Annie

di Light Rain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Distretto 4 ***
Capitolo 2: *** Bacche del sole ***
Capitolo 3: *** Verdemare ***
Capitolo 4: *** Mietitura ***
Capitolo 5: *** Forse il mare ***
Capitolo 6: *** Che gli Hunger Games abbiano inizio ***
Capitolo 7: *** Un pezzo di me ***
Capitolo 8: *** Sopravvivere ***
Capitolo 9: *** O morto o assassino ***
Capitolo 10: *** Tutto il mio mondo ***
Capitolo 11: *** Certezza ***
Capitolo 12: *** Importante ***
Capitolo 13: *** La porta ***
Capitolo 14: *** Possiamo ***
Capitolo 15: *** Brioches ***
Capitolo 16: *** Elian ***
Capitolo 17: *** Cado ***
Capitolo 18: *** Sassi color della pece ***
Capitolo 19: *** Finnick mi conosce troppo bene ***
Capitolo 20: *** Sabbia ***
Capitolo 21: *** Alleati ***



Capitolo 1
*** Distretto 4 ***


Mi rigiro tra le coperte, mio padre deve essere già andato a lavoro perchè la casa è silenziosa. Non che di solito sia particolarmente caotica, non lo è più da tempo, è solo che lui al mattino tende ad essere un po’ goffo: i suoi frenetici movimenti sono ben udibili e tende a far cadere le cose mentre armeggia in cucina. 
Nonostante ci metta tutto il suo impegno non acquisterà mai la scioltezza nei movimenti.
Mi stiracchio e mi costringo ad alzarmi, oggi devo lavorare anche io.
Mi dirigo in cucina e apro la dispensa dove trovo una pagnotta solitaria, ne taglio metà ed esco velocemente. Accanto alla nostra casa c’è un piccolo magazzino malmesso che mio padre cerca di mantenere in sesto, entro e raccologo il mio lavoro della settimana: tre reti abilmente intrecciate nei pomeriggi dopo scuola che nei giorni festivi tento di vendere a qualche pescatore sfaticato che non ha voglia di farsene una da solo. 
Infatti per la mia giovane età sono una ragazzina molto abile ma non più di altri, nel mio distretto tutti sono capaci ad intrecciare reti perchè tutti, ma proprio tutti devono pescare, è l’unico modo per sopravvivere, l’unica cosa che noi possiamo fare nel distretto 4; non vi sono altre risorse e la sola cosa che possiamo fare è sfuttarla.
Mi lascio alle spalle il magazzino e mi dirigo in paese, la mia casa non è molto vicino alla spiaggia, si trova più in profondità vicino al margine con la boscaglia, l’unica cosa che ci divide è un fitto canniccio che circonda una palude.
La parte del distretto 4 dove abito è quella più appartata e nascosta e anche quella più vicina al villaggio dei vincitori.
Dopo un quarto d’ora di camminata arrivo in paese che è quasi completamente deserto, gli uomini sono tutti già in mare, per le donne è ancora presto per uscire: attendono la fine della mattinata per andare in porto ad occogliere i mariti, faceva così anche mia madre.
Mi dirigo velocemente in spiaggia, forse farò in tempo a trovare qualche pescatore, supero le ultime case e affondo i piedi nella sabbia ancora fresca.
Il sole sta per sorgere.
Con mia grande gioia vedo che c’è ancora del fermento lungo la riva, mi dirigo a grandi passi verso i pescatori e tocco con i piedi l’acqua ancora gelata.
Nonostante io veda il mare tutti i giorni non mi stanco mai della sua bellezza, è meraviglioso e non saprei come fare senza di esso. 
Finalmente capisco chi sono i ritardatari: si tratta del vecchio MItch e dei suoi due figli, riuscirò di sicuro a ricavare qualcosa.
Cammino verso di loro, la spiaggia è pulita e continua per svariati chilometri ma non mi sono mai allontanata più di tanto, non che non sia permesso ma diciamo che non è consigliato: la spiaggia è divisa in settori e per quel tratto di mare vi possono pescare solo coloro che abitano in quel pezzo; siamo molto territoriali non sopportiamo che gli venga fregato il pesce.
Il settore dove stiamo noi è chiamata la “ Scogliera” perchè essendo l’ultima parte del distretto è ricca di scogli. E questo è un piccolo vantaggio che abbiamo noi, infatti ci sono molti molluschi, rendono molto bene se venduti  al mercato, basta sapere dove trovarli. 
—Mitch!— urlo io per farmi notare.
—Annie!— mi risponde lui alzando la mano per salutarmi.
Lo conosco praticamente da sempre, nonostante io tenda ad essere una abbastanza solitaria mi è sempre piaciuto come persona, è molto solare e cordiale con tutti e soprattutto molto generoso, con lui non sono mai tornata a casa a mani vuote.
—Rick è già in mare?— mi chide lui in tono gentile.
—Sì, è partito con mio zio quando era ancora buio— rispondo.
Mio padre cerca di non partire mai troppo tardi, altrimenti perdi i pesci migliori.
—Voi perchè siete ancora qui?— chiedo incuriosita, anche il vecchio Mitch non è tipo che parte tardi. 
—Bhè quest’oggi qualcuno si è svegliato tardi...— dice voltando il capo verso il più piccolo dei suoi figli, avrà un paio di anni in più di me ed è da poco esce a pesca con loro.
—Ma nessun problema, vorrà dire che torneremo prima a casa— proseguì il vecchio.
Solo allora posa gli occhi sulle reti che mi trascino a fatica sulla sabbia. 
—Ci siamo date da fare signorinella— mi dice con un sorriso.
—Faccio quel che posso, ultimamente la pesca non rende molto e cerco di aiutare in qualche modo— farfuglio io.
Annuisce pensieroso, sa bene cosa voglio dire. 
Capitol City ci costringe a pescare sempre più spesso, ma non capiscono che ci vuole tempo perchè la fauna acquatica si ricrei, ma questo non gli interessa, gli importa solo di avere piatti stracolmi e pance piene, ma questo  non cambia il fatto che gli uomini vengono pagati per quanto pesce portano a casa e in questo periodo non siamo messi molto bene.
—Penso proprio che mi serva una rete nuova— mi dice Mitch osservando la sua attrezzatura nella barca.
So bene che sta mentendo, le sue reti sono nuove e sicuramente fatte meglio delle mie.
Ma non mi interessa, non mi posso permettere sentimentalismi. 
Gli porgo una rete e lui mi mette qualche moneta nella mano, scrutati dallo sguardo di disapprovazione di suo figlio: nessuno può sprecare denaro così, per una cosa totalmente inutile, mi dispice approfittare della gentilezza del vecchio Mitch, non è lui che dovrebbe pagare, dovrei tornarmene a casa e basta, ma non posso, ne ho bisogno e come ho detto non mi permetto sentimentalismi.
Ringrazio il vecchio e i suoi figli ancora una volta e li osservo mentre vanno in mare. 
Mio padre dice che quando si prende la barca si ha la sensazione di scappare da questo posto, ma non è così: partono per poi farvi ritorno, e poi lo scappare è solo un’utopia. 
Una volta pensavo fosse possibile, andare al largo e non tornare più, ma mio zio mi ha spiegato che le barche, ogni singola barca, sono contollate da vedette e da pacificatori che stanno direttamente al confine marittimo prestabilito, se lo superi sei condannato a morte.
Purtroppo è capitato che in passato qualcuno ci abbia provato, li hanno giustiziati in piazza davanti all’intero paese, bambini compresi, vogliano che tutti si rendano conto del loro potere, noi siamo scarafaggi in confronto a loro e se vogliamo sopravvivere dobbiamo obbedire.
Mi scrollo per spazzare via dalla testa immagini che non avrei dovuto ricordare e solo allora mi rendo conto di essere completamente sola sulla spiaggia, non che mi dispiaccia però mi sento un po’ a disagio.
Mi volto e mi accorgo che mi ero sbagliata, non sono sola, un po’ più in là sugli scogli c’è un ragazzo appollaiato intento a scrutare l’orizzone.
Mi ci vogliono alcuni istanti per capire che lo conosco, o almeno di vista: l’ho incrociato qualche volta a scuola, deve avere un anno forse due in più di me, ma non penso di averci mai parlato.
Mi lascio il mare alle spalle decisa a tornare a casa, anche se non ho guadaganto molto posso sempre fare qualcosaltro, entro in paese e mi sorprendo che abbia preso vita in così pochi minuti: le strade sono piene di pacificatori, cosa abbastanza strana.
Proseguo verso casa mia e ne icrocio altri, questi stanno portando dei pannelli di metallo, staranno imbastendo qualcosa? 
Ma certo! Che stupida.
Tra una settimana ci sarà la mietitura.

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Capitolo 2
*** Bacche del sole ***


Come ho fatto a dimenticarmi della mietitura. è praticamente impossibile. 
Poi ripenso all’ultima settimana: è stata molto piena e altrettanto felice. Sono stata talmente tanto impeganta da tralasciare questo abominio?
Questo è il mio primo anno, sono relativamente agitata perchè sò già che ci sarà una volontaria.
Nonostante io sia del Distretto 4 non sono minimamente preparata per entrare nell’arena, non ho fatto alcun tipo di addestramento. Anche se ogni tanto a scuola ci fanno fare qualche esercizio di allenamento. Ma nel nostro distretto vi è proprio un’accademia specifica da dove escono dei mostri sanguinari pronti a uccidere chiunque gli si pari davanti. Rabbrividisco al solo pensiero, perchè io persone così le ho incontrate, stando vicino al villaggio dei vincitori le incontro molto spesso. Le ho viste uccidere senza minimamente scomporsi e tornare vincitrici con un bel sorriso stampato in faccia. E averle come vicine di casa non è molto confortante.
 Mi lascio sfuggire un leggero sussulto al solo pensiero, ma mi rilasso immediatamente quando mi ritrovo una faccia amica davanti agli occhi, è strano che sia davanti a casa mia, ma ne sono piacevolmente sorpresa. 
—Lian che ci fai qui?— gli urlo io mentre mi avvicino a lui. 
Liam è il mio migliore amico, ci conosciamo da sempre. La gente del villaggio crede che siamo fratelli da quanto spesso stiamo insieme. Ma non ci assomiliamo affatto: lui è molto alto e robusto per essere un ragazzo della nostra età, carnagione dorata, capelli lisci color nocciola e occhi marroni. Mentre io sono minuta, ho un cesto di riccci scuri aggrovigliati in testa e occhi verdi.
—Non mi andava di andare a pesca, così sono venuto da te. Ti disturbo? — mi risponde lui venendomi incontro.
— Assolutamente no! Sarei venuta io da te. Non ho avuto molto successo in spiaggia— gli dico io alzando da terra le mie reti. 
—Possiamo rifarci—dice lui indicando con la testa il canniccio dietro casa mia.
Giusto! Potremo cogliere qualche bacca. Ma sarà una mossa rischiosa.
Dietro casa mia c’è una piccola palude circondata da fitti cannicci; lì non ricavi molto se non qualche uccello o uova. Non so, però questa roba non piace molto alla nostra gente. Quello che più ci piace sono le bacche che stanno nel bosco. Peccato che tra la palude e le bacche ci sia un muro in cemento alto quattro metri, che continua anche sotto terra, con sopra altri due metri di filo spinato elettrificato.
Superare quella barriera significa morte certa. Questo lo sanno tutti!
Ma quello che in pochi sanno è che anno dopo anno, di generazione in generazione, siamo riusciti a fare un buco nel muro appena sufficiente per farvi passare un uomo di media statura.
—Giusto! Ma secondo te andiamo sul sicuro?— bisbiglio attenta a non farmi sentire, soprattutto oggi che i pacificatori mi sembrano essere ovunque.
Si fa una grande risata e poi mi dice:— Annie tu ti preoccupi troppo!—.
—Ma hai visto quanti ce ne sono!— ribatto io.
—Sì ok ci sono un sacco di pacificatori, ma sono tutti impegnati a montare il palco per la mietitura. E poi da quando due anni fa glielo hanno smontato nella notte se ne stanno tutti lì di guardia. Chi mai verrebbe a curiosare al muro?—.
 Mi dice con tono sicuro, ma mi vede ancora dubbiosa così aggiunge:— Fidati di me Annie—.
Certo che mi fido di lui. Se ne è tanto convinto.
 — Ok— rispondo —Adiamo a chiamare anche Riza?— aggiungo io.
Lui accetta, così senza ulteriori indugi ci dirigiamo a casa di mia cugina. 
Riza è la mia migliore amica senza ombra di dubbio. Suo padre Drew e il mio vanno sempre a pesca insieme da quando è morta mia madre. Si fanno compagnia in qualche modo anche se non si sopportano molto.
Drew era il fratello maggiore di mia madre.
Busso alla porta con forza e mi apre mia zia Leslie. 
è una bellissima donna e molto gentile.
—Scommetto che cercate Riza— ci dice lei accogliendoci in casa.
—Esatto volevamo andare un po’ in spiaggia— risponde Lian.
 Non possiamo di certo dire che infrangiamo le regole andando in contro a morte certa.
Il solo pensiro di vederci giustiziati in piazza fermerebbe i nostri genitori.
Ma con le bacche si guadagna veramente bene. 
La gente nel Distretto ne va matta ed è disposta a pagare qualsiasi cifra.
I miei pensieri vengono interrotti dalla voce squillante di mia cugina — Ciao ragazzi!—.
A vederla sembra la copia in miniatura di sua madre: bionda occhi azzurri e bellissima. Ci prende ciascuno per un braccio e ci trascina fuori di casa. 
—Divertitevi in spiaggia!— sento urlare mia zia, ma ormai siamo già fuori.
—In spiaggia?— ci chiede con aria dubbiosa, non è nostra consuetudine andarci di mattina presto.
—No— dico io—andiamo a infrangere la legge—.
Lei mi sorride compiaciuta.
Ci infiliamo nel canniccio e attraversiamo la palude saltando di masso in masso. Lì l’acqua è talmente densa che ci potresti rimanere impantanato dentro e non è un gran piacere.
Attraversiamo un altro strato di canne e ci ritroviamo praticamente il muro davanti, è immenso.
Ci dividiamo per controllare il perimetro nel caso ci fosse qualche pacificatore: passare accanto al muro non è un reato, ma oltrepassarlo sì. 
Per fortuna non troviamo nessuno e decidiamo di dirigerci alla fessura. 
Se Lian non mi indicasse dov’è farei fatica a trovarla: facciamo molta attenzione a nasconderla bene con arbusti e terra, tanta terra. Togliamo con cura le vecchie frasche e le sostituiamo con altre nuove. Entriamo uno per volta e l’ultimo, di solito Lian, entra all’indietro per controllare che non ci sia nessuno e per tappare accuratamente la fessura. Una volta dall’altra parte si ha la sensazione di trovarsi su un’altro pianata: non è per niente un bosco anche se lo chiamiamo così, è fatto perlopiù da arbusti alti circa un metro e da piccoli alberi che sbucano di tanto in tanto. Ce ne andiamo in giro tranquilli, non ci sono animali selvatici, quelli stanno nel vero bosco, molto più in profondità. Ma noi non ci siamo mai andati.
Continuiamo a camminare per qualche metro e troviamo ciò che stavamo cercando: le bacche del sole. Noi le chiamiamo così perchè da acerbe sono verdi ma a piena maturazione diventano di un’arancione intenso molto simile al colore del tramonto. Ne affero una e me la ficco in bocca: sono piccole succose e incredibilmente dolci. è per questo che la gente le ama. Qui nel Distretto 4 di sale ne trovi quante ne vuoi ma lo zucchero è praticamente inesistente. Una volta all’anno ce lo portano ma costa talmente tanto che nessuno se lo può permettere. Per questo la gente è disposta a tutto per averle. Naturalmente quando le vendiamo diciamo sempre che vengono dalla palude, non possiamo permettere che qualcuno scopra la nostra piccola miniera d’oro.
—Mi ero dimenticata di quanto fossero buone— dico sorridendo verso gli altri.
—Sù forza facciamo i sacchetti— ci incoraggia Riza. 
Intrecciamo abilmente dei piccoli contenitori con le foglie delle canne di palude, dove poi metteremo il nostro bottino. Ci impieghiamo un po’ e poi andiamo a cercare alrtri arbusti, ce ne sono una decina sparsi in giro, ma la maggior parte delle bacche sono ancora verdi. Prendiamo quel che possiamo.
—Torniamo tra una settimana, così potremo raccoglierne di più— ci dice Riza.
—Ottima idea— le rispondo io.
Liam non stacca gli occhi dal suo sacchetto, passano alcuni minuti poi ci dice in tono beffardo:— Se ci arrivo alla prossima settimana—. Ma che dice. Poi interrompo i mie pensieri e vengo assalita dalla paura. Io e mia cugina siamo al sicuro ma non abbiamo alcuna garanzia che Lian non venga estratto alla mietitura. Non avevo mai preso in considerazione questa evenienza. Cosa farò se lui dovese... 
No, no no! Non posso pensarlo perchè finirei con l’impazzire.
Così nessuno aggiunge niente, ce ne stiamo per il resto della mattinata seduti sotto un alberello zitti, ammutoliti, a logorarci ognuno con i nostri pensieri.
Poi la voce di Lian squarcia il silenzio:—Sù con gli animi!— ci guarda entrambe e poi aggiunge un po’ malinconico:— Forza è ora di tornare a casa—.
Guardo il cielo, il sole è già alto, è tempo di tornare indietro. 
Ci lasciamo alle spalle il nostro piccolo angolo di spensieratezza e oltrepassiamo il muro, nascondiamo con cura il nostro passaggio e ci dirigiamo al villaggio. Riaccompagnamo Riza a casa e io e Liam ci dirigiamo silenziosi verso la sua.
—Con queste faremo un sacco di soldi— annuncia Liam alzando il suo sacchetto.
O no, le bacche!
—Le ho dimenticate— farfuglio io.
—Non mi stupisco. Torniamo Indietro— dice Lian mentre cambia direzione.
—Non importa. Faccio da sola. Tu devi tornare a casa tra poco i tuoi sranno di ritorno e si preoccuperanno— mi guarda confuso —Davvero vado io. Mi ricordo dove le ho lasciate— aggiungo.
Lui annuisce pensieroso e si dirige verso casa. Devo schiarirmi le idee da sola. Tra una settimana Lian potrebbe non essere più qui. Così parlo per confortare sia lui che me:—Andrà tutto bene—. Poi mi volto velocemente sicura di non riuscire a sostenere il suo sguardo.
Mi dirigo al muro, controllo velocemente che non ci sia nessuno e lo oltrepasso. Devo aver lasciato il sacchetto sotto l’albero. Ci vogliono meno di cinque minuti per raggiungerlo. Dopo una piccola corsetta arrivo a destinazione e affero il sacchetto, mi volto per tornare indietro ma vengo fermata da un rumore, leggero e quasi impercettibile. Proseguo, ma mi fermo di nuovo, lo sento ancora, ma adesso è più forte.
No, non è più forte. è più vicino!
Mi fermo per ascoltare meglio: il rumore è frequente e veloce.
Sono passi e si stanno dirigendo verso di me.
—Lian!— urlo io, ma non risponde nessuno.
Perfetto! Sono una stupida adesso chiunque sia sa perfettamente dove sono. 
Vengo assalita dal terrore, se è un pacificatore sono morta. Mi guardo intorno, devo trovare un posto dove nascondermi. Ma non è un’impresa facile: gli arbusti sono piccoli. 
Mi accuccio dietro un albero, neanche questa è una gran sistemazione. Sono spacciata. Raccolgo un pezzo di legna da terra. Se il pacificatore mi trova potrei tirarglielo addosso, così mi farebbe fuori subito, senza far passare ulteriori sofferenze a me e a chi mi conosce.
—Tu che ci fai qui?— dice una voce sconosciuta alle mie spalle.
L’unico pensiero che riesco a formulare è che sono praticamente morta.    

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Capitolo 3
*** Verdemare ***


Chiudo gli occhi, affero il pezzo di legno e mi volto di scatto. Il bastone si flette contro un corpo che si lamenta immediatamente:—Ahi! Ma sei impazzita!—. La voce non mi sembra quella di un’adulto. 
Forse non sono spacciata. Apro leggermente gli occhi e mi ritrovo davanti un ragazzo che si massaggia dolorante i braccio sinistro. Alto, robusto, carnagione dorata, capelli color bronzo e occhi verdemare. Lo conosco! O almeno credo. Questa mattina se ne stava sugli scogli. Lo guardo incuriosita. Possibile che non abbia mai prestato attenzione a questo ragazzo? Frequenta la mia stessa scuola ne sono sicura, quindi l’ho incrