The Stray

di D_Dya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** 1° Dubbi e ricordi ***
Capitolo 3: *** 2 ° Adii ***
Capitolo 4: *** 3° Un nuovo inizio ***
Capitolo 5: *** 4° Lo splendido sconosciuto ***
Capitolo 6: *** 5 ° Gocce di pianto ***
Capitolo 7: *** 7° Le lacrime di un angelo ***
Capitolo 8: *** 8° . Un sogno ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


The stray

RICORDO

Non lascio che neanche un singolo fantasma del ricordo
svanisca con le nuvole,
ed è la mia perenne consapevolezza del passato
che causa a volte il mio dolore.
ma se dovessi scegliere tra gioia e dolore,
non scambierei i dolori del mio cuore
con le gioie del mondo intero

 

Kahlil Gibran

 

 

Dopo tutto quel dolore che ho subito nella mia vita non mi aspettavo di trovare un briciolo di felicità e di tranquillità nella mia esistenza.

Ma i miracoli accadano anche nei momenti in cui non si hanno più speranze e la forza di andare avanti.

Mentre cominci a cadere lentamente verso il basso, verso la distruzione del proprio essere.

Nei pochi mesi ho ritrovato quello che avevo perso.

Me stessa.

Il peso che opprimeva il mio cuore è diventato più leggero. Non è scomparso. Mi impedisce ancora di respirare, ma ora credo di essere in grado di sopportarlo e di riuscire ad andare avanti.

Ormai sono diventata abbastanza forte da riuscire a camminare per strada con la testa alta e un dolore lancinante nel petto.


 

 

 

 

 


 

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Capitolo 2
*** 1° Dubbi e ricordi ***


É una cosa che ho scritto tanto tempo fa, ora ho deciso di pubblicarla. Spero che apprezzate questa storia perché fa parte di me, del mio cuore.

Anzi c'è il mio cuore dentro.

 

Mi scuso per eventuali errori.

 

Buona lettera. 

1 capitolo

Dubbi e ricordi

 

Nella mia camera risuonano le note dei Iron e Wine. Davanti ai occhi mi si presenta la tua immagine, ormai sfocata per troppe lacrime versate o magari perché e passato tropo tempo da quando ho visto il tuo viso.

Quei lineamenti cosi delicati e fragili che non si adicono per niente ad un ragazzo come te.

Ti sei sempre disprezzato. Sul tuo viso riuscivo a leggere l’odio che provavi verso se stesso, un sentimento che ti annientava giorno dopo giorno.

Eri diventato un ombra che cercava di scomparire in tutti i modi, usavi ogni mezzo in tua disposizione per annullarti completamente.

Credevi di essere la causa di tutti i mali, cercavi di prenderti le colpe dei altri, volevi scomparire da questo mondo ridotto in ceneri.

Odiavi questo mondo che giorno dopo giorno si avvicina alla rovina.

Ma non era colpa tua, non avrei mai immaginato che in questo mondo esistessi qualcuno che si odiava più di me. Eri una parte di me, la più umana, la più buona e dolce, anche se non te rendevi conto. Riuscivi a provare dei sentimenti anche con un cuore diventato nero per aver assorbito troppo dolore. Mentre io gli avevo chiusi dietro una porta, un altro dei miei assurdi sbagli.

Io scelgo sempre la porta sbagliata, anche se ho due possibilità, io opto per quella errata. La mia mente funziona in una maniera anormale, nemmeno io riesco a comprendermi del tutto.

Credevi che la tua vita non valesi niente. Pensavi di essere una persona che non doveva esistere, vacillavi nel buio proprio come me. Entrambi eravamo immersi in una nebbia grigia che ci confondeva il cuore e la mente.

Quando ti ho conosciuto eri indebolito, impaurito dei sentimenti che poteva provare il tuo cuore, eri diffidente con le persone che ti si cercavano di avvicinare.

Il tuo petto era pieno di dolore e rabbia.

Nei tuoi occhi vedevo riflessa la mia immagine, cosi debole e fragile. Questo mi faceva paura, ma il mio cuore voleva guarire il tuo. Anche se io stessa ero profondamente ferita.

Io sapevo che dentro di te nascondevi la tua vera personalità, non so come ma percepivo che noi due eravamo la stessa immagine riflessa nello specchio. Almeno in quel momento.

Mi respingevi, cercavi di starmi lontano il più possibile ma dall'altro lato provavi attrazione verso di me, non riuscivi a comprendere ciò che ti stava accadendo.

Eri spaventato proprio come me, non riuscivamo a spiegare l’attrazione, l’energia che ci spingeva uno contro l’altra.

Solamente che in quel istante non sapevamo amare. Avevamo dimenticato che cosa voleva dire desiderare la vicinanza di una persona.

Cercavamo di reprimere quel sentimento, ci aveva feriti talmente tante volte.

Quell'emozione cosi dolce e delicata la avevamo chiusa nel nostro lato più profondo e scuro. Cercavamo di cancellarla, dimenticarla. Eravamo lacerati non sapevamo come reagire.

Lentamente abbiamo ricominciato ad aprire il nostro cuore, a far uscire quel calore che tenevamo nascosto dentro di noi perché non avevamo nessuno a cui donarlo. Ci siamo avvicinati uno al altra, giorno dopo giorno abbiamo cominciato ad abbassare le nostre difese, ci siamo detti le nostre paure più nascoste, le nostre speranze, finché non ci siamo rese conto della semplicità con cui riuscivamo a svelare i veri noi stessi, la profonda amicizia si è trasformata in qualcosa di più forte di cui avevamo paura.

Entrambi sembravamo due gatti randagi che vagavano per la città senza metta.

Eravamo smarriti nel buio e pieni di tristezza.

Credevo che se sarei riuscita a salvarti dalla tua profonda solitudine, sarei riuscita ad alzarmi da terra anche io.

Sbagliavo.

Sono sprofondata nelle tenebre più oscure.

Ogni volta che mi sfioravi riuscivi a scaldare il mio cuore che credevo ormai addormentato da tempo.

Per tutta la vita mi sono arrangiata come potevo, ma in realtà non vivevo veramente.

Ero solamente addormentata.

Ero appassita.

Quando guardavo il sole non riuscivo a percepire il suo calore, era offuscato da una bruma gelida che penetrava nella mia pelle, congelava il mio sangue e le mie vene, mi impediva di vivere.

Ero sprofondata in un sogno invernale dal quale cercavo di uscire ma senza successo, non ne avevo le forze

Il tuo cuore ha ripreso a battere prima del mio. Sei riuscito a cambiare, ti sei salvato con le notte che scrivevi nei tuoi quaderni neri, io non mi sono accolta di niente. Hai miei occhi apparivi come lo stesso ragazzo, ma dentro di me percepivo i tuoi cambiamenti, lo percepivo anche nei tuoi sguardi. Un tempo cosi cupi, erano diventati caldi e vivaci.

Senza renderti conto hai imparato ad amare e mi hai trascinato in un mondo che non credevo di poter raggiungere.

Un mondo personale pieno di luce che cercavi di proteggere.

Mi piaceva quella sensazione che i tuoi raggi luminosi avevano su di me, lentamente cominciavo a respirare, a camminare e riscoprire me stessa.

Eri diventato il mio faro personale, starti lontano era una tortura che non riuscivo a sopportare. Alcune volte questa lontananza da te mi provocava un dolore dentro più grande delle ferite che avevo già subito. Durante la notte soffrivo e pregavo di poterti rivede il giorno dopo ma alcune volte mi rendevo conto di non riuscire a raggiungerti.

Lo sapevo.

Lo sentivo.

Ormai non eri più mio.

Appartenevi a un mondo completamente differente.

In quei momenti mi rendevo conto di non essere perfetta.

Volevo rinascere per te, per ricominciare a vivere, a percepire di nuovo il vento caldo sulla mia pelle che mi sembrava solamente una dolce carezza.

Ho commesso uno sbaglio enorme.

Ho dato retta a quello che vedevo. Mi pento per quello che ho fatto. Ora sto soffrendo ancora di più perché per la mia stupidaggine ho perso la cosa più importante.

La mia aria.

Te

Avevamo un legame che solamente gli angeli potevano distruggere. Quelle magnifiche creature dalle enormi ali candide che brillano ai raggi del sole con una luce divina. Ho sempre creduto che tu fossi uno di loro, con quei occhi neri e profondi, la pelle nivea e delicata. Le tue ali erano invisibili agli occhi altrui, ma io ero in grado di vederli. Due enormi ali diventate nere per il troppo supplizio e solitudine, tenute piegate dietro la schiena.

Sei volato lontano da me, per colpa mia.

Anche oggi io vivo di te, di ogni tuo respiro.

Canticchio “american mouth big pill looming “. Perché ho collegato questa canzone proprio a te? Ormai tutto quello che ascolto mi ricorda te.

Chi sa che cosa stai facendo in questo momento?

Se qualcuno mi chiede se mi sono pentita di essere stata con te, può suonare strano ma la mia risposta sarà, no.

Infondo eri davvero in grado di capirmi e anche se mi hai fatto soffrire, non potrei mai pentirmi per qualcosa di bello che mi ha svegliato dal buio.

In tutti questi anni mi sono sempre chiesta cosa mi mancava, ora lo so. La parte che mancava per completarmi era un sogno, un desiderio da realizzare attraversando mille ostacoli.

Adesso ne ho due.

 

*

Trasferirmi ?” è stato ciò che ho pronunciato nel giorno del mio diciassettesimo compleanno.

In pochi secondi nella mia mente vidi tutto quello che mi vene in mente, tutto quello che mi stavo per lasciare alle spalle, ma anche quello che stavo per perdere.

Fino a quel età ho vissuto praticamente come un gatto randagio. Prima del divorzio dei miei con miei nonni materni, dopo il divorzio con mio nonno paterno, in un periodo successivo con mia nonna paterna. Sono praticamente vissuta senza genitori visto che mio caro paparino si è creato un’altra famiglia, mia madre cercava di sfamarmi per ciò alcune volte lavorava anche fino alle nove di sera e io non la vedevo praticamente mai.

Una parte di me voleva lasciare quel luogo che opprimeva il mio cuore, cancellare tutti i miei tormenti, tutti i ricordi che mi perseguitano come fantasmi.

Dal giorno del abbandono da parte di mio padre ho vagabondato per la città per molto tempo, ogni angolo mi ricordava qualcosa di lui. Alcune volte volevo avere degli ali per alzarmi in cielo e volare via da quella città. Ma ora che ne avevo la possibilità di abbandonare quel posto, senti una fitta profonda nel cuore. Per molto tempo mi sono dovuta arrangiare da sola.

Ho vissuto per quasi tutto il tempo con mia nonna paterna per la quale non andavo proprio matta, la persona che adoravo più in assoluto era mio nonno materno. Sono sua unica nipote femmina quindi sonno sempre stata coccolata, alcune volte anche troppo ma mi piaceva l’idea di poter contare su un adulto quando ero in difficoltà. Adoravo trascorrere del tempo con lui, avevamo la stessa mentalità, le stesse idee. Quando parlavo con lui sapevo che non mi avrebbe mai giudicata, mi avrebbe sempre appoggiata anche se stavo per sbagliare. Naturalmente non lo potevo vedere tutti i giorni perché lui abitava in campagna e io in città, era un po’ complicato incontrarci, per di più nonno aveva una fattoria da mandare aventi e un paio di campi di cui occuparsi. Ma lo adoravo, era l’unica persona di tutta la famiglia ed essere coerente e trovava sempre il tempo di ascoltarti anche durante il periodo del raccolto in cui c‘era molto da fare.

Ma nella vita c’era un’altra persona di cui non potevo fare a meno. La mia “piccola sorellina”, una ragazza dolcissima con un grande cuore. Il tempo che passavo in sua compagnia era oro liquido. Le ore con lei volavano come sabbia al vento, non mi stancavo mai di ascoltarla. Mi sono sempre domandata come mai una ragazza come lei riuscisse ad accettare le mie stranezze.

Kristina appariva in momenti inaspettati, era come un dolce gattino che percepiva quando stavo male che riusciva a guarire ogni male solamente con la sua presenza.

Se in quel periodo non avessi avuto un amica pronta ed ascoltarmi, consolarmi, fare le pazzie insieme a me, sicuramente non avrei sopportato i vari lavori che mi assegnava mia nonna e quella strega di mia zia.

Gli unici momenti in cui potevo sfogarmi erano le ore che trascorrevo con Kristina, la trascinavo con me ad esplorare le case abbandonate, ogni sabato andavo a dormire da lei e ci raccontavamo ultimi pettegolezzi. In verità era lei quella che mi metteva al corrente di ogni cosa. Anche se eravamo di religioni differenti questo non creava nessun contrasto fra di noi, anche i suoi genitori mi trattavano bene, adoravo scappare dai miei problemi per dimenticarli in quella casa in cui non venivo mai giudicata o sgridata.

Kristina era diversissima da me, per prima cosa era più piccola di un anno, era vivace e sapeva farti ridere anche nei momenti in cui volevi piangere al dirotto.

