Anche il Trifoglio porta fortuna

di ermete
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tutor e la matricola ***
Capitolo 2: *** Shamrock ***
Capitolo 3: *** La persona definitiva ***
Capitolo 4: *** Spirito di vino ***
Capitolo 5: *** Il problema ***
Capitolo 6: *** La soluzione è il problema ***
Capitolo 7: *** Il re è caduto ***
Capitolo 8: *** Gemmazione ***
Capitolo 9: *** Un valido motivo ***
Capitolo 10: *** Amore fraterno ***



Capitolo 1
*** Il tutor e la matricola ***


***Ciau! Ve l'aspettavate di ritrovarmi già qui? Eheheh la verità è che questa AU era stata abbozzata tra BTA e BTL e poi stata abbandonata a favore di BTL, ma siccome nutro un amore smodato per le AU!school, ho deciso di riprenderla e scriverne una a mia volta. Per chi mi conosce, rispetto alle altre mie long questa ha dei capitoli nettamente più corti (la metà degli altri come conteggio di parole) e voi direte "mbeh?", beh in realtà per me è stato un freno nel pubblicarla perchè abituata ad altri standard tutto ciò mi sembrava strano, ma come mi hanno detto Jessie, Mrs Teller e RosiePosie77(che mi hanno betato e supportato <3 thanks!), chi se ne frega se i capitoli son più corti? Aggiorni prima e ne scrivi di più, quindi taaaaaaac, fatto. Pubblicato il primo capitolo di questa mia nuova long :D ah! E si, avete letto bene: fluff, sentimentale e ANGST °___° che per i miei standard è stranissimo! Ora, ci sarà effettivamente un po' d'angst, ma non preoccupatevi, non sarà nulla di così pesante da lasciare il magone a fine capitolo (e comunque non sarà onnipresente :D) Che dire? Spero avrete voglia di leggermi *_* BACIO!***

Il tutor e la matricola
Le nuove matricole erano sedute davanti al palco allestito dal college universitario, alzandosi in piedi solo alla conclusione del discorso del Magnifico Rettore che annunciava l’inizio dei corsi auspicando ai nuovi e ai vecchi studenti un sincero augurio per la loro carriera accademica.

In piedi davanti al palco, i tutores didattici davano le spalle al spalle al Rettore, rivolti verso le matricole in primis, e agli studenti più grandi nelle file più indietro: c’era un vuoto tra le sedie dei nuovi iscritti, un nome spiccava sul foglietto di carta poggiato sullo schienale della seduta, ed era quello di Sherlock Holmes.
Mike Stamford, un giovane sorridente con piccoli occhiali poggiati sul naso a patata, sgomitò il collega tutor che aveva affianco a sè, indicandogli con un gesto secco del capo il posto vacante “E’ uno dei tuoi. Manca all’appello già dal primo giorno, non sei contento?”
“Cominciamo bene.” rispose il giovane a denti stretti, sbuffando un po’ dell’aria che aveva inspirato poco prima: sul badge appuntato alla camicia bianca era segnato il suo nome, John Hamish Watson.

Quando la cerimonia finì e tutti gli studenti riposero l’elegante divisa riservata alle cerimonie ufficiali a favore degli abituali vestiti casual, i tutores chiamarono a gran voce i nomi delle matricole che erano state loro affidate: si formarono diversi gruppetti nel parco del college, un’enorme varietà di ragazzi e ragazze, di stili e vestiario, di visi e carnagioni, molte delle quali ancora abbronzate dall’estate appena finita.
John Watson, che assieme agli altri tutor vestiva ancora l’abito ufficiale della Facoltà Universitaria per ottenere una maggiore visibilità in quella moltitudine di ragazzi, accompagnò i componenti del proprio gruppo nei punti salienti del college, la mensa, le biblioteche, la sala comune, le segreterie ed infine i dormitori: arrivati all’ingresso di questi ultimi, divisi in piani diversi per maschi e femmine, John riassumette le poche regole fondamentali del campus, lasciando infine qualche consiglio a carattere più generale.
“...e per qualunque domanda, potete trovarmi nell’orario di ricevimento indicato sul foglio che vi ho lasciato, oppure, più semplicemente, potete scrivermi un’email. Divertitevi, e se proprio dovete infrangere qualche regola, vedete di non combinare danni seri e soprattutto di non farvi beccare, o sarò io il primo a segnalarvi in presidenza. Voglio ordine, e soprattutto non voglio essere ripreso io per qualcosa che fate voi. Andate pure a sistemarvi nelle vostre stanze.” John concluse con un sorriso, aspettando che tutti i componenti del piccolo gruppo si sparpagliassero prima di muoversi a sua volta: accolse con piacere le occhiate interessate di due ragazze che sfilandogli accanto si lasciarono scappare dei risolini divertiti. L’unica cosa che lo scocciava in quel momento, era che avrebbe dovuto ripetere tutte le spiegazioni allo studente assente alla cerimonia ufficiale: sottolineò il nome Sherlock Holmes sull’elenco delle sue matricole, inarcando le sopracciglia in un’espressione stranita “Che nome...”
John decise dunque di tornare alla propria stanza, pregustando già la piacevole sensazione di non doverla dividere più con nessuno: i tutores infatti, avevano il privilegio di ricevere una piccola, simbolica, retribuzione per il lavoro svolto con le matricole e la fortuna di avere una stanza singola. Si diventava tutor per dei meriti particolari, quindi il collegio docenti aveva deciso quella piccola concessione, e John era finalmente libero di avere uno spazio tutto per sè, visto che coi precedenti coinquilini era stato piuttosto sfortunato. Quando però arrivò di fronte alla porta della propria stanza, impallidì nel vedere il via-vai di persone ben vestite che non faceva altro che portare scatoloni all’interno: affianco alla porta c’era il Rettore che gli si fece incontro “Tutor Watson, come vede abbiamo un piccolissimo problema.”
John sbirciò dentro l'appartamento: dire che fosse pieno di roba era un eufemismo. Lui che era così ordinato, vide i propri effetti spostati ai quattro lati della stanza per far posto a tutti quegli scatoloni la cui provenienza gli era ancora sconosciuta “Quale piccolissimo problema?”
“Abbiamo questa nuova matricola, che si è iscritta all’ultimo momento e non abbiamo avuto modo di sistemarla nelle stanze assieme altre matricole, sarebbero state troppo affollate.”
“Beh, ora è molto affollata anche la mia stanza, Rettore.”
Il rettore riprese a parlare quando John ebbe finito di esternare il proprio disappunto, comprendendo la scocciatura del giovane tutor “E’ stato assegnato a lei perchè è nella sua lista, Watson...” poi gli si avvicinò, sussurrandogli all’orecchio “E’ figlio di una famiglia molto importante, grazie ai loro soldi abbiamo potuto rimordernare tutto il laboratorio di chimica. Deve avere pazienza, tra un anno lei sarà laureato, e non avrà più a che fare con questa faccenda. Compenseremo questa mancanza con il doppio del normale stipendio che viene retribuito ai tutores.”
“Spero solo rimarrà abbastanza spazio per me qui dentro.” borbottò John mentre vide l’ennesimo cartone sistemato all’interno della stanza “Come si chiama?”
“Holmes. Sherlock Holmes.” il Rettore osservò John di sottecchi, lasciando poi vagare lo sguardo altrove quando s’accorse che il giovane l’aveva visto.
“Ah, il ritardatario.” John intuì che il Rettore che gli stava nascondendo qualcosa, ma proprio quando stava per domandarglielo, vide un giovane entrare nella sua stanza: era alto e longilineo, pelle chiara come la neve che contrastava coi riccioli neri che gli incorniciavano il volto pallido su cui spiccavano un paio di occhi dello stesso colore del ghiaccio. Non vestiva come gli altri ragazzi della sua età, non aveva jeans, sneakers e t-shirt, ma un completo scuro di taglio classico abbinato ad una camicia altrettanto formale e ben stirata. Era un meraviglioso disegno tracciato col gesso sulla lavagna, era una creatura surreale, un elfo, se non fosse stato per i capelli scuri. Recava con sè la custodia di uno strumento musicale con la mancina e abbracciato tra il fianco e l’arto destro un microscopio.
Il Rettore approfittò della distrazione di John per allontanarsi dopo un rapido saluto “Se avrà problemi me lo faccia sapere, Watson. Buona giornata.”
John sbuffò, quindi sentì gli uomini -i servitori, pensò- accomiatarsi col giovane che non si degnò di ricambiare, e poi li vide uscire: salutarono educatamente e John ricambiò, studiandoli un poco mentre si allontanavano definitivamente dalla stanza.
Si decise quindi ad entrare nella propria stanza e, facendo lo slalom tra le diverse scatole, cercò con lo sguardo il suo nuovo coinquilino che trovò semi affacciato alla finestra, poggiato di profilo al muro come se volesse fuggire ai raggi del sole, gli occhi rivolti verso il basso, verso una macchina nera di servizio la cui partenza sembrò soddisfarlo.
“Sai, ti ha mentito il Rettore.” Sherlock ruppe il silenzio, quindi si voltò verso John, infilandosi le mani in tasca: lo guardò da testa a piedi, soffermandosi via via sui dettagli del viso e della postura che, a quanto pare, trovava interessanti. Lo studiò come lo si fa con un manuale, lo analizzò in quei pochi secondi, finchè John non gli rispose.
“Scusa?” domandò intrecciando le braccia al petto, squadrandolo a sua volta, seppur non in modo così approfondito.
“Non è vero che sei stato estratto a sorte.” prese una pausa, durante la quale si avvicinò ad uno degli scatoloni dal quale estrasse qualche libro “Mio fratello ha studiato personalmente le schede personali di tutti i tutores e ha valutato che tu fossi il migliore, o meglio, il più adatto ad occuparti di me.”
John ripensò allo sguardo del Rettore, al tentennamento che aveva letto nel viso e nel tono. Avrebbe voluto fargli molte domande, ma decise di limitarsi ad ascoltare, per il momento, quindi fece un cenno al giovane “I tutores non sono delle balie.” alzò poi le braccia, togliendosi il maglione sopra il quale era ricamato lo stemma dell’Università per poi riporlo ordinatamente sopra la propria scrivania.
“No, certo che no. Ma come avrai sicuramente intuito, la mia famiglia avrebbe anche avuto i mezzi per sistemarmi in una camera da solo, e credimi, l’avrei preferito. Ma mio fratello ha pensato bene che non sarebbe stato saggio e salutare per me, quindi ha deciso di mettermi in una stanza con un tutor. Le altre matricole sarebbero stata una scelta peggiore, più casiniste, più trasgressive, più insopportabili, quindi, dovendo scegliere tra uno studente più grande, ha scelto un tutor e tra i tutores ha scelto te.” disse Sherlock tutto d’un fiato, rialzando lo sguardo su John.
“Che onore.” biascicò John sarcasticamente, per poi sparire pochi minuti nella propria stanza, uscendone poi fuori con jeans e maglietta, decisamente più comodi rispetto ai pantaloni classici e alla camicia della divisa. Nel piegarsi, poi, per spostare uno scatolone che era totalmente in mezzo ai piedi, gli sfuggì un’occhiata che si posò su Sherlock: lo vide sedersi su una delle due poltrone, alzare le gambe e abbracciarsele in una posa che a John suscitò una strana tristezza. Si ritrovò a pensare che forse quel ragazzo incarnava il clichè del ragazzo straricco, senza amici, triste e senza alcuna voglia di vivere la propria giovinezza, quindi fu altrettanto rapido il ragionamento che lo portò a pensare a se stesso come il tipico ragazzo stronzo che ignorava i ragazzi ricchi ma disadattati come lui e finì col rimproverarsi da solo.
Si rialzò dunque, avvicinandosi alla poltrona su cui sedeva Sherlock, il quale spostò lo sguardo, posandolo su John: erano occhi che, mentre a prima vista potevano sembrare tanto freddi quanto inespressivi, ad un’analisi più attenta potevano sembrare malinconici e forse un po’ impauriti. John alzò la mano verso la matricola.
“John Watson, piacere di conoscerti.” si sciolse in un piccolo sorriso che venne ricambiato, di riflesso, dall’altro.
Sherlock infatti, dopo pochi istanti di stupore, inarcò a sua volta uno degli angoli della bocca in un piccolo sorriso, per poi alzare la mano che fu presa dalla stretta vigorosa del tutor “Sherlock Holmes.”
“Che nome strano.” rispose John, provando a rompere il ghiaccio: si sedette di fronte a lui, sull’altra poltrona “Hai marinato la cerimonia di presentazione. Dimmelo subito, sei uno che trasgredisce spesso le regole?”
“Mpf.” ridacchiò Sherlock che non sembrò intenzionato a rispondere a quella domanda “Studi medicina. Bene, potresti tornarmi utile.” vide John spalancare gli occhi per la sorpresa e questo lo divertì, quindi continuò a parlare “Sei all’ultimo anno, sei qui grazie ad una borsa di studio e sei tutor per meriti accademici. Perchè lo so? I tuoi vestiti. Tutti gli altri studenti hanno abiti firmati, nuovi, tu invece hai degli abiti tenuti molto bene ma è possibile notare quanto siano consumati. Questa è un’Università prestigiosa, la retta è molto alta, non te la potresti permettere quindi se sei qui è perchè hai vinto una borsa di studio: quindi sei uno studente modello, devi esserlo, perchè se ti laureassi fuori dai tempi consentiti perderesti i diritti a ricevere i soldi per la retta. Perchè ti abbassi a fare il tutor poi? Per il misero stipendio che vi regalano che è comunque meglio di niente, sì perchè fare ripetizioni non basta a pagare qualche serata brava da collegiale, vero? E a volte fai da assistente a qualche professore viste le tracce di gesso sul dorso delle ultime tre dita della mano sinistra. Mancino eh? Non è vero che voi mancini siete più intelligenti dei destrimani, ma comunque sembri molto ligio al dovere. Hai uno strano portamento rigido, di solito i ragazzi della tua e della mia età hanno la schiena più curva, soprattutto se costretti a studiare molto, ma tu no. Prima di venire all’università hai studiato in un’accademia militare, ma perchè? Di solito ci mandano gli adolescenti con problemi caratteriali ma non è il tuo caso. Nuovamente per questioni economiche?” esitò tre secondi, per la prima volta da quando aveva cominciato a parlare “No... perchè ti piace, ma certo, ti piace la disciplina a giudicare dall’ordine della tua stanza prima che arrivassi io e poi anche nelle accademie militari c’è la possibilità di alloggiare nella struttura scolastica, a differenza delle altre scuole superiori. Perchè? Hai problemi in casa? Non vai d’accordo con i tuoi? Stando lì ti è piaciuta la disciplina che ti hanno impartito e... certo. Medico per fare felice i tuoi, soldato per soddisfare la tua voglia di azioni e il tuo rigore. Uscito da qui ti arruolerai? Un altro modo per allontanarti dalla tua famiglia? Medico militare, eh? Ne hanno sempre bisogno, in qualsiasi esercito.” finalmente si concesse una pausa, dovendo prendere fiato: le guance gli si colorarono appena di un rosa pallido, emozionato da chi aveva di fronte, esilarato dall’essere riuscito a leggere così tanto in lui. Poi si rese conto di quello che aveva fatto e ricordò le parole di suo fratello: a nessuno fa piacere che uno sconosciuto sappia così tanto di te.
Sull’altra poltrona, di fronte a Sherlock, John non potè fare a meno spalancare la bocca, chiedendosi se fosse possibile quello che era appena accaduto: inizialmente si sentì nudo, un libro aperto, ma poi si ricordò di non esserlo, tutt’altro. Infatti anche la sua ragazza, Sarah, spesso gli rimprovava di non svelare quasi nulla di sè, di non aprirsi mai abbastanza, neanche con lei. Eppure quel ragazzino l'aveva rivoltato come un calzino e con una facilità disarmante.
“Sei stato... incredibile.” biascicò, per poi vedersi puntare addosso gli occhi di Sherlock, nuovamente, questa volta però sembravano stupiti.
“Davvero?”
“Certo. Fantastico... veramente fantastico.” confermò John.
“Non me lo dice mai nessuno.” confessò Sherlock: il suo stupore era pari quasi quanto a quello di John di fronte alle sue deduzioni. Guardò John insistentemente, le labbra leggermente aperte in un’innocente sorpresa "Di solito mi insultano."
“Certo, non faccio fatica a crederlo. Io non ho nulla da nascondere. Tutte le cose che mi hai detto non sono motivo di imbarazzo per me.” John fece spallucce “Ma magari ad altri potrebbe non fare piacere sentirsi dire la propria vita da uno sconosciuto.”
“Già. Lo dice sempre anche mio fratello.” Sherlock dilatò le narici in un accenno di fastidio nel nominarlo.
“E ti consiglio di non farlo con gli altri ragazzi qui al campus.”
“Loro hanno qualcosa da nascondere?” domandò Sherlock con un sorrisetto malizioso.
“Non si sa mai. E poi sembri gracile, non vorrei vederti tornare in stanza con un occhio nero.” ecco il cuore dell’aspirante medico che spuntava fuori.
“L’apparenza inganna. Sono più forte di quanto tu possa credere.”
“Fai come vuoi, io ti ho avvertito.” John fece spallucce, quindi si alzò dalla poltrona, diretto verso l’uscita della stanza “Ah, senti Sherlock. Quando torno devi aver sistemato la tua roba. Non voglio questo casino in giro e soprattutto voglio dello spazio vivibile, dove poter camminare, studiare... insomma fare cose. Nella tua stanza fai tutto il casino che vuoi, ma questo spazio è comune, quindi regolati!" sorrise e lo salutò prima di chiudere dietro di sè "Ciao!”
Sherlock sorrise in segno di saluto, avvicinandosi poi alla finestra, nascondendosi nello stesso cono d’ombra di prima, osservando John allontanarsi dai dormitori a grandi passi finchè non sparì dal suo angolo visivo.
Si ributtò poi sulla poltrona, lasciando spaziare lo sguardo in tutta la camera, osservando gli oggetti appartenenti al suo nuovo coinquilino. Sherlock avrebbe senza ombra di dubbio preferito affrontare l’Università da non frequentante, studiando a casa propria, ma la necessità di dover usare un laboratorio l’aveva spinto ad accettare l’insistenza del fratello ad iscriversi a tempo pieno. Non gli piaceva molto la gente, infatti storse il naso all’idea di dover dividere un angusto appartamento grande tanto quanto metà della sua stanza, nella sua grande villa di famiglia, con qualcun’altro, ma, a conti fatti, non gli dispiacque John Watson, almeno come prima impressione.

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Capitolo 2
*** Shamrock ***


***Ecco il cap2! Ci tenevo apubblicarlo in fretta perchè il cap1 è pressochè introduttivo, mentre qua inizia a svolgersi la storia vera. Cose che mi sono dimenticata di dire nelle note dell'1? Più avanti i pg, soprattutto Sherlock, andranno un po' ooc, insomma, il bello delle AU, soprattutto in quelle dove loro sono giovani, è che il carattere è ancora plasmabile ed è giustificabile un cambiamento caratteriale! Comunque, in caso non vi piacesse l'idea, non me la prenderò se vorrete smettere di leggere (mi spiacerebbe ç_ç ma capirei u.u) e poi non lo so, forse il raiting cambierà più avanti, ma non ne sono sicurissima! Bonci, buona lettura *_* grazie e BACI!!!***

Shamrock
Dopo tre mesi dal giorno della cerimonia di inaugurazione, sia John che Sherlock poterono tirare le somme e concedersi giudizi più approfonditi riguardanti ciascuno il proprio coinquilino.

John registrò mentalmente le abitudini di Sherlock ritenendole quasi tutte nocive per la sua stessa salute: gli dispiaceva vederlo quasi sempre chiuso nella stanza, all’ombra, senza un amico con cui passare il tempo. Inoltre non mangiava quasi mai, dormiva pochissimo e proprio per questo, unito ad improvvisi eccessi d'euforia, iniziò a sospettare anche che facesse uso di droghe.
Lo vedeva uscire durante le lezioni di pratica in laboratorio, preferendo studiare il resto delle materie nella sua stanza, bazzicando di tanto in tanto la biblioteca alla ricerca di particolari volumi che John riteneva fin troppo difficili per il primo anno accademico, ma che Sherlock riusciva a comprendere senza alcuna difficoltà. Passava dal non uscire mai dalla stanza al non rientrare per un giorno intero, per poi scoprire che era rimasto abbagliato dall’amenità di qualche particolare posto sconosciuto ai più, isolato dal mondo, in cui potesse sentirsi libero di pensare anche ad alta voce. E John poteva saperlo solo perchè l’altro glielo aveva confessato, in un giorno in cui era particolarmente propenso a conversare.
A John era capitato di invitarlo ad uscire con lui, soprattutto quando andava a giocare a calcio, sperando che uno sport di squadra potesse aiutarlo a fare amicizia con qualcuno, ma Sherlock glissava sempre, chiudendosi nei suoi pensieri, suonando il suo violino. A John piaceva moltissimo ascoltarlo suonare, e spesso, grazie a quelle melodie, riusciva ad addormentarsi anche quando era particolarmente nervoso per via di un esame.
Tutto sommato, a parte il disordine perenne della stanza, a John non dava fastidio avere Sherlock come coinquilino: sopportava le sue continue deduzioni, trovandole geniali e quasi mai fastidiose, a differenza di altre persone che erano arrivate anche ad accendere piccole risse che il tutor si ritrovò a sedare appena in tempo, evitando che la matricola si facesse del male.
John non sapeva se Sherlock lo considerasse un amico, ma era sicuro che apprezzasse la sua compagnia: quando tornava nell’appartamento, infatti, la giovane matricola gli raccontava la propria giornata, le proprie deduzioni e suonava il violino per fargli piacere, mentre si accigliava quando lo vedeva uscire in compagnia di altre persone, come se lo considerasse un torto a livello personale. Non riusciva ad inquadrare quel lato del suo carattere, ma promise a se stesso che un giorno gliene avrebbe parlato.
Sherlock invece, aveva dedotto praticamente tutta la giovane vita di John, comunicandogliela a piccole dosi, a volte per provare ad infastidirlo scherzosamente, molto più spesso per stupirlo e sentirsi dire quanto fosse geniale.
Lo vedeva uscire spesso, troppo spesso per i suoi gusti, a volte infatti avrebbe preferito che rimanesse nel loro appartamento semplicemente per poter parlare un po’ o per poterlo guardare, cosa che faceva mentre John si addormentava: gli si avvicinava sempre con un passo a dir poco felpato, mettendogli una coperta sulle spalle quando gli capitava di appisolarsi sopra i libri.
Gli piaceva quando si preoccupava per la sua salute, anche se gli dava a vedere il contrario: John era intelligente ma non aveva abbastanza intuito per capire quando gli mentiva sull’interesse che provava nei suoi confronti.
E poi c’era Sarah, la ragazza di John: Sherlock la trovava assolutamente banale,  ed era convinto che uscissero insieme solo perchè condividevano gli stessi studi. Entrambi medici, ma per motivi diversi. John interessante, Sarah noiosa.
Sherlock aveva ovviamente conosciuto altri studenti durante le lezioni, ma nessuno lo aveva affascinato quanto John: si era reso conto di provare una certa attrazione verso il proprio tutor, anche se non sapeva identificarne la natura. Era attratto da lui a livello mentale sebbene non avesse un’intelligenza sviluppata come la sua, anche se doveva ammettere di ammirarlo per come stesse portando avanti i suoi studi a pieni voti nonostante gli svariati impegni che si era preso. E poi era attratto da lui in un modo più istintivo, viscerale, fisico: da una parte temeva quella combinazione di interessi che nutriva nei confronti di John, preoccupandosi per l’esito, a lui sconosciuto, che avrebbe potuto comportare. D’altro canto ne era anche incuriosito: era qualcosa di nuovo, una sfida da affrontare, una diversa sfera personale da analizzare con cura e, se si fosse rivelata interessante, da approfondire.
John e Sherlock andarono avanti nella loro convivenza senza nessun particolare colpo di scena, finchè non arrivò il Natale.

“Non voglio venire a casa, non me ne frega niente del Natale.” ripetè Sherlock per l’ennesima volta, al telefono con suo fratello maggiore.
“Ma importa alla mamma, Sherly.” rispose Mycroft all’altro capo del telefono, mentre, a giudicare dal rumore, sembrava impegnato a digitare sulla tastiera del computer.
“Sherlock! E’ già un nome imbarazzante, figuriamoci il diminutivo.” sbuffò il giovane, buttandosi sul divano con ben poca grazia.
“Va bene, Sherlock. Dicevo, alla mamma farebbe piacere rivederti per Natale e soprattutto le dispiacerebbe molto se tu rimanessi da solo al Campus. Non si sa mai quello che potrebbe succedere.”
“Cosa mai potrebbe succedere, Mycroft?” Sherlock arricciò le sopracciglia, a dir poco incredulo.
“Sherlock, non fare storie...” ricominciò Mycroft che però venne interrotto dal fratello.
“E poi non sarò solo. Ci sarà il mio coinquilino. Lui non va molto d’accordo con la sua famiglia, quindi resta qui.” tossicchiò il giovane, incastrando le dita dei piedi sotto uno dei cuscini del divano.
“Oh, capisco.” disse Mycroft, non senza una punta di malizia.
“Capisci cosa?”
“Gentile da parte tua fargli compagnia.” ironizzò il maggiore degli Holmes.
“Sì. Esatto. Gentile.” ringhiò Sherlock, tormentando la vestaglia di un colore che s’avvicinava molto a quello dei suoi occhi. Identico sarebbe stato impossibile.
“Ho scelto bene, allora.” lo stuzzicò, smettendo di scrivere il documento a cui stava lavorando “Ti piace proprio, se ti spinge a fare l’altruistico gesto di fargli com...”
Sherlock chiuse la chiamata, lanciando il cellulare sul tavolo vicino, rialzandosi fino a portarsi in una seduta più composta quando sentì dei passi avvicinarsi alla stanza.
John infatti, entrò dopo pochi secondi nella stanza con in mano un pacchetto regalo che andò a poggiare sul ripiano subito vicino all’entrata “Oh? Ciao, Sherlock. Sei ancora qui?”
Era l’anti vigilia di Natale, era ormai sera ed il campus si era svuotato praticamente del tutto: Sherlock osservò con disappunto il pacchetto lasciato da John sul ripiano. Un regalo di Sarah, ovvio. Un orologio, altrettanto ovvio, nonchè scontato ed inutile: John non lo indossava per praticità, per non doverlo togliere e mettere in continuazione durante le ore di tirocinio, non perchè non ne avesse uno. Se Sarah lo conoscesse davvero lo saprebbe, fu il pensiero di Sherlock.
“Non torno a casa.” dichiarò placidamente, per poi alzarsi ed avvicinarsi al proprio violino: lo prese in mano ma attese prima di cominciare a suonare, intuendo il desiderio del coinquilino di approfondire la questione.
“Cosa? E perchè?” le domande di John, infatti, arrivarono subito dopo.
“Ti dò forse fastidio?” Sherlock sapeva che non era così, ma a volte voleva essere petulante, era più forte di lui.
“No, certo che no.”
“Tanto Sarah è tornata a casa, non disturberei le vostre imbarazzanti performance.”
“Sherlock!” sbottò John, sedendosi poi al tavolo sul quale aprì il computer portatile che scoprì acceso, ma l’ultima volta che l’aveva usato si ricordò di averlo spento “Hai usato di nuovo il mio computer?”
“Dovevo controllare urgentemente una cosa.” pizzicò le corde del violino, senza in realtà produrre della vera musica.
“Non potevi usare il tuo?”
“Il tuo era più vicino, e poi ormai mi diverto a scoprire le tue password. L’ultima alfanumerica era più complessa delle altre, ma devi lavorarci ancora un po’ sù.” Sherlock nascose una risatina dietro al proprio violino.
John abbassò le spalle, rassegnato, quindi decise di tornare alla domanda principale “Perchè non torni a casa per Natale? Hai una famiglia che ti aspetta.”
“Anche tu ce l’hai.” ribattè prontamente, come se s’aspettasse quell’affermazione.
“Si ma io non...”
“Neanche io.” dichiarò laconico, come per voler troncare lì quella questione. Quindi iniziò a suonare il violino e anche John decise di aver parlato abbastanza per il momento.

Mancava un’ora alla mezzanotte, un’ora e tutti avrebbero festeggiato il Natale.
John aveva passato tutto il giorno in un magazzino per racimolare qualche soldo in più che arrotondasse lo stipendio da tutor che, seppur raddoppiato, rimaneva misero: sotto Natale infatti, c’era sempre bisogno di qualche lavoratore in più e John ormai sapeva riconoscere quali locali avrebbero pagato, ovviamente in nero, qualche giovane che si sarebbe spaccato la schiena pur di guadagnare qualcosa.
I risultati apparenti di quella giornata furono il portafoglio leggermente più gonfio ed un accenno di mal di schiena: quando rientrò nell’appartamento infatti, si sedette subito sul divano, facendo scricchiolare il maggior numero di ossa possibili.
“In quanto aspirante dottore dovresti sapere anche meglio di me che non è una cosa salutare per le tue ossa.” esordì Sherlock, spuntando dalla sua stanza da letto.
“Uh?” domandò uno stanchissimo John che si piegò in avanti, nascondendo il volto tra le ginocchia, provando ad allungare i muscoli dorsali più che poteva “Scusa se sono arrivato così tardi, mi ero ripromesso di farti un po’ di compagnia.” sembrava sinceramente dispiaciuto e questo fece sorridere il suo coinquilino che gli si sedette accanto, sul divano.
“Non sei la mia balia.” rispose, per poi muovere la mano verso la schiena di John, ma ancora non lo toccò. Esitante ed imbarazzato approfittò dello sguardo del coinquilino rivolto altrove per mantenere la mano in quella posizione, a metà strada, pronta a confortarlo o a nascondersi dietro un cuscino.
John sorrise: ormai il suo cervello aveva un filtro che sapeva riconoscere e poi depurare le parole di Sherlock rendendole meno arcigne di quanto potessero sembrare “Fare compagnia ad un amico non vuole dire fargli da balia.”
Grazie a quelle parole, la mano di Sherlock si mosse istintivamente sulla schiena di John, sulla quale si poggiò delicatamente, massaggiando in senso circolare i muscoli indolenziti del coinquilino che vide voltarsi rapidamente, donandogli un’espressione stupita che lo intimorì, facendolo retrocedere col braccio “Non... non andava bene? Fare un massaggio ad un amico quando ha dolore?”
John sciolse il proprio viso in un sorriso, quindi girò nuovamente il capo, evitando l’imbarazzo che uno sguardo diretto può causare “No, no. Va bene. Mi hai solo colto di sorpresa.” alzò poi il capo all’improvviso, ripensando alle parole appena pronunciate dal coinquilino “Un amico? Davvero io sarei tuo amico?”
Sherlock posò nuovamente la mano sulla schiena di John, massaggiandogliela con movimenti tanto studiati quanto delicati “Sì. Perchè? Ti dispiace?” ammise, nascondendo con molto impegno l’imbarazzo che derivava da quella confessione.
John fece spallucce “No. E’ che non sono abituato a vederti con degli amici, quindi ho pensato che...”
“Che non ne avessi?” domandò Sherlock mentre aggiungeva anche l’altra mano al massaggio che sembrò rilassare i muscoli della schiena dell’altro “Non ne avevo. Ora ne ho uno.” semplici conti, numeri bassi e facilmente calcolabili anche per una mente non geniale come la sua.
“Beh, per tua scelta.” s’azzardò John che corresse la propria postura, sfuggendo a quel massaggio per poggiarsi allo schienale e guardare Sherlock negli occhi “Perchè lo fai?”
Sherlock rimase con le mani sospese per aria, riportandole con lentezza nel proprio grembo, spaziando con lo sguardo per tutta la stanza “Non lo so. Mi piace stare solo. E poi le altre persone sono noiose.” rimase in silenzio qualche secondo “Tu sei diverso.”
John scosse il capo “Anche io spesso preferisco stare solo, ma tu esageri, Sherlock.” disse in tono bonario, alzando la mancina verso la spalla dell’altro, stringendola appena “Non stai male a stare tutto il giorno qui, chiuso in questa stanza?”
Sherlock inarcò le sopracciglia, scrollandosi per sfuggire a quella presa “Mi stai compatendo?”
“No!” negò John, scuotendo vigorosamente il capo: doveva stare attento, era la prima volta che Sherlock sembrava aprirsi sul piano personale e non voleva rovinare tutto “Mi preoccupo per te.”
“E’ questo che fanno gli amici? Perchè allora sono inutili, so badare a me stesso.”
“Sherlock.” lo richiamò John, posandogli la mano sul mento per farlo girare verso di sè “Gli amici servono a condividere delle esperienze, a divertirsi insieme e ad aiutarsi l’un l’altro.”
Sherlock riportò lo sguardo su John, fremendo appena a quel contatto “Io riesco a divertirmi anche da solo. Ho il mio Palazzo Mentale, lo sai.” bisbigliò, un po’ più incerto.
“Tu sei un essere umano, Sherlock, fa parte della nostra natura cercare la compagnia. Perchè qualsiasi esperienza tu possa fare, sarà comunque più intensa se condivisa assieme a qualcun’altro.” John mantenne il tono di voce basso, cercando di rassicurare il giovane che aveva di fronte “Felicità, tristezza, gioia o dolore... nel bene o nel male, insieme a qualcun’altro è tutto più intenso. E vale la pena di viverlo.”
“Io ho te. Tu mi ascolti, non mi giudichi e mi sopporti.” Sherlock alzò la mano sul polso dell’altro, allungando le dita che si diramavano sulla mano che John teneva ancora sul suo mento.
“Non posso esserci sempre, Sherlock. Quest’anno mi laureo.” sospirò John, colpito nel leggere il dispiacere sul volto della giovane matricola “Non voglio che tu stia da solo quando...”
Non fece in tempo a concludere la frase che si sentì abbracciare dall’altro in una presa goffa ed inesperta, ma soprattutto infantile: Sherlock lo aveva circondato in vita con entrambe le braccia  e aveva schiacciato il volto, di profilo, sull’addome di John. E aveva stretto molto forte, quasi tremava.
John rimase esterrefatto, non immaginandosi in alcun modo che l’altro potesse avere quella reazione, non in quel momento: aveva da subito riconosciuto un accenno di paura e una gran dose di solitudine nello sguardo di Sherlock, i modi esagerati e il comportamento schivo facevano parte di una maschera che serviva per proteggersi dal mondo esterno: alzò entrambe le mani, posandogliene una sulla schiena ed una dietro la nuca e strinse a sua volta “Vedi? Staresti male da solo.”
“Starei male senza di te.” ammise in quello slancio di sincerità.
John non seppe come rispondere a quella dichiarazione, anzi, si ritrovò in vera e propria difficoltà: probabilmente Sherlock colse quell’attimo di titubanza, poichè intervenne nuovamente, provando a dissimulare quanto detto in precedenza “Prenditi un dottorato.”
John rise a quel punto, strofinando con la mano la testa di Sherlock, divertito da quell’ultimo appello “E studiare altri tre anni? Sto già per prendere la specialistica. E nel frattempo sto anche affrontando il tirocinio. E il praticantato.”
“Ma se prendi anche il Dottorato, finiremo lo stesso anno.” insistette Sherlock, aggrappandosi al maglione di John.
“Esagerato che sei. Ti aiuterò a trovare altri amici.” scosse il capo poi, osservando l’orologio appeso sulla parete “Ehi, è Natale. Lo mangi un pezzo di pudding con me?”
“Non ne voglio altri.” Sherlock lasciò la presa su John, che, dopo aver sbuffato divertito, andò a recuperare una busta dei grandi magazzini dalla quale estrasse un pudding natalizio ed una bottiglia di spumante: tornò sul divano poi, porgendo alla matricola un tovagliolo con una fetta di dolce ed un bicchiere.
“Ah! Ti ho preso una cosa.” John tirò fuori dalla tasca dei jeans una piccola busta e la porse a Sherlock “Scusa. Si è stropicciato tantissimo.”
Sherlock spalancò la bocca: non si aspettava di certo un regalo da John. Appoggiò il bicchiere e il tovagliolo sul tavolo, quindi prese in mano quel pacchetto con la stessa curiosità con cui avrebbe osservato un raro spartito musicale scritto da Paganini in persona “Io non ti ho preso nulla però.”
“Non fa niente.” John fece spallucce “Non l’ho fatto per avere qualcosa in cambio. E’ questo il bello dell’amicizia.”
Sherlock scartò con una cura maniacale il piccolo sacchetto, per poi guardare all’interno: lo inclinò e fece scivolare nella propria mano un portachiavi molto semplice, di colore argentato, a forma di trifoglio. Reclinò il capo di lato ed iniziò ad elaborare diversi pensieri di tipo laterare ma non sembrò trovare un collegamento: lo aiutò John.
“Appena l’ho visto mi sei venuto in mente.” il tutor si scolò un altro bicchiere di spumante e mentre lo riempiva nuovamente, procedette con la spiegazione “Da quando ho letto il tuo nome sull’elenco delle matricole, non ho fatto altro che ripetermi che mi ricordava qualcosa. Poi l’ho visto: Sherlock-Shamrock(1), più o meno...” fece spallucce “Te l’ho detto, è una sciocchezza.”
“Sarà il mio porta fortuna.” Sherlock guardò quel portachiavi come si guardava un tesoro: non aveva valore economico, ma l’avrebbe caricato di ricordi importanti fino a farlo diventare prezioso come un autentico gioiello “Grazie, John.”
“Sono contento che ti piaccia, Shamrock.” lo apostrofò, porgendogli nuovamente il bicchiere “Bevilo, bevilo, beeevilooo...” intonò goliardicamente, inebriato dall’alcool e divertito dalla situazione.
Sherlock strinse il portachiavi nella destra per poi acconsentire alla richiesta di John: prese nuovamente il bicchiere in mano, lo studiò scettico e alla fine fece spallucce, bevendo lo spumante tutto d’un fiato, contagiato dall’allegria di John. Il calore dell’alcool gli salì subito sulle guance, il viso si scaldò in un leggero rossore e gli occhi divennero languidi: si voltò verso John, aprendo e chiudendo la bocca impastata “Ma è amaro.”
“E’ brut!(2)” confermò John, annuendo col capo.
“No, è cattiv’.” lo corresse Sherlock, vergognandosi subito per quel che aveva detto, ovvero una battuta scontata e scadente, sicuramente non da lui.
John d’altro canto sembrò apprezzare quel particolare motto di spirito, magari aiutato dall’alcool, probabilmente divertito dalla situazione in generale “Sherlock! Hai fatto una battuta stupida! Non era tagliente, non era intelligente... era stupida!”
“Non succederà mai più!” si giustificò Sherlock che spinse John colpendolo alla spalla destra: ma il tutor rideva così tanto che non sembrò accorgersene “John! Smettila!”
John si allungò verso Sherlock, lo prese con il braccio sotto il collo e gli sfregò il pugno chiuso sulla fronte “Matricola! Fai il bravo!” e scoppiò nuovamente a ridere.
Sherlock provò a divincolarsi sotto la presa di John, ma era decisamente troppo forte per lui, quindi si arrese, divertito anche lui dalla situazione, incuriosito dal contatto fisico, rallegrato dalle stesse risate del tutor. Smise di opporre resistenza e, sentendo diminuire la stretta sotto il collo, approfittò della situazione per lasciarsi andare e poggiarsi col capo sulle gambe di John, abbracciandone una all’altezza del ginocchio in una presa morbida ma salda.
John lasciò scemare la risata senza opporsi al fare di Sherlock: le difese abbassate dall’alcool contribuirono ad alleggerire qualsiasi tensione facendo sì che non interpretò male il gesto della matricola, anzi, andò a posargli la mano libera sulla testa, giocherellando coi capelli neri e riccioluti.
John finì di scolarsi la bottiglia di spumante e si addormentò pochi minuti dopo, complice la stanchezza accumulata in giornata; Sherlock invece rimase sveglio tutta la notte: quandò sentì il respiro dell’altro farsi più pesante si girò, potendolo osservare nuovamente pur rimanendo appoggiato su di lui. Abbracciò la grande e calda mano che John aveva in grembo, classificando tutti gli odori proveniente da essa: cartone, scotch adesivo, the, pudding, spumante. Era il più bel Natale che Sherlock avesse mai vissuto.
______
(1)Shamrock in inglese è "trifoglio" per l'appunto, e non so perchè ma ci sento l'assonanza col nome "Sherlock" quindi, per forza, ce la sente anche il "mio" John XD
(2)Lo spumante Brut è quello amaro, aspro... insomma, meglio il Moscato che va giù così beeene XD

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Capitolo 3
*** La persona definitiva ***


***Ciau ragazze! Come promesso ecco il nuovo capitolo :D volevo ringraziarvi per il vostro calore, soprattutto per quello delle mie fedelissime che continuano a leggermi da BTA fino a questa mia ultima(a livello temporale, non è che poi non scrivo più u.u)pubblicazione :D Ringrazio nuovamente Mrs Teller(mi ricordo persino come ti chiami su EFP ora u.u), Jessie e RosiePosie77 per il loro lavoro di incoraggiamento/betaggio XD senza di voi ci sarebbe sicuramente qualche errorino qua e là, quindi tanti bacini e tanti ringraziamenti! Bonci, vi lascio alla lettura e spero che non indovinerete la sorpresa finale perchè mi piacerebbe che arrivaste al 4 così O.O ahahah 1 su 3 ha capito cos'è XD vedremo voi altre! BACIO!!!***

La persona definitiva
John alzò la testa dai libri, portando le mani fin sui capelli che spettinò in un massaggio tutt’altro che delicato: decise di prendere una piccola pausa, quindi mise la matita tra le due pagine del manuale per non perdere il segno e lo chiuse causando un pesante tonfo.

