Cousins.

di distantmemory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 (Parte I) ***
Capitolo 16: *** Capitolo 14 (Parte II) ***
Capitolo 17: *** Capitolo 15 (Parte I) ***
Capitolo 18: *** Capitolo 15 (Parte II) ***
Capitolo 19: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 17 (Parte I) ***
Capitolo 21: *** Capitolo 17 (Parte II) ***
Capitolo 22: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 20 (Parte I) ***
Capitolo 25: *** Capitolo 20 (Parte II) ***
Capitolo 26: *** Capitolo 20 (Parte III) ***
Capitolo 27: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 22 ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Prologo.

Courtney e Heather si conoscevano fin dalla nascita. I loro genitori avevano frequentato la stessa università, dove si conobbero, fecero amicizia e tra loro si sposarono ed ebbero due splendide figlie.

Il padre di Courtney, Roberto Barlow, era per metà spagnolo e per metà canadese. Era alto e aveva una carnagione olivastra, gli occhi marroni e i capelli neri. Si era laureato in legge e faceva l’avvocato come sua moglie, Carla Lopez. Carla era spagnola, un po’ più bassa del marito, con una carnagione scura e i capelli lisci e castani che le arrivavano sulle spalle e le incorniciavano il viso ancora giovane nonostante l’età.
Courtney voleva diventare avvocato come loro; aveva la carnagione e gli occhi del padre e i capelli della madre.

Heather era asiatica come i loro genitori: aveva la loro pelle chiara e gli occhi a mandorla. Il padre faceva l’architetto e si chiamava Takashi Wilson, mentre la moglie Mineko Lopez insegnava giapponese al liceo linguistico. Lei e Carla avevano lo stesso cognome, ma non erano parenti… o forse sì?

Fin da piccole, Courtney e Heather adoravano giocare solo tra loro senza nessun altro e se qualcuno chiedeva di unirsi a loro, acidamente rispondevano di no. Erano molto simili di carattere: acide, orgogliose e studiose. Per loro lo studio era la cosa più importante e il divertimento poteva anche aspettare. Nel corso degli anni avevano conosciuto molte persone ma poche divennero loro amici, poiché non tutti le sopportavano.

Avevano ricevuto parecchi corteggiamenti e richieste di fidanzamento per la loro bellezza ma non accettavano mai perché odiavano i ragazzi: Courtney si innamorò in prima media di un ragazzo. Visto che lui sembrava interessato, Heather e altre la incitarono a dichiararsi e lei così fece, ma lui le rise in faccia prendendola per le peggiori parole e in poco tempo tutti vennero a sapere di questo prendendola in giro, e da allora decise di non innamorarsi più o fidanzarsi. Ovviamente Heather si infuriò con questo ragazzo e un giorno gli chiese perché la sua amica non gli piacesse, che era perfetta e gli chiese se fosse gay, ma la cosa fece solo peggiorare la situazione.
In seconda media, invece, Heather si fidanzò ma dopo due o tre mesi scoprì che il ragazzo la tradiva, non con una, ma con ben due ragazze. Lei pianse per diversi giorni e non andò a scuola, mentre Courtney, che era capoclasse, gli diede diversi punizioni, come aiutare la bidella a pulire durante il pomeriggio e ogni tanto gli capitavano anche diversi schiaffi. Anche Heather, dopo quell’accaduto, decise di lasciar stare i ragazzi e di dedicarsi solamente allo studio e a Courtney.

Ora avevano finito la terza media e si erano godute le vacanze. Stava per ricominciare la scuola e avrebbero frequentato una delle migliori scuole di Toronto, ovviamente nella stessa classe.

Sarebbero davvero riuscite a stare alla larga dai ragazzi?







Ciao ragazzi! :D
L'idea ce l'ho da un po', quindi perchè non realizzarla? xD
Questo è solo il prologo ed ho già pronto il prossimo capitolo, che però è corto.
Posterò il capitolo a 2 recensioni. :)
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


La famiglia Wilson e quella Barlow vivevano nello stesso condominio. Spesso Heather dormiva da Courtney o viceversa e visto che il giorno dopo sarebbe iniziata la scuola e i genitori di Courtney non ci sarebbero stati per questioni di lavoro, Court andò a dormire dalla sua amica, che per lei era una sorella.

La sera decisero di mangiare sul letto di Heather nella sua camera e cominciarono a chiacchierare sulla loro nuova classe
«Sai quanti bocciati ci saranno per caso?» chiese Courtney dando un morso al suo panino.
«Sì, due ragazzi. Hanno entrambi 16 anni e so che uno di loro non è del posto.» rispose disinteressata Heather.
«Ragazzi?! E sai come si chiamano?»
«No, me l’ha detto Dawn ma non ricordo.»
Dawn era una delle poche amiche che si erano fatte durante la scuola media. Aveva anche lei pochi amici per il suo strano carattere: leggeva le auree e il futuro nelle foglie da tè, era ambientalista e vegetariana, ma era una bravissima ragazza.
«Spero solo che non ci infastidiscano, ma spero di incontrare qualcuna simpatica.» sbottò Courtney, finendo di mangiare.
Heather annuì, e dopo aver visto un po’ di televisione si misero a letto.

Il giorno dopo si svegliarono verso le 7.15: non volevano fare tardi il primo giorno di scuola! Fecero colazione e si lavarono e corsero in camera per scegliere cosa indossare: Heather si mise un top rosso e dei jeans con delle scarpe da ginnastica nere, con un po’ di matita e lucidalabbra mentre Courtney una t-shirt bianca e dei pantaloni neri leggeri con scarpe da ginnastica bianche. Si truccò come Heather ma si mise anche un po’ di ombretto bianco con delle sfumature nere.
Presero le loro borse e uscirono, dove c’era il padre di Heather ad aspettarle e poi le accompagnò a scuola.

C’erano già tanti ragazzi che, notando dai loro visi, avrebbero di certo preferito continuare a dormire e molti di loro aspettavano già le vacanze di Natale.
«Ehi.» le ragazze sobbalzarono, ma videro che era stata Dawn a parlare.
«Ciao!» risposero loro sorridendole.
«Poi ci devi spiegare come fai a non farti notare, eh.» disse Courtney e le tre si misero a ridere.
. La campanella suonò e un fiotto di gente entrò nell’edificio, tra cui anche le tre.

Le ragazze misero le loro cose negli armadietti, poi una voce dall’altoparlante comunicò ai ragazzi delle prime di dirigersi in palestra.
. Quando arrivarono tutti, il preside si avvicinò al microfono, dando il benvenuto ai ragazzi e presentando i professori. Pian piano il professore di ciascuna classe lesse i nomi dei propri alunni e ad ogni nome pronunciato qualcuno si faceva avanti dirigendosi da colui che parlava. Ci volle un’ora, poi tutti andarono nelle proprie classi seguendo i loro insegnanti.

I banchi erano singoli. Courtney, Heather e Dawn si misero alla penultima fila, cioè alla terza, per non farsi controllare sempre dai prof ma anche per vedere alla lavagna.

«Ragazzi, benvenuti! Spero che stiate bene qui e che nessuno vi dia fastidio…» spostò lo sguardo in diverse direzioni, come per cercare qualcuno, e sospirò «Se avete problemi, non abbiate timori e rivolgetevi. Io sono il professor McLaine ed insegno italiano.» Diede uno sguardo alla porta, poi ricominciò a parlare. «Bene, a quanto pare non arriva nessuno… cominciamo pure con l’appello.» Si sedette e prese il registro, lo aprì e cominciò a leggere i nomi fino a finire.
«Ok, cominciamo pure con il parlare un po’ di noi!» ma venne interrotto dalla porta che si apriva.

«Buongiorno, professore!»
«Le siamo mancati?»
Il professore rivolse uno sguardo ai due nuovi arrivati e si portò una mano al capo come per disperazione.
«E’ solo il primo giorno, e già ritardate?»
I due si fecero avanti.
«Bè, prof, meglio tardi che mai, no?!» i due risero e si diedero il pugno.
«Bene, ragazzi, vi presentò gli unici ripetenti nonché ritardatari della classe: Duncan Nelson e Alejandro Burromuerto.»






Angolo dell'Autrice:
L'avevo detto che il capitolo sarebbe stato corto!
Diciamo che è una specie di seguito del prologo, i prossimi capitoli non saranno così corti (o almeno spero.)
Ringrazio chi recensisce o chi legge semplicemente, ma mi farebbe piacere una piccola recensione, anche solo per consigliarmi magari qualcosa, se volete che aggiunga qualche personaggio e se vi piace o ci sono errori.
Al prossimo capitolo! :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Il prof venne interrotto dai due ragazzi ripetenti che avevano fatto tardi.

Erano entrambi dei bei ragazzi e capii subito chi era lo straniero: era alto ed aveva due smeraldi al posto degli occhi! Aveva una carnagione simile a quella di Court e i capelli erano un po’ lunghi, castani. Anche da sotto ai suoi indumenti si poteva notare il fisico palestrato. All’altro ragazzo non ci feci molto caso, ma notai che per un momento Court lo fissò, ma poi ritornò a leggere quello che sembrava il libro di storia.

«Ragazzi, -cominciò a parlare il prof quasi in preda alla disperazione- potete sistemarvi ai banchi in fondo. Non li ho fatti occupare a posta per voi, contenti?»
«Grazie, Chris, ti vogliamo bene anche noi!» disse lo straniero, e gli diede una pacca sulla spalla.

Mi girai per controllare dove fossero gli unici due banchi liberi e notai che erano proprio dietro me e Courtney. Lei continuava a leggere, anche quando i ragazzi le passarono affianco per dirigersi ai loro banchi e quando quello con la cresta la squadrò.

Io li seguii con gli occhi e, stando al primo banco della mia fila, mi misi con le spalle al muro.
Lo straniero si accorse di me e io mi girai subito, rossa in volto. Di certo non volevo cominciare una conversazione con dei ragazzi, specialmente con dei ripetenti.

«Cominciamo a presentarci. Chi di voi vuole dire qualcosa?» cominciò il prof.
Per un po’ ci fu il silenzio più totale, poi cominciarono ad alzarsi delle mani, tra cui quella di Court e il prof le diede il consenso per parlare e lei si alzò.
«Mi chiamo Courtney Barlow, ho 15 anni e…»
«E hai un bel fondoschiena. »
Courtney si girò e io feci lo stesso e vidi che era stato il punk a parlare.
«E tu una bella faccia di cazzo, vuoi che te la rovini ancora di più con qualche pugno?» io risi.
«No, non sia mai!» il ragazzo fece dei gesti con la mano come per dire sarcasticamente “oh, che paura!”.
Courtney tornò a parlare e ci presentammo tutti, tranne lo straniero e il suo compagno.

Suonò la campanella e cominciammo a fare ricreazione. Courtney ed io parlavamo del più e del meno mentre Dawn era infastidita da un nostro compagno delle medie che era capitato con noi anche alle superiori: Scott. Aveva ovviamente una cotta per “raggio di Luna” e forse anche Dawn si era invaghita di lui ma ogni volta che ne parlavamo cambiava subito discorso.

Mi girai per controllare cosa stessero facendo i ripetenti e anche loro stavano mangiando e capii subito che commentavano le femmine della nostra classe poiché spostavano lo sguardo di ragazza in ragazza.
Anche Courtney si girò, ma nel momento meno opportuno: loro spostarono lo sguardo su di noi e ghignarono.

«Ciao, chicas, come vi chiamate?» disse il ragazzo dagli occhi di smeraldo.
«Se aveste fatto più attenzione l’avreste capito da soli.» Courtney era evidentemente infastidita dai loro comportamenti da latin lover.
«Mh, okay, bei nomi.» disse il punk «Noi siamo Duncan e Alejandro.» continuò spostando prima il dito su se stesso e poi sull’altro.
«Nessuno ve l’ha chiesto.»
Sospirai. Odiavo i ragazzi e non ero in cerca di storie d’amore, ma almeno qualche amico io avrei voluto farmelo.
«Io sono Heather e lei è Courtney. Prima che ce lo chiediate abbiamo entrambe 15 anni e non vi daremo il nostro numero di cellulare né vi diremo dove abitiamo.»
I ragazzi si guardarono, ovviamente avevo capito dove volevano andare a parare.
«Ci dite almeno i vostri cognomi? Il mio è Burromuerto e quello del coglione qui di fianco a me è Nelson.»
Courtney rise. «Ma Burromuerto non significa asino morto?» pronunciò tra varie risate.
«Sì... –lo disse con uno strano tono di voce, evidentemente lo infastidiva- Sei straniera?»
«Sì, mia madre è spagnola come mio padre che però è per metà canadese. Tu sei…?»
«Messicano.»
«E io sono canadese!»
si intromise Duncan agitando la mano come per attirare l’attenzione.
«Nessuno te l’ha chiesto.» disse Courtney guardando con disprezzo il punk.
«E a te il gatto ha mangiato la lingua?» Alejandro mi guardava e sorrideva. Cosa c’era da sorridere? Quel sorriso mi invogliava a dargli uno schiaffo ma, per educazione, non lo feci. «No. Sono giapponese e se uno di voi due osa dare fastidio a Courtney gli do un calcio nei testicoli.» sorrisi. La cosa più importante era che non dessero problemi a lei. Anche lei sorrise e disse che avrebbe fatto lo stesso per me.
«Quali sono i vostri cognomi?» il messicano non sembrò affatto turbato dalle mie precedenti parole.
«Courtney Barlow e Heather Wilson.» Coutney mi precedette e la campanella suonò, segno che la ricreazione era giunta al termine.

---

Il primo giorno di scuola finì e Heather ed io tornammo a casa a piedi. Mangiai da lei poiché i miei genitori lavoravano e, finito di pranzare, andammo in camera sua e lei accese il portatile.

«Che fai?» le chiesi.
«Controllo facebook, vuoi andare sul tuo profilo?»
«Sì idiota.»
eravamo abituate a chiamarci con insulti anche peggiori.
Ci mettemmo sul suo letto stese a pancia in giù e lei andò sul suo profilo. Aveva qualche notifica di Dawn e Scott e di altra gente che era venuta alle medie con noi e anche qualche richiesta di amicizia. Erano tutti nostri nuovi compagni, ad esempio Bridgette Fairlie che si trovava al banco di fronte al mio. Accettò tutte le richieste delle ragazze finchè vide anche quella di Alejandro e Duncan. Esitò un po’, ma poi accettò.
«Heather, ma che fai? Sono ragazzi!» la rimproverai.
«Uaa davvero? Non me n’ero accorta, sul serio!» io risi, poi andai sul mio profilo e avevo le identiche richieste d’amicizia. Accettai subito quella di Alejandro, ma non sapevo se fare lo stesso con Duncan.
«Su, che ti costa? L’unico fastidio che può darti qui è scriverti in chat.» aveva ragione, ma quel punk da strapazzo proprio non lo sopportavo, allora Heather mi sfilò dalla mano il mouse e accettò per me.

Dawn mi scrisse in chat e mi chiese se potevo uscire e avvisare Heather.
Courtney: Sono a casa sua, possiamo scendere. Dove ci incontriamo?
Dawn: Al parco, tra mezz’ora. Comunque, può venire pure Scott? Ha detto che porta degli amici, quindi non sarete sole.
Guardai Heather e lei guardò me e fece cenno col capo di accettare.
Courtney: Va bene. Tutto per far stare te con il tuo amore! Ahahahah :D
Dawn: Non è il mio amore, mi aveva chiesto di uscire ma mi vergognavo di stare sola con lui, quindi ha detto che potevo invitare anche voi se lui avrebbe potuto invitare dei suoi amici! E non fatevi strani pensieri! Baci e a dopo. :)
Courtney: Ciao, a dopo.<3

Lei si mise offline mentre io controllavo chi c’era in chat.

Notai che Scott era online e lo erano anche Duncan e Alejandro. Dopo qualche minuto, mentre parlavo con Bridgette, Scott si mise offline, e lo fecero anche Duncan e Alejandro.

Io e Heather ci vestimmo e andammo al parco dove incontrammo Dawn e Scott e aspettammo i suoi amici.

---

Heather e Courtney erano agitate, lo notai dalla loro aura gialla. Scott messaggiava e parte della sua aura era rosa. In lontananza vidi due ragazzi avvicinarsi, forse gli amici di Scott. Mi sembrava di averli già visti… Ma certo! Erano in classe con noi.

---

Io e Courtney tirammo un sospiro di sollievo. Salutammo Mike e Geoff e decidemmo di dirigerci ad un bar.

Io, Courtney, Mike e Geoff ci sedemmo ad un tavolo mentre Scott e Dawn si misero davanti al bancone a parlare: erano molto carini insieme e Dawn era un po’ rossa in volto. Io e la spagnola non eravamo abituate a quella situazione, non eravamo mai rimaste sole con dei ragazzi.

«Ehi fratelli, voglio invitarvi tutti alla mia festa da sballo di domani sera!» a parlare era stato Geoff.
«Ok, amico, ci sto.» Mike sorrise.
«N-no, Geoff, noi due non siamo abituate a-alle feste…» Courtney parlava con lo sguardo rivolto verso il suo frullato e giocherellava con la cannuccia e i cubetti di ghiaccio.
«Eddai! Scatenatevi un po’! Divertitevi finchè non ci sono troppi compiti! Durante l’anno non avrete tempo per uscire e stare sempre in casa non fa bene!» Geoff aveva ragione. Stavamo troppo spesso in casa e quelle poche volte che uscivamo eravamo solo in compagnia di ragazze.
«Dovete anche farvi nuovi amici, non potete stare sempre con le stesse persone.» Mike era più tranquillo del festaiolo.
«Senti, no, guarda, grazie dell’invito ma noi…»
«Accettiamo. Noi accettiamo. A che ora è la festa?»
«Alle 8.00! Grandee, vedrete che divertimento! Vengono Dawn e Scott a prendervi verso le 7.45, ok?»
«Okay.»
sorrisi e non feci caso agli sguardi di rimprovero di Courtney e finii il mio frullato seguita a ruota dagli altri, poi tornai a casa e mi dovetti subire i rimproveri della mia amica mentre lei prendeva le sue cose per tornare a casa.







Angolo dell'Autrice:
Okay, giuro di odiare questo capitolo!
Il capitolo precedente corto, questo è orribile ma alla fine è servito solo a far presentare i nostri 4 personaggi e per l'invito di Geoff, la vera storia non è ancora cominciata.
Spero che non mi uccidiate per questo e che recensiate comunque, anche per possibili errori e consigli come avete fatto precedentemente, e io li ho trovati tutti corretti e quindi ho modificato qualche cosa nei capitoli precedente.
Spero di ricevere qualche buona recensione e al prossimo capitolo. :)
Alex.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Mi svegliai sul divano senza la maglietta. Senza girarmi, con la mano all’indietro cercai l’orologio e quando lo trovai portai il braccio avanti: erano le 8.00.
Mi alzai e cercai in cucina e in bagno Alejandro, poi andai nella sua camera e lo vidi conciato come me: con i capelli spettinati e in mutande.
Ronfava profondamente e decisi di svegliarlo delicatamente: andai in bagno e presi un secchio e lo riempii di acqua ghiacciata e, una volta in camera, la buttai addosso ad Al.
Si svegliò catapultandosi verso sinistra sbattendo la testa contro il comodino.

«Ma dico, sei coglione oppure ti sei fumato qualche canna?» si stropicciò gli occhi e si alzò dal letto.
«Muoviti, fai colazione e lavati, che puzzi. Ma proprio in una maniera forte! Un tanfo che arriva fino in cucina!» risi.
«Idiota…»

Andammo in cucina. C’erano panni sparsi ovunque, anche nel lavandino e nel frigo, dove non trovammo nulla da mangiare e decidemmo di fare colazione al bar.
Prendemmo vestiti a caso che erano a terra senza notare di chi erano e di che colore erano, in fondo le ragazze ci adoravano anche con stracci addosso, o anche senza nemmeno quelli.
Ci sciacquammo la faccia. Sciacquare per modo di dire: ci schizzavamo l’acqua addosso a vicenda bagnando anche i nostri vestiti, poi prendemmo i nostri zaini con all’interno videogames, iPod e cellulari ma senza libri e andammo al bar.

Nel frattempo si fecero le 8.15 e sentimmo in lontananza la campanella che suonava ma non c’era fretta, per noi! Mangiammo tranquillamente e poi ci dirigemmo a scuola e, con la solita scusa dell’abitare lontano che ormai usavamo ogni giorno, entrammo e andammo in classe.

La porta non si apriva, come al solito. Era dall’anno precedente che era rotta e nessuno aveva la buona volontà di aggiustare quella fottuta porta! Alejandro le diede un calcio e si aprì.

«Buongiorno prof.» Al salutò con gli occhi chiusi e sbadigliava continuamente mentre andava al suo banco barcollando, ancora dormendo.
«Prof, quand’è che fate aggiustare ‘sta benedetta porta?» chiesi mentre camminavo già dietro Alejandro. «E tu muoviti, non vorrei sedermi quando la ricreazione è già cominciata!» Il messicano non ci fece caso e, lentamente, ci sedemmo.

A quanto pare la lezione era già cominciata: avevano tutti i libri di italiano davanti e c’era una bionda davanti alla lavagna che mi guardava. Era alta e magra e aveva un fisico da modella e le feci l’occhiolino e lei mi sorrise, la classica ragazza facile.
Alejandro si addormentò sul suo zaino mentre io non avevo voglia di usare né iPod né cellulare, cosa molto strana.

«Ehi principessa, mi presti un libro?» Courtney si girò e mi guardò dritto negli occhi, con uno sguardo misto tra l’odio e il disprezzo.
«Tu non ce l’hai?»
«Se ce l’avessi non te l’avrei chiesto.»
«E perché non te lo sei portato?»

Feci le spallucce. «Mi scocciavo, ho ben altro da portare.»
Lei sospirò e prese il suo libro e me lo porse.
«Grazie, principessa le feci l’occhiolino ma lei si girò, senza dirmi nulla né sorridermi.

Due ore passarono velocemente.
Per Alejandro, però, che aveva dormito tutto il tempo e al suono della campanella si svegliò di botto, carico di energie.
Mangiammo e poi andammo gironzolando in giro a cercare qualcuna da rimorchiare. Scott, uno dei ragazzi nuovi, uno dei pochi buoni là in mezzo almeno per noi, si avvicinò. «Ragazzi, Geoff ha organizzato una festa stasera. Volete venire? Lui non mi ha chiesto di invitarvi ma lo faccio io, ci sono solo sfigati là in mezzo e sono sicuro che mi farei due palle piene.»
«Ma non c’è la tua Dawn?»
disse Alejandro ridendo.
«Sì, c’è, però lei di sicuro starà con le sue amiche per la maggior parte del tempo.»
«Va bene dai, veniamo. A che ora è la festa?»
dissi in fretta per non perdere troppo tempo, volevo andare in corridoio a cercare qualche bella ragazza.
«Alle 8, vi vengo a prendere verso le 7.40.»
«Ok, a stasera allora.»


Uscii dalla classe senza chiederlo al prof, anche se notai che mi guardava con rimprovero ma ormai ci aveva fatto l’abitudine.
Andai verso il bagno delle ragazze ed entrai: loro erano abituate a questo, invece. Non c’era nessuno e feci per andarmene ma, girandomi, vidi Courtney con le mani sui fianchi che mi guardava.
«E’ il bagno delle ragazze. Sei una ragazza? Oh, scusa, non me n’ero accorta.»
«Ti sei fatta una domanda e ti sei risposta da sola. Non ti senti un po’ stupida?»
«Vattene, non puoi entrare qui.»
«Ormai, quando chiedo al prof di andare in bagno…»
«Sempre se lo chiedi.»
«Sì, esatto, se chiedo al prof di andare in bagno intendo quello delle ragazze.»
«Che porco. Comunque, perché non te ne vai?»
«Devi fare le tue cose?»

Lei non mi rispose ed entrò e io la seguii con gli occhi. Aprì il suo borsellino e notai una cosa viola che spuntava fuori, ma lei con la mano la mise più sotto come se volesse nascondermela. Si mise solo la matita, il mascara e il lucidalabbra, poi si girò verso di me.
«Ora vattene.»
«Devi fare le tue cose?»
«Sì. Cioè… no, non proprio… più o meno!»
«Hai dei puntini in faccia che ieri non avevi.»

Lei si girò verso lo specchio.
«Argh, sapevo di dover portare il fard!»
«Se vuoi te lo faccio prestare da qualcuno.»
Mi guardò.
«E da chi? Da Alejandro? Non sapevo si truccasse.»
Risi. «No, da qualche ragazza, ne conosco parecchie.»
«Okay, renditi utile se vuoi. Però quando arrivi bussa, che io chiudo la porta.»
«Sì signora!»
uscii e chiusi la porta dietro di me.

Andai verso la classe più vicina ed entrai. C’erano parecchie ragazze che conoscevo. «Ehi, Katie!» lei si girò verso di me e si incantò nel vedere codesta bellezza!
«D-Duncan! Cosa ci fai qui? Hai preso in considerazione il mio appuntamento?»
«No, ma potrei farlo se mi prestassi del fard.»
«Certo, qualunque cosa per te! Te lo regalo, tanto ne ho altro a casa!»
dalla sua borsa prese il suo astuccio, lo aprì, prese il fard e me lo porse.
«Grazie, alla prossima.» strizzai un occhio e lei quasi svenne.

Tornai in bagno e bussai. Nessuno mi rispose ma aprii comunque e vidi Courtney con quella cosa viola in mano e dall’altra parte qualcosa coperto dalla carta igienica. Lei mise quella ‘busta’ viola attorno alla carta e lo buttò nel cestino e capii, poi si accorse di me.
«Duncan! Avevo detto di bussare!»
«Ora ho capito il perché dei tuoi sbalzi d’umore e i puntini in faccia… hai anche il seno più grande.»
«Promettilo che non lo dirai a nessuno!»
«Non c’è niente di cui vergognarsi, principessa, in fondo capita a tutte le donne.»
«Dammi il fard piuttosto.»
«No! Non senza ricevere qualcosa in cambio!»
«Ok, quanto vuoi? Posso darti solo 15 dollari.»
«Non voglio denaro, voglio qualcosa di più.»
«E va bene, ti farò copiare al compito di storia dell’ultima ora.»
«No, non voglio nemmen… COSA?! C’è un compito di storia?! Non ne sapevo niente!»
«Neanche io, era uno scherzo per prendermi il fard senza prometterti nulla di “reale”.»
«Sei furba, ma anche se ci fosse stato un compito non te lo avrei chiesto comunque.»
«Allora che vuoi?»
«Ci vieni stasera alla festa di Geoff?»
«Sì, ci vado, e allora?»
«Allora ballerai con me e se non lo farai dirò che quando sono entrato in bagno tu non hai detto niente e hai cercato di baciarmi.»
«Ma non è vero nulla!»
«Lo so, ma secondo te crederanno ad una sfigata secchiona o ad un figo amato da tutti e tutte?»

Sospirò. «Okay, ballerò con te.»
«E’ un piacere fare affari con te! Ah, comunque il fard te lo puoi anche tenere.»
Le diedi il fard e non disse nulla, né grazie né bofonchiò un qualsiasi insulto e io me ne andai.

---

Courtney era andata in bagno e ci stava mettendo più tempo del previsto. Uscii per andare a prendere i libri all’armadietto e presi quello di italiano. Lo chiusi e, senza neanche voltarmi, capii che c’era il bel messicano alla mia sinistra.

«Che vuoi?» gli chiesi senza un po’ di gentilezza e senza guardarlo.
«Che ci facevi ieri al bar con quei due ragazzi? Aspè, com’è che si chiamano? Ah sì, Mike e Geoff.»
«Non ti interessa, non ti deve interessare. Ti ho conosciuto solo ieri, e a malapena ricordo il tuo nome.»
«Hai conosciuto solo ieri anche quei due ragazzi, ma ci sei uscita. E sono sicuro che tu ricordi perfettamente il mio nome, nessuno può dimenticarselo.»
«E se io l’abbia fatto?»
«Non l’hai fatto.»

Entrammo in classe e mi sedetti, ma lui ancora mi stava attorno.
«Vai alla festa stasera, vero?» continuava a parlare e gli rispondevo contro voglia.
«Sì, ci vado.»
«E se ti passassi a prendere?»
«Non sai nemmeno dove abito.»
«No, ma me lo potresti dire.»
«Comunque no, dei miei amici passano a prendere me e Courtney.»
«So che tu e Courtney abitate nello stesso condominio.»
mi girai di scatto verso di lui.
«Chi te l’ha detto?!»
«I miei informatori.»

Sospirai. «Allora, volevi chiedermi se potevi venirmi a prendere stasera ed è un chiaro no, quindi ora levati da dosso e non rompere.»
«Non volevo chiederti solo questo.»
«E cosa vuoi ancora?»
«Oggi è martedì e giovedì di sicuro qualcuno dovrà portare te e tutte le nuove matricole in giro per la scuola per presentarvi i corsi, la palestra e tutti il resto e…»
«Il prof non ha detto nulla riguardo questo.»
«Ieri non aveva tempo, ne abbiamo perso troppo a parlare sulle nostre, anzi, mi correggo, sulle vostre vecchie scuole e i vostri vecchi voti. Oggi vi avviserà sicuramente, massimo domani. Quindi, vorrei avere io l’onore di stare con te, giovedì.»
«Vuoi dire che dovremmo tutti cercarci qualcuno che ci accompagni?»
«No, il prof di sicuro troverà qualcuno per voi, ma ho sentito dire che tu e la tua amica non siete in vena di conoscere qualche ragazzo quindi perché non farti accompagnare da qualcuno che conosci già?»
«Che ci ricavo?»
«Nulla, ma magari potresti ricavarci un bacio…»
si avvicinò e io finii con le spalle al muro ma lo feci allontanare con le mani.
«NON. OSARE. TOCCARMI.»
«Per ora, farò come vuoi Comunque, accetti?»
«Facciamo così: se il prof avvisa oggi noi matricole di questa perlustrazione della scuola e blablabla, vengo con te…»
«E ballerai stasera con me alla festa di Geoff!»
«… emh … okay, ma solo per pochi minuti… Altrimenti, se il prof non lo dice oggi, il che vuol dire che lo dirà domani, io mi troverò una nuova guida e tu non mi starai così tanto appiccicato, ok?»
«Okay, affare fatto, piccola.»
«E non chiamarmi piccola!»

Lui se ne andò e io ghignai. Avevo sentito fuori, prima che Alejandro arrivasse, il prof McLaine parlare con quello di matematica che diceva che avrebbe avvisato noi ragazzi di una certa ‘guida’ domani, non oggi perché avrebbe spiegato.
Felice di togliermi dai piedi quel messicano, aprii il libro di italiano e cominciai a leggere.

---

Volevo assolutamente portare quella chica con me, in giro per la scuola, da soli giovedì. Duncan tornò in classe seguito a ruota da Courtney e quando il prof. McLaine entrò tutti ci alzammo e io mi andai da lui.
«Prof, avrei un favore da chiederle. Se acconsentirà, giuro di non ritardare fino a martedì prossimo.» lui mi guardò preoccupato e sorpreso.
«Ti senti bene?!»
«Prof, lei sa che giovedì le matricole dovranno essere accompagnate da alcuni ragazzi dell’anno scorso a perlustrare la scuola, giusto?»
«Sì, e allora?»
«Potrebbe avvisarlo ora? Avrei fatto una specie di ‘scommessa’ con una ragazza.»
«E in cosa consisterebbe?»
«Poi lo scoprirà. Se lei mi farà questo favore, poi dovrà acconsentire pure alla mia richiesta successiva, ok?»
«Okay ma…»
«Grazie prof, le voglio bene! Non ritarderò fino a martedì, lo giuro! Anzi, facciamo fino a sabato?»


Tutti si erano seduti e andai al mio banco sentendo Duncan che parlava di Courtney e chiedendomi cosa avessi detto al prof, ma gli dissi di stare zitto.
«Buongiorno, ragazzi…» il prof mi guardava turbato «Giovedì, tutte voi matricole sarete accompagnate da un alunno degli scorsi anni a perlustrare la scuola, i ragazzi che vi accompagneranno li sceglierò io, altrimenti, se conoscete qualcuno in questa scuola che vi possa fare da guida, dovete dirmelo entro domani…»
Ghignai. «Prof, potrei accompagnare la signorina Wilson?» lei si girò con gli occhi spalancati e tutta rossa dalla rabbia.
«Emh, sì, certo, se per lei va bene…»
«Sono sicuro che le andrà benissimo! Vero, chica?»
Heather non rispose e, imbarazzata dagli sguardi increduli di tutti addosso a lei, si mise con lo sguardo fisso sul suo banco.

Quella sera e giovedì avrei passato bei momenti, ne ero certo.








Angolo dell'Autrice:
Ciao ragazze! :)
Ringrazio ancora chi ha recensito i capitoli precedenti o chi li ha solo letti e chi leggerà e recensirà ancora.
Ora però mi dovrete consigliare delle cose!
Prima di tutto vi chiedo se sapete a quale età si diventa maggiorenni in Canada e di dirmelo per favore, poi vi chiedo di consigliarmi il nome di una band formata unicamente da maschi che però non esiste nella realtà.
Chi risponderà alla prima domanda per bene potrà far parte della storia e anche colei o colui che mi consiglierà il nome migliore per questa band. Ovviamente potrete scegliere voi che ruolo fare: amici, ex, compagni di classe e di chi.
Al prossimo capitolo,
Alex. :)

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Ero allibita: non avrei mai creduto che Heather potesse “avere un appuntamento” con un ragazzo, senza neanche chiedere la mia opinione, per giunta!
La giornata finì e, quando uscimmo da scuola ci incamminammo a casa a piedi e ne approfittai per parlarle.
Feci per aprire bocca ma lei mi precedette.
«Non chiedermi perché abbia accettato, perché non l’ho fatto! Io e Alejandro avevamo fatto una specie di scommessa ed ero sicura di vincere, ma non so come ho perso e dovrò persino ballare con lui stasera, alla festa! Sono disperata, che faccio?!» mi guardò quasi con le lacrime agli occhi ma so che non avrebbe mai pianto, non più.
«Ti trovi nella mia stessa situazione, io dovrò ballare con quel punk perché mi ha fatto prestare il fard da qualche ragazza che manco conosco.»
«E a cosa ti serviva il fard?»
«Avevo dei frungoli...»
«Ah, capisco. Almeno tu non dovrai farti accompagnare da un messicano latin lover che tenta di baciare chiunque anche giovedì.»
«Cercherò di evitare ulteriori richieste con Duncan.»
«Però Alejandro…
-si bloccò per qualche secondo- no vabbè, niente.»
«Alejandro cosa?»
«Niente, una stupidaggine.»
«Che stavi dicendo?!»
«Niente! Oh, guarda, siamo arrivate! Vengo da te alle 5, ok?»
«Non cambiare discorso, che stavi dicendo?»
«Ok, a dopo allora!»
mi salutò agitando la mano ed entrò nel nostro condominio e io rimasi quasi immobile pensando alle possibili parole che Heather avrebbe detto, poi mi “risvegliai” ed andai anch’io a casa.

Presto si fecero le 5 ed Heather venne a casa. Continuavo a chiederle e richiederle cosa stesse per dire riguardo Alejandro ma lei cambiava discorso continuamente.
«Dai dimmelo! Sono la tua migliore amica e sai che non ti prenderei mai in giro.»
«Ma se me lo sono anche dimenticata! Comunque, posso andare su facebook? Ok grazie.»
«Quanto sei cocciuta»


Passarono due orette stando su facebook e facendo i compiti e cominciammo a prepararci. Ci lavammo e io decisi di prestare uno dei miei vestiti ad Heather visto che avevamo la stessa taglia. Lei si mise un abito rosso che arrivava sopra alle ginocchia senza spalline e delle decoltè dello stesso colore. Si lasciò i capelli sciolti. Si mise il rossetto rosso acceso, la matita e il mascara: l’ombretto lo odiava, lo metteva solo se era un’uscita molto importante. Io invece indossai un vestito simile viola con qualche brillantino sulla gonna e le stesse scarpe però viola. La matita e il mascara erano indispensabili e anche l’ombretto, che misi viola chiaro.

Verso le 7.45 Dawn mi inviò un messaggio: ”Scendete. e così facemmo. Heather ed io salutammo Dawn e Scott e, per poco, quasi non prendevo un taxi.

---

Scott mi aveva detto che, oltre Dawn, nella mia macchina ci sarebbero dovute stare anche altre due ragazze, e non mi aveva detto nulla! Speravo solo che fossero fighe, altrimenti le avrei fatte andare da Geoff a piedi.

Accostammo davanti alla casa delle “ragazze che non conoscevo ma che sarebbe dovute entrare nella mia macchina” e Dawn inviò loro un messaggio.
Uscirono dal condominio e, in quel momento, sentivo di adorare Scott e se fosse stata una ragazza avrei giurato di baciarla.
Quando Courtney e Heather videro me e Alejandro sbarrarono gli occhi. Si avvicinarono a Dawn e le parlarono e vidi solo che la figlia dei fiori annuì per un momento, mentre loro ci guardavano con disprezzo.

Mi avvicinai a Courtney ma lei parlò prima di me.
«Muoviamoci ad andare alla festa, non voglio sprecare altro tempo stando con te.»
«Ehi, ehi, non c’è fretta, in fondo tu dovrai comunque ballare con me o sbaglio?»
Ghignai.
«Anche se fosse, dopo aver ballato potrò starmene per conto mio con Heather per tutta la serata, okay?»
«Se è solo per questa serata, va bene.»
«Mi dici cosa ci trovi di tanto divertente nel darmi fastidio?»

Stavo per parlare ma Scott si intromise.
«Piccioncini, parlate dopo. Piuttosto entrate in macchina.»
«Che poi è la mia macchina!»

Courtney era già entrata e si era seduta dietro vicino ad Heather, mentre io avrei voluto che fosse stata affianco a me, davanti. E invece lì si era seduto Alejandro.
«Non potevi metterti dietro, eh?» gli dissi con un po’ di rabbia.
«Heather aveva detto che non sarebbe venuta con me giovedì se mi fossi permesso di sedermi accanto a lei.»
«Appunto, ha detto accanto, non dietro!»
«L’ha sottointeso.»
«Certe volte ti odio.»
«Stai zitto, coglione.»
lui rise e io feci lo stesso. Br>
Per qualche minuto, nella macchina, ci fu il silenzio più totale, finchè Heather parlò.
«Voi due… abitate insieme?» ci disse sporgendosi assieme a Courtney tra il poco spazio che c’era tra i due sedili anteriori.
«Sì… com’è che ad un tratto ne siete curiose? Avete voglia di venire a casa nostra e fare quello che si fa alla nostra età?» rispose Alejandro con un ghigno sul volto che poi si dipinse anche sul mio, mentre loro ci fulminarono con lo sguardo.
«No, ma Scott e Dawn hanno voglia di fare i piccioncini e quindi li lasciamo un po’ in tranquillità.» disse Courtney.
«Perché abitate insieme?» insistette Heather.
«Quando fummo bocciati i nostri genitori ci cacciarono entrambi di casa e visto che mio padre aveva una specie di seconda casa, io andai a vivere lì e decisi di far venire Alejandro con me.» continuai io «E perché voi siete tanto amiche?»
«I nostri genitori hanno frequentato la stessa università e divennero tanto amici che, anche quando ebbero due splendide figlie che saremmo noi due, si tennero sempre in contatto e noi due siamo cresciute assieme.»
rispose Courtney. La storia sembrava simile a quella dei miei genitori e di Alejandro.
«Davvero? Anche io e Duncan ci conosciamo da piccoli, purtroppo, ed è per la stessa vostra ragione. Solo che solo i miei genitori hanno avuto uno splendido figlio.» diedi un pugno ad Alejandro sul braccio mentre lui rideva.
«In realtà, neanche i tuoi genitori sono stati fortunati.» gli disse Heather e io non potetti fare a meno di ridere.

Arrivammo alla festa e Alejandro prese per mano Heather ma lei lo strattonò e se ne andò per conto suo con Courtney a braccetto.
«Perché non entrate pure voi a braccetto?» ci disse Scott e io mi immaginai la scena: pessima idea!
«Preferisco uccidermi.» rispose Al ed entrammo nel locale.

C’era un odore di fumo che io amavo e a cui ero abituato. La musica era a tutto volume, cosa che adoravo, peccato che il genere di quella musica non era di mio gradimento, preferivo gruppi punkrock, come i Clash o i Sex Pistols.
La gente scatenata ballava, strusciandosi a vicenda. A sinistra c’era il buffet, dove Courtney e Heather si era fiondate. Di fronte alla gente che ballava c’era un palco dove c’era il dj e notai anche una batteria, una tastiera e una chitarra elettrica. Avrei voluto andare lì e cominciare a suonare ma mi trattenni. A destra invece c’erano delle scale a cui portavano al piano di sopra. Vedevo parecchie ragazze salire con le loro borse e poi scenderne senza. Avrei dato un’occhiata più tardi.

Andai anche io verso il buffet. In un angolo c’erano dei divani, su cui era seduta parecchia gente, tra cui anche la principessa. Presi qualcosa da stuzzicare e andai da lei. Mi sedetti e mi guardò.
«Dopo balliamo. Dopo. Ora no.» mi disse e io sorrisi.
«Non ti da fastidio stare ad una festa in… in quella situazione?» dissi ricordandomi di quello che era successo in bagno quella stessa mattina.
«Anche se fosse tu non mi capiresti.» Restammo in silenzio per qualche minuto e lei non ne voleva sapere di finire di mangiare.
Continuavo a guardarla: era molto bella, sarebbe potuta essere la tipica ragazza cheerleader, quella popolare, quella amata da tutti, ma non lo era. Preferiva studiare e avere le sue cose piuttosto che non averle per nove mesi e diventare madre a sedici anni.
«Qual è il tuo gruppo o cantante preferito?» le chiesi, spontaneamente.
«Nessuno.» mi rispose guardandomi.
«Allora, avrai un genere di musica preferito, no?»
Fece cenno col capo di no.
«Mi piace qualsiasi genere, dipende dal mio umore. Perché ti interessa?»
Feci le spallucce.
«Balliamo?» le chiesi con un sorriso malizioso.
«Argh … se proprio devo! Aspettami qui, torno subito.» cominciò a salire le scale e notai che anche lei stava portando la sua borsetta.
Nel frattempo guardai davanti a me: Alejandro ed Heather stavano già ballando.

---

Come la mia chica mi aveva promesso, stavamo ballando davanti agli sguardi gelosi di altre ragazze che avrebbero dato il mondo per me mentre, la ragazza che tenevo stretta a me in quel momento, avrebbe dato il mondo per andarsene e lasciarmi a qualcun’altra.
«Allora, come si chiamano i tuoi genitori?» le chiesi, ancora.
«Cosa ti interessa?»
«Dovrò pur sapere il nome dei miei futuri suoceri, no?»
«Quanto sei insopportabile! La prossima volta rifiuterò l’invito di altre feste di Geoff!»
«Eddai, mi amor, non sai nemmeno accettare una sconfitta ad una scommessa?»
«Io non ho perso, sei tu che hai vinto imbrogliando!»
«Non ho imbrogliato un bel niente.»
«E allora cosa hai chiesto al professore oggi, eh?!»
«Di poter andare in bagno, ma ha risposto di no poiché ci avrei messo troppo tempo.»
«Ti darei un pugno in faccia!»
«Allora dammelo.»
«No, non voglio vederti in lacrime, e poi un pugno tira l’altro, saresti costretto a metterti in ginocchio e supplicarmi di smetterla.»
«Oh, guarda, già ti preoccupi per me eppure non stiamo ancora insieme!»
«Ma sei idiota? Capisci la gente quando parla?»
«Dipende: al prof non lo ascolto, quando delle ragazze belle e ben dotate parlano annuisco mentre guardo il loro davanzale e con i ragazzi faccio finta di ascoltare mentre penso alle mie cose.»
«Quindi tu adesso staresti guardando le mie…»
«Ho detto di guardare il davanzale di una ragazza bella e ben dotata, non di una ragazza piatta e brutta come te.»
«Argh, non ne posso più!»
mi urlò in faccia, ma riuscii a sentirla solo io dato la musica a così alto volume. Le mani, da dietro al capo, me le passò sul petto e mi spinse, mentre si dirigeva al buffet. Non volevo lasciarla andare né tantomeno non darle più fastidio, così la seguii mentre Courtney e Duncan prendevano il nostro posto.

Heather era di spalle, non potevo guardarla in faccia, ma vidi che si era spostata tutti i capelli in avanti come per coprirsi il volto e notai che si sfregava il viso con le mani. Che lei stesse…
«Stai piangendo?» le chiesi, era come se mi stessi preoccupando.
Vidi che si sfregava un ultima volta e poi si girò verso di me.
«Cosa te lo fa pensare!?»
«Il mascara che ti è colato.»
«Mi era entrata una cosa negli occhi.»
«Hai gli occhi rossi!»
«Mi bruciavano. E comunque, con permesso, vado in bagno a rifarmi il trucco. E non seguirmi!»
«E invece ti seguo.»
e così feci. Salì le scale e andò nel bagno delle ragazze, in cui entrai pure io.
«Non puoi entrare!» non risposi e la guardai mentre prendeva il trucco.
«Dai, dimmelo, perché piangevi?»
«Ti ho detto che non stavo piangendo!»
«Sentivo i tuoi singhiozzi. Giuro di non dirlo a nessuno!»
«Io non piango. Ho pianto una sola volta per un ragazzo, ma non lo farò più.»
«E perché hai pianto per quel ragazzo?»
«Perché ci ero fidanzata ma mi ha tradita.»
«E perché ti ha tradita?»

Per un po’ non rispose e non le chiesi più nulla, non volevo farla rattristire ancora di più ma poi parlò.
«Diceva che non ero abbastanza bella.»
«Quindi è per questo che prima piangevi?»

Si era messa solo la matita, ma si fermò prima di mettere anche il mascara. Mi avvicinai e lei si girò guardandomi negli occhi.
Non so come, non so perché né tantomeno cosa me lo fece fare, so solo che l’abbracciai e lei mi lasciò fare mentre le accarezzavo i capelli e, lentamente, la mia camicia diventava umida.

---

«Ehi, Duncan.» mi disse Courtney mentre si lasciava guidare da me.
«Che c’è? Vuoi un bacio?»
«No, è solo che mi fanno i piedi. Queste scarpe me li stanno ammazzando e vorrei fermarmi.»

Sospirai. Era chiaro come il sole che stesse mentendo ma le lasciai credere che lei fosse una brava attrice e si mise a sedere sul divano su cui eravamo prima. Decisi di andare al piano di sopra, per dare un’occhiata alle borse delle ragazze presenti in sala.
«Ehi, principessa, io vado in bagno. Tu resta qui e non venire a spiarmi!»

Cercai di farmi spazio tra la folla e, finalmente, riuscii ad arrivare alle scale e salii. C’erano due bagni e tre camere. Aprii la prima camera e non c’era nulla di interessante. Feci lo stesso con la seconda e trovai due ragazzi “indaffarati”.
«Oh, scusate il disturbo. Ah amico, bel lavoro!» dissi al ragazzo e lui mi alzò il pollice della mano sinistra in segno di ‘okay, grazie brò’.
Chiusi la porta e cercai di aprire la terza, ma era chiusa a chiave. C’era un tappeto là davanti. Lo alzai e trovai la chiave, tipico di Geoff.

Entrai e vidi un sacco di borse sul letto. Le aprii tutte e presi quei pochi soldi che trovai: ma dico, eravamo nella miseria o cosa? Una volta ‘controllata’ una borsa la gettavo a terra, poi ne vidi una nascosta dietro un comodino. La presi e mi risultò familiare ma la aprii comunque. C’erano un telefono, del trucco, degli assorbenti e un portafoglio in cui c’erano 40 dollari. La porta si aprì e io mi girai di scatto: per fortuna era solo Courtney.

«Chi era quello che doveva andare in bagno, eh?»
«Che devi fare qui?»
«Devo prendere la borsa.»
«Ah, okay, fai pure. Fai come se non ci fossi.»
continuai il mio lavoro e vidi che Courtney mi fissava, con le braccia conserte e immobile.
«Allora? Prendi la tua borsa.»
«Non posso.»
«Perché?»
«Perché un idiota la tiene in mano.»

Ecco perché quella borsa mi era familiare, ed ecco spiegato anche gli assorbenti. Le porsi la borsa e la prese, mentre mi tenevo i 40 dollari in mano.
«Se li vuoi, dovrai uscire con me!»
«Non fa niente, puoi tenerli. Preferisco avere 40 dollari in meno nel portafoglio invece che uscire con un punk come te.»
«E invece credo che tu dovrai per forza uscire con me.»


---

«E invece credo che tu dovrai per forza uscire con me.» mi disse Duncan, con quel ghigno odioso dipinto sul suo volto.
«E perché? Altrimenti cosa fai?»
«Altrimenti…»
si avvicinò a me con uno sguardo malizioso.
Mi preoccupai e camminai all’indietro ma peggiorò solo la situazione, perché chiusi la porta.
Lui mi prese dietro alla vita e, cambiando la mia posizione con la sua e viceversa, mi fece camminare verso il letto.
«Altrimenti, ti violento.»
Lui mi spinse e io caddi sul letto mentre lui mi saliva addosso. Io gli diedi un calcio non so dove e riuscii a farlo distrarre, mentre rotolavo sul letto per poi posare finalmente i piedi a terra e alzarmi, ma scivolai su una borsa che era lì e andai a sbattere sul comodino e quella è l’ultima cosa che ricordo di quella festa.






Angolo dell'Autrice:
Okay, il capitolo è abbastanza corto e Duncan è molto pervertito (ma và?! -cit. lettori). Non so cosa centri, ma era per scrivere qualcosa.(?)
Aaaallora! Avrei un'ultima cosa da chiedervi :') Anche se dovevo chiedere un'altra cosa che però mi sono dimenticata, ma vabbè.
Avrei intenzione di cominciare un'altra long fantasy, ovviamente dopo aver finito questa. La long è ispirata ad un libro, però ci sono parecchie cose che cambiano e i personaggi originali non ci sono quindi, mi chiedevo, è una crossover? Lo so, la mia ignoranza non ha confini.
Ah, PS: Grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono e anche quelli che mi hanno dato consigli sul nome di una band e a quale età si diventa maggiorenni in Canada. ^^
Al prossimo capitolo,
Alex. :3

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Mi risvegliai su un letto tutto disfatto. Il cielo era ancora buio e c’era un balcone affianco a me un po’ aperto, che lasciava passare un venticello che mi scompigliava i capelli.

«Ehi, ti sei svegliata.» sentii. Mi girai e vidi una sagoma. Non riuscivo a capire chi fosse, finchè vidi due occhi acquamarina fissarmi. Una sola persona che conoscevo aveva quegli occhi.
«Ti fa ancora male, la testa?» mi chiese, come se si stesse preoccupando poi!
«Sì, mi fa male. E tutto per colpa tua.» mi alzai e mi misi in ginocchio sul letto, con la testa scombussolata.
«Dove mi trovo?»
«A casa mia. Mia e di Alejandro.»
«C-Che cosa?! Che ore sono?»
«Bè, le 23 o forse mezzanotte, perché principessa?»
«I miei genitori, si staranno preoccupando!»
«Non ti preoccupare.»
mi disse tranquillamente, come se fosse una cosa normalissima. «Quando sei svenuta, in preda al panico, sono andato al bagno delle ragazze dove ho trovato Heather e Alejandro. Ho raccontato loro l’accaduto e Heather mi ha dato un bel ceffone. Mi aveva detto che era meglio non avvisare i tuoi genitori né tantomeno i suoi perché si sarebbero preoccupati, allora Alejandro ha avuto la brillante idea di portarti qui e Heather ha chiamato i tuoi dicendo che avreste dormito da un’amica.»
«Ma ora Heather dov’è?»
«E’ al piano di sotto con Alejandro.»
«Ma… perché ha detto che avremmo dormito da un’amica?»
«Perché dormirete qui, principessa, contenta?»


---

Mi trovavo in cucina assieme ad Alejandro e aprii il frigo, cercando qualcosa da mangiare.

«Ma dico, da quant’è che non andate a comprare qualcosa?» chiesi irritata al messicano prendendo del latte ormai scaduto da settimane.
«Bò, mesi forse. Guarda il lato positivo però, non ingrasserai!»
«Che bisogno c’è di rimanere magra quando non sei bella?!»
«Eddai Heather, sono sicuro che il tuo ex era un grande stupido e lo è ancora e in futuro farà il barbone in mezzo alla strada, me lo sento!»
«Disse quello che mi ha definito brutta e poco dotata.»
«Sai che non pensavo quelle cose.»
«Quindi tu mi stavi guardando le…»
lui annuì ghignando.
«Quanto ti odio!»
«Mi amor, non ti accontenti mai però!»
«Sì, esatto, per accontentarmi ci vuole davvero parecchio!»
chiusi finalmente il frigo e vidi Courtney e Duncan scendere, il punk ridendo e la mia amica con gli occhi sbarrati.

---

Io e la principessa decidemmo di andare al piano di sotto, non prima di avermi fatto subire una specie di ramanzina da parte sua visto che, secondo lei, l’avevo quasi violentata. Avevo tentato in tutti modi di spiegarle che non l’avrei fatto sul serio, ma in fondo stavo mentendo anche a me stesso.
Alejandro ed Heather stavano in cucina, e io che pensavo che stessero facendo… vabbè, lasciamo stare.
Heather si precipitò ad abbracciare Courtney.

«Tutto bene?! Che ti ha fatto?!» le chiese tenendole le mani. Ma perché mi definivano tutte un pervertito?
«Per fortuna niente.» rispose Courtney, guardandomi con la coda dell’occhio. Si sedettero in cucina e io feci lo stesso.
«Ragazzi,» parlò l’ispanica «noi non siamo abituate a fare tardi, quindi domani ci sveglieremo tutti puntuali. Però il problema è cosa indossare, per noi due!»
«Potreste andare a scuola nude.» propose Alejandro, non che fosse una cattiva idea.
«Ma certo! E perché voi due non andate in giro con un perizoma leopardato cantando Sex Bomb? Sai che bello spettacolo!» gli rispose Heather.
«Se a voi fa piacere, perché no.» conclusi io e loro mi fulminarono con lo sguardo come se volessero incenerirmi.
«Comunque, non vi preoccupate. Abbiamo anche dei vestiti da ragazze, visto che parecchie donne che vengono qui spesso si dimenticano di prendere i loro indumenti.»
«Mi fate schifo!»
risposero loro in coro. Passammo un’altra mezz’ora a parlare e ad insultarci a vicenda, poi andammo a dormire, ovviamente le ragazze sul nostro letto “matrimoniale” (non che io e Alejandro dormissimo lì assieme, eh!), mentre io e Alejandro sul divano.