Io in quel epoca ero molto chiusa, anzi mi aprivo raramente con le persone, ogni sgridata provocava in me una reazione al quanto bizzarra, andavo in crisi, scappavo e cominciavo a piangere. Questo succedeva solamente quando ero a casa, che per me era un inferno personale che sorgeva sulla superficie della terra è non sotto.

L’unico posto dove potevo essere me stessa era la scuola. Non mi facevo mettere i piedi in testa da nessuno.

Visto che Kristy era più piccola veniva presa in giro dai ragazzi più grandi, era difficile sopravvivere in un ambiente in cui c’erano i ragazzi di classi superiori, medie e elementari. Era un incubo.

Kristy non si era ancora abituata alla vita scolastica che significava tenere la testa alta tutto il tempo e non far vedere che sei debole, speso “la mia piccola sorellina” veniva presa di mira.

Pero quando i ragazzi più grandi si sono resi conto che eravamo amiche, non osarono più toccarla, chi poteva mettere le mani sulla amica della figlia di un poco di buono come mio padre. Non ero certo una tempista, no per niente, quando in classe si faceva bacano io preferivo rimanere al mio posto andando avanti con il programma o solamente disegnando. Trovavo irritante quei stupidi a rincorressi per l’aula cose fossero in calore, lo trovavo primitivo. Preferivo il silenzio dei libri.

Adoravo fare tre cose, leggere, disegnare e cantare. Nell'ultima sono un disastro quindi cercavo di evitare, ma comunque portavo la musica con me da tutte le parti, era la mia droga del epoca per la quale ho ancora una certa dipendenza.

Per il mio diciassettesimo compleanno mia madre torno, tutta felice dicendo che aveva trovato un lavoro migliore di quello che aveva, certo ma chi voleva lavorare in una fabbrica di mobili, non lei che era dolce, fragile e molto ingenua per la sua età. Ma le volevo bene solamente perché non mi aveva abbandonato come aveva fatto quel bastardo del mio genitore, non so neanche se posso chiamarlo padre, non credo perché ormai per me e morto e sepolto sotto mille ricordi dolorosi.

Tra cui una frase che voglio cancellare ma fino a questo momento non sono riuscita. Allora scegli quella mocciosa è non me che sono tuo figlio. che razza di padre ho non me lo chiedetelo, perché per me è solamente un estraneo che tortura sia me che mia madre. Ci ha tolto tutto quello che avevamo, soldi, ha venduto persino il terreno su cui volevamo costruire una casa, quel “essere” ama solamente i soldi, non sa cosa significhi provare affetto per le persone.

Un tempo desideravo che ritornasse. Volevo ricostruire quella famiglia che era andata in catafascio, non so perché ma mi sentivo responsabile. Credevo di essere la rovina della mia famiglia, volevo rimediare. Ma non sapevo come fare.

Mi resi conto che era impossibile solamente al mio decimo compleanno.

Mio padre doveva venire a trovarmi, non vedevo l’ora forse sarei riuscita a rimediare a tutto quello che era successo con la mamma. Pero stavo commettendo un altro sbaglio. Ormai non c’era niente da fare. Mio padre aveva un’altra famiglia, un’altra moglie e un’altra figlia.

Da quel estate cominciai a vestirmi di nero.

Quando sono entrati in casa mi sembro di sprofondare in un incubo irreale. Ho cercato di fingere. Per tutto l’estate ho ricettato la parte della brava figlia che era felice di avere una sorella minore e di rivedere mio padre. Ero convinta che mio padre avesse voglia di passare del tempo con me, un altra illusione. Trascorreva tutto il tempo con mia sorella.

Io rimanevo in disparte a guardare, mentre il mio cuore moriva lentamente. Ormai dentro di me non c’era neanche un organo senza una cicatrice. La più profonda pulsa ancora, non so come farla smettere. Non riuscivo a percepire i battiti del mio cuore mal ridotto. Stavo soffrendo in silenzio.

Ma la cosa che non riuscivo a capire era come mai mio padre si era fatto fregare da una come Natasha. Era un mistero.

Era una donna veramente odiosa. Si credeva una principessa, ma non aveva niente a che vedere con la raffinatezza. Incarnava la volgarità in persona. Beveva, fumava. Trascorreva tutta la giornata in giardino.

La prima volta in cui l’ho vista cucinare, cercavo di mantenere le risate. Io al epoca ero una bambina ma sapevo molto meglio di lei come si puliva una carota o come si pelava una patata.

Nelle sue mani diventavano qualcosa di disgustoso.

Sembrava che era la prima volta che vedeva dei ortaggi.

Ancora oggi mi domando come mai quel uomo ha sposato quella dona che non è in grado di occuparsi nemmeno della propria casa.

Mentre mia madre parlava del suo lavoro da traduttrice per il quale dovevamo lasciare quella città sperduta in Ucraina per Milano la capitale della moda, nella mia mente stavo ripensando a tutto quello che stavo per dimenticare e perdere.

Kristy la mia migliore amica-sorella. Cosi dolce è ingenua pronta a cacciarsi nei guai. Miei cugini cosi dispettosi e casinisti da far saltare i nervi a chiunque. Mio nonno, un uomo ormai anziano che doveva lavorare i campi.

Potevo andarmene cosi, lasciando tutti i miei affetti e le mie disgrazie?

Da un lato volevo fuggire da miei problemi, dimenticare tutto. Ma ero consapevole che era impossibile. Le mie ombre mi avrebbero perseguitata anche al inferno. Era il mio distino soffrire al infinito. Dal ’altro lato volevo rimanere perché sapevo che solamente in quel modo sarei riuscita a superare tutte le mie paure e le debolezze che crescevano dentro di me giorno dopo giorno. Ogni giorno mi svegliavo e pregavo che fosse migliore di quello precedente, ma era sempre peggio. Ho smesso di credere in Dio da molto tempo, se esisteva veramente come poteva farmi subire delle torture cosi doloranti. Il mio cuore non riusciva più a sopportare niente. Lo avevo chiuso dentro una gabbia con le sbarre di ferro.

Che cosa potevo fare ?

Non potevo certo abbandonare mia madre. Infinitamente tenera e dolce.

Una parte di me, quale di preciso non lo so, voleva partire al più presto e lasciarsi tutto alle spalle, raggiungere un posto dove nessuno mi conosceva e sapeva la mia storia. Ricominciare a sognare, a respirare in una città senza alcun ricordo. Volevo riscrivere la mia storia. Almeno sarei riuscita a essere me stessa senza avere paura del mio passato.

Questi pensieri mi tormentavano.  








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Capitolo 3
*** 2 ° Adii ***


Ecco un nuovo capitolo di questa mia storia gente. Spero tanto che vi piaccia, aspetto la vostre recensioni, positive e negative.

Vi lascio alla lettura di questo capitolo, quando l'ho riletto ho pianto parecchio.

Mi scuso per eventuali errori.

 

Buona lettura.

 

D_Dya

2 capitolo

Addii

 

Mi sembrava di avere nella testa uno sciame d'api .

Mia madre ormai era indaffarata a preparare le cose per la partenza. Capii che non era il caso di obiettate, ma rinunciare per una volta a qualcosa per mia madre. Lei lo farebbe per me.

Lo faceva di continuo, non potevo lasciarla partire da sola. Ero tutto per lei, quando ha scoperto che mio padre la tradiva è rimasta paralizzata, ha reagito solamente perché aveva me da crescere.

Alcune volte mi sentivo in colpa per averle procurato una vita come quella che stava vivendo. Odiavo vederla stare male. Anche se non lo dava a vedere, alcune volte piangeva di nascosto per non farmi preoccupare, io mi accorgevo sempre che c’era qualcosa che non andava ma evitavo di parlare con lei. Sapevo se le avrei fatto vedere che ero in pensiero per lei avrei solamente peggiorato le cose, l' avrei resa più nervosa.

Per messi dopo che ha scoperto il tradimento di mio padre ha pianto durante la notte per non farsi vedere da me.

Detestavo quella situazione, non riuscivo a reggere quel clima che regnava in casa. Mia nonna paterna che accusava con silenzi e le occhiate mia madre perché lo ha dovuto cacciare.

Quella donna non era una santa pero, per niente il nonno ha divorziato da lei. Il motivo era semplice.

Tradimento.

Alcune volte mi sembrava che questa famiglia era maledetta, nessuno era destinato ad essere felice. Ormai avevo perso la speranza anche io di trovare qualcuno che potesse comprendermi pienamente.

Mentre le ragazze della mia età stavano in giro fino al mattino io mi rifugiavo nel mio posto preferito.

Un albero di ciliegio. I rami erano molto intricati. Per raggiungere la cima dovevi essere un abile arrampicatore o magro da far paura, ciò che ero io.

Magra come uno scheletro.

Era uno scherzo raggiungere la cima. Mi sdraiavo sul ramo e guardavo le stelle, nessuno riusciva a scorgermi perché le foglie mi nascondevano.

In quel momento avevo un impulso di andarci e di nascondermi nella oscurità, ma mi aspettava un altro compito.

I miei piedi percorrevano da sole una strada che conoscevo ormai tropo bene, quante volte mi ero diretta verso quello casa di colore giallo come l’umore di quella famiglia che viveva li, sempre soleggiato e sorridente.

La luna splendeva nel cielo come un faro, mi segnava la strada, sembrava che voleva proteggermi.

Mi arrampicai sulle grondaie, era la mia abitudine, ormai erano le undici non potevo certamente suonare il campanello a quel ora, ero sempre a zonzo in quella casa ma a tutto c’era un limite.

Riuscì a raggiungere il balcone di Kristy, era aperto, tanto per cambiare. Sembravo un ladro.

Se qualcuno mi vedeva? Non dovevo pensarci.

Kris, dormi?” niente, silenzio assoluto.

Cavolo, quando dormi non senti neanche le cannonate, figurati qualcuno che si arrampica nella tua stanza.” Mi avvicinai cercando di non fare rumore, nel buio vedevo senza alcune difficoltà, era il mio “elemento naturale”.

Kristina era sdraiata sul letto, dormiva solamente con una leggerissima camicia da notte, era la fine del agosto ma faceva ancora caldo, i capelli neri ricci della mia amica erano sparsi sul cuscino e la luna piena gli illuminava dalla finestra.

Kristy”,alzati.” cercai di svegliala scuotendola per le spalle.

Ho sono … torna domani alle undici.” disse sbadigliando.

Era il suo solito, non so dire chi di noi due era la più dormigliona.

Ti ho portato Angel “ lo so mi sono sentita crudele in quel momento, Angel era uno dei protagonisti di Baffy, lei lo guardava solamente perché c’era Angel, adoravo la mia amica anche perché guardava quelle schifezze insieme a me e non faceva mai vedere che aveva paura. Solamente lei riusciva reggere le mie fissazioni, non so come riusciva a farlo.

Cosa?! Dov’è? Cacchio! Didi”

Zitta, vuoi svegliare i tuoi, se scoprono che mi arrampico di notte per parlarti dubito che vorranno vedermi ancora, quindi chiudi quella ciabatta e ascoltami.”

Dimmi”mentre Kristy pronunciava queste parole si girava dal altra parte. Si capiva perfettamente che era seccata. Pero dovevo dirle che mi trasferivo. Cercai di parlare ma dalla mio bocca non usci nessun suono. Alla fine riuscì a pronunciare con una voce flebile:

Kristy, mi trasferisco a Milano” mentre dalla mia bocca sgorgarono queste parole sentivo che ormai non potevo farci niente di che, dovevo rassegnarmi. Non volevo cancellare il sorriso dalle labbra di mia madre ora che lo ha ritrovato però non volevo lasciare la mia unica amica. Come avrei fatto senza di lei. Dentro di me percepì un calore che mi saliva lentamente verso la gola. Dovevo evitare di cedere davanti a lei, per una volta non volevo che mi vedessi piangere.

La mia amica si tiro e sedere e mi guardo con gli occhi spalancati. Quei occhini marroni, teneramente caldi vacillavano per un attimo. Tornarono subito seri.

Ben svegliata”

Guarda che non è il momento delle ironie”

Almeno posso permettermi di fare battute”

Quando parti?”

Non sapevo come dirlo, come potevo farlo, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme non potevo lasciarla cosi senza dirle niente, mi si stringeva il cuore, era la mia migliore amica, la mia sola amica, unica persona che accettava le mie stranezze senza criticarle. Era “la mia sorellina minore”

Alla fine riuscì a pronunciare la parola che tenevo cosi tanto.

Domani”

Cosi presto?” che potevo dirle, ormai non sapevo se potevo tornare nel mio paese che amavo e odiavo nello stesso tempo. Se pronunciavo un’altra parola scoppiavo a piangere. Guardavo quei occhioni da bambina di un bel marrone.

Lo sapevo, che prima o poi te ne sarei andata via. Questo paese non è per te, hai dei sogni da realizzare, non li hai ancora trovati, ma lo so diventerai una grande, per me già lo sei.”

Acci … per la prima volta Kristina ha dimostrato di avere una saggezza e una maturità che io non pensavo che avesse, tutto ciò io ho acquisito con tutti i miei problemi e i miei guai. Ora ne ero certa, Kristy era in grado di cavarsela anche senza di me. Era abbastanza forte da resistere contro quei stupidi che la tormentavano.

