Da Los Angeles a Rodeo

di What is her name
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Capitolo 1






Erano  le 11:30, il nostro coprifuoco era scattato da un pezzo, ed io, Joey, Roxy, Jay e Ronnie stavamo correndo velocemente in cerca di una scappatoia. Correvamo e ridevamo come dei deficienti. Ci piaceva sentire scariche d’adrenalina sul corpo, avere il fiatone e scappare da un pericolo grosso. Amavamo questa vita e non ci importava essere giudicati da altri, neanche dai nostri familiari.
Due uomini in divisa cercavano di raggiungerci con poco successo. Loro non avevano idea di quanto eravamo esperti in questo campo, o forse sì!
Entrammo in un vicolo stretto e girammo a sinistra. Spuntammo davanti una recinzione, il che ci fece fermare.
“Adesso? Cosa facciamo?” chiese Ronnie in ansia.
“Facile no! Saltiamo la recinzione!” risposi io pronta a saltare.
“Ragazze, venite” sussurrò Jay, che con Joey si erano seduti dietro una grande siepe.
Ci sedemmo di fianco a loro e aspettammo l’arrivo dei poliziotti.
“Qui non viene nessuno” bisbigliò Roxy
“Shhh” ordinò Joey, mentre un rumore di passi si avvicinava a noi.
Mi sporsi leggermente, facendo attenzione a non farmi vedere, e vidi i due poliziotti che facevano irruzione nel vicolo.  Si bloccarono di colpo ed io mi  avvicinai di più a Joey, non riuscendo più ad individuare nient’altro che foglie.
“Dove saranno andati?” chiese uno dei due poliziotti, con ferocia.
“Non saprei… Dalla recinzione non possono essere saltati.”
“Perché no?”
“E’ fin troppo alta per poterci aver impiegato pochissimi secondi.”
Joey sbuffò divertito. Lui era un grande esperto riguardo lo scavalcare grandi altezze in pochissimo tempo, ed io ero sicura che, se non ci fossimo stati noi, lui l’avrebbe tranquillamente scavalcato e sarebbe tranquillamente andato a casa.
“Allora dove pensi siano andati?”
In quel preciso istante la paura si impadronì di me e notai, girandomi a guardare i miei amici, che non ero l’unica.
“Avranno preso quell’altro vicolo. Andiamo a controllare, stiamo sprecando del tempo”disse il poliziotto più intelligente.
Stemmo in silenzio fin quando i passi dei poliziotti furono lontani persino per le nostre orecchie.
“Whuuu! Andiamo prima che ci beccano” dissi io alzandomi e levandomi l’erbaccia dai pantaloncini.
“Per prima va Ronnie, poi Roxy, poi Jay ed infine noi due. Ci state?” disse Joey sicuro di sé.
I miei amici acconsentirono e Ronnie iniziò a scavalcare, sotto indicazioni di Joey. Ronnie aveva il volto pallido, dalla preoccupazione. I suoi occhi azzurri erano luminosi come il mare estivo. I suoi capelli color melanzana era lisci come dei chiodi, corti a maschio con una bellissima cresta bionda. Ronnie era la ragazza più dolce che io stessa avessi mai conosciuto. 
“Adesso vai tu Roxy” disse Joey.
Roxy guardò Ronnie dall’altra parte della recinzione, sorrise a tutti noi e si arrampicò.
Guardai i suoi boccoli rosa pallido, che le accarezzavano la vita, dondolare ad ogni suo movimento. Roxy era una ragazza molto bella. Aveva un bel fisico, snello e slanciato. Aveva degli occhi verdi e la sua pelle aveva il colore della perla. Roxy era la ragazza più testarda al mondo
“Vai Jay, muoviamoci!” disse Joey preoccupato.
Evidentemente stava avendo un sesto senso, cose di cui tutte le persone nella stessa situazione avrebbero avuto. Joey lo chiamava sesto senso, io più che altro la chiamavo paranoia.
“Liz, tocca a noi” disse Joey, facendomi tornare sul pianeta Terra.
Lo guardai confusa, poi guardai Jay. Jay aveva già scavalcato e ci stava osservando, insieme a Roxy e Ronnie. Amavo i suoi capelli ed occhi verdi. Jay era la persona più sensibile di questa terra.  
Joey sbuffò ed iniziò ad arrampicarsi. Alzai gli occhi al cielo e feci altrettanto. Non ricordo esattamente come fu il seguito, ma ricordo che dopo aver messo il piede un po’ più sopra sentì Roxy, Jay e Ronnie urlare:
“Liz!”
Qualcuno mi afferrò da un piede e mi scaraventò per terra. Sbattei la schiena sull’asfalto procurandomi un fortissimo dolore da farmi lacrimare gli occhi. Misi il braccio sinistro intorno i miei occhi, mentre un poliziotto mi prendeva a calci urlandomi parole non udibili.
“Joey!” sentì urlare Roxy, Jay e Ronnie.
“Scappate!”sentì l’urlo di Joey.
Un tonfo fortissimo mi fece capire che anche Joey era stato scaraventato per terra come me.
Un poliziotto mi sferrò un calcio, facendomi girare a pancia sotto, mentre dei rumori sconnessi mi fecero capire che qualcuno di loro stava picchiando Joey.
Quando mi misero le manette ai polsi capì fino a che punto eravamo arrivati.
“Così non può più scappare signorina Rosenberg” disse il poliziotto alzandomi da terra bruscamente e trascinandomi per strada.
“Mi ha legato le mani, mica i piedi!” ironizzai io.
Il poliziotto mi picchiò il capo, procurandomi un piccolo fastidio.
“Stia calmo con le mani! Non è mica mio padre”
“Mi sa proprio che suo padre non gliene ha date abbastanza!”
Alzai gli occhi al cielo e mi fermai di fronte la macchina della polizia. Alzai lo sguardo di fronte a me e vidi Joey. Notato il mio sguardo mi sorrise ed io feci altrettanto. I poliziotti lo avevano picchiato per bene visto le sue ferite. I suoi occhi grigi come il ghiaccio era inumiditi, sicuramente dal dolore che stava provando. Aveva un occhio gonfio, un sopracciglio spaccato e continuava a sputare sangue dalla bocca. Certo! Lui aveva fatto una gran bella caduta, quando lo avevano buttato giù dalla recinzione. Amavo i suoi capelli blu, erano così arruffati. Amavo il modo in cui si vestiva, diciamo che amavo tutto di lui. Joey era il cosiddetto “leader” del gruppo. Quello più sicuro di sé. Quello con più idee.
Alzai, nuovamente, il capo e lo riguardai. Tutte quelle ferite mi fecero sentire in colpa. Era stata mia l’idea che ci aveva causato tutto questo. Quasi tutte le mie idee andavano sempre a farsi fottere, chissà perché ancora continuavano a fidarsi di me. Forse perché a noi non importavano mai le conseguenze.
“Entra” mi disse il poliziotto spingendomi dentro l’auto.
Guardai fuori dal finestrino ed aspettai che il bastardo mettesse in moto.
“Lei si è cacciata in un mare di guai”
“Sa, le persone che mi picchiano di solito non mi danno mai del lei”
“Questo vuol dire che dovrei darti del tu?”
“Sì. Darmi del lei mi sa sentire proprio come lei”
“Come? Professionista? Maturo?”
“No! Vecchio.”
Il poliziotto stette per un po’ zitto, decisamente offeso e poi riprese a parlare.
“Liz, tua madre non sarà molto contenta.”
“Lei è molto perspicace!” ironizzai io guardando fuori dal finestrino.
“Liz, dico sul serio. Tua madre si meriterebbe tutto questo?”
“Oh Dio, odio questi discorsi del cazzo” risposi alzando gli occhi al cielo.
“E’ una grande donna, tua madre. Una donna forte, piena di vita, e posso scommettere tutto l’oro del mondo che vi ama più di qualsiasi creatura al mondo.”
“Che cazzo dice? Perché parla sempre di mia madre?”
“Io sono il fidanzato di mamma”
Spalancai la bocca inorridita.
Quel figlio di puttana era il fidanzato di mamma.
Mamma aveva come fidanzato quel figlio di puttana.
Uno sbirro era il fidanzato di mamma.
Mamma stava con uno sbirro.
“Oh Dio, no!” urlai io.
“Liz..”
“No! Non voglio sapere più niente!” urlai schifata
“Liz…”
“Mia madre si porta a letto uno sbirro!”urlai più a me stessa.
“Liz, se continui ad insultarmi ti sbatto in cella. Non si insulta un pubblico ufficiale!”
“Oh Dio, no!”
Il poliziotto fermò la macchina e mi fece scendere. Fortunatamente eravamo arrivati nel distretto. Il poliziotto mi afferrò dal collo e mi affiancò a Joey, che era già arrivato.
“Ehy!” salutò lui sorridendo raggiante.
“Ehy!” risposi io sorridendo.
“Come è andata la gita?”
“Male. Dove sono gli altri?”
“Li ho fatti scappare. Se loro sono riusciti a passare, non avevano motivo di farsi prendere.”
“Giusta decisione. Sono felice per loro. Se avessero preso loro non so cosa sarebbe successo a Ronnie.”
“Già, suo padre è davvero un violento.”
“Silenzio voi due!” sbraitò il fidanzato di mamma dandoci due pacche in testa.
Entrammo dentro la sala d’attesa del distretto e, dopo averci fatto levare le manette, ci sedemmo sopra le sedie fastidiosamente scomode.
“Queste sedie sono una merda!” sbraitò Joey.
“Non sono fatte per far sembrare ospitale il posto a persone come voi” rispose una poliziotta situata dietro un front office.
Ridemmo silenziosamente e ci girammo verso il poliziotto biondo alias fidanzato di mamma.
“Signorina, venga qui” disse la poliziotta.
“Fff… che palle” mormorai canticchiando e provocando una risata di Joey.
Mi avvicinai al bancone. Misi le braccia sopra di esso e poggiai il mento sul dorso del bancone.
“Stia composta”
“Cosa le serve?”
“Stia composta”
“Cosa devo fare?”
“Prima stia composta, sennò non glielo dico.”
“Bene, allora non fa niente” risposi io girandomi.
“Signorina, qui non comanda lei” disse lei brusca
“Lo so. Se stessi comandando le avrei ordinato di portarmi un sandwich molto sostanzioso e con molta senape.”
“Forse è meglio che cambia comportamento”
“Già, me lo dicono in molti”
“Cosa succede?” chiese un poliziotto avvicinandosi.
“Questa ragazzina fa fin troppo la ribelle”
“Lei fa la ribelle? Tu rispondi così”
L’uomo mi diede uno schiaffo sulla guancia, così forte da provocarmi dolore e da farmi divenire la guancia rossa.
“Perfetto. Ora fai tutto quello che Loren ti chiede”
“Lei è un pezzo di merda” risposi con ferocia.
“Grazie è davvero un complimento”
“Signorina, Come si chiama?” chiese Loren prendendo penna e foglio.
“Elisabeth Rosenberg”
“Anni?”
“Cos’è un interrogatorio?” chiesi innervosita.
“Anni?” richiese Loren alzando il tono di voce.
“17“
“Dove abiti?”
“Dio Santo… Warren St”
“Numero…”
“8”
“Numero di telefono?”
Sbuffai. “555 - 317809”
“Benissimo, vai a farti le foto, mentre io chiamo casa tua.”
Guardai male la signorina e mi allontanai.
 
 
Fare le foto fu la cosa più entusiasmante di quella notte. Ti fanno mettere proprio come diavolo vuoi. Decisi che quelle foto li avrei tenute per sempre.
“Come va?” chiese Joey.
“Guarda. Voglio questa nella mia tomba” dissi io.
Joey rise e si alzò, evidentemente lo avevano chiamato. Mi distesi sulle sedie e mi addormentai.
Quando riaprì gli occhi mi trovai davanti un bufalo inferocito. No scherzo! In realtà era solo mia madre. Mi sedetti di colpo e dissi:
“Hey!! Che strana la vita! Incontrarci proprio qui, in un posto completamente fuori dal comune!”
“Elisabeth smettila”
Ahi! La situazione era davvero grave. Mi aveva davvero chiamato Elisabeth.
“Se non ti ricordi, mi chiami Liz da… da sempre” dissi alzandomi.
“Cerca di andare subito in macchina Elisabeth”
Cercai con lo sguardo Joey, ma non c’era. Probabilmente era andato a fare le foto. Chissà come si sarebbe messo!
Comunque sia, non vedendolo uscì fuori, respirai aria pulita e mi chiusi in macchina.
Sicuramente mia madre stava pomiciando col suo nuovo fidanzato poliziotto come un adolescente in calore, il che mi fece talmente disgusto che dovetti accendere la radio per tranquillizzarmi.
Mi guardai nello specchietto per vedere com’ero ridotta. Avevo un labbro spaccato e un livido sotto l’occhio. La mia schiena stava implorando pietà.
Proprio nel momento in cui trovai la posizione giusta per la mia schiena, mamma uscì dal distretto e si chiuse in macchina. Mise in moto e ci dirigemmo verso casa.
“Sei incredibile!”
“Non è come pensi” dissi subito sulla difensiva.
“Per te non è mai come penso, vero? Cosa dovrei pensare?” 
“Tutto questo lo abbiamo fatto a fin di bene!”
“Fammi capire, spaccare i vetri di un ristorante, rompere qualsiasi cosa all’interno e tingere sul muro è una cosa fatta a fin di bene?”
“Bè, se la guardi da questa prospettiva…”
“Solo da questa si guarda!”
“Non sai neanche il motivo! La nostra era una protesta!”
“Oh no cara! Questa non è una protesta. Le proteste si fanno con striscioni, cartelloni e cose pacifiche e poi si può sapere che protesta era?”
“Questo ristorante ha fatto chiudere il negozio di CD più figo del mondo.”
“Ci sono moltissimi negozi di CD a Los Angeles.”
“Non sono come quello. Ora ci dovremmo limitare ad andare in negozi dove ci saranno dei reparti con su scritto: Pop, Jazz, Blues, Rock, Disco Music” dissi inorridita.
“Non è una buona motivazione. Ma lo senti quello che dici?”
“Sì, tu lo senti?”
“Con te è inutile parlare. Mi sono stancata di venirti a prendere in ogni distretto di polizia di Los Angeles.” Disse lei posteggiando.
“Almeno questa volta ti ho fatto incontrare col tuo nuovo fidanzato” risposi io scendendo dall’auto.
“Non ti permettere, Elisabeth”
“Non ti fai problemi di stare con lui vero?” dissi avvicinandomi alla porta di casa.
“Perché dovrei? È un brav’uomo”
“Come fai a stare con l’uomo che mi ha ridotta così? Sono tua figlia!”
“Avrà avuto le sue ragioni e ha fatto bene”
“Ha fatto bene? Mi fai schifo! Ti piace vedermi così, vero?”
L’ennesimo schiaffo della nottata mi arrivò dritto in faccia, però questo fece più male.
Guardai mia madre e la sua chioma ramata, presi le chiavi di casa, aprì la porta ed entrai dentro. La casa era al buio, il che mi fece sentire meglio. Salì le scale e mi diressi in camera mia.
Spalancai la porta con un calcio e accesi la luce. Notai i miei cassetti spalancati completamente vuoti e notai che sopra il letto c’era situata una valigia piena.
“Mamma!” urlai in preda alla disperazione.
“Zitta, sennò svegli Karen e Kimberly”
“Non mi interessa niente! Che cazzo ci fa una valigia in camera mia? Ti prego non dirmi che lì dentro ci sono i vestiti che sono magicamente scomparsi dal mio cassetto” dissi con le lacrime agli occhi.
“Ho deciso di mandarti da papà come conseguenza a tutta questa tua follia” disse mia madre mentre le mie sorelle si avvicinavano.
“Mi vuoi davvero spedire in quel posto?”
“Sì. E anche subito, il tuo aereo parte fra tre ore”
Guardai l’orologio e lessi: 4:30
“Mi stai buttando fuori di casa?”
“Penso sia meglio che tu passi del tempo con tuo padre”
“Io odio quell’uomo!”
“è arrivato il momento che incominci a non odiarlo. Fatti una doccia che ti accompagno. Ah, cerca di non metterti queste calze a rete sotto tutti i tuoi pantaloncini, non ci farai una bella figura” disse per poi chiudermi in camera.
Mi sedetti sopra il letto ed iniziai a piangere. Perché mi stava facendo tutto questo? Perché mi stava mandando in un posto come quello? Perché mi stava mandando all’inferno?



<--Nota dell'autrice--> 

Spero sia davvero piaciuto questo capitolo. Spero che avrete apprezzato Liz, come l'apprezzo io e spero che vi facciate sentire, visto che ero titubante nel pubblicarla. 

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Capitolo 2
*** 2 ***


 Capitolo 2








Fai la brava e cerca di comportarti bene con papà” disse mia madre.
Io neanche la guardai, ma mi limitai ad alzare gli occhi al cielo. Non capivo cosa ci facesse ancora lì. Non avevo voglia di vederla. Era l’ultima persona che avrei voluto vedere in quel momento. Aveva tutte le ragioni per sbattermi fuori di casa, ma non per spedirmi da papà. In quel luogo. In quel luogo dimenticato da Dio. Fin da piccola avevo odiato quel posto e non riuscivo ad immaginare cosa me lo avrebbe fatto apprezzare adesso. Era davvero ingiusto. Io volevo finire la mia vita con i miei amici. Avrei voluto continuare col nostro gruppo, che sicuramente avrebbe sfondato un giorno, avrei voluto combinare altri guai e soprattutto avrei voluto baciare Joey, almeno per l’ultima volta. Joey non era il mio ragazzo, era un amico un po’ fin troppo speciale. Diverse volte, soprattutto in momenti di debolezza, ci ritrovavamo nudi e ansanti, uno accanto all’altro. Dopodiché uno dei due si alzava andava via e qualche ora dopo, o minuti, facevamo finta di niente, come se ci eravamo limitati a fumarci uno spinello. Joey era e sempre sarebbe stato il mio amore perduto. Non perché non avessi il coraggio di rivelargli tutto, ma semplicemente per Ronnie. Ronnie era la ragazza di Joey. Stavano insieme da quasi due anni ed io li trovavo abbastanza carini. Non ero gelosa, in quanto loro non fossero molto espansivi. Mi piaceva il loro rapporto ed io non avrei fatto nulla per evitare il contrario, o comunque non avrei più potuto far nulla per evitarlo.
“Liz, un giorno mi capirai.”
“Sì, certo. Quando sarò grande e avrò figli. Certo, come no!” dissi io annoiata.
Lei mi guardò mortificata. Mi misi in spalla la custodia del mio basso, afferrai la valigia, la busta con tutti i miei CD e mi diressi verso il gate, senza rivolgere un minimo sguardo a mia madre.
Dopo vari controlli salì sull’aereo ed esausta mi addormentai.
 
Signorina… Signorina… si svegli… siamo arrivati
Aprì, pigramente, gli occhi, mi stiracchiai e guardai la donna che mi aveva svegliato. Poteva avere una sessantina d’anni e la prima cosa che pensai, una volta guardata, fu come avrei desiderato che da vecchia mi ritrovassi col suo stesso bianco lucente. Era fin troppo bello quel bianco. Mi alzai, afferrai la borsa dei CD e scesi a recuperare la mia roba.
Ero in pensiero per il mio basso. Non mi importava del resto, quello potevano pure rubarselo. Non sapevo che fine avrebbe fatto il mio strumento. E se qualcuno se lo sarebbe rubato? Dovevo sbrigarmi. Camminai più velocemente, fin quando non arrivai e trovai il mio basso e la mia valigia. Sorrisi debolmente, misi il mio strumento in spalla, afferrai la valigia e mi diressi verso l’uscita dell’aeroporto di Oakland.
“Elisabeth, tesoro!”
“Liz. Mi chiamo Liz.” Dissi io decisa a mio padre.
“Okay. Liz. Perché non vieni ad abbracciare tuo padre?” chiese lui allargando le braccia.
“Magari un’altra volta, okay?”
Lui mi guardò rattristito e disse:
“Perfetto”
Sorrisi falsamente e dissi:
“Allora, esistono macchine nel luogo dove vivi, o dobbiamo farcela a piedi fino a lì?”
“Certo che esistono, sciocchina. Vieni, è di qua” disse mio padre prendendo la mia valigia. 
Sciocchina! Odiavo questi vezzeggiativi!
Seguì mio padre lungo il parcheggio e quando arrivammo di fronte la sua auto blu, aspettai che la aprisse. Infilai dietro il mio basso e mi sedetti davanti.
“Ti dispiacerebbe scendere i piedi?” chiese mio padre, una volta seduto.
Lo guardai scocciata, scesi i piedi e girai lo sguardo verso il finestrino, mentre lui metteva in moto.
Tutto sommato Oakland non era così male, ma quando arrivammo a Rodeo, persino il cartello con su scritto, ‘Welcome to Rodeo’, faceva pena. Era mezzo rotto e il suo verde era a dir poco sbiadito. Fui subito disgustata da quel posto. Non era un posto adatto a me. Non mi piacevano le piccole città. Non mi piaceva una vita troppo monotona e non mi piaceva l’idea di dover vivere con mio padre. Davvero mia madre pensava fossero i miei amici a far di me quella che ero? Era davvero ridicola se la pensava in quel modo.
Le strade erano deserte, ogni tanto si vedevano bambini giocare a pallone o ragazzi camminare con aria depressa.
“Siamo arrivati” disse mio padre, togliendosi la cintura di sicurezza.
“Oh. Mio. Dio. Quella sarebbe casa tua?” chiesi io sconvolta.
“Sì. Qual è il problema? Non la trovi molto ospitale?” chiese lui sorridente.
Lo guardai con superiorità per diversi secondi, poi, quando mi accorsi che non stesse scherzando, alzai gli occhi al cielo esasperata.
Mi chiedevo come faceva a reggersi in piedi, quella casa. Scesi dall’auto, raccolsi il mio basso, la mia valigia e la mia fidata busta di CD ed mi diressi verso la porta. Quei mattoni gialli mi fecero venire voglia di scappare. Aspettai che mio padre aprisse la porta in legno, tutta rigata, e guardai lo zerbino.
Non capivo se fosse uno zerbino o semplicemente una massa di pelo. C’era scritto ‘Rosenberg’. Era scritto in nero, o così sembrava.
Ridetti silenziosamente pensando a tutte le volte che avevo vomitato sopra lo zerbino della mia vecchia casa, quella a Los Angeles. Quella che non centrava proprio niente con quella catapecchia.
Mio padre fece scattare la chiave nella toppa e spalancò la porta.
“Benvenuta nella tua nuova casa”
Rimasi per qualche secondo davanti la porta. Quella casa era orribile e a dir poco puzzolente. La carta parati aveva diversi buchi e mancava qualche pezzo del parquet.
“Bene, Sopra ho già sistemato la tua camera. Spero sia di tuo gradimento”
“Immagino lo sarà” risposi io ironica.
Salì le scale. Il nono scalino scricchiolò, il che mi fece pensare di memorizzarlo al più presto.
Il corridoio era l’unica cosa normale che ci fosse in quella casa. Era lungo e con tutti i pezzi del parquet.
Aprì la prima porta a sinistra e ci guardai dentro. C’era una scrivania in legno, con diversi documenti di sopra ed una sedia bianca, anch’essa in legno. Cazzo! Papà era proprio fissato col legno!
Sicuramente era il suo studio. Ora che ci pensavo non avevo la minima idea quale poteva essere il lavoro di mio padre.
“Eh sì! Quello è il mio studio” disse mio padre facendomi sobbalzare.
“Cosa cazzo fai? Mi spii?”
“No! No. Ti volevo indicare la tua camera”
“Oh. Okay.”
“Chiudiamo il mio studio. Non ti seccare Liz, ma non voglio che entri lì dentro”
“Perché? Potrei trovarci cadaveri?” chiesi io annoiata.
“Certo che no! Semplicemente lì c’è tutto il mio lavoro. Non vorrei che si perdessero cose”
“Certo, non preoccuparti. Non mi importa del tuo studio e del tuo misterioso lavoro” dissi iniziando a camminare.
“Misterioso? Ma quale misterioso! Faccio l’architetto”
“Davvero?” chiesi fermandomi a fissarlo incredula.
“Sì. Lo so che starai pensando che tuo padre è un figo”
“No. In realtà sto pensando come puoi far ad avere una catapecchia del genere se sei un”architetto”
Mio padre si rabbuiò e disse:
“Vado in bagno. Intanto sistemati come preferisci”
“Perfetto” risposi io guardandolo entrare nella prima porta a destra. Oh! Quello era il bagno. Buono a sapersi.
Adesso solo un piccolo dubbio mi rimaneva. Fra le ultime due porte, qual’era la mia futura camera? Mi rimaneva solo un modo per saperlo. Quale varcare prima… Amavo il lato sinistro in qualsiasi contesto, quindi decisi di aprire la seconda porta a sinistra. Quando l’aprì solo una cosa mi fece capire che quella non poteva essere la mia camera. Una bionda era coricata sopra il letto a due piazze. Stava dormendo senza alcun problema come se quella fosse casa sua, o forse lo era. Chiusi la porta e mi diressi verso la mia camera. Sicuramente avrebbe fatto schifo. Tutte le camera sulla destra facevano schifo.
Quando aprì la porta della mia camera, capì che non avevo pensato male. Quella camera faceva schifo. Sbuffai rassegnata e ci entrai dentro. La moquette puzzolente era di colore azzurro cielo. Odiavo la moquette. Mi dava così tanto fastidio! Le pareti erano ricoperte di carta parati di un rosa andato a puttane. Odiavo il rosa e ancor di più quello andato a puttane. L’avrei strappata a tempo debito, ma al momento le mie gambe imploravano riposo.
Guardai i mobili e ci trovai un armadio in legno, chissà come mai!, e una brandina, sicuramente comprata al momento. Che palle! Avrei dormito in una brandina! Pensavo di essere sfuggita al carcere!
Cercai il mio telefono, ma non lo trovai. Evidentemente lo avevo lasciato a Los Angeles. Chissà com’era finita con Joey. Chissà se lo avevano scarcerato. Chissà se l’avrei più rivisto. Chissà se avrei più rivisto Ronnie, la mia migliore amica o Roxy e Jay. Oramai solo domande senza alcuna risposta mi rimanevano da pormi. Misi una mano tra i miei capelli ramati e mi buttai sulla brandina.
Non mi stupì affatto quando vidi un fumo di polvere librarsi in aria, al momento in cui mi buttai sul letto.
Era deciso oramai, quel letto era una merda, quella carta vetrata era una merda, quella moquette era una merda e tutto il resto lo era ancor di più.