Il giorno dopo ci svegliammo alle 7.15 per colpa delle ragazze, ma Alejandro mi aveva raccontato che anche lui, fino a sabato, sarebbe dovuto essere puntuale.
Trovammo degli abiti adatti a Courtney e Heather e andammo a fare colazione al bar, poi ci incamminammo a scuola come se non fosse successo nulla: io con Al e le due ragazze per conto proprio.

Quel giorno non successe nulla di interessante. L’ultima ora venimmo anche divisi e Courtney se ne andò in un’altra classe con Heather, lontana da me.

Il giorno successivo andammo a scuola ugualmente puntuali, Alejandro molto entusiasta perché avrebbe passato l’intera giornata con la sua asiatica dalle belle curve su cui si faceva sogni poco casti, mentre io avrei potuto starmene libero nel club di musica.

---

Ero al settimo cielo! Avrei passato una giornata intera con Heather! Non che mi interessasse particolarmente, però l’idea di infastidirla e farla infuriare mi rendeva eccitato!
La campanella suonò ed entrai senza indugio, accompagnato da due ragazzi che di andare a scuola proprio non ne aveva voglia, uno con i capelli rossi e l’altro neri e verdi. In classe c’era già il prof McLaine e altri ragazzi seduti affianco a lui, forse le guide delle altre matricole.

Quando arrivarono tutti fece l’appello, poi prese un foglio e lesse le varie guide per ciascuno. Quando sentii “Alejandro Burromuerto per Heather Wilson” non potetti fare a meno di sorridere, anche se non ne conosco la ragione.
«Ragazzi, ora potete andare. Mi raccomando, non fate baccano in mezzo al corridoio e non entrate in classi altrui. E tu, Duncan, non gironzolare, piuttosto vai in qualche corso.» disse il prof, guardando con rimprovero il punk.
«Come vuole, prof, ma non le prometto niente.» il prof sospirò.

Uscimmo dalla classe ed aspettai che Heather uscisse. Quando lo fece, le misi un braccio attorno al collo.
«Mi amor, dove vorresti andare prima?»
«Da qualunque parte, l’importante è che tu mi tolga il tuo sudicio braccio da dosso.»
«Perché? E’ chiaro come il sole che non ti dispiace.»
«Stai zitto e fammi da guida!»
«Come vuole lei!»


Perlustrammo prima la palestra e poi vari corsi, tra cui quelli di informatica, ceramica, cucina e alcuni che riguardavano lo sport. Ci fermammo per qualche minuto sugli spalti del campo di baseball osservando la partita, ma lei non ne era interessata.
«Senti, Heather…»
«Che vuoi!?»
«La smetti di essere così acida?»
«Quando sarò più bella, forse sì.»
«Ti ho detto che stavo scherzando! Che altro devo fare, mettermi in ginocchio e chiederti scusa?»
«Magari, ma non ti perdonerei comunque.»
«Allora, c’è qualche favore che potrei farti o qualcosa che potrei comprarti?»
«Non lo so, mi servirebbe qualcosa ma non so nemmeno io cosa. Ho bisogno di tutto: scarpe, t-shirt, jeans, vestiti…»
«Okay okay, calma! Facciamo così: oggi ti vengo a prendere verso le 5 e andiamo dove vuoi tu, a comprare ciò che vuoi tu, e ovviamente pago io.»
«Va bene, ma non pensare che sia un appuntamento!»
«E invece per me lo è.»
«Argh, quanto ti odio! Andiamocene, non ho la minima intenzione di rimanere qui a guardare questi stupidi giocare a questo altrettanto stupido sport.»
disse alzandosi e dirigendosi verso l’uscita, e io feci lo stesso.

---

La mia guida mi aveva già portata in palestra, dove avevo visto Alejandro e Heather ma loro non si accorsero di noi. Il ragazzo che mi stava accanto si chiamava Mark.
Assomigliava parecchio a Duncan, però era un po’ più alto e aveva un piercing solo sul naso, mentre i capelli erano di un colore naturale, e poi era molto più gentile!
Andammo al club di cucina e poi quello di ceramica e quando uscimmo cominciammo a parlare. Lui mi faceva un sacco di complimenti e io ringraziavo, arrossendo: nessuno mi aveva mai fatto dei complimenti, se non Heather!

«Davvero non sei fidanzata?» mi chiese sbalordito.
«Già, per ora non ho ancora trovato nessuno che mi…» le mie frasi furono interrotte perché Mark mi prese i polsi e mi portò le braccia in su. Mi spinse contro il muro e mi fece scivolare giù, come per farmi sedere mentre lui si metteva in ginocchio e mi baciava. Non avevo le forze per reagire, anche perché la sua presa era molto forte. Si staccò un attimo e io cominciai ad urlare “lasciami, lasciami!” ma lui non lo faceva e avevo paura che potesse fare qualcos’altro, finchè sentii una voce a me familiare.
«Mark, lasciala.»
Ci girammo per vedere chi fosse la fonte sonora e vidi Duncan.
«Duncan, amico! Da quanto tempo!» si alzò e fece alzare anche me, tenendomi sempre per i polsi e sperando che il punk facesse qualcosa.
«Già, da quanto tempo. Potremmo vederci anche di più, tu non ti fai mai sentire.» disse lui avvicinandosi ancora di più. Ma che stava facendo? Ora si metteva a parlare?! Quando mi serviva non c’era, e se c’era non faceva un bel niente!
«Sono impegnato, tra una ragazza e un’altra il tempo non ce l’ho mai.»
«Davvero? Anche io sono impegnato, ma solo per una ragazza, quella che tieni stretta a te.»
«Peccato che tu sia arrivato troppo tardi.»
«E no caro, sei tu che hai fatto troppo tardi. Lasciala e non ti ritroverai in infermeria.»

Mark prese i miei polsi con una sola mano e con l’altra mi circondò la vita, facendomi più vicina a lui.
«Courtney mi ha detto che è single, quindi non capisco perché dovrei lasciarla a te.»
«D-Duncan, aiutami…»
gli sussurrai io, non sapevo nemmeno se mi aveva capito.
«Non ti preoccupare, principessa, non ti succederà niente, vero, Mark? Oppure vuoi che Amy venga a sapere tutto?» ghignò lui.
«Non lo faresti mai!» sputò «Altrimenti Courtney farà una brutta fine!»
«M-Mark… tu non saresti capace di uccidermi!» gli urlai, con le lacrime agli occhi.
«Infatti non stavo parlando di ucciderti. Hai presente quello che si fa tra due ragazzi su un letto?»
«MARK! TI HO DETTO DI LASCIARLA! Lei non è single, okay?! Dice a tutti di esserlo perché si vergogna, ma in realtà è la mia ragazza!»
Duncan era rosso, non so se per la rabbia o per l’urlo che aveva fatto.
«C-Che cosa? E perché non me l’hai detto subito, amico?» Mark mi lasciò andare e mi spinse incontro a Duncan e lui mi abbracciò. Ma chi gli aveva dato il permesso?!
«Bene, però, Mark, non dire niente a nessuno altrimenti Amy verrà a sapere ciò che hai fatto alla mia principessa sottolineò le ultime due parole. Da quando ero sua?!
«Ok, non ti preoccupare, non dirò niente. Se vuoi puoi fargli tu da guida, io vedrò di andare al club di musica. Ci vieni oggi pomeriggio?»
«Sì, tanto non ho nulla da fare.»
«Okay, a oggi allora!»
Mark salutò Duncan con un cenno della mano e lui fece lo stesso. Come poteva Duncan fare finta che non fosse successo nulla?!

«Duncan, ora puoi, anzi, DEVI lasciarmi!» lui tolse le braccia dalla mia vita e ghignò.
«”Duncan, Duncan, aiutami!”» mi imitò con una voce che sarebbe dovuta essere la mia, invece sembrava più quella di una bambina.
«Duncan, non fare l’idiota! Solo perché mi hai salvato non vuol dire che io ti debba un fav…»
«Certo invece che devi! Altrimenti darò a Mark il consenso per dire a tutti che stiamo insieme!»
«M-Ma se non è vero!»
«Per ora.»
avevo una voglia matta di prenderlo a pugni!
«Non perdere tempo e dimmi che cosa devo farti.» lui ghignò e mi guardo maliziosamente.
«Quello che di solito le ragazze fanno a noi maschi.»
«DUNCAN! Sai che non ti farò mai quelle cose!»
«Per ora!»
«Sai dove devi ficcartelo quel ‘per ora’?!»
«Allora, cara la mia principessa, magari potresti darmi un bacio.»
«Nemmeno per idea!»
«Ma è quello che voglio!»
«Non importa, tutto ma non questo.»
«Allora vuol dire che parlerò con Mark.»
«N-No ti prego! E se facessi tutto quello che vuoi per una settimana?»
«Un mese.»
«No, una settimana!»
«Tre.»
«Due!»
«Affare fatto, due settimane.»
«A partire da oggi?»
«No, da domani, così posso chiederti di uscire. Oggi devo andare al club di musica, come avrai capito, quindi non potrei utilizzare questa cosa a mio vantaggio.»
«Non chiedermi però cose impossibili! Per esempio, non verrò mai a scuola nuda!»
«A scuola no, ma a casa mia potresti venirci…»
«DUNCAN! Finiscila o giuro che ti do un calcio nei tuoi gioielli!»
«Comunque, a quanto pare non hai più una guida per le prossime tre ore, quindi ci sarò io al tuo fianco, contenta? E non accetto un no!»
«Giuro che quando ne avrò la possibilità, ti renderò la vita un inferno!»
«Wow, che paura.»


Suonò la campanella, il che significava che era iniziata la ricreazione e tornammo in classe, dove mi misi a parlare con Heather.
«Quindi dovrai fare quello che vuole per due settimane? Ma non avevi detto di evitare ulteriori richieste con Duncan?»
«Ma ha detto che avrebbe dato il consenso a Mark per dire a tutti che stiamo insieme!»
«Ed è vero?»
«Affatto!»
«Però ti piacerebbe!»
«Heather! Vuoi che non ti parli più per il resto della mia vita? E poi chi è quella che ha accettato di uscire con Alejandro?»
«Ha detto che mi comprerà tutto quello che voglio.»
«E perché?»
«Perché, emh… bò, dice che è per farmi innamorare di lui.»
non mi sembrava tanto convinta, ero sicura che mi stesse nascondendo qualcosa.

«Ehi, principessa!» ci girammo e vedemmo il punk e il messicano guardarci sempre con quell’odioso ghigno stampato sul volto.
«Che c’è, Duncan?»
«Credo che tu abbia raccontato ad Heather quello che è successo, no?»
«Certo.»
«Bene, e io l’ho raccontato ad Alejandro.»
«E io cosa dovrei farci?»
«Voglio che, in compagnia di loro, tu mi chiami con qualche nome dolce, come si fa tra fidanzati… tipo, che ne so…»
«Amore mio, zuccherino, pasticcino…»
cominciò Heather. Ora ci si metteva pure lei?!
«Heather!»
«Che c’è? E’ divertente!»
«Sì, esatto, amore mio andrà benissimo. Ah, e da domani dovrai stare al posto di Alejandro, accanto a me
«Questa è una punizione per tutti gli scherzi che mi hai fatto!»
mi disse Heather puntandomi il dito contro.
«Emh, Heather… questo vuol dire che tu starai accanto ad Alejandro.» le feci notare.
«C-Che cosa?! NO! NON VOGLIO!»
«E invece devi, mi amor, fallo per il bene di Courtney.»
«Lo faccio solo per vederti soffrire, sia chiaro!»
«Sì, ti voglio bene anch’io Heather.»

La campanella risuonò, il che significava che era terminata la ricreazione, e io già progettavo una vendetta per Heather e Duncan.







Angolo dell'Autrice:
Okay, non so nemmeno io se questo capitolo me gusta o meno.
Vi siete immaginati Duncan e Alejandro con il perizoma leopardato che ballano Sex Bomb? °^° Io sì! LOL
Spero che questo capitolo sia carino, e secondo voi nel prossimo dovrei descrivere solo l'uscita di Alejandro ed Heather oppure anche qello che hanno continuato a fare durante la giornata di scuola? :D
Ringrazio chi recensisce e chi legge semplicemente, che però una piccola recensione pure ci starebbe, eh(?).
Al prossimo capitolo,
Alex.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Finalmente, la tortura finì. Dopo tre ore, abbandonai l’edificio comunemente chiamato scuola ma, cosa più importante, abbandonai Alejandro! Sarei dovuta stare con lui anche il pomeriggio, ma per lo meno mi sarei potuta riposare.

Tornai a casa a piedi, con Courtney. Eravamo entrambe esauste e disperate. Una volta a casa, mangiai e feci i compiti e mi addormentai subito, ormai esausta.
Mi svegliai verso le 4. Visto che dovevo uscire con il messicano, mi preparai in fretta e furia. Decisi di vestirmi normalmente ma comunque per bene: se Alejandro mi avesse vista ben truccata e ben vestita, avrebbe detto che l’avevo fatto per lui e avrebbe cominciato a dire che ero innamorata di lui e cose varie.
Mi misi la matita e, quando stavo per mettermi il mascara, sentii il citofono suonare.
A casa c’erano anche i miei genitori e andò ad aprire mia madre.
Sentii la porta aprirsi e mia madre venirmi incontro.

«Heather, non mi avevi detto che dovevi uscire con un ragazzo!»
«Sì mamma, ora lo sai, contenta? E comunque, non pensare male: lui mi deve un favore e quindi…»
«Sì, Heather, ho capito. Ma per metterti l’ombretto è qualcosa di davvero importante.»
«Argh, quanto ti odio!»


Sentii un ‘permesso’ provenire dalla porta e mia mamma andò ad accogliere Alejandro. Di certo sarebbe rimasta ammaliata dalla sua bellezza… non che a me piacesse, sia chiaro, ma era un bel ragazzo in fondo e a mia madre sarebbe piaciuto sicuramente!

Andai nella mia camera e presi il telefono.
«Heather, non mi avevi detto che tua madre era talmente sexy nonostante l’età. Ora capisco da chi hai preso.» «Alejandro! Che ci fai in camera mia?!» mi girai per guardarlo con aria arrogante e vidi Alejandro entrare, senza nemmeno avermi chiesto il permesso! Girava il capo per vedere i minimi particolari della mia camera, le mie foto, i miei poster.
«Che bella camera, però è troppo femminile per una tipa come te.» «Che vorresti dire?! Che sembro un maschio?»
«No, affatto.»
disse lui sedendosi sul letto. «Solo che pensavo che a te non piacesse il rosa.»
La mia camera, infatti, era quasi completamente di quel colore.
«Tu non sai parecchie cose di me.»
«Bè, potresti dirmele.»
«Ora esci, manca solo che tu ti metta a leggere il mio diario.»
«Hai un diario? Lo voglio leggere!»
Mannaggia a me che avevo parlato!
«No, non lo faccio leggere nemmeno a Courtney! Anzi, nessuno sa che ce l’ho, tu sei l’unico!»
«Allora posso ricattarti…»
«No, non farò nulla di quello che dirai.»

Mi sedetti sul letto per mettermi le scarpe più lontano possibile dal messicano e lui si alzò.
Si avvicinò all’armadio e cominciò ad aprire tutte le ante.
«N-NO! Alejandro, non aprire là!»
«Perché?»
«P-Perché no!»

E indovinate? Lui lo fece!
«Però, quanti colori. Rimangio quello che ho detto, non sei affatto poco dotata!» disse rigirandosi dei miei reggiseni in mano.
«Davvero? Grazie! Ora però posa tutto e andiamocene!»
«Puoi darmene uno? Anche se non lo usi, va bene!»
«No, nemmeno per idea!»
«Okay… aallora… questo è il più grande nonché più bello, quindi prendo questo.»
lo prese e se lo mise in tasca. Io non dissi niente, tanto non sarebbe cambiato nulla.

Andai in soggiorno e lì c’era mia madre ad aspettarmi.
«Heather, è carino, sicura che non ti piaccia?»
«Mamma, sono sicur…»
«Heather!»
Alejandro sbucò all’improvviso e mi fece sobbalzare «Che stai aspettando, mi amor?»
«Non chiamarmi mi amor!»
«Okay… mi amor.»
«Quanto ti odio!»
«Sì, so che mi ami.»
«Mamma, noi usciamo e tu non farti strani pensieri!»
«Strani pensieri?»
chiese Alejandro con una faccia interrogativa. Era così carin… dio quanto era stupido!
«Lascia stare. Ciao mamma.»
«Arrivederci signora!»
«Ciao, Alejandro!»
Fantastico, mamma ora sapeva pure il suo nome!

Usciti fuori di casa vidi una macchina fantastica! Era rossa e aveva una specie di fulmine giallo dipinto sopra. Dall’auto ne uscì Duncan. D-Duncan? Che ci faceva qui?
«Ciao Heather!»
«Emh… ciao Duncan. Che ci fai qui?»
«Niente, sono venuto a disturbare un po’ la mia principessa. Sono appena uscito da scuola e Alejandro mi è venuto a prendere e visto che doveva venire qui…»
«Ah, capisco… allora salutamela…»
«Senz’altro!»
«Avete finito di parlare oppure dovete dirvi qualcos’altro?!»
vidi Alejandro in macchina quasi in preda alla rabbia. Non era mica geloso?
«Non ti preoccupare, Al, non ti rubo la ragazza, a me basta già Courtney. Allora a domani, Heather!» disse salutandomi con la mano e sorridendomi, e io feci altrettanto. Da quando ero la ragazza di Alejandro, comunque?! Entrai anch’io in macchina.
«Ti sta così simpatico?» mi chiese Alejandro, non degnandomi di uno sguardo.
«Chi? Duncan?»
«Certo, chi altrimenti?!»
«Bè, è carino ed è anche simpatico, di certo più di te…»
lo vidi chiudere i pugni e gli occhi e respirare profondamente. Allora era davvero geloso!
«Non vorrai mica diventare la sua ragazza? C’è Courtney che...»
«Courtney lo odia e lui è single, quindi non vedo alcun problema.»
«Te lo dico io il problema! Duncan è interessato a Courtney, non a te! Quello interessato a te sono io!»
io mi girai di scatto verso di lui. Avevo sentito bene?! «Cioè… non sono interessato… è solo che non avrai alcuna chance con lui, è chiaro? Quindi stagli lontano! Lo dico per lui, non che mi importi quello che fai, in fondo è come un fratello per me. E ora andiamo.» Alejandro sembrò momentaneamente tornare in pace con se stesso e partì, per andare non so dove.

---

«Courtney! Courtney!» sentii la voce isterica di mia madre urlare dalla cucina, mentre io facevo i compiti e, invano, cercavo di non sentirla.
«Courtney!» urlò un’ultima volta, spalancandomi la porta.
Visto che faceva un caldo pazzesco e non c’era mio padre, ero in intimo.
«Che vuoi?!» «Io esco, fai attenzione… ah, comunque c’è qualcuno che ti aspetta, in cucina.» Heather? Che ci faceva qui? Non doveva uscire con Alejandro?
Aspettai che mamma uscisse e poi andai in cucina.
«Heather, che vuoi, sai che devo f… COSA CI FAI TU QUI?!» c’era un Duncan davanti a me che camminava avanti e indietro. Quando mi vide mi fissò prima sbalordito e con la bocca quasi aperta, poi si dipinse sul suo volto sempre quell’odioso ghigno.
«Però, non mi aspettavo tale sorpresa.»
«Idiota, non guardarmi! O-ora vado a cambiarmi…»
«No, rimani così. Per me va bene. E se hai ancora caldo puoi toglierti anche quello.»
«Nemmeno per idea, non rimango così!»
«Sì invece, devi! Altrimenti darò a Mark il...»
«Ho capito! Non c’è bisogno che tu me lo dica ogni momento! Che vuoi, piuttosto?»
«Volevo solo un po’ vederti. Hai qualcosa da fare?»
«Sì, i compiti.»
«Bene, allora mi sto un po’ qui poi usciamo.»
«Hai sentito che ho detto? Devo fare i compiti, quindi smamma.»
«Non avrai mai una vita se continuerai così! Dai, i compiti li fai stasera o te li copi domani in classe, per una volta non muore nessuno.»
«S-Senti… se tu mi trovi qualcuno che me li faccia copiare va bene.»
«Non ti preoccupare, hai presente quello sfigato di Harold? Lo ricatto e lui me li fa sempre copiare, quindi non ci saranno problemi.»
«Però questa è la prima ed ultima volta! Comunque, quando avresti intenzione di uscire?»
«Non lo so, il più tardi possibile, mi sto abituando a questa visione.»
«E va bene, vuoi guardare un film?»
«No, ora voglio solo sedermi. Dov’è la tua camera?»
«Seguimi.»
Cominciai a camminare e vidi che lui non si muoveva, poiché mi stava guardando il fondoschiena. Allora andai verso di lui e gli presi la mano e lo portai in camera. Tenerlo stretto a me era una sensazione strana, stranamente piacevole. Pensavo che la sua mano fosse fredda e ghiacciata, come i suoi occhi, mentre era cal… ma che sto dicendo?! No, no, avrei lasciato quella mano il prima possibile!
«Quindi, questa è la tua camera?» disse lui stendendosi sul letto. «Dai, vieni qui accanto a me.» Che cosa voleva farmi? Violentarmi come l’ultima volta?
«N-No Duncan, preferisco rimanere in piedi.»
«Principessa, non ti faccio nulla senza il tuo consenso, altrimenti potremmo anche fare…»
«Stop, ho capito! Non c’è bisogno di continuare, ma io non ti chiederò nulla.»
mi sedetti vicino a lui senza degnarlo di uno sguardo ed ero sicuro che lui stesse facendo lo stesso. Un silenzio imbarazzante calò tra di noi. Odiavo la sua voce, ma in quel momento avrei voluto sentirla. Passarono i secondi, forse addirittura i minuti che a me sembrarono ore.
«Senti, Courtney… dove vorresti andare?»
«Ovunque, se tu non ci fossi.»
«Eddai, principessa, non essere così acida!»
«Sul serio, non voglio andare da nessuna parte, voglio rimanere qui con te.»
spalancai gli occhi. Che avevo appena detto?! Con te?
«Non ti preoccupare, non me ne sarei comunque andato! Ma cosa possiamo fare, qui?»
«Non lo so…»
sbadigliai. Ero davvero stanca e mi girai verso Duncan con gli occhi chiusi, e potetti notare dal movimento delle lenzuola che lui fece lo stesso. Sentii due braccia cingermi la vita e lo lasciai fare, non avevo le forze per controbattere. Quella era la seconda volta in una giornata, avrebbe dovuto ringraziarmi!
Tra i miei pensieri, sentii le forze mancarmi e io e Duncan ci addormentammo, abbracciati.

---

Mi stavo dirigendo al centro commerciale insieme ad Heather. Eravamo entrambi in silenzio, e io in più avevo fatto una scenata. Se venivo a scoprire che Duncan ci provava con lei lo stendevo! Non che mi interessasse, però non mi piaceva che un uomo facesse il doppiogioco.

«Alejandro, cavolo, parlami! E’ vero, odio la tua voce, ma dimmi qualcosa!» Sentii Heather, girandosi verso di me. Ora mi supplicava pure?
«Che c’è? Stiamo andando a fare shopping, come ti avevo promesso e poi ce ne andremo, non vorrei disturbarti ancora visto che vorresti che ci fosse Duncan al mio posto.»
«Ma nemmeno per idea! Preferisco… preferisco…»
Preferiva? Chi preferiva a Duncan che lo avrei sistemato per bene! «Preferisco mille volte te e non è vero che ritengo che Duncan sia carino… Courtney lo trova carino! Anche se fa finta di odiarlo.» Cosa avevano appena udito le mie orecchie?!
«Quindi Duncan non ti piace?» con la coda dell’occhio vidi Heather fare con la testa ‘no’.
«Allora perché cavolo me l’avevi detto?» «Perché quando mi ero messa a parlare con lui sembravi geloso e volevo testare la mia ipotesi.
«Quindi volevi che fossi geloso di Duncan, eh?»
«Nemmeno per idea! E poi quella che dovrebbe parlare sono io, visto che hai detto di essere interessato a me!»
«Ma poi ho ritirato tutto. Siamo arrivati.»
dissi, parcheggiando. Scommetto che lei nemmeno se n’era accorta. Spensi il motore ed uscii dall’auto e vidi che Heather non si muoveva, allora le aprii io lo sportello. Lei scese e io le presi la mano, per non farla allontanare. Chiusi definitivamente la macchina e le misi un braccio attorno al collo, ma lei sembrò non farci caso e non mi rispose con quella sua acidità che amavo tant… che odiavo tanto. Che le era successo?
«Heather, dove vuoi andare?»
«Dove vuoi tu, qui non ci sono mai venuta e credo che tu conosca questo posto meglio di me, vero? Ci avrai portato un sacco di ragazze.»
«In realtà no, questa è la prima volta che ci vengo con una ragazza. Di solito alle altre non le invito mai fuori, mi limito solo a farmele per poi abbandonarle. A malapena mi ricordo i loro nomi, quando mi sveglio di fianco a loro. E poi, non ho mai pagato niente a nessuno, questa è la prima volta.»
ammisi io. Mi sembrò di vedere un sorrisetto allargarsi sul viso dell’asiatica.
«Allora andiamo, muoviti che non voglio perdere tempo!» mi prese la mano e cominciò a correre. Non riuscivo a starle dietro, ma il calore della sua mano contro la mia mi dava la forza per andare avanti, finchè arrivammo ad un negozio di abiti da sposa e lei si mise a contemplare i vestiti.
«Che c’è, devi sposarti?» le chiesi scherzoso io.
«No, mi chiedo solo chi ci sarà affianco a me quando indosserò quel vestito.» ad un tratto sembrava essersi addolcita, ma ero conscio del fatto che quell’atmosfera sarebbe durata altri pochi attimi.
«E te lo chiedi? Ovviamente io!»
«Idiota!»
«E se te ne provassi uno? Così, tanto per vedere come ti sta.»
«M-Ma sei pazzo? La commessa ci prenderà per fidanzati!»
«E allora? E’ solo uno sfizio che mi voglio togliere, vederti con quel vestito. Non ne sei curiosa anche tu?»
«Sì, però…»
«Bene, allora entriamo.»
la presi per il polso ed entrammo.

Heather cominciò a guardare i vari abiti, mentre parlavo con la commessa.
«Quindi vi sposate? Così giovani?»
«L’amore non ha età.»
«Già, ha ragione… è ansioso?»
«Sì, parecchio.»
«Secondo lei quale abito le starà meglio?»
«Nessuno. Addosso a lei fanno tutti schifo.»
mi guardò stranita.
«C-Che sta dicendo?»
«Lei è troppo bella. Nessun abito reggerebbe il confronto e sono sicuro che, qualunque abito indossi, nessuno lo noterà, sarà ammaliato solo dalla sua bellezza.»
«Aww, che dolce, vorrei trovare anch’io un marito come lei!»
«Alejandro, vieni qui!»
parlando con quella donna mi ero completamente dimenticato della mia chica. Sentivo lei che mi chiamava, ma non la vedevo.
«Alejandro, sono qui, dietro di te!» mi girai. La vidi indossare un abito… ma che sto dicendo! L’abito non lo notai proprio, guardai solo lei, il suo viso e il suo maledetto fisico perfetto.
«Allora, come sto?»
«Stai… una meraviglia…»
«Davvero?»
«Sì, è dura ammetterlo ma è così.»

La commessa si avvicinò. «Allora, questo va bene?»
«Sì, è perfetta.»
dissi io. Heather mi guardò storto.
«Che stai dicendo? L’abito è maschile, quindi l’aggettivo dovrebbe essere al…»
«Lo so, stavo parlando di te.»
notai che le guance le si arrossirono e si girò per non essere notata.
«I-io v-vado a cambiarmi…» ritornò in camerino e dopo 5 minuti uscì. La voglia di spiarla era davvero tanta ma poi decisi di non farlo. Heather porse il vestito alla commessa.
«Allora lo tengo da parte?» Heather aprì bocca ma non proferì parola, fui io a parlare.
«Sì, certo, lo veniamo a prendere tra… una decina di anni, quindi non lo venda mi raccomando! Ah, e lei è invitata al nostro matrimonio!» presi di nuovo l’asiatica per la mano ed uscimmo dal negozio.

La sentivo ridere, per la prima volta la sentivo ridere!
«Ma sei stupido? Noi non ci sposeremo mai e poi… hai visto che faccia ha fatto quello?» disse, tra una risata e l’altra. «Senti, Alejandro… ma davvero stavo bene con quel vestito?» mi chiese, guardandomi dritta negli occhi ritornando seria. Bene? Stare bene? Era maledettamente stupenda! Ma mi limitai a dire un sì e sorriderle, mentre lei fece lo stesso.
«Ora dove andiamo?» chiese lei. Mi sembrò quasi un sogno toccarla per tutto questo tempo senza sentire le sue lamentele.
«Ovunque tu voglia, mi amor.» non sentii nemmeno un rimprovero per il soprannome con cui l’avevo chiamata. Secondo me soffriva di personalità multipla!
Girammo per vari negozi. Lei si provò vari vestiti, jeans e scarpe ed era, con qualunque cosa, maledettamente perfetta. Una volta aver comprato tutta quella roba, andammo ad al bar, dove lei prese un caffè e io altrettanto.

«Al…» rabbrividii al solo pensiero di quel soprannome, ma detto da lei mi faceva particolarmente piacere.
«Sì, Heather?»
«Emh, senti, ti volevo dire che… ti ho perdonato. Però, sia chiaro, non abituarti troppo a queste mie gentilezze!»
«Non ti preoccupare. Comunque, hai detto che Courtney trova carino Duncan, giusto?»
«Sì, ma non dirle che te l’ho raccontato.»
«Non ne ho la minima intenzione. Duncan, invece, mi parla sempre di Courtney come non aveva mai fatto con qualcuno quindi… che ne diresti di aiutarmi a farli avvicinare?»
«E come? Courtney è dura come un mulo!»
«L’importante è che tu faccia quello che ti dico, okay? Anche se, in alcuni casi, dovremo intervenire anche noi e quindi dovremo stare vicini più del previsto, ci stai?»
«Ammettilo, è solo un modo per starmi più appiccicato.»
«Bè, non proprio. Solo in alcuni caso lo sarà. Allora, ci stai?»
le dissi, porgendole la mano destra per fare un patto. Lei allungò la sua e la strinse alla mia.
«Okay, ci sto.» le sorrisi e lei spostò lo sguardo, per non guardarmi negli occhi. «Alejandro…»
«Che c’è?»
«Vorresti venire da me? Cioè, non proprio da me. Andiamo da Courtney, tanto tengo le sue chiavi e magari ci facciamo una sorpresa.»
«Ma c’è Duncan da lei.»
«Lo so.»

Sospirai. «Va bene, Heather. Però muoviti e ora scappa, che mi sono finiti i soldi e non posso pagare.»
«Non fa niente, pago io.»
lei si alzò ed andò a pagare. Menomale che le avevo detto di non portarsi soldi!

Andammo alla macchina e tornammo al condominio di Heather. Lei prese delle chiavi e con queste andammo dall’ispanica.

---

Aprii gli occhi. Mi trovai una Coutney mezza nuda davanti, con un ciuffo di capelli che le ricadeva sulla fronte e arrivava su un occhio. Non so come, ma le mie braccia la circondavano e un sorriso mi scappò sul volto. Sentii la porta di casa aprirsi, ma la mia posizione non cambiò minimamente.
La porta si spalancò, ed entrarono due figure a me familiare: ma certo, erano Alejandro ed Heather!

«Però, vedo che te la passi bene, Duncan.» Alejandro ghignò.
«Stai zitto. Courtney sta dormendo.» ritirai le braccia e mi alzai dal letto.
«Che le hai fatto?» chiese Heather, guardandola con uno sguardo materno.
«Nulla, quando sono arrivato stava già così.»
«Ehi, ma da quanto tempo dormivate?»
mi chiese Al controllando l’orologio.
«Da quando sono arrivato, più o meno…»
«Fantastico, avete dormito due ore. Sono le sette. Heather, svegliala.»
«Chi credi che io sia? La tua schiava?»
«No, però credo che tu non voglia che né io né Duncan la tocchiamo, giusto?»
«Duncan, svegliala tu!»

Che cosa?! Heather mi aveva dato il permesso di toccare la sua migliore amica?
Mi avvicinai all’orecchio di Courtney, e le dissi «Svegliati, principessa. Oppure sei la bella addormentata e aspetti un bacio dal tuo principe?»
Lei si girò ancora con gli occhi chiusi. Se li sfregò e finalmente li aprì, notando le altre due figure in camera.
«Che ci fate voi qui?!»
«Courtney, avevi detto di voler rimanere vergine fino a quando non saresti diventata maggiorenne! Ci manca giusto un altro po’ di tempo e poi…»
«Heather, non ho fatto nulla con questo maniaco! Ero vestita così e lui è venuto, senza avvisarmi.»
«Se lo dici tu.»

Intervenni. Volevo passare una serata con Courtney, solo con Courtney, che ci facevano loro qui? Eppure mi sembrava di aver avvisato quell’idiota di Alejandro.
«Cosa volete, comunque?» chiesi, imbronciato.
«Volevamo parlare un po’ della vostra scommessa. Courtney dovrà pur fare qualcos’altro oltre che stare accanto a te e chiamarti ‘amore mio’, no?» disse Alejandro, ricevendo uno sguardo truce da parte di Courtney. Finalmente si iniziava a ragionare!
«E tu avresti qualche idea, Al lo vidi rabbrividire e guardarmi storto. Odiava quel soprannome!
«Courtney potrebbe dormire da te. Oppure venire a fare i compiti ogni volta, da te.» consigliò Heather. Bè, perché no?
«Heather! Giuro che la pagherai! Non so come, ma la pagherai!»
«Oppure potrebbe venire a vivere da te per le due prossime settimane.» spalancammo tutti gli occhi e guardammo Alejandro. Certo, sarebbe stato bello, ma svegliarsi puntualmente ogni volta per andare a scuola sarebbe stata una tortura!
«Alejandro, non se ne parla affatto! I miei non saranno d’accordo.»
«E invece sì, che lo saranno. Però c’è bisogno solo che venga pure tu, chica.»
disse lui guardando Heather. Ma che stava dicendo?
«E perché? Io che centro?»
«A tua madre sono particolarmente simpatico. Se tu venissi da me, a lei non darebbe fastidio. In questo modo la madre di Courtney, sapendo che ci sarai anche tu, accetterà senz’altro.»
«Il tuo ragionamento non fa una piega però non me la sento di venire da te né tantomeno dormire con te.»
«E chi ha detto che dovrai dormire con me?»
Heather sorrise e lo stesso fece Courtney. Forse avrebbero accettato! «Tu dormirai con Duncan, mentre io con Courtney.» Che cosa?! Che stava dicendo quel coglione?
«Non se ne parla nemmeno!» sbottò Courtney, alzandosi dal letto. «Non mi fido di nessuno dei due!»
«Se a Heather andrà bene, perché no? Dipende tutto da te, mi amor.»
Che cosa avevano in mente? Una volta tornati a casa mi avrebbe dovuto dare parecchie spiegazioni!
«Emh… io… va bene, accetto, ma tu dovrai comprarmi tutto quello che voglio per le prossime due settimane!» disse lei puntandogli il dito contro.
«Si può sapere che sta succedendo?!» urlò Courtney. Lo volevo sapere anch’io.
Alejandro ghignò. «Che c’è, sei gelosa perché non potrai dormire con il tuo Duncan?»
«Nemmeno per idea! Però chi lo dice che io verrò da voi?»

Avevo capito l’idea di Alejandro! Voleva far in modo di far ingelosire l’ispanica. Allora davvero voleva aiutarmi?
«Lo dico io, cara la mia principessa, altrimenti sai cosa succederà.» lei mi guardò e io camminai un po’ per la camera, arrivando accanto ad Alejandro e girandomi verso di lei. «Allora comincia a fare un po’ di valigie. Ah, mi raccomando, portate solo l’occorrente, non abbiamo tanto spazio in casa. Ora andiamo, Alejandro.»
«H-Heather… non dici nulla?»
«N-no, mi va bene. A domani, Courtney.»
lei la salutò con un cenno della mano e un sorriso poco convinto sul volto. Uscimmo tutti e tre dalla casa, mentre Courtney non si mosse nemmeno per chiudere la porta della sua camera.
«Senti, Duncan, sia chiaro, io lo faccio solo per aiutarti con…»
«Lo so, ho capito. Non c’è bisogno di dirmelo.»
«Sono sicura che domani mi farà una bella ramanzina. Certe volte è peggio di mia madre.»
sospirò.

Entrai in macchina e Alejandro, prima di entrare, salutò Heather anche se lei non lo degnò di un sorriso.
Tornammo a casa e cominciammo a fare il letto e mettere un po’ in ordine, ma davvero un po’. Non volevamo fare brutta figura ma preferivamo la nostra baracca così come era.








Angolo dell'Autrice:
Ookay, per la parte finale e quella DuncanxCourtney non ne sono molto convinta, invece per quella AleHeather un po' di più.
Spero solo di non essere caduta troppo nell'OOC. ç_____ç
Per chi è iscritto su FB, nel mio profilo EFP c'è il mio contatto FB, quindi sarei felice se mi aggiungeste. :3
Al prossimo capitolo,
Alex.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Era una giornata nuvolosa.
Il cielo era grigio, sarebbe di sicuro venuto a piovere.
Il tempo sembrava rappresentare lo stato d’animo di Courtney.
Dawn diceva sempre che il grigio delle auree rappresentava la tristezza, la disperazione.
E Courtney era così: disperata. Sarebbe dovuta andare a vivere per le prossime due settimane da un punk ribelle, maleducato, che viveva in una casa sudicia e non sapeva nemmeno cosa significasse il termine ‘regola, legge’. Inoltre era anche un ripetente don Giovanni!
Cosa poteva succedere di peggio?
Lei non aveva ancora chiesto ai suoi genitori il permesso di andare da loro. Avrebbe voluto che le dicessero di no, ma Heather le aveva detto che ci avrebbe pensato lei, che se avrebbero saputo che ci fosse stata anche l’asiatica avrebbero accettato. Ma Courtney non voleva!
Tante domande le rimbombavano nella testa, ma quella più grande, di cui la risposta non l’avrebbe mai capita, era perché Heather avesse accettato a quella proposta. Forse voleva farsi degli amici? Va bene, un po’ titubante poteva capirlo. Ma poi c’era una domanda che automaticamente si aggregava alle altre. Perché la sua migliore amica aveva accettato di dormire con il suo peggior nemico? Forse nemico era una parola grossa, ma ancor di più lo era amico.
Con tutti questi dubbi in testa, l’ispanica presto si vestì. Si preparò velocemente, tanto che Heather la andò a bussare dieci minuti più tardi.
Prese l’ombrello e uscì. Entrarono nella macchina di Takashi, il padre della ragazza dagli occhi a mandorla, ed andarono a scuola.
Heather disse a Courtney che aveva già avvisato i suoi del fatto che sarebbe andata da Alejandro per le prossime due settimane, e aveva detto loro di avvisare anche Carla e Roberto, così non ci sarebbero stati problemi.
Courtney si arrese e, capendo che non ci sarebbe stata altra scelta, annuì solo al discorso dell’amica con un finto sorriso.

---

Arrivammo davanti scuola e scendemmo.
Dal cielo cadevano poche gocce d’acqua e alcuni tenevano l’ombrello sulla testa, ma io ero talmente presa dalle mie cose che non mi accorsi nemmeno di due persone che si misero accanto a me ed Heather.
Ci volle una testa verde che mi diede un leggero pugno sulla spalla per farmi risvegliare.

«Principessa, che succede? Sei entusiasta per il fatto che ti dovrai mettere vicino a me?» Oh, è vero! Mi ero dimenticata di questo particolare. Allora sì che le cose potevano andare peggio. Che ci mancava ancora?
«Figurati. Almeno non darmi fastidio. E tu, Alejandro,» dissi rivolgendomi a lui «mettiti affianco al muro, altrimenti non vedo alla lavagna.»
La campanella rimbombò per tutto il cortile ed entrammo.

Mi misi al posto di Duncan e lui si mise a quello di Alejandro. Poggiai lo zaino sul banco noncurante degli sguardi dubbiosi che mi rivolgevano gli altri.
Dawn mi si avvicinò.
«Courtney, sicura di stare bene?» Finalmente qualcuno che mi rivolgeva questa frase! No, certo che non stavo bene, volevo morire!
«Non proprio.»
«C’è qualcosa che posso fare per te, allora?»
«Uccidi Duncan. Oppure prendi il mio posto. Altrimenti, non puoi fare nulla.»
«Lo sai che sono contro la violenza. Il tuo posto lo prenderei volentieri, ma sono troppo bassa e da qui non ci vedrei. E poi, il mio posto mi piace parecchio…»
Certo che le piaceva! Si trovava accanto al ragazzo che le piaceva, Scott. Non capivo come le potesse piacere un tipo del genere, con un carattere completamente diverso dal suo, ma ero sicura che lui la ricambiava. Parecchi alunni ancora dovevano entrare, per questo il prof non cominciò già l’appello e ci lasciò parlare.
«Allora, come va con Scott?»
«Va abbastanza bene. Ultimamente usciamo, da soli, e quando sta con me la sua aurea è rosa…»
«Ed è un buon segno?»
«Certo che lo è. Il rosa è il colore dell’amore!»
«Dawn, non te l’ho mai chiesto però… che colore è la mia aurea, in questo momento?»
«E’ grigia, segno che sei triste. E’ pure rossa, il colore della rabbia. Però…»
«Però?»
«C’è una punta di rosa. Davvero minuscola, ma c’è!»
«Oh, ti starai sbagliando…»
«Io non sbaglio mai, e nemmeno le auree sbagliano.»
Dawn si sentì chiamare dal rosso e andò da lui, lasciando me con una strana sensazione nello stomaco.

La giornata passò in fretta. Stranamente, Duncan non mi diede un gran fastidio, al contrario di come pensavo. Forse stava architettando qualcosa?
Durante la ricreazione, lui, Alejandro ed Heather progettavano qualcosa da farmi fare durante quelle due settimane. Tutte le idee, però, andavano in fumo, perché Duncan le trovava banali, stupide, poco cattive.
Durante le lezioni tenevo il capo su una mano poggiata col gomito sul banco, guardando la finestra appannata e la pioggia scrosciante che picchiettava sul vetro e non badando alle parole del professore.
Pensavo a ciò che mi aveva detto Dawn: la mia aurea non poteva essere rosa, on poteva provare amore, non potevo essere innamorata, non dovevo! E poi per chi? Non c’era nessuno che mi interessasse, particolarmente. Non avevo nemmeno fatto grandi amicizie con i ragazzi. Quelli con cui più parlavo erano Alejandro e… Duncan. Ma il messicano era un semplice amico, mentre il punk… bè, non lo sopportavo.

Arrivata a casa feci pranzo e i miei mi parlarono del “trasferimento” a casa dei due. Avevano detto di sì, poiché c’era la mia amica a tenermi sott’occhio e perché, secondo loro, era positivo che facessi amicizie. Dopo mi fiondai sul letto e mi addormentai per qualche oretta.
Quando mi svegliai, la pioggia era cessata. Presi il cellulare e vidi un messaggio da parte di Heather.
“I tuoi hanno accettato, quindi muoviti e prepara i tuoi vestiti. Ti vengo a prendere alle otto, ciao!”

Fantastico, erano le sei e non avevo preparato un bel niente!
Presi una valigia modesta e ci misi dei panni e delle scarpe e del trucco. Portai anche uno spazzolino e del dentifricio: non sapevo se ci fosse in quella casa, una spazzola e qualche molletta o codino per i capelli.
Per i libri di scuola ci eravamo messi d’accordo che io ed Heather avremmo preso quelli dei ragazzi, tanto non li usavano, almeno ci sarebbe stato scritto qualcosa sopra. Poi presi una borsa abbastanza grande da poterla usare per qualunque cosa, e per le sette e mezza finii. Mi lavai e mi vestii, e dopo cinque minuti il campanello suonò. Scesi e mi ritrovai davanti una macchina, suppongo quella di Duncan o Alejandro o di entrambi e misi la valigia nel cofano, dove c’è n’era già un’altra.
«Principessa, felice?» mi disse Duncan con quel solito sorrisetto strafottente di sempre.
«Per niente.»
Feci per entrare in macchina ma Duncan mi fermò. Era uscito dall’auto.
«Che vuoi?»
«Heather e Alejandro devono andare a fare un servizio, quindi noi andiamo a casa a piedi!»
«E se torna a piovere?»
«Non tornerà, non tornerà.»


Io e la testa verde stavamo camminando. C’era un silenzio imbarazzante tra di noi e nessuno proferiva parola. Mi sentii picchiettare da qualcosa sul naso e alzai lo sguardo. Delle goccioline d’acqua scendevano dal cielo. Fantastico, non avevamo nemmeno un ombrello!
«Chi è l’idiota che ha detto che non tornava a piovere?» chiesi con un tono accusatorio.
«Alejandro!» rispose lui con un sorrisetto di chi vuol fare lo stupido. Peccato che lui non lo faceva, lo era.
«Andiamo a ripararci sotto quegli alberi.» disse lui facendo segno dietro di me col capo.
Mi girai e vidi una marea di piante. Mi prese per mano e cominciò a correre e io feci lo stesso.

Passammo dieci minuti lì sotto. Lui faceva domande e io rispondevo con un insulto, come eravamo abituati a fare. Ad un certo punto calò di nuovo il silenzio. Silenzio per dire: sentivo la pioggia scrosciante battere contro la terra, le foglie e i rami degli alberi che si muovevano a causa del vento e… una specie di pianto.
«Ehi, Duncan, non senti qualcuno piangere?»
«Sì. Girati.»

Lo feci e vidi un grande scatolone con scritto sopra “prendetevi cura di me”. Mi alzai e andai verso quel contenitore. Quello scatolo era sotto la pioggia ed era tutto fradicio. Mi sporsi un po’ per vedere cosa ci fosse dentro e vidi un gattino, altrettanto bagnato, che miagolava. Chi poteva essere tanto cattivo da lasciare un animale così indifeso sotto la pioggia?! Duncan venne da me e prese il cucciolo fra le mani.
«Quanto sei carino!» dissi io, accarezzando un po’ il gatto.
«Grazie, me lo dicono in molte.» guardai il punk alzando un sopracciglio.
«Dicevo al gatto. Quanto me lo porterei a casa!»
«Già, ma ora abiti da me e Alejandro e di certo un animale non farebbe comodo.»
«Perché no? Perchè bastate già voi come animali? Dai, Duncan, portiamolo da noi! Così, se lo tenete voi, verrei anche a farti visita più spesso!»
lui mi guardò, ghignando.
«E va bene. Però, il cibo per lui lo compri tu, okay?» annuii, sorridendo.
Ci rimettemmo sotto l’albero dove stavamo prima.
«Come lo vorresti chiamare?» chiesi io, continuando a giocherellare con il micio.
«Kurt, oppure Billie.»
«Perché questi nomi?»
«Sono i nomi delle voci e chitarristi dei Nirvana e dei Green Day.»
sorrise.
«Io direi di chiamarlo Teodor, oppure Ted.»
«Perché?»
«Ho letto un libro su un serial killer che si chiamava così.»
lui rise.
«Va bene, chiamiamolo Ted Cobain Armstrong.»
«Emh… io lo chiamo solo Ted.»

Dopo un po’ di tempo, la pioggia cessò. Tornammo a casa, la sua casa, e cercammo qualcosa da poter dare al gatto. Heather e Alejandro non erano ancora tornati.

«Non hai un po’ di latte?» chiesi, guardando nel frigo vuoto.
«No. Magari posso chiamare Alejandro e dirgli di comprarlo.»
«Sì, bravo. E digli che deve comprare anche una ciotola e del cibo per gatti.»
Lui così fece. Dopo un quarto d’ora che io passai ad asciugare Ted, i due tornarono.

«Perché mi hai fatto comprare ‘sta roba?» sbottò Alejandro, poggiando la roba sul tavolo poco delicatamente.
«Perché c’è un nuovo componente della nostra famiglia tra di noi!» rispose Duncan.
«Ma quant’è carino!» disse Heather, notando la palla di pelo che tenevo tra le mani.
«Si chiama Ted.»
«Ted Cobain Armstrong!»
precisò il punk, sorridendo.
«Bel nome.» affermò il messicano dando un cinque al suo amico.

Heather prese la ciotola e la mise a terra, versandoci dentro il latte.
«Ragazzi –Heather richiamò l’attenzione di tutti- domani, dopo essere tornati da scuola, andremo a fare la spesa perché qui non c’è un bel niente! Quindi, Duncan e Alejandro, portatevi i soldi.»
«Ehi, chica, perché solo noi?»
«Perché io e Courtney non abbiamo portato soldi.»

I due sospirarono ma, alla fine, accettarono.
«Non avete una coperta o qualcosa per poter far dormire Ted?»
«Sì, una coperta troppo piccola per noi ma abbastanza grande per Ted Cobain Armstrong.»
disse Duncan, avviandosi nella sua camera.
Una volta tornato, io raccomandai a tutti di non raccontare a nessuno del micio; gli unici che potevano saperlo erano Dawn, che adorava i gatti e avrebbe mantenuto di certo il segreto, e Scott, che era il “ragazzo” di Raggio di Luna.

Sistemammo la coperta e la ciotola con dell’acqua in una camera che doveva essere una specie di camera degli ospiti, suppongo. C’erano solo un divano, una televisione e un tavolino.

Heather ed io ci mettemmo un pigiama leggero nel bagno, mentre i ragazzi nelle loro camere, poi andai dal messicano e ci mettemmo a dormire, mentre ero preoccupata per ciò che avrebbero potuto fare Duncan e l’asiatica. Non che fossi gelosa, eh!






Angolo dell'Autrice.
In qualche capitolo dovevo per forza nominare Kurt e Billie perchè sono hfiegriwedbuqa.
Comunque, per il nome del micio mi sono ispirata al libro che ha letto mio padre, appunto su un serial killer, e che leggerò anch'io.
Per il ritardo, scusatemi, ma ultimamente sono in cerca di qualche anime e ho appena finito Elfen Lied, e poi vorrei scrivere una one shot ma non ho ispirazione. ç____ç
Ringrazio chi ha recensito e chi legge, e se non rispondo è perchè ho poco tempo, ma ci tengo a precisare che leggo tutte le recensioni e anche i messaggi personali!
Alla prossima,
Alex.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Quella notte non riuscii a dormire.
Ritornò a piovere. Fu un vero e proprio temporale: ora l’acqua e il vento erano accompagnati anche da tuoni e fulmini, e io non mi ero portata alcun ombrello. In quella casa, inoltre, non mi sembrava di averne visto qualcuno.
Il punk accanto a me, invece, dormiva tranquillamente.
Decisi di andare a trovare Ted. Andai nella sua camera e lo vidi, anzi, li vidi.
Il gatto grigio e bianco era steso sulla coperta che gli aveva dato Duncan, e tremava. Però, accanto a lui, c’era Alejandro che, dolcemente, lo accarezzava. Era senza maglietta, non sapevo come riuscisse a starci con un freddo così.
Lui si accorse di me e si girò, sorridendomi. Non un ghigno, un vero e proprio sorriso.
«Non riesci a dormire, chica?» mi chiese con un tono gentile, diverso dalle altre volte. Di solito sottolineava quella parola spagnola che mi faceva infuriare, invece quella volta la pronunciò come se fosse una parola utilizzata da tutti quotidianamente.
«No, i tuoni mi spaventano e con questo pigiama ho troppo freddo.» risposi, distogliendo lo sguardo da lui e guardandomi i piedi scalzi, così che non potessi guardarlo negli occhi.
Lui tolse la mano dal gatto, che oramai non tremava più. Mi si avvicinò e mi cinse la vita con le sue braccia.
«Non ti preoccupare, è solo per farti stare più al caldo.» mi rassicurò. In effetti, il suo corpo non era freddo come il mio e, lentamente, mi stavo riscaldando.
«Che ne dici se domani non andiamo a scuola?» sussurrò lui, continuando a tenere il suo capo sul mio.
«Non ho voglia di lasciare sola Courtney.»
«Non la lascerai sola, pure lei non andrà.»
«E poi come ci giustificheremo?»
«Febbre. Tieni una firma di tua madre sul diario?»
«Sì, perché?»
«Allora non ci sono problemi, io sono un mago nell’imitare la scrittura di altre persone.»
Tolse le braccia da me e anche il suo volto. Io alzai il capo e, senza volerlo, lo guardai negli occhi. Lui mi sorrise, di nuovo, e se ne andò.
Tornai nella mia camera e mi misi nel letto e, durante l’intera notte, non riuscii comunque ad addormentarmi.

La mattina seguente il cielo era limpido e i raggi del sole filtravano dalla finestra.
Courtney spalancò la porta della camera e io la guardai.
«Buongiorno.» le dissi, accennando un sorriso.
«Ti ha fatto qualcosa Duncan? Ah, ma cos’è questa storia che non andiamo a scuola?!»
«Non ci andiamo, l’ha deciso ieri Alejandro. Un giorno in meno non uccide nessuno.»
«Ma oggi c’è la spiegazione di scienze!»
«Roba vecchia, stiamo ripetendo le cose dell’anno scorso e le sappiamo perfettamente entrambe.»

