L'amore ai tempi di Jane Austen

di LAILA_dreamtime
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: L'incontro ***
Capitolo 2: *** un bacio ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: Un'amore perduto ***
Capitolo 4: *** La storia si fa complicata ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: L'incontro ***


Ragazze, mi rivolgo soprattutto a voi dato che credo che siate le persone piú adatte a capire i vaneggiamenti di una ragazzina eccessivamente romantica. Chi di voi non si é mai trovata ad immaginare come sarebbe stato vivere in un’altra epoca ma non ha mai osato esprimere il desiderio a causa del pensiero che echeggia costantemente nella vostra mente: «Come faró senza computer e cellulare? Sarebbe piú semplice terminare definitivamente la mia vita! Oh God..!». Io invece sono sempre stata contraria alla nostra ormai completa dipendenza dalle tecnologie, non nego che tutto ció porti ad una vita piú semplice, ma sono fermamente convinta che possiamo farne anche a meno.
Ecco perché stavo costantemente a sognare un tempo ormai passato.
Tutte queste seghe mentali mi portavano nella piú completa disperazione o addirittura ad idee suicide. Ma vi confesso una cosa: sono una vigliacca!
Si io, Agathe Greene, sono una codarda in piena regola e in piú tendo a drammatizzare tutto ció che mi succede. Quindi questi pensieri di morte rimanevano solo nella mia testa perché non avrei mai avuto il coraggio di farmi del male.
Come ciliegina sulla torta sono cosí maldestra che riuscirei a trovare un modo per farmi male anche in una stanza sommersa interamente da cuscini.
Ora che mi sono presentata posso proseguire con la mia storia...
Ero al primo anno di universitá, finalmente avevo abbandonato il nido e avevo preso il volo. Beh...diciamo non nel vero senso della parola e neanche in quello figurato dato che la mia vita non era cambiata piú di tanto. Sí convivevo con due ragazzi e non c’era piú mia madre con tutte le sue regole e i suoi modi antichi, o meglio datati, ma mi sentivo ancora oppressa dal desiderio di essere un’altra persona e la mia estrema timidezza (me n’ero completamente dimenticata! Un’altra fondamentale caratteristica della mia personalitá disturbata) non mi aveva permesso di aprirmi o di fare nuove amicizie, quindi ero rimasta un’asociale.
Mi ricordo ancora la mia folle convinzione che sarebbe diventato tutto come avevo sempre  desiderato una volta che me ne sarei andata di casa e di come, appena finito il liceo ero corsa come un fulmine a farmi tagliare i capelli.
Tutta la vita mia madre mi aveva costretta a tenerli lunghi e, dato che mi davano fastidio, ero costretta a tenerli in due trecce lunghe fino al sedere. Ereditati direttamente dalla mia bisnonna Charlotte, avevo dei capelli castani folti che mi cadevano in boccoli ottocenteschi lungo la schiena.
Credo che fu l’unica volta in tutta la mia vita che feci una cosa coraggiosa, prima di adesso. Infatti andai decisa dal parrucchiere che rimosse le tanto odiate trecce con un taglio netto.

Durante la mia disperata ricerca di un appartamento fortunatamente ero stata subito accolta con grande gentilezza da due stupendi ragazzi. Se vi dico stupendi credetemi! Erano quel genere di ragazzo che appena buttato giú dal letto sarebbe potuto andare direttamente a fare una sfilata senza neanche doversi sistemare. Io invece ero esattamente il contrario, che invidia!
Si chiamavano Thomas e John, nomi molto classici che aumentavano i miei filmini mentali sulla nostra possibile vita nel diciottesimo secolo. Non so perché ma entrambi si erano messi in testa che era loro dovere proteggermi e di conseguenza mi avevano preso sotto la loro ala protettrice. Io non negavo che ció mi infastidiva non poco e le nostre continue litigate erano ormai all’ordine del giorno.
Cosí la mia vita scorreva completamente diversa da quella che tanto avevo desiderato ed io continuavo a perdermi nei miei filmini malati.