Senti il mio viso bagnato, chi sa perché?

La mia sorellina mi abbraccio forte, chi sa da dove veniva tutta quella forza.

Almeno per lei potevo stare tranquilla. Mi sarebbe mancata moltissimo.

Lei senza di me si sarebbe cavata.

Ma io, sarei riuscita a farcela?

A superare anche questa avversità?

Sarei riuscita a camminare d’ora in avanti da sola?

Non né ero certa del tutto.

L’unica cosa che mi consolava è che potevo ricominciare tutto da capo.

Mentre percorrevo la strada vidi avvicinarsi una figura. Quella camminata da duro poteva avere solamente una persona. Se mi avesse visto piangere sarebbe andato da Kristy a spolmonarsi come un matto, ci avrei scommesso.

Didi?” si era lui, un tempo sentire la sua voce era cosi confortante, ma per quale motivo ormai provavo solamente indifferenza nei suoi confronti, forse perché mi sono accorta che è un inebetito che pensava solamente a divertirsi.

Che cacchio vuoi da me?” ero ancora incazzata con lui, si è messo con la sgualdrina della scuola.

Che oddio.

Posso sapere che fai in giro a sta ora? Non è da te .” ecco ancora quella voce che un tempo mi tranquillizzava, ipnotizzava, ora mi provocava un certo disagio e fastidio ascoltarla.

Sono andata a salutare Kristy, domani parto”

Parti? Dove vai di bello?”

Mi trasferisco”

Silenzio di tomba.

Per un istante mi parve stupefatto ma poi torno composto.

Allora ciao.”

Colpo basso, molto basso.

Va bene, era il fratello maggiore della mia migliore amica ma aveva la sensibilità di un elefante.

Non ci credevo alle mie orecchie, era vero quello che sentivo, non gli fregava niente di me. Io che gli morivo dietro, va be che ora non mi interessava, pero che cavolo ero la migliore amica di sua sorella .

Idiota. È l’unica cosa che sai dire? Ti sono stata dietro un anno intero, non ti ha fregato. Hai visto solamente le tette di quella dannata oca vero! Dannazione non so quando porto tornare qui e tu dici solamente “allora ciao”. Sai che ti dico, via a quel paese. “

Mentre mi voltavo senti qualcuno stringermi il braccio. Ivan mi fece voltare verso di se. Cavolo! Che voleva fare?

Il suo viso, non ci credo, non riuscì a capire se era un sogno o un incubo.

Le labbra di Ivan si posarono sulle mie, per la sorpresa mi dimenticai persino di chiudere gli occhi. Cavolo!

Certo il suo bacio è stato appassionante, pero maledizione avevo la saliva su tutto il viso, devo dire che era veramente disgustoso, sembrava una cane che moriva dietro a una bistecca .

Non potevo credere che avevo aspettato un anno per essere baciata in quel modo. Non avevo provato niente, chi sa perché, forse perché ero incavolata, forse perché ormai non mi piaceva più. In quel momento lo trovato veramente disgustoso.

Ora non poi dire che non ti ho prestato attenzione”

Cafone, me no male che non ti devo più sopportare. Sei solamente un idiota”

Deciditi che cavolo vuoi, sei una di quelle interne indecise.”

Mi stava facendo incavolare.

Se tu non fossi il fratello di Kristy, ti avrei già spaccato la faccia”

Che pau..” non riuscì neanche a finire la sua provocazione che il mio pugno aveva già colpito il suo occhio sinistro.

Questo ti farà ricordare di me. ”

Mentre mi giravo mi sentivo bene, non avevo più niente a che fare con un idiota che pensava solamente a una cosa, menomale che lo avevo capito.

Mi sa che quel tonto è stato adottato, era praticamente impossibile che fosse il fratello di Kristina.

Erano cosi diversi, fisicamente e caratterialmente. Lei era di statura media, capelli neri e ricci, occhi nocciola e una carnagione leggermente olivastra. Una ragazza di bel aspetto e di buon carattere.

Mentre suo fratello era un maiale con in paio di gambe. Fisicamente era bello, sembrava un modello. Occhi verdi, capelli biondi, fisico da atleta.

Ora che mi ero aperta gli occhi non riuscivo a capire che ci trovavo in lui. Va be che era bello ma aveva un caratteraccio a dir poco insopportabile. Odioso, arrogante e pieno di se.

Il vento della sera mi soffiava tra i capelli.

Amavo quella sensazione.

Yoite, in giapponese è la parola che corrisponde al “vento della sera”.

Mentre il vento della sera mi accarezzava la mia lunga chioma di capelli biondi che ormai avevano perso la loro lucentezza ed erano diventati di un colore castano.

Mi sentivo insicura, debole e fragile.

 




















 

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Capitolo 4
*** 3° Un nuovo inizio ***


Caio! Visto che ho del tempo libero ho pensato di aggiornare la mia storia. Questa storia è molto importante per me e vi prego di farmi sapere che ne pensate, nel caso in cui avete dei suggerimenti da darmi per migliorare o per farmi delle critiche  (mi fanno piacere anche quelli) mandate un commento.

Ho bisogno di sapere che ne pensate.

Un grazie a Kaleido che ha messo questa storia tra le seguite.

Mi scuso per eventuali errori, nel caso in cui ci sono comunicateli provvederò alla correzione.

Buona lettura!

D_Dya
 

3 capitolo

Un nuovo inizio

 

Tristezza. Non credevo di provare ancora questo sentimento, avevo cercato di seppellirlo nelle profondità del mio cuore. Dentro di me percepivo una strana sensazione come un leggero bruciore che cresceva intensamente e raggiungeva la mia gola, dove si trasformava in fuoco.

Volevo gridare.

Questa oppressione avevo percepita quando mio padre se ne era andato via.

Ancora, non volevo ricordare quella iena di mio genitore.

Volevo cancellare quel essere dalla mia memoria.

Volevo dimenticare.

Volevo solamente che il suo viso sparisse dalla mia testa.

Ricominciare a vivere. Volevo avere un nuovo cuore cosi potevo dimenticare il dolore che mi travolge ogni giorno come una onda.

Dimenticare il dolore che mi portavo dentro, che desideravo lasciare nel paese che stavo lasciando alle spalle, pero mi portavo dentro il cuore anche un pizzico di dolcezza che non dimenticherò tanto facilmente.

L’ affabilità di Kristy, mio nonno, e quei due dei casinisti dei miei cugini.

Mi stavo comportando da gran vigliacca, scappavo da me stessa, dalle mie paure. Non volevo essere ferita, non volevo provare ancora una volta il dolore che provai da piccola.

Non volevo sentirmi più sola e abbandonata.

Era inevitabile pero, nessuna riusciva a capire il mio carattere, la vera me stessa. Nemmeno le poche persone che provavano affetto nei miei confronti.

Sapevo perfettamente che nella vita sarei stata sola. Non potevo trovare qualcuno che provasse il mio dolore o che lo comprendesse. Le storie d’amore scritte con inchiostro nero erano estremamente rare. Una ragazza come me non poteva viverne una.

Era una illusione.

Chi vorrebbe una ragazza fissata con il paranormale, leggende antiche e misteri ancora irrisolti dai archeologi e che parlava di Giappone ?

Cercavo di concentrarmi sul paesaggio, un mare di nuvole. Era l’unica cosa che riuscivo a vedere dal aereo.

Confusione.

Dentro di me regnava la confusione.

Volevo o no lasciarmi tutto alle spalle? Ricominciare tutto da capo dove nessuno conosceva la mia storia?

Da un canto si, ma da un altro volevo tornare indietro, improvvisamente nella mia mente rividi l’immagine del volto di Ivan.

Scassi la testa, dannazione perché poi mi torna in mente quel idiota, non ci volevo pensare. Di tutte le persone che potevo ricordare rividi il viso di quel presuntuoso idiota che sembrava un babbuino con i pantaloni. Pero sentivo ancora le mie labbra sulle mie, che schifezza!

Senti mia madre stringermi la mano, uff.. ecco arriva una predica o un discorso di consolazione.

Non ce ne bisogno. So già che stai per dirmi. Non serve sto bene, davvero, no problem. So che lo fai anche per me, vuoi che io abbia una vita migliore e una opportunità in più.”

Senti le labbra di mia madre poggiarsi sui miei capelli.

Non volevo che si sentisse in colpa per avermi portato via, non era giusto che rinunciasse alla vita solamente per farmi crescere bene come desiderava lei.

Volevo bene a mia mamma, quella donna infinitamente fragile che cercava di nascondere la sua debolezza.

Pero non avevamo molto dialogo, forse è meglio cosi, è meglio evitare litigi inutili e incomprensioni.

Io mi sarei data da fare, ovviamente. La mia unica salvezza era la musica. Dovevo trovarmi un modo per distrarmi dalla tristezza che mi invadeva.

Dopo due ore è mezzo di volo atterrammo al aeroporto di Malpensa alle due di pomeriggio.

Era il ventiquattro agosto, il mio primo giorno da diciassettenne

Stupendo!

L’unica cosa buona di tutta questa storia era che conoscevo la lingua, durante gli ultimi quattro mesi mia madre mi ha insegnato a parlare in italiano. Mi chiedevo il motivo di volermi insegnate quella lingua, visto la grande gamma di lingue che conosceva visto che aveva il diploma da traduttrice. Pero doveva lavorare in quella schifo di fabbrica di mobili per sfamarmi almeno in qualche modo.

Non feci attenzione nemmeno dove mi trascinava mia madre, mi guardavano tutti. Era una cosa naturale. Ero bianca come il latte, capelli lunghi di un biondo cenere che mi arrivavano fino al didietro, occhi verdi, di un verde intenso come quelli di un gatto siamese . La cosa bella è che ero vestita di nero. Portavo pantaloni neri strettissimi e una camicia di setta. Devo dire che il mio fisico è il mio modo di vestire provocavano uno strano effetto. Sembravo un vampiro in carne e ossa.

In più avevano le occhiaie, se Kristy mi vedeva in quel momento si sarebbe beccata una strizza da rizzarle i capelli sulla nuca.

Mi divertiva vestirmi in quella maniera, mi piaceva, il bello che anche mia madre si vestiva sempre di nero. Mi divertiva questa nostra caratteristica, a parte che ero la sua copia in miniatura.

Mentre salivo in taxi dietro a mia madre, percepì uno sguardo fisso sulla mia schiena. Stavo per dire qualcosa di brusco, ma mi bloccai mentre mi voltavo.

Seguendo la mia sensazione, da alcuni definita anormale, vidi due occhi neri che mi osservarono, neri e profondi, mi veniva la voglia di sprofondare dentro.

Notai anche una tristezza, rabbia, isolamento e non ci credevo anche comprensione dentro di essi.

Comprensione per un “essere anormale” come me?

Oppure quei occhi avevano decifrato il profondo tormento che regnava dentro di me solamente guardandomi ?

Non riuscivo a spiegarlo. Avevo la pelle d’oca, lungo la schiena percepì qualcosa di freddo che percosse tutto il mio corpo.

Ero stordita.

L’unica persona sana di mente al di fuori dei miei parenti che provava qualcosa per me era Kristina.

Spostai il mio sguardo sul suo viso.

L’unica cosa che riuscì a pensare era solamente ACIDENTI.

La sua carnagione era pallida, persino più pallida della mia. I lineamenti del viso erano delicati ma trasmettevano una forza smisurata.

Senti chiamarlo per nome.

Luca! Ti sei imbambolato!” la voce proveniva dietro di me, pero non riuscì a straccare gli occhi da quel ragazzo.

I sui capelli arrivavano fino alle spalle erano corvini, mentre gli sistemava mi ricordarono le piume di un corvo per via delle sfumature bluastre.

Tornai in me solamente quando mia madre mi trascino in macchina.

Porca miseria sembravo una zoccola, non riuscivo a credere.

Era la prima volta che mi capitava di fissare un ragazzo in modo talmente assurdo.

A parte quando avevo la cotta per Ivan. Ma quello era diverso, dopo due settimane mi era passata perché mi ero resa conto di quanto era tonto.

Pero la deferenza tra i due è enorme. “Lo splendido sconosciuto” sembra un dio greco sceso sulla terra. Ivan di fronte a lui assomiglia a un lombrico biondo con qualche muscolo.

Per la miseria!

Notai il viso di mia madre. Era lateralmente sconvolta. Fino a quel momento non mi aveva mai visto fissare un ragazzo. Quel sguardo accusatore mi faceva sentire in colpa, mi pareva di essere un ladra. Pero non poteva mica pretendere che io andassi da quel ragazzo e dicessi:

Scusa se ti ho fissato come una deficiente ma ragazzi belli come te non dovrebbero esistere.”

Ora che ci pensavo mia madre non sapeva nulla di me, l’unica che mi ha vista combattere contro i miei ormoni è “la mia sorellina”.

Mi ero imbambolata in quella maniera solamente una volta che mi ricordi, quando guardavo Baffy, non volevo straccare gli occhi da Angel, quel attore era troppo bello.