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Capitolo 3
*** Tre ***


Tre






“Liz! Sbrigati! Fra qualche minuto inizia la scuola” urlò mio padre a pian terreno.
Odiavo quando mi si urlava la mattina. Scesi le scale silenziosamente ed entrai in cucina.
“Forza! Non fare colazione, ti compro qualcosa fuori” disse mio padre.
Io non facevo mai colazione, ma una volta notata l’espressione furiosa di mio padre, presi una tazza ci riempì i cereali, molto lentamente, e ci versai poco latte. Mi girai verso mio padre ed iniziai a mangiare, sempre lentamente, i miei cereali. Mio padre sbuffò e disse:
“Sei davvero incredibile, Liz”
Continuai a gustare quei cereali ed una volta finiti andai in bagno a lavarmi i denti.
Finito di lavarmi i denti, mi guardai allo specchio. Il livido sotto l’occhio era più lieve e, fortunatamente, non era diventato viola. La crosta sul mio labbro inferiore me lo rendeva più gonfio. In fin dei conti non mi importava molto. Non mi piaceva mettermi al centro dell’attenzione, anche se potrebbe sembrare il contrario, ma non mi piaceva nemmeno sembrare figa. Odiavo le tipe così. A Los Angeles sfottevamo le tipe così, con le loro divise da cheerleader e il loro trucco sempre così impeccabile.
Odiose!
Scesi sotto, presi la borsa, me la misi in spalla ed uscì fuori.
“Dove credi di andare? Ti accompagno io” disse mio padre entrando in macchina.
Bene! Non potevo neanche far finta di andare a scuola! Non potevo neanche fumarmi in pace una sigaretta! Non potevo fare niente.
Aprì la portiera dell’auto buttai la borsa e mi infilai dentro.
“Lo so. Si è sempre in tensione il primo giorno in una nuova scuola” disse mio padre uscendo dalla via di casa.
“Davvero? Peccato che io non sia in tensione” risposi fredda.
“Oh! Certamente!” disse mio padre sorridendo.
“Hai la radio?”
“Cosa?”
“Hai una radio o forse in questa cittadina ancora non sapete cos’è?”
“Certo che ho una radio.” Disse lui aprendo un cassetto, prendendo una radio ed infilandola nell’apposito spazio.
“Bene.” Dissi io accendendola.
“Oh Dio! Country! Davvero?” chiesi disgustata.
“Cosa c’è di male?”
“Cosa c’è di male? Hai una vaga idea di cosa sia vera musica?”
“Certo e tu?”
Cambiai stazione e misi il canale 88.8
“Ascolta Virgin Radio ed entra in overdose di vera musica”
“Che termini usi, Liz?”
Roteai gli occhi e girai il capo dal lato opposto battendo col piede il tempo.
“Ho visto che hai uno strumento. Suoni?”
“No, ce l’ho per sembrare figa!” ironizzai io.
Queste erano una di quelle stupide domande che mi seccavano, come quando ti chiedono come stai mentre stai piangendo.
“Davvero?” chiese mio padre stupito.
Lo guardai sconvolta e sbuffai. Come faceva quella testa castana a non capire niente? Come faceva a non aver nemmeno un minimo di senso dell’umorismo?
“Siamo arrivati”
Guardai fuori dal finestrino.
“Questa è la scuola?” chiesi poco convita.
“Sì. Vedi, lì c’è scritto Pinole Valley High School”
Eccolo! Un’altra volta senza cogliere al volo un’affermazione umoristica.
Spalancai la portiera dell’auto, presi la borsa e scesi. Che diavolo di scuola era quella? Era di un rosso accecante, alcune finestre avevano i vetri rotti ed anche questo edificio mi diede la sensazione che potesse cadere da un momento all’altro.
Camminai verso l’entrata, mentre i miei occhi scrutavano le persone. Ragazze tutte snob in questa scuola. Non mi sarei trovata affatto bene. Le cheerleader non mancavano mai, e difatti erano presenti anche in quella scuola dimenticata da Dio. Tutte ridacchianti e a modo loro superiori. Odiavo le cheerleader.
Mi sedetti su uno scalino, misi la mano dentro la borsa e presi il pacchetto di sigarette. Ne presi una, che mi portai subito nelle labbra, e cercai il mio zip in una delle tasche dei pantaloncini. Trovato l’accendino accesi la sigaretta ed entrai nel mio momento di rilassamento. Inspiravo ed aspiravo. Inspiravo ed aspiravo e così via. Finita la sigaretta entrai dentro l’edificio in cerca di una segreteria, sempre se ne avessero avuta una.
“Signorina, ancora la campanella non è suonata” disse un uomo ricurvo.
Il manico di scopa che portava in mano mi fece dedurre che quello era un bidello.
“Sto cercando la segreteria” dissi io.
“Oh. Sei nuova?”
“Secondo lei per quale motivo cerco la segreteria?”
Il signore mi guardò offeso e disse:
“Accanto al secondo bagno”
Sorrisi debolmente ed andai in cerca della segreteria.
“Secondo bagno… secondo bagno… ma qui non ci sono bagni… Oh! Eccone uno. Primo bagno… primo bagno… primo bagno… ecco il secondo bagno” pensai io
Aprì la segreteria ed entrai dentro. Dietro un bancone c’era posta una signora ben tornita. Mi avviai verso di lei ed una volta arrivata poggiai il gomito, sinistro, sul bancone e la testa sulla mano sinistra.
“Salve signorina. Posso esserle utile?”
“Sono nuova.”
“Capisco. Aspetti un secondo” disse per poi sparire tra gli scaffali dietro di lei.
Rimasi qualche secondo da sola, mentre il vocifero dei ragazzi si faceva presente. Sicuramente era suonata la campana. Cazzo! Non avevo tempo per un'altra sigaretta.
“Ecco a lei signorina e buon anno.”
Presi la mappa, il codice dell’armadietto e i miei orari e mi diressi verso l’uscita. Adesso avevo chimica. Odiavo la chimica più di me stessa. Potevo benissimo saltarla quella lezione. Alla fin fine era il mio primo giorno. Potevo inventarmi che non sapevo decifrare le mappe e mi ero persa per la scuola. Decisi di saltare l’ora di chimica e mi diressi dal mio futuro fedelissimo amico, il bagno scolastico. Entrai dentro, mi sedetti sul mobile dei rubinetti e mi accesi un’altra sigaretta, mentre il mio pensiero si dirigeva a Los Angeles e al loro primo giorno di scuola. Chissà che guai avrebbero già combinato quei quattro idioti. Amavo i miei amici e il pensiero di stargli lontano mi faceva sentire ancora più male di come lo ero.
Passai l’ora a rilassarmi in bagno, e quando suonò la campanella guardai il mio orario. Inglese. Bene. Odiavo anche quella materia, ma in fin dei conti le odiavo tutte. Decisi di non saltarla e dirigermi nell’aula 126. Uscì dal bagno, mentre la folla di ragazzi si faceva avanti. Camminai come una morta vivente per il corridoio del primo piano per poi entrare in aula. Come facevo ad essere già in ritardo? Ero uscita subito.
Difatti quando arrivai davanti l’aula, con un buco enorme sulla porta, la lezione era già cominciata. Aprì la porta e cercai un posto dove sedermi, incurante dello sguardo allarmato della professoressa di Inglese.
“Mi scusi signorina, ma lei ha idea di cosa sia la parola educazione?”
Mi girai verso la gallinella dalla voce gracchiante e dissi:
“Bè, il significato lo so, se intendeva questo”
“Non ha bussato e non si è scusata”
Mimai il bussare alla porta e dissi:
“Mi scusi per il ritardo professoressa. Adesso va bene?” chiesi dirigendomi verso l’ultimo banco, ed unico libero.
La professoressa mi guardò con odio e si diresse verso la cattedra. Io presi posto in quel banco color legno, Rodeo era proprio fissata col legno. Accanto a me c’era seduto un ragazzo dai capelli scuri. Portava una maglietta attillata bianca e dei pantaloni stretti e decisamente orrendi. Era completamente concentrato sulla lezione.
“Quasi dimenticavo, non si è presentata signorina”
Il battito del mio cuore aumentò, il mio viso si colorò di rosa ed io dissi:
“Non mi importa che qualcuno sappia chi sono” risposi.
Il ragazzo seduto accanto a me alzò lo sguardo e mi scrutò con scetticismo.
“Bè… a noi sì. Su signorina, si alzi”
Già odiavo quella professoressa. Nel corso dell’anno li avrei odiate tutte o tutti, ma quella l’avrei odiata ancor di più.
Mi alzai lentamente dalla sedia e dissi:
“Salve… Mi chiamo Elisabeth Rosenberg… ma chiamatemi Liz… anzi non chiamatemi affatto.” Dissi io per poi sedermi.
Quell’aula si riempì di vari mormori e sussurri. Momento imbarazzante. Perché stavano mormorando parole non udibili?
“Mi scusi signorina Rosenberg, ma lei crede che questa sia una presentazione adeguata?”
“Non saprei, ma fino a qualche secondo fa ero convinta che nelle presentazioni uno potesse dire ciò che preferisce”
“Esattamente, ma non pensa sia un po’ striminzito?”
“Io ho detto quel che volevo dire. Nient’altro. Non pensa stia perdendo tempo per la sua lezione con una che non ha voglia di parlare?” risposi convinta.
La professoressa mi guardò con odio, si girò ed andò verso la lavagna.
Io presi la borsa e cercai il mio blocchetto ed una penna, non curante dello sguardo che mi stava riservando il mio vicino di banco. Quando trovai il necessario alzai lo sguardo verso il ragazzo. Delle iridi grigie mi guardavano con espressione seria, indecifrabile, ed anche quando ricambiai lo sguardo non si limitò ad abbassarlo.  
“Che problemi hai?” chiesi infastidita.
“Io mi chiedevo qual era il tuo di problema” mi rispose brusco.
Alzai un sopracciglio e dissi:
“Senti Pinco pallino, nessuno ti ha chiesto un tuo parere”
Lui rise e disse:
“Pinco pallino, tu hai veramente dei problemi seri”
“Senti Pinco, io non ho nessun problema, ma evidentemente tu sì. Quindi se stai cercando qualche strizza cervello con cui poterti confidare sei proprio fuori strada”
Lui mi guardò offeso e si girò verso il foglietto che aveva sul banco. Mi girai, mi poggiai la testa sul muro ed iniziai a disegnare linee ricurve sul blocchetto. Non avevo la minima idea di quale fosse il motivo che mi spingeva a disegnare tutte queste linee di un nero intenso, ma lo facevo. Era una forma di istinto. Non ci pensavo due volte, agivo e basta. In effetti come tutto quello che facevo. Il suono della campanella mi permise di alzarmi da quel maledetto posto.
“Signorina Rosenberg! Può venire per favore?” chiese la professoressa di inglese.
Roteai gli occhi e mi diressi verso lei.
“Volevo informarla, che se continua così la sua aula diventerà la detenzione”
Guardai la professoressa con odio, mi voltai ed andai verso il mio armadietto.
Una volta lì, lo aprì, ci infilai qualche libro e guardai l’orario. Adesso avevo Educazione Sessuale. Meglio delle altre, almeno in questa lezione si parlava di qualcosa di utile, come ad esempio il sesso. Chiusi l’armadietto ed andai verso l’aula 206. Secondo piano, che palle!
Salì gli scalini con calma, cercando disperatamente di tenermi sveglia e scattante, ma i vari tentativi non ebbero successo. Non potevo farci niente, era nella mia natura essere sempre e fastidiosamente, nei confronti degli altri, distratta.
Quando arrivai nel corridoio del secondo piano, notai quanto era deserto. Era così deserto, che mi stupì che non passassero palle di fieno.
Com’era monotona quella scuola, com’era monotono quel luogo. Come mi mancavano i miei amici.
Se mamma stava cercando di farmi incarcerare senza ricorrere alla giustizia ci era riuscita perfettamente. La nostalgia di casa, dei miei amici, dei miei guai, questa era davvero una prigione. Mi sentivo prigioniera di me stessa. Sola come un cane, senza nessuno di realmente stimolante.
Quando arrivai nell’aula 206 notai che quest’ultima non aveva porta. Quella scuola faceva davvero schifo. Entrai e mi sedetti nell’ultima fila a destra. Amavo i banchi vicino al muro e quindi quello sarebbe stato perfetto.
Mi sedetti e fortunatamente il professore non si curò della mia presenza, ma continuò a parlare della struttura della vagina. Afferrai il mio blocchetto e la penna ed iniziai a scrivere bozze per una canzone, sperando che le  sarebbe piaciuto a Joey. Dovevo per forza chiamare i miei amici, fargli sapere che ero viva. Sicuramente mia madre non li aveva informati.
“Signorina… Rosenberg” disse il professore.
Alzai il capo verso la parte opposta della classe e vidi il professore insieme ad un ragazzo. Questo ragazzo era alto con capelli scuri e portava un capello da baseball al contrario. Stava porgendo un foglietto nella mano del professore.
“Signorina Rosenberg deve uscire dall’aula.”
Colpita, guardai prima il ragazzo, poi il professore. Queste situazioni mi capitavano solo con Joey, Ronnie, Jay e Roxy. Ovviamente erano comunicazioni false.
Misi il blocchetto e la penna nella borsa, me la misi in spalla e seguì quel ragazzo.
“Dove stiamo andando?” chiesi io mentre camminavamo in corridoio.
“Senti ragazza, non mi stressare prima che dimentico la strada.”
“Vorrei sapere dove mi stai conducendo, banana Joe”
“Chiama tuo padre banana Joe e non me. E comunque penso che tu lo sappia dove stiamo andando”  disse scendendo le scale velocemente.  
“No! In realtà no” dissi io correndo, per stargli dietro.
“Non preoccuparti, sono con voi. A proposito, il mio nome è John, ma chiamami Al”
Io alzai gli occhi esasperata. Quel ragazzo era riuscito a farmi impazzire in diversi minuti e per quale motivo stavamo correndo verso la palestra?
“Perché stiamo andando in palestra?” chiesi col fiatone.
“Non stiamo andando in palestra, pensavo lo sapessi dove si trovava il nostro luogo” disse lui aprendo una porta che portava dalla parte opposta del cortile.
“Eh?” chiesi io seguendolo.
Lui corse cauto, sicuramente era un posto proibito agli alunni. Imboccammo un corridoio in marmo per diversi minuti, fin quando non svoltammo a destra e spuntammo in uno spiazzale enorme, proprio dietro la palestra.
Diversi ragazzi erano posti lì, ridendo e scherzando.
“Oh! È arrivato Al con la merce” rispose un ragazzo, molto simile a un gallo, con dei capelli color evidenziatore.
Cosa? Al con la merce? Io sarei la merce? E di cosa?
“Che cazzo state dicendo?” chiesi brusca avvicinandomi.
Tutti risero a crepapelle, fin quando un ragazzo dai capelli scuri si lanciò dal muretto e camminò lentamente verso di me, con la sigaretta alla bocca.
“Che cazzo vuoi tu?” chiesi scontrosa, pronta a tirare un calcio in caso di necessità.
Il ragazzo sogghignò, sempre con la sigaretta in bocca e continuò a fissarmi immobile. Quelle iridi verdi mi stavano letteralmente portando fastidio. Era davvero insopportabile. Sembrava mi stesse leggendo dentro.
Istintivamente lo spinsi e lui, prima strabuzzò quelle iridi favolosamente verdi, poi ridacchiò.
“Ti credi forte? Anna dai capelli rossi” disse lui con voce nasale.
“Non mi credo, lo sono e tu? Ti credi forte?” chiesi con sfida.
“Non rispondo, mi limito a lasciarti pensare quel che vuoi Anna dai capelli rossi”
Socchiusi gli occhi con nervosismo ed aspettai che dicesse qualcosa.
“Non. Chiamarmi. Così.” sibilai
“Comunque sia, finiamola con questa buffonata che mi sto davvero annoiando. Quanto ne vuoi?”
“Cosa?” chiesi confusa e arrabbiata.
Quei ragazzi mi stavano decisamente prendendo in giro!
“Come cosa! Al, sei sicuro che è la Rosenberg?” chiese lui girandosi verso Al, il ragazzo col berretto da baseball.
“Senti Joe Strummer, sono io Rosenberg e continuo a non capire di cosa tu stia parlando”
“Joe Strummer? Lo prendo come complimento”
“Fai come ti pare, ma io continuo sempre a non capire”
“Tu ci hai mandato un biglietto.”
“Quale fottuto biglietto? Io non ho mandato proprio un cazzo!” dissi alzando la voce.
Joe Strummer mi tappò la bocca con una sua lurida mano ed io lo spinsi violentemente.
“Non mi toccare, brutto stronzo” sibilai a denti stretti.
“Non ti tocco se prometti che non urlerai o alzerai la voce.”
“Cosa mi assicura che non mi avete portato qui con uno scopo?”
“Pensala come vuoi. Ti posso solo assicurare che non avrei molto piacere a stuprarti, però se vuoi fare un po’ di Educazione Sessuale lì sotto c’è il nostro amico Trè che è molto stimolante” disse lui indicando il ragazzo - gallo
Che stronzo che era questo Joe Strummer! Continuava a prendersi gioco di me!
“Non mi stimolate molta voglia. Sapete, non mi piace scoparmi i bambini che cercano di fare i ribelli” risposi con sfida.
Lui ridacchiò e disse:
“Tu mi piaci, sei una fottuta stronza”
“Tu no! Guarda un po’, non andiamo d’accordo neanche su questa banalità!”
Lui continuò a ridere, si allontanò aspirando la sua sigaretta e dopo pochi secondi tornò con un sacchetto in mano. Mi porse il sacchetto ed io lo guardai. Quella era proprio marijuana. Non mi sarebbe dispiaciuto comprarne un po’, ma non lo avrei fatto, non al momento.
“Che cazzo vuoi? Mi stai facendo vedere quanto sei figo?”
“Sei proprio stupida, Anna! Te la prendi questa marijuana o no?” chiese Joe Strummer iniziando a scaldarsi.
“Perché dovrei? Non ti ho mica chiesto un po’ di marijuana!”
“In realtà proprio questo hai chiesto nel biglietto che ci è arrivato”
“Io non ho scritto nessun biglietto! Sei proprio coglione”
“Cazzo Billie, ora questa stronza corre a spifferare tutto!” urlò Trè alias ragazzo gallo.
“Chi è stato a darvi quel biglietto?” chiesi scontrosa.
“Non lo conosco. È un ragazzo con capelli scuri, occhi grigi, bassino. Portava dei pantaloni stretti e una maglietta bianca molto attillata” disse Billie alias Joe Strummer
“Pinco pallino” sibilai.
Tutti risero. Riversai l’ultima occhiata ai ragazzi e corsi via.
Quella scuola mi stava facendo impazzire. Dovevo assolutamente trovare Pinco Pallino.

 
 
 
 
 
 

Scusate per il tremendo ritardo. Finalmente siamo arrivati alla conoscenza del frontman. Devo ammettere che è stato fin troppo difficile creare il loro incontro e non so se possa piacere, ma rischio e lo pubblico, quindi fatemi sapere se vi è garbato o no. A presto
Gloria

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Capitolo 4
*** Quattro ***


Quattro






Per tutte le ore, cercai accuratamente di stare alla larga dalla banda di strambi, e mi limitai a cercare Pinco Pallino in qualsiasi angolo della scuola. Non riuscì a trovarlo, neanche una scia del suo profumo disgustoso. Disperata corsi nell’aula di matematica e continuai a scrivere la bozza della mattinata. Finito di scrivere, rilessi e rilessi ancora attentamente. La canzone parlava del posto in cui ero capitata. Era un urlo disperato alla prigionia. Una aiuto per la libertà. Sapevo per certo che era passato solo un giorno, ma già mi sentivo di pezza. Decisi di chiamarla Imprisonment.

“Cosa diavolo fai?”disse una testa azzurra sbirciando il mio foglio.
“Che cazzo vuoi?” chiesi brusca, nascondendo il foglietto pasticciato.
Non riuscì in tempo a nasconderlo che qualcuno me lo sfilò dalle mani. Alzai gli occhi e vidi il professore di matematica con la mia bozza sulle sue grossissime mani sudaticce.
“Vediamo cosa abbiamo qui. Deve essere davvero importante per non prestare attenzione alla mia lezione”
“Anche uno scarafaggio sopra il davanzale della finestra sarebbe più interessante della sua lezione” disse la ragazza dai capelli azzurri.
Soffocai una risata, ma il professore guardò entrambe con una nota di nervosismo.
“Signorina Russel, mi può far solo piacere quanto tu sia volenterosa a rimanere qualche altra ora a scuola.” Disse andando verso la cattedra. “Che ne dice se rimane fino alle sei?”
“Che cazz… Cosa? Neanche morta!” rispose Russel.
“Come speravo. Ci vediamo in detenzione signorina Russel” disse il professore senza ascoltarla, con un sorriso malevolo stampato in faccia.
“Adesso vediamo cosa c’è scritto in questo fogliettino strappato… Imprisonment... interessante” disse il professore.
Solo in quell’istante capì cosa stava per succedere, quindi mi alzai, spinsi il professore ed afferrai il mio foglietto. Il professore cadde per terra, mi guardò ed urlò:  “Vai subito dal preside!”
Incazzata più che mai, infilai il foglietto nella borsa, afferrai quest’ultima ed uscì fuori dall’aula, seguita dal professore di matematica. Non avevo avuto una buona impressione, eh!
“Si è messa in guai grossi! Molto grossi!” urlò il professore, molto simile a Zio Vernon di Harry Potter.
Camminai ancor più veloce. Ero paonazza, non volevo star lì a sentire quel ippopotamo inferocito.
“Che succede qua fuori?” chiese un uomo uscendo da un ufficio.
Cazzo! Era proprio il preside. Lo guardai, ancora nera dal nervosismo. Era un bel uomo. Alto, magro. La sua pelle era nera e, proprio questo, lo rendeva ancor più affascinante. 
“Questa ragazzina…” disse il professore di matematica, prima di venir interrotto dal preside, il quale alzò la mano sinistra e fece cenno di entrare in ufficio.
Entrai insieme al professor Vernon Dursley e mi sedetti in una delle comodissime poltrone dell’ufficio. Quella stanza era l’unica cosa stabile in quella scuola. Il preside si sedette, mi guardò attentamente, sorrise e disse:
“Cosa è successo? Qualcuno dei due può spiegarmelo?” chiese con un accento inglese.
“Questa ragazzina…” urlò il professor Vernon Dursley.
“Non urli, la prego” disse il preside, mettendosi una mano sul capo.
“Oh, mi scusi. Questa ragazzina ha agito con violenza su di me” ruggì, non riuscendo a non urlare.
“Questo solo perché lei ha messo il naso su cose non sue!” ribattei io.
“Come ti permetti, signorina!”
“Vi prego, vi prego! Signorina Rosenberg, questo è il suo primo giorno e già la maggior parte dei suoi professori sono venuti a lamentarsi di lei. È distratta, non ascolta la lezione, è maleducata, agisce con violenza. Cos’altro vorresti fare? Stai cercando di battere qualche record o robe varie?” chiese il preside con severità.
“Io non sto facendo proprio un cazz… volevo dire, niente! Il professore, stava ripetendo la sua lezione, sicuramente, per la milionesima volta ed io stavo scrivendo.”
“Metto subito la mia parola che non stava prendendo appunti o robe varie. Stava scrivendo un insulsa canzone!”
“Come si permette a dirmi che è un insulsa canzone? Solo perché quando lei era giovane andava in giro con Mozart non vuol dire che la mia è un insulsa canzone”
“Signorina Rosenberg, questo non è un comportamento adeguato! Se continua così sarò costretta a chiamare suo padre!” urlò il preside furibondo, mentre il professore Vernon spalancava la bocca offeso.
“Non si preoccupi professor Dippet, torni pure a fare la sua lezione. Mentre lei signorina Rosenberg avrà una settimana di detenzione e se continua così aumenteremo ad un mese. Mi ringrazi per non averla sospesa!” disse il preside con severità.
“Bene. Posso andare?” chiesi arrabbiata.
“Lei è proprio presuntuosa, signorina Rosenberg. Può andare”
Mi alzai dalla sedia ed uscì dall’ufficio del preside. Una marea di ragazzi uscivano dalle classi, il che significava solo una cosa. Pausa pranzo. Andai nella mia aula preferita, la mensa, ed anche lì mi accorsi di quanto schifo potesse fare quella scuola. Presi un vassoio e feci la fila. Se quella mattina pensai a come era imbarazzante e fastidioso lo sguardo di tutti addosso, non era niente a confronto di quel momento. Persino le cuoche della mensa mi fissavano in modo strano.
“Perfetto!” dissi fra me e me.
Dopo aver finito la fila, cercai un posto vuoto su cui posizionarmi e quando lo trovai qualcuno urlò: “Hey, rossa! Hey, rossa!”
Mi girai in cerca della fonte ed una testa azzurra apparve ai miei occhi. Alzai gli occhi al cielo e feci finta di non vederla.
“Hey, stronza!” mi disse una volta vicina.
“Oh, ciao puffetta, non ti avevo proprio vista!” mentì io girandomi verso di lei.
“Sì certo. Non chiamarmi più puffetta, intesi? Mi fa girare le palle.”
“Come vuoi” dissi girandomi dalla parte opposta pronta a sedermi.
“Hey, dove credi di andare? Siediti al nostro tavolo”
Guardai il tavolo dove era seduta. C’era posta una ragazza dai capelli arcobaleno e il ragazzo biondo platino. Quello del gruppetto degli strambi.
“Emmm… no grazie. Preferisco sedermi qui”
“Ti ho detto che hai il diritto di scelta?”
“Ah, adesso in questa scuola di pazzi si è pure sotto regime?” chiesi infastidita.
“Ops, il tuo tavolo è stato occupato. Meglio che vai a mangiare in cortile, oppure con le cuoche dietro la mensa”
Mi girai a guardare il tavolo che fino a pochi secondi prima era vuoto e notai che un ragazzo biondo lo aveva appena occupato. Sbuffai rassegnata e seguì la ragazza dai capelli azzurri verso il tavolo.
“Cielo ti piace?”
“Si da il caso che mi chiamino già così. Mi piace comunque, mi fa sentire tanto una brava ragazza” disse ridendo alle sue ultime parole, mentre si sedeva accanto ad arcobaleno.
Presi posto vicino al biondo platino dal naso ricurvo ed abbassai gli occhi verso la mia insalata.
“Ragazzi, questa è… rossa” disse cielo incerta.
“Non eri Anna?” chiese il biondo platino sorridendo ironico.
“Preferisco di gran lunga Liz, anche se rossa può andare bene” risposi io infastidita.
Lui sorrise e si dedicò al suo cupcake.
“Comunque sia, lei è Liz alias Rossa alias Anna dai capelli rossi”
“Cazzo! Ho detto niente Anna dai capelli rossi!” mi lagnai io.
“Oh, scusa rossa. Comunque, lei è Stacy alias Arcobaleno, io sono Jenny alias Cielo e lui è Mike alias… in realtà non lo so. Dai tu un soprannome, mi hanno detto che sei una campionessa di soprannomi”
“Non saprei… Ugo Foscolo”
“Cosa?” dissero loro ridendo.
“Ugo Foscolo. Non trovate una somiglianza tra i due?” chiesi io sorridendo.
Mike si mise in posa, alla Ugo Foscolo, e tutti risero come dei matti facendo girare i vicini.
“Sei così fottutamente simile a quel disperato!” sbraitò Cielo con le lacrime agli occhi.
Dopo un paio di secondi, anche io mi feci coinvolgere dalle risate. Mentre ridevamo e prendevamo in giro il povero Mike, lui alzò gli occhi al cielo, sempre sorridendo, si girò verso di me e mi sorrise debolmente. Era davvero simpatico quel Mike ed anche quelle due folli.
“Bene. Vado in cortile a rilassarmi” dissi io alzandomi, una volta finito di pranzare.
“Non puoi fumare in cortile” rispose Cielo.
“Perché?” chiesi io confusa.
“Senti rossa, se pensi che questa scuola sia come le altre mi dispiace per te.” Disse Cielo per poi alzarsi, mettersi di fronte a me, coi nasi vicini. “Ricorda sempre, questo è l’Inferno”
Detto questo, mi sorrise e si allontanò. Quella ragazza era davvero pazza. Fuori dal normale.
“Bene. Allora dove posso fumare?” chiesi risedendomi accanto ad Arcobaleno.
“Profumi di fragola!” disse Arcobaleno, annusandomi e ridacchiando.
Mi girai a guardarla sconvolta, poi guardai Mike, che si limitò a soffocare risate.
“È un po’ fatta” mi rispose.
“Oh! Adesso si capisce tutto” risposi sincera, guardando la ragazza che continuava a ridere a crepapelle.
“Come cazzo fai a profumare di fragola? Lo sai che la fragola è il mio frutto preferito? Come cazzo fai a profumare di fragola?”
“Bè… ho uno shampoo e un bagnoschiuma alla fragola”
“Wow! Profumi così tanto di buono. Forse è meglio che ti sposti prima che ti morda un braccio” disse lei, stavolta seria e con uno sguardo smarrito.
Io ridacchiai a quelle parole, convinta che stesse scherzando, ma quando incrociai lo sguardo di Mike, sbarrai gli occhi e dissi: “Devo realmente spostarmi?”
“Sì” mi rispose lui calando la testa.
Mi alzai di botto e mi diressi verso il bagno, senza salutare nessuno. Prima di uscire dalla mensa, guardai di tanto in tanto, in cerca di Pinco Pallino, ma di lui non c’era traccia.
Camminai nei corridoi deserti, canticchiando un motivetto, ed entrai nel bagno della mattina.
“Grazie al cielo non c’è nessuno!” mormorai, portandomi una Marlboro rossa alle labbra. Mi sedetti, sopra i lavelli, bagnandomi tutti i pantaloncini e le calze a rete, ed accesi la sigaretta. Era così rilassante aspirare ed espirare. Presi la mia bozza dalla borsa e la lessi attentamente. Dopo averla letta diverse volte, capì una cosa fondamentale. Rodeo mi stava facendo davvero male.
 
 
 
 
 
 
Dopo le lezioni cercai di sgattaiolare via da scuola, ma il preside mi sorprese e mi minacciò di aumentarmi le ore di detenzione. Non volendo sprecare momenti in più a scuola, mi diressi verso l’aula 101 e mi abbandonai in una sedia degli ultimi banchi.
“Hey rossa”
“Oh cazzo, Cielo! Mi hai fatto venire un infarto!” dissi io guardando la mia compagna di banco.
Lei incominciò a ridacchiare e disse:
“Ti sei portata qualcosa da leggere? La detenzione è una vera noia” ammise lei.
“No. Ma non preoccuparti vedrò come spendere il mio tempo.” Dissi io cercando di chiudere la discussione lì.
“Quasi dimenticavo! Stasera ci sarà una festa. A che ora ti passo a prendere?”
“Non penso di venire” dissi io cercando il mio blocchetto.
“Che cosa? Nessuno dice no a Cielo!” disse lei picchiettando la penna sul banco.
“Silenzio voi due in fondo“ sbraitò il professore.
Cielo fece finta di girarsi, aprì la rivista la alzò, permettendogli di coprirle il viso e disse: “Sto aspettando una risposta“
“Mi sembra te l’abbia già data” risposi io scontrosa, scarabocchiando una pagina del blocchetto.
“Non accetto quella risposta”
“Mi dispiace per te, Cielo, ma non ho intenzione di cambiarla”
“Si può sapere per quale fottuto motivo non vuoi venire alla festa così da apparire asociale?”
“Non mi piacciono le feste.” Ammisi io
“Silenzio voi due” ripeté il professore alzando gli occhi dal suo quotidiano.
Cielo alzò gli occhi al cielo e si limitò a leggere.
“Che vuol dire non mi piacciono le feste?”
“Oddio, lasciami in pace!” dissi io esasperata, alzando gli occhi dal foglio per guardarla in viso.
“Ci sarà Mike”
“E ora?” chiesi riabbassando gli occhi nel foglio.
“Pensavo ti piacesse”
“Pensavi male.”
“Ci sarò io”
“Ti ringrazio, non lo avevo capito” dissi ironica, continuando a scarabocchiare il foglio.
“Fottiti Rosenberg” disse per poi non calcolarmi più.
Le due ore passarono molto lentamente. Volevo andare via da quella prigione, ma il tempo era così lento che quando suonò la campana sembrava fossero passati giorni.
“Buona serata ragazzi.” Disse il professore alzandosi, chiudendo la cartella e scappando via.
“Ci vediamo sopravvissuta” dissi io a Cielo.
Lei mi guardò, girò lo sguardo ed andò via. Erano tutti pazzi o sbaglio? Rodeo era il posto più orribile al mondo. Era un manicomio dove ogni singola persona aveva problemi a quel loro insulso cervello. Presi la borsa ed uscì fuori. Una volta fuori respirai l’aria fresca, con felicità, mi accesi una sigaretta e mi diressi verso le strade di Rodeo. Avevo un assoluto bisogno di sentire la voce dei miei amici. Non avevo tempo per tornare a casa, dovevo chiamarli subito. Cercai disperatamente una cabina telefonica e, a pochi isolati dalla scuola, trovai una delle cabine più distrutte che avessi mai visto.
“Speriamo funzionino” mormorai, per poi incamminarmi decisa verso le cabine.
Una volta lì, cercai delle monete e quando li trovai, le infilai dentro l’apposito spazio. Elettrizzata digitai il numero di Joey.  
“Rispondi. Ti prego, rispondi.” Dissi, mentre il telefono squillava.
Dopo diversi squilli la voce di Joey si udì attraverso la cornetta.
Pronto?
“Che cazzo stavi facendo? Dormivi?” dissi io sorridendo.
Liz! Dove cazzo sei finita? Ieri sono venuto da te, ma tua madre mi ha sbattuto la porta in faccia!
“Non ci crederai mai, ma non sono a Los Angeles.”
Non sei più a Los Angeles? Allora dove cazzo sei finita?
“Mia madre si è incazzata nera con me e mi ha spedita dritta a Rodeo, da mio padre”
Rodeo? Sei sicura esiste?
“Certo che esiste. È vicino Berkeley”
Capisco. Ma che cazzo! Giuro che vado a pestare tua madre
Ridacchiai, felice di sentire la sua voce e dissi: “Dove sono gli altri?”
Non saprei. Io ero a casa e stavo realmente dormendo
“Wow. Joey che dorme? Non ci posso credere!” dissi io realmente colpita.
Lo so, è incredibile. Ma da quando non ci sei, cioè ieri, è stato tutto così palloso. L’uscita fra amici, il ritorno a scuola. Jay, Roxy e Ronnie sono diventati pallosi. Ronnie sempre che piange e non vuole dirmi per quale fottuto motivo. Roxy e Jay sempre pronti a litigare ed io… bè… mi manchi Liz” disse mentre infilavo un altro quarto di dollaro.
Sorrisi, mentre le guance incominciavano ad avvamparmi.
“Sono così felice di sentirti” dissi io. “Come cazzo sta andando la band?”
La band… Ora che non ci sei come facciamo?
“Tranquillo, ora mi cerco un lavoro in questo schifosissimo posto e mi raccolgo i soldi. Tornerò a Los Angeles, promesso”
Lo spero davvero tanto, perché oggi ti stavo…
Cascò la linea e Joey non poté finire la sua frase. Piena di rabbia, lanciai un calcio al telefono, così da procurarmi un fastidiosissimo dolore all’alluce.
“Cazzo!” sbraitai con le lacrime agli occhi.
Cercai altre monete, ma le mie tasche erano solo piene di fazzoletti. Mi girai, mentre lacrime di rabbia e di dolore scendevano lungo il mio viso, e strabuzzai gli occhi.
“Tu cosa cazzo ci fai qui?“ chiesi asciugandomi in fretta le lacrime.
“Cosa cazzo pensi ci faccia una persona davanti ad una cabina telefonica? Prendersi a botte col telefono?” rispose Joe Strummer ironico.
Lo guardai con odio, lo spinsi e mi diressi verso casa, propensa ad andarmene ancor di più. 




Angolo dell'autrice

Bene bene. Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento. Ringrazio le persone che hanno messo la mia storia tra le preferite, le ricordate e le seguite, e quelle che hanno recensito. Ringrazio anche le persone che hanno semplicemente aperto la mia storia, qualsiasi pensiero abbiano dato dopo, e chiedo un favore. Fatevi sentire! Qualsiasi cosa vogliate dirmi l'accetterò. Adesso torniamo alla storia. 
Non potevo non mettere Billie Joe in questo capitolo catastrofico e tremendamente noioso per Liz, quindi sono riuscita ad aggiungerlo alla fine. :D 
Riguardo a Mike, terrà una parte molto importante per questo libro e Cielo, bè Cielo la ritroverete quasi sempre sarà una delle poche persone a farle apprezzare Rodeo. Gli amici di Los Angeles sono importantissimi per questa storia e difatti in seguito ci sarà una loro apparizione. Che altro aggiungere. 
A presto 
Gloria

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Capitolo 5
*** Cinque ***


Cinque 





“Potresti lavorare al Rod’s Hickory Pit.” Disse Cielo.
Ci trovavamo sopra il tetto, mezzo rotto, di casa mia. Eravamo sdraiate e stavamo fumando una sigaretta, lontano dagli sguardi ostili di mio padre.
Le prime due settimane filarono lisce ed Ottobre era giunto nella cittadina di Rodeo.
Avevo chiarito il giorno dopo con Cielo e adesso eravamo molto legate. Non ero riuscita a parlare con Pinco Pallino. Ignoravo ancora mio padre. Vedevo una bionda uscire da casa nostra ogni mattina, prima che mi alzassi, e continuavo ad ignorare le telefonate di mia madre. I miei amici continuavano a mancarmi atrocemente, soprattutto Joey. Ogni giorno dopo scuola mi catapultavo in quella cabina e chiamavo il mio amico, sperando che ci fossero anche Jay, Ronnie e Roxy. Fortunatamente li avevo sentiti spesso. Jay era sempre il solito idiota, anche se ammetteva che gli mancavo. Ronnie era molto triste, senza una ragione saputa. Roxy era la solita ragazza pimpante ed arrogante, ma anche lei aveva ammesso che la loro vita non era più la stessa senza di me. Ero felice di questo, riuscivo a sentirmi un po’ più importante per loro.
“Che posto è?” chiesi aspirando. Stavo ammirando il tramonto.
“Ti ci posso portare stasera se vuoi.” Disse lei, alzandosi in modo da guardarmi.
Ci pensai su. Avrei odiato rimanere un'altra sera in casa. “Perfetto. Andiamo adesso?” chiesi, alzandomi e lanciando il restante della sigaretta sul prato.
“Attenta! Potresti bruciare tutta casa” disse Cielo, alzandosi a sua volta, facendo un imitazione perfetta di Arcobaleno.
Ridacchiai di gusto e dissi: “Sai che perdita! Se si bruciasse questa casa sarebbe solo un giorno fortunato.”
Cielo ridacchiò, poi mi aiutò a scendere. Entrammo in casa e neanche notammo mio padre in grembiule da cucina affaccendato. Di solito non cucinava mai, comprava sempre cose già pronte.
Salimmo le scale velocemente ed entrammo in camera.
“Pareti rosa, carine!” mi prese in giro lei.
“Odio questa carta parati. Inizialmente volevo cambiarla, ma poi mi sono detta: ‘ Hei, tu andrai via di qui’, quindi ho deciso di non sprecare soldi” dissi mentre aprivo le ante del mio piccolo armadio.
“Quindi hai deciso di andartene?” chiese Cielo scrutando la camera.
“Il prima possibile, sì” dissi io prendendo una maglietta viola e dei pantaloni neri a sigaretta.
“Non ti piace proprio Rodeo, eh?” chiese lei toccando le lenzuola della mia brandina.
“A chi piace questo posto? Sembra di stare nel Far West!” dissi sfilandomi la maglietta dei Ramones.     
“Non ti do torto. Sai una cosa? Anche io me ne andrò! Los Angeles sarebbe perfetta per …” poi non continuò la frase, mentre un rossore si impadroniva del suo viso.
“Che succede?” chiesi io, dopo aver indossato la maglietta viola.
“No niente, non ho mai detto a nessuno il mio sogno. Mi vergogna dirlo.”
“Bene” dissi io indifferente, mentre mi sfilavo i pantaloni. Non ero mai stata una tipa insistente, neanche con Joey.
Cielo rimase in silenzio per un po’, poi si schiarì la voce ed andò verso i Cd. “Tuo padre mi odia” disse.
“Sì, probabile.” Dissi io, mentre mi stendevo sulla brandina e mi allacciavo i pantaloni.
“Non sono mai piaciuta a nessun genitore.” disse sorridendo, mentre carezzava la custodia del mio basso.
“Prima regola, non devi toccare, sfiorare o guardare il mio basso. È la cosa più sacra che ho. È il mio compagno fedele.” Dissi io mettendomi le vans a scacchi.
“Bene” disse lei abbassando le braccia. “Sei pronta, allora?”
“Sì. Possiamo andare” dissi dirigendomi verso la porta della camera, per poi aprirla e prendere la mia giacca di pelle.
“Dove credi di andare? Stai uscendo?” chiese mio padre una volta aperta la porta d’entrata ed aver percorso il vialetto. Indossava ancora quel grembiule ridicolo.
“Non lo vedi?” dissi sollevando le braccia, per poi riabbassarle.
“Proprio adesso?”
“Sì, proprio adesso”
“Non puoi uscire“ disse lui deciso.
Sbuffai. “Tu pensi davvero che ti ascolterò?”
“Sì. Perché sennò ti metto in punizione e dovrai pulire tutto il mio ufficio, mettere in ordine alfabetico …”
“Tranquilla, vengo a salvarti più tardi, intanto parlerò al proprietario.”
“Bene. Ci vediamo fra …”
“Non puoi uscire”
“Perché non torni dentro?” chiesi infastidita.
“Non ho intenzione di farmi ordinare qualcosa da te, signorina. Stasera rimarrai a casa, conoscerai la mia fidanzata e suo figlio e poi andrai dritta a dormire” disse per poi rientrare in casa.
Cielo, che era rimasta tutto il tempo in silenzio, disse: “Oh oh! Sei messa proprio male, rossa. Se dovesse cambiare idea, chiama a questo numero.” Aggiunse scrivendomelo sul braccio. “Buona fortuna” disse poi, dandomi una pacca sulla spalla. 
Alzai gli occhi al cielo, la salutai e mi diressi in camera mia, senza spiccicare una parola a mio padre.
Rimasi per qualche minuto in camera, in cerca di una melodia nuova per Imprisonment. Ma sapevo benissimo che avevo bisogno di una chitarra per potermi aiutare meglio. Suonai qualche cover per un po’ di tempo, poi quando il campanello suonò, posai il mio basso ed indossai le cuffie.
“Scendi!” disse mio padre, entrando la testa dentro la camera.
Dovevo iniziare a chiudermi a chiave. Mi rimisi le cuffie, ignorando il tentativo di mio padre di far sembrare la nostra una famiglia unita, e riattaccai il mio disco in vinile. Sapevo perfettamente che oramai esistevano i Cd normali, ma io amavo il vinile e non sopportavo la gente che li snobbava. Spensi la luce e mi stesi sul letto, mentre David Bowie mi portava in un posto lontano da qui, a suon di note.
Improvvisamente, qualcuno accese la luce. Aprì gli occhi molto irritata, mentre una mano mi toglieva le cuffie.
“Ciao sono … Oh Dio!” disse il ragazzo.
Alzai lo sguardo e vidi Pinco Pallino seduto sul mio letto. “Che cazzo ci fai qui dentro?” sbraitai.
“Mia madre è la fidanzata di tuo padre.” Rispose compiaciuto guardandosi intorno. “Rosa? Non è molto da te” disse coricandosi vicino a me.
“Oh Dio,  no! No, no, no! Non va bene per niente” urlai alzandomi.
“Come è scomodo questo letto.” Disse saltellando col sedere.
“Io ti odio, lo vuoi capire! No, non posso sopportare ancora questa sofferenza.” Urlai, mettendomi le mani fra i capelli.
“La cosa è reciproca, non preoccuparti” disse in tutti i suoi modi pomposi. “A proposito, ti è piaciuto il mio benvenuto a scuola?” chiese con un ghigno.
“Giusto, noi abbiamo qualcosa in sospeso” dissi guardandolo scontrosa.
Lui assunse un espressione spaventata, mentre mi avvicinavo minacciosa. “Cosa credi di fare?” chiese timoroso. “C’è mia madre di sotto”
Ma prima che riuscissi ad afferrarlo, era scappato giù dalle scale. Sarebbe stato divertente cenare con questa famiglia stramba, pensai. Mi sarei divertita un sacco a prenderlo a calci sotto il tavolo.
Scesi giù le scale e mi diressi in cucina. Mio padre stava ridacchiando in modo stupido con la sua nuova compagna. Era più bionda di quanto mi ricordassi. Era alta e fin troppo magra. Si girarono verso di me e mio padre mi disse: “Vieni qua, Liz. Questa è Eva. Eva, questa è mia figlia” disse lui presentandoci.
Strinsi la mano ad Eva che mi guardava con un sorriso imbarazzato. Evidentemente nel posto dove stava lei non esistevano ragazze come me. Ragazze così, disastrose. Così truccate male, ragazze che si tingevano i capelli da sole, senza l’aiuto di un parrucchiere, ragazze con mezza testa rasata. In quel momento dovevo avere davvero un brutto aspetto.
“Ciao Liz. Sei davvero … carina” disse lei sorridendo incerta.
“Oh grazie mille. Lei è una bomba, su questo non se ne può discutere” dissi io sorridendo.
Eva rise in modo stridulo, mentre mio padre disse: “Liz! Non usare questi vocaboli con Eva!”
“Perché? Chi è? La regina Elisabetta?”
“Liz!”
“Non fa niente tesoro, penso mi stesse facendo un complimento.” Disse lei girandosi verso mio padre.
“Certo che era un complimento! La credevo più giovane, sa?” dissi aprendo il frigo e frugandoci dentro.
“Liz, non cercare cibo fuori tavola, piuttosto siediti che ceniamo” disse mio padre indicandomi la tavola.
Lo guardai, chiusi il frigo e presi posto al tavolo, proprio di fronte a Pinco Pallino che era rimasto sul ciglio della porta a guardare la scena inorridito.
“Siediti, Ryan” disse mio padre dolcemente a Pinco Pallino.
Allora si chiamava Ryan quel tizio! Un nome più snob poteva darglielo, pensai. Ero davvero furiosa. Mio padre mi aveva tolto la possibilità di trovare lavoro. Me ne volevo andare al più presto.
La cena fu abbastanza silenziosa. Ogni tanto mio padre faceva domande a Ryan alias Pinco Pallino, ed Eva non si era posta il problema di rivolgerle a me. Non mi turbava affatto, odiavo i quiz a domande. Odiavo essere al centro dell’attenzione, anche se non sembrava affatto.
Parlando del cibo, avevo scoperto che mio padre sapeva cucinare abbastanza bene, ed io avevo divorato il suo sformato di verdure. Ero vegetariana da quasi cinque anni, e mio padre sapeva che se avesse cucinato carne avrei rovinato la cena facendo battutine su quanti cadaveri stessero mangiando.
“Liz, ti è piaciuto il mio cheesecake?” chiese Eva a fine pasto.
“Niente male. Posso andare in camera?” chiesi indicando col pollice le scale.
“No. Abbiamo una comunicazione da fare” disse mio padre guardando Eva e sorridendole per poi essere ricambiato.
Feci una smorfia. Erano davvero vomitevoli.
“Cosa c’è di nuovo?” chiese Ryan ansioso.
Lo guardai ed alzai gli occhi al cielo. Dio, era così idiota!
“Abbiamo deciso di sposarci!” dissero all’unisono i due.
Io e Ryan sbarrammo gli occhi ed io dissi: “Cosa? Ti sei forse drogato?”
“Mamma, non credi sia troppo presto?” chiese Ryan incerto ignorandomi come gli altri due.
“Ci amiamo molto e siamo convintissimi di sposarci. Fra un mesetto, due, ci trasferiremo a casa vostra e così saremo una famiglia” disse mio padre al ragazzo.
“Ho sentito abbastanza” dissi io inorridita alzandomi.
“Cosa intendi dire? Sei mia figlia e devi …”
“No, invece! Da quando ti sei lasciato con mamma non ti sei mai posto il problema di venire a trovare le tue figlie. Hai vissuto in questo posto di merda con altre donne e non hai mai neanche fatto una telefonata, e adesso pretendi che io ti segua a casa di questi fighetti? No, grazie, passo. Adesso lasciami in pace, sono già in ritardo. Ho rovinato una serata con Cielo per sorbirmi queste cazzate. Mi sono stufata del tuo teatrino. Io vivo sotto il tuo tetto, ma fai finta che non ci sia.” Dissi per poi dirigermi verso le scale.
“Liz, io …” disse mio padre alzandosi per seguirmi.
“NON MI GUARDARE PIU’ IN FACCIA!” urlai, prima di prendere la mia giacca di pelle ed uscire di casa.
Ero felice di essermi sfogata. Tutto il disprezzo che provavo per quell’uomo era stato finalmente chiarito. Lacrime di rabbia mi sfiorarono la punta del naso, mentre uscivo dal vialetto ed imboccavo verso destra. Camminai per qualche minuto, imprecando dopo essermi accorta di essere senza sigarette, per poi bloccarmi. Un ragazzo biondo platino era seduto sul marciapiede che stavo percorrendo. Stava aspirando una gran boccata dalla sua sigaretta e sembrava nervoso.
“Mike?” chiesi insicura asciugandomi subito le lacrime dal viso.
Sembrava proprio lui! Il ragazzo alzò gli occhi ed un bel azzurro mi squadrò. “Ehi rossa. Cosa fai in questo quartiere?”
“Ci vivo?” dissi come se fosse una cosa ovvia.
Il ragazzo alzò lo sguardo sorpreso e disse: “Mi stai dicendo che vivi qui? Nel mio stesso quartiere?”
“Evidentemente sì.” Dissi, poi mi girai a guardare la catapecchia dietro di lui. “Questa è casa tua?”
Era incredibile quanto schifo facessero le case a Rodeo. Non c’era ombra di Los Angeles qui intorno.
“Proprio così. Non amo stare lì dentro.” Disse porgendomi il pacchetto di Marlboro rosse.
Sorrisi ed afferrai il pacchetto. Presi una Marlboro e mi sedetti di fianco.
“Mi dispiace chiedertelo, ma non ho un cazzo. Neanche un fottutissimo accendino”
Senza neanche parlare, mise una mano nella tasca dei pantaloni e ne uscì un accendino rosso. Mi accese la sigaretta e dopo aver aspirato, una tranquillità mi pervase. “Cazzo, quanto ci voleva!”
Mike sogghignò, buttò la sua e si alzò. “Stavo andando in un locale. Vuoi venire?”
“Si beve?” chiesi speranzosa.
“Non in questo locale, ma possiamo convincere a darci qualche birra”
“Bene. Basta che mi allontani da qui.” Dissi facendomi aiutare ad alzarmi.
Dopo aver camminato per svariati minuti, guardai l’orologio. “Pensi sia ridicolo un suicidio alle 8:00 di sera?” chiesi ironica, provocando una risata dell’altro.
Rodeo mi stava davvero rendendo un idiota.
 
 
 
 
“C’è una cabina vicina?” chiesi al biondino.
“Sì. Credo si trovi dopo questa via” disse Mike indicando la fine della strada.
“Bene” mormorai io, pensando di chiamare Cielo.
Mike era un tipo simpatico, ma il suo silenzio mi provocava un forte imbarazzo. Non ero una tipa da molte parole, quindi di solito amavo essere circondata da tipi con una gran bocca larga. Mike non era affatto uno di quel genere di persone che preferivo. Sarebbe stato una buona compagnia se ci fosse stata anche una sola persona. Arrivati accanto la cabina telefonica più logora di tutta l’America, cercai qualche moneta tra le tasche dei pantaloni. Quando ne trovai una, la infilai nell’interruttore e digitai il numero scritto nel braccio da Cielo.
“Sei sicuro funzioni?” chiesi a Mike, che si limitò a scrollare le spalle.
Tu … tu …iniziò a fare il telefono. “Sta squillando” dissi a Mike che sorrise annoiato.
Sicuramente non ero molto di compagnia per lui. Sentì un rumore assordante ed una voce nasale, fastidiosamente familiare, disse: “Qui il Rod’s Hickory Pit, buonasera
“Tu?” chiesi scontrosa, quanto sorpresa.
Io. Chi parla?” ripetè quella voce.
“Perché diavolo rispondi tu? Stavo chiamando Cielo”
Emm, vediamo … forse ci lavoro? Chi cazzo sei?
“Sono Liz, la tipa a cui stavi vendendo la tua droga.”
Che cazz … lo sai che non si parla mai di questo genere di cose al telefono?” disse scontroso.
“Sono così incazzata! Perché Cielo mi ha dato questo numero?”
Mike stava guardando divertito. Alzai gli occhi al cielo. Mi ero scordato che Joe Strummer era il suo leader. Il suo amico per la pelle.
Cielo?” poi un rumore metallico mi fece capire che il ragazzo aveva poggiato la cornetta su qualcosa e dopo qualche minuto la voce di Cielo si udì sopra le canzoni country. “Liz? Dove sei?
“Perché mi hai dato questo numero?” chiesi mentre infilavo un quarto di dollaro.
Non ho un cellulare, scusami
“Bene, ho poco tempo per parlare. Puoi venire a prenderci al numero …” si guardò intorno, poi diede i nominativi.
Okay, resta lì, con chiunque tu sia, vedrò cosa fare.“ e riattaccò.
Mi girai verso Mike e gli rivolsi un sorriso. “Stanno arrivando i rinforzi. Cielo arriverà fra qualche minuto”
“Bene.” Mi disse sorridendo, mentre usciva un’altra sigaretta e me la offriva.
Ne presi una dal pacchetto e l’appoggiai alle labbra. “Ti prometto che domani ti regalerò il mio pacchetto” dissi, mentre il ragazzo mi portava la fiamma dello zip alle labbra.
Aspirai delicatamente ed espirai successivamente. “Sai, non ho mai avuto un amico così gentile” gli dissi sincera.
“Probabilmente non hai mai avuto dei veri amici” disse lui guardando la strada di fronte a sé.
Feci una smorfia molto incerta e mi strinsi nella mia giacca. I primi venti autunnali premevano le strade isolate di Rodeo. Dei fari giallognoli e luminosi ci fecero coprire gli occhi con il braccio, mentre un auto sfrecciava verso di noi. Era un furgone, non saprei dirvi la marca, non sono mai stata brava nel riconoscerli. Era di un blu notte. Sorrisi rivolta all’autista dell’auto, per poi spalancare gli occhi stupita. Non poteva credere che Cielo aveva fatto venire Billie Joe alias Joe Strummer a prenderli. Mike salì subito in auto ridendo con l’amico, invece io rimasi paralizzata sul posto.
Billie Joe si girò verso di me. “Che cazzo fai lì impalata? Sali!“ mi disse.
Non avendo altra scelta e nessun insulto da rivolgergli, camminai verso la sua auto e ci entrai dentro. “Perché sei venuto tu?” chiesi dopo un po’.
“Cielo mi ha detto di venire e siccome ho appena finito il turno di lavoro …”
“Tu lavori?” chiesi sorpresa.
Billie Joe non mi dava proprio l’aria di uno che poteva lavorare.
“Sì, io lavoro. Devo pur guadagnare qualcosa per vivere”
“Spacciare non ti basta?”
“Mike, amico, davvero esci con questa qui?” disse lui rabbioso.
“Okay, ragazzi, finiamola. Vi siete conosciuti in modo sbagliato. Lei è Liz, e non Anna dai capelli rossi” disse rivolto a Billie Joe. Poi si girò verso di me. “Lui è Billie Joe. Non Joe Strummer
Rimasi in silenzio, seguita da Billie Joe. “Bill, ti fermi al primo negozio che vediamo?”
“Perché?”
“Ho fame. Non ho cenato.”
E pensare che era già passato l’orario di cena quando l’avevo incontrato. A Rodeo tutti avevano una storia bizzarra alle spalle da nascondere.
“Non puoi aspettare di arrivare al Rod’s?” chiese premuroso.
Tra i due c’era un affetto che non avevo mai visto rivolgersi fra due amici. “Sono le nove e dieci, Bill. Fermati al primo negozio che mi compro un frullato” disse Mike.
Billie Joe non rispose, ma quando apparse un insegna colorata il ragazzo si fermò. “Torno subito” disse aprendo lo sportello e scendendo. Poi si girò, mentre l’amico si accendeva una sigaretta. “Vorrei trovarvi vivi al mio ritorno”
Billie Joe sogghignò ed aspirò dalla sua sigaretta. Io, invece, feci una smorfia tra un divertito ed un seccato e mi limitai a guardare fuori dal finestrino. Ci fu un silenzio rilassante e non imbarazzante come quello con Mike, fin quando Billie Joe, prese un CD e lo infilò nella radio. Dopo qualche secondo la musica dei Ramones partì con Something to believe in. “Ahhh, amo questa canzone!” dissi io senza pensare a chi stavo rivolgendo la parola.
“Davvero?” mi chiese sorpreso.
“Davvero. Penso sia la migliore di tutto l’album”
“Scherzi?” disse lui sorridendo e girandosi a guardarla.
“No! Non scherzo.” Lui sbuffò. “Avanti sapientone, secondo te qual è la migliore?”
“Ovviamente My Brain is Hanging Upside Down” disse convinto. Poi si girò a guardarmi, come per vedere cosa avrei detto a mia discolpa.
“È forte, non posso aggiungere altro. Ma questa canzone mi fa pensare tanto” ammisi io girando lo sguardo.
“Oh Dio, non entriamo in ricordi, ti prego. Potresti finire per metterti a piagnucolare” disse lui sorridendo divertito.
“Come sei simpatico.” Dissi ironica, mentre Mike si avvicinava a noi.
“I Clash?” mi chiese come se fosse una domanda a quiz.
“Li adoro”
“Rolling Stones?” chiese mentre Mike entrava in auto con una busta piena di cibo.
“Fortissimi.”
“David Bowie?” chiese mentre Mike ci guardava sorridendo.
“Lo ascolto quando sto giù di morale, ma ha una voce spettacolare”
“Beatles?”
“Non c’è gruppo migliore”
“Promossa.” Disse. Poi si girò verso me e mi porse una mano. Io gliela strinsi. “Billie Joe Armstrong. Puoi chiamarmi Bill, Billie o Billie Joe”
“Elisabeth Rosenberg. Chiamami Liz.” Dissi io sorridendo.
Sapevo che non sarebbe cambiata la nostra nuova amicizia. Sapevo per certo che Billie Joe doveva essere una persona lunatica, con delle idee morali e completamente diverso da Mike. 
“Cielo ci starà aspettando. Andiamo?” chiese Mike aprendo un pacco di patatine.
Billie Joe ingranò la prima ed uscì dal parcheggio del negozio, mentre My Brain is Hanging Upside Down tuonava dentro l’auto.
 
