Informò il fratello, stravaccato sul tappeto sotto di lei.
“Ti deve avere proprio sconvolta questa notizia, è la quarta volta che la ripeti.” Disse, tirandosi a sedere per osservarla con attenzione. “Non è che piace anche a te Charlus eh? Mi basta già Violet.”
La sorella sbuffò. “E’ solo che non mi sembrava ci fosse grande feeling tra loro, tutto qui.” Lo rassicurò.
“Per quel che so io lei passa il tempo a sbraitargli contro durante gli allenamenti, odi et amo evidentemente.” La informò con un’alzata di spalle.
“C’ho parlato qualche giorno fa, non è così male.” Buttò lì.
“Se la tira troppo.”
Dorea rise. “Ha parlato quello che ha passato una settimana a gloriarsi del sua fantastica presa.”
“Mi correggo, lui se la tira senza motivo.”
La ragazza si lasciò cadere sul morbido materasso con un sorriso, mentre il fratello si arrampicava sul letto e si stendeva vicino a lei, come ai vecchi tempi.
“Proprio sicura che non ti interessi?” si accertò, pregando in una risposta affermativa. “Perché è da tanto che non ti prendi una cotta, quand’è stata l’ultima?”
“Orion, possiamo evitare di rinvangare questo genere di ricordi? E’ imbarazzante.”
Lui continuò impietoso. “Ah si, ora me lo ricordo. Hai passato un anno intero a fare gli occhi dolci a quel capitano di Corvonero…” si strofinò la fronte, mentre la sorella si concentrava sulle punte dei suoi capelli, imbarazzata. “… Baston !” Esclamò infine, soddisfatto.
Dorea gli tirò una potente gomitata nelle costole. “E’ stata una settimana, non un anno, e mi piaceva perché era bravo a Quidditch.” Cercò di scusarsi.
“Guarda che mica è una cosa brutta innamorarsi.” Cercò di convincerla, mentre la sua mente tornava alla prima volta in cui si era accorto dell’esistenza di Oliver. Successivamente si era chiesto come avesse potuto passare sedici anni senza di lui.
Lei si girò, dandogli la schiena. “La fai facile tu, Oliver ama persino la terra su cui cammini, io non voglio finire come Violet.” Bofonchiò.
Orion la tirò affettuosamente per la treccia. “Non puoi considerare tutto come se fosse una partita a Quidditch, Dorea. A volte anche quando si perde si impara qualcosa.”
“Non mi piace perdere.” Ribattè, poco convinta. “In amore va a finire sempre che si soffre.”
“Io sono felice con Oliver.”
“Certo, ma voglio vedere come starai quando ti ritroverai spos…” si interruppe improvvisamente, consapevole che avrebbe fatto meglio a non tirare in ballo il matrimonio.
Orion si rabbuiò.
“Scusa.” Mormorò lei, voltandosi.
Il fratello alzò le spalle, mentre i suoi occhi erano rivolti al futuro. “Non fa niente, in fondo hai ragione.” Assentì con voce sommessa.
Dorea gli accarezzò una guancia con la punta di un dito. “Non sei obbligato a farlo.” Provò, per l’ennesima volta.
“Certo.” Commentò amaro. “Posso rifiutarmi. Ovviamente la nostra casa e tutti i terreni verrebbero confiscati, noi ci ritroveremmo in strada, papà finirebbe ad Azkaban per tutti i suoi debiti e probabilmente la mamma si ucciderebbe per evitare di sopportare le chiacchere dei vicini. Ma almeno io avrei evitato uno stupido matrimonio.”
“Avresti evitato di essere infelice.”
Si tirò a sedere. “Credi davvero che potrei essere egoista come lo sei tu? Non credi che passerei tutta la mia vita a sentirmi in colpa?”
La ragazza ammutolì. “I-io…io non sono egoista.” Tentò di difendersi, boccheggiando per le pesanti parole del fratello.