Pero “lo splendido sconosciuto” lo superava di gran lunga.

Per sfuggire alle occhiate di mia madre chiusi gli occhi e cercai a ricordare “il dio greco” .

Sono proprio una disgraziata!

Non ho fato caso come era vestito, che tonta. In quel momento mi è venuta voglia di tirarmi qualcosa in testa.

Va bene, si può rimediare basta ritornare a quel momento con i pensieri. Un respiro profondo.

Cercai di concentrarmi in modo più assoluto.

Portava una camicia bianca, bene, non ero unica idiota ad indossare una camicia con trentacinque gradi di caldo. Poi… poi … portava jeans neri un po’ sbiaditi attillati e delle convers neri.

Accipicchia!

Aveva gusto il ragazzo.

 

La mia attrazione per quel ragazzo superava ogni limite è stata la mia benedizione e la mia rovina allo stesso tempo. 


 

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Capitolo 5
*** 4° Lo splendido sconosciuto ***


4 capitolo

Lo splendido sconosciuto”

 

Non ho fatto nemmeno intenzione durante il percorso verso il mio nuovo appartamento o casa non ho sentito, anzi non ho ascoltato le ciarlate di mia madre.

La solita tonta.

Come diamine facevo se dovevo uscire ?

Raggiungemmo un quartiere tranquillo caratterizzato da piccole villette di due piani, pero notai anche dei edifici costituiti da più piani.

Mentre scendevo dal taxi cercai di osservare la struttura della casa. Non era niente male, poi era una piccola villetta con giardino, già mi cominciava a piacere qual strano posto. La casa era a due piani, di un colore un po’ diciamolo non in mio stile, era un verde bottiglia sbiadito.

Devo ammettere che quella casa mi ispirava anche se il colore faceva schifo. Mentre mia madre apriva il cancello sulla via apparve una macchina nera lucente. Sembrava appena comprata. Urca! Era una Mercedes.

Si fermo vicino alla casa a destra della nostra.

Rimasi paralizzata. Dalla macchina usciva il ragazzo del aeroporto. Non riuscivo a captare la fortuna che mi capitava.

Mentre rimanevo di nuovo bloccata dalla sua occhiata mi squillò il telefono.

Chi diamine mi rompeva?

Pronto!” cercai di parlare in maniera più brusca e sprezzante.

To‘.. Ancora incazzata per ieri, guarda che era un bacetto innocente”

Non credevo alle mie orecchie. Quel disgraziato mi rovinava la panoramica. Stavo per tirare il telefono contro il muro.

Il “dio greco” continuava a fissarmi, sembrava divertito, mi faceva piacere che avevo fatto una figura del cacchio un’altra volta.

Posso sapere che ti piglia?” la mia voce diviene velenosa.

Offesa, mi fa piacere..” me no male che non riuscì a finire la frase. Senti solamente un rumore che mi ricordava uno scappellotto. In un altro caso mi sarei trasformata in Supergirl e sarei volata a tirare un cazzotto sul naso a quel demente.

Didi?”

Kristy”

Wei… come va li a Milano?” tropo contenta, quando faceva cosi cercava di mascherare la sua tristezza. Mi dispiaceva sentirla cosi, il mio cuore stava cedendo, non volevo provocare la sofferenza a qualcuno come aveva fatto mio padre.

Bene, almeno fin ora”

É successo qualcosa di interessante?”

Ero indecisa se raccontare la storia del “dio greco” per il momento preferì evitare, chi sa cosa avrebbe pensato, niente di buono sicuramente. Non volevo dimostrarmi insensibile nei confronti della mia migliore amica e che pensasse che mi ero dimenticata già di lei.

Se le davo la sensazione che mi stavo già dimenticando di lei sicuramente mi avrebbe odiato.

No”. Una risposta semplice bastava per il momento. Le avrei raccontato tutto in un altro momento. Non era giusto nei confronti di Kristy, non volevo perdere la nostra amicizia, sorellanza.

Intanto che entravo in casa e facevo conoscenza con l’ambiente descrivevo tutto alla mia amica al telefono e lei ascoltava, alcune volte interveniva.

Le stanze erano ampie, il salotto era veramente gigantesco, al piano terra, c’era solamente la cucina, il salotto, e la cantina dove mia madre aveva piazzato la lavatrice. Dicono che io sono strana.

Mia madre allora, dedicare un intera camera alla lavatrice.

I mobili erano tutti coperti con dei lenzuoli bianchi. Pero mi immaginavo già che razza di mostri potevo trovare sotto. Sicuramente mobili antichi, probabilmente del epoca vittoriana. In quel momento pregavo solamente dio non che io sia religiosa, ma volevo evitare di avere una camera di una principessa delle favole, non ero mica una bambina che aveva il bisogno di essere viziata.

Risalivo le scale che portavano al piano superiore, mentre mia madre toglievo le lenzuola dai pezzi dell’arredamento.

Ricordai le scemenze che io e Kristy facevamo alcuni anni fa, andavamo in giro per il quartiere e esploravamo le case in costruzione o pure appena costruite. Era divertente, poi io mi divertivo un sacco, ogni volta facevo prendere un colpo alla mia amica che strillava come una matta, mi sorprende che è rimasta mia amica per cosi tanto tempo.

Non dovevo farmi prendere dalla nostalgia, dovevo essere forte. Resistere come aveva fotto per tutti questi anni.

Raggiunsi la stanza in fondo al corridoio e apri la porta, rimasi senza parole, sembrava la stanza fatta a posta per me.

Le pareti erano bianche, l’armadio era una piccola stanzetta nascosta nel muro e si chiudeva con una porta, di fronte c’era il letto proprio come piaceva a me, basso in stile giapponese. Era raro trovarne uno in giro per di più di colore nero. Di fronte al letto, acanto alla porta d’ingresso nel mio piccolo paradiso personale c’era posto un comodino, sopra il quale notai una TV. Bene mi sollevava che mia madre avesse messa una in camera mia. Visto che non guardavo i suoi stessi programmi. Di fronte alla porta c’era una finestra vicino alla quale una piccola scrivania. Il muro sinistro era quasi tutto occupato da una gigantesca libreria, si scorgeva solamente la porta del guardaroba.

Era semplice, ma mi piaceva quel mondo che apparteneva solamente a me. La cosa migliore era il mio bagno personale, non grande, pero la vasca era favolosa con le zampe da leone.

Dall'altro capo del telefono senti la mia amica salutarmi perché doveva uscire con la madre.

Dal piano di sotto senti la voce di mia madre salutare qualcuno. Già qualcuno veniva a rompere, non abbiamo ancora sistemato niente in casa, in giro c’erano almeno cinque centimetri di polvere, ma sapendo come era fata mi madre entro il pomeriggio tutta la casa avrebbe brillato come cristallo.

La voce sconosciuta che percepivo era qualcosa di unico, sembrava una melodia pero le mie orecchie riuscirono a percepire una nota insolita.

Era la stessa che pronunciavo io quando evitavo di parlare della mia vita e della mia storia.

Quel suono mi sembro infinitamente cupo e pieno di una rabbia inespressa.

Scesi le scale e di fronte a me trovai lo splendido dio greco.

Davanti ai miei occhi vidi delle macchie nere. La testa mi girava. Mi sentivo debole e sulla mia pelle percepivo mille brividi.

Senti mancare l’equilibrio, non riuscì a tenere gli occhi aperti.

Improvvisamente vidi tutto nero.

Mi svegliai. Pero preferì non aprire gli occhi. Perché dovevo essere io a collezionare brute figure?

Adesso come spiegavo a quel ragazzo perché lo fissavo al aeroporto?

Accidenti a me, ma dovevo procurarmi un casino di guai già dal mio primo giorno in Italia. Dovevo saperlo era una cosa inevitabile.

Procuravo casini a tutti quelli che conoscevano.

Percepì sulla mia fronte una leggera pressione.

Un fazzoletto bagnato.

Le fiamme che avvolgevano il mio viso prima di svenire ora erano spente, pero dentro il mio cuore pulsava ancora una vena piena si sangue incandescente come la lava del vulcano in eruzione. Cosi mi sentivo in quel momento, come un vulcano pronto ad eruttare.

Le notte di Iris dei Goo goo dolls riempirono la stanza. Possibile che esisteva qualcuno su questo mondo che apprezzava ancora la loro musica, nella mia città ero unica che comprava i loro dischi.

Per la prima volta nella mia vita piangevo per qualcosa che amavo, questa volta la causa delle mie lacrime non erano bugie ma una melodia che ho sempre amato dal profondo del cuore. Lentamente mi alzai da divano. Mi girava ancora la testa e mi viene anche la nausea.

Splendido. Perfetto.

Ero unica a fare le figure del cacchio del genere. Proprio davanti al dio greco. Favoloso.

Non volevo alzare lo sguardo, non né avevo il coraggio. Misi la testa tra le ginocchia cercando di farmi passare la voglia di vomitare. Senti dei passi avvicinarsi. Ma non alzai lo sguardo. Cercai di tenere gli occhi ben chiusi.

Ti senti bene? “ sentire di nuovo quella voce era veramente confortante. Non sembrava avere intenzione di prendermi in giro piuttosto era preoccupato. Non osai alzare comunque gli occhi.

Fortuna che sono riuscito a prenderti in tempo, se no chi sa che fine facevi.” percepì del sarcasmo nella voce. È qualcosa d’altro, una risata. Cercava di trattenerla.

Mi faceva piacere che si divertiva delle mie goffe speranze di essere me stessa. Alzai lo sguardo e cercai di fulminarlo con una delle mie occhiatacce ma l’effetto che riuscì ad ottenere era contrario.

Quasi non riusciva a trattenersi più dalle risate e suoi occhi brillavano pieni di sarcasmo.

Brutto disgraziato! Si divertiva proprio. Altro che dio greco era il dio malefico. Come che si dice? Ah, si. Non giudicare mai dalle apparenze.

Il ragazzo mi lancio ancora uno sguardo divertito. Poi grido verso la cucina.

Si è ripresa.”

Udì dei passi. Nel salotto comparvero mia madre e altre due persone. Il volto della mia iperprotettiva mamma era più bianco del solito, si era presa un bel colpo.

Si lancio ad abbarcarmi. Mi stava strangolando.

Mamma, mi stai soffocando.”

Sorrise per scusarsi staccandosi da me.

Ci siamo presi un bel spavento. Soprattutto, tua madre.”

Un uomo di circa cinquant’anni mi scrutava preoccupato. Era di statura media, si vedeva che da giovane era molto attraente. Non era ridotto male per la sua età, anzi le rughe intorno agli occhi verdi gli donavano. Si capiva che era tornato da un viaggio, i suoi capelli castani con qualche ciocca bianca erano del tutto spettinati.

Si inginocchio acanto a me e mi osservava con occhio esperto come se cercasi di valutarmi.

Segui il mio dito per favore.”

Segui ogni suo movimento con gli occhi. È la preoccupazione di quel uomo svaniva dal viso.

Niente di grave. Mi sembra un calo di zuccheri.” mi disse con un sorriso. Mia madre mi strinse ancora a se.

Percepì uno sguardo su di me è lo segui. Era quello del dio greco. Mi stupì, era invidioso. Guardava la mano di mia madre intorno alle mie spalle e mi fissava con gelosia.

Era invidioso proprio di me. Io che nella vita non ero riuscita ad ottenere niente. Non sono mai stata brava in niente anche se cercavo di evidenziarmi un posto tutto mio. Ho provato a disegnare, me la cavavo bene ma c’era sempre qualcuno più bravo di me. Trascorrevo molte delle mie giornate a leggere in camera mia ma questo non mi ha reso un genio.

Ora invece mi trovavo davanti a una persona che era invidiosa di me e io non riuscivo a comprendere il motivo.

Quel emozione infiammava gli occhi di quel ragazzo da uno sguardo penetrante. Mi guardava veramente con invidia, non riuscivo proprio a capire. L’invidia si trasformo in fastidio, in gelosia, poi in rabbia. Forse sbagliavo ma nei suoi occhi vedevo una sfumatura di oddio.

Oddio?

Verso di me? Ma se mi aveva rivolto la parola solamente una volta. Come era possibile? Sicuramente confondevo quella sua reazione con qualcosa d‘altro. Cercai di distoglie lo sguardo ma i suoi occhi neri mi inchiodavano dove ero. In quel istante vedevo solamente il colore di quei occhi penetranti.

La testa mi girava. In quel momento volevo solamente sdraiarmi sul letto e dormire almeno per un paio di giorni.

Non riuscivo a comprendere come mai quel ragazzo appena incontrato mi facesse saltare la mia sfera emotiva da un minuto ad altro. In poco tempo ho percepito attrazione verso di lui, poi la sorpresa per aver letto nei suoi occhi la comprensione. Ora invece non sapevo cosa provare.

Mi sentivo svuotata.

Completamente.

Dopo tanto tempo la rabbia che ribolliva dentro di me giorno dopo giorno si era placata dopo tanto tempo. Mi sentivo stranamente calma come non mai.