 
 
  
   
 Nota dell’autrice
Salve a tutti lettori. Inizio dicendo che sono al corrente della stupidità del mio finale, riguardante la tregua tra Billie Joe e la nostra Liz, ma vi prometto che non smetteranno di litigare fra di loro. Si divertono troppo per smettere. Riguardo a Mike, mi piace molto. Ho sempre pensato che lui sia il saggio del gruppo e penso che il Mike adolescente era proprio così, come lo descrivo io, poi non saprei. Voi avere un parere anche su questo. Presto Liz conoscerà meglio il trio e vi prometto che Trè entrerà presto nella storia, anche se non come batterista del gruppo. Al Sobrante deve pur far qualcosa! Che altro aggiungere, qui sotto cercherò di mostrarvi le foto della mia Liz, di Cielo, Arcobaleno e Pinco Pallino (ovviamente lui sarà uno di quei fighetti carini). Se non ci riuscirò, beh, almeno ci avrò provato.
A presto
Gloria



Questa è Liz ------> 

Questa è Cielo ----> 

Questa è Arcobaleno ----> 

Questa è Pinco Pallino ----> 


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6





Da quando Billie Joe aveva alzato bandiera bianca, tra noi due andava molto meglio e nel gruppetto c’era molta più armonia, anche se i battibecchi non mancavano mai. Lui la pensava in un modo, io in un altro, eravamo tutte e due delle teste dure, quindi immaginate cosa succedeva. Era una competizione continua fra noi.
Avevo conosciuto il ragazzo pappagallo Frank Edwin Wright III detto Trè, ed avevo fatto amicizia con Al, il bidello.
Togliendo il fatto che spacciavano, bevevano, fumavano e frequentavano posti strani, erano dei bravi ragazzi. Facevano tutto quel che facevo io a Los Angeles, a parte il fatto che noi non spacciavamo a  scuola.
“Hei, Rossa. Tuo padre mi ha aperto” disse Cielo entrando in camera.
Indossava una felpa rosso sbiadito e dei pantaloni a sigaretta di un giallo che faceva a pugni con l’azzurro dei suoi capelli.  
Sorrisi divertita alla mia amica. “Che cazzo ridi?” mi chiese lei buttandosi sulla brandina.
Io e Cielo avevamo instaurato un rapporto davvero forte. Era davvero una bellissima persona ed io non potevo fare a meno di non sorridere quando ero con lei. Avevamo un rapporto davvero molto forte. Ci eravamo così legate al tal punto da confidarci qualsiasi cosa. Io le avevo confidato di Joey e lei mi aveva rivelato il suo debole per Mike. Speravo solo che per lui fosse lo stesso.
“Gialli? Davvero?” dissi io prendendola in giro.
Cielo mi diede un pugno sulla spalla e sorrise divertita. “Non avevo altro da indossare. Comunque ho intenzione di cambiare colore dei capelli. Che ne dici di un rosa acceso?”
“Deve essere fico, ma non troppo”
“Avevo intenzione di farmi biondo platino, come Mike sai, ma … non mi va proprio”
“Secondo me staresti bene bionda. Così potresti entrar a far parte della squadra delle Cheerleader.” Poi mi alzai ed imitando le stupide mosse delle Cheerleader urlai: “Come on, Pinole Valley. You’re the best!” e mi sedetti ridacchiando.
“Come sei simpatica! Tu perché non ti fai i capelli neri corvino ed entri nella banda della scuola? Anche se non hanno il basso potresti suonare il violoncello” ed imitò il suono del violoncello mentre con le braccia imitava i movimenti. “Staresti benissimo con un tallier. Almeno potresti raggiungere la tua ispirazione. Suicidarti!”
Ridacchiai insieme a Cielo e mi coricai con lei. “Il tuo soffitto è una merda”
“Già, avevo intenzione di scriverci sopra col carbone. Sai, frasi di canzoni e robe varie. Che ne dici di verdi?”
“Non so. Il verde fa a pugni con la tua stupida carta parati. Direi più un nero” mi disse convinta.
“No. Non hai capito. I capelli”
“Fantastico! Li farò così. Non ci avevo proprio pensato. Grazie” disse abbracciandomi.
Mi piaceva davvero la mia nuova amica. Non era come Roxy e Ronnie. Avevamo un rapporto completamente diverso. Cielo mi ascoltava, loro non facevano altro che blaterare. Mi sentivo davvero confortata ogni volta che la vedevo. Era una consolazione di quel posto dimenticato da Dio, dove pure i miei sentimenti si stavano infracidendo. Mi sentivo davvero vuota. Quel posto era davvero l’inferno e Cielo era come una grande luce in quel manicomio di stelle.  
 “Cielo … tu sai che a Berkeley c’è il Gilman Street?” chiesi ricordandomi una conversazione con Joey.
“Certo che lo so!”
“Allora per quale cazzo di motivo non me l’hai detto prima? Tu hai idea cosa rappresenta il Gilman per una come me?” chiesi stupita.
Come aveva fatto a farsi sfuggire una cosa del genere? Come poteva essersi permessa di non dirmelo, di non averci pensato prima.
“Oddio, mi stai sembrando Billie Joe, smettila per favore” disse lei uscendo il tabacco dalla tasca dei pantaloni gialli.
“Chi è che sembra me?”
Io e Cielo ci alzammo velocemente. Un Billie Joe, dai capelli blu, ci stava fissando con una smorfia di divertimento.
“Cosa cazzo fai qui?” chiesi, quasi urlando, cercando disperatamente una maglietta.
“Carino il pinguino.” Disse alludendo a quello disegnato sul mio reggiseno. “Eravate occupate? Volete che me ne vada? Oppure … posso rimanere a guardare?” disse lui divertito.
Gli rivolsi uno sguardo pieno di disprezzo ed indossai una maglietta abbastanza larga da poterci entrare io, Armstrong e Cielo. “Come fai a sapere dove vivo?”
“Forse perché tutte le sere ti accompagno io a casa?”
Cielo guardò prima Billie poi me e sorrise. “Mi nascondete qualcosa?”
“No! E comunque non tutte le sere. La maggior parte delle volte vado con Mike” ma già Billie Joe non ascoltava più. Stava perlustrando la mia camera con lo stesso sguardo di un furetto. Spostava il capo velocemente. Era davvero carino quando faceva in quel modo. Quando il suo sguardo si posò sulle mie pareti, un ghigno si impadronì del suo volto, mentre diceva incredulo “Rosa? Davvero femminile”
“Non mi rompere, Armstrong. Piuttosto che ci fai qui?” chiesi guardandolo con astio, mentre Cielo si rullava una sigaretta.
“Mike mi ha detto di prendervi. Stasera si terrà una festa e sperava veniste. Più che altro lo sperava Al!” disse con un altro ghigno.
Già, Al Sobrante si era preso una cotta per me, ma io non lo ricambiavo affatto. Non era il mio tipo. E poi era un bidello. Rimasi in silenzio a pensare a cosa avrebbe detto Joey se avesse saputo di Al. Mi ridestai solo quando Billie Joe stava aprendo la custodia del mio basso. “Cosa cazzo fai? Lascia il mio basso” sbraitai per poi spingerlo.
“Suoni?” chiese lui sbalordito.
“Non lo vedi?” risposi io brusca rimettendo il basso dentro la custodia.
Odiavo quando qualcuno me lo toccava. Era la cosa più sacra per me. Non riuscivo a staccarmene e non riuscivo a non esserne gelosa.
“Fammi vedere” mi disse come se in stanza ci fossimo solo noi due.
“Cosa?” chiesi sempre scontrosa.
“Fammi vedere come suoni.”
“No!” dissi io presa alla sprovvista.
“Perché no?” mi disse lui ghignando.
Perché per lui era sempre tutto un gioco? Non sopportavo il suo infantilismo. Non lo sopportava affatto.
“La smettete voi due?” chiese Cielo torva.
“Comunque sbrigatevi, fra dieci minuti dobbiamo essere lì” disse aprendo la finestra della mia camera.
Lo guardai mentre infilava la sua mano nella tasca davanti dei pantaloni. Aveva uscito una busta di erba, il che non era affatto un bene.
“Non fumare spinelli qui dentro.” Ordinai determinata.
“È vero amico, suo padre è una specie di segugio” disse Cielo.
“Bene. Vi aspetto in auto” disse nervoso, poi aprì la porta della camera e la sbatté.
“Ma dico io è folle o cosa?”
“Ha tutti i suoi motivi per farlo”
“Qualsiasi fottuto motivo abbia, a casa mia non ci si comporta così”
Non capivo perché mi arrabbiavo così tanto. Era qualcosa che non riuscivo a comprendere. Indossai una felpa meno larga, questa volta azzurra, come i capelli di Cielo.
“Oddio, sembra che ci siamo messe d’accordo in qualche modo” mi disse alzandosi dal letto.
“Cosa intendi?” chiesi aprendo la porta della camera.
“La tua felpa è azzurra come i miei capelli e la mia è rossa come i tuoi di capelli”
Stava ridacchiando così forte che mio padre ci guardò con sospetto.
“Dove credi di andare, Liz?” mi disse.
Io non lo ascoltai e continuai a scendere le scale, mentre Cielo continuava a ridersela. Era una folle quella lì.
Quando arrivammo di fronte l’auto di Billie Joe, lui stava fumando con la testa fuori dal finestrino della parte opposta da noi. Cielo si schiarì la voce e lui si girò così lentamente che il suo sguardo verde intenso mi colpì maggiormente. Gli donava tutto quel fumo attorno.
“Come cazzo vi siete vestite?” chiese con sguardo annebbiato.
Cielo ridacchiò divertita. Quella che sembrava essersi fatta una canna era lei e non Billie Joe che al momento aveva uno sguardo tutto il contrario che felice.
Salimmo in macchina, io dietro e Cielo davanti con Billie Joe. Lui si avvicinò verso Cielo proponendogli un tiro e lei accettò volentieri.
“Tieni Rossa. Fatti un tiro.” Mi disse lui sempre con quel ghigno in faccia.
“No, grazie.” Risposi io con un sorriso alquanto falso.
“Eh dai, fammi vedere quanto sei figa” disse prendendomi in giro.
“Ho detto no!” dissi decisa, procurandogli uno sguardo alquanto incazzato.
“Dai Bill, basta. Non lo vuole, lasciamola stare”
“Bene. Finiscilo tu” e gli poggiò lo spinello nelle labbra.
La strada verso la cosiddetta “festa” fu abbastanza silenziosa. Billie Joe guidò abbastanza bene per essere fatto e tutti rimanemmo in silenzio. Uno di quelli nervosi. Non mi interessava averli fatti arrabbiare, se non mi andava qualcosa non la accettavo che a loro sarebbe andata bene o no.
Quando arrivammo alla festa sospirai rilassata, tutto quel silenzio mi stava innervosendo.
“Allora? Dove cazzo è la festa? Dentro questo garage?” chiesi guardandomi intorno.
“Proprio così Rossa. Entriamo?” chiese Cielo in estasi.
“Vai pure, noi ti raggiungiamo subito” disse Billie Joe fissandomi.
Io ricambiai lo sguardo. Non capivo cosa cazzo voleva ancora da me. Lo avevo fatto incazzare. Ed ora? Era un reato fare incazzare Billie Joe Armstrong?
“Lo sai di aver sbagliato?” mi disse quando anche Cielo era scomparsa.
“No, non credo di saperlo” risposi io con astio.
Cosa voleva ancora da me?
“Mi hai fatto arrabbiare” disse, poi si avvicinò a me e, quando il suo naso era vicinissimo al mio, disse: “Non mi piacciono le persone che mi fanno incazzare”
Lo spinsi lontano. “Cosa cazzo ti prende? Lasciami stare” gli dissi scontrosa alzando la voce.
“Senti Rossa, tu qui sei nuova e non sai assolutamente come vanno le cose. Io ti propongo una cosa? Tu mi rispondi di sì. Io ti offro qualcosa? Tu accetti”
“Non esiste più il diritto alla parola? Al proprio pensiero?”
“Certo, ma non quando sono fatto. Tu dovevi accettarlo e basta” mi disse mentre portava una sigaretta alla sua bocca.
“Non mi piace molto a dir la verità. Non mi fa un bell’effetto”
Lui si girò a guardarmi. Mi guardò curioso. “Come fa a non farti un bell’effetto?”
“Mi porta moltissima tristezza.”
“A volte la tristezza è una cara compagnia” disse aspirando la sua Marlboro.
“Non da quando sono qui. Ne ho di fin troppa”
Lui mi guardò ancora più incuriosito, ma io non continuai. Non mi andava di parlare, di confidarmi proprio con lui. Mi girai ed aprì la porta del garage.
La festa era fin troppo affollata. Quanto meno la musica era rock, il che era confortante. Cercavo Cielo, ma non riuscivo a vederla in mezzo a tutta quella folla. Decisi di andare a prendere una birra, tanto per svagarmi.
Era la prima volta che vedevo quel ragazzo così incuriosito da qualcosa. Forse mi aveva presa per pazza. O forse no.
“Ehi Liz, come ti va?”
Mi girai a guardare l’ultima persona che volevo vedere. Al Sobrante era proprio lì col suo berretto al contrario a fissarmi. Era l’unico che mi chiamava così. Su questo lo apprezzavo molto.  
“Ehi, Al. Sto bevendo della birra”
“Non balli?”
“Non amo farlo.” Poi sorseggiai la mia birra cercando disperatamente qualcuno che mi avrebbe salvato.
“Ti va di andare in un posto più tranquillo?” mi sussurrò all’orecchio.
Iniziai a ridacchiare come una cretina. Credeva davvero che avrei accettato? Forse ero già un po’ brilla.
“Rossa! Che cosa divertente trovarti qui!” urlò Arcobaleno, seguita da un Trè eccitato.
Sorrisi alla mia salvatrice alquanto strana. “Come ti va?”
“Qui va tutto bene. Questa festa è adorabile ed io credo di aver infilato la mia lingua su quella di Trè, almeno una decina di volte!” disse con occhi sognanti, come al suo solito.
Ridacchiai guardando verso Trè. Lui alzava i pollici eccitato. Poi si avvicinò a me e sussurrò: “Credo che me la scoperò stasera”
“Buona fortuna!” sussurrai io in risposta.
Non successe niente di emozionante. Cercai in tutti i modi di allontanare da me Al, senza alcun successo. Non riuscì a trovare Cielo e Mike, in mezzo a quel manicomio. Evitai accuratamente di sbattere, parlare o incrociare lo sguardo di Billie Joe e cercai di stare alla larga da Arcobaleno e Trè, che se la godevano sul divano. Quella festa era uno delle peggiori a cui avevo partecipato, forse perché c’ero andata di malavoglia, o forse perché sapevo che a fine serata non avrei scopato con nessuno e specialmente non con Joey. Non sapevo perché tutta quella collera, ma mi limitai a tracannare birra fino a quando, ancora oggi, non ricordai più niente. 

 
 
 

Nota dell’autrice
Salve a tutti. Questo capitolo non mi convince molto, ma lo pubblico ugualmente. Mi dispiace il ritardo, ma la scuola mi sta uccidendo. Sapete che quest’anno faccio i doppi turni? È un trauma ve lo assicuro. Non lo auguro a nessuno.
Comunque sia dopo tanto e tanto sforzo, sono riuscita a partorire questo capitolo ed anche il settimo che pubblicherò successivamente.
Parlando della storia, Liz sta iniziando ad abituarsi al nuovo mondo e su certi aspetti lo sta pure apprezzando, come Cielo e Mike ad esempio. Nei confronti di Billie Joe sta incominciando a riconoscere che forse qualcosa di interessante in quel ragazzo c’è. Per qualche momento dolce fra i due, dovrete aspettare il prossimo capitolo. Non vi deluderò, almeno lo spero.
Riguardo alla festa, si rende ancora più conto che quella festa non ha niente a che fare con quelle di Los Angeles e quindi continua a sentirsi ancor più a disagio accanto alla sua nuova gang.
Che altro aggiungere … ringrazio tutti i lettori, recensori, le persone che stanno seguendo la storia di questa folle e quelle che l’hanno aggiunta alle preferite.
A presto
Gloria.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7





Novembre era passato con tranquillità e finalmente il vero freddo invernale iniziava a pungere le guance fredde e arrossate della gente. Io ne ero entusiasta, amavo l’inverno molto più dell’estate. Amavo i maglioni, amavo le felpe. Amavo quella sensazione di sicurezza una volta stretta intorno alle coperte. Amavo l’inverno, non c’era nulla che poteva farmelo odiare, se non quello che mi stava per capitare.
Ma prima di iniziare a raccontare la vicenda più triste della mia vita, vi farò un riassunto di quello che era successo in un mese. Io e Cielo eravamo ancora più amiche. Trè ed Arcobaleno avevano una relazione, non saprei, la definirei strana. Mike continuava a sparire senza dare spiegazioni e tornare settimane e settimane dopo. Ed io e Billie Joe continuavamo ad odiarci ancor di più. La nostra tregua era finita completamente dopo quella sera quando lui era fatto. Avevamo abbassato le bandiere bianche per tirar su quelle rosse. Era guerra ufficiale. E non era molto divertente. Billie Joe sapeva essere un nemico molto fastidio. Era una persecuzione per i miei gusti. Riusciva sempre a mettermi in imbarazzo in qualsiasi posto andassi. Mai fare guerra a Billie Joe Armstrong, finireste come me. Con tante cicatrici nel cuore.
Ma a volte il destino ci riserva una brutta sorpresa. Difatti più Billie Joe mi perseguitava, più lo trovavo interessante. Più riusciva ad essere fastidioso e meno riuscivo ad odiarlo. La prima cosa che pensai fu proprio che quel famoso detto ‘Chi disprezza compra’ forse era un dato di fatto. Però non trovavo quel interesse che invece trovavo in Joey, era un interesse del tutto diverso. Joey rimaneva sempre al primo posto, però lui non aveva dei capelli blu e degli occhi verde foresta.
“Liz, buongiorno” mi disse mio padre quella mattina, mentre ero china su carte.
In realtà non era un compito, stavo ideando un nuovo piano per distruggere Billie Joe.
Non lo salutai nemmeno, ero troppo presa ed ancora ce l’avevo con lui.
“Oggi ci trasferiamo, quindi cerca di fare le valige” mi disse tutto d’un fiato.
Alzai subito il capo verso quell’uomo pazzo. “Cosa? Io non andrò a vivere da Eva e quell’idiota!”
Mio padre si scaldò subito, come se quella fosse tutta la sua famiglia. “Ryan non è un idiota. È il miglior studente della scuola”
“Giusto! Questo non lo rende idiota, ma sfigato”
Amavo quando mio padre diventava rosso di rabbia e proprio in quel momento lo era. Sorrisi soddisfatta. “Oggi ci trasferiremo da loro, che ti piaccia o no” mi disse
“Non puoi comandarmi dopo dieci anni di assenza!” sbottai alzandomi.
Mio padre rimase in silenzio. Sapeva che avevo ragione, sapeva che non aveva nessun pro in questa discussione. Sapeva che non mi poteva comandare. “Non sei ancora maggiorenne” mi disse, cercando di trovare la via giusta a quel discorso.
“Fra tre mesi lo diventerò. E comunque non importa, so benissimo cavarmela da sola.”
“Certamente! Insieme a quei tuoi amici drogati. Scommetto che la sera vai a fare sesso e ubriacarti e drogarti come una prostituta!” mi urlò contro.
Rimasi di sasso. Un conto era litigare sempre col padre, un conto era che lui la pensava in quel modo. Non lo auguro a nessuno una tristezza così grande. Mio padre mi aveva appena spezzato il cuore, senza che lui se ne rendesse conto.
“È questo quello che pensi di me?” chiesi mentre il nodo alla gola si materializzava in modo sorprendente.
Mio padre rimase zitto. Sapeva di aver sbagliato, ma quel silenzio mi fece capire che lo pensava realmente. Pensava davvero quello che aveva detto.
Sentì i miei occhi bruciare. “Non seguirò mai una persona piena di pregiudizi nei confronti della figlia.” Dissi, per poi uscire di casa.
Camminai verso scuola. Non mi andava di prendere la macchina di mio padre.
Avevo dimenticato gli appunti della guerra mia e di Billie Joe. Non ci faceva nulla, tanto per quel giorno la guerra non mi andava. Da parte mia non si sarebbe svolta.
Non avevo voglia di nulla, avevo solo voglia di prendere Pinco Pallino, scuoterlo fino a fargli male ed urlargli di rivelarmi il segreto per riuscire ad avere un padre dalla sua parte, qualsiasi padre sia. Sapevo di non essere una figlia modello, ma lui avrebbe dovuto volermi bene lo stesso, come faceva il padre di Cielo. Lui era un uomo d’affari, non era molto presente, ma lei lo adorava ed anche lui adorava lei. Ero quasi invidiosa del loro rapporto, ma lei mi ripeteva sempre che erano così perché non c’era la madre accanto a loro, ma anche noi due vivevamo soli da un po’. La madre era morta quando lei era ancora una bambina. Me ne aveva parlato una sera di novembre quando si era assicurata che fossi una brava amica. Non ne avevamo parlato più. Non mi andava di insistere.
“Liz!” mi urlò dietro Mike.
Sospirai e mi girai sorridendo. Finalmente qualcuno pronto a distrarmi. “Ehi, Mike. Come te la passi?”
Il ragazzo fece una smorfia ed incominciò a camminarmi al passo. “Non molto bene.”
“Ti chiederei come mai, ma siccome non mi faccio gli affari altrui …”
“Mia madre è pazza. Non mi rende la vita molto facile“
“A volte i genitori non capiscono che pur di pensare al nostro meglio peggiorano le cose.”
“Già” mi disse poco sicuro.
Mike era un ragazzo molto silenzioso e a volte questo lo apprezzavo. Non era più come agli inizi. Non erano più silenzi imbarazzanti. Eravamo riusciti a sentirci bene nel nostro imbarazzo. Lui era la seconda persona più vicina a me dopo Cielo, lì a Rodeo, ed anche se mancava molto, ogni volta che lo vedevo mi sentivo davvero a casa. Non era una persona molto sicura di sé, ma a me dava comunque sicurezza averlo accanto.
“Hai già progettato qualcosa contro Bill?” mi chiese, quando la Pinole era visibile ai nostri occhi.
“In realtà ci sto ancora lavorando, ma non mi va molto oggi” dissi mentre salivamo gli scalini.
“Bill non ne sarà felice, si è impegnato così tanto che pensavo stesse scrivendo una nuova canzone” mi disse per poi ridacchiare.
Sorrisi, mentre una ragazza mi sbatteva contro. Era una delle tante oche. La guardai male.
“Oh scusa. Rosenberg! Hai una felpa e dei pantaloni! Come mai sei così … coperta?” mi disse sorridendo acida.
“Vedi di sparire bionda” disse Mike per poi avvolgermi col suo braccio. “Andiamo” e mi portò dentro.
Se ci avesse visto Cielo si sarebbe sicuramente arrabbiata.
Una volta dentro capì perché la bionda mi aveva fatto quella battuta di poco gusto. La scuola era piena di mie foto. L’unico problema era che ero senza vestiti. Quello non era il mio corpo. Io non avevo i peli rossi!
“Oh mio Dio!“ disse Mike guardando le foto sconvolto.
Tutti ridevano segnandomi ed anche i professori se la ridevano sotto i baffi. “Liz … wow!” mi disse Mike.
Gli diedi uno schiaffo nello stomaco e dissi: “Non sono io quella lì!” poi iniziai a camminare e strappare qualsiasi foto incontravo.
L’avrei ucciso a Billie Joe era fin troppo scadente anche nei suoi confronti. Aprire la porta della mensa e farmi cadere un secchio pieno di urina era da lui. Farmi perquisire l’armadietto era da lui. Buttarmi in piscina era da lui. Farmi beccare mentre fumavo con Trè era da lui. Ma questo no! Aveva sbagliato questa volta e la guerra sarebbe finita del tutto. Non mi andava più di giocare. Non dovevo permettergli di farci guerra amichevolmente.
Lo vidi arrivare al fianco di Mike. E mentre si scambiavano qualche parole, camminai verso di lui. Ero furiosa. Lo presi dalla maglia e lo spinsi verso il muro.
“Wow, non credevo avessi così tanta voglia” mi disse ironico.
“Mi hai rotto Armstrong! Questo è fin troppo anche per te!” gli urlai contro mettendogli le mie foto sulle mani, mentre gli occhi bruciavano nuovamente.
Billie Joe mi prese dalle spalle, furente, e mi sbatté contro il muro per poi sbattere la mano, con le mie foto modificate, sul mio petto. “Sei proprio una testa di cazzo” e poi andò via per i corridoi seguito da Mike.
Rimasi in silenzio, col fiatone e le prossime lacrime pronte ad uscire. Presi la borsa da terra ed aprì la porta d’uscita. Non mi andava di stare dentro quella prigione. Scesi i gradini, mentre Cielo scendeva dalla sua auto.
“Ehi Rossa!” mi disse sorridente.
“Dio! Mi fate morire in pace?” urlai, per poi continuare a camminare.
Non mi andava di tornare a casa, quindi vagai per le squallide strade di Rodeo, per ore ed ore. Mi chiedevo perché Billie Joe mi avesse dato della testa di cazzo, lo era lui al limite.
Tutto il mondo mi si stava rivoltando contro. Mio padre stava continuando ad essere un padre discontinuo e questo non andava bene per la mia salute mentale. Non sopportavo più quella gente. Non sopportavo più quel posto. Non volevo più andare a lavorare in quella merda e non volevo più vedere nessuno. Neanche Cielo.