«Sono felice di fare la vostra conoscenza, Mademoiselle Greene», disse lui con un leggero inchino e uno strano luccichio negli occhi. «Il piacere è tutto mio, Monsieur Horwyle».
Quell’uomo mi aveva di certo fatto un incantesimo. Non riuscivo a muovermi, le mie gambe erano come pietrificate. Una leggera brezza entrò dall’ampia finestra affacciata sul giardino e il mio abito di mussolina impalpabile si mosse leggermente facendomi tornare in me. Intanto il nuovo arrivato era andato a presentarsi a Miss Delaway e, con un sorriso smagliante, accolse i complimenti completamente fuori luogo di quella vecchia zitella.
I suoi capelli corvini si arricciavano leggermente sulla nuca e i suoi occhi chiari guizzavano di intelligenza e di qualcosa che non riuscivo a comprendere. Intorno a lui aleggiava un alone di mistero. Si giró verso di me e i nostri sguardi si incontrarono e per un secondo sembró che tutto si fosse fermato in attesa di questo attimo che a me parve infinito. Io fui la prima ad abbassare lo sguardo e subito quel familiare rossore tornò a colorarmi le guance. Non osai rialzare gli occhi ma sentii improvvisamente la sua presenza. Come aveva fatto? Con passo leggero e veloce come quello di una pantera si era avvicinato a me.
«Mlle Agathe, se posso osare di chiamarvi cosí, volevo chiederle se mi poteva accompagnare nella sua immensa biblioteca di cui sua  madre mi ha fatto cenno poco fa, sono smanioso di poterla ammirare» mi sussuró ad un orecchio. Era venuto tanto vicino che sentivo il suo respiro sulla mia pelle, mi ricomposi un attimo, aprii la bocca e...

DRIIIIIN...no la sveglia no!...alzai lo sguardo e cercai di muovere il mio braccio intorpidito. Mi stiracchiai e mi misi a sedere. Di fronte a me una ragazza completamente diversa da quella che stavo sognando poco fa mi stava rivolgendo uno sguardo frastornato. Aveva i capelli arruffati in tal modo da sembrare un nido e delle occhiaie che scavavano burroni sotto ai suoi occhi gonfi... Quando compresi che stavo guardando la mia immagine riflessa nello specchio sobbalzai e corsi verso il bagno incurante di essere in reggiseno e mutande. Devo dirvi peró che nell’appartamento, che era della misura adatta a ció che uno studente universitario poteva permettersi, aveva un solo bagno e, dato che convivevo con non uno ma bensí DUE uomini, avevamo organizzato dei turni.
Io ovviamente nella fretta mi ero completamente dimenticata del mio e, quando tutta trafelata entrai nel bagno, mi trovai davanti John, coperto solo da un asciugamano che si stava facendo la barba. Lui si giró verso di me e mi guardó da capo a piedi con uno sguardo che diceva piú delle parole e fece per aprire bocca, ma non ebbe possibilitá di proferire parola che io ero uscita e avevo giá sbattuto la porta con violenza. Mi sentivo bruciare la faccia dall’imbarazzo. Di sicuro ora sono piú rossa del divano di pelle di mia madre!

Dopo lo spiacevole incidente di quella mattina mi avviai con umore nero verso la caffetteria per fare colazione. Infatti ero riuscita a vestirmi e pettinarmi alla velocitá della luce ed ero schizzata fuori di casa prima che uno dei miei due coinquilini potesse anche soltanto augurarmi il buongiorno, chiaramente dimenticandomi di fare colazione.
La vista dei muscoli di John deve averti confuso un po’ la mente Agathe, mi dissi dopo essere inciampata e caduta per strada dando spettacolo. Solo io potevo inciampare su un marciapiede completamente sprovvisto di crepe o sporgenze. Ecco a voi la stupefacente Agathe! Si esibirá in un numero unico...il mio sarcasmo era al massimo stamattina. Devo imparare di nuovo a camminare!