“No certo che no, però chissà come mai sono io che mi sposo.” Rispose con crudele ironia, alzandosi.
Dorea cercò di prenderlo per la manica, di obbligarlo a fermarsi ad ascoltarla. Lo amava con tutta se stessa e non poteva sopportare che lui pensasse quelle cose di lei. Anche se aveva ragione su tutta la linea.
Lei avrebbe dovuto sposarsi per salvare la famiglia, lei avrebbe dovuto sacrificarsi, perché era lei quella forte. Quella che avrebbe potuto resistere a una cosa del genere.
Ma Dorea si era rifiutato, aveva urlato, aveva smesso di parlare, di mangiare e aveva vinto. Ora era libera di diventare tutto quello che avrebbe voluto, di sposare chiunque o di non sposarsi affatto. Ma qual’era il prezzo della sua libertà ?
La felicità del suo adorato fratello aveva preso il suo posto sull’altare sacrificale.
Si ritrovò a singhiozzare, mentre l’altro usciva sbattendo la porta.
Orion si buttò sul divano della Sala Comune con un sospiro e affondò il viso in uno dei cuscini. Non avrebbe dovuto dire quelle cose, ma era come se le parole si fossero messe in fila da sole per formare quelle frasi, per poi strisciare subdolamente fuori dalla sua bocca.
Si infilò una mano in tasca per assicurarsi che il rospo di Vàli stesse bene e, quando la trovò vuota, saltò in piedi.
“Dannato Freddie.” Sibilò, cercando di pensare dove potesse essere finito l’animale.
L’amico gliel’aveva dato dopo cena e quando aveva incontrato Oliver in Sala Grande era ancora con lui, gli avevano costruito una pista ad ostacoli e poi c’era stato quel bacio…
“Vàli mi ammazza.” Si disse, lanciandosi verso la Sala Grande veloce come non lo era mai stato.
Silenzioso evitò la maggior parte delle pattuglie di controllo ma si tolse la soddisfazione di confondere un Prefetto che aveva guardato Oliver con troppa insistenza.
La sala era deserta e immersa in un ingombrante silenzio, Orion represse un brivido al pensiero che l’assassino di quella sirena potesse trovarsi nei paraggi.
Iniziò la sua ricerca, illuminando con la bacchetta ogni centimetro di quel pavimento. Finalmente dopo interminabili minuti trovò Freddie acquattato sotto la tavolata dei Grifondoro e la visione di Vàli con il pugno alzato su di lui si dissolse felicemente. Orion si infilò sotto il tavolo e prese tra le mani il rospo che lo guardava con aria perfettamente rilassata, come se fosse stato sicuro che lui sarebbe tornato a prenderlo.
Il ragazzo  gli diede un affettuoso buffetto sul capo ma quando sentì un rumore alle sue spalle si immobilizzò.
“Avete controllato che nessuno vi seguisse?” disse una voce che Orion era convinto di conoscere.
“Non siamo mica idioti, sappiamo disilluderci.”
Orion si posò un dito sulle labbra, pregando che il rospo fosse in grado di comprendere il significato del gesto, e rimase fermo in attesa.
“Non sono sicuro che sia una buona idea questa riunione.”
“Se hai paura di essere scoperto, puoi tornartene a letto.”
“Non sto dicendo questo, è solo che avremmo fatto meglio ad aspettare che Riddle si riprendesse.”
“Riddle non è più necessario.” Ribattè secca quella voce e Orion cercò di capire dove l’avesse già sentita.
“Cosa intendi?” fece un’altra.
“Che oramai ha dato il suo contributo, ora possiamo sbrigarcela da soli.”
“Lo sai anche tu che è lui che mantiene i contatti.”
“Non più, ci sono nuove direttive ora.”
