Guiding Light

di _joy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di ritorno tra le tue braccia ***
Capitolo 2: *** La foresta del disinganno ***
Capitolo 3: *** And love will find a way ***



Capitolo 1
*** Di ritorno tra le tue braccia ***


Che meravigliosa giornata.
 
C’è il sole e un cielo terso incredibile. Mi mette di buonumore. Non mi infastidiscono neppure le voci, le grida e le corse frenetiche delle persone, qui all’aeroporto di Malpensa.
Sono appoggiata a una colonna e mi guardo attorno felice.

Oggi torna Ben. Non ci vediamo da dieci giorni e mi manca da morire.

Abbiamo passato due settimane stupende insieme a Milano, ma lui non poteva rimandare ancora un rientro a Londra: aveva degli impegni importanti e il suo agente stava entrando chiaramente in panico, visto che lo chiamava ogni giorno e ogni giorno Ben rispondeva “ok, ne parliamo domani”.
E anche io sono stata a casa: Ben voleva portarmi con lui, me lo ha chiesto più volte, ma io ho deciso di ritagliarmi questo momento. Per vedere la mia famiglia, i miei amici, prima di partire per Londra e stabilirmi lì. Per qualche mese, al momento.
Ma, per dirla con le parole di Ben: per qualche mese e poi….vediamo.
Vediamo come va tra noi, se mi piace la città, il lavoro…
E se fosse così? Se stessi davvero per lasciare l’Italia…per sempre? Un po’ questo pensiero mi fa paura: casa mia, le persone che conosco…
Ovviamente, Londra non è dall’altra parte del mondo, ma è anche vero che Ben a Londra ci sta pochissimo. Non che a me dispiaccia viaggiare, ma un conto è viaggiare e un conto è schizzare in giro per il mondo come fa lui. E non parlo delle promozioni dei film, al momento. È che fa proprio la spola tra America ed Europa.
Io non posso stargli addosso e non voglio nemmeno farlo. È il suo lavoro e mi sembra già abbastanza stressante, senza che io ci aggiunga dei carichi extra.

Vediamo. Vediamo-vediamo-vediamo: niente panico. Ormai è il mio mantra.

Ma il panico mi passa, quando penso a lui. Non vedo l’ora di abbracciarlo. Stanotte non ho dormito al pensiero. Ci siamo sentiti ogni giorno che abbiamo passato lontani e Ben mi ha persino inviato qualche mms dal suo iPhone, con foto di lui e suo fratello che mi facevano ciao-ciao da casa loro.

Sono così felice che mi fa quasi paura. Mi sono innamorata di lui, credo.

Sarà lo stesso per lui?
Per tornare con i piedi per terra, ripenso alla reazione non proprio felice della mia famiglia alla notizia che ho accettato un lavoro all’estero, nella produzione di un film. Non ho detto loro di Ben, ma solo che ho avuto una proposta di lavoro e che ne ero molto felice.
Mio padre ha strabuzzato gli occhi e poi è rimasto in silenzio, il che non è mai buon segno. Mia madre ha sollevato mille obiezioni futili (tipo: lo sanno tutti che quello del cinema è un brutto ambiente. I set cinematografici sono posti pericolosi. Gli attori sono persone poco raccomandabili. Gli elefanti che volano non esistono….povera me!), segno che l’ho completamente spiazzata. Poi hanno spulciato il mio contratto alla ricerca del pur minimo cavillo, senza trovare nulla. Quindi, papà si è trincerato nel suo studio lasciando che le cose seguissero il loro corso. Traduzione: doveva pensarci mamma.
E il bello, con mia mamma, è che, mentre io sproloquiavo sull’importanza di fare nuove esperienze di lavoro, per di più all’estero, lei all’improvviso mi ha chiesto:
«Lui chi è?»
«Lui chi?» (mia mamma fa l’avvocato, ma avrebbe tranquillamente potuto fare la veggente)
«Il lui che vuole portarti a Londra»
«Ho deciso io di andare a Londra, mamma» (il che è vero. Certo, diciamo che la presenza di Ben ha fatto pendere la bilancia verso quella direzione. Ok, ok, ammettiamolo: ci vado per lui)
Mia mamma ha sospirato.
«Ma che lavoro fa? Quanti anni ha?»
«Mamma! Insomma!»
«Gin, dai. Pensi che sia scema? Dal niente ti licenzi e decidi di andartene a Londra?»
«Non c’entra niente con il fatto che mi sono licenziata. L’ho fatto perché non ne potevo più. Davvero.»
«Ah. Quindi vedi che c’entra con Londra?»
Ecco la fregatura di essere figlia di due avvocati.
Ma tanto, ho imparato a sopravvivere.
«E chi l’ha detto? Io no di certo»
Sorrido con la mia migliore espressione angelica. Mia madre stringe gli occhi.
«Se non me lo dici, significa che sai che disapproverei»
«Senti, mamma, facciamo così: c’è un lui, ma non stiamo scappando a Londra. Io vado per lavoro, davvero. Sono due cose ben diverse: io non lavoro per lui, né con lui»
Il che è solo una mezza bugia: tecnicamente, lavoro con e per Livia Firth.
È solo che questa cosa è troppo preziosa per condividerla, ancora. Voglio che sia solo mia. Voglio che siamo solo io e lui, senza pressioni.
Per tacere il fatto che ai miei verrebbe un colpo.
Nemmeno i miei amici l’hanno presa troppo bene. I più stretti, almeno. Il mio migliore amico, cui ho accennato qualcosa, non mi parla da due giorni, dopo aver commentato che secondo lui sono pazza.
 
Me ne preoccuperò più tardi, perché hanno annunciato l’aereo di Ben. Finalmente. Schizzo all’uscita passeggeri e sgomito per mettermi il più avanti possibile. Uffa, ma quanto ci mettono a farli sbarcare?
È un’agonia.
Ma quando finalmente lui compare, sento che ogni secondo di attesa è stato ben speso.

È bellissimo.

Ha i jeans scuri, una t-shirt grigia, la giacca di pelle e gli occhiali da sole. In mano una sacca da viaggio di pelle. Come farà a viaggiare così leggero, lo sa solo lui.
Vedo che guarda verso la folla in attesa e mi vede subito. Mi sorride e il mio cuore si scioglie. Gli corro incontro e mi lancio addosso a lui con tanto impeto che gli faccio cadere di mano il borsone e lo costringo a retrocedere di un passo.
Lo stringo fortissimo e lui ride.
«Ciao, piccola. Ahi, mi fai male»
Ma io non lo lascio e, mentre respiro il suo odore, sento le sue braccia attorno a me e le sue mani sulla schiena. E un bacio sui capelli.
«Gin, se mi lasci respirare io vorrei darti un bacio, grazie»
Mi scosto appena e lui si china subito. Ci baciamo intralciando le altre persone e nemmeno ce ne accorgiamo. Come se fossimo stati lontani per anni, Ben mi affonda le mani nei capelli e io mi aggrappo alle sue spalle. Restiamo avvinghiati per quello che mi sembra un attimo, finché una guardia si avvicina e ci invita a spostarci. Abbiamo entrambi il fiato corto.
Ben raccoglie il borsone e mi prende per mano. Mi porta al bar e ci sediamo a un tavolo. Ordiniamo due caffè e li lasciamo raffreddare sul tavolo, mentre ci baciamo ancora e ancora.
Gli sfilo gli occhiali da sole e lui mi dà un bacio sulla punta del naso. Lo fa sempre e mi fa impazzire. Sorrido e sospiro mentre lui mi accarezza la guancia e poi il collo.
«Allora, ti sono mancato?» mi chiede, le labbra sulle mie.
«No, per niente» rispondo io, prima di schiudere le labbra sotto le sue. Sento la sua lingua accarezzare dolcemente la mia e mi abbandono tra le sue braccia.
Ma lui si stacca dopo poco.
«Allora, se è così…»
Io sorrido e passo una mano dietro il suo collo. Inizio ad accarezzargli piano la nuca e lui sospira.
«Dicevi, scusa?»
«Mmmmm» mugugna lui, chiudendo gli occhi quando infilo la mano tra i suoi capelli.
Quant’è dolce. Gli bacio le labbra e poi scendo fino al collo.
Lui mi nasconde il viso nella mia spalla e mi stringe; le sue mani risalgono le mie braccia, stringono la mia giacca di pelle e poi scivolano al di sotto.
Quando fa così, penso che potrebbe tranquillamente venirmi un infarto.
Come se mi leggesse nella mente, lui mi prende una mano e se la poggia sul petto.
«Mi fai uno strano effetto» mi sussurra.
Io ci appoggio anche la guancia e, mentre lui mi accarezza i capelli, sento il suo cuore che batte fortissimo. Come il mio.
«Io ti sono mancata, quindi»
«Da cosa lo deduci? Dalle mie cento telefonate in dieci giorni o dal fatto che mi sta scoppiando il cuore?»
«Esagerato. Metà delle telefonate, almeno, erano mie» gli sorrido «Comunque, non vorrei farti morire qui. Quindi fai un bel respiro e stai tranquillo, che siamo insieme»
«Già, siamo insieme» sussurra Ben, poi lo sento respirare davvero come se gli mancasse l’aria, mentre con le mani stringe la mia camicia, e risale fino al seno.
Io sgrano gli occhi e cambio posizione, abbracciandolo in modo che gli altri clienti del bar non lo vedano.
Sento le sue labbra tra i miei capelli, vicino all’orecchio, mentre mi sussurra:
«Possiamo andare a casa?»
Annuisco e ci alziamo. Ci avviamo all’uscita abbracciati e non riesco ad allontanarmi da lui nemmeno quando carica il borsone nel bagagliaio della mia fida 500 nera, Carolina.
Lui mi apre la portiera, ma prima di sedermi gli butto le braccia al collo.
«Mi sei mancato tanto» gli dico.
«Anche tu» mi stringe e mi culla.
«Non vedevo l’ora che fosse oggi. A casa non mi passava un giorno»
«Nemmeno a me. Il mio agente era abbastanza seccato. I tuoi sono ancora arrabbiati?»
«Un po’. Pazienza»
Lui sorride.
«Sei tremenda»
«Solo se si tratta di te»
«Allora va bene. Dai, andiamo a casa così stiamo un po’ da soli. Dimmi che i piccioncini non ci sono»
«Ci sono, ma ho proibito loro di tornare fino a oggi pomeriggio»
«Quando fai il tiranno ti adoro, lo sai?»

In macchina, io guido e lui mi racconta dei copioni che gli ha sottoposto il suo agente e delle cose che ha fatto. Io gli parlo dei miei e dei miei amici. In realtà, ci siamo già detti tutto per telefono, ma raccontarsi le cose guardandosi negli occhi ha tutto un altro sapore.
Anche se io farei meglio a guardare la strada.
«Gin, guarda davanti» mi dice infatti Ben, poco dopo.
«Guarda, mio caro, che io sono una donna e le donne sono celebri per la loro capacità di fare più cose contemporaneamente»
«Non mentre guidi!»
«Anche mentre guido, invece. Lo sai che ci sono donne che si truccano, mentre guidano?»
«Non tu, spero»
«No, però io posso guidare e guardarti»
«Cosa ne dici di guidare e parlare e basta, così arriviamo vivi? Quando saremo a casa, potrai guardarmi quanto vuoi»
Mi sembra ragionevole. Anzi, al pensiero, accelero.

