Quando piangono gli angeli

di sean
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** When everything collapse ***
Capitolo 2: *** Third of August 2003 ***
Capitolo 3: *** September 2002 ***



Capitolo 1
*** When everything collapse ***


Quando piangono gli angeli

Quando piangono gli angeli. Piangono quando il diavolo si prende la loro mente e se la porta via. Piangono quando vedono quel mondo di luce pieno di strisce scure di sangue altrui. Piangono perché hanno le lacrime da rubare.
Piangono perché devono rubare un altro giorno dall'alba pura che ride per altri, oggi. Piangono perché cicatrici invisibili tagliano la loro povera anima. Indifendibile. Piangono, perché hanno sognato tutta notte un giorno di sole e ritrovano ore umide di giallo e di cazzate. Piangono, perchè lavano il futuro.

Noi siamo gli angeli. Siamo il frutto della nostra intelligenza, del nostro cuore, della nostra anima, della nostra aria. Noi siamo gli angeli. Siamo quelli che sanno far male solo con la forza dell'amore, quelli che sembrano sopportare in silenzio e sfogano ogni minuto in un'ora di dolore. Siamo quelli che conoscono il mondo e le sue ferite slabbrate, e quelli che sanno cos'è la bellezza della nebbia fra le mura di case sbiancate. Non sopportiamo l'ingiustizia. E' assurdo recitare. Siamo quelli che un nostro solo respiro da' il pensiero a decine di persone. Siamo quelli che rispettano quelli che stanno male, siamo quelli che sentiamo metal pesante ma non usiamo violente le parole. Siamo quelli sempre calmi, composti e che stanno tanto sul cazzo a voi che cercate la pace dell'anima continuando a urlare. Siamo quelli che ridono a ogni cosa seria che cercate di dire. Siamo quelli che sembriamo normali. Che sembra che vi facciamo passare tutto il vostro gigantesco errore. Siamo quelli che respiro dopo respiro ve la stiam facendo pagare. Dicono che andiamo in discoteca perché crediamo sia divertente, bella e di moda, e in realtà voi che capite tutto sapete che è una merda. Bè, noi entriamo e non capiamo più un cazzo, balliamo in modi che quando usciamo se ci vediamo ci mettiamo a ridere, la musica è a palla e ci da solo forza, la gente è tantissima e solo questo ce lo fa andare in tiro a dovere. Beviamo fumiamo caliamo ci facciamo di tutto e poi stiamo male ma cazzo tutta la merda che ci avevano messo nel cervello l'abbiamo buttata fuori. Stiamo male. Respiriamo male, non abbiamo più forza, ci vien da vomitare perché a fumare ci è venuta fame, ma sentiamo i polmoni che si contraggono per tutto il catrame che gli abbiamo buttato addosso, il cuore ci batte a mille, le vene pure, la gola ci s'infiamma per quello che abbiamo ingoiato, il cervello s'infiamma e brucia come legna per l'alcool, siamo pericolosi come la morte stessa e sappiamo che ci potrebbero anche ammazzare, ma al momento non capiremmo nulla. Siamo liberi. Non ci vien da vomitare quando beviamo alcool. Ci fa male lo stomaco. Perché sa che dopo averlo digerito ci farà male al fegato. Non ci viene la tosse per il fumo, ma ci fanno male i polmoni. Perché s'impastano di tutta quella merda nera schifosa. Non andiamo fuori di testa quando ci droghiamo. Sorridiamo perché il corpo intero ci pulsa come sotto scariche di adrenalina bestiale. Sorridi e soffri, bastardo. Noi sappiamo che ci fa male tutto questo. Noi lo sappiamo benissimo. Ma fa bene, libera pulisce disinquina disinfetta cura guarisce lava ti ricentra ti rinnova ti rinforza. Voi vedrete cosa ci avete fatto al momento giusto del tempo. Voi vedrete le nostre cicatrici che ci avete fatto esplodere addosso, voi vedrete le lastre dei nostri polmoni, ci vedrete in delirium tremens, in coma etilico, ci vedrete vomitare l'anima e sbattere la testa contro i muri, ci vedrete tossire come cagnolini per le decine di sigarette della giornata, ci vedrete inseguiti dai cani antidroga per i grammi di marijuana (e non) ci vedrete sbarellare per la cocaina e ingoiare mezzo litro di whiskey in un'ora, ci vedrete pestarci come animali e minacciarci di morte, ci vedrete morire per cose inutili e ignorare quelle importanti, ci vedrete strisciare sorridendo come liberi da quella pesantissima coperta di cazzate che voi chiamate vita. E più voi ve ne fregate e più noi continuiamo. Ma non vi faremo mai vedere, mai, finchè non ne avrete il diritto, quei tagli splendidi che ci ritroviamo sulla pelle. Non vi faremo mai , mai sapere i nostri segreti più intimi, il nostro sfogo migliore, quel fiume bellissimo di sangue vermiglio che scorre dalle nostre ferite. Non vi faremo mai sapere che quando siamo a casa da soli ci distruggiamo i pugni contro i muri, però li copriamo con gli stracci se no si macchiano di sangue, che ci appartiamo ogni cinque minuti per un cinque centimetri di taglio sotto il polsino della giacca, come una sigaretta, che beviamo per questo e fumiamo per questo e ci facciamo di tutto per questo. Non vi faremo mai sapere degli squarci sul petto e delle cicatrici sulle braccia fatte coi cocci di bottiglia e dei circoli delle sigarette spente sulle mani e sui fianchi, dei graffi sulle cosce fatti coi taglierini nelle ore di scuola perché a lui quel corpo non piace e dei taglietti sanguinolenti dietro il collo o sulle ginocchia, che puoi sempre prender la scusa di esser caduto. E di come usiamo punteruoli, pennini, chiodi, forbici, spilli, aghi, spatole, fil di ferro, coltellini, portachiavi, schegge, o al massimo accendini smontati, ma alla meglio rasoi e taglierini. Cd spezzati. Avete mai sentito lo schiocco di quel cerchio di plastica quando l'album che hai registrato tutta notte è venuto di merda e d è solo un pezzo inutile di lacca d'argento su una piastra sintetica? Tac. Avete mai visto la scritta al laser sfarsi nell'attrito con le piastrelle del pavimento quando lo lanci come un freesbee dal corridoio? Avete mai visto gli occhi pieni di rifiuti mondiali del diciottenne che oggi ha dovuto restare a secco? Avete mai detto che nel cielo si vedono le cicatrici che anni di morte hanno lasciato su questa povera isola? No.
Quando piangono gli angeli.
Quando noi diamo tutto l'amore che abbiamo e ci arriva solo merda, merda, merda. Quando piangono gli angeli? Quando vediamo un bambino che non potrà mai essere nostro figlio. Quando vediamo le case allegre dove la gente ride con la sa famiglia, e sappiamo che noi no avremo mai niente, niente di tutto questo. E che l'unico modo per rendere giustizia alla nostra posizione è ingoiare quel fiume nero che la vita ci ha dato. Che dividiamo tutto in bianco e nero per dare un senso e un contorno alle cose della vita.

Quando i loro occhi sanguinano. Quando i loro corpi gemono. Quando le loro bocche urlano. Quando le orecchie mentono.
Quando piangono gli angeli.

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Capitolo 2
*** Third of August 2003 ***


Third of August 2003

Lei aveva quattordici anni. Lui ne aveva ventitrè, venticinque. Aveva gli occhi azzurri e lei camminava da sola, andava alla casa di una sua amica. Aveva dei pantaloni lunghi da ginnastica, verde militare, e un top arancione, e i capelli tagliati di fresco, giorni prima, corti coi colpi di sole biondi. Lui aveva i capelli corti, biondo-rossicci, e una maglietta bianca, pantaloni lunghi, forse i jeans. Lei l'ha visto fermo a scaricare scatole dal furgoncino parcheggiato, uno Scudo bianco Fiat, lui l'ha vista passare. C'erano due suoi ormai ex compagni di scuola vicino al muro di un complesso di mattoni dall'altra parte della strada, sul marciapiede, in bici, e uno era il ragazzo che le piaceva alle medie. L'altra una biondina che gli andava dietro da tempo. Trattenne un po' il respiro quando li vide, ma per orgoglio decise di tirare dritto e di non farsi vedere. Il ragazzo aveva gli occhi azzurro cielo profondo ed era castano, e probabilmente la vide mentre portava la bicicletta di quell'altra giù dal marciapiede. Lei continuò a camminare, lui la fissò per qualche secondo e sembrò riprendere il suo lavoro, invece a quanto pare fece ripartire il furgoncino e lo portò alla fine del parcheggio, per farsela passare davanti un'altra volta. Erano le nove mezzo di sera, e lei andava a una festa a casa degli amici dell'amica, i Colombo, che avevano una villa gigantesca e col giardino in provincia, e forse alla fine della settimana sarebbe partita per andare in Croazia coi suoi genitori. Lo vide appoggiato col gomito al finestrino aperto della portiera, aperta, perché faceva caldo ed era agosto, i primi d'agosto, ed era estate piena. C'erano degli alberelli piantati al bordo della pista ciclabile, e insieme alla siepe che costeggiava il giardino del palazzo dietro davano un bel senso di fresco. Lo ignorò apposta e proseguì tagliando il prato che fa fare angolo alla strada e al marciapiede, e il prato era umido e forse le bagnò i pantaloni. Dall'altra parte risalì il corto scalino, un piccolo pendio, che riportava alla strada e girato l'angolo dopo qualche metro, quasi davanti al cancello di casa della sua amica, se lo ritrovò davanti, con la portiera sinistra aperta, seduto al posto di guida, e il motore spento. La guardava, e rideva, e aveva la mano sinistra col gomito steso sulla pancia. Si stava facendo una sega. Lei lo guardò negli occhi, e istintivamente si mise a correre, pochi passi fino al cancelletto d'acciaio nero, quadrato, aperto. Non lo vide riingranare la marcia e ripartire per il fondo della via, forse convinto che avrebbe continuato a scappare. La sua amica la sera dovette uscire dal cancello un attimo, a prendere una cosa in macchina, e nonostante la distanza da quel bastardo lei ebbe paura che lo incontrasse fuori.

Dopo circa un mese cominciò la scuola. Lei vide due ragazzini, in giro fra le aule, di quelli che si notano subito, metallari, ricercati, caratteri opposti, stesso segno, s'innamorò di uno e scoprì dopo anni che all'altro non dispiaceva. Il dolore più grande lo provò con il primo, però. Lentamente, ora dopo ora, giorno dopo giorno, vedere il suo amore trasfigurato da quella orribile espressione, cancellato da quel lurido bastardo, il suo bambino, il suo angelo, il padre di suo figlio. Perché quei due gli assomigliavano uno più dell'altro. Non avere neanche il coraggio di guardarlo negli occhi, per mesi, per anni, quegli occhi bellissimi, caldi come il sole, splendidi come la luna, profondi, dolci, languidi, anelanti, per un suo gesto per un suo sorriso, in un'eterna astinenza, cancellando per la disperazione gradualmente quell'uomo e la sua anima sporca dalla sua mente, il suo bambino poteva così crescere libero. E pulito. Ma il sangue che lei avrebbe versato nell'incontrare quella faccia e quei modi, quel sorriso, quelle mani, non avrebbe mai finito di scorrere finchè Dio esisteva. Dopo tre anni e tre mesi, in un giorno di novembre, lo rivide, lo riconobbe, tirò dritto, ancora una volta lui sbagliò strada. Lesse la targa e l'imparò a memoria. CR068AA. Il giorno dopo rivide il suo amore. E per la prima volta nella sua vita, DESIDERO' CON TUTTO IL CUORE SOLTANTO MORIRE.

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Capitolo 3
*** September 2002 ***


September 2002

Primi mesi di liceo, lo conobbe, erano forse in classe insieme, partirono tutti e due col metal e il mondo credette che essendo due strafighi girassero in coppia per fare meglio i puttanieri che loro volevano. Passavano insieme in pubblico ore per suonare, ore ad ascoltare musica, ore a provarci con tutte quelle che gli passavano di fianco, ore a fare i cretini, e uno dei due era dolce come il miele ma sveglio come Dio, e l'altro aveva gli occhi neri ed era bastardo come un verme e cretino come solo dio ne trova. Quello più dolce aveva i capelli castani e bellissimi occhi marroni, grandi, ondulati, come quelli di una donna, con le ciglia lunghe, e una bocca rossa disegnata, carnosa, un bambino di quelli migliori, insomma, tanto più candido e femminile quanto bestiale, ma con stile, era quell'altro. Erano innamorati. L'uno dell'altro, ovviamente. Quello castano era così dolce che avrebbe sciolto i cuori di pietra, come l'arpa fatta dalle costole di una sorella buttata in mare per il suo vero amore, e le cui corde ne erano i capelli. Ma il nero, era troppo stupido e troppo italiano per fare una cosa intelligente, come scegliere lui. Non c'era più posto in capo all'anno dopo per il suo amico nella sua vita, sostituito da una ragazza uguale a lui, anzi più brutta, e da una malforme band, da una joint culture a metà fra il grunge più schifoso e la violenza più fascistoide possibile per un preteso anarchico. Il piccolo, non si voleva arrendere al fatto di averlo perso, e continuava a cercarlo e a essere il più presente possibile nelle sue vagabondate per il circondario delle loro due compagnie. Il ragazzino accettava sempre meno il fatto di avere un corpo che al suo migliore amico, il suo migliore amico, quel ragazzo bellissimo cogli occhi neri e i capelli neri che sembrava un guerriero celtico scozzese uscito dalle più belle mitiche leggende, quello strafigo con la voce di un trentenne e a dir la verità un cervello uguale, quel miracolo respirante che l'accompagnava in giro in mezzo alla gente, che aveva scelto lui, lui, fra tutti gli altri, di proteggere lui, di seguire lui, potesse non piacere. Capitava che l'abbandonasse per andare a trovare qualche ragazza. E il bambino castano cominciò ad andare in bagno e a colorare di rosso la porcellana delle turche, e quando non c'era nessuno, forse, del lavandino. Forse usava i taglierini che c'erano in modellato per filare la carta, i coltellini per modellare il legno, e la creta, o le spatole affilate per il gesso o i pennini o i punteruoli per la stampa a incisione. O le chiavi, o le forbici, o dopo un po' gli aghi delle siringhe, che tagliano meglio. Pretestuosamente quell'altra parlava dei rispettivi amici, glielo lasciava in mano, e il bambino, più lui si allontanava, più sentiva il dolore crescere e più lo buttava fuori. Le sere che si ritrovavano tutti in compagnia lui non stava più col bambino, preferiva le ragazze peggiori a un'ora con lui, le passava in qualche camera da letto a scopare gente che non avrebbe mai più visto in vita sua. E il bambino peggiorava. Cominciò a fare le stesse cose dell'altro, nello stesso modo, stronzo, violento, sporco.
Com'è ovvio, per lui non funzionava uguale. Restava sempre e comunque pulito, qualunque cosa facesse, dal minacciare qualcuno di morte al violentare qualcun altro. Ma peggiorava. Non passarono l'anno. Il suo migliore amico ormai accettava a malapena di vederselo in classe. Non andavano più alle stesse feste, tantomeno insieme da qualche parte. La gita del suo secondo anno eran due giorni in Nord Italia, e l'unica notte fra quei due giorni, il suo amico la passò mezza con una che neanche si fece. E lui? Lui con qualcun'altra. Per fortuna. Ma niente toglie che nella doccia, intanto che il suo amico tornava si sia dissanguato accovacciato sulle piastrelle o nella vasca da bagno, distrutto, contro il muro, aspettando il bussare o il chiudersi forse silenzioso della porta per nascondere. Il flusso rosso che scorreva nello scarico insieme all'acqua che ne lavava il peccato appena commesso. E di peggio in peggio. Si spense. Forse ci aveva definitivamente provato quella sera lì, e il suo amico gli aveva proprio riso in faccia. E peggio, sempre peggio. L'estate, senza neanche vedersi senza scuse particolari. Per fortuna c'era una ragazzina che se la passava peggio di lui. E gli veniva dietro, come per dire. A sua detta, era narcisista. Infatti erano due gocce d'acqua, lui e lei. Fu l'anestetizzante per dimenticarselo. Fu la favola per farlo passare. Anni di dolore fuggivano terrorizzati in quel cuscino di petali di rosa che lei gli andava preparando, in silenzio, senza un parola, senza mai sfiorarsi, evitandosi agli occhi di tutti. Ma lui, lui, lui!! Quegli occhi neri, scuri, profondi, crudeli, lo facevano piangere dentro e più larghi erano i tagli e più scorreva il suo sangue, perché il suo amore, il suo amore, il suo ragazzo, il suo uomo, lo stava lasciando per sempre, e non sarebbe mai tornato indietro e anni e anni senza di lui a pregare solo dio di poter incontrare i suoi occhi ancora una volta. Impossibile.

Invece si accorse che colui che dava amore e senso a questa storia era lui, solo lui, e che quella sanguisuga appiccicata che non si voleva staccare era proprio il suo adorato amico, che a furia di fare lo stronzo si era dimenticato di quanto davvero lo amava.

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