Orion trattenne il respiro, mentre il suo cervello elaborava le informazioni alla velocità della luce. A giudicare dalle voci e dai borbottii dovevano esserci almeno dieci persone. Ma cosa ci facevano a quell’ora nella Sala Grande?
Il silenzio era tornato a distendersi piatto sulle tavolate quando una nuova voce risuonò tra le pareti.
“Cosa intendi per nuove direttive ?”
“Non li leggi i giornali?”
“Vuoi dire che…”
“Esatto, ora tocca a noi.”
“Non credo…”
“Non farci sprecare tempo, se hai dei dubbi puoi andartene.”
Passarono alcuni secondi, ma nessuno si mosse.
“Come ci mettiamo d’accordo?”
“Vi farò sapere il luogo e l’ora del prossimo incontro, ora andiamocene prima che qualcuno passi a controllare.”
Orion aspettò accucciato sotto la lunga tavolata finché lo scalpiccio dei loro passi non si fu allontanato definitivamente, solo allora uscì fuori, infilandosi Freddie in tasca.
Si passò una mano tra i capelli che gli si erano appiccicati sulla fronte imperlata di sudore, cercando di rimettere insieme i pezzi di quella conversazione, ma non gli sembrava che quelle frasi avessero molto senso. Cosa c’era sui giornali? Ma soprattutto quali erano le nuove indicazioni che sembravano aver ricevuto?
L’unica cosa certa era che Riddle ci fosse dentro fino al collo, di qualunque cosa si trattasse. Pensò che avrebbe fatto meglio a parlarne con Violet la mattina dopo, forse lei avrebbe capito qualcosa di più.
Era così intento nei suoi pensieri che non si accorse minimamente di Vàli, che gli era appena passato a pochi centimetri. Il ragazzo scendeva le scale furtivo, con una boccetta in mano e con un’espressione decisa dipinta sul viso.
Arrivato al pian terreno senza troppi problemi svoltò a destra e si diresse verso la larga vetrata sulla destra. Dopo aver borbottato un incantesimo e averla aperta, si calò giù e si ritrovò fuori dal castello.
Il cielo quella notte era coperto da grosse nubi nere e non si vedeva neppure una stella. Mentre il freddo pungente iniziava a farsi strada tra gli strati dei suoi vestiti, lui si tolse il golf e con un gesto sbrigativo si slacciò la cravatta, un attimo dopo anche la camicia si trovava a terra di fianco agli altri indumenti. Con delicatezza si versò il liquido nella boccetta sulla schiena e nell’attesa iniziò a saltellare da un piede all’altro, per evitare l’ibernazione.
Finalmente sentì un piacevole formicolio lungo le scapole e sorrise, ma ben presto il sorriso si tramutò in una smorfia di dolore, quando le scapole iniziarono a bruciargli in modo insopportabile.
Si accasciò a terra, trattenendo i gemiti e artigliando l’erba, poi sentì uno strappo secco e credette di non poter provare quella sensazione anche solo per un secondo in più.  Lentamente però la testa smise di girargli e il dolore diminuì fino quasi a sparire, sentiva ancora solo delle ritmiche pulsazioni al livello delle scapole.
Girò di scatto la testa e gioì alla vista fugace di qualcosa di bianco alle sue spalle, c’era riuscito. Mordendosi un labbro si concentrò come non aveva mai fatto prima e dopo molti minuti iniziò a sentire di avere il controllo di quei nuovi arti.
Indietreggiò di qualche passo, prese la rincorsa e si staccò da terra, saltando in direzione della torre est. Un istante dopo si ritrovò la bocca piena di terra, ma non si fece abbattere e riprovò più volte, finché finalmente si librò in aria, sostenuto da due splendide ed enormi ali bianche.