Appena entrati a casa di Tommaso (che è rimasta la nostra base milanese, povero lui), non faccio in tempo a chiedere a Ben se ha fame e vuole qualcosa da mangiare che lui butta per terra la sacca, mi abbraccia e mi trascina sul divano.
Cadiamo avvinghiati e iniziamo a baciarci mentre Ben mi fa stendere e si sdraia sopra di me. E nel giro di cinque secondi perdo la lucidità. Ci stringiamo e ci accarezziamo e ci baciamo con tanta foga che, ad un certo momento, Ben si inarca all’indietro e cadiamo giù dal divano.
E non smettiamo comunque di baciarci, anche se a entrambi viene da ridere.
Ben si ferma un attimo per prendere fiato e mi sposta i capelli sulla spalla, per scoprirmi il collo.
«Tutto ok?»
«A parte il volo dal divano?» sorrido io. E poi gli sfilo la giacca di pelle, che ha ancora addosso «Mai stata meglio»
Anche lui mi sfila la giacca e io mi contorco per non farlo alzare. Poi esita e mi guarda.
«Mi impongo di andare con calma, ma tu me lo rendi difficile»
Io sorrido.
«Bene»
Ben fa una smorfia buffa.
«Come bene? Io sto cercando di fare il bravo…»
E poi le sue mani slacciano il primo bottone della mia camicetta. Io trattengo il fiato.
«È solo che sei così bella…»
Secondo bottone.
«E così dolce…»
Esita, con la mano sul terzo.
«Sai, mi sei mancata davvero, Gin»
Io ho la gola chiusa dall’emozione e per un attimo non riesco a parlare. Poi alzo la mano a fargli una carezza sul viso e lui mi bacia il palmo.
Ecco, quando fa così, io muoio.
«Anche tu mi sei mancato. Tantissimo. Davvero»
«Ci conosciamo da così poco tempo e tu sei già così…» non finisce la frase.
«Fa quasi paura, vero?» gli chiedo.
Lui annuisce.
«In senso buono però»
«Certo» sorride e mi bacia il collo. E la sua bocca scende verso il mio seno.
Sospiro e butto indietro la testa. Faccio correre le mani sulla sua schiena e poi, improvvisamente, gli sollevo la maglietta e gliela sfilo.
Inverto le nostre posizioni e gli rotolo sopra. Lo guardo e non posso trattenere un sorriso.
«Cosa c’è?»
«Niente. Solo che sei bellissimo. Ma non è un complimento molto virile»
«In effetti no. Però, se me lo dici tu…»
«Solo stavolta, così non ti monti la testa»
Lui sorride e mi tira verso di lui. Faccio scorrere le mani sul suo petto e poi giù verso il ventre e lui ansima e finisce di slacciarmi la camicia.
Mi sollevo un attimo mentre me la sfila delicatamente di dosso e ci guardiamo.
E io, stupidamente, arrossisco. Sono quasi imbarazzata a farmi vedere da lui senza vestiti. Ma lui rotola di nuovo sopra di me e mi bacia piano la fronte, le guance, il collo. Quasi è una tortura.
«Sei nervosa?»
«Emozionata. Molto. Tu?»
«Emozionato. Molto anche io»
Sembra perfettamente a suo agio, mentre mi accarezza e mi bacia, ma sento che vuole fare le cose con calma, per me.
«Sei così bella…»
Io arrossisco anche di più e mi manca il fiato per un attimo. Non mi sono mai sentita “bella”. E il fatto che me lo dica lui, con il suo sorriso, mentre mi guarda con quegli occhi scuri che adoro, mi fa sentire insieme fragile e potente e felice come mai mi è successo prima.
«Sembri incredula» mi sorride, accarezzandomi lo zigomo con il pollice.
«Un po’ lo sono»
«Perchè?» mi sussurra, mentre la sua bocca scende sul mio collo.
Affondo le mani tra i suoi capelli e lo stringo ancora più forte. Poi mi ricordo che devo rispondergli.
«Non lo so. Non mi sento molto io, ecco»
«Cosa?»
«Questa ragazza che dici di vedere tu. Questa Ginevra bella, forte…»
«Ma tu sei così»
«Ehm…»
Si ferma, perplesso.
«Non te lo direi, se non lo pensassi davvero Gin»
«Lo so. È solo che, non so… io non mi vedo così»
«Ma perchè?»
«Perché…perché…insomma, è un discorso lungo. Non stavamo facendo altro?»
Non mi sembra il caso di rovinare l’atmosfera del momento a suon di paranoie. Inverto di nuovo le nostre posizioni.
«Per esempio…» dico, e gli bacio il petto. Poi traccio una scia di piccoli baci fino al suo addome e lui geme e affonda le mani nella mia schiena.
Alzo la testa e i nostri occhi si incrociano. E i suoi sono più scuri che mai. Ha le guance arrossate e le labbra socchiuse e ansima piano. E vederlo così, vedere come mi guarda, mi dà una sensazione di forza che è davvero nuova per me.
«Sei stupenda» mi dice, risoluto «Cosa ho sbagliato?»
«Niente! Perché?»
«Sono io che non ti faccio sentire sicura?»
«No, sono io che sono stupida»
Lo bacio.
«Non sei tu, davvero. Io con te mi sento bene, come non mai»
Lui mi stringe.
«Ben…»
«Sì?»
«Non ti facevo così insicuro…» lo prendo in giro.
Lui fa un mezzo sorrisino, ma sembra quasi triste.
«Ti sbagliavi»
E all’improvviso mi sembra davvero insicuro, e fragile come me. E tanto forte è il desiderio di non turbarlo, di farlo stare bene, che mi siedo di botto e costringo anche lui a sedersi, per poi stringerlo e sussurrargli:
«Non devi. Non lo capisci che io ti adoro?»

Normalmente, non lo direi. Vorrei dirlo, ma mi morderei la lingua. Perché io sono sempre troppo entusiasta, troppo in anticipo e troppo sincera e lo so che questo, di solito, spaventa le persone. E rischia di farle allontanare. Ma pazienza. Lui non passerà un minuto a preoccuparsi di qualcosa, di qualunque cosa, se solo io posso evitarlo.
C’è un attimo di silenzio in cui lo sento sospirare e mi maledico mentalmente.
Se adesso si alza e si riveste, io sono ufficialmente la cretina più grande dell’universo.
Ma lui mi stringe forte e nasconde la testa tra la mia spalla e il collo. E mi sembra insicuro come un bambino piccolo.
«Ben, scusami…»
«Non devi scusarti» mi sussurra lui «Solo che forse siamo più simili di quanto pensassi»
«Guardami» gli bisbiglio.
E lui alza la testa e mi guarda con il sorriso di sempre. Quello che riserva a me, che mi fa sentire speciale.
Mi bacia ed è ancora più dolce di prima. È ancora meglio di prima, se possibile.
Rotoliamo per terra e, con le sue mani e le sue labbra su di me, smetto di preoccuparmi di qualsiasi cosa e di pensare razionalmente.
«Strano che nessuno ci interrompa, oggi» sussurra malizioso lui, mentre mi slaccia i jeans.

E non fa in tempo a finire di parlare, che sentiamo la porta aprirsi.

«Ciaosiamonoiiiii!!!»

Eh?

«Fra, ma stai calma! Magari non sono nemmeno a casa…»
«Dai, mi sento già abbastanza in colpa per essermi dimenticata il telefono. Che stupida…»
«Ma dai, che non ci sono. Ah. Ehm…non guardare per terra, dietro il divano»
Ecco. Meraviglioso.
Ben sospira e si lascia cadere sopra di me.
«Cosa stavo dicendo?»
«Ok, è ufficiale: io e te siamo sfigati!» sbotto io.
«Ma sì, non preoccupatevi, non fateci sentire in imbarazzo…» dice Tommaso, mentre Francesca si scusa, mortificata.
«Ho dimenticato il cellulare! Sono una stupida! Ma ho quel colloquio di lavoro e non sapevo come fare! Gin, scusa…»
«Tranquilla Fra. Succede»
«Non ci credo» mi bisbiglia invece Ben, afflitto.
 
Comunque, secondo me, ha ragione, detto tra noi: la sfiga ci segue tipo nuvola nera di Fantozzi.
 
Ma il tempo che passo con Ben è meraviglioso comunque, qualsiasi cosa facciamo. Dopo mezz’ora, siamo in cucina e io preparo il pranzo, mentre Ben mi gira attorno e cerca di evitare Tommaso e le sue battutine sparate a raffica.
Taglio la cipolla per il soffritto e lui mi abbraccia da dietro e mi bacia piano il collo. Rabbrividisco.
«Ehi…così mi affetto un dito» gli dico, scherzosa.
«Tranquilla, in caso ti curo io»
«Non mi fido per niente» rido.
«Bene, è bello vedere che la tua ragazza si fida così ciecamente di te» scherza Tommaso.
«Ma io mi fido di lui. Solo che non credo sia una buona idea dimostrarglielo tagliandomi un dito. E non credo che abbia i poteri magici per riattaccarmelo, in caso»
«Prince Caspian, senza poteri magici» scuote la testa Tommaso.
Ben gli lancia uno strofinaccio da cucina. E poi mi pizzica il fianco.
«E tu, principessa, sei una malfidata»
«E tu, tesoro, resti senza pranzo se insisti»

Ridiamo, ma ho un fremito a sentirmi chiamare “principessa”. L’ha fatto solo un’altra volta, quando l’ho portato sulle guglie del Duomo, a vedere Milano dall’alto. Mi stavo affacciando dietro una delle innumerevoli statue di marmo, quando improvvisamente mi sono sentita afferrare per la vita.
«Guarda che non hai le ali» mi ha detto.
Io mi sono appoggiata a lui.
«Volevo solo vedere quanto sono piccoli, quelli che camminano di sotto»
Lui mi ha baciata e mi ha sussurrato.
«Stai attenta, però, principessa»
E lì sono quasi caduta di sotto, davvero, ma per l’emozione.

Vorrei dire che quella è stata una delle giornate più belle che ho passato con lui, ma direi una bugia: tutto è spettacolare con lui, anche guardare la televisione insieme, abbracciati, sul divano.
 
E comunque, mangiamo tutti insieme e poi Tommaso e Francesca escono di nuovo. Sono quasi tentata di sbarrare la porta con il catenaccio e costruirci dietro una barricata, casomai venisse loro in mente di rientrare senza preavviso.
Ma lascio perdere, quando vedo Ben tentare di soffocare l’ennesimo sbadiglio.
«Stanco?»
«No…» mi dice poco convinto «Solo che ieri avevo una riunione, ma è finita tardi»
«Tardi quanto?»
«Le due»
«Le due??» esclamo scandalizzata «Ma stamattina hai preso l’aereo…a che ora? Le nove?»
«Mmm» Ben annuisce, stropicciandosi gli occhi con la mano «Ma tranquilla, ci sono abituato»
«Ma no, dai! Non potevano abbreviare la riunione, visto che stamattina avevi il volo? Dovevano proprio farti fare così tardi?»
«Non potevo rimandare, perché altrimenti sarei dovuto tornare a Londra. E loro volevano farla oggi, ma io oggi volevo venire da te» dice lui, semplicemente.
Io resto senza parole per un attimo. Lo guardo e lui mi sorride e si alza.
«Ok, lavo io i piatti che tu hai cucinato»
«Non pensarci proprio. Fila a letto»
«No, dai. Facciamo squadra: tu cucini e io lavo. Per forza, perché se cucino io…»
Gli do un bacio.
«Oggi facciamo che io cucino e lavo e poi tu pareggi e mi porti a cena, che dici? Così vai a stenderti che si vede che muori di sonno»
Lui fa per protestare, ma all’improvviso mi abbraccia.
«Sicura? Ti porto a mangiare quello che vuoi stasera»
«La pizza!!!» esclamo subito io e lui ride.
«È inutile: ti porterei dovunque e tu vuoi andare sempre e solo nello stesso posto!»
«Ma lì si mangia benissimo!»
«Lo so, ma non puoi mangiare sempre la pizza…» mi guarda e sospira «Capito, pizza»
«Ma anche a te piace la pizza, Ben!»
«D’accordo, ma potremmo anche cambiare…» si interrompe per sbadigliare e poi mi prende per mano.
«Vieni a letto anche tu?»
«Ti raggiungo subito»
Lui esce e, mentre lavo i piatti, rimugino sulle sue parole e mi illumino quando mi viene un’idea.
Appena finito corro in camera e lo trovo disteso sul letto, che lotta per tenere gli occhi aperti. Allunga una mano verso di me e io mi tuffo su di lui.
«Ahi!»
«Ben, mi è venuta un’idea!» dico, tutta contenta.
«Mmm?» dice lui, mentre si gira sul fianco, verso di me, e mi abbraccia.
«Allora, facciamo così: stasera ti organizzo io una serata. Ti porto in qualche posto speciale. Una serata solo noi due. Io decido e ti stupisco, che ne dici?»
Lui fa un sorriso sonnacchioso.
«Ma tu mi stupisci praticamente sempre»
«Ma stasera di più! Niente pizza, per cominciare! Ti porto in un posto bellissimo…che dici? E domani tocca a te»
«Tocca a me portarti fuori? Non vale: io Milano quasi non la conosco. Dove ti porto? Siamo andati insieme in tutti i posti che conosco!»
«Ma il bello è che devi farti venire un’idea! Un’idea speciale! Dai, ti prego! Tipregotipregotiprego!!!»
«Va bene» sospira lui «Allora domani tocca a me. Intanto, resti qui con me? Non riesco più a dormire bene se non ti sento vicina…»
Sprofonda nel sonno praticamente subito, mentre io gli accarezzo i capelli. Gli bacio la fronte e allungo la mano per coprirlo con il plaid leggero che è in fondo al letto.
«Anche io dormo male, se non ci sei tu» gli sussurro.
Lui mi si accoccola più vicino, come un gattino. Come un bimbo.
E mentre lo guardo dormire, penso che potrei passare l’eternità così, tranquillamente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** La foresta del disinganno ***