Mi tolsi le coperte di dosso e andai in cucina. Arrivò anche Courtney, e poi anche Alejandro e Duncan.
«Mettetevi qualcosa addosso, non potete stare in mutande!» sbottò Courtney, inorridendo alla vista dei loro corpi mezzi nudi.
«Come se non ti facesse piacere.» un ghigno si allargò sul volto di Duncan.
«Courtney, sbaglio o dovresti chiamare ‘amore mio’ a Duncan?» disse Alejandro, camminando verso il tavolo e sedendosi.
«N-non… perché l’hai ricordato!» lo rimproverò, con i pugni serrati e gli occhi socchiusi.
«E’ vero! Su, principessa, chiamami amore mio!»
«I-io… emh… amore mio!»
disse lei, mettendosi a braccia conserte e spostando lo sguardo per non guardare nessuno di noi.
«E’ già un inizio. Comincia ad allenarti, raggio di sole.»
«E questa adesso come ti è venuta?!»
«Smettetela di parlare, piuttosto, caro il mio bel messicano, dove dovremmo andare se non a scuola?»
chiesi sedendomi accanto a lui.
«Al supermercato. Non eravate voi ad aver detto che dovevamo fare la spesa?»
«Dobbiamo comprare qualcosa anche per Ted!»
ricordò la spagnola. «Un momento, dov’è finito Duncan?»
Il punk comparve dietro di lei, tenendo tra le mani il gattino.
«Principessa, già ti preoccupi per me come una vera moglie? E poi, ti ho detto che mi devi chiamare amore mio, non Duncan!»
«Posso darti un pugno in faccia?!»
«Che fai con Ted in mano?»
gli dissi, avvicinandomi a lui e cominciando ad accarezzare il micio.
«Piuttosto di dare tutte queste attenzioni a come si chiama Cobain Armstrong, –sbottò Alejandro, richiamando la nostra attenzione– io dico di prepararci e andare subito al supermercato!»
«Calmati donna di casa, abbiamo tutto il tempo e non ti rubo la fidanzata, anche se io ci dormo insieme e tu no!»
disse Duncan ridendo. Evidentemente lo faceva per far ingelosire Courtney e ci stava riuscendo.
«Anche se non mi dispiacerebbe.» continuò poi, guardandomi con uno sguardo malizioso del tutto falso.
«Per me ha ragione Alejandro, muoviamoci!» Courtney se ne andò nella sua camera e sbattette la porta violentemente.
Alejandro, ti ricordo che è tutto una falsa e quindi non ingelosirti.» sussurrò Duncan, però riuscendo comunque a farsi udire.
«Lo so, e poi non sono geloso!» rispose e se ne andò anche lui.
«E invece lo è.» disse il punk, guardandomi.
«Anche se fosse, non mi importerebbe.» risposi acida.

Dopo mezz’ora fummo tutti pronti.
Alejandro diede del cibo e dell’acqua a Ted e poi uscimmo. Entrammo nell’auto dei ragazzi e andammo al supermercato.
Arrivati, parcheggiammo e andammo a prendere un carrello, però ne presero uno sia il messicano che Duncan.
«Non c’è bisogno di prenderne due…» gli feci notare io.
«Ma sia Duncan che io vogliamo portare il carrello e insieme non lo vogliamo portare, quindi ne prendiamo due!»
«Che infantili che siete.»
disse Courtney, roteando gli occhi.
Entrammo e cominciammo a prendere le cose più importanti: dell’acqua, della pasta, della carne e del pane. Alejandro e Duncan presero le cose più inutili e meno salutari, ovviamente: le patatine e della cioccolata e qualche brioche. Io e Courtney stavamo avanti, mentre i ragazzi con i loro carrelli ci seguivano.
Facendo un ulteriore giro, presi dei cereali e dei biscotti ma, quando mi girai, quegli idioti non c’erano.
«Ma dove sono finiti quelli?!» sbottai furiosa verso Courtney.
«Non ne ho la minima id…» venne interrotta da due voci lontane che urlavano in modo festoso “yee” oppure “yuppii” e cose così. Poi davanti a noi passarono due carrelli portati da due cretini che ci erano saliti e ora stavano correndo per tutto il negozio, tra le varie lamentele della gente.
«Se li prendo li ammazzo!» urlò Courtney.
Cominciammo a correre anche noi per prenderli e fermarli, ma le ruote erano più veloci di noi. Ad un certo punto si fermarono di botto e noi, frenando troppo tardi, andammo a finire contro di loro. Duncan prese appena in tempo la mia amica, mentre Alejandro, stupido com’era, non se ne accorse e cademmo uno sopra l’altro.
«Mi amor, se vuoi farmi qualcosa almeno non farlo in pubblico, basta dirmelo e una volta a casa…»
«Finiscila! E’ tutta colpa tua, perché sei così stupido?!»
mi rialzai e lui tese una mano, aspettando che io facessi lo stesso per aiutarlo ad alzarsi, ma non lo feci e gli girai le spalle.
«Senti, Duncan, fai…»
«No no, principessa, come ho detto che mi devi chiamare?»
«Argh! Senti, amore mio, fai ancora così lo stupido in mia presenza e giuro che ti do un calcio nei genitali!»

Mi scappò un risolino sentendo Courtney chiamare Duncan così.
«Andiamo a pagare.» proposi io.

---

Ci dirigemmo alla cassa, mentre Courtney e Duncan continuavano ad insultarsi a vicenda.
Ad un certo punto due ragazzine dell’età di quattordici – tredici anni si avvicinarono a noi.
«Oh mio dio, oh mio dio! Ma-ma voi siete Duncan e Alejandro vero? Noi vi veniamo sempre ad ascoltare al Pand…»
Duncan la interruppe, prendendola per mano e io feci lo stesso con l’altra ragazza.
«Bellezze, avevamo raccomandato a tutti di non parlarne in pubblico!» disse Duncan.
«Ci fa piacere che ci ascoltiate però… se siamo in presenza di qualcun altro, non dite niente, okay?» conclusi.
«Almeno potete farci un autografo?» chiese la ragazzina a cui avevo tenuto la mano.
«Se tenete carta e penna, va bene…»
Le due annuirono e presero dalla loro borsa un quaderno con una penne e facemmo la nostra firma. Una volta finito ci salutammo e tornammo dalle nostre “ragazze”.
«Chi erano quelle?» chiese acida Heather.
«Delle ragazze che conosciamo… gelosa, mi amor?»
«Nemmeno per idea!»

Arrivò il nostro turno e pagammo, anzi, io e Duncan pagammo e portammo la spesa in macchina.
«Ora dove andiamo?» chiese Courtney entrando nell’auto.
«Dove vorresti andare, principessa?»
«Non chiamarmi principessa! Odio questo soprannome!»
sbottò lei, irritata.
«Okay… raggio di sole.» lei roteò gli occhi e poi si mise a braccia conserte.
«Andiamo al bar, ho fame.» disse Heather. Lei e l’ispanica erano nella stessa posizione, solo che una guardava a destra e l’altra a sinistra.
«E a quale vorresti andare? Ce ne sono pochi aperti a quest’ora visto che è quasi mezzogiorno.»
«Allora andiamo al ristorante!»
propose Courtney.
Io e Duncan accettammo, anche se contro voglia visto che stavamo spendendo troppi soldi, ma per loro questo e altro!
Andammo al The Red Crayfish, che era il ristorante più vicino ed economico.
Prendemmo tutti pietanze a base di pesce e, ben presto, arrivarono.
«Domani a scuola, però, ci dobbiamo andare!» sbottò Courtney.
«Se tu a scuola vai anche di domenica, principessa…»
«Intendevo lunedì!»
«Ragazzi, domani io e Courtney dovremmo andare a mangiare dai nostri genitori, visto che ogni domenica le nostre famiglie si riuniscono… quindi voi potete andare dai vostri.»
disse Heather, interrompendo un’ulteriore litigio tra il punk e l’ispanica.
«Noi non andiamo mai dai nostri genitori, è da parecchi mesi che non li sentiamo.» nel tono di Duncan c’era un po’ di nostalgia, ma non lo dava a vedere.
«C-Come non li sentite? E se è successo qualcosa?! Dovete chiamarli! E poi domani cosa dovreste fare?»
«Non c’è bisogno di chiamarli. Se devono dirci qualcosa ci chiamano loro. E domani potremmo benissimo restare a casa a guardare la tv e mangiare patatine come facciamo sempre.»
risposi io.
Courtney ed Heather si guardarono un momento. Quelle due riuscivano a capirsi con un solo sguardo!
«Se… -Courtney deglutì un attimo- se volete potete venire da… noi. Però non pensate male, sia chiaro, è solo perché, perché, perché…»
«Perché ci amate!»
disse Duncan ridendo.
«Idioti.» risposero loro in coro.
«Piuttosto, volete venire sì o no?!» chiese ulteriormente Heather.
«Okay, chica, in fondo dovremo pur conoscere i nostri futuri suoceri.»

---

Alejandro e Duncan pagarono. Non so come a me ed Heather fosse venuta in mente quest’idea, però ci facevano tener… emh, pena, ci facevano pena!
Tornammo a casa e i ragazzi portarono la spesa. Heather la mise a posto, mentre io davo da mangiare a Ted e lo portai in cucina.
«Che facciamo stasera?» chiese la mia amica.
«Voi potete andare dove volete, perché noi… noi dobbiamo fare un servizio.» rispose Duncan. Non mi convinceva molto!
«E noi non possiamo venirci?»
«E noi non possiamo venirci…»
disse il punk, come se dovessi continuare la frase.
«E noi non possiamo venirci, amore mio?» sbottai, facendo ridere tutti quanti.
«No, non potete. Non vi preoccupate, non saremo in compagnia di altre ragazze, quindi non c’è bisogno che vi ingelosiate.» disse Alejandro.

Verso le nove, Duncan ed Alejandro uscirono con due borsoni in mano, avvisandoci di non doverli seguire.
Ma noi, ovviamente, non facemmo così. Volevamo sapere cosa ci stessero nascondendo.







Angolo dell'Autrice.
Ciaoo! :3
Okay, odio questo capitolo, ma spero che il prossimo sia più bello. *w*
P.S: Il nome della band che mi avete consigliato tutti erano davvero belli, infatti non sapevo scegliere ç___ç
Per questo ho fatto scegliere ad un mio amico.
Tanto, in futuro, vi chiederò altri nomi di band. xD
Ringrazio ancora chi legge e specialmente chi recensisce *----*
Alla prossima,
Alex.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


I ragazzi uscirono dalla loro abitazione, entrambi tenendo in mano due grossi borsoni che, nonostante le grandi dimensioni, riuscivano ben a portare.
I due, ignari di altre due figure esili che li seguivano, si incamminarono ove oramai erano abituati a passare il sabato sera per dimenticare le loro vite quotidiane e divertirsi, facendo ciò che loro più amavano.
Dopo aver cominciato la scuola però, trovarono un passatempo molto più divertente: infastidire Courtney ed Heather, più precisamente passare il tempo con loro, ma non l’avrebbero mai ammesso.
In poco tempo Duncan ed Alejandro arrivarono al Pandemonium.
Le ragazze dietro di loro esitarono un po’ prima di entrare, poi presero un profondo respiro e lo fecero.
La puzza di alcool misto al fumo invase le loro narici, ma non ci diedero troppa importanza, avevano altre cose a cui pensare!
In quel luogo –se così poteva definirsi- c’erano un sacco di tavoli, tutti ben occupati e Courtney ed Heather non seppero dove sedersi. Si diressero allora al bancone dove tutti ordinavano alcolici e birra.
Si misero lì ed aspettarono, cercando Duncan ed Alejandro con gli occhi ma non riuscendo a cogliere né una folta chioma castana né una cresta verde.
Un uomo alto e robusto, che poi riconobbero come il barista poiché si trovava dietro quel grande banco, si avvicinò loro.
«Ragazze, è la prima volta che vi vedo qui. Vi posso offrire qualcosa, bellezze?» esclamò questo.
«No, grazie, siamo astemie.» rispose Courtney guardandolo e poi rigirarsi dall’altra parte, cercando i suoi momentanei coinquilini di casa.
«Oh, e allora cosa siete venute a fare qui? Non bevete e non avete nemmeno l’aria di chi fuma.» fece una breve pausa, in cui nessuna delle due lo degnò di una risposta «Ho capito, non ci sono dubbi! Siete venuti per i The Blood on the Knife, vero? E’ solo grazie a loro se questo locale è così pieno di ragazzine…»
L’unica ad interessarsi di quel discorso fu Heather.
«Blood on the Knife? E cosa sarebbero?» domandò, avendo perso le speranze nel trovare il messicano tra tutta quella folla.
«Chi sarebbero, magari. Sono due ragazzi, uno tutto piercing e l’altro tutto muscoli che…» non finì di concludere il suo discorso, ed Heather non riuscì nemmeno a comprendere ciò che aveva detto, poiché varie urla –di felicità, a quanto sembrava- si alzarono nel bar.
Di fronte a tutti quei tavoli pieni di gente c’era un palco che nessuna delle due ragazze aveva notato: dal bancone non si riusciva a intravedere a causa di un muro che lo nascondeva e perché, entrate nel locale, c’erano troppe teste davanti ad esso.
Su quel palco salì in uomo dell’età di trent’anni circa, stranamente vestito per bene.
Tenendo un microfono nella mano destra e portatoselo davanti alle labbra, cominciò a parlare, quasi urlando.
Anche Courtney finì di perlustrare l’intera stanza, avendo capito che tutto ciò era inutile e concentrandosi anch’ella su colui che stava parlando.
«Buonasera, gente! Ormai il sabato sera è sempre più affollato di ragazze, a quanto pare…»
Si poterono udire delle risate, ed Heather udì anche un “cosa c’è da ridere?” borbottato di Courtney.
L’uomo continuò a parlare per vari minuti finchè finalmente –a detta delle due ragazze- parve finire il suo discorso.
«Ma non perdiamoci in ulteriori chiacchiere e diamo finalmente spazio ai The Blood on the Knife!» dopo codeste parole, delle urla ancora più forti di quelle di prima –se possibile- si udirono.
«Mi state spaccando i timpani!» strillò Courtney, ma nessuno parve sentirla a causa delle grida.
Nel frattempo Heather aveva continuato a parlare con il barista riguardo il locale e su chi fossero i ‘The Blood on the Knife’, finchè lui non fece cenno col capo verso il palco.
Due ragazzi con dei pantaloni neri e senza maglietta erano comparsi lì sopra, con un microfono in mano.
Le due ragazze sgranarono gli occhi e, all’unisono, esclamarono: «Alejandro e Duncan!», l’ispanica però invertì i nomi.
Il barista annuì, dicendo «Esatto, sono quelli i loro nomi! Come fate a conoscerli?», ma le ragazze non ci diedero peso e cominciarono ad ascoltare i due ragazzi cantare.
«Possibile che quelli debbano sempre mettersi in mostra? Nel loro vocabolario non c’è il termine ‘maglietta’?!» si sfogò Courtney, levandosi da sopra alla sedia e tentando di farsi spazio tra la folla, ma le ragazze non ne volevano sapere di lasciarla passare. La ragazza avrebbe voluto picchiarle tutte e gridare in faccia a loro “lasciatemi passare, io ci vivo con loro e sono costretta a chiamarne uno amore mio!”, ma non lo fece per evitare di fare una figura di…
«Merda!» strillò Heather, che nel frattempo si era avvicinata all’amica.
«Che è successo?» chiese la spagnola girandosi verso di lei.
«Ho la vaga sensazione che ci abbiano visto…» le sussurrò nell’ orecchio, facendole notare come i due ragazzi le stessero guardando con un ghigno stampato sul volto che, però, le altre ragazze non notarono a causa della luce troppo scura.
Ma Courtney ed Heather li conoscevano troppo bene –anche se da meno di una settimana- per non notare quel ghigno che odiavano tanto… o almeno così dicevano!
Duncan ed Alejandro cantavano e le due ragazze, finendola di inveire contro di loro e prenderli a parolacce, si calmarono e cominciarono ad ascoltarli, ammettendo a se stesse che erano molto bravi.

“Somebody help me through this nightmare
I can't control myself
Somebody wake me from this nightmare
I can't escape this animal“


Continuarono a cantare e la canzone finì. Presero fiato e cominciarono a parlare.
«Buonasera, ragazze, a quanto pare siete sempre più numerose!» disse Alejandro, e tutte le ragazze ricominciarono ad urlare, qualcuna quasi svenne.
«Come sempre, vi ringraziamo per essere qui.» continuò Duncan.
I ragazzi, mentre parlavano, non distoglievano lo sguardo da Courtney ed Heather e, udendo le grida altrui, le due non poterono fare a meno di roteare gli occhi. Se solo quelle povere ed ingenue bambine avessero saputo com’erano veramente!
I ragazzi, nel frattempo, avevano finito di parlare e avevano chiesto se ci fosse qualcuna che volesse dire qualcosa e molte mani si alzarono.
Una dopo l’altra, le ragazze parlarono. Tra quelle c’erano anche le ragazzine che avevano ‘incontrato’ il gruppo al supermercato. Una di loro notò come Duncan ed Alejandro stessero fissando due precise ragazze che poi riconobbe come quelle che erano con loro la volta scorsa.
Questa volle parlare e Duncan le porse il microfono, sorridendole. Inutile dire che lei stesse per svenire, ma si limitò a ricambiare e a salire sul palco, sotto gli sguardi interrogatori del messicano e del punk che, però, la lasciarono fare.
«Per prima cosa, volevo dire che siete fantastici!» enfatizzò sull’ultima parola e andò avanti, dopo i loro ringraziamenti «Però, volevo chiedervi… loro sono le vostre fidanzate?» la ragazza levò una mano in aria ed indicò Courtney ed Heather.
Tutti si girarono a guardarle, compresi Duncan ed Alejandro. Anche il barista lo fece e sgranò gli occhi, pensando come fosse possibile che le loro fidanzate non sapessero che fossero i The Blood on the Knife e a come fossero caratterialmente diverse da loro.
L’ispanica e l’asiatica non sentirono la domanda ma, sentendosi osservate, si girarono.
«Che c’è?» ruggì Heather, guardando tutte le ragazze e arrivando poi ad Alejandro, da cui subito distolse lo sguardo.
I ragazzi ghignarono, un’ennesima volta, e la cosa non passò inosservata a Courtney.
«Chiedilo stesso a loro.» furono le uniche parole di Duncan.
«Allora? Siete o non siete le loro fidanzate?» ripetette lei.
A quella domanda le gote di entrambe le ragazze divennero rosse come un pomodoro. Nonostante la carnagione, anche a Courtney si notò subito l’arrossamento delle guance.
«C-certo che no!» balbettò l’asiatica, facendo qualche passo indietro come se le altre volessero saltarle addosso. «N-noi non po-potremmo mai stare co-con… quelli!» ringhiò infine, continuando però a balbettare.
«Ma l’altra volta vi ho visto con loro! E oggi siete qui, e loro non finiscono di guardarvi!» il ghigno di Alejandro e Duncan si trasformò subito in un’espressione turbata e imbarazzata, ed entrambi spalancarono gli occhi.
Courtney alzò un sopracciglio, infastidita.
«E allora? Non vuol dire che stiamo insieme! Siamo solo amici e noi due, stasera, casualmente, siamo venute qui e abbiamo trovato… loro!» replicò infine.
Le gote di Courtney erano tornate alla loro normalità, mentre Heather sembrava più preoccupata e ancora turbata, e il suo volto era ancora bollente come un forno.
L’ispanica sarebbe voluta salire sul palco e prendere per i capelli quella fastidiosa ed irritante ragazzina. Per chi l’aveva presa? Per una prostituta che si metteva con il primo punk affascinante che incontrava? Si maledette da sola, eliminando subito quella parola dalla sua testa, ripetendosi che Duncan era un buono a nulla e maledettamente bel… stupido, idiota, ignorante, fastidioso, senza futuro e chi più ne ha più ne metta!
Quando sarebbero tornati a casa il ragazzo avrebbe ricevuto una bella ramanzina e una bella grattata di capo, e per finire anche un bel calcio nei suoi gioielli! Sperava solo che non rigirasse le sue parole a favore proprio, com’era abituato a fare.
Tornò alla realtà e alzò lo sguardo verso i ragazzi che le fissavano ancora.
Heather, nel frattempo, non si era tranquillizzata ed ebbe la voglia di sprofondare. Lei con quel messicano? Ma per favore, non sarebbe mai successo, nemmeno se gli asini avessero cominciato a volare! La ragazza dagli occhi a mandorla girò i tacchi e tornò al bancone, chiedendo un semplice bicchiere d’acqua al barista con cui, oramai, aveva fatto “amicizia”, infatti lui cercò di tranquillizzarla. Courtney, invece, continuava a sfidare il punk con lo sguardo finchè il ragazzo accanto a lui non riprese a parlare.
«Bene, abbiamo risolto la questione quindi, non perdendo altro tempo, io direi di continuare!»
Le ragazzine tornarono a guardarli e ad urlare, mentre la musica partiva e i due ricominciavano a cantare con tutto il fiato che avevano in gola, non degnando più di uno sguardo alle loro coinquiline, cosa che diede molto fastidio a Courtney.
Andò da Heather e si sedette accanto a lei, prendendo lo stesso un bicchiere d’acqua ed aspettando che quello stupido ‘spettacolino’ finisse, per poi tornare a casa e sentire dei fastidiosi commenti della verde testa vuota.







Angolo dell'Autrice
Ciauu!(?)
Sì, lo so, sono un po' in ritardo. u.u''
Come ho già detto, i nomi per le band erano tutti maledettamente fAighi(?) che non sapevo scegliere. T.T
Per questo ho fatto scegliere ad un mio amico!
Coomunque, credo che farò ancora un po' di ritardo: tra il compleanno di mia cugina che fa 18 anni che non interessa a nessuno, tra il computer che fa maledettamente schifo che certe volte si spegne all'improvviso e se sto scrivendo si perde tutto il lavoro, tra il mare e i compiti di francese e di italiano(c'è qualcuno che vorrebbe farmeli? :) ), tra le fan fiction che leggo(sì, so leggere ewe) e tra non so che cos'altro, non trovo molto tempo per scrivere e ho poca ispirazione. ç.ç
Avendovi rotto le balletole (unione tra balle e scatole (?) ),
ringraaaazio ancora tutti, tra chi legge e chi recensisce e chi mi da consiglio e specialmente chi mi sopporta °--°
Al prossimo capitolo,
Alex! ^^

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Mentre i due ragazzi continuavano a cantare e a far esaltare quelle stupide bambine, Courtney ed Heather erano sedute al bancone, guardando con disprezzo le altre ragazze, pensando che prenderle a calci sarebbe stato fin troppo poco per l’umiliazione subita precedentemente. E poi quei due che non avevano nemmeno detto nulla! Certe volte si chiedevano se non fossero nati per rendere loro la vita un inferno.
Dopo altre due ore passate ad inveire contro Duncan ed Alejandro e tutto ciò che li riguardavano, videro che i ragazzi salutavano tutte e scendevano dal palco, scrivendo su dei foglietti dei probabili autografi. Heather roteò gli occhi, con le palpebre che le stavano per crollare per il sonno. Finalmente lo ‘spettacolino’ finì e tutte le ragazze se ne andarono, ispanica e asiatica escluse e fecero prendere un po’ d’aria ai due che si avvicinarono alle loro coinquiline.
«Allora, vi siete divertite?» domandò sarcasticamente il punk, ghignando e fissando Courtney che roteò gli occhi e rispose.
«Se escludiamo la brutta figura che ci avete fatto fare…» fece una breve pausa «no, nemmeno un po’.»
«Finiamola di perderci in chiacchiere, non ho voglia di parlare! Torniamo a casa!»
sbottò acidamente la sua amica.
«Ehi ehi, un attimo, dobbiamo andare a riprenderci le nostre magliette! Sappiamo che ci preferite così, ma magari potremmo ritogliercele una volta a casa.» disse maliziosamente Alejandro, ricevendo due sguardi pieni di odio.
«Muoviti!» urlarono in coro le due –mentre i ragazzi si incamminavano a prendere i loro indumenti- a interlocutori diversi.
Durante il tragitto le ragazze non avevano fatto altro che insultare i ragazzi. Heather era talmente stanca che spesso sbadigliava e rischiava di cadere, poi Alejandro riusciva appena in tempo a prenderla e l’accusava di farlo a posta, e lei riprendeva ad insultarlo. Nel frattempo, Duncan continuava a tormentare la sua principessa, costringendola a farlo chiamare amore mio, mio principe, tesoro e nomignoli altrettanto stupidi e smielati.
Ritornate a casa, Courtney e la sua amica diedero da mangiare a Ted e lo coccolarono per diversi minuti, mentre gli altri due avrebbero dato il mondo per stare al posto del gattino ma, ovviamente, non l’avrebbero mai ammesso, neanche a se stessi! Poi, la castana e la mora si fiondarono in bagno a mettersi il solito pigiama e, uscite fuori, ritrovarono i ragazzi senza le magliette, senza i pan… ah, in poche parole erano in mutande!
«Copritevi! Non abbiamo voglia di vedere le vostre… i vostri… cioè… mettetevi qualcosa addosso, insomma!» sbraitò l’ispanica, ricevendo un ghigno dalla testa verde che fece per aprire bocca ma Courtney se ne andò, prima che potesse sentire un’ulteriore sciocchezza.
«Piuttosto, caro punk da strapazzo, parliamo di cose serie.» sussurrò Heather per non farsi sentire dall’amica.
«E cioè?» chiese lui alzando un sopracciglio.
«Appunto, e cioè?» ripetette il messicano, ricevendo uno sguardo pieno di odio da parte della ragazza.
«Non sono affari che ti riguardano! O meglio, non ho voglia di dirtele!» spiegò sinceramente «Ho solo bisogno di un’idea per far addormentare il tuo caro amico quasi fidanzato, con Courtney.» concluse, enfatizzando su ‘fidanzato’. A quella parola, i due, avrebbero avuto voglia di mandarla a quel paese –insomma, Duncan e Alejandro insieme? Oddio, ve li immaginate?- , ma evitarono: Duncan non lo fece perché la sua idea di farlo dormire con l’ispanica lo mandava in fibrillazione, quasi eccitazione e Alejandro perché… bè, perché era la sua chica, le avrebbe potuto dire qualunque cose ma non l’avrebbe mai insultata! E ciò che era accaduto alla festa era un’altra cosa, non la conosceva ancora per bene!
I ragazzi finalmente si ripresero dai loro commenti mentali, e si concentrarono di nuovo su Heather.
«Io avrei un’idea.» disse Duncan, ghignando «Però, dovrai sacrificarti anche tu: dovrai dormire con l’imbecille qui di fianco a me, ci stai?» finì, indicando Alejandro con un pollice. Heather spalanco gli occhi, mentre il messicano pensava già a come farla impazzire durante quella notte –no, non in quel senso! Se poi lei era d’accordo, allora anche in quel senso-.

«Che cosa?! Spero tu stia scherzando! Esci subito dalla mia camera, lurido pervertito!» urlò Courtney, facendosi sentire fino alla camera di Ted facendolo sobbalzare e anche quella di Heather, in cui lei si insultava pensando a cosa le avesse fatto accettare di dormire con Alejandro.
«Eddai principessa, è solo per questa notte!» rispose il ragazzo davanti a lei con degli occhi da cucciolo, che però con l’ispanica non funzionava.
«Non me ne frega se è solo per questa notte, perché dovrei accettare? Per farti finire ciò che avevi cominciato alla festa? No, non mi farò violentare!»
«Raggio di sole, quante volte ti devo dire che non intendevo farlo sul serio?»
tentò di spiegarle lui, invano.
«Tsk, come se fosse vero! E’ già tanto che io viva qui e che dorma con Alejandro, anche se certe volte parla nel sonno nominando Heather, ma almeno è sempre meglio di te!»
Duncan alzò un sopracciglio e poi rise divertito. Lo sapeva bene, Al parlava durante il sonno ma non si sarebbe mai immaginato che potesse sognare la sua chica… e poi che razza di sogni poteva farsi? Di certo poco casti e puri!
Nel frattempo che il punk continuava a cercare di persuadere Courtney, nella stanza al lato opposto Heather era a braccia conserte guardando con severità il messicano.
«Ora spiegami che vuol dire che tu mi nomini mentre dormi!» strillò, facendo spaventare ancora di più Ted nell'altra camera che tremava già per colpa della spagnola.
«Mi amor, non c’è bisogno di spiegare niente… l’amore fa questo effetto.» rispose l’altro già steso sul letto –ovviamente in mutande come il suo compare nell’altra stanza- girato verso la ragazza, ma con gli occhi chiusi.
«Rispondimi sinceramente una buona volta!»
«Più sincero di così.»
«Senti, questa notte evita di parlare, russare o di prenderti tutto il letto, altrimenti te la vedrai con me!»
«Che paura.»

Lei ringhiò.
«Va bene, lo prometto, solo perché sei tu, chica.»
«Bene!»
concluse infine l’asiatica, mettendosi anche lei nel letto e mettendosi di spalle verso Alejandro.
Passarono parecchi minuti, finchè Heather ebbe la voglia di girarsi dall’altro lato, ma poi il ragazzo glielo avrebbe rinfacciato per tutta la serata.

***

Anche nell’altra camera era calato il silenzio. Duncan era riuscito a far accettare la sua principessa, dicendo che se non l’avrebbe fatto avrebbe dato il consenso a Mark per eccetera eccetera.
Si trovavano faccia a faccia, e il punk non riusciva a fare altro se non osservare la ragazza davanti a sé ed ebbe l’irrefrenabile voglia di saltarle addosso, ma evitò per il suo bene.
«Smettila di fissarmi.» sussurrò lei.
«Non ci riesco,»
«Bè, allora devi riuscirci! Non riesco a dormire se continui a fissarmi.»
continuò, non aprendo gli occhi.
Duncan si avvicinò ancora di più, ed entrambi riuscirono a sentire il profumo dell’altro. Courtney deglutì e piano piano aprì gli occhi, fissando quelli acquamarina di lui e per la prima volta ammise che erano maledettamente belli. Si sentì le guance diventare di fuoco, pensando che probabilmente era diventata tutta rossa per l’imbarazzo. Distolse i suoi occhi da quelli del ragazzo, ma la cosa peggiorò, perché li posò sul suo petto e mandando al diavolo lui e la sua mania di non indossare nessuna maglietta. Perché doveva avere, oltre quei bellissimi occhi, anche un fisico perfetto?!
Spostò di nuovo gli occhi e, finalmente, li andò a posare su i suoi capelli, l’unica cosa che, secondo lei, non era perfetto.
«Dovresti toglierti quella cresta verde. Secondo me, senza quella, saresti…» fece una pausa, cercando di trovare le parole giuste «… saresti più carino.» finì in un sussurro, diventando ancora più rossa.
Lui sorrise e avvicinò la sua bocca alla sua, sempre di più, mentre Courtney lo lasciò fare incantandosi di nuovo nei suoi occhi. Ormai erano distanti pochi millimetri e…
«Courtney!» una voce rimbombò per tutta la camera. Il punk si girò e l’ispanica tornò alla realtà, sporgendosi da dietro Duncan e vedendo Heather furiosa sulla soglia della porta, ormai spalancata.
«Emh… sì?» fu l’unica cosa che riuscì a dire lei.
«Non ce la faccio a dormire con Alejandro! Spiegami come fai!» disse la ragazza dagli occhi a mandorla salendo sul letto e mettendosi in ginocchio, non importandosene minimamente di Duncan. Da dietro la porta comparve anche il messicano che cercava di non ridere.
«P-perché, che è successo?»
«Gli avevo detto di non russare, né parlare né di prendere tutto lo spazio nel letto e lui l’ha fatto!»

L’amica alzò un sopracciglio, chiedendole cosa ci fosse di sbagliato.
«Mi ha toccato per tutto il tempo! Continuava ad abbracciarmi e anche a palparmi il seno!» rispose, girandosi verso il ragazzo con i capelli marroni che rideva, raccontando tutto al suo amico.
«Mi amor, non avevi detto che non potevo toccarti, quindi la colpa è solo tua!»
«Bè, Heather, ha ragione, dovevi dire anche quello…»
disse l’altra ragazza, mentre la giapponese la guardava e si chiese se l’avesse detto sul serio. Stava dando ragione ad Alejandro, quel, quel… quel porco!
«Ma era sottolineato!» rispose infine, e si lasciò abbracciare dall’amica.
Nel frattempo Duncan, giurava ad Al di ammazzarlo, prima o poi.
«Se non fosse stato per te, ora io mi starei baciando Courtney!» ruggì, sotto lo sguardo indifferente dell’amico.
«Non è colpa mia, ma della mia chica.»
«No, è colpa tua! Non potevi palpargliele in un altro momento?»
«Ma era l’occasione giusta!»

Il punk roteò gli occhi, spazientito. Come capiva Heather!

Quest’ ultima raggiunse con l’amica i due ragazzi, che si trovavano in cucina.
«Alejandro…» disse Courtney, roteando gli occhi «chiedile scusa.»
«Courtney! Con più convinzione!» la rimproverò l’altra, che teneva abbracciata.
Sbuffò «Alejandro, chiedile scusa altrimenti… altrimenti cosa?»
«Che ne so, ti avevo detto di pensare a qualcosa prima!»

Duncan e Alejandro le guardavano divertite.
«Sentite, Heather vuole dormire con me, quindi voi dovrete… emh… andare nell’altra stanza.»
Il punk notò una punta di dispiacere nel tono della ragazza e il giorno dopo glielo avrebbe rinfacciato sicuramente!
«Principessa, ma io non ti ho fatto nulla!»
«L-lo so, ma lei vuole questo.»
sospirò.
«Perché, Court, c’è qualche problema?»
Quella spalancò gli occhi, e balbettò un no poco deciso.
I due ragazzi accettarono dopo varie repliche e insulti –di Courtney e Heather, ovviamente-.
Prima di riaddormentarsi, Duncan si avvicinò alla prima, sussurrandole «Buonanotte, principessa, domani finiamo ciò che è stato interrotto da Heather.»
Courtney deglutì e avvampò, cercando di replicare e durante la notte non fece altro che pensare cosa sarebbe successo se la sua amica non avesse interrotto nulla.









Angolo dell'Autrice.
Chi odia questo capitolo come me? *mille mani si alzano in volo(?)*
Allora, che dire? :)
HO IL TELEFONO NUOVO, yeeee!
A parte che sto lavorando ad una nuova fan fiction che non so nemmeno se finirò, continuerò, pubblicherò e di cui ancora non so che titolo darle :3
Scusate ancora il ritardo e il brutto capitolo.
Il prossimo riguarderà il pranzo della domenica con i nostri fantastici 4(?) e i genitori di Courtney ed Heather! Spero che sia più lungo e carino!
Al prossimo capitolo,
Alex.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Due esili figure femminili erano stese su un letto disfatto e con le lenzuola a terra, lasciando vedere i loro corpi, la quale erano fissati da due giovani ragazze con gli occhi sognanti.
«E se le incateniamo al letto e ce la facciamo?» propose uno con i capelli verdi.
«Ci uccidono.» rispose l’altro.
«E se le rapiamo e le ricattiamo?»
«Ci uccidono.»
«E se prendiamo le loro carte d’identità e poi andiamo al comune e ci sposiamo?»
«E’ un’ottima idea, ma ci uccidono comunque.»

Il giovane pieno di piercing guardò l’altro mettendosi a braccia conserte, socchiudendo gli occhi, e l’altro pensò che a furia di stare con la spagnola stava diventando isterico come lei.
«E allora cosa facciamo? Non possiamo non fare niente!»
Quello dai lineamenti latini roteò gli occhi, andando in cucina e venendo seguito dal suo amico.
«Non è colpa mia se ci uccidono, sai bene che lo farebbero! Credi che io non voglia fare mia Heather?» disse tranquillamente, mettendosi a sedere davanti al tavolo di legno.
Il punk non rispose; abbassò solo il capo quando si sentì strusciare accanto alla caviglia e notò un piccolo gattino grigio e bianco fargli le fusa.
Sorrise pensando che quello l’aveva ritrovato con la sua principessa, ritenendolo quindi come loro figlio.
Certe volte pensava come fosse possibile che due umani come loro avessero potuto far nascere quella palla di pelo, ma in fondo l’amore è capace di tutto!
Sgranò gli occhi. Ma che razza di cazzate stava pensando?
Nel frattempo il micio si era avvicinato ad Alejandro, che gli aveva dato del latte e ora lo stava accarezzando dolcemente.
Due ragazze comparvero dalla camera da letto, ancora strofinandosi gli occhi.
«Buongiorno, belle addormentate. Dovevate aspettare bacio del vostro principe, però.» disse Duncan, ghignando, non ricevendo risposta.
Heather non vedeva il messicano, ma fece finta di non importarsene e andò a sedersi con in mano una tazza di latte, e poi lo vide lì a terra intento ad accarezzare Ted, cosa che le fece scappare un sorriso. Questo, però, se ne andò subito quando l’asiatica si accorse di essere stata vista da Courtney. Si portò allora la tazza alle labbra e fece finta di niente.
La testa verde si avvicinò all’ispanica, cingendole la vita da dietro.
Lei capì subito di chi si trattava.
«Duncan, lasciami subito!» ringhiò, girando il capo all’indietro.
Non fu una buona mossa, però: si ritrovò a pochi millimetri di distanza da lui, cosa che la fece subito imbarazzare.
«Raggio di sole, non fare finta che ieri sera non sia successo nulla.» sussurrò lui, avvicinandosi ancora di più.
La ragazza si rigirò, prendendo le braccia del punk che le cingevano la vita e spostandole non molto delicatamente all’indietro.
«Cosa non è successo, vuoi dire. Per fortuna non è accaduto nulla, stavo per compiere una pazzia.» commentò Courtney, allontanandosi.
Lui le si avvicinò, con il suo solito sorriso strafottente. «Oh principessa, so bene che vuoi finire quella cosa, e non ti preoccupare, entro stasera ti ritroverai con le tue labbra sulle mie.»
«Ma per favore, nemmeno morta! Io non ti bacerò mai, è chiaro?»
detto questo se ne andò con Heather in bagno, a prepararsi per andare dai loro genitori.
«Lo vedremo, principessa, lo vedremo…»

***

I ragazzi stavano in salotto, spaparanzati sul divano.
«Ma perché ci mettono sempre così tanto le donne a prepararsi? Vogliono farsi belle e poi noi le guardiamo il sedere o le tette!» commentò Duncan, stancatosi di aspettare le ragazze.
Alejandro annuì convinto, e due figure dietro di loro evitarono di prenderli a coltellati solo per non finire in carcere.
«Sono proprio convinta che grazie ai vostri commenti le donne si prepareranno in meno tempo!» urlò Courtney sarcasticamente, facendo sobbalzare i ragazzi tanto che il punk cadde dal divano.
«Idiota…» sussurrò lei, dirigendosi al frigo per prendere un po’ d’acqua fresca.
«Mi amor, sei bellissima!» disse Alejandro avvicinandosi ad Heather.
«Oh, davvero? Pensavo di essere brutta e poco dotata!» sussurrò lei, girandosi dalla parte opposta del messicano.
«Ancora con questa storia?»
«Sì, ancora con questa storia, e se lo dirai a qualcuno non sono così sicura che te la ricorderai ancora, questa storia!»

Lui rise, cosa che fece arrabbiare e ringhiare la ragazza.
«Allora Alejandro, pronto a conoscere i nostri futuri suoceri?» strillò Duncan, ricevendo uno schiaffo sul capo da parte dell’ispanica tanto forte da farlo cadere.
«Principessa, sei sempre così perfida!» cinguettò lui con un tono da bambino ed uno sguardo da cucciolo.
«Lo ripeto, idiota...»
Le due presero le loro borse ed uscirono dalla casa, seguite dai ragazzi che galantemente le avevano fatte passare prime, ma loro erano consapevoli che l’avevano fatto solo per osservare il loro fondoschiena.
Entrarono in auto e andarono a casa di Courtney ed Heather, e quest’ultima suonò il citofono di casa sua.
«Pronto?» rimbombò una voce rauca maschile.
«Papà, apri, sono con Courtney e… emh… ci sono due ospiti…»
Takashi non rispose, e sua figlia non comprese se l’avesse udita, ma non se ne preoccupò molto ed aprì il portone, facendo entrare anche gli altri.
Salirono le scale e trovarono un appartamento aperto, e sulla soglia c’era un uomo molto simile ad Heather.
«Papi!» urlò lei, abbracciandolo.
Solo quando si staccarono lui notò due persone in più.
«Emh… sì? Cercate qualcuno?» chiese, alzando un sopracciglio.
«No, papà, loro… sono degli ospiti.» le rispose sua figlia, con un sorriso poco convinto.
«Ah, okay.»
Tutti entrarono, e l’unico a non sentirsi a proprio agio era Duncan che non era mai entrato in quella casa.
«Mamma, hai cucinato in più, vero?» domandò Heather, dirigendosi in cucina e venendo seguita da Alejandro.
«Oh, ciao piccola! Certo che ho cucinato per più persone, perché me…» si interruppe, quando vide il messicano dietro sua figlia. «A-Alejandro! C-Che ci fai qui? Hai accompagnato mia figlia? Oh, che gentiluomo!»
«Salve, signora.» disse lui, sorridendole.
«Mamma, oggi lui mangerà qui con noi, con un suo amico.» sibilò l’asiatica, sospirando e roteando gli occhi poiché sua madre era stata incantata dal fascino del ragazzo. Perché era l’unica ragazza capace di tener testa alla sua bellezza?
Nel frattempo nel soggiorno, dove si avrebbe pranzato, avevano tutti preso posto, compresi Duncan e Courtney.
«Hai capito? Prova a dire qualcosa di sconcio, pervertito o fuori luogo e ti ritroverai con qualunque cosa ci sia da mangiare addosso e fuori casa!»
«Sì principessa, ho capito, non c’è bisogno di ripeterlo così tanto volte… però mi devi chiamare amore mio!»
«Argh, idiota…»

Lui alzò un sopracciglio, intendendo “che ti ho appena detto?”, e la ragazza si corresse.
Nella stanza vennero anche Alejandro, la sua chica e la sua futura suocera.
Il messicano stava sedendosi affianco ad Heather, che però lo bloccò con una mano.
«Eh no caro, io devo stare accanto a mio padre…» disse, indicandolo affianco a lei al lato opposto «… e mia madre!»
«Oh, Heather, non ti preoccupare, non ci sono problemi, mangerò affianco a Takashi e Carla.» rispose con fare gentile sua mamma spostandosi, mentre sua figlia sbarrava gli occhi.
«Ma… mamma!»
«Bè, se è questo che vuole tua madre.»
disse Alejandro come se si stesse sacrificando, ma la cosa ovviamente non gli dispiaceva!
Mineko porse i piatti a ciascuno e cominciarono a pranzare.
Duncan fissava Courtney, cosa che non passò inosservata a suo padre. Quel ragazzo non gli piaceva, gli ricordava una persona. Ma chi?
«Ehy, ragazzo!» disse Roberto, attirando l’attenzione del punk che finalmente distolse gli occhi da sua figlia «Come hai detto che ti chiami?»
«Emh… Duncan.»
«Duncan… mi sembra di riconoscere questo nome…»
«Duncan Nelson?»
si intromise la madre, sotto gli occhi curiosi di Courtney. La testa verde annuì, facendo cadere di mano la forchetta a Roberto.
«C-Che succede?» chiese preoccupata l’ispanica.
«Tuo padre è Drew, Drew Nelson! Ho ragione?» domandò quasi urlando Roberto.
«Sì, ma è da tanto che non lo sento visto che ora non vivo più con i miei genitori essendo maggiorenne…»
«Courtney! Hai portato in casa un criminale!»
«Cosa?!»
strillarono Duncan e la sua principessa contemporaneamente.
«Io non sono un criminale!» cercò di giustificarsi il canadese.
«Ma tuo padre lo è!» tuonò Carla, facendo tacere per qualche secondo il punk.
«Bè sì, è andato qualche volta in carcere ma ora è diverso, e io non sono come lui.»
«Mamma, è… è un bravo ragazzo!»
«Courtney, non difenderlo, è un criminale. Un criminale che ora andrà fuori da questa casa!»
la rassicurò il padre alzandosi e avvicinandosi al ragazzo. Sua figlia si alzò, sbarrandogli la strada.
«No papà! Non puoi farlo andare via senza una buona ragione… e-e se lui se ne va, me ne vado anch’io! M-ma ovviamente solo perché non me la sento di lasciarlo da solo!»
Con questa affermazione fece tacere tutti i presenti, mentre Duncan sorrideva.
Suo padre ribolliva di rabbia. Perché si ostinava a difenderlo? Si mise a braccia conserte e, acquistando la tranquillità, parlò pacatamente.
«Bene, allora vai.»
Lei strabuzzò gli occhi, non credendo alle sue parole, ma non notando nessun suo movimento che gli facesse capire che stesse scherzando, prese la mano del ragazzo che ghignava e uscì fuori, sbattendo la porta.
Insomma, Courtney l’aveva preferito a suo padre! E stando da soli, magari avrebbe potuto anche baciarla!
Scesero di corsa le scale, e usciti dal portone principale lei si rese conto della pazzia che aveva fatto, sapendo che questa volta avrebbe ricevuto una bella ramanzina.
«Che ho fatto…» sussurrò, mettendosi il viso tra le mani.
«Principessa, non sapevo che ti importasse tanto di me!»
«Stai zitto! Per colpa tua ho fatto una cavolata e mio padre di certo non me lo perdonerà!»
«E che ti frega? Nella tua vita hai bisogno di un solo uomo, e cioè io.»
disse, avvicinandosi pericolosamente. Lei, in risposta, gli diede le spalle.
«Andiamo a casa tua. Cioè, nostra. Mangeremo qualcosa lì.»
«Le tiene Alejandro le chiavi della macchina.»
«Argh, idiota! E ora dove andiamo?! Io ho fame!»
«Se vuoi puoi cibarti dei miei baci…»
«No, mi fanno rivoltare lo stomaco.»
«Oh, raggio di sole, ieri stavamo quasi per baciarci!»
«Per fortuna non ci siamo baciati, però.»
«Ma io so che tu vuoi.»
«Sì. Voglio darti un pugno in faccia.»

Duncan rise. Quanto amava quella sua acidità!
«Ora dove andiamo, amore mio
«Finalmente hai imparato!»
«Purtroppo mi ci sono fatta l’abitudine.»
«Che ne dici di andare al Pandemonium?»
«Nemmeno per idea, dopo quello che mi hai fatto passare ieri non ci tornerò mai più in quel posto!»
«Ma principessa, potremmo mangiare gratis, in fondo mi conoscono tutti lì.»

La ragazza sbuffò, ma sentendo il brontolio del suo stomaco accettò.

***

Heather era rimasta sconvolta. La sua migliore amica sola con quel pervertito! Ovviamente la cosa non le dispiaceva, in fondo avevano anche fatto una specie di patto per farli rimanere soli più volte, ma ciò voleva significare che Alejandro sarebbe dovuto rimanere con lei!
Sua madre continuava a parlargli con gli occhi sognanti, e rimaste sole le avrebbe sicuramente detto quanto fosse bello e gentile, aggiungendo infine che sarebbe stato il ragazzo giusto per lei, peccato che non lo conoscesse come lo conosceva lei!
Salì in camera sua, dicendo che non si sentiva molto bene.
Alejandro parve preoccupato, e Mineko se ne accorse.
«Perché non vai da lei? Magari si sentirà meglio, stando con te.»
«Non credo proprio. Sua figlia mi odia, ne sono sicuro.»
«Non ti preoccupare, è acida con tutti. Anche con me, ma non significa che non mi voglia bene.»

Lo rassicurò, sorridendogli.
Ma era ovvio, Heather era pazza di lui! Ma faceva finta di essere turbato con sua madre per essere aiutato, ovviamente.
Salì le scale e dopo pochi secondi si ritrovò in camera della sua chica, dove era già stato.
Lei era stesa sul letto a pancia in giù, ma lo riconobbe subito.
«Che vuoi? Vattene!»
«No, mi amor, preferisco rimanere qui.»
«Mi spieghi che ci trovi ad infastidirmi?»
«A me non piaci infastidirti, a me piace solo parlarti.»

L’asiatica sbuffò, mentre Alejandro si sedeva sul letto accanto a lei.
«C’è qualcosa che non va, vero?» le chiese premurosamente.
«Certo che c’è qualcosa che non va! Tu mi stai sempre azzeccato e io non ho un momento per rilassarmi, e ora Courtney è fuori con il tuo amico non so dove a fare non so cosa!»
«Non ti preoccupare, è in ottime mani.»
«Lo spero.»
sospirò, pensando a cosa avesse fatto il padre di Duncan per andare in carcere, allora decise di chiederlo al migliore amico del figlio. «Alejandro… perché il padre di Duncan è un criminale?
«Non so di preciso cosa abbia fatto. So solo che è andato qualche volta in riformatorio e che ha avuto un momento di depressione, bevendo e drogandosi. Poi si è sposato ed è nato quell’idiota!»

Lei sorrise, riprendendo poi la parola. «Un po’ mi dispiace però che sia stato cacciato da qui ingiustamente. Insomma, non ha fatto nulla di male!»
«E a te che importa di lui?»
«E’ pur sempre un mio amico.»
«E io, che cosa sono? Qualcosa di più?»
sussurrò, mettendosi sopra di lei.
Lei deglutì, girando il capo verso destra per non guardarlo negli occhi.
«No, qualcosa di meno.»
Il messicano le prese il mento tra le dita, avvicinando il viso al suo.
«Lasciami!» sbottò, rossa in volto.
«Perché dovrei?»
«Perché mi dai sui nervi!»
«Ti amo anch’io, mi amor.»
«Non ho mai detto di amarti!»
«Non l’hai detto, ma me lo hai fatto capire.»

Non diede il tempo ad Heather di farla replicare che unì le sue labbra a quelle della ragazza. Lui chiuse gli occhi, mentre lei teneva gli occhi spalancati non riuscendo a comprendere perché lo avesse affatto. Nonostante ciò, decise di non staccarsi, anche se nella sua mente una vocina le diceva di farlo. Ma c’è n’era un’altra che le consigliava di lasciarlo fare e che avrebbe voluto tanto che quel momento non finisse mai, e lei decise di ascoltare quella. Alejandro però si staccò poco dopo, guardandola con un ghigno. Anzi, no, non era un ghigno, era un vero e proprio sorriso! Lei decise di fare l’indifferente, spingendolo lontano da lei mettendo le mani sul suo petto, peccato però che al contatto con quel fisico palestrato divenne più rossa di un pomodoro.
«F-Fa caldo, n-non guardarmi i-in quel modo.» balbettò la ragazza, alzandosi dal letto. «C-Credo c-che sia meglio t-tornare a casa.»
«Per approfondire il bacio?» sussurrò lui con un tono malizioso.
«N-Nemmeno per idea! Questo bacio non significa nulla per me, chiaro?!»
«Ma ovviamente ce ne saranno altri, mi amor.»
disse con un tono basso, non facendosi sentire da lei.
Nel frattempo una figura femminile molto simile ad Heather si allontanava dalla porta semiaperta, mentre sorrideva soddisfatta e felice.










Angolo dell'Autrice.
Sì, il capitolo è cortissimo e orribile. Perchè? Perchè sono in quella brutta situazione, quella situazione che fa desiderare alle donne di essere nate maschi.
Ma per fortuna, Alejandro ed Heather si sono baciati e hanno fatto felici tutti quanti! :'D
Nel prossimo capitolo, o nel capitolo dopo il prossimo(?) si capirà come conoscevano Roberto e Carla al padre di Duncan, Drew.
Perchè Drew? Perchè Drew Nelson è il doppiatore canadese di Duncan! *-*
Ok, al prossimo capitolo e... e bau! Spero che recensirete. :3
Vi amo tutti, chi ha messo la ff tra le seguite, le ricordate, le preferite e chi, appunto, recensisce.
Alla prossima,
Alex.
P.S: E' anche colpa di Elena se ho ritardato!

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Duncan e Courtney si stavano recando al Pandemonium tra i vari insulti della ragazza.
«Spero solo di non incontrare quella ragazzina che mi ha definito la tua fidanzata.» borbottò lei, facendo scappare una risata al suo compagno.
«Principessa, sappiamo entrambi che in futuro lo sarai davvero!»
Lei si limitò a sbuffare, evitando di prenderlo a schiaffi.
Ben presto arrivarono al bar, e per la fortuna di Courtney c’erano poche adolescenti.
Tutti sembrarono molto sorpresi vedendo il cantante dei “The Blood on the Knife” vestito come un ragazzo normale.
Molte persone gli si avvicinarono, salutandolo, e lui sembrava conoscerli tutti.
«Ehi Duncan, non ci avevi detto che ti eri fatto la ragazza!» commentò uno, e Courtney intervenne per evitare di far parlare il “cantante” e di spargere false notizie in giro.
«L-Lui è solo un m-mio amico, e-e non sarà mai qualcosa di più!» balbettò urlando, rossa in volto.
Si avviò verso il bancone, mentre Duncan continuava a parlare con i suoi amici.
«Sì, è la mia ragazza.»
Finì il discorso con questa frase e poi raggiunse la sua principessa.
«Allora, che ti prendi, raggio di sole? Non limitarti, tanto a me non fanno pagare!» le disse una volta vicino, facendola sobbalzare poiché di spalle.
«Non ho idea di cosa possa esserci qui, e ti ho ripetuto mille volte di non chiamarmi con quegli stupidi soprannomi!» tuonò, in preda ad una crisi isterica a causa di tutti i problemi che gli stava dando il ragazzo, e quei nomignoli non miglioravano certo la cosa.
«Perché, principessa? Non ti ha mai chiamato nessuno così?»
«Sì, esatto, e non ne ho mai avuto bisogno, e non ne ho nemmeno ora.»
«Invece a me sembra che ti piaccia essere chiamata così!»
lui ghignò, mentre lei che continuava a stargli di spalle roteò gli occhi, e nonostante la posizione capì che sul volto da schiaffi del punk si era dipinta quella smorfia tanto odiata.
«Nemmeno un po’. L’unica cosa che mi piacerebbe fare in questo momento è mangiare.»
«Come vuoi, piccola, una bistecca andrà bene, vero?»

Courtney annuì, non correggendolo di nuovo sapendo che sarebbe stato inutile, chiedendosi inoltre come fosse possibile che in un luogo del genere potessero cucinare della carne.
Lui prese le ordinazioni e si diresse ad un tavolo vuoto, venendo seguito dalla ragazza.
In poco tempo il cibo arrivò ed entrambi cominciarono a mangiare, mentre una figura dalla pelle candida si avvicinava a loro.