Al principio c’era stato il buio e il vuoto, ma ben presto delle grida lontane  si erano fatte strada fino a diventare un unico e prolungato urlo che aveva sbranato il silenzio.
Una donna gridava vicino a lui, dentro di lui, urlava di un urlo privo di paura, come se gridare fosse l’unica soluzione per sopravvivere. E c’era dolore in quella voce, un dolore che gli lacerava le orecchie e le carni e che si diffuse in lui, mentre perdeva la percezione del proprio corpo e diventava solo quello, solo dolore.
Indistintamente sentì delle mani fredde che lo toccavano, ma anche se avesse voluto non avrebbe potuto aprire gli occhi, perché non era più nient’altro che quell’urlo disperato.
Il tempo aveva smesso di esistere in quel limbo non conoscibile e i minuti diventavano come secoli. Poi accadde all’improvviso, come ogni cosa importante, la donna  smise di gridare e lui percepì il suo corpo pietra pesante e ogni muscolo che pulsava, come fosse divorato da fiamme invisibili.
C’erano persone intorno a lui, le avvertiva, e parole minacciose che vagavano intorno in un sussurro, ma lui rimaneva immobile mentre a ondate alterne la sua mente perdeva il contatto con la realtà.
Non sapeva dove fosse e non ricordava il suo nome, come se la sua vita fosse appartenuta ad un epoca troppo lontana, una storia raccontata troppe volte,  almeno non finché la donna parlò di nuovo e lo chiamò per nome. Tom.
Nella sua mente rimbombò più volte quella piccola parola, un sasso che rimbalza sulla superficie cristallina del mare, un sapore strano di un sogno dimenticato. E lui seppe di chiamarsi Tom e provò sollievo per quel brandello di identità strappato alle tenebre della memoria, ma allo stesso tempo sentì un dolore acuto, una fitta all’altezza del petto, uno strascico di malinconia. Perché sapeva che quella voce non stava chiamando lui, e Tom avrebbe tanto voluto che non fosse così. Avrebbe voluto essere lui quel Tom, porre fine a quell’angosciosa ricerca, a quel dolore stridente, chiudere gli occhi e dormire.
Poi davanti a lui, nella sua mente naufraga, apparve la donna e Tom la trovò bella, anche se vestita di stracci. Aveva capelli neri come l’ala di un corvo, lunghi e arruffati, e occhi di lama tagliente. La donna allungò un braccio verso di lui e gli accarezzò una guancia. La sua mano era fredda, come di chi è stato troppo a giocare con la neve.
Dei rumori esterni si intromisero, forse una porta sbattuta, e lui fece per voltarsi, ma la donna lo trattenne.
“Non andare.” Disse semplicemente e lui non si mosse.
“Chi sei?” Pensò, e nel pensare parlò.
La donna fece un sorriso timido, velato di una triste dolcezza, e continuò a tenergli la mano, mentre con l’altra gli disegnava dei cerchi sul dorso.
Finalmente alzò gli occhi e li fissò nei suoi, come a leggervi ogni pensiero. “Cosa hai fatto, Tom?” Ma la sua domanda non voleva una risposta e dentro vi era solo una profonda tristezza.
Lui tolse la mano e si guardò in giro per trovare un’uscita, ma intorno a lui c’era solo il nulla. Sentiva un’irrazionale desiderio di scappare il più lontano possibile da quella donna, di non voler sapere cosa fosse nascosto dietro la sua domanda. Allo stesso tempo però era attratto da tutto quel non detto, sapeva che avrebbe dato un senso alle immagine confuse che gli vorticavano sotto le palpebre.
La donna si avvicinò ancora di più e Tom notò i lividi e le escoriazioni sulla pelle bianca, occhiaie sotto gli occhi limpidi. Le sue dita sottili gli circondarono il volto e una morsa mai provata chiuse la gola al ragazzo.
“Cosa sai di me?”
Lei non rispose ma continuò ad indagare il suo volto, come se le vedesse per la prima volta.
“Quello che hai fatto,” rispose infine, asciugandogli una lacrima che non c’era “e quello che farai.”
Tom non capiva, come poteva sapere ciò che lui non riusciva a ricordare?
Le labbra della donna si avvicinarono alla sua guancia sinistra e la sfiorarono con un bacio che aveva il profumo degli asfodeli, lui non si tirò indietro.
“Conosco il tuo cuore, bambino mio.”
Le parole lo colpirono come macigni e allo stesso tempo si sentì salvato. Una parola mai pronunciata, allontanata persino da ogni pensiero, si fece strada tra le sue labbra screpolate, dolce nella sua estraneità. “Mamma?”
La donna annuì, i suoi occhi sorrisero e questa volta le sue dita asciugarono una lacrima che era reale.
“Dove sei stata?” chiese nella sua virginale ingenuità.
“Sono sempre stata qui.” Rispose la donna, spostando la mano destra sul cuore del ragazzo.
Lui non capì. “Perché non ti ho mai vista?”
“Perché non mi hai mai cercata, Tom.”
Lui scosse la testa, non potevano essere vere quelle parole, ricordava come il peso della mancanza fosse capace di mozzare il respiro, non poteva essere sempre stata lì.
Con delicatezza le circondò i polsi sottili e si tolse quelle mani dal viso, i suoi occhi si spostarono verso quelli della donna e dentro vi vide il suo passato, reale e impietoso come era stato vissuto, ricordò e torno ad essere Tom Riddle.
Girò veloce le spalle a ciò che era, mentre sentiva la donna implorare. “Ti prego, non andare.”
Cercò con gli occhi un’uscita che non trovò, rimase immobile finché non sentì un tonfo alle sue spalle, solo allora guardò indietro.
La donna era a terra davanti a lui, ma la sua pelle aveva assunto una sfumatura verdognola. I capelli neri iniziarono a crescere e si tinsero di un biondo pallido, le gambe diventarono un’unica inscindibile monade mentre il viso si trasfigurava.
Nell’attimo di un respiro davanti a lui giaceva quella sirena, non più morta, e la sua coda fendeva l’aria. Avvertì una morsa tagliente stringersi intorno alla sua caviglia e unghie appuntite penetrare nella pelle. Con l’altra viscida mano lo obbligò ad abbassarsi e avvicinò il suo viso serpentino a quello di Tom.
“Non fidarti di lei, Tom Riddle, non fidarti.” Sibilò ad un suo orecchio. “E’ qui per ucciderti, è qui per questo.”
La testa iniziò a girargli sempre di più, la sirena sparì e con lei il vuoto che la circondava. Le sue orecchie si riempirono di suoni e registrò il ritmico pulsare della caviglia dolorante, lì dove l’aveva afferrato la sirena.
Con riluttanza e diffidenza aprì gli occhi e lasciò che si colmassero del bianco del soffitto dell’Infermeria, poi il suo sguardo si abbassò e, appoggiata alla sua gamba, con la testa nascosta dai capelli crespi, stava Hermione Evans.
Tom la guardò infastidito e al tempo stesso stupito, sembrava che dormisse. Per un inspiegabile motivo la trovò bella.