Sono in piedi davanti allo specchio della stanza che ormai è mia e di Ben, a casa di Tommaso, e mi sto passando il mascara per la seconda volta.
Ok, sono pronta.
Ho un vestito di raso verde smeraldo, monospalla. Volevo raccogliere i capelli, ma so che a Ben piacciono di più sciolti e quindi li ho pettinati in modo da farli ricadere sulla spalla nuda.
Mi sono truccata gli occhi (di solito metto solo il mascara, ma stasera è una serata speciale) e ho messo i tacchi alti.
E – anche se non dovrei dirvelo – ho un bellissimo completino di pizzo nero.
Fatta anche questa confessione, sono pronta per uscire.
Prendo la pochette e apro la porta. Accidenti ai tacchi. Speriamo di non cadere. Mi ci mancherebbe solo questo.
Ben mi aspetta in salotto, seduto sul bracciolo del divano. Alza gli occhi dal giornale che sta leggendo e i nostri sguardi si incrociano. E lui resta in silenzio.
Mi squadra da capo a piedi e io arrossisco.
Poi lo vedo sorridere.
«Sei stupenda» mormora avvicinandosi. Mi tende la mano e io gliela stringo. Con l’altra, lui mi fa una carezza lungo il fianco.
Io mi avvicino ancora di più e lui mi stringe. E mentre mi abbandono tra le sue braccia, lo sento sussurrare:
«Dobbiamo proprio uscire?»
Sorrido.
«Sì, perché questa è la tua serata speciale»
«A me va bene anche se restiamo qui» tenta di convincermi lui.
E, in effetti, ci sto già quasi ripensando. Accidenti.
Faccio uno sforzo e mi stacco e lui borbotta. Allora gli do un bacio, ma lui mi stringe di nuovo e mi trascina verso il divano. Le sue mani trovano la zip del vestito e la abbassano di qualche centimetro.
Ecco, ho già la tentazione di sfilargli la camicia.
Ma alla fine, perché no? Possiamo uscire domani penso, mentre faccio correre le mani sul suo petto e inizio a sbottonarla.
Ben sembra pensarla come me.
«Ti dispiacerebbe molto se uscissimo domani?» mormora.
«Stavo pensando la stessa cosa. Mi leggi nel pensiero?»
Lui sorride.
«Vediamo se indovino a cosa pensi» mi slaccia completamente la zip.
Sento il vestito frusciare mentre lui infila le mani nell’apertura e mi accarezza la schiena. Mi abbandono tra le sue braccia.
Ci baciamo ancora, ma, quando faccio per tirarlo sul divano, lui esita un attimo.
«So che ci tenevi a uscire. Se davvero vuoi possiamo…»
Ho già cambiato idea.
«No, dai…volevo una serata speciale con te, ma non è detto che dobbiamo uscire per averla»
«Giusto» sorride lui.
Ma io sussulto all’improvviso.
«A parte il fatto che c’è Tommaso in camera sua»
E le mie parole hanno l’effetto di una secchiata d’acqua fredda.
Ben sgrana gli occhi.
«L’avevo dimenticato. Cavolo»
Io gli appoggio la fronte sul petto.
«Dici che se restiamo…»
«…ci tormenterà? Sì»
Io bofonchio qualcosa e lo sento ridere piano. E darmi un bacio sul collo.
«Sei così bella che mi fai dimenticare dove siamo. E che c’è il nemico in casa» scherza lui «Allora andiamo, principessa. Magari torniamo presto»
Mi fa voltare per allacciarmi la zip e mi dà un bacio sulla pelle nuda della spalla. Ho un brivido.
Poi mi volto per abbottonargli la camicia. Lui sorride e mi lascia fare.
Allaccio con cura meticolosa ogni singolo bottone e poi sospiro. Mi è passata la voglia di uscire. Ma Ben prende la sua giacca e la mia e mi tende la mano.
«Dove andiamo?» mi chiede.
«Sorpresa» rispondo, enigmatica.
«Nemmeno un indizio?»
«No, niente da fare»
«Un bel posto perché sei bellissima?»
«Anche tu sei bellissimo»
È vero. Sempre. Anche quando è vestito molto semplicemente, come stasera.
Ha dei jeans scuri e una camicia bianca aperta sul petto. I capelli spettinati ad arte, in cui è solito passare la mano, e un accenno di barba.
E quando sorride, come ora, io non capisco più nulla.
Usciamo abbracciati e andiamo a piedi. È una bellissima serata.
Solo che io ho messo i tacchi e, effettivamente, il posto non è vicinissimo. O meglio, è vicino per l’ottica milanese, il che significa una mezz’ora a piedi.
Ahia. Ma perché non ho preso la macchina? Ah già, non c’è parcheggio.
Dopo un po’, Ben mi guarda perplesso.
«Tutto bene Gin?»
«Certo!»
Maledette scarpe. Sono talmente abituata alle sneakers che è una tortura. Mi appoggio un po’ di più a Ben e lo sento che mi stringe con il braccio.
«Sicura? Mi sembri strana»
Faccio una smorfia.
«È colpa delle scarpe»
Lui si ferma e mi guarda perplesso. E poi si mette a ridere.
«Gin…non ci credo. Ma perché le hai messe?»
«Perché stanno bene con il vestito!»
«Ma se non riesci a camminare, non mi sembra comunque una buona idea»
«Ma io stasera volevo essere carina!»
La sua espressione, da divertita che è, si addolcisce subito.
«Tu non sei carina, sei bellissima» mi abbraccia.
Io passo le braccia attorno alla sua vita. Vorrei restare così tutta la sera, ma se non ci sbrighiamo ad arrivare o butto le scarpe o alzo bandiera bianca.
 
Ma quando arriviamo, ovviamente c’è fila. Lo sapevo e do i nostri nomi all’ingresso.
«Dove siamo? E perché c’è tutta questa gente per strada?» mi chiede Ben, perplesso.
Immagino cosa deve sembrargli. Il marciapiede di una traversa, pieno di gente. Nessuna insegna particolarmente evidente, ma un buttafuori con una lista in mano e l’espressione arcigna. Nessuna luce, niente di niente.
Lo prendo per mano e lo porto alla banca all’angolo, così posso lasciarmi cadere sul gradino. Sospiro soddisfatta e mi sistemo il vestito. Ben si siede accanto a me.
«Siamo al Nottingham Forest, uno dei 60 locali più belli del mondo. E non lo dico io, ma non so che classifica mondiale. C’è sempre una fila spaventosa, ma ho sentito dire che ne vale la pena. Hanno dei cocktail pazzeschi, sono famosi per quello»
«Sì, l’ho sentito dire quando mi ci hanno portato a New…» Ben si interrompe di botto.
Ma è tardi perché l’ho sentito.
«Cosa?????» strillo.
«Gin, oddio, scusami…scusa, fai come se non avessi parlato…»
«Ci sei già stato?» sono mortificata.
Vedo che vorrebbe negare e rimangiarsi quello che gli è sfuggito, ma sa che non può farlo. Mi prende la mano.
«Ascolta, mi dispiace tanto. Sono stato uno stupido, non dovevo dirlo»
«No…perché dovresti dirmi una bugia?» sono tristissima.
«Non è una bugia! Insomma, hai organizzato questa serata per noi due e io dico una stupidaggine e ti faccio arrabbiare…» sembra pentitissimo.
«Non sono arrabbiata, solo dispiaciuta. Volevo portarti in un posto carino…»
«Sono sicuro che è bellissimo! Io qui non ci sono mai stato!»
«Ma io volevo portarti in un posto speciale! Originale! E invece già lo conosci…»
«Non importa dove mi porti, se ci vengo con te! Davvero! Gin, scusa, scusami… ti giuro che il posto a New York è bruttissimo!»
E a quel punto scoppio a ridere. Non posso trattenermi di fronte alla sua espressione contrita. Ben non se lo aspettava e sgrana gli occhi. Poi mi stringe forte.
«Scusa» mi bisbiglia ancora.
«Ben, non sono arrabbiata, ci mancherebbe. Non è colpa tua se ti hanno già portato al Forest» gli accarezzo i capelli e lui sembra rilassarsi, ma non si stacca da me.
«Davvero?»
«Ma certo! Mi dispiace solo averti fatto pensare che ti avrei portato chissà dove, e invece per te non è niente di che»
Mi sento anche abbastanza stupida, a pensarci.
Insomma, lui ha girato il mondo. Probabilmente la sa idea di un posto speciale è…non so, la Tour Eiffel, una piramide in Egitto, l’Empire State Building?
Mmmm. Che idiota. Potevo pensarci prima, in effetti.
Sono assorta in questi pensieri quando Ben si stacca da me per guardarmi negli occhi. Mi mette una mano sulla guancia.
«Gin, dico davvero. Qualsiasi posto in cui vado con te per me è speciale. Anche il McDonald. Non importa dove andiamo, se ci sei tu. È sempre una serata speciale»
Sono cremisi.
Lo abbraccio forte.
«Davvero?» stavolta lo chiedo io.
«Ma certo, piccolina»
«Va bene, dimmi ancora che il locale di New York è bruttissimo»
Scoppia a ridere.
«Orrendo!»
«Mi sento così stupida…»
«Cosa? Perché?» Ben è di nuovo allarmato.
«Perché tu sei stato ovunque! Hai visto qualsiasi cosa! E io che pensavo di fare chissà che…»
«Gin, come devo dirtelo? Non è stato niente di che a New York! Insomma, una serata con i colleghi. Con te è diverso, adesso»
«Sì, ma…»
«Ma niente ma. Oh, quanto sono stupido! Non potevo stare zitto?»
«Per carità, mi sentirei anche più idiota. Ci pensi? Io tutta entusiasta e tu che già sai tutto…no no, meglio che tu me lo abbia detto»
Non sembra convinto. Ma in quel momento chiamano il mio nome.
Ci alziamo (io con enorme difficoltà, dati i tacchi…ma perché mi sono seduta per terra?) ed entriamo.
Dentro è minuscolo, molto intimo. Ci sediamo e Ben continua a tenermi la mano. E a fissarmi con un’aria da cucciolo pentito.
Mi sento anche una stronza.
Gli faccio un sorriso e lui tende anche l’altra mano sul tavolo. Gli porgo la mia e lui me le stringe entrambe.
Tenta di scusarsi ancora, ma io lo interrompo, lo rassicuro, ci scherzo sopra. Ma non so se l’ho convinto. È talmente sensibile e attento e premuroso che probabilmente ora davvero gli ho rovinato la serata.
Accidenti. Devo rimediare.
Mi alzo e vado a sedermi accanto a lui. Mi fa subito spazio, ma siamo praticamente incollati sulla minuscola panchetta di pelle. Gli passo un braccio dietro la schiena e mi allungo per baciarlo.
Dopo un po’ un cameriere posa due menù sul tavolo, ma noi li ignoriamo, troppo presi da quello che stiamo facendo. Solo che il cameriere ripassa due volte, schiarendosi garbatamente la voce. Probabilmente la fila fuori ha raggiunto proporzioni allarmanti.
Allunghiamo svogliatamente la mano su un menù, uno solo per entrambi. Ben posa la guancia sulla mia spalla mentre io sfoglio le pagine.
È un libro, più che un menù. Ti spiegano ogni singola proprietà degli ingredienti che usano. E  fanno cocktail con ingredienti assurdi, letteralmente: perle triturate, cianuro, afrodisiaci vari, ricostituenti per capelli (eh?), diamanti…diamanti?
«Questo cocktail costa 3500 Euro!!»
Ben aggrotta la fronte.
«Ah, è quello con il diamante?» dice e poi si morde un labbro.
Probabilmente si sta ancora maledicendo per la frase che gli è sfuggita prima. Ma non è colpa sua, è colpa mia. Chissà cosa credevo di fare.
Gli do un bacio sulla tempia.
«A quanto pare, il loro gioielliere si arricchisce molto» ribatto, indicandogli un trafiletto che invita a prendere appuntamento con il gioielliere del locale per decidere caratura, grandezza e taglio della pietra. Prima che ti venga infilata nel bicchiere.
«E se te lo bevi per sbaglio?»
Lui ride.
«Se lo bevi per sbaglio, il tuo ragazzo si incavola di brutto!»
«Ma secondo te chi farebbe un regalo del genere? O una proposta di matrimonio così?»
Lui arriccia il naso.
«Un pazzo?»
Io rido.
«Allora, cosa mi consigli di bere?»
Lui mi guarda smarrito.
«Gin…»
«Ben, non è una frecciata. È proprio una domanda. Non voglio rinfacciarti che sei già stato qui, per carità. Volevo solo un consiglio: c’è qualcosa di particolarmente buono? Che ne so, il cianuro, l’arsenico…»
Lui sorride, mogio.
«Allora, mi sa che un mio collega aveva preso proprio il cianuro…»
Comincia a raccontarmi di quella serata newyorkese. All’inizio è un po’ esitante, penso che abbia ancora paura di offendermi. Ma io mi accoccolo tra le sue braccia, gli accarezzo i capelli, le guance, il collo, lo stuzzico coprendolo di baci.
Lo sento che si rasserena. Mi stringe più forte. Mi bacia il collo e poi le labbra. Le sue mani, sotto il tavolo, sono posate sui miei fianchi. Io accavallo una gamba sopra le sue e lui inizia ad accarezzarmela.
Io sorrido e nascondo il viso nella sua spalla. Trattengo il fiato quando sento la sua mano accarezzare lentamente la mia pelle nuda, sulla spalla. Si china per darmi un bacio.
Il cameriere ripassa per la centesima volta, guardandoci male. In tutto, ci saranno dieci tavoli minuscoli, penso che ormai ci odi.
Io prendo il cocktail con le perle. Ben, invece, ordina un cocktail dal nome impronunciabile e il cameriere commenta, secco:
«Bene, signore. Una scelta particolare»
Io lo guardo perplessa, mentre Ben gli sorride serafico.
«Grazie»
E lo liquida sorridendo.
Poi mi indica il menu. Ha preso un afrodisiaco!
Io scoppio a ridere, mentre lui fa una smorfia buffa.
«Sei terribile, anche se sembri un angelo…»
«Se lo meritava! E comunque, quel cocktail promette meraviglie…»
Scoppia a ridere quando io tento di dargli uno scappellotto e mi afferra i polsi. Ridiamo e ci contorciamo sul divanetto finché un’altra coppia non ci guarda seccata.
«Basta, fai la brava» mi dice lui, scherzoso, cercando di non mettersi di nuovo a ridere.
«È colpa tua» bisbiglio io di rimando.
Mi stringe di nuovo tra le braccia e restiamo in silenzio, paghi della reciproca vicinanza. Gli chiedo di raccontarmi ancora di New York e resto stretta a lui, cullata dalla sua voce e dalle sue carezze.
Fino alla seconda secchiata d’acqua gelida della serata.
Il cellulare di Ben suona e lui lo estrae dalla tasca. Dà un’occhiata al display e mi chiede:
«Ti dispiace se saluto mio fratello?»
«Certo che no!»
È legatissimo alla sua famiglia, come io alla mia. Nei primi giorni insieme quasi non rispondevamo alle telefonate, ma poi siamo pian piano ridiscesi nel mondo normale, riammettendo almeno i contatti con parenti e amici stretti.
E siccome per entrambi chiamare a casa è una consuetudine, non abbiamo problemi a farlo l’uno di fronte all’altra.
Solo, lui rideva sempre quando mi sentiva dire a mio padre che ero stata tutto il giorno in giro a fare colloqui, mentre magari avevamo passato la giornata abbracciati sul divano.
Del resto, mi vendicavo quando lo sentivo raccontare a sua madre che aveva cucinato lui il pranzo.
Come no. Sono sicura che sua madre lo conosce come le sue tasche e sa che un evento del genere farebbe venire una glaciazione, come minimo.
«Hallo» dice Ben.
Penso sia l’unico inglese che ho sentito parlare che abbia una pronuncia comprensibile.
Lo sento che cerca di tagliare corto con suo fratello, ma gli faccio cenno di non preoccuparsi.
Intanto arriva il cameriere e io allungo la mano verso la borsa. Ben ha già preso il portafogli, ma io gli faccio cenno di no. Lui inarca un sopracciglio mentre continua a parlare, ma mi blocca la mano con la sua.
«Ben!» sibilo io.
Lui scuote la testa come a dire non pensarci nemmeno.
Ma io sorrido al cameriere e dico:
«Ci scusi un secondo»
E lui si ritira.
Poi mi allungo verso Ben e dico nel suo iPhone:
«Sorry, Jack: just a moment, please!»
E copro con la mano il microfono.
«Ti ho portato fuori io e stasera pago io. E non si discute»
«Non pensarci nemmeno» dice subito Ben.
Ah, lo sapevo. Ormai lo conosco come le mie tasche.
«Ben, è così e basta. Stasera comando io. Dai, parla con Jack»
«Gin…»
Lo zittisco con un bacio a fior di labbra.
«Serata di Ben: paga Gin. Serata di Gin, paga Ben. Domani, ok?»
Ci manca pure che lo faccio pagare, dopo tutto.
Lui sbuffa, ma ho vinto io.
Faccio cenno al cameriere e gli porgo i soldi. Lui lancia un’occhiata impassibile a Ben, che sembra incavolato. Gli faccio cenno di concentrarsi sul fratello, che gli sta parlando.
Ma Ben lo saluta dopo due secondi, dicendogli che è con me e che lo richiama domani.
Appoggia l’iPhone sul tavolo. E il brutto di quel meraviglioso telefono, è che quando ti arriva un sms, compare direttamente sullo schermo.
Quindi, quando dopo cinque secondi il cellulare vibra, giuro che io non vorrei leggere, ma lo schermo si illumina quel tanto da permettermi di vedere il messaggio di Jack.
So, Gin doesn’t know you at all. So cool. But you prefer a beer in a pub! With me! ;)
Gemo.
Ben butta un occhio al telefono e impreca in inglese. Lo afferra e mi guarda mortificato.
«Gin…»
Io faccio una faccina triste.
«Per la cronaca, lo so che ti piace la birra. E il pub. Volevo solo fare una cosa diversa…»
«Gin, mi dispiace! Davvero! Mio fratello è un cretino!»
«Ma no…»
«Sì invece…»
«Dai Ben, non è niente…»
Ma lui sembra angosciato.
«Gin, senti, è una serata bellissima e…»
Sì, due ore di fila, cocktail carestosi e un posto esclusivo, che lui già conosceva.
Brava, Gin. Che colpo di genio.
«Davvero, non c’è problema. Non è la fine del mondo. Vuoi ancora stare con me dopo stasera, spero…»
Cerco di buttarla sullo scherzo, ma lui sussulta come se gli avessi dato uno schiaffo.
«Ma cosa dici?»
«Stavo scherzando…»
«Ma ti sembrano cose da dire? Insomma, io…»
«Ben, scherzavo, scusa…»
«Se tu ascolti più mio fratello che me…»
«Non è vero, io…»
«Non so come dirtelo ancora, ma a me non importa dove andiamo e nemmeno se stiamo a casa…»
«Senti, scusa, non volevo, stavo solo cercando di sdrammatizzare…»
«E comunque un conto è stare a New York per lavoro e un altro è stare qui con te, adesso…»
«Ben, era una battuta! Cavolo, non ascolto Jack più di te, io nemmeno lo conosco Jack…»
«Va bene, sono stato stupido a dirti che c’ero stato, ma non mi sembra un dramma…»
«Io non sto facendo drammi…»
Mi accorgo con un sussulto che stiamo litigando. Qui. In questo cavolo di posto. Mannaggia a me e alle mie idee del cavolo. Come ci ho pensato?
Non abbiamo mai litigato (se si esclude la volta che mi ha lasciata, in Toscana, ma quella me la vorrei  dimenticare) e litighiamo ora, così, qui, per una cretinata?
Eh, no.
«Ben, basta!!» sbotto, a voce troppo alta, e lui sussulta.
E si gira praticamente tutto il locale.
Insomma, ma non hanno di meglio da fare?
Non che abbia tempo di preoccuparmene ora.
«Scusa» bisbiglio «Sono una scema. Ho montato un casino per niente»
Lui fa per parlare, ma io gli metto un dito sulle labbra e proseguo.
«Davvero, scusami. Volevo organizzare una serata speciale e il risultato è quantomeno comico….ma non importa. A me basta solo stare con te. Se tu sei felice, sono felice anche io. Anzi, io sono felice comunque, a priori, se ci sei tu con me»
Lui abbozza un sorriso e mi bacia la punta del dito.
«Io sto cercando di dirti la stessa cosa dall’inizio di questa serata»
«Lo so» sono mortificata «Ma lo sai che quando organizzo qualcosa sono perfezionista! E l’idea della serata l’ho lanciata io! E volevo che riuscisse bene! E al di là di tutto…»
Ben soffoca le mie crescenti proteste con un bacio.
«Al di là di tutto, non ricominciare»
«Va bene» gli sorrido, pentita.
«Puoi organizzare qualunque serata, portarmi dove vuoi, basta che non ti stressi e che non litighiamo, ok?»
«È una nuova legge?»
«Sì» dice, deciso «Non voglio litigare con te. Odio litigare con chiunque, figuriamoci con te. E non voglio che fai una tragedia per una serata in un locale»
Arrossisco, colpevole, come sempre quando lui tocca un nervo scoperto o scopre un mio difetto.
Ed è incredibile come sa spingermi a cambiare, a lavorare su me stessa, dicendo tre semplici parole.
Poi, come sempre, appena mi vede mortificata Ben si addolcisce. Infatti mi stringe forte e mi accarezza la schiena.
«D’accordo, piccola?»
Annuisco, mentre nascondo il viso nella sua spalla.
Con le mani stringo la sua camicia e lo sento sfiorarmi i capelli con un bacio.
«Brava, la mia piccolina» mi sussurra.
«Scusa, amore mio» bisbiglio io, pentitissima.
E poi lo sento irrigidirsi.
Cosa…?
Oh.
Oh, cazzo.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Cos’ho detto?
Oh, merda.
Come, come mi è venuto in mente di dirlo?
Anche se lo so benissimo come mi è venuto in mente.
Mi è venuto in mente perché è vero. Perché io sono pazza di lui. E intendo proprio innamorata, fin nel profondo, di questo ragazzo meraviglioso.
Ma mi ero ripromessa di cucirmi la mia maledetta boccaccia.
Non sono cose che si dicono così, soffocate nella sua camicia, dopo quattro settimane, seppure meravigliose.
Quattro settimane e io me ne esco con un’affermazione del genere. A parte che avrei potuto dirglielo anche dopo una settimana, ma il punto non è questo.
Il punto è che io dovevo stare zitta, muta, e stop.
E adesso?
Non ha detto niente.
Tipo “ti amo anche io, Gin”.
No, non è proprio la stessa cosa.
Comunque, io ho sottinteso che.
Che lo amo.
E se per lui non è così? E se l’ho spaventato? E se si allontana?
Aiuto.
Dunque, pensa, Gin.
Potrei far finta di niente. Oppure potrei riderci su, tipo battuta. Oppure…oppure? Non mi viene in mente altro, a parte “sì, Ben, ti amo” e non mi sembra il caso, adesso, visto il suo silenzio.
Nessuna delle due opzioni mi convince molto, perché è palese che, dopo di lui, mi sono irrigidita anche io, ma tant’è. Opto per la seconda.
Tengo la fronte poggiata sulla sua spalla e gli faccio una carezza sulla schiena.
E per un attimo non succede niente e io mi sento gelare.
Poi, Ben posa una guancia sulla mia fronte.
Meno male. Meno male.
Mi rannicchio più vicina a lui, ma, per la prima volta, tra le sue braccia sento freddo.
E poi, per fortuna, arriva il cameriere a interrompere questo silenzio che pesa come un macigno. E pensare che dieci secondi fa stavamo ridendo…
«Vanno bene i cocktail, signore?» chiede a Ben.
Lui fa un cenno d’assenso, alza la testa e mormora qualcosa.
E a quel punto, devo staccarmi da lui.
Cerco di sorridere disinvolta, ma vedo Ben guardarmi con un’occhiata che non riesco a interpretare.
Allungo precipitosamente la mano a prendere il mio cocktail.
Entrambi ci concentriamo sui nostri bicchieri e non potremmo essere più distanti, anche se io, paradossalmente, gli sono seduta praticamente in braccio.
Tracanno dal mio bicchiere senza praticamente sentire il sapore di quello che bevo (probabilmente l’unica occasione nella mia vita in cui berrò perle triturate, o quello che sono, e la spreco così), ma non riesco a sopportare questo silenzio e il suo sguardo basso.
Ok Gin. Sii coraggiosa.
È il momento di valutare la portata del danno che hai fatto.
Allungo timidamente una mano e la poso sulla coscia di Ben.
Lui mi guarda e io tento di sorridere in modo convincente. Abbozza un sorriso anche lui e copre la mia mano con la sua, ma resta sempre zitto.
Oddio.
Cosa devo fare? Cosa posso fare?
Ho bisogno di raccogliere le idee.
Scolo il drink e mi alzo di scatto.
Troppo di scatto. Per un attimo mi ondeggia tutto davanti.
Barcollo e Ben allunga una mano per sostenermi.
«Gin?»
«Tutto bene! Vado in bagno…solo che…il tavolo si muove!»
Ben si alza.
«Siediti, è meglio»
«No…solo che…»
«Shhh, Gin»
Mi trascina a sedere e allunga una mano sul mio bicchiere per berne un sorso.
«Ma l’hai bevuto praticamente d’un sorso! Lo sai che ti ubriachi subito…»
«Era così forte? Non mi sono accorta…»
Pensa come sto.
Ben accenna un sorriso.
«Direi di sì, è forte. E tu non hai cenato, quindi…»
«Quindi?» gli poso la testa sulla spalla. In effetti sono un po’ stordita.
Peccato che io non possa dire che ho parlato avventatamente in fase di ubriachezza molesta.
Lui mi passa un braccio attorno alle spalle.
«Quindi, ti porto a mangiare qualcosa e poi andiamo a casa»
Esita un attimo.
«Cioè…se non ti dispiace andare via»
No, voglio restare. È stata una serata deliziosa, perché non dovrei voler restare?
Scuoto la testa e lui mi aiuta ad alzarmi.
Getto un’occhiata malinconica ai nostri bicchieri abbandonati sul tavolo faticosamente conquistato e poi Ben mi conduce fuori, all’aperto, sostenendomi.
Io mi appoggio a lui e sussurro:
«Scusa»
E non so se mi sto scusando per la serata orrenda, le mie parole avventate o la mia ubriachezza imprevista.
Ma lui mi stringe più forte.
«Tranquilla, tutto a posto»
Speriamo.
«Ben….mi porti a mangiare le patatine fritte?»
Lui ride piano.
«Sapevo che me lo avresti chiesto»
 
E così, la mia serata speciale e super-romantica si conclude al McDonald.
Prendiamo hamburger e patatine e io riesco a combinare un altro mezzo casino quando ordino una birra.
Ben mi guarda esasperato.
«Gin, non la voglio la birra, ok? Non volevo andare in un pub stasera e ora non voglio una birra, voglio la coca-cola»
Io lo guardo indignata.
«La birra è per me!»
Lui sospira.
«Ma se tu al McDonald prendi solo il milkshake…»
Ah. Ecco cosa succede quando anche il tuo lui inizia a conoscerti troppo bene.
«Stasera voglio la birra»
Per affogare le cose che dico nel boccale. Di plastica.
Ci sediamo e io sfilo le scarpe e raccolgo le ginocchia al petto.
Pilucco una patatina dal vassoio e guardo Ben, che fissa concentrato il suo hamburger.
Lo vedo portarselo alle labbra e dare un morso senza alzare gli occhi.
Sospiro.
Lui allunga la mano verso le patatine e io la copro con la mia.
«Ehi»
«Ehi» mi guarda.
Esito e poi mi faccio coraggio.
«A cosa pensi?»
«Niente di particolare» scuote la testa.
Ah. Niente di particolare. Cosa vuol dire?
Tutto ok sono rilassato e sto bene? Oppure: ti ho sentita benissimo pronunciare quelle parole e ora come ne veniamo fuori?
Vorrei cercare di non entrare in panico. Perché non l’ho insultato, non l’ho offeso e non ho fatto niente di sgradevole o volgare.
Forse, dico forse, mi sono lasciata scappare sue paroline di troppo. Che poi, per quel che mi riguarda, sono vere. E ne vado fiera.
Solo, non mi aspettavo che mi uscissero di bocca da sole. E, tantomeno, che lui reagisse così.
O forse non sta reagendo.
Il che, comunque, è una reazione.
E da qualsiasi parte la guardo, questa situazione mi convince poco.
Per darmi coraggio mi attacco alla birra.
Solo che è vero che sono una ragazza da milkshake.
Le patatine possono poco in questa circostanza.
Ben mi lancia un’occhiata e mi tende il suo hamburger. Io scuoto la testa e lui sospira. E avvicina la sedia alla mia.
«Dai, mangiane un po’. Altrimenti stai male sicuro»
«Sto già male»
E non ce l’ho con la birra.
«No, ora passa»
Mi mette un braccio attorno alle spalle e mi avvicina l’hamburger. Io gli do un morso svogliato e poi gli faccio cenno che non ne voglio più.
«Ne prendo un altro?»
Scuoto la testa.
«Mi nausea…»
Lui sospira e mi allontana il bicchiere.
«Perché hai voluto prendere la birra?»
«Per af…affogare il mio dispiacere» borbotto io.
Oddio, sono andata. Non controllo più quello che dico.
Ma Ben sorride e mi fa una carezza sui capelli.
«Esagerata. Il locale era carino»
Carino.
Io non volevo che fosse una serata carina, volevo che fosse una serata speciale. Magica. Di quelle che ti ricordi per sempre. E non che passi alla storia come la serata più penosa di sempre.
Taccio e mi avvicino a lui. Ho bisogno che mi stringa forte. Ma lo sento ritirarsi.
«Ben! Ma insomma! Cosa succede?» sbotto, decisamente allarmata.
Ma lui sgrana gli occhi e mi mostra il resto del panino.
«Non volevo sporcarti il vestito…»
Ah.
Lo posa sul tavolo e mi tende le braccia, esitante.
«Tutto ok, Gin? Cioè, a parte la sbronza»
Non lo so. Dimmelo tu.
Ma faccio sì con la testa.
Lui mi abbraccia e dopo un po’ mi viene sonno. Lotto per tenere gli occhi aperti mentre Ben raccoglie i vassoi, le nostre giacche e le mie scarpe.
«Quelle non le metto» gli dico, imbronciata.
Ma lui sorride.
«Invece sì, Cenerentola, così impari. Domani scarpe da tennis, come me»
«Domani?»
«Sì. Domani tocca a me, no?»
Ah, allora l’ipotesi domani è ancora in piedi. Meno male. Farò finta di svegliarmi e di essermi dimenticata tutto. Tipo amnesia temporanea.
Sorrido, più allegra, e Ben mi sorride a sua volta.
Mi alzo e scopro che le gambe mi reggono, ma che tutto attorno a me si muove da solo.
«Mmmm» mugugno.
«Dai, andiamo. Ci sono io» mi prende per la vita e, pazientemente, mi porta fino a casa, un passo dopo l’altro.
«Lo dirai a Jack?» gli chiedo.
«Della tua sbronza?» sorride lui.
«No, che sei un tipo da pub e non da cocktail con l’arsenico»
Lui ride.
«Jack lo sa. Ma sa anche che adoro tutto quello che faccio con te. Voleva prendermi in giro, non offenderti»
«Davvero?»
«Certo»
«No, davvero adori tutto quello che fai con me?»
Lui si ferma in mezzo al marciapiede deserto.
«C’è bisogno che io dica sì?»
«Sì!»
«Va bene. Sì. Tutto, Gin»
«Bene: la serata è stata un successo!»
Lui scoppia a ridere.
Amo questa sua risata, il modo in cui i suoi occhi si illuminano quando è divertito, le sue labbra morbide e  l’espressione disarmante del suo viso. Il suo candore, la sua bontà, la sua semplicità.
Amo tutto di lui.
Vorrei dirglielo, ma le parole mi restano in gola.
E per la prima volta da che lo conosco, quando mi bacia, io non mi sento completamente, perfettamente felice tra le sue braccia.

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Capitolo 3
*** And love will find a way ***


Affondo la testa nel cuscino cercando di trattenere gli ultimi brandelli del mio sogno mentre sento una mano gentile che mi accarezza il fianco, sopra il lenzuolo.
«Mmmm» borbotto.
«Buongiorno principessa. Ora di svegliarsi»
La voce che sussurra mi riporta alla coscienza. Così dolce e sensuale come solo la sua voce sa essere. Borbotto ancora e giro la testa sul cuscino mettendomi supina, gli occhi ancora chiusi.
Lo sento ridere piano e affondare una mano nei miei capelli.
«Ciao ricciolina. Ti ho portato la colazione»
Ben si china a baciarmi la guancia e io sorrido con gli occhi chiusi e tendo le braccia. E lui mi stringe subito. Sento il suo peso su di me e le sue mani che si fanno strada sotto la mia schiena mentre si china e lo stringo forte. E lui mi dà un bacio sulla punta del naso. Apro gli occhi e vedo il suo viso vicinissimo al mio. Così bello, con gli occhi scurissimi, gli zigomi delicati, la fossetta sul mento e il sorriso candido.
Sento il mio cuore riempirsi di gioia e di amore, come sempre quando lo vedo.
«Buongiorno» mormoro.
Lui mi bacia la fronte e le guance e mi scavalca per sdraiarsi vicino a me. Io sono ancora intorpidita e mi accoccolo subito nel suo abbraccio.
«Come mai sei già sveglio?»
«Volevo farti una piccola sorpresa, per ringraziarti di ieri»
E mi strofina contro il naso un bocciolo di rosa. Rossa. Io sgrano gli occhi.
«Mi hai…comprato una rosa?»
Lui sembra spiazzato.
«Si…perché?»
«Non me ne hanno mai regalate» arrossisco. E poi lo stringo forte forte.
«Piccola, dai…non è niente» sembra spiazzato, mentre mi accarezza i capelli.
Io respiro il suo profumo e mi lascio cullare dalle sue braccia, mentre ripenso a ieri sera, al mio spavento quando l’ho visto irrigidirsi e alla premura con cui invece mi ha portata a casa e mi ha messa a letto, visto che io non mi reggevo molto in piedi.
Mi rilasso tra le sue braccia mentre lui mi accarezza la schiena con la mano e mi bacia lentamente il collo e scende fino alla spalla. Sospiro e volto la testa e gli metto una mano sulla guancia.
«Grazie»
Lui sorride di nuovo – quel sorriso meraviglioso che ha il potere di farmi sciogliere – e mi bacia ancora. Mi fa stendere sulla schiena e mi bacia il viso, la gola e scende fino al seno, sfiorando con le dita la spallina della mia sottoveste. Io affondo le mani tra i suoi capelli e lui mi posa la testa sul petto.
«Non vorrei essere sdolcinato ma…»
«Ma?» sorrido.
«Ma sei così bella anche appena sveglia…» mormora.
Chiudo gli occhi e mi sembra incredibile. Quanto una persona sappia cambiarti la vita solo con la sua presenza. Forse è un sogno…
Ma Ben è vivo e tangibile tra le mie braccia. Faccio correre piano un dito sulla sua nuca e lui mi stringe più forte. Alza la testa e i nostri occhi si incrociano. Ci guardiamo in silenzio per un attimo lungo cento anni e io annego in quelle pozze nere come l’onice. Con il dito seguo il profilo del suo viso.
«Vieni qui» gli bisbiglio piano.
E lui si solleva e posa con estrema delicatezza le labbra sulle mie, in bacio dolce e tenero. Le mie labbra si schiudono sotto le sue, ma dopo un attimo lui si solleva sui gomiti.
«La tua colazione si fredda, mia signora»
Mi mette un vassoio sulle ginocchia e si siede accanto a me, mettendomi un braccio dietro la schiena.
«Tu hai già mangiato?»
«No, volevo mangiare con te»
Guardo bene il vassoio e mi mordo un labbro per non commuovermi. È andato fino al mio bar preferito per prendermi tutte le torte che adoro. Ci sono due cappuccini nei loro bicchieri coperti e un’altra rosa rossa. Come si fa a non amarlo?
Sorrido e mi sporgo a baciarlo ancora. Le nostre lingue si cercano e si accarezzano con dolcezza e lentezza estreme. Ben mi prende il volto tra le mani e mi accarezza lo zigomo con il pollice.
«Non hai proprio fame, eh?» sorride.
«Veramente ho molta fame, ma il problema è che tu mi distrai» sorrido.
«Chiedo scusa, mia principessa» sfrega il naso contro il mio e poi si appoggia indietro, sui cuscini.
Non resisto e gli rubo un altro bacio, poi scarto i cappuccini. Beviamo e ci imbocchiamo a vicenda con le torte.
«Chiudi gli occhi» gli dico «E apri la bocca»
Lui obbedisce e io gli do un pezzetto di torta.
«Indovina: che gusto è?»
«Mmmm» ci pensa un attimo «È quella al pistacchio?»
«Bravo. Questa?»
«Questa è facile» sorride «È nutella»
Io rido, perché so che è golosissimo.
«La nutella sarà la mia rovina. Mia madre mi ha detto subito, appena mi ha visto a Londra, che sono ingrassato…»
«Non ti farebbe male mettere su un paio di chili…sei magrissimo»
«Dovevi vedermi quando ero piccolo…ero sempre il più magro e piccolo di tutti…»
Gli bacio la punta del naso.
«E il più bello, scommetto»
Lui sorride ma fa cenno di no con la testa.
«Magrissimo, piccolo e pallido»
«Bè, per me le forme sono sempre state un problema quindi…no, non capisco»
«Ma cosa dici? Le tue forme sono favolose» fa scorrere una mano sul mio fianco.
«Bè, oddio…non è che io la pensi proprio così, ma…grazie»
«Ma Gin, dico davvero! Cioè, tu sei…» mi guarda e io mi sento fremere.
Come fa a farmi sentire così solo con uno sguardo?
«E tu, tesoro mio, sei meraviglioso. E basta»
Lui scuote la testa. Resto sempre stupita del fatto che un ragazzo come lui, che a prescindere dalla sua carriera di attore famoso a livello mondiale è un ragazzo stupendo, sia così modesto. Quasi insicuro e fragile. E educato, gentile e premuroso.
«Gin, dico davvero: sei bellissima. Tralasciamo il fatto che io ho perso la testa per te, ma sei bellissima davvero»
«Che tu…che cosa? Scusa, puoi ripetere?»
Ma lui sorride e beve un sorso di cappuccino.
«Mmm…buono»
«Ben!»
«Sì?» sorride con una faccia fintamente angelica.
Molto bene: se vuole giocare, allora…
Sposto il vassoio di lato e con un solo movimento mi metto a cavalcioni su di lui. Mi mette subito le mani sui fianchi e io sorrido e avvicino il viso al suo.
Gli do un bacio leggero e, appena lui si avvicina, mi raddrizzo e mi allontano.
«Non ho sentito, scusa»
Altro sorriso.
«Non ho detto niente…»
Sorrido anche io e mi avvicino di nuovo. Sfioro le sue labbra con la punta della lingua e lo sento stringermi subito più forte. Cerco di farmi indietro, ma le sue mani si serrano su di me.
Ben rotola sul fianco e mi imprigiona sotto di lui.
«Presa»
Si avvicina per baciarmi ma io resto impassibile e mi mordo le labbra. Lui ride.
«Non sei credibile, sai?»
«Scusa, hai detto?»
E vengo ricompensata da un’altra delle sue bellissime risate.
«Ho detto, ricciolina» e fissa gli occhi nei miei «Che ho ufficialmente perso la testa per te»
Si china a baciarmi e a questo punto la colazione giace dimenticata, mentre lui con lentezza fa correre le mani e le labbra sul mio corpo. La mia mente è annebbiata e connetto a fatica, troppo persa nella beatitudine. Ma c’è un pensiero che continua a ronzare pigramente…lui e io, ieri sera, due parole che temevo avessero creato una frattura tra noi.
Eppure, lui ora ha detto che…
Sospiro e apro gli occhi per guardarlo. Lo so che se non mi tolgo questo pensiero mi rovino la giornata.
Premo appena una mano sulla sua spalla e lui apre gli occhi. Io gli sorrido e faccio per sedermi: lui si solleva subito. Gli metto un braccio attorno alla vita e gli passo di nuovo il cappuccino. Lui sembra perplesso, ma lo prende. Ci accoccoliamo di nuovo sul letto e io avvicino il vassoio. Dividiamo una fetta di torta e lui scoppia a ridere quando addenta e io invece mi metto a baciargli il collo.
«Decidi: mangiamo o facciamo altro?»
Sorrido.
«Mangiamo. Posso chiederti una cosa?»
Mi dà un bacio sui capelli.
«Quello che vuoi»
«Ieri sera io…» esito e lo guardo «Ieri sera ho detto una cosa e non so bene come l’hai presa»
«Ah. Cosa?»
Lo guardo severa.
«Ben, lo so che lo sai. Io ti ho chiamato “amore mio” e tu ti sei irrigidito come un palo»
Butto fuori la frase di getto e lo guardo. E il bello di Ben è che non mi mentirebbe mai, lo so. Infatti china un attimo gli occhi sulle lenzuola e poi li rialza e li fissa nei miei.
«Ti sei offesa?»
«No, mi sono preoccupata semmai. Tu ti sei offeso?»
«Ma Gin! Potrei offendermi per una cosa del genere?» mi prende la mano e intreccia le dita alle mie «Mi hai sorpreso, tutto qui»
«Ma è un problema?»
Ben sorride.
«Mi stai chiedendo se per me è un problema se mi chiami amore?»
Detta così, in effetti…
«Ti sto chiedendo se per te è un problema l’implicazione»
Ben aggrotta la fronte. Ah già: come glielo traduco?
Al diavolo. Andiamo dritti al punto.
«È un problema il fatto che io…mi sono innamorata di te?»
Cavolo. M’è uscita un po’ brusca.
Mi sa che Ben la pensa come me, perché sgrana gli occhi. Lo vedo prendere fiato e esitare. Ma io mi sento come una diga con gli argini rotti: sto esondando, letteralmente.
«Voglio dire, so che ci conosciamo da poco e io non so come sia possibile, davvero non lo so, ma… ma io non mi sono mai sentita così prima. Con nessuno, mai. E sei tu che mi fai essere così felice, così tanto felice che io…non so, cosa altro potrei dire? Non che sia facile dirlo, per carità. Ma è vero, sono innamorata di te. Sì, potevo dirtelo in un altro modo, magari aspettare ancora un po’….ma mi è venuto spontaneo. E non farò finta che non sia così»
Lui china gli occhi e io aspetto un attimo, ma lui resta fermo. Allora gli do piano un bacio sulla testa e lui mi stringe le dita della mano. Gli poso l’altra mano sulla guancia e gli faccio alzare piano il capo.
Ci fissiamo e penso di scorgere nei suoi occhi una traccia di inquietudine. Tento di assumere un tono leggero.
«Ti ho sconvolto?»
Lui fa un mezzo sorriso e poi mi abbraccia forte.
«Gin, è solo che…»
«Che?»
Lo sento esitare e mi maledico mentalmente, ma nel profondo so che era giusto dirglielo. Io lo amo e davvero non posso fare finta che non sia così. Non voglio.
Ma se lo vedo addolorato o preoccupato…non riesco nemmeno a pensare a come mi sento io: per me conta soltanto come sta lui.
Gli accarezzo piano la schiena.
«Tesoro…stai tranquillo, dai. Non volevo turbarti»
«Scusa, sono un idiota. È solo che…»
«Che?»
Ben, però così mi uccidi…ora, va bene tutto, ma…
«… che ho paura…» sussurra.
Ah. Ok.
Credo, almeno, che sia ok.
Gli accarezzo i capelli e lo faccio sdraiare accanto a me. Lui ha il viso nascosto nella mia spalla, ma sento che pian piano si rilassa. Intreccia le dita dietro il mio collo e sospira. Poi improvvisamente si raddrizza e mi guarda.
«Gin, scusami» dice, la voce ferma «Sono un imbecille. Mi hai detto una cosa bellissima e io reagisco così. Scusa»
«Non preoccuparti…io…ehm…non importa»
Fa un sorrisino.
«Per me non è mai stato facile da dire…dire a una persona che la ami…non so, è tutto. È così tanto che mi spaventa. Non è la parola in sé, è quello che comporta. Un impegno, un’attenzione, una protezione…vuol dire che la persona che hai accanto per te è tutto, più del lavoro, della famiglia, degli amici, dei tuoi interessi…che viene prima di tutto. Non basta dirlo: vuol dire che poi lo devi dimostrare, che deve essere così nei fatti, tutti i giorni»
In effetti, sì. Annuisco.
Lui mi guarda negli occhi.
«Tu per me sei importantissima. Ci tengo a te, immensamente. Non so cosa mi hai fatto, ma da quando ci sei tu io…non lo so, io sto bene. Mi sento bene. Avevo paura di legarmi a qualcuno, lo sai…e con te è tutto così facile. Così bello. Davvero, tu mi fai felice»
Ho un groppo in gola. Lo faccio felice.
Non desidero altro. Non voglio altro, non mi serve altro. Solo Ben. Sapere che sta bene con me è il premio più grande che potrei desiderare.
Lo stringo forte e sento che la tensione che ho provato prima si scioglie.
Lo faccio felice.
«Cos’altro dovrei volere?»
«Un fidanzato che non abbia paura di dirti che…che ci tiene a te?»
«Non importa se me lo dici, mi importa se me lo dimostri»
E lo penso davvero.
Sono stupita da questa me riflessiva e adulta e matura, ma nel profondo so che è vero: io devo esternare anche con le parole quello che ho dentro, sempre. Fa parte di me, come analizzare e sviscerare ogni problema che mi si pone, o come cercare il contatto fisico con le persone. Io sono fatta così.
Ben è molto socievole, ma un po’ più riservato di me. Ha i suoi tempi, è discreto laddove io sono irruenta. Ma sa dimostrare le cose anche senza dirle.
Certo, ammetto che vorrei sentirgli dire che mi ama. Ovvio, lo vorrei tantissimo.
Ma la prima cosa che voglio è che sia qui, con me: adesso, domani, in futuro. Perché se sta con me, so che lo fa perché lo vuole. Perché non è capace di fare qualcosa che non lo convince al cento per cento, odia scendere a compromessi e non saprebbe riservarmi tante attenzioni e tanta dolcezza se non provasse qualcosa per me.
C’è un attimo di silenzio e poi Ben bisbiglia:
«Non ti merito…grazie…»
 
Quando mi alzo dal letto per andare a fare la doccia, lo lascio sdraiato tra le lenzuola. Non sembra del tutto sereno, malgrado le coccole, le rassicurazioni e le parole dolci che ci siamo scambiati in quest’ultima ora, dimentichi persino della colazione pantagruelica che mi ha portato. Mi sorride, ma lo conosco troppo bene: è preoccupato, teme di avermi ferita.
E io invece mi sento bene. Mi sento forte, serena e determinata: lo amo, lo so, e so che tiene a me. E questa Ginevra che lui mi ha fatta diventare…mi piace. Per la prima volta, io mi sento bene con me stessa. Non inadatta, insicura o debole e sottomessa: mi sento io. La me che sono in ogni altro ambito della vita che non sia quello sentimentale. Sono io al cento per cento.
Mi guardo allo specchio mentre mi pettino i capelli bagnati e mi mordicchio un labbro, pensierosa. Esco dal bagno avvolta nell’asciugamano e trovo Ben sempre disteso sul letto, con il viso voltato fuori dalla finestra, che sembra assorto a guardare i tetti di Milano.
Mi metto davanti a lui e sorrido.
«Sei pensieroso, mio principe?»
«No»
Sorride, ma vedo che mi sta dicendo una bugia.
Sorrido anche io e gli prendo la mano e lo tiro a sedere. E poi lascio scivolare l’asciugamano.
Resto nuda, in piedi di fronte a lui, contro la luce che proviene da fuori. Vedo il suo sguardo percorrere il mio corpo e la sua espressione passare in un istante da incredula, a torrida, a famelica. Sorrido quando vedo il rossore affiorare sulle sue guance mentre alza gli occhi sul mio viso, esitante, quasi timoroso.
E io gli tendo le braccia.
Lui è subito in piedi e mi prende tra le braccia. Le sue mani percorrono il mio corpo mentre io gli bacio il collo e infilo le mani sotto la sua maglietta. Lui freme quando tocco il ventre e gli faccio una carezza lenta che si arresta sull’orlo dei jeans e poi, pian piano, scende più in basso.
Mi prende la mano.
«Piano, principessa. Voglio che sia…speciale»
Annuisco e mi faccio adagiare tra le lenzuola. Sento la seta frusciare attorno alle mie forme nude e il peso di Ben che si sdraia sopra di me.
Mi bacia con tutta la passione e, insieme, la delicatezza del mondo. Lo sento avido e rispettoso insieme, impetuoso e dolce. Mi perdo nelle sensazioni che le sue mani e le sue labbra sanno provocare in me.
Lo costringo a sollevare un attimo le braccia quando gli sfilo la t-shirt, ma le sento di nuovo subito attorno a me. Possessive, forti, bramose. I nostri sospiri si mescolano mentre entrambi esploriamo il corpo dell’altro con abbandono totale. Finora ci siamo sempre fermati, abbiamo aspettato. Ma io sono pronta, so che lo voglio e che non voglio più aspettare che sia mio, mio totalmente.
E Ben la pensa allo stesso modo.
«Ho sempre pensato che sarebbe stato così…» mormora «Sei meravigliosa»
Inarco la testa all’indietro e mi manca il fiato per rispondere quando lui traccia una scia di baci sul mio collo e sul seno. Lo stringo più forte e con le unghie gli solletico la schiena e lo sento rabbrividire. Le nostre bocche si incontrano di nuovo: le nostre lingue giocano a rincorrersi, le labbra fuse.
Ben scivola accanto a me e mi fa voltare sul fianco. Mi guarda con tenerezza infinita prima di baciarmi di nuovo. Faccio correre la mano con lentezza sul suo fianco, sulle costole, una ad una. Sfioro il petto e lo sento deglutire con forza. La mia mano scende con lentezza esasperante sulla sua pancia. Traccio con il dito il contorno del suo ombelico e lo sento sbuffare, a metà tra un gemito e una risata.
Mi metto a cavalcioni sopra di lui e lo guardo negli occhi prima di ripercorrere lo stesso cammino con le labbra. E lui si inarca sotto di me.
«Gin…» ansima.
Rotoliamo sul letto e io non riesco più a seguire tutte le carezze, a descrivere le sensazioni che sa far scaturire in me il suo tocco. È enormemente…Ben. Dolce, esperto, timido, possessivo.
Non resisto. Allungo la mano tra noi e la poso sui suoi jeans, il suo desiderio che si avverte benissimo anche attraverso la stoffa. Slaccio il bottone e glieli abbasso. Lui si ferma un secondo per sfilarli e torna a stendersi su di me. Le sue mani scendono sulla mia vita e, di lì, sui fianchi e sulle cosce; la sua bocca è sul mio seno. Intreccio le gambe alle sue e con le mani gli stringo i glutei, risalgo sulla schiena e la stringo, mentre lui, con la mano, mi accarezza fino a farmi gemere.
Si solleva solo un attimo e quando si sdraia di nuovo non ha più i boxer, non c’è più niente che divida la sua pelle dalla mia.
E siamo una cosa sola, e diventiamo una cosa sola.
Ben è dolce e attento e, malgrado la passione, lo sento forzarsi a muoversi piano, ad aspettare che io sia pronta, che la sua presenza in me mi diventi nota. Ma io sono insaziabile. Mordo piano la sua spalla e gli graffio la schiena mentre lo stringo e lo sento stringermi  ancora più forte in risposta, protettivo e premuroso come solo lui sa essere.
«Ti faccio male?» sussurra.
Io scuoto la testa contro di lui e lo sento fremere per il bisogno di iniziare a muoversi. E io mi muovo con lui. Intrecciati, balliamo una danza antica come il mondo.
«Gin…guardami» lo sento bisbigliare, con il respiro irregolare.
Apro gli occhi e li incateno ai suoi. E ci guardiamo negli occhi, sempre, mentre facciamo l’amore, mentre le nostre gambe si intrecciano, i respiri si mescolano ai gemiti.
 «Sei stupenda…» mormora ancora lui, prima di chinarsi sulle mie labbra.
E il suo bacio vorace soffoca l’urlo che mi sale in gola.
E poi lo sento. Dura un attimo, o forse mille anni. Raggiungiamo l’appagamento praticamente insieme e poi crolliamo, esausti entrambi, lui sopra di me.
Oddio.
Oddio. È stato…incredibile. Non mi sono mai, mai sentita così, in tutta la vita.
Sento Ben ansimare piano, con il viso affondato nel mio petto. Gli accarezzo la schiena. Sento le sue labbra baciare dolcemente la mia pelle, risalire il collo, sfiorarmi il lobo dell’orecchio e arrivare al viso. Sembra quasi una tortura, una dolcissima tortura.
Lo sento sorridere, quando mi vede fare praticamente le fusa. Restiamo a coccolarci con tutta la tenerezza del mondo. Baci, parole, abbracci, e quando suona il cellulare di Ben, lui nemmeno si volta, ma allunga un braccio a tentoni e lo spegne.
«Poteva essere un super-regista-stellare che voleva proporti il film della tua vita»
«Forse. Ma io adesso sono impegnato con la mia ragazza e non ci sono per nessuno»
Sorrido.
Sua. Può ben dirlo. Io sono completamente, solamente sua.
Fremo quando il suo dito solletica la mia clavicola e scende sul seno. E non mi stanco di guardarlo, di toccarlo, di vederlo sorridere, fremere, emozionarsi. Con me e solo con me.
 
Alla fine, passiamo la giornata a letto. Ci alziamo soltanto per mangiare qualcosa al volo. Quando la sera sentiamo bussare piano alla porta di camera nostra, io sto sonnecchiando con la testa poggiata sul petto di Ben e quasi penso di essermelo immaginato, anche perché lui continua a giocare con i miei capelli con l’aria più rilassata e serena che io gli abbia mai visto, da quando lo conosco.
Poi sentiamo una voce.
«Siete vivi o devo iniziare a preoccuparmi?»
Francesca.
Io aggrotto le sopracciglia mentre Ben si solleva piano dal letto.
«Fra! Oh, scusami!»
«Ma che “scusami”? Ben, ti avrò chiamato cento volte! Allora, mi apri questa porta o no?»
«Ehm…» Ben guarda me nuda, le lenzuola aggrovigliate, la stanza sfatta «Credo di no, Fra. Aspetta»
Si alza, infila al volo boxer e jeans e va alla porta.
«Allora!» sento la voce di lei dal corridoio «Ma si può sapere che cavolo…»
E poi si zittisce. Immagino che vedere Ben sconvolto, spettinato e mezzo nudo le faccia intuire il motivo per cui lui non ha risposto al telefono tutto il giorno.
«Ehm…»
Ben scoppia a ridere e ride ancora di più quando sente me gridare, dal letto:
«Fra, se lo stai guardando a bocca aperta sappi che è proprietà privata! E che il signorino deve cortesemente infilarsi una maglietta.Subito»
«Eh…non ho visto niente» fa lei, maliziosa «Bene, deduco che siete impegnati e me ne vado. Comunque, Ben, ho fatto tutto quello che mi hai detto e Tommaso anche, quindi sei a posto. Per le 21. Gin, ti lascio una cosa qui»
«Cosa?» borbotto, ma sento Ben che richiude la porta.
Mi volto verso di lui e lo vedo che tiene in mano una grande scatola.
«Cos’è?»
«Per te» mi dà un bacio sulle labbra «Per stasera»
«Stasera?»
«Stasera tocca a me portarti fuori, ricordi?»
«Oh. No, non mi ricordavo. Non ricordo niente se non la colazione di stamattina e la giornata di oggi» gli dico, maliziosa.
Lui sorride e mi bacia ancora. Sento la sua lingua cercare la mia, ma quando faccio per stringerlo a me si allontana. Sospira e mi posa la scatola sulle gambe.
«Non che io abbia molta voglia di uscire…»
«Nemmeno io. Restiamo a casa?»
Sorride.
«No, andiamo»
Sposto la scatola e mi metto in ginocchio sul letto. Lo stringo e faccio scorrere le mani sulla sua schiena e poi sui fianchi.
«Non posso proprio convincerti?» lo guardo da sotto in su e lui mi bacia la punta del naso.
«In realtà puoi, assolutamente, ma siccome ti ho preparato una sorpresa preferirei che rimandassimo a dopo cena…»
«Ben, dai, per favore…»
Lo bacio sul petto e lo sento trattenere il fiato. Mi scappa un sorrisino, mentre continuo e scandisco ogni parola con un bacio.
«Per favore…cucino io…dai…ti prego…»
Mi prende il viso tra le mani.
«Ok, facciamo così. Tu ora apri quella scatola e dopo, se ancora sei dell’idea di stare a casa, non usciamo»
Lo guardo perplessa e allungo una mano sul coperchio della scatola. Lo alzo, e devo sedermi di scatto sul letto.
Un turbine di pensieri mi attraversa la mente in un lampo, tutti insieme.
Il vestito.
Quel vestito.
Di quel giorno…
Come ha fatto?
Come se lo ricorda?
Oddio.
Alzo gli occhi su di lui, incredula. E lo vedo guardarmi teneramente.
«Ti piace?»
Io sono ammutolita.
Mi ha comprato un vestito. E non un vestito qualunque. Mi ha comprato il vestito. Quello che abbiamo visto insieme quel giorno di qualche settimana fa, quando l’ho portato con me per negozi. Quando non avevo più niente da mettere. Quando abbiamo parlato della nostra storia e della lontananza.
Io mi ero fermata a guardarlo dalla vetrina e lui era accanto a me, con la stessa aria di sopportazione che sfoggiano tutti i ragazzi che odiano i negozi ma devono accompagnare le loro ragazze a fare shopping.
Lui detesta andare per negozi. Mi ricordo che quel giorno, pur di farmi sbrigare, ogni volta che gli chiedevo “Come sto?” mi rispondeva in automatico “Benissimo. Fatto?”
E invece…se lo ricorda. Se lo ricorda anche se sono passate settimane, anche se l’ho guardato solo dalla vetrina.
Ed è tornato a prenderlo. Per me.
Sono commossa. Ma anche angosciata.
Perché mi ricordo benissimo il prezzo di questo vestito. Costa 500 Euro.
Non posso permettergli di farmi un regalo del genere.
Lo guardo stranita.
«Ehi…»
«Ben, io…io…non so cosa dire»
«Bè, dimmi se ti piace»
«Ma certo che mi piace! Come potrebbe non piacermi? È solo che…è troppo»
Lui aggrotta la fronte.
«Ben, sei un angelo, ma non posso accettare un regalo così bello»
«Cosa? Perché?»
«Perché…è troppo»
«Cosa vuole dire? Certo che non è troppo. Se te lo regalo si vede che voglio farlo!»
«Sì, ma…»
«Niente ma. Insomma, Gin, questa cosa non ha senso! E poi, visto che fa parte della mia organizzazione della serata, devi accettare e basta!»
Io deglutisco.
«Te lo sei ricordato»
«Cosa?»
«Ti sei ricordato che mi piaceva. Che mi ero fermata a guardarlo»
Lui sorride dolcemente e si siede accanto a me. Mi rifugio subito tra le sue braccia.
«Certo che mi sono ricordato. Lo guardavi incantata»
«Io…»
«Facciamo che tu lo metti per me, stasera. Fammi questo regalo, per favore»
Mi scappa da ridere.
«Ah ecco. Ora sono io che faccio un regalo a te?»
«Certo. L’ho preso per far feliceme, non te»
«Si chiama psicologia inversa?»
«Guarda che parli con il figlio di uno psichiatra e di una psicoterapeuta. Allora, mi vuoi fare felice?»
Sorride, ma forse scherza solo in parte.
Il vestito è parecchio sexy, da come lo ricordo.
Ora, beffa delle beffe, lo provo e mi sta uno schifo…
 