Mi ero presa un cappuccino da portar via e mi trovai davanti l’ardua impresa di aprire la porta della caffetteria. Infatti avevo le mani occupate, una a reggere i libri per il corso e l’altra che sorreggeva il bicchiere di carta bollente.
«Aspetti, mi lasci darle una mano, mademoiselle»
Quella voce la conosco...mi girai di scatto e mi ritrovai a fissare negli occhi piú azzurri e profondi che avessi mai visto. Quegli occhi..
«Oddio scusami!!». Nella sorpresa avevo fatto cadere il mio cappuccino bollente proprio addosso a lui! Mi chinai in fretta per cercare di rimediare al disastro. «Non preoccupatevi. Stavo giusto andando a cambiarmi».
Alzai lo sguardo preoccupata. E di nuovo mi colse di sorpresa.
Non me l’ero immaginata! Era identico a George Horwyle, l’uomo del mio sogno!
Impossibile..oppure era davvero lui?

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Capitolo 2
*** un bacio ***


                                                            Capitolo II


«Mi dispiace davvero tantissimo!» gli urlai dietro nella disperata ricerca di non farlo andare via. Lui si girò e, con un sorriso, mi disse: «Come vi ho già detto non preoccupatevi, mademoiselle Agathe» e con passo veloce si allontanò.
Io rimasi lì, come un’ebete, a seguirlo con lo sguardo. Con uno scossone tornai in me e ripresi il mio cammino verso l’aula.
Aspetta...come faceva a sapere il mio nome?? Questa domanda mi tormentò per tutta la giornata.
Non riuscivo a spiegarmi la sua fortissima somiglianza con Monsieur Horwyle né la grandissima attrazione che provavo per lui.

 Dopo la lezione andai di nuovo alla caffetteria per pranzare, nella vana speranza di rivederlo. Thomas mi raggiunse raggiante come sempre. Come fa ad essere cosí perfetto?
Tutte le ragazze si girarono verso di noi, alcune volgevano sguardi assassini alla malcapitata, ossia a me! Che siano davvero capaci di uccidere? Ci sedemmo a tavola e lui, ovviamente, non ordinò niente. «Devo mantenere la linea!». Ma vaffa...!
Le sue labbra perfette riuscirono a distrarmi e a tranquillizzarmi.
Finito di pranzare, decisi di andare in biblioteca a studiare. Che c’é di meglio di un paio di orette di studio per passare il tempo? Oggi è proprio la mia giornata no!

Arrivata in biblioteca mi sedetti e rimasi due minuti a rimuginare su ciò che mi era accaduto. Poi mi convinsi che non ne valeva la pena di torturarmi in quel modo e iniziai a studiare (un’altro tipo di tortura). Dopo un’ora passata sui libri notai che mi stavo deconcentrando e alzai lo sguardo al soffitto per ammirare gli affreschi che lo decoravano e per rilassarmi gli occhi. Abbassai lo sguardo e lanciai un grido di sorpresa. Seduto davanti a me c’era quell’uomo! E mi stava fissando con i suoi occhi azzurri.

«Shhhhh!», tutta la biblioteca sembrava improvvisamente avercela con me. Io mi feci piccola, piccola e diventai, come al solito, paonazza. Lui continuava ad osservarmi con sguardo divertito e ciò mi fece arrossire ancora di più. I pomodori sono certamente meno rossi di me in questo momento! Presa da un’improvvisa foga, mi alzai di scatto, presi i miei libri e corsi via alla velocità di un razzo. Purtroppo la mia goffaggine mi fece una delle sue, non contenta dell’imbarazzo che stavo già provando. L’ultima cosa che vidi furono i fogli che fluttuavano sopra di me, poi tutto nero. A morte colui che ha lucidato proprio oggi il pavimento!!