Non pranzai nemmeno, e verso le cinque mi diressi al lavoro. Non volevo andarci, ma dovevo se volevo tornare a Los Angeles. Almeno lì c’era musica decente. Quando arrivai, la signora mi diede il cambio entusiasta. Non è che c’era molto da fare, ma quel poco mi avrebbe distratta dalla merda che mi trascinavo dietro.
Non successe niente di emozionante. Verso le tre arrivarono i miei compagni di scuola, compreso la bionda, che quando mi vedette disse: “Oh Dio, questo posto è davvero scadente. Andiamo da un’altra parte, prima che qualcuno inizi a spogliarsi
“Dì qualcosa Liz!” mi disse Trè, spuntando da non so dove, mentre la comitiva di oche rideva a crepapelle.
Sollevai le spalle. “Non mi importa di quello che pensano o dicono”
Trè mi guardò per un po’, poi sollevando il braccio urlò. “Si da il caso che questa ragazza è molto più bella nuda di tutte voi messe insieme. Eh sì, Liz è più bella di voi anche senza le vostre parti del corpo rifatte!”
Le ragazze si girarono sconvolte, per poi alzare lo sguardo altezzose ed uscire dal negozio. Trè si sbellicò dalle risate. “Grazie, amico. Ho davvero apprezzato la battuta sulle parti del corpo rifatte” dissi mentre facevo pagare un bambino.
“Non era una battuta. È vero. Li ho provate tutte quelle lì, con tutte le posizioni possibili.” Mi confessò tranquillamente, mentre le persone in coda mostravano una vena di disgusto.
Ridacchiai divertita, dopo tante ore, e diedi il resto al ragazzino. “Grazie per avermi fatto ridere”
“È un piacere Rossa, anche se tutto quello che ho detto era vero. Comunque adesso vado, prima che questa vecchietta mi uccida col suo bastone. Ci vediamo Rossa!”
Ridacchiai mentre il ragazzo usciva dal minimarket, per poi ritornare e comprarsi un pacchetto di patatine. “Non lo dire ad Arcobaleno. Lei non apprezza i cibi confezionati” mi disse quasi sussurrando.
Amavo quei due. Erano davvero “strani”.
Quando finì il mio turno, tornai a casa timorosa di quello che mi aspettava. Io non me ne sarei andata, ma una parte di me voleva che anche mio padre rimanesse. Che mi dicesse che preferiva vivere con me che con la sua nuova famiglia. Quando girai la chiave sulla toppa, la casa era ancora arredata, il che era un piacere. La luce della cucina era accesa, quindi mi diressi lì sapendo cosa mi sarebbe aspettato di lì a poco. Una volta entrata vidi mio padre seduto al tavolo. Mi stava proprio aspettando.
“È ora di andare” mi disse.
“Io non verrò” risposi pronta.
Sapevo che me l’avrebbe detto. Mio padre sospirò. “Elizabeth, tu vivi qui sotto il mio tetto e …”
“E niente papà. Ho un lavoro, posso mantenermi.”
“Non è abbastanza.”
“Io rimango qui. Tu no?”
Forse mio padre si accorse che c’era un briciolo di speranza nascosto in quella mia espressione dura, perché i suoi occhi si inumidirono in contemporanea ai miei. Prese la valigia, mentre il nodo di stamani si verificava nuovamente. Non avrei pianto di fronte a lui e lui non avrebbe fatto lo stesso. Eravamo entrambi troppo orgogliosi per poter esprimere ciò che provavamo. Senza abbracciarmi o dirmi ciao, mio padre mi sorpassò e si fermò di fronte al ciglio della porta. Io mi girai a guardarlo ed anche lui faceva altrettanto.
“Sei identica a tua madre” mi disse quasi sprezzante.
“Non ho più niente da dirti!” sussurrai rabbiosa, poi lui mi guardò per l’ultima volta ed andò via.
 Quando chiuse la porta di casa e mi assicurai che la sua macchina non ci fosse più, iniziai a piangere come non lo avevo mai fatto. Essere abbandonata due volte era davvero frustrante pure per i miei canoni. Non potevo accettare che lui favorisse vivere una vita felice senza di me.
Dopo qualche minuto, qualcuno entrò dalla porta principale. Sollevai lo sguardo speranzosa, ma l’unica persona che vidi spuntare fu Billie Joe Armstrong, con le mie chiavi in mano.
“Li hai scordate appese” mi disse mentre mi scrutava.
Io riabbassai lo sguardo. Non mi era mai piaciuto farmi vedere in lacrime, da nessuno. Non gli chiesi neanche cosa ci facesse lì. Non mi importava. Mi sentivo una bimba sperduta in quel momento. Lui rimase lì per una manciata di minuti in silenzio. Poi posò le chiavi sul tavolo della cucina.
“Mio padre è morto quando avevo dieci anni. Aveva un tumore all’esofago. Forse il più terribile di tutti. Gli ultimi tempi aveva anche perso la parola.
Prima di morire mi regalò blue, la mia chitarra. Per questo non voglio che nessuno la tocchi. Per me è sacra.” Rimase zitto per un po’.
Perché mi diceva tutto quello? Per farmi stare più male? Qual era la morale della storia? Ce n’era una?
“Perché mi dici tutto questo?” chiesi in un sussurro, incrociando il suo sguardo caloroso.
“Perché so che tu non mi dirai ‘mi dispiace’ oppure ‘Oh’ o ‘Ehi’. So che non dirai un cazzo ed è proprio per questo che te lo sto dicendo.”
“Non ti servirebbe a un cazzo dirti mi dispiace. Non riparerebbe nessun danno. Sarebbe tutto come sempre. Una merda” dissi io mentre mi asciugavo le lacrime.
Lui continuava a fissarmi, senza abbassare lo sguardo. “A volte il silenzio è la miglior parola.”
“Che frase fatta!” dissi asciugandomi una lacrima col maglione marrone.
Lui continuava a fissarmi in silenzio. Ricambiai il suo sguardo per svariati secondi, poi lo riabbassai e lui si avvicinò a me, perché capì che avevo rotto il muro che mi divideva dal resto del mondo per un solo secondo. Si sedette al mio fianco, senza toccarmi, senza parlare, senza guardarmi. Rimase al mio fianco in silenzio, facendomi sentire il suo appoggio e finalmente riuscì a non sentirmi sola in quel posto. Finalmente avevo qualcuno che sapeva come comportarsi.
“Non ho messo io quelle foto. Lo scherzo è fin troppo scadente anche nei miei confronti” mi disse dopo … forse ore.
“Lo so” risposi fissando la punta delle mie converse, mentre i miei occhi continuavano ad essere gonfi.
Dopo un po’ si alzò. “Sai dove trovarmi se ti senti sola” mi disse, poi uscì fuori e rimasi a sentire il motore della sua macchina azionarsi mentre il sorriso spuntava sul mio viso.
Come avevo potuto pensare che Billie Joe ideasse scherzi del genere?

 
 

Billie Joe

Non riuscivo a credere che quella ragazzina fosse riuscita a farmi esternare la parte migliore di me. Non pensavo che proprio lei, Anna dai capelli rossi, fosse così sensibile. Fino a qualche giorno prima pensavo fosse il demonio con indosso felpone. Mi aveva davvero straziato quella conversazione.
“Sveglia Bill, cosa ti succede?” mi chiese Mike ridestandomi dai pensieri.
Vidi la sua espressione preoccupata. Sorrisi in modo rassicurante. “Assolutamente nulla. Sono un po’ stanco, tutto qui. Credo che oggi dormirò in sala prove”
“Vuoi fatta compagnia?” mi propose.
“Non preoccuparti. L’uomo nero faceva parte della mia infanzia” dissi ironico.
Amavo il mio migliore amico. Era la miglior persona al mondo. La più comprensiva.
Salutai Mike e mi avviai verso la stradina, dove di lì a poco sarebbe sbucato il garage della sala prove. Una volta dentro, mi tolsi subito la felpa e mi accesi una sigaretta. Rimasi al buio perché era meglio così e presi la mia blue. Stavo ideando una nuova musica per una nuova canzone, ma quella ragazzina mi aveva traumatizzato. Il pensiero che in quel momento fosse sola mi rendeva nervoso, preoccupato. Sotto l’aspetto della notte me la rappresentavo molto insicura, spoglia.
Cercai di concentrarmi ed iniziai a suonare. Il mio primo accordo era una favola, ma il secondo non mi andava a genio. Ricominciai da capo. Ancora, ancora ed ancora, fin quando la porta del capannone non si aprì. Mi girai di botto e vidi Elizabeth Rosenberg in piedi con le sue gambe scoperte ed i suoi anfibi slacciati all’altezza del polpaccio, di fronte a me, con sguardo triste. Aveva il basso con sé. Capivo perfettamente perché non lo lasciava un giorno solo.
“Non mi convince il secondo accordo” mi disse facendo una smorfia.
Ed ecco che il muro si era ricostruito. Stava completamente facendo finta di nulla e a me stava più che bene.
“Sapresti fare di meglio?” chiesi pronto alla sfida.
Lei chiuse la porta del garage e si avvicinò per poi sedersi di fianco a me. “Perché non provi con un la minore”
Sorrisi divertito e provai. Andava proprio alla grande. Lei mi guardò compiaciuta ed io dissi: “Questo non significa che sarà l’accordo ufficiale. Anzi verrà sicuramente cambiato”
“Certo come no!” mi disse lei sorridendo.
Passammo tutta la notte a studiare sulla musica di quella canzone che non aveva ancora nome, ma che sarebbe stata Welcome to Paradise. Da quella notte il nostro rapporto cambiò notevolmente.
Eh sì, in futuro cambiai quell’accordo.

 
 
 
Nota dell’autrice:
Ebbene sì, questo che il capitolo di cui vi avevo parlato nella nota precedente. A parer mio è il migliore di tutta la storia, fino ad adesso. Ho messo tutto il mio cuore e i miei sforzi per questo capitolo. Ho sudato e sono riuscita a partorirlo.
In questo capitolo la storia incomincia ad evolversi notevolmente. Billie Joe e Liz hanno finalmente capito che ognuno ha bisogno dell’altro. Ho voluto scrivere l’ultima parte sotto l’aspetto di Billie Joe, perché volevo farvi comprendere il cambiamento di entrambi nei propri confronti e spero di esserci riuscita.
Ancora non sono riuscita a capire come diavolo si fa ad aggiungere foto, quindi al momento non potrò farvi vedere i miei personaggi.
Ringrazio i lettori, i recensori, quelli che hanno messo la storia tra le preferite, seguite e ricordate.
Spero di ottenere risultati