Meno male che c’erano Marco ed Elena. Ti ricordi, ti avevo parlato di lei in aereo.” Cercai di ricordare delle ciance di mia madre durante il viaggio mentre osservavo la donna di fronte a me. Non era molto alta, era più bassa di mia madre almeno di una testa. I capelli castani le scendevano lungo le spalle fragili, proprio come il marito aveva una carnagione leggermente olivastra, e gli occhi di colore cioccolato mi guardavano in ansia.

Frugai nella mia mente i discorsi che mi fecce mia madre durante il viaggio. Mi parlo di suo nuovo lavoro di traduttrice. Ah, si. Elena è il suo capo. Quella donna si occupava di adozioni. Mi ricordai un altra parte del discorso di mia madre, era lei che le aveva proposto di comprare la casa che era in vendita vicino alla sua. In questo modo sperava che io non mi sentissi sola visto che aveva tre figli.

Elena cerco di sorridere, io non potei fare altro che ricambiare quel sorriso. Era impossibile non volere bene a quella donna. Il suo sorriso ere contagioso.

Tua madre mi ha parlato molto di te.” disse stringendomi la mano. La sua stretta era forte proprio come mi aspettavo. Infondo si occupava di bambini provenienti da vari parti del mondo con mille problemi.

Consideravo quella donna forte, riusciva ad aiutare molti ragazzi rimasti orfani oppure abbandonati dai genitori.

Comprendevo bene cosa voleva dire crescere senza genitori. Mio padre se ne era andato di casa quando ero piccola, mia madre lavorava tutti i giorni fino a tardi.

Ero cresciuta per strada come un gatto randagio, ho trovato dei valori in cui credere e per quali volevo combattere. Non avevo ancora trovato il modo per farlo.

Il marito di Elena era sgattaiolato a casa sua a prendere del acqua con limone per farmi passare il vomito.

Mentre Marco, avevo ricordato il suo nome dai discorsi di mia madre durante il viaggio, era andato a preparare la favolosa pozione che serviva per guarirmi.

Elena e mia madre ciarlavano, ma io avevo la testa dal altra parte guardavo il figlio di Elena. Era appoggiato al muro e mi guardava torvo. Ripensando al nostro incontro al aeroporto nella mia memoria e nella mia testa risuono il suo nome.

Luca. Uno classico nome italiano, usato da decenni.

Possibile che quello che avevo notato nei suoi occhi fosse veramente odio ?

Perché mai dovrebbe provare un sentimento di antipatia verso di me. Non mi conosceva neanche ?

Mi sembrava molto strano tutto ciò.

Mentre ero immersa nei miei pensieri. Marco torno con il bicchiere pieno di acqua con limone e me la fece bere tutta scrutandomi ogni volta che lo guardavo.

Ogni volta che protestavo Luca sogghignava sotto i baffi.

Disgraziato! Si divertiva.

Almeno lui trovava divertenti i miei difetti.

Chi sa che cosa penserebbe se scoprisse altri aspetti del mio carattere?

 

Eccomi di nuovo ad aggiornare questo mio lavoro. Gente ma perché non mi fatte sapere che ne pensate di questa storia? Fatemi sapere che ne pensate per favore, accetto anche critiche negative.

 

Un grazie speciale a per la sua costante presenza e il sostegno che mi dà Mitzune-chan, ti adoro!

 

Mi scuso nel caso in cui ci sono dei errori, se gli individuate comunicateli.

 

A presto

 

D_Dya 







 




 

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Capitolo 6
*** 5 ° Gocce di pianto ***


5 capitolo

Gocce di pianto “

 

Passai la notte rigirandomi nel letto molte volte. Anche se la testa non mi girava più, non riuscivo a chiudere occhio. Faceva troppo caldo per dormire. Mi sentivo soffocare.

La finestra della mia camera era aperta, ma non mi aiutava granché. Anzi mi sembrava che il mio corpo prendesse fuoco. Le fiamme mi avvolgevano.

La mia mente era offuscata per l’ondata di calore che mi stava distruggendo letteralmente.

Perché diamine mi sono trasferita in un paese cosi caldo?

Ah. Giusto. Non volevo lasciare mia madre da sola. In cambio dovevo trovare un modo per superare queste ondate di caldo, se non volevo sciogliermi. Mi precipitai in bagno. Dovevo cercare di dormire. Se non riuscivo a dormire, al mattino avrei aggredito chiunque mi capitasse a tiro. Di questo ero certa. Sarei stata velenosa come un serpente per tutto il giorno per la mia mancanza di sono. Dovevo assolutamente dormire almeno un paio d’ore, non volevo sputare veleno contro chiunque.

Mi alzai dal letto, ero tutta sudata. Che schifo !

Volevo dormire.

Quella giornata è stata veramente troppo lunga e faticosa per i miei gusti. Volevo solamente buttarmi sul letto e dormire, ma con quel caldo non riuscivo a prendere sono, era impossibile.

Ero esausta. La fatica del viaggio e varie emozioni che mi avevano tormentato per tutto il giorno uscirono allo scoperto.

Ero frustrata, confusa e anche un po’ arrabbiata. Mia madre poi mi faceva veramente saltare tutti i nervi, come diamine pensava che mi avrei trovata a Milano. Non faceva che sorridere di continuo, questo mi faceva imbestialire. Forse credeva che avrei fatto i salti di gioia fino al cielo.

Ma non era cosi.

Detestavo quella città, non riuscivo a respirare per via dello smog, figuriamoci viverci.

Ero abituata a vedere le stelle tutte le sere, qui riuscivo a malapena a distinguere l’azzurro del cielo dal grigio dei gas dello scarico.

Era disgustoso.

Ma quello non era il mio unico problema, ora dovevo lottare contro il caldo insopportabile, rischiavo di morire soffocata per un colpo di calore durante la notte. Non riuscivo a ragionare con quel caldo intollerabile. Il mio cervello si era spento. L’unica soluzione che trovai per abbassare la temperatura del mio corpo, era farmi una doccia.

Entrai nel mio piccolo bagno personale coperto da piastrelle bianche. Non era granché, ma almeno non avrei svegliato mia madre nel cuore della notte. Apri l’acqua è comincia a regolare la temperatura fino a farla diventare leggermente tiepida. Mi spogliai ed entrai nella vasca e aspettai che l’acqua mi scorressi lungo la schiena sciogliendomi i muscoli.

Era una bella sensazione. Dopo la lunga giornata finalmente riuscì a rilassarmi almeno un po’.

Ero ancora scossa per la reazione di Luca nei miei confronti.

Possibile che provava veramente odio nei miei confronti, non mi conosceva neanche.

La mia fantasia lavorava troppo velocemente. Ne ero assolutamente certa.

L’acqua continuava a scendere lungo il mio corpo mentre io cercavo di capire cosa era successo quel giorno.

L’unica cosa di cui ero convinta, era che ormai non potevo più tornare indietro. Anche se avrei voluto farlo. Tornare alla mia vecchia vita. Possibile che mi mancasse quel inferno a tal punto?

Quel posto senza alcun futuro. Non ci credevo. Lo pensavo veramente. La nostalgia prese il sopravento di tutto il resto.

Gli angoli degli occhi mi bruciavano e io non riuscivo a resistere a quella ondata di pianto. Dentro il petto sentivo qualcosa che si spezzava lentamente. Un alta parte di me moriva lentamente, un altro frammento del mio cuore si frantumava.

L’ultima volta che avevo percepito questa sensazione era quando mio padre se ne era andato. In qual momento volevo scomparire. Mi sedetti in un angolo della vasca cercando di riprendere il controllo di me stessa senza alcun risultato.

L’acqua continuava a scendere e a bagnarmi. I miei capelli erano ormai pesanti per via del acqua che avevano assorbito e mi coprivano la schiena.

Non so cosa mi ha dato la forza di alzarmi dal fondo della vasca e spegnere l’acqua che sgorgava come una cascata.

Mi sembrava di essere infinitamente debole e fragile in qual momento. Non ero mai stata cosi vulnerabile.

Riuscì ad asciugarmi con fatica e riuscì a rivestirmi. Raggiunsi il letto e mi ci buttai sopra, non avevo più caldo ma in compenso sentivo delle fitte di dolore nel mio petto. Le lacrime mi offuscavano la vista e in qual momento pregai solamente che mia madre dormisse profondamente nel suo letto.

Dopo tanto tempo riuscì a piangere, sentivo le vecchie ferite del mio cuore riaprirsi e percepivo delle nuove cicatrici che pulsavano.

Piansi finché avevo lacrime, piansi tutto il mio dolore, piansi tutto quello che cercavo di nascondete dentro di me. Piansi per ore finché il mio corpo non fu scosso solamente dai singhiozzi.

Ero veramente esausta. Ero felice che qual attacco di nostalgia era finito, ma il mio corpo ora mi faceva male. Non so per quanto tempo restai in quello stato ma alla fine riuscì ad addormentarmi, completamente esausta.

Quella notte riuscì a dormire.

I caldi raggi del sole mi svegliarono, avrei voluto dormire più a lungo ma faceva tropo caldo per riaddormentarsi.

Sentivo il mio corpo rigido e pesante, stiracchiai i muscoli, erano intorpiditi. Senti le ossa schioccare. Era una strana sensazione. Il mio corpo era ridotto male, mi sembrava di aver fatto dei esercizi di ginnastica tutta la notte.

Volevo tanto rimettermi a dormire ma guardandomi a torno notai i scatoloni che contenevano la mia roba. Dovevo mettere tutto a posto. Mica volevo vivere in una camera piena di scatoloni di cartone.

Il mio corpo era dolorante, ma mi sentivo stranamente calma. Era uno stato di beatitudine che non riuscivo a spiegarmi. Era strano, molto anche. Non avevo mai provato uno stato di beatitudine come quello.

Le sensazioni che avevo provato il giorno prima erano completamente svaniti, sono riuscita a rinchiudermi dentro anche la nostalgia che mi aveva tormentata la sera prima, proprio come avevo fatto con tutti i miei sentimenti.

Non dovevo più permettete a miei sentimenti ad uscire in quella maniera.

Non volevo più sentirmi debole e vulnerabile come la sera precedente.

Non dovevo cedere cosi facilmente.

Non volevo mostrarmi fragile davanti agli altri, non dovevo farlo.

Non volevo più soffrire.

Sono stata ferita già troppe volte.

Dovevo resistere, resistere come facevo sempre. Era l’unico modo che sapevo di vivere. Rinchiudere dentro di me tutti i miei tormenti. Stringere i denti e andare avanti. Era l’unica maniera per sopravvivere al dolore che era assopito dentro di me, almeno per me.

Mi alzai contro voglia, presi dal armadio una vecchia maglietta un tempo rosa, ora invece sbiadita. Trovai un vecchio paio di jeans neri e mi trascinai verso il bagno.

Mi guardo allo specchio.

Ero ridotta malissimo. I capelli sembravano una palla di fieno, erano pieni di nodi. Non dovevo andare a letto con i capelli bagnati. Sembravo uno spaventa passeri. Come diamine gli avrei pettinati, ma non erano i capelli la mia maggiore preoccupazione. I miei occhi facevano spavento. Erano gonfi e rossi. La pelle intorno era leggermente viola, sembrava che qualcuno mi avesse presa a pugni. Come diamine avrei fatto a spiegare a mia madre quei lividi. Mi feci una doccia veloce. Cercai di sistemare il disastro che avevo sulla testa, ma dovevo proprio andare a dormire con i capelli bagnati, era un disastro. Uff. Dopo almeno trenta minuti riuscì a lisciarli. Erano ancora un disastro ma almeno non sembravano una palla di fieno. Il problema che mi rimaneva da risolvere erano gli occhi. Frugai nei cassetti del bagno, trovai il mio ombretto nero e la matita per gli occhi. Dopo un po’ di tempo riuscì a coprire la sfumatura di viola che circondava i miei occhi ma il gonfiore si vedeva comunque. Speravo che almeno mi a madre non lo notasse. Mi infilai i vestiti e scesi al piano di sotto.

Ogni movimento che facevo provocava una strana fitta che scuoteva tutto il corpo. Mentre scendevo le scale percepivo uno strano bruciore allo stomaco. Solitamente mi sentivo cosi solo quando ero nervosa, in quel momento ero stranamente tranquilla.

Non sapevo come spiegarmi la crisi di pianto che mi ha sopraffatto la notte precedente. L’unica cosa di cui ero completamente certa e che dovevo controllare i miei sentimenti, altrimenti sarei finita scottata.

Al piano di sotto trovai il caos più totale. I scatoloni erano aperti, il contenuto era sparso sul pavimento o sui vari mobili che mia madre aveva spolverato, erano d’epoca. Lo avevo immaginato. Il salone era di colore beige, proprio come il divano e poltrone. Senti uno brivido lungo la schiena. Me no male che almeno i mobili della mia stanza sono stati risparmiati a quel orrore.