***

Alejandro ed Heather erano appena tornati a casa e l’asiatica andò subito a farsi un bagno caldo, avvisando il ragazzo che se l’avesse spiata avrebbe messo fine alla sua inutile vita.
Mentre lei si rilassava, lui si era accomodato sul divano accanto a Ted, dandogli da mangiare e accarezzandolo.
«Secondo te tra quanto tempo me la darà, Heather?»
Come risposta ricevette solo un miagolio dal micio, che lui interpretò come un “presto, fra molto presto”.
Purtroppo per lui la ragazza riuscì ad udirlo nonostante fosse in bagno e scosse il capo, consapevole che lui non sarebbe mai cambiato, ma in fondo non le dispiaceva più di tanto.
Lei finì in fretta di lavarsi, per la fortuna di Alejandro.
Dimenticatasi di portare i vestiti in bagno, li aveva lasciati in salotto, dov’era il ragazzo.
Quando la vide in accappatoio ebbe un sussulto al cuore -e non solo al cuore…-, immaginando ciò che era nascosto.
«Allora, hai preso in considerazione la mia idea di approfondire il bacio in qualcosa di più intimo?»
Per qualche secondo pensò che il gatto avesse ragione, ma quest’illusione svanì quando lei parlò.
«No, e mai lo farò. Sono solo venuta a prendere i miei vestiti.»
«Oh…»
lui era evidentemente deluso, ma un’altra proposta per lei gli balenò subito in mente quando la vide prendere gli indumenti. «Vuoi che te li metta io?»
La ragazza lo guardò con severità, alzando un sopracciglio.
«No, Alejandro. Sai che questo è e sarà sempre un sogno, per te. Ah, e non dire altre sciocchezze, non sono proprio in vena di prenderti a parolacce, oggi.»
Fece per andarsene, ma il messicano la fermò cingendole la vita da dietro.
«Scommetto che è stata la magia del bacio, eh?»
La semplice azione la fece arrossire; sentendo quelle parole invece avrebbe potuto mimetizzarsi tra una marea di coccinelle per la pelle tanto rossa e i capelli corvini. Le sue gote era no caldissime, tanto che ci si poteva cucinare sopra.
In realtà le sue guance erano già lievemente calde e anche il resto del corpo lo era, ma quel maledetto figaccione aveva peggiorato la cosa.
«Quante volte devo dirti che quel bacio non è significato nulla, per me?»
«E’ tutto inutile, mi amor. Sappiamo entrambi che non è così, stai mentendo solo a te stessa!»

Lei sospirò e levò le mani del ragazzo da dosso a lei non molto delicatamente, poi ritornò in bagno con i vestiti.
Lui ghignò, soddisfatto.
«E’ pazza di me.»
***

Una figura femminile si avvicinò al tavolo dei due ragazzi, prendendo tutto il coraggio e il fiato in gola che aveva.
«Duncan!» chiamò, a due passi dalla sua sedia, facendolo girare di scatto. «Sei davvero tu, Duncan?» «Certo che è lui, altrimenti non si sarebbe girato.» brontolò Courtney, quasi tra sé e sé, osservando criticamente dall’alto in basso quell’altra.
«Ehi, ciao… che ci fai in un posto del genere?» chiese lui, un po’ titubante.
«Io ci vengo ogni domenica, qui! E tu, invece?»
«Sono qui con una… un’amica.»
L’ispanica sgranò gli occhi, ribollendo di rabbia. Non solo ora Duncan si stava dedicando a quell’insulsa ragazzina, dimenticandosi completamente di lei e trascurandola, ora la definiva anche sua amica, solo sua amica! E tutto quello che avevano passato e fatto insieme?! Si aspettava che lui dicesse che era la sua fidanzata anche con le femmine, non solo con i maschi! Certo, non lo era davvero, ma perché con i suoi amici lo diceva e con le sue amiche no?
Spalancò gli occhi, mentre una domanda si faceva spazio nella sua testa, più importante di molte altre.
E se non era una sua amica? E se era qualcosa di più?
Mentre lei pensava, una musica leggera e romantica si diffondeva nell’aria.
Il ragazzo le si avvicinò, e tutte quelle fobie sulla sua possibile ragazza svennero.
Purtroppo rinacquero subito dopo.
«Io vado a ballare con lei, tu non ti muovere, mi raccomando.»
Li vide allontanarsi, poi lui le cinse la vita delicatamente.
I suoi occhi si riempirono di lacrime, che però trattenne, ricordando come lui avesse cinto la sua vita così tante volte. Quella stessa mattina, al ballo…
Già, il ballo.
Se non fosse stato per quello non sarebbero diventati così tanto “amici”, e in quel momento non si sarebbero trovati lì.
E sarebbe stato meglio!
Lei era solo un’altra stupida ragazza caduta nel suo tranello, come tante altre.
Quando se la sarebbe portata a letto l’avrebbe abbandonata, deridendola.
Però lei era diversa. Lei era intelligente, aveva capito le sue intenzioni.
Tutte quelle attenzioni che le dava erano fasulle. Tutte quelle parole sdolcinate che le dedicava erano false. Chissà quante altre ragazze aveva chiamato principessa, raggio di sole, piccola e con altri nomignoli!
Si passò un braccio sugli occhi, strofinandoseli. Perché ora stava piangendo per lui? In fondo non era così importante, e nemmeno lei lo era per lui.
Si alzò, decisa a ritornare a casa e a preparare le valige, insieme ad Heather. Voleva tornare dai suoi genitori, dalla sua famiglia, che l’avrebbe accolta a braccia aperte e non l’avrebbe mai presa in giro.
Poi ricordò. Aveva appena litigato con suo padre. E perché? Per Duncan!
Lui era la causa di tutti i suoi problemi!
Ma era sicura che Roberto l’avrebbe perdonata, era pur sempre sua figlia.
Sorrise, pensando che lui sarebbe stato l’unico uomo che non l’avrebbe mai delusa.
Presa la borsetta e si incamminò verso l’uscita e verso la sua vecchia casa, che avrebbe abbandonato dopo qualche oretta.

***

Heather era rientrata in bagno ed Alejandro si era messo a guardare la tv, ma guardare per modo di dire. La televisione era accesa ma il ragazzo non sarebbe riuscito a spiegare neanche di che programma si trattasse poiché stava pensando.
Si chiedeva come avrebbe potuto far ammettere all’asiatica l’amore che provava per lui, perché ne era sicuro: lei lo adorava!
Poi i suoi pensieri vennero interrotti dal rumore della porta che si apriva, da cui poi entrò Courtney.
«Courtney, già di ritorno?» chiese, aspettandosi che entrasse anche il punk.
«Sì, già di ritorno.» si limitò a rispondere.
Il messicano notò i suoi occhi un po’ rossi, come se avesse pianto.
«Duncan? Dov’è?»
«Al Pandemonium.»
«E tu perché non sei con lui?»
«Ha trovato qualcuna più interessante di me.» biascicò lei abbassando il capo.
Alejandro aggrottò le sopracciglia, chiedendosi cosa significasse quella frase.
«In che senso?»
«Nel senso che mi ha abbandonata, ha incontrato la sua ragazza e mi ha fatto sentire come una stupida!» urlò con un tono triste e gli occhi lucidi.
A lui scappò quasi un risolino e le fece segno di sedersi accanto a lui. Lei acconsentì, titubante, a braccia conserte e con lo sguardo opposto a quello del ragazzo.
«Courtney, Duncan non è fidanzato. E poi come ti viene in mnte che lui possa preferirti a qualcun altro?»
«Oh, ma per favore, non difenderlo! So benissimo che lui è un gran bugiardo e scommetto che anche tu stai mentendo ad Heather!»
Lui scosse il capo.
«No, Courtney, nessuno di noi due vi sta mentendo. Comunque, quella ragazza, com’era?»
«Stupida e senza stile.»
Il messicano rise e con una mano fece girare il capo di Courtney verso di lui.
«Sei gelosa, eh?»
Lei spalancò gli occhi e spostò le dita del ragazzo dal suo mento poco delicatamente. «Non sono gelosa, mi da fastidio il fatto che lui faccia il cascamorto con me mentre quando gli si presenta qualcun’altra davanti fa come se io non ci fossi!»
«Solo perché le ha parlato non vuol dire che non gli importi di te.»
«Si è messo a ballare con lei!»
«Non fa differenza.»
Courtney si arrese. Perché i ragazzi non credevano mai alle parole delle donne?
«Io me ne vado da qui, ritorno a casa.» sussurrò, riuscendo però a farsi udire.
«Che cosa!? Non puoi andartene!»
«Sì che posso.»
«No, altrimenti se ne andrà anche Heather!»
«E allora? La potrai vedere comunque a scuola, la potrai invitare ad uscire…»
«Ma non è la stessa cosa!»
L’ispanica sospirò, quasi invidiando la sua amica, poiché Alejandro si preoccupava sul serio di lei, gli dispiaceva che se ne andasse e non la prendeva in giro, era chiaro come il sole che le voleva davvero… bene.
Ad un certo punto la suoneria del cellulare di Courtney si udì nella camera. Lei lo prese dalla borsetta e lesse il nome comparso sul display.
«E’ Duncan.»
«Bè, che aspetti? Rispondi, si starà preoccupando.» rispose, vedendo che le mani dell’ispanica tremavano e che continuava a non rispondere. Lei sbuffò, prese un piccolo respiro e rispose.
«C-Che vuoi?» fu l’unica cosa che riuscì a dire, ripensando alla sua figura che ballava con la ragazza dark.
«Principessa, dove cavolo sei finita?» urlò lui dall’altra parte del telefono.
«Sono qui, a casa, con… Alejandro.»
Duncan sbiancò -se possibile, divenne più chiaro del solito-.
«A casa? Nostra? E cosa ci fai lì?»
«Cosa posso farci qui?! Visto che c’era la tua amichetta ho deciso di lasciarvi in pace!»
Il ragazzo volle risponderle, dicendole inoltre che sarebbe arrivato il più presto a casa, ma non potè perché Courtney aveva già chiuso la telefonata.
Lui, ancora nel Pandemonium con l’altra, si girò e le rivolse il suo ghigno migliore.
«Scusami, ma per oggi è finita. Questa volta la mia principessa si è ingelosita prima del previsto. E’ stato davvero un bene che ti abbia trovato qui, così la prossima volta eviteremo le presentazioni.»
«Avevi detto che mi avresti pagato!»
«L’appuntamento era per domani a scuola, quindi fatti trovare in classe durante la ricreazione e ti pagherò anche il doppio.»
La mora sbuffò, ma sapeva che lui avrebbe mantenuto la promessa, perché Duncan Nelson non mentiva mai, solo in casi eccezionali con il suo raggio di sole.










Angolo dell'Autrice.
Ciaoo, sono ritornata purtroppo per voi!
In ritardo come al solito, per colpa dei compiti e del mare, ma soprattutto della poca ispirazioni...
Cioè, io ho un casino di idee per i capitoli futuri, ma per il tredici e il quattordici no. Bella situazione, eh?
E poi, il capitolo è venuto pure corto perchè non avevo voglia di farvi aspettare più a lungo.
L'importante è che sia sbucata questa tizia che ci sarà per qualche capitolo, e poi ci saranno un susseguirsi di guai.
Avete visto? C'è pure un momento AleCourtney! (anche se a me non piace)! E dovrete abituarvici, perchè per un po' ce ne saranno parecchi ma, ovviamente, la fan fiction continuerà a far valere solo le coppie Duncney ed AleHeather.
Nell'ultimo capitolo ci sono state 15 recensioni, e io ne sono taaanto felice ç__ç Ringrazio tutti, i vecchi e i nuovi recensori!
A presto,
Alex.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Duncan stava tornando a casa, correndo il più veloce possibile. Non sapeva perché, ma il fatto che stesse in compagnia di Alejandro gli dava fastidio. Sapeva che al messicano piaceva Heather, ma quella situazione non gli piaceva comunque.
Svoltò l’angolo, e per la sua velocità andò a sbattere contro un ragazzo. A primo impatto gli parve familiare, gli sembrava Alejandro: un po’ più alto di lui, stessi occhi verdi e stesso fisico palestrato.
«Duncan?» disse quello meravigliato «Non pensavo di trovarti qui!»
«Questo lo dovrei dire io. Tu non eri in Messico?» chiese il punk infastidito dalla presenza di quel ragazzo e domandandosi cosa ci facesse lì.
«Ero in Messico, l’hai detto. Ma ora mi è venuta nostalgia di casa, di mamma e papà, di mio fratello… Oh, per caso sai se sta a casa?»
«Mi sta che ti sei perso un po’ di cose… seguimi.»

***

Heather era appena uscita dal bagno, rilassatasi dal bagno caldo. Pensava di trovarsi un Alejandro senza maglietta, come sempre, nel salotto, e invece lo trovò stranamente con tutti i vestiti, spaparanzato sul divano e vicino c’era Courtney, ma di Duncan nessuna traccia.
«Ehi, Courtney, che ci fai già qui? E Duncan, lui dov’è?» chiese, finendo di spazzolarsi i capelli.
«Ha avuto un contrattempo, è-è rimasto al Pandemonium perché doveva fare un servizio.» rispose, con molta calma, lanciando uno sguardo d’intesa ad Alejandro con il significato di “mi raccomando, non dire niente a nessuno”. Come risposta, lui fece un cenno di comprensione.
«Va bene… ora come vuoi fare con tuo padre?» domandò l’asiatica sedendosi su una poltrona a sinistra di Courtney.
«Oh, non me ne parlare, se ripenso a quello che è successo mi viene da picchiare a sangue quell’idiota di Duncan!»
«Per quale motivo? Per quello che è successo con tuo padre o per altri motivi?» disse Alejandro con un sorrisetto beffardo.
«P-per quello che è successo con mio padre, ovvio no? Di che cosa stiamo parlando, scusa?» rispose guardandolo male.
«Scusa, non avevo seguito del tutto il ragionamento…» tentò di giustificarsi lui.
Ci fu un momento di silenzio imbarazzante, in cui nessuno osava proferir parola.
Courtney guardava in basso, immersa nei suoi pensieri, mentre Heather e Alejandro si lanciavano sguardi di sfida. Heather sguardi di puro odio, Alejandro invece di malizia del tipo “so che mi vuoi, non negarlo”.
La giapponese stava per insultarlo, quando all’improvviso la porta si aprì e ne entrò un Duncan con il viso scuro.
«Abbiamo ospiti…» fu l’unica cosa che riuscì a dire.
«Oh, fammi indovinare, c’è la tua amichetta, vero?!» urlò Courtney che, di spalle, non l’aveva visto entrare e quindi sì alzò e si girò, ma dalla porta non entrò una figura femminile.
Heather, che era ignara di tutto, bisbigliò un misero “quale amichetta?” e si girò pure lei.
«No, Courtney, purtroppo nessuna amichetta.» rispose Duncan, avviandosi verso il bagno senza proferir parola.
«E lui chi è?» chiese allora lei, con il suo fare altezzoso.
«No, non può essere… che ci fai tu qui?!» sbottò il messicano.
La figura maschile molto simile a lui chiuse la porta alla sua sinistra e, con camminata elegante, si fermò davanti alle ragazza e strinse le mani di entrambe in segno di presentazione.
«Salve ragazze, io sono Josè, il fratello di Alejandro.» detto questo ghignò, guardando dritto negli occhi Alejandro e ricevendo da parte del fratello solo un dito medio alzato.

***

Mineko stava nella cucina, a lavare ed asciugare i piatti, mentre Carla stava levando la tavola dal salotto, dove stavano i due uomini a giocare a carte.
«Carla, puoi anche smettere di andare avanti e indietro, so che sei preoccupata per Courtney, ma se quel ragazzo è amico di Alejandro che è un ragazzo sublime, non credo che ci sia di che preoccuparsi, non devi giudicare solo dall’aspetto, in fondo l’hai anche insegnato a tua figlia…» disse Mineko girandosi per vedere cosa stesse facendo Carla, che si ostinava a non smettere di lavorare giusto per pensare ad altre cose.
«Non è quel ragazzo il problema, è Roberto. Ho paura che dicendo quelle cose abbia spaventato mia figlia e che quindi non voglia più frequentare quel giovane, dopo tutto il tempo che è passato senza che lei avesse amici maschi… Per me Roberto ha esagerato, non è detto che il figlio sia per forza uguale al padre. In fondo mi sembrava abbastanza educato, anzi, se fosse stato come il padre avrebbe insultato tutti e mangiato come un porco.» «Mi sembra di averlo già sentito nominare questo Drew Nelson…»
«Come, non ti ricordi? Quando ci conoscemmo era il mio fidanzato, che lasciai subito quando conobbi Roberto. Lui però si arrabbiò e lo picchiò a sangue, e-e… oh, per favore, non farmi continuare! Quello che mi fece fu orribile!» singhiozzò, sedendosi su una sedia accanto al tavolo della cucina e mettendosi due mani in viso per trattenere le lacrime.
«Non ti preoccupare, Carla, è tutto passato. Quell’uomo è anche andato in carcere e non ti darà mai più fastidio.» cercò di tranquillizzarla, lasciando perdere i piatti e sedendosi accanto a lei abbracciandola.
«Lo spero… l’unica cosa che mi domando è sapere chi è la madre di quel Duncan… sicuramente è una puttana, mi dispiace tanto per quel ragazzo. La madre l’avrà sicuramente abbandonato e Drew di sicuro lo tratta di merda!»
«Heather mi ha raccontato che Alejandro e l’altro ragazzo, essendo maggiorenni, vivono in un appartamento da soli, lontani dai genitori con il quale hanno litigato e lei non ne sa il perché, non gliel’hanno raccontato.»
«Lo sapevo! Quel povero ragazzo… e come guadagnano i soldi?»
«Heather mi ha detto che lavorano, ma non mi ha detto precisamente cosa fanno. Vogliono che non lo sappia nessuno.»
Carla sospirò e si chiese se Courtney, orgogliosa com’era, fosse tornata a casa per chiedere scusa al padre.

***

Il messicano entrò nel bagno spalancando la porta, dove c’era Duncan intento a farsi la barba.
«Dove l’hai incontrato a quello?!» ruggì Alejandro chiudendosi la porta dietro.
«Tornando dal Pandemonium.»
«E perché non gli hai detto “scusa, ho un impegno”?!»
«Ho voluto raccontargli prima ciò che è successo in questi anni… poi ho provato ad utilizzare questa scusa, ma ero già davanti casa e lui si è autoinvitato.»
«Spero solo che tu non l’abbia invitato anche a dormire a casa nostra!»
«Ovviamente no, non sono mica tanto idiota. Spera solo che non lo facciano i tuoi genitori.»
«Ora dovrò sopportarmi i suoi inutili nomignoli e… e dovrebbe anche venire nella nostra scuola?!»
«Mi sa. Ma almeno lui starà in terza.»
Alejandro sbuffò e diede un pugno al muro. Si fece male, ma sempre meglio di quella volta nel quale diede un pugno alla porta e caddè tutta completamente a terra.
«Io, se fossi in te, andrei nel salotto a stare attento a Josè.» suggerì il punk.
«Perché? Che potrebbe fare? Mettere un po’ d’ordine? Almeno farebbe qualcosa di utile.»
«No, potrebbe soffiarti la ragazza.»
Il latino spalancò prima gli occhi, poi la porta e corse veloce nel salotto.

«E tu sai perché Alejandro e Duncan abbiano litigato con i loro genitori?» chiese pacatamente Courtney stringendo i pugni al solo pensiero della gotica che ballava con il punk.
Nel frattempo Heather guardava a terra immersa nei suoi pensieri. Josè non le andava molto a genio. Somigliava troppo ad Alejandro, ed un messicano bastava ed avanzava.
«In realtà, prima di venire qui oggi, io sapevo meno di voi.» spiegò il ragazzo sorridendo a Courtney. Lei tentò di ricambiare.
«Bene, Josè, visto che ora sei qui, che ne dici di andare da mamma e papà? Saranno sicuramente felici di vederti, a differenza di noi.» Alejandro enfatizzò sulle ultime parole, e Josè fece le spallucce.
Prese il cappotto che aveva poggiato sul bracciolo della poltrona e si avvicinò alla porta, alzando la mano in cenno di saluto.
«¡Hasta luego, Al!» detto questo se ne andò.
Alejandro stava ribollendo di rabbia e teneva i pugni chiusi. Se avesse visto Josè per altri pochi minuti, non sarebbe riuscito a controllarsi e gli avrebbe sferrato un pugno in faccia, anche se non ci fosse stato alcun motivo.
«Alejandro, non ci avevi raccontato di tuo fratello.» disse Courtney, richiamando l’attenzione del ragazzo.
«Non ce n’era stato alcun bisogno, e poi, non ne vedevo il motivo.»
«Da come ci ha parlato di te, dobbiamo dedurre che non andate molto d’accordo.» continuò, cercando di far intervenire anche Heather con i suoi commenti acidi quando invece non sembrava nemmeno fare caso alla presenza di Alejandro.
Il fatto, è che stava pensando a ciò che era successo prima, a casa sua, nella sua camera.
«E’ proprio questo il motivo per cui non vi ho raccontato nulla…»
Dal corridoio sbucò il punk, con un asciugamano in mano con il quale si stava asciugando il viso.
Ovviamente, era senza maglietta.
«Principessa, mi spieghi perché prima te ne sei andata senza una ragione dal Pandemonium?»
«Senti, non sono in vena di parlare, specialmente con te, quindi non rompere. Piuttosto, vado a preparare lo zaino per domani. Heather, vieni pure tu?» chiese l’ispanica, non ricevendo alcuna risposta. Roteò gli occhi e si avviò nella “sua” camera.
I due ragazzi si guardarono un momento negli occhi, con uno sguardo d’intesa.
«Io rimango qui.» sussurrò Alejandro.
«Io invece vado a preparare lo zaino.» borbottò Duncan, ghignando.

***

Il punk seguì senza far rumore Courtney fino alla “sua” camera da letto e di Alejandro.
Aprì un poco la porta, e vi trovò Courtney sul letto a gambe incrociate.
«Guarda che ti ho visto, ormai entra.» borbottò, non degnandolo di uno sguardo quando entrò.
«Principessa, non dovevi preparare lo zaino?»
«Non ne ho voglia. Visto che ci sei preparamelo tu.»
La testa verde sospirò. Raccolse la valigia della ragazza e l’aprì. Prese lo zaino che vi era all’interno e il suo diario di scuola, per controllare l’orario scolastico.
Si avvicinò ad uno dei comodini accanto al letto, quello nel quale c’erano i libri di scuola completamente nuovi, né mai scritti né probabilmente mai aperti.
«Allora, mi vuoi rispondere? Come mai te ne sei andata dal Pandemonium senza avvisarmi?» ripeté lui sperando in una risposta concreta e non vaga!
«Te l’ho detto, era per non disturbarti. Mi sembravi così felice con quella, che mi dispiacev…»
«Eri gelosa, quindi?»
Courtney lo guardò dritto negli occhi.
«Ma sei down? Non ti ho mica detto che ero arrabbiata con te perché non mi stavi minimamente cagando!»
«Ma l’hai detto ora.» non potette mancare il suo ghigno finale.
La ragazza sospirò e chiuse gli occhi, portandosi il capo sulle sue ginocchia.
Il ragazzo lasciò stare i libri e lo zaino - anche se alla fine non ne aveva sistemato manco uno - e si sedette sul letto davanti alla ragazza, con le gambe che gli penzolavano fuori dal letto anche se era girato verso di lei.
La prese per i piedi e le lasciò scendere le gambe, così che potesse guardarla in faccia. La prese per il mento e l’avvicinò a sé.
La ragazza non lo guardava in viso, guardava in basso, ma lo lasciò fare.
Il ragazzo avvicinò la sua bocca a quella di lei.
Poi ci ripensò, voleva stuzzicarla per qualche altra settimana.
Salì un po’ con la bocca e la baciò semplicemente sulla fronte.

***

Heather era ancora immersa nei suoi pensieri.
Non si era nemmeno accorta che se n’erano andati tutti, escluso Alejandro.
Il messicano decise di stare per un po’ a guardarla semplicemente, quindi si sedette in cucina, la quale dava direttamente al salotto senza presenza di porte.
Nello spostare la sedia però fece rumore e fece girare l’asiatica.
Alla vista del ragazzo non proferì parola, si limitò a roteare gli occhi.
«A che cosa stavi pensando?» le chiese lui «Al bacio che ci siamo dati a casa tua?»
Lei sbuffò e il ragazzo si alzò, e si sedette accanto a lei.
«Quante volte dovrò ripeterti che per me non è significato niente prima di fartelo capire?!» sbottò lei guardandolo intensamente negli occhi sempre con uno sguardo di sfida.
«Mi amor, sai che io non ti crederò mai. E’ chiaro come il sole che ti piaccio!»
Lei sospirò e si alzò, diretta verso la sua camera per preparare lo zaino per il giorno dopo.
Con tutto quello che era successo, erano le sette e mezza.
Il tempo di mangiare, e sarebbe andata a dormire, perché era completamente a pezzi.
Alejandro la seguì, ovviamente, e mentre lei preparava lo zaino lui si stese sul letto con le mani sotto il capo.
Passarono alcuni minuti prima che il ragazzo proferisse parola. «Posso sapere come si chiamava il tuo ex ragazzo?»
Lei lo guardò male, alzando un sopracciglio, poi riprese a sistemare la borsa. «Non credo che ti possa interessare né che tu lo possa conoscere.»
«Che ne sai? Io conosco tutti in questa città.»
«Peccato che io non abbia voglia di parlarne. Piuttosto, perché tu odi così tanto tuo fratello? Anche lui non ti sopporta?»
«No, è il contrario, io non sopporto lui. Ha due anni in più di me, ma questo gli basta a fargli credere di dover comandare, di farmi fare tutto ciò che egli vuole. Mi rende la vita un inferno da sempre. Quando era piccolo rubava i miei giochi, dalle medie mi ruba le ragazze. Continua a chiamarmi con Al o altri nomignoli strani solo per farmi incazzare. Si comporta così anche con Carlos, mio fratello, solo che lui è diverso da me. E’ dolce e ubbidiente, fa tutto ciò che mamma e papà vogliono, è un genio a scuola ma, nella vita reale, è un emerito idiota. Basta poco per fargli credere tutto ciò che vuoi. Spesso gli ho fregato anche cento dollari con una banale scusa, e lui ci cascava sempre.»
«Bè, ci deve essere una ragione se tuo fratello maggiore voleva renderti la vita un inferno, no?»
«Il semplice fatto di essere più grande di me, questo gli basta. Carlos e mia madre mi dicevano sempre che era un modo per avvicinarsi a me, perché era geloso di tutte le belle ragazze che mi andavano appresso ma io non credo sia per questo.»
«Non hai mai provato a parlargli?»
Alejandro scoppiò in una sonora - e forse anche finta – risata. «Sarebbe tutto inutile.»
Nel frattempo, Heather aveva sistemato la sua borsa.

***

Andarono in cucina per fare cena, dove vi trovarono anche gli altri due ragazzi che, ovviamente, si insultavano, mentre Courtney preparava ciò che sembrava una pizza.
E infatti, così era. Heather l’aiutò a prepararla, facendo smettere ai ragazzi di litigare.
Decisero anche di guardare un film.
I ragazzi volevano a tutti i costi guardare un film porno - anche perché avevano un casino di dvd del genere - mentre le ragazze ne volevano uno romantico.
Alla fine, furono le ragazze ad avere la meglio.
Alejandro scaricò il film Titanic - che loro due odiavano tanto - e lo passò su un dvd.
Dietro di lui c’era Duncan il quale sorseggiava una birra.
Il dvd entrò nel lettore dvd e - per la sfortuna dei ragazzi e per la fortuna delle ragazze - il film si vedeva.
La pizza era buona, ma per i due maschi fu solo un motivo per insultare la cucina delle femmine e per farle arrabbiare.
Le ragazze, con la scusa del film, non pulirono i piatti e vedere Alejandro e Duncan alle prese con il loro lavaggio fu un vero divertimento.
Alla fine del film, le ragazze non potettero trattenere le lacrime e le maglie dei ragazzi diventarono dei veri e propri fazzoletti.












Angolo dell'Autrice.
Che dire... vi ricordate di me? :c
L'ultima volta che ho aggiornato è stato quattro mesi fa, se non di più!
Mi era passata la passione per TD, poi grazie ad uno stato s facebook alla quale si faceva riferimento alla quinta stagione, mi è ritornata e mi è ritornata in mente anche questa ff.
Mi sono ritornate in mente tutte le idee per i prossimi capitoli e anche il piacere delle recensioni mlml:3
Purtroppo questo capitolo è orribile, ma serviva...
Ho ripreso a rileggere qualche ff, invece altre non sono state continuate, e mi dispiace molto :/
Spero comunque che qualcuno legga/recensisca!
Al prossimo capitolo (perchè, sì, purtroppo per voi, ci sarà),
__Alex.
P.S.: Ho fatto una richiesta per il cambio del nome, in futuro dovrei chiamarmi gemitaiz!

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 (Parte I) ***


Alla fine del film, i ragazzi avevano convinto le ragazze a giocare a carte, una buona scusa per parlare ancora un po’.
Le ragazze erano stanchissime e nel giocare si addormentarono entrambe con il volto sul tavolo.
Duncan e Alejandro le portarono di peso in una delle loro camera, mettendole una di fianco all’altro. Si misero accanto a loro e si addormentarono lì anche loro.
Ora erano a scuola, di nuovo nello stesso posto assieme, di nuovo uno vicino all’altro, di nuovo a pizzicarsi a vicenda e ad insultarsi.
Courtney tentava di ascoltare la lezione, ma Duncan non la smetteva di parlare.
«… e quindi, alla fine mi sono trombato pure un’ ex ragazza di mio padre. Ti sembrerà strano che un adolescente si faccia una donna di circa quarant’anni – o erano trenta? – però, era una donna davvero attraente.»
«Senti, amore mio» -lo interruppe- «a parte il fatto che delle tue emh, trombate, non me ne frega più di tanto e io starei cercando di ascoltare ciò che dice il professore, mi piacerebbe se tu stessi zitto. Per favore. Altrimenti ti do un pugno.»
«Come vuoi, principessa, ma ne sei davvero sicura? Insomma, potrei provare uno di questi metodi con te, e alla fine ti troveresti nel mio letto nuda… in tal caso, non dire che non ti avevo avvisato o offerto un modo per non cascare ai miei piedi!»
Courtney sbuffò, scosse il capo e si portò una mano alla fronte.
Nel frattempo, ai banchi avanti le chiacchiere non c’erano e nessuno dei due ragazzi proferiva parola.
Tanto meglio pensò Heather, notando il silenzio del ragazzo.

Durante la ricreazione, venne in classe la ragazza del Pandemonium, tanto odiata da Courtney che si avvicinò di soppiatto a Duncan, il quale stava parlando con Alejandro.
Gli toccò la spalla e lui si girò. «Oh, me n’ero dimenticato…» sussurrò.
«Ma i soldi ce li hai comunque, vero?» sussurrò anch’essa, alzando un sopracciglio.
«Oh, Gwen, che piacere vederti qui!» urlò per farsi sentire anche dall’ispanica, che li stava guardando male, e le diede un falso abbraccio, poi riprese a bisbigliare «Tieni, e fatteli bastare.» e le porse cinquanta dollari.
Lei gli diede un falso bacio sulla guancia e lo salutò con un falso sorriso, ed uscì dalla classe.

***

La giornata finì. Courtney, grazie a Duncan, alla fine era riuscita a copiare entro la quarta ora i compiti di scienze da “quello sfigato di Harold”, come l’aveva chiamato il punk, e poi li aveva fatti copiare ad Heather.
Ora erano fuori la scuola e i quattro ragazzi uscirono dal cancello e tornarono a casa.
Andò tutto come sempre: durante il tragitto si insultarono, arrivarono a casa e mangiarono e – cosa nuova per i due ragazzi – fecero i compiti – i ragazzi ovviamente copiarono dalle ragazze.
«Sentite» cominciò Heather, battendo le mani per richiamare l’attenzione del punk e del messicano «Courtney ed io abbiamo intenzione di andare a trovare i nostri genitori verso le sei, in questo modo Courtney potrà fare pace con il padre e io starò un po’ con mia madre e…»
«Oh, fantastico!» la interruppe Alejandro «Potrei venire anch’io, visto che sono tanto simpatico a tua madre.»
«E chi ti dice che io voglia stare in tua compagnia?»
«Tua madre lo vorrà sicuramente. E poi da qui a casa tua il tragitto mi pare un po’ troppo lungo per ragazze come voi, così deboli e fragili, vi servirà una macchina per arrivarvici.»
Le ragazze si guardarono e rifletterono: aveva ragione, il tragitto era troppo lungo.
Heather sospirò e si mise a braccia conserte e parlò Courtney.
«Hai ragione, ci accompagnerai a casa nostra…»
«Un momento!» intervenne il punk «E io cosa dovrei fare? Stare qua a guardarmi dei porno? Non ho intenzione di stare qui da solo!»
«Non hai alcun corso a scuola, oggi?» chiese l’asiatica.
«No, e anche se fosse, vorrei venire anch’io con voi.»
«Duncan…» lui tossì, per farla correggere. Lei sbuffò e cambiò parola. «Tesoro, dopo quello che è successo con mio padre ho paura che lui ti odi e che la tua presenza sia solo d’intralcio. Potresti solo peggiorare la situazione.»
«E allora che faccio?» chiese, quasi spalancando gli occhi.
«Potresti portare a passeggio Ted!» disse Heather, sorridendogli. Ovviamente, il sorriso non passò inosservato né a Courtney né ad Alejandro.
«Ah, e va bene… ma poi vi vengo a prendere a casa.»
Gli altri annuirono e alle cinque si diressero verso casa delle ragazze. Con Duncan si diedero appuntamento alle sette: sarebbe andato a prenderli a quell’ora.
Heather e Alejandro entrarono senza problemi a casa della ragazza, mentre Courtney prima prese un sospiro profondo e poi citofonò.
Le rispose la voce melodiosa di sua madre.
«Chi è?»
«Mamma, sono io, vorrei parlare con papà.»
«Cara, tuo padre al momento non c’è. Tornerà da lavoro verso le sei.»
«Allora… posso aspettarlo lì, da te?»
«Certo, tesoro, vieni.»
Courtney salì e venne accolta da un caloroso abbraccio della madre.
«Il tuo amico non c’è?» le chiese, facendola entrare in casa e sedere in soggiorno, mentre un cucina stava preparando ciò che poi Courtney riconobbe come un tè.
«No, sono sola. Ho preferito evitare ulteriori litigi.»
La madre annuì «Hai fatto bene. Tuo padre ha esagerato, secondo me. Ti ho insegnato di non giudicare un libro dalla copertina, e tu stai conoscendo quel ragazzo a fondo. Hai tutto il mio appoggio.» le sorrise, e la figlia ricambiò.
«Mi spieghi solo come conosci suo padre?»
«Oh, bè, Drew Nelson… semplice, veniva all’università con noi.»
«Non pensavo che suo padre fosse andato all’università!»
«Bè, probabilmente, non sai molte cose di suo padre. Forse non lo sa stesso il figlio.»
«E allora, vuoi spiegarmi? Sono venuta qui appunto per questo, non solo per fare pace con mio padre.»
Carla si alzò, andò in cucina e prese il tè e lo mise su un vassoio, accompagnato da due tazzine.
Ritornò in salotto e mise il tè nelle tazze, poi ne porse una a Courtney e l’altra se la tenne per sé.
«Allora, come va a scuola?» le chiese, portandosi alle labbra la tazza.
«Non cambiare discorso. Come hai conosciuto Drew a scuola?» soffiò sul tè per farlo raffreddare. Sapeva che era bollente, come ogni volta che la madre faceva il tè.
Carla sospirò e riprese a raccontare «In realtà lo conoscevo dalla scuola superiore. Solo io, però. Era il mio ragazzo. Lo è stato per tre anni alle superiori, dalla terza. Era molto, troppo possessivo. Non voleva che parlassi con nessun altro ragazzo se non mio padre, o il bidello o il prof o qualche altro adulto così. Non era un genio a scuola, non voleva nemmeno andare all’università. Quando poi seppe che io ci sarei andata, volle venire con me. Sapevo che sarebbe stato solo peggio e cercai di convincerlo a non farlo, ma lui si iscrisse. Si potrebbe dire per fortuna il fatto che non venne in classe con me. Io stavo al piano superiore, lui a quello inferiore. Ci vedevamo solo fuori scuola, all’andata e al ritorno. Era violento e avevo paura di lui, era per quello che non lo lasciavo. Aveva paura che mi violentasse, già mi aveva picchiato un paio di volte con la sua cinta e quindi ero impaurita. Non avevo nemmeno amiche per questo. Poi, all’università, incontrai Mineko e diventammo amiche, forse perché lei era una solitaria. Alla fine incontrammo tuo padre e Takashi…» pronunciava periodi brevi e faceva molte soste. Smetteva di parlare per qualche secondo, poi riprendeva. Tremava. Courtney lo notò e prese la sua mano. La invitò a continuare.
«E poi, che successe?»
«Mi innamorai di tuo padre, e lui di me. Mineko e Takashi si fidanzarono, perché non avevano problemi, ma noi… noi sì, e quel problema era Drew. Roberto fece amicizia con Drew. Qualche volta facemmo anche qualche uscita a quattro. Drew presentava ragazze a Roberto. Lui faceva finta di apprezzare, ma in realtà gli piacevo solo io. Un giorno, dopo più o meno due mesi che si conoscevano, tentò di dirglielo con calma. Ma Drew la calma non la conosceva. Gli diede un pugno sull’occhio e uno allo stomaco, e lo lasciò a terra.» prese un respiro profondo «Il giorno dopo non mi venne a prendere a casa. Mi accompagnò mio padre, a scuola. Non lo incontrai nemmeno. Poi uscimmo, e lo incontrai. Mi venne incontro, era stranamente calmo. Parlava cautamente. Disse che voleva farmi andare a casa sua. C’ero già stata qualche volta. Disse che mi voleva parlare, dire le cose così come stavano. Io accettai, senza sapere cosa volesse fare sul serio.» si fermò, facendosi scorrere qualche lacrima sulle guance.
«E che cosa ti fece?» Courtney deglutì, già sapeva la risposta.
«Lui, lui mi violentò… avevo solo quindici anni. Persi la verginità così! Nello stupro, persi i sensi perché cercai di divincolarmi e lui mi fece sbattere la testa contro un comodino lì affianco.»
«Tale padre, tale figlio…» sussurrò tra sé e sé Courtney, pensando a ciò che era successo alla festa la settimana prima. La madre però non sentì e continuò a parlare.
«Al mio risveglio, mi trovavo sul suo letto. Capii di non essere più vergine dalla chiazza rossa sul lenzuolo. E poi ero sotto le coperte, nuda. Davanti al letto c’era lui, seduto su una poltrona. Anzi, spaparanzato, che fumava. Mi guardò, ma non disse nulla, e nemmeno io pronunciai parola. Ricordo che mi portai semplicemente le coperte fino a sopra il capo, per non farmi vedere ancora, e piansi silenziosamente. Passò circa una mezz’oretta così: lui fumava davanti a me e io piangevo senza farmi né vedere né sentire. Poi lui disse “i tuoi vestiti sono a terra, puttana” e se ne andò, sbattendo la porta. Nella camera c’era un piccolo bagno. Ne approfittai e mi lavai. I miei vestiti erano a terra, li presi e me li misi. Presi con me anche la mia borsetta. L’aprii per controllare se ci fosse tutto, ed erano scomparsi i soldi ma me ne fregai. Volevo andarmene da quel posto al più presto. Uscii da quella casa e non vi misi piede mai più. Drew aveva anche spento il cellulare. Erano le sei del pomeriggio ed era già sera, essendo inverno, e i miei genitori si saranno preoccupati allora. Probabilmente, avranno chiamato e il rumore del telefono infastidiva ciò che stavamo, anzi, stava facendo. Drew non mi rivolse più la parola. Mi guardava solo. Non capivo come, ma mi guardava. Non so se era per odio, per tristezza, per rabbia, per i sensi di colpa. Io raccontai tutto a Roberto. Lui voleva che lo dicessi ai miei in modo che lo facessero arrestare, ma dissi di no. Sapevo che non mi avrebbe più dato fastidio, e così fu. E in carcere ci entrò per furti e altri crimini, che non mi interessa sapere.» Avevo sprecato un pacchetto di fazzoletti interi. Mentre parlava, singhiozzava.
«Finito? Dopo la scuola non l’hai mai più rivisto?»
«No. Non ho mai avuto più notizie di lui, né l’ho mai cercato. Per me è un capitolo chiuso adesso, il suo. Non sapevo nemmeno che avesse un figlio.»
«Non ti interessa sapere cosa fa, chi è la madre di Duncan?»
«Perché dovrei? Dopo tutto ciò che mi ha fatto… E poi, nemmeno lui si è interessato di me. Mi dispiace solo per quel ragazzo, Duncan, che vive da solo e lavora per guadagnarsi da vivere.»
«Lui sta bene, forse anche troppo.» rise al pensiero di Duncan e di tutte le cavolate che diceva.
La madre notò la sua risata e non riuscì a trattenere la domanda «Ti piace?»
Courtney spalancò gli occhi. «Chi? Duncan? No, nemmeno per idea! Non mi potrebbe mai piacere un tipo del genere! Sono completamente diversa da lui! E poi è così stupido, ed è un ripetente! E’ un don giovanni, non potrei mai stare con uno del genere! Lo odio, poi. E’ solo un mio amico, nulla di più, nulla di meno.»
«E perché passi il tempo con lui?» la madre sorrise, pensando che la figlia stesse mentendo.
«Perché è simpatico. Tutto qui. E poi sono costretta, dato un patto che abbiamo fatto.»
«Però hai accettato di stare a casa sua.»
«Te l’ho detto, sono stata costretta!»
«Va bene, va bene, scusa, non arrabbiarti.» sorrise nuovamente e la baciò sulla guancia, mentre si udiva il rumore della serratura che veniva aperta.

***

Mineko aveva accolto calorosamente Alejandro, quasi non notando la propria figlia.
Invitò il ragazzo a sedersi in cucina, accanto a lei, a sorseggiare il caffè con lei e a parlare.
Heather non aveva voglia di parlare. Anzi, sì, ne aveva voglia, ma non con sua madre, piuttosto con qualcuno che la capisse, che le potesse dare dei consigli. Magari una persona come Courtney!
Salì nella sua vecchia camera – che però lo era ancora – e dalle tasche estrasse il suo iPod.
Se lo mise nelle orecchie e alzò la musica degli Evanescence a volume alto, più alto che poteva e si mise sotto le coperte. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla musica, com’era abituata a fare un tempo.

«E Heather come va a scuola? Continua ad andare bene?» chiese gentilmente la madre di Heather al ragazzo. Le era particolarmente simpatico e voleva che stesse particolarmente simpatico anche alla figlia, ma lei era così orgogliosa dopo ciò che era successo. Per il momento, si teneva Alejandro ben stretto.
«E’ un’ottima studentessa, non vi preoccupate, qualche volta aiuta anche me con i compiti. Riguardo all’ambito scolastico non c’è nulla da criticare, però… è strana. Non capisco, io mi comporto bene con lei ma lei continua ad essere acida.» Dal canto suo, anche Alejandro voleva tenersi ben stretto Mineko, in modo che qualche volta lo aiutasse con Heather. Contemporaneamente, voleva davvero sapere perché lei lo trattasse sempre male.
«In realtà, tratta così tutti i ragazzi dalle medie…»
«Dalle medie? Perché proprio dalle medie?»
La madre esitò un po’ guardando il tavolo, poi guardò lui. «Si può fidare di me.» sussurrò lui, e lei cominciò a parlare.
«Bè, niente, alle medie si era fidanzata ma lui la tradì. Tutto qui. Le diceva che non era abbastanza bella…»
«Ah, sì, me l’ha già raccontato.» il ragazzo si ricordò di ciò che era successo alla festa, quando le aveva detto che non era abbastanza bella e lei era scoppiata in lacrime tra le sue braccia. «Posso sapere come si chiama questo ragazzo?»
«P-perché ti interessa saperlo?»
«Giusto per curiosità. Di sicuro non lo conoscerò, mi sono trasferito qui solo due anni fa.» mentì. Se voleva “parlare” con quel ragazzo doveva dire di non conoscerlo, e invece in quella città conosceva tutti.
«Per quanto mi ricordi, si chiama Mark. Mark Johnson.»
E infatti, lo conosceva molto bene.
«P-però non lo dire a nessuno. Lei non ha mai voluto parlarne con qualcuno, solo con me. Certo, ne ha parlato con Courtney, ma neanche lei sa chi sia questo ragazzo.»
«Non si preoccupi, non lo dirò a nessuno, il vostro segreto è al sicuro con me. Non dirò nulla nemmeno ad Heather» le sorrise, e la donna ricambiò il sorriso, pensando che Alejandro sarebbe stato un ottimo fidanzato per la figlia.
Passarono una decina di minuti. Alejandro e Mineko continuarono a parlare del più e del meno: dei loro gusti musicali, quelli letterari e anche quelli culinari. Poi Alejandro si accorse dell’assenza di Heather e, scusandosi con la madre, si diresse alla sua camera.
E, infatti, Heather era proprio lì, sotto le coperte. Alejandro la chiamò ma lei non rispose. Pensava si fosse addormentata e si avvicinò al letto, costatando che stava semplicemente ascoltando la musica. Si mise in ginocchio accanto al letto e le levò una cuffia da un orecchio e lei aprì gli occhi. Si girò verso di lui e chiese scortesemente «Che cosa vuoi?»
«Volevo solo vedere cosa stavi facendo. Mi stavo preoccupando.»
«Perché dovresti preoccuparti per me?»
«Io mi preoccupo sempre delle persone che amo.»
Heather spalancò gli occhi e le guance le si imporporarono, ma non lo diede a vedere girandosi verso l’altro lato, dando al ragazzo le spalle.
Alejandro fece il giro del letto e si mise steso sulle coperte alla sinistra della ragazza, prendendo la cuffia che le aveva tolto e mettendosela in un orecchio.
«Mi fa schifo.» lo insultò Heather riferendosi alla cuffia nel suo orecchio. Lui non la sentì quasi e commentò la musica che stava ascoltando.
«Non sapevo che ascoltassi questo genere di musica.»
«Non sai molte cose di me.»
«Hai voglia di raccontarmele?»
Heather lo guardò dritto negli occhi e sospirò, bisbigliando un misero «Se proprio devo.»












Angolo dell'Autrice.
Ciauu! Pensavate di essermi liberati di me, vero? Bè, non è così! *si sentono i lettori che dicono 'noo, mannaggia al demonio(?)*
Allora, questo capitolo è servito per raccontare la storia di Drew e Carla, un po' in generale. Vi state chiedendo se si incontreranno prima o poi? *NO -cit. lettori* Probabilmente sì!
Questa è la prima parte. Ho visto che era già abbastanza lunghetto così il capitolo e ho deciso di dividerli. Personalmente, odio i capitoli troppo lunghi, quindi...
Vi prego di recensire. Io le recensioni le leggo sempre. Risponderò anche tardi, ma rispondp sempre. (?)
Alla prossima, gemitaiz.

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Capitolo 16
*** Capitolo 14 (Parte II) ***


Courtney e la madre udirono il rumore della serratura che veniva aperta e poi dei leggeri passi avvicinarsi loro.
Sulla soglia della porta del salotto si dipinse una figura slanciata che sorrise nel constatare che la figlia era lì ed era sicuro che era tornata solo per fare pace con lui.
«Ciao, papà.» bisbigliò la figlia, sorridendogli leggermente.
Roberto ricambiò e posò il cappotto su una poltrona lì vicino, mentre si avvicinava al divano sul quale erano sedute sua figlia e sua moglie. Diede un veloce bacio a Carla, che si alzò ed andò in cucina. «Vado a riscaldarti il tè, tu nel frattempo parla con tua figlia, ne avete bisogno.»
L’uomo si sedette al posto della donna e guardò dritto negli occhi la figlia.
«Mamma mi ha raccontato tutto.» fu tutto ciò che lei gli disse e spostò gli occhi sul pavimento.
«Finalmente adesso sai di che genere di uomo è figlio quel Duncan. Ora ti fidi ancora di lui?»
«Non vedo il motivo per il quale non dovrei fidarmi: è stato il padre ad abusare di mamma, non lui!»
«Ma, piccola mia, è suo figlio, è ovvio che sia come lui.»
«Non è detto.» questa volta lo guardò dritto negli occhi mettendo le braccia conserte, sicura di ciò che diceva.
Roberto si rassegnò e sospirò, diede un bacio sulla guancia a Courtney e, una volta alzato e con le spalle rivolte verso di lei, disse «Va bene, ma se ti farà soffrire sappi che io ti avevo avvisato. Ah, ed è inutile che mi chiedi scusa, ti ho già perdonato, ma ora scendi, c’è il punk giù che ti aspetta.»
La ragazza diede un veloce sguardo all’orologio appeso al muro e notò come il tempo era passato velocemente ascoltando la storia della madre.

***

Un’altra faticosa giornata di lavoro era finita finalmente, pensò Roberto uscendo dalla macchina e chiudendo il garage dentro al quale l’aveva parcheggiata.
Sarebbe salito a casa, avrebbe salutato sua moglie e bevuto il suo quotidiano tè pomeridiano, ma diversamente dal solito non avrebbe salutato sua figlia.
Infilò la mano nella tasca dei pantaloni e prese le chiavi; stava per aprire il portone quando notò una figura accanto al citofono di casa. Non ci fece tanto caso all’inizio, ma poi riconobbe la cresta: era quel maledetto punk!
Rimise le chiavi in tasca e si avvicinò al ragazzo che aveva allontanato il dito dal citofono e che probabilmente aveva visto l’uomo. Roberto aprì il cancello e uscì fuori, chiudendoselo alle spalle.
«Cosa ci fai qui?» gli chiese bruscamente.
«Buonasera, eh. Sono venuto a riprendere sua figlia.»
L’uomo avrebbe volentieri preso a schiaffi Duncan, del quale non si ricordava nemmeno il nome, ma evitò per non peggiorare la situazione con Courtney ed anche perché lui era un buon cittadino, e un buon cittadino non avrebbe mai messo le mani su un ragazzo semplicemente viziato.
Roberto non disse nulla e il verde avrebbe preferito che l’avesse insultato, purchè non ci fosse quell’imbarazzante silenzio.
«Bè, allora… potrei citofonare?» chiese quindi titubante.
«No, dobbiamo parlare.»
Oh, cavolo, non si preoccupi, ancora non mi sono fatto sua figlia. Per ora. pensò Duncan, ma evitò di dirlo.
«Non capisco di cosa potremmo parlare, noi due…» si limitò invece a dire.
«Di tuo padre.» Cosa cavolo potrebbe voler sapere su mio padre, questo? «So che non vivi con lui. Come mai?»
«Nessuna ragione in particolare. Mia madre odiava il fatto che suo figlio non fosse intelligente come lei e che avesse brutti voti, quindi mi ha sbattuto fuori di casa, ed io ho accettato la cosa. Odiavo, anzi, odio mio padre.»
E quindi sua madre è diversa da Drew. Drew non è mai andato bene a scuola. Forse avrà stuprato anche lei e poi ricattata. pensò l’uomo scrutando per bene il ragazzo davanti a sé.
«Tua madre… tua madre andava bene a scuola? Mi pare strano che una tipa così possa stare con Drew.»
«Sono sicuro che lei lo odi, ma per qualche ragione continua a vivere con lui. Credo anche che i miei brutti voti non siano il vero, o almeno l’unico motivo per cui mi abbia cacciato di casa. Deve averlo fatto perché non voleva che diventassi come mio padre, e gli ultimi periodi che ho vissuto lì non sono stati i migliori. Ho cominciato a prendere le sue abitudini...» Perché stava raccontando quelle cose ad uno sconosciuto? Solo per avere la sua fiducia e per avere sua figlia? E una volta che l’avrebbe avuta cosa avrebbe fatto? Molte ragazze sarebbero volute essere al posto di Courtney e non avevano nemmeno un padre rompiscatole come il suo. Era tutto inutile, pensava, ma una voce dentro di sé gli diceva di farlo perché gli importava dell’ispanica.
«Tua mamma sembra una brava persona da come me l’hai descritta. Peccato che tu somigli così tanto a Drew.»
«Mia madre è una brava persona. Ed è anche intelligente. E bella. Se non fosse stata mia madre…»
«Non voglio sapere cosa pensi di tua madre, né cosa avresti fatto se non lo fosse stata.» Roberto cominciava a stufarsi di parlare con il ragazzo. Lo stomaco gli brontolava ed era stanchissimo, ma prima di lasciarlo andare gli avrebbe chiesto un’altra cosa.
«David…»
«Mi chiamo Duncan.»
«È uguale. Posso sapere… come si chiama tua madre?»
Il verde esitò. A cosa gli sarebbe servito? Fece spallucce e decise di dirglielo, di certo non sarebbe cambiato qualcosa. «Samantha… Samantha Miller.»
L’uomo sgranò gli occhi. No, non poteva davvero essere lei…
Dallo sguardo curioso del ragazzo dedusse che aveva notato la sua meraviglia e aveva appena aperto la bocca per dire qualcosa - sicuramente per chiedergli del perché del suo stupore - e decise di liquidare la questione. Avrebbe pensato a casa.
«Grazie, Darren, vorrei continuare a parlare con te ma ho davvero fame… buonasera.»
Si girò e camminò a passo spedito verso il portone, sentendo solo Duncan urlare Potrebbe farmi scendere sua figlia, per favore?. Gli avrebbe sinceramente risposto di no, che era sua figlia e quella era la sua casa, ma se voleva sapere di più di sua madre avrebbe dovuto assecondarlo.