Alla prossima
What is Her Name

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8





Dopo la nottata del cosiddetto “muro”, io e Billie Joe diventammo molto uniti, anche se non eliminando del tutto i nostri battibecchi, e adesso vivevamo insieme nella casa di mio padre.
Io e Cielo avevamo chiarito, riguardo la nostra ultima veduta, ed eravamo tornate quelle di sempre, Mike continuava a sparire e riapparire continuamente, Tré ed Arcobaleno stavano ancora insieme, con sorpresa di Tré, ed Al Sobrante aveva deciso di chiudere la piccola cotta che si era preso per me realizzando che non sarebbe mai riuscito a portarmi a letto neanche se fossi ubriaca fracida, evidentemente ci aveva già provato.
Adesso eravamo una vera e propria comitiva di coglioni.
La mia casa, anzi quella mia e di Billie Joe, era piena dalla fine della scuola fino alle prime ore del mattino. Eravamo ragazzi alla quale i genitori non importava molto di loro, quindi non avevamo i telefoni intasati di messaggi dalle nostre madri preoccupate o di chiamate dei nostri padri incazzati. Eravamo semplicemente liberi, proprio come tutti i ragazzi desidererebbero essere.
Ancora soffrivo un po’ per mio padre, anche se avevo realizzato che lui fosse un buon padre nei riguardi di Pinco Pallino e, difatti, da quel momento quel povero ragazzo era il motivo dei richiami in presidenza di Billie Joe.
Non sapevo perché faceva tutto questo per me e non mi importava, anche se una parte di me voleva sapere il perché. Non mi importava così tanto perché sapevo che tutto doveva essere così come era in modo da non far impazzire quel lunatico cazzone di un Billie Joe.
Non avevo più chiamato i miei amici di Los Angeles e loro non avevano fatto altrettanto. Un tempo mi sarebbe dispiaciuto, ma in quel preciso istante non mi importava più di tanto. Avevo trovato delle persone fantastiche a Rodeo e stavo iniziando a pensare che non fosse poi così male.
No!” sbraitò Billie Joe dal bagno.
Stava facendo la doccia ed io ero dietro la porta pronta ad affrontare nuovamente quel fottutissimo discorso di ogni singolo giorno.
“Perché no? In cantina non c’è un cazzo. Sarebbe perfetto infilare lì i vostri strumenti e fare un gran baccano da far impazzire l’intero vicinato!” urlai io fin troppo entusiasta.
La porta del bagno si aprì ed uscì un Billie Joe con un solo asciugamano addosso.
Non preoccupatevi gente, non lo riempirò di complimenti come tutte le solite storielle d’amore, avevo già visto tre mila volte un ragazzo con un asciugamano addosso e lui non era così speciale fisicamente da farmi rimanere a bocca spalancata.
“Ho. Detto. Di. No!” sibilò lui a denti stretti, prima di entrare in camera sua, che fino a qualche settimana prima apparteneva a mio padre.
“Ma perché? Non ti viene scomodo farti tutta quella strada, entrare in quel quartiere malfamato e rimanere sorpreso e allo stesso tempo felice nel vedere gli strumenti ancora lì, al loro posto?” chiesi urlando da dietro la porta.
Lasciami vestire in pace, Liz!” urlò lui.
Aveva imparato a chiamarmi Liz quando eravamo soli. Non capivo perché lo faceva solo quando eravamo soli.
Aspettai qualche secondo prima di entrare in camera di Billie Joe, il tempo che indossava qualcosa.
Dopo qualche minuto, che mi sembrarono secoli, decisi ad entrare e spalancai la porta.
“Perché no?”
“Qual è il tuo problema?” mi chiese lui indossando una felpa.
“Il mio problema è che mi secca dopo il lavoro andare fino lì, cagarmi sotto dalla paura, …”
“Adesso si spiega la puzza” ironizzò lui.
“… per poi tornare, dopo cinque minuti, a casa con voi” continuai evitando l’ultimo suo commento, ed incrociando le braccia al petto.
Lui mi guardò per qualche secondo, poi disse: “Allora non venire. Nessuno te lo chiede” poi mi sorpassò.
“Bene! Non verrò! Non capisco davvero cosa ci trovi di interessante in quello stupido garage da quattro soldi!” urlai ancora più frustrata del solito mentre seguivo il ragazzo giù per le scale.
“Che cazzo di mamma sei? Non mi fai trovare neanche la colazione!” disse lui sarcastico.
“Sei proprio un cazzone!” risposi io frustrata passandogli accanto ed aprendo il frigo.
Non sapevo perché, ma avevo assolutamente voglia di sentirli suonare, sempre. Erano bravi e mi piacevano. E poi non volevo arrivare a casa dopo il lavoro e trovarla vuota. Quel ragazzo era diventato tutto per me ed il solo pensiero di tornare a casa e non trovare lui con una birra in mano mentre guardava spot televisivi, insieme al resto dei cazzoni, mi faceva star male.
“Già di prima mattina mi dai del cazzone? Grazie mille!” mi disse lui sorridendo, mentre accendevo il fuoco e friggevo del bacon per il ragazzo.  
“È sempre un piacere dirti la verità”
“No. Non è la verità. … okay, forse sono un po’ cazzone, ma la vera verità è che tu sfoghi semplicemente la rabbia su di me. Cosa cazzo sogni la notte per essere così frustrata la mattina?” disse lui con una smorfia, prendendo la bottiglia del latte e bevendola.
Lo guardai con disgusto, mentre gocce di latte scendevano dal mento fino a posarsi sulla felpa, un tempo pulita.
“Sei disgustoso.”
“È tu sei davvero sexy con questo pigiamino con gli orsetti” ironizzò lui squadrandomi.
Gli diedi un leggero pugno sul petto, mentre soffocavo una risata. Lui mi guardò e rise, per poi riguardarmi in silenzio.
Lo guardai con la coda dell’occhio, mentre poggiavo il bacon su un piatto. “Che cazzo vuoi?” chiesi arrossendo leggermente.
“Porterò gli strumenti qui solo se mi prometti che cambierai quella merda di carta da parati rosa.” Mi disse.
Alzai gli occhi al cielo. “Perché ti importa così tanto? È la mia camera!”
“So che è questo il vero motivo per cui ti alzi ogni mattina incazzata!”
“Come fai a dirlo?” sbraitai, quasi divertita, mentre friggevo le uova sulla stessa padella del bacon.
Lo so, facevo davvero pena.
“Qualche giorno fa, ti sei addormentata sul divano e la mattina dopo eri tranquilla. … okay, eri un po’ rompipalle, ma quello non è un problema. Fa parte di te.” Ironizzò nuovamente.
Gli lanciai un altro pugno, mentre lui alzava le braccia in segno di resa. “Okay, okay. Basta. Adesso la smetto”
Lo guardai divertita, per poi continuare a cucinare e lui si andò a sedere sopra il tavolo, visto che le sedie per lui erano inesistenti.
Quando finì di cucinare, poggiai i piatti sul tavolo e mi sedetti di fianco a Billie Joe, che miracolosamente si era seduto sulla sedia dopo aver visto i piatti.
Mangiammo in silenzio, ogni tanto sorseggiando succo di frutta ed ogni tanto spingendoci un po’, perché era un modo per esprimerci affetto.
“Mi hanno ripreso al lavoro. Se vuoi da oggi quando finirai di lavorare puoi recarti lì e poi andremo insieme in sala prove …”
“Quella non è una sala prove. È un fottutissimo garage!” dissi io.
Lui alzò gli occhi al cielo e continuò a parlare. “… così non ti caghi sotto dalla paura.”
Ci pensai su. Il Rod’s non era così lontano dal suo lavoro. “Bene. Ci vediamo lì” poi mi alzai dal tavolo. “Sparecchia e lava le cose.” Ordinai prima di correre a farmi una doccia.
Liz! Questa sera suoneremo al Rod’s. Ci pagheranno. Vuoi venire a vederci suonare?” disse lui da dietro la porta del bagno, mentre mi pettinavo i capelli bagnati.
Mi girai e spalancai la porta. “È un appuntamento?” chiesi sbalordita.
Lui mi guardò per qualche secondo, poi sbuffò nervosamente inorridito. “Cosa cazzo dici? Un appuntamento! Pff …”
Alzai un sopracciglio e lui, evidentemente, si innervosì maggiormente. “Allora? Vieni o no?” chiese scontroso.
“Certo che vengo.” Risposi io altrettanto scontrosa.
“Bene! Allora ti aspetto in macchina … e non fare la cazzona!” disse nervosamente, per poi scendere le scale.
“Fottiti! Io non faccio la cazzona!” urlai per poi sorridere senza alcun motivo.
Per tutto il tratto di strada fino a scuola si formò un atmosfera nervosa. Colpa di Billie Joe, come sempre. Quel lunatico del cazzo.
C’era pure Mike in macchina che guardava entrambi con curiosità.
“Tutto bene?” chiese il ragazzo, quasi timoroso, quando Billie Joe parcheggiò l’auto.
Quest’ultimo rispose con un grugnito ed io mi girai verso il mio amico. “Non preoccuparti, lo conosci il cazzone. È completamente lunatico.”
“Non sono lunatico!” protestò lui, per poi scendere dall’auto.
Mi girai verso Mike e gli mimai il termine di pazzo, con l’indice.
“Vaffanculo, Rossa!” urlò lui, che evidentemente aveva visto tutto, mentre i ragazzi snob si giravano a guardarci schifati.
Scesi dalla macchina seguita da Mike, soffocando una risata e notando che anche quest’ultimo faceva la stessa cosa.
“Come mai non c’eri ieri?” gli chiesi mentre ci dirigevamo verso un Billie Joe fermo ed incazzato.
“Storia lunga.”
“Okay” mormorai, poi mi girai verso Billie Joe. “E poi sono io la cazzona, eh? Hai scordato di chiudere la macchina”
“Non la chiudo mai.” Mi rispose meno agitato di prima.
“Mmm … hai la consapevolezza che così dai libero accesso ai fottuti ladri di rubartela?”
Lui rise, seguito da Mike. “Credi davvero che si ruberebbero un cesso di macchina come quella?” poi mi girò bruscamente verso la sua auto. “Guarda che merdata guido, Rossa”
In effetti un po’ merdosa lo era. Se fossi stata un ladro non avrei mai pensato di rubarla.
La giornata a scuola fu abbastanza stressante, come tutti i giorni del resto. La mia comitiva era la più merdosa della scuola, nel campo disciplinare, e non mi stupivo affatto. Noi ci godevamo la vita, non pensavamo a distruggerla infilando i nostri nasi su dei libri.
“Sto incominciando a pensare di lasciare questa merda” dissi durante l’ora pranzo.
“Per quale fottuto motivo?” mi chiese Tré.
“Io e il nano arriviamo per culo a pagare le bollette. Ho bisogno di un lavoro che non sia part-time.”
“Quindi ci abbandoni! Ci fai vivere in questa merda senza la tua compagnia?” sbraitò, quasi Tré.
Arcobaleno rideva come una matta. “Mi sembra che non sia la persona più divertente del gruppo”
“Certamente, quello lo sono io, ma non è questo il punto!” disse Tré, mentre tutti iniziavamo a ridere. “Sono geloso che tu te ne vada ed io no!”
“Mi dispiace Trè, ma fra pochi giorni compio diciotto anni. Già sono stata bocciata un anno, non voglio continuare questo percorso.”
“Ne hai parlato con Bill?“ mi chiese Mike.
“Perché dovrei? Non é il mio fottutissimo psicologo.” Dissi io addentando il mio panino.
“Esatto, ma è il tuo fottutissimo marito” disse Tré provocando una risata di gruppo, eccetto la mia.
“Non è né il mio fottutissimo marito, né il mio fottutissimo fidanzato, né nulla!”
“A proposito di Billie, dove cazzo è?” chiese Cielo guardandosi intorno.
“Non lo so. Forse sta vendendo erba a qualcuno” risposi io come se fosse la cosa più naturale al mondo.
“No. Oggi è venuta sua madre. Se lo è portato via.” Disse Mike.
Guardai Mike. Da quando sua madre veniva a scuola a prendere il figlio? E da quando Billie Joe accettava di risolidificare il rapporto mamma e figlio?
La giornata andò avanti in una maniera così noiosa che avrei rischiato di addormentarmi in piedi. Billie Joe mi aveva lasciato le chiavi dell’auto nell’armadietto ed io mi diressi al lavoro con quella.
Anche la giornata al lavoro fu abbastanza noiosa e per tutto il tempo mi chiedevo che fine aveva fatto Billie Joe e perché non mi aveva lasciato alcun biglietto dentro l’armadietto se aveva avuto il tempo di infilarci le chiavi, e chissà in quale modo poi.
Verso la fine del turno Cielo mi venne a trovare e per tutto il tempo parlammo di Mike, suo argomento preferito.
“Perché non glielo dici e basta?” chiesi dopo un po’, mentre mi levavo quello schifosissimo capello dalla testa.
“Non posso! Non sono fatta così! Perché non glielo chiedi tu? Siete molto amici”
“Perché pensi che Billie sia andato via con sua madre?” dissi io cambiando discorso.
Cielo alzò gli occhi verso il soffitto. “Perché non glielo dici e basta?” mi disse lei, in una mia perfetta imitazione.
“Peccato che non siano cazzi miei!” risposi.
“Non intendevo questo! Perché non gli dici che ti piace?” mi disse compiaciuta.
Io, stranamente, ebbi lo stesso comportamento di Billie Joe assunto quella mattina, quando mi aveva chiesto se andavo a vederli suonare. “Cosa cazzo dici? Mi piace, pff … andiamo via di qui, che forse è meglio”
Cielo ridacchiò e mi seguì fuori dal negozio, mentre la mia sostituta entrava sbuffando.
“Lo so, è proprio una merda questo posto” le dissi.  
Salimmo in macchina e ci dirigemmo verso casa mia.
“Billie Joe? Sei qui?” urlai accendendo la luce del corridoio.
Ero un po’ speranzosa di trovarlo sopra il tavolo mentre trangugiava un gelato, per poi potergli urlare contro.
“Non è qui” dissi dopo un po’ girandomi verso Cielo che continuava a guardarmi maliziosa. “Oh! Non rompere il cazzo!” sbraitai, mentre quest’ultima iniziava a ridacchiare.
“A che ora è il concerto?” chiesi alla ragazza, entrando in cucina ed aprendo il frigo completamente vuoto. “Ho solo del latte, okay?”
“Alle sette. Abbiamo un’ora di tempo per renderti terribilmente sexy”
“Sono le cinque ancora. E comunque … cosa?”
“Un’ora per te ed un’ora per me. Cosa pensi abbia dentro lo zaino? Libri di scuola?”
Ridacchiai alla sua battuta. “Non voglio sembrare sexy per nessuno! Questa sono io, non il mostro che hai intenzione di creare tu!”
“Non preoccuparti, Rossa, non sono una snob. Non ti vestirò come le troie fighette.” Poi si avvicinò a me e mi sussurrò: “Ti vestirò come una troia punkettara!” e mi prese da un braccio ridacchiando.
“Sei proprio una testa di cazzo!”
“Scherzo, Rossa, scherzo!”
Detto questo salimmo sopra e ci vestimmo con gli abiti che aveva portato Cielo. Fortunatamente non era il vestiario che mi ero immaginata. Era un vestito a righe orizzontali, bianche e nere, la lunghezza era a metà coscia, ma avevo delle calze nere che coprivano la mia nudità. Indossai i miei soliti anfibi, perché fortunatamente Cielo non aveva proposto scarpe col tacco.
Entro un’ora la ragazza mi aveva stirato i capelli, nascondendo le due parti rasate e mi aveva truccato in modo da farmi sembrare accettabile. Poi era stato il suo turno. Io non feci assolutamente nulla, mi sedetti sulla mia squallida brandina e suonai un po’ col mio basso, mentre la ragazza si sistemava.
“Pensi che così Mike vorrà saltarmi addosso?” disse infine Cielo, quando uscimmo da casa.
“Sono stupita che non l’abbia ancora fatto.” Confessai sincera, mentre infilavo le chiavi ed accendevo il motore.
Cielo mi sorrise. “Grazie, Rossa! È il primo complimento che abbia mai sentito uscire da quella fogna” mi disse per poi ridere.
Io ridacchiai e gli sferrai un pugno sulla spalla, per poi partire verso il Rod’s. Per prima, passammo a prendere Mike, che guardò Cielo col suo solito sorriso da demente, poi Arcobaleno e un Tré entusiasta. Eravamo tutti sorpresi di vedere quanto il suo entusiasmo battesse quello della ragazza. Quando arrivammo, il primo ad uscire fu Tré, che si affacciò verso il mio finestrino. “Ma come cazzo guidi?” mi disse quasi urlando. “Dio! Dovrò farmi più di quattro birre per far passare la nausea.”
Ridacchiai e scesi, chiudendo la macchina.
“Qualcuno ha sentito Billie Joe?” chiesi curiosa.
Tutti sorrisero maliziosi, guardandosi fra di loro. “No, Rossa. Sarà già qui” mi disse Mike.
“Bene, basta che non assumete quelle facce di cazzo! Pensate sempre insieme e allo stesso modo?” chiesi leggermente scontrosa.
Loro non risposero, ma si limitarono ad entrare dentro il pub. Io sbuffai per poi seguirli. Quando entrammo c’era già un casino di gente ad aspettare il turno dei Green Day, così mi avevano detto di chiamarsi. Al Sobrante si trovava al bancone, mentre flirtava con una ragazza molto attraente.
“Ehi ragazzi!” urlò alzando la mano.
Ci avvicinammo a lui e Mike disse: “Bill?”
“È già lì dietro” disse indicandoci il posto.
Mike ringraziò l’amico e tutti insieme andammo da Billie Joe. Quando arrivammo dentro il camerino, che poi era il magazzino, lo trovammo seduto su una mensola a trangugiare birra. Quando ci vide alzò lo sguardo mi squadrò e riabbassò la testa. Mike posò il suo basso e si sedette su un’altra mensola, seguito da Cielo, mentre Trè ed Arcobaleno entrarono dentro il bagno. Sorrisi alla sfacciataggine di quei due e rimasi un po’ in piedi, come una cretina.
Dopo qualche minuto mi avvicinai a lui. “Ehi.”
Lui non mi rispose. Non poteva avere ancora la luna storta. Gli passava dopo qualche minuto.
Mike ci fissò per qualche secondo, poi chiese a Cielo di fargli compagnia ed uscirono fuori. Adesso eravamo soli, in silenzio e l’unico rumore che si sentiva erano le urla di piacere di Arcobaleno e Trè.
“Quei due sono così sfacciati!” dissi io ridendomela.
Vidi che il ragazzo non mi dava corda. Di solito era il suo argomento preferito. Il sesso. Sbuffai. “Cosa ti prende?”
Lui alzò lo sguardo. “Nulla!” disse freddamente, per poi continuare a trangugiare birra.
“Cosa voleva tua madre?”
“Nulla!”
“Cosa ti è successo?”
“Nulla!”
“Che ti ha detto per risultare più scorbutico delle altre volte?” chiesi rabbiosa.
“Nulla!”
“Senti mi hai rotto il cazzo! Prima mi inviti e mi fai sentire accettata da voi e poi mi tratti così! Non ti ho fatto niente, cazzo!” sbraitai, prima di aprire la porta ed andare a cercare Cielo.
Non la trovai, ma trovai Al Sobrante con aria soddisfatta. Mi avvicinai. “Ehi, dov’è la zoccola?”
“Sei per caso gelosa?” mi chiese ironico.
“No, in realtà mi faceva tenerezza. Ti ha scaricato?” chiesi sedendomi vicino a lui.
“Affatto. Me la sono scopata cinque minuti fa.” Disse lui offrendomi una birra.
La presi. “Oh! Quindi non è scappata dopo aver visto i tuoi genitali?” scherzai su.
“No! È scappata dopo l’orgasmo” rispose lui del tutto sincero.
Ridacchiai divertita e lui fece altrettanto. “Forse la tua faccia da orgasmo non è molto carina” dissi io.
Lui alzò le spalle. “Sarà. O forse sarà perché sono un super-vampiro e si è terrorizzata al sol pensiero che potevo morderle il collo” optò lui puntando la bottiglia di birra verso me.
Era già sbronzo. “Credo sia più realistica la mia opzione” dissi ridendo.
“Dovrò aver fatto una faccia orrenda per farla scappare in quel modo.” Ridacchiai. “Dovevi vedere come muoveva veloci quelle gambe.” Disse lui mimando con le dita delle gambe che correvano. Ridacchiai ancora più forte, sputacchiando la birra che avevo in bocca. Quel ragazzo era uno spasso.
“Sei un disastro, Rossa.” Disse fissandomi. “Come faccio a dimenticarmi di una come te?” mi chiese poi con sguardo triste.
Io lo guardai imbarazzata e mi girai verso il camerino. Billie Joe era appena uscito e ci stava fissando con sguardo indecifrabile. Mi rigirai verso Al e notai che anche lui stava guardando il ragazzo. “A volte mi chiedo: se non ci fosse stato Billie, avrei avuto una qualche possibilità con te?” disse.
“Perché tutti continuate a dire così!” protestai io. “Non mi piace affatto quel cazzone!”
“Certo.” Mi disse per poi alzarsi ed andarsene.
Rimasi un po’ a fissare il vuoto, poi mi girai verso il camerino, ma Billie Joe non era più lì. Lo cercai con lo sguardo, e non perché mi piaceva, ma perché … in realtà non sapevo la ragione del perché, ma lo feci e mi innervosì quando non riuscì a trovarlo, per poi tranquillizzarmi quando sentì la sua voce riecheggiare in sala.
“Rossa, dov’eri finita?” mi chiese Cielo spuntando tra la folla con due bottiglie di birra in mano.
“Ero qui” dissi pensierosa.
“Tutto bene?”
“Sì”
Il concerto durò un’oretta e fu sensazionale. In quanto fossi ancora arrabbiata col frontman non riuscì a nascondere l’entusiasmo che mi avevano procurato. Ero soddisfatta nel scoprire che Welcome to Paradise non era stata arrangiata diversamente, anche se in futuro la cambiarono. Nessuno poteva dire altro, erano fenomenali. Il talento era nel loro sangue.
“Siete stati grandiosi!” urlò Arcobaleno correndo dal suo amato.
“Fenomenali!” disse Cielo guardando gli altri due.
“Concordo, complimenti” dissi io evitando lo sguardo del cantante. “Mi sa che un giorno dobbiamo suonare insieme, bassista” dissi a Mike dandogli una pacca sulla spalla. “Vi aspetto fuori.” Dissi notando che Billie era andato via.
Cielo non mi seguì, ma rimase con loro, ed io potei correre fuori ed assaporare la mia Marlboro rossa con tanto amore.
Dopo qualche minuto uscì fuori Billie Joe, ancora sudato e per niente compiaciuto. Entrò in macchina e si accese una sigaretta, continuando ad evitarmi. Io feci altrettanto, anche se ogni tanto entrambi ci spiavamo con la coda dell’occhio.
“Hai intenzione di stare in silenzio per tutta la serata?” mi disse infine scontroso.
“Sì, fin quando non vedrò uscire dalle tue labbra un cazzo di scusa.”
“Perché dovrei?”
Mi girai verso di lui, incazzata come non mai. “Perché? Mi hai trattato come una pezza!” dissi, poi mi girai e guardai le persone che uscivano entusiaste.
Stemmo in silenzio per qualche minuto, mentre il ragazzo continuava a fissarmi.
“Che cazzo guardi?” sbraitai dopo un po’. “Mi stai irritando!”
“Tu non hai fame?“ mi chiese lui, quasi urlando, sempre livido in volto.
Io lo guardai sconvolta, ritornai a fissare le persone. “Sì” ruggì quasi, incrociando le braccia.
“Ti va di andare in qualche posto?” disse sempre con lo stesso tono.
“Sì” ruggì nuovamente.
“Bene” disse, per poi scendere dalla macchina e rientrare dentro il Rod’s.
Quando verificai che fosse già dentro sorrisi compiaciuta. Eh sì! Eravamo proprio strani. Molto più strani di Arcobaleno e Trè, e ci voleva tanto per esserlo. Scesi dall’auto e lo aspettai fuori. Arrivò dopo un po’, per niente sudato, con i capelli bagnati, profumato e vestito come la mattina.
“Hai trovato una doccia magica?” ironizzai fissandolo.
Lui fece una smorfia. “Davvero carina! Ancora c’è tempo per migliorare.” Mi disse per poi salire in auto. Lo imitai.
Lui mi tese una mano. La guardai confusa. “Che cosa vuoi rappresentare con questo?”
“Dammi quelle cazzo di chiavi se non vuoi farti gelare il culo.” Mi disse irritato.
Mi ero completamente dimenticata di avere le chiavi, le uscì dalla tasca e le porsi a lui che le afferrò e partì.
“Cazzo! Gli altri che fine fanno?” chiesi quando già eravamo lontani dal Rod’s.
“C’è Al per loro.” Mi disse.
Stemmo zitti per tutto il tragitto fin quando non si fermò di fronte un ristorante. Io guardai e ridacchiai. “Stai forse scherzando?”
Lui mi guardò confuso. “Cosa?”
“Hai idea di quanto costi?”
“No e tu?”
“No, … ma sembra molto costoso. Guarda la clientela. Lì ci saranno tutti vecchi ricconi!”
“Vuol dire che oggi cambieremo la storia di questo ristorante. Lasceremo un segno” disse per poi scendere.
Tutti voi penserete che mi aprì la portiera e mi aiutò a scendere, ma non lo fece. Stiamo parlando di Billie Joe Armstrong!
“Un tavolo per due” disse Billie, quando fummo dentro.
Il cameriere ci squadrò con disgusto, mentre il ragazzo lo fissava sorridendo in modo malizioso. “Qualche problema?” chiese gentile.
Il cameriere lo guardò. “Alcuno, signore” poi fece dietro front e ci condusse al nostro tavolo.
Quando ci sedemmo le persone attorno a noi ci fissarono in silenzio.
“Già mi sono rotta il cazzo. Andiamo” dissi a Billie Joe, che mi guardò con fare malizioso.
“Come? Proprio adesso che incomincio a divertirmi?” mi disse compiaciuto.
Alzai gli occhi al cielo. Perché si divertiva quando non avrebbe dovuto?
Dopo aver ordinato, Billie Joe rimase in silenzio.
“Allora? Hai intenzione di chiedermi scusa?” chiesi presuntuosa.
“Non ti basta la cena?”
“No!”
Il ragazzo sbuffò. “Bene. Scusami Liz, per qualsiasi cosa ti frulli nella testa”
“E pensi davvero che io mi prenda queste scuse così merdose?”
Billie Joe alzò gli occhi al cielo, ma c’era una nota di divertimento in tutto questo. “Mi dispiace Liz. Mi dispiace chiamarti così solo quando siamo soli, mi dispiace averti detto di no per la questione del garage, mi dispiace averti mandato a fanculo oggi a scuola, mi dispiace essere scomparso in quel modo senza alcuna spiegazione, mi dispiace averti trattato in quel modo e mi dispiace averti portato qui. Adesso va bene?” mi disse.
Io rimasi in silenzio, con la bocca dischiusa per la sorpresa. “Allora?” mi chiese nuovamente.
Mi schiarì la voce. “Va benissimo. Adesso mi spieghi perché sei scomparso?”
“Perché mia madre ha deciso di fare un entrata da film drammatico.” Mi disse quasi coricandosi sulla sedia.
Le persone iniziarono a fissarci nuovamente. Io ridacchiai. “Ti piace infastidire la gente, eh?”
“Mi piace che si ricordino di me per quello che sono.“
“Nessuno sa come sei realmente.”
“Non è vero. Mike lo sa, … tu lo sai.” Mi disse, per poi sedersi composto. “Allora, Liz? Lasciamo il segno a questa gente superficiale?” mi disse avvicinandosi.
Adesso potevo guardare le sue iridi verdi ancora meglio di come mi era potuto capitare.
Qualcuno si schiarì la voce. Billie Joe si allontanò da me, lasciandomi col fiato mozzo. Avrei voluto uccidere quella cameriera senza alcuna ragione, o forse ne avevo una ma la ricacciavo ogni qual volta tornasse nella mia mente.
“Perché prima eri con Al Sobrante?” mi chiese.
Da come mi guardava sembrava la vera motivazione dell’avermi portato lì.
“È un mio amico.”
“Cosa vi siete detti?”
“Nulla di importante“  mormorai io mentre mangiavo la mia pasta. 
“Allora se non è importante perché non mi racconti?” disse lui senza abbassare lo sguardo da me.
“Sei mica geloso?” chiesi confusa fissandolo.
Billie Joe strabuzzò gli occhi. “Parli con me?”
“No, sciocco. Col tizio accanto!” ironizzai io.
“Non sono geloso. Semplicemente conosco Al. È un pervertito.”
“So badare a me stessa, grazie.”
Il ragazzo mi guardò per un po’, poi si indurì. “Bene”
Continuammo a mangiare in silenzio.
“Perché mi hai trattato in quel modo prima del concerto?” chiesi dopo un po’.
“Odio tutti prima di un concerto. Non voglio nessuno che mi stia attorno. Mi innervosisce.”
“Questo perché sei un asociale del cazzo”
“Perché solo io dovrei chiederti scusa? Tu mi insulti continuamente!” mi disse lui.
“Solo perché te lo meriti” dissi io alzando la voce.
“Tu ti meriteresti di peggio, ma intanto non ti insulto e non continuo a ripetere stupidaggini.” Disse lui, imitando il mio tono di voce.
“Scusami? Mi stai dicendo che dico stupidaggini?”
“Perché non è così?”
“Signore? Signorina?” Disse la cameriera.
“Che c’è?” urlammo insieme rivolti alla cameriera.
“Vi porto il conto?”
Entrambi stavamo ansimando, mentre fissavamo quella povera ragazza. La gente ci guardava inorridita.
“Sì.” disse infine Billie Joe/ lo scorbutico.
Rimanemmo in silenzio fino a quando la tipa non ci portò il conto ed andò via.
“Oddio. Sono un casino di soldi! Finiremo per lavare le stoviglie” dissi io.
“Tranquilla. Lo sai che facciamo?” mi disse.
“Dividiamo il conto.” Dissi io cercando il mio portafogli.
Lui si avvicinò a me. “Scappa!” poi mi prese per mano e mi trascinò fuori dal ristorante, mentre i fighetti incominciavano ad urlare.
“Ehi!” sentì qualcuno urlare.
Mi feci trascinare da Billie Joe. Ci fermammo solo quando girammo verso un vicolo. Entrambi eravamo esausti e lui si premette contro di me, perché si sentivano i passi del cameriere arrivare verso di noi. Entrambi potevamo sentire il respiro dell’altro. I nostri nasi si sfioravano ed il mio cuore batteva così forte che avevo paura potesse sentirlo anche lui. Sapevo che non era per la corsa quel battito frenetico. Quando i passi si allontanarono, Billie Joe si allontanò da me.
“Sei un fottuto cazzone!” urlai quasi.
“Cosa c’è adesso?”
“Non pensavo che fossi serio quando mi hai detto che avremmo lasciato un segno!”
Lui ridacchiò divertito. “Avanti Liz, so che ami questa vita.”
“La gente cresce e cambia idea”
Lui ridacchiò segnandomi con l’indice. “Tu? Tu? Non sei cresciuta dalla prima volta che ti ho visto. Sono passati solo tre mesi. So che ti piace cagarti sotto.”
Lo guardai per qualche secondo. “Perché non siamo saliti in macchina?”
“Perché sarebbe stato facile trovarci. Sai, la targa e tutto il resto.”
“E adesso cosa facciamo?” chiesi io mentre uscivamo dal vicolo e camminavamo verso casa.
“Torniamo a piedi, poi domani andiamo a prenderla.”
“Bene.” Dissi per poi ridacchiare come una scema.
“Che cazzo ridi?” mi chiese lui divertito.
“Hai visto la faccia di tutti quando siamo usciti?” dissi ridacchiando ancora più forte.
Lui mi guardò e si fece trasportare dalla mia risata e per tutta la strada, fino al ritorno a casa ridacchiamo ed imitammo le facce di quella gente.

 
 

 
Nota dell’autrice
Salve gente! Scusate il tremendo ritardo nell’aggiornare, ma non riuscivo a partorire questo capitolo. Cioè, avevo tutte le idee in testa ma non riuscivo a trascriverle. Comunque sia non ho ancora deciso la sorte di Liz e Billie Joe, perché c’è un problema che mi frulla nella mente.
Comunque, spero che il capitolo sia piaciuto e spero che non ci siano troppi errori grammaticali, spero che non ce ne siano alcuni, ma sto chiedendo troppo.
Ringrazio le persone che hanno recensito, che seguono, che hanno messo la storia fra le preferite e le ricordate, ed anche a quelle che si limitano semplicemente a leggerla.
 
P.S.
Qualche giorno fa è uscito Tre!. Come lo trovate? Io ho ascoltato alcune canzoni su youtube e non mi sono sembrate male, voi che ne pensate. E sapete quando uscirà dalla clinica il nano, o se è già uscito?

 
 
 

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Capitolo 9
*** 9 ***


Capitolo 9




La mattina seguente mi alzai disperata, per il troppo sonno, ed andai subito in camera di Billie Joe. Ovviamente lui stava dormendo come un angioletto, ed io per un secondo rimasi lì a fissarlo con un sorrisino sul viso, poi mi riscossi e gli lanciai un cuscino al centro di faccia, facendolo sobbalzare.
“Che cazzo sei malata?” urlò lui con tutta l’aria disponibile.
Io sorrisi con malizia. “Dobbiamo andare a scuola, è già tardi.”
Il ragazzo non rispose, mugugnò un: “Non sei mia mamma” e si alzò per andare in bagno.
Ovviamente io scesi al pian terreno e mi andai a lavare nel bagno più lurido del mondo, che mio padre utilizzava come lavanderia.
Quando fui pronta mi diressi in cucina e mi riempì una tazza di cereali. Non mi andava di cucinare. Avevamo già mangiato abbastanza la sera prima.
“Scusami, hai intenzione di andare a scuola a piedi?” mi disse Billie Joe, mentre entrava in cucina.
“In garage c’è una macchina”
“Davvero?” chiese lui incredulo, mentre si metteva una mano tra i capelli blu.
“Già. Me l’aveva data mio padre, ma io non l’ho mai usata.”
“E per quale fottutissimo motivo?” disse lui mentre mangiava i cereali dalla scatola.
Odiavo quando faceva così. Anche io mangiavo quei cosi e lui li riempiva dei suoi germi.
“Perché non avevo voglia di usare qualcosa datami da lui. Però adesso che non c’è, potremmo usarla. Tanto lui non ci vede” dissi scrollando le spalle.
Billie Joe meditò per un po’, poi disse: “Okay, dammi le chiavi”
Alzai un sopracciglio con scetticismo. “Davvero credi che ti farò mettere le mani sulla mia auto?”
Billie Joe ghignò e si avvicinò a me, fino a lasciare pochi millimetri di spazio. “Sì, lo credo davvero. E so che tu mi farai guidare la tua auto.”
Fatto sta che quando uscimmo di casa ero io che guidavo e lui portava solo un fastidioso musone. No, non è vero. A dir la verità era divertente e soddisfacente il suo musone. Per una volta Billie Joe Armstrong non aveva ottenuto ciò che voleva.
“Sai cosa devi fare per farti perdonare“ mi disse malizioso, quando ci fermammo sotto casa di Mike.
Lo guardai acida. “Certo, come no!” poi guardai verso il giardino vuoto di casa Pritchard. “Che fine ha fatto Mike?”
“Forse oggi non viene. Saggia mossa. Se non fosse stato per te, sarei ancora a letto.” Mi disse guardando verso casa di Mike.
Lo guardai acida. “Allora? Cosa facciamo? Aspettiamo ancora?”
“Meglio andare. Tanto non verrà. Me lo sento qui dentro” mi disse puntandosi il cuore.
Perché doveva sempre scherzare? Lo guardai innervosita ed ingranai la prima. Eh già! Quella mattina ero io la lunatica.
Stemmo in silenzio per qualche minuto, ma si sa che Billie Joe non riesce a stare zitto, quindi fu lui a rompere il silenzio.
“Guidi che è una merda!” sbraitò dopo un po’, premendosi una mano sulla pancia piatta. “Credo mi stiano per salire i cereali di stamattina. Ferma l’auto”
“Ti ringrazio per il complimento!” ironizzai mentre posteggiavo.
Billie Joe scese subito dall’auto e rigurgitò tutto ciò che avrebbe potuto rigurgitare. Infine rientrò in macchina e si accese una sigaretta.
“Come ti senti?” chiesi, tanto per chiedere qualcosa.
“Non molto bene. Che giorno siamo oggi?”
“Credo il 24.” Risposi distrattamente.
Lui fece un cenno col capo e mi disse: “Ti va di marinare la scuola?”
“Io e te? Da soli?”
“No! Anche Mr. Formaggino verrà!”
“Smettila di scherzare!” urlai esasperata.
Lui ridacchiò divertito. “Scusami Liz, ma vedi qualcun altro qui con noi?”
Sospirai e per qualche secondo stetti in silenzio a pensare a tutti i modi possibili di uccidere quel demonietto nel corpo di un ragazzo di periferia, mentre lui mi guardava divertito.
“Non te li raccogli mai i capelli. Mi piaci con i capelli raccolti” mi disse dopo un po’, alludendo alla mia semi coda semi chignon.
“Lo faccio solo quando sono sporchi e mi secco a lavarli” dissi io continuando a guardare la strada.
“Allora mi piaci quando hai i capelli sporchi.” Mi disse per poi girarsi a guardare fuori dal finestrino.
In quel preciso istante, in cui lui era distratto, me ne approfittai per guardarlo con la coda degli occhi. Non era solito fare complimenti, ma ero convinta che dopo la sera trascorsa me ne avrebbe fatti di altri, perché mi ero accorta che era scoccato qualcosa.
“Allora ti va di marinare la scuola?”
“E cosa dovremmo fare noi due soli?” chiesi poco convinta.
“Non saprei. Possiamo andare a Berkeley, entrare in qualche negozio di cd rock, ovviamente, poi possiamo andare a mangiare un hamburger e poi … non saprei, potremmo andare in qualche vicolo oscuro a limonare un po’.“ mi disse ironizzando sull’ultima frase.
Gli diedi un pugno sulla spalla, ma oramai eravamo arrivati a scuola, quindi sospirammo entrambi e scendemmo dall’auto, Billie Joe un po’ più felice di me.
La scuola era deserta, stranamente. “Come mai non c’è nessuno?” chiesi io mentre percorrevano il parcheggio.
“Forse sono già tutti dentro” mi disse, mentre salivamo i gradini.
“Non ci sono auto parcheggiate” affermai indicando il parcheggio.
Continuammo ugualmente a salire le scale, e quando cercammo di entrare, notammo che la porta era bloccata col catenaccio.
Ci guardammo confusi per poi capire entrambi perché non c’erano auto parcheggiate e perché la porta d’entrata era chiusa col catenaccio.
“Non ci credo. Non ci posso credere!” sbraitai esasperata. Pensai che in quel preciso momento sarei potuta rimanere sotto le coperte.
“Sei una cogliona, Liz! Mi hai svegliato per nulla!” urlò Billie Joe contro di me, mentre il vento invernale pungeva i nostri visi.
“Cosa ne potevo sapere io!” urlai esasperata, mentre scendevo le scale.
Ero infuriata. Anche lui poteva benissimo ricordarselo. Fatto sta che dopo dieci minuti ci ritrovammo in auto, in silenzio, entrambi con le braccia conserte e con un broncio che non finiva più. Poi improvvisamente Billie Joe ridacchiò. Sembrava davvero un folle!
“Che c’è?” mormorai incazzata.
Lui non rispose subito, a causa della risata in aumento, ma quando si ridestò mi disse: “Come cazzo abbiamo fatto a non ricordarci che è la vigilia di natale?” e ricontinuò a ridacchiare, ma questa volta non fu solo, perché anche io ridacchiai come una scema, facendomi trasportare dalla sua risata che somigliava più ad un latrato.
“Bill, cosa vuoi per natale? Non ti ho fatto alcun regalo” gli dissi sincera quando smettemmo di ridere. Stranamente nevicava lì a Rodeo.
Lui si girò con malizia e mi disse: “Sai cosa voglio per natale” per poi ricominciare a ridere, mentre io lo spingevo verso il vetro.
Era davvero un idiota, ma sapevo che avrei potuto contare sempre su di lui. “Liz, cosa vuoi regalato per natale?” mi chiese quando ci fummo calmati.
“Un biglietto per Los Angeles.” Dissi con tutta sincerità.
Lui mi guardò sorpreso. “Ancora hai intenzione di andartene?”
Lo guardai alquanto sorpresa. “Sì.”
Stranamente Billie Joe rimase zitto e mise su un broncio da far paura. Io feci lo stesso pensando che nessuno mi capiva e rimanemmo zitti per altri minuti, ancora nel parcheggio della scuola.
“Cazzo, io non ho fatto alcun regalo!” mi disse dopo qualche minuto.
“Già. Ti va di andare a Berkeley?”
“Okay. Odio fare shopping!” si lagnò lui.
“A chi lo dici!”
Ma prima che riuscì a girare la chiave, Billie Joe mi afferrò la mano ed io mi girai a guardarlo.
“Prima andiamo a prendere la mia auto, tu vai a chiudere questa in garage e non utilizzarla più per il bene dell’umanità, ed io ti vengo a prendere.” Mi disse serio.
Io lo guardai leggermente infastidita ed acconsentì, ma prima che potessi mettere in moto, Billie Joe mi fermò nuovamente.
“Che c’è adesso?”
“Ti prego, fai guidare me” mi disse quasi supplichevole.
Facevo così  schifo a guidare? Sbuffai e scesi dall’auto. Quando Billie Joe mi venne incontro ci guardammo con astio per qualche secondo, fin quando io non gli diedi le chiavi e lui mi sorpassò sorridendo divertito.
“Accendi il riscaldamento, per favore” dissi io mentre uscivamo dal parcheggio.
Lui lo accese ed insieme rimanemmo a goderci il caldo artificiale dell’auto.
“Non credevo fosse aperto a quest’orario.” Mi disse lui quando parcheggiamo lontano dal ristorante.
“E tu lavori in un pub! Non sai nemmeno che la mattina sono aperti!”
Billie Joe alzò gli occhi al cielo e sospirò. “Okay, io camminerò in modo disinvolto ed entrerò in macchina, ingranerò la prima e premerò l’acceleratore a palla.” Mi disse, quasi in ansia.
“Ieri ero truccata e vestita bene, sicuramente non mi riconoscerebbero. Sei vuoi vado io e poi, quando arriviamo a casa, prendi tu il posto della guida.” Dissi io con tranquillità.
Billie Joe socchiuse gli occhi e mi puntò contro un dito. “Tu non guiderai mai più la mia auto” disse per poi scendere.
Lo guardai innervosita, gli mimai un vaffanculo ed ingranai la prima.
Quando arrivai a casa, parcheggiai malamente la mia auto in garage ed entrai in casa ad aspettare Billie Joe.
Quando arrivò mi urlò di uscire. Io presi i nostri portafogli ed entrai in auto.
La giornata passò tranquillamente. Billie Joe non vomitò, comprammo tanti regali a poco prezzo per i nostri amici e per noi, senza sapere cosa, mangiammo un bel cheeseburger e poi tornammo a casa.
“Dovremmo fare l’albero” dissi convinta quando entrammo in salone con le buste piene di regali.
“Non spenderò un altro centesimo.” Mi disse.
Così cercammo in garage dove trovammo un albero e degli addobbi. Stemmo per una mezz’oretta a giocare e fare l’albero e a ridere come dei pazzi ed infine poggiammo i regali sotto l’albero e ci sedemmo sul divano, esausti.
“È stato davvero tutto così stressante.” Mi disse guardandomi da sotto in giù. “Ci vorrebbe un po’ di relax” e sorrise malizioso.
“Okay. Facciamolo.” Dissi io alzandomi.
Billie Joe si sedette interessato, come non lo era mai stato. “Stai scherzando?” chiese sorpreso.
Io scrollai il capo e mi guardai intorno. “No. Sono seria. Leviamoci questo desiderio. Facciamolo.”
Lui si alzò velocemente e si avvicinò a me. “Adesso dovrei baciarti? Perché non saprei come iniziare.” Disse sincero con le braccia mezze aperte.
“Fai ciò che ritieni giusto” gli dissi sincera.
Non facevo sesso da così tanti mesi! Capitemi ragazzi, non ero tanto sana di mente, e Billie Joe mi sembrava l’unico interessante in quel posto.
“Non mi è mai capitato in questo modo. Di solito sono ubriache o innamorate pazze di me, ma tu …”
“Fai ciò che ti pare.” Dissi quasi insistente.
Lui scrollò il capo, mi slegò i capelli. “Uh … sono davvero sporchi come dicevi”
Io sorrisi divertita. “Te l’avevo detto!” dissi quasi canticchiando, per poi bloccarmi e fissarlo.
Lui mi guardò per qualche secondo e quelle iridi verdi mi perforarono dentro. In qualche luogo che nessuno poteva pensare di entrare. Poi si avvicinò quasi incerto e premette le sue labbra sulle mie. Ci staccammo dopo qualche secondo guardandoci intensamente. C’erano mille emozioni che premevano il mio stomaco e so che anche per lui fosse così.
Entrambi ci attirammo bruscamente l’uno contro l’altro, baciandoci passionalmente come due innamorati. Tranne per il fatto che non eravamo per niente innamorati o forse sì.
Le nostre mani vagavano selvaggiamente lungo il corpo inoltrandosi in luoghi che nessuno di noi si sarebbe permesso di toccare. Ci strappammo, quasi, i vestiti e ci ritrovammo per terra, sul parquet vecchio e freddo. L’uno accanto all’altro, ansanti.
“Sei proprio sicura?” mi disse lui, ancora con l’intimo addosso, guardando il soffitto.
“Non sono vergine. Non c’è alcun bisogno di farmi la paternale!” dissi quasi infastidita, anch’io con solo l’intimo addosso, guardando il soffitto.
“Okay” mi disse lui per poi guardarmi.
Io girai lo sguardo verso il ragazzo dai capelli blu ed entrambi ci scambiammo uno dei nostri sguardi intensi.
Era ritornato l’impaccio tra di noi, quindi ridemmo divertiti, mentre lui metteva una mano tra i miei tatuaggi. “Non ti ho mai detto quanto mi piacciono questi tatuaggi.” Mi disse.
“Non credo sia obbligatorio fare il romantico” dissi io sorridendo.
“Bene, meglio così“ mi disse lui, per poi salirmi addosso. Pesava leggermente. “Va bene se inizio così?”
Sentivo l’odore di Marlboro. “Va benissimo” gli risposi, come per rassicurarlo.
Si avvicinò lentamente e mi baciò le labbra, inoltrando la sua lingua nella mia bocca e rendendo tutto il resto estremamente passionale. Poi scese lungo il collo e mi baciò il tatuaggio dolcemente, mentre mi slacciava il reggiseno.
Non c’è molto da dirvi, i preliminari furono pieni di ansiti, gemiti e quant’altro di similare. Poi Billie Joe decise di calarsi i boxer e di insinuarsi dentro di me.
Diciamo che è stato un bel sesso. Davvero eccitante e davvero rilassante. Non mi pento di aver detto a Billie Joe di poter fare, perché in fin dei conti era ciò che avevo desiderato fin dall’inizio.
Quando Billie Joe si riposizionò sul pavimento, questa volta completamente nudo, entrambi eravamo rossi ed ansanti.
“Ci voleva.” Dissi io interrompendo il silenzio.
“Già” rispose lui, sempre guardando il soffitto.
Poi suonò il telefono di casa ed io alzai un braccio per afferrare la cornetta. “Pronto?”
Liz, sono Cielo. Mio padre lavora stasera. Posso passare con voi la vigilia, magari mi porto Arcobaleno e Trè.
Amava Cielo e non poteva dirgli di no. “Certo. Facciamo verso le sette?”
Lei mi disse che era perfetto e ci salutammo. “Mike mi ha mandato un messaggio, dice che verrà questa sera”
“Okay. Stanno venendo anche Cielo, Arcobaleno e Trè.” Dissi io.
“Perfetto.” Era ancora un po’ imbarazzato.
“Adesso vado a farmi una doccia.” Dissi alzandomi e raccogliendo la mia roba.
“Vuoi che venga con te?” disse lui ironico.
“No, grazie. Faccio sola.” Risposi io sorridendo.
Salì le scale completamente nuda ed infreddolita, e mi intrufolai in bagno. Non potevo credere di essermi scopato Billie Joe e sorrisi divertita nel pensarlo.
La doccia fu più che rilassante e quando uscì, con i capelli puliti, scesi sotto, vestita.
Già c’erano Mike e Cielo seduti sul divano insieme a Billie Joe, mentre guardavano film sul natale.
“Salve!” dissi entrando in salone e sorridendo.
I tre si girarono verso di me e sorrisero. Mike mi disse di sedermi di fianco a lui ed io presi posto.
“Allora? Come mai qui?” chiesi interessata.
“Mia madre è col suo fidanzato drogato.” Mi disse Mike.
“E mio padre lavora.” Disse lei un po’ più triste dell’altro.
“Mi dispiace Cielo. Trè ed Arcobaleno?”
“A casa loro. Mi hanno detto che verranno dopo la mezzanotte. Loro hanno una famiglia. Invece tuo padre ti ha chiamata?” mi disse Cielo.
“No. Neanche mia madre. Non mi dispiace, finiremmo per litigare.”
Stavo mentendo. Avevo una gran voglia di andare da mio padre e chiedergli se potevo passare il natale con loro, ma ero troppo orgogliosa per permettere tutto ciò.
La serata non fu una delle migliori. Rimanemmo a guardare la tv e a mangiare pizza, come se fosse un giorno qualunque.
Arrivati alla mezzanotte ci abbracciamo tutti quanti, io e Billie Joe con impaccio, e decidemmo di scambiarci i regali, visto che dopo sarebbero tornati a casa.
Scartai i regali di tutti. Cielo mi aveva regalato un maglione marrone fin troppo bello. Mike mi aveva regalato delle corde per il mio basso ed un libro pieno di spartiti. Poi fu il turno di Billie Joe, che si avvicinò impacciato e mi porse il regalo incartato. Era un cd dei Ramones, con un biglietto con su scritto ‘così impari ad ascoltare buona musica’. “Anche il bigliettino? Ci sei riuscito in un giorno?”
“Sei una ragazza davvero distratta, quindi è stato facilissimo.” Mi disse lui scrollando le spalle.
Io regalai a Cielo un libro sul teatro. “Ho scoperto il tuo segreto!” le dissi sorridendo.
Infatti avevo scoperto che proprio lei aveva la passione della recitazione. A Mike gli regalai delle corde nuove ed un lucida bassi. Infine a Billie Joe gli regalai un blocchetto nuovo ed una maglietta con su scritto: ‘Stupid’. I tre risero entusiasti e mi stritolarono, nello stesso momento, così da creare un abbraccio di gruppo.
Verso le tre e mezza Mike e Cielo decisero di andarsene, visto che di Trè ed Arcobaleno non c’era ombra. Quindi rimanemmo io e Billie Joe a guardare la tv con delle birre in mano.
“Credo che andrò a dormire” dissi a Billie Joe, alzandomi.
Lui mi guardò. “Per stanotte ti cedo il lettone.”
“Allora è vero che il natale rende tutti più buoni!” ironizzai io.
Lui sorrise divertito. “Se vuoi, posso raggiungerti dopo.”
La malizia faceva parte di lui. Non poteva evitare di non farlo.
“Buonanotte Billie Joe” dissi sorridendo e salendo.
“Sai che sto aspettando il vero regalo!” urlò ancora più malizioso.
“Buon natale, Bill!” urlai salendo le scale.

 
 

Angolo dell’autrice:
Premetto scusando l’immenso ritardo e punendomi moralmente, ma a volte l’ispirazione non regna nella mia mente. Ringrazio tutti i lettori, i recensori, e le persone che hanno messo la mia storia tra le preferite, seguite e ricordate. Un bacio grande a tutti.
Adesso parliamo della storia. Ho parlato poco di Cielo e questo mi dispiace immensamente, amo quella ragazza. Ho parlato molto di Billie Joe e Liz, questo l’ho apprezzato molto. Mi piace davvero il loro rapporto e come il tutto si stia evolvendo. Però ricordatevi sempre che non è una storia d’amore, quindi mi dispiace deludere chi voleva i due insieme.
Non so cos’altro dire e finisco questa stupida nota mettendo le foto dei miei personaggi.

Liz:


 

Billie Joe:

 
 

Mike:


 

Cielo:


 
 

Tré:


 

Arcobaleno:


 

Spero che siano di vostro gradimento, alla prossima.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


        Capitolo 10
 

 

Posso benissimo dire che la notte di natale l’ho passata davvero benissimo. Quel letto era comodissimo e la presenza di Billie Joe lo rendeva ancora più comodo e caldo.
Oh! Mi sa che ho saltato un punto importante della storia. Non preoccupatevi, provvederò subito.
Quando sono andata a coricarmi sentivo abbastanza freddo per poter riuscire a dormire, e quando sono riuscita a rilassarmi gli occhi, la porta della camera si è aperta ed un nano (Billie Joe) è sgattaiolato sotto le lenzuola. Come se io non fossi sveglia.
“Bill? Che cazzo ci fai qui?” chiesi nel buio, senza girarmi dalla sua parte.
“C’era freddo sul divano e quelle pareti rosa della tua stanza mi fanno pena. Mi sveglierei nervoso. E poi questo è il mio letto!” disse quasi protestando.
“Tecnicamente è di mio padre questo letto” risposi stringendomi il lenzuolo contro il petto.
“Vuoi che vada a dormire sul divano?” chiese interrogativo.
Stetti per un po’ di secondi in silenzio. “No”dissi infine.
Non capivo perché, ma una parte di me voleva che quel maniaco uscisse subito dal letto e dormisse sul divano morendo lentamente assiderato, mentre un’altra parte, quella più piccola ma più vittoriosa, voleva che rimanesse lì ad unire il calore del suo corpo con il mio. Quella parte più piccola, ma pur sempre vittoriosa, voleva che avvolgesse il mio stomaco con le sue braccia per niente muscolose. Una parte di me, voleva che unisse le nostre dita in una fusione unica, perché ero convinta che le nostre dita erano state disegnate per essere perfettamente unite fra di loro.
Non successe niente di romantico o di erotico, cioè posso benissimo dire che lui ci ha provato, ma io non l’ho permesso. Non perché io fossi super sexy, perché proprio non lo ero, ma perché lui era semplicemente un pervertito.
 
 
Mi svegliai a causa dello stridio del campanello e, devo dire, che non ero stata mai riluttante nell’alzarmi dal letto. Stavo così bene in quel calore così naturale, ma infastidita mi costrinsi ad aprire gli occhi e strizzarli per qualche secondo.
Alla fine i miei desideri più nascosti si erano avverati. Il braccio di Billie Joe stringeva il mio fianco e la sua mano cadeva leggera sul materasso. Capì subito che tutto quel caldo super accogliente era dovuto alla vicinanza col ragazzo.
Riluttante mi alzai ugualmente e scesi le scale sbraitando contro chi stava continuando a suonare imperterrito. Ero sicura fosse Mike. L’avrei ucciso per questo.
Aprii la porta e la scena che mi trovai davanti, fu più sconcertante del risveglio non voluto. Sopra lo zerbino erano posizionate mia madre e le mie sorelle. Quando incontrarono il mio sguardo, urlarono, all’unisono entusiaste, con delle buste in aria: “Buon natale!”
Li fissai per una frazione di secondo, per poi sbattergli la porta in piena faccia. “Elisabeth!” urlò mia madre bussando.
“Va via!” urlai, con la voce ancora impastata dal sonno.
“Elisabeth apri!” urlava lei isterica.
“Non ho chiesto la vostra presenza!” urlai ancora più innervosita, dirigendomi verso la cucina.
“Elisabeth … se non apri immediatamente questa porta, chiamerò tuo padre!” mi urlò lei.
Mi bloccai quasi terrorizzata. Lei non sapeva nulla delle vicende accadute negli ultimi mesi. In realtà non ero sicura che mia madre sapesse della nuova fidanzata di mio padre. Mi costrinsi ad aprire, e qualche secondo dopo mi trovavo di fronte una madre soddisfatta e delle sorelle infuriate. Perché non ero figlia unica? “Buon natale!” dissi allargando le braccia, con un sorrisino annoiato.
Loro entrarono perlustrando tutta la zona, tutti gli angoli possibili, della casa. “Stavo per fare colazione” mormorai indicando la cucina.
“Perfetto. Andiamo a fare colazione” disse mia sorella Karen buttando lo zaino vicino le scale.
Alzai gli occhi al cielo. “Non vi stavo invitando a farla con me.” Dissi sempre annoiata, muovendomi a passi lenti lungo la cucina, con la tazza vuota in mano.
“Elisabeth!” mi rimproverò mia madre.
“Vuoi smetterla di chiamarmi Elisabeth?” dissi scontrosa, sbattendo la tazza sul bancone.
Le tre rimasero in silenzio a guardarmi immobili. Forse non potevano credere alle loro orecchie. Gli stava bene. Mi avevano abbandonato in quel luogo dimenticato da Dio.
“Scusami” mormorò mia madre, lasciando tutte sconvolte. Persino lei lo sembrava. “Cosa ci racconti?” disse dopo.
“Prima voi” risposi io con sfida. Non mi andava di dire tutto prima della colazione.
Mia madre mi guardò, quasi dispiaciuta, e si schiarì la gola. Mi raccontarono delle giornate passate al mare, (bastarde), mi raccontarono del nuovo fidanzato di mamma, sì il poliziotto malefico. Mi dissero che era un uomo stupendo, ma io non ci credevo, anche se devo ammettere che col tempo ho iniziato a volergli bene.
“Adesso tocca a te” mi disse mia sorella Kimberly.
Fortunatamente avevo lavato anche la tazza, quindi ero pronta per parlare. “Ma possibile che Robert dormi tutto questo tempo?” mi chiese mia madre infastidita guardando verso il pianerottolo.
Okay, non sapevano nulla ed era arrivato il momento di dire tutto a quelle tre bellezze che meritavano di sapere. Mia madre molto più delle altre.
Mi presi un po’ di tempo prima di iniziare a chiarire ogni singolo dubbio. “Bene. Quando sono arrivata qui, ho scoperto che …” guardai mia madre, davvero dispiaciuta, “Che papà ha una fidanzata.”
L’espressione che assunse mia madre non la dimenticherò mai. Fu un espressione di quelle che ti rimangono impresse nella mente e non vanno più via. Perché proprio in quel momento ho afferrato l’amore che mia madre continuava a nutrire verso quell’uomo che l’aveva abbandonata con tre figlie in carico. Verso quell’uomo che l’aveva tradita così tante volte e che l’aveva illusa ancor di più. Quell’uomo che l’aveva fatta soffrire.
“Un mesetto dopo il mio arrivo …” continuai a disagio, perché il peggio stava per giungere lungo la sala. “Papà mi ha fatto conoscere questa tizia e hanno annunciato a me e il figlio di lei, che tra l’altro è un gran coglione ed ancora devo pestarlo, che avevano deciso di sposarsi” dissi quasi intimidita.
E difatti mia madre spalancò ancora di più la bocca, quasi in una perfetta O. “Papà mi ha detto che si sarebbe trasferito a casa di lei. Io mi sono incazzata e lui è andato via, senza farsi sentire. Neanche un giorno.” Conclusi abbassando lo sguardo verso le mie calze.
Ci furono lunghi minuti di silenzio, fin quando mia madre disse: “Ti ha lasciato vivere sola?” era paonazza.
“Sì, e non poteva decidere di meglio. Me la cavo. Ho un lavoro. Vivo senza papà da fine Novembre super giù.” Dissi cercando di evitare di parlare di Billie Joe, che tra l’altro si trovava al piano di sopra incosciente di tutto ciò.
“Liz! Non è questo il punto. Come ha potuto lasciarti vivere da sola senza consultarsi con me! Ti avrei riportato a Los Angeles se avessi saputo …” mia madre si bloccò guardando verso le scale.
Billie Joe era appena atterrato al primo piano e stava camminando, col mio stesso passo strascicato, verso la dispensa. “Buongiorno Liz.” Mormorò poggiando una mano sulla mia spalla.
Tutte e quattro seguimmo i suoi movimenti, io con un sorriso divertito. Come aveva fatto a non rendersi conto della presenza di altre tre persone in quella cucina? Afferrò una ciotola e ci versò i cereali, poi si girò e prese il latte, per poi abbeverare i cereali. Prese un cucchiaio e si sedette di fronte mia madre e le mie sorelle e cominciò a mangiare.
Dopo qualche secondo lo stupido sollevò il capo e guardò le nuove arrivate con il cucchiaio ancora sospeso in aria e un’espressione sorpresa.
“Bene. Posso spiegarvi” dissi subito sulla difensiva.
“Oh mio Dio, Elisabeth!” urlò mia madre, costringendo Billie Joe ad allarmarsi ancora di più. “Non solo vivi sola, ma pure col fidanzato!” urlò esasperata.
Istintivamente sia io che Billie Joe sollevammo il capo verso di lei e scoppiamo a ridere. “Lui non è il mio ragazzo! Lui è … è Billie Joe. Noi ci odiamo!”
“Ah sì? Allora perché condividete la stessa casa?” chiese mia sorella Kimberly.
Alzai gli occhi al cielo e sorrisi divertita, quando vidi quella faccia di cazzo di Billie Joe guardare mia sorella con rabbia. “Entrambi avevamo bisogno di una casa. Siamo amici” disse lui nervosamente. Lo guardai sconvolta. Davvero aveva detto che eravamo amici? Sorrisi involontariamente.
In quel momento la porta sul retro si aprì ed entrarono un Tré Cool, con molte birre in mano, ed indosso un vestito da Babbo Natale con la barba poggiata sotto il mento, ed Arcobaleno vestita da fatina. “Buon natale!” urlarono ridendo come dei matti. Già erano fumati.
Mia madre fissò i due spalancando la bocca con una perfetta O. Billie Joe ridacchiò sotto i baffi, mentre io mi sbattevo una mano sulla fronte. “Oh Dio! Potrebbe andare peggio di così?” chiesi più a me stessa e maledico ancora il momento in cui ho detto quelle parole, che dal salone arrivò Cielo urlando: “Buongiorno Rossa! Sono entrata dalla finestra perché ho perso le tue chiavi di casa e mi seccavo aspettare Mike.” Poi si fermò sul ciglio della porta, guardando le tre arrivate e mormorando un semplice “Oh, merda!”.
“Elisabeth! Cosa sta succedendo in questa casa? È diventata una sala giochi per adolescenti?” sbraitò isterica mia madre.
Mi limitai a guardare i miei quattro amici e sollevare le spalle, mentre loro, ad eccezione di Billie Joe, mi fissavano terrorizzati. Erano le regole di casa, gli adulti non potevano entrare.
“Dio! Vi sembra che questa sia l’Isola che non c’è?” urlò ancora di più.
“Bè… tecnicamente se fosse l’Isola che non c’è, lei non potrebbe neanche avvicinarsi con un solo pensiero a questa casa.” Disse Cielo, per poi incrociare lo sguardo infuriato di mia madre e zittirsi.
In quel momento la porta di casa si aprì con uno schiocco e la voce di Mike dominò il resto della casa, scossa da un silenzio nervoso. “Rossa! Bill! Colazione vegetariana!” urlava mentre entrava nella tela del ragno.
Quando arrivò in cucina, con una scatola di uova tra le mani, si bloccò e guardò per svariati secondi la scena davanti a sé. “Non era un momento adatto, vero?” chiese dopo un po’.
Cielo sorrise, ma abbassò subito lo sguardo. Anche Mike aveva tempismo perfetto, vero? Mia madre oramai era troppo scioccata per poter parlare, quindi decisi di prendere la parola. “Bene … ragazzi che ne dite se ci vediamo più tardi? Mi  dispiace Mike, mi sarebbe davvero piaciuta la tua colazione. Cielo … ne parliamo dopo.“ dissi quasi minacciosa, poi mi girai verso Trè ed Arcobaleno. “In quanto a voi due … Fuori!” dissi scontrosa. Tutti e quattro uscirono mormorando un “E’ stato un piacere …”, in modo poco convincente e rimanemmo in casa solo io, Kimberly, Karen, mia madre e Billie Joe. Mi girai verso lui quasi implorante. Lui ricambiò il mio sguardo e fece un cenno d’assenso. “Vado a farmi una doccia” disse per poi uscire.
Mi resi conto che prima di uscire, Billie Joe mi aveva poggiata una mano sulla spalla. Come per darmi coraggio. Ovviamente mia madre non si era persa niente di tutto ciò. “Allora?” mi disse quando i passi del ragazzo si erano spenti.
“A mia discolpa posso benissimo dire che non sono sempre così.” Risposi quasi sincera.
“Elisabeth … quella ragazza era vestita da fata!” disse mia madre sconvolta.
Io sorrisi. Davvero era questo che l’aveva colpita maggiormente? Mi sentì fortunata che non aveva conosciuto aspetti peggiori su quella bellissima ragazza. Nonostante tutto la volevo bene. “Forse avevano finito i vestiti da elfo.” Ironizzai. “Sai … elfo. Fata … sempre creature inventate” mormorai infine. Stavo blaterando è questa la verità.
“Per non parlare di Babbo Natale!” disse Kimberly.
“Esatto. Aveva delle birre in mano! Quale Babbo Natale gira in città con birre in mano?” continuò Karen.
Quelle due gemelle, stupide, le avrei presto uccise. Cercai di continuare ad ironizzare. “Un Babbo Natale infelice?”
Mia madre chiuse gli occhi, come per riposarsi. “Elisabeth … l’unico ragazzo che mi è sembrato normale era il biondo.”
“Tra l’altro carino” puntualizzò Kimberly.
“Molto carino! Qual è il suo nome?” chiese Karen.
“Non pensate neanche che vi aiuti a flirtare con Mike! I vostri culi da snob non piacciono al mio amico!” dissi scontrosa.
Le ragazze parvero offendersi ed io sorrisi soddisfatta, mentre mia madre si portava le mani a massaggiare le tempie. “Ragazze, smettetela! Elisabeth. Quel ragazzo che vive con te ... ha i capelli blu. Un piercing al naso. Tatuaggi!” bisbigliò schifata, per poi osservare meglio il mio collo.
Eh già! Proprio da lì iniziava un tatuaggio che avevo da circa un anno, e che ero riuscita a coprirlo perfettamente a mia madre rincoglionita. Non dico per insultarla. Lei è sempre stata svampita.
“Elisabeth!” urlò con tutto il fiato. “Quello è un tatuaggio?”
Sorrisi nervosa. “Non lo so. Cosa pensi che sia?”
“Un tatuaggio” dissero in coro le gemelle.
“Non l’ho chiesto a voi“ sbottai scontrosa.
“Un tatuaggio” rispose mia madre paonazza.
“Okay. Allora sì. È un tatuaggio” dissi. Poi mi alzai la maglietta, cosa importava rimanere nuda davanti la mia famiglia, e le mostrai l’intero tatuaggio.
Non so perché, ma per un momento pensai che a mia madre stesse per venirle un infarto. Era rossa in viso e posso benissimo ammettere che stava iniziando a sudare.
Cosa possiamo farci, in ogni famiglia c’è una pecora nera, ed in quella ero io. Da un lato sono davvero soddisfatta di esserla sempre stata io la pecora nera. Non mi piace il loro carattere. Il loro modo di pensare.
Non c’è altro da aggiungere. Mia madre si calmò e mi dette il mio regalo. Io le dissi che non avevo idea del loro arrivo e quindi ero impreparata. Poi mentre le mie sorelle si davano da fare in cucina e mia madre telefonava a mio padre, presi l’occasione per salire in camera da Billie Joe. Appena entrai in camera, lo trovai seduto sul letto con la sua blue in mano. Non si era accorto di me, o forse non aveva semplicemente alzato il capo. Quando mi sedetti, sul letto, di fianco a lui si girò a fissarmi, continuando a strimpellare.
“Mi dispiace.“ mormorai passandomi una mano tra i capelli.
Lui continuò a suonare, anche se adesso ad un volume diminuito, e sorrise. “Per quale motivo mi dici questo?” disse con la sua superficialità e la sua voce nasale.
Stetti zitta per un po’ strofinando una mano contro l’altra. “Per la mia famiglia. Non siamo mai stati così uniti da farmi questo genere di sorprese.” Dissi ancora sbalordita. Non sapevo perché, ma questa sorpresa mi aveva dato tremendamente fastidio. Forse perché già io una famiglia l’avevo trovata.
“A volte uno rimane sorpreso di come si sviluppa la propria vita.” Disse sincero, per poi smettere di suonare.
Per la prima volta in quella giornata ricambiai lo sguardo del ragazzo e stemmo per qualche secondo a fissarci. Diciamo i nostri soliti sguardi. Quelli sguardi che se non li scambiavamo almeno una volta in tutta la giornata ci sentivamo persi. Spezzai il nostro sguardo con un cenno d’assenso. Aveva ragione, e questo mi faceva arrabbiare terribilmente. Perché, quanto cazzone poteva essere, Billie Joe aveva sempre ragione.
Il ragazzo prese una ciocca dei miei capelli e la portò dietro il mio orecchio. Mi girai a fissarlo e un senso di pienezza riempì il mio stomaco fino ad inebriare la mia mente. Non avevo mai provato tutto ciò. Non era poi così male.
“Ti lascio con la tua famiglia per oggi. Ci vediamo stasera, okay?” disse lui con, stranamente, voce rotta.
“Non devi per forza andartene” mormorai imbarazzata.
Era il nostro primo momento, diciamo, romantico. Lui si alzò, prendendo la sua blue. “Liz, anche io ho una famiglia. Forse è meglio che vada a salutarli. Almeno il giorno di natale.” Poi si girò ed aprì la porta della camera. Rimase lì fermo per qualche secondo. Immobile, teso. “Mi prometti che stasera stiamo insieme? Senza famiglia.”
Lo fissai per qualche secondo. “Okay. Promesso.” Dissi sorridendo, per poi guardarlo uscire.
Istintivamente mi buttai di schiena sul materasso, con ancora le gambe salde per terra, e rimasi per qualche secondo a cercare di regolarizzare il mio battito. Poi ridacchiai, senza un vero motivo, e stetti lì fin quando mia madre ruppe il mio momento. Eh già, forse provavo qualcosa per quel nevrotico.
Quando arrivai sotto guardai mia madre, cercando di capire cosa volesse. “Stasera siamo a cena da papà” disse più a se stessa.
“Cosa? No! No! Sono occupata!” sbraitai, pensando alla promessa fatta a Billie Joe.
“Non se ne parla Liz. Andremo a cena da papà”
“Io non verrò!” protestai entrando in cucina.
“Come non verrai? Se non te ne sei resa conto, sono tua madre”
“Se non te ne sei resa conto, non vivo più sotto il tuo tetto. Posso benissimo decidere da sola cosa fare.”
La discussione andò avanti alla lunga, ma alla fine vinse mia madre e fui costretta a cambiarmi e dirigermi con loro a casa di quei ricconi. Pensai che almeno avrei avuto la possibilità di picchiare il mio fratellastro. Quando arrivammo non potei fare a meno di notare quanto eccessivamente grande fosse casa di quella lì. Che poi come si chiamava? Ricordo perfettamente che me lo stavo chiedendo per tutto il tragitto. Fummo accolti da mio padre, che mi guardò quasi imbarazzato dicendo “Buon natale, Liz”, io neanche lo guardai e continuai a camminare dritta dinnanzi a me.
“Buon natale Elisabeth” mi disse Pinco Pallino avvicinandosi a me.
Lo guardai con diffidenza, continuando a fissare i dipinti in quella casa enorme. “Ciao mostro” dissi tranquillamente, mentre mia madre mi guardava con nervosismo. Sorrisi sadica. Mi piaceva farla arrabbiare.
“Loren, lei è Eva“ disse mio padre, più che imbarazzato, presentandola a mia madre.
Ecco come si chiamava quella lì! Mi dissi. Comunque sia si scambiarono saluti formali, anche se si notava quanto mia madre la volesse uccidere, e poi ci dirigemmo in sala pranzo. Bene, avevo solo poco tempo da spendere con quelli lì.
La cena fu abbastanza tranquilla. Stetti tutto il tempo zitta, tirando calci a Pinco Pallino procurandogli diverse lacrime, ero stata costretta ad indossare tacchi, e lasciai parlare i grandi. Quando arrivò il dolce fu fatale. Un momento che, diciamocelo, si aspettava da tutta la cena. Ci avete mai pensato che le cose più terribili succedono sempre nel momento del dolce? Strano però. La parola dolce fa sembrare ad un momento magico, in realtà è sempre un triste momento.
“Robert. Sono felicissima che tu sia andato avanti e ti stia formando una famiglia, ma devi sapere … devi sapere che anche Elisabeth fa parte della tua famiglia.” Disse mia madre proprio mentre i piatti venivano poggiati sui rispettivi posti.
In quel momento sia mio padre, che la fidanzata, che Pinco Pallino che io alzammo la testa sorpresi e guardammo mia madre. Poi mio padre sorrise “Cosa?”
“Sei andato a vivere con la tua nuova famiglia ed hai lasciato Liz sola. In casa” disse mia madre con rabbia.
“Cosa? Io … io ho detto a Liz di trasferirsi qui con me. Lei non ha voluto. Liz! Dillo alla mamma che non hai voluto.”
Mia madre mi guardò infuriata. Io rimasi immobile e in imbarazzo. Davvero mia madre credeva che io sarei andata con lui? Pensavo che lei mi conoscesse!
“Davvero credevi che io sarei andata a vivere … con loro?” dissi indicando la nuova bella famigliola.
Il viso di mia madre si colorò dello stesso rosso della mattina. “Elisabeth! Allora è colpa tua! Sapevo che tuo padre non ti avrebbe abbandonata!”
“Cosa? Lo ha fatto comunque! Lui è andato via con un'altra e ha preferito lasciarmi in casa sola purché vivere con lei. Non è lei quella con cui devi stare, ancora non l’avete capito. Nessuno dei due!” urlai frustrata. Mi sentivo decisamente meglio. Poi mi alzai dalla sedia. “Non voglio che veniate a casa mia! So cavarmela da sola!” urlai prima di uscire, con sottofondo il mio nome urlato dai miei genitori.
Appena mi ritrovai per strada, presi il cellulare e, prima di poter digitare il numero di Billie Joe, vidi un messaggio ricevuto. Lo aprii e lessi: ‘Rossa, dove diavolo sei? Billie Joe sembra nervoso’. Era un messaggio di Cielo. Ci rimasi un po’ male nel pensare che a casa non avrei trovato solo Billie Joe. Digitai comunque il suo numero ed aspettai che rispondesse. “Pronto?” disse quella voce nasale.
Sorrisi più rilassata. “Bill, sono io. Mi hanno incastrato e adesso sono per strada a congelare di freddo.”
Ci fu un momento di silenzio. “Dove sei precisamente?” chiese, quasi preoccupato.
“Emmm” mi guardai intorno. Non trovavo il nome della via. “Non lo so. È piena di case di ricconi. Fanno quasi paura.”
Ci fu un altro minuto di silenzio. “Sto arrivando” disse, per poi chiudere la telefonata.
Stetti ancora una manciata di minuti a morire di freddo. Quando arrivò Billie Joe mi fissò esterrefatto. La sua bocca formava una perfetta O. “Cosa?” chiesi entrando in macchina.
“Come cazzo ti sei vestita?” chiese guardandomi.
“Mi hanno costretto.” Dissi sincera. Poi guardai dritto di fronte a me ed allungai le mani verso il riscaldamento.
“Stai davvero bene … sei particolarmente bella stasera.” Disse guardando dritto di fronte a sé.
Lo guardai per qualche secondo. “Grazie” mormorai, prima che lui azionasse il motore ed ingranasse la prima.
Quel natale era andato male, ma posso benissimo dire che si è concluso più che bene. Il momento in macchina con Billie Joe era stato silenzioso ma comunque rassicurante e, quando, arrivammo a casa trovammo la nostra vera famiglia che ci aspettava. “Cosa cazzo ti sei messa addosso? Sembri quelle troie snob” disse Trè una volta notata la nostra presenza, mentre giocavano a Monopoly, e tutti si sentirono d’accordo col suo pensiero. Io ridacchiai, finalmente rilassata, e dissi: “Cosa vuoi? Non sono tremendamente sexy?” poi mi sedetti accanto a loro e stemmo tutta la notte a giocare a Monopoly.   

 
 
 

Nota dell’autrice:
Salve a tutti e buon natale in ritardo … oppure in anticipo. In questo periodo sono stupida, l’altro giorno mi sono ritrovata un giornale in mano e ho detto: “Oh guarda! Le offerte del natale!”. Pensate un po’ quanto sono scema xD
Comunque sia parliamo della storia che è questo quello che importa, giusto? :D
Non so perché, ma è dall’inizio della storia che volevo un capitolo con la madre e le sorelle e finalmente l’ho attuato.
La seconda scena tra Billie Joe e Liz, quella in camera da letto mentre lui suona blue, l’ho scritta mentre ascoltavo The Forgotten, quindi evidentemente quella melodia abbastanza malinconica e terribilmente romantica ha fatto in modo che uscisse quella cagatella. Comunque sia, questo capitolo è incentrato sulla famiglia, alla fin fine è natale, e mi dispiace se a qualcuno di voi non piacciono questi legami, questi pensieri, questo capitolo và! L’ho voluto incentrare sulla famiglia appunto perché ho voluto far capire, anche a Liz stessa, che oramai la sua famiglia sono loro. In questo capitolo le ho fatto capire che non si deve per forza consanguinei per essere definiti una famiglia e questo è l’unica cosa che ho apprezzato di questo capitolo, perché ammettiamolo, è un po’ una cagata. Poi non so, vedete voi cosa pensare. E qualsiasi cosa pensiate non scordate di scrivermela perché mi piacerebbe sapere il vostro pensiero.
Finisco il monologo, che forse è più lungo del capitolo stesso, ringraziando i lettori. E ringrazio personalmente: LostinStereo3, Giulia White, LastOfTheItalianGirls e Chemical_Love che mi spingono sempre ad andare avanti. Vi amo!
Ringrazio: Billie_GD, Ca_Wright, ChemicalAdri, Chemical_Love, Fede_cool, Giulia White, Niky Mckagan e Sara_Smoke che hanno messo la mia storia tra le preferite e spero che si facciano sentire, prima o poi, con qualche recensione :D .
Ringrazio: daco e _LISA_ che hanno messo la mia storia tra le ricordate.
Ed infine ringrazio: acator, daco, elemeow, estar, FlooIdiot, LostinStereo3, MartenFromCloud23, MaryJane_21, Rockstar Lux, slashell, Strix, supportlarrystylinson, _Italian_Idiot_ e _JesusOfSuburbia_  per aver messo la mia fan fiction tra le seguite. Grazie mille e mi farebbe un gran piacere che anche voi vi facciate sentire.
Un bacione a tutti alla prossima
What is Her Name

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 

 
 
 
 

L’indomani mattina mi svegliai sul freddo pavimento del salone, con ancora una birra in mano ed il vestito nero addosso. Mi scrollai di dosso le patatine che ricoprivano il mio corpo, e mi alzai lentamente. Avevo preso una bella sbronza, visto il gran mal di testa, e strizzai gli occhi prima di focalizzare la stanza.
Okay, Tré ed Arcobaleno erano completamente avvolti in un vortice di vestiti smessi che coprivano i loro corpi. Feci una smorfia di disgusto, erano così sfacciati!
Poi c’erano Mike e Cielo così lontani che mi rabbuiai. Quei due non si davano alcuna mossa! Cielo era rannicchiata sulla poltrona che sonnecchiava tranquillamente, mentre Mike era steso per terra con le braccia e le gambe allargate verso l’esterno. Sorrisi. Era una perfetta rappresentazione di un uomo esausto dopo un estenuante giornata di lavoro. Ridacchiai tra me e me.
Ed infine, quello che stavamo aspettando di più, c’era Billie Joe. Lui era sopra il tavolino. Sotto la sua schiena aveva il tabellone ed, evidentemente, le pedine e i soldi di carta di Monopoly. Aveva la bocca spalancata in una perfetta O, il che mi fece divertire, ed una bava che colava lentamente lungo la sua guancia destra. Anche lui come Mike, aveva le braccia e le gambe allargate. Sorrisi debolmente e mi alzai lentamente. Era stato divertente prendersi beffe di Billie Joe e Mike, ma adesso avevo bisogno di una doccia.
Fortunatamente il getto di acqua calda mi aveva svegliata e aveva esaurito il mio mal di testa e, finalmente, quando uscì dal bagno fui più lucida. Entrai in camera ed indossai dei jeans larghi ed una maglietta dei Clash. In realtà non avevo maglie che non raffigurassero qualche gruppo punk rock/ rock. Era davvero strano, ma se entravo in un normalissimo negozio di vestiti li trovavo tutti tremendamente scialbi, nudi. Non so se mi spiego. Indossai le mie amate vans a scacchi e scesi sotto, per vedere in che situazione fosse la mia “nuova famiglia”.
“No! Liz si arrabbierà!” sentì bisbigliare Mike, mentre scendevo l’ultimo scalino.
Quando mi ritrovai di fronte quegli sciagurati, li guardai confusa. “Cosa succede qui?” chiesi.
Loro mi mimarono di abbassare il tono della voce e Trè mi guardò con un sorriso malizioso, prima che Arcobaleno alzasse un pennarello e Cielo dei fogli di carta.
Alzai un sopracciglio, interrogativa, e Cielo precedette la domanda che stava giungendo lungo la mia gola. “Vogliamo fare uno scherzo a Billie. Cioè guardalo!” e si spostarono, mostrando Billie Joe nella stessa posizione che aveva quando mi ero svegliata. “È ridicolo!” continuò Cielo ridacchiando.
Tutti e quattro mi guardarono per diversi secondi, come se aspettavano una risposta. Anche se Mike non sembrava d’accordo con gli altri tre, io allargai le braccia e dissi: “Forza. Distruggiamolo.”
Mike alzò gli occhi al cielo, mormorando un “Ci ucciderà”, mentre io, Cielo, Arcobaleno e Trè eravamo già su di lui.
Ridacchiammo silenziosamente mentre Trè gli disegnava “una figa” sul mento, anche se a noi sembrava una barba. Quando finimmo di pasticciarlo, lo guardammo diversi secondi in un silenzio malizioso. “Allora? Datemi la carta” bisbigliai aprendo la mano sinistra. Cielo mi diede i fogli di carta e, dopo averli divisi, tutti quanti iniziammo a girarli tra le mani, cercando di formare una perfetta palla. Quando finimmo di “lavorare” la carta, ci chinammo lentamente e ad uno ad uno cercammo di infilargli le carte in bocca. Purtroppo Trè fu il primo ed ultimo a provarci, perché quando Billie Joe, sentì qualcosa in bocca, si alzò di colpo sputacchiando. Noi ci alzammo velocemente e terrorizzati e lo guardammo in silenzio, con ancora le palle di carta in mano, e gli occhi spalancati. “Cosa cazzo fate?” urlò con tutto il fiato che poteva avere.
Tutti mi guardarono, come se fossi io quella che doveva dare spiegazione e come se fosse utile darle. Alzai gli occhi al cielo, quando Billie Joe notò i pennarelli, per fortuna non indelebili, sulle mani del povero Mike. Spalancò la bocca inorridito. “Cosa cazzo credete di fare, eh? Siete completamente fumati!” urlò ancor di più, per poi spingerci tutti e prendere le scale velocemente.
“Cazzo!” mormorò Trè.
“Vi avevo detto di non farlo e voi non mi avete ascoltato!” sbraitò Mike.
“Non hai alcun bisogno di agitarti. Hai collaborato anche tu!” sbraitò Cielo girandosi verso Mike. Non sapevo cosa fosse successo tra i due, la notte di natale, ma qualcosa era cambiata. Sembrava si odiassero così tanto.
“Ho solo tenuto dei pennarelli! Non mi avete ascoltato come sempre, e questo perché? Perché Mike è un cazzone, e i cazzoni non si ascoltano!” era diventato rosso in viso.
“Sono felice nel notare quanto conosci bene te stesso!” urlò Cielo anch’essa rossa in viso.
Io, Trè ed Arcobaleno  eravamo in piedi, che guardavamo la scena completamente in imbarazzo. Quei due dovevano chiarire. “Okay, basta. Non è stata colpa di nessuno. Smettetela!” urlai con tutto il fiato possibile. I due si fermarono, ma Mike girò su i tacchi ed uscì da casa, sbattendo la porta rumorosamente.
“Mi spieghi cosa succede fra voi due?” sbraitai arrabbiata.
Ieri sera eravamo stati così bene, perché stavamo rovinando tutto? Intanto Cielo aveva incrociato le braccia al petto e guardava fisso il punto in cui Mike era andato via. “Allora?” Trè ed Arcobaleno continuavano a guardare assenti la scena.
“Non è successo assolutamente niente di importante fra di noi!” disse girandosi, ancora seccata.
“Voglio saperlo, cazzo!” urlai spazientita.
“Non ricambia il mio sentimento. Semplicemente questo.” Disse secca.
Tutti e tre rimanemmo in silenzio, forse sconvolti per quello che avevamo appena sentito, o forse per imbarazzo, ma credo più per la prima. Non potevo credere che quei due non si volessero. Erano la certezza più grande. Loro sembravano fatti per stare insieme. Era frustrante vedere Cielo in quello stato.
“Cielo …” mormorai.
“Vado a preparare la colazione. Okay?” disse girandosi a guardarci. Nonostante tutto era una ragazza forte.
Noi acconsentimmo e Cielo si diresse in cucina. “Cazzo” mormorò Trè buttandosi sul divano, seguito da Arcobaleno. Era la prima volta che Arcobaleno era seria. Ero davvero scioccata. Accesi la tv e girai diversi canali, fin quando non mi stancai e mi alzai. Avevo una gran voglia di sapere dove fosse finito Billie Joe, poi mi sarei occupata di Cielo.
Quando entrai in camera lo trovai a torso nudo coricato. non c’era più ombra di pennarello sul suo viso. “Billie, tutto okay?” chiesi quando aprii la porta.
Lui continuava a fissare il soffitto. “Se vuoi detto che va tutto okay, solo per farti entrare, allora puoi stare lì” disse senza guardarmi.
“Non è per questo! Mi interessa sapere come stai!” dissi offesa.
“Okay. Allora tutto okay” mi disse, continuando a fissare il soffitto.
Io sorrisi e mi coricai di fianco a lui. Era davvero rilassante passare, almeno un momento della giornata, così e soprattutto con lui. Poteva essere un coglione, stupido, irritante, nevrotico e fastidiosamente lunatico, ma quando voleva sapeva anche essere rilassante, e questo era uno di quei nostri momenti preferiti.
“Cosa è successo sotto?” chiese.
“Un casino. Mike è andato via.”
“Dove?” sembrava deluso.
“Non lo so. È andato via perché ha litigato con Cielo.”
“Di nuovo? Cosa prende a quei due?” chiese lui guardando sempre il soffitto.
“Cielo mi ha detto che Mike non la ricambia. Glielo ha detto lui”
“Cosa? Non può essere” disse lui girandosi a guardarla. “Mike si è portato la testa da molto prima che tu arrivassi qui e distruggessi le nostre vite” ironizzò, allargando le labbra in un sorriso e continuando a fissare il soffitto.
Lo guardai per diversi secondi. “So che non è quello che pensi.” E fissai anch’io il soffitto mentre lui si girava a guardarmi. “So che non è così” dissi infine girandomi a guardarlo.
I nostri volti erano lontani solo di qualche centimetro ed i nostri occhi erano puntati l’uno verso l’altro. Le sue iridi mi facevano impazzire. Erano di un verde così intenso ed il verde era il mio colore preferito. “È vero. Non hai distrutto le nostre vite, Liz” mi mormorò lui, prima di alzarsi e scendere sotto per lasciarmi sola in quella camera da letto. La sentivo un po’ stretta in quel momento. Sospirai diverse volte, prima di prendere il cellulare e fare ciò che desideravo fare da un paio di giorni. Scrissi un messaggio. Lo scrissi a lui. A la persona che mi aveva baciato e toccato per la prima volta in tutta la mia vita. Perché per quanto Billie Joe fosse unico e speciale, Joey aveva con sé una parte di me, la mia verginità, e sinceramente non potevo desiderare altra persona che me la portasse via. Gli scrissi un messaggio, perché anche se adesso avevo una nuova famiglia, ero comunque addolorata di non aver ricevuto alcun messaggio di auguri da parte loro, da parte sua.
Dopo averlo scritto lo lessi diverse volte, prima di inviarlo. “Ehi Joey, buon natale. Mi manchi tanto ed anche gli altri mi mancano, ma sai com’è, tu manchi di più. Non poter sentire più la tua voce, credo di averla dimenticata. Mi manchi e mi piacerebbe sentirti, perché la nostra non era una semplice amicizia e nonostante tutto ti ho fatto un regalo di natale. Al più presto te lo mando, è chiuso nel mio armadio. Sperando che non ti metta a ridere e a sbeffeggiarmi con gli altri, ti auguro un buon natale. Liz” ed infine lo inviai.
Subito dopo lanciai il telefono sul letto e rimasi in silenzio, con occhi lucidi, a pensare al casino che avevo appena combinato. Al peso che mi si era appena formato. Perché con Joey era sempre stato tutto così difficile? Pensai a Billie Joe e a quanto fosse tutto così facile con lui. I baci rubati, i silenzi rilassanti, gli abbracci goffi, le parole riflettute, le dolcezze, le liti ed il sesso. L’unica volta che avevamo fatto sesso era stato così ed incredibilmente facile. C’era stato un po’ di imbarazzo, ma dopo era stato tutto così facile. I movimenti, i gemiti, le parole stupide. Non capivo proprio. Joey era sempre stato tutto per me e nonostante tutto lo era ancora, nel profondo. In quanto volessi non riuscivo a dare spazio a Billie Joe in quel profondo. Sentivo come se stessi tradendo Joey, anche se noi non eravamo mai stati insieme.
“Liz, cazzo vieni giù!” urlò Cielo dalla cucina.
Sorrisi, ringraziandola per avermi ridestato da quei pensieri inquieti, e scesi sotto velocemente. “Allora, cosa si mangia?” chiesi entrando in salone.
“Cosa pensi si mangi per colazione? Bacon e uova.” Mi disse Cielo.
Billie Joe abbassò il capo sorridendo imbarazzato, per poi dire: “Rossa è vegetariana”
Lo guardai per diversi secondi. “Esatto. Sono vegetariana” dissi guardando Cielo. Come faceva a non ricordarlo mai?
“Allora mangi solo le uova.”
“Non posso!”
Cielo chiuse gli occhi, impazientita. “Mi sembra siano i vegani quelli delle uova!” sibilò.
“Non posso mangiarli perché li hai cucinate insieme al bacon” spiegai tranquilla.
Cielo sbatté il mio piatto sul tavolino di vetro ed urlò: “Bene! Allora mangiati il tuo cazzo di cibo vegetariano!”
Tutti rimanemmo a guardarla sconvolti. Quella ragazza stava per scoppiare ed io dovevo parlarle da sola. Mi avvicinai prendendole un braccio. “Ti va di parlarne? Da sole?”
“Non devo parlare di nulla!“ disse scostandosi, bruscamente, da me. Poi corse verso la hall ed uscì. Tutti e quattro rimanemmo come dei cretini in casa. Incapaci di parlare. Portavo un senso di colpa che non potete neanche immaginare. Avevo fatto andare Mike, che aveva cercato di non far fare quello stupido scherzo a Billie Joe, e adesso avevo fatto andare Cielo. “Cazzo” mormorò nuovamente Trè.
“Devo andarle incontro.” Dissi camminando verso l’uscita.
“Cos?” sentì Billie Joe, poi mi venne incontro e mi bloccò da un braccio. “Lasciala stare. Deve sfogarsi” mi disse.
“È stata colpa mia. Tutto questo casino! Cazzo” sbraitai con occhi lucidi. Non potevo farcela.
“Non è stata colpa tua! Sei vegetariana, e allora? Non ci puoi fare niente se sembra abbia il ciclo!” mi disse Billie Joe posizionandosi davanti la porta. “Levati dalle palle!” sbraitai contro quel povero ragazzo.
“No. Non mi levo.” Mi disse “Devi lasciarla stare. Tornerà fra qualche ora.”
Rimasi in silenzio per qualche secondo, con i pugni serrati, ma alla fine feci quello che Billie Joe voleva facessi. Rimasi lì, ma andai subito in camera. Non volevo stare con nessuno. Volevo piangere forte, per almeno una volta.
Non rimasi sola per molto, perché Billie Joe entrò dopo qualche minuto e si coricò di fianco a me. Senza neanche chiedere il permesso. Senza neanche mostrare la sua presenza. Non mi disse alcuna parola di conforto, perché non era molto da noi fare così, ma mi strinse stretta a lui e rimanemmo per un po’ così. Schiena contro petto. E fu una delle sensazioni più belle, perché le sue braccia mi confortavano sempre. E possiamo benissimo dire che in ogni momento del genere i muri cadevano nuovamente, per poi ricostruirsi lentamente.
Dopo qualche minuto, Billie Joe alzò il capo e con una mano mi spostò i capelli dal viso, per guardarmi meglio. Stavo piangendo silenziosamente e lui si avvicinò a me assaggiando la mia lacrima. Io non feci assolutamente nulla. Gli lasciai semplicemente fare, perché era così bello ciò che stava facendo. Come se cercasse di oscurare tutte le tracce della mia debolezza e, difatti, quando mi girai a baciarlo, non ne fui per nulla sorpresa.
Ci baciammo per diversi minuti, forse ore e di nuovo i nostri corpi si unirono, aderendo perfettamente l’uno all’altro. Non m’importava più di nulla. C’era lui in quel momento e non m’importava ascoltare quel senso di colpa che sentivo ogni qual volta Billie Joe si avvicinava a me. Era bello sentirlo accanto. Sentire il calore del suo corpo. La sua bocca che sapeva tanto di Marlboro rosse e birra.
 
Dopo qualche ora, evidentemente, ci ritrovammo sotto le coperte, completamente nudi. E questa volta non fu come la prima. Questa volta ci ritrovammo abbracciati. Eh già! Io e Billie Joe Armstrong ci stavamo coccolando dopo del sesso. Non capisco ancora perché, ma non mi stupivo affatto.
“Liz. Ti arrabbi se ti dicessi che provo qualcosa?” chiese con voce roca.
Stetti in silenzio per qualche secondo, con la testa poggiata sul suo torace. Infine sorrisi. “Ovviamente!” dissi per poi ridacchiare.
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, fin quando Billie Joe disse: “E chi se ne fotte! Te lo dico ugualmente.” Poi si sedette, ed io feci lo stesso guardandolo divertito. “Liz … Liz … ”
“Ti sto ascoltando” dissi divertita.
“Liz …”
Purtroppo Billie Joe non poté continuare la sua confessione, perché la porta della camera si aprì, mostrandoci Arcobaleno e Trè decisamente preoccupati. Ci girammo a fissarli. Era davvero strano vederli così sconvolti.
“Cielo … Cielo …” disse Trè col fiatone. Era così pallido.
“Cosa?” chiese Billie Joe preoccupato. “Cosa cazzo è successo?”
“Cielo … è in ospedale.”
Nello stesso momento io e Billie Joe sbarrammo gli occhi spaventati. Non poteva essere. Cielo non poteva essere in ospedale.

 
 

Nota dell’autrice:
Ebbene sì, questa volta sono stata più veloce e devo dire che mi dispiace anche, perché questo capitolo fa proprio schifo. Non so perché ma mi sembra fin troppo banale, ma diciamo che è un capitolo di passaggio, perché vi prometto che il prossimo sarà più intenso. Sarà più romantico, più triste e allo stesso tempo più felice e divertente di questo. Ancora non l’ho scritto, ma ho tutto in testa. Comunque sia, l’ho voluto incentrare su Mike e Cielo, perché li ho trascurati un po’, e nei prossimi proverò a mettere pezzi in cui si parlerà di Trè ed Arcobaleno, perché in effetti non ho mai caratterizzato il loro rapporto e ci tengo, prima che questo capitolo finisca. Al limite scriverò qualche one –shot su di loro. Anche su Mike e Cielo, magari quando le ha detto che non la volevo. Ci sto pensando seriamente, perché questa storia, questi personaggi ce li ho così a cuore che non voglio abbandonarli, ma la storia sta finendo e purtroppo devo lasciarla finire. Credo che scriverò altri tre capitoli, tra cui uno di epilogo, e questa cosa mi ferisce e spero pure a voi. Adesso la finisco perché come sempre parlo troppo.
Ringrazio: Billie_GD, Ca_Wright, ChemicalAdri, chemical_love, Fede_cool, Giulia White, NikyMckagan e Sara_Smoke, che hanno smesso la mia storia tra le preferite, e li incitò a scrivermi anche solo papalate.
Ringrazio anche: Brain_Stew_, daco e _LISA_, che hanno messo la mia storia tra le ricordate, ed incito anche voi a scrivermi, perché mi piacerebbe tanto che vi facciate sentire.
Infine ringrazio: acator, Brain_Stew_, daco, elemeow, estar, FlooIdiot, LastOfTheItalianGirls, LostinStereo3, MartenFromCloud23, MaryJane_21, Rockstar Lux, slashell, Strix, supportlarrystylinson, The last thing I see, _Italian Idiot_ e _JesusOfSuburbia_ che hanno messo la mia storia tra le seguite e vi invito tutte a scrivermi, ad espormi le vostre idee, che siano cattive o no.
È stupendo vedere quante persone leggono la mia storia e sono davvero soddisfatta. Davvero. Vi ringrazio tutte, perché è solo grazie a voi che continuo ogni giorno di più a scrivere questa storia che purtroppo sta giungendo alla fine. Vi mando un grande bacio a tutti. Al prossimo aggiornamento.
What is her Name

 
 
  

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