Tutti gli oggetti che mia madre aveva portato con se e ai quali era molto affezionata, erano sparsi per tutta la stanza. Aveva insistito che portassimo via i miei vecchi peluche pieni di polvere che avevo messo in uno scatolone anni fa. Notai un vecchio cane, un tempo verde, ora invece giallo. Era l’unico regalo che mi ha fatto mio padre, a parte gli orecchini a forma di libellula che porto ancora e non sono in grado di togliere. Avevo l’impulso di prendere quel vecchio cane e di bruciarlo, ma qualcosa dentro di me mi impose di non farlo. Una specie di catena mi teneva ancora legata a quel oggetto, la stessa che mi impediva di togliere gli orecchini.

Non volevo essere più legata a quel essere schifoso, ma non ero in grado di dimenticarlo, volevo farlo. Ma ogni volta che cercavo di farlo la mia mano si abbassava, in un modo o in altro sentivo ancora un legame con quel uomo anche se non lo volevo.

Sono cresciuta senza un padre, non mi sembra di essere diventata una drogata o una alcolizzata. Passo dopo passo sono riuscita a crescere e diventare adulta, sono cresciuta in fretta. Non avevo alternative. La mia infanzia doveva rappresentare un periodo felice, invece si trasformo da un giorno all'altro nel inferno più nero.

Non sono mai stata una bambina, mai. Ho affrontato dolori e sofferenze dalla nascita.

Mi è stata tolta l’infanzia, ma ora volevo vivere. Respirare. Ma non ero in grado di farlo, mi sono chiusa dentro di me. Non volevo provare del dolore mai più in vita mia.

Volevo camminare per strada, alzare lo sguardo verso il cielo, percepire il calore di una persona e avere fiducia in qualcuno.

Fiducia.

Qualcosa che del tutto sconosciuto al mio cuore. Non riuscivo a fidarmi delle persone, era una cosa che non sapevo fare. Mi fidavo solamente di mia madre, mio nonno e di Kristy.

Nessun altro aveva penetrato nel mio cuore coperto da uno strato di ghiaccio. Ho cercato di ricominciare a vivere, ma in cambio ottenevo solamente altro dolore. Ogni volta che cercavo di rialzarmi precipitavo di nuovo.

Dentro di me c’era un vuoto, sentivo di non essere completa. Per una volta volevo sentirmi intera.

Volevo eliminare quel vuoto che avevo dentro di me.

Altre lacrime cominciarono a scendere lungo il mio viso. La matita ormai era tutta lavata via dal mio pianto e scendeva insieme alle lacrime.

Che cosa mi stava succedendo?

Non avevo mai pianto in un modo cosi sfrenato.

Ero spaventata.

Io, tremavo.

Io, la ragazza che aveva dimenticato cosa erano i sentimenti.

Lungo il mio corpo sentivo lo stesso brivido della sera prima, mi sentivo di nuovo debole e fragile. Percepivo nuovamente la sensazione di fragilità.

Senti i passi di mia madre dietro di me. Cercai di non singhiozzare e di non farle vedere la mia faccia. Sapevo di essere ridotta male. Non volevo farla preoccupare, non volevo darle preoccupazioni.

Mamma, posso uscire?” la mia voce suono in modo veramente strano. Tramava e mia madre sembro accorgersene, sentivo il suo sguardo sulla mia schiena.

Stai bene?” Accidenti. Conoscevo quel tono, anche tropo. Si pentiva per avermi portata con se. Si sentiva in colpa per quello che aveva fatto. Lo sapevo. Lo sentivo. Non doveva sentirsi cosi, non volevo farla soffrire.

Cercai di mantenere la calma, almeno quello potevo fare in quella situazione.

Ho bisogno di respirare un po’ d’aria. Faccio una passeggia qui vicino.” La mia voce suono meglio, sapevo che non la avevo convinta, ma dovevo uscire. Mia madre non mi domando niente altro, ma senti la sua mano ficcare il mio cell nella tasca dei miei jeans.

Usci di casa di corsa senza fermarmi. Non avevo idea dove andare, non conoscevo quella città.

Ma dovevo stare da sola.

Dovevo calmarmi.

Dovevo capire come mai in due giorni ero alla seconda crisi di pianto.

Perché?

L’aria di quella città mi faceva male.

In quel momento senti la mancanza di Kristy, la mia mano era già in tasca dei pantaloni. Ma che combinavo? Ormai non ero più una bambina, dovevo smettere di sfogarmi con la mia sorellina. Dovevo cercare di calmarmi. Ma non sapevo come.

Continuavo a correre, le lacrime continuavano a scendere e il mio corpo fu scosso dai singhiozzi.

Non immaginavo di essere cosi debole, non riuscivo a capire come mai ero crollata. C’era qualcosa che non andava in me, ma cosa?

Sapevo già di essere anormale visto che non mi spaventava niente. Guardavo i film horror e non provavo niente, la vista del sangue non mi disgustava. Le storie di fantasmi non mi facevano venire la pelle d’oca come agli altri.

Le lacrime continuavano a scorrere lungo il mio viso e io correvo. Non sapevo neanche dove andavo, vedevo tutto offuscato.

La sera prima avevo provato nostalgia, ma il sentimento che provavo non lo riconoscevo. Percepivo della tenerezza dentro di me ma anche della rabbia che cresceva dentro di me con ogni lacrima versata.

Non so per quanto tempo riuscì a correre, sembrava che niente riusciva a stancarmi, ma percepivo una strana sensazione dentro di me. Un formicolio simile a quello di una scottatura. Il mio fisico non dava ceno di cedimento ma la mia mente era debole, non riuscivo a pensare a niente, percepivo solamente la voglia di isolarmi dal mondo intero.

Nascondermi.

Volevo fuggire dalle mie sensazioni, dai miei sentimenti. Da quella indecisione che regnava dentro di me. Ora riuscivo a comprendere quella strana sensazione che mi tormentava.

Era indecisione.

Ero indecisa se odiare mio padre o no.

Sentivo la rabbia verso di lui per avermi abbandonata, per aver tradito la mamma, per aver portato via gli ultimi risparmi, per avermi mentito da quando ero natta.

L’altra parte di me era ancora affezionata a qual uomo, sentivo ancora del calore dentro di me. Nella mia mente rividi il viso di mia madre quando ha scoperto che è stata tradita dal uomo in cui aveva fiducia, dal uomo che amava e per il quale aveva litigato con tutta la famiglia e aveva subito continui umiliazioni.

Quel viso è rimasto impresso nella mia mente per l’eternità. Contorto in una smorfia dal dolore, bagnato dalle lacrime. Si vedeva il suo cuore andare in frantumi.

In quel momento la rabbia prese il sopravento del mio corpo, si trasformo in odio. Non avrei mai perdonato a mio padre quello che aveva fatto a mia madre. Mai e poi mai. Non avrei mai permesso che soffrisse ancora nello stesso modo. Avrei fatto di tutto per impedirlo.

Corsi ancora più forte, le case si trasformarono in macchie di colore. Correvo con più forza. Riuscì a fermarmi solamente quando mi trovai davanti a un giardinetto con qualche panchina e altalene per i bambini.

La mia attenzione fu catturata da una quercia enorme, mi avvicinai lentamente. Avevo trovato il mio posto speciale. Le lacrime si stavano asciugando, stavano svanendo velocemente come erano venute.

Mentre mi avvicinavo alla quercia mi sembro che crescesse davanti ai miei occhi. Le lacrime erano ormai asciutte ma dentro di me sentivo bruciare ancora la rabbia. Passo dopo passo mi avvicinavo al albero, quando fui abbastanza vicina da toccarlo prolungai la mano. La corteccia era fredda nonostante il caldo soffocante. Mi sedetti ai piedi di quel albero, le radici uscirono dal terreno e sembravano dei enormi serpenti intrecciati. Appoggiai la testa contro il tronco, cercai di placare la rabbia che regnava dentro di me in quel momento.

Percepì lo sguardo di qualcuno su di me, osservai il giardinetto oltre a me c’era una donna che cercavo di dividere due bambini che litigavano per andare sulla altalena.

Poi lo notai, seduto su una panchina vestito di nero e mi guardava con suoi occhi scuri. Perché non mi ero accorta di lui? Forse è ancora arrabbiato con me per la ragione che sapeva solamente lui?

Sembro di lottare contro l’impulso di andarsene e venire da me. Non riuscì a staccare lo sguardo dai suoi occhi neri, la rabbia del giorno prima era sparita, non appena mi fu vicino, vedi nel suo sguardo di nuovo la comprensione che avevo già letto una volta, ma insieme alla comprensione c’era anche la preoccupazione.

Non avevo idea come ero ridotta, probabilmente la matita e l’ombretto erano colati sul viso. Luca si sedette acanto a me senza dire una parola, non sapevo cosa dire, non ne avevo il coraggio. Poi il mio strano vicino comincio a cantare. Inizio con i Linkin park, dopo passo ai calling, alla fine canto welcome to my life dei simple plan. Sarei rimasta ad ascoltarlo tutto il giorno, la sua voce riuscì a calmare la bufferà che regnava dentro di me.

Nota dopo nota, verso dopo verso, parola dopo parola penetravano dentro di me con una forza sovrumana.

Appoggiai la testa contro il tronco e chiusi gli occhi. Sarei rimasta per giorni acanto a qual albero ad ascoltare la voce di Luca.

Si alzo improvvisamente e disse: “ É meglio che ti accompagni a casa.”

Mi alzai anche io e lo segui. Camminavamo in totale silenzio, ogni tanto guardavo Luca, sembrava immerso nei suoi pensieri. Il suo sguardo era di una tristezza che toglieva il fiato ma lo rendeva ancora più affascinante. Quella tristezza creava intorno a lui una barriera invisibile.

 


 

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Capitolo 7
*** 7° Le lacrime di un angelo ***


 

7 capitolo

 

 

Le lacrime di un angelo“

 

Salve gente, lo so mi detestate sono messi che non posto niente, ma non ho un attimo di pace.

Mando un bacione ad AkaneRayners per il commento, sei un tesoro.

Mi scuso nel caso in cui ci sono dei errori, se gli individuate comunicateli.

 

Buona lettura!

 

D_Dya



 

Undici settembre. Inizio dell’anno scolastico. Inizio della tortura. Non avevo nessuna voglia di andare a scuola e di sentirmi giudicata. Detestavo quella sensazione di inadeguatezza quando mi sento fuori posto, sentire gli occhi di tutti puntati sulla schiena e venire giudicata per ogni mio movimento. Sapevo già come sarebbe finita quella giornata orribile, ma volevo anche uscire di casa il prima possibile. La sera prima avevo litigato con mia madre perché lei mi aveva iscritto in un istituto superiore senza chiedermi che ne pensavo. Ora dovevo frequentare il terzo anno di un istituto turistico.

Avevo già visto la scuola, non era male, l’unico problema era che non ci volevo andarci. Era grande con quattro torri, due dei quali facevano parte dell'Istituto Turistico e Linguistico Sperimentale, portava il nome di Artemisia Gentileschi, figlia di un pittore, fu una delle prime donne e denunciare uno stupro.

La mia prigione si trovava dieci minuti da casa mia. Ero praticamente inchiodata in una città che mi faceva morire. Me ne rendevo conto. Diventavo sempre più debole. L’aria era talmente inquinata che respiravo a fatica, cominciavo a detestare quel posto. Litigavo di continuo con mia madre per ogni minima sciocchezza. Ma non era questo che mi faceva soffrire più di altra cosa.

Erano passate due settimane dal giorno in cui Luca mi riporto a casa dopo la mia crisi di pianto, da quel giorno ha cominciato ad evitarmi. Ogni volta che mi vedeva distoglieva lo sguardo o faceva finta di non avermi vista, mi faceva saltare letteralmente i nervi.

Detestavo questo suo comportamento. Alcuni giorni prima Elena aveva invitato me e mia madre a cena, il bel imbusto ha fatto finta che io non esistessi. Ogni volta che cercavo di scoprire qualcosa su di lui, ignorava le mie domande e gli rigirava. Teneva sempre lo sguardo basso ed evitava di rivolgersi direttamente a me.

Volevo capire perché si comportava cosi con me. Alcuni giorni fa credevo di avere qualcosa in comune con lui, la nostra tristezza. Ora credo di essermi immaginato tutto quanto.

La cosa strana era quando mi sentivo triste e avevo l’impulso di fare le valigie e tornarmene in Ucraina lo sentivo suonare la chitarra, la sua voce aveva un effetto rilassante su di me. Ma uno che mi ignora di continuo, mi faceva imbestialire.

Sembrava che vivesse solamente al interno del suo mondo e non avesse dei contati con nessuno.

Non era un eremita, no, l’unica persona che ignorava completamente ero, io. Almeno cercava di farlo, perché alcune volte lo vedevo comparire improvvisamente dal nulla e sedersi acanto a me.

Questo suo gioco per me era del tutto incomprensibile.

Lo avevo visto sorridere parecchie volte, ma mai ridere di gusto, i suoi sorrisi erano forzati, solamente un atto di gentilezza verso gli altri. Nei suoi occhi non avevo ancora notato nessuno sfumatura di felicita. Luca ha riso di gusto solamente una volta in tre settimane, quando gli ero svenuta tra le braccia.

L’unica cosa che capivo era che io e Luca eravamo simili e tenevamo le persona a distanza da noi solamente perché non volevamo ferire gli altri.