Invece no, è favoloso.
Sono davanti allo specchio di camera nostra dopo aver fatto una doccia e rilavato i capelli. Sapete com’è….faceva parecchio caldo qui, oggi.
Sono uscita dal bagno con il vestito già addosso e Ben si è messo dietro di me. Lo specchio ci riflette entrambi e nessuno di noi dice nulla per un lungo attimo.
Il mio vestito è nero. La manica sinistra è di velo trasparente, con delle piccole gemme scure incastonate. Il braccio destro è nudo. Mi arriva al ginocchio in pieghe drappeggiate, morbido, elegante e seducente.
Ben indossa uno smoking. L’ho visto vestito così solo nelle foto delle premiere e, sebbene lui sia talmente bello che in pigiama, in jeans o in giacca non fa differenza, vedermelo così, in camera…bè, quasi mi è venuto un colpo.
Poi lui mi bacia la spalla nuda. Mi appoggio con la schiena contro il suo petto e lui mi cinge con le braccia.
«Vorrei dirti che sei bellissima, ma sto diventando ripetitivo»
Sorrido.
«Grazie. Davvero, grazie grazie grazie mille»
Mi volto tra le sue braccia per baciarlo. Restiamo allacciati per un lungo momento e, quando ci allontaniamo, Ben si fa il nodo alla cravatta e io raccolgo i capelli.
«Lasciali sciolti» mi prega lui, ma io gli sorrido.
«Questo non è un vestito da capelli sciolti»
Faccio uno chignon sulla sommità del capo e Ben si avvicina per baciarmi il collo.
«Approvo» mi bisbiglia e io mi stringo a lui.
 
Alla fine, ci trasciniamo fuori dalla nostra stanza. Francesca e Tommaso sono in salotto e lei batte le mani quando ci vede.
«Siete bellissimi. Divertitevi stasera»
 
Usciamo e Ben mi porta a piedi in Duomo.
«Dove andiamo?»
«Sorpresa» sorride.
«Sulle guglie del Duomo» scherzo io.
Ma lui sorride ancor di più e mi dice:
«Quasi»
Mi porta sotto i gradini antistanti il Duomo e mi dice che siamo arrivati.
Quindi?
«Andiamo da Spizzico?»
Lui ride.
«Sì, pensavo che il tuo vestito fosse adattissimo per Spizzico»
Ah già.
«Burger King? Il McDonald?»
Ma lui scuote la testa. Mette le braccia sui miei fianchi e mi fa voltare verso la Galleria, mettendosi alle mie spalle e abbracciandomi da dietro.
«Savini?»
Oh no, povero tesoro mio. Ditemi che non ha scelto questo. Spenderà un’esagerazione e mangeremo tra giapponesi che scattano le foto anche ai tovaglioli e tedeschi che cenano a pizza e cappuccino. Per carità, Savini è Savini, ma mangiare in Galleria…
Ma Ben posa la sua mano sul mio mento e mi fa alzare dolcemente il viso.
E io per un attimo non capisco.
Poi arriva l’illuminazione e resto senza fiato.
OH-MIO-DIO.
Non ditemi…non ditemi che…
Mi volto a guardarlo con gli occhi sbarrati e lui sorride. E mi dà un bacio a fior di labbra.
«Ma…ma…ma non è che…»
Il suo sorriso si fa ancora più grande.
«Sei pronta, piccola?»
Se sono pronta? Oh, mamma.
 
Mi ha portata al Cubo.
AL CUBO.
Che per la cronaca non si chiama “Cubo” (a meno che voi non parliate il ginevrese, ma credo di no), ma The Cube. Ed è un enorme cubo di vetro che gira per il mondo. Al momento è in cima all’entrata della Galleria di Milano, ma poi andrà a Londra, Stoccolma e Tokio, dopo Milano: è un ristorante itinerante. Da centomilioni di stelle Michelin, o quel che è. È esclusivo, è carissimo…per venire a cena qui non ci si può presentare e basta. Non funziona così. E noi due siamo qui, ora, insieme, più in alto dei tetti di Milano, più in alto del Duomo.
Saliamo e io sono senza parole. Ben saluta il maître e ci fanno accomodare. Mi guardo attorno e vedo solo ed esclusivamente luci soffuse, gente coperta d’oro in abito da sera e il buio della notte e le stelle oltre le vetrate immense.
Mentre ci avviciniamo al tavolo ci fissano tutti e io arrossisco e stringo forte la mano a Ben. Ci sono due camerieri che aspettano dietro le nostre sedie, ma Ben fa loro un cenno e mi fa sedere lui. Mi accomodo e lui si siede di fronte a me e mi prende la mano.
«Perché quegli occhioni?»
«Ci guardano tutti» bisbiglio.
«Bè, succede così di solito quando entra una donna bella come te in un locale. Immagino che dovrò abituarmi»
Io arrossisco ancora di più.
«Ma Ben! Ma cosa dici?»
Ma lui sembra serissimo. Mi bacia una mano e mi accarezza il dorso con il pollice. Muoio. Alza gli occhi e li fissa nei miei.
«Vorrei trovare le parole per dirti quanto sei bella. Stasera, sempre»
No, mi correggo. Adesso muoio.
«Ma non riesco a fare altro che fissarti e dirti sempre le stesse parole e quindi…dovrai accontentarti. Spero solo di non essere troppo noioso…»
Si interrompe e mi guarda bene e si morde un labbro per non mettersi a ridere.
«Gin, ma perché quella faccia? Sembri terrorizzata…»
Sono terrorizzata.
Da…tutto questo. Dai sentimenti che lui sa scatenare in me.
«Io cerco di farti una dichiarazione e tu mi guardi così?»
Una dichiarazione? Oddio.
Semplicemente, credo che morirò d’un colpo.
«Ehm…vai, dimmi»
Lui sembra lottare per restare serio.
Ha pure ragione: vai, dimmi. Ma come si fa?
Prende fiato e mi stringe più forte la mano. Capisce che sono nervosa per cui alleggerisce il tono e mi parla di argomenti tranquilli per farmi rilassare.
Mi racconta che ha chiesto a Tommaso quale fosse il posto più bello di Milano perché ci teneva a portarmi in un posto speciale. Che voleva che fosse tutto perfetto, perché io fossi felice.
Mi si inumidiscono gli occhi.
«Per me è sempre perfetto con te, dovunque siamo»
Ripeto a lui quello che lui ha detto a me ieri. Perché lo penso davvero. Perché ora che sono nel posto più bello della città, sento che sarei ugualmente felice per strada, o sul divano,o  a letto con lui.
Anzi, veramente a letto lo sarei di più. Molto, molto di più.
Sorride. Ed è un sorriso di gioia pura.
«Ma tu ti meriti di essere tratta come una principessa»
«A me basta che tu ci sia. E non sono mai stata più sincera» prendo fiato un attimo «Sai, io normalmente sarei impazzita per una serata come questa. Ma da quando ti conosco, mi importa solo sapere che tu ci sei, che sei con me e che sei contento…e mi basta»
Altro sorriso radioso. Finirà per uccidermi, forse glielo dovrei dire.
«Anche per me è così. Sento esattamente la stessa cosa»
Si interrompe quando un cameriere ci riempie i calici di champagne. Tocca il mio flûte con il suo e beve un sorso, per poi far correre un dito sullo stelo.
E dire, esitante:
«Quindi, non vedo perché dovrei avere così tanta paura a dirti che sono innamorato di te, visto che lo sono»
Sbarro gli occhi e lo champagne mi va di traverso.
Ma…ma…ma stamattina ha detto che è felice con me ma che non voleva dire…
Comunque, annaspo per prendere fiato e Ben si allunga verso di me.
«Gin!» dice, allarmato.
Un cameriere si avvicina discretamente e Ben fa per alzarsi dalla sedia, ma io gesticolo freneticamente per farli restare al loro posto, mentre tutti gli altri clienti mi guardano con riprovazione.
Non ci si strozza così volgarmente in un locale del genere.
Ma andate a ‘fanculo tutti quanti.
 
Stupida cogliona megagalattica: come si fa a essere così goffi?
Mi insulto mentalmente e mi impongo di smettere di tossire e lacrimare. Ma vaffambagno, Gin.
 
Ben mi viene vicino e mi fa alzare e mi porta in terrazza.
Mi stringo a lui ignorando il panorama mozzafiato e desiderando solo di sparire nel nulla per la vergogna. Ma lui mi accarezza piano la schiena finché non mi calmo. A questo punto, sbircio la sua espressione ancora sepolta nella stoffa della sua giacca e lo vedo guardarmi preoccupato.
«Tutto bene?»
«Sono una cogliona» borbotto.
E lui ride.
«No, ma sei un piccolo terremoto. Mi hai fatto spaventare»
Giro la testa, appoggiando la guancia sulla sua spalla. Lui posa la sua sulla mia fronte e restiamo stretti, accarezzati dalla brezza, immersi in una notte calda e avvolgente.
Penso sia lo scenario più bello che io abbia mai visto.
Sento Ben accarezzarmi lentamente la schiena con la mano.
Alzo gli occhi a guardarlo e lui mi sorride.
Mi prende il viso tra le mani e i suoi occhi si fissano nei miei, come se volesse leggermi fin dentro l’anima.
«Sei arrabbiata con me?»
Cosa?
«Cosa?»
«Perché sono stato vigliacco e non ti ho detto quello che provavo per te»
Esita un attimo.
«Sai, Gin…la mia ex ragazza era una che pretendeva che le dicessi milioni di volte al giorno che la amavo. Mi chiamava “amore” e “tesoro” e “cucciolotto” e cose del genere in ogni circostanza. E io…io alla fine mi sentivo come se le parole che dicevo non avessero più valore, capisci?»
Annuisco.
«Volevo dirtelo, davvero. Volevo dirtelo perché anche io provo questo per te e lo sapevo da giorni, da settimane. Sono stato sul punto di dirtelo più volte, mi sono detto che dovevo trovare un momento speciale e poi quando tu l’hai detto a me io…sono entrato in panico»
Prende fiato e poi continua.
«Ma lo so che stavolta è diverso»
Io poso le mani sulle sue, che circondano sempre il mio viso.
«Sei sicuro?»
Annuisce.
«E sei felice?»
Stavolta sorride, oltre ad annuire.
«Bene. Me lo dici un’altra volta, per favore?»
Lui scoppia a ridere.
E nemmeno la felicità di vederlo così felice, di saperlo così vicino mi prepara alla gioia, all’incredulità, alla meraviglia che le tre parole che seguono riescono a suscitare in me:
«Gin, ti amo»
 
 
 
 

 

Mio angolino: di solito non commento le cose che scrivo, ma stavolta voglio assolutamente ringraziare tutti coloro che commentano le mie storie, le aggiungono tra le preferite/ricordate/seguite o anche solo le leggono…vi vedo aumentare dal conteggio delle visite, ma se voleste commentare a me farebbe solo piacere! J
Detto questo, una dedica: tutta la dolcezza di questo capitolo è per LaNonnina e Lisbeth17, che seguono Gin dall’inizio e che mi hanno aspramente rimproverata (e minacciata!) dopo la conclusione di quello scorso: tranquille che va tutto bene!
Love you <3

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