Si alzò, e nel tragitto per raggiungere la finestra passò davanti al tavolo sul quale Sherlock stava studiando Chimica sbirciando all’interno del microscopio ed annotando i risultati su un quadernone: la matricola alzò lo sguardo seguendo i passi del tutor, carezzandone il profilo con gli occhi che si schiusero in un’espressione addolcita.
John si fermò quando con le gambe toccò il termosifone sul quale poggiò poi anche le mani, giocando con le dita, alzandole a turno come se stesse pigiando i polpastrelli sui tasti di un pianoforte “Pensi di fare qualcosa questa sera?” domandò poi a Sherlock, pur tenendo lo sguardo rivolto verso il cortile universitario e verso la neve che cadeva abbondate dal cielo.
Sherlock si strofinò gli occhi stanchi: aveva decisamente osservato attraverso le lenti del microscopio per troppo tempo “Perchè? Dovrei fare qualcosa?” quando rimise a fuoco, osservò divertito le dita di John che danzavano sul calorifero.
“Beh, è l’ultimo dell’anno.” John s’appoggiò con la spalla sinistra sul vetro della finestra, voltandosi per metà verso il proprio compagno di stanza “Tu cosa fai di solito l’ultimo dell’anno?”
Sherlock sembrò ricordarsi solo in quel momento che, tendenzialmente, i normali esseri umani cercavano continuamente delle scuse per festeggiare e, spesso, ubriacarsi “Ah. Vero, per voi è una serata speciale.”
“Scendi dal piedistallo, matricola. Tu sei un normale essere umano come noi.” ridacchiò John che, pur non prendendosela per le bizzarre uscite di Sherlock, non poteva fare a meno di fargliele notare.
“No, non lo sono.” Sherlock si alzò in piedi raggiungendolo alla finestra, sul vetro della quale si appoggiò, mimando a specchio la posizione assunta da John “E tu lo sai.”
“Vero.” ammise John, con semplicità, pur non specificando oltremodo cosa intendesse dire “Allora, fai qualcosa?”
“Non lo so, non dò importanza a questo genere di eventi.” Sherlock fece spallucce “Cosa potrei fare secondo te?”
“Non so, gli anni scorsi cosa facevi?” John alzò la mano sulla fronte di Sherlock, spostandogli un ricciolo che gli cadeva proprio davanti all’occhio destro “Devi accorciarteli o rischi di farti venire gli occhi storti.”
Sherlock si bloccò qualche istante, impegnato a respirare il profumo trasportato dalla mano di John: abbassò un poco la fronte fingendo un contatto casuale con le dita dell’aspirante medico “Gli anni scorsi? Le stesse cose che facevo le altre sere(1), rimanevo chiuso in camera. A chiave, possibilmente.” aggiunse alla fine, prima di chiedere “Tu?”
“E’ capitato molto spesso che lavorassi, quindi festeggiavo da dietro il bancone di un locale. Proprio quest’anno che non avevo da lavorare, Sarah è fuori città.” sbuffò John, creando un piccolo alone opaco sul vetro, all’altezza del proprio viso.
Sherlock buttò gli occhi all’indietro sentendo nominare la ragazza di John, ma evitò di palesare quella sensazione di fastidio “Non capisco cosa ci sia da festeggiare.”
“E’ simbolico, Sherlock.” John sorrise di fronte all’ingenuità del ragazzo che aveva di fronte “Magari una persona ha passato un brutto anno ed ecco che finisce, da domani ‘Anno nuovo, vita nuova’, come si suol dire.”
“Ma se una persona sta passando un brutto periodo, non è che questo passa solo perchè domani cambiamo il calendario.” ribattè Sherlock, armato della sua adorata logica.
“E’ un modo di dire, Sherlock!” insistette John “Ad esempio una persona può decidere di stilare una lista di buoni propositi. Ad esempio tu potresti decidere di impegnarti a trovare dei nuovi amici e a uscire un po’ più spesso da questo buco.”
“E tu potresti lasciare il vecchio per il nuovo.” rilanciò Sherlock, osservando fuori dalla finestra.
“Ad esempio?” domandò John, interessato a quella proposta, provando ad immaginare a cosa Sherlock si stesse riferendo.
“Sarah.” suggerì la matricola che quando vide il tutor sbuffare e accigliarsi in un’espressione adirata, spiegò la propria scelta “Non state bene insieme, te l’ho già detto tante volte.” Sherlock lo pensava sul serio, oggettivamente, ma l'avrebbe detto anche in caso contrario, ancora infantile ed immaturo nel pretendere le attenzioni di John tutte per sè.
“E io ti ho già detto tante volte che non sono affari tuoi.” John intrecciò le braccia al petto, allontanandosi dalla finestra “E poi che ne sai tu se stiamo bene insieme! Scommetto che non sei mai stato con nessuno.”
“Vi ho osservati, John.” Sherlock rimase attaccato alla finestra, ma si voltò per seguire i movimenti dell’altro “Davvero è lei la persona con cui vorresti passare il resto della tua vita? La persona che la tua mente visualizza non appena chiudi gli occhi?(2) Quella che ti fa sussultare quando posa lo sguardo su di te? Quella alla quale vorresti raccontare tutto ciò di nuovo che hai scoperto durante il giorno? O quella con la quale a volte basta stare in silenzio nella stessa stanza per sentirti a tuo agio?” trovò incredibilmente e stranamente facile fare quella lista, ma d’altronde Sherlock stava osservando proprio la sua fonte di ispirazione, quindi non dovette fare altro che leggere ad alta voce ciò che vedeva in John.
La stizza di John fu completamente smontata dalle ultime domande di Sherlock: come poteva una persona che si definiva priva di sentimenti tirare fuori quelle particolari parole? John ripetè nella mente ogni singola frase, ogni singola opzione presentata dal compagno di stanza e si convinse, non solo di non provare nessuna di quelle preferenze per Sarah, ma anche del fatto che Sherlock provasse di persona quelle stesse emozioni che aveva descritto. Ne era convinto, perchè una persona che non ha mai provato nulla del genere, non può avere la fantasia e la sensibilità di inventare scenari di quel tipo, neanche il particolare e geniale Sherlock Holmes.
“Sei... sei stato innamorato da ragazzino?” domandò John, recuperando un cioccolatino da una scatola di plastica.
“Non hai risposto alle mie domande.” Sherlock incalzò, muovendosi fino a fermarglisi di fronte.
“Non sono affari tuoi.” John ripetè la propria risposta, a bocca piena, gustandosi il cioccolatino, lottando con la lingua per rompere la superficie fondente alla ricerca della crema nascosta all’interno.
“Quindi è un no.” concluse Sherlock, avvicinandosi a John il tanto che bastava per percepire il profumo della crema al rhum provenire direttamente dalla sua bocca.
John sospirò “Anche se è un ‘no’ continuano a non essere affari tuoi e non dovresti parlarne.” gli sbuffò addosso il profumo alcolico del rhum prima di spostarsi e buttarsi sul divano in posizione prona.
Sherlock chiuse gli occhi quando John gli sbuffò addosso l’alito che sapeva di rhum, ingerendo quell’aria con un suono gutturale che non riuscì a fermare “Non capisco, John.” lo seguì, sedendosi sul bordo del divano, all’altezza del fianco del proprio compagno di stanza.
“Cosa non capisci?” la voce di John era ovattata, poichè il volto era immerso nel cuscino del divano.
“Come puoi stare con una persona di cui sai già che non sarà quella definitiva.” Sherlock si morse le labbra, osservando John con una punta di desiderio che era totalmente nuova per lui: la tentazione di alzare una mano verso il tutor e affondarla nei corti capelli color biondo cenere era fortissima, così come l’idea di carezzargli le spalle, ogni muscolo ed ogni osso sporgente.
“Sherlock, non me la devo sposare!” sbuffò John, alzando la testa il tanto che bastava per poter parlare senza che la voce filtrasse attraverso il cuscino del divano “Siamo giovani, ci divertiamo. La maggiorparte delle persone si mette insieme ad altra gente senza sapere se sarà quella definitiva, eppure lo fa.”
“Perchè lo fa?” domandò Sherlock a bassa voce, deglutendo la saliva in eccesso, formatasi all’idea di toccare il corpo del tutor: le mani agguantarono i cuscini, sentendo il bisogno impellente di aggrapparsi a qualcosa pur di non dar vita a quella fantasia. Si sentiva a disagio, almeno in parte: era come se, una volta ammessa l’idea di poter provare un sentimento che non riusciva a capire del tutto data la sua inesperienza in quel campo, tutte le sensazioni si fossero amplificate in maniera quasi imbarazzante.
“Per farsi delle esperienze. Per divertirsi.” spiegò John pazientemente “E poi quando ci si mette insieme si pensa davvero che quella potrebbe essere la persona definitiva, poi, col tempo si capisce se lo è o se... non lo è.” si girò su un fianco, poggiando la guancia sinistra sul palmo aperto, il cui gomito poggiava sul bracciolo del divano “Finchè non si prova non lo si può sapere, non trovi? Metodo empirico, scienziato dei miei stivali.” inarcò gli angoli della bocca in un piccolo sorriso per dare a quell’epiteto una cadenza scherzosa, e con la mano destra andò a stuzzicare la pancia di Sherlock con un pizzicotto.
Sherlock si inarcò un poco, e subire quel pizzicotto ebbe l’effetto di calmare almeno in parte le fantasie che stavano tappezzando i muri del suo Palazzo Mentale “Sì, ma tu sai di per certo che Sarah non è la tua persona definitiva. Quindi perchè continuare?”
“Touchè.” ammise John, senza neanche accorgersi di essersi soffermato con la mano poco sopra il fianco sinistro di Sherlock, sopra il bordo della maglietta, strizzandogli lo stesso lembo di pelle tra pollice e indice “Te l’ho detto, ci divertiamo.”
“Cioè fate sesso.” tagliò corto Sherlock, sforzandosi di non dare importanza al costante tocco di John sul proprio fianco: si chiese inevitabilmente se John avesse quel livello di intimità anche con tutti gli altri amici, le matricole, i tutor, e quel pensiero gli agitò le pareti dello stomaco in una morsa che ipotizzò potesse essere gelosia.
John buttò gli occhi all’indietro, quindi sbuffò un consenso “Sì.”
“E non potresti, invece, lasciarla e dedicarti alla ricerca della tua persona definitiva?” incalzò la Matricola, intrecciando le braccia al petto, continuando a perorare la propria personalissima causa.
“Non ho tempo.” John sbuffò nuovamente, chiedendosi non senza una punta di fastidio il motivo per cui stesse assecondando quel discorso che dovrebbe essere puramente intimo e personale “Ho lo studio, il tironocio, il tutorato...”
Sherlock lo interruppe prontamente “Quindi stai usando Sarah, con la quale ti lascerai sicuramente, perchè non hai tempo di cercare la tua persona definitiva e per avere una costante fonte di sesso?” non che gli importasse che stesse usando Sarah, anzi, la conferma che John non la considerasse importante a livello sentimentale lo fece trionfare interiormente.
“Una costante fonte di sesso!” ripetè John, sgomento, allontanando la mano dal fianco dell’altro “Sherlock, stai cercando di farmi sentire in colpa?”
“No, sto cercando di farti lasciare Sarah.” osservò di sottecchi la mano che s’allontanava dal proprio fianco, mugugnando un piccolissimo lamento come protesta: era questo dunque l’amore? La necessità di un contatto fisico unita ad un interesse a livello mentale, intellettuale, psicologico?
“Perchè?” John era esasperato, scrollò più volte il capo, coprendo il viso con entrambe le mani.
“Perchè finirà comunque.” si giustificò Sherlock, accavallando la gamba sinistra sulla destra, il cui piedi si alzò sulle punte, dando vita ad un leggero dondolio “Allora... tanto vale che finisca subito.”
John sospirò nuovamente “Cosa mi incavolo a fare, lo fai solo per stuzzicarmi. Tanto che diavolo te ne frega di quel che faccio con Sarah...” si girò sull’altro fianco e nascose il volto schiacciandolo sullo schienale del divano, stringendosi nelle spalle “La prossima volta che mi viene in mente di chiederti cosa hai intenzione di fare in serata, mi faccio gli affari miei.”
Sherlock decifrò la voce ovattata di John interpretando una leggera offesa nel tono: alzò gli occhi verso l’alto riscontrando ancora una volta quanto fosse complicato relazionarsi con le persone normali. Eppure con John ogni sfida era piacevole, perchè da parte di entrambi c’erano sia il desiderio di vincere, che la voglia di dimostrare all’altro che loro convivenza, in principio forzata, potesse risultare piacevole ed accattivante ogni giorno di più.
Così, quando con chiunque altro si sarebbe indispettito, con John fece lo sforzo di comportarsi dall’adulto quale era: lasciò passare qualche minuto, quindi, prima di alzare la mano verso la spalla destra dell’altro, scuotendolo delicatamente “Potremmo fare qualcosa insieme questa sera, per festeggiare l’anno nuovo.” propose a bassa voce, come se essere da soli in tutto l’Ateneo, rinchiusi nel proprio appartamento, non desse loro abbastanza intimità “Come abbiamo fatto per Natale.”
John apprezzò lo sforzo, quindi scostò il volto dallo schienale del divano, girandosi verso Sherlock “Tipo? Suoneresti musica folk col violino allo scoccare della mezzanotte?”
“John, ti prego, non approfittare della mia apertura mentale per dire queste scempiaggini.” spostò la mano sul volto dell’altro, tratteggiando con la punta dell’indice il segno della cucitura del divano, sorridendo per lo strano disegno che aveva formato sul viso dell’altro “Mi è venuta in mente una cosa che penso possa piacerti. Così posso ricambiare il tuo regalo di Natale.”
Il volto di John si accese di curiosità, tanto che dovette fermare la mano di Sherlock con la propria per cercare nuovamente la sua completa attenzione “Che cosa ti è venuto in mente?”
Sherlock sorrise divertito di fronte alla genuina curiosità di John, beandosi della stretta della sua mano attorno alla propria “Sarà una sorpresa. Mi aiuterà la Signora in Nero.” bisbigliò ermeticamente, volutamente criptico in quella risposta, desideroso di mantenere una meraviglia costante nel volto dell’altro “Ma mi ci vorrà tempo per prepararla, quindi io ora sparisco per un po’, va bene?”
John scattò fino a portarsi seduto sul divano: il suo volto era una maschera di gioia mista a curiosità, sembrava un bambino al quale un genitore aveva promesso una giornata intera al Luna Park “Mi hai messo addosso una curiosità pazzesca!” ammise senza poter in alcun modo nascondere l’eccitazione del momento “La Signora in Nero? Chi è?”
Sherlock stava per scoppiare: non aveva mai visto John reagire in quel modo, non aveva mai letto sul suo volto tutto quell’entusiasmo e sapere di essere la causa di quelle emozioni rendeva il quadro ancora più idilliaco “Una signora molto pericolosa, ma io so come sedurla.” continuò a parlare per metafore, scoprendo di desiderare la possibilità di diventare un poeta pur di continuare a stupire John.
“Non devo preoccuparmi, vero?” John abbandonò la mano di Sherlock, facendo salire la propria sulla capigliatura dell’altro, spettinandogli qualche riccio.
“No, te l’ho detto, so come ammaliarla.” ruotò il capo assecondando la mano di John, sforzandosi di non chiudere gli occhi per godersi al meglio quel contatto, fermandoli sul quel viso che era così vicino da desiderare di baciarlo come mai prima di quel momento: dovette imporsi di alzarsi per sfuggire da quelle tentazioni “Ci vediamo a mezzanotte meno un quarto nel cortile posteriore, nello spiazzo vicino al campo da calcio.”
“Così tardi? Ti ci vuole così tanto a preparare questa... cosa?” John si alzò a sua volta, osservando l’ora: erano appena le sette di sera.
Sorpresa, John. ‘Cosa’ è riduttivo.” Sherlock iniziò a vagare per la stanza, cercando prima la propria giaccia, poi una curiosa scatoletta nera il cui interno era ignoto anche a John “Te l’ho detto, mi serve tempo, ma vedrai che ne varrà la pena.”
“Va bene, allora nel frattempo vado a prendere qualcosa da bere, così possiamo brindare.” anche John andò a recuperare le proprie scarpe e la giacca, pronto per uscire “Allora, a dopo.”
Dopo che Sherlock ebbe ricambiato il saluto, entrambi si congedarono sulla porta della stanza  numero 221, per poi dirigersi in direzioni opposte, ciascuno a prepararsi per la grande serata.

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(1) mi sono veramente sforzata per non scrivere "tentare di conquistare il mondo", lo so che è una cavolata, ma siccome sono la Regina delle Caxxate dovevo assolutamente condividerla con voi °_°
(2) "
La persona che la tua mente visualizza non appena chiudi gli occhi?" ringrazio rosieposie77 per questa chicca!

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Capitolo 4
*** Spirito di vino ***


***Ciao ragazze! Ahhh! Come sono contenta che non abbiate capito a cosa mi stessi referendo così scoprirete la sorpresa nello stesso momento in cui la scopre John! Ma da brava scema stavo per intitolare il capitolo in modo che si capisse, ma per fortuna me ne sono resa conto così è uscito fuori questo "spirito di vino" che insomma... l'altro titolo ci stava meglio ahahahah XD ma vabbè, l'importante è il contenuto no? Ringrazio ancora una volta le mie betE e vi lascio alla lettura! Grazie a chi continua a seguirmi *_* BACIO!!!***

Spirito di vino
John si incamminò nel cortile posteriore dell’edificio universitario cinque minuti prima rispetto all’orario concordato: quando oltrepassò il campo da calcio, si vide arrivare incontro un sorridente Sherlock avvolto nel proprio cappotto scuro, slacciato, e, differentemente dal solito, non indossava i guanti di pelle nera.

“Beh? Non c’è niente qui.” borbottò John prima di fermarglisi davanti: alzò una busta di plastica contenente due bottiglie di vino economico e qualche snack “Io la mia parte l’ho fatta.”
“E’ un po’ più avanti, malfidato.” lo rimproverò Sherlock, per poi togliersi la cravatta dal collo “Posso bendarti?”
In principio John inarcò un sopracciglio a quella bizzarra richiesta, ma la curiosità viscerale che lo stava divorando vinse qualsiasi altro istinto: annuì quindi, sorridendo divertito e provando ad immaginare cosa si fosse inventato la giovane matricola “La curiosità mi sta divorando, Sherlock. Devo aspettare ancora molto?”
Sherlock alzò la propria cravatta coprendo così gli occhi di John, stringendo un nodo dietro la nuca del tutor “Mezzanotte, ovviamente.” passò i pollici sopra l’improvvisata benda, assicurandosi che aderisse alla pelle dell’altro “Ci vedi? Sii sincero.”
“Sherlock fa un buio pesto e ho la tua cravatta sugli occhi, come pensi possa riuscire a vedere?” alzò le mani in avanti, fermandole sul torace dell’altro quando lo trovò “Mi guidi tu?”
Sherlock prese la mano destra di John, guidandolo lentamente nello spiazzo in cui aveva organizzato il proprio spettacolo: lo aiutò a sedersi su una delle due sdraio che aveva portato lì, coprendolo fino alle gambe con un plaid “Sei comodo?”
“Sì, ma...” John annusò l’aria e storse il naso quando percepì un accenno di odore sgradevole “Cos’è questo odore? Uova marce? Non è che mi hai bendato e ora mi fai uno stupido scherzo da confraternita, vero?”
“Ti ho detto che è una bella sorpresa.” sbuffò Sherlock prima di togliersi il cappotto “Non ti riesce proprio fidarti di me.” disse fintamente offeso, prima di chinarsi e controllare che fosse tutto a posto.
“Mh, scusa.” mugugnò John per poi recuperare a tastoni una delle due bottiglie dentro al sacchetto “Quando manca a mezzanotte Sherlock?” sussurrò poi.
“Poco. Ma non c’è bisogno di sussurrare, siamo soli qui.” rise, per poi controllare l’orologio e tirarsi sù le maniche.
“Ah, vero, hai ragione!” sussurrò ancora, dandosi poi dell’idiota da solo “L’ho fatto di nuovo.” rise nuovamente, emozionato dalla situazione, curioso per la sorpresa che Sherlock andava perpetrandogli.
“John, hai già bevuto prima di arrivare qui?” Sherlock gli si avvicinò, aiutandolo con la bottiglia che, tra risate e vista privata, sembrava più difficile da aprire che una cassaforte di sicurezza “Cin-cin, mon amì.” gliela lasciò tra le mani, ben attento a non sporcarsi d’alcool, prima di tornare sulla piattaforma di cemento sulla quale aveva sistemato il tutto, diversi metri più avanti.
John bevve qualche sorso di vino e, pensando di non essere visto dall’altro, sbirciò l’ora sul cellulare “Sherlooock! Ci siamo quasi!” urlò affinchè la voce lo potesse raggiungere.
“Sei un imbroglione, John.” lo redarguì scherzosamente per poi chinarsi sopra a quelli che sembravano cinque piccoli crogiuoli “Vai col conto alla rovescia e allo zero togliti la cravatta dagli occhi.”
John si morse le labbra come quando da bambino veniva beccato con le mani nella marmellata, ma si rilassò subito alle parole di Sherlock, quindi iniziò ad eseguire le sue istruzioni “...tre... due... uno...”
Nel momento stesso in cui pronunciò lo zero, sentì un sibilo fischiare nell’aria poco davanti a sè: John si tolse subito la benda per assistere alla luce che schizzava verso l’alto fino a scoppiare in un cerchio perfetto di colore verde che via via si smontava come la corolla di un fiore fino a sparire del tutto. Non poteva crederci, Sherlock gli aveva improvvisato dei fuochi d’artificio fatti in casa! Si alzò in fretta per andargli incontro saltandogli addosso per la foga, tanto che finirono quasi per terra.
“Sherlock! I fuochi d’artificio! Ho sempre desiderato vederli per l’ultimo dell’anno e non ce l’avevo mai fatta!” lo strattonò per le braccia prima di piegarsi ad osservare i crogiuoli, quattro dei quali ancora carichi, mentre uno fumava emettendo lo stesso odore che John annusò prima e che in quel momento riuscì a collegare allo zolfo “Spiegami!”
Sherlock si liberò in una risata che mai era stata così forte nei suoi anni di vita: era davvero riuscito a stupirlo e a regalargli qualcosa che desiderasse ardentemente. Lo osservò prima di accucciarsi al suo fianco, godendo della luce dei occhi di John di fronte alla sua sorpresa, emozionato e soddisfatto “L’arte della pirotecnica è molto antica, John: ti ho appena fatto vedere come facevano i fuochi i cari vecchi Alchimisti.”
“Gli Alchimisti? Pensavo li avessero inventati i Cinesi.” commentò John, tentato di toccare tutto quello che aveva di fronte.
“Sì, la pirotecnica nasce in Cina, ma io sto riproducendo i metodi degli Alchimisti.” sorrise Sherlock, prendendo in mano uno dei sacchetti ancora inesplosi “Prendevano un sacchetto come questo e vi mettevano dentro la polvere pirica che era formata da nistrato di potassio, ovvero il salnistro, poi carbone vegetale polverizzato e infine una piccola parte di zolfo. Poi, a seconda del colore desiderato, mettevano una parte di bario per il verde, di stronzio per il rosso, di rame per il blu, e poi li mischiavano tra di loro per avere altri colori. Infine, prima di chiudere il sacchetto mettevano una miccia abbastanza lunga, tipo questa.” dopo avergliela indicata gli fece cenno di alzarsi “Poi davano fuoco alla miccia e... scappavano!” dopo aver dato fuoco alla miccia con un fiammifero, prese John per un braccio ed indietreggiò di qualche metro assieme a lui.
John si girò in tempo per vedere la scia di luce partire dal crogiuolo e volare in alto fino ad esplodere in una deflagrazione blu che con l’atmosfera bianca sfumava fino a diventare un azzurro pallido e a tratti opaco.
“Questo era quasi del colore dei tuoi occhi.” commentò John, seguendo le ultime scie che si spegnevano nella caduta.
Sherlock si voltò di scatto verso John: cosa aveva detto? Sentì il cuore galoppare di una fanciullesca speranza: Sherlock conosceva lo stranissimo colore degli occhi di John perchè non faceva altro che pensare a lui e fu facile memorizzare le sfumature più chiare che dipingevano l’iride verso l’interno e le strane e minuscole striature grigie che si insinuavano verso l’esterno come raggi di un magnifico sole, certo, ma non si immaginava che anche John si fosse soffermato sul colore dei suoi occhi. Lo osservò di sottecchi, quindi, con un angolo della bocca che si alzava biricchino in una domanda puramente retorica “Tu sai di che colore sono i miei occhi?”
“A dire il vero no.” si corresse John, rendendosi conto dell’importanza che poteva assumere la propria affermazione solo quando la matricola glielo fece notare: non la ritirò, tuttavia, non ne trovò il motivo, nè tantomeno la ritenne troppo scomoda o sconveniente. Anzi, finì con l’aggiungere “Quel colore non ha nome, Sherlock.”
Sherlock dovette distogliere lo sguardo a quel punto, poichè arrossì imbarazzato e potè solamente ringraziare il buio per non palesare il suo attuale temperamento lusingato ed al tempo stesso impacciato “Penso che dovrei ritenerlo un complimento. Giusto?” farfugliò mentre, avvicinandosi ai crogiuoli, gli porse la scatola dei fiammiferi “Vuoi accenderlo tu il prossimo?”
“Sì.” John recuperò in mano l’accendino che Sherlock gli stava porgendo “Ad entrambe le domande.” e dopo aver acceso la miccia del terzo sacchettino, schizzò indietro assieme alla matricola.
Accesero gli altri due sacchettini a turno e John urlò al fischio dell’ultimo, salutando il vecchio anno con un’energia che Sherlock reputò inutile sprecare per una cosa del genere, sebbene si guardò bene dal farglielo notare: si rimise il cappotto, osservando ancora una volta il viso di John illuminarsi sotto le luci di quell’improvvisato spettacolo pirotecnico.
Quando tornarono alle sdraio, le avvicinarono per potersi coprire entrambi con il plaid, passandosi la bottiglia di vino per scaldare ulteriormente i muscoli infreddoliti.
“Meno male che ha smesso di nevicare, altrimenti non avresti potuto regalarmi questo spettacolo.” John mandò giù l’ennesima sorsata di vino e quando, dopo averla proposta a Sherlock si vide rifiutare l’offerta, fece spallucce, bevendone ancora “Noioso, non bevi neanche un sorso.”
“L’importante era che i sacchetti e le miccette restassero asciutte.” osservò la bottiglia vuota per tre quarti e venne colto da un lampo: prese l’altra dal sacchetto ed iniziò ad aprirla “Oh, lo sai, non bevo molto. Ma penso che ne berrò un po’ da questa.”
“Bravo!” si congratulò John, rosso in volto, sia per il caldo che l’ebrezza portata dal vino “Sai, sei un bravo ragazzo. Devi solo mettere un filtro tra cervello e bocca e dosare tutte le cose che ti vengono da dire.”
“E a te piacciono i bravi ragazzi?” Sherlock si morse il labbro subito dopo aver posto quella domanda dettata dall’impazienza: era troppo presto, serviva più vino.
Fortunatamente per Sherlock, John aveva appena finito la prima bottiglia scolandola fino alla brodaglia del fondo che sputò poco lontano dalla sdraio “I bravi ragazzi cosa? Tu? Sì, bravo ragazzo.” annuì ripetendo il concetto senza neanche accorgersene: non aveva cenato e a stomaco vuoto il vino appena ingerito ballava la samba tra le pareti del suo stomaco.
“I bravi ragazzi festeggiano l’ultimo dell’anno. E tu sei un bravo ragazzo.” Sherlock consegnò la seconda bottiglia a John, esortandolo a bere “Com’è che era la tua canzoncina? Bevilo, bevilo, bevilo!” intonò finchè il tutor non mandò giù un buon sorso di vino “Bravo... ah, John, mi chiedevo... che ne pensi di me?”
John soffiò fuori dalla bocca un’alitata così calda che gli si formò una nuvoletta densa davanti alle labbra “Uh, che caldo, mai visto un ultimo dell’anno così caldo.” riportò poi lo sguardo su Sherlock, aprendo e chiudendo la bocca impastata dal sapore agre del vino rosso “Che sei un bravo ragazzo! Te l’ho detto!”
Sherlock sbuffò e decise che era decisamente arrivato il momento di cambiare quel disco rotto e metterne un altro: gli accompagnò la bottiglia alle labbra e lo fece bere ancora “No, ma dico, ti piaccio? Almeno un po’?”
“Sì, certo che mi piaci.” John scoppiò a ridere, alzando il braccio libero indicando un punto nel buio che seguì per qualche istante, come se avesse individuato chissà quale creatura “Ah, no, non era niente.” e rise ancora.
“Ok, è bello che andato...” ridacchiò Sherlock e quando fece per avvicinarsi a John, ricacciò subito la testa all’indietro “Dio, che fiato!” tossicchiò appena, quindi riprese a parlare al tutor “Cioè? Stai dicendo che... ti piace un ragazzo? Un maschio?” chiese per conferma.
“No, chi, io?” domandò John a sua volta, ormai arrivato a metà della seconda bottiglia “I maschi? No che non mi piacciono.” si fermò, poi, guardando Sherlock “Non mi piacciono vero? Ho i ricordi un po’ appannati.” iniziò a contare fino a cinque toccando con la punta dell’indice sinistro le dita della mano destra, come per cercare di raccapezzarsi.
“Non lo so, dimmelo tu.” rise Sherlock, che sembrava ormai più occupato a divertirsi ascoltando le bizzarrie del tutor ubriaco, che non intento a scoprire qualcosa di intimo che riguardasse John “Dai, basta bere o ti sentirai male.”
“Mia bottiglia!” ringhiò John.
“Ok. Tua bottiglia, tua la diarrea domani. Anzi, oggi.”
“Oh capista! No, catispa? CASPITA!” John gettò la bottiglia di lato, voltandosi verso Sherlock “Tutto ‘sto casino e non ci siamo fatti gli auguri.”
“Come si fanno gli auguri, John?” Sherlock aveva il profilo destro poggiato alla sdraio, costantemente voltato verso il tutor.
“Ci si dà un bacio.” ridacchiò John, completamente perso sotto l’effetto dell’alcool.
Sherlock deglutì, lasciando vagare la mano destra sotto la coperta alla ricerca della mancina di John “Vuoi darmi un bacio?”
“Non credo, o magari sì, non lo so, tanto domani non me lo ricorderò.” sembrava più una filastrocca che una risposta: John infatti, come avrebbe potuto tranquillamente affermare Sherlock, lo stava guardando ma non osservando. Lo sguardo era torbido ed inumidito dal calore dell’alcool e i gli stessi riflessi di John erano rallentati anche solo per le semplici azioni di ascoltare le proprie stesse parole che uscivano dalla bocca senza alcun filtro o controllo.
“Non voglio che il mio primo bacio sappia di vino scadente.” sospirò Sherlock, dopo aver preso la mano di John nella propria “E non voglio che tu mi baci in queste condizioni, col rischio che te ne dimentichi.” fece ad alta voce quel ragionamento che normalmente avrebbe tenuto per sè, ed era vero: voleva che, se davvero doveva succedere, fosse voluto e consapevole anche da parte dell’altro. Era l’unica persona a cui teneva e non gli andava di ingannarlo. “Eppure vorrei così tanto baciarti.”
John si mise sul fianco sinistro, mimando inconsapevolmente la posa di Sherlock la cui mano strinse nella propria “Davvero? Quindi tu sei gay?” non era certo che gli importasse saperlo, ma senza ombra di dubbio, anche da ubriaco, non avrebbe avuto alcun problema d’omofobia: di questo era istintivamente sicuro.
“Gay?” domandò Sherlock a sua volta, rendendosi conto solo in quel momento che le convenzioni sociali impongono ad una persona di mettersi in una determinata categoria riguardante il proprio orientamento sessuale. Sorrise divertito al pensiero di un eventuale segno visivo e peculiare che segnalasse chiaramente ogni preferenza ed orientamento, religioso, sessuale o politico che fosse. Sorrise al pensiero dello scompiglio che comporterebbe qualsiasi scomoda verità portata a galla “Se proprio devo inserirmi in una categoria...”
“Eh? Inserirti dove?” l’alcool non aiutò John a cogliere quell’espressione.
“Sì, John. Sono gay.” sospirò Sherlock, rassegnato: ecco che era stato pesato, giudicato, categorizzato dal suo tutor ubriaco che avrebbe comunque dimenticato tutto non appena avesse chiuso gli occhi.
“Ah. E ti piaccio?” chiese John ingenuamente: se non fosse stato così tremendamente ubriaco non gli avrebbe mai chiesto qualcosa di così intimo in maniera così semplicistica.
Sherlock non potè fare a meno di chiedersi se il tutor gli avrebbe risposto nello stesso modo anche da lucido “Sì, John. Non lo avevi capito?”
John lasciò roteare lo sguardo per un qualche secondo, quindi rispose genuinamente “No.”
“Cambierà qualcosa tra di noi, ora che lo sai?” Sherlock tirò la mano di John verso di sè, posando sul braccio del tutor anche la mano sinistra: il nonsenso di quel discorso lo rassicurava almeno in parte. Si era scoperto completamente con John e, in fondo, anche con se stesso, ma l’idea che solo lui si sarebbe ricordato di quella conversazione lo faceva sentire in vantaggio, in qualche modo, sull’altro. Il controllo che aveva perso nel momento stesso in cui si rese conto di provare dei sentimenti nei confronti di John, fu riacciuffato miracolosamente con quelle informazioni rubate senza neanche troppa fatica.
“Ora lo so, tra uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci ore chi lo sa cosa saprò?” John rise per il tono canzonatorio della propria stessa risposta, senza protestare alla presa di Sherlock sul proprio braccio, non trovandolo strano o equivoco in quella situazione, colto dall’ebrezza e, anzi, mosse un poco le dita della mano sinistra, solleticandogli il naso con la punta dell’indice.
Sherlock si unì a quella risata, divertito anche dal dito di John che andò poi a mordere appena, ma non per farlo smettere, bensì per portare avanti quel gioco, quei contatti che si facevano sempre più ricercati: trasalì qualche istante nel sentire all’improvviso il proprio giovane cuore galoppare come un puledro impaziente di unirsi alla mandria per avventurarsi in terre selvagge ed inesplorate. Guardò dritto negli occhi la causa di quel batticuore e, come gli era già capitato pensando a lui, constatò quanto fosse sottile la linea che divideva la gioia dal dolore: era già gennaio, e il pensiero che nel giro di pochi mesi il tutor avrebbe concluso l’università lo fece intristire inevitabilmente “Non mi lasciare mai, John.”
John si divertì a stuzzicare il viso di Sherlock col proprio dito finchè non lo vide mutare espressione: l’ebrezza non lo aiutò di certo, infatti impiegò diversi secondi prima di intuire a cosa si stesse riferendo “Devo farlo, partirò prima o poi.”
Sherlock gli tirò il braccio, stringendolo al proprio petto, scuotendo vigorosamente il capo “Non farlo, promettimelo.”
John scrollò il capo affidandosi all’istinto per rispondere, poichè l’ubriacatura non poteva aiutarlo dal punto di vista razionale “Non posso mantenere questa promessa.” John sentì come se il proprio cervello viaggiasse contemporaneamente su due binari diversi: da un lato transitava il vagone del raziocinio che conteneva tutte le risposte, mentre dall’altro lato, il treno era guidato dall’Io più nascosto e latente di John che sceglieva quali parole fargli pronunciare, senza alcun riguardo per la censura che una mente sobria e sveglia si curerebbe normalmente di applicare.
A Sherlock sembrava quasi di poter discernere quei due binari nella mente di John, vedeva l’esitazione nel suo sguardo, percepiva la sua paura di ferirlo: tuttavia scosse il capo ed insistette, poichè per la prima volta in vita sua sentì il bisogno di essere confortato “Tu dimmela, tanto non te la ricorderai, e quindi non varrà.” intrecciò le dita della propria mano con quelle di John, portandole sopra le proprie labbra, quindi sulla fronte.
John smise di concentrarsi sui due treni che gli viaggiavano sui binari del proprio cervello poichè riuscì a cogliere la malinconia e la tristezza nel tono di Sherlock: alzò dunque la mano libera sul volto della giovane matricola, accarezzandolo con una delicatezza che voleva essere protettiva e rassicurante “Allora a cosa serve?”
Sherlock chiuse gli occhi sotto quella carezza, scontrando insistentemente la propria guancia sotto la calda mano di John “Tu dilla. Almeno ora, per qualche minuto, starò bene.” riportò lo sguardo sul tutor, perdendosi in quelle sfumature grigie che sembravano piccole vie d’accesso per l’anima di quel fantastico ragazzo.
John non era sicuro di cosa sarebbe stato giusto fare, ma alla fine andò contro alla propria ragione, decidendo di assecondare quel pensiero totalmente illusorio, pur di non sentire quel tono di voce incrinato dalla tristezza “Ok.”
“Non mi lasciare mai.” chiese nuovamente Sherlock, con un fil di voce, intrufolandosi inconsapevolmente dentro l’anima di John.
“Mai, te lo prometto.” John sentiva che non era giusto dirlo, ma la voce gli uscì spontaneamente: paradossalmente, pur sapendo di essere ubriaco fradicio, si ritrovò a sperare invano di ricordare quel preciso istante in cui Sherlock gli entrò dentro, facendo deragliare i due treni che governavano la sua mente.
“Grazie.” Sherlock, stranamente inconsapevole di ciò che era riuscito a fare, strofinò gli occhi lucidi sulla mano di John e, continuando a stringere il suo braccio, si addormentò insieme a lui sulle sdraio, coperti dal plaid che odorava di vino, zolfo e polvere pirica.
Se solo i pensieri avessero un odore proprio e l’amore fosse un profumo, l’aria circostante saprebbe di carbone consumato dalla passione.

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Capitolo 5
*** Il problema ***


***Ciao ragazze! Come promesso ieri sera, ecco il 5 capitolo! Questo capitolo è ancora piuttosto "tranquillo", anzi, abbastanza di stallo. Non dirò inutile perchè in realtà verrà introdotto il problema che porterà alla vagonata di angst dei prossimi capitoli(per i miei livelli è davvero una vagonata u.u ma so già che voi avete una tolleranza più alta della mia per questo genere di cose quindi sono fiduciosa *_*), quindi in qualche modo è a sua volta determinante... oh, e poi c'è Mycroft! Quindi sbav, no? XD Ok, lo so che con le cavolate che scrivo nelle mie note venga il dubbio che io poi sia la stessa persona che scrive queste ff, ma effettivamente sono io XD è che quando non sono in modalità "scrivo seriamente un capitolo" sono la più scema del reame! Tiè SpacciaNeve! Bonci, ho detto abbastante '__' Grazie alla mia beta rosieposie77 e voi che continuate a seguirmi!!! BACIO!!!***

Il problema
La mattina del primo gennaio, verso le 10, John si svegliò lanciando uno starnuto  che lo riportò seduto sulla sdraio: ci mise un po’ a mettere a fuoco quello che aveva di fronte, ma quando vide i cinque crogiuoli sistemati poco più avanti, iniziò a ricordare. Aveva la bocca impastata ed un leggero ma persistente reflusso gastroesofageo che gli riportò alla memoria le due bottiglie di vino che sperò di non aver bevuto da solo, anche se, considerato il mal di testa ed il continuo rigurgito che doveva ricacciare indietro, non ne fu molto persuaso. E poi aveva male al braccio sinistro, perchè era così indolenzito? Diede la colpa all’umidità finchè non si voltò e vide Sherlock stretto al proprio braccio, col naso appoggiato sul dorso della mano: John sorrise, ma non potè fare a meno di sciogliere quella presa, poichè le punte delle dita erano così intorpidite da iniziare a fargli male.

“Scusa.” chiese John, quando vide Sherlock svegliarsi sotto il suo movimento “Non mi sentivo più la mano, dovevo toglierla.” si voltò in fretta, poi, all’ennesimo rigurgito, sputando un po’ di saliva dalla parte opposta rispetto alla matricola “Ma quanto ho bevuto ieri sera?”
Sherlock si sedette a sua volta, agitando poi i ricci neri con entrambe le mani per cercare di dare una certa simmetria alla parte destra dei capelli schiacciata dalla posizione assunta durante la notte “Mh?” domandò per poi annuire alla domanda di John “Io non ne ho bevuto neanche una goccia, quindi fatti i tuoi conti.”
“Potevi fermarmi.” piagnucolò John, massaggiandosi la pancia con la mano destra “Mal di testa...” si lamentò ancora per poi alzarsi in piedi e saggiare il proprio equilibrio.
“Lacrime di coccodrillo.” sbuffò Sherlock “Ho provato a toglierti la seconda bottiglia, ma non ne volevi sapere di smettere.” si alzò a sua volta, stiracchiandosi e allungando i lunghi arti fino a farli scricchiolare.
“Spero di non aver detto o fatto cose strane.” ridacchiò John per poi chinarsi e raccogliere le bottiglie, i tappi e il sacchetto di plastica entro il quale mise tutto.
“Non ti ricordi nulla?” chiese Sherlock, con finta non-curanza.
“Dopo i fuochi?” John iniziò a piegare il plaid e a chiudere le due sdraio “Non molto.” le smorfie che gli si disegnavano sul volto suggerivano un tentativo di far riaffiorare i ricordi, ma lo sforzo non andò a buon fine “Solo una... sensazione di tristezza. Strano, non mi prende mai la sbornia triste.”
Sherlock evitò di commentare, preferendo recuperare il sacchetto di plastica ed avvicinandosi alla piattaforma di cemento dalla quale aveva sparato i fuochi artificiali: si chinò e vi buttò dentro quel che rimaneva dei sacchetti di polvere pirica, per poi impilare i crogiuoli roridi di umidità uno sopra l’altro “Devo riportarli al laboratorio di chimica.”
“Ah, a proposito.” John lo raggiunse, imbracciando una sdraio per parte e tenendo la coperta piegata sotto l’ascella sinistra “Come hai fatto ad entrare nel laboratorio di Chimica, Sherlock Holmes?”
Sherlock estrasse dal cappotto la famosa custodietta nera, la cui superficie baciò velocemente: poi recuperò i crogiuoli e si incamminò verso gli edifici universitari, seguito da John “Mi denuncerai, tutor?”
“Dopo lo spettacolo che mi hai regalato ieri sera? No di certo.” si guardò attorno, godendosi la pace che regnava in quel posto solitamente pieno di giovani ragazzi intenti nelle più disparate operazioni, dal calcio, ai giochi da confraternita, per poi passare alle semplici chiacchiere, fino alle pomiciate sotto l’ombra di un albero o al distendersi su un prato “Ma cerca di non farti beccare da qualcun altro che non sia io.”
“Sei il mio tutor preferito.” s’arruffianò Sherlock, entrando nel palazzo principale dell’Ateneo.
“E tu sei la matricola più straordinaria che potesse capitarmi.” ammise John, seguendolo nell’ala dell’Università riservata alle materie scientifiche.
“Straordinaria?” chiese Sherlock, piacevolmente stupito da quell’aggettivo che forse reputava eccessivo, non per se stesso, ma come apprezzamento da parte di un eterosessuale convinto.
John intuì la malizia nel tono di Sherlock, quindi si limitò a riportare l’etimologia di quella parola che, comunque sia, reputava un bel complimento “Sì, fuori dall’ordinario.”
Sherlock rise per il salvataggio in extremis del tutor: poi si ricordò qualcosa che l’altro reputava importante “John?” lo chiamò, e quando lo vide voltarsi sorridente, si chinò fino a baciargli pudicamente la guancia “Happy new year.”
Per John non era strano dare o ricevere dimostrazioni d’affetto, quindi, sebbene fosse la prima volta che riceveva un bacio sulla guancia da parte di un ragazzo, si limitò a sorridere divertito, sgomitando appena Sherlock che, invece, nonostante l’iniziativa fosse partita proprio da lui, si voltò in direzione opposta, dissimulando l’imbarazzo raccontando i cento-più-uno modi per aprire una serratura usando solo oggetti di uso comune. John rise e, sebbene non potè fare a meno di rimproverare Sherlock, lo ascoltò dall’inizio alla fine senza mai staccare lo sguardo da lui.

Dopo aver rimesso tutto a posto nel laboratorio di chimica e aver riposto le sdraio nel retro del laboratorio teatrale, John e Sherlock tornarono nell’appartamento universitario che dividevano ormai da tre mesi: parlarono liberamente nei corridoi, sicuri di essere gli unici ad abitare l’edificio in quei giorni. Sbagliarono i calcoli.
Arrivati davanti alla porta della stanza numero 221, si accorsero che era aperta ed appena appena appoggiata allo stipite, disegnando una sottile luce verticale che filtrava dall’interno: John poggiò istintivamente la mano destra sul torace di Sherlock, spostandolo di lato, facendolo aderire al muro del corridoio con la schiena.
“Stai qui.” sussurrò John a denti stretti, protettivo nei riguardi del giovane, istintivo nel prendere il controllo della situazione.
Sherlock gli obbedì solo perchè rimase senza parole e senza alcuna iniziativa di fronte alla reazione di John: nessuno si era mai preso cura di lui in quel modo, o quanto meno, nessuno glielo aveva mai dimostrato così chiaramente.
Una volta assicuratosi che Sherlock sarebbe rimasto indietro, John fece aderire la propria schiena alla porta, pronto a spalancarla e a saltare addosso a chiunque vi fosse all’interno della stanza. Poi si sentì una voce provenire dall'appartamento che si lamentava dell’attesa e allora Sherlock sbuffò, oltrepassando John.
La matricola irruppe nella stanza spalancando la porta “Mycroft, che diavolo che ci fai qui?”
Quando anche John entrò nella stanza si trovò di fronte un uomo sulla trentina, ben vestito, di gran classe, ombrello puntellato al pavimento, stesso sguardo di Sherlock “Buongiorno?” il suo tono di voce non potè che assumere una cadenza interrogativa.
“Fratellino, anche per me è un piacere rivederti.” sospirò Mycroft, per poi avvicinarsi a John ed alzare educatamente la mano “Tu devi essere John Watson, il tutor di Sherlock. Io sono Mycroft Holmes, molto piacere.”
Sherlock sbuffò, interponendosi tra il proprio compagno di stanza e la mano del fratello, verso il quale scoccò un’occhiataccia “Cosa ci fai qui?” intrecciò le braccia al petto, ringhiando quasi, protettivo a sua volta o, più probabilmente, geloso “John non è interessato a conoscerti.”
“Sherlock, non fare il maleducato. E non parlare a nome mio.” lo riprese John, fiancheggiandolo per riuscire a stringere la mano di Mycroft “Piacere mio, signor Holmes.”
Mycroft guardò il fratello con aria di sufficienza, non riuscendo ancora ad abituarsi alla continua e opprimente ostilità che nutriva nei suoi confronti “Crescerai mai, Sherlock?” strinse poi la mano di John, verso il quale, invece, sorrise, seppur mantenendo una certa austerità “Mi dispiace che debba sorbirsi mio fratello come compagno di stanza. Non deve sicuramente essere facile come convivenza.”
Sherlock ringhiò sia a John che a Mycroft, dai quali si allontanò a favore della finestra, al di fuori della quale si mise ad osservare “Ero di ottimo umore, Mycroft, sei riuscito a rovinare tutto.”
“Sherlock...” lo richiamò John, nuovamente, trovando crudeli quelle parole, persino per una persona fredda come la giovane matricola. Alzò lo sguardo verso Mycroft “Mi dispiace per quello che le ha detto.” ed era vero: l’empatia che John provò in quel momento aumentò al ricordo dei propri dissapori con sua sorella Harry “Vi lascio soli.”
“Oh, non si preoccupi, John. Mio fratello ed io siamo abituati a scambiarci parole ben peggiori.” Mycroft sorrise al tutor per poi tornare su Sherlock “Sono solo passato a portarti gli auguri da parte di nostra madre. Sai, le sei mancato a Natale.”
Sherlock ignorò ciò che Mycroft aveva appena detto, troppo preso ad analizzare lo sguardo, il tono e le parole di John: capì di averlo deluso, e per la prima volta in vita sua si ritrovò vittima delle proprie parole. Il dispiacere che aveva creato in John si riflettè su di sè “John...?” provò a chiamarlo, ma vide il tutor già vicino alla porta.
“Arrivederci, Signor Holmes.” John strinse nuovamente la mano di Mycroft, per poi salutare Sherlock distrattamente “Vado a prendermi un caffè.”
Quando John ebbe chiuso la porta dietro di sè, Mycroft si voltò, avvicinandosi a Sherlock “Un sentimentale il tuo compagno di stanza.”
“Potevi dirglielo che non te l’eri presa! Ora ce l’avrà con me!” sbuffò infantilmente, allontanandosi da Mycroft man mano che s’avvicinava, togliendosi il cappotto e lanciandolo in malo modo sulla propria scrivania.
“Magari impari a non dire tutto ciò che ti passa per la mente.” Mycroft si fermò al centro della stanza, sbirciando particolari e dettagli che ad un comune essere umano potrebbero sembrare irrilevanti “Essere intelligenti vuol dire anche sapersi adattare agli altri, per questo ti ho iscritto come frequentante, Sherlock. Credi che non sappia che un giorno potresti essere tu ad insegnare Chimica? Voglio che tu sappia vivere in mezzo alla gente in modo civile.”
“Tu sei come me. Hai solo la fortuna di non avere un fratello maggiore che ti dica quello che devi fare.” Sherlock si sedette sul divano, osservando la porta chiusa dalla quale John era uscito pochi istanti prima.
“Io sono come te, con la differenza che so frenare la lingua, quando serve.” sospirò Mycroft, avvicinandosi a Sherlock molto lentamente, quasi temesse di farlo scappare “E non tirare fuori la solita storia. Puoi benissimo essere te stesso senza urtare la sensibilità di tutti coloro che ti stanno attorno. Sei intelligente, puoi benissimo imparare a farlo.” arrivò vicino al divano, sospirando appena, cercando di rendere il proprio tono di voce il più pacifico possibile “Non devi farlo per me. Ma per te. E per...”
“Per?” domandò Sherlock, stizzito, appoggiandosi al divano con la schiena.
Mycroft si sedette sulla punta del divano, le mani in grembo “Per non ferire qualcuno che evidentemente ha attirato la tua attenzione.”
Sherlock sospirò, tornando ad osservare la porta “Se ne sarebbe andato comunque per darci modo di parlare in privato.” sciolse la stretta delle braccia, rilassandosi un poco “John è una persona molto discreta ed educata.”
“Sono contento che ti trovi bene con lui.” Mycroft appoggiò l’ombrello sul tavolino di fronte al divano, voltandosi completamente verso Sherlock “Lo sai, devo chiedertelo.”
Sherlock sbuffò, fingendo di non sapere di cosa il fratello stesse parlando “Cosa?”
“Lo sai, Sherlock.” sospirò Mycroft a sua volta “Devo chiederti se hai ancora quel problema.”

Una volta uscito dal portone, John si schiacciò la mano sul volto, sbuffando sonoramente: si era dimenticato il portafogli in camera ed in tasca non aveva più nulla se non i pochi spiccioli di resto delle bottiglie di vino della sera precedente, quindi rientrò nell’edificio universitario, diretto verso la propria stanza.
Quando arrivò di fronte alla stanza però, prima di bussare, colse involontariamente le parole che Sherlock e Mycroft si stavano scambiando, quindi si bloccò.
“Quale problema?” chiese Sherlock, fingendo ancora di non conoscere l’argomento di discussione.
“Il tuo piccolo problema che per fortuna sono riuscito a nascondere alla mamma.” Mycroft avvicinò le mani alle braccia di Sherlock.
“Chiama le cose col loro nome, Mycroft.” lo intimò Sherlock, con aria di sfida.
John, al di là della porta, deglutì pesantemente e rimase immobile, perchè sapeva che Sherlock avrebbe colto anche il minimo rumore, finendo così per scoprire che lo stava, orribilmente, spiando.
“Mi fa così ribrezzo, Sherlock, che non oso neanche pronunciarlo.” slacciò i polsini della camicia del fratello, alzandoglieli fino ai gomiti, l’interno dei quali iniziò a controllare.
“Soddisfatto?” domandò il più giovane, con finta non curanza.
“Non del tutto.” sospirò Mycroft, mal celando la propria preoccupazione “Ma è pur sempre meglio di prima.” approfittando dell’inconsueta mansuetudine del fratello, alzò una mano sul suo viso, carezzandogli le occhiaie con i polpastrelli “Ci sono spacciatori anche qui, dunque.”
John chiuse gli occhi a quella rivelazione, portandosi la mano sinistra davanti alla bocca per cercare di non emettere neanche un fiato: aveva sospettato che Sherlock si drogasse ed ecco la conferma, anche se non aveva ancora intuito il tipo di sostanza stupefacente di cui facesse uso. Non potè fare a meno di pensare che quei rari momenti di eccessiva euforia e logorrea da parte di un solitamente svogliato e laconico Sherlock, potessero effettivamente collegarsi all’uso di qualche stimolante illegale. Nello specifico, aveva un’ipotesi e forse s’aspettava di sentire una conferma provenire dall’altro lato della porta.
“Sono ovunque, Mycroft. Soprattutto in un’Università, poi, trovi di tutto. Roba che ti faccia studiare di più, roba che ti aiuti a rilassarti prima di un esame, droghe che ti facciano dormire, intrugli da confraternite, droghe naturali, sintetiche...” l’elenco di Sherlock finì quando Mycroft lo trafisse con uno dei suoi sguardi gelidi ed eloquenti.
“Ho recepito il messaggio, può bastare.” Mycroft ritirò le mani, scrollando il capo “Spero che John Watson ti sia utile anche in questo, Sherlock.”
“In che senso?” il giovane alzò lo sguardo verso il fratello maggiore, studiandolo a sua volta.
“Visto che ti dispiace l’idea di deluderlo, magari smetterai del tutto.” alzò lo sguardo verso la scrivania dell’aspirante dottore, scoprendola ordinata, pulita, rigorosa “Non mi sembra il tipo da tollerare quelle cose.”
“Potrebbe essere un’arma a doppio taglio, in verità.” Sherlock sospirò, appesantito dall’importanza delle parole appena pronunciate.
John continuò ad ascoltare la conversazione, piccato sensibilmente per le ultime parole di Sherlock: in che senso avrebbe potuto essere un’arma a doppio taglio per lui? Temeva forse che lo avrebbe denunciato in presidenza? Improvvisamente, sentì riaffiorire l’inspiegabile sensazione di tristezza lasciata dal ricordo della notte appena trascorsa.
Mycroft studiò il volto di Sherlock, cercando il significato implicito della frase appena pronunciata “Oh, capisco.” annuì dunque, evitando di palesare il proprio pensiero onde non metterlo in imbarazzo: era già un miracolo che si fosse aperto così tanto “Se mi accorgerò che sarà nocivo per te, provvederò a spostarti di stanza.” annunciò, quindi, protettivo verso il suo stesso sangue.
Sherlock chiuse gli occhi qualche istante “Non farlo, sto bene con lui.”
“Lo so, ho visto.” sorrise a quel punto e anche il suo sguardo perse un po’ della sua solita freddezza “Allora impegnati, Sherlock. Visto che non ti viene spontaneo farlo per gli altri, fallo almeno per te stesso. Può farti solo che bene avere un amico.”
Sherlock non rispose, alzando improvvisamente lo sguardo sul violino che giaceva silenzioso sulla propria scrivania.
“Hai voglia di suonarmi qualcosa? Manca la tua musica a casa.” chiese Mycroft, sistemandosi meglio sul divano, quasi leggendogli nel pensiero.
Sherlock, pur roteando gli occhi verso l’alto, non negò al fratello quella richiesta: d’altronde aveva già voglia di suonare per sè. Si alzò e imbracciò in fretta lo strumento musicale che tanto adorava, prese l’archetto, ed iniziò a riempire l’aria di dolci note con cui raggiunse, inconsapevolmente, anche il proprio compagno.

John decise che aveva veramente superato il limite, quindi, approfittando della copertura offerta dalla musica suonata da Sherlock, si allontanò lentamente dalla stanza: aver studiato in un’accademia militare gli aveva insegnato anche a nascondere i propri passi, a muoversi silenziosamente. Si sentiva come un ladro, effettivamente, poichè era entrato in possesso di informazioni che si rese conto di desiderare, ma di cui i proprietari ignoravano di esser stati derubati.
Aveva sempre pensato che Sherlock fosse un ragazzo che necessitasse un certo genere di aiuto ed era felice di sapere di aver scalfito, almeno in parte, la corazza di meccanismi di difesa con cui si proteggeva dal resto del mondo. Tuttavia, assieme a questa conferma, era diventato inaspettatamente consapevole del fatto di rappresentare per lui una minaccia potenziale. Ignorava ancora il motivo dietro tutto questo. Forse, la perdita del suo unico amico avrebbe potuto significare una sofferenza ancora più grave rispetto alla sua precedente, e per lui rassicurante, atarassia.
L’idea di essere così determinante per una persona così fragile, tuttavia, come se ciò non bastasse, avrebbe dovuto dissimulare tutte le informazioni che aveva acquisito e continuare a comportarsi normalmente. Nulla però, gli avrebbe vietato di indagare, soprattutto su chi fossero gli spacciatori all’interno dell’Università e cercare, in un modo che ancora non aveva valutato, di neutralizzarli.
Era diventato altresì consapevole del fatto che a Sherlock premeva l’idea di non deluderlo e questo, tutto sommato, lo rincuorava: sperava che quello potesse essere lo stimolo adatto per smettere di assumere qualsiasi tipo di droga usasse.
Avrebbe aiutato Sherlock, eccome, d’altronde gli si era affezionato molto a sua volta e in un modo che era totalmente diverso rispetto alle altre amicizie che aveva coltivato fino a quel momento: mancavano ormai pochi mesi alla sua laurea, quindi sarebbe dovuto riuscirci prima che partisse e lo perdesse di vista.
La certezza più forte tra tutte era che avrebbe dato tutto se stesso nell'aiutare Sherlock: non poteva negare di essersi affezionato molto a sua volta e in un modo che era totalmente diverso rispetto alle altre amicizie che aveva coltivato fino a quel momento. Mancavano ormai pochi mesi alla laurea, quindi sarebbe dovuto riuscirci prima che partisse e lo perdesse di vista.
La testa iniziava a girargli sotto il peso di tutte quelle informazioni e scoperte che lo stavano pian piano travolgendo, tra cui, non da ultima, avrebbe dovuto capire perchè il pensiero di partire, che fino al giorno prima era stato il suo desiderio più grande, evocasse in lui un triste ricordo ancora non ben definito legato alla notte appena trascorsa.

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Capitolo 6
*** La soluzione è il problema ***


***Ciao ragazze! Scusate il ritardo(rispetto ai miei solito canoni uahah)ma il 19 ho un esame e quindi, ogni tanto, studio u.u''' poco eh, non vorrei che mi fumasse il cervello °_°''' (AVVERTIMENTO in questo capitolo viene descritto più o meno nei dettagli l'atto di bucarsi una vena allo scopo di drogarsi, è nell'ultima scena, quindi in caso vi desse fastidio, non leggete l'ultima parte FINE AVVERTIMENTO)! Allora, come annunciato inizia l'angst che durerà fino alla prima scena del capitolo 8, quindi mi spiace, ma ci strutteremo un pochino (struttare è verbo bellissimo che è l'aternativa simpatica di "struggersi"), ma prometto tanto fluff per il dopo XD vi voglio bene e grazie per la pazienza che avete nel seguirmi! <3 ringrazio la mia beta Cristina e un bacio speciale a Simo e Jess! BACIO!!!***

La soluzione è il problema
Passarono altri due mesi dopo la visita di Mycroft e, seppur John si fosse ripromesso di passare più tempo da solo con Sherlock, tra il tutorato, il praticantato, le lezioni e lo studio, non riuscì a dedicargli più di un’ora al giorno rispetto a quanto già facesse prima.

Sherlock apprezzava lo sforzo del tutor, lamentandosi con lui per il poco tempo a loro disposizione solo quando John passava il proprio con Sarah o giocando a calcio con altri amici.
In quei due mesi il loro rapporto si intensificò ulteriormente senza, in realtà, che accadessero particolari eventi: passavano assieme quasi tutte le sere e, di tanto in tanto si incontravano a mensa o in biblioteca. Ma in verità la loro particolare amicizia era costruita da piccoli momenti, brevi dialoghi, sguardi intensi, contatti a volte così sfuggenti da giustificare quelli più ricercati.
John iniziò a farsi delle domande sull’entità del suo rapporto con Sherlock: iniziò infatti a sospettare che la matricola potesse provare per lui un sentimento che andasse oltre all’amicizia e, invero, quei dubbi si acutizzavano ogni qual volta ci fosse di mezzo Sarah per la quale la matricola provava un’antipatia che, mentre prima il tutor la definiva istintiva, poi la identificò come calcolata e ben motivata.
Non potè fare a meno di notare, poi, il desiderio di un contatto fisico da parte della matricola, sebbene fosse ristretto ad abbracci o a piccole carezze che comunque rimanevano sempre caste e pudiche, ed erano riservate all’ambito privato della loro stanza. In realtà, a John sembrò curioso il fatto di non provare alcun fastidio di fronte a quelle esternazioni, mentre l’idea che qualsiasi altro suo amico potesse trattarlo in quel modo lo faceva sempre rabbrividire.
La loro amicizia era senza alcun dubbio molto speciale e lo era in un modo così esageratamente mascherato da diventare inequivocabilmente esplicito.

Una sera, John tornò nell’appartamento alle undici passate, spossato dalla lunga giornata fitta di impegni: non si tolse neanche la giacca mentre si trascinava fino al divano, sul bordo del quale poggiò le ginocchia prima di buttarcisi sopra, abbracciando debolmente il cuscino su cui poggiò la guancia destra.
Sherlock uscì dalla propria stanza quando lo sentì entrare, avvicinandosi poi al divano per osservarlo al meglio: come ogni altro giorno, gli era mancato considerevolemente. La sera era il momento più bello della giornata, perchè era il momento in cui John tornava da lui.
“Jawn.” provò a chiamarlo Sherlock, dopo essersi chinato di fronte al divano, all’altezza del suo viso.
Un gemito provenì da John che strinse la presa attorno al cuscino, susseguito poi da un mugolio accompagnato da un lungo sospiro.
“Jawn?” miagolò nuovamente Sherlock per poi alzarsi e sdraiarsi delicatamente sopra a John, infilando le braccia sottili sotto il suo torace e appoggiando la guancia sulla sua nuca.
“Sembri un gatto quando fai così.” bisbigliò John, ancora ad occhi chiusi “E quando mi chiami in quel modo.”
“In che modo?” domandò Sherlock, sussurrandoglielo direttamente all’orecchio.
“Non dici ‘John’... lo dici come se... come fossi un gatto che miagola e allora dici ‘Jawn’.” il tono sostenuto da John era sempre basso, appena roco per la stanchezza “E poi, guarda come ti metti. Sei il mio gatto Sharmock.”
Sherlock rise piano, stringendo la presa attorno al torace di John che ormai non trovava più scomodo od imbarazzante quel livello di intimità che si concedevano, giacchè lo riservavano esclusivamente in un ambito privato, all’interno di quelle quattro mura che entrambi consideravano ormai la propria casa “Il tuo gatto portafortuna? Come quelli cinesi con la zampetta per aria?”
“Sì, una specie.” John rise a sua volta, aprendo finalmente gli occhi “Cosa hai fatto oggi?”
“Laboratorio.” rispose semplicemente, osservando gli occhi stanchi di John con un leggero magone “John, vai a dormire dai.”
“Devo mettere a posto gli appunti di oggi.” mugugnò il tutor, provando a muoversi per scrollarsi Sherlock di dosso “Via gattino, o non ti dò i croccantini.”
Sherlock rise nuovamente, ma non volle saperne di mollare la presa “Te li ricopio io. Non vorrai rischiare di addormentarti appoggiato alla scrivania. Di nuovo.” gli soffiò poi addosso un po’ d’aria, smettendo solo quando lo vide chiudere gli occhi nuovamente.
“Mh, no, poi me li copi in modo diverso.” iniziò a biascicare “Gli appunti vanno da persona a persona.” borbottò mezzo addormentato.
“Secondo te un genio come me non riesce a riprodurre il tuo metodo di trascrizione degli appunti?” sbuffò Sherlock, per poi accorgersi che il suo interlocutore era pressochè addormentato.
Quando non sentì più alcuna protesta, infatti, si alzò da John con movimenti fluidi e leggeri: si impegnò abbastanza per riuscire a togliergli la giacca. Il biondo lo aiutò inconsciamente, sciogliendo le braccia stanche e seguendo i movimenti che Sherlock gli fece compiere per raggiungere il proprio obbiettivo. Gli tolse anche le scarpe prima di posargli sopra una coperta nella quale John si avvolse, stretto in posizione fetale sul lato destro del proprio corpo.
Sherlock sorrise, chinandosi per posare un leggero bacio sulla tempia scoperta di John che si ritrasse mugolando, nascondendosi completamente sotto la coperta, come un bambino che non vuole essere disturbato durante la nanna.
La giovane matricola si soffermò qualche minuto ad osservarlo prima di spegnere le luci e recuperare il quadernone dallo zaino di John: si sedette alla scrivania, mantenendo il proprio impegno, aiutandolo, nel suo piccolo, in quel che poteva.

Pochi giorni dopo, in una giornata particolarmente piovosa, Sherlock era l’unico studente presente nel laboratorio di Chimica, unico in quanto non c’erano lezioni di venerdì pomeriggio e l’idea di studiare la riproduzione asessuata dei lieviti cullato eclusivamente dal ticchettio della pioggia che batteva sui vetri delle finestre lo stuzzicava particolarmente.
Sherlock trascorse almeno due ore di assoluta calma e serenità: nessuno era entrato in laboratorio neanche per sbaglio e la pioggia sembrava cadere a ritmo regolare proprio per conciliare il suo studio.
Alzò gli occhi solo quando udì qualche risata provenire dal corridoio: il cervello di Sherlock discriminò subito la sua preferita tra quelle tre che via via s’avvicinavano al laboratorio. John si stava avvicinando, lo stava andando a trovare e niente poteva rendere il quadro più idilliaco: la gemmazione dei lieviti come sfondo visivo, la pioggia come base musicale e l’arrivo imminente di John come elemento in primo piano della scena in svolgimento.
La porta si aprì e, mentre Sherlock si aspettava l’ingresso del protagonista della sua personalissima sceneggiatura, il brivido dell’attesa venne smontato alla vista di Sarah ed un’altra ragazza rubare la scena a John che, invece, entrò per ultimo richiudendo la porta dietro di sè.
“Ciao, Sherlock!” John gli si avvicinò entusiasta, alzando la mano destra verso la schiena della matricola in una piccola carezza: ormai era così abituato ad avere un contatto fisico con l’altro, che gli sembrava strano quando questo non avveniva “Cosa studi?”
“Chimica.” rispose Sherlock con aria di sufficienza, ignorando maleducatamente le due ragazze in compagnia di John.
“Non sono un genio come te, ma fin lì c’ero arrivato anche io.” ironizzò John, per poi alzare la mancina verso Sarah e la timida ragazza che le stava accanto “Non saluti Sarah? E con lei c’è Molly Hooper, dovresti conoscerla, sebbene studi Medicina bazzica spesso il laboratorio per eseguire delle analisi.”
Mentre entrambe le ragazze sorrisero e salutarono Sherlock, la matricola posò su di loro uno sguardo furente: Sarah era abituata al suo caratteraccio, certo, ma in quella circostanza le sembrò più insofferente del solito. D’altro canto, anche lei iniziava a sopportarlo sempre meno, complici anche le carezze che i due ragazzi si scambiavano da un po’ di tempo a quella parte e che neanche si sforzavano di nascondere più di tanto. Molly, invece, già timida e insicura di suo, interpretò come un secco rifiuto l’atteggiamento negativo della matricola.
Quando John vide che Sherlock non si degnò nemmeno di salutarle, gli strinse un poco la spalla sinistra con la mano che fino a poco prima era poggiata sulla sua schiena “Non fare il maleducato, saluta almeno.”
Sherlock si voltò di scatto, scacciando la mano di John dalla propria spalla e nell’alzarsi fece cadere lo sgabello a terra, ma non se ne curò “Perchè l’hai fatto?” domandò al tutor, digrignando i denti come un mastino infernale.
“Cosa?!” John non potè capire, ma quando vide Sarah e Molly trasalire per il rumore dello sgabello, scosse il capo e fece un passo verso la matricola “Cosa ho fatto di male, Sherlock? Dimmelo perchè non lo capisco!”
“Non solo mi porti qui Sarah, ma provi anche a sistemarmi con quella lì?” Sherlock alzò le mani verso le due ragazze, ma lo sguardo rimase su John finchè non fu colto da un’illuminazione “Oh certo, Sarah è una tua idea vero?”
“Cosa?!” Sarah intervenne, intrecciando le braccia al petto “Tu sei fuori di testa! Ti abbiamo presentato un’amica con cui pensavamo saresti potuto andare d’accordo, ma evidemente sei così sociopatico da poter sopportare la compagnia di una sola persona alla volta!”
“Sarah!” urlò John, riservandole un’occhiataccia che la ragazza non si sarebbe mai aspettata di poter vedere sul dolce volto del tutor “Lasciateci soli, per favore.” e quando sentì le tiepide proteste dell’altra, alzò nuovamente il tono di voce “Ti ho detto di andartene!”
Sarah serrò le labbra infuriata ma non aggiunse altro: prese Molly per un braccio ed uscì dal laboratorio: John approfittò di quel momento di stallo per raccogliere lo sgabello da terra e sistemarlo sotto il bancone da lavoro.
Sherlock nel frattempo si era avvicinato alla finestra per poi posizionarsi in modo tale da dare le spalle al tutor: se da una parte dovette ammettere con se stesso di aver letteralmente goduto nel sentirlo urlare proprio contro Sarah, era altrettando consapevole di essere riuscito a far arrabbiare John a sua volta. Sì, perchè era arrabbiato anche con lui, ne era sicuro: non osò voltarsi, limitandosi a spiarlo attraverso il riflesso del vetro reso languido dalla pioggia incessante, ma era altresì convinto che John si stesse prendendo qualche minuto proprio per far sbollire la rabbia.
John dimezzò la distanza che lo divideva da Sherlock e finalmente iniziò “Mi spieghi cosa diavolo ti è preso prima?”
Sherlock si voltò, finalmente, assottigliando lo sguardo su John, affettandolo con quegli stessi occhi che per il tutor erano sempre stati gentili e languidi “E tu mi spieghi perchè mi hai fatto questo?”
John spalancò gli occhi alla vista di quello sguardo, indietreggiando con le spalle in un’istintiva difesa: tuttavia non smise mai di osservarlo, riprendendo invece a parlare “Questo cosa? Presentarti un’amica?”
“Un’amica che ha chiaramente un interesse per me?” ironizzò Sherlock, avvicinandosi a John solo per il gusto di sovrastarlo in altezza, come se volesse intimorirlo: una volta avvicinatosi, tuttavia, si bloccò un lunghissimo istante, ricordandosi perchè se la stesse prendendo così tanto. Strinse i pugni cercando di scacciare quel desiderio di possesso che spuntò fuori prepotentemente, annebbiandogli la mente per qualche istante.
John dovette alzare la testa per mantenere il contatto visivo, ma non si mosse di un millimetro: tornò dritto con le spalle, il volto accigliato, tutto il corpo urlava sconcerto e confusione “E se anche fosse?!” detestava quella tensione: tra lui e Sherlock non c’erano mai state discussioni serie, ma non aveva la minima intenzione di cedere, non tanto perchè fosse convinto di avere ragione, ma perchè sapeva che fosse importante per la matricola riuscire ad imparare ad affrontare ogni tipo di interazione personale “Ti farebbe così male frequentare altre persone?”
“Per l’ennesima volta, John, non ne ho bisogno!” Sherlock alzò la voce, scalciando in malo modo uno degli sgabelli vicini, creando un gran chiasso che era comunque un leggerissimo suono rispetto alla baraonda che infuriava dentro di lui “Mi basti tu!” sibilò poi, respirando così velocemente da far male: l’aveva detto già molte volte a John, che lui era abbastanza, che non gli serviva nessun altro, che non aveva bisogno di altri oltre a lui, ma quella era la prima volta che, pur bisbigliandolo, sembrava urlarlo con tutte le proprie forze.
John chiuse gli occhi e sciolse la stretta dei pugni: alzò le mani verso Sherlock, provando a posargliele sul torace “Io... non lo so, Sherlock...” abbassò il tono di voce, nella speranza di riuscire ad ammansire anche la matricola.
Fermo sul posto, Sherlock si chinò il tanto che bastava per sfiorare col mento la fronte di John: stavano litigando eppure necessitava comunque di un contatto fisico con l'altro “Cosa non sai?” quando percepì le sue mani su di sè, poi, fu paradossalmente tentato di scappare, ma resistette. Voleva sapere.
John strinse i pugni attorno alla stoffa che copriva il torace di Sherlock, sgualcendogli appena la giacca del vestito che indossava “Se posso darti...” esitò inevitabilmente, deglutendo a contatto col mento dell’altro, su cui strofinò la fronte “...tutto ciò che vuoi.” John non lo sapeva veramente: non sapeva per certo cosa Sherlock volesse, nè tantomeno in che quantità potesse ricambiarlo. Erano giunti a un punto di non ritorno, un punto fisso della storia: quella discussione, che in mesi avevano sempre cercato di rimandare, decretava, inevitabilmente e inesorabilmente, di essere affrontata.
Sherlock spaziò con lo sguardo lungo tutto il laboratorio: mosse solo il mento, assecondando la carezza che John andava cercando “Tu sai cosa voglio?” le parole che si stavano scambiando pesavano come macigni e per un istante Sherlock desiderò di non essere andato così oltre con quell’amicizia: forse se si fosse accontentato ora non starebbero litigando e non starebbero rischiando di perdersi.
“Non lo so. Forse. Tu non ne parli mai chiaramente.” John rispose forse troppo in fretta, ma d’altronde era fatto così. Non era un manipolatore e tantomeno un calcolatore: non avrebbe potuto fingere una risposta diversa o inventarne un’altra più conveniente “E comunque tra poco, lo sai, io non sarò più qui.” aggiunse prima di staccare le proprie mani da Sherlock, verso il quale provò ad alzare lo sguardo “Te l’ho già detto, non voglio che tu sia solo.”
Ecco un’altro argomento che, da Natale, avevano evitato di affrontare: Sherlock sapeva che John si sarebbe arruolato dopo la laurea, ma fece di tutto per evitare di pensarci. L’unica persona a cui era riuscito ad affezionarsi sinceramente, sarebbe presto partito alla volta di un altro Stato dal quale avrebbe potuto non fare più ritorno: la gravità di quella prospettiva giustificò improvvisamente il desiderio di non parlarne. Anche se, in verità, avrebbe potuto rimescolare il mazzo all’infinito, ma le carte in tavola sarebbero rimaste le stesse.  
“E allora chiedi a Sarah se ha delle amiche da presentarmi?” Sherlock si staccò da John e indietreggiò di qualche passo: se prima poteva essersi calmato, quelle parole l’avevano nuovamente acceso di rabbia e svegliato dall’illusione “Evita, John. Meglio soli che male accompagnati.” s’affrettò a prendere il proprio cappotto dal bancone, palesemente intenzionato ad andarsere.
“No, aspetta Sherlock.” John lo seguì lungo quei passi che ora li dividevano: alzò il braccio sinistro verso il destro dell’altro, provando a fermarlo “Parliamone.”
Sherlock si fermò, ma si scrollò di dosso la mano di John con un rapido gesto di stizza “Di cosa? Di tu che te ne vai e lasci come sostituta un’aspirante patologa con la passione per la chimica organica?” Sherlock aveva sempre giustificato le proprie deduzioni, comode o scomode che fossero, come un semplicemente racconto della verità, ma solo in quel momento capì veramente quanto la verità potesse fare male.
Sherlock...” John lo guardò impotente: la matricola aveva ragione, almeno in parte. Se ne sarebbe andato comunque a fine anno accademico, ed essendo stato fino a quel momento l’unico amico che l’altro avesse avuto in tutta la sua vita, come pensava che avrebbe potuto accettare facilmente l’idea di un surrogato?
Sherlock si mise il cappotto senza mai staccare gli occhi da John: nel suo sguardo c’erano rabbia, delusione e amarezza.Percepiva quello che aveva fatto il tutor esclusivamente come un tradimento nei suoi riguardi ed un insulto alla sua intelligenza. Sherlock ricordò ciò che John gli aveva detto poco più di due mesi prima: era vero che tutte le emozioni sono amplificate quando ci sono di mezzo i sentimenti, nel bene e nel male. Lo guardò ancora una volta prima di sbattere la porta del laboratorio dietro di sè “Mi hai ferito, John.”

Sherlock camminò a passo svelto lungo i corridoi dell’ampio edificio accademico finchè, una volta arrivato nell’ala ovest della struttura, voltò a sinistra, nell’angolo più remoto e lontano dai luoghi frequentati dagli studenti: si finiva lì o per sbaglio o per un motivo ben preciso.
Aprì la porta della vecchia aula di Storia del Cinema, sbattendola dietro di sè con rabbia e urgenza: era ancora fuori di sè per la discussione di John, tutte le emozioni eruttarono fuori violentemente e senza permesso, incapaci di essere controllate e domate.
Un saluto lo raggiunse, direttamente dal piccolo palcoscenico semi distrutto “Sherlock Holmes! Quanto tempo. Ammetto di aver pensato che non volessi essere più il mio amichetto.” ghignò il ragazzo vestito con un completo simile a quello di Sherlock, la cui voce sembrava sempre più lasciva e fastidiosa man mano che la si ascoltava.
“Non sono il tuo amichetto.” lo freddò Sherlock, per poi vedersi arrivare incontro un altro ragazzo, alto quanto lui, muscoli pompati dagli steroidi, biondo, vestito in modo decisamente più sportivo: la matricola sbuffò, quindi seguì il copione. Alzò le braccia e si fece perquisire, come se una matricola universitaria andasse in giro armata, ma al ragazzo che sedeva sul palcoscenico piaceva essere particolarmente plateale.
“Hai ragione.” annuì, leccandosi le labbra quando poi se lo trovò di fronte, accompagnato dal ragazzo biondo “Sei mio cliente. Ed anche il più raffinato.” si alzò da una seduta che aveva tutto l'aspetto di un trono di scena, quindi iniziò a camminare intorno a lui, strusciandosi con la spalla sulla schiena di Sherlock “Ma te l’ho detto tante volte. Se diventassi il mio amichetto la mia roba l’avresti gratis.”
Sherlock si muoveva il tanto che bastava per fuggire dallo strusciare frenetico dell’altro, verso il quale alzò il suo miglior sguardo tagliente “Fortunatamente non ho problemi di soldi. Così non devo essere il tuo amichetto per potermi permettere la tua roba, Moriarty.”
“Chiamami Jim.” gli si fermò di fronte, reclinando un poco il capo e alzandolo verso l’alto, osservandogli il viso da più vicino, sporgendosi come se fosse in cerca di un contatto.
Sherlock glielo negò, indietreggiando di un passo “Preferisco Moriarty. Non sia mai che ti dia troppa confidenza.”
Jim osservò il ragazzo biondo, Sebastian, e gli fece cenno di avvicinarsi: tornò dunque sul proprio trono fittizio, riprendendo a parlare con Sherlock “Non vieni da molto tempo, anzi, a dire il vero, le tue visite sono calate esponenzialmente. Non mi dire che stai cercando di smettere.”
Sherlock alzò nuovamente le braccia, lasciando che Sebastian lo perquisisse nuovamente: a Jim piaceva intuire piccoli dettagli della vita dei propri clienti dagli effetti che portavano con sè, quindi ordinava sempre al proprio tirapiedi di svuotare tasche, borse e zaini per espletare questo piccolo ma fastidioso feticcio “E’ un bene che io abbia diminuito, visto il modo in cui la assumo.” il suo tono di voce iniziava ad essere impaziente, sentiva il bisogno di drogarsi per riuscire a compensare la delusione di quel pomeriggio, seppur in un modo totalmente e consapevolmente estremo e nocivo “O non mi avresti più come cliente.”
“Sia mai, Sherlock! Sia mai!” esclamò Jim, con una tanto falsa quanto ironica nota a colorargli la voce “Sei un pazzo. Spararti la coca direttamente in vena. Non puoi sniffarla come fanno tutti?”
“Per endovena la sensazione è incredibilmente più intensa.” Sherlock strinse i pugni: a parte l’astinenza che iniziava a premere indecentemente attraverso le pareti di ogni millimetro del suo corpo, il fastidio di avere Sebastian che lo perquisiva, seppur in maniera asettica, cominciava a tediarlo enormemente.
“Sì, e incredibilmente più pericolosa.” ribattè Jim che, invece, sembrava provare una certa eccitazione nel vedere il biondo controllare ogni tasca o nascondiglio del moro riccioluto.
“Come se la mia salute fosse un tuo problema.” Sherlock iniziò a muoversi, pesantemente infastidito dalle mani che continuavano a svuotargli le tasche: le vide poi posarsi sul proprio portachiavi a forma di trifoglio e trasalì “Quello, come d’accordo, non si tocca.” infatti, da quando era cliente di Jim, l’unica regola che era riuscito a strappargli era che poteva perquisirlo da cima a fondo, controllare ogni carta dentro il portafoglio, sfogliare libri e quadernoni, giocherellare con penne e matite, ma non doveva in alcun modo toccare il suo portafortuna.
Jim fece spallucce, controllando i ben pochi effetti personali che Sherlock portava con sè: era diverso dagli altri. Qualsiasi persona portava nel portafoglio almeno una foto, un biglietto del cinema, uno scontrino, o più semplicemente qualsiasi cosa che potesse raccontare anche solo un episodio della sua vita, ma con Sherlock non era così. Lui non aveva mai niente con sè, a parte i manuali di Chimica e un portafoglio che contenesse esclusivamente banconote, documenti d’identità e carte di credito: da Natale, invece, aveva sempre con sè quel trifoglio. Sembrava che ci fosse finalmente qualcosa di importante per Sherlock, qualcosa che Jim dovesse assolutamente avere: fino a quel momento aveva assecondato le sue richieste per non perderlo come cliente, ma non poteva più resistere, quindi fece un cenno al biondo “Sebastian, prendi anche quello.”
“Cosa?!” Sherlock indietreggiò, coprendo con la mano destra il portachiavi appeso ad uno dei passanti dei pantaloni “No, avevamo un patto.”
“Sì, ma i patti sono fatti per essere infranti.” il volto di Jim era praticamente sconvolto dal ghigno che lo attraversava da parte a parte, fino a farlo sembrare inquietante come uno dei mostri cinematografici dell’espressionismo tedesco “E tu sei uno schifoso drogato che pur di avere la sua dose farebbe di tutto.”
Sherlock non aveva smesso di muoversi, camminando in direzione opposta e contraria a Sebastian che, silenzioso come sempre, emanava una calma così ascetica da mettere i brividi. Quando poi udì l’ultimo epiteto che Jim gli rivolse, si voltò ad osservarlo “No. Non tutto.”
La risata di Jim era così esagerata da risultare volgare e fastidiosa “Non capisci che più dimostri di tenere a quell’oggetto e più io lo voglio?”
Sherlock si sentì un perfetto stupido: avrebbe potuto andarsene, o quanto meno provare a farlo, ma l’idea di farsi quella maledetta dose ormai aveva occupato tutto il suo prezioso ed incredibile cervello “Ti pagherò il doppio.”
“Sono pieno di soldi, Sherlock, non è quello il problema.” a quel punto Jim si alzò dal suo trono e si avvicinò alla matricola: mise le mani in tasca ed estrasse una fialetta che iniziò a fare oscillare davanti ai suoi occhi. Rise nel vedere che le pupille di Sherlock si muovevano a tempo, seguendo il piccolo contenitore di vetro “Dammelo e io in cambio ti regalerò questa.”
Sherlock alternò lo sguardo tra il trifoglio e la fialetta di cocaina: l’amicizia di John in cambio di un’euforia momentanea? Sherlock si era sempre considerato diverso dagli altri anche in quello: sapeva di riuscire a controllare la propria dipendenza, sapeva che ne sarebbe uscito in qualunque momento lo avesse voluto. Invece era lì, a pensare seriamente di scambiare il simbolo del suo legame con l’unica persona che fosse veramente importante per lui in cambio di una fialetta di cocaina liquida. La voglia di prendersi quell’estremo piacere era tanta, ma si rese conto in quel momento che vendicarsi facendo del male a se stesso non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione con John che, nonostante il litigio, reputò ancora, oggettivamente, recuperabile. Si vergognò di se stesso e quello servì a risvegliarsi dal torpore “No.”
Jim non fu contento di quella risposta, ma decise non darlo a vedere, anzi, sapere quanto fosse importante quel trifoglio per Sherlock gli fece decidere la mossa successiva “Seb.”
Bastò quel richiamo per far muovere il biondo verso Sherlock: i movimenti di Sebastian furono troppo rapidi anche per l’agile matricola che si trovò ben presto immobilizzato, con le braccia piegate dietro la schiena, leggermente sollevato da terra.
“Lasciatemi andare!” ringhiò Sherlock provando a divincolarsi dalla presa di Sebastian che, tuttavia, era troppo forte e precisa per lui. Urlò insulti e improperi, ritrovandosi a pensare a quanto avrebbe desiderato avere John, lì, in quel momento, pronto ad aiutarlo, e al tempo stesso se ne vergognò, sentendosi un gran vigliacco per aver permesso ai suoi istinti più bassi di dominarlo ed un incapace per non riuscire a cavarsi da solo dagli impicci.
“Sherlock, Sherlock, Sherlock.” Jim scuoteva il capo mentre gli si avvicinò: baciò la fialetta che poi gli mise nella tasca della camicia “Non ti facevo così sentimentale, mi hai deluso.” abbassò poi la mano destra sui pantaloni della matricola, impugnando il trifoglio e tirandolo verso di sè con un gesto secco, strappando anche il passante della cintura.
Mentre la parte razionale di Sherlock si impose di pensare a quel portachiavi come ad un semplice simbolo, ricomprabile e sostituibile, il lato sentimentale urlava straziato: era come avere un’altra pelle dentro, un altro ragazzo che batteva i pugni in mezzo al torace del giovane per riuscire ad uscire e piangere lacrime di sangue e dolore per quel pezzo di sè che era stato strappato. Fisicamente quel trifoglio era solo un pezzo prodotto in serie, quindi chissà quanti ne avrebbe potuti comprare in giro, in qualsiasi centro commerciale: ma la verità era che quel particolare trifoglio era il ricordo della prima volta in cui una persona al di fuori della sua famiglia gli faceva un regalo. Era il simbolo della loro amicizia, la conferma che John pensava a lui anche quando non era assieme, era l’idea di avere il biondo sempre con sè. Era lo specchio grazie alla cui superficie metallica riusciva a spiare di nascosto il volto del tutor, quando lui era troppo impegnato a studiare per dedicargli qualche attenzione. Era prodotto in serie, uno dei tanti per il mondo, ma insostituibile per lui. E ne era stato dolorosamente privato.
In pochi istanti Sherlock si ritrovò per terra sul corridoio esterno all’aula: bastò un cenno di Jim affinchè Sebastian lo trascinasse di peso fuori dalla stanza per poi sbattere la porta dietro di sè.

E corse, corse, corse fino a raggiungere la stanza numero 221 e chiudere la porta dietro di sé. L'unico pensiero che lo rincuorasse fu il fatto che John non fosse presente perchè in quel momento non avrebbe neanche avuto il coraggio di guardarlo in faccia. Urlò di rabbia e frustazione: il suo equilibrio mentale reso già labile dalla lite con John crollò definitivamente dopo l’episodio con Jim e Sebastian.
Lanciò libri e provette ai quattro angoli della stanza, iniziando un duetto col temporale che imperversava fuori dall’edificio, accendendosi ad ogni lampo e fremendo di rabbia all’unisono con i tuoni, ai quali si unì con delle urla soffocate che gli fecero tremare il petto e la gola.
Era di nuovo arrabbiato, ma non più con John, bensì con se stesso: in quel delirio di pessimismo e profondo autocriticismo, cercò nel proprio taschino la fiala di cocaina e, ingenuamente, si ritrovò a pensare che l’unico modo per affrontare quella situazione fosse punirsi. La cocaina era diventato lo strumento per punire i propri sbagli: il litigio con John e la sottrazione del suo preziosissimo trifoglio.
Alzò la fiala in alto e tenendola per il tappo, osservò il liquido chiaro che assunse un fascino ancor più mistico sotto il bagliore dell’ennesimo lampo: sentì il respiro accelerare e il cuore che non pensava di avere iniziò a galoppare sotto la frenesia dell’astinenza. Rimaneva una sola cosa da fare.
Una volta presa la propria decisione, il tempo scorse così rapidamente che Sherlock perse completamente il controllo della realtà: fragile in quell’eccesso di emozioni, si affidò all’unica cosa che avrebbe potuto calmarlo in quel momento. Aprì velocemente ‘Il ritratto di Dorian Gray’, l’unico libro di narrativa che possedeva e che le cui pagine erano state ritagliate mesi prima: dopo aver preso in mano una delle siringhe che vi teneva nascoste all’interno, stappò la fiala ed iniziò a preparare la dose. Dovette sedersi sul letto per farlo perchè sia le gambe che le mani iniziarono a tremare senza dargli alcuna tregua: mugolò per la prospettiva del piacere che l’avrebbe invaso, mordendosi il labbro inferiore con impazienza. Si tolse poi la cintura per stringerla con forza attorno al proprio avambraccio sinistro e tirò forte coi denti, mimando la presa di un laccio emostatico: data la gracilità del suo fisico e, quindi, del suo braccio, dovette aspettare ben poco affinchè la vena cefalica emergesse a fior di pelle. Ringhiò per fermare il tremore della propria mano destra che, quando tornò ferma, avvicinò febbrilmente al proprio braccio sinistro, gemendo appena quando lo bucò e dopo essersi assicurato di aver centrato la vena, premette lo stantuffo.
A Sherlock sembrò che il tempo si fosse dilatato ma in realtà accadde tutto rapidamente, troppo rapidamente, così tanto rapidamente che si accorse dell’arrivo di John nella sua stanza solo quando il liquido dentro la siringa era iniettato almeno per metà.

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Capitolo 7
*** Il re è caduto ***


***Ciao ragazze! Scusatemi già perchè sarà una nota lunga! Ma devo dirvi molte cose eheheh! 1) mi scuso per il ritardo della pubblicazione :( so che con le altre long vi ho abituate a tempi più rapidi, ma con questa preferisco affidarmi una beta perchè mi sta veramente insegnando molte cose (Cri I love you) e quindi, anche se dovrete aspettare un pochino tra un capitolo e l'altro, sono contenta di farmi seguire da lei e anzi, ringraziatela perchè grazie a lei sto approfondendo i personaggi quindi se vi piace questa storia è anche merito suo <3 (e comunque sia non avrei potuto pubblicare prima di oggi perchè non avevo il pc con me!) 2) ringrazio tutte coloro che hanno apprezzato "Antropomorfizzazione felina" e mi scuso se non vi ho ancora risposto alle recensioni, ma come ho detto prima non avevo il pc con me quindi leggevo dallo smartphone ma non mi faceva rispondere! 3) con questo capitolo si tocca l'apice dell'angst, mi dispiace davvero ç_ç spero di aggiornare in fretta per non farvi angustiare troppo (ricordatevi, dopo la tempesta c'è sempre l'arcobaleno, e in caso di coppia gay il paragone non poteva essere più azzeccato *____*) 4) so che ho trattato un argomento molto delicato come la dipendenza e spero di averlo fatto con delicatezza e quindi di non aver offeso nessuna di voi! 5) Augustbird mi ha dato il permesso di tradurre la sua splendida "Reignite"!!! 6) spero di pubblicare una one shot con protagonisti mycroft, sherlock e john (so che non c'entra, ma devo farmi perdonare °_°) 7) che gatto mycroft ciccione sia sempre con voi! Ok, la smetto! BACIO!!!***

Il re è caduto
John era nel corridoio del dormitorio quando vide Sherlock entrare di corsa nel loro appartamento: si era preoccupato subito perchè la matricola non era tipo da correre in mezzo agli altri mostrandosi in preda all’agitazione. Sherlock infatti, anche se era agitato per qual si voglia motivo, tendeva a camminare con la classe che lo contraddistingueva, ed era solo dopo essersi chiuso la porta dell’appartamento alle spalle che scioglieva l’espressione del viso, lanciava qualche libro, rompeva qualche vetrino, per poi chiudersi nella propria stanza.

John sapeva di essere il responsabile di quel malessere che era così acuto da essere mostrato persino in pubblico: si affrettò quindi verso l’appartamento numero 221, ma fu fermato da Sarah che gli arrivò alle spalle, afferrandolo per un braccio.
Rimasero in silenzio per qualche secondo, fissandosi imbarazzati: entrambi sapevano di aver sbagliato, così come ambedue erano ben consci di essere giunti ad un punto di non ritorno, al capolinea. Sarah trovò abbastanza coraggio per rompere quel silenzio per prima “John, non hai nulla da dire?”
John si guardò attorno, osservando gli altri ragazzi nel corridoio, chi sostava, chi camminava di fretta, chi guadagnava l’ingresso della propria stanza. Il tutor sospirò pesantemente “Sarah, non è il momento.”
Sarah rise nervosamente, portando con stizza alcuni ciuffi di capelli dietro le orecchie “John, finiamola qui.” incrociò poi le braccia sotto il seno in una presa rigida, le dita della mano destra che tamburellavano poco sotto il gomito sinistro “Sono stufa del tuo atteggiamento. Hai lasciato che mi urlasse contro senza dire una parola. E anzi, te la sei ancora presa con me!”
Era incredibile come, tra loro due, pur non specificando il soggetto delle proprie frasi, si capisse sempre di chi si stesse parlando: era evidente che non fosse la prima volta che litigavano a causa di Sherlock.
“Ti rendi di quello che gli hai detto?!” scoppiò John, incurante degli sguardi che si sentì puntare addosso dopo quello sfogo “L’hai chiamato sociopatico!”. Era offeso, oltremodo oltraggiato per quell’epiteto che Sarah aveva rivolto a Sherlock: non avrebbe permesso a nessuno di offenderlo, tantomeno a lei.
“Io chiamo le cose col loro nome, John!” a differenza sua, Sarah preferì scaricargli addosso tutta la rabbia sibilando, mantenendo un apparente controllo. Sospirò poi, chiudendo gli occhi: era arrabbiata, lo era sul serio, ma provava per John un sincero affetto e non riusciva ad essere del tutto cattiva con lui “E forse è il momento che inizi a farlo anche tu.” dichiarò placida, calma, senza stizza o ironia.
John sbattè le palpebre velocemente: sapeva a cosa Sarah si stesse riferendo, ma volle esserne certo “Cosa intendi?”
Sarah sorrise amaramente, scuotendo il capo con gesti lenti e morbidi “La vostra non è solo una semplice amicizia.” spostò lo sguardo altrove, soffiando un po’ d’aria verso l’alto, dissimulando il proprio dispiacere nell’ammettere di essere sempre stata in secondo piano da quando Sherlock era entrato nella vita di John “Spero che tu te ne sia reso finalmente conto.”
John chiuse gli occhi e scosse il capo: non poteva pensare a quella questione in quel momento, doveva prima chiarire la faccendo di Molly con Sherlock, e soprattutto doveva controllare che stesse bene. Riaprì uno sguardo dispiaciuto verso Sarah, alla quale annuì debolmente “Mi spiace, Sarah. Non l’avevo calcolato. Non l’ho fatto per farti del male.”
“Lo so.” annuì Sarah con un mezzo sorriso: ed era vero, sapeva che John era un bravo ragazzo, tuttavia era altrettanto consapevole che quello non avrebbe cambiato le cose “Ciao, John.”
John le diede un bacio sulla guancia prima di voltarsi e correre verso l’appartamento 221, ed era la conferma della verità: Sarah era stata scavalcata da Sherlock. Per lei John non aveva mai provato sentimenti così intensi, nel bene e nel male, e quando chiudeva gli occhi e non era troppo stanco da addormentarsi subito, vedeva il viso Sherlock sorridergli, e quando tornava all’appartamento di sera, l’unica cosa che desiderava era sapere che lui era lì ad aspettarlo desideroso di raccontargli i suoi esperimenti più strani e bizzarri. Ma in quel momento, più di ogni altra cosa, si rese conto di non sopportare l’idea che Sherlock avesse chiesto a suo fratello di spostarlo di stanza, come aveva origliato fortuitamente il primo dell’anno, ma ancor di più temette che potesse farsi del male.
Se lo sentiva, evidentemente, perchè quando entrò nell’appartamento e vide il cappotto di Sherlock buttato per terra e la porta della sua stanza chiusa, pensò subito male: non bussò neanche prima di entrare nella stanza della matricola e quando vide quel che stava facendo sentì formarsi una voragine dentro di sè, un enorme buco nero che gli stava strappando le viscere, il cuore e i polmoni, e che l’avrebbe risucchiato fino a che della sua anima non fosse rimasta neanche una briciola.

Entrambi avevano la bocca aperta ma nulla uscì dalle loro labbra, tutti e due erano immobili mentre avrebbero voluto muoversi più che rapidamente: uno a nascondere inutilmente le prove del misfatto, l’altro a distruggerle dal mondo nella speranza che, polverizzandole, non fossero mai esistite.
Mentre Sherlock fu il primo a parlare, sussurrando flebilmente il nome dell’altro, John fu il primo a muoversi rapidamente verso il braccio della matricola, estraendo velocemente l’ago dalla vena e lanciando la siringa contro il muro in un gesto totalmente sbagliato dettato dalla rabbia: prese poi tra le mani la fialetta vuota e lesse ad alta voce.
C17H21NO4” John recitò la formula chimica della cocaina scuotendo il capo: Sherlock nel frattempo si era alzato dal letto con ancora la cintura legata al braccio e, complice la mezza dose che iniziava a fare effetto, iniziò a girargli freneticamente attorno provando a chiamarlo insistentemente, senza fermarsi un’istante, alzando le mani verso di lui, toccandolo continuamente fino a risultare invadente.
John seguiva Sherlock con gli occhi, ma non lo stava realmente guardando, ferito dallo stato febbrile in cui la matricola era caduto, addolorato per i sensi di colpa. La pena però fu presto sostituita dalla rabbia: alzò le mani e lo spinse con forza contro il letto, iniziando ad urlare “Sei uno stupido!”
Sherlock si vergognò di non riuscire ad esprimere pensieri più profondi rispetto alle continue parole di scuse che stava elargendo: tutto scorreva ancora troppo velocemente, gli effetti della cocaina avevano attivato il suo già incredibile cervello che in quel momento stava elaborando un numero impressionante di informazioni e dati. Ma era tutto caos: neanche Sherlock, che normalmente era già ben lontano dall’essere l’incarnazione dell’ordine, riuscì a controllare il proprio cervello in quel momento. Provava vergogna sia nei confronti di se stesso, perchè aveva ceduto ad una tentazione che, in cuor suo, era convinto di riuscire a controllare. E nei riguardi di John, l’unica persona che l’avesse fatto sentire vivo più di ogni altra cosa, persino della stessa cocaina. Sherlock tentò di rialzarsi dal letto, ma fu fermato dalle mani di John che gli gravavano sulle spalle: alzò le pupille dilatate sull’altro, ascoltando il suo sfogo.
“Flebite, trombosi, embolia polmonare, endocardite, setticemia.” elencò John abbassando il tono di voce in contrapposizione al battico cardiaco ed al respiro che invece accellerarono “Per non parlare del rischio di overdose, data la rapidità con cui entra in circolo.”
Sherlock non rispose, poichè conosceva bene l’elenco dei maggiori rischi in cui incorreva ogni volta che si iniettava la cocaina direttamente in vena: smise anche di scusarsi, fissando lo sguardo sull’altro, respirando con la bocca, alzando debolmente le mani verso le braccia di John.
Lo sguardo vacuo di Sherlock non fece che aumentare la rabbia di John: non voleva vedere, quindi gli tolse la cintura dal braccio e quando fece per abbassargli la manica della camicia notò altri buchi, precedenti, più o meno lontani nel corso del tempo.
“Dimmi chi diavolo è!” urlò John, sbattendo la cintura a terra così forte da farle emettere uno schiocco simile ad una scudisciata: quando poi non sentì alcuna risposta da Sherlock, gli si avvicinò rapidamente e con uno scatto gli afferrò il bavero della camicia, strattonandolo con ben poca delicatezza “Il tuo diavolo di spacciatore! Dimmi chi è!”
Finalmente Sherlock pronunciò parole che non fossero scuse o il nome di John “No. Non puoi andare lì da loro.” biascicò con voce incerta: stava tremando sotto la presa del tutor, di paura, delusione e tristezza. Anche con mezza dose in circolo riusciva a leggere la negatività dei sentimenti che John stava urlando: negò ancora quando si sentì ancora strattonare nuovamente “No.”
“Non posso?” John urlò ancora e dopo aver lasciato la presa sulla camicia dell’altro, strinse le mani a pugno, ringhiandogli contro “Dimmi chi è!”
“No!” urlò Sherlock a sua volta, agitando confusamente le braccia, a sostegno delle proprie parole “E’ pericoloso!”
“Pericoloso?” John rise amaramente e scrollò il capo prima di tornare su Sherlock “Farsi di coca in vena è pericolo, stupido, idiota, bambino del cavolo!” respinse poi, l’ennesimo tentativo di Sherlock di poterlo abbracciare “Dimmi chi è!”
Sherlock rimbalzò al rifiuto di John, indietreggiando sul letto sul quale cadde nuovamente, seduto “Il suo tirapiedi è un energumeno che è più grosso di noi due messi assieme.” il pensiero che Sebastian potesse mettergli le mani addosso era uno dei motivi principali per cui era contrario a rivelargli il nome dello spacciatore.
“Sherlock.” John abbassò il tono di voce all’improvviso, causando dei leggeri brividi sulla schiena della matricola “Se non mi dici chi è lascio questa stanza per sempre.” neanche John sapeva se stesse bluffando o meno, perchè l’idea di non dividere più la stanza con Sherlock lo scosse anche senza prenderla realmente in considerazione: tuttavia sapeva che era un’ottima carta da giocare in quella circostanza, sapeva che l’altro non avrebbe voluto separarsi da lui, nonostante quanto appena accaduto.
Sherlock, infatti, iniziò ad agitarsi “No, John. Non puoi lasciarmi.”
“Dimmelo, allora.” John fermò anche l’ennesimo tentativo di Sherlock di riportarsi in piedi, come se, sovrastandolo in altezza almeno in quella circostanza, potesse far valere una propria autorità “Ho fatto delle ricerche. I tre spacciatori più famosi che vendono in questa Università sono Higgins, Moriarty e Stuff.”
“John?” Sherlock si domandò perchè John avesse fatto delle ricerche sugli spacciatori e non potè fare a meno di chiedersi se avesse intuito che faceva uso di sostanze stupefacenti già nei mesi precedenti.
“Vado da tutti e tre se non me lo dici.” continuò a minacciarlo psicologicamente, spiacevolmente conscio del fatto che quel genere di pressione avrebbe funzionato per ottenere le informazioni che voleva.
La minaccia funzionò: l’idea che John potesse affrontare non uno ma tre spacciatori era anche peggio di quanto dovesse già sopportare “Moriarty.”
John annuì, quindi domandò ancora “Dove?”
“Nella vecchia aula di Storia del Cinema.” confessò Sherlock, conscio che non sarebbe ormai più riuscito a fermarlo.
“Era tanto difficile?” chiese John ironicamente, e nell’avvicinarsi alla porta della stanza, si piegò a raccogliere i pezzi della siringa che nell’urto di erano sparpagliati.
“Cosa hai intenzione di fare?” Sherlock si alzò, palesando la propria intenzione di accompagnarlo.
“Non sono affari tuoi.” le gelò John, sia col tono che con lo sguardo: alzò poi la mano libera, indicandogli il letto “Resta qui. Giuro che se esci in queste condizioni non ti rivolgo più la parola.”
E mentre John chiuse dietro di sè prima la porta della stanza della matricola e poi quella dell’appartamento 221, diretto all’ala ovest dell’edificio, Sherlock si sedette sul letto.
Ripensò a tutto, dalla lite in laboratorio all’episodio con Jim ed infine alla nuova discussione avuta col tutor: fece il calcolo di quanto aveva guadagnato da quella piccola ma intensa euforia, e di quanto aveva perso in stima e affetto da parte di John. Il risultato era decisamente negativo.

Quando John sbattè la porta della vecchia aula di Storia del Cinema, si ritrovò di fronte un silenzioso Sebastian intento ad accendersi una sigaretta che aveva appena finito di rollare, mentre sul palcoscenico alle sue spalle, troneggiava Jim, pronto a dare inizio allo spettacolo.
“Oh! Buona sera! Mh, non ci conosciamo. Un nuovo cliente, devo supporre.” si alzò dal suo tanto regale quanto finto trono, sbirciando oltre la statura del suo tirapiedi “Chi ti ha mandato? Seeeb!”
Troppo impegnato ad ordinare a Sebastian di perquisire colui che pensava fosse un nuovo cliente, Jim non si era minimamente accorto del volto di John: era una maschera di rabbia e frustrazione, un concentrato di nervi pronti a scattare.
John non si era mai sentito così arrabbiato e deluso, sia da qualcun altro che da se stesso: ce l’aveva con Sherlock, perchè un ragazzo così intelligente non poteva, o meglio, non doveva ridursi a rischiare un’overdose per scappare dalla realtà.
Ma soprattutto era arrabbiato con se stesso per non essersi accorto di quanto fosse grave l’entità della sua dipenza: era cieco di furore perchè si era reso conto solo quel giorno di essere indirettamente responsabile di quel dolore che lo spingeva a cercare la cura nella peggiore medicina che potesse esistere. Si odiava per non avergli parlato prima di quel problema, prima che gli si presentasse di fronte in maniera del tutto evidente ed innegabile, prima di coglierlo in flagrante e si maledisse per quella sua vigliaccheria. Si dette dello stupido, illuso dal fatto che bastasse non vedere il problema per non doverlo affrontare: si rimproverò per non aver trovato il coraggio di prendere Sherlock da parte, incoraggiarlo, insistere, arrivando anche farsi odiare pur di farlo sentire così al sicuro da non fargli scegliere la via più facile e distruttiva.
Sebastian non riuscì neanche lontanamente a leggere sul volto di John quella tempesta di emozioni, infatti, quando gli si avvicinò per la regolare perquisizione, non potè prevedere il potente e rapido gancio sinistro che il tutor gli assestò all’altezza della tempia destra, facendolo stramazzare sul pavimento svenuto sul colpo.
John, dolorante per la potenza del pugno, agitò la mano sinistra a mezz’aria mentre scavalcava Sebastian e si avvicinava al palcoscenico, rimanendo in rigoroso silenzio, stupendosi solo del fatto che Jim Moriarty fosse rimasto impassibile di fronte all’accaduto.
“Oh, povero Seb. Glielo avevo detto che gli steroidi servivano solo a gonfiare i muscoli. Per rafforzarli bisogna allenarsi, vero...? Non conosco il tuo nome.” Jim rimase in piedi davanti al trono, rivolto verso le scalette che John iniziò a salire per raggiungere il palcoscenico “Vediamo, per cosa potresti essere arrabbiato? Non sei uno degli altri spacciatori quindi non siamo in concorrenza tra di noi.” il tono noncurante, l’espressione spavalda e il continuo gesticolare incorniciavano la figura dello spacciatore in quel suo essere esageratamente sopra le righe “Sei qui per qualcuno.” concluse, dipingendo sul proprio volto un ghigno strafottente.
John accellerò quei pochi passi che gli mancavano per raggiungerlo quando lo sentì pronunciare quelle ultime parole: alzò la mancina leggermente escoriata sul bavero della camicia di Jim Moriarty, afferrandolo con ben poca delicatezza: non parlò ancora, tuttavia, poichè la rabbia che lo stava manovrando era troppa anche per riuscire a controllare il diaframma che s’alzava e s’abbassava piuttosto rapidamente, come se avesse appena partecipato ad una gara atletica di velocità.
Jim sorrise anche dopo essere stato afferrato per il bavero “Sì. Decisamente. Sei qui perchè hai scoperto che vendo droga a qualcuno che ti è caro e sei venuto qui ad intimarmi di non vendergliene più. Non sei il primo e non sarai di certo l’ultimo.” gli angoli della bocca si allargarono ulteriormente in un ghigno quasi disumano: era come che si stesse nutrendo di tutta la rabbia di John e vederlo così alterato lo eccitava parecchio “Queste sono le soddisfazioni del mio lavoro! Non i soldi, no. Vedere gli amici e gli amori di quei drogati venire ad implorare di non vender loro più nulla. Questo è potere!”
“Sei un bastardo!” urlò John, alzando poi la mano destra e colpendolo in volto col pugno chiuso: non lo colpì forte come fece con Sebastian. Non era la sua mano dominante, ed inoltre gli serviva sveglio e cosciente. “Sei un maledetto bastardo.” gli ripetè, a bassa voce, lentamente, ringhiando tra una parola e l’altra.
Jim scosse il capo, scrollandosi di dosso l’intorpidimento causato da pugno: rise nuovamente, come in preda a chissà quale delirio “Dimmi chi è.” lo esortò poi “Il drogato o la drogata in questione.”
John lo scrollò in malo modo prima di rispondergli: detestava l'epiteto che Jim Moriarty aveva attribuito a Sherlock “Sherlock Holmes.”
Jim spalancò occhi e bocca, sinceramente sorpreso per il nome fatto dal tutor “Sherlock Holmes?”
“Non fingere di non conoscerlo!” urlò nuovamente John, complice la consapevolezza che quell’ala dell’edificio era deserta.
“Sì, sì. Lo conosco.” confermò Jim, annuendo con uno sguardo esageramente ed ormai ironicamente allibito “E proprio perchè lo conosco mi stupisce che abbia qualcuno che tenga così tanto a lui da venire qui da me e fare questa piazzata.”
John ignorò le parole ed il tono dello spacciatore, non accennando ancora a volerlo lasciare andare “Tu non dovrai vendergli più niente.” sibilò minacciosamente, a voce più bassa “Altrimenti ti denuncerò. E non solo al Rettore, ma anche a Scotland Yard.”
“Mpf. Non sai con chi stai parlando.” Jim fece spallucce, ridendo divertito.
“E tu non conosci suo fratello.” lo minacciò John, ulteriormente. A mente lucida non avrebbe usato l’importanza di Mycroft per intimorire chicchessia, ma il desiderio di salvare Sherlock andava ben oltre la sua morale in quel momento “Se vengo a sapere che proverai ad avvicinarti a lui, torno qui e quel tuo bel trono del cavolo sarà rivestito della tua stessa pelle.”
“Diventerebbe un trono bellissimo.” esultò Jim che, nel vedere il pugno di John nuovamente alzato, provò a dissimulare quanto appena detto “Ok, ok.” quando finalmente l’altro lo lasciò andare, si sistemò il vestito e passando sopra ad una delle tasche, sentì una forma familiare al tatto: sorrise soddisfatto e riprese a parlare “Ah, sai cosa? Ti sei sbattuto così tanto per venire qui a farmi la predica e poi guarda qui...” nel momento in cui estrasse dalla tasca il portachiavi a forma di trifoglio, si eccitò nel vedere lo sguardo sgomento e accigliato di John. Vide aprirsi lo spiraglio di una piccola rivincita e ci si buttò a capofitto “A giudicare da come lo guardi e da quanto tieni a lui, questo deve essere un tuo regalo. Sbaglio forse?”
Le pupille di John divennero piccole come degli spilli ed il cuore cominciò a battere a ritmo sincopato “Glielo hai rubato.”
Jim sorrise compiaciuto “No, me l’ha dato lui in cambio della dose.” mentì, forte della consapevolezza della poca fiducia che si riserva ad un drogato, potente in quel suo gioco di manipolazione “Tieni, ridaglielo pure. Direi che io ci ho giocato abbastanza. Anzi, non pensavo che un portachiavi potesse darmi così tanta gioia come quella di leggere la delusione sul tuo viso.” si pompò, fiero del fatto che se la cattiveria avesse avuto un nome, sarebbe stato il suo.
Purtroppo Jim aveva ragione e John, avendo studiato le dipendenze nei suoi anni a Medicina, sapeva molto bene che una persona affetta da dipendenze potesse arrivare a mentire e a dare qualsiasi cosa quando l’astinenza chiamava in maniera incontrollabile, quindi credette alla sua versione.
John non ce la faceva più: troppa rabbia e troppa delusione gli scorrevano nelle vene avvelenandogli il sangue di bile mista a veleno. Fu istintivo decidere di sfogare almeno parte della rabbia sul volto di Jim Moriarty che colpì, questa volta, con la mancina e con tutta la forza che disponeva, finendo ai piedi del suo adorato trono privo di sensi.
Finì di rompere la già rovinata seduta regale a calci, continuando a sfogare e a buttare via parte della rabbia che lo stava avvelenando, e quando finì si chinò accanto al corpo del re detronizzato, recuperando il trifoglio nella mano destra dolorante, ripulendolo dalla polvere e dalle ditate dello spacciatore.
Deglutì ricacciando nello stomaco un pesante groppone prima di abbandonare la vecchia aula di Storia del Cinema, lasciando che i muri rovinati dal tempo commentassero come avidi spettatori la scena drammatica che si era appena conclusa.

Quando John rientrò nella stanza numero 221, trovò Sherlock ad accoglierlo impaziente: la matricola, che prima sedeva sul divano in attesa, si drizzò in piedi di scatto e mosse qualche passo verso il tutor, senza però trovare il coraggio di iniziare qualsivoglia conversazione.
Neanche John aveva voglia di parlare: la delusione e la rabbia erano palpabili attorno a lui e sembravano volersi diffondere per tutta la stanza. Alzò tuttavia lo sguardo su Sherlock e buttò fuori un lungo sospiro: gli occhi erano mascherati da un’ombra di tristezza, stanchi e provati, chiaramente affollati di pensieri.
Incerto, Sherlock si avvicinò di un altro passo e fu in quel momento che vide la mano sinistra di John, chiusa a pugno, escoriata e graffiata all’altezza delle nocche, livida sulle prime falangi.
“Sei ferito.” sussurrò Sherlock, avvicinando le proprie mani a quella ferita di John: gliela prese e la alzò verso di sè, osservando da più vicino l’entità di quelle escoriazioni. Non era nulla di grave, anche se si sentiva a dir poco colpevole per essere la causa indiretta di quelle ferite: gli sfiorò delicatamente la pelle rovinata, tergiversando a testa bassa, provando con difficoltà a ristabilire un contatto, sia fisico che verbale, partendo dalle basi. Si incupì leggermente, poi, quando sentì il pugno del tutor irrigidirsi tra le proprie mani “John...”
John non rispose e anche il suo sguardo sembrò vuoto, come se la sua anima fosse stata estratta con un violento strappo e fosse rimasta aggrappata per un soffio solo grazie alla sua forza di volontà. Gli costò molta fatica aprire il proprio pugno sinistro sulle mani di Sherlock e mostrarne il contenuto: il portachiavi a forma di trifoglio.
Sherlock spalancò gli occhi: si ricordò solo in quel momento la faccenda del trifoglio, troppo impegnato a pensare a come scusarsi con John e a trovare una giustificazione per quanto accaduto precedentemente nella propria stanza. Sembrò sollevato in realtà “Sei riuscito a riprenderglielo. Meno male, non so come avrei fatto senza.” ma quando fece per prenderglielo dalle mani, John serrò nuovamente la mano e la tolse da quelle di Sherlock.
“Gliel’hai dato in cambio della dose.” sussurrò John, atono, inespressivo, ma chiaramente pronto ad esplodere. Si allontanò dalla matricola, iniziando a camminare per la stanza con passo pesante, incurante di cozzare contro mobili, libri e sedie.
Sherlock rabbrividì di fronte al tono di voce usato da John, poichè non credeva possibile che il suo tutor sarebbe stato capace di una simile freddezza “No, John. Non è come credi.” si voltò e lo seguì con lo sguardo, stringendosi nelle spalle ad ogni rumore emesso dall’altro: i sensi erano ancora particolarmente acutizzati, quindi ogni suono sembrava amplificato fino a toccare una fastidiosissima frequenza “Me l’hanno strappato loro, io non gliel’avrei mai dato.”
“Perchè dovrei crederti?” John si fermò al centro della stanza, fissando Sherlock dritto negli occhi “Fino a prova contraria, quando sono arrivato qui, prima, tu eri di là a farti la dose. Perchè dartela se il suo unico scopo era derubarti del trifoglio?”
“Perchè è un sadico, manipolatore, maniaco del controllo!” Sherlock alzò entrambe le mani sul proprio viso, strofinandolo pesantemente “Ed è riuscito a manipolare anche te!”
“Oh, grazie.” John allargò le braccia verso l’esterno, scuotendo il capo contratto da un sorriso nervoso e sarcastico “D’altronde sono andato lì a menare le mani solo per farmi manipolare, vero?”
Sherlock negò con un cenno del capo, quindi gli si avvicinò “No John, non volevo dire questo.” quando gli si fermò davanti, provò l’irrefrenabile istinto di alzare le braccia verso di lui, ma si fermò: John era troppo arrabbiato e calcolò che un contatto fisico in quel momento potesse essere dannoso “Lui è un maledetto e gliela farò pagare per quello che ti ha fatto.” “No!” urlò John, alzando l’indice destro di lui “Tu quello non lo devi più vedere, hai capito?” gli ringhiò addosso, per poi sorpassarlo ed allontanarsi nuovamente dalla matricola “Ho già minacciato lui, non vorrei arrivare a farlo anche con te.” un tuono diede man forte a quel monito: i vetri della finestra vibrarono appena e sembrarono attirare l’attenzione di John che vi si avvicinò, dando le spalle a Sherlock “Sempre che ti importi veramente qualcosa della nostra amicizia.”
“Certo che mi importa.” rispose Sherlock, prontamente, riguadagnando nuovamente terreno, fermandosi a due passi dal tutor: sospirò in preda all’agitazione, poichè era la prima volta che discuteva in modo acceso con una persona e non perchè gli importasse vincere o avere ragione. Quando litigava con Mycroft non aveva paura perchè sapeva che il fratello non l’avrebbe, comunque, mai abbandonato, ed inoltre l’Holmes Senior finiva sempre per concedergli una certa condiscendenza che lo aiutava ad uscire dalla discussione senza alcuna ferita psicologica. La discussione che stava avendo con John, invece, sembrava una vera e propria guerra in cui una delle due parti era destinata a soccombere, e Sherlock non era abituato a tutto questo: se non avesse avuto alcun legame con John, sarebbe stato semplice massacrarlo a parole, ma non era quella la situazione. Ci teneva eccome, quindi avrebbe dovuto salvare entrambi gli schieramenti in lotta, se stesso, John, ma soprattutto ciò che li univa.
“Non si direbbe.” John interruppe il flusso dei pensieri di Sherlock, per poi aprire il pugno sinistro e guardare il trifoglio con una punta di tristezza “Non vale molto economicamente, certo. Ma pensavo ci tenessi.”
“Ci tengo, John!” si affrettò a dire, quindi percorse i pochi passi che li dividevano, poggiandogli le mani sul braccio sinistro: lo sguardo cadde sul trifoglio e non avrebbe mai pensato di poter provare un attaccamento così forte verso un oggetto così piccolo “So che non ti fideresti mai di un drograto, ma fidati di me. Io non sono un... semplice drogato.”
John rise sarcasticamente “No, sei un drogato speciale.”
“John, ti prego.” Sherlock fu ferito dal sarcasmo di John e questo lo portò a pronunciare le peggiori parole che potessero venirgli in mente in quel momento “E poi è... colpa tua se oggi...”
“Stai veramente dicendo che è colpa mia se oggi ti sei fatto?” John si scrollò di dossole mani di Sherlock nel momento stesso in cui un lampo illuminò i loro volti: stava piovendo ormai da otto ore filate: sembrava che anche il cielo fosse addolorato per la loro lite “Non mi sentivo abbastanza in colpa, vero?”
Sherlock tremò di fronte al tuono che susseguì al lampo “Scusa.” scosse il capo: avrebbe davvero desiderato una pausa da quella discussione per riordinare le idee ed evitare di dire altre stupidaggini. Il problema, tuttavia, era che pensava veramente ciò che aveva detto: era la sua debolezza, d’altronde. Un genio in tutto tranne nei sentimenti per colpa dei quali, non avendo esperienza a riguardo, fuggiva dalla realtà nell’unico modo che riteneva utile, drogandosi “Ho detto la cosa sbagliata nel momento sbagliato.”
“Se essere mio amico ti fa così male, allora dovresti chiedere a tuo fratello di spostarti di stanza. Lui ha il potere per farlo, giusto?” sconvolto, John non si rese neanche conto di aver svelato uno dei dettagli ascoltati di nascosto dalla conversazione tra Sherlock e Mycroft: scosse il capo e, in preda alla rabbia, aprì la finestra della camera “Cominciamo da questo.” lanciò il trifoglio fuori, davanti a sè, con un gesto secco che, in quanto aspirante medico, capì di averlo ferito al torace, quadrante superiore sinistro, muscolo cardiaco. Non aveva tutta abbastanza esperienza per definire la prognosi di quello specifico quadro clinico.
Sherlock avvicinò entrambe le mani alla sinistra di John, provando invano a fermare il lancio “No!” nonostante il buio, riuscì a seguire con lo sguardo la parabola disegnata dal quel piccolo oggetto grazie alla lucentezza del materiale di cui era costituito e con l’ausilio dell’ennesimo lampo che illuminò la zona circostante. Non si preoccupò di rispondere ulteriormente a John, poichè la sua priorità, in quel momento, era recuperare il trifoglio: uscì di corsa dalla stanza, incurante di indossare solo la camicia mentre fuori infuriava un tremendo temporale, insensibile alle spallate degli altri studenti che scansava in fretta e furia per i corridoi. Il suo unico pensiero era recuperare il portachiavi, e non soltanto perchè ci teneva e lo rivoleva con sè, ma anche per dimostrare a John che era veramente importante: il simbolo della loro amicizia non poteva essere lasciato in balia del buio, del temporale e della solitudine. Sherlock sapeva cosa si provava e non poteva assolutamente permetterlo.
“Stupido...” bisbigliò John all’indirizzo di Sherlock di fronte alla sua enorme foga, osservando i suoi movimenti, accusando il fatto che non gli avesse più rivolto alcuno sguardo. Richiuse la finestra non appena la matricola fu uscita dalla stanza, sbattendola con veemenza: si era pentito di aver lanciato il trifoglio nel momento stesso in cui sentì la consistenza metallica del portachiavi fuggirgli dalle mani. Si accucciò tenendosi la testa tra le mani, stringendo più forte che potè all’altezza delle tempie: sapeva di aver esagerato e non riuscì a perdonarsi neanche quello. Quante volte aveva sbagliato in quell’unico giorno? Con Sherlock, per giunta, con un ragazzo che più di chiunque nella sua cerca di amicizie meritava e, soprattutto, necessitava di essere capito. Come aveva potuto eccedere in quel modo?
Quando spostò lo sguardo, poi, vide una striscia di stoffa nera sul pavimento: la prese in mano e dopo averla osservata per qualche secondo capì tutto. Era il passante della cintura in cui Sherlock era solito appendere il trifoglio che era chiaramente stato strappato con la forza e che doveva essersi staccato del tutto una volta che Sherlock era tornato nella stanza. Fu la conferma finale: aveva creduto ad uno spacciatore e non al suo migliore amico. Dopo essersi seduto sul pavimento, John chiuse nuovamente gli occhi e andò a strofinarli con la parte interna dei polsi, premendo più che potè per scacciare via il pizzicorio che l’aveva colto, continuando a ripetere a se stesso un’unica parola, in tono di rimprovero e d’accusa “...stupido...”

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Capitolo 8
*** Gemmazione ***


***Ciao ragazze! Va là che sto capitolo è arrivato in fretta così non vi faccio magonare troppo uahahah! Ho di nuovo mille appunti da fare! °_° allora 1)in caso ve lo steste chiedendo, il Trifoglio durerà ancora qualche capitolo, perchè, come ho già detto a qualcuno "Non ha ancora portato fortuna" XD spero non vi dispiaccia! 2)i capitoli sono tornati lunghi ai livelli di BTA e BTL XD ahahahah non ce la potevo fare! XD 3)il 9 non è ancora iniziato! Ma insomma, ho tutto lo schema di quello che deve succedere quindi si tratta "solo" di scriverlo e betarlo u.u non odiatemi u.u 4)sto scrivendo una cosa strana (one shot), e siccome voglio vedere dove voglio andare a parare, la finirò prima di iniziare il 9 quindi, di nuovo, non odiatemi! Penso di finirla entro stasera ahahah! 5)visto che è arrivato il fluff? *___* gha! 6)sì, lo so, i miei titoli sono strani ma hanno tutti una ragione ahahah XD 7)giuro che risponderò alle vostre recensioni stupende *_* inizio a farlo anche subito! (prima caffè! poi rece!) basta °_° BACIO!!!***

Gemmazione
Trascorsero almeno venti minuti prima che John iniziò a preoccuparsi seriamente: fuori diluviava e Sherlock non era ancora rientrato. Si alzò in piedi e dopo aver aperto la finestra guardò in basso alla ricerca della matricola: intuì a sua volta la traiettoria del lancio ed attese il bagliore di un lampo per poterlo cercare nell’oscurità della sera. La natura lo volle aiutare, ma quando il cortile sottostante fu illuminato dall’ennesimo bagliore che precede il tuono, John non vide nulla: nessuna figura, nessun ragazzo, nessuna persona era presente lì sotto.

John pensò al peggio: si chiese dove Sherlock fosse andato e si sentì in colpa quando il pensiero della cocaina gli si presentò nella mente, rosso come un segnale di pericolo che lampeggia implacabile. Doveva andare a cercarlo, doveva trovarlo subito.
Scavalcò tutto il disordine che impediva il passaggio, affrettandosi ad afferrare la maniglia della porta: quando l’abbassò per aprire, però, sentì una forza contrapposta agire dall'altra parte. Spalancò la porta verso di sè e tirò un sospiro di sollievo quando vide Sherlock di fronte a sè: era sporco di fango da capo a piedi, ma a parte quello sembrava stare bene, ed inoltre, nella mano destra, stringeva il suo adorato Trifoglio. Non aveva cercato uno spacciatore e non aveva intenzione di scappare da lui, e lo dimostravano non solo il fatto che fosse tornato nella loro stanza, ma anche l’essere andato a cercare il simbolo della loro amicizia nonostante il bruttissimo gesto compiuto neanche mezzora prima.
Sherlock si irrigidì di fronte alla vista di John: deglutì appena, andando a ripulirsi almeno parte del viso con la manica della camicia. Vide un nuovo sguardo animare gli occhi di John e intuì che qualcosa era cambiato in profondità, ma non potè intuire completamente l’entità di quello sviluppo.
“Oh, Sherlock...” John lo tirò dentro la stanza, e dopo aver chiuso la porta con una semplice spinta, gli buttò le braccia attorno al collo e lo strinse più forte che potè “Scusami Sherlock, ti prego. Scusami.” alzò la mano sinistra sui capelli sporchi della matricola, spingendolo un poco verso di sè “Ho esagerato, scusami davvero.”
“John...” sussurrò Sherlock, per poi alzare a sua volta le braccia attorno alla vita del tutor, tremando appena per la sorpresa e per il freddo “L’ho trovato John.” incassò il volto tra la spalla ed il collo dell’amico, seguendo il movimento della sua mano “Ci tengo a te, lo giuro.”
“Lo so Sherlock, lo so.” John chiuse gli occhi sotto la stretta dell’altro, sospirando per quelle parole che gli arrivarono così dolcemente laddove solo poco prima, nel torace, aveva una ferita aperta “Senti, stai tremando.” sussurrò flebilmente, strofinandogli le mani sulla schiena “Ora ci ripuliamo, ci riscaldiamo e poi parliamo con calma, va bene?” si staccò  un poco da Sherlock, prendendogli il volto tra le mani “Senza litigare, giuro.”
Sherlock annuì, quindi si fece guidare da John verso il bagno: lo stava tenendo per mano e la sensazione era nuova ed oltremodo piacevole “Mi aiuti coi capelli?” domandò infantilmente, stupendosi nuovamente quando si sentì rispondere affermativamente dall’altro.
John aiutò Sherlock a rimuovere i vestiti pesantemente bagnati facendo eccezione per la biancheria intima, in modo da non creare imbarazzi ad entrambi, quindi aspettò che la matricola si infilasse nella vasca prima di far partire il getto dell’acqua calda sopra il suo corpo. Dopo dieci minuti di doccia bollente, mentre John gli stava lavando i capelli, Sherlock, che non aveva mai staccato gli occhi dal tutor, nè tantomeno lasciato andare il Trifoglio dalla mano destra, gli presentò una velata domanda a voce bassa “Tu quando giochi a calcio fai sempre la doccia con gli altri. Nudo.”
John stava frizionando i capelli di Sherlock con estrema delicatezza, quasi temesse di rovinarli: riportò poi lo sguardo su di lui ed annuì divertito, intuendo dove volesse andare a parare “Mh-mh.”
“Perchè con me sei in imbarazzo allora?” domandò, infatti, Sherlock, riferendosi ai propri slip assurdamente indossati durante il bagno ed ora completamente zuppi: alzò poi la mano insaponata verso il viso di John, pulendolo dal fango con cui si era sporcato nell’abbraccio “Tu sei pure completamente vestito.”
John sorrise divertito, incurante di essersi soffermato fin troppo sui capelli, ormai puliti, della matricola “Ci tieni proprio a sentirti dire che per me non sei come tutti gli altri, vero?”
Sherlock aprì le labbra in un sorriso soddisfatto, quindi annuì, battendo le mani, alzando così un po’ di schiuma verso l’alto “Sì, John. Oggi poi, ne ho particolarmente bisogno.”
John si fermò, quindi, prendendogli il viso tra le mani: osservò quello sguardo finalmente sereno in cui si specchiò felicemente. Coi pollici di entrambe le mani gli pulì il viso nei punti in cui era ancora presente qualche accenno di melma: poi lo accontentò “Non sei come tutti gli altri.” sorrise perchè lo pensava veramente e perchè sapeva che erano di nuovo amici, complici, semplicemente insieme: erano tante nuovissime consapevolezze, ma non lo spaventavano. Era troppo felice di averlo ritrovato per lasciarsi vincere dalle paranoie “Tu sei speciale, per me.”
Sherlock gli avvolse le proprie braccia attorno al collo, guancia su guancia, incurante di bagnargli capelli e vestiti “Grazie.” sussurrò lentamente quella parola che non era abituato a pronunciare spesso, caricandola ulteriormente di importanza “Anche tu lo sei, per me.”
John ricambiò la stretta, letteralmente sprizzante di felicità e non potè fare altro che chiedersi se fosse normale, o quanto meno plausibile, passare nel giro di poco tempo dalla tristezza e dalla perdizione più totali, a sentimenti positivi ed esplosivi come quelli che stava provando: la risposta era Sherlock. Con lui tutto era, letteralmente, esplosivo “Lo so, Shamrock.” gli riservò con particolare gioia il suo personalissimo soprannome, sorridendo nel sentirlo reagire sotto a quel nomigolo “Forza, finiamo di lavarci.”
Sherlock, una volta annoiatosi del bagno, iniziò a protestare giocando puerilmente con la schiuma, ma bastò un bacio in fronte da parte di John per farlo tranquillizzare. Sherlock boccheggiò, piacevolmente stupido da quel gesto affettuoso che lo riscaldò ancor più del getto d’acqua bollente: collaborò pacificamente per tutta la durata del bagno, ammansito ed addomesticato come un gatto che riconosce un solo padrone.

John, lasciando a Sherlock la privacy necessaria per potersi cambiare ed asciugare completamente, mise a scaldare un po’ d’acqua nel bollitore elettrico e immerse due filtri di camomilla nelle tazze. Si era cambiato a sua volta nella propria camera da letto, mettendo nel cesto della biancheria sporca gli abiti macchiati di fango e bagnati dalla schiuma con cui la matricola aveva giocato, indossando i più comodi pantaloni della tuta ed un maglione così consumato da risultare ancora più confortevole.
Quando Sherlock entrò nello spazio comune della stanza con addosso solo i pantaloni e la maglietta a maniche corte, sprovvisto della sua solita vestaglia, John si rese conto solo in quel momento del reale motivo per cui in passato Sherlock indossasse spesso quell'indumento che gli copriva interamente le braccia, anche quando non esisteva un vero bisogno.
“Siediti.” suggerì John, indicandogli il divano illuminato dalla sola luce della vicina piantana, per poi tornare a trafficare il bollitore la cui resistenza elettrica aveva appena finito di scaldare l’acqua portandola all’ebollizione: osservò l’infuso prendere il tipico colore giallo che ricordava la corolla di una margherita, quindi aggiunse due cucchiaini di zucchero per Sherlock ed uno soltanto per sè.
Sherlock si sedette strategicamente al centro del divano, osservando John con uno sguardo sornione quando si avvicinò con le due tazze: il tutor sorrise leggermente ed assecondò la matricola alla quale porse una delle due camomille. Si sedette in uno dei due angoli, con le spalle appoggiate sul bordo superiore del bracciolo, il piede sinistro poggiato al pavimento, la gamba destra piegata, adagiata allo schienale del divano “Vieni qui.”
A Sherlock non sembrò quasi vero, quindi, quasi temesse che l’altro cambiasse improvvisamente idea, fece scivolare il fondoschiena sui cuscini del divano e ruotò il bacino fino a poggiarsi con la schiena sul torace di John: rischiò anche di versarsi addosso la camomilla bollente che, invece, finì solo col trasbordare leggermente e bagnare la maglia della matricola creando due piccole chiazze umide all’altezza dello stomaco. Non se curò, tuttavia, poichè il suo unico pensiero era accomodarsi al meglio tra le braccia di John, che reagì posando il braccio destro sull’addome della matricola, la quale slittò un poco col bacino, per non sovrastarlo in altezza.
“Sei a tuo agio?” chiese John, portando poi la tazza fin sulle labbra, soffiando via il fumo che fuoriusciva copioso dai bordi: soffiò un po’ d’aria fresca, quindi riuscì a bere qualche sorso.
“Le tue braccia sono il posto più sicuro e confortevole del mondo.” annuì Sherlock per poi imitare il tutor, bevendo qualche sorso della bevanda color oro “Ma non è the.” borbottò quasi incredulo “Siamo Inglesi, John!”
“Direi che la camomilla è più adatta questa sera, che ne dici?” poggiò la guancia destra sulla tempia sinistra della matricola, strofinandola in un accenno di carezza “Allora... dobbiamo parlare, non credi?” sussurrò con voce pacata e gentile: voleva farlo sentire al sicuro ed inoltre desiderava garantirgli costantemente la propria presenza. Non solo per calmare Sherlock, ma anche per far sentire meglio se stesso perchè, d’altronde, la paura di poterlo perdere gli aveva fatto aprire gli occhi molto più di quanto pensasse “Con tutta calma, Sherlock. Possiamo farlo?”
Sherlock sospirò, quindi avvicinò a sua volta la tazza alle labbra, bevendo abbondanti sorsi di quell’infuso calmante come se s’aspettasse chissà quale magia da quella proverbiale tisana rilassante “Suppongo che dobbiamo farlo.” si scostò da John solo per poggiare il boccale vuoto sul tavolino: quando tornò ad aderire con la schiena sul corpo del tutor, infatti, ne approfittò per prendergli la mano destra con le proprie, trovando un po’ di pace nell’usarla come superficie anti-stress “Io non sono bravo a parole, ma so di per certo...”
“Aspetta.” John lo interruppe e poggiò a terra la tazza prima di riprendere a parlare “Partiamo dall’inizio.” aveva capito che Sherlock non desiderava parlare dell’accaduto, ma il tutor decise che il suo ruolo nei confronti della matricola dovesse essere anche, per l’appunto, di mentore. Ed era importante che Sherlock capisse quanto fosse giusto imparare anche dagli errori, anche se rivangarli poteva risultare spiacevole: per alleggerire la rievocazione spiacevole, cercò di mantenere un contatto costante con lui, una carezza dolce e persistente. Talvolta strusciando il mento sulla tempia o, come in quel caso, giocando con le sue stesse mani giacchè quel particolare contatto sembrava calmarlo particolarmente “Allora, tutto è iniziato quando ho portato Molly Hooper in laboratorio.” iniziò col presentare il primo dei problemi che aveva causato la loro lite “Ma devi credermi, Sherlock, non l’ho fatto perchè volessi farti uscire con lei, o perchè volessi sistemarti o rimpiazzarmi, come hai detto tu.” mantenne un tono di voce calmo e basso, come se sperasse di riuscire ad accarezzarlo anche a livello astratto, oltre che tangibile “Ho pensato sinceramente che poteste essere amici, perchè lei oltre ad avere i tuoi stessi interessi nell’ambito della chimica, è anche una persona molto timida e ho pensato che, forse, una persona non invadente e molto dolce come lei potesse accostarsi ai tuoi gusti. Sempre da un punto di vista platonico, sia chiaro.” sospirò leggermente, accostando anche la mano sinistra all’intreccio delle altre tre “Mi hai spiazzato quando hai reagito in quel modo così aggressivo.”
Sherlock accolse la mancina di John con la propria e dopo aver intrecciato tutte e dieci le dita tra loro, le avvicinò all’altra coppia, ugualmente unita in quell’incastro: mantenne lo sguardo verso quelle quattro appendici, sfuggendo almeno in parte a quel contatto così intimo e diretto che è lo sguardo “E’ che... quando ho riconosciuto la tua risata proveniente dal corridoio mi ero già pregustato l’idea che mi fossi venuto a trovare per passare il pomeriggio insieme.” ammise con un sospiro, liberando la mano sinistra di John solo per controllare le leggere escoriazioni presenti sulle nocche “Così quando ho visto che c’erano anche Sarah e l’altra ragazza mi sono arrabbiato.” alzò la mano di John fino alle proprie labbra, sfiorandola con una delicatezza impossibile i lividi che coprivano le prime falangi.
John assisteva con invincibile curiosità ed immensa emozione alle carezze che Sherlock stava riservando alla sua mano, stupendosi perchè neanche una ragazza era stata capace, fino a quel momento, di toccarlo con una delicatezza così eterea. Quasi si imbambolò, tanto che la sua risposta arrivò con qualche secondo di ritardo rispetto alle normali tempistiche della comunicazione dialogica “Ho capito... volevi solo che passassimo un po’ di tempo insieme, io e te da soli. Mi dispiace, Sherlock, ultimamente sono stato così pieno di impegni da poterti dedicare poco tempo.” appoggiò il mento sulla spalla sinistra del moro osservando rapito quelle carezze, sforzandosi di non muovere la mano per non correre il rischio di farlo smettere “E poi...” deglutì, incespicando qualche secondo “...dicevo... sì. Mi devo scusare con te. Per una cosa molto importante.”
“Tu?” domandò Sherlock, non senza una punta di ironia a colorargli il tono di voce: con un certo disappunto da parte di John, abbassò le mani interrompendo quella particolare carezza, voltandosi ad osservarlo per la prima volta da quando avevano iniziato quella conversazione “Tu ti devi scusare? Con tutto quello che ho combinato io oggi?” marcò i pronomi personali con una certa enfasi, accorgendosi solo in quel momento quanto il proprio volto fosse vicino a quello dell’altro. Trovò molto faticoso respirare in quel momento, come se l’epiglottide fosse diventato improvvisamente un muscolo volontario controllato dalle emozioni che John suscitava in Sherlock: si voltò di scatto, tossendo per ritrovare il fiato dopo quel piccolo shock.
“Shh, non ti agitare.” John liberò la mano destra dalla presa in cui era piacevolmente avvinghiata, andando poi a strofinarla sull’addome di Sherlock, all’altezza dello stomaco “E ad ogni modo sì. Ho commesso anche io degli errori.” ammise, appoggiandosi nuovamente allo schienale del divano, distanziandosi un poco dalla matricola, evitandone lo sguardo “Io sapevo già che tu avevi... che hai un problema con la droga. Anche se non avevo ancora capito quale sostanza stessi usando.” si sentì addosso gli occhi del moro, ma continuò a parlare guardando altrove “Ma non ti ho chiesto nulla. Nè se avessi voluto parlarne, nè se avessi potuto aiutarti a smettere. Ho aspettato e alla fine il problema si è palesato dandomi l’enorme schiaffo di oggi.”
Sherlock ruotò il busto il tanto che bastava per poter osservare meglio il profilo di John: lo aveva ascoltato senza ribattere in alcun modo, impegnato a cogliere tutte le sfumature del suo tono, trovandosi dispiaciuto per il senso di colpa che sentiva emergere dalle parole, dalla voce e dallo sguardo che l’altro insisteva a puntare altrove. Alzò le mani per poi posarle sul viso di John quando lo sentì prendere una pausa più lunga dopo le ultime parole pronunciate, spingendolo per farlo voltare verso di sè.
John assecondò quell’invito, alzando la mano per posarla su quella di Sherlock che ancora gli teneva il viso, muovendo appena il pollice in una piccola carezza “Mi sono arrabbiato così tanto perchè... beh, ce l’avevo anche con me stesso.” ammise, abbassando lo sguardo per qualche istante prima di riportarlo sugli occhi dell’altro.
Sherlock continuò ad osservarlo in silenzio per molti istanti ancora, studiando quelle parole e provando a leggere un sottotesto che tuttavia sembrò confonderlo “John... io sono confuso.” ammise, scrivendo sulle lavagne del proprio Palazzo Mentale le frasi pronunciate dal tutor e rileggendole molte volte, cercando di capirle “Io ho fatto un disastro oggi. Anzi, più di uno. Ho iniziato un litigio che non aveva ragione di esistere, quindi avevo torto. Sono andato a cercare una dose di cocaina perchè pensavo che potesse essere la soluzione al mio problema, sbagliando completamente. Mi sono fatto rubare il trifoglio come un vigliacco: altro errore. Non contento, invece di buttare quella fiala, sono tornato in camera e tu mi hai scoperto proprio mentre stavo facendo... quello che ho fatto.” riprese fiato dopo aver finito di riassumere la lunga lista dei pesantissimi sbagli commessi nel giro di poche ore: aprì la bocca più volte, ma solo dopo parecchi istanti di incertezza riprese a parlare “Ho sbagliato così tanto oggi e tu sei ancora qui con me e ti stai pure scusando. Tu? Che ti scusi con me dopo quello che ho fatto? Perchè? Non sarebbe più normale che tu... mi odiassi?”
John inarcò le sopracciglia in un’espressione più che mai intenerita: era ampiamente soddisfatto di quell’ammissione di colpa e non per una questione di orgoglio e di riscatto personale, bensì perchè aveva appena ricevuto la piacevole conferma del fatto che Sherlock fosse assolutamente consapevole dei suoi errori e provava rimorso. Quel ragazzo che aveva di fronte e che si era sempre definito privo di emozioni e sentimenti, in quel momento stava urlando non una, ma molteplici e silenziose richieste, di aiuto, di spiegazioni, ma soprattutto d’affetto. John mise da parte l’imbarazzo: lasciò scivolare le braccia attorno a Sherlock, il destro all’altezza del fianco, il sinistro dietro la nuca, per attirarlo a sè in abbraccio affettuoso, delicato, diverso da quello in cui s’era lanciato quando era appena rientrato in stanza, più calcolato perchè non voleva costringerlo e al tempo stesso aleatorio, libero di piccole ed inaspettate improvvisazioni, con le mani che, da ferme, si muovevano alla ricerca di riccioli neri o percorrevano la schiena con movimenti circolari o verticali. Solo dopo qualche istante di silenziose carezze decise di ripondere alle domande di Sherlock “Non c’entra la logica in tutto questo. I sentimenti non sono lineari, Sherlock, non funzionano così. Tu hai sbagliato quindi io dovrei andarmene? No, piccolo, non funziona così.” sussurrò John, fermando i movimenti delle proprie mani, scostandosi un poco dal moro per poterlo osservare dritto negli occhi “Te l’ho spiegato a Natale, Sherlock. I sentimenti sono amplificati nel bene e nel male. Io ci sono rimasto molto male oggi, è vero, ma perchè ti voglio un bene dell’anima e tengo a te come a nessun altro. Ma proprio perchè ti voglio bene, voglio fare di tutto per capirti, per aiutarti e per farti stare meglio. Hai capito?”
Sherlock rabbrividì attorno alle braccia di John, chiudendo gli occhi per lasciare lavorare tutti gli altri sensi: l’olfatto in primis. Ansimò sotto quella stretta, sciogliendosi solo quando fu sicuro di essere tenuto saldamente da John il cui odore lo raggiunse in maniera sublime: registrò nei cassetti della memoria l’aroma della camomilla, il più intenso poichè il più recente, quindi il profumo del sapone e dello shampoo con cui l’altro l’aveva lavato. E poi qualcosa di molto più sottile e al tempo stesso intenso, l’odore della pelle di John, un profumo puro, senza contaminazioni, la fragranza perfetta.
Il tatto: si concentrò principalmente sulla sensazione piacevole dei polpastrelli di John che sfregavano la cute sotto i riccioli neri, meravigliosa perchè scoprì di essere particolarmente sensibile in quel punto così pieno di nervi che andarono a scuoterlo in piccolissime scariche di piacere che si trasformarono in un leggero mugolio che liberò vicino all’orecchio dell’altro.
Intervenne persino il gusto, poichè mentre quei pochi istanti trascorsero in quelli che sembravano pochi secondi, in realtà il tempo si dilatò nella mente di Sherlock, che escogitò lo stratagemma di inscenare uno scontro fortuito col collo di John, dal quale saggiò con le proprie labbra inumidite il suo sapore morbido e pulito.
Deglutì con un brivido prima di abbandonarsi all’udito che gli permise di ascoltare le parole premurose di John, persino quell’epiteto che, pensò, gli fosse sfuggito per sbaglio, ma che lo cullò come una dolce nenia.
Dovette impegnarsi per riaffidarsi anche alla vista, una volta che l’altro lo scostò per poterlo osservare meglio, così come si sforzò di pronunciare parole di senso compiuto in quel frangente “Io... non sono abituato...” provò a distrarsi puntando lo sguardo altrove, ma gli occhi di John lo richiamarono a sè come una calamita col ferro “...a qualcuno che possa essere... sinceramente e così profondamente interessato a come mi sento.” riuscì a concludere, ma fu quasi faticoso riuscire a finire quella frase.
“Dovrai abituartici.” rispose John, sorridendogli apertamente, sospirando per quella vicinanza, deglutendo a sua volta, percorso da un dubbio che lo fece frenare, almeno un poco “Se lo vorrai.” avvicinò il pollice sinistro al labbro inferiore di Sherlock, saggiandone la morbida consistenza, sospirando un enorme boccata d’aria prima di lasciarlo andare: si chiese improvvisamente come sarebbe stato baciarlo e quello stesso pensiero lo fece arrossire per milioni di ragioni che gli affollarono la mente.
Sherlock si sporse un poco col viso, provando a catturare il pollice di John tra le labbra in uno scherzo che avevano giocato già molte volte, seppur nello sfondo di un’atmosfera meno elettrizzata da tensioni di diversa natura. Tornò serio, tuttavia, poichè c’erano ancora delle questioni da risolvere “John. Quello che hai visto oggi non ricapiterà mai più.” si coprì istintivamente le braccia, nascondendo i segni della propria dipendenza.
John sorrise al gioco, ritirando poi la mano quando Sherlock toccò nuovamente l’argomento più ostico che avevano affrontato da quando era nata la loro amicizia “Perchè l’hai fatto? Anche in passato intendo.” avvicinò le mani su entrambe le braccia dell’altro, carezzando le piccole cicatrici che riconobbe solo grazie alla sua, seppur poca, esperienza in medicina.
Sherlock si voltò nuovamente a quella domanda, ma non per fuggirvi, bensì per ritrovare un abbraccio confortevole che lo rassicurasse: fece aderire la schiena al torace di John, appoggiando la testa a metà tra il divano e la spalla destra del tutor “Suppongo perchè avessi le possibilità economiche per farlo.” iniziò, per poi cercare le mani dell’altro come sostegno “Penso di avere iniziato per noia. Ero a corto di esperimenti da fare e così mi sono procurato la mia prima fiala di cocaina.” fece spallucce, dissimulando in quel modo la gravità dell’argomento che stava trattando “Magari se la mia famiglia non fosse stata ricca, chissà, mi sarei accontentato di marjuana o di hashish. E il problema non sarebbe stato così evidente.”
John gli strinse le braccia attorno alla vita, avvolgendolo e attirandolo verso di sè: appoggiò il mento sulla tempia destra dell’altro, strofinandolo in una lieve carezza “Sì, ma... perchè?” domandò nuovamente: il tono non era invadente o accusatorio, bensì discreto e delicato “Nel senso... dopo aver provato la prima volta per curiosità, in quali occasioni ne sentivi il bisogno?”
Sherlock fece pressione con la tempia destra sul mento di John, giocando più che potè col corpo dell’altro che andava via via scoprendo sia in modo scherzoso che con una punta di malizia. Indugiò su quelle domande le cui risposte erano ben chiare nella propria mente, ma sebbene si stesse rivolgendo ad una persona fidata come John, non era comunque facile scoprire quella parte così intima di sè “A volte lo facevo davvero per stimolare il mio cervello nei momenti di noia.” sospirò, dando poi un’occhiata all’interno delle proprie braccia “Altre volte... per dimenticare qualche delusione, qualche... semplicemente qualcosa che andava dimenticato.”
John sospirò, andando poi a posare un leggero bacio sulla tempia di Sherlock “Va tutto bene.” sussurrò prima di sciogliere la presa attorno alla sua vita, posando le proprie braccia sotto quelle dell’altro, offrendogli ulteriore sostegno. Rimase silenzioso per qualche istante, presente, eppur pensieroso.
Sherlock intuì i pensieri di John: erano così chiari in quel momento, che si sarebbero potuti immortalare su una tela bianca in scala monocromatica “Ti stai chiedendo se oggi l’ho fatto per dimenticare la nostra lite?” fece una piccola pausa, durante la quale ruotò lo sguardo verso quello del tutor “Non ti sentire in colpa. Non me l’hai infilato tu l’ago in vena.”
“Ti prego non usare quell’espressione.” supplicò John con un fil di voce “E’ stato terribile vederti in quello stato.” fece scorrere i polpastrelli lungo le braccia di Sherlock, causandogli una leggera pelle d’oca “Ad ogni modo sì, me lo sono chiesto.”
“John.” lo chiamò semplicemente, seguendo con lo sguardo il contrasto dei diversi colori della loro pelle “Tu conosci i lieviti? La loro riproduzione asessuata, intendo.”
John mugolò di sorpresa a quella domanda “Mh, non nel dettaglio.” non riuscì ad intuire, questa volta, dove Sherlock volesse andare a parare, quindi lo ascoltò attentamente.
“Devi sapere che i lieviti si riproducono asessualmente per gemmazione.” introdusse Sherlock, strofinando nuovamente la tempia sul mento di John in un gesto che era ormai divenuto disinvolto e sicuro “La gemmazione è una forma di riproduzione per cui da una cellula madre viene prodotta una protuberanza chiamata, per l’appunto, gemma: quando questa cellula figlia raggiunge la maturità, si separa dalla madre lasciando la cicatrice del distacco. Ed è interessante perchè se osservi una cellula madre al microscopio e conti le cicatrici puoi scoprire quante figlie ha avuto.”
“Sì, è vero, è interessante.” annuì John “Un po’ come quando si taglia un albero e si contano i cerchi per scoprire quanti anni aveva.”
“Sì, oppure è come...” esitò un poco, poi scoprì nuovamente le braccia “...come guardare queste cicatrici e scoprire a che episodio risalgono.” sospirò appena, accarezzandosi l’interno del braccio la cui pelle era così chiara che alcune cicatrici erano ancora presenti “Le mie cicatrici. Le figlie delle mie esperienze.”
John deglutì, capendo solo davanti alla spiegazione lampante dove Sherlock volesse arrivare: prese coraggio e, dopo averlo stretto a sè con una presa sicura e confortante, gli fece una domanda di cui non era sicuro volesse ascoltare la risposta “Parlamene. Io sono qui e tu con me sei al sicuro.”
Il respiro ed il battito di Sherlock si alterarono un poco, ma si impose un certo grado di autocontrollo per poter rispondere a John senza mostrare tutte le emozioni collegate a quei ricordi “Questa è di oggi, quindi, è la cicatrice della nostra prima litigata.” poi scese col dito, sfiorando un puntino rosso “Questo... è stato quando sei dovuto stare via cinque giorni.” scese ancora “Questo è quando...” si bloccò poi, alzando lo sguardo su John per la prima volta dopo diversi minuti.
Come aveva sospettato, John non fu felice di quelle risposte, ma si impose di ascoltare: se Sherlock aveva trovato il coraggio di parlargli di un disagio così intimo, era giusto che anche lui avesse la tempra di ascoltarlo fino in fondo “Continua.”
Sherlock spostò nuovamente lo sguardo, puntandolo sul proprio braccio “...quando ti ho sentito fare... sesso con Sarah.” sospirò, inclinando un po’ il braccio “Questo risale alla rissa con quegli inetti delle Scienze Motorie. Quella che se non fossi intervenuto tu chissà come sarebbe finita.” indicò poi, nuovamente l’interno del gomito “Questo è della sera precedente al mio arrivo qui, mesi fa: non volevo venire.”
John non potè non sentirsi in colpa, quindi, ad ogni piccola confessione di Sherlock accompagnava una piccola carezza, una particolare premura, qualcosa che lo facesse redimere almeno in parte. Non disse nulla, ma notò che i punti che Sherlock andava indicando non presentavano più cicatrici: si stava semplicemente sfogando ricordando vecchi dolori. John non era un patito della psicoanalisi, nè della psicologia in generale, ma pensò che non potè fargli che bene continuare a sfogarsi, quindi continuò ad ascoltarlo senza mai interromperlo.
“Poi c’è stata quella volta che Mycroft è stato via da casa per un mese e... mi sentivo molto solo.” via via che confessava le figlie delle sue esperienze, la voce si incrinava sempre di più “Questa è per il decimo anniversario della morte di papà... mamma era così triste e io mi sono sentito così inutile...”  tirò sù col naso e mentre lo sguardo era fisso sul braccio sinistro, la mano destra andò a cercare istintivamente quella di John “Quella perchè... semplicemente perchè... mi sentivo solo ed estraneo nella mia stessa casa.” si fermò e si voltò di scatto, nascondendo il viso nel maglione di John “Basta.”
John lo strinse con dolce fermezza, carezzandogli la schiena con la mano destra, mentre all’altra riservò le cure dei riccioli scuri: lo tenne appoggiato al petto con molta cura ed attenzione, come se la fragilità del suo animo si rispecchiasse anche sul fisico della matricola che tremava appena. Gli baciò la nuca sulla quale poi poggiò la guancia destra “Stai tranquillo Sherlock.” gli sussurrò quandò lo sentì calmarsi un poco “Ci sono io per te.” sorrise poi, quando lo vide staccarsi un po’ dal proprio petto, andando subito a cercare il suo sguardo umido “Ci sono perchè voglio esserci.”
Sherlock rialzò il capo lentamente, riempiendo occhi e mente del viso di John, dei suoi occhi così buoni, della sua espressione così dolce e gentile: a volte stentava ancora a credere che fosse reale, temendo che fosse frutto della sua stessa immaginazione, una proiezione del suo Palazzo Mentale, un meccanismo di difesa per non farlo sentire troppo solo “John Watson.”
John sorrise, mordendosi il labbro inferiore con l’arcata dentale superiore “Sherlock Holmes.”
Sherlock sorrise di rimando, sbilanciandosi pericolosamente in avanti, arrivando a sfiorargli il naso con la punta del proprio “Sei il mio eroe.” respirava a bocca aperta e questo non aiutò a irrorare le labbra già secche per la trepidazione “John... voglio...” socchiuse gli occhi, continuando a sfiorargli il viso coi propri sospiri “...posso?”
John trasalì di desiderio e curiosità per quella richiesta: era un mondo nuovo, certamente, ma era altrettanto vero che quello non era il primo giorno in cui aveva desiderato di assaggiare le labbra di Sherlock. Non era mosso solo da curiosità, ma anche da un genuino affetto nei suoi confronti: fino a quel momento, oltre che dalla fedeltà nei riguardi di Sarah, era sempre stato fermato dalla sua sessualità che, dopo 25 anni di vita pensava fosse ben consolidata. Eppure in quel momento, l’unica cosa che desiderava, era stringere, coccolare e baciare Sherlock, fino a farlo addormentare in pace col mondo, al sicuro tra le sue braccia. Gli sorrise, dunque, allacciandogli entrambe le braccia attorno alla vita per tirarlo ancor più verso di sè: gli sfiorò il naso a sua volta, per poi percorrere entrambe le guance a fior di labbra, prima di fermarsi poco sopra il suo mento, in attesa “Sono nelle tue mani, Sherlock.”
Sherlock mugolò in risposta, posando entrambe le mani sulle guancia di John per diminuire ulteriormente le distanze e per prendere il controllo della situazione: si perse guardandolo negli occhi e si accorse che un sorriso nacque spontaneo sul proprio viso. Gli avvolse l’avambraccio sinistro attorno al collo, piegandolo all’altezza del gomito in modo che la mano affondasse nei capelli biondi di John in un massaggio appena accennato. Esitò ancora qualche istante, reclinando il capo con lentezza calcolata, alla ricerca del giusto incastro che, una volta trovato, lo incoraggiò ad eliminare la minima distanza che li separava. Chiuse istintivamente gli occhi nello stesso momento in cui poggiò le proprie labbra su quelle di John: faticò a respirare per la grande emozione che stava provando, ma si sforzò di resistere, ritrovando pian piano il controllo, riuscendo finalmente a concentrarsi sulle sensazioni completamente nuove che stava sperimentando. Dopo qualche secondo di immobilità, iniziò a muovere le labbra: all’inizio le mosse dando piccoli, semplici, delicatissimi baci a stampo senza mai spostarle dalla loro posizione principale. Dopo, quasi per caso, slittò pochi millimetri più in giù, catturando il labbro inferiore di John in una dolce presa che riuscì ad approfondire con piccoli movimenti che si avvicinavano alla suzione e che trovò oltremodo piacevoli.
John si fece baciare ed esplorare, assecondando le ricerche e le prove di Sherlock, offrendosi come fortunata cavia per quell’esperimento che, intuì, stava conducendo per la prima volta: non lo trovò goffo tuttavia, anzi, pensò che l’inesperienza dell’altro rendesse la situazione ancora più tenera ed intima. Mugolò a sua volta quando si sentì catturare il labbro inferiore e fu tentato di approfondire quel bacio, ma decise di trattenersi e andare al ritmo di Sherlock: sorrise di pura gioia sotto quella presa, perchè tutti i problemi sembravano improvvisamente spariti.
Sherlock aprì gli occhi quando percepì il sorriso di John direttamente sulle proprie labbra: si staccò quanto bastava da riuscire ad osservarlo dritto negli occhi “Ti ho baciato.” sorrise per quel qualcosa che aveva sempre criticato negli altri esseri umani e che proprio in quel momento si era ritrovato a fare a sua volta: constatare l’ovvio “E tu ti sei fatto baciare.” continuò su quella falsa riga fino a che il suo cervello si riavviò, potendo così esternare ulteriori sensazioni “Lo volevo da così tanto.” deglutì, per poi aggiungere rapidamente “Tu però non ti sei mosso.”
John rise di fronte alla telegrafica didascalia di quanto appena successo e continuò a mantenere le mani attorno ai fianchi di Sherlock per confermare all’altro il suo desiderio di tenerlo vicino a sè “Volevi baciarmi, quindi ti ho lasciato fare.” alzò sul divano anche la gamba che prima era poggiata a terra, slittando un poco verso il centro del divano, arrivando quasi a sdraiarsi affianco alla matricola “Perchè, non ti è piaciuto?” domandò seppur convinto di conoscere già la risposta.
“Oddio, sì!” rispose Sherlock con molta più energia di quanto avrebbe richiesto quell’affermazione, ma dopo un imbarazzo iniziale sorrise a sua volta, sdraiandosi sul fianco sinistro, appoggiato per metà sullo schienale del divano e per metà su John. Si fece accogliere tra le sue braccia, poggiando il volto sul petto caldo del tutor al quale tornò a rivolgersi “John. Non abbiamo chiarito una cosa riguardante oggi.”
John portò la mano destra fin sul capo di Sherlock, infilando le dita in quel labirinto di ricci che tanto adorava. Annuì alle parole dell’altro e, intuendo dove volesse andare a parare, lasciò a lui il compito di introdurre il discorso: voleva che Sherlock prendesse confidenza coi sentimenti ed inoltre desiderava che tra loro non ci fossero segreti ed incomprensioni, quindi si limitò ad incoraggiarlo implicitamente “Dimmi.”
Con la mano destra di John incastrata tra i suoi ricci, Sherlock andò a cercargli la sinistra, intrecciando le dita con le proprie, giocando un po’ prima di introdurre quel discorso che, riguardando la sfera sentimentale, non gli venne totalmente spontaneo “Al laboratorio abbiamo accennato al discorso... insomma, abbiamo parlato di quello che voglio da te e di quanto tu pensi di potermi dare...” prese fiato dopo quel preambolo, deglutendo un po’ di imbarazzo “Credo che quello che voglio io sia ormai chiaro.” aggiunse quindi, tergiversando ulteriormente prima della domanda che stava per rivolgergli “Tu, invece? Cosa... pensi di potermi dare?”
A John parve proprio di sentire la tensione emanata da Sherlock durante quella domanda la cui risposta, evidentemente, temeva almeno in parte: cercò di tranquillizzarlo stringendolo a sè con entrambe le braccia, provando una sorta di assuefazione nel compiere quel gesto così nuovo eppur così piacevole. Sembrava non ne potesse più fare a meno: si chiese come aveva potuto resistere tutto quel tempo, vivendo a stretto contatto con lui, reprimendo tutto l’affetto che desiderava dargli. Scese ancora col fondoschiena verso il centro del divano, cercando lo sguardo imbarazzato di Sherlock col proprio che era dolce e carico di aspettativa “Tutto.” sussurrò infine, scontrandogli la fronte con la propria.
“Tut... tut-to?” balbettò Sherlock, allontanandosi il tanto che bastava per osservarlo meglio.
“Sì.” annuì John, sorridendo nel leggere la genuina sorpresa sul volto della matricola “Col tempo, Sherlock.” fece spallucce, rilassandosi a quell’eventualità “Insomma, capiscimi. Fino all’altro ieri mi piacevano le ragazze, poi arrivi tu e sconvolgi tutto il mio sistema di credenze.”
Sherlock inarcò un sopracciglio “Ti piaccio dall’altro ieri?”
“E’ un modo di dire.” John rise divertito dall’assurda ignoranza di Sherlock circa i comuni modi di dire “Nel senso che questa è una situazione nuova sia per me che per te.” gli si avvicinò col viso, giocando coi nasi in una danza provocatoria “Tu non hai mai avuto nessuno prima di me, e io... pensavo di avere altri gusti.” si divertì a stuzzicarlo, arrivando a pochi millimetri dalle sue labbra prima di allontanarsi: avevano sempre basato il loro rapporto sul gioco ed il fatto che la loro relazione si fosse evoluta non giustificava un cambio di direzione. D’altronde, era così divertente giocare con Sherlock.
Sherlock ringhiò piano di fronte allo scherzo di John, divertito nonostante tutto “E...” sospirò poi: doveva fargli quella domanda. L’esperienza di quella giornata gli aveva insegnato che era meglio non procrastinare “So che potrei pentirmene, ma... Sarah?”
John alzò gli occhi verso l’alto sospirando appena “Non era la mia persona definitiva. L’aveva capito anche prima di me.” schioccò la lingua sul palato, accompagnando quel suono con una leggerissima alzata di spalle “Ci siamo lasciati.”
“Ahhh!” Sherlock esplose in quella piccola esultanza: anche i suoi occhi sembravano essersi accesi di fronte a quella novità. Poi si ricordò dell’etichetta e sbuffò non molto convinto “...mi dispiace?”
John ridacchiò e scosse il capo “Non è vero.”
“No, per niente.” Sherlock si affrettò a confermare la tesi di John, sul volto del quale strusciò la punta del naso: non si era mai sentito così bene in vita sua. La felicità aveva finalmente assunto una forma metafisica: il suo legame con John.
“Eccolo il mio gatto Shamrock.” ridacchiò il tutor per poi allontanare le mani da Sherlock alla ricerca di una coperta “Dormiamo qui? Siamo incastrati così comodamente.” suggerì mentre, a tentoni, recuperò una trapunta che erano soliti usare in inverno quando si sdraiavano a leggere o semplicemente a riposare “Vuoi? Qui con me?”
Sherlock rispose aiutandolo a coprire entrambi da testa a piedi con movimenti più rapidi possibili: non voleva perdersi neanche un attimo di quel momento perfetto: allungò poi a sua volta il braccio destro verso la piantana, arrivando a spegnerla solo grazie alla sua agilità e alla lunghezza degli arti “Quando andremo a vivere insieme in un appartamento tutto nostro, ricordami di installare un clapper.” asserì laconico, prima di immergersi nuovamente tra le calde ed accoglienti braccia di John.
“Quando andremo a vivere insieme?” ripetè John, fingendo di rabbrividire a quell’esternazione.
“Non si dice?” domandò Sherlock, ingenuamente.
“Stiamo insieme da dieci minuti, Sherlock, è un po’ presto per fare progetti di questo tipo, non trovi?” col buio a John venne anche istintivo abbassare il tono di voce “Un ragazzo in genere scappa a gambe levate dopo un’uscita del genere.” ridacchiò e, non avendo ancora abituato gli occhi all’assenza di luci, cercò a tastoni il volto di Sherlock.
“Stiamo insieme da dieci minuti?” ripetè Sherlock a sua volta, gongolando a quell’idea, baciando il palmo sinistro di John quando si sentì tastare il viso “I ragazzi in genere non scappano anche di fronte ad uno che dichiara di stare insieme ad un’altra persona senza averle chiesto il permesso?” domandò con leggera ironia, cercando a sua volta il viso dell’altro con la propria mano.
“Hai ragione.” John rise ed annuì nel buio: fermò la propria mano sul viso di Sherlock, carezzandogli la guancia col palmo aperto “Ebbene. Che farai? Scapperai?”
“No di certo.” rispose prontamente, percorrendo con l’indice il profilo della mascella di John, una volta che ebbe trovato il suo viso “Tu?”
John si avvicinò al viso di Sherlock e senza ulteriori indugi o giochetti appoggiò le proprie labbra su quelle dell’altro, sciogliendole in un dolce bacio che valeva più di mille risposte. John prese il controllo della situazione con una delicatezza che disarmò Sherlock: non fece pesare la propria esperienza nel momento in cui trovò la giusta inclinazione del suo viso per annullare la millimetrica distanza che li separava per approfondire quel bacio. Lo fece con facilità eppur con infinita premura e indicibile affettuosità, deliziandosi per quel contatto così intimo, divertendosi nel sentire Sherlock mugolare prima di sorpresa e poi di curioso piacere quando entrò timidamente nel suo palato, giocandovi qualche secondo prima di staccarsi con un leggero bacio finale a stampo.
Sherlock annaspò quando lo sentì staccarsi dalle proprie labbra, come se quel bacio gli infondesse l’aria necessaria per respirare: mugolò impaziente prima di avvicinarsi a sua volta, cercando insistentemente la bocca di John. Ne voleva ancora ed il pensiero di trattenersi non lo sfiorava minimamente.
John rise di fronte a quella foga e tirò un lungo sospiro prima di staccarsi dall’ennesimo bacio “Ho come l’impressione che questa notte non mi farai dormire.”
“Mmh.” mugolò Sherlock in risposta “Devo imparare, John. E tu sembri un ottimo insegnante. Baci così bene.” si leccò le labbra in previsione della piacevole notte che avrebbero passato “E poi tu devi ancora rispondere alla mia domanda.”
“Non bastava come risposta?” ridacchiò John, riprendendogli i riccioli neri tra le mani.
Sherlock si arruffianò, avvicinando nuovamente le proprie labbra a quelle del tutor “Sì, ma... non ho capito molto bene.”
John rise piano “Aspetta che te la ripeto...” sussurrò prima di riappropriarsi delle labbra di Sherlock. Non se ne erano accorti, ma la mezzanotte era già scoccata da qualche minuto: era un nuovo giorno, un nuovo inizio che li avrebbe coinvolti e uniti indissolubilmente. John giurò a se stesso che si sarebbe preso cura di Sherlock, facendolo crescere, insegnandogli che le situazioni difficili devono essere combattute e risolte con le proprie e con l’aiuto delle persone amate, non dimenticate ciecamente. Sherlock, invece, da quella sera, avrebbe sempre osservato i lieviti in modo diverso ed avrebbe pensato ad una gemma come ad una pietra meravigliosa, cangiante e luminescente. Come l’anima di John.

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Capitolo 9
*** Un valido motivo ***


***Ciao ragazze!!! Non è che vi chiedo scusa... di più!!! Lo so che vi ho sempre abituate ad aggiornamenti veloci, ma tra la OneShot Barafundle (grazie a chi l'ha apprezzata, a proposito <3), il google drive che non andava ed una generale stanchezza, ho iniziato a scrivere questo capitolo solo 3 giorni fa, quindi ecco giustificato il ritardo >.< spero di essermi fatta perdonare con 9002 parole di capitolozzo! Ci sarà un pochino di dramma qui, non uccidetemi perchè ci sarà anche tanto ammmore!!!  Questa volta per il betaggio mi ha aiutato Mrs Teller, quindi mandate i cuoricini anche a lei <3 PS: avendo il google drive sballato ho dovuto usare word... oh ma cos'è sta storia che c'è da correggere tutti gli "a capo"? M'è presa una depresciòn -.- se ce n'è rimasto qualcuno sbagliato provvederò a correggere XD BACIO!!!***

Un valido motivo

Le settimane successive furono puro idillio per entrambi. John e Sherlock passavano assieme tutto il tempo in cui il tutor non era impegnato con il tirocinio, il tutorato e i corsi, ma la cosa degna di nota era che la matricola, senza neanche accorgersene, trascorreva parte delle giornate all'aperto, accettando finalmente i numerosi inviti di John al quale sembrava sempre più difficile dire di no.

Sherlock provò la strabiliante sensazione di essere amato e l'ancora più intensa esperienza di riamare a sua volta. Il suo umore cambiò sensibilmente in positivo, così come aumentarono la qualità dei suoi rapporti sociali e l'efficienza del proprio cervello. Si stupì soprattutto di quell'aspetto: fino a prima che il suo rapporto con John culminasse in una relazione vera e propria, aveva sempre pensato che i sentimenti fossero uno svantaggio ed una distrazione.
Invece, da quell'intensissima giornata di febbraio, notò con piacere che il suo buon umore influiva non solo sui risultati accademici, ma anche sulle deduzioni che effettuava a discapito di persone, eventi e particolari situazioni. E, cosa ancora più importante, erano passati due mesi, e da quel giorno funesto e al tempo stesso provvidenziale, non sentì neanche lontanamente il bisogno di ricorrere alla cocaina per qualsivoglia motivo.
John si sentiva, semplicemente, una nuova persona. Una nuova persona felicemente realizzata, che riusciva a concretizzare i propri numerosi impegni con maggiore slancio, in prospettiva, una volta conclusi, di poter passare il proprio tempo con Sherlock. Si sentiva animato da una maggiore fiducia e da un'incredibile ispirazione, forte delle proprie piccole conquiste con il suo nuovo compagno: gioiva ogni volta che riusciva a trascinarlo fuori dal buio della loro stanza ed esultava quando riusciva a farlo interagire con altre persone. E poi, naturalmente, era felice perchè Sherlock lo faceva sentire tale: non si sarebbe mai aspettato di provare un sentimento così intenso per un ragazzo, per un amico, per qualcuno di così profondamente diverso da lui.
Entrambi amavano i loro baratti: mentre Sherlock lo istruiva su come osservare e dedurre, John contraccambiava insegnandogli come vivere da normale ventenne e come comportarsi in una relazione di coppia. Capitava che John lo rimproverasse per la sua eccessiva possessività e per l'incessante morbosità: certo, gli faceva piacere che gli dimostrasse il suo affetto e ormai non lo imbarazzava neanche più che lo dimostrasse al di fuori della loro stanza. Tuttavia Sherlock, geloso e possessivo all'inverosimile, finiva spesso col manifestare in pubblico delle reazioni fin troppo eccessive che John doveva ritrovarsi a sedare. La cosa positiva era che Sherlock si fidava di John, quindi, dopo il rimprovero, imparava quasi sempre la lezioni e trovava plausibile concludere quella parentesi con una sessione di coccole che entrambi trovavano corroborante e quanto mai rilassante.
Stavano crescendo, individualmente e come coppia: essere partiti con alla base una solida amicizia, aveva sicuramente contribuito a vivere quell'esperienza in modo spensierato e divertente. La loro complicità era già saldamente assodata e non passava giorno in cui uno non ringraziasse l'altro, chi tacitamente, chi in maniera più esplicita, per l'essersi trovati e per aver avuto la pazienza di attendere il momento giusto per dare il via a quella splendida relazione.
Erano felici e sembrava che niente e nessuno potesse rompere la magia del loro rapporto.
Almeno finchè, un giorno, non arrivò una cartolina.
 
Una mattina d’aprile, nella stanza numero 221, un assonnato Sherlock inseguiva un affrettato John sù e giù per l’alloggio universitario: dal bagno alla camera del tutor, dal divano alla scrivania, la matricola lo inseguiva, raccogliendo via via i pezzi che l’altro disseminava sul pavimento.
“John, calmati. La sai a memoria.” lo esortò Sherlock, raccogliendo l’ennesimo post-it sfuggito dal manuale che il tutor teneva in mano: era il giorno in cui John avrebbe dovuto sostenere l’ultimo esame prima di poter consegnare il libretto ed il titolo per la tesi, quindi la matricola si ritrovò ad avere a che fare con un compagno in preda ad una crisi di panico che non sembrava riuscire a sedare in alcun modo.
John rispose con un mugolio prolungato molto simile al lamento di un gatto in calore “Ho lo stomaco sottosopra.” tossì un po’ di tensione, continuando a girovagare per la stanza in cerca di chissà quale appiglio psicologico.
Sherlock continuava a seguirlo fedelmente, fermandosi solo quando vide John recuperare una particolare camicia con l’intento di indossarla: sorrise per quella superstizione che il suo compagno portava avanti fin dal primo esame sostenuto a medicina, durante il quale, dopo averla indossata, aveva ricevuto il suo primo, ottimo, voto accademico. Da quella volta, la indossava sempre, scatenando le prese in giro da parte di Sherlock “Il mio John non potrà che superare questo esame a ottimi voti, visto che ha con sè il suo portafortuna.” bisbigliò nel momento in cui gli si parò di fronte, iniziando ad allacciargli la camicia “Sei sicuro che non vuoi che venga con te?”
John mugolò nuovamente, scaricando in quel modo parte dello stress “Meglio di no.” inspirò a lungo, beandosi della vicinanza così prossima del suo giovane partner “Se venissi anche tu in aula, non riuscirei a concentrarmi al massimo. Sarei troppo distratto.” sussurrò a sua volta, alzando il viso fino a lambire le labbra di Sherlock con dei piccoli baci a stampo.
Sherlock sorrise sotto quei baci, lasciando scivolare le braccia oltre i fianchi della camicia di John, riallacciandogliele dietro la schiena per riuscire ad avvicinarlo a sè “Allora festeggiamo quando hai finito.” gli soffiò sulle labbra prima di riappropriarsene, imprigionandogliele in un bacio ben più approfondito rispetto ai precedenti.
John finalmente si rilassò, tanto che buttò il manuale per terra per poter dedicare entrambe le mani alle cure di Sherlock, al quale carezzò la nuca e lo spazio dietro le orecchie, posti la cui sensibilità era stata confermata più volte da versi molto simili alle fusa feline. Dopo qualche minuto si staccò da quel bacio, ma non da Sherlock, al quale finalmente potè rispondere “Sì, dopo la partita di calcio.”
“La partita di...?” Sherlock sbuffò, ricordando solo in quel momento ‘l’imperdibile appuntamento al quale John non sarebbe proprio potuto mancare’ “John, devi proprio? Non potresti passare tutto il pomeriggio con me? Tanto per cambiare?” piagnucolò, nascondendo il viso nell’incavo tra collo e spalla, divertendosi a soffiare sul viso dell’altro fino a fargli venire la pelle d’oca.
“Sì, Sherlock. Lo sai che ci tengo.” ridacchiò per il solletico causatogli dall’altro, sulla schiena del quale strofinò entrambe le mani “E devi venire anche tu. Quindi preparati psicologicamente.”
“Certo che vengo anche io.” borbottò Sherlock, staccandosi da John ed impettendosi con le braccia intrecciate intrecciate all’altezza del torace “Devo controllare che non ti tocchino. Anzi, cerca di non segnare, o verranno tutti ad abbracciarti per dirti quanto sei stato bravo... non possono dirtelo a parole?” sbuffò, imbronciandosi vistosamente.
John ridacchiò e si mise in punta di piedi per riuscire a baciare quel bellissimo broncio che accentuava maggiormente la particolare forma delle labbra di Sherlock “Ma se segnassi, potrei dedicarti un gol. Le fidanzate dei calciatori impazziscono per queste cose.”
“Le fidanzate, appunto. Io sono un fidanzato.” Sherlock accentuò la differenza, anche grammaticale, dei sessi in quella particolare frase, prima di sciogliere il proprio broncio “Ci sarà anche Sarah?”
John si chinò a raccogliere il proprio manuale al quale aggiunse un quadernone che finì con l’incastrare sotto il proprio braccio sinistro “Sì, lo sai che siamo rimasti amici. Non fare le solite scenate, ti prego.” gli si avvicinò e provò a trascinarlo giù afferrandolo con delicatezza per il bavero della maglietta “Lo sai che sono tuo.”
Sherlock ruotò gli occhi verso l’altro alla conferma di John, ma finì col farsi trascinare verso il viso del tutor al quale sorrise dolcemente “Va bene, cercherò di trattenermi.” gli posò la mano destra dietro la nuca, trattenendolo vicino a sè abbastanza per poterlo baciare nuovamente “In bocca al lupo, John.”
John lo baciò a stampo un’ultima volta prima di allontanarsi “Crepi!” poi si voltò, scavalcando il disordine sparso per la stanza per poter raggiungere la porta “A dopo, piccolo. Fai il bravo.” ammiccò, quindi chiuse la porta dietro di sè.
Sul volto di Sherlock permase un vivissimo sorriso anche dopo l’uscita di John dalla stanza: sospirò leggermente prima di muoversi dalla propria posizione a favore del bollitore elettrico che avviò e il cui borbottio riempì l’ambiente dopo poco più di un minuto dall’accensione.
 
Non passarono neanche dieci minuti quando sentì bussare alla porta della stanza 221. Scosse il capo, parlando ancor prima di aver aperto “Cosa ti sei dimenticato?” chiese a colui che pensava fosse John, ma che si rivelò, una volta aperta la porta, un postino svogliato che gli consegnò quella che aveva tutta l’aria di essere una cartolina precetto. (1)
“John Watson?” domandò il giovane, senza neanche togliersi le cuffie dalle orecchie.
Sherlock impiegò un po’ di tempo per rispondere, poichè tutta l’attenzione di cui disponeva andò a concentrarsi sul foglio che il giovane gli stava porgendo "...sì?”
“Devi firmare.” sbuffò il postino, che gli porse una ricevuta sulla quale Sherlock falsificò in modo eccellente la firma del proprio amico, coinquilino, partner.
“Bon!” si congratulò ironicamente il ragazzo che, prima di andarsene, consegnò nelle mani di Sherlock la posta destinata a John, la cartolina precetto con cui gli veniva comunicato l’avviso di arruolamento nell’Esercito Inglese.
Sherlock chiuse la porta di sè e appoggiò la cartolina sulla propria scrivania con mani tremanti: quei due mesi erano trascorsi così in fretta ed in maniera così idilliaca, che il pensiero dell’arruolamento di John gli era fuggito dalla mente. Guardò quella cartolina di sottecchi, studiandola da lontano come si fa con qualcosa di estremamente pericoloso: si passò le mani davanti al viso ed iniziò a valutare le diverse opzioni da poter mettere in pratica, una più dannosa dell’altra. Sherlock si ritrovò nell’imbarazzante situazione di non riuscire a pensare nulla di utile: non avrebbe potuto nascondere semplicemente quella lettera, o l’Esercito avrebbe accusato John di renitenza alla leva(4), e l’idea di nascondere qualcosa a John non lo entusiasmava egualmente. Tuttavia il desiderio di tenerlo con sè, al sicuro, era più forte di qualsiasi altro campanello d’allarme.
Dopo una mezzora di incertezza e di sfocata lucidità, decise di affidarsi all’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo in quel momento: era riluttante all’idea di chiedergli un favore, ma per John avrebbe fatto l’impossibile. Prese in mano il cellulare e digitò in fretta un sms.
 
Vieni subito qui. Ho bisogno del tuo aiuto. SH
 
Per la Regina, tu che chiedi il mio aiuto. E’ così grave? MH

Sì. Ora smettila di gongolare e vieni qui. Subito. SH

Arrivo. Stai bene? MH

Fisicamente sì, se è quello che ti preoccupa. SH

Prima arriverai e prima potrò spiegarti la situazione. SH

Sono già in macchina. MH

Sherlock si sedette sul divano, appoggiò i gomiti sulle ginocchia ed infilò la testa tra i propri avambracci, iniziando ad esercitare una consistente pressione sulle proprie tempie, provando a scacciare via il mal di testa che gli era scoppiato. Lo distrasse solo il suono del cellulare che gli annunciava un nuovo sms.
 
Sono il decimo della lista! Impazzirò prima! JW

Sherlock non riuscì a non sorridere, nonostante la batosta che lo investì in pieno solo poche decine di minuti prima: tirò sù col naso e rispose al messaggio di John.

Si sgualcirà la camicia prima che sia il tuo turno. SH
 
Cavolo, è vero! Non devo appoggiarmi quando sto seduto! JW

Dovevo portarti con me, almeno sapevo come passare il tempo. JW

Sto conducendo un esperimento, ma se vuoi mollo tutto e ti raggiungo. SH

No, no. Fai pure. Non distruggere nulla, ok? JW

Tranquillo. Ci tengo alla nostra stanza. SH

Bene. Mi metto a ripassare le ultime cose. Ciao gatto, a dopo. JW

Mrew. SH

Sherlock scosse il capo dopo aver inviato la risposta: non avrebbe voluto che tutto ciò che aveva con John finisse. Aveva ormai ammesso a se stesso da tempo che era diventato dipendente da John, dal suo amore, dai momenti passati insieme, da tutto ciò che comprendeva lo stare assieme a lui. Incassò nuovamente la testa in mezzo alle propria braccia, nascondendo il volto, rivolgendolo verso il basso, cercando di calmare il respiro che andava sempre più intensificandosi e che riuscì a sfogare con poche, piccole lacrime che gli inumidirono gli occhi rendendoli, come avrebbe detto John, ancora più belli.
 
Quando Mycroft arrivò di fronte alla stanza numero 221, non si preoccupò di bussare: le porte per lui erano sempre spalancate e, anzi, se ce n’era una che era sempre stata difficile da aprire era proprio quella di Sherlock. Ma in quella circostanza particolare, in quel caso in cui Sherlock gli aveva chiesto aiuto di sua spontanea volontà, si sentì libero di violare quell’ingresso senza ricorrere alle procedure dettate dalla buona educazione.
Richiuse la porta dietro di sè prim’ancora di individuare Sherlock nel silenzio della stanza: poi lo vide, rannicchiato su se stesso, taciturno e appena appena tremolante, col viso nascosto tra le braccia. Lasciò cadere l’elegante trench e l’immancabile ombrello e, incurante delle eventuali proteste che Sherlock avrebbe potuto lamentare, gli si sedette accanto e strinse le braccia attorno alle sue spalle, facendogli sentire la sua importante e significativa presenza.
Mycroft sentì Sherlock trasalire appena sotto la sua presa, ma, contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, il minore degli Holmes non si sottrasse e, anzi, sciolse la stretta attorno al proprio viso, appoggiandolo al petto del fratello per nasconderlo parzialmente tra la stoffa del bell’abito classico.
Fu il turno di Mycroft, a quel punto, di sentirsi sorpreso e leggermente a disagio di fronte ai gesti di Sherlock che, per la prima volta in vita sua, gli parve totalmente diverso e illeggibile: una volta ripreso il controllo della situazione, fece vagare lo sguardo lungo la stanza, alla ricerca di qualche indizio. Per prima cosa fu rincuorato di non vedere alcuna siringa ai piedi del divano: visto lo stato in cui aveva trovato Sherlock, pensò che il suo umore fosse figlio di una particolare paranoia dovuta all’effetto della cocaina. Tirò un sospiro di sollievo mentre cercava qualche segno che gli lasciasse intuire a cosa fosse dovuto il malumore di Sherlock, ma non riscontrò nessun segno di lotta, di particolari litigi, nulla di così eclatante da poterlo aiutare a capire cosa stesse provando suo fratello e si sentì nuovamente a disagio nel provare una sensazione di impotenza e di inadeguatezza.
“Sherlock.” ruppe il silenzio, dunque, cercando in suo fratello la risposta a quel dilemma “Cos’è successo? Non ci sentiamo da gennaio, pensavo che non ci fossero problemi, per quello ho preferito non disturbarti e lasciarti i tuoi spazi.” Mycroft sospirò e mentre con la mancina accarezzava i capelli di Sherlock, con la destra provava ad alzargli il viso.
Sherlock si impose di ritrovare l’autocontrollo necessario per affrontare quella conversazione con Mycroft senza uscirne fuori troppo imbarazzato e annichilito: conosceva l’intelligenza di suo fratello e, sebbene fosse convinto che non avrebbe mai utilizzato quel suo momento di debolezza contro di lui, in futuro, per scherno o per gioco, desiderava comunque rimanere al suo livello dal punto di vista razionale. Prese un profondo respiro prima di alzare lo sguardo su Mycroft, dal quale si staccò, riguadagnando la propria seduta sul divano “Mi serve il tuo aiuto.” si schiarì la voce e non potè non notare l’occhiata che il fratello gli lanciò all’altezza delle braccia, all’interno dei gomiti “Non mi faccio più, Mycroft. Puoi stare tranquillo. Te l’ho detto, fisicamente sto bene.”
Mycroft si rilassò sul divano, incurante del fatto che Sherlock avesse notato la propria occhiata, se la risposta che ne conseguì era rosea come quella appena ricevuta “Allora cosa succede, Sherly?” si corresse poi, tossendo appena “Sherlock.”
Sherlock si alzò dal divano e recuperò la cartolina precetto dalla propria scrivania “Mi serve che fermi questa cosa.” tornò seduto affianco a Mycroft, al quale porse il pezzo di carta incriminato “Hai il potere per farlo?”
Mycroft prese in mano la cartolina d’arruolamento e gli bastarono pochi secondi per capire di cosa si trattasse “Ho capito.” sussurrò, rigirandola tra le mani, leggendo il nome di John nello spazio riservato al destinatario “Avevo letto nella sua cartella che aveva già frequentato l’accademia militare, ma non credevo l’avesse fatto con lo scopo di arruolarsi, un giorno.”
“Puoi fermarlo?” domandò Sherlock, nuovamente, smettendo di guardare la cartolina a favore del volto di Mycroft sul quale si soffermò.
Mycroft memorizzò la data di convocazione e gli altri dettagli scritti sulla cartolina prima di appoggiarla sul tavolino davanti al divano: si voltò, quindi, ricambiando lo sguardo di Sherlock che non aveva mai visto così vivo e si riscoprì in parte geloso di John Watson, l’unico che era stato in grado di entrare nel cuore di suo fratello senza alcuna forzatura.
“Mycroft. Hai il potere per farlo?” chiese ancora Sherlock, per poi confessare, in modo che Mycroft capisse fino in fondo il suo desiderio “Stiamo insieme da due mesi.”
“State insieme?” finalmente Mycroft ruppe il silenzio e lo fece con quella domanda retorica che lo fece sussultare “Perchè non mi hai detto nulla?” domandò, per poi aggiungere “E’ grazie a lui che hai smesso con la cocaina?” quindi incalzò “Dov’è lui adesso?”
“Mycroft, calmati, sembri una quindicenne a caccia di pettegolezzi.” Sherlock fermò in quel modo la serie di domande che sembrava non voler finire troppo presto “Sta dando un esame e sì, è grazie a lui se ho smesso. Non ti dico che litigata quando mi ha scoperto. E poi, la sera stessa... è successo.”
Una musica di sottofondo accompagnò le parole dell’Holmes Senior “Dio lo benedica, ti ha fatto smettere. Sapevo che sarebbe stato positivo per te.” commentò Mycroft prima di prendere in mano il proprio cellulare e rifiutare una chiamata.
“Sì, ma Mycroft, è questo il problema.” Sherlock battè il pugno destro sul tavolino, sopra la cartolina “Non posso perderlo ora. Puoi fare qualcosa?”
“Lui non sa ancora che è arrivata la cartolina, suppongo.” Mycroft sospirò prima di alzare la mano destra sulla spalla di Sherlock “Tu vorresti che io trovassi il modo di annullare la sua convocazione, è così?”
Sherlock annuì “Sì. Hai il potere per farlo?” domandò per l’ennesima volta prima di osservare la cartolina con una cattiveria tale che suggerì il suo intimo desiderio di fulminarla col solo ausilio dello sguardo.
Mycroft era combattuto: da un lato, mettendo da parte quella sensazione di innocente gelosia che provava, era felice di vedere in maniera tangibile i sentimenti che Sherlock provava e che lo rendevano lucente e quanto mai umano, quindi, a sua volta, non avrebbe voluto che John Watson partisse lasciandolo nuovamente solo. D’altro canto, non solo capì che finchè lo avesse aiutato a risolvere ogni situazione di difficoltà, Sherlock non sarebbe mai cresciuto fino in fondo, preferendo continuare a scappare di fronte ai problemi piuttosto che affrontarli di persona. A Mycroft premeva che Sherlock crescesse anche dal punto di vista emotivo e, anzi, grazie alla presenza di John Watson si era finalmente presentata la possibilità concreta per riuscire a farlo, quindi decise di mettersi da parte, almeno per il momento “Io suppongo che tu tenga molto a lui.”
Sherlock annuì nuovamente, non riuscendo a capire dove il fratello volesse andare a parare “Sì, proprio per questo te lo sto chiedendo.” ripetè dunque, quasi scocciato.
Mycroft gli sorrise “Vorresti veramente mentirgli su qualcosa di così grande?” alzò la mano verso lo zigomo destro di Sherlock, improvvisando una piccola carezza su quei lineamenti così taglienti, eppur così particolari.
Sherlock rispose in maniera del tutto istintiva, diversamente dalla studiata razionalità che solitamente constraddistingueva ogni suo dialogo “Se servisse a non farlo partire...” si bloccò, tuttavia, accorgendosi dell’errore in cui era caduto. Conosceva John e sapeva bene che un comportamento del genere non gli sarebbe piaciuto e, inoltre, anche lo stesso Sherlock avrebbe preferito continuare quella relazione in completa trasparenza. Sospirò, dunque, osservando la mano di Mycroft che si avvicinava al proprio volto: rimase immobile, lasciandolo fare, quindi rispose alla sua domanda “Non lo so.”
Mycroft nascose con grande maestria le emozioni sprigionate da quel momento di intimità: gli piacque molto donare quella carezza a Sherlock e si sentì come se, in qualche modo, con quella concessione, anche suo fratello gliene avesse fatta una “Avete già parlato di questa cosa? Del suo arruolamento?”
“Non da quando stiamo insieme.” negò Sherlock, abbassando lo sguardo.
Mycroft spostò la propria mano fin sotto il mento di Sherlock, invitandolo a rialzare lo sguardo su di lui “Parlagliene. Magari ha cambiato idea, visto che ora avrebbe una ragione per restare.”
Sherlock rialzò il viso, ma non lo sguardo, nuovamente ancorato alla cartolina “E se avesse una ragione per partire?”
“E lasciarti qui? Dovrebbe essere una valida ragione.” il tono di voce di Mycroft era basso, sia per volume che per colore, desideroso di cullare l’animo inquieto di Sherlock.
Sherlock scosse il capo, fuggendo così dalla mano di Mycroft, il cui polso strinse con forza, a mo’ di appiglio “E se esistesse questa valida ragione?”
“Allora dovrai decidere se varrà la pena aspettarlo.” Mycroft non potè fermare quella frase, troppo pragmatico nel suo stile di vita per non pensarla in termini utilitaristici anche in quel caso: è bene e giusto ciò aumenta la felicità, il resto va lasciato da parte.
Sherlock si stupì di quell’affermazione, tanto quanto poi lui stupì Mycroft con la propria risposta sicura “Certo che ne varrà la pena.”
Mycroft sorrise soddisfatto, ma intuì che c’era qualcos’altro a tormentare Sherlock “Allora...”
Sherlock confermò la tesi di suo fratello interrompendolo subito “Ma se... Mycroft, diamine, andrà in guerra! Potrebbe non tornare!” sbottò, prima di ritrovare una certa dose di calma, quanto meno nel tono di voce “No, no, no.” ripetè quell’unica, pesantissima, sillaba più volte, prima di inoltrare la sua persistente richiesta “Devi fermarlo.”
“Sherlock. Tu fidati di me, parlane con lui.” ripetè Mycroft a sua volta, insistendo con quel suggerimento, desideroso che Sherlock riuscisse ad accettarlo e a metterlo in pratica “Farai sempre in tempo a chiedermi di fermarlo.” confermò, infine, offrendogli un opzione aggiuntiva che, in cuor suo, sperava non dovesse utilizzare.
Sherlock sembrò calmarsi sensibilmente “Davvero?”
“Sì, potrò fermarlo anche il giorno prima della partenza.” annuì Mycroft, per poi dare man forte alla propria tesi “Ma non credo sia la cosa giusta da fare.”
“Mycroft...” sbuffò Sherlock, smuovendo l’enorme massa di ricci neri con entrambe le mani, grattandoli a lungo “I sentimenti sono un casino.”
Mycroft rise di fronte a quell’espressione accigliata incorniciata dai ricci neri che, dopo la strigliata, erano ancora più ribelli “Sì, ma lasciati dire una cosa.” gli si avvicinò ed abbassò il tono di voce, come se gli stesse rivelando un segreto “Non ti ho mai visto così vivo, Sherlock. Sei magnifico, brilli di una luce tutta tua.” aggiunse, poi “Devo proprio ringraziare John Watson, per averti donato una nuova vita.”
Sherlock si imbarazzò per quelle parole, tanto che indietreggiò sul divano, tossendo leggermente. Apprezzò, tuttavia, quel che Mycroft aveva fatto: la sua corsa per raggiungerlo, la sua disponibilità e, infine, proprio le stesse parole che avevano finito con l’imbarazzarlo. Rialzò lo sguardo su di lui dopo qualche istante, sorridendo leggermente “Grazie per essere venuto subito.”
“Sei il mio unico fratellino.” si impettì Mycroft, lisciandosi teatralmente il panciotto sotto la giacca del vestito. Sorrise, poi, addolcendo la propria espressione “Proteggere te e la mamma sono i compiti più importanti della mia vita.”
Sherlock sorrise di rimando, per poi agitare le mani in aria “Ok. Oggi ci siamo abbandonati a fin troppi sentimentalismi.” si irrigidì a sua volta in una postura più austera “Che ne dici, torniamo ai nostri vecchi standard?”
“Mh, sì.” annuì Mycroft, indossando la sua metaforica maschera di supponenza e cinismo “Suppongo sia più divertente.”
Sherlock si alzò dal divano, raccogliendo da terra il trench e l’ombrello che poi offrì a Mycroft “Beh? Cosa ci fai ancora qui allora?”
Mentre si alzava, Mycroft buttò occhiate in tutta la stanza, fingendo una fittissima ricerca di dettagli “Mi diverto a spiarti, ovvio.” si avvicinò poi a Sherlock dalle cui mani recuperò ombrello e trench, per poi avvicinarsi alla porta della stanza “A presto, Sherlock.”
“A non così tanto presto, Mycroft.” salutò a sua volta il fratello al quale schioccò un piccolo sorriso, nascosto dalla sua maschera di supponenza, ma ben visibile agli occhi di Mycroft, che abbandonò la stanza soddisfatto come mai prima di quel momento dopo una conversazione con suo fratello.

Verso mezzogiorno, dopo aver ricevuto un sms da parte di John, Sherlock scese nel cortile adiacente il campo da calcio e, già a diverse decine di metri di distanza, potè riconoscere le urla di gioia del proprio compagno che, già in pantaloncini e maglietta, esultava il superamento dell’ultimo esame accademico.
Quando anche John si accorse della presenza di Sherlock nel cortile, gli corse incontro a braccia aperte, urlando felice “Chi ha appena dato l’ultimo esame? Chi è?” rise poi, liberando tutta la tensione “Sono libero!” festeggiò abbracciandolo velocemente per poi iniziare a trascinarlo in mezzo agli altri suoi amici.
“L’avevo detto che ce l’avresti fatta senza problemi!” Sherlock lo seguì: non era molto a suo agio in mezzo agli amici di John, ma non avrebbe fatto nulla per rovinare quel momento così speciale per lui “Sei il migliore, John.”
Quando John si riunì al gruppo, urlò nuovamente, accompagnato da altri due suoi amici che in quella stessa mattinata avevano superato a loro volta il loro ultimo esame: Sherlock sorrise di fronte alla gioia sprigionata dal suo partner, davanti a quella felicità così esplicitamente manifestata da fargli dimenticare per qualche istante la tristezza provata all’arrivo della convocazione per la leva militare. Fu distratto solo quando sentì qualcuno tossicchiare alle proprie spalle: si voltò e dopo aver sbuffato, si sforzò di salutare “Sarah. Ciao.”
“Sherlock.” ricambiò Sarah, schioccandogli un’occhiata particolare, ormai rassegnata e al tempo stesso divertita di fronte all’antipatia che la matricola provava nei suoi confronti “Come stai?”
“Bene.” s’affrettò a rispondere Sherlock, per poi cercare d’attirare l’attenzione del proprio compagno “Ehm. John?”
Quando sentì chiamare il proprio nome, John raggiunse rispettivamente la propria ex con la quale era felice di aver mantenuto un ottimo rapporto di amicizia, ed il proprio attuale compagno, l’essere umano più geloso e possessivo dell’Inghilterra e, forse, di tutto il pianeta “Ciao Sarah!” le sorrise prima di spostare la propria attenzione sulla matricola “Sì, Sherlock?”
Sherlock allacciò teatralmente le proprie braccia al petto, alzando gli occhi al cielo in un’espressione melodrammatica “Non mi hai neanche dato un bacio quando mi hai salutato.”
John si irrigidì sul posto, prevendendo un ciclone in arrivo: cerco tuttavia di dissimulare quella dimenticanza con finta leggerezza “Ah sì? Scusa, ero troppo preso dalla questione dell’esame.”
Sherlock gli sorrise, fingendo a sua volta un’amnistia che evidentemente non stava per essere messa in atto “Non importa, sei perdonato.” infatti il suo sorriso mutò, da pacifico a malizioso “Dammelo adesso.”
“Adesso?” domandò John, alternando lo sguardo tra Sarah, che si stava godendo la scenetta dal tipico accento pre-coniugale, e l’implacabile Sherlock “Adesso, adesso?”
“Il termine ‘adesso’ ha un solo significato.” ironizzò Sherlock, sciogliendo la presa delle braccia per puntellare le mani sui propri fianchi “O non vuoi baciarmi perchè c’è Sarah?”
John tossicchiò “Effettivamente non sarebbe molto carino farlo davanti a lei.”
“Perchè?” domandò Sherlock, spostando a sua volta lo sguardo su Sarah per qualche istante.
“Perchè è una mia ex.” provò a giustificarsi John, sebbene fosse consapevole che quella spiegazione non avrebbe accontentato Sherlock.
Sherlock arricciò le labbra in avanti, chiaramente oltraggiato da quella spiegazione “Appunto, ‘ex’, dovrebbe essersi messa l’animo in pace, ormai.”
John si sentiva sempre più in mezzo a due fuochi: da un lato Sarah che rideva di nascosto, dall’altro Sherlock in veste di inquisitore “Sì, ma... ci siamo lasciati... si può dire per causa tua, praticamente, quindi non sarebbe molto carino se...”
Sherlock lo interruppe prontamente, precisando la realtà dei fatti con una certa soddisfazione “Vi siete lasciati perchè tu volevi stare con me.”
John deglutì: era così perdutamente innamorato di Sherlock che non riusciva a contraddirlo di fronte a quelle frivolezze “Non fa una piega, ma...”
Sherlock, d’altro canto, si divertiva ad approfittarsene, a volte inconsciamente, molto più spesso in maniera del tutto deliberata “Ma cosa?”
“John, ti prego bacialo.” Sarah intervenne a salvare la situazione: si era divertita a sufficienza, così pensò bene di dare a John il via libera per assecondare il capriccio di Sherlock “Fa saltare i nervi a me, non capisco come possa sopportarlo tu.”
“Perchè è innamorato. Profondamente. Di me.” sottolineò Sherlock, non senza una punta di orgoglio a colorargli il tono di voce “Fatti delle domande e datti delle risposte.”
“E stai un po’ zitto.” John lo interruppe con un bacio che suscitò applausi e gridolini di gioia in tutto il resto della compagnia di amici che li circondava.
Sherlock tenne John stretto a sè anche quando il tutor si staccò dalle sue labbra “Ci voleva tanto?”
“Più tardi te la faccio pagare.” gli sussurrò John a fior di labbra, staccandosi da lui con una lentezza calcolata che lasciava una scia luminosa di malizia che fece rabbrividire Sherlock sotto il suo tocco: si allontanò, quindi, unendosi al resto della squadra di calcio che lo stava aspettando “Fai il tifo per me, e portami fortuna, Shamrock!”
Sherlock annuì ed agitò la mano per salutarlo “Divertiti, John.” lo seguì con lo sguardo mentre si avvicinava alla porzione di prato antistante i confini del campo da calcio: era un’università prestigiosa, ma quella non era una partita ufficiale, quindi dovevano accontentarsi del terreno all’aperto, senza gradinate e panchine. Fu raggiunto da Sarah che gli si sedette accanto, incurante del fatto che fosse d’accordo o meno “Non sentirti in dovere ti starmi appiccicata.”
“Piantala con questo atteggiamento, sù. Sei infantile.” lo stroncò Sarah, alzando le mani fin sui capelli, legandoli con una molletta “Non ti dico diventare amici del cuore, ma almeno riuscire a stare nello stesso quadrato d’erba sì.” sbuffò, per poi aggiungere “Non devi farlo per me, ma per John.”
Sherlock sbuffò, ma il suo silenzio fece capire a Sarah che acconsentiva a quella richiesta.
Quando arrivò al campetto anche il ragazzo che era stato scelto come arbitro della partita, lo scontro iniziò: amici e fidanzate dei calciatori iniziarono a far sentire la propria presenza tifando e applaudendo qualche particolare giocata e la bella giornata primaverile contribuì a rendere quell’atmosfera ancor più rilassante per quasi tutte le persone coinvolte in quell’evento. Quasi tutte: Sherlock, infatti, una volta abbandonatosi nei propri pensieri, riprese a rimuginare sulla cartolina arrivata in mattinata e su cosa sarebbe stato giusto fare.
Il rapporto, prima d’amicizia e poi d’amore con John, lo spinse a fare qualcosa di inaspettato: si voltò verso Sarah, cercando consiglio in colei che fu la sua maggior nemica “Sarah? Posso... chiederti un consiglio?”
Sarah avrebbe senza dubbio voluto rispondergli con sagace ironia, ma quando vide l’espressione seria sul volto di Sherlock, si adeguò alla situazione: era una ragazza molto adulta e responsabile, quindi, nonostante quel ragazzo gli avesse causato una certa dose di tristezza solo non pochi mesi prima, si rese disponibile “Dimmi. E’ successo qualcosa che ti preoccupa?”
Sherlock annuì appena, spostando lo sguardo che seguiva le continue corse di John sul campo da calcio “Lui ancora non lo sa, ma questa mattina è arrivata la cartolina di convocazione per entrare nell’Esercito.”
“Oh.” l’espressione stupita di Sarah, lasciò presto spazio ad una ben più consapevole e, almeno in parte, rassegnata “Sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato.”
Sherlock sospirò, staccando con difficoltà lo sguardo da John a favore di Sarah, verso la quale, tuttavia, riportò la propria attenzione “Tu come riuscivi a sopportarlo?”
“Io? Beh... diciamo che ero sicura che non saremmo stati insieme per molto. Già da prima che arrivassi tu.” seguì John con lo sguardo a sua volta, caricando i propri occhi col peso di una malinconica accettazione “Quindi ero preparata all’idea che ci saremmo lasciati una volta che lui fosse partito.”
Sherlock scosse vigorosamente il capo, dando vita ai ricci neri che manifestavano tutta l’elettricità del proprio stato d’animo “Beh, non è il nostro caso. Noi non ci lasceremo!” decretò con sicurezza, parlando, come spesso succedeva, anche a nome di John. Il pensiero della partenza del proprio partner continuava a tormentarlo e desiderava confrontarsi con chi c’era passato prima di lui, se non altro che cogliere qualche suggerimento “Non hai mai pensato all’idea di non farlo partire?”
Sarah rise, di circostanza “Come se io avessi avuto il potere di farlo.”
“Ammettendo che tu avessi avuto quel potere...” la incalzò Sherlock, assottigliando lo sguardo su Sarah “L’avresti fatto?”
“No Sherlock...” Sarah scosse il capo più volte “Non farlo.” ripetè lo stesso concetto, arrivando anche a stringere la spalla destra di Sherlock con la propria mano, dando man forte a quel pensiero “E’ importante per lui.”
Sherlock si agitò un poco sotto la stretta di Sarah, spostando la spalla per sottrarsi alla sua presa “Sì, ma io non voglio perderlo.”
Sarah ignorò le proteste di Sherlock, versò il quale alzò nuovamente la mano, come se con quella presa, potesse anche fermargli le intenzioni “Rischieresti di perderlo, invece. Proprio facendogli una cosa del genere alle spalle.”
“Perchè?” sospirò Sherlock, con un’innocenza nella voce che era l’emblema dell’enormità di quella domanda “No, ho capito che si arrabbierebbe se gli facessi una cosa del genere di nascosto, ma perchè ci tiene così tanto?” i suoi occhi era fissi in direzione di John e si muovevano freneticamente alla ricerca di una soluzione “Magari ora che ha me... insomma... non vorrà più farlo.”
“Sherlock...” sospirò Sarah a sua volta, intenerita dal sentimento sincero che Sherlock stava dimostrando di provare e altrettanto frustrata dal non potergli offrire una soluzione “C’è una ragione dietro la sua partenza.”
Sherlock si voltò di scatto verso Sarah, con una smorfia di stupore disegnata sul volto “Quale?”
“Non devo essere io a dirtela.” Sarah sembrava più che convinta a riguardo: il tono di voce e l’espressione seria del viso lo confermavano “E’ giunto il momento che ne parliate.”
Sherlock rimase in silenzio per qualche istante, chiudendo gli occhi quando una corrente d’aria ribelle gli colpì il viso, scompigliandogli i capelli: non riuscì tuttavia a far volare lontano il suo pensiero fisso “Io non voglio che parta...”
Sarah dovette leggere qualcosa di particolare nel volto della matricola poichè si allarmò, arrivando a strattonarlo per la spalla senza usare la stessa premura usata precedentemente “Sherlock, no. Guardami.” premette sulla spalla di Sherlock finchè questi non alzò lo sguardo verso di lei “Non nascondergli niente e ancor più importante, non fargli nulla alle spalle. Mai.”
Sherlock si sentì strattonare da Sarah finchè non riuscì a persuaderla in maniera convincente del fatto che non avrebbe nascosto nulla a John e che gli avrebbe parlato circa l’argomento già ampiamente discusso sia con lei che con Mycroft.
Si chiuse poi in un lungo silenzio, dal quale venne risvegliato dall’esultanza per il gol di Mike Stamford: vide John e i suoi compagni di squadra inseguirlo fino a che non riuscirono a buttarlo per terra per festeggiarlo a dovere e rise per tutto quell’inutile spreco di energie, che tuttavia sembrava essere molto divertente. Dopo che tutti i calciatori ripresero posizione, Sherlock vide John salutarlo velocemente prima di riportare la propria attenzione al gioco e ricominciare a correre: la matricola sorrise spontaneamente a quel cenno, ricordandosi, ogni qual volta pensasse a lui, quanto valesse la pena sottostare ai sentimenti pur di provarli assieme al suo compagno.
Quando poi sentì Sarah ridere per una caduta particolarmente acrobatica dello stesso Mike, Sherlock riportò lo sguardo su di lei “Perchè mi hai aiutato?”
“Perchè voglio bene a John.” rispose Sarah spontaneamente, senza neanche doverci pensare più di tanto “Lo conosco da quasi cinque anni e da quando state insieme... beh, non l’ho mai visto così felice.”
Sherlock sospirò, quindi introdusse un nuovo discorso che evidentemente lo imbarazzava, perchè iniziò a gesticolare molto come per darsi la carica “A volte sono stato... con te, dico.”
Sarah inarcò un sopracciglio e si sporse un poco verso di lui “Sì?”
Sherlock alzò gli occhi al cielo e tra le varie parole che gli si presentarono di fronte, ne scelse una che si sentì spesso pronunciare da persone a cui aveva dedotto particolari della propria vita i cui smascheramenti, evidentemente, non erano stati richiesti “Stronzo?”
“E’ il tuo modo per chiedere scusa?” ridacchiò Sarah, che apprezzò, in verità, quell’enorme passo avanti da parte di Sherlock “Basta dire ‘scusa’, sai?”
“Sarah, non esagerare.” sbuffò Sherlock mentre continuava a guardare la partita senza in realtà nutrire grande interesse, eccezion fatta per la presenza di John in campo.
Sarah si zittì a sua volta per diversi minuti prima di rompere il silenzio “Se ti farà piacere, ti aiuterò quando lui sarà via.”
Sherlock sembrò nuovamente perplesso “Di nuovo... perchè lo dovresti fare?”
“Per lo stesso motivo di prima, perchè voglio bene a John e so che lui sarebbe più tranquillo se io ti tenessi d’occhio.” estrasse dalla borsa una bottiglietta d’acqua naturale il cui tappo iniziò a svitare “E senza di lui potresti aver bisogno di aiuto.”
Sherlock si risentì appena “Non mi drogo più.” tagliò corto, nascondendo istintivamente le braccia intrecciandole all’altezza del petto.
“Non parlo solo di quello.” Sarah bevve qualche sorso d’acqua, per nulla intimorita dalla reazione di Sherlock: d’altro canto, era stata abituata a subire anche una maggior freddezza ed ostilità da parte sua “Parlavo in generale. Perchè per quanto tu possa insistere col dire che non hai bisogno di nessuno a parte John, non puoi resistere da solo senza di lui.”
Sherlock non rispose a quelle parole, interiorizzandole tutte, riscrivendole sulla lavagna del proprio Palazzo Mentale, registrando l’intonazione e riascoltandola più volte per provare ad intuire quali sentimenti muovessero le intenzioni di Sarah. Sembrava sincera, lo era sempre stata, d’altronde, sia nelle sue offerte d’aiuto, che nei rimproveri nei suoi confronti.
Sarah interruppe l’ennesimo silenzio di Sherlock, come se avesse intuito i dubbi della matricola riguardanti le sue precedenti parole “Ora puoi anche negare il bisogno di un aiuto, ma sappi che se verrai a cercarmi, io ci sarò.”
Sherlock si soffermò sugli occhi scuri e sinceri di Sarah, sciogliendo finalmente la propria espressione in un piccolo sorriso “Suppongo di doverti dire...” si grattò la nuca, poichè non era abituato a dire quella particolare parola che aveva imparato a dire senza alcuna esitazione solo a John “Grazie.”
You’re welcome!” rispose Sarah, allargando finalmente il sorriso, attribuendogli un calore tipico della sua gentilezza.
Rimasero in silenzio fino alla fine della partita, che durò un altro quarto d’ora prima che lo studente di Scienze Motorie adibito al ruolo arbitro concesse teatralmente il triplice fischio che decretò la fine della partita e la squadra di John come la vincente dello scontro. Gli amici e le fidanzate dei calciatori applaudirono i componenti di entrambe le squadre che, dopo un molto sbrigativo terzo tempo(2), si divisero, ciascuno diretto verso il proprio compagno o verso il proprio gruppetto.
Nella fattispecie, John raggiunse Sherlock compiendo a carponi gli ultimi cinque metri di prato “Amore. Stanco. Acqua.” biascicò prima di sdraiarsi addosso al proprio compagno, appoggiando la parte superiore della schiena sull’addome di Sherlock che aprì le gambe per permettere quell’operazione.
“Ehm... sì.” Sherlock annuì quasi balbettando, andando completamente in un’estatica confusione nel sentirsi affibbiare quell’epiteto: era totalmente imbambolato, tanto che rubò la bottiglietta d’acqua dalle mani di Sarah senza neanche chiedere il permesso e senza, oltretutto, guardarla in faccia “Tieni.”
“Eh-ehm.” fu la lieve protesta di Sarah “Amore?” li canzonò poi, per poi sbuffare platealmente “Non mi ci hai mai chiamato così, John.”
John rischiò di affogare in un sorso d’acqua per l’ennesima gaffe compiuta davanti alla sua ex ragazza “Scusa, Sarah. Mi è uscito spontaneo...” tossicchiò per poi riuscire finalmente a bere “A proposito... ho visto che avete parlato un sacco, il mondo sta forse finire?” alzò lo sguardo, rivolgendo la domanda prevalentemente a Sherlock piuttosto che all’aspirante medico.
Sherlock rimase in silenzio ancora qualche altro istante, riascoltando nella propria mente la parolina magica che aveva scatenato in lui un dolce imbarazzo unito ad una maggiore aspettativa: abbassò le mani sul volto di John, tamponando con la manica della giacca il sudore che gli imperlava la fronte e le guance. Sorrise, infine, prima di chinarsi e osservare il viso di John sottosopra prima di dargli un bacio in quella strana posizione, finendo col toccargli il mento con la punta del naso e col farsi solleticare il collo dai capelli corti e spettinati dell’altro. Quando ritornò dritto, vide con piacere che John gli stava sorridendo “Ho chiesto dei consigli a Sarah. E lei è stata così gentile da aiutarmi.”
Sarah sorrise ad entrambi, quindi si alzò velocemente in piedi, sbattendo le mani sui pantaloni per scacciare un po’ di sporcizia “Vi lascio un po’ di privacy, piccioncini.” con grande stupore da parte di John, la ragazza fece l’occhiolino a Sherlock prima di congedarsi dai due dopo un rapido saluto, incamminandosi in direzione di Mike e degli altri amici presenti nel cortile.
“Ti ha fatto l’occhiolino.” notò John, stupefatto “Ti ha fatto l’occhiolino.” ripetè, ancor più sgomento “Dimmi la verità, vuole vendicarsi di me provandoci con te? Ci ha provato con te?” domandò sulla scia della sorpresa che gli si era presentata di fronte: non solo la sua ex e il suo attuale compagno avevano parlato tranquillamente per più di un’ora, ma sembravano anche essere entrati in buoni rapporti dopo mesi di competizione e continui litigi.
Sherlock rise per la sorpresa di John e quando intuì che l’altro avrebbe inoltrato ulteriori domande, si chinò, tappandogli la bocca con un altro bacio di fronte al quale il tutor si arrese, rilassandosi e, se fosse stato possibile, sciogliendo ogni più piccola essenza di sè. La matricola rise di fronte alla tranquillità del proprio compagno, quindi decise di non rovinare quel momento esponendo il problema della cartolina, ma John, come al solito, lo stupì.
“Sherlock, cosa c’è che non va?” domandò, con un leggero sorriso “Non fare quella faccia, vuoi che io non sappia quando qualcosa ti turba?” si spostò da quella posizione, sdraiandosi nella porzione di prato che prima occupava Sarah, invitandolo a sdraiarsi a sua volta.
Sherlock sospirò di fronte all’intuizione di John, stupendosi ogni volta per la sua facilità nel riuscire a leggerlo quando persino per sua madre e, spesso, per suo fratello era sempre stato un enigma “Sì. Qualcosa mi turba.” ammise prima di sdraiarsi affianco all’altro, in posizione supina, le mani intrecciate all’altezza dello stomaco “Mentre eri via a dare l’esame è arrivata la cartolina di convocazione per la leva.”
John si mise su un fianco e quando Sherlock si sdraiò supino vicino a lui, si fiondò sul suo viso, intento a coccolarlo amabilmente, almeno finchè l’altro non rivelò il motivo del suo cruccio: si bloccò a sua volta, deglutendo ed indietreggiando appena col viso, per poter osservare la sua reazione. Per la prima volta dopo molto tempo, John si ritrovò nella dolorosa situazione di non riuscire a trovare le parole adatte per confortare il proprio ragazzo, il proprio cucciolo smarrito, perchè era quello che suggerivano gli occhi di Sherlock. Smarrimento, confusione ed una lancinante malinconia. “Piccolo...”
“Non partire.” chiese Sherlock, spostando lo sguardo altrove poichè la volontà di riuscire a sostenere lo sguardo di John non era abbastanza in quel momento.
“Sherlock... guardami.” implorò John a sua volta, abbassando nuovamente il volto verso quello dell’altro alla ricerca del conforto che a volte solo le coccole della persona amata possono dare “Sono così felice con te che quasi me l’ero dimenticato.”
“Appunto, John.” Sherlock tornò a guardarlo, ma solo per dare man forte alle proprie parole “Sei felice qui con me.” tirò sù col naso e spostò nuovamente lo sguardo altrove, poichè sentì gli occhi pizzicargli “Non partire.”
“Devo.” sospirò John, portando la mano sulla guancia di Sherlock per farlo voltare verso di sè “Sherlock, ti prego, guardami. Ho bisogno che mi guardi.”
“Perchè devi?” Sherlock assecondò quel movimento voltandosi, ma più per eseguire il proprio interrogatorio piuttosto che per assecondarlo “C’è un motivo? Un valido motivo?” sottolineò l’aggettivo di quell’ultimo sostantivo, non capacitandosi dell’esistenza di quella eventualità.
John annuì “Validissimo.”
La tranquillità di John non fece altro che far innervosire Sherlock “Più valido che stare con me?” ringhiò quasi, spingendolo sulla schiena per potergli salire sopra a cavalcioni: con le mani gli afferrò i polsi, portandoglieli fin sopra la testa.
John lasciò sfogare Sherlock, facendosi sovrastare dal suo piccolo uragano infuriato di tristezza “Proprio perchè sto con te.” spiegò poi, provando a districare il polso sinistro da quella presa, senza però forzare quel movimento, lasciando alla volontà di Sherlock la scelta di quell’opzione “E perchè vorrò stare con te in futuro.”
Sherlock, d’altro canto, scelse di rinvigorire la stretta attorno ai polsi dell’altro “Non capisco, John. Ti giuro che non capisco.” sussurrò poi, in contrasto con la tempesta che urlava ed infuriava dentro di lui in quel momento “E’ una cosa che avevi già deciso prima di stare con me. Mi stai forse mentendo?”
“Non ti mentirei mai, Sherlock.” John rimase estremamente calmo, compensando l’umore di Sherlock, forte delle sue motivazioni “Sù, ora calmati che te lo spiego.” bisbigliò a sua volta, provando nuovamente a liberare i propri polsi, sempre con delicatezza, inoltrando un’implicita richiesta alla matricola.
Sherlock osservò John a fondò, scavando dentro la trasparenza dei suoi occhi in cui vide la sincerità delle sue parole: liberò la presa, accasciandosi sopra al compagno, il volto posato sul suo petto all’altezza del cuore “Non voglio che parti John... non voglio...”
Non appena John ebbe le mani libere, lo strinse a sé, allacciandogli le braccia attorno alla schiena “Forza, piccolo...” mormorò appena, posandogli un bacio sulla fronte prima di iniziare la propria spiegazione “Devi sapere che nel momento in cui mi arruolo come medico militare, salto tutta la trafila del tirocinio che mi rimarrebbe da fare ed inoltre guadagnerei delle gran sterline per il servizio di leva.” alzò di poco la voce, spiegando con esattezza il proprio piano come se lo vedesse disegnato con un tratteggio di china nera sulle nuvole bianche che macchiavano il cielo “Se invece rimanessi qui, non solo il tirocinio sarebbe più lungo e non retribuito, ma non avrei neanche un posto dove andare, perchè non avrei neanche il tempo per fare un secondo lavoro.”
Sherlock ascoltò tutto attentamente, ma la spiegazione di John non sembrò soddisfarlo “Quindi? Fai tutto questo per i soldi?”
“Sherlock.” lo richiamò John, stringendolo a sé in una presa salda ma ricca di dolcezza “Faccio tutto questo per noi.”
A quel punto Sherlock alzò la testa in direzione di John: si scervellò diversi istanti, ma sembrava non capire le parole del compagno “Per noi?”
“Sì. Il piano prima che ci conoscessimo era arruolarmi e basta. Fare il soldato finchè il fisico me lo avesse permesso.” John spostò lo sguardo dalle nuvole fin sul volto di Sherlock, al quale sorrise “Da quando sto con te, invece, il piano è diventato questo: dopo due anni mi congedo così ho sia l’iscrizione all’Albo dei Medici che abbastanza soldi per anticipare qualche mese l’affitto di un appartamento per noi in modo da avere un gruzzolo da parte in caso non riuscissi a trovare subito un lavoro.”(3)
Sherlock spalancò la bocca nell’espressione più stupita che avesse mai assunto in vita sua “E...” boccheggiò con la bocca impastata, perché le parole di John lo avevano colpito dritto al cuore “E se chiedessimo i soldi a Mycroft?”
John si impettì un poco sotto il corpo di Sherlock, irrigidendo la propria postura in una manifestazione di virilità “Sono un uomo, Sherlock. Non accetterei mai i soldi di tuo fratello.”
La bocca di Sherlock continuava ad essere aperta per lo stupore “Ma...” la motivazione presentata da John era a dir poco stupenda: quel ragazzo, quell’uomo aveva deciso di affrontare la guerra per regalare un futuro alla loro relazione. L’importanza di quella confessione smosse ulteriormente l’enorme sentimento che provava nei confronti di John, di fatti, la preoccupazione per la sua incolumità non era assolutamente sparita “E se tu... insomma andresti in guerra, sarà pericoloso, non c’è un altro modo?”
“Ehi, non sottovalutarmi. Ero il migliore del mio corso.” John si irrigidì nuovamente, per poi sgonfiare il petto ed assumere nuovamente la morbidezza dei propri modi di fare: voce e gestualità, entrambe addolcite per avvolgere i sensi del suo vulnerabile compagno “E poi lo faccio per noi, Sherlock. Esiste una motivazione più grande di questa?”
“Fai tutto questo per me. Per noi.” ripetè Sherlock, come se non credesse che un onore così grande spettasse a lui.
“Ora hai capito perchè è importante che io vada?” chiese John, per poi aggiungere “Tu cerca di laurearti in quei due anni, va bene? Col tuo cervello non dovrebbe essere un problema.”
“Sì ma staremo lontani per due anni.” fu la nuova protesta di Sherlock “Come farò senza di te?”
“Sei sopravvissuto senza di me per diciannove anni, Sherlock.” sospirò John a sua volta: era evidente che, nonostante fosse completamente sicuro e convinto del proprio piano, la prospettiva di stare lontano da Sherlock per ben due anni feriva molto anche lui “E poi ci sentiremo ogni tanto.”
“Hai detto bene, sono sopravvissuto.” Sherlock si mosse sopra il corpo di John, avvicinandosi maggiormente al suo viso, sul quale posò delicatamente le labbra, proprio sotto l’occhio sinistro “Solo con te ho iniziato a vivere.”
“Dio, Sherlock.” John gli prese il volto tra le mani, riuscendo così a posare a sua un leggero bacio sulle labbra del compagno “Riuscirò ad andare avanti solo sapendo che tu sarai qui.” sorrise per poi inarcare un sopracciglio con aria fintamente interrogativa “Perchè tu... mi aspetterai, vero?”
Sherlock si guardò attorno muovendo solo gli occhi “Dove vuoi che vada?”
John rise: i modi di dire comuni erano sempre un mistero per Sherlock e lui amava farsi delle risate a riguardo “No, dico. Mi aspetterai?”
Sherlock, infatti, sembrava sempre più confuso “Intendi all’aereoporto militare?”
John scosse il capo e decise di dargli un indizio: lo colse di sorpresa quando iniziò a baciarlo con una passione che fino a quel momento aveva riservato all’intimità della loro stanza. Lasciò vagare anche la mano sinistra che, dal viso, si spostò fin sul sedere di Sherlock che strizzò in una presa salda e quanto mai esplicita, azzardo che, fino a quel momento, a differenza dei lunghi e profondi baci scambiati in camera, non era ancora stato provato “Mi aspetterai o ti guarderai attorno? Due anni sono tanti.”
Sherlock trasalì per quella piacevole stretta che lo colse totalmente di sorpresa: sorrise quando finalmente capì dove il suo compagno volesse andare a parare “Idiota di un John Watson.” gli morse il labbro inferiore, giocandovi finchè non dovette parlare nuovamente “Ti ho aspettato per diciannove anni. Due più, due meno...”
“Bravo, piccolo.” gli sussurrò, carezzando il suo udito con la voce arrochita da una leggera eccitazione “E comunque abbiamo ancora qualche mese per spassarcela.”
Sherlock mugolò compiaciuto per la malizia che colse nella voce di John: sorrise poi, fermandosi per guardarlo negli occhi “Dillo di nuovo.”
“Cosa?” chiese John.
“Perchè parti.” suggerì Sherlock.
“Per il nostro futuro.” John fece una breve pausa dopo quella frase, persosi nell’espressione più dolce che Sherlock gli avesse mai regalato fino a quel momento “Per installare un clapper nel nostro appartamento.” sorrise di riflesso all’ilarità che aveva scatenato nell’altro in quel momento. Si prese, poi, un'altra piccola pausa, quindi concluse l’elenco delle proprie motivazioni “Per noi.”
Sherlock abbassò lo sguardo, spostandolo altrove, imbarazzato. Sentì John che lo avvolgeva in una presa salda e al tempo stesso dolce, ricordando in quel momento quanto l’altro sapesse giocare continuamente con quelle contraddizioni: saldo ma dolce, severo ma giusto, divertente eppur responsabile, ancorato al presente eppur proiettato verso il futuro. Tutto di John gli sembrava la combinazione perfetta che aveva dato vita al miglior essere umano che avesse mai potuto incontrare: fu quella convinzione che lo spinse ad avvicinarsi nuovamente al suo viso per sussurrargli un impicciato ma convintissimo “Ti amo.”
John bloccò i movimenti delle proprie mani che percorrevano la lunghezza delle schiena di Sherlock in continue e premurose carezze: non capì le parole della matricola, o forse le udì fin troppo bene e lo stupore parlò per lui “Eh?”
“Ho detto che ti amo.” confermò Sherlock, ripetendolo con una maggiore sicurezza, sebbene un dubbio rimase ad offuscargli la mente “Si dice... in questi casi? Vero?”
“Vorrei che me lo dicessi tutti i giorni della nostra vita.” fu la sincera e commossa risposta di John, che sentì il cuore sobbalzare per poi improvvisare un ritmo irregolare, movimentato, simile ad una marcia militaresca condotta in pompa magna.
Sherlock si rilassò enormemente dopo la risposta di John, dopo essersi assicurato di non aver detto quelle particolari parole nel momento sbagliato e nel posto sbagliato “Giuro che un giorno saprò ricambiare tutto quello che stai facendo e che farai per noi.”
John sorrise di fronte alla riconoscenza e all’amore di Sherlock, entrambi espressi dalla lucentezza dei suoi occhi che davano vita ad uno sguardo sovrannaturale, di una bellezza impossibile “Prometti di stare con me?”
Sherlock annuì subito: era così facile rispondere a quella domanda “Ovviamente.”
“Ecco, hai trovato il modo per ricambiare.” lo rassicurò John, posando entrambe le mani sul volto di Sherlock, carezzandogli la pelle diafana con la stessa delicatezza che riserverebbe ad un cristallo prezioso “Stai con me per sempre.”
“E’ una promessa.” giurò Sherlock, senza particolari segni o scongiuri, bensì suggellando quel patto con la leggera pressione delle proprie labbra su quelle di John.
“Ah!” sbottò John, poiché s’accorse di essersi dimenticato di una cosa molto importante “Anche io.”
Sherlock scosse il capo, non riuscendo ad intuire a cosa si stesse riferendo “Cosa?”
John si avvicinò all’orecchio destro di Sherlock, sussurrandogli il segreto di cui già tutto il mondo era a conoscenza “Ti amo.”
Non ci furono più parole dopo quelle tre sillabe, non in quel prato, non tutt’attorno a John e Sherlock, chiusi in una bolla d’aria, lontani dal resto del mondo, della natura, del cielo e della terra che li guardavano e che non avevano la minima intenzione di disturbare la bellezza tangibile di quel sentimento che andava fortificandosi. Tutto e tutti, incantati dal senso di pace che quelle due giovani anime emanavano, erano testimoni di quella dichiarazione d’amore e nessuno, neanche per tutto l’oro del mondo, avrebbe osato rinnegarla. 

___

(1)cartolina precetto: ho chiesto a papà "come ti hanno detto che eri stato convocato per il militare?" "erano arrivati i carabinieri(forse, non ricordo)a consegnare la cartolina precetto", ho fatto ricerche e sta cartolina precetto serve proprio per questo tipo di comunicazioni, quindi l'ho usata anche io ^^
(2)il terzo tempo nello sport è quando finisce una partita e tutti si scambiano le maglie, fanno fair play e cose del genere... nel rugby è d'obbligo e secondo me è una cosa bellissima! molto sportiva :)
(3)questa è una cosa che ho ipotizzato io, sinceramente, non so neanche lontanamente se sia vera °_° la cosa che si può concludere il tirocinio in quel modo dico... ho supposto che un ospedale militare valesse comunque, ma ripeto, non ne sono sicura. Scusate se uso una cosa del genere senza informarmi, ma mi serviva un escamotage del genere eheheh <3
(4)"renitenza alla leva" è quando non ci si presenta alla chiamata ufficiale ed è una violazione legale al regolamento, quindi punibile... ora, ai giorni nostri la leva non è più obbligatoria, ma visto che questo mio John ha fatto domanda e attendeva la chiamata, suppongo che un rifiuto non giustificato comporti una denuncia

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Capitolo 10
*** Amore fraterno ***


***Ok! Annunciaziò annunciaziò! Mi scuso in tutte le lingue che conosco (itaGliano, genovese e inglese, dunque XD) per il ritardo! Ma in questi giorni ero molto stanca e siccome sono molto affezionata a questa storia ho aspettato di ritrovare la lucidità giusta per scriverla :) insomma, non voglio deludere voi e non voglio litigare troppo con me stessa eheheh XD questa long mi ha preso e coinvolto tantissimo, quindi è più difficilotta da scrivere :D vi avverto, OOC alla grande eh! Come dall'inizio insomma, segue tutta la scia, ma insomma, volevo ricordarvelo eheheh! E vi avviso, quindi, che proprio perchè questi capitoli sono più difficili da scrivere, per staccare tra uno e l'altro scriverò una oneshot che ho in mente da ieri e che DEVO assolutamente scrivere perchè voglio il vostro parere uahahah XD ussignur sarà malatissima! Ma tornando al Trif, in questo capitolo ci sarà tanto Mycroft, infatti il titolo è dedicato a lui *_* scusate l'attesa, spero ne sia valsa la pena! Rigrazio Jess e MrsTeller per il betaggio! BACIO!!!***

Amore fraterno
La giovane coppia visse i mesi precedenti la laurea di John in modo intenso e per lo più spensierato, dedicandosi l’uno all’altro in modo pressochè totalizzante, in vista del lungo periodo di separazione che avrebbero dovuto trascorrere. Decisero di comune accordo di non parlare più della partenza di John, preferendo di gran lunga godersi ogni attimo e pianificare il loro futuro, prossimo ed immediato, partendo dal programmare una breve vacanza post laurea fino ad immaginare in quale quartiere avrebbero preferito vivere una volta ricongiunti dopo il congedo militare.

L’idea che John si arruolasse per garantire un futuro ad entrambi, aveva colpito Sherlock in modo così travolgente da renderlo ancor più felice intimamente ed affabile con il resto della realtà sociale che lo circondava. Grazie a quell’incredibile dimostrazione d’amore di John, infatti, acquisì una maggiore sicurezza in se stesso per quanto riguardava le proprie emozioni, la capacità di saperle gestire interiormente, ed infine la predisposizione nel condividerle con altre persone.
John cercò di non prendere altri impegni oltre a quelli necessari per il conseguimento della laurea, in modo da potersi dedicare a Sherlock con tutta la dedizione e l’amore possibili. Provò, inoltre, a nascondere il barlume di disagio e tristezza che provava a sua volta all’idea di separarsi da Sherlock: non si pentì neanche per un istante dell’importante decisione che aveva preso, ma questo non implicava certamente che non avrebbe sentito a sua volta la mancanza del suo compagno. Prima di conoscere Sherlock non lo spaventava l’idea di arruolarsi, ma da quando stavano insieme provava una buona dose di timore per diversi motivi: oltre all’angoscia causata dal pensiero di dover lasciare per due anni il suo giovane partner, l’idea di quanto potesse essere pericoloso arruolarsi lo sfiorò solo quando vide quella stessa paura riflessa negli occhi di Sherlock. Non che prima di conoscerlo non avesse considerato la prospettiva di mettere a repentaglio la propria incolumità fisica, ma da quando aveva scoperto di avere qualcuno di molto importante da cui tornare e con cui aveva il desiderio di vivere i giorni migliori della propria vita, iniziò improvvisamente a provare una leggera dose di preoccupazione. Sentiva sulle spalle la responsabilità della propria vita, sia nei riguardi di se stesso che di Sherlock. John si rese conto della grandissima importanza della propria decisione, ma non se ne pentì neanche un istante, perchè accanto a sè aveva colui per il quale l’aveva presa, lo stesso ragazzo che gli dimostrava la propria riconoscenza amandolo incondizionatamente, giorno per giorno.

La cerimonia di laurea fu celebrata in pompa magna durante una serena e non troppo calda giornata di metà giugno. Fu allestito lo stesso palco usato durante le cerimonie d’apertura e, in generale, per tutti gli eventi ufficiali ai quali presenziava il Magnifico Rettore.
Nelle sedie più vicine al palco, vestiti con l’elegante tunica e l’immancabile tocco, sedevano i laurendi, mentre le file successive erano occupate da genitori e fratelli, per poi lasciare spazio ad amici e parenti meno prossimi come zii e cugini: tutti pronti a festeggiare, dai diretti interessati a chi era fiero di loro.
Quando il Rettore concluse il proprio discorso ed iniziò a chiamare i laurendi sul palco, lo sfondo del cortile fu illuminato dai flash delle fotocamere che iniziarono ad immortalare, chi in maniera professionale, chi con minor talento ma con maggior passione, tutti i ragazzi premiati con la tanto bramata pergamena e, per gli studenti più meritevoli, con un’ulteriore targhetta incisa a spese dell’Università.
Sherlock assistette alla premiazione di John con lo stesso coinvolgimento che, poche sedie più avanti, toccò anche i coniugi Watson, i quali, sprovvisti di un apparecchio digitale, si accordarono in precedenza con uno dei fotografi ufficiali chiamati dallo staff universitario per rimediare ad inconvenienti di quel genere. In fondo alle file di sedie, all’ombra di un albero, Mycroft Holmes osservò tutto: un leggero sorriso gli rigò il volto quando fu il turno di John, premiato sia con la pergamena che con la targhetta, promosso a pieni voti.
Quando tutti furono stati premiati e dopo il consueto lancio del tocco in aria, tutti i parenti andarono incontro al proprio figlio laureato: Sherlock, come discusso in precedenza con John, lasciò il neo-dottore in compagnia dei genitori e, voltandosi verso gli alberi, finalmente notò Mycroft verso il quale si incamminò.
“Mycr.” Sherlock abbozzò un piccolo cenno del capo e sorrise quando s’accorse che il fratello aveva con sè una busta contenente una scatola grande quanto un libro, spessa almeno dieci centimetri “Mi hai portato quello che ti ho chiesto, dunque.”
“Ciao, Sherlock.” Mycroft ricambiò il cenno del fratello, studiandolo con una rapidissima occhiata: il volto sembrava sereno, non c’erano occhiaie a scurirgli la pelle del viso, le braccia ben visibili grazie alle maniche della camicia tirate in sù fino al gomito suggerivano la sua continua astinenza dalle droghe e la postura era, in generale, rilassata. Annuì, poi, alla sua affermazione “Certo. Non era nulla di impossibile, d’altronde.”
“Grazie.” Sherlock si appoggiò al tronco dell’albero che offriva ombra ad entrambi gli Holmes, osservando da lontano  il modo in cui John interagiva con la propria famiglia. La fotografia di quell’attimo gli suggerì due domande “Come stai? E la mamma?”
L’impassibile Uomo di Ghiaccio perse un battito a quelle domande che dovrebbero essere così normali, ma che in realtà riteneva poco probabile potessero uscire dalla bocca di suo fratello. Si sforzò, tuttavia, di far finta di nulla, onde non irritarlo “La mamma ed io stiamo bene, grazie. Lei sente un po’ la tua mancanza. In fondo non ti vede da quasi un anno.”
“Dopo che...” Sherlock si adombrò per qualche istante “Dopo che John sarà partito, pensavo che, magari, potrei venire un po’ a casa. Anche se saranno già ricominciati i corsi.” fece spallucce, dissimulando la sequenza di pensieri che gli affollava la mente “Studierò un mese o due a casa e poi tornerò qui.”
Mycroft annuì lievemente, scorgendo la malinconia che Sherlock si impegnava ad allontanare dal proprio cuore e dal proprio volto. In quei mesi Sherlock gli aveva scritto molti sms, spiegandogli la situazione, aggiornandolo sul proprio stato di salute, sulla propria carriera universitaria e sul proprio umore. Ma soprattutto gli parlò di John e del motivo della sua partenza, giustificando così il ritiro della richiesta che gli fece: non avrebbe più dovuto fermarlo, perchè il motivo per cui lo faceva andava oltre la triste prospettiva di passare due anni senza di lui.
“Va bene. Se qualche volta dovrò andare all’estero per lavoro potrai anche venire con me. Ti piaceva viaggiare, imparare lingue, scoprire aneddoti particolari.” rispose Mycroft, concordando con quella richiesta che, se non fosse partita da Sherlock, avrebbe proposto lui stesso: l’idea di lasciarlo solo subito dopo la partenza di John, l’avrebbe reso vulnerabile e non aveva alcuna intenzione di lasciarlo solo proprio in quel frangente “Che ne dici?”
“Capiterà di andare in Afghanistan per lavoro?” domandò Sherlock, caricando il tono di voce con un pesante bagaglio di ironia: sorrise poi, scuotendo il capo “Non era frecciatina per te, scusa.”
“Tranquillo, Sherlock.” lo rassicurò Mycroft, indicandogli poi le sedie davanti a sè, tra le quali John, appesantito dalla tunica nera, faceva lo slalom per raggiungerli “Oh, ecco che arriva il dottore.”
Sherlock sorrise e si scostò dall’albero, pronto ad accogliere l’impeto di John che, di fatti, gli saltò al collo: di rimando, il giovane Holmes gli allacciò le braccia in vita e lo tirò sù “Dottore! Medico e dottore! Hai fatto il bis, John.”
John, che effettivamente non si era ancora accorto della presenza di Mycroft, strinse Sherlock, allacciandogli le braccia dietro al collo “Sì!” allungò la vocale di quell’ultima sillaba, esultando con gioia “Ce l’ho fatta! A pieni voti!”
“Non avevo dubbi su questo.” abbassò il tono di voce, rendendo più intima la propria manifestazione di orgoglio “Sono fiero di te, John. Sei il mio eroe.” sussurrò prima di baciarlo a stampo, incurante della presenza di Mycroft: non doveva e non voleva nascondergli niente riguardo a John. Ormai si fidava di suo fratello e se riusciva a farlo era anche grazie al suo compagno.
“Congratulazioni, John. Laureato in Medicina a pieni voti. Gli ospedali saranno un posto più sicuro d’ora in avanti.” finalmente Mycroft esordì, spezzando il proprio silenzio solo dopo il bacio dei due ragazzi. Provava un po’ di gelosia nei riguardi di John, ma non certamente di fronte a dimostrazioni di affetto di quel tipo verso le quali, invece, sentì il consolidato bisogno di ringraziare il neo-dottore.
John trasalì nel riconoscere la voce di Mycroft e finì col soffiare un po’ d’aria dentro Sherlock, gonfiandogli appena le guance in un risvolto comico che fece ridere il suo compagno “Oh, cavolo, non l’avevo vista.” si divincolò dalla presa di un ancora ridanciano Sherlock, ricomponendosi un poco “Ehm, mi scusi?” John non sapeva se si dovesse scusare con Mycroft per aver baciato suo fratello davanti a lui, ma preferì mettere le mani avanti data la sensazione di austerità e serietà che percepiva dall’Holmes senior.
Sherlock avvolse le spalle di John col braccio destro, posizionadoglisi affianco “Stai tranquillo, Mycroft sa di noi. E non ha nulla da ridire a riguardo.” lo rassicurò il giovane Holmes, facendo poi spaziare lo sguardo verso i numerosi parenti presenti nel cortile “Piuttosto, i tuoi genitori dove sono?”
Mycroft non si scompose di una virgola di fronte alla reazione di John, verso il quale sorrise “Non si preoccupi, dottor Watson. Non mi scandalizzo di certo per così poco.” osservò la postura dei due ragazzi che, quando interagivano tra loro, era quanto mai rilassata e spontanea. Tornò, quindi, sull’artefice del benessere del proprio adorato fratello “Mi dia pure per tu.”
“I miei? Sono andati in bagno.” fece spallucce John, per poi tornare su Mycroft “Va bene, ma solo se lo fa anche lei. E mi chiami pure John.” si tolse poi la pesante la tunica, sbuffando per il caldo provocato dalla stoffa nera che si sommava con i pantaloni e la camicia che già indossava “Meno male che le abbiamo fatte prima le foto. Avevi ragione Sherlock.”
“Come sempre, John.” rispose Sherlock, per poi posargli un bacio sulla tempia e rubargli la tunica dalle mani “Vado a riconsegnarla io. Tu stai qui, dal modo in cui mio fratello si sporge verso di te e da come ti studia, credo che voglia parlarti.”
“Perspicace, fratellino.” annuì Mycroft.
“Oh. Va bene.” strizzò l’occhio sinistro verso Sherlock, osservandolo finchè la sua figura non sparì tra la folla “Dunque...” si voltò verso Mycroft, attendendo l’inizio del discorso, temendo chissà quale panegirico o raccomandazione da parte dell’Holmes senior.
Mycroft rimase in silenzio per diversi istanti, osservando John da cima a piedi, soffermandosi parecchio sul viso e su tutte le sfumature che le sue espressioni offrivano: s’accorse che il ragazzo non sembrò nervoso di fronte a quel continuo studio nei suoi confronti e intuì che probabilmente Sherlock lo aveva abituato a sguardi e riflessioni ben più lunghi di quello. Si sciolse in un sorriso, infine, e dopo aver chiuso gli occhi per pochi istanti, li riaprì su di lui “Grazie, John.”
John, come Mycroft aveva giustamente intuito, non si sentì molto a disagio di fronte alla sua lunga occhiata, ma ne rimase sicuramente incuriosito, non intuendo dove volesse andare a parare. Quando poi sentì quelle due, semplici, parole, sorrise: abbassò il capo un istante prima di rialzarlo verso l’uomo che aveva di fronte, ricambiando la cortesia “Grazie a te.”
Mycroft sembrava allibito: quanto gli aveva detto Sherlock era vero, John Watson aveva il dono di riuscire a stupire gli Holmes “Grazie a me?”
John sorrise umilmente, quindi annuì con un cenno del capo “Sei tu che ci hai messi nella stessa stanza. Sei tu che ci hai fatti conoscere.”
“Ah, intendi quello.” Mycroft annuì a sua volta, senza mai sciogliere la rigidità delle proprie spalle, nella sua solita e ormai naturale postura fiera e compassata “Sapevo che eri uno studente modello, che non avevi problemi caratteriali, che eri un vero esempio da seguire. Ma non pensavo che avresti fatto così tanto per lui.”
“Anche lui ha fatto molto per me.” rispose John, prontamente, lanciando un’occhiata generale alle persone presenti, come se stesse cercando Sherlock in mezzo alla folla “E lo sta facendo tuttora.”
“Certo. Ma tu sei riuscito dove io ho fallito.” Mycroft giocherellò con il manico dell’ombrello, sfogando in quel modo la dose di frustrazione che le sue apparenze composte non riuscivano a nascondere “Non ti nascondo che mi è dispiaciuto non riuscirci per primo. Ma non per orgoglio. Perchè sono suo fratello maggiore e il mio dovere è proteggerlo.”
John sospirò, intrecciando le braccia al petto con non poca forza, esternando a sua volta una certa dose di amarezza “Tra fratelli è sempre più complicato.”
Mycroft annuì, intuendo perfettemente a cosa, o meglio a chi si stesse riferendo “Mi dispiace per tua sorella.” prese coraggio ed alzò la mano libera sulla spalla del neo-laureato stringendola appena: era pur sempre un fratello maggiore e John era una persona importante che meritava l’appoggio e l’approvazione di una figura autoritaria più vecchia di lui, seppur di pochi anni “Scommetto che si pentirà, un giorno, di non essere riuscita a partecipare a questo giorno così importante della tua vita.”
“Non ha importanza.” John mentì: l’idea che Harry non fosse presente alla cerimonia lo feriva molto, ma non voleva in alcun modo denigrare la sorella gratuitamente “Ci sono i miei genitori. C’è Sherlock. Ci sono tutti i miei amici.” si stupì di fronte al gesto compiuto da Mycroft, verso il quale sorrise, pieno di riconoscenza “Eh, beh, ci sei anche tu.”
Mycroft diede due pacche sulla spalla di John prima di riportare la mano lungo il proprio fianco “Ad ogni modo, grazie.” si prese una piccola pausa e nel momento in cui stava per riprendere il proprio discorso, fu interrotto da John.
“Mycroft.” lo richiamò John, con un fil di voce.
Mycroft notò subito il cambio di tono e di sguardo “Sì?”
John diede un’altra occhiata in direzione della folla, accertandosi che Sherlock non li stesse raggiungendo proprio in quel momento “Dopo che sarò partito...” deglutì, per poi espirare un lungo soffio d’aria fredda.
Mycroft sospirò a sua volta, quindi annuì “Sì?”
“Dagli un’occhiata ogni tanto.” sussurrò, ma il tono era intenso e aveva il sapore della supplica “Mi fido di lui. Infatti non sto parlando della droga.” specificò poi, rapidamente “Dai solo un’occhiata che non stia sempre da solo.”
Mycroft osservò John con attenzione, colpito dal sincero amore e dalla genuina preoccupazione che stava dimostrando di provare per Sherlock.
“Sono riuscito a fargli fare qualche amico e loro mi hanno promesso che faranno di tutto per coinvolgerlo e per farlo uscire il più spesso possibile.” continuò John, gesticolando parecchio per sbollire parte della tensione che trasudava da quelle parole “Ma tu lo conosci. Sai che quando vuole una cosa la ottiene, così come non ne farebbe mai una che non ha intenzione di fare.”
“Naturalmente, John.” Mycroft annuì: ovviamente aveva già messo in conto di predisporre una leggera sorveglianza nei riguardi di Sherlock. Era suo fratello e si fidava di lui, ma non abbastanza da crederlo capace di resistere alla tentazione della droga in un periodo che sarebbe stato molto delicato per lui. Non era pessimista, ma realista, tale e quale a Sherlock. Un po’ era dispiaciuto di non fidarsi completamente di lui, come faceva John, ma preferiva senza dubbio non rischiare “Stai tranquillo.”
“A volte mi sento in colpa.” confessò John “Ma lo faccio...”
“Me l’ha detto.” lo fermò Mycroft: non c’era bisogno che John giustificasse il proprio gesto, soprattutto vista la bontà della motivazione che lo portava a farlo “Quindi ti ringrazio di nuovo. Per aver dato a mio fratello una vita vera. La prospettiva di una vita vera e felice.”
John colse un lieve sottotesto nelle parole di Mycroft: Sherlock gli aveva parlato del loro passato burrascoso, ma l’uomo che aveva di fronte era un vero fratello maggiore. Un uomo che desiderava veramente proteggere il proprio fratellino dai pericoli portati dagli altri e, soprattutto, da se stesso, un uomo che, nonostante non lo sapesse dimostrare come avrebbe voluto, amava profondamente Sherlock. Un uomo che un po’, John se ne rese conto, lo invidiava per essere riuscito dove lui aveva fallito: si impettì un poco prima di confessare fieramente “Lo amo.”
Fortunatamente per John, l’uomo che aveva di fronte conosceva anche i suoi limiti e ammetteva l’importanza delle sue azioni. Mycroft gli sorrise, dunque, abbozzando un ironico cenno del capo “Non ho nulla in contrario.”
John rise, finalmente, smontando l’espressione seria e greve che l’aveva contraddistinto in quel frangente “Grazie.”
“Che mi dici dei tuoi genitori, invece?” lo punzecchiò Mycroft, mostrando la sfaccettatura fastidiosa e saputella del proprio carattere “A quanto ho capito non gli hai detto nulla.”
“Non ho mai rivelato loro alcun dettaglio della mia vita privata.” replicò John prontamente e quando percepì una nota insinuatoria nel suo tono di voce, s’affrettò ad aggiungere “Se fosse una ragazza sarebbe la stessa cosa. La mia ex rompeva un sacco per questa storia.”
Mycroft fece spallucce, immedesimandosi nella mente di una persona normale “Beh, penso che sia comprensibile.”
John sbuffò appena “Non me la dovevo mica sposare.”
Mycroft lo guardò di sottecchi, lasciando fuoriuscire l’istinto protettivo del fratello maggiore, ponendo senza freno alcuno la domanda più fastidiosa e scomoda che potesse insinuare, piena di sottintesi che, sapeva bene, John avrebbe colto “E Sherlock?”
John alzò l’angolo destro della bocca in un sorrisetto malizioso “Quando me lo sposerò, allora lo presenterò alla mia famiglia.”
Se quella fosse stata una gara su chi dovesse sorprendere maggiormente l’altro, Mycroft si sarebbe ritrovato sconfitto di fronte alla sicurezza e alla caparbietà di John: alzò la mano destra verso la propria fronte, per poi aprirla in avanti in un gesto studiato e di gran classe con cui gli dichiarò tutta la sua approvazione “Chapeau.”
John gli sorrise apertamente, senza malizia, mostrandogli la vera essenza del proprio essere: rise appena, poi, quando vide Sherlock raggiungerli.
“Bene, sei ancora tutto intero. Hai superato il test di mio fratello.” sorrise Sherlock, per poi andare a raccogliere la busta che gli aveva portato Mycroft e porgerla a John con una certa urgenza “Aprilo in fretta, i tuoi ti stanno cercando.”
John prese in mano la busta e, dopo avervi curiosato all’interno, scorse un pacco regalo “Sherlock, che dolce.” si emozionò parecchio perchè non si sarebbe aspettato nulla del genere dal proprio compagno: erano sempre stati insieme e non si immaginava che potesse aver chiesto a Mycroft di prendergli qualcosa fuori dal campus “Non dovevi, il nostro regalo di fine anno è andare in vacanza assieme, no?”
“A proposito...” li interruppe Mycroft, che estrasse un mazzo di chiavi da una tasca interna della giacca, consegnandole poi a Sherlock “Ecco, così potete andare nel Sussex. Fate come se foste a casa vostra, ma non distruggete nulla. E, ovviamente, mi sto riferendo a te, fratellino.”
“Oh, ma è un regalo per entrambi, si può dire.” Sherlock posò un bacio sulla tempia destra di John, per poi prendere in consegna il mazzo di chiavi che sistemò a sua volta in una delle tasche dei pantaloni “Tranquillo Mycr, gli unici esperimenti che vorrò fare nel Sussex saranno di natura sessuale, con John.”
“Sherlock!” sbottò John, che a momenti fece cadere a terra la scatola.
La reazione di Mycroft fu più composta, coerente col suo normale temperamento “Fratellino, non c’è bisogno che mi tieni informato sulla tua vita sessuale nei minimi dettagli.”
“Era per tranquillizzare Mycroft.” ridacchiò Sherlock, spettinando John in un gesto divertito.
John, ormai rassegnato a subire gli scherzi di Sherlock, riuscì finalmente ad aprire il pacco: spalancò occhi e bocca, accarezzando con la mancina la figura disegnata sulla scatola “Wow! Ma è un...”
“Telefono satellitare.” annuì Mycroft.
“Così potremo sentirci anche quando sarai via.” il tono scherzoso di Sherlock, lasciò spazio ad uno più dolce: si abbassò fino a scontrare la fronte contro il capo di John, strusciandosi un poco “Te l’ho detto che è un regalo per entrambi.”
John rimase in silenzio per qualche secondo, godendo del contatto di Sherlock contro la propria tempia, inspirando il suo profumo, ascoltando i versetti gutturali che improvvisava sempre quando lasciava passare troppo tempo tra una risposta e l’altra, fingendo le fusa dei gatti per richiamare la sua attenzione. Sorrise e ruotò il capo per specchiarsi nell’azzurro degli occhi di Sherlock, le cui labbra baciò a stampo tre volte, tre come i petali di un trifoglio “Grazie, Shamrock.” esitò, poi, stringendo l’esile corpo del partner con il braccio destro “Non so che cosa dire.”
Mentre Mycroft rimase in silenzio a godersi la scena, Sherlock strinse John, per poi baciarlo teneramente sulla fronte “Cosa mai dovresti dire?” sorrise e lo abbracciò ancora, forte, con tutto l’amore che riuscì a infondere ai propri arti: era diventato un gesto ormai spontaneo, ma che non perdeva mai di importanza e di intensità. Si ricordò poi di aver visto i coniugi Watson nei paraggi, quindi lo lasciò andare “Vai John, i tuoi ti aspettano.”
John annuì staccandosi a malincuore dalle braccia di Sherlock “Allora ci vediamo tra due giorni, ok?”  
“Il Sussex ci aspetta.” annuì Sherlock, accarezzando John con lo sguardo anche quando si apprestava a salutare Mycroft con una salda stretta di mano.
Dopo essersi congedato dai fratelli Holmes, John si ricongiunse ai propri genitori con i quali avrebbe trascorso due giorni prima di partire con Sherlock per una vacanza che sarebbe durata fino al giorno precedente la sua partenza per l’Afghanistan.
Sherlock rimase in silenzio al fianco di suo fratello verso il quale, dopo qualche istante, rialzò lo sguardo “Mycroft.”
Mycroft estrasse l’orologio da taschino dal quale controllò l’ora “Sì?”
“Ti ricordi la data? Il giorno della partenza di John.” domandò Sherlock e quando vide Mycroft annuire, inoltrò la propria richiesta con un sussurro “Potresti venire anche tu?” strinse al petto la scatola del telefono satellitare che John gli aveva affidato “Non voglio stare solo. Non subito dopo averlo salutato.”
“Ma certo, Sherlock.” Mycroft non aveva mai provato i sentimenti che Sherlock stava dimostrando di sentire: non era mai capitata l’occasione o, molto più probabilmente, non aveva mai permesso che accadesse. Non li aveva mai provati, ma sembrava capirli, almeno in piccola parte. Li aveva immaginati molte volte e aveva sinceramente sperato che almeno Sherlock potesse compiere l’esperienza di provarli. Ma Mycroft non era una madre che si illude che il proprio figlio non debba mai soffrire: sapeva che nel momento in Sherlock avesse provato dei sentimenti avrebbe sia gioito che sofferto. Se esiste il bianco, allora c’è anche il nero: se esiste l’alto, il basso è appena sotto di lui e il caldo ha ragione di essere solo perchè deve combattere il freddo. Mycroft sperava che Sherlock potesse, un giorno, provare dei sentimenti ed era pronto a quell’eventualità: lo avrebbe protetto e aiutato a sopportare quei due anni. Ora che Sherlock, a differenza del passato, gliene dava l’opportunità, lui l’avrebbe fatto.
Forte di quelle convinzioni, Mycroft alzò la mano verso la spalla destra di Sherlock, stringendogliela appena: quando vide il fratello voltarsi verso di lui, sorrise e sussurrò con calma “Sarò lì con te.”

Il giorno stesso in cui John e Sherlock arrivarono nella casa di campagna della famiglia Holmes, iniziarono quella lunga vacanza in cui, finalmente, poterono dedicarsi esclusivamente l’uno all’altro. Non c’erano più tirocinio e praticantato, lezioni ed esperimenti, amici o partite di calcio che potessero dividerli: c’era spazio solo per la loro relazione e per la natura che, silente, sorvegliava l’evolversi del loro legame.
Quando il caldo non era troppo opprimente, passavano intere giornate a fare escursioni: Sherlock portava John in tutti i posti a cui erano incollati ricordi della sua infanzia. Una particolare roccia, lo sbocco su un ruscello, un albero abbastanza grande su cui potersi arrampicare: John ascoltava rapito quei ricordi, leggendo negli occhi di Sherlock la spensieratezza legata a quel periodo dell’infanzia in cui suo padre era ancora vivo e in cui il suo rapporto con Mycroft non era ancora reso difficile dalle responsabilità che gli gravarono sulle spalle una volta che il signor Holmes lasciò quella vita.
I giorni in cui rimanevano nella villa o nei dintorni erano comunque piacevoli: era impossibile annoiarsi finchè erano in compagnia. Leggevano all’ombra di un albero oppure parlavano per ore, scambiandosi ricordi degli anni precedenti il loro incontro: potevano essere dei cimeli, memorie di attimi felici trascorsi con spensieratezza o cicatrici di momenti difficili. Si scambiarono tutto, John e Sherlock, facendo tesoro di quei momenti che poterono rivivere attraverso un processo di autonarrazione che si rivelò, inaspettatamente e inconsapevolmente, molto utile anche sotto un profilo psicologico.
E poi ci fu la fusione dei loro corpi: una volta che ebbero deciso di fare quella vacanza, infatti, avevano anche concluso che avrebbero aspettato di essere lì, immersi nella natura, per coronare la magia del loro rapporto compiendo l’ultimo passo che ancora mancava alla loro unione. Diversamente rispetto a quanto entrambi avevano temuto, la loro prima volta non fu imbarazzate e macchinosa: col senno di poi furono molto contenti di non affrettare il momento, preferendo aspettare che l’atmosfera giusta si creasse da sè e ciò avvenne una settimana dopo essere arrivati nel Sussex. Fu un’esperienza che vissero con naturalezza, con una passione acerba che maturò via via ad uno gesto, ogni bacio, culminando in un intreccio intarsiato alla perfezione, i corpi fusi come due leghe di metallo che andarono a formare un’armatura attorno alla fusione simbolica delle loro anime.
Da quel giorno, i momenti che dedicarono al piacere e alla scoperta reciproca dei loro corpi aumentarono sensibilmente: Sherlock dedicava sempre molto tempo al corpo di John, sul quale si soffermava e sperimentava la propria inesperienza che via via si istruiva in maniera autonoma e accademica. E mentre Sherlock imparava in modo scolastico l’anatomia specifica del corpo del proprio compagno, John lo travolgeva in modo più istintivo, dolce e al tempo stesso travolgente, donandogli sensazioni forti ed estreme che mai avrebbe pensato di provare in vita sua.
Trascorse un mese, ed una giornata particolarmente piovosa li costrinse in casa: nello specifico, un particolarmente voluttuoso Sherlock forzò John a letto in una interminabile, ma non per questo meno piacevole, sessione di studio delle reazioni dei corpi cavernosi sotto continui stimoli. Ad un certo punto John si ritrovò costretto a prendere il controllo della situazione, stupendo Sherlock con nuovi trucchetti che crearono il climax perfetto, facendoli poi crollare uno affianco all’altro, ansimanti, sudati, ma senza dubbio soddisfatti.
“John?” chiamò Sherlock, iniziando a recuperare un po’ di fiato.
“Sì?” mugolò John, cercando a tastoni il corpo dell’altro.
“Quello che mi hai appena fatto...” sbuffò un po’ aria, rabbrividendo al pensiero del piacere che l’aveva appena travolto “...è legale?”
“Sì!” John scoppiò a ridere, andando nuovamente in debito d’ossigeno “Perchè, non ti è piaciuto?”
“Oddio, sì!” ridacchiò Sherlock, catturando il braccio di John in una dolce stretta e usandolo come fune per potersi riavvicinare a lui “Volevo esserne sicuro perchè dovrai rifarmelo.” gli sussurrò all’orecchio, il timbro vocale basso rendeva quella richiesta ancor più maliziosa.
John rabbrividì a sua volta, sfuggendo a quel sussurro solo per poter guardare Sherlock negli occhi “Vieni qui.” lo invitò, allargando l’unico braccio libero rimastogli.
Sherlock gli si accoccolò addosso e, a differenza di un assonnato John che avrebbe voluto riposarsi per recuperare le energie, fece lavorare il cervello, già ampiamente riavviato dopo il blackout dovuto all’orgasmo provato pochi minuti prima. Alzò lo sguardo sul proprio compagno e, dopo essersi accertato che non stesse dormendo, provò a chiamarlo “Jawn?”
John rimase ad occhi chiusi, ma alzò la mano fino a posarla sui capelli di Sherlock, stronfinandogli la nuca in piccole carezze “Sì, gatto?”
“Pensavo...” iniziò Sherlock, rilassandosi sotto i grattini di John “Tu hai già progettato tutto il tuo futuro. Non solo per noi, ma anche per quanto riguarda te stesso.”
John mugolò appena, borbottando incerto “Che intendi?”
“Insomma, sarai un dottore.” spiegò Sherlock.
“Ho studiato medicina apposta.” John finalmente aprì gli occhi, coi quali cercò quelli di Sherlock.
“Sì, io sto studiando Chimica, ma non voglio fare il chimico.” Sherlock si sistemò col volto sul petto di John in modo da riuscire a guardarlo a sua volta, quindi continuò a spiegare il proprio pensiero “Per quanto mi piacciano gli esperimenti, non voglio marcire in un laboratorio.”
“Oh. Crisi da primo anno universitario.” John annuì, comprensivo, d’altronde c’erano passati molti suoi amici e non avrebbe ceramente biasimato Sherlock per quel motivo “Beh, fai bene a pensarci ora, così se vuoi cambiare fai sempre in tempo.”
Sherlock scosse appena il capo, alzando poi la mano sul volto di John, con la cui guancia iniziò a giocare “Non voglio cambiare. Ci tengo a prendere una laurea. Voglio farlo per la mamma, per Mycroft... e l’unica materia per la quale sprecherei volentieri questi tre anni è proprio la Chimica.” sospirò appena, spostando momentaneamente lo sguardo altrove “Tuttavia... non voglio fare il chimico.”
“Sprecheresti?” ridacchiò John.
“Lo sai che intendo.” replicò Sherlock, con sufficienza.
“Beh, non devi farlo solo per tua madre e per Mycroft. Devi farlo anche per tua soddisfazione personale.” John indossò le metaforiche vesti del tutor didattico con molta soddisfazione, rincuorato nel sentire Sherlock parlare di argomenti così comuni e normali, tutti confacenti ad un ragazzo della sua età “Cosa ti piacerebbe fare? Come lavoro intendo.”
“Bella domanda.” sospirò Sherlock, tornando ad osservare John con dolce devozione, spontaneo nel proporgli i propri crucci, desideroso di conoscere la sua opinione a riguardo “Non potevo avere una passione come tutti gli altri? Tu hai sempre saputo di voler fare il medico. Sarah anche. Molly ha sempre saputo, e poi non dirmi che non è strana, di voler giocare con i cadaveri.”
“No Sherlock, tranquillo, non sei l’unico a non sapere cosa voler fare.” provò a consolarlo John e, per aiutarsi in quel piacevole compito, gli strinse le braccia attorno alla vita, allacciandolo a sè con affettuosa premura “Io sono stato fortunato, è vero, ma in molti sono indecisi sul proprio futuro. E la crisi economica non aiuta. Qualsiasi prospettiva non sembra mai abbastanza rosea.”
Sherlock approfittò della stretta di John per arrampicarglisi addosso, sicuro che il proprio esile peso non avrebbe gravato troppo su di lui “Non c’entra la crisi economica. Non con me quanto meno.” fece spallucce, forte della sua sicurezza economica. Rimase in silenzio qualche istante, per poi guardare John di sottecchi “Sai cosa mi piacerebbe fare? Cosa ho sempre desiderato fare da bambino?”
John notò un lieve imbarazzo nell’espressione di Sherlock e ciò non potè che farlo incuriosire ulteriormente “Cosa?”
“Il pirata.” confessò, ridendo di riflesso alla reazione di John al quale, quando si calmò, svelò il resto del suo segreto “E l’investigatore privato.”
Così come rise nell’immaginarsi Sherlock vestito da bucaniere con tanto di benda sull’occhio e uncino al posto della mano sinistra, John sembrò altrettanto convinto dell’alternativa proposta dal suo giovane partner “Beh, perchè no? Con tutte le deduzioni che fai! Non ci sarebbe nulla di strano.”
Sul volto di Sherlock s’accese un sorriso entuasiasta “Non pensi sia una cosa stupida, allora.”
“No, Hercule.” John ridacchiò “Come sta mamma Agatha?”(1)
“Mi riempi di soprannomi, John.” sbuffò Sherlock, fingendo un’aria altezzosa ed offesa.
John baciò il finto broncio inscenato da Sherlock “Già, e sono uno più divertente dell’altro.”
Sherlock seguì il volto di John, prolungando il bacio di qualche secondo “Allora... vada per l’investigatore privato?” si bloccò poi, alzando l’indice della mano destra verso il volto dell’altro “Anzi, che ne dici di consulente investigativo?”
John fece spallucce “Cosa cambia?”
Il volto di Sherlock si illuminò nuovamente: evidentemente la prospettiva di quel mestiere lo affascinava parecchio “Sarei l’unico al mondo, avendo inventato io il mestiere.”
“Ah. In caso non si capisse già che sei unico al mondo, in tutto il tuo essere.” ammiccò John, gongolando appena.
“Lo sai di essere fortunato, vero?” Sherlock gli fece l’occhiolino a sua volta.
“Privilegiato, Sherlock. Privilegiato è la parola giusta.” si impettì John, fieramente orgoglioso di stare insieme al suo particolarissimo aspirante detective “Sai, per un po’ ho pensato che volessi lavorare per i Servizi Segreti, con tuo fratello.”
Sherlock si esibì in un’espressione schifata, rabbrividendo appena “No, non voglio capi che mi dicano cosa devo o non devo fare.”
John provò ad immaginarsi uno scenario del genere e finì con l’annuire al suo fidanzato ribelle “Ah, per quello investigatore privato. Saresti il capo di te stesso.”
“Consulente investigativo. E comunque sì.” lo corresse Sherlock, immedesimandosi già nella parte “Però, mentre sei via, potrei osservare i metodi delle spie di Mycr.” propose poi quell’idea a cui aveva già pensato diverso tempo prima.
“Basta che non ti metti nei guai.” sospirò John, stringendolo a sè con fare protettivo.
“Parla quello che va in guerra.” bisbigliò Sherlock a sua volta, slittando col proprio corpo su quello dell’altro fino a ritrovarsi col viso di fronte a quello di John.
John roteò gli occhi verso l’alto “Effettivamente.” sussurrò per poi iniziare a far strusciare i nasi tra loro “Il pericolo è il nostro mestiere.”
Sherlock annuì serio “Ci siamo proprio trovati.”
John si fermò per un istante, intenerito dalle parole di Sherlock al cui viso iniziò a dedicare le proprie attenzioni “Sì, piccolo.”
Sherlock sorrise di fronte alla serie di baci che John gli stava regalando “I love you.” mormorò tra un bacio sullo fronte ed uno sul naso.
I love you too.” confessò John prima di annullare il resto del mondo e condensarlo in quella stanza, avvolto tra le braccia di Sherlock col quale fece l’amore fino a che entrambi furono così stanchi da addormentarsi soddisfatti e sfiniti, stretti l’uno all’altro.
Quei tre mesi nel Sussex servirono a rinforzare le basi del loro rapporto e a costruirlo saldamente in vista dei due anni che avrebbero dovuto trascorrere l’uno lontano dall’altro. Ogni giorno corrispondeva a tanti ricordi che immortalavano spesso con delle foto digitali e, talvolta, con qualche pagina di diario che John iniziò a scrivere in un’agenda elettronica ricevuta come regalo di laurea da parte di Sarah. Ogni giorno era stupendo, diverso dai precedenti, inaspettatamente bello, un caleidoscopio di eventi che si incastravano l’uno con l’altro creando una fitta rete che conteneva il loro sentimento, mantenendolo al sicuro, senza lasciar sfuggire la minima goccia di quell’oceano di amore.

Era infine giunto metà settembre, il giorno della convocazione, il momento in cui John sarebbe dovuto partire per l’Afghanistan.
Mycroft era in piedi, affianco ai gruppi dei parenti intenti a salutare gli altri cadetti che sarebbero partiti quello stesso giorno: tanti giovani ragazzi, qualcuno più spavaldo, altri un po’ più spaventati, tutti tra le braccia di madri premurose pronte ad elargire ogni tipo di raccomandazione, dalla più ovvia e scontata alla più sentita e ricercata.
Quando un taxi si fermò di fronte al cortile del campo di reclutamente, Mycroft potè finalmente scorgere le sagome familiari di John e Sherlock che, dopo aver recuperato i bagagli, si incamminarono verso di lui, alzando già le braccia in segno di saluto.
Mycroft sorrise loro, iniziando a scandagliarli per cogliere il maggior numero di informazioni possibili: li trovò ancor più legati rispetto ai tre mesi precedenti, manifestando una fisicità reciproca che, mentre ai comuni esseri umani poteva risultare nascosta, a lui sembrò lampante. Le mani non erano semplicemente strette l’una all’altra, erano intrecciate, compatte in una dolce presa le cui dita fornivano a loro volta piccole carezze sui dorsi delle altre; le braccia e le spalle si sfioravano in continuazione in una ricerca tutt’altro che casuale; gli occhi che si incontravano per fare il pieno della visione altrui, consci del fatto che per molto tempo non avrebbero scorto la figura della persona amata. Occhi che, nonostante le labbra all’interno degli stessi volti sorridessero, erano pieni di malinconia.
“Mycroft.” salutarono quasi all’unisono, posando i borsoni ai loro piedi.
“Buongiorno, ragazzi.” sorrise Mycroft, curiosamente stupito di vedere il volto di Sherlock leggermente abbronzato “A momenti rischiavi di perdere il volo, John.”
“Magari...” borbottò Sherlock.
“Abbiamo voluto sfruttare tutto il tempo che avevamo.” John passò il braccio sinistro attorno alla vita di Sherlock, stringendolo a sè con affetto “Casa vostra, nel Sussex, è davvero stupenda. Un posto immerso nella natura... bellissimo!”
“Sono davvero felice che vi siate divertiti.” ammise Mycroft, per poi osservare i bagagli tra cui spiccava la custodia del violino “Oh, te lo sei portato dietro.”
Sherlock iniziò a guardarsi attorno, soffermandosi sui diversi gruppetti, sulle famiglie che salutavano ciascuno il proprio figlio, fratello, amico, che di lì a poco li avrebbe salutati e si chiuse in un mutismo psicologico che sfogò abbracciando John in una presa possessiva e costrittiva.
John sentì qualche osso scricchiolare sotto quella presa che lo stupì per l’impeto e per la forza con cui continuava ad essere esercitata: era conscio del fatto che sarebbe arrivato quel momento e che sarebbe stato triste da affrontare, ma saperlo in anticipo non rendeva la pillola meno amara. Avrebbe voluto chiedere a Sherlock di non farglielo, di capire anche lui era triste e di non peggiorare la situazione, ma sapeva che dei due, in quel momento, doveva essere lui il più forte, quindi si limitò a carezzargli il capo con delicatezza, impegnandosi per riuscire a rispondere all’osservazione di Mycroft a nome del suo compagno “L’ha fatto per me, sa che mi piace molto quando suona.”
Mycroft annuì e sorrise di circostanza, provando a sua volta una certa dose di malinconia vedendo Sherlock così afflitto: sospirò, dunque, quando sentì un ufficiale dell’esercito iniziare a chiamare i cadetti in ordine alfabetico.
“No, no, no...” singhiozzò Sherlock stringendosi a John con ancor più forza: il petto si alzava ed abbassava rapidamente, le lacrime iniziarono a bagnare la camicia di John nel punto in cui aveva nascosto il viso.
“Sherlock...” provò a chiamarlo John, strofinandosi gli occhi lucidi col dorso della mano “Piccolo ti prego guardami, ho bisogno che mi guardi.”
Il petto di Sherlock continuava ad alzarsi ed abbassarsi a scatti, a ritmo dei singhiozzi indotti dal pianto “Io ho bisogno che tu resti con me.” ribattè per poi alzare il viso rosso dal pianto, imponendosi almeno una piccola parte di controllo, ricordando il motivo per cui John lo stava facendo “Stai attento, ti prego, stai attento.” duglutì, tirando sù col naso “Mi hai fatto innamorare di te, è colpa tua, devi tornare a prenderti cura di me.”
“Tornerò, Sherlock.” lo rassicurò John per poi asciugargli il volto come potè, con le dita e i dorsi delle mani “E andremo a vivere insieme, ok?” trasalì poi, quando l’ufficiale dell’esercito inglese chiamò il suo nome, sentendo Sherlock stringerlo con maggiore forza. In contrasto al vigore con cui Sherlock lo stava abbracciando, John lo baciò con eterea dolcezza prima di osservare Mycroft in cerca di aiuto.
Poco prima che l’ufficiale chiamasse il nome di John per la seconda volta, Mycroft aiutò il neo soldato a liberarsi della stretta di Sherlock, afferrandolo con cauta delicatezza prima di tenerlo a sua volta tra le proprie braccia “Forza, fai vedere a John che può stare tranquillo. Lo farai preoccupare più del dovuto, altrimenti.” sussurrò appena, provando a decentrare il punto di vista di Sherlock in modo da placare quella reazione che valutò comprensibilmente, eppur eccessivamente, emotiva.
“John.” lo chiamò Sherlock che fu contento del sostegno fisico e psicologico di Mycroft, poichè si sentì improvvisamente indebolito da quell’eccesso di emozioni: trovò tuttavia la forza per sussurrare un debole ma vibrante “Ti amo.”
John alzò la mano verso l’ufficiale, palesando in quel modo la propria presenza, quindi raccolse il proprio zaino prima di congedarsi da Sherlock “Ti amo anche io, Sherlock. Tantissimo.” lo baciò, perdendosi in quegli occhi umidi, bagnati di lacrime e di amore, occhi che asciugò un’ultima volta con le proprie mani prima di staccarsi da lui. Alzò poi lo sguardo verso Mycroft, salutandolo con un cenno ed un’occhiata eloquente, rievocando la loro chiacchierata risalente al giorno della laurea, chiedendogli tacitamente di prendersi cura del suo amato Sherlock.
Mycroft annuì, continuando a tenere tra le braccia un silenzioso Sherlock che osservava John allontanarsi e congiungersi al gruppo di cadetti. Il maggiore degli Holmes osservava a sua volta il ragazzo che aveva cambiato la vita di suo fratello, notando con facilità che entrambi non riuscivano e non volevano staccarsi gli occhi di dosso, approfittando di quegli ultimi istanti, guardandosi finchè avrebbero potuto farlo.
Ci fu un breve discorso tenuto dallo stesso ufficiale che aveva fatto l’appello, rivolto per lo più alle famiglie che ai giovani cadetti, parole di speranza atte a tranquillizzare coloro che vedono partire il proprio figlio, fratello, compagno. E inoltre, come omaggio ai cadetti che entravano a far parte del glorioso esercito di Sua Maestà, fu annunciato che una piccola banda avrebbe avuto l’onore di salutarli suonando l’inno nazionale.
A quel punto Sherlock si divincolò dalla presa di Mycroft che, intuendo il pensiero del suo giovane fratello, si limitò ad osservarlo mentre estraeva il proprio violino dalla custodia e raggiungeva i musicisti incuriosi da quell'improvvisa aggiunta. John seguì i movimenti di Sherlock che iniziò a suonare “God save the queen” a ritmo con gli altri membri della banda che non furono infastiditi da quella intromissione, visto il talento artistico del giovane ragazzo che si era unito a loro. Sherlock, che solitamente chiudeva gli occhi mentre suonava, tenne lo sguardo fisso su John che ricambiò quella lunga occhiata col volto rigato da alcune silenziose lacrime: non gli importava se gli altri l’avrebbero preso in giro per tutta la durata del suo arruolamento, non poteva e non voleva trattenersi di fronte a quel regalo che stava ricevendo.
Quando la musica finì e tutti erano impegnati ad applaudire, Sherlock approfittò di quel momento per correre da John ed abbracciarlo un’ultima volta prima di lasciarlo andare “John.”
“Cadetto Watson.” l’ufficiale lo richiamò all’ordine, indicandogli l’ingresso dell’hangar “Dobbiamo andare e dobbiamo farlo ora.”
John si staccò un poco da Sherlock ed annuì all’ufficiale “Sì, arrivo subito.”
Signorsì signore, cadetto.” lo corresse prontamente il graduato che, tuttavia, decise di allontanarsi e concedere loro qualche minuto.
“Signorsì signore, mi scusi signore.” John sudò freddo per la sua prima gaffe con un ufficiale, ma trovò che non fosse una scusa sufficiente per allontanarsi dalla stretta di Sherlock che, per l'appunto, abbracciò ancora qualche istante.
“Bastardo.” sibilò Sherlock, guardando di sottecchi l’ufficiale che aveva ripreso John.
“Shhh!” ridacchiò John, coprendogli la bocca con la mano “Sherlock, grazie per il violino e per il resto, ma ora devo davvero andare.” bisbigliò a malincuore, staccandosi dal corpo del suo compagno.
Sherlock annuì, ma prima di andarsene tolse il portachiavi a forma di trifoglio dal passante della cintura e lo consegnò a John “Tieni questo.”
John prese in mano il trifoglio, ma inarcò il sopracciglio per la sorpresa “Ma è il tuo portafortuna. Non te ne separi mai.”
“Così avrai Shamrock sempre con te.” spiegò Sherlock, indietreggiando di un solo passo “E visto che è il mio portafortuna, dovrai riportarmelo. Tutto intero. Ci siamo intesi?”
John annuì e sfumò a sua volta quel distacco portando un solo piede all’indietro “Sì.”
Sherlock si sforzò di sorridere “Ora vai, o il bastardo ti sgriderà di nuovo.”
John annuì e gli sorrise a sua volta “A presto, gatto.” disse poi, in quel modo particolare di confessarsi il loro amore.
“A presto, Jawn.” rispose con un sorriso a quella dichiarazione, per poi voltarsi, all’unisono con John, ma in direzioni opposte, congedandosi con la silenziosa promessa di aspettarsi e di amarsi nonostante la lontananza forzata.
Quando Sherlock si voltò nuovamente, John era già sparito dentro l’hangar: sospirò a lungo prima di tornare sui propri passi, scoprendo che Mycroft aveva già raccolto il suo prezioso violino lasciato a terra vicino ai componenti della banda e rimesso nella custodia. Raccolse quindi il proprio borsone e il resto degli effetti personali lasciatigli da John “Andiamo Mycr?”
“Sì, Sherlock, andiamo a casa.” annuì Mycroft, rimanendo poi silente per qualche istante prima di aggiungere “Sono fiero di te, fratellino.” era contento che non gli avesse chiesto di fermare la partenza di John, perchè era sintomo della sua crescita, del suo distacco dall’infantile egocentrismo e del sentimento sincero e profondo che lo legava ad un’altra persona.
“L’abbiamo fatto per noi. Non è stata una scelta difficile.” mentì Sherlock, aprendo il portabagagli della lussuosa auto che li attendeva “No, non è vero. Sono stato tentato fino all’ultimo di chiedertelo.” sospirò, sistemando al meglio i borsoni, ignorando l’autista che si offriva di aiutarlo “Ma in questi tre mesi ho visto quanto sia bello vivere con lui e non potevo rischiare di mandare tutto all’aria per il mio egoismo.”
“Appunto.” ammiccò Mycroft, sedendoglisi accanto nei sedili posteriori, una volta sistemati tutti i bagagli “Sono molto fiero di te. E farò di tutto per farti passare questi due anni nel miglior modo possibile.”
“Grazie.” annuì Sherlock, perdendosi poi con lo sguardo fuori dal finestrino.
Mycroft sospirò: sapeva che non sarebbero stati due anni facili, ed era ben conscio del fatto che Sherlock avrebbe sofferto, ma era proprio grazie a John Watson se ora aveva l’opportunità di riscattarsi come fratello maggiore e, sicuramente, non avrebbe perso l’occasione per farlo.

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(1)Riferimento al personaggio di Agatha Christie, Hercule Poirot

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