Mi resi conto che stavo masticando lo stesso pezzo di pane già da dieci minuti. Se non uscivo di casa rischiavo di arrivare in ritardo il primo giorno di scuola, odiavo arrivare in ritardo.

Usci sbastendo la porta, che mia madre sappia che sono incavolata con lei, non né potevo più di fare la brava bambina.

Morsi un altro pezzo di pane che mi ero portata dietro, senti una risatina dietro di me. Anche se la avevo sentita solamente una volta sapevo perfettamente a chi apparteneva.

A quel angelo ferito di Luca. Non mi girai, ero già incavolata con mia madre che mi considerava ancora una bambina di quattro anni che ha ancora bisogno della sua protezione. Non avevo voglia di cercare di decriptare il suo comportamento nei miei confronti, ogni volta che lo facevo mi veniva l’emicrania.

Incavolata? “ Non mi voltai, continuai a camminare.

Dietro di me senti una risata cristallina, non avevo sentito ridere nessuno in quella maniera, era più simile a una melodia che a una risata.

Stami lontano. Sono furiosa.” La mia rabbia si poteva leggere perfettamente tra le sillabe.

Si vede, pero non si addicce al tuo viso da bambolina.” Un’altra risata. Dannato. Io che mi preoccupo per lui. Non voglio saperne più niente. Ne avevo abbastanza.

Luca che cacchio vuoi da me?” La mia pazienza stava raggiungendo il limite.

Solamente fare la strada con te.”

Allora chiudi quella ciabatta, non sono di umore.”

Lo avevo capito.”

Non lo reggevo più, lo preferivo quando era silenzioso.

Accelerai il passo. Luca non fece nessun sforzo per starmi dietro.

Non pensavo che fossi cosi entusiasta di andare a scuola”

Strinsi i pugni, cercavo di trattenermi. L’ultima volta che avevo perso la pazienza, il ragazzo che mi aveva fato incavolare era finito al altra parte della classe con un impronta della mia mano sul viso.

Ba-sta.” Scandì la parola in sillabe.

Continuai a camminare, senti che Luca mi seguiva ma non osava rivolgermi neanche una parola. La mia rabbia si stava placando, ma sentivo ancora un senso di disagio.

Milano mi stava cambiando, le mie crisi di pianto sono diventate più frequenti e ho i nervi a fior di pelle. Dopo i miei accessi di pianto la tranquillità che mi invadeva mi spaventava più delle lacrime che non riuscivo a frenare.

Stavo cambiando, lo percepivo ma non riuscivo a comprendere in quale senso, del resto chi poteva comprendere un essere anormale come me?

Rallentai.

Percepivo Luca acanto a me. Il suo sguardo. Lo guardai. Incrociai il suo sguardo, quei occhi neri come la cenere, lessi di nuovo la comprensione e la preoccupazione.

Vidi rifiorire quella tristezza infinita che lo tormentava.

Avevo la paura di toccarlo anche se volevo consolarlo. Quando sono nelle vicinanze di Luca dentro di me nasceva una strana tenerezza, la stessa che provai la prima volta che vidi i suoi occhi, qual desiderio che mi faceva sprofondare dentro il suo sguardo.

Fino a quel momento non avevo mai provato dei sentimenti di questo tipo.

Arrivammo alla scuola verso le nove meno un quattro. Il cortile era già pieno di ragazzi. Non appena entrai vidi una chioma nera correre verso di me, anzi verso Luca e buttarli le mani al colo.

Maaa….ciaoo! Come stai amore?”

La ragazza indossava un vistoso vestito blu elettrico pieno di pizi, i stivali neri le arrivavano sopra il ginocchio.

Distolsi lo sguardo, non erano affari miei, prima di concentrarmi su qualcosa altro notai Luca che cercava di resistere alla sua assalitrice che lo stava per baciare. La cosa mi divertiva, ma non sapevo perché il mio accompagnatore si trovava in difficoltà o perché stava respingendo la ragazza.

Lo sguardo che vidi in quel istante era gelido e penetrante capace di gelare il sangue.

Lo vuoi capire che non ti voglio più vedere.” mentre mi dirigevo verso una panchina senti la voce di Luca schioccare come una frusta. Non feci caso, io che centravo con lui, per di più mi snobbava in continuazione.

Dai, Luca ti voglio ancora bene. Perché sei arrabbiato con me?” la voce della ragazza era piena di un rimorso finto. La falsità io la riuscivo a capire da un chilometro o forse più. Riuscivo a fiutarla perché ho inghiottito talmente tante bugie nella mia vita che avevo perso il conto.

Ma mi prendi per scemo? Mi hai preso in giro per tutto il tempo Clara.” Io non volevo vedere e sentire fatti altrui ma era la voce di Luca a stupirmi. Trasmetteva solamente una profonda ferita che stava sanguinando.

Tesoro.” la cosi detta Clara stava cercando di implorare senza alcun risultato. Anzi, l’unico risultato che riuscì ad ottenere quello di aver fatto una figuraccia.

Tesoro? Clara non voglio più avere niente a che fare con te. Mi hai procurato solamente dei casini.”

Luca si allontano il più possibile da tutti, lo vidi sedersi sotto un albero. Anche se non riuscivo a vedere per via dei rami era come se fossi acanto a lui, riuscivo a percepire un profondo dolore che squarciava il suo petto.

Stavo cominciando a capire per quale motivo mi trattava in un modo cosi particolare. Ma non ero ancora pronta per ammettere per quale ragione cercava la mia vicinanza e alcune volte invece cercava di tenermi il più lontano possibile. Aveva paura di mostrare i suoi veri sentimenti, ma aveva bisogno di qualcuno che poteva capire le sue pene.

Luca aveva capito che noi due eravamo simili.

Un essere come me, simile a lui.

Mi alzai senza pensarci due volte. Mi aveva aiutata in un momento di pianto sfrenato. Sentivo la necessita di starli vicino, anche se fino a un attimo prima mi ero arrabbiata con lui. Lo segui.

Lo trovai con la testa china sulle ginocchia.

Vidi due enormi ali neri tracciati dai raggi del sole. Guardandolo in quel istante non potevo fare altro che pensare a quanto era splendido e fragile in quel momento.

La cosa che lo faceva sembrare una angelo erano le lacrime che coprivano le sue ciglia nere. Sembravano piccoli cristalli.

Il mio cuore rischiava di scoppiare dal dolore. Non riuscivo a credere che qualcuno potesse ferire una creatura come Luca.

Non riuscivo a credere che fino a quel momento ero divisa in due. Una parte lo detestava, altra lo comprendeva.

Ora sapevo quello che dovevo fare.

L’unica cosa che sono riuscita a fare in quel momento era quella di sedermi acanto a lui.

Volevo dirli qualcosa, ma le parole non mi uscivano. Sentivo la voce bloccarsi

Rimasi cosi acanto a lui finché non aveva finito le lacrime.

 

Ora so che in quel tuo piccolo momento di smagrimento potevo fare molto di più.

 

Ora so che eri più fragile di quello che dimostravi, eri ferito.

 

 

Rimasi acanto a Luca finché il suo respiro non torno regolare. In quel momento mi sembrava un cucciolo che aveva bisogno di protezione. Strinsi la sua mano senza pensarci due volte, quel gesto non so spiegarmi nemmeno oggi. Credevo che il mio cuore fosse freddo, pensavo che i miei sentimenti erano sepolti sotto mille frammenti di una vita precedente.

Ma quando ero a canto a quel ragazzo, tutto quello che cercavo di nascondere riemergeva in superficie.

La cosa che mi stupì di più era che Luca ricambio la mia stretta. Cercava di aggrapparsi alla mia mano come se volessi uscire da un tunnel.

Era debole, molto debole.

Senza che mi rendesi conto Luca mi attiro a se, mi tiene stretta.

Riuscivo a percepire la sua profonda disperazione.

Scusa” eco cosa mi sussurro al orecchio quel giorno.

 

Scusa di che?” cercai di liberarmi dal suo abbraccio senza successo, aveva una stretta fortissima, mi sembrava di trovarmi al interno di una gabbia in cui mi sentivo stranamente al sicuro.

Percepivo il calore della sua pelle penetrarmi dentro e sciogliermi, provavo una strana sensazione di beatitudine che ancora oggi ricordo.

In queste settimane sono stato un vero bastardo. Ti ho trattato male.” la sua voce era un flebile sussurro, cercava di nascondere i suoi veri sentimenti.

Figurati”

Bene, me no male. È ora di andare. Hanno aperto le porte.”

Si stacco da me, ma evitava di guardarmi in viso.

Potevo immaginare che espressione aveva. Ferita, piena di sofferenza infinita.

Luca camminava davanti a me e mi trascinava per mano. Non la aveva lasciata, la stringeva ancora più forte.

Mentre entravo dietro a lui percepì i sguardi di tutti puntati su di me, odiavo quella sensazione, di essere giudicata, di essere osservata.

Abbassai la testa d’istinto, cercai di proteggermi. Volevo evitare di essere ferita.

Non ti preoccupare, non ti faranno niente.” Luca si era accorto della mia agitazione.

Chi sa perché quelle parole mi hanno tranquillizzata, mi sentivo sicura.

Mentre camminavo al fianco di quel ragazzo cosi chiuso sentivo le occhiate delle ragazze su di me, sapevo perfettamente che avrei avuto dei problemi.

Ma ormai non peto allontanarmi da Luca. Non ne ero capace, anzi credo che tra di noi è nato un legame nello stesso momento in cui i nostri sguardi si sono incontrati per la prima volta.

Quei occhi neri mi hanno imprigionata dentro di loro come un incantesimo che cominciava a risvegliare dentro di me quelle sensazioni e quei sentimenti che cercavo di dimenticare, di cancellare per non soffrire mai più.

Inizialmente pensai che il mio cambiamento derivava dall’aria della città, ma in realtà era Luca la ragione del mio mutamento. Era il mio antidolorifico alle ferite che mi sono procurata con gli anni.

 

La giornata prosegui lentamente, non vedevo l’ora di uscire, di andarmene. Al’ inizio di ogni ora dovevo presentarmi agli insegnanti e sorridere alle domande dei miei compagni.

Tutti mi chiedevano come mai mi ero trasferita a Milano, come era il mio paese. Tutto questo mi faceva tornare in mente cose che volevo solamente dimenticare.

Durante l’intervallo non sapevo come fare, tutti quanti mi hanno circondata e hanno cominciato a tempestarmi di domande alle quali trovavo difficoltà a rispondere.

Luca sicuramente se ne era andato via dopo avermi accompagnato in classe, aveva finito le superiori già da tempo. Non mi aveva spiegato per quale motivo quel giorno era venuto a scuola.

Stavo soffocando. Odiavo essere al centro dell’attenzione, ho sempre cercato di nascondermi nell'ombra, di non attirare attenzione.

Avevo bisogno d’aria. Di riprendere fiato almeno per un po’, sentivo il bisogno di riempire i miei polmoni con l’aria.

Usando la scusa di dover andare in bagno riuscì a sgattaiolare dalla classe.

Rischiavo di crepare per la sorpresa. Davanti a me c’era Luca in tutto il suo splendore. La cosa che mi lascio senza fiato era il suo sorriso. Sembrava aver dimenticato la tristezza che lo aveva scosso poche ore prima.

Mi sentivo sollevata. Durante le lezioni la mia mente era altrove, pensavo a quel pianto sfrenato di Luca. Ma ora il mio cuore stava per scoppiare.

Luca stava sorridendo, ma non era uno di quei sorrisi forzati, era del tutto naturale. Anche quei occhi neri solitamente pieni di tristezza e di dolore infinito, stavano sorridendo.

In quel momento ero abbagliata da quel ragazzo che mi faceva cambiare l’umore ogni volta che lo vedevo.

Ho pensato che avevi bisogno si essere salvata.” eccolo quel tono da sbruffone che mi faceva sorridere.

Non riuscì a trattenere un sorriso, era cosi semplice stare acanto a lui.

Lo prendo per un sì. Vieni”

Non riuscivo a capire quello che mi stava succedendo. Stavo diventando veramente matta. Mi sentivo in fiamme. Sentivo il mio sangue scaldarsi.

In quel momento mi sentivo …. Be … timida. Io. Timida.

 

Avevo letto moltissimi libri d’amore, visto dei film. Ma in quel istante non sono riuscita a capire quello che mi stava succedendo.

Il mio cuore lo aveva capito nello stesso istante in cui avevo incrociato lo sguardo di Luca. Il mio cuore si stava risvegliando. Ma il mio corpo era ancora addormentato.

Non volevo credere che potevo provare un sentimento tanto profondo. Era del tutto ridicolo. Bastava guardarmi, come mi conciavo per sapere che non volevo sapere niente di “queste cose”. Ma allora per quale motivo il mio cuore cominciava a battere in una maniera tanto forte quando ero acanto a quel ragazzo, pieno di tristezza proprio come me.

 

 

***

 

Se avessi capito prima quello che provavo per te. Forse la nostra storia sarebbe durate per molti anni, anzi che quei nove mesi.

Avrei preferito capirlo prima.

Potevamo avere molto più tempo. Forse anche anni.

Perché non ho capito subito quello che stavo perdendo.

Ero veramente cieca. Non riuscivo a vedere sotto la superficie delle cose. Non riuscivo a vedere la verità delle cose.

 

Continuai a seguire Luca senza fargli domande. Attraversammo il corridoio del primo piano, la segreteria. Passavamo davanti alla presidenza. Arriviamo davanti all’ auditorium della scuola.

Notai sulla sinistra una grande vetrata e due gradini.

Luca si mise a sedere. Io rimassi in piedi imbambolata. Non sapevo cosa fare. Dalla tasca posteriore di pantaloni Luca tiro un quaderno nero e una pena. Mi guardo con sorriso sulle labbra poi comincio a scrivere.

Mi misi seduta di fronte a lui senza dire una parola.

Non riuscivo a staccare gli occhi da lui, quel ragazzo era una calamita per me.

Possibile… no, non poteva essere. Guardando quel essere incompreso come me, il mio cuore cominciava a battere forte. I battiti acceleravano minuto dopo minuto.

Credevo che il mio cuore fosse diventato di pietra, credevo che ormai ero diventata una statua. Pensavo che non avrei più provato nessun sentimento. Ho cercato di rinchiudere tutti i miei sentimenti dentro il mio cuore, non volevo più essere ferita, non volevo più soffrire. Gli unici affetti che cercavo di mantenere vivi erano quelli per mia madre, mio nonno e la dolce Kristy.

Il mio cuore batteva lentamente, solamente per poche persone.

Ora invece scopro che il mio cuore cerca di esplodere con la vicinanza di quel ragazzo.

Da quando ho cominciato a provare tutto ciò? Cercai di ricordare.

Dal ‘inizio.

Dal primo momento in cui i nostri si sono incrociati. Da quel giorno all’aeroporto. Mi sono subito sentita attratta da quel ragazzo vestito di nero. Poi, gli sono svenuta tra le braccia. Non riuscì a trattenere un sorriso in modo in cui ci siamo conosciuti.

Poi la sua vicinanza in quel momento di crisi.

Si, era possibile.

Anzi, stava succedendo.

Mi stavo risvegliando dal mio sono invernale. Il mio cuore aveva ripreso a battere. I miei sentimenti, quelle emozioni che ho cercato di nascondere dentro di me, gli stavo riscoprendo. Stavo cominciando a sentirmi finalmente viva dopo tanto tempo.

Il mio inverno era finito, stava tornando la prima vera. Passai tutto l’intervallo a guardare quel ragazzo scarabocchiare sul suo blocnotes. Non volevo neanche chiedergli che faceva li, visto che agli estranei era proibito entrare. In quel momento non mi importava niente.

Mi sentivo leggera come una nuvola. Nella mia testa cominciarono a girare delle parole insensate. Delle frasi che non avevo mai sentito. Non riuscivo a capire che cosa significassero. Poi compresi. Era il mio modo per esprimere i miei sentimenti. Dovevo metterli giù prima di dimenticargli.

Luca stava scarabocchiando qualcosa sul suo quaderno. Presi il mio cellulare e cominciai a scrivere un messaggio, che in questo caso non spedi.

Uni tutte le parole che mi ronzavano in testa e alla fine lessi quello che avevo scritto in un momento del tutto nuovo e strano per me.

 

Tu resti in silenzio, fradicio di pioggia.

Mentre la luna abbagliante ti illumina la schiena.

Intriso di sfumature ambrate affiori dolcemente nel mio cuore.

 

Vorrei cancellare quel velo di tristezza dai tuoi occhi .

 

Rivolgi lo sguardo verso il cielo e trova la mia stella .

La mia luce piccola ma intensa ti illuminerà il camino.

 

Un giorno capirai anche tu perché sei nato con un’ala spezzata.

Rialzati, prendi la mia mano e ricomincia a lottare insieme a me.

 

Rilessi quello che avevo scritto. Per prima volta nella mia vita ero riuscita ad esprimere i miei sentimenti. Per la prima volta nella mia vita ero riuscita a fare qualcosa di bello, ogni cosa che cercavo di fare mi risultava completamente faticosa o mi riusciva male.

Questa volta era tutto diverso. Nella mia testa sentivo delle parole che si univano da sole, che assumevano un significato particolare. Tutto quello che toccavo fino a quel momento ero in grado di distruggere con semplicità, ora ero riuscita a creare quei versi meravigliosi. Percepivo il sguardo di Luca su di me, lo guardai, stava sorridendo. Ma nei suoi occhi c’era un ombra che conoscevo fin tropo bene. Era una nota di tristezza mischiata con una briciola di oddio.

Non avevo ancora capito a chi era rivolta quella lacrima di oddio. Alcuni giorni fa mi guardava con quel sguardo che mi penetrava nelle vene e arrivava fino al cuore. Un tempo avrei giurato che quel sguardo era destinato a me, ma ora non ero tanto sicura. Non sapevo cosa pensare.

L’unica cosa che contava per me in quel momento era che mi stavo risvegliando dopo un lungo sono invernale che mi aveva imprigionata nel ghiaccio per tutto questo tempo.

Finalmente il ghiaccio che copriva la mia pelle si stava sciogliendo, i miei polmoni stavano diventando più leggeri. Ora era in grado di respirare senza provare dolore.

Stavo cambiando ma il mio cuore era ancora imprigionato in una gabbia di ghiaccio. I miei sentimenti erano ancora incatenati in una prigione che avevo costruita io stessa.

 

Quanto ero stupida. La mia stupidita non ha limiti, mi sono annientata da sola. Ho continuato a procurarmi delle ferite profonde giorno dopo giorno incolpando gli altri dei miei errori.

Quanto ero stupida e infantile. 

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Capitolo 8
*** 8° . Un sogno ***


Buon giorno,

sono finalmente tornata a scrivere. Mi volevo scusare per la mia lunga assenza per gli ultimi mesi, non sono stati facili per me. Innanzitutto l'università mi assorbe completamente, senza contare i diversi problemi famigliari. Spero tanti che i miei lettori si ricordano ancora di me..., che dire ancora.

Spero che con questo capitolo mi avete perdonata per la mia lunga assenza.

 

Buona lettura!

 

8 capitolo

“ Un sogno “

 

 

 

Quella giornata fu molto strana, ma la notte che trascorsi fu ancora più strana. Non so dire ancora oggi da che cosa dipendevano i miei sentimenti.

***

 

Una dolcezza infinita invadeva il mio cuore.

Era l’una passata e io non riuscivo a dormire, il mio cuore batteva forte e sentivo il mio sangue caldo scorrere nelle vene.

Percepivo il battito del mio cuore che si diffondeva per tutto il mio corpo.

Non so quando mi ero addormentata o sé ero addormentata o sé era solamente una allucinazione provocata del caldo. Mi sembrava tutto cosi reale, anzi lo desideravo dal profondo del mio cuore.

Sognai me, vestita di un vestito bianco. Sognai un castello coperto dalla neve. Sognai dei quadri bellissimi. Sognai di percorrere tutti i corridoi della mia prigione.

La cosa che mi fece credere che il mo sogno era la realtà, era che mentre sognavo provavo dei sentimenti. Il mio cuore era ubriaco di sentimenti, era pieno d’amore. Volevo solamente raggiungere il mio amore.

Sognai di correre per le scale, percorrere un infinita di corridoi e di stanze, di uscire dal castello con una tormenta di neve. Non mi importava di ferirmi i piedi con il giaccio. Non mi importava di prendere freddo. Volevo solamente abbracciare colui che amavo. Sentirmi stringere al suo petto. Sentire la sue pelle calda. Sentire le sue labbra sulle mie.

Mi precipitai dal castello. Camminai sulla neve, sentivo il freddo ma non mi importava. Percorsi tutto il giardino e lo vidi. Eccolo. Accanto all’altalena. Alto e splendido. Mi buttai tra le sue braccia. Senti le sue braccia intorno alla mia vita. Lo vidi chinarsi su di me. Sentivo il suo calore e la sua dolcezza.

Mi svegliai di soprassalto.

Mi sentivo strana. Il mio cuore mi batteva, ma non per il dolore. Questa volta perché provavo dei sentimenti.

Quanto ero stupida. Avevo cercato di cancellare la cosa più bella che avevo, la cosa più bella che mi era rimasta, i miei sentimenti.

Le lacrime cominciarono a bagnare il mio viso come ormai accadeva quasi tutte le sere. Ma la cosa che mi faceva più male era che mi dispiaceva che il mio sogno fosse finito.

Sentivo ancora le labbra che avevo sognato sulle mie. Non stavo sognando, almeno non in quel momento. Ero certa di aver sentito sulle mie labbra le labbra di qualcun altro. Ne ero più che certa, sentivo ancora il loro calore sulle mie e l’emozione che avevano risvegliato dentro di me.

Che confusione! La mia testa mi gira, il mio cuore sta per scoppiare e le lacrime continuano a bagnare il mio viso.

Avevo bisogno d’aria. Mi sentivo veramente strana. Il blocco di ghiaccio che mi impediva di respirare in quel momento non lo sentivo. Stranamente mi sentivo libera, non mi sentivo più imprigionata nella gabbia che avevo costruito intorno a me. La mia bolla invisibile si era dissolta.

Riuscivo a respirare.

Apri la finestra, sentivo il vento accarezzarmi la pelle, scompigliarmi i capelli. Sentivo una corrente elettrica aumentare con ogni mio movimento Nella finestra di fronte vidi una flebile luce, probabilmente di una lampada da tavola. Vidi qualcuno avvicinarsi alla finestra, d’istinto mi abasia, senti aprirsi la finestra, dal riflesso in TV potevo vedere che era Luca.

Non volevo vederlo, mi preoccupavo di quello che potevo trovare nei suoi occhi. Oddio che avevo visto il primo giorno oppure comprensione.

Mi sdraiai sul letto. Non avevo sono, anche se lo avessi, non sarei riuscita a dormire comunque. Ero tropo agitata.

Avevo bisogno di calmarmi, di ascoltare la musica. Era come se Luca mi leggesse nel pensiero.

Stava suonando la chitarra classica. Le notte invasero l’aria, riuscivo a sentire la canzone che stava suonando, la conoscevo perfettamente.

Stava suonando Layla di Erik Clapton. Una delle mie canzoni preferite. Nella mia testa provai a tradurla.

 

Cosa fai quando ti senti sola
e non hai nessuno al tuo fianco?
Sei scappata e ti sei nascosta per troppo tempo
Sai sola a causa del tuo stupido orgoglio

Layla, hai me in ginocchio
Layla, sto elemosinando, tesoro ti prego
Layla, tesoro non vuoi dar pace alla mia mente preoccupata?

Ho cercato di consolarti
Quando il tuo vecchio uomo ti ha abbandonata
Come un pazzo, mi sono innamorato di te

Hai girato il mio mondo sottosopra

 

Layla, hai me in ginocchio
Layla, sto elemosinando, tesoro ti prego
Layla, tesoro non vuoi dar pace alla mia mente preoccupata?

Prendiamo il meglio da questa situazione
prima che divento matto
Ti prego non dire che non troveremo mai una via d'uscita
e che il mio amore é vano

Layla, hai me in ginocchio
Layla, sto elemosinando, tesoro ti prego
Layla, tesoro non vuoi dar pace alla mia mente preoccupata?

 

Layla, hai me in ginocchio
Layla, sto elemosinando, tesoro ti prego
Layla, tesoro non vuoi dar pace alla mia mente preoccupata?

 

 

 

Quel ragazzo riusciva sempre a stupirmi, ogni volta. Quella sera scopri la sua bravura. La magia della sua voce su di me.

Ogni volta che lo sentivo suonare be…. mi ipnotizzava, tutte le mie preoccupazioni svanivano. Mi immergevo in un mondo diverso, più felice, pieno di colori che io non avevo visto per tutta la vita perché ero troppo cieca per farlo. Quella sera le mie difese erano completamente disinnescate, avevo paura di quello che poteva fare quel ragazzo solamente con un sguardo. Ripenso ora alla prima volta che lo vidi e mi meraviglio della magia e della potenza dello suo sguardo che ha avuto su di me. Lui riuscì a farmi provare una confusione interna mai provata prima d’ora.

 

 

Quella sera ascoltai quella canzone. In fine riuscì ad riaddormentarmi, ma con molta fatica. Dopo il mio strano sogno non sognai niente, dormi senza sogni. Credo che in quel momento fosse meglio cosi.

La voce di Luca quella sera ebbe su di me l’effetto di un tranquillante. Ogni volta che quel ragazzo cominciava a suonare la chitarra o a cantare. Tutte le mie preoccupazioni svanivano. Il mio dolore svaniva quando ero a canto a lui.

I miei sentimenti verso quel ragazzo, cosi solitario, cosi scontroso ma anche dolce in alcuni momenti. Mi faceva confondere. Non riuscivo a capire cosa provavo veramente.

Le certezze che erano nate dentro di me quel pomeriggio erano svanite con la stessa velocità con cui erano venute. Ormai non ero più sicura di niente.  

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