***

«Prima ti metti le mie cuffiette nelle orecchie, poi ti sdrai sul mio letto e sotto le mie coperte, e ora vuoi anche sapere qualcosa in più di me. È maleducazione questa, lo sai?» sputò bruscamente Heather, guardandolo dritto negli occhi con una punta di odio.
«Non vedo quale sia il problema. Tu sai così tanto di me, e io così poco di te.» rispose Alejandro sorridendole sensualmente.
Con me non attacca, bello.
«Io non so nulla di te.»
«Oh, ma tu vivi a casa mia. Mangi nella mia cucina, fai i compiti nel mio salotto, ti lavi nel mio bagno, ti sdrai nel mio letto…»
«Non mi pare che ora tu stia ballando la samba. Sei anche tu nel mio letto, adesso, stupido.»
«Ma non ci sto mica dormendo.» L’asiatica gli lanciò una stilettata. Odiava aver torto.
1 a 0 per Alejandro., pensò il messicano.
«Dovresti fidarti di me. Io mi fido di te. Se dovessi raccontare i miei segreti a qualcuno, sceglierei te. Dopo Duncan, ovviamente.»
«Io non mi fido minimamente di te.» Heather si scostò le coperte di dosso e si alzò, mettendosi a gambe incrociate sul letto e non dando sguardo al ragazzo.
«Dovresti, invece. Sono il tuo unico amico maschio.»
«Tu non sei mio amico.»
«Fidanzato, futuro marito, è lo stesso.»
La ragazza scosse la testa. Che imbecille.
«Cosa vorresti sapere di me, sentiamo?» lei si mise a braccia conserte e lo guardò girando la testa. Uno sguardo normale, sincero, non una stilettata.
«Il tuo ex, quel coglione, quello che ti ha tradita… chi era?»
Già lo sapeva, era solo curioso di vedere la reazione dell’altra e voleva sapere se l’avesse risposto.
«Non sono cose che ti riguardano.» rispose bruscamente Heather. Spostò lo sguardo e guardò dritto davanti a sé.
«Oh, invece sì. Potrei sempre fargliela pagare.»
La mora vide Alejandro ghignare dallo specchio. Lei spalancò gli occhi. Lo avrebbe davvero fatto? Non aveva mai pensato ad una vendetta, con il tempo se l’era dimenticato.
«Sentiamo, cosa vorresti fargli?»
«Prima dimmi chi è. Dipende dal tipo di persona.»
Lei sbuffò. Che tipo difficile.
«Mark.» fece un momento di pausa «Mark Johnson.»
Mineko non si sbagliava. Questo vuol dire che si fida di me, almeno in parte.
«Oh, sì, lo conosco. Sai che viene nella nostra scuola, vero?»
Heather si stupì. No, non lo sapeva. Non diede, però, segno di sorpresa e rimane impassibile come prima. Fece solo di no con la testa.
«Veniva in classe con me. Con me e Duncan. Sta nel nostro stesso corso.»
Ecco, qui diede segno di incredulità. Spalancò gli occhi e lo guardò.
«Questo vuol dire…»
«… che è solo a due classi dalla nostra. Oh, davvero, non l’hai mai visto?»
Di nuovo fece cenno di no, con gli occhi grigi sbarrati.
«E… e che cosa pensi di fare? Come vorresti fargliela pagare?» balbettò Heather.
«All’inizio pensavo semplicemente a picchiarlo, ma è un perfetto idiota. Cascherebbe in qualunque piano, anche il più stupido. E io non ho mai piani stupidi.»
Alejandro ghignò di nuovo, e questa volta lo fece anche Heather.
«Forse non sei così imbecille come pensavo.»
2 a 0 per Alejandro.










Dopo due mesi, sono tornata, purtroppo per voi.
Continuerò ad aggiornare, ma credo che alcune volte tarderò, altre no.
Dipenderà, anche perchè ultimamente la cosa che mi importa di più è la lettura!
Però voglio aggiornare spesso in modo che voi non vi scocciate e non perdiate il filo della storia, e ho quindi deciso di scrivere capitoli più corti.
Spero almeno che questo vi sia piaciuto e che recensiate!
Al prossimo capitolo. :)

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Capitolo 17
*** Capitolo 15 (Parte I) ***


Era passata una settimana da quando Courtney ed Heather erano andate a “vivere” a casa dei due ragazzi. Era, appunto, venerdì, e ciò significava che avrebbero dovuto stare con loro solo per un altra settimana, e Courtney avrebbe anche smesso di fare tutto ciò che Duncan le ordinava.
Se ne stava approfittando fin troppo: oltre a doverlo chiamare amore mio o con altri nomi da diabete tipo questo, il punk le aveva ordinato anche di fingersi la sua ragazza con alcuni suoi amici, di “regalargli” dei reggiseni che non usasse molto, di uscire ogni pomeriggio con lui e di stare accanto a lui anche a scuola.
L’unica cosa che le faceva sopportare tutto questo e non rendeva orribile la sua permanenza in quella casa, era Ted. Strano a dirsi, ma aveva un quoziente intelligente pari al doppio di quelli di Alejandro e il verde messi assieme.
Un’altra cosa molto strana, era che Duncan, nonostante tutto ciò che le diceva di fare, non le aveva chiesto ancora una cosa. Forse sapeva che non l’avrebbe mai fatto? Oppure, se davvero costretta, l’avrebbe sul serio baciato? Non che le dispiacesse non farlo, era ovvio, ma le sembrava comunque molto strano.
Molte volte le era capitato di pensare che il punk avesse una ragazza e che lei fosse solo un passatempo, ma ogni pomeriggio lo passava con lei e ogni volta che stavano assieme si dedicava completamente all’ispanica, non si sprecava nemmeno a rispondere alle chiamate e ai messaggi dei suoi amici. Amici, o almeno era quello che diceva lui.

***

Se non fosse stato per il videogioco a cui stava giocando, quella casa sarebbe sembrata una tomba o abbandonata.
C’era uno strano ed inquietante silenzio: Courtney ed Heather erano ognuna nella propria camera e lui aveva deciso di lasciar stare l’asiatica almeno per quel pomeriggio, poiché al ritorno da scuola sembrava davvero molto stanca. In fondo, come biasimarla: non aveva avuto nemmeno un momento di riposo durante quella settimana a causa di tutti gli appuntamenti che aveva avuto con lui, nonostante lei li chiamasse semplicemente “uscite”.
Stranamente, anche Duncan aveva deciso di chiudersi nel salotto e di riposarsi un po’ sul divano. Aveva detto di non sentirsi molto bene ma il messicano non gli aveva creduto: lo conosceva troppo bene. Per questo, una volta in disparte, gli aveva chiesto cosa c’era che non andasse e il punk aveva risposto semplicemente che aveva bisogno di pensare.
Era concentrato a puntare la pistola verso un nemico, quando si sentì picchiettare sulla spalla da qualcuno. Mise in pausa e si girò.
«Cascamuerto, dobbiamo parlare.» aveva un tono deciso e le braccia conserte.
«Dimmi, mi amor, cosa c’è che non va?»
«Stupido, stupido messicano. Avevi detto che l’avremmo fatta pagare a Mark, ma è passata quasi una settimana ormai e io non l’ho nemmeno visto passare davanti alla nostra classe!» stava quasi urlando con tutto il fiato che aveva in gola.
«Oh, ma allora è solo questo!» si rigirò verso l’xbox e la spense, alzandosi poi dal divano. «Tu hai già un’idea?»
Heather alzò un sopracciglio. «Avevi detto che già sapevi cosa fare.»
Spalancò le braccia come per dire Certo che ho un’idea, con chi credi di parlare? «Infatti, ma pensavo che volessi metterci qualcosa di tuo.»
«L’importante è che lo umili, non mi interessa altro.» detto questo svanì nella sua camera.

***

Duncan passeggiava da circa mezz’ora con le mani nelle tasche senza seguire un percorso preciso. Gli parve di essere passato per quel vicolo già una volta, o forse due, ma non sapeva sul serio dove andare.
Aveva scavalcato la finestra che si affacciava dal salotto al giardino di casa ed era riuscito con molta facilità ad arrampicarsi ad un albero e ad arrivare a terra con un semplice ma agile salto. Sarebbe stato molto più facile attraversare la cucina ed uscire dalla porta principale ma non se la sentiva di incontrare Alejandro e di spiegargli dove stesse andando, poiché nemmeno lui lo sapeva.
Voleva starsene un po’ in tranquillità, da solo e pensare, e pensare con un vento fresco che gli scompigliava i capelli verdi era stupendo.
«Posso sapere… come si chiama tua madre?»
«Samantha… Samantha Miller.»
Roberto sgranò gli occhi. Aveva un espressione strana: preoccupata, dubbiosa, meravigliata, non riusciva a definirla.
Stava per chiedergli cosa ci fosse che non andasse, ma era troppo tardi. Lui l’aveva già salutato e si era chiuso il cancello alle spalle.

Quel ricordo gli tornava in mente in ogni momento. Perché aveva fatto quella faccia? Conosceva sua madre?
Cercò di eliminare quel pensiero dalla sua testa, ma se non ricordava quello, ricordava altri momenti e discorsi strani tra i suoi genitori.


Un ragazzo di quattordici anni sedeva scomodo su una poltrona quasi distrutta. Stava nel salone di casa sua e tamburellava ansiosamente le dita sul tavolo davanti a sé. Aveva gli occhi circondati dalle occhiaie ed era così stanco che non riusciva nemmeno a scuotere la testa per spostare il ciuffo di capelli corvini che gli ricadeva davanti agli occhi azzurri.
Non riusciva a ricordare un momento in cui i suoi genitori non avessero litigato. Qualsiasi cosa era un motivo per bisticciare: dei piatti che cadono, una multa, una bolletta, l’aver dimenticato un anniversario – nonostante la madre non trovasse molto importanti queste date –, ma soprattutto loro figlio. Un brutto voto a scuola, una sospensione, qualche giorno di riformatorio e loro si urlavano insulti di tutti i tipi.
Quel giorno, il motivo era un ennesima chiamata del preside. Tutti i prof sapevano che sua madre ci teneva molto alla scuola ed utilizzavano quella cosa a loro vantaggio. Ogni volta però Samantha si limitava solo a fargli una piccola ramanzina e se la prendeva seriamente con Drew.
«Stronzo!» stava urlando in quel momento sua madre «Sai bene che è solo colpa tua se tuo figlio si comporta in quel modo! Ogni ragazzo ha come punto di riferimento il proprio padre, e lui si comporta come un criminale, come te! Quand’è che cominci a prenderti le tue responsabilità, a lavorare?! Vuoi che tuo figlio abbia una vita di merda come la tua?!»
«Non chiamarmi stronzo, puttana!» aveva gridato in risposta il padre «Se vuoi che diventi un bravo cittadino come lui, portaglielo a casa, chiamalo!» a quel punto aveva cercato di abbassare la voce, ma Duncan era riuscito comunque ad udire «Il tuo problema è che non hai le palle di dirgli di suo figlio! Hai paura che ti sbatta la porta in faccia, vero? Hai paura che ti mandi a quel paese perché ora lui ha un’altra, una migliore di te!»
«Basta!» tuonò Samantha «È inutile parlare con te! Se non vuoi cambiare la tua vita, allora sarà Duncan a cambiare la sua!»
A quel punto la porta della cucina si spalancò e rivelò un caos totale: posate sparpagliate ovunque, piatti e altre ceramiche distrutti in mille pezzi, le uniche due sedie che erano rimaste senza gambe e il vetro della finestra distrutto.
Sulla soglia c’era la madre furiosa con il volto completamente rosso. Singhiozzava e aveva quel poco di matita che si era messa colata, e a Duncan parve anche che tremasse.
«Duncan,» gli aveva detto, cercando di essere il più dolce possibile «vattene. Non è un vero e proprio ordine, ma un consiglio. Vattene da questa casa. Vai da un tuo amico, da Alejandro, ma è meglio per te che lasci questa casa.»



Era da due anni che il punk si chiedesse cosa volesse dire Drew. Molte volte discutevano e il padre metteva in mezzo un uomo ma lui non sapeva chi fosse. Non aveva nemmeno sentito una volta il suo nome pronunciato dal papà. Gli nascondevano sicuramente qualcosa e spesso chiedeva ai suoi genitori di chi parlassero durante il litigio, ma loro facevano finta di niente e continuavano a parlare tra di loro, non dando affatto peso alle parole di Duncan.
Distolse l’attenzione dai suoi pensieri e guardò attorno a sé. Era la prima volta che si trovava in quel posto. Era un luogo tranquillo, molto tranquillo, troppo tranquillo per quella città. In fondo alla strada c’era un piccolo bar con qualche tavolo e sedia fuori, qualche casa e un supermercato. A sinistra c’era un recinto che circondava un grande giardino nel quale c’erano fiori di tutti i tipi e colori che vivacizzavano la strada scura e deserta. Dalla parte opposta, invece, c’era un piccolo negozietto. Gli si avvicinò e sull’insegna riuscì a leggere hairdresser.
«Dovresti toglierti quella cresta verde. Secondo me, senza quella, saresti… saresti più carino.»

***

Una donna sui quarant’anni era in bagno, con la porta chiusa a chiave. Si sciacquò un ennesima volta il viso e chiuse il lavandino. Senza nemmeno asciugarsi, si guardò allo specchio.
Era stupenda. Nonostante qualche ruga e il trucco colato, rimaneva ugualmente bellissima. I capelli mossi biondi le incorniciavano il volto e ricadevano gentilmente sulle sue spalle. Qualche ciuffo ribelle le nascondevano gli occhi, ma per il loro colore azzurro acceso erano comunque visibili. La grande bocca le tremava, come il resto del corpo. Quante volte quell’uomo l’aveva fatta tremare di paura, di rabbia, di pentimento. Persino la prima volta che l’aveva incontrato, l’aveva fatta tremare.


L’uomo la sbatté contro il comò della camera da letto. La teneva stretta per la vita e le leccava e baciava il collo, lasciandole sfuggire qualche gemito. Amava quando le donne non riuscivano a trattenersi, quando si eccitavano e non riuscivano a non urlare. La prese per le gambe e la sollevò, poggiandola sul marmo del comò. Al tocco della superficie fredda, la ragazza ebbe un brivido lungo la schiena. Gli poggiò le mani sul petto e cercò di allontanarlo, ma la presa di Drew era troppo forte.
«N-no, Drew… non possiamo, sono incinta…» sussurrò, cercando ancora invano di farlo staccare dal suo corpo.
«Qual è il problema? Possiamo farlo ugualmente.»
«M-ma non voglio…» bisbigliò l’altra non molto convinta, con un tono così flebile che il ragazzo non la sentì. In realtà, non era sicura che volesse che la sentisse: sapeva che le avrebbe potuto fare del male, non solo a se stessa, ma anche a suo figlio.

La bionda aprì gli occhi. Scostò le coperte e si levò dal letto. Raccolse i suoi vestiti che erano su tutto il pavimento e si infilò il reggiseno.
«Principessa, dove credi di andare?»
Sussultò. Si girò, tremando. «M-mi stavo solo vestendo.»
«Puttana.» sputò Drew, guardandola con gli occhi socchiusi per la rabbia «Stavi andando da lui, vero?» si alzò dal letto e le si avvicinò «Vuoi capire che non ti vuole? Lui è felice, senza di te. Non gli importerà un corno di tuo- vostro figlio. Sempre che ti creda.»
«Bugiardo!» urlò, continuando a tremare e ad arretrare, finendo a sbattere contro il muro «Lui mi crederà. Mi crederà e lascerà quella stronza per me, perché lui mi ama. E se non lo farà perché non mi ama, lo farà perché ama suo figlio!»
«Sai meglio di me che non è così.» fece un ultimo passo e si ritrovò di fronte a lei. Posizionò la sua fronte su quella della ragazza, facendo unire i loro respiri e udendo i suoi singhiozzi «Lui è uno stronzo, e tu sei una troia. Questo è tutto, è chiaro?»
Lei annuì con poca decisione e Drew gli sferrò uno schiaffo fortissimo, facendola sbattere a terra. Cominciò a toccarla poco delicatamente, mentre le lacrime le rigavano il volto come schegge di vetro.



Sentì il campanello suonare.
Non era sicuramente Drew, poiché avevano appena litigato e lui se n’era andato sbattendo la porta e il suo orgoglio gli impediva di tornare dopo una mezzora.
Prese l’asciugamano e se la passò sulla faccia, poi attraversò il bagno e il salone ed arrivò alla porta principale. La spalancò e sulla soglia apparve una figura slanciata. Sgranò gli occhi: era lui. Era davvero lui. Stava sognando? Era un incubo? Dopo il litigio con Drew aveva perso i sensi?
«R-Roberto…» fu tutto quello che riuscì a dire, in un sussurro.
«Samantha, quanto tempo.» Roberto gli sorrise. Da quanto tempo non vedeva il suo sorriso. Un sorriso che, anche a distanza di anni, era rimasto ugualmente stupendo e rimaneva, per lei, il sorriso più bello che avesse mai visto.

***

Prese le chiavi ed aprì la porta. Cazzo, pensò, mi sono dimenticato che dovevo entrare dalla finestra.
«Dove cavolo sei stato?» disse il messicano, disteso sul divano a guardare la TV. «Pensavo stessi nel salone.»
«Calma donna di casa! Sono andato a fare un giro. Nessun posto in particolare.»
Alejandro guardò con la coda dell’occhio i capelli di Duncan. «Che ti sei fatto?»
«Niente. Volevo cambiare.» si sedette su una poltrona lì vicino.
«Cosa c’è che non va?» il bruno spense la televisione e si sedette normalmente, guardandolo. «Sei strano ultimamente.»
«Non sono strano, ma stanco.»
«Sei pensieroso. A cosa pensi?»
«A Courtney.» pronunciò quelle parole senza nemmeno rifletterci. Non stava sul serio pensando a lei, o almeno non completamente. Lei è comunque al centro dei miei pensieri, pensò. Adesso dico anche frasi sdolcinate. Che schifo.
«E perché? Non mi pare che abbiate litigato.»
«Appunto. È tutto troppo tranquillo, e a me la tranquillità non piace.»
«Sei tu che non la infastidisci come prima.»
Il punk sbuffò. «Piuttosto, mi sembra che tu ed Heather nascondiate qualcosa.»
«Oh, nulla di che.» fece spallucce «Mi ha detto solo che devo farla pagare al suo ex, ma non so per certo su come farlo.»
«Chi è il suo ex?»
«Mark Johnson.»
Il moro guardò il messicano. «Potrei aiutarti. Anch’io devo fargliela pagare.»
Alejandro alzò le sopracciglia «Perché?»
«Era l’accompagnatore di Courtney alla visita della scuola e ci ha provato con lei. Te l’ho raccontato, non ricordi?»
«Mh, ora che mi ci fai pensare… no, non ricordo.»
Duncan rise. «Coglione.»
«Piuttosto, vai da Courtney.» il punk annuì e si diresse verso la stanza dell’ispanica.

***

«Bella addormentata, stai ancora dormendo? Aspetti il bacio del principe?» disse lentamente aprendo la porta della camera. In risposta ricevette un lieve mugolio.
«Lo devo prendere per un sì?»
«Lo devi prendere per un non rompere Courtney si girò nel letto, mettendo in mostra il suo viso. La maggior parte delle coperte era a terra. «Che vuoi?»
«Te.» di nuovo, aveva parlato senza pensare. Si avvicinò al letto e ci si sedette sopra, guardando la ragazza. «Tu mi vuoi?»
«Sì, voglio che te ne vada.»
«Stavi dormendo?»
Lei annuì e lo guardò. Maledetti occhi., pensò, notando come fossero belli e profondi. Il suo sguardo andò più in su. «Che hai fatto ai capelli?!»
«Ho tagliato la cresta. Hai detto tu che sarei stato più carino. Lo sono, vero?» fece gli occhi da cucciolo e Courtney rise.
«Sì, stai meglio.»
«Principessa, conosci l’ex di Heather?»
L’ispanica lo guardò con uno sguardo dubbioso. «Che centra?»
«Ti ricordi come si chiama? O almeno ricordi il suo aspetto?»
«No, non ricordo nulla. Perché?»
«Oh, bè… ricordi Mark, quello che ti ha accompagnato per la scuola la scorsa settimana?» la ragazza annuì «Bè, è lui il suo ex.»
«Cosa?!» urlò l’altra, alzandosi dal letto e guardandolo con gli occhi spalancati, mantenendosi con le mani sul materasso «Non ci credo!»
«Credici, perché è vero.»
«Non me ne ero proprio accorta! Che stupida che sono stata!»
Si alzò e si avvicinò al grande balcone che dava sul giardino. I deboli raggi del sole pomeridiano entravano attraverso il vetro e illuminavano la figura di Courtney. Duncan rimase a fissarla per un po’, mentre nessuno dei due proferiva parola. Lui si alzò e le si avvicinò molto lentamente, tanto che lei non lo sentì. Le cinse la vita da dietro e lei non lo allontanò, così la fece girare verso di sé e le prese il mento tra il pollice e l’indice.
«Ti ho mai detto che adoro le ragazze stupide?»
Al punk parve di scorgere un sorriso sul volto della ragazza per un nanosecondo. L’avvicinò ancora di più e le posò la sua bocca sulle sua labbra, dolcemente. Notando che Courtney non opponeva resistenza, approfondì il bacio. Si fece spazio nella sua bocca con la lingua e la unì con quella dell’ispanica. Continuò a muoversi dentro di essa delicatamente, mentre lei si aggrappava ai suoi capelli. Poi lei si staccò.
«Ti… ti odio.» fu quello che disse, ma nei suoi occhi riusciva a capire che ciò che pensava era tutto il contrario.










Uffa! Questo capitolo mi piace abbastanza, ma odio il fatto di aver messo poca Aleheather, anzi, nulla!
Ho le idee ben organizzate e quindi già ho pronti i capitoli nella mia mente, dovrò solo metterli nero su bianco.
Qualcuno di voi ha già capito qualcosa tra Roberto, Samantha e Drew? :)
Un'altra cosa che odio è il fatto che mi sembra di aver centrato troppo su loro tre, e poco sulle coppie, però questo è fondamentale per lo sviluppo della storia.
Nel prossimo capitolo metterò più AxH, o almeno cercherò, e vedrò anche cosa potrò fare per mettere qualche flashback sui loro appuntamenti dei giorni precedenti.
La mia promessa di aggiornare più velocemente l'ho mantenuta, ora vorrei che foste voi a recensire! u.u
Alla prossima, malec. (sì, ho cambiato di nuovo il nick!)

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Capitolo 18
*** Capitolo 15 (Parte II) ***


«Posso entrare?» chiese gentilmente Roberto, notando come Samantha se ne stava lì impalata a fissarlo come se fosse un angelo sceso dal cielo. Annuì debolmente e si scostò per lasciarlo passare. C’era un vero e proprio caos in quella casa: vestiti sparsi per terra, cocci di vetro e di ceramica distrutti che appartenevano probabilmente a piatti e vasi, la stoffa dei due divani che stavano nel salotto quasi inesistente e persino la televisione stava a terra con lo schermo rivolto all’insù, e per fortuna quello sembrava rimasto intatto.
Strano per una donna come lei.
«Scusa per il disordine.» bisbigliò la donna alle sue spalle, chiudendo la porta a chiave.
«Nessun problema.» l’uomo si girò e la guardò dritto negli occhi, sorridendole. Sam, come si faceva chiamare quando erano fidanzati, arrossì leggermente e spostò i suoi occhi. «Ho saputo che ti sei sposata. Con Drew.»
Lei lo fissò incredula, annuendo appena. «C-Chi te l’ha detto?»
«Tuo figlio.»
«Duncan? Come lo conosci?»
«È un amico di mia figlia.» sottolineò la parola amico, come per dire che non sarebbe potuto essere altro.
«Oh, quindi hai avuto una figlia con…» deglutì «con Carla.»
Lei si allontanò ed andò in cucina, cominciando a preparare il caffè. Con le spalle verso di lui, cominciò a parlargli con un tono di voce più serio. «Posso sapere il perché di questa tua visita?»
Anche lui entrò in cucina e si sedette davanti al tavolo, su una sedia traballante che, come notò in seguito, aveva una gamba attaccata con lo scotch. «Voglio parlare di Duncan. Quando ho saputo che era figlio di Drew non mi sono fidato, poi mi ha detto che tu eri sua madre e mi sono meravigliato. Pensavo fossi andata via da questa città.»
«Non ho potuto. Drew non me l’ha permesso.» mise la macchinetta del caffè sul fuoco e aspettò che fosse pronto. «Quando si è lasciato con Carla è andato su tutte le furie. Strano a dirsi, ma lui l’amava sul serio e non era capace di prendersela con lei, e nemmeno con te, perché sapeva che facendolo avrebbe peggiorato solo la situazione con la donna che amava, e quindi…»
«E quindi se l’è presa con te?» la interruppe Roberto, e lei fece di sì con la testa «Ma è una cosa assurda e senza senso! Perché non sei venuta a raccontarmelo?»
«A cosa sarebbe servito? Tu saresti venuto? Stavi con Carla ed eri così felice con lei, non volevo rovinarti la vita, non ancora. E poi, mi avresti creduto, o avresti pensato che fosse soltanto una scusa?»
Lui ci pensò sopra. È vero, probabilmente avrebbe immaginato che fosse soltanto una scusa allora, e in quel momento si stava odiando. Non disse nulla.
«Visto? Ho fatto bene a non dirti niente.» Samantha si girò per spegnere il fuoco e prendere la macchinetta e versò il liquido amaro in due tazze, poi ne porse una a Roberto. «E quindi, vuoi parlare di Duncan. Cosa vuoi sapere?»
«Perché non vive più con voi?»
Sam si portò la tazzina alla bocca e bevve un po’ di caffè. «Diciamo che l’ho cacciato io via di casa, ma non perché fossi arrabbiata con lui. Non volevo che prendesse le sembianze di Drew, e a quattordici anni è andato a vivere da un suo amico. Credo che viva ancora con lui, e…»
L’ispanico la interruppe. «No, ora vive in una casa tutta sua con quel suo amico, Alex o una cosa del genere.»
«Alejandro.» lo corresse lei.
«Sì, esatto.»
«Roberto, ti ricordi di Carmen e Miguel?»
Lui annuì, mentre un sacco di ricordi gli tornavano alla mente. «Sì, ma non capisco cosa centri quest…»
«Alejandro. È loro figlio.»

***

«Quante volte devo dirti di non mettere le mani nei miei reggiseni?» tuonò la ragazza con le braccia incrociate e gli occhi socchiusi.
«Oh, mi amor…» tentò di giustificarsi l’altro, non trovando in realtà una vera e propria scusa.
«E smettila di chiamarmi mi amor, mi fai venire il voltastomaco!»
«Non è quello che hai detto ieri sera.» disse Alejandro in modo sensuale, ghignando. Heather divenne rossa per l’imbarazzo e per la rabbia.
«Ero ubriaca, stupido.» bisbigliò, con un tono poco convinto.


Il messicano si rigirava la bottiglia di vino rosso nella mano destra, mentre con la sinistra si teneva il capo da sotto il mento, fissando la ragazza davanti a sé che aveva un leggero rossore sulle gote. Stava bevendo quell’alcool da una mezzoretta e singhiozzava, ma Alejandro sapeva che non era sul serio ubriaca. Aveva fatto ubriacare una miriade di ragazze per portarle a letto e sapeva subito riconoscerne una che fingeva, decise però di continuare ad osservare Heather e vedere per quanto ancora avrebbe recitato.
«Ne vuoi un altro po’, querida sussurrò, senza nemmeno ascoltare la risposta dell’altra e versando dell’altro vino nel bicchiere che la ragazza aveva finalmente poggiato sul tavolo, che riprese dopo altri tre secondi.
Il ragazzo girò il capo e osservò il paesaggio dalla finestra. Quello era un posto incredibilmente alto a cui non vi aveva portato mai nessuna, poiché nessuna era tanto difficile e respingeva i suoi flirt come l’asiatica. Aveva prenotato da quasi una settimana quel posto al ristorante solo per far colpo su di lei e aveva quasi costretto la ragazza a quell’appuntamento. Era un luogo molto costoso e tutti invidiavano coloro che potevano permetterselo. In quella sala c’erano solo loro e i musicisti che suonavano violini, flauti, chitarre e tanto altro un po’ più lontano da loro. La stanza era illuminata da un grandissimo lampadario di pietre che lui non riconobbe, ma sicuramente di molto valore. Il tutto era associato a delle leccornie che nessuno avrebbe rifiutato.
«Sigh, dammene un altro po’.» disse la giapponese avvicinandogli il bicchiere. Alejandro fece di no con la testa e, se non fosse stato per quella situazione, avrebbe riso dell’espressione delusa della ragazza.
«È meglio tornare a casa, sei ubriaca fradicia.» mentì, volendo stare al gioco di lei.
La prese per una mano e fu sollevato nel constatare che non si allontanò. Andarono alla cassa e lui pagò. Scesero il grande edificio con l’ascensore senza dire nulla ed uscirono, tornarono alla macchina e si recarono a casa.
Sarebbero stati da soli un altro po’, con la sola compagnia di Ted che dormiva nel salotto perché Duncan e Courtney erano andati al cinema. O ad un bar. O ad un ristornate. Bè, in quel momento non era importante. Egli gettò il suo giubbino sul divano con nonchalance, mentre Heather camminava verso la cucina barcollando con ancora il cappotto addosso. Alejandro fu più veloce e la raggiunse, prendendola da dietro per la vita e la girò verso di lui. Nonostante lei fingesse di essere ubriaca, non riuscì a nascondere il suo arrossamento, ma resse il suo sguardo.
«Quando ci vendichiamo di Mark?» balbettò, avviluppando il collo del ragazzo con le sue minute braccia.
«Sst, mi amor, non rovinare questo bel momento con le parole.» le rispose il messicano con un sussurro, causando un brivido lungo la schiena di Heather.
«Amo quando mi chiami in quel modo.» bisbigliò lei, poggiando le sue mani sulle sue guance. Alzandosi sulle punte gli si avvicinò e posò le sue labbra su quelle del ragazzo. Lui ne fu piacevolmente sorpreso, e visto che c’era approfondì il bacio con la lingua, rendendolo più appassionante e violento.



«Heather, sappiamo entrambi che stavi facendo finta. E io che pensavo che fossi una stratega più abile e che sapessi recitare meglio! Mi hai deluso un po’.» avanzò verso di lei pensando che avrebbe indietreggiato, mentre rimase impassibile come prima e continuò a reggere il suo sguardo.
«Non stavo facendo finta! Come avrei potuto, dopo una ventina di bicchieri?» tuonò, accigliata e forse anche un po’ offesa. Offesa per cosa, per averle detto che non sapeva recitare?
«A quanto pare reggi l’alcool molto bene. E non sentirti indignata se ti ho detto che non sai simulare un’ubriacatura, forse sono io che le riconosco troppo bene. In fondo, ne ho viste tante di ragazze ubriache.»
«Non mi interessa di quante ragazze ubriache hai visto! Sappi che io non stavo fingendo, e tu te ne sei approfittato per baciarmi. N-non si fa!» disse quasi gridando.
«Heather, quando si è ubriachi non si ricorda niente, e io non ti ho mai detto di averti baciato.»
La ragazza non rispose. Lo guardò sgranando gli occhi, mentre un ghigno si allargava sul volto del messicano.
3 a 0 per Alejandro, pensò, soddisfatto.

***

«Non mi pare che tu mi odi così tanto. Se mi odiassi ti saresti staccata da me, prima.»
I suoi occhi acquamarina guizzarono in quelli neri della ragazza. Stranamente non ghignò.
«Volevo renderti felice.»
Ma che cavolo di scusa è? Che stupida che sono!
«Tu già mi rendi felice.» le si avvicinò. Perché Courtney stava tremando? «Hai freddo?»
«No.» sputò lei «Senti, Duncan…» lui alzò un sopracciglio per farla correggere «Senti, tesoro, quando sei venuto a prendermi a casa domenica,» fece un momento di pausa «mio padre che ti ha detto?»
Il punk non se l’aspettava. Non sapeva come risponderle. Non poteva raccontarle di sua madre e dei suoi ricordi. Decise di darle una risposta vaga.
«Nulla di che. Mi ha raccomandato di non toccarti e di trattarti bene. Io l’ho assecondato e gli ho chiesto di farti scendere.» sorrise.
Faceva uno strano effetto vederlo senza cresta, con dei ciuffi neri che gli ricadevano davanti agli occhi, ma a Courtney piaceva.
«Courtney.» la chiamò il ragazzo, che prima di parlare deglutì «I tuoi genitori hanno mai litigato per una donna?»
Lei lo guardò sorpresa. «Perché lo vuoi sapere?»
«Per curiosità. Per capire se solo i miei litigavano per altre donne.» rise, ma l’ispanica capì che era una risata finta. Decise di rispondere alla sua domanda per fargli avere la mente altrove.


Courtney stava maledicendo la sua natura femminile e quell’odioso ciclo. Stava camminando avanti e indietro per la camera cercando di pensare ad altro e non al mal di pancia.
Non posso avere mal di pancia già al secondo giorno, è troppo presto!
E invece ce l’aveva, ed anche molto forte. Lanciò uno sguardo ai suoi libri e quaderni aperti sulla scrivania. Il giorno successivo sarebbe stata interrogata in storia ed essendo l’ultimo anno di scuola media voleva avere voti altissimi, lasciando i professori con un ricordo positivo di lei. A causa del dolore però non riusciva a concentrarsi e, infatti, fino ad allora, aveva imparato a malapena una decina di righi.
Si arrese e corse giù per le scale, andando verso la cucina per prendere un antidolorifico. Si fermò un paio di passi prima della porta e udì la voce di sua madre.
«Sul serio, Roberto,» stava dicendo con tranquillità, ma chi la conosceva bene sapeva che c’era una punta di rabbia nelle sue parole «pensi sul serio che io lo senta ancora? Non lo vedo da anni e non so nemmeno se abiti in questa città. Non so nemmeno se stia in carcere o se sia ancora vivo!»
«Bè, te lo dico io. Stava in carcere ed è uscito una settimana fa ed è tornato a casa sua. Vive in questa città.» rispose suo padre. Courtney socchiuse la porta e lo vide alzato, poggiato al bancone della cucina con le braccia congiunte «Ho paura che ti rintracci e ti faccia qualcosa…»
«Roberto, non preoccuparti.» l’adolescente udì il rumore di una sedia che sfrega contro il pavimento e capì che sua madre si era alzata «Non mi ha cercato per anni, perché dovrebbe farlo proprio adesso?»
«Perché è uno psicopatico e perché è appena uscito dal carcere. E perché fino ad adesso pensavo fosse morto, o almeno speravo.»
«Non sono cose da dire, tesoro.» nella visuale della ragazza comparve anche lei «Piuttosto, io mi informerei su Samantha. Non credo che Drew mi abbia mai amato, ma Sam… lei ti amava sul serio.»
«Anche se mi trovasse e cercasse di farmi rimettere con lei, non ci riuscirebbe. Io amo solo te… e mia figlia.»
Roberto le sorrise e Carla ricambiò. Lei lo abbracciò ed infine si unirono in un dolce bacio.



La spagnola annuì. «Sì, ricordo che qualche volta nominavano un uomo e una donna, ma non hanno mai litigato a causa di questo.»
Una luce guizzò negli occhi di Duncan per un secondo, come se avesse avuto un’illuminazione. «Ricordi i nomi di questi due?»
Courtney fece di no con la testa. «Mi ricordo di lei. Una certa Sam.»
«Sam? Hanno detto solo Sam o Samantha?»
«Samantha, ora che mi ci fai pensare. Ma tu come lo sa…»
Con una velocità quasi fulminea, il ragazzo le si avvicinò e l’ispanica si ritrovò la sua bocca sulla sua fronte, poi si staccò. «Grazie, Courtney, mi sei stata molto d’aiuto.»
Lei però non poté replicare perché Duncan se n’era già andato, lasciando la ragazza con un dito a mezz’aria.

***

Roberto aveva fatto vacillare la tazza tra le sue mani, rischiando di farsi cadere il caffè addosso. Riacquistò lucidità e tornò a tenere salde le dita attorno alla tazzina.
«Mi sembra ironico. Non avrei mai pensato che i nostri figli potessero incontrarsi ed andare nella stessa classe.» Samantha capì che aveva riso dal tremito del suo petto, ma sul suo viso l’espressione rimase impassibile.
«In realtà Drew ha organizzato tutto questo.»
L’ispanico la guardò con la fronte corrugata «Come?»
«Alejandro e Duncan erano buoni amici già alle scuole medie. Alejandro era bravo a scuola, quasi uno studente modello, e capitava che facesse studiare anche mio figlio qualche volta, riuscendo così a farlo promuovere. Drew non parlava mai di te e di Carla ma sapevo che cercava un modo per incontrarvi o almeno avvicinarvisi. Solo adesso ho capito qual è stato il suo piano. Prima dell’inizio delle scuole superiori, portò Alejandro sulla cattiva strada con donne e droga e roba simile. Ovviamente, lui influenzò anche Duncan e ha trascinato entrambi ad un cattiva condotta scolastica e non solo, e sono stati bocciati. Sai che Drew è sempre andato a puttane, e sai che intendo letteralmente. La preside della scuola lo è abbastanza e tra un flirt e l’altro l’ha portata a letto. Io lo sapevo ma non replicavo, non me ne importava molto. Un giorno lo sentii a telefono con lei e stetti ad ascoltare: le chiese di far andare due ragazze nel corso B, cioè quello di Duncan e Alejandro.» rimase il discorso in sospeso ma Roberto aveva già capito tutto. Si trattava di sua figlia ed Heather. Durante l’intero discorso – che Samantha aveva pronunciato quasi con un unico fiato – l’aveva fissata ed annuito, come fa un ragazzo con la sua professoressa nonostante non capisca nulla. Invece lui aveva capito. Il caffè tra le sue mani si era fatto ormai freddo e decise solo in quel momento di berlo, e lo fece con unico sorso. Sebbene avesse la stessa espressione di sempre, i suoi lineamenti erano più duri e marcati, segno della sua agitazione.
«Questo significa che conosce mia figlia? E conosce anche Heather… e sa anche dove abitiamo!» urlò la sua ultima frase sbattendo le mani sul piano del tavolo.
«È probabile, ma non credo che voglia agire direttamente. Piuttosto penso che voglia farlo attraverso Duncan.»
«Bastardo! Come può usare suo figlio a questo scopo?!»
«Oh, ma lui non usa suo figlio a questo scopo.» Sam lo guardò dritto negli occhi e sorrise. L’uomo lo riconobbe come un sorriso falso e turbato.
«Ma Duncan…» si interruppe, guardandola con la bocca aperta. Sospirò e digrignò i denti. «Vuoi dire che…?»
«Sì» lo precedette «Duncan è tuo figlio.»










Che cosa carina. Mi immagino tutti voi con i forconi in mano pronti ad ammazzarmi! Anch'io lo farei se fossi in voi, in realtà. Però io so come andrà a finire e quali altre sorprese ho in serbo per voi. *ghigna*
Come promesso però, c'è più Aleheather. La storia tra Roberto, Drew, Carla, Sam & Co. riguarda principalmente Duncan e Courtney, ma anche Al ed Heather avranno la propria parte e una storia tutta loro, ma fra due capitoli circa.
Vi faccio gli auguri di Pasqua – in ritardo – e questo è il mio regalo per voi. (?)
Ringrazio chi ha messo la storia tra i preferiti, ricordate o seguite e specialmente chi recensisce :)
Alla prossima, malec.

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Capitolo 19
*** Capitolo 16 ***


Spostò la sua mano verso destra, cercando a tentoni la sveglia. La trovò e la spense. Si spostò le coperte di dosso e si alzò dal letto, scuotendo la ragazza che gli aveva dormito accanto.
«Courtney, faremo tardi a scuola.» la toccava sulla schiena con gli occhi chiusi e assonnati, e cadde poi quando il suo corpo si spostò.
«Per quanto ne sappia, mi chiamo ancora Heather Wilson.» sbottò acida l’asiatica, girando attorno al letto e uscendo dalla camera di gran carriera.

«Posso sapere perché dobbiamo utilizzare la vostra auto anche la mattina?» l’ispanica era seduta dietro con la sua amica a braccia conserte e tamburellava le dita sul braccio. «Siamo gli unici idioti che vanno a scuola in macchina!»
«Perché gli altri sono sfigati e non possono permettersela. Noi invece siamo dei veri fighi e possiamo.» le rispose il punk ammiccandole dallo specchietto il quale guidava, che tanto punk a Courtney non sembrava senza la sua vecchia cresta.
Lei non rispose e dovette mantenere l’equilibro quando Duncan girò bruscamente per sfrecciare nell’ unico parcheggio vuoto, sottraendolo al loro professore di tecnologia.
«Buongiorno, professore. In buona forma come sempre!» lo stuzzicò il moro uscendo dall'auto, mentre l’uomo inveiva contro di lui mentalmente e tornava a fare il giro del piccolo quartiere per parcheggiare altrove.

***

Era finalmente ricreazione. Al suono della campanella tutti chiusero il libro di algebra e presero la propria merenda come se non avessero mai mangiato e andarono ai banchi del proprio gruppo. Courtney andò da Dawn ma Heather rimase al proprio posto facendo sorprendere Alejandro, per questo rimase anche lui lì quando Duncan andò da Scott.
«Scommetto che vuoi vedere Mark.» le sussurrò, nonostante nessuno potesse sentirli per il baccano che vi era in classe. Lei gli lanciò una stilettata che gli fece quasi gelare il sangue, ma non si scompose.
«E me lo chiedi?!» tuonò, continuando a guardarlo in cagnesco.
«Anche se dovessi vederlo, cosa gli diresti?»
La ragazza ci pensò un po’ sopra. «Che è un imbecille, un idiota, un bastardo, un figlio di…»
«Lo immaginavo.» la interruppe «Ed è proprio qui che sbagli.»
L’asiatica alzò un sopracciglio. «Come ti permetti di dirmi che sbaglio?»
Il messicano non le rispose. «Quando lo incontrerai dovrai essere gentile con lui, comportarti come se non fosse successo mai nulla, altrimenti gli faresti capire che sei ancora arrabbiata e prevedrebbe la tua vendetta.»
Heather lo fissò per qualche secondo. Odiava dare ragione a qualcun altro e quindi non parlò, lascio che continuasse il ragazzo.
«È proprio questo il piano.» riprese «Diventare di nuovo sua amica e colpirlo quando meno se lo aspetta. È semplice, no?» le sorrise, ma lei non ricambiò. «Sai che ha anche una fidanzata? Sta nel corso C.»
Heather ghignò. «Come si chiama?»
«È Amy Gray.»
«Perfetto!» detto questo scostò la sedia e andò dalle sue amiche e non replicò nemmeno quando si accorse dello sguardo di Alejandro sul suo fondoschiena.

***

Ripassò l’eyeliner sugli occhi che durante quelle due ore era colato. Si mise anche un po’ di lucidalabbra e sfregò le sue labbra. Si guardò soddisfatta allo specchio e rimise il trucco nel suo astuccio e si fece spazio tra le ragazze e il fumo che occupavano il bagno. Una volta fuori tossì, maledicendo quelle sigarette. Possibile che i professori non sentissero la puzza quando le proprie alunne tornavano in classe? Che irresponsabilità che avevano, pensò Heather facendo un passo e poi un altro verso la propria aula. Fece per aprire la porta ma si fermò. Spostò lo sguardo su un’altra classe poco lontana da quella. È lì che sta il bastardo.
Smise di parlare tra sé e sé quando vi uscì una persona.
Era Mark. Mark. Era Mark. Un misto di emozioni si impadronirono di lei. Odio, rabbia, tristezza, malinconia, umiliazione, brama di vendetta. Egli la guardò e le sorrise, maliziosamente. Non l’aveva riconosciuta, altrimenti sarebbe scappato via a gambe levate. In effetti, lei era cambiata molto durante l’estate, mentre lui era rimasto tale quale: aveva sempre la stessa cresta da moicano come quella che teneva Duncan, ma il colore era quello dei suoi capelli naturali. Da sotto la camicia bianca intravedeva sul suo braccio il tatuaggio di un serpente che si contorceva ed Heather sperò che si animasse e lo mordesse, iniettandogli il veleno e facendolo morire ai suoi piedi. Dalla pronuncia più marcata e dalla forma dei muscoli capì che durante le vacanze era andato in palestra.
Dilettante, non ha comunque il bel fisico che ha Alejandro. Scosse la testa. Che cavolo stava dicendo? Si sentì avvampare, ma non sapeva se fosse per il suo pensiero o perché Mark si stava avvicinando. Era un bel ragazzo… ma non come Alejandro!
«Ciao bella. Sei una matricola, vero?» lo disse con lo stesso tono con cui le parlava il messicano, ma quest’ultimo aveva un modo di fare tutto suo e diverso dagli altri, e una voce molto più… calda.
Heather tenne il viso e lo sguardo bassi per non vederlo in faccia né far vedere le lacrime che le minacciavano di cadere, con i ricordi che le tornavano alla mente. «Stupido.» borbottò, mantenendosi calma.
«Che cosa hai detto?» chiese il ragazzo, continuando a comportarsi come un dongiovanni.
«Stupido!» gridò. Gli diede uno schiaffo potente e lui barcollò, tenendosi la guancia arrossata.
«Ma che cazzo ti viene?» sputò, guardandola come se fosse un mostro.
«Stupido, non mi riconosci?!» disse, singhiozzando.
Mark la guardò meglio e poi fece una faccia meravigliata e sconvolta nello stesso momento. «Heather…» sussurrò, lasciandosi cadere la mano vicino al fianco.
Ma l’asiatica era già entrata in classe, correndo verso il suo banco e non dando peso agli sguardi curiosi altrui che si sentiva addosso. L’unica cosa che accettò fu la mano di Alejandro sulla schiena quando tornò a posto.

***

La ragazza era supina sul divano con gli occhi chiusi. Aveva gli occhi gonfi e ancora lucidi e tremava.
Al suo ritorno a casa Courtney le aveva chiesto una decina di volte cosa fosse successo, ma lei non aveva risposto. Per l’intera giornata scolastica gli altri l’avevano fissata e lei aveva evitato di mandarli tutti a quel paese. L’unico che la comprendesse era, stranamente, Alejandro. Non le aveva detto niente per tutto il giorno, ma solo confortata con qualche carezza di tanto in tanto. Era troppo triste per respingerlo e, inoltre, le sue mani le davano calore e la facevano sentire meglio.
Ora la sua migliore amica era in camera a fare i compiti con il punk – anche se dubitava che con la sua presenza sarebbe riuscita a farli – e aveva proposto di fare anche i suoi. L’asiatica non aveva risposto, ma la sua amica sapeva che aveva accettato.
Non aveva visto il messicano dal ritorno a casa e ora si stava chiedendo dove fosse finito. La sua domanda fu seguita dal rumore di alcuni passi che si avvicinavano al divano. Heather non si sporse nemmeno perché ormai conosceva il rumore della sua camminata e l’avrebbe riconosciuta tra mille. Come per dare ragione ai suoi pensieri, da dietro al sofà spuntò Alejandro. Le sorrise, ma lei non ricambiò.
Si sedette sull’orlo del bracciolo sul quale la ragazza aveva poggiato il capo.
«Posso sapere cos’è successo?» le chiese gentilmente. Quel suo tono era così raro che ebbe voglia di parlare, sfogarsi, raccontargli cos’era accaduto ma non sapeva da dove iniziare.
«Mi ero fermata davanti alla nostra aula. Fissavo la sua classe e mi sono venuti in mente i miei- nostri ricordi insieme, tutti di un colpo… poi è uscito.» si interruppe e chiuse con forza gli occhi, ricacciando per la seconda volta in una giornata le lacrime. Sembro una ragazzina.
«E poi?»
«E poi… mi ha sorriso.» Alejandro alzò un sopracciglio, il quale fece scappare un sorriso all’asiatica. «Ma non mi aveva riconosciuto.» Il messicano sembrò tranquillizzarsi e la invitò a continuare. «Allora si è avvicinato e… mi sono arrabbiata. Gli ho detto stupido ma non mi ha sentito. Gliel’ho detto di nuovo e gli ho dato uno schiaffo. Mi sono sentita così bene! Lui è rimasto sconvolto e poi mi ha riconosciuto. O almeno credo, perché io ero già in classe.»
Gli occhi le pizzicavano ma non voleva piangere davanti Alejandro, non di nuovo. Ricordò quando lo fece alla festa.
«Oh, pensavo di peggio. Pensavo che gli avevi detto un calcio nei gioielli senza nemmeno farlo parlare.» Heather rise di nuovo e sul viso del ragazzo si dipinse un altro sorriso. «Forse potrebbe essere una cosa positiva. Magari ha capito il tuo dolore, ha capito che non è scomparso a distanza di anni. Forse ti chiederà scusa…»
«Per un momento non vorrei concentrarmi sulla vendetta.» lo fermò bruscamente.
«Vuoi sfogarti, quindi?»
La giapponese annuì e si alzò, mettendosi comodamente. Alejandro si sedette accanto a lei.
«Allora raccontami come vi siete conosciuti, oppure come ti ha… lasciata.»


Una ragazzina stava davanti allo specchio di casa sua. Era carina. Non bella, stupenda, meravigliosa. Solo carina. Per essere bella avrebbe dovuto avere un seno prosperoso, le costole visibili, la pelle sempre scoperta e un chilo di trucco sulla faccia. O almeno, questo era il significato di bellezza nella sua scuola. Lei invece aveva un seno di piccole dimensioni, qualche curva e il corpo sempre coperto, e il massimo che aveva sul volto erano un filo di matita e lucidalabbra.
Sua mamma le aveva sempre detto che era perfetta così come era. Se un ragazzo sarebbe stato davvero intelligente l’avrebbe apprezzata anche senza provocarlo. E infatti, in quel momento si stava preparando per uscire con il suo ragazzo. Era da sei mesi che stavano insieme. Il suo primo fidanzato e la sua prima storia! Si emozionava solo a pensarci, nonostante stessero insieme da abbastanza tempo.
Tornò in camera sua e prese la borsetta a tracolla. La indossò, corse in cucina per dare un veloce bacio sulla guancia a sua madre e uscì. Si recò al parco con passo veloce. Vi arrivò in pochi minuti e vide una figura muovere la mano in segno di saluto. Le si avvicinò e la baciò, per poi sorriderle.
«Pensavo non saresti venuta.» le sussurrò, mettendole un braccio sulla schiena tra i suoi capelli neri.
«Non dire stupidaggini.» rispose Heather con un risolino.
In quel momento stavano passeggiando per le strade di Brooklyn. Mark conosceva molte persone per la sua popolarità e ogni volta che uscivano insieme salutava molta gente. Gli altri chiedevano chi fosse la ragazza che gli stava affianco e lui rispondeva – quasi con orgoglio, come se fosse un bel premio – che era la sua fantastica fidanzata.
Stavano parlando del più e del meno, di com’era andata la giornata a scuola. Heather stava in seconda media, Mark in primo superiore e non era ancora completamente abituato a non vederla tra i corridoi, o almeno così diceva.
Tra una parola e l’altra, davanti ai due apparve una ragazza con lunghi capelli ricci rossi. Quella fu la prima cosa dal quale fu attratta Heather, essendo così visibili anche da chilometri di distanza. Era molto più bella di lei e la sua autostima calò sotto terra per un momento, poi pensò al ragazzo che aveva vicino. Aveva scelto lei, mica la rossa! Ma proprio quando ebbe pensato queste parole, lui spostò il suo braccio dalla sua schiena.
«Che succede?» gli sussurrò, scuotendogli la spalla. «Sembra che tu abbia visto un fantasma.»
Mark non rispose e si limitò a deglutire. La ragazza che era di fronte a loro urlò il suo nome, gli corse incontro e gli mise le braccia attorno al collo. «Amore!» disse, e lo baciò.
Heather sgranò gli occhi, proprio come il suo ragazzo. «Scusa, ma credo che tu stia baciando l’amore di qualcun altro!» tuonò, tirandola per i capelli.
«Come scusa?» le rispose l’altra, squadrandola da capo a piedi. «Chi sei tu per dirmi questo?»
«La sua ragazza!»
«Non credo proprio, sono io la sua ragazza!»
Si guardarono in cagnesco per qualche altro secondo, poi diedero la loro attenzione a Mark. Il ragazzo tremava e le fissava spaventato.
«Mark…» sussurrò la ragazza rossa «non puoi averlo fatto di nuovo!»
«Fare cosa?» chiese Heather, sentendosi esclusa.
«Tradirmi!»
«Che cosa?! Io non sono la sua amante, tu sarai la sua amante, magari!»
L’altra la guardò. «Che differenza fa chi è l’amante? Ci ha tradite entrambe!»
L’asiatica osservò Mark. Aveva uno sguardo implorante, ma lei non perdonava facilmente. Gli si avvicinò cautamente e vide le spalle del ragazzo rilassarsi… poi gli diede un calcio nei gioielli. Lui si accasciò a terra.
«M-mi hai distrutto i testicoli…» bisbigliò a voce spezzata per il dolore.
«E tu il mio cuore.» rispose Heather prima di correre via verso casa di Courtney.



La ragazza finì il suo racconto e calò il silenzio. Alejandro le sfiorò la spalla con la propria e poggiò la sua mano su quella dell’altra. L’asiatica non si scostò. Le piaceva sentire il calore del messicano contro il suo corpo freddo. Intrecciarono le loro dita e Heather mise la propria testa nell’incavo della spalla di Alejandro.
«Che cosa imbarazzante…» borbottò, facendo ridere il ragazzo.
«Io la trovo una cosa molto romantica.» le rispose, scostandole un ciuffo di capelli ribelli dietro l’orecchio.
«Per questo è imbarazzante. Noi non siamo mica fidanzati.» sentì il cuore cominciarle a palpitare come non aveva mai fatto, nemmeno con Mark, e rese più forte la presa delle sue dita.
«Per me lo siamo.» sussurrò, facendola tremare.
«Sei un imbecille.»
«E tu sei bellissima.»
«Sei comunque imbecille.»
Quello che pensava fosse un tremito, si rivelò essere una risata. «Sei sempre così acida…»
«Mi dispiace, ma non cambierò per te.»
«Non ho detto che non mi piaccia.»
«Tu sei sempre così odioso, e questo non mi piace!»
Alejandro le baciò la nuca e l’avviluppò tra le sue braccia per qualche secondo, o minuto, od ora. Alla ragazza sembrò passare un’eternità. La prese per il mento e la fissò negli occhi, verde contro grigio. Lei sapeva che quel gesto significava che da lì a poco ci sarebbe stato un bacio, ma non volle spostarsi. Anche se avrebbe voluto, non ci sarebbe riuscita. Sembrava che i suoi occhi la ipnotizzassero, e ogni volta decideva di spostare lo sguardo, e ogni volta sbagliava. I suoi occhi finivano sulle sue labbra e le veniva la voglia di attaccarsi ad esse. Spostava le sue pupille di nuovo e finivano sul suo petto e le veniva voglia di toccarlo. Insomma, ogni sua parte era maledettamente perfetta. In quell’istante decise di continuare a fissarlo negli occhi, non che fosse una cosa buona. Rimase ferma quando la prese per il mento, rimase ferma quando poggiò una mano sulla sua schiena, rimase ferma quando si avvicinarono, rimase ferma anche quando una voce li interruppe.
«Piccioncini,» la voce di Courtney si udì per tutto il salone «non vorrei disturbarvi, ma Duncan è scappato dalla finestra.» detto questo girò i tacchi e sparì di nuovo nella sua camera.

***

L’ispanica si chiuse la porta alle spalle a chiave. Si girò e trovò Duncan con lo sguardo basso.
«Smettila di fissarmi il fondoschiena, altrimenti non ci vengo con te.» fece qualche passo verso di lui che la guardò in faccia.
«Devi venire. Dobbiamo parlare di una questione importante. Ti ho detto cos’è successo la scorsa settimana…»
«E mi sono incavolata perché non me l’hai detto prima. Avresti dovuto!» tuonò con la voce bassa per non farsi sentire dai suoi amici. Fece un ultimo passo ed arrivò così vicino al punk che poteva sentirne il respiro addosso. Era seduto sul marmo della finestra con una gamba penzoloni. Si sedette davanti a lui.
«Volevo indagare da solo. Se non mi avessi persuaso facendoti vedere in reggiseno, ora sarei a casa dei tuoi senza di te.»
Courtney sbuffò. Duncan aveva cominciato a farle domande sui suoi genitori mentre facevano – faceva – i compiti. Lei gli aveva chiesto perché gli interessasse tanto e lui aveva risposto che voleva sapere delle cose. Dopo avergli chiesto una milionesima di volte cosa volesse sapere, aveva capito che avrebbe dovuto persuaderlo. Si era aperta la camicetta e il ragazzo era rimasto con gli occhi sbarrati, fissando il suo seno.
«Devo nasconderti le cose più spesso.» aveva detto, dopo aver rivelato tutto.
«Di' qualcosa a qualcuno e non ricorderai le mie tette per il resto della tua vita, né quelle di nessun’altra. È chiaro?!»
Duncan annuì con un ghigno sul volto. «Ora andiamo.»

Arrivarono al condominio della ragazza in quindici minuti circa. Courtney citofonò e rispose la voce melodiosa di sua madre, accogliendola subito quando capì che era lei. Le disse che c’era anche Duncan.
«N-no! Non salire!» balbettò.
«Qual è il problema, mamma? Sei ancora arrabbiata con Duncan per suo padre?!»
«N-no.» lei sospirò «È proprio questo il punto…»
Ma Courtney aveva preso le sue chiavi e aperto il portone e si stavano dirigendo verso casa sua. Con lo stesso mazzo di chiavi, aprì anche la sua porta e vi entrò, seguita da Duncan.
«Mamma, sono a casa.» disse lei senza nemmeno pensarci. Era ciò che diceva quando tornava a casa da scuola, dall’appartamento di Heather o da un’uscita.
Carla apparve dalla cucina con un volto preoccupato. «C’è qualcosa che non va? E non dire che è Duncan!» ringhiò sua figlia lanciandole una stilettata.
«No, è che…»
«Duncan!» lo chiamò una voce dietro la donna «Da quanto tempo che non ci vediamo, vero? Sei… cambiato.»
Courtney lo guardò di sottecchi. Chi era quell’uomo? Era un amico di sua madre, come poteva conoscere il suo raga… Duncan? Guardò il ragazzo e gli sussurrò. «Chi è quest’uomo?»
Lui non le rispose. Fece qualche passo a bocca spalancata, per poi fermarsi di colpo. Sembrava che avesse voluto constatare se fosse una persona reale. «Papà.» balbettò, tornando normale all’improvviso. «Che ci fai tu qua?»
«Che ci fai tu qua?» sputò Drew, passando davanti a Carla e facendo come se non esistesse, sbattendole contro.
«Courtney ed io dobbiamo parlare con sua madre.» rispose con calma reggendo lo sguardo del padre. «E tu?»
«Di cosa dovete parlare?»
«Rispondi prima tu.»
L’uomo sospirò. Non somigliava affatto a Duncan se non per la carnagione chiara e i capelli neri. I lineamenti e le forme erano completamente diverse. Probabilmente le aveva prese da sua madre. Vide sua madre nascosta in un angolo della cucina a tastare poco pazientemente il suo cellulare. Forse stava scrivendo a suo padre, pensò.
Come per dare conferma ai suoi pensieri, la serratura della porta venne forzata e vi entrò Roberto seguito da una donna. Teneva anche lui in mano un cellulare e, continuando a guardarlo, parlò. «Amore, perché non sarei dovuto tornare a cas…» si interruppe vedendo sua figlia. La sua faccia era un misto di sorpresa e orrore. «C-Courtney?»
«Duncan?» disse la donna che era appena entrata, all’unisono con suo padre.
«Che cosa ci fai qui?» dissero di nuovo insieme.
«E questa donna chi è, Duncan?» chiese la ragazza, girandosi per guardarlo.
«Lei… lei è mia madre.» deglutì e barcollò, come se stesse per svenire. «Che ci fate entrambi qui?» disse, guardando prima Drew e poi la donna bionda.
«I-io… cosa ci fai tu qui!?» gridò, avvicinandosi.
«Deve parlare con Carla e anche noi dobbiamo parlare. Mi sembra piuttosto un bene che ci siano anche loro, non trovate? O a voi sembra più una coincidenza? Oppure credete nel destino? Se sono qui, dev’esserci un motivo. Io direi di parlare in loro presenza e far sapere loro la verità.» li troncò Drew, rigirandosi un bicchiere che solo in quel momento Courtney vide tra le sue mani. Se lo portò alla bocca e bevve un sorso di ciò che le sembrava scotch.
«Io credo che dobbiate andare via, invece.» disse Carla guardando male Drew.
«Invece noi restiamo e parliamo. Siamo venuti qui apposta!» quasi urlò Duncan, arretrando quando sua madre gli era ormai vicinissimo. «Samantha, Drew, ditemi perché siete qui.» L’ispanica ricordò che una volta il punk le aveva detto che era abituato a chiamare i suoi genitori per nome, poiché non li definiva tali.
«Noi non…» biascicò la bionda.
«Per parlare di voi, di chi altrimenti?» rispose l’uomo mettendosi al centro della sala. «Voi cosa volete sapere, sentiamo?»
«Io voglio sapere» disse sicuro il ragazzo precedendo Courtney «Roberto chi è, o che cosa è.»
Il padre di lei fece una finta risata. «Sono un uomo, cosa pensi che sia? E sono il padre di Courtney.» marcò sull’ultima frase.
«E…?» gli invitò a continuare il punk. Che sta succedendo?
«Chi te l’ha detto?» si immischiò bruscamente Samantha. «Sei stato tu, Drew?» lo accusò guardandolo da sopra la sua spalla.
«No, ho capito tutto da solo. Tra un ricordo e l’altro ho capito. Sono stupido solo a scuola, mamma.» le disse, poggiandole una mano sulla spalla. «Se io e Courtney siamo fratelli dovete dircelo…»
«Che cosa?!» urlò l’ispanica con tutto il fiato che aveva in gola. Le sue guance divennero paonazze. «Fratelli? Perché dovremmo essere fratelli? Noi… spiegatemi!»
Roberto sospirò. «Courtney, io non…»
«Ditemi la verità. Non sono una ragazzina!» sbottò stringendo i pugni.
«Ha ragione.» si intromise Carla «Deve sapere.»
«Ecco, cosa devo sapere?»
«Devi sapere che Duncan è figlio di Roberto. È tuo fratello.»
La ragazza sgranò gli occhi. Non si accorse nemmeno che stava tremando. Biascicò qualcosa di incomprensibile.
Anche Duncan aveva i lineamenti duri, ma non le lacrime agli occhi come l’ispanica. «Io non voglio essere suo fratello.» sussurrò, facendosi spazio tra i quattro adulti. Spalancò la porta e scappò via, venendo seguito da Courtney.
Roberto aveva un’espressione turbata, probabilmente perché ora si trovavano insieme, anche se sapevano di essere parenti. Samantha aveva un’espressione distrutta e afflitta e Drew sembrava un adolescente di quindici anni con un ghigno sul volto. Carla stringeva i pugni. Sua figlia soffriva e quindi anche lei.
«Ma voi non siete fratelli…» bisbigliò qualcuno tra i quattro, facendosi udire solo da una persona.













Ciao, ragazzuoli!(?)
Come sempre ho aggiornato presto ed il capitolo è abbastanza lungo.
Non ho molto da dire. Spero solo che l'ultima frase vi abbia colpito e incuriosito. :)
Ringrazio ancora chi ha messo la storia tra le ricordate, le preferite o le seguite, ma soprattutto ringrazio chi legge, che mi date una ragione per continuare. Posso solo "sdebitarmi" con voi continuando a scrivere!
Ancora a presto, malec.

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Capitolo 20
*** Capitolo 17 (Parte I) ***


Ancora non ci poteva credere. Tutti gli abbracci, le carezze, i complimenti che le aveva dedicato erano solo una bugia, una falsità, non sarebbero dovute accadere. Il giorno precedente l’aveva anche baciata, ma nessun fratello avrebbe mai osato baciare la propria sorella. E inoltre, suo padre le mentiva. Se sapeva che aveva un altro figlio, perché non gliel’aveva mai detto? Era una cosa molto, troppo importante per essere nascosta. Se l’avesse saputo, magari avrebbe evitato di andare a vivere con lui, baciarlo, provare sentimenti che tra parenti non si provano… Perché, lei che sentimenti provava verso il ragazzo? Era solo e semplice affetto, affetto tra amici, che sarebbe dovuto diventare da un momento all’altro affetto tra fratelli. Oppure, durante quelle due settimane, quest’affetto era diventato sempre più grande, fino a farle provare qualcosa che non avrebbe voluto, che non avrebbe dovuto e che non avrebbe potuto collaudare?
Duncan era scappato velocemente dall’appartamento. Courtney l’aveva seguito. Il punk aveva spalancato il portone e l’aveva lasciato rischiando di farlo sbattere contro l’ispanica ed era saltato nella sua auto. La ragazza era arrivata correndo davanti al cancello e si erano scambiati uno sguardo preoccupato, sofferente, come per scusarsi. Egli aveva acceso il motore dell’auto ed era partito, lasciando Courtney immobile. Sarebbe dovuta tornare a casa – casa di suo fratello, per precisione – a piedi, e quindi ci avrebbe impiegato una mezzoretta.
Era appena arrivata ed aveva aperto la porta. Già sulla soglia potevano udirsi le urla e le maledizioni in spagnolo di Alejandro. Nessuno in quella casa l’avrebbe capito, lei esclusa, e ciò che stava dicendo in quel momento non l’avrebbe mai ripetuto. Si recò in cucina e trovò i suoi coinquilini in preda alle discussioni. Heather era appoggiata al bancone della cucina e osservava tutto con occhi fermi e indifferenti, ma sembrava che nel suo sguardo ci fosse una punta di divertimento; anche il messicano era in piedi e teneva le mani poggiate sulla sedia dinanzi a lui, così forte che le nocche gli erano diventate bianche; il punk – suo fratello – era seduto e guardava sul piano del tavolo. Sembrava che non stesse minimamente ascoltando il suo amico e che pensasse ad altro. Aveva i lineamenti duri e uno sguardo torvo. Nessuno aveva notato la sua presenza.
«Ragazzi!» urlò allora, odiando che nessuno la osservasse. Tutti posarono i propri occhi su di lei. La sofferenza di Duncan era chiaramente visibile sul suo volto. «Che cosa sta succedendo qui?»
Alejandro aveva aperto la bocca e stava per parlare, ma il punk lo interruppe. «Niente. Alejandro ed io dobbiamo andare al Pandemonium.» disse, e si alzò. Si diresse alla sua camera e in pochi secondi tornò con due borsoni tra le mani. «Muoviti, Al, prendi le chiavi. Oggi guidi tu.»
Il suo interlocutore sussultò sentendo chiamarsi in quella maniera. Tutti sapevano che odiava essere chiamato così, ma solo Duncan sapeva il perché. Heather si rivolgeva a lui con quel nomignolo, ma usato da lei sembrava che non gli desse fastidio.
Duncan diede un calcio alla porta che si aprì di colpo. Prima di uscire parlò. «Courtney, la prossima volta chiudila a chiave.» borbottò senza guardarla ed uscì.
Il suo amico lo fissò con sconcerto, come se potesse leggergli la mente e capire che qualcosa non andava. Guardò la spagnola. «È successo qualcosa?»
Ella fece di no con la testa, osservando il pavimento. Non aveva voglia di vedere in faccia nessuno. Sentì il ragazzo salutare l’asiatica chiamandola mi amor, che ricambiò con un misero ciao.
Poi salutò anche lei e contraccambiò con un cenno del capo. Quando fu fuori, guardò Heather. Le sorrideva. Come sempre, sapeva che non stava bene, e come succedeva ogni volta le sorrideva. Sorrise anche Courtney.
«Noi dobbiamo parlare.» sussurrò l’asiatica, avvicinandosi a lei. «Ho tanto da raccontarti, e tu tanto da raccontare a me. Vero?»
Si guardarono negli occhi. Era così bello avere un’amica come lei con cui confidarsi! «Sì.» biascicò, e si avviarono verso la porta.

***

C’era un fresco vento che scompigliava i capelli alle ragazze, il quale stavano camminando da pochi minuti. Il sole splendeva e le due avevano pensato che facesse troppo caldo per prendere il giubbotto, ma si sbagliavano, però erano troppo pigre per tornare indietro e prenderlo. Inoltre, sembrava che un po’ di freddo facesse bene ad entrambe, facendo dimenticare loro i brutti momenti di quelle settimane, sottolineando che erano stati molti. L’incontro con Mark e la scoperta di un fratello, per esempio. Non erano cose che si sarebbero mai aspettate. Durante quel poco tempo di passeggiata, nessuna delle due aveva osato parlare, nemmeno chiedere come stai?. Fu Heather allora ad interrompere il silenzio.
«Perché Duncan era stranamente arrabbiato, quando è tornato a casa?» La ragazza si maledisse da sola. Tra tutte le domande che avrebbe voluto farle, quella era la più stupida e meno importante. Voleva sapere che succedesse alla sua amica, non al suo quasi fidanzato. Ma magari, pensò Heather, è lo stesso motivo per cui anche Courtney è triste.
Dal canto suo, la spagnola non sapeva che rispondere. Doveva spiegarle tutto dall’inizio? I suoi flashback, di quando ricordava che i suoi genitori parlavano di un uomo e di una donna, la sorpresa di suo padre nel sapere il nome della madre di Duncan e il fatto che lui le avesse nascosto tutto? Dirle anche che avevano mentito a lei ed Alejandro dicendo che il punk era scappato, mentre erano entrambi andati di nascosto dai suoi genitori e lì avevano incontrato anche Drew e Samantha? Con tutte quelle domande nella testa, era molto agitata e giocava con i suoi pollici, segno del suo turbamento. Decise di dire quell’unica frase e farle capire il problema vero e proprio.
«Duncan è mio fratello.» disse in un solo soffio, quasi fosse il suo ultimo respiro prima di morire. Che poi, avrebbe potuto morire da un momento all’altro dopo quella notizia, ma la curiosità di sapere di più su ciò che era successo davvero era tanta. Una volta saputo, forse sarebbe morta.
Heather aveva sgranato gli occhi. In tutta la sua vita, Courtney non l’aveva mai vista così sbalordita. La loro vita, in effetti, non aveva avuto molti alti e bassi dopo la seconda media. Non che ne avessero mai voluti, di alti e bassi, né li avevano mai avuti per caso. L’asiatica biascicò qualcosa, ma la sua amica lo riconobbe come un lieve mugolio. Non era certo una cosa che si poteva sapere da un momento all’altro, ma anche a lei era andata così. Le avevano rinfacciato di avere un fratello all’improvviso, senza nemmeno farglielo capire fin dall’inizio, senza nemmeno farglielo vagamente pensare.
«N-non me lo sarei mai aspettato.» bisbigliò Heather. Cosa avrebbe mai potuto dirle? L’incontro con il suo ex-fidanzato non era nulla in confronto a quella sconvolgente notizia. Anche lei, se avrebbe saputo che aveva un fratello, sarebbe rimasta sconvolta. Per di più, sapere che quel fratello era il ragazzo che amava, perché nonostante Courtney lo negasse, Duncan le piaceva. Lei che avrebbe fatto se avesse scoperto che Alejandro era suo fratello? Assolutamente niente!, si rispose automaticamente. Il messicano non le piaceva, non le sarebbe mai piaciuto, anche se fosse stato suo parente non avrebbe avuto nessun problema…
«Nemmeno io me lo sarei mai aspettato. È successo tutto così all’improvviso che non ho avuto nemmeno il tempo di reagire né di dire qualcosa. Duncan è scappato e ho avuto l’impulso di seguirlo, di parlargli. L’ho fatto, l’ho rincorso, ma lui era già in macchina. Ci siamo guardati ed è andato via con l’auto e io me la sono fatta a piedi. Ecco perché sono arrivata più tardi.» aveva parlato molto velocemente, la sua amica aveva fatto fatica a capire tutte le parole che aveva pronunciato ma ci era riuscita. Heather aprì la bocca per parlare, ma Courtney liquidò il discorso con un gesto della mano come se fosse di poco conto, come se non importasse, come se non le importasse. «E tu, tu perché sei così nervosa?»
Si fermarono davanti ad un chiosco che non avevano mai visto. Era molto piccolo visto dall’esterno, ma sembrava che dentro ci fosse un’aria accogliente e che fosse uno spazio molto vasto. Sembrava che ci fosse anche poca gente e la tranquillità era ciò che alle ragazze serviva. Entrarono nel locale mentre la giapponese aveva cominciato a parlare.
«Ho raccontato ad Alejandro di Mark e lui mi ha detto che lo conosce. Frequenta la nostra scuola e sta nel nostro stesso corso, in terza, ma io non l’ho mai visto. Oggi è successo, l’ho visto quando sono andata in bagno. Non mi aveva riconosciuto e mi aveva sorriso, lo stesso sorriso di due anni fa. Io gli ho dato uno schiaffo e sono entrata in classe. Ecco, tutto qui.» Se fosse una gara a chi ha la storia più tragica, Courtney vincerebbe comunque. si disse mentalmente, facendo qualche passo verso un tavolino in fondo e rispondendo al saluto del cameriere. L’altra ragazza le era davanti e non le rispose, piuttosto si bloccò all’improvviso ed Heather le fu quasi addosso. «Che succede?» Si sporse in avanti e capì. Il ragazzo si era alzato e le fissava, sconcertato. Era immobile anche lui. Poi deglutì e avanzò a fatica. Oltrepassò la spagnola e si mise al fianco della giapponese. «Heather, dobbiamo parlare.» le sussurrò accanto ad un orecchio, facendole venire le pelle d’oca.
«No, io non-»
«Heather, per favore. Dobbiamo parlare.»
La sua voce roca era quasi supplichevole e la ragazza non riuscì a farsi convincere che stare con lui non era una buona cosa. Anzi, era l’ultima cosa che voleva al mondo, ma forse sarebbe stato un ottimo passo avanti.
«È proprio questo il piano. Diventare di nuovo sua amica e colpirlo quando meno se lo aspetta.» si ripetette questa frase finchè non furono seduti ad un tavolino, allora sfoggiò il sorriso più cordiale che avesse mai avuto sul volto.

***

2 ore prima.
La donna era seduta in cucina, lo sguardo concentrato in quello dell’uomo dinanzi a sé. Il silenzio e la tensione facevano da padroni. Suo marito le aveva sempre costretto di parlare di un eventuale incontro con il suo ex-fidanzato. Se fosse successo, cosa avrebbe fatto? Cosa avrebbe detto? Cosa avrebbe risposto? Ma lei aveva sempre liquidato l’argomento, pensando che quel momento non sarebbe mai venuto. O almeno sperava.
Ora invece erano uno di fronte all’altro. Aveva le braccia conserte e le gambe accavallate. Forse per l’impazienza, muoveva su e giù la sua gamba libera, facendole sfiorare il piano inferiore del tavolo. Quel rumore continuo era angosciante per entrambi, ma non voleva smetterla, non ci riusciva. Milioni di domande vagavano nella sua mente. Che cosa ci faceva l’uomo che aveva abusato di lei lì? Perché l’aveva cercata? Voleva dirle qualcosa, farle qualcosa, annunciarle qualcosa, minacciarla, chiedere di tornare assieme? Qualunque cosa fosse, sperò che facesse in fretta e che quando fosse tornato suo marito lui se ne sarebbe già andato. Aveva voglia di invogliargli, ordinargli di parlare, ma lingua secca non ne voleva sapere di muoversi. Sbatté un pugno sul tavolo, il volto paonazzo per la rabbia.
«Vuoi dirmi perché sei qui?» sputò, mentre dei brividi le attraversavano la schiena. L’aveva sempre fatta tremare di paura, come in quel momento.
«Carla, non mi offri nemmeno un caffè?» disse Drew sorridendole. Cosa c’era da sorridere? La donna non rispose, si limitò a lanciargli una stilettata, la stilettata più accattivante che riuscisse a mostrare. «Non guardarmi così. Sappiamo entrambi di cosa, anzi, di chi dobbiamo parlare.»
L’espressione minacciosa di Carla venne sostituita da una perplessa. «No, non so affatto di cosa dobbiamo parlare.»
«Di chi dobbiamo parlare.» la corresse, con un sorriso sghembo. Non ricevendo risposte né domande, continuò. «Di Duncan e Courtney.»
La spagnola digrignò i denti. Non poteva tollerare l’udire il nome di sua figlia da un tipo del genere. «Non chiamarla mai più per nome!» sbraitò. «E non trovo il motivo per cui dovremmo parlare di loro.»
«Oh, dai, Carla. Sei una donna intelligente, è impossibile che non abbia notato la somiglianza tra Duncan e Roberto.»
Carla chiuse le mani a pugno e prese un respiro profondo per evitare di tirarlo in faccia a Drew. Si limitò ad abbassare le sopracciglia. «Duncan è tuo figlio.»
«Mio figlio adottivo, diciamo, e lo sai meglio di me.» sussurrò. Fu la prima frase senza una punta di ironia che Carla gli sentì pronunciare.
«Anche se Duncan è figlio di Roberto, io non litigherò con lui perché non me l’ha mai raccontato.»
«E non dovresti, perché non l’ha mai saputo fino ad una settimana fa, più o meno.»
La bruna sospirò e chiuse gli occhi per un secondo, cercando di dimenticare la faccia di quell’uomo. Se così può essere definito. «Non vedo Courtney cosa centri con que…»
«Credo che abbiamo fatto uno scambio di figli.»
Carla spalancò gli occhi. Che l’avesse capito da solo, oppure aveva parlato con Roberto? Inoltre, da quanto tempo lo sapeva? Da sempre, un anno, una settimana, un giorno, un’ora? Non ammetterò mai che Courtney è figlia di un uomo orribile come te.
«Non capisco di cosa tu stia parlando.» bisbigliò con tono poco deciso. Perché non sapeva mentire come Drew? Le avrebbe fatto comodo, specialmente in quel momento.
«Non dire bugie, non sei una brava attrice. Non lo sei mai stata.»


La ragazza stava seduta scompostamente davanti al suo fidanzato. O almeno, così lui si definiva, perché lei non avrebbe mai voluto esserlo. Ogni giorno si malediceva per aver acconsentito di diventarlo, quando glielo chiese. Si trattava di un anno prima, e dopo aver scoperto le sue bugie e tradimenti lo aveva lasciato, o meglio avrebbe voluto. Non sapeva mica che l’avrebbe picchiata, insultata, torturata, né tantomeno si aspettava che facesse del male all’uomo che davvero amava. Poteva accettare qualsiasi cosa, ma non quello. Ora si rigirava le dita e vedeva offuscato, non sapeva nemmeno dove si trovasse. Sapeva solo di essere accoccolata con le gambe davanti a sé e di tremare e avere paura. Sapeva, inoltre, che aveva compiuto un’ennesima cazzata, e se lui non le avesse voluto tanto bene l’avrebbe anche uccisa, ne era sicura.
«Te lo ripeto per un’ultima volta.» sputò Drew, agitando la sua mano. Era un coltello quello che teneva stretto? «Dove sei stata?»
«Te l’ho detto!» biascicò Carla, in preda ai singhiozzi. Non avrebbe permesso che la vedesse piangere di nuovo. «Sono stata dai miei genitori, è da tanto che non li vedo!»
«Bugiarda, traditrice!» sbraitò il ragazzo. Spinse con forza il tavolo che aveva davanti e lo fece sbattere contro la parete. «Sei stata da quello stronzo, vero? Quante volte ti ho detto che non devi vederlo? Quante volte ti ho detto che potrei fargli del male?» Gli occhi gli scintillavano per la collera. «Ma forse non vuoi il suo bene, oppure non credi che sia capace di farlo? E invece lo sono, e presto vedrai che Drew Nelson non mente mai. E ti consiglio di fare un corso di recitazione: non sei affatto una brava attrice.»



«Non sto cercando di recitare, è assolutamente vero! Courtney è mia figlia, e figlia di Roberto. Questo è tutto.» tenne duro e continuò a guardarlo negli occhi, ma gli era così difficile guardare un uomo che le aveva solo reso la vita un inferno.
Per la casa riecheggiò il rumore fastidioso del citofono. Finalmente è arrivato, ora farà andare via Drew., pensò la donna, mentre si avviava verso la fonte sonora.

***

«Forse è meglio che vada. Credo di essere solo di impiccio…» bisbigliò Courtney. Era seduta affianco alla sua migliore amica e la guardava con la coda dell’occhio. Fino a pochi minuti prima, stava parlando e maledicendo mentalmente quel ragazzo, ora stava bevendo una bibita con lui. Si chiese anche perché gli rivolgesse un sorriso smagliante, quando sapeva che avrebbe solo voluto picchiarlo fino a che non fosse morto. Si sentiva di troppo tra i due, sapeva che dovevano parlare e lei non centrava un bel niente.
«No, rimani, Courtney. Non sei affatto di impiccio.» le rispose Mark. Un brivido le percorse la schiena pensando a quando ci provò con lei. Lui l’aveva riconosciuta e forse voleva far soffrire anche lei per ciò che gli aveva fatto alle scuole medie? Il ragazzo aveva tradito la sua amica, era ovvio che gli desse punizioni a non finire, anche senza una ragione. Oppure, era stato solo un caso che flirtasse proprio con lei?
«Allora, Mark, cosa devi dirmi?» chiese Heather. Non c’era presenza di rabbia né di rancore nella sua voce, ma era come se l’avesse perdonato. Cosa che ovviamente non aveva fatto, il suo orgoglio glielo impediva. Forse voleva vendicarsi? Sì, era sicuramente così.
«Volevo chiederti scusa.» ribatté il ragazzo. L’asiatica ebbe un guizzo di meraviglia sul volto che però subito svanì.
«Va bene. Ti perdono.» Ecco, adesso Courtney era sicura che volesse vendicarsi. Non avrebbe mai perdonato Mark se non per attaccarlo di nascosto.
Egli sorrise e tornò serio in pochi secondi. «Posso farti una domanda, però? Un po’ personale, ma molto importante.» Heather alzò un sopracciglio e annuì. «Perché frequenti Alejandro? Insomma, lui ti vuole solo usare.»
La giapponese guardò la sua amica. Con uno sguardo le fece capire Che cosa intende? «In che senso, non capisco?»
«Oh, dai, non dirmi che non conosci la storia dei vostri genitori. Vuole solo farti soffrire, non capisci?»
La ragazza dagli occhi a mandorla sbatté un pugno sul tavolo, mantenendo comunque la calma. «Non so di cosa parli. Mi dispiace, ma ora io e Courtney dobbiamo andare. Ci vediamo un altro giorno.» disse con voce tranquilla.
«Va bene, ma se fossi in te, a casa gli chiederei qualche spiegazione.» ghignò.
«Lo farò.» affermò Heather. La rabbia che fino a quel momento aveva provato per Mark, si riversò completamente sul messicano.









Wow, questa volta mi sono sbalordita da sola! Ho scritto un capitolo più lungo del solito ed è solo la prima parte, e non so se sia un bene o un male. Un bene, forse, per chi ama i testi lunghi, ma se fosse per me sarebbe un male, perchè odio leggere le fiction troppo lunghe. :')
In questo capitolo la parte più importante è quella tra Carla e Drew, che ci danno un'altra importante informazione indirettamente... aggiungiamola alla frase finale del capitolo precedente, e avrete capito cosa mi frulla nella testa!
Adesso, però, cominciano anche i problemi tra Heather e Alejandro. Non pensavate mica che tra loro fosse tutto rose e fiori, eh?
Grazie a chi ha recensito il capitolo precedente e il prologo! :)
Alla prossima, malec.

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Capitolo 21
*** Capitolo 17 (Parte II) ***


Alejandro lanciò il suo borsone accanto al divano sul quale si fiondò prima che potesse farlo il suo amico. Inspirò e chiuse le palpebre, lasciando che la stanchezza volasse via. Sentì gli occhi accusatori del punk fissarlo perché probabilmente anche lui avrebbe voluto stendersi lì sopra, ma lui aveva occupato tutti e tre i posti. Socchiuse un occhio e lo vide sedersi su una poltrona lì affianco.
Quella era stata una delle giornate lavorative più snervanti di sempre. Come al solito, avevano cantato e urlato a squarciagola e sopportato le grida delle ragazze che, ogni sabato, si trovavano in quel locale solo per loro due. Come dar loro torto, erano così affascinanti! Ricevere complimenti e fare autografi era rilassante, alcune volte, e divertente, ma non quella giornata. Durante il tragitto da casa al Pandemonium, Duncan aveva raccontato al messicano ciò che era successo a casa dei genitori di Courtney – sua sorella – e si era sfogato. Alejandro aveva capito fin dal primo momento che qualcosa non andava al ragazzo. Subire le sue lamentele era stato stressante, poiché Duncan si lamentava poco e niente ma, quando lo faceva, era come se lo facesse per tutte le volte che non lo aveva fatto. Insomma, un suo lamento valeva per dieci lamenti normali.
La serratura della porta venne forzata e dalla soglia entrò Heather alquanto furiosa. Dietro le stava Courtney titubante, triste e preoccupata. Forse era perché il punk era suo fratello, ma non era l’unica ragione. Come la sua amica, era curiosa di sapere cosa il messicano nascondesse.
«Ora tu mi racconti tutto ciò che devo sapere!» sbraitò l’asiatica, fermandosi a pochi passi dal divano con le braccia sui fianchi e volgendo ad Alejandro uno sguardo furente.
Quest’ultimo guardò prima Duncan dubbioso che fece spallucce, poi spostò gli occhi su Heather. «Non so di cosa tu stia parlando.»
L’ispanica riuscì in tempo a fermare la sua compagna prima che si avventasse addosso al ragazzo. «Calmati!» le sussurrò.
«No, io non mi calmo!» urlò mentre apriva i suoi pugni. Sapeva che sarebbe stato inutile cercare di scappare dalla presa di Courtney. «E tu non fare finta di niente, cascamuerto! So che stai cercando solo di farmi soffrire, spiegami cosa significa!»
Egli si drizzò a sedere e, con un cenno del capo, fece intendere al suo coinquilino che era meglio che andasse via. Così fece e prese per il polso Courtney. Nonostante non volesse farlo, lo seguì nella sua camera. Forse era meglio che parlassero.

***

Duncan si chiuse la porta alle spalle continuando a guardare Courtney. Lei era girata ma si sentiva lo sguardo del punk addosso. Era una cosa alquanto straziante.
«Potresti osservare un altro punto della stanza, per favore? Sei fastidioso.» disse facendo qualche passo avanti e arrivando di fronte alla vetrata del balcone.
«Ora che ci penso, il tuo comportamento, anzi, il nostro comportamento è molto simile a quello che c’è tra fratelli. Infatti lo siamo, ma ci siamo sempre comportati così, anche quando non lo sapevamo.» camminò anche lui e arrivò a poca distanza dalla ragazza.
«Non è vero. I fratelli non si baciano.» sputò l’ispanica. Aprì le ante del balcone e lasciò che entrasse un po’ di vento.
«Senti, Courtney, forse è meglio dimenticarlo. È ovvio che tra noi non potrà mai esserci nulla.»
«Meglio così, io non ho mai voluto che ci fosse qualcosa, tra di noi.» sibilò la ragazza torturandosi i pollici.
«Courtney, so che non è vero…» sussurrò Duncan così piano che lei non lo sentì. La prese per i fianchi e la girò e, senza lasciarla protestare, la baciò con foga. Notò la freddezza della spagnola ma non si lasciò intimidire, piuttosto continuò a baciarla per farle capire che non l’avrebbe mai ritenuta sua sorella.

***

«Come lo sai? Insomma, chi ti ha detto che io…?» Alejandro non finì la frase. Deglutì e si rese conto di aver… paura di Heather. Era davvero paura o imbarazzo, agitazione? Come avrebbe potuto spiegarglielo?
«Mark. E tu che dicevi che era un traditore. Tu sei tale quale a lui!» sbottò l’asiatica guardandolo con odio. «Spiegami tutto, veloce!»
«Cosa… cosa vuoi sapere per primo?»
«Tutto! Spiegami perché dovresti usarmi, oppure cosa centrano i miei genitori in questa storia.» si sedette sul divano sul quale era seduto anche il messicano ma dall’altro lato, in modo che non fossero vicini. Egli notò questo particolare ma non le si avvicinò.
«Io so poco e niente. Una volta mio padre mi raccontò che mia mamma avrebbe dovuto sposarsi con un altro uomo. E sì, quest’uomo è tuo padre, Takashi. Una settimana prima del matrimonio, però, lui la lasciò. Ho sempre cercato di lasciar sfuggire al mio papà il motivo, ma non me l’ha mai spiegato. Non so quanto tempo dopo, mamma ha conosciuto papà in un periodo difficile. In quel periodo, infatti, faceva uso di sostanze stupefacenti e alcool, per questo mi ha sempre vietato l’utilizzo di queste cose. Inutile dire che io, però, l’ho fatto. Questo è uno dei tanti motivi per cui papà mi ha cacciato di casa: non voleva che diventassi come la mamma. Inoltre, odiavo e odio ancora i miei fratelli. Anzi, fratellastri.» Heather aveva ascoltato con attenzione l’intero discorso e ora aveva un’espressione curiosa sul volto. «Sono miei fratelli solo dalla parte di mio padre. Lui si è sposato quattro volte circa. Josè non conosce sua madre, solo papà sa chi è ma non ha mai voluto parlarne. Quella di Carlos, invece, è morta. Successivamente sono nato io e sono quello che sa di più sulla propria famiglia.»
«Va bene, ho capito.» Heather annuì con un tono più tranquillo. «Ma non capisco perché tu abbia voluto vendicarti con me!»
«Ma è ovvio!» Alejandro urlò quasi. «Dopo la mia nascita, mia madre ha ricominciato a drogarsi e fare uso di alcool e pochi anni fa ho scoperto qual era la causa. Anzi, qual è la causa, ed è tuo padre. Non so perché ma è ancora depressa a causa sua.»
«Questo non ti obbligava a far soffrire me che non ho alcuna colpa! Sono solo sua figlia, non posso farci nulla.»
«Appunto, sei sua figlia. La cosa a cui un uomo tiene di più sono i propri figli. Soffrono loro, soffre anche loro padre. Se tu fossi stata triste, anche lui lo sarebbe stato. Questo era il mio piano …»
Heather si alzò velocemente dal divano. Le pungevano gli occhi e non avrebbe permesso al ragazzo di vederla piangere, non di nuovo. Stupida, era stata stupida ancora una volta a fidarsi di un maschio. Loro ti usavano e basta, perché non l’aveva ancora capito? Voleva correre, urlare, rifugiarsi da Courtney, piangere. Un’altra delusione, come sempre. Ma ormai era abituata alle delusioni.
Alejandro la bloccò prendendola per il polso. Heather cercò di strattonarsi dalla sua presa ma era troppo forte. «Lasciami.» cercò di dire con voce ferma e fredda prima di farsi sorprendere dai singhiozzi.
«... ma sono stato stupido e mi sono innamorato di te. Ora non voglio più farti soffrire.» Alejandro finì la sua frase. La ragazza non rispose, fissava una parte imprecisa del muro davanti a sé e aspettava che il messicano la lasciasse. Quando l’ebbe fatto, corse nella sua camera e aprì l’armadio che conteneva i suoi vestiti.

***

I quattro erano rimasti a discutere su ciò che era successo per altre tre ore. Roberto si era offerto per riportare Samantha a casa. Più che un’offerta, sentiva che quello era un dovere, il suo dovere. Era il minimo che potesse fare: si conoscevano da anni, erano stati fidanzati e l’aveva fatta anche soffrire, si era disturbato per andarla a prendere e ora doveva anche riaccompagnarla, non aveva intenzione di lasciarla nelle mani di Drew, nonostante fosse suo marito. Non avrebbe mai immaginato che potessero sposarsi. L’uomo sapeva che non si amavano sul serio, sapeva che vivevano nella stessa casa solo per farsi compagnia, in un certo senso.
Carla non avrebbe voluto che suo marito accompagnasse quella donna. Aveva paura che, in un modo o nell’altro, facendogli il lavaggio del cervello, potesse convincerlo a lasciarlo, ma sapeva che Roberto era troppo difficile da convincere. E poi l’amava, amava lei e sua figlia… Già, sua figlia. O almeno era quello che lui pensava. Si levò dalla testa quel pensiero. Courtney poteva avere un sangue diverso da quello di Roberto, ma era lui che l’aveva cresciuta e vista crescere, non Drew. Fino a poche ore prima, Courtney non l’aveva nemmeno mai visto.
Forse, Carla in realtà non voleva rimanere sola proprio con quell’uomo. L’idea di stare in quella stanza con lui le faceva percorrere un brivido lungo la schiena. Gli argomenti di discussione erano molto limitati, con lui. E questo le faceva paura. Non perché fosse stupido e non potesse parlargli liberamente, affatto. Anzi, era anche troppo intelligente e subdolo. In realtà, sapeva che Drew voleva parlare della loro situazione, della sua vita prima che lo rincontrasse, di quella dei loro figli. Di loro figlia.
«Ora che tuo marito non è qui, possiamo parlare liberamente.» Ecco, appunto. «Non negare l’evidenza, l’evidenza per me. So bene che Courtney …»
«Non dirlo, nemmeno per scherzo. Ciò che vuoi dire è vero ma non avrà mai il coraggio di dirlo. Mi viene la nausea solo a pensarci. Sappi che per lei non sei nessuno.» sputò Carla. Non lo guardò, non ne aveva il coraggio.
«Hai paura di dire cosa? Che Courtney è mia figlia?» Carla digrignò i denti, era evidente la sua rabbia. Drew ne fu felice e sul suo volto si dipinse un sincero ghigno.
«Non voglio parlarne. Piuttosto, quando hai intenzione di andartene?»
Egli sospirò. «Ora che siamo soli e soletti e possiamo parlare, mi mandi via? Se proprio vuoi, parliamo d’altro. Come stanno Takashi e tua sorella?» sorrise.
Carla spalancò gli occhi e finalmente lo guardò. «Non chiamarla così, non vuole essere chiamata così.»
L’uomo aggrottò la fronte. «E perché?»
Lei chiuse i pugni e sentì le sue unghie infilarsi nella carne dei propri palmi. «Sai che mia madre ci odia e ci reputa degli essere schifosi perché… bè, perché io sono stata con te e perché lei ha sposato un asiatico.»
«Oh, giusto, tua madre è razzista!»
«Ma papà non lo era, altrimenti non avrebbe mai dato a Mineko un nome giapponese. Nostra madre non si è mai più fatta vedere né sentire, ci disse che non dovevamo mai provare a rintracciarla. E noi così abbiamo fatto. Ci disse di non pensare più a lei come una mamma, di sapere che non abbiamo una mamma, e non avendo una mamma noi non siamo nemmeno sorelle. E poi sarebbe inutile dire a Courtney della sua parentela con Heather, ha già troppi problemi.»
«Ma prima o poi dovrai dirlo. Il prima possibile, non vorrai mica che tua figlia ti odi, vero?»
«Lo so, ma per ora è meglio stare zitti. Quindi taci e lasciala stare. Non avvicinarti a lei, non dirle nulla, nemmeno che è tua...»
«Ho capito.»
Drew si alzò dalla sedia e prese il suo cappotto poggiato sull’appendiabiti nel soggiorno. Si girò e guardò Carla. «Ti saluto, non abbiamo nulla da dirci. Comunque, sappi che verrò a trovarti. No, non è una minaccia, non preoccuparti.» rise notando la preoccupazione sul viso della donna. «Carla, tu vuoi far soffrire tua figlia?»
Lei sgranò gli occhi. Che cavolo di domanda era? La risposta era ovvia! E poi cosa centrava? «Mi sembra chiaro che la risposta è no.»
«Bè, sappi che comportandoti così lei soffrirà, e tanto. È palese che Courtney sia innamorata di Duncan e lui viceversa, ma ora che pensano di essere fratelli il loro amore è impossibile. Se non dirai a Roberto, Samantha e loro che Duncan è nostro figlio, lei soffrirà. E non credo che tu voglia vederla piangere, vero? E ora, con permesso.» detto questo si chiuse la porta alle spalle.
Il suo ragionamento non fa una piega.










Salve a tutti!
Sono tornata, un po' in ritardo rispetto a prima, ma sono tornata. Purtroppo per voi.
I problemi aumentano sempre e il titolo della storia si fa sempre più chiaro.
Non ho nulla da dire riguardo alla storia. Questo capitolo è più corto rispetto al primo, forse contiene più informazioni.
Nonostante questo, spero che vi sia comunque piaciuto e che recensiate. :)
Ringrazio ancora tutti voi che mi supportate e mi invogliate a scrivere.
Ora una domanda completamente no sense: quando pubblicate una storia, che tipo di font usate? Mi sono stufata di usare sempre questo e non so quale utilizzare.
Alla prossima, malec.

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Capitolo 22
*** Capitolo 18 ***


La ragazza si scostò le coperte di dosso e si alzò dal letto. Si mise le pantofole e spense la sveglia che stava sul comodino. Scese al piano di sotto e andò in cucina, fece colazione, poi risalì le scale e andò in bagno a lavarsi.
Erano due settimane che lei e Courtney erano tornate a casa. Dopo aver discusso con Alejandro, era andata nella sua camera e aveva cominciato a fare la valigia. Il messicano aveva spalancato la porta e chiesto cosa stesse facendo.
«Preparo la valigia. Torno a casa.» aveva risposto.
Egli aveva ribattuto, le aveva chiesto scusa e le aveva detto che la sua intenzione non era più quella di falla soffrire. E non perché lo aveva scoperto, ma perché… e aveva concluso la sua frase. Heather gli stava davanti, sguardo fisso nel suo con occhi calmi e freddi. Cosa stava dicendo?
«E perché?» aveva chiesto, come se fosse la cosa più normale del mondo. Ma per il ragazzo non era molto semplice risponderle.
«Niente, lascia stare. Cambieresti idea e rimarresti qui, se te lo dicessi?»
Lei aveva fatto di no con la testa e qualche passo in avanti. Si trovò di fronte ad Alejandro e le diede molto fastidio essere più bassa di lui. Le dava un senso di inferiorità e inadeguatezza. Eppure, lei era molto più forte. O almeno si convinceva di esserlo. Passò sotto al braccio di Alejandro che era poggiato alla porta e fu sorpresa di non essere fermata. Sorpresa e stranamente delusa.
Subito dopo, era andata in camera di Courtney. C’erano lei e Duncan, uno davanti all’altra e la ragazza era furiosa. Lo stava maledicendo nella sua lingua e, probabilmente, l’unico che potesse capirla era Alejandro. Un po’ era gelosa di quella loro piccola parte di intimità… no, ma che pensava?! L’ispanica l’aveva guardata con stupore e il punk si era girato.
«Dove stai andando con la valigia?» aveva chiesto la sua amica.
«A casa. Vuoi venire?» aveva risposto Heather. Le tese una mano come per incoraggiarla, per invitarla. Senza nemmeno pensarci, Courtney aveva annuito. Senza guardare Duncan, aveva girato i tacchi e preso la sua borsa. L’asiatica l’aveva aiutata a mettere i vestiti all’interno di essa. Come Alejandro, il punk non aveva replicato.
Finita anche la sua valigia, Courtney ed Heather erano uscite dalla camera. Ritrovarono i ragazzi nel salotto, stesi sul divano a bere birra e guardare film poco casti in televisione. Solo cinque minuti che erano mancati alla loro compagnia e già avevano reso quella camera un porcile. Le ragazze ebbero un guizzo di nostalgia nel cuore. Forse dovremmo restare. avevano pensato entrambe, senza pronunciare nessuna parola. No, non l’avrebbero fatto.
«Allora noi andiamo.» disse Heather. Gli occhi dei due si posizionarono sulle ragazze.
«Ciao.» aveva detto Courtney.
«Ciao, sorellina.»
«Ciao, mi amor.»

Mentre Courtney ed Heather uscivano dalla porta, i ragazzi già avevano sentito la loro mancanza.

***

Heather ed io ci stavamo dirigendo a scuola. Come sempre, eravamo a piedi. Era incredibile come un mese di scuola fosse già passato così velocemente. Era incredibile anche il fatto che, oltre Dawn, ci fossimo fatte nuove amiche e amici. Zoey, Mike, Geoff, Bridgette… già, purtroppo eravamo le uniche del gruppo ancora single. Goeff e Bridgette erano fidanzati da anni, Zoey e Mike da solo due settimane e Dawn, nonostante non lo ammettesse e non lo facesse sembrare, stava con Scott più o meno dall’inizio di quell’anno scolastico. E noi, come sempre, eravamo sole.
Dawn diceva che avremmo potuto avere una storia anche noi. Sì, se Duncan non si fosse rivelato mio fratello e Alejandro un traditore. Questi dettagli, però, li conoscevamo solo io, la mia migliore amica e i diretti interessati. Da quando avevamo lasciato quella casa, era tornato tutto alla normalità. Solita vita, solito pesante e monotono studio, solite uscite con lo stesso gruppo. Non avevo scambiato una sola parola con mio fratello, nonostante dovessimo dirci ancora molte cose e scoprirne delle nuove. Non sapevamo come comportarci. Stessa cosa era successo ad Heather: voleva sapere di più sulla storia dei suoi genitori, ma non voleva essere la prima ad attaccar bottone con il messicano. Troppo orgoglio e i maschi devono sempre fare il primo passo. Non avrebbe ceduto così in fretta, non gli avrebbe dato questa soddisfazione.
Tutti avevano notato che le cose tra noi quattro erano cambiate. Ero tornata accanto ad Heather, a scuola. Lei aveva persino ricominciato a frequentare Mark, ma non per tornare assieme. Erano solo amici, così lei diceva, ma ogni volta che il ragazzo metteva in discussione Alejandro diventava una furia. Le faceva ancora un certo effetto, e anche Duncan faceva, nonostante tutto, un certo effetto su di me. È ora che lo ammetta, in quel periodo mi stavo decisamente innamorando del punk. Non so dire se dopo aver scoperto che era mio fratello mi piacesse ancora o avessi lasciato perdere, ma mi importava ancora di lui. E tanto, purtroppo. In quel periodo stavo anche scrivendo un diario, tutto per me, per sfogarmi con testi, poesie, canzoni. Non bastava Heather per farmi sentire meglio. Se mia madre l’avesse trovato e letto, sarebbe stato un vero problema. Quelle parole scritte su bianco non le pronunciavo nemmeno alla mia migliore amica.
Divagando con la mente, non stavo dando ascolto alle parole del professore. Non sapevo quale materia fosse quella. Non mi capacitavo nemmeno di essere in classe. No, un momento, ma quello era un altro prof! Cavolo, la campanella era suonata e non me n’ero accorta. Ora in classe c’era il prof. McLaine. Aveva cominciato a parlare già da cinque minuti.
«… e quindi, vi annuncio con felicità un compito a sorpresa su tutto ciò che abbiamo studiato in questo mese. Vi avevo consigliato di ripetere, spero abbiate seguito la mia dritta.» queste furono le uniche parole che udii e mi fecero tornare sulla Terra. Fantastico, io ero distrutta e lui girava contento per i banchi distribuendo un foglio ad ogni alunno. Passò accanto a me e mi diede un foglio. Gli diedi un veloce sguardo. Oh, era facile, almeno. Finì di girare per la classe e si mise a sedere dinanzi alla cattedra.
«Bene, cominciate pure.»
Avevo risposto già a dieci domande su trenta, più o meno, quando mi sentii chiamare. Alzai gli occhi e perlustrai la classe. Chi mi stava chiamando? Solo dopo capii che la voce proveniva da dietro, quindi mi girai assieme ad Heather.
«Che cavolo vuoi?» sputai associando la voce al corpo.
«Sorellina, non rispondermi così.» aveva anche il coraggio di affibbiarmi questo soprannome e con quel tono? Forse era davvero meglio principessa. «Aiutateci e noi vi saremo in debito. Insomma, quest’anno vogliamo passare avanti!»
Fissai incredula Heather. Alejandro aveva chiamato anche lei. «E noi cosa ci guadagniamo?» chiese lei da parte di entrambe.
«Te l’ha detto, potrete chiederci un favore. Tutto quello che volete.» rispose il messicano.
«Anche girare nudi per la scuola?» dissi sarcastica io, ridendo.
«Già fatto.» rispose Duncan. Heather ed io spalancammo gli occhi. «Comunque, ci aiutate o no? Sapete che noi manteniamo sempre le promesse.»
Guardai la mia amica.
«E va bene, ma voi esaudirete qualsiasi nostro desiderio.»

***

Rigirai i fogli tra le mie mani e contemplai, contento, la C che vi era scritta sopra. C+, per precisare. Il voto maggiore che avessi mai preso. E tutto grazie alla mia ed adorabile Heather. No, non era mia, anche se l’avrei voluto fortemente. In quel momento maledetti mio fratello per avermi convinto a farla pagare a quell’uomo, Takashi, facendo soffrire sua figlia. Come aveva detto Heather, lei non centrava nulla, non avrei dovuto far stare male lei. Ma Josè aveva detto e ridetto per anni «La cosa più importante per un uomo sono i propri figli. Soffrono loro, soffre anche lui.» e io ci ero cascato. Se avessi saputo che sarebbe andata così… oh, al diavolo la mia famiglia. Mi ero così deciso a far star meglio mia madre, come se poi in quel modo ci sarei riuscito. E poi loro nemmeno mi volevano bene, mio padre mi considerava un figlio come gli altri, inutile come Josè e Carlos, e nonostante io conoscessi mia madre, lei non mi parlava manco. In sintesi, avevo fatto una cazzata.
Sospirai. Josè diceva sempre «Vorrei essere al tuo posto, tu conosci tua madre». Oh, sì, ma cosa sono per lei? Nulla. Non so nemmeno se ricordi ancora il mio nome.
Mi risvegliai dai miei pensieri udendo la musica ad alto volume provenire dalla camera di Duncan. Da quanto non la sentivo rimbombare per tutta la casa, da quanto non sentivo le lamentele dei vicini! Più o meno, venivano a bussare alla nostra porta dopo mezz’ora di casino. Durante la permanenza di Courtney ed Heather avevamo provato più volte ad alzare il volume della musica ma loro ci avevano sempre rimproverato. I loro rimproveri erano decisamente migliori e più divertenti di quelli dei vicini. Ci divertivamo a farle arrabbiare, vedere le loro faccio furiose od offese. Ma da due settimane le nostre conversazioni erano ridotte.
Bussarono alla porta. Venivano a sgridarci anche prima, quel giorno?
Mi alzai ed andai alla provenienza del continuo bussare.
«Arrivo, e che cazzo!» urlai, non scomodandomi per niente a velocizzare il passo né ad usare un linguaggio consono.
Spalancai la porta. «Dai, è da tanto che non facciamo baccano, perché volet… che ci fai tu qui?!» sbottai allargando gli occhi.
«Oh, Al.» disse, facendomi arrabbiare come sempre. «Pensavo saresti stato felice di rivedermi.»

Il mio sguardo era ostile. Non mi importava se ciò che mi doveva dire era una cosa importante, se se ne sarebbe andato sarebbe stato anche meglio. Stringevo i pugni forte, le nocche erano bianche e facevano contrasto con la mia pelle scura. Io era in piedi mentre lui, comodo come se fosse a casa sua, era steso sul divano e aveva i piedi incrociati poggiati sul tavolino davanti. Nonostante le mie stilettate – abituato a quelle di Heather, ora riuscivo a renderle molto più… terrificanti? – non si muoveva di un centimetro.
«Allora,» interruppi quel fastidioso silenzio. «cos’hai da dirmi?»
Finalmente mi guardò, con il suo strafottente sorriso dipinto sul volto. Era questo ciò che provava Heather quando ghignavo? Bè, se era quello, anch’io avrei avuto la voglia di darmi un pugno sul naso.
«Non ci vediamo da anni e mi dai il benvenuto così. Che maleducato.» disse sarcastico.
«Se hai qualcosa da dirmi, parla, altrimenti ti sbatto fuori a calci nel culo. E no, questa volta non scherzo.» lo precedetti, evitando di fargli raccontare qualche aneddoto che avrei sicuramente odiato.
«Oh, e va bene. Siediti accanto a me.» continuai a fissarlo imperturbabile senza muovere un muscolo. Sospirò e capì che non volevo nemmeno sfiorarlo. «Noto con piacere che siamo di cattivo umore.» sottolineò la parola piacere. «È forse colpa di Heather?»
Deglutii. La mia espressione non cambiò, nonostante il disagio. Non potevo sopportare di sentire il suo nome provenire dalla bocca di qualcun altro, specialmente un uomo disgustoso e spregevole come lui. «Non mettere in mezzo lei.»
«Perché, ti da fastidio se continuo a nominarla? Forse non hai tutti i torti ad essere arrabbiato con me. Ho fatto in modo che litigassi con lei, la ragazza che ami. E non hai nemmeno torto ad esserne innamorato, è così intelligente, bella e…»
«E dì un’altra cosa e, giuro, ti uccido. Ti spacco il vaso in testa o ti metto un coltello nel petto, oppure ti infilo sia il vaso che il coltello su per il…»
«Non essere volgare.» mi interruppe. Feci una faccia disgustata. Lui era quello volgare della famiglia, in realtà, anche se non lo dava a vedere. Le femmine notavano solo la loro bellezza. Lo notavano anche in me e in Carlos, però, ma Josè aveva solo quello di positivo. E forse la furbizia. Non era intelligente ma riusciva a sembrarlo. «Sono qui per parlare civilmente. Allora, cosa vuoi farne di lei?»
«Non dirlo come se fosse un oggetto. E poi che significa? E che ti interessa?»
«Non vuoi un consiglio da tuo fratello? Ti voglio tanto bene, farei qualunque cosa per te, e so come abbindolare qualsiasi ragazza, con il mio aiuto ci riusciresti subito.»
«Heather non è una puttana, i tuoi metodi non funzionano con lei. Nessun metodo funziona con lei.»
«Non credo. Chiunque cascherebbe ai miei piedi.» ghignò. Non voleva farlo di nuovo, sperai. Come se mi avesse letto nel pensiero, continuò a parlare. «Voglio provare anche con lei. Vi ho seguiti ed ascoltati, molte volte, e ho notato la difficoltà con cui riuscivi persino a parlarle. Quindi, questa volta, ti propongo una scommessa. Chi la conquisterà per prima?»
«Lei è innamorata di me, estupido
«Lo so. Ma ancora non state assieme. Chi diventerà per primo il suo fidanzato…» si fermò per un po’. «Anzi, no, chi se la porterà per primo a letto vincerà. Ci stai?»
Sgranai gli occhi. «No, no e no! Non posso nemmeno pensare che perderà la verginità con te! Nemmeno per idea!» urlai così forte da superare il volume della musica assordante che Duncan continuava ad ascoltare.
«Hai paura che io riesca a farlo? Perché sai che ci riuscirò.» lo guardai in cagnesco senza dir nulla. Non ci si poteva parlare, e ancora tutt’ora non ci riesco. «Bene, chi tace acconsente. Quindi… ci stai?» mi allungò una mano perché potessi stringergliela e quindi promettere, ma ciò che volli fu stritolargliela fino a staccarla.
«E va bene.» dissi molto lentamente e a bassa voce. «Ci sto. E sappi che mi impegnerò sul serio, perché non posso immaginare che tu… possa… oh, vattene, non ti voglio più vedere.» Mi girai e mi diressi in camera mia, non degnando di uno sguardo Josè. Sapevo, però, che se n’era andato.

***

Come qualche giorno prima, ero riuscito a scappare di casa scavalcando la finestra della mia camera e arrampicandomi sull’albero lì vicino. Facile, come sempre. Avevo lasciato lo stereo ad alto volume e la porta chiusa. Alejandro avrebbe pensato che volevo rimanere da solo, cosa che volevo sul serio. In quel periodo eravamo entrambi taciturni e solitari. Non eravamo allegri e scherzosi come sempre, non ci sarebbe importato nemmeno se le ragazze non ci avessero degnato di uno sguardo – cosa che, ovviamente, facevano –. O almeno, non tutte. Ci importava solo di due ragazze in particolare. Alejandro ed io avevamo pensato più volte di esserci… oddio, non riesco nemmeno a dirlo… di esserci innamorati, ma era una cosa fuori dal comune, per noi, e assolutamente inammissibile. Noi non avremmo mai amato nessuno.
All’inizio non sapevo dove andare. Non ero sceso per uno scopo preciso. Poi mi venne in mente un’idea.
Cominciai a camminare più velocemente verso quella strada che ormai conoscevo benissimo. In quel periodo l’avevo fatta molto spesso, senza però arrivare fino in fondo e bussarla. Troppo tempo era passato da quando avevamo parlato, l’ultima volta, ma quel giorno l’avevamo fatto e quindi decisi di arrivare fino al suo palazzo. In poco tempo ci arrivai e, ansioso, bussai. Dopo pochi secondi mi rispose lei.
«Chi è?»
«Sono io.» feci una pausa. «Duncan.»
La sentii sbuffare. «Che cosa vuoi?»
«Ho bisogno di parlarti.»
Sbuffò di nuovo ma aprì il cancello. Varcai il portone ed arrivai sulla soglia della sua porta, dopo aver salito le scale. La porta era spalancata ma nessuno era lì per aspettarmi. Sussurrai un permesso nel caso ci fosse qualcuno.
«Non essere così cortese, non c’è nessuno. Ah, chiudi la porta.» mi urlò dalla sua camera. Dopo averlo fatto, andai da lei.
«Che cosa vuoi?» sbottò continuando a scrivere.
«Fai i compiti?» lei annuì.
«Che cosa devi dirmi?»
«Nulla in particolare. Pensavo che potessimo…»
«Duncan.» mi guardò. «So cosa vuoi dirmi. Ciò che mi hai detto già, ma io ti ho risposto che siamo… fratelli,» deglutì. «non possiamo farci nulla.»
«Ma solo da parte di padre…» bisbigliai. Courtney non aveva sentito, aveva abbassato le sopracciglia. «E se non l’avremmo saputo tu cosa avresti fatto? Avresti ammesso i tuoi sentimenti?»
«Io non… non mi sei mai piaciuto, sei tu che eri innamorato!»
Sgranai gli occhi. «Non sono innamorato, né lo ero.»
«E allora perché ti importa tanto? Se sono una ragazza come le altre, perché non te ne trovi una nuova? In fondo, è quello che fai sempre, o mi sbaglio? Io sono tua sorella e da tale mi comporterò, e lo accetto. Sei tu quello che non lo fa, perché? Perché vuoi continuare a darmi fastidio, solo per questo? Mi vedi come un’altra?»
Ero nervoso. Il suo ragionamento era giusto, ma io non mi ero mai innamorato. E pensavo che non ci sarebbe mai stata una prima volta, e invece… oh, no, cavolo, non ero innamorato!
«Anche se non sono innamorato di te mi importa. Ho come l’impressione che mio padre ci stia mentendo. Noi non siamo fratelli, me lo sento, non ci somigliamo nemmeno un po’! Io ho la carnagione chiara di mia madre e il fisico di Roberto, mentre tu assomigli molto a…» lasciai la frase in sospeso e vidi un’espressione sorpresa mista all’orrore sul suo volto.
«Non dirlo nemmeno per scherzo! Mamma non tradirebbe mai mio padre, lei odiava Drew!»
«Lo so, ma lui l’ha stuprata, esattamente 15 anni fa. E tu, quest’anno, quanti anni fai?»
Lei si alzò furiosa e venne verso di me con passo veloce. «Non centra assolutamente nulla!»
«Pensi che sia solo una coincidenza?»
«Sì, assolutamente!»
«Per te non è una speranza? Forse non siamo sul serio fratelli.»
«E anche se fosse? Tu hai detto che…»
«Oh, cavolo, Courtney!» alzai il tono della voce ma non per rabbia. «Non capisci proprio nulla!»
Le cinsi la vita e mi avvicinai, lentamente. Volevo baciarla ma mi fermò con un dito sulle labbra e si scrollò le mie braccia di dosso.
«Senti, Duncan, io avrei un desiderio.» feci una faccia curiosa, quasi felice, ma quel desiderio non era ciò che mi aspettavo. «Esci dalla mia vita.»












Angolo dell'Autrice.
Ciao! Sono ritornata, un po' più tardi, ma sono comunque qui (purtroppo).
Non so se questo capitolo mi convinca oppure no.
Nell'ultima parte potreste riscontrare degli errori perchè non ho riletto.
Comunque, questa storia non è affatto finita. Credo che almeno altri 10 capitoli ci siano, poi probabilmente inizierò una nuova storia basata su loro quattro e forse qualche nuovo personaggio.
In qualunque caso vi ringrazio per avermi fatto arrivare fino a qui. Senza il vostro supporto non avrei sicuramente scritto.
Spero di avervi soddisfatto anche questa volta.
A presto, malec.

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Capitolo 23
*** Capitolo 19 ***


Non so precisamente quanto tempo passò. Una settimana, due, un mese. In fondo sono passati un sacco di anni. So solo che per un po’, dentro di me, nacque una grande speranza. Speravo che se ne fosse dimenticato. Finchè Heather un giorno non mi venne a parlare.
Stavo giocando con l’xbox quando sentii qualcuno cercare di suonare il campanello. Sì, cercare, perché io e Duncan l’avevamo distrutto poco tempo prima perché odiavamo sentire il suo odioso rumore ogni volta che un vicino veniva a lamentarsi. Dall’aggeggio si udì solo un flebile suono, poi quella persona bussò. Andai ad aprire e mi ritrovai davanti Heather, arrabbiata e furiosa, eppure io non avevo fatto nulla.
«Mi amor?» chiesi, sorpreso. «C’è qualche problema?»
«E me lo chiedi pure!» l’asiatica mi passò davanti e io la seguii con lo sguardo mentre chiudevo la porta. Si sedette a gambe accavallate sul divano. «Quel tipo, quello che tanto odi. È lui il problema!»
Feci una faccia interrogativa. «Mia cara querida, odio un sacco di gente, e tu ovviamente ne sei esclusa.»
Lei mi trafisse con gli occhi ma non rispose. «Tuo fratello, è lui il problema!»
Sgranai gli occhi. «M-mio fratello?»
«Sì, esatto! È tale quale a te. Antipatico, vanitoso, stupido e dongiovanni. Forse lui è addirittura più insopportabile.»
«Heather, dimmi cos’è successo.» mi sedetti accanto a lei, molto vicino e fui sorpreso dalla sua non-reazione.


La ragazza stava tornando da scuola insieme a Courtney, come ogni giorno. I giorni, ormai, erano sempre gli stessi senza la compagnia dei ragazzi. Studio, studio, studio, Courtney, studio, studio. Le loro uscite erano anche diminuite perché erano cariche di compiti. L’importante era che ci fosse Courtney, già, ma in parte le mancava Alejandro. Ovviamente non lo ammetteva.
Stavano parlando del più e del meno. Heather rispondeva con noncuranza alle domande dell’amica, con un semplice sì o no, e dava poco ascolto alle parole dell’altra. Distratta, andò a sbattere contro una persona. Se fosse stata una bella giornata, quella, avrebbe chiesto scusa a quel ragazzo educatamente, ma non lo era. Da tanto le giornate non erano belle.
«Ehi, stupido, fai più attenzione la prossima volta!» Finalmente l’asiatica guardò il ragazzo. Se non ci fosse andata incontro, avrebbe ammesso che era davvero un bel ragazzo. Era alto, il fisico palestrato e la pelle olivastra, gli occhi color smeraldo... sì, somigliava un sacco ad Alejandro, tranne per i capelli neri e più corti.
«Oh, chica, scusa. Stavo andando di fretta e non ho visto dove mettevo i piedi.» Anche la sua voce e il suo accento erano molto simili a quelli di Alejandro. Non che la cosa fosse positiva. «Oh, ma tu sei… Heather, giusto?»
La ragazza abbassò le sopracciglia e diede un veloce sguardo a Courtney. Se ne stava poggiata ad un auto lì affianco con il cellulare in mano. Cliccava velocemente i tasti e si chiese con chi stesse massaggiando. «Come fai a sapere il mio nome?»
«Oh, come, non mi riconosci?»
Heather abbozzò un sorriso. «No, davvero. Chi sei?»
Il ragazzo le poggiò una mano sul capo e la carezzò, come se fosse un gattino in cerca di affetto. «Forse capirai quando diventeremo cognati.»
Detto questo scostò la sua mano e le sorrise, poi disse qualcosa in spagnolo e se ne andò.
Cognato? Solo una persona poteva autodefinirsi suo marito.
Alejandro.


***

Heather finì il suo racconto, il volto paonazzo di rabbia. Forse anche un po’ di imbarazzo nel raccontarlo. Non era cosa da tutti i giorni essere definita la moglie di qualcuno, specialmente di quel messicano.
Alejandro sospirò di sollievo. La ragazza non ci trovava nulla di rassicurante in quello. Avrebbe dato volentieri un pugno alla faccia di lui, ma si trattenne. Il viso rilassato di Alejandro la fece arrabbiare ancora di più e digrignò i denti, socchiuse gli occhi. Egli la guardò prima con uno sguardo di interrogazione, poi scoppiò a ridere.
Heather lo guardò male. «Non c’è nulla da ridere, cretino!» urlò, ma questa battuta fece solo aumentare le risate di lui. «Se non la finisci di ridere do un calcio alle tue parti basse!» Stesso effetto. «Alejandro!» gridò infine, e il messicano finì di ridere. O almeno, tentò. Le risate erano più basse, cercava di nasconderle, ma c’erano comunque.
«Heather…»
«Posso sapere perché ridi? Io sarei andato a picchiare tuo fratello!» disse con un tono sempre alterato, ma più calmo.
«Heather, mio fratello è un idiota, te l’ho detto. Non devi ascoltarlo, mai, dice solo un sacco di stupidaggini. Se non fosse per la sua bellezza, nessuna ragazza gli andrebbe appresso.»
Ella fece un attimo di pausa. «In effetti è vero, è davvero un bel ragazzo.»
Ecco, quello non avrebbe dovuto dirlo. Alejandro strinse un pugno. No, non avrebbe mai picchiato la sua chica, ma suo fratello sì. «Ma è un idiota!»
Anche Heather scoppiò a ridere per la faccia del ragazzo. «Che ti frega di quello che penso di tuo fratello? Sei forse… geloso?»
Alejandro sgranò gli occhi e sperò con tutto il cuore che lei non notasse il suo improvviso rossore. «E perché dovrei esserlo? Tu sei... tu sei tu!» Ehi, che frase intelligente. Non c’era nessun motivo per cui dovesse essere geloso dei ragazzi che ci provavano con Heather. Neanche di quelli che la baciavano o l’avevano baciata, che le parlavano, scherzavano o ridevano con lei, dei suoi ex fidanzati o di chi era innamorato di lei. No, nessunissimo motivo. Ma allora perché lo era?
«Se io sono io perché ti importa così tanto di me?»
«Perché tu sei tu!» Stai facendo davvero una bella figura.
«Alejandro, se tu non fossi tu, in questo momento ti definirei carino. Tutti i ragazzi gelosi sono carini.»
Heather abbozzò un sorriso. Maledisse il messicano e maledisse se stessa. Dicendo quella cosa, cosa avrebbe pensato Alejandro? No, lui non era affatto carino! Ma quelle parole le erano uscite di bocca spontaneamente. Cercò di mantenere la calma e di non ritirare ciò che aveva detto. Avrebbe solo peggiorato la situazione. E poi, a lei cosa importava se il messicano era o no geloso? Assolutamente niente. Allora perché era felice dopo quel discorso? Meglio cambiare argomento, prima che lui dicesse qualcosa di estremamente stupido.
«Comunque, anche tu sei un idiota, le ragazze ti amano solo perché sei bello.»
E con quella frase avrebbe dovuto cambiare qualcosa, migliorare la situazione? Alejandro l’avrebbe presa in giro per sempre!
«Oh, ma guarda, questa è una data da ricordare sul calendario! Heather che ammette che sono figo.»
«Non ho detto che sei figo, imbecille! Ho solo detto che sei bello… argh, lasciamo stare, io me ne torno a casa!»
Heather passò accanto al ragazzo, il quale la fermò prendendola per il polso.
«Eddai, Heather, stavo scherzando. Non sei mica l’unica che mi dice che sono bello.»
«E sai cosa mi importa! Adesso lasciami!»
«Prima però devi promettermi una cosa.»
«E sarebbe?»
«Non parlare troppo con mio fratello. Anzi, non parlargli affatto. Qualunque cosa ti dica o ti faccia, dimmelo. Tu sei di mia proprietà.»
«Io non sono di tua proprietà, Alejandro. Non ho nessun segno o marchio che faccia capire agli altri che sono tua.»
Il messicano le cinse la vita e la tenne stretta a sé. Era consapevole che Heather si sarebbe infuriata per ciò che avrebbe fatto tra un momento all’altro.
Le prese il lembo della maglietta da dietro e lo tirò su, senza ascoltare le proteste dell’asiatica. Lo portò sopra fin quando non fu visibile il suo reggiseno. La voglia di toglierlo era molta ma non lo fece. Avvicinò la sua bocca alla schiena della ragazza e morse la sua pelle diafana. Succhiò, continuando ad avere la presa stretta su Heather. Quando si staccò, osservò quasi con soddisfazione la macchia violacea sulla pelle di lei.
«Ecco, ora hai un marchio da mostrare agli altri quando ci proveranno con te. Così capiranno che sei solo mia.»
«Tu… tu mi hai fatto un succhiotto!»
«Ringrazia che non ho continuato il mio lavoro.»
«Io ti denuncio per abuso sessuale!»
«Io non ti stuprerei mai, Heather, mio fratello sì. Per questo ti ho detto che non devi dargli corda, è chiaro?»
L’asiatica lo guardò stizzita. Dopo quello che le aveva fatto aveva il coraggio di dire che suo fratello era uno stupratore?
«Lo farò, ma tu non raccontare a nessuno di… questo. Oh, dai, come farò adesso a cambiarmi davanti a Courtney?!»
«Se vuoi posso stare io al posto suo.»
«Alejandro!»
«E va bene, mi limiterò al succhiotto.»
Heather girò i tacchi e andò verso la porta, poi uscì.
Perché, se Alejandro le aveva succhiato la pelle solo sulla schiena, sentiva un calore anche sulle guance, sull’intero corpo? Solo quel ragazzo poteva causarle simili reazioni.

***

Mi spostai velocemente dietro l’albero alla mia destra. Non ero molto silenziosa nel camminare, specialmente in quella situazione, con le prime foglie d’autunno sotto i piedi che scricchiolavano. Eppure, i due ragazzi non riuscivano a sentirmi. Ero troppo lontana perché loro udissero me, ma abbastanza vicina perché io potessi udire loro. Oppure, erano troppo presi dalla conversazione per ascoltare i rumori vicini.
Il punk la prese per mano e la portò ad una panchina. Si sedettero. La panca era proprio di fronte a me. Già, era un vero e proprio colpo di fortuna. Sperai solo che non mi venisse il singhiozzo, o che dovessi tossire o starnutire.
«Ultimamente non mi sei stata affatto d’aiuto, quindi non devi avere i miei soldi.» ripetette Duncan. Quella era la chissà quale volta che lo diceva, era davvero ripetitivo.
«Allora fa’ in modo che ti sia d’aiuto. Ho bisogno di soldi e non riesco a trovare un maledetto lavoro. Non se i baristi sanno che sono andata così tante volte in riformatorio.» Quella che parlava era la dark che ballò con Duncan al Pandemonium. Stavano parlando di soldi e aiuto da molto tempo, ma non riuscivo a collegare le cose.
«Gwen, non ho bisogno di aiuto. Cioè, sì, ne ho bisogno, ma non da te. Ti ricordi di quella ragazza, quella con cui dovevi aiutarmi? Ecco, ho scoperto che è mia sorella.»
Se la curiosità non fosse stata troppa, sarei andata lì a picchiare entrambi. Prima lui, poi anche la sua amichetta. Aveva pagato quella Gwen per farsi aiutare. Cioè, per farmi ingelosire. Ma non ci era nemmeno riuscito! No, affatto, perché avrei dovuto esserlo? Inoltre, andava a spifferare la storia della nostra parentela alla prima che capitava. Non che volessi che tutto il mondo venisse a scoprire che eravamo fratelli.
«Ma se non vi assomigliate nemmeno un po’!»
«Io sono figlia di Samantha e suo padre, non di Drew. In effetti è vero, io ci somiglio molto a questo,» Questo? Come osava chiamarlo questo? «ma lei no. Credo che non sia davvero mia sorella.»
«Cosa stai cercando di dirmi?»
«Sto cercando di dirti» disse tutto in un fiato. «che credo che lei sia figlia di Drew e sua madre. Ci sono tutte le carte in regola perché lo sia. Si somigliano, Drew stuprò Carla esattamente 15 anni fa, la sua età. Già te l’ho raccontata la storia, un po’ di tempo fa.»
Già le aveva raccontato la storia? Quella era la storia dei nostri genitori, la nostra storia.
«Non ricordo esattamente il viso di Courtney, quindi non so dirti se si somigliano veramente, ma se credi che non siate fratelli, dovreste andare da Drew e sua madre. Lei non può lasciare che sua figlia soffra.»
«Ci avevo già pensato ed hai ragione. Il punto è che Courtney non ne vuole sapere di questa faccenda. Crede che sia impossibile che sia figlia di Drew, perché sono troppo diversi. Per questo ho deciso di andarci da solo, ma non oggi. È meglio continuare la nostra passeggiata.»
Gwen annuì e si alzarono dalla panchina. Presero un’altra strada ma io non li seguii.
Mi girai, mettendo le spalle all’albero, e mi lasciai andare a terra. In quel momento, Duncan e quella non stavano cercando di farmi ingelosire, eppure lo ero. Ero gelosa, ma allora non lo ammettevo. Non ammettevo nulla: non riuscivo ad accettare di essere gelosa, innamorata del punk e speranzosa che non fossimo fratelli.
Non volevo essere figlia di Drew, non di un essere così. Sarei stata il risultato di uno stupro, mia madre avrebbe dovuto odiarmi. Se era davvero così, come poteva solo guardarmi in faccia? Per tutti quegli anni mi aveva cresciuta ed educata per bene, con amore e affetto. Non potevo essere la figlia di un uomo che le aveva fatto del male. Era forse l’unione con Roberto che l’aveva convinta di potermi ugualmente crescere? Il suo amore forse le aveva fatto effetto. Aveva deciso di farmi crescere con lei e lui, forse, in modo da dimenticare Drew e farmi pensare che era Roberto il mio vero padre, e con il tempo se n’era convinta anche lei.
Presi il mio cellulare e scrissi.
Quando andrai a parlare con Drew e mia mamma, DEVO esserci anch'io. Mettiamoci d'accordo domani.
Se era l’unico modo per stare con Duncan, allora preferivo davvero che fosse Drew mio padre.
Ma solo ora lo ammetto.












Angolo dell'Autrice.
Ehi, salve ragazzi! Sono tornata.
Fra poco la storia fa un anno! Devo ammettere che ho cambiato modo di scrivere in un anno, e spero in meglio.
Ho cominciato ad usare i pov dei ragazzi e, come avrete capito, raccontano del proprio passato. Già, ma a chi lo staranno raccontanto? -o-
Vorrei spoilerarvi tutto. ç__ç
Ringrazio di nuovo tutti voi! Le vostre recensioni sono sempre ben accette.
Alla prossima.
P.S.: Se volete, leggete anche la mia nuova long. Misfits!!!

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Capitolo 24
*** Capitolo 20 (Parte I) ***


«Non parlare troppo con mio fratello. Anzi, non parlargli affatto. Qualunque cosa ti dica o ti faccia, dimmelo. Tu sei di mia proprietà.»
Non ricordo quanto tempo passò da quando Alejandro mi disse quelle parole.
So solo che all’inizio non lo ascoltai. L’avrei potuto fare se non mi avesse fatto un succhiotto dietro la schiena.
Quella cosa mi fece arrabbiare. Bè, non era solo quello il motivo. Tutto ciò che faceva o diceva mi faceva arrabbiare. Quando diceva che ero sua, quando mi chiamava mi amor, querida o cose simili, quando mi parlava troppo e quando non mi parlava affatto, quando ripeteva che ero innamorata di lui e quando si vantava di tutte le ragazze che aveva avuto e che, facilmente, cadevano ai suoi piedi.
Mi ripetevo mentalmente che non mi importava affatto, nonostante tutte queste parole mi causassero un improvviso rossore. Mi giustificavo dicendo che ero arrabbiata. Già, ma perché lo ero? Cavolo, sai bene che non ne sei innamorata. Dicevo sempre questo, ma ovviamente non era vero.
Avevo ricominciato a parlargli come se niente fosse successo. Mi ero improvvisamente dimenticata del fatto che volesse farmi soffrire. Eppure, qualche volta, mi ritornava in mente ma mandavo quel pensiero in un angolo della testa e lo rinchiudevo lì. Non mi interessava. Sapevo che Alejandro non voleva più farmi stare male. O almeno me ne convincevo. Preferivo che mi facesse soffrire piuttosto che vivere senza di lui, perché non volevo né potevo farlo.
Parlavo anche con Mark. Avevo dimenticato anche che era stato il mio ex e che mi aveva tradita. Potevo anche sbatterglielo in faccia all’improvviso e litigare con lui, non me ne sarebbe importato. Non come se sarebbe successo con Alejandro.
Il messicano mi chiedeva sempre di cosa discutevamo. Io ridevo e gli chiedevo se fosse geloso. No, non erano vere e proprie domande, erano delle affermazioni. Lo facevo per ridere, per vedere la sua faccia paonazza, imbarazzata. Non sapevo – non sapevamo – che io gli sbattevo in faccia la verità e che lo dicevo anche perché mi faceva stare bene sapere che era geloso degli altri ragazzi. Gli importava di me, e gli importa ancora.
Quel periodo fu bellissimo. Ricordo ogni minimo particolare, ogni minima parola che dicevo ad Alejandro o che lui diceva a me. Ricordo la mia felicità che provavo nel solo stare con lui, che ovviamente ho ancora tuttora. Ma i periodi belli non durano a lungo.
Mia madre mi mandò a fare la spesa. Avevo appena finito di fare i compiti, Courtney aveva una questione importante da svolgere – che non voleva assolutamente dirmi – e Alejandro non si era fatto sentire, quindi dissi di sì.
Leggendo la lista delle cose da comprare, non prestai attenzione al carrello che aveva preso velocità con una mia spinta e che ora stava correndo per il lungo corridoio. Quando me ne accorsi l’aveva già quasi percorso tutto ed era troppo veloce, non potevo raggiungerlo. Un ragazzo sbucò da dietro l’angolo e il carrello finì addosso a lui. Volevo scomparire, che figura avevo fatto! Corsi da lui e lo aiutai a rialzarsi con una mano sulla spalla.
«Oh, scusami, davvero, sono mortificata!» dissi, ma lui non disse nulla. Si limitò a guardarmi e a sorridermi, come l’ultima volta.
«Querida, a quanto pare il destino vuole che ci incontriamo sempre.» si rialzò e dovetti alzare lo sguardo per fissargli il volto. «Sempre in malomodo.»
«Sei tu che non fai attenzione. E scusa, ma ora devo andare.» mi girai per rimettere le mani sul mio carrello, ma invece di due ne spuntarono tre. «Potresti lasciarmi in pace?»
«Cosa succede? Mio fratello ha fatto qualcosa di male?»
«Non nominare tuo fratello! So che lo odi, cerchi sempre un modo per farlo stare male, e stai cercando anche di allontanarlo da me, vero?» lo guardai con gli occhi semichiusi.
«E allora? Ti sta davvero così simpatico mio fratello?»
«Sicuramente più di quanto me ne sia tu.»
Presi la corsia per andare alla cassa e Josè mi seguì. Diceva qualcosa ma io non l’ascoltavo. Quando ebbi finito di pagare, uscii dal supermercato con due buste strapiene in entrambe le mani.
«Ehi, vuoi che ti aiuti a portarle?» mi propose lui con un tono gentile. A quei tempi, nonostante le parole di Alejandro, credevo davvero che fosse almeno un po’ buono e un bravo ragazzo, ma non era affatto così.
«No, dovrei andare a casa e abito molto vicino.»
«Già vuoi andartene?»
«E dove dovrei andare, scusa?»
«Volevo invitarti a uscire. Che ne dici? Oppure non ti va bene perché non sono Alejandro?»
«Smettila di inserirlo in ogni dialogo! A me non piace tuo fratello!»
«Io non ho mai detto questo.»
Con la coda dell’occhio vidi un ghigno formarsi sul suo viso.
«E va bene, accetto, ma solo per farti capire che a me non interessa minimamente tuo fratello!»
«E questo cosa centra?»
Sospirai con aria arrabbiata e gli allungai le braccia con le pesanti buste. Lui mi sorrise e le prese entrambe, come se avessero il peso di una piuma. Roteò su se stesso e si diresse alla parte opposta e io non potetti far altro che seguirlo.
«Dove mi stai portando?» chiesi sempre con un tono alterato.
Lui invece aveva sempre il suo finto carattere solare. «A casa mia.»
Aggrottai un sopracciglio. «Non avevi detto che volevi invitarmi a uscire
«Preferisco far portare una pizza a casa.»
«E chi ti ha detto che voglio rimanere da te a mangiare?!»
Mi guardò con il suo solito sorrisetto fastidioso ed ebbi la voglia di picchiarlo. Era molto più antipatico di Alejandro. Oppure era solo che mi ci ero abituata a lui, alla sua voce e alle sue battutine, e forse non sopportavo che qualcuno avesse il suo stesso carattere. Nessuno poteva prendere il suo posto.

***

Non sapevo se era uno scherzo, un modo per farmi andare via, per farmi capire che aveva cambiato idea o un modo per farmi restare lì per il resto della mia vita. Io sarei rimasto lì fino alla mia morte se Courtney avesse indossato sempre e solo il suo intimo.
«D-Duncan…» balbettò, diventando rossa come un peperone, eppure io non avevo detto nulla. Non ancora. «Oh, cavolo! Mi ero dimenticata! Dobbiamo…»
«Ehi, non ti preoccupare, se vuoi possiamo fare prima un altro tipo di servizio e poi parlare con tua madre.» ghignai e la squadrai da capo a piedi per la millesima volta.
«Tu… non guardare, porco!»
Mi sbattette la porta in faccia talmente forte che il rumore si sentì per l’intero palazzo. Corrugai la fronte e aspettai che la ragazza mi aprisse. Non mi aspettavo che la prendesse così. E infatti dopo due soli secondi mi riaprì.
«Scusami, è solo che…» fece una pausa. Era nascosta dietro alla porta, potevo scorgere solo il suo bel viso rosso. «Aspettami in cucina.»
Io entrai e guardai solo con la coda dell’occhio Courtney, cercando di non farmi notare. Probabilmente non ci ero riuscito perché mi urlo un’altra serie di insulti.
La casa era calda, fin troppo. Appena entrati, c’era il salone ad accogliere le persone, con un divano di pelle beige e un tavolino basso e lungo di fronte, a ambedue i lati vi erano due poltrone dello stesso modello del sofà; una televisione e dei quadri vivaci completavano il tutto. La cucina era a sinistra del salotto ed erano collegati senza alcuna porta. Era piccolina, ma abbastanza grande perché potesse contenere un tavolo grande con quattro sedie, i fornelli e il frigo, un microonde e un forno. Sopra, inchiodati al muro, vi erano degli armadietti e riposti all’interno vi erano le posate, i piatti, i bicchieri, le pentole e ogni altro tipo di utensile. Tra queste due stanze c’era il corridoio. Alla sua fine vi era la porta del bagno, alla sua sinistra il ripostiglio. Le altre camere erano nascoste dal muro, ma sapevo che in ordine c’erano la camera di Courtney, quella dei suoi genitori e un altro bagno.
Mi accomodai sul divano del salone e solo una volta seduto vidi la madre di Courtney in cucina, seduta in modo da potermi osservare. Mi osservava e quindi mi alzai.
«Salve.» dissi, cercando di avere un tono educato. «Non l’avevo vista.» mi portai una mano dietro la testa.
«Ciao, Duncan.» mi sorrise. «Mia figlia ha detto che dovete parlarmi.» annuii e lei fece un gesto con la mano, segno che mi stava invitando a sedermi, e così feci. «Scommetto che dovete parlarmi della vostra parentela, vero? Volete sapere la verità.»
Feci di nuovo sì con la testa. «Sì, io e Courtney non sembriamo fratelli né vogliamo esserlo.»
«Lo so.» rise. «Vedo come ti guarda, mia figlia, e vedo come tu guardi lei.»
«Io la guardo come guardo ogni ragazza.»
«No, non è vero. È lo stesso modo in cui tuo padre… cioè Drew guardava me, e lui mi amava.»
«Ma io non…» lasciai la frase in sospeso, non sapendo come continuare. Era davvero quella la verità? Non mi piaceva Courtney?
«Io vi dirò tutta la verità. Non voglio che mia figlia soffra. Ma devi promettermi che nemmeno tu sarai la causa della sua sofferenza. Courtney ti ha difeso molte volte con Roberto, sia dopo sia prima che scoprisse che eri suo figlio. Ha detto che non sei come Drew solo perché sei cresciuto con lui e con l’idea che fosse davvero tuo padre. Spero che abbia detto sul serio.»
Non potetti replicare. L’ispanica era arrivata, in pantaloncini azzurri e una maglietta fucsia, scarpe da ginnastica bianche. «Scusatemi, non c’era nulla di buono da mettermi.» Solita scusa di una ragazza che ha paura di scoprire se il ragazzo che ama è sul serio suo fratello. Nel frattempo, io ragionavo su ciò che mi aveva detto Carla. Courtney mi aveva difeso in presenza di suo padre, ciò significava che mi voleva bene. Anch’io le volevo bene, era ovvio, ma era solo amore fraterno e amichevole?
«Allora, mamma…» la ragazza si sedette tra me e sua madre. «Io… cioè, noi… volevamo sapere se… oh, insomma, sono davvero la sorella di Duncan?!»
Carla ci guardò. La tensione faceva da padrona in quella stanza e lei ci guardò, prima me, poi Courtney e deglutì.
«Visto che ci siete, vi racconterò tutto ciò che dovete sapere.»

***

La casa di Josè era normale, fin troppo normale per lui. Perché? Semplice, era il fratello di Alejandro, e la casa di quest’ultimo era una baracca sempre sottosopra. Quella no, era ben arredata e ordinata.
«Sei davvero il fratello di Alejandro?» sussurrai quando ero già a metà del corridoio e lui era molto più avanti, per questo non mi sentì. Per fortuna, altrimenti chissà cosa avrebbe detto.
Appena entrata, un’ondata di accoglienza e calore mi travolse. Il corridoio era lungo e largo, allestito con tappeti persiani e quadri di ogni colore, uno specchio con una cornice dorata appesa al muro e un sacco di altre decorazioni. Vi era anche una coppa a forma di pallone di calcio, ma mi sembrò strano che Josè ancora non si fosse vantato di essa.
C’erano due porte a destra, due a sinistra e una in fondo. Entrammo nella prima a destra: era la cucina, grande, un piccolo tavolo per solo due persone, una tv e tutto ciò che di solito c’è in una cucina. La stanza successiva era il salone e ci accomodammo lì.
«E le altre tre camere? Non me le fai vedere?» chiesi, sia curiosa che sospettosa.
«Sono le mie camere da letto. Una mia, una per i miei amici che vengono a dormire, e quella in fondo è il bagno.» mi spiegò sempre con il sorriso stampato sul volto. Che sorriso falso.
Avevo dimenticato il telefonino a casa e quindi mia madre non sapeva che ero lì, né potevo chiamare Courtney. O Alejandro. Grande sbaglio non portare il cellulare quando puoi rischiare di trovare il fratello del ragazzo di cui sei inn… con cui sei andata a vivere e che odia.
Sedetti sul divano a gambe accavallate e mi guardai intorno. Sentii un clic provenire da non so cosa ma non ci feci caso.
«Muoviti a ordinare quella pizza, mia madre sarà in pensiero.» sbottai, guardandolo finalmente. Il suo sorriso si era trasformato in un ghigno perfido.
«Che fretta c’è? Puoi restare qui tutta la notte se vuoi.»
La paura si impossessò di me ma rimasi calma, tranquilla, per non destare sospetti.
«Domani devo andare a scuola, non posso fare tardi, mi dispiace.»
Si avvicinò a me e mi presi per i polsi. Cercai di scrollarmelo di dosso, ormai stesa sul divano con lui sopra ghignante, ma era troppo forte. Mi portò le braccia all’insù.
«D-devo andare…» mormorai chiudendo gli occhi.
Lui non mi rispose. Sentivo il suo calore e il suo respiro addosso. Si avvicinò e mi baciò con foga. Avrebbe potuto baciare benissimo, anche più di Alejandro, ma mi avrebbe fatto schifo comunque. Le sue labbra non mi piacevano, il loro sapore era amaro. Mille ragazze sarebbero volute stare al mio posto, lo so, e gliel’avrei ceduto subito.
Infilò nella mia bocca anche la sua lingua e gliela morsi. Lui si staccò di me e si portò le mani al viso. Io me ne approfittai e gli diedi un pugno facendolo cadere di dietro. Mi alzai velocemente e corsi verso la porta. Capii cos’era stato quel rumore di prima: aveva chiuso la porta a chiave. Cercai di sfondarla, invano.
«Non credo che una donna fragile come te possa aprire quella porta a spallate.» disse. Sentii i suoi passi dietro di me e mi prese per la vita, girandomi verso di lui. Il suo tocco era diverso da quello di Alejandro: più selvaggio, più cattivo, più falso. Alejandro era più delicato, più dolce, più sincero. Quando era lui a voltarmi in quel modo e a guardarmi negli occhi era diverso. Sapevo che voleva significare qualcosa… E puntualmente mi baciava. Non come Josè, che mi mise le mani dietro la schiena e posizionò di nuovo la sua bocca sulla mia. Tenni la mia chiusa, cercando di non fargli usare anche la lingua. Mi fece scivolare a terra insieme a lui e finimmo entrambi a pochi centimetri dalla porta. Lo morsi di nuovo ma non si staccò. Anzi, mi prese i lembi della maglietta e cercò di sfilarmela, ma tenni ferme le mani vicino ai miei fianchi. Mi guardò e ghignò.
«Vuoi arrivare direttamente al sodo, eh?»
Deglutii. Sentii le lacrime scorrermi per il viso mentre mi divaricava le gambe e mi sbottonava i jeans.
«Fermati, stronzo!» singhiozzai.
Lui non si fermò. Non credo mi sentì. Mi fece scivolare i jeans fino a sotto al ginocchio. Gli diedi una spintonata e barcollò, ma era sulle ginocchia a non cadde. Cercai di levarmelo di dosso in qualunque modo, ma non ne voleva sapere.
«Stai ferma, troia!» mi urlò.
Alejandro aveva ragione. Non dovevo ascoltare suo fratello, né tantomeno andare a casa sua!
Mi prese i lembi dell’intimo. Li abbassò…
E sbattette la nuca contro la porta. Qualcuno l’aveva aperta ed era entrato nella camera.
Un ragazzo alto, magro, muscoloso, con gli occhi color verde smeraldo e i capelli castani. Dannatamente bello, eppure…
«Josè, cabron…» disse come se gli era affezionato. «Quando la smetterai di infastidire le donne di tuo fratello?»













Angolo dell'Autrice!
Sono ritornata subito, avete visto? Questa storia mi sta appassionando, ma credo che manchino pochi capitoli (pochi capitolo: una decina di capitoli).
Carla racconterà tutta la storia a Duncan e Courtney. Come ha conosciuto Drew? E come mai conoscono anche i genitori di Alejandro?
Abbiamo scoperto anche le intenzioni di Josè. Cioè, noi le conoscevamo, Heather no. E chi sarà quella persona che è entrata in camera, "salvandola"?
Inoltre, perchè Heather parla al passato e lo paragona al presente?
Ok, sembro un'idiota, lo so, ma voglio solo farvi incuriosire.
Vi ringrazio per tutte le recensioni e ringrazio anche le lettrici silenziose!
E ringrazio anche chi ha letto e recensito anche la mia nuova long: Misfits!!
Al prossimo capitolo! :)

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Capitolo 25
*** Capitolo 20 (Parte II) ***


Carla continuava a guardare fisso un punto indefinito, tamburellando le dita sul piano del tavolo da circa cinque minuti. Stavo cominciando a stufarmi.
«Hai intenzione di raccontarcelo entro domani?» sputai come fosse un insulto.
Courtney mi lanciò un’occhiataccia. Era sua madre e capiva il suo turbamento, ma anche sul suo volto si intravedeva un po’ di irritazione. Carla guardò sua figlia e lei annuì, quasi cercando di convincerla e incoraggiarla.
«Mineko ed io eravamo inseparabili, come te ed Heather.» cominciò la donna. «Eravamo sempre insieme. Eravamo come due…» esitò. Il volto un misto tra l’agitazione e la paura. «…sorelle.» deglutì. «Conobbi Drew alle scuole medie. Me ne innamorai subito: era un ragazzo affascinante ed intelligente ed anche simpatico, uno dei pochi buoni in quella scuola. Anche lui provava un certo interesse per me, o così mi dicevano tutte, e io speravo che fosse il vero. Un giorno mi chiese di uscire ed io accettai. Ci frequentammo per quattro mesi e decidemmo di fidanzarci. All’inizio eravamo felici, era tutto rose e fiori, ma poi Drew si fece troppo possessivo. Qualunque cosa dicessi ad un altro ragazzo, qualunque occhiata, per lui era segno di tradimento. Non so chi gli disse che mi aveva visto baciare un altro e… mi diede uno schiaffo.» fece una piccola pausa. Courtney era completamente presa dal racconto. «Durò così per tanto tempo. Dagli schiaffi passò ai pugni, ai calci. Alla fine mi traumatizzò, ero completamente terrorizzata da lui. Non ho mai detto nulla a nessuno e decisi di rompere con lui. Quando decisi che era il momento giusto glielo dissi, ma fu un grandissimo errore. Mi picchiò come non ebbe mai fatto. Non solo schiaffi o calci. L’ultima cosa che mi ricordo di quel bruttissimo episodio fu che mi spaccò una bottiglia in testa. Svenni e, quando mi risvegliai, mi trovavo nel letto di casa mia. I miei genitori erano preoccupati, ovviamente, così come Mineko. Drew mentì, inventando chissà quale scusa per i lividi e il graffio sulla guancia che mi aveva causato. Loro ovviamente gli credettero.»
«Quando hai conosciuto papà… Roberto?» Courtney si corresse subito come se chiamarlo papà le facesse bruciare la lingua. Eppure fino a qualche ora fa era ancora suo padre a tutti gli effetti.
«Alle scuole superiori. Mineko ed io avevamo scelto la stessa scuola e Drew ci seguì, mi seguì per tenermi sotto controllo. Mia s… emh, Mineko non sapeva nulla di ciò che mi aveva fatto e quindi non ebbe alcun sospetto. Ma Drew ed io capitammo in due classi diverse, per fortuna. Io conobbi Roberto e Mineko conobbe Takashi e ci innamorammo. Ad insaputa di Drew, Roberto ed io cominciammo a frequentarci finchè non si dichiarò, e io gli dissi che ero già fidanzata. Lui si arrabbiò tantissimo, dicendo che l’avevo solo usato, e quindi gli dissi tutto. Gli dissi che Drew mi aveva fatto del male e che volevo finirla con lui. Sarei andata quel pomeriggio stesso a casa sua per dirgli tutto, ma Roberto me lo negò, dicendo che era pericoloso. Io non lo ascoltai, andai comunque, e come già sapete Drew mi violentò. Nel frattempo Mineko usciva con Takashi, erano molto felici, ma lui dichiarò di essere già impegnato con un’altra. È una storia molto simile alla nostra, un po’ diversa. Mineko si arrabbiò ma Takashi le disse che la amava sul serio e quindi le promise di lasciare la sua ragazza. Si chiamava Carmen e quel pomeriggio andò da lei. La lasciò e so che dopo quell’accaduto passò un brutto periodo, tra alcool e droga. Lei lo amava sul serio e lui… lui era uno stronzo. In realtà non mi è mai andato a genio. Alla fine, Carmen si innamorò del suo psicologo, Miguel. Si sposarono ed ebbero un figlio.»
Carla si fermò e mi guardò. Quella storia la conoscevo già. Quei nomi li conoscevo già. Carmen e Miguel, droga e alcool…
«Alejandro?» bisbigliai, non so se come un’affermazione o una domanda, ma Carla annuì.
«Esatto. Miguel aveva già due figli, Josè e Carlos. La madre di Carlos morì a causa del parto, quella di Josè non la si conosceva. Ma dopo pochi anni, Carmen rincontrò Takashi e Mineko e capì di essere ancora innamorata di lui. Ricominciò ad usufruire di sostanze pericolose. Alejandro si fece raccontare tutto da suo padre ed è per questo che ha deciso di far soffrire Heather, in modo da far star male anche suo padre, ma a quanto pare il suo piano è andato in fumo.»
«Ma Courtney ed io siamo fratelli, sì o no?» ruggii, in preda alla rabbia. Certo, quelle cose erano interessanti, ma non per me! Già sapevo tutto.
Carla sospirò e si portò una mano al volto, e con voce bassa disse: «No, non lo siete.» si levò la mano dal viso. «Drew mi stuprò e rimasi incinta di Courtney. Roberto, un anno precedente, era stato fidanzato con Samantha e lei era rimasta incinta di te, Duncan. Ma Roberto la mollò e Sam non se la sentì di dirgli di suo figlio. Ma lui ovviamente venne a conoscenza di questo bambino. Sam disse che era figlio di Drew e Roberto le credette, ma non credette a me quando gli dissi che quella bambina era nostra figlia. Gli raccontai tutto solo una volta che fosse nata, così Roberto non avrebbe potuto ucciderla o farle del male. Voleva che abortissi, ma alla fine… alla fine ti ha accettata, e ti ha cresciuta come una vera figlia.» sorrise a Courtney che però non ricambiò. Anzi, continuò a fare domande.
«Heather mi ha detto una cosa.» sputò, guardandola quasi con odio. «Me l’ha detto solo qualche giorno fa, anche se è successo anni fa.» deglutì. «Quando era più piccola, ma non troppo da essere tanto stupida, trovò una foto in un cassetto di Mineko. C’eravate tu e lei con papà e Takashi. C’erano scritti dei nomi sotto ai vostri volti. Sotto quello di papà… Roberto, c’era scritto il suo nome, così come sotto quello di Takashi. Sotto di te c’era scritto Cecily e sotto Mineko c’era scritto Megan. Qualche spiegazione?» alzò un sopracciglio in attesa di una risposta.
Carla si alzò e si mise in modo da non poterci guardare, di spalle. «Cecily e Megan erano i nostri nomi, una volta. Li cambiammo perché nostra madre ci disse di farlo. Odiava il fatto che io stessi con uno spagnolo e lei con un asiatico, perché eravamo inglesi e diceva sempre che gli stranieri non erano buoni. Era razzista. Ma noi eravamo innamorate e non le demmo retta. Ci sposammo ma lei non volle venire al nostro matrimonio. Ci disse che dovevamo dimenticarla, che non dovevamo più pensare di avere una madre e ci ordinò di cambiare nomi, ma non cambiammo i cognomi con quelli dei nostri mariti. Era il cognome di nostro padre, e poiché lui era morto non poteva decidere da parte sua…»
«Un momento!» sbottò Courtney all’improvviso. «Nostro padre? Nostra madre? Che significa?!»
Sua madre si rigirò verso di noi e sospirò. Chiuse gli occhi e poi parlò. «Significa che io e Mineko siamo sorelle. Tu ed Heather siete cugine.»

***

Alejandro, Alejandro!
Furono questi i miei primi pensieri nel vedere quel ragazzo. Alejandro era venuto lì per salvarmi, nonostante odiasse suo fratello. I suoi occhi color smeraldo, la sua pelle ambrata, i suoi capelli morbidi e castani… sì, erano tutte cose che c’erano in quel ragazzo, ma non era decisamente Alejandro! Le mani affusolate, il corpo snello e lievemente muscoloso, l’altezza che lasciava a desiderare, quel cappellino rosso sulla testa che Alejandro non avrebbe mai indossato.
«Josè,» disse il ragazzo facendo un passo verso di noi. «lascia stare Heather. Non credo che il nostro fratellino sarà felice di questa cosa.»
«Come se me ne importasse di quel coglione!» urlò Josè levandosi di dosso, per mio grande sollievo. «Perché devi rovinare sempre tutto?»
Guardavo quel ragazzo così simile ad Alejandro – e anche ad Josè – come se fosse un angelo sceso in terra. In un modo o nell’altro, mi aveva salvata! Dovevo avere uno sguardo decisamente idiota perché lui rise appena e mi porse una mano. La tirò indietro quando notò in che stato ero.
«Heather Wilson, giusto?» chiese con gentilezza ed educazione. Mi chiesi se anche lui stesse recitando, ma qualcosa mi diceva che non era così. «Io sono Carlos Burromuerto, fratello di Josè e di Alejandro.» Io annuii poco convinta. Quindi lui era il secondo dei Burromuerto! «Ora io e mio fratello andiamo in cucina. Vi aspetteremo lì, signorina, per le dovute scuse. Vero, Josè?» lanciò uno sguardo accusatorio al fratello e mi chiesi se davvero fossero parenti.
Una volta che furono usciti dalla stanza, mi aggiustai l’intimo e raccolsi i miei vestiti. Li indossai e mi diedi una veloce occhiata allo specchio appeso al muro. Subito dopo ero di nuovo con Carlos e Josè, in cucina. Avevo interrotto una discussione ma loro fecero finta di niente.
Carlos si girò per guardarmi e sfoggiò un altro dei suoi sorrisi. I tre fratelli erano così diversi e uguali allo stesso tempo! Belli e intelligenti, eppure Josè era sfacciato, antipatico, subdolo, bugiardo e falso. A primo impatto sarebbe potuto sembrare un ottimo ragazzo, e invece era tutto il contrario di ciò che sembrava. Carlos invece era delicato, il viso sembrava ancora quello di un bambino e faceva contrasto con il suo corpo. I muscoli c’erano seppur meno marcati. Era bello ma sembrava non accorgersene. E Alejandro… bè, Alejandro era Alejandro! Cercai di trovare in lui un difetto, ma in quel momento non ci riuscii. Mi chiesi se, in un’altra situazione, ci sarei riuscita.
«Heather!» mi chiamò Carlos. «Mi dispiace molto per ciò che è successo. Josè tende a fare così con tutte le ragazze di mio fratello Alejandro. A quanto pare è geloso che le belle ragazze tocchino sempre a lui…»
«Non sono geloso di quell’idiota!»
«Alejandro ed io non siamo fidanzati.» replicammo contemporaneamente. Carlos rise.
«Siete entrambi dei grandissimi bugiardi.» scherzò cercando di essere divertente. Ma non lo era! Potevano anche essere belli, già, ma erano tutti e tre molto fastidiosi. «Piuttosto, Josè, chiedi subito scusa ad Heather.»
«Perché dovrei?» urlò come una ragazzina offesa guardando il fratello con le braccia conserte.
«Perché hai cercato di violentarla e non è una cosa molto carina.» rispose semplicemente l’altro.
Josè grugnì e balbettò. «Scusa.»
«Non ho sentito.» bisbigliò Carlos.
«Scusami!» quasi gridò Josè.
«Emh… vorrei scusarti, ma non credo che potrò mai farlo.» dissi rossa in volto, non so se per la rabbia o per l’imbarazzo.
«Questi son cazzi tuoi.» ruggì Josè. Fece il giro del tavolo e mi passò affianco – non mi ero mossa dalla soglia della porta – e tornò in camera sua.
«Forse è meglio che vada…» sussurrai dopo che ebbe sbattuto la porta. Feci per andarmene agitando una mano in segno di saluto, ma Carlos mi prese un polso.
«Ti riaccompagno a casa.»

***

Il mio passo era lento e notavo che Carlos faceva fatica a starmi accanto e a rallentare. Tenevo costante distanza da lui come se da un momento all’altro potesse prendermi e farmi ciò che avrebbe voluto Josè, ma non era di certo il tipo.
«Allora, Heather!» disse tutt’ad un tratto con un tono pieno di gioia. «Come vanno le cose a mio fratello? Non lo vedo da secoli.» sentivo nella sua voce anche un po’ di nostalgia.
«Sta meglio di quanto tu creda.» risposi io, ridendo. «Lui e Duncan insieme se la cavano, anche se è una cosa molto improbabile.»
«E dove trovano i soldi per l’affitto? E il cibo? E tutte le spese per la casa?» nonostante le continue domande non era affatto assillante. Non come Alejandro.
«Hanno una specie di lavoro, ma non credo che possa dirtelo.» sorrisi ripensando a quel sabato sera in cui Courtney ed io li seguimmo fino al Pandemonium, al barista con cui feci amicizia e a loro due sul palco, che cantavano e sembravano davvero felici. “The Blood on the Knife” li avevano chiamati quelle ragazzine entusiaste delle loro voci e, molto probabilmente, anche dei loro corpi senza magliette.
«Se proprio non vuoi dirmelo.»
Guardai Carlos per qualche secondo. Era il più basso dei tre fratelli perché era alto quanto me. Alejandro, invece, aveva una decina di centimetri in più di me e odiavo il fatto di dover alzare la testa per guardarlo in faccia.
«Josè è un calciatore?» gli chiesi per rompere quell’aria imbarazzante che si era creata, mentre il ricordo del trofeo a forma di pallone da calcio riemergeva nella mia mente.
«No, sono io il calciatore della famiglia.» rispose e mi guardò sorridendo. Io ricambiai. «Per questo sono sempre in viaggio. Proprio stamattina sono tornato dall’Italia e ho capito che qualcosa era successo perché Josè non è venuto a prendermi. Quindi mi sono catapultato a casa nostra e… ti ho salvata, diciamo.»
«Tuo fratello mi aveva detto che viveva da solo.»
«Quando sono all’estero sì. Poi torno qui e vivo con lui. E a te cosa piace fare?»
Non potetti rispondere perché sentii urlare il mio nome. Mi voltai e guardai di fronte a me: un ragazzo mi stava correndo incontro.
«Heather!»
Si fermò una volta che fummo abbastanza vicini e mi abbracciò così forte che faticai a respirare.
«Alejandro, mi stai uccidendo…» sussurrai. Lui mi lasciò e mi prese il volto tra le mani.
«Sei consapevole di ciò che mi hai fatto passare? Di ciò che ci hai fatto passare? Tua madre è preoccupatissima. Dove eri finita?»
Deglutii e diedi uno sguardo veloce all’orologio che teneva al polso: erano passate tre ore da quando ero andata a fare la spesa! Solo in quel momento notai che il sole era quasi del tutto calato.
«Io… non…» balbettai, ma venni interrotta.
«Fratellino!» urlò Carlos ed Alejandro si accorse di lui solo allora. Corrugò la fronte e lo guardò come se fosse un fantasma.
«Carlos? Che cosa ci fai tu qui? Con lei ruggì suo fratello, che mi mise un braccio attorno alla vita. Aggrottai un sopracciglio e abbassai il volto, cercando di nascondere il mio improvviso rossore. Probabilmente Alejandro non si era nemmeno accorto del suo gesto.
«Direi di parlarne davanti ad una pizza, che ne dite? Così la tua bocca sarà impegnata a masticare e eviterai di lanciare insulti al tuo povero fratello maggiore. E sai che non sto parlando di me.»









E rieccomi con un nuovo lungo capitolo pieno di curiosità!
Ora conoscete tutta la storia, e non solo voi, ma anche... non vi siete chiesti a chi possano raccontare questi accaduti i nostri quattro personaggi? Ma questo lo scoprirete solo all'ultimo capitolo della storia.
Abbiamo scoperto anche il perchè del titolo di questa storia.
Come già ho detto, mancano una decina di capitoli alla fine molto probabilmente, a meno che non mi vengano altre idee.
Ho sospeso l'altra storia perchè non mi convince molto, non so nemmeno se la continuerò dopo che avrò finito questa perchè avrei in mente un'altra long (Duncney sicuramente, non so se ci saranno anche Alejandro ed Heather).
Ringrazio ancora chi ha recensito il capitolo precedente e tutti gli altri, e anche i lettori silenziosi che hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Alla prossima! :)
P.S.: volevo solo dirvi che la storia ha quasi compiuto un anno! Una delle poche long che alla fine porterò a termine. :')

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Capitolo 26
*** Capitolo 20 (Parte III) ***


Decisi di non raccontare la verità a mia madre. Mi giustificai dicendole che avevo incontrato un’amica al supermercato e che mi aveva invitato a casa sua. Solo mentre parlavo mi resi conto di non avere più le buste della spesa nelle mie mani, quindi le dissi che le avevo lasciate dalla mia amica. Eravamo già in pizzeria, Alejandro e Carlos ed io, e mamma fu felice di sapere che ero in compagnia di quel ragazzo che ormai aveva conquistato la sua fiducia ed il suo cuore. Ma di certo non ci è riuscito con me, pensai. «Se vuoi, puoi tornare anche alle undici a casa, questa volta.» mi disse mia madre. Chissà che lavaggio del cervello le aveva fatto, Alejandro. Mi limitai a sospirare e a salutarla. Chiusi la chiamata – che avevo effettuato con il cellulare di Alejandro – ed uscii dal bagno, dirigendomi verso il tavolo al quale erano già seduti i due fratelli. Il locale era piccolo; se non fosse stato per l’odore di frittura che si sentiva fin da fuori, chiunque lo avrebbe scambiato per un bar: vi erano una decina di tavoli rustici rettangolari ai cui lati vi erano due panche. Un tavolo bastava per sei persone.
Quando arrivai Alejandro mi sorrise e mi fece segno di sedermi accanto a lui. Roteai gli occhi e così feci.
«Heather, che cosa vuoi?»
«Mi amor, cosa desideri?» mi chiesero entrambi all’unisono.
«Non ho soldi, quindi non prenderò nulla.»
«Ma, querida, davvero credevi che ti avrei fatto pagare? Con o senza soldi, la pizza te la offro io.» disse Alejandro. Era stranamente gentile, quella sera. Era forse per la presenza di Carlos? Voleva fare bella figura? Voleva fargli credere di essere diventato una buona persona? Lo guardai e non potetti fare a meno di notare che i suoi occhi verdi brillavano.
«Io… non… una margherita.» sospirai. «Vorrei una margherita.»
Proprio in quel momento il cameriere ci si avvicinò. «Cosa ordinate?»
Non ascoltai ciò che dissero. Ero incantata e pensavo e ripensavo a ciò che era successo a casa di Josè. Aveva cercato di stuprarmi! Carlos era intervenuto, chissà cosa sarebbe accaduto se non fosse arrivato lui. E mi aveva accompagnato a casa, o almeno era quello il suo intento. Perché poi Alejandro era corso verso di noi, verso di me, come se suo fratello fosse invisibile e non fosse importante. Mi aveva abbracciata e… era davvero preoccupato, arrabbiato perché non lo avevo avvisato, perché non avevo portato il cellulare con me, perché aveva avuto paura. E aveva gli occhi lucidi. Poi aveva notato Carlos e si era meravigliato. Perché sei qui con lei? Questo significava il suo sguardo. E mi aveva circondato la vita, come per fargli capire che io ero… sua. Ero sua, questo voleva lui e questo volevo io.
«Heather? Heather!» la voce di Alejandro mi fece tornare alla realtà.
«Sì, scusa.» balbettai, continuando a distogliere lo sguardo dai due fratelli.
«Bene. Ora volete spiegarmi perché eravate insieme?» nel suo tono c’era rabbia e fastidio. Fastidio per averci trovati insieme e vicini, come se fossimo stati amici da sempre.
Carlos fece per parlare, ma lo interruppi. «Vorrei spiegargli tutto io.» Carlos annuì e mi sorrise, cosa che non passò inosservata ad Alejandro che, se avesse potuto, avrebbe incenerito il fratello con gli occhi. «Ero andata a fare la spesa. Ero distratta ed il carrello mi è scivolato dalle mani. Ha cominciato a correre per il corridoio ed ha sbattuto contro una persona. Quella persona era… tuo fratello, Josè.» Alejandro sbattette il bicchiere sul piano del tavolo causando una crepa al vetro. Per poco non sputò tutta l’acqua. «Già l’ho conosciuto, lo sai, e mi ha convinto ad andare a casa sua. Poi però siamo andati nel soggiorno e… ha cercato di violentarmi! Carlos è entrato all’improvviso nella camera e così non è successo niente, ma se non fosse stato per lui… oh, cavolo, Alejandro, voleva violentarmi!» Avevo gli occhi lucidi, ma in un modo o nell’altro riuscii a respingere le lacrime, anche se a fatica. Non volevo però che Carlos – ed anche lo stesso Alejandro – vedessero in che stato fossi, e allungai le mani verso il ragazzo che mi era affianco e le strinsi sulla sua camicia. Nascosi il volto nell’incavo tra il suo collo e la sua spalla. Probabilmente lui mi sentì singhiozzare, ma già mi aveva visto piangere una volta, alla festa. Non sarebbe cambiato poi molto se me l’avesse visto fare un’altra volta. In qualche modo, sapevo che non mi riteneva debole, che piangessi oppure no. Alejandro mi circondò con le sue braccia e poggiò il suo mento sul mio capo. «Alejandro, avevi ragione, non avrei dovuto fidarmi di Josè! Avevi ragione, avevi fottutamente ragione!»
«Bè, mi amor, adesso sai che se ti dico qualcosa è solo per avvertirti, perché non vorrei mai che ti succedesse qualcosa. Se ti succedesse qualcosa, non me lo perdonerei mai,» avvicinò le sue labbra al mio orecchio ed abbassò il volume della voce, in modo da non far udire le sue parole al fratello. «perché tu sei la cosa più importante che ho.» Sentii il volto diventarmi paonazzo e probabilmente Alejandro se ne accorse, perché sentii il suo petto vibrare, segno che aveva riso. «E anche quando dico che tu sei innamorata di me, ho perfettamente ragione.»

***

Le braccia di Duncan erano l’unico luogo in cui, in quel momento, avrei potuto trovare un po’ di conforto.
Dopo che mamma ci ebbe raccontato tutta la storia, in preda alla rabbia più totale, mi ero alzata sbattendo un pugno sul tavolo ed ero scappata fuori di casa. Duncan mi aveva seguita e prima che potessi andarmene in giro senza una meta precisa, mi aveva afferrata per il polso e mi aveva abbracciata prendendomi per la vita. «Ti porto a casa mia, va bene, principessa?» Il suo respiro caldo mi solleticava il collo, le gote rosse sia per la rabbia che per l’imbarazzo, e la sua voce sensuale… sarei voluta rimanere in quella posizione per sempre, ma il ragazzo mi fece fare un altro paio di passi fino alla sua macchina.
E poi ci trovammo seduti sul suo letto, le mie braccia avviluppate attorno al collo di lui, le sue invece che mi circondavano la vita, il mio viso posato sul suo petto. E piangevo. Piangevo come non avevo mai fatto, nemmeno quando in prima media quel coglione mi aveva presa in giro davanti a tutte, nemmeno quando da piccola avevo scoperto che Babbo Natale non esiste, nemmeno quando ero rotolata giù per le scale all’età di sette anni e mi ero ritrovata con le ginocchia sbucciate, nemmeno quando per l’ennesima volta avevo visto Titanic insieme ad Heather. Piangevo per tutto ciò che in quel periodo mi era successo, per il quale non avevo versato nemmeno una lacrima. Piangevo per quando, al Pandemonium, Duncan aveva invitato Gwen a ballare invece di me; per quando avevo scoperto che Duncan era mio fratello e pochi giorni prima ci eravamo baciati, e nonostante fossi distrutta perché ormai sapevo che me ne ero innamorata non avevo fatto niente, non ne avevo parlato nemmeno con Heather né mi ero sfogata con la musica, e piangevo soprattutto per le continue menzogne che mia madre mi aveva raccontato durante quegli anni, iniziando dalla mia parentela con Heather – insomma, per me era come una sorella, perché non raccontarmi che eravamo cugine?! – e finendo con il fatto che mi avesse mentito anche quando mi aveva vista infuriata e triste per aver scoperto che il punk era mio fratello. E in quel momento l’unica cosa che volevo era Duncan, l’unica persona di cui mi fidassi era Duncan. In quel momento mi dissi che se mi avessero privato di lui, sarebbe stato peggio della mancanza d’ossigeno. Duncan era tutto ciò di cui avevo bisogno.
«Principessa, c’è qualcosa che posso fare per te?» mi chiese Duncan con un tono calmo e sinceramente gentile. No, non c’era nulla che potesse fare per me se non starmi vicino per sempre. Era solo questo ciò che volevo, ma ovviamente non potevo dirglielo. Stava già facendo abbastanza per me.
«No, Duncan, grazie. Sto bene così.» risposi tra un singhiozzo e l’altro, con la voce attutita dalla sua pelle. Mi abbracciò ancora più forte, cosa che mi fece sorridere. Le lacrime si placarono ad un certo punto. Mi allontanai di qualche centimetro dal petto del punk e finalmente riaprii gli occhi e lo guardai. Fissai i suoi occhi color acquamarina, chissà quante volte avevo rischiato di affogare lì dentro e restare in balia delle sue onde. Misi una mano tra i suoi capelli completamente corvini adesso, ancora ricordavo la sua figura con la cresta verde, e glieli accarezzai dolcemente. Sorridemmo insieme e Duncan avvicinò il suo viso al mio.
«Raggio di sole, finalmente sappiamo di non essere fratelli. Cosa hai intenzione di fare?» sussurrò e un brivido mi percorse la schiena. Dannata voce maledettamente eccitante, dannate labbra fottutamente invitanti!
«Per il momento potremmo spendere il nostro tempo così…» bisbigliai.
Maledetto Duncan! Sapeva benissimo che in quello stato debole ero facile da persuadere, vero? E infatti mi fiondai sulle sue labbra e ci ritrovammo entrambi stesi sul suo letto, io sopra di lui. E non fu affatto un bacio casto come quelli precedenti. All’improvviso avevo caldo e i miei capelli mi si appiccicarono alla fronte. Duncan fece spazio alla sua lingua tra le mie labbra. Io mi tenevo ferma stringendo i suoi capelli, sarei potuta cadere in qualsiasi momento.
Non so descrivere il nostro bacio. Un bacio non può essere descritto, deve essere vissuto e basta per sapere quanto è bello baciare ed essere baciati. Specialmente se quella persona con cui lo si scambia è colui o colei che si ama. Lui mise le sue mani sul mio fondoschiena – se non fosse stato per la situazione gli avrei tirato uno schiaffo, ovviamente – e mi tirò più su, più vicino a lui. Odiavo essere bassa. Sentii qualcosa solleticarmi la pancia, qualcosa di caldo e duro, e capii che i pantaloni di Duncan stavano diventando un po’ troppo stretti per lui. Sfilarglieli? Certo, avrei voluto, ma…
Mi staccai da lui. Lo guardai, cavolo se era bello! Anche lui era sudato, i capelli attaccati alla pelle, gli occhi che gli luccicavano e sorridente. Ricambiai il suo sorriso e poi mi tirai a sedere, spostando lo sguardo dalla sua erezione.
«Pensavo che fossimo soli, e invece…» dissi lentamente e a bassa voce, quasi cercando di non farmi sentire, ma Duncan udì e rise. Aveva ghignato, lo sapevo anche se non lo stavo guardando.
«Perché ti sei allontanata?» mi chiese, sinceramente turbato e… dispiaciuto?
«Non voglio andare fino in fondo. Non ancora, non mi sento pronta…»
«E chi ti dice che io voglia farlo?» lo guardai. Guardai Duncan, anche se il suo… la sua… quella cosa mi distraeva. Ero delusa? «Cioè, è ovvio che io voglia farlo, non sai quante volte mi sono masturbato su di te… mai! Assolutamente mai! Però se non te la senti, non posso costringerti.»
Strabuzzai gli occhi. Duncan che non voleva costringermi? Lo stesso ragazzo che all’inizio aveva cercato di violentarmi? Anche se non sapevo se fosse davvero lo stesso ragazzo di prima. Sorrisi e mi lanciai addosso a lui, di nuovo. Lo abbracciai e inspirai il suo profumo. «Grazie, Duncan.» dissi, ma chissà se mi sentì. Mi allontanai e lo guardai negli occhi. «Però, se vuoi, possiamo riprendere ciò che abbiamo interrotto senza andare oltre e…» e non seppe mai cosa volli aggiungere, perché mi si avvicinò e riprese a baciarmi, se possibile più appassionatamente di prima.















Saalve! Sono tornata molto presto.
In questo capitolo non accade nulla di molto importante, ma finalmente i nostri protagonisti si sono chiariti, o almeno Duncan e Courtney.
Devo dire che questo capitolo mi convince (modesta l'autrice eh?), odio solo il fatto che non ci sia nulla di eccitante.
Qui Courtney ed Heather potrebbero essere OOC, ma forse anche i due ragazzi, ma a me piace immaginarle così solo con Duncan ed Alejandro. Dai non sono la perfezione questi quattro insieme?
Ringrazio ancora i recensori e i lettori silenziosi. Mi fa piacere che piaccia anche gli altri dai!
Un'altra cosa molto importante: è ricominciato Total Drama su K2! Siamo ancora alla prima serie, non vedo l'ora che arrivi la terza ma ovviamente solo per i momenti AleHeather.
E ultima cosa: se qualcuno di voi è iscritto a facebook, perchè non mi aggiunge? (perchè nessuno vuole aggiungerti, inutile autrice del corno!) Ecco qui il mio profilo!
Ora vi saluto, ci sentiamo al prossimo capitolo pieno di brutte novità che vi indurranno ad avere atti omicidi verso l'autrice pieno di belle ed elettrizzanti curiosità(???)!
Au revoir! :3

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Capitolo 27
*** Capitolo 21 ***


Passai la notte da Duncan. Fu bello dormire di nuovo lì, nel suo letto, nella sua camera, nella sua casa, ma soprattutto fu bello dormire accanto a lui, abbracciati. Con il viso nascosto da un ciuffo di capelli e dal suo petto e il suo braccio che mi circondava la schiena, ripensai ai momenti trascorsi in quel posto. Sembravano ricordi di un anno precedente, invece erano passate solo settimane. L’unica differenza era la mancanza di Heather. Potrei sembrare egoista, ma in quel momento Heather era uno dei miei ultimi pensieri. Sempre se in quel momento ne avessi, di pensieri per la testa. Era come se la mia mente fosse vuota, senza alcun problema su cui tormentarsi. E fu la prima volta che mi sentii così. Probabilmente perché mi ero sfogata piangendo, molto più probabilmente per la presenza di Duncan. Ed ero felice, con un ragazzo…
Già, un ragazzo. Ma era il mio ragazzo? Questo non lo sapevo nemmeno io, in quel momento. Ci eravamo baciati, certo, ma ci eravamo baciati anche prima, ma non eravamo fidanzati. Quante persone si baciano ma non hanno nessuna relazione? Le percentuali sono basse ma ci sono! E solo quando, il giorno dopo, a scuola incontrai Heather capii che era un problema, per me. Non sapevo che fare, non sapevo che cosa raccontarle. Non volevo farmi idee strane per poi rimanere fregata come in passato. E nel dubbio non le raccontai quasi nulla, limitandomi a dirle che mamma mi aveva detto tutta la verità, che ero finita a casa di Duncan a piangere e che ci eravamo baciati.
«Quale storia è così tragica da far piangere te, che non piangi da quasi un secolo?» chiese Heather durante l’ora di ricreazione. Duncan ed Alejandro erano finiti chissà dove ed ebbi paura che stessero flirtando con qualcuna. La mia storia con il punk non era nulla di serio. Risposi alla domanda della mia amica, nonostante fossi io quella in vena di fare domande. Aveva un viso strano, misto a tristezza e a felicità.
«Bè… io…» feci una pausa, guardando il pavimento, insicura su che cosa dire. Non potevo di certo annunciarle tutt’ad un tratto che eravamo cugine. «Le bugie mi fanno sempre piangere, lo sai. Non ho sopportato il fatto che mamma mi avesse mentito.»
«Su Duncan.» sottolineò Heather. Bè, non aveva mentito solo su quello… «Non ti ha detto che Duncan non è tuo fratello. Se fosse stata un’altra bugia, avresti anche…»
«Non mi ha mentito solo su Duncan!» urlai, forse anche un po’ troppo forte. L’asiatica si guardò intorno, imbarazzata, perché probabilmente tutti si erano girati a fissarci. Non che mi importasse, e quando Heather lo capì, torno a guardare me. I suoi occhi dicevano ‘E allora su che cosa?’ e forse l’avrebbe detto se non ci avessero interrotto.
«Mi hai nominato, principessa?» Ecco, quella voce fastidiosa! La voce proveniente dalla stessa bocca che avevo baciato la sera prima, ma pur sempre irritante.
«Stiamo parlando, Duncan, e per favore, smettila di chiamarmi…»
«Ieri non ti dava fastidio che ti chiamassi così.» Ero di spalle, ma avrei giurato che Duncan stesse ghignando. Ormai lo conoscevo troppo bene. Mi girai nel momento in cui lui e il messicano si diedero il pugno. Te lo do io il pugno, idiota!, pensai.
«Potresti non urlare, idiota? Non solo per evitare che gli altri sentano, ma anche perché la tua voce mi urta il sistema nervoso.» sputai.
«Le mie labbra però non ti urtano il sistema nervoso.» Ecco, ennesimo ghigno. Mi alzai e gli lanciai un pugno, sul serio questa volta, ma lui mi bloccò prendendomi per il polso e tirò verso di sé il mio braccio, e finii addosso a lui.
«Prova a farlo di nuovo in pubblico, e sarà l’ultima volta che potrai usufruire dei tuoi muscoli!» sussurrai e mi strattonai dalla presa. Mentre mi dirigevo al bagno – a quanto pare Duncan aveva davvero minacciato i prof e li aveva costretti a darmi la libera iniziativa di uscire dalla classe – guardai Heather, speranzosa che lei stesse facendo la stessa cosa, per farmi seguire, ma lei era intenta a guardare un’altra persona, molto più interessante di me. Alejandro.
Non sei l’unica a voler fare delle domande, Heather.

***

Courtney ed io uscimmo da scuola quando la campanella suonò, con la nostra classe e tutti gli altri ragazzi. Bè, non proprio tutti, perché avevamo perso le tracce di Alejandro e Duncan. All’ultima ora erano usciti per andare al bagno e chissà dove erano finiti. E no, non ero affatto preoccupata! Non ero nervosa, non mi importava sapere che cosa fosse successo ad Alejandro, se avesse avuto un problema o se stesse flirtando con qualcuna. Per me lui poteva andare al diavolo, insieme a suo fratello!
Mentre io ero calma e tranquilla, Courtney era visibilmente preoccupata, con il viso paonazzo e gli occhi che scrutavano ogni angolo del giardino della scuola.
«Courtney, stai cercando qualcosa? Anzi, qualcuno chiesi maliziosa con una specie di ghigno stampato sul volto. La risposta la conoscevo già.
«No, no, affatto.» bisbigliò impercettibilmente, continuando comunque a guardare a destra e a sinistra. Poi si accorse che la stavo osservando irritata. «Sì, e va bene, sto cercando quell’idiota di Duncan. E tu potresti anche darmi una mano, sai? So che anche tu sei preoccupata per Alejandro!»
No, non ero preoccupata per Alejandro. Ero preoccupata per il mio stomaco, che non voleva finirla di brontolare. Le lanciai una stilettata e lei sorrise. Una mano mi prese un braccio e mi fece girare su me stessa. Una folta chioma castana, carnagione olivastra e sorriso fastidioso: se non li avessi conosciuti così bene, avrei scambiato Alejandro e Courtney per fratelli.
«Mi stavi cercando, mi amor?»
«No, mai stata più felice di così.» risposi e per un secondo il sorriso scomparve dal viso del messicano. Fece scivolare la mano più giù e la strinse nella mia, incastrando le dita e sempre mano nella mano uscimmo da quel cancello. Duncan e Courtney litigavano dietro di noi.
«Potresti lasciarmi, per favore? Noi non siamo fidanzati.» borbottai guardando male il ragazzo. Lui mi volse uno sguardo a sua volta e, invece, strinse ancora di più la presa e mi fece avvicinare a lui.
«Perché non ti stacchi da sola?»
«Perché non vorrei vederti piangere, mio caro.»
«Se ti lasciassi la mano, l’unica persona triste saresti tu.» Oh, quello non lo doveva dire. Gli conficcai le unghie nella pelle e mi allontanai da lui. Credeva davvero che fosse importante per me? L’unica persona importante nella mia vita era Courtney, e a quanto pare lui se ne fregava di me. Bene, anche io avrei potuto continuare la mia vita senza di lui.
Alejandro si avvicinò di nuovo a me, riducendo la nostra lontananza di due metri. Mi sfiorò le braccia con le sue dita ed un brivido mi percorse la schiena.
«Mi amor, stavo scherzando. Non volevo…»
«Stavi scherzando? No, tu non stavi scherzando! Tu sei solo uno stupido casanova ed io sono solo un’altra delle stupide ragazze che vuoi portarti a letto, vero? Ma purtroppo per te non sono come le altre, io sono…»
«Diversa, ed è questo che ti rende perfetta, ed è per questo che ti voglio bene. Heather, stavo scherzando, sul serio.» Ecco, ora si metteva anche a dire frasi sdolcinate e poetiche. Come se a me facessero effetto. Mi voleva bene oppure no, a me non interessava. E fu la rabbia a causarmi il rossore improvviso e il bruciore degli occhi, sia chiaro! «Credevi davvero che dicessi sul serio?» Una risata gli fece vibrare il petto.
«Avresti anche potuto essere serio, ma a me non…»
«Sì, lo so mi amor, a te non sarebbe importato comunque.» Mi fece girare verso di lui e mi abbracciò, inondandomi del suo profumo. Sarei voluta rimanere in quella posizione per sempre… no, ma che sto blaterando! Lo allontanai dandogli due schiaffi leggeri sul petto.
«A-andiamo a casa.» Corsi un po’ per arrivare fino a Duncan e Courtney che erano qualche metro più avanti. Probabilmente la mia amica mi avrebbe odiato per aver interrotto la sua discussione con il ragazzo, ma non me la sentivo di rimanere sola con il messicano. In quegli ultimi tempi mi causava una strana agitazione che mai avevo provato prima, nemmeno con Mark. Alejandro non ci raggiunse, restò dietro e sentivo i suoi occhi puntati su di me. Forse avevo sbagliato ad andarmene e me ne pentii, ma non tornai indietro.
Quando arrivammo davanti casa di Duncan ed Alejandro ci fermammo. Aggrottai le sopracciglia e guardai Courtney che mi dedicò un debole sorriso. Il nostro palazzo era molto più lontano, perché avevamo fatto una sosta?
«Courtney? Dobbiamo andare a casa.» dissi mettendomi a braccia conserte. Sbandai quando il messicano mi passò avanti e non mi rivolse nemmeno uno sguardo, andò invece diritto ed aprì la porta con le chiavi, poi entrò. Io guardai di nuovo la mia amica. «Allora, mi spieghi?»
«Io… io sto qui, questo pomeriggio. Avrei voluto dirtelo ma non ne ho avuto l’occasione.» balbettò l’ispanica, deglutì e spostò lo sguardo, quasi pentita.
«Se non vuoi rimanere ti accompagniamo in auto.» mi offrì Duncan. Non me la sentivo di lasciar lì la mia amica sola con due ragazzi, anche se uno di loro era il suo quasi ragazzo. Spostai lo sguardo da uno all’altro e alla fine sospirai.
«Credo che per questa volta farò un’eccezione.»

***

Alejandro ed io ci accomodammo sul divano con i piedi poggiati sul tavolino di vetro che ci era di fronte; accendemmo l’xbox e cominciammo a giocare a Tekken. Nel frattempo, Courtney ed Heather riordinavano la cucina, lavavano i piatti che avevamo utilizzato per mangiare. Io e il mio compagno ci divertimmo anche a guardarle lavorare, pensando che quella visione in futuro sarebbe potuta diventare quotidiana e monotona, in una casa in cui noi quattro avremmo convissuto felicemente sposati. Quando finalmente la tavola fu completamente sparecchiata, spegnemmo la console e andammo in cucina.
«Bè, e la nostra ricompensa qual è?» sbottò Heather a braccia conserte.
«Un bacio ti basta, mi amor?» rispose Alejandro malizioso. Ma a quanto pare all’asiatica non andava bene.
«Tu stai zitto, cascamuerto.»
«Oh, querida, sei ancora arrabbiata per…»
«Ho detto stai zitto!» urlò per l’ennesima volta Heather. Alejandro ammutolì e non riuscii a soffocare una risata. Courtney mi lanciò un’occhiataccia.
«Heather, calmati.» le consigliò l’amica. «Piuttosto, perché non ti siedi? Abbiamo bisogno di parlare.»
«Già, abbiamo bisogno di parlare.» sputò la giapponese guardando con la coda dell’occhio il messicano.
«Heather, non dobbiamo parlare di… Alejandro.» fece una pausa e finalmente l’asiatica la degnò di uno sguardo. «È una cosa seria.»
«Courtney, non dirmi che sei incinta!» Quasi mi strozzai con la saliva. E credo che se Courtney non fosse indaffarata in una questione più importante, mi avrebbe strozzato lei per le mie risate.
«No, non sono incinta. E per la cronaca, sono anche vergine!» enfatizzò sull’ultima frase guardandomi male. «Ieri sono andata da mia madre, ricordi? E ti ho detto che mi ha raccontato tutta la verità.» Heather annuì, turbata. «Ricordi quella foto che mi facesti vedere? Quella su cui erano scritti i nomi Cecily e Megan?» L’amica fece di nuovo sì con la testa. «Ecco, mamma mi ha detto che quelli erano il suo nome e quello di tua madre. Hanno cambiato nome perché la loro madre non voleva che sposassero papà, cioè, Roberto e Takashi» Alejandro sussultò a quel nome. «e ha ordinato loro di cambiare nome. E così l’hanno cambiato rispettivamente in un nome spagnolo e uno giapponese. Quindi, le nostre mamme erano inglesi.»
Heather annuì di nuovo, sorridente. «E allora? Non vedo quale sia il problema.»
Courtney mi lanciò un’occhiata, preoccupata e chiedente aiuto. Poi tornò a guardare l’amica. «Forse non hai capito. La loro mamma l’ha ordinato. La mamma è una sola, è singolare, è…»
«…la mamma di entrambe?» la anticipò Alejandro. L’ispanica deglutì, chiuse gli occhi e sospirò, aspettando una reazione da Heather.
«Quindi mamma e Carla sono sorelle?» sussurrò l’asiatica distogliendo lo sguardo.
Courtney annuì. «Sì, Heather. Siamo cugine.»





4 anni dopo…









Non voglio piangere, no, non voglio nè devo farlo...
Anche se la storia finirà tra pochi capitoli. Pensavo e speravo che durasse di più, invece le idee sono scarse, anzi ormai sono già state decise, e quindi tra due o massimo tre capitoli la storia finirà.
Ma come ho già detto, inizierò una nuova storia sempre basata su questi quattro personaggi, senza intrighi parenteli, piuttosto intrighi... magici.
Nel prossimo capitolo svelerò il nome della prossima long, forse.
Per ora ringrazio ancora chi mi supporta, mi recensisce e mi segue, o anche solo chi legge.
Ci sentiamo al prossimo capitolo!
pink hair, che vi ama e vi adora. :3 (?)

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Capitolo 28
*** Capitolo 22 ***


4 anni dopo…


Courtney ed io prendemmo un altro paio di vestiti dal mio armadio, ma ovviamente scartammo anche quelli. Nessuno di quegli abiti andava bene: troppo scollati, troppo colorati, troppo vistosi, troppo banali. E Courtney non aveva alcun vestito perché li odiava per la loro scomodità, per questo avrei dovuto prestargliene uno io.
Gli esami erano finiti e ovviamente la mia amica ed io li avevamo passati facilmente. Un vero giochetto per noi! Un po’ più difficile furono per Alejandro e Duncan, ma con il nostro aiuto li passarono anche loro. Avevamo studiato giorno e notte per tutti quegli anni per farli arrivare alla classe successiva insieme a noi.
Se ci eravamo fidanzate? No, certo che no! Continuavamo solo a frequentarci e a stare sempre insieme. Molte volte mi era passato per la mente di avere una storia con il messicano, ma quell’idea l’avevo subito scartata insieme ad altre. Non sarebbe successo mai e poi mai! Ma dovevo ammetterlo, dopo tutti quegli anni ci volevamo bene come se fossimo fratelli.
E a proposito di fratelli!, quando Roberto seppe che Courtney non era sua figlia, lui e Carla divorziarono. All’inizio la donna ne fu distrutta, ovviamente, ma quando Drew cominciò ad andare a casa sua per consolarla il suo umore subito migliorò, e così ancora oggi quei due sono sposati, come Samantha e Roberto.
Invece mia madre e mio padre continuavano ad amarsi come sempre e si frequentavano con i genitori di Alejandro. Odiavo quando mi ritrovavo la loro famiglia a casa mia, ovviamente insieme al messicano e ai suoi fratelli! Josè continuava a stuzzicarmi, Carlos a difendermi e Alejandro a starmi appiccicato, ma ormai ci avevo fatto l’abitudine.
E quando scoprii che Courtney era mia cugina, le lanciai le braccia al collo e urlai di felicità. Ma poi la guardai e decidemmo di andare a parlare con le nostre madri, arrabbiate. E per calmare le acque, vivemmo per un mese a casa del punk e del suo amico.
Le nostre vite erano migliorate un sacco: nonostante le proteste dell’ispanica, Carla e Drew vivevano felicemente insieme e lui sembrava cambiato; Courtney andava a trovare Roberto almeno una volta a settimana accompagnata dal punk e Roberto cercava di sopportarlo; la madre di Alejandro non usufruiva più di stupefacenti per la compagnia di mio padre e Alejandro ed io… continuavamo a stuzzicarci a vicenda.
E in quel momento eravamo agitate e cercavamo un abito per la festa di fine anno. Duncan ed Alejandro ci sarebbero venuti a prendere alle nove ed erano già le sette.
Sentimmo bussare alla porta e borbottai un misero «Avanti!», e sulla soglia comparvero mia madre e Carla sorridenti.
«Adesso non siamo in vena di sapere che cosa avete comprato di bello per la vostra casa!» urlò Courtney distogliendo subito lo sguardo dalle buste che le due donne avevano in mano. Loro, invece, si fecero avanti e si chiusero la porta alle spalle.
«Non abbiamo fatto compere per la casa.» puntualizzò Carla. «Siamo andate a fare shopping e… abbiamo trovato questi.» aggiunse, posando le buste sul letto.
«Speriamo che vi piacciano.» disse mamma e così tornarono in cucina. Mia cugina ed io ci guardammo per qualche secondo, poi ci catapultammo sul letto. Spalancammo le buste e poi gli occhi: quelli che avevamo in mano erano gli abiti perfetti!

Due ore dopo si udì per tutta la casa il suono del citofono. Courtney ed io prendemmo di corsa le borse e ci guardammo un’ultima volta allo specchio. Indossavamo gli stessi vestiti ma di colore diverso: erano lunghi fino a metà coscia e non avevano spalline, erano semplici ma stupendi e non troppo vistosi. Il mio era rosso, quello di Courtney era viola chiaro. Il trucco c’era ma leggero, quel poco che bastava per renderci più… carine? E in più l’ispanica aveva una collana con il ciondolo di un teschio che le aveva regalato Duncan due anni prima per Natale, io invece avevo all’anulare un anello dorato con sopra incisa la scritta ‘Mi amor’ che mi aveva regalato Alejandro l’anno precedente per il mio compleanno.
Courtney si precipitò fuori alla porta e, prima che potessi farlo anch’io, una mano mi bloccò prendendomi per il polso. Mi girai e il viso quasi commosso di mio padre mi turbò.
«Sei bellissima.» sussurrò, lasciandomi andare. «Il tuo ragazzo è davvero fortunato.»
Alzai un sopracciglio. «Alejandro non è il mio ragazzo!»
Mio padre sorrise e scosse la testa. «Anche tua madre continuava a dire la stessa cosa di me, sai?» rise, poi mi scoccò un bacio sulla guancia. «Divertiti e stai attenta.» Io annuii e seguii Courtney giù per le scale.
Quando uscimmo dal cancello, l’auto rossa con il fulmine giallo dipinto sopra era lì davanti ad aspettarci, quell’auto in cui eravamo state accompagnate da Duncan ed Alejandro così tante volte in così tanti luoghi, dove avevamo ascoltato la musica a palla e non ci era importato nulla delle persone che ci giudicavano, dove avevamo vomitato dopo la nostra prima sbronza. Bè, erano comunque bei ricordi! Fuori dalla macchina c’erano i due ragazzi, entrambi poggiati all’auto con un piede e chiacchieravano. Quando il cancello si chiuse e fece rumore, i due spostarono lo sguardo verso di noi e spalancarono la bocca.
«Non dite nulla!» bisbigliò Courtney paonazza in volto. «I vestiti li hanno comprati le nostre madri, a nostra insaputa!»
«Hanno fatto un buon affare.» disse Duncan, avvicinandosi alla mia amica. Le baciò le guance che divennero ancora più rosse e poi le mise un braccio attorno alla vita. Nel frattempo, anche Alejandro si era avvicinato a me. Corrugai la fronte quando lui si abbassò e mi baciò la mano. Io roteai gli occhi.
«Sei un idiota.» borbottai, cercando di non farmi impadronire dalle emozioni.
«E tu sei stupenda.» rispose, rialzandosi e prendendomi per la mano. Poi mi accompagnò alla macchina. «E noto con piacere che indossi anche il mio anello.»
«Stai zitto!» ruggii, e lasciai che Alejandro mi aprisse lo sportello.
«E adesso andiamo per l’ultima volta alla nostra adorata scuola.» disse il punk. Accese il motore e sfrecciammo via, mentre Alejandro alzava il volume della musica al massimo.

In confronto al volume della musica che proveniva dall’interno della scuola, quella dell’auto dei due ragazzi era zero! Mi coprii le orecchie prima ancora di entrare, pronta al peggio. Ma il messicano mi fece abbassare una delle braccia e mi prese per la mano, mentre Duncan circondava la vita di Courtney come prima.
«Sei pronta, mi amor?» chiese Alejandro, sorridendomi. All’improvviso tutta la mia agitazione scomparve e non potetti fare a mano di ricambiare il suo sorriso.
«L’importante è che tu mi stia affianco.» sussurrai, sperando che l’altro non mi avesse sentito.
«Lo farò, non ti preoccupare.» disse infine, poi ci facemmo largo tra l’ammasso di ragazzi che cercava di entrare. Ma grazie a Duncan ed Alejandro, tutte le ragazze si fecero indietro e ci fecero passare, guardando me e mia cugina con invidia.
Quando entrammo finalmente a scuola, ebbi la voglia di rifugiarmi tra le braccia di Alejandro. Come avevo immaginato, quell’edificio non sembrava più lo stesso, tra la musica e il buffet e tutti i ragazzi che ballavano. E all’improvviso, mi ricordai della festa di Geoff, dove tutto ebbe inizio. Mi ricordai di quando piansi abbracciata al messicano, di quando schiaffeggiai Duncan per aver quasi violentato la mia amica e di quando poi ci ritrovammo per la prima volta a casa dei ragazzi.
All’improvviso attorno a noi si formò un cerchio di persone. Ovviamente, erano ragazze interessate ad Alejandro. Se avessi potuto, le avrei incenerite tutte con uno sguardo all’istante. Non perché fossi gelosa, ovvio! E per di più, quell’idiota sembrava anche adorare tutte quelle attenzioni. Mi scrollai dalla mano la sua presa e, prima che potessi allontanarmi, lui mi strinse ancora più forte il polso.
«Mi dispiace, ragazze, ma sono impegnato, sono off limits. Il mio cuore appartiene ad un’altra persona.» disse Alejandro quasi urlando per superare il frastuono della musica. Io roteai gli occhi, infastidita, ma fui sollevata e il mio volto si fece rosso. Così ci facemmo spazio tra le ragazze e ci dirigemmo al buffet.
«Non serviva mettere in atto una recita del genere solo per levarti di torno quelle oche.» gli gridai all’orecchio, mentre lui riempiva un piatto di schifezze.
«Tu non mangi? Sei a dieta?» chiese, e la mia risposta fu una semplice occhiataccia. «E comunque, non era una recita.» aggiunse, sorridendomi e accarezzandomi i capelli con la mano libera. «Il mio cuore appartiene davvero ad un’altra.»
Il mio cuore perse un battito. «E chi-chi sarebbe?» balbettai, guardandolo dritto negli occhi. Alejandro mi passò l’indice sulla guancia e mi sorrise.
«Sei tu.» sussurrò infine, così a bassa voce che io non lo sentii ma riuscii a leggere le sue labbra.
Deglutii e guardai altrove, cercando di non perdermi ancora in quegli smeraldi. «Dove sono Courtney e Duncan?»
«Ovunque essi siano, di certo non vogliono essere disturbati.» disse il ragazzo. Come faceva ad essere così calmo, così tranquillo dopo quello che mi aveva detto? Riusciva a rendere anche la cosa più faticosa una passeggiata. «Piuttosto, tieni qui.» E mi porse il piatto colmo di cibo. Io lo guardai confusa.
«Devi andare in bagno?»
Alejandro rise. «No. Mangia.»
«Ma… è il tuo piatto!»
«Non ho fame.»
«Bè, nemmeno io!» borbottai. Il messicano rise ancora e mi lasciai contagiare anch’io.
«Quindi sei davvero a dieta?» chiese, mettendosi a braccia conserte e con un sorriso stampato sul volto. Io annuii. «Bè, non devi!» aggiunse, prendendo il piatto dalle mie mani e facendolo passare sotto il mio sguardo. «Sei già perfetta così.» Io feci correre i miei occhi verso di lui, in cerca di un ghigno o di qualunque altra cosa che mi facesse capire che stava scherzando. Ma non stava scherzando. Il suo volto era serio come non era mai stato.
«Non riuscirei a mangiare tutto comunque. Quindi, condividiamo il piatto, okay?» dissi. Alejandro annuì e mi prese di nuovo la mano, mentre nell’altra teneva stretto a sé il piatto. Alla fine, raggiungemmo un divano vuoto e ci sedemmo sopra. Quando finimmo di mangiare il cibo – mangiare per dire, poiché la maggior parte di esso era finito nei capelli di Alejandro ad opera mia! – il ragazzo si alzò e allungò la mano verso di me.
«Vuoi ballare, mi amor?» mi chiese con un tono dolcissimo e non riuscii a non accettare. Annuii e posi la mia mano sulla sua. Proprio quando ci fummo fatti spazio tra tutti, partì un lento. «Bè, a quanto pare è destino, no?» disse Alejandro e rise. Lui mise un braccio attorno alla mia vita e con l’altra mano teneva la mia, mentre io tenevo l’altra mano libera posata sulla sua spalla. E così mentre ballavamo mi lasciai affondare il viso nell’incavo tra il collo e la spalla di Alejandro.
«Ti odio.» balbettai, ovviamente poco sicura.
«Ti amo anch’io.» rispose lui, continuando a muoversi.
Nulla potrebbe rovinare questo momento, pensai, ma a quanto pare non era così.

***

Cercavo con lo sguardo Heather, mentre Duncan ballava di fronte a me e mi teneva ferma per il polso, impedendomi di andare da un’altra parte. E andare da un’altra parte era proprio ciò che volevo fare. Non riuscivo a sopportare quel baccano infernale. Era peggio della musica a tutto volume che il punk diffondeva ogni sera in casa sua, ma ormai ci avevo fatto l’abitudine.
All’improvviso un vestito come il mio attirò il mio sguardo: era Heather, ed era appena entrata in pista insieme ad Alejandro. Feci per allontanarmi ma il moro rafforzò la sua presa.
«Principessa, dove credi di andare?» mi chiese, sbarrandomi la strada con il suo corpo e le sue braccia. La sua testa mi impedì di guardare altrove.
«Voglio andare da mia cugina, se permetti.» risposi, e cercai di passare, invano. Aprii la bocca per rimproverarlo, ma all’improvviso una musica lenta si diffuse in tutta la sala. Sgranai gli occhi e guardai Duncan, che a sua volta mi guardava malizioso.
«Mi concedi questo ballo, principessa?» sussurrò porgendomi la sua mano destra.
«N-no, vai al diavolo.» balbettai, ma la mia mano si posò su quella del ragazzo automaticamente. Le dita si intrecciarono e un fuoco partì dal mio arto, inondando tutto il mio corpo di calore. Seguivo i passi di Duncan e mi lasciai andare. Credo che quello fu il momento più bello di tutta la mia adolescenza. Il punk fece scivolare lentamente la sua mano che aveva posizionato dietro la schiena sempre più giù, e io gli lanciai un’occhiataccia. «Toccami il fondoschiena e sei un uomo morto.» bisbigliai e lui rise.
«Quando ti lascerai andare? Insomma, deve esserci una parte di te che vuole fare sesso! Ormai hai diciannove anni, e io ne ho venti, e sono stufo di farlo con delle ragazze per cui non provo la minima attrazione, se non quella fisica.» disse, poi deglutì e mi guardò dritto negli occhi. Ancora una volta mi lasciai incantare da quegli occhi acquamarina di cui, ormai l’avevo capito, ero innamorata. Da anni.
«E io cosa centrerei?» chiesi, insicura. «Cosa centro io con la tua attrazione non fisica?»
Duncan sospirò e guardò altrove. Notai che le sue gote divennero leggermente rosse ad un tratto. «Devo dirti davvero tutto, Courtney? Non riesci a capire nulla da sola?»
Le mie mani si spostarono dal suo petto al suo collo. «No, non riesco a capire. Oppure voglio solo vederti parlare. Voglio vedere Duncan Nelson dire delle parole che mai ha detto a nessuna. O almeno lo spero.»
Il ragazzo rise e tornammo a ballare lentamente, mentre lui si lasciava sfuggire un sospiro. «Hai ragione.» disse, e il mio cuore cominciò a battere all’impazzata. «Non ho mai detto a nessuna ragazza qualcosa di romantico, né ne ho mai sentito il bisogno. Con te, invece, è tutto il contrario. Sento che è un mio dovere dirti qualcosa, ma non so cosa
Io sorrisi e lo abbracciai più forte, quasi per dargli coraggio. «Qualunque cosa andrà bene, detta da te.»
Duncan annuì e poi guardò un punto dietro di me. «Forse è meglio parlare in un luogo privato, che ne dici?» Anch’io annuii e lui mi prese la mano, poi si fece spazio tra la folla cercando di passare. Solo allora notai le scale che portavano al piano superiore, dove c’era la nostra classe. Dove tutto era cominciato.
Prima di scomparire alla vista di tutti quegli invitati – molti di loro ci stavano osservando – trovai con lo sguardo Heather. Mi sorrise come per darmi coraggio, poi si accasciò ancora sorridente sul petto di Alejandro.

***

Courtney stava salendo al piano superiore con Duncan.
Magari sistemeranno le loro questioni, pensai, magari si fidanzeranno, magari un giorno anch’io mi fidanzerò con Alejandro… no, ma che sto dicendo! Eliminai subito quel pensiero dalla mia mente, quando all’improvviso la musica cessò. Tutti smisero di ballare, ma io rimasi abbracciata al messicano. Quando me ne capacitai, lo lasciai subito andare, imbarazzata.
Il preside della scuola fece la sua apparizione sul palco, fece il suo discorso e gli alunni applaudirono, mentre io pensavo a come stessero andando le cose a Courtney.
«E adesso, come ogni ballo di fine anno che si rispetti,» aggiunse il preside «eleggeremo i nostri re e reginetta di quest’anno.»
Spalancai gli occhi e guardai Alejandro. Il suo volto era turbato, ansioso, quasi concentrato, poi mi guardò e sorrise debolmente. «Perché mi guardi così, mi amor?»
«N-non ne sapevo niente.» balbettai, ancora confusa.
«Il re di quest’anno è…» disse l’uomo sul palco quando le urla dei ragazzi finirono. Aprì la busta che teneva in mano e prese il foglietto con le sue mani. Sgranò gli occhi e guardò la folla che gli era avanti. «... Burromuerto Alejandro.»
Una luce mi accecò e si accese proprio sopra Alejandro. Mi guardò, titubante, e gli feci un cenno per incoraggiarlo ad andare sul palco, anche se non volevo affatto che andasse lì, che scegliessero un’altra reginetta e che ballasse con lei. Avrei potuto salire sul palco e tirarle i capelli, ma per orgoglio non l’avrei fatto. Non davanti Alejandro, almeno.
Il messicano si fece spazio pian piano, mentre tutti gli altri applaudivano, soprattutto le ragazze, e si mise affianco al preside che gli fece indossare una corona sul capo.
«Vuoi dire qualcosa, Burromuerto?» chiese il preside, più sorpreso del ragazzo. Il messicano si limitò a roteare gli occhi e l’uomo si posizionò di nuovo di fronte al microfono. «E la reginetta di quest’anno è…»
Nel frattempo guardavo Alejandro, che a sua volta stava osservando il foglietto che il preside aveva fatto scivolare dalla busta. «Lindsay?! No!» urlò il ragazzo. Si precipitò verso il preside, gli prese la carta tra le mani e la strappò in mille pezzettini, che poi volarono a terra.
«C’è qualcosa che non va, Burromuerto?» chiese l’uomo.
«È un’idiozia.» sussurrò Alejandro. «Lindsay ha corrotto tutti, non doveva essere lei la reginetta!» Tutti guardarono verso la bionda che si stava mangiando le unghie. «Su, Lindsay, ammettilo. Ormai la scuola è finita, non verrai penalizzata, ma…»
«Sì, va bene, ho imbrogliato! Ma insomma, chi potrebbe affiancare uno come te? Solo io!» cinguettò, alzandosi sulle punte per farsi vedere meglio nonostante avesse dei tacchi da 10 cm.
«Bè, visto che non abbiamo una reginetta e non abbiamo il tempo per votare ancora, direi di far scegliere al re la propria regina. Che ne dici, Burromuerto?» Feci una smorfia. Tra tutte le belle ragazze che c’erano in quel posto, di certo non avrebbe scelto me. Mi girai di spalle per non osservare la scena e andai verso il buffet. Al diavolo chi avrebbe pensato male! Quando sentii la sua voce mi vennero i brividi.
«Sì, ci sto.»
«Bene, chi sarà la regina di quest’anno?»
«La regina di quest’anno sarà…» fece un momento di pausa e mi sentivo i suoi occhi addosso. «… Heather Wilson.»
Mi girai di colpo e il piatto cadde a terra, insieme ai rustici, e si frantumò in mille pezzi. Tutti mi osservano sbalorditi, le ragazze protestavano. «E-eh?» fu tutto quello che riuscii a dire.
«Dai, vieni, mi amor Mi fece un cenno con la mano e io divenni paonazza. Mi aveva chiamato con quel nomignolo di fronte a tutti! Tutta la scuola, e non gli importava dei giudizi altrui? Andai verso di lui con le gambe che mi tremavano e quando fui salita sul palco lo guardai diritto negli occhi. Il preside mi si avvicinò, ma Alejandro gli sfilò la corona dalle mani e me la posò sul capo. «Sai di essere la regina più bella del mondo, vero?» disse quasi urlando. Voleva farmi imbarazzare o pensava quelle cose sul serio?
«Emh… come ogni re e regina che si rispetti, dovrete ballare insieme. V-vi va bene?» Anche il preside era meravigliato! Fantastico, avevo gli occhi di tutta la scuola su di me. Alejandro mi prese una mano e mi trascinò quasi a forza al centro della pista, mentre tutti gli altri si dividevano in due parti ai nostri lati per lasciarci ballare.
«Questa me la pagherai.» sussurrai all’orecchio del messicano quando cominciammo a ballare, nella stessa posizione di qualche ora prima.
«Vedi di preparare una buona vendetta per questo.» disse, poi mi tolse le mani dalle braccia e le mise sul mio volto. Oh no, che voleva fare?! Mi si avvicinò lentamente. Avrei voluto andarmene, squagliarmela, ma la sua bocca mi aveva ipnotizzato. Quando le sue labbra si posarono sulle mie, chiusi gli occhi e ringraziai me stessa per aver mantenuto la calma ed essere rimasta lì. Sentivo le voci altrui alle mie spalle, ma all’improvviso tutto scomparve: gli altri ragazzi, la musica, le corone, il preside, la scuola. Rimanemmo solo Alejandro ed io, avvinghiati l’uno all’altro e finalmente consapevoli di amarci.

***

Duncan si chiuse la porta alle spalle mentre io sedevo su uno dei banchi più vicini alle finestre. Quella era la nostra classe, quello era il posto dove ci eravamo conosciuti il punk ed io. Ero intenta ad osservare il cielo stellato, oppure ero troppo imbarazzata per ascoltare le parole di Duncan, quando il ragazzo mi si piazzò davanti. Mi prese il mento tra l’indice e il pollice e mi alzò il viso, in modo che lo guardassi negli occhi.
«Finalmente possiamo parlare in pace. Qui nessuno verrà a disturbarci.» sussurrò. L’unica cosa che ascoltavo era la sua voce, nonostante la musica si sentisse anche lì. «E gli unici che ci hanno visto sono stati Alejandro e Heather, ma loro non faranno certamente la spia.»
«E se qualcuno notasse la nostra assenza e ci venisse a cercare?»
«Di certo non ci cercherà qui. Nessuno vuole passare guai, vero?» Duncan rise e lo guardai male. Non era certo la prima volta che infrangevo le regole con lui, e più lo facevo più mi divertivo, ma alla fine sentivo un senso di colpa nello stomaco. Il punk si allontanò e si mise ad osservare il cielo anche lui di fronte ad una finestra.
«Allora, che cosa devi dirmi?» lo stuzzicai. Il ragazzo si girò verso di me, sorridente e con le mani nelle tasche dei pantaloni. Anche vestito elegantemente aveva l’aria da cattivo ragazzo.
«Ti piace prendermi in giro, vero?» disse, continuando a fissarmi. «Non so da dove cominciare. Ci sono così tante cose che vorrei dirti, Courtney.» Sgranai gli occhi. Non aveva usato alcun nomignolo! «Per esempio che mi fa piacere che indossi la collana che ti ho regalato.» Automaticamente la mia mano andò verso la catenina e strinse il ciondolo. «Oppure che ho rischiato di picchiare tutti i ragazzi che sono venuti alla festa e che ti hanno guardato le gambe e non solo.» Risi e allungai le braccia verso di lui, che mi guardò titubante.
«Vieni qui e abbracciami, idiota.» Duncan venne verso di me e mi circondò con le sue braccia, mentre io affondavo nella sua camicia.
«Non ho mai abbracciato una ragazza che non fossi tu. Non ne ho mai sentito il bisogno.» bisbigliò Duncan, facendo scorrere le sue mani giù per la mia schiena. Avevo paura che egli potesse scottarsi a causa del mio rossore e lo strinsi ancora più forte. «Principessa, forse è meglio che mi allontani, non potrei riuscire più a controllare le mie azioni. Le tue gambe scoperte, il vestito scollato…»
«E allora fallo.» mi lasciai sfuggire. Un gemito di sorpresa uscì dalla mia stessa bocca.
«Fare che cosa?» chiese il punk mentre i suoi muscoli si contraevano.
Mi scrollai dalle sue braccia e lo guardai dritto negli occhi. Allargai le gambe e lo feci avvicinare ancora di più. Sono pronta, mi ripetevo, Sono pronta!
«Non controllare le tue azioni. Nemmeno io voglio più farlo. Ci siamo controllati per troppo tempo.»
Duncan mi guardò come se fossi un fantasma. «Principessa, che cosa intendi?» balbettò.
«Sai che cosa intendo, imbecille!»
«M-ma… ne sei sicura?» Lo vidi deglutire e pensai che quella era la prima volta che lo vidi quasi spaventato.
«Duncan, l’avrai fatto così tante volte, dovresti saperne più di me!»
«L’ho sempre fatto per divertimento, con ragazze di cui non mi importava nulla. Ma tu… tu sei diversa.» La sua voce divenne all’improvviso un sussurro. «Io ti amo.»
«Anche io ti amo.» sussurrai anch’io. Poi tutto accadde velocemente: gli lanciai le braccia al collo e lo baciai, prima dolcemente e poi selvaggiamente, mentre io gli toglievo la camicia e la cravatta e tutto il resto e lui mi toglieva a sua volta i vestiti.
E quella sera non ci controllammo.











Salve a tutti! Siamo giunti al penultimo capitolo della storia!
Come vi avevo promesso, è più lungo degli altri e, proprio per questo, non ho potuto controllarlo perchè non ho avuto tempo (e probabilmente nemmeno la voglia). Quindi se ci sono degli errori non esitate a dirmeli!
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito e che continuano a seguirmi dall'inizio delle storie e anche i nuovi lettori, anche chi ha aggiunti la storia tra i preferiti o le ricordate o le seguite nonostante la storia sia quasi finita.
Nel prossimo capitolo (che sarà l'epilogo) annuncerò anche il titolo della storia futura.
Alla prossima e ancora grazie a tutti!
Baci, Viviana. :)

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