Note:
1. Eugenio Montale

Eccomi, sopravvissuta a un tema, a una versione e addirittura a una terza prova ( abbastanza penosa ) !
Lo so, lo so avete tutte le ragioni per odiarmi visto il ritardo con cui aggiorno, ma purtroppo non ho potuto fare altrimenti...
Spero che il capitolo ripaghi almeno un po' la vostra attesa, anche se è più una parte di transizione, diciamo.
Nella parte finale ho delirato parecchio, me ne rendo conto, ma è perchè mi immaginavo un (picco e tenero) Tom in preda a una febbre, o qualcosa del genere. Ora rileggendola ho paura di aver corso troppo, di essermi allontanata in modo esagerato dall' IC ma vi giuro che l'ultima frase si è scritta da sola.
Vi prego ditemi se secondo voi va bene e salvatemi da questo tormento, oppure ditemi che fa schifo che così provo a cambiare qualcosa!!

Vorrei ringraziare con tutto il cuore le persone che hanno fatto la mia felicità commentando : Gabrielle Pigwidgeon, Sara Luna 555, Perry 1000, pluffa,  Elpis, Rosmary, tantoloveforyou, Konny_  e Blur ! 
Un grazie va ovviamente anche ai miei meravigliosi 48, 9, 88 !!!!!

Per chi fosse interessato ho pubblicato una raccolta di drabble su Tom ( eccola ), mentre cancellerò la raccolta di missing moments, non so perchè ma non mi convince molto...magari la rielaboro un po' e la pubblico in futuro ( grazie comunque alla magnifica pluffa e a Sara Luna 555 che hanno commentato e alle persone che l'hanno seguita!!)

Se avete voglia di leggere qualcosa di nuvo sul nostro Tom, oltre alla storia di Elpis vi consiglio davvero anche quella di Santa Vio da Petralcina, su su andate a leggere !

Notizia importante. ho creato un account su fb, fate la mia felicità e aggiungetemi in tante(i), tra l'altro entro breve posterò sulla mia pagina due sorprese, ovvero due video bellissimi su "I fiori del male" fatti da una mia amica, dovete assolutamente andare a vederli qui !!!
In ogni caso lo potete trovare direttamente qui

Credo di aver detto tutto, vado a studiare per l'orale!!

Tanti baci a tutti

p.s. un grazie in anticipo a nalla, che forse creerà una fanart su questa storia !



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