Aprii gli occhi e come prima cosa vidi tutto appannato. Poi lentamente iniziai a mettere a fuoco e mi trovai ad osservare quegli occhi azzurri a meno di dieci centimetri dai miei.
Intanto sentivo delle voci confuse intorno a me. Ci siamo! Ora sto anche diventando schizofrenica!
Lui mi porse la mano ed io accettai il suo aiuto con gioia. Mi alzai a fatica e notai che le voci appartenevano a degli studenti che mi stavano intorno, tutti con un orribile sguardo di preoccupazione stampato sul volto.
Mi stava ancora tenendo la mano ed io non ebbi il coraggio di lasciargliela, o meglio non volevo dato che le sensazioni che mi procurava non erano poi cosí sgradevoli. Non lasciarmi mai..oddio sono davvero un’oca!!!
Ci avviammo lentamente verso l’uscita, sempre mano nella mano.
«Dovete smetterla di piombarmi tra le braccia, mademoiselle Agathe. Chissà cosa penserà ora la gente di noi!» disse con uno strano ghigno.
«Uno non lo faccio apposta! Due come sapete il mio nome? E tre..ma come mai continuate a darmi del VOI??... Oddio hai contagiato anche me!». Una risata cristallina fece accelerare i battiti del mio cuore, tanto da farlo sembrare un uccellino in gabbia. Mi prendi anche in giro?
Ormai eravamo usciti dalla biblioteca e ci stavamo avviando verso il parco.
«Cosa vuoi da me?» Perché la mia voce inizia ad assomigliare sempre di più a quella di un’oca impaurita?
«Non so neanche il tuo nome! Lasciami andare!» No ti prego, non farlo!
«Scusatemi, non mi sono neanche presentato: sono George Horwyle, duca del Derbyshire» disse con un inchino degno di un vero gentiluomo.
Non ci credo! Si sta davvero prendendo gioco di me!
«George Hor..» la voce mi morí in gola. Era lui! Era davvero l’uomo del mio sogno!
Dovevo aver fatto una faccia davvero strana, fatto sta che George mi fece il piacere di risentire la sua risata. Ed ecco che tornai rossa come un peperone!
«Sono desolato! Ma il vostro volto..hahhaha..».
Io non ci trovo niente da ridere! Mi ricomposi e cercai di guardarlo nel modo più serio possibile. La sua risata si fece ancora più forte: il risultato non doveva essere per niente come me l’ero immaginata.
Gli lasciai la mano e mi girai di colpo fermamente intenzionata ad andarmene.
«AGATHE!», quest’urlo si contrappose nettamente al silenzio intorno a noi.
 Mi fermai, ma non osai guardarmi indietro.
«Ci sono tante cose che devo dirvi! Dopo tutto questo tempo...» disse con voce strozzata. «Dovete capirmi! Appena vi ho vista..» gli morirono le parole in gola. In quel momento mi girai e lo guardai. Sembrava combattuto ma non appena vide che lo stavo guardando dritto negli occhi, una scintilla gli illuminò lo sguardo e come travolto dalla passione coprì con poche falcate quella distanza formatasi tra di noi. Mi abbracciò con trasporto e mi baciò. Ora svengo!

Per tutto questo tempo, io rimasi pietrificata. La situazione era talmente pregnante di cose che non riuscivo a comprendere e trovarmi davanti un’uomo uscito dai miei sogni di certo non aiutava le cose.
Un sussurro allo stesso tempo nostalgico e passionale uscì dalle sue labbra, che aveva momentaneamente staccato dalle mie: «Oh Agathe, quanto mi siete mancata!».
Grazie a quella frase, improvvisamente, mi ripresi dal torpore e con una forza di volontà sovrumana lo spinsi via (si ragazze, perchè ce ne vuole tanta per staccarti di dosso un ragazzo che ti bacia, per giunta carino!). Ora potevo guardare direttamente in quelle pupille rese momentaneamente vacue dalla sorpresa del mio improvviso rifiuto, presi tutto il mio coraggio e adottai l’espressione più seria e contrariata che avevo e gli dissi: «Io non ti conosco! Non ti ho mai visto in vita mia!». Come mai mentire mi risulta così improvvisamente facile? Se sapesse...

A quelle parole vidi come un velo coprire l’azzurro splendente dei suoi occhi e compresi ciò che non ero riuscita a riconoscere prima nel suo sguardo: un’immensa tristezza.
«È vero, come fate a ricordarvi di me!», era quasi un grido disperato.
Non ce la facevo più. Volevo gridare. Volevo urlargli in faccia che mi ricordavo di lui. Ma l’unica volta che l’avevo visto era stata in un sogno.
Mi sentivo già le lacrime scorrere sulle guance, mi voltai e corsi via!
AGATHE! Quell’urlo risuonava ancora nella mia mente.
Entrata in casa, mi chiusi subito in camera e lasciai che i pensieri prendessero il sopravvento su di me. E così mi abbandonai sul letto e caddi in un sonno tormentato.

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Capitolo 3
*** Capitolo III: Un'amore perduto ***



                                                        Capitolo III

La luce filtrava delicatamente attraverso le tendine di pizzo e si posava sul mio viso. Per un momento mi sembrò di essere ancora a casa mia, nella mia vecchia vita. Poi realizzai che ero nel mio appartamento ben lontana dalla villetta di periferia di cui mia madre andava tanto orgogliosa.
Io odiavo quella casa, quel quartiere e tutte quelle famigliole apparentemente perfette e felici.
Da bambina ho sempre provato ad immaginare ciò che si poteva nascondere dietro a quelle mura.
Il solo pensiero di essere tornata per un momento laggiù mi fece rabbrividire.
Mi stiracchiai e con forza sovrumana mi alzai dal mio piccolo letto e mi guardai attorno. Ero finalmente riuscita a rendere la mia camera più personale. Le pareti erano rosse, il colore della passione ma anche della forza, del coraggio. Lo avevo scelto proprio per aiutarmi a cambiare e ad infondermi coraggio.
Davanti a me c’era una grande cassapanca antica, forse del settecento, ovvio regalo di mia madre.
«Così porterai un po’ di gusto francese in quell’orrido appartamento» era stata la sua giustificazione .
Ma mère... È sempre stata contraria alle mie scelte e ai miei sogni. Con quella sua altezzosità, tipica di una donna francese, era riuscita a rendersi insopportabile sia a me che a mio padre. Mi sono sempre chiesta come mai l’abbia sposata. Non nego il fatto che era una donna molto bella (ho ereditato da lei i miei occhi da gatta, forse l’unica parte che mi piace di me), ma la bellezza passa in secondo piano se ti ritrovi davanti una donna che si ostina a parlare, con una vocetta stridula, in un finto accento francese dato che saprebbe benissimo parlare senza traccia di esso. Il suo attaccamento alle tradizioni e alla sua vita precedente il matrimonio erano quasi morbose.

Lo squillo del cellulare mi destò dai miei pensieri. Saltai in piedi di scatto ed inciampai in un libro che si trovava ai piedi del letto. Caddi e sbattei il ginocchio sul pavimento.
«Merd..!!» esclamai e allungai il braccio nella disperata ricerca di prendere il mio cellulare che sembrava impazzito. Parlando del diavolo...
«Mamma! Come mai..» non feci in tempo a finire la frase che lei aveva già iniziato a gridare istericamente. E chi la ferma più ora!
«Agathe! Quante volte ti ho detto che devi chiamarmi Maman! Non sei orgogliosa delle tue radici francesi? Mi vergogno di avere una figlia così poco degna del nome che porta! Sei sempre la solita!» disse con una voce che rasentava il falsetto.
«Comunque ti ho chiamata per sapere quando hai intenzione di tornare a casa a trovarci! Io e tuo padre ci stiamo preoccupando...».
«Mam..Maman come ti ho già detto la scorsa settimana sono ancora piena di esami e devo studiare!».
Come fa a non capire che la cosa peggiore per me, ora, sarebbe rivederla?
Mi alzai dal pavimento, dove la posizione che avevo assunto si avvicinava molto al contorsionismo.

«Io non capisco voi giovani d’oggi! Ai miei tempi le ragazze non si preoccupavano di studiare...».
Ecco che inizia di nuovo!
«Mamma, non ho intenzione di parlare con te di queste cazzate! Sono adulta e ho la mia vita, smettila di impicciarti!» con queste parole le attaccai in faccia.
Sulla mio viso si era stampato un sorriso di vittoria. Riuscivo ad immaginarmi la sua faccia all’altro capo del telefono.
Con soddisfazione marciai fuori dalla camera per farci subito ritorno con uno scatto da atleta delle olimpiadi. Che ci fa LUI qui?
Seduto al tavolo insieme a Thomas c’era LUI: George!
All’improvviso mi tornarono in mente tutti i ricordi riguardanti la sera scorsa.
Il bacio era ancora sulle mie labbra, il tocco delicato e a sua volta disperato delle sue, come se cercasse di portarmi indietro ad un ricordo che non avevo mai avuto.
Il cuore mi batteva talmente forte che avevo paura potesse saltarmi fuori dal petto e correre verso di lui come un cagnolino corre verso il suo padrone. Stai calma! Non lo conosci neanche!
Qualcuno venne a bussare alla mia porta ed io mi fiondai sul letto con una specie di tuffo e mi raggomitolai come se stessi dormendo. Non volevo affatto essere costretta a parlarci dato che ero sicura che avrei fatto un’altra delle mie figure. E poi ero ancora scossa da quello che era successo ieri.
Sentii dei passi leggeri avvicinarsi a me e poi qualcuno si chinò a baciarmi la guancia. Riconobbi subito il suo odore o meglio profumo. Era delicato ma contemporaneamente deciso e suadente. Inspirai fortemente inebriandomi di quel dolce momento. Sentivo ancora la sua presenza dietro di me. Si era seduto sul bordo del letto e mi stava contemplando con uno sguardo malinconico.
Un brivido mi attraversò su tutta la lunghezza della schiena: con una sua mano aveva iniziato ad accarezzare la rotondità del mio viso, il mio collo ed infine a tracciare il contorno delle mie labbra leggermente socchiuse.
Trattenni il respiro per evitare di lasciare andare un gemito di piacere.
Iniziò a mormorare qualcosa: «Amore mio..non vi lascerò scappare più! Il mio cuore si è fermato non appena vi ho vista! Siete sempre la solita maldestra, ogni volta che vi rivedo avete sempre dei nuovi lividi sulla vostra pelle bianca come il latte. Ma ora ci sono io a proteggervi. Io ci sarò sempre, sempre, sempre...».
Che mi abbia presa per un’altra? Si ne sono certa!
Mi baciò entrambe le palpebre e poi si alzò e uscì dalla stanza. Aspettai immobile fino a che non sentii il familiare chiudersi della porta d’ingresso. Mi alzai e rimasi a riflettere un’attimo. Era proprio possibile che io assomigliassi al suo “amore”. A pronunciare quella parola sentii una fitta di gelosia. Il fatto che la mia deduzione era perfettamente plausibile mi lasciò con un velo di malinconia. Non ero io la donna dei suoi sogni, colei che aveva cercato in lungo e in largo. No, io ero solo l’insulsa Agathe che si ostinava a sognare ad occhi aperti...

Uscita dalla stanza venni accolta dagli schiamazzi di Thomas.
«Agathe! È venuto qualcuno a cercarti! Era un ragazzo!!»
Lo disse con un tono che mi fece capire quanto era realmente sorpreso del fatto che un ragazzo volesse vedermi.
Le sue parole mi erano completamente indifferenti e continuai a camminare verso l’uscita seguita dal suo mormorio reso attutito dalla mia momentanea sordità.
Era inutile! Più mi sforzavo di ricordare il suo volto più mi deprimevo. L’unica volta che l’avevo mai visto era nel mio sogno.
Immersa nei miei pensieri andai a sbattere proprio addosso alla persona che più avrei desiderato vedere in quel momento: George.

«Buongiorno dormigliona!» disse con un’espressione divertita. Ma ormai avevo imparato a decifrare il suo sguardo e riuscivo chiaramente a vedere che cercava di coprire la sua tristezza con un falso buonumore.
«Ciao» dissi forse più scorbutica di quanto volevo sembrare.
Nei suoi occhi balenò un luccichio di dolore come se l’avessi appena colpito con una freccia.
Cercai subito di rimediare dicendogli nel modo più gentile possibile: «Mi devi delle spiegazioni!», ma il risultato fu esattamente il contrario di quello che speravo.
«Lo so. Mi dispiace di essere piombato in questo modo nella vostra vita.»
Lo guardai incredula. Perchè ti stai scusando? A me non dispiace affatto!
«Ho paura che non potrete mai perdonarmi dopo quello che vi dirò! Ho paura che quando ricorderete vi rifiuterete di vedermi per ciò che vi ho fatto! Ma sappiate che l’ho fatto per amore, l’amore che provo per voi».
Cosa vuoi dire mio bel principe? Non riesco neanche ad immaginarmi una cosa che potrebbe farvi odiare dalla donna che amate con tanto ardore! Se fossi davvero io vi perdonerei senza neanche battere ciglio!

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Capitolo 4
*** La storia si fa complicata ***



                                                   Capitolo IV

I suoi occhi si fissarono direttamente nei miei e il suo sguardo si fece man mano più indagatorio.
Devo ammettere che avevo un po’ di paura e i miei dubbi si facevano man mano più forti. Io non lo conoscevo, ma lui diceva di conoscermi e mi chiamava amore.
Per fortuna non riesce a leggermi nel pensiero, mi rassicurai, ma purtroppo in me cresceva il dubbio che invece ne fosse perfettamente capace. Ciò era plausibile data la sua abilità nell’entrare nei sogni altrui. La situazione si stava facendo pian piano più complicata.
«A cosa state pensando? Dal vostro viso sembra che si tratti di pensieri molto complicati» disse squadrandomi ancora di più con quegli occhi color del mare.
Ecco lo sapevo!
«Non provare a cambiare argomento! Mi volevi dire una cosa...» dissi nel disperato tentativo di allontanare quello sguardo inquisitorio da me.
Nei suoi occhi tornò quell’espressione familiare, quella tristezza che ancora non ero riuscita a decifrare.
«Mlle, voi siete la cosa più importante che ci sia per me adesso. Quindi fate uno sforzo e cercate di capire che tutto ciò che vi preoccupa, preoccupa anche me. Vi prego apritevi a me».
Con questa frase molto equivoca concluse il suo discorso.
Ma allora vuole proprio strapparmi il cuore dal petto?
Il colorito ritornò subitamente sulle mie guance e i miei occhi si focalizzarono fissi nei suoi. Restammo a fissarci per una piccola eternità. Ormai l’elettricità che c’era nell’aria si poteva quasi toccare. Baciami scemo!
Nei suoi occhi balenò uno sguardo di supplica che, alla stessa velocità in cui era arrivato, sparì e divenne di delusione.
«Capisco...non sentitevi costretta a dirmi tutto. Mi dispiace di avervi disturbato. Addio mon amour».
E così si voltò e si allontanò lentamente.
Per l’ennesima volta mi trovavo a fissare quella schiena e non riuscii a frenare il mio disappunto.
Mi voltai anch’io e camminai via marciando, degna di un vero e proprio soldato arrabbiato.

La musica allegra risuonava nelle mie orecchie. Avevo una disperata voglia di ballare. La sala era gremita di persone che si urlavano l’un l’altro nel tentativo di rendersi comprensibili.
Quanto mi erano mancati i balli popolari, è passato almeno un secolo da quando maman mi ha permesso di andarci... A destarmi dai miei pensieri fu il caro Mr. Smith, uno dei miei più fervidi pretendenti.
«Mia cara Agathe, non vi starete annoiando per caso? Ciò mi provocherebbe un dolore immenso, sappiatelo»
Con una risata nervosa gli risposi :«No, non dolete caro Mr. Smith. Anzi devo comunicarle che sono più che a mio agio qui. Vedere la gente che balla e che si diverte per me è una vera gioia»
«Come siete generosa, mia bella. Ma non temete! Da ora fino alla fine della serata non sarete più colei che si diletta nel guardare gli altri divertirsi, bensì saranno gli altri a doverla guardare. La prego di concedermi questo ballo e tutti quelli a venire» disse con una tale premurosità che era impossibile rifiutare.
Non poco tempo dopo mi ritrovai a volteggiare lungo tutta la sala e a ridere come una
«La vostra risata mi lusinga. Ah!» a quella esclamazione sobbalzai.
«Devo ritenermi l’uomo più fortunato di tutta la festa» disse con soddisfazione.
Con finta curiosità gli dissi «Posso permettermi di chiedervi il motivo?».
«Beh..se solo voi vedeste gli sguardi gelosi che fino ad ora tutti i giovanotti mi stanno lanciando! E questo solo a causa vostra».
Il mio sguardo strisciò momentaneamente lungo tutta la sala e si fermò su un paio di occhi molto familiari che a loro volta mi guardavano con ardore.
Arrossii di colpo. Oh George...

Biascicai qualche parola e poi mi alzai di scatto. Sul cuscino c’era una macchia sospetta di bava.
Devo aver dormito di nuovo con la bocca aperta!
Mi massaggiai la testa che mi doleva. Svegliarmi con il mal di testa era un brutto segno, cioè prediceva una giornata nera.
Ripensai al bellissimo sogno. Sembrava tutto così vero... La consapevolezza che ciò non era affatto possibile mi fece sentire come se avessi appena ricevuto uno schiaffo in faccia.
Un odore squisito proveniva dalla cucina ed entrava nella mia stanza attraverso la porta socchiusa insieme al chiacchiericcio sommesso dei miei due uomini.
Miei?! Ma cosa mi sono messa in testa?
Mi alzai e, ancora in pigiama, mi trascinai fino alla cucina. Forse il termine cucina non é appropriato dato che si trattava di un buco. Chiamiamola pseudo-cucina.
La conversazione trattava di un argomento di enorme importanza.
A quanto pare Thomas aveva messo in imbarazzo John l’altra sera ad una festa.
Ah, mi ero dimenticata di dirvi che la sfigata in questione (io) ovviamente non va alle feste.
Thomas si era comportato troppo da checca con gli amici di John, provandoci spudoratamente con la metà di loro.

Dovete sapere che Tom e John non potrebbero essere più diversi.
John è un eterosessuale convinto, del tipo l’esemplare che meglio descrive la razza strana che sono gli uomini. Ossia un vero uomo. Con tanto di passione per ogni tipo di sport e completo rifiuto della qualità che si chiama empatia. Per lui le ragazze rappresentavano una sfida e, dato che si annoiava velocemente, cambiava in continuazione ragazza. La sua relazione più lunga era durata due settimane.
Thomas era esattamente l’opposto. Possedeva un senso dell’umorismo difficile da comprendere per chiunque lo ascoltasse ed era sempre effervescente, gioioso ed eccitato: si comportava come se ogni giorno fosse il suo compleanno. Certe volte questo suo entusiasmo poteva andare sui nervi, soprattutto a John, che non si entusiasmava per nulla se non per un bel culo.
Il suo modo di vestire era impeccabile e non rinunciava mai al suo farfallino.
Mi sono dimenticata di aggiungere che Tom ha tendenze omosessuali.
Quindi tutti queste loro caratteristiche li rendevano le persone più diverse al mondo, ma nonostante ciò erano migliori amici.

«Buongiorno» biascicai acciuffandomi una tazza di caffè fumante.
«Vedo che qualcuno si è alzato particolarmente bene oggi» disse John stropicciandosi i capelli biondi che, come al solito, guardavano in tutte le direzioni. Poi si alzò per prendere uno di quei toast bruciacchiati accatastati su di un piatto. Me lo passó ed io lo agguantai con gioia.
Tom si sistemò sullo sgabello aggiustandosi gli occhiali, si voltò ed io non feci neanche in tempo di addentare quel toast che lui, con un grido barbarico me lo strappò di mano.
«COSA PENSI DI FARE?!»
«Mangiare la mia colazione..» dissi intimorita.
«C..CA..CARBOIDRATI» ormai era fuori di se.
«Cosa c’è Tom?» chiese John.
«Te non puoi capire quanto una fetta di pane possa influenzare la linea di una ragazza» disse disperato. Poi con gesti teatrali mi si avvicinò e, a due centimetri dal mio viso, mormorò: «Tesoro, spero di non averti spaventata, ma sai te non vuoi mica introdurre quel veleno nel tuo bel corpicino, vero?» Mi guardò come se aspettasse una risposta.
«VERO??» la sua voce si era fatta nuovamente stridula.
John mi guardò come a dire TI PREGO DI’ QUALCOSA.
«No tranquillo Thomas» dissi alla fine, arrendendomi all’evidenza che preferivo dargli ragione che passare tutto il giorno a sorbirmi i suoi commenti sul mangiare dietetico.
Che bella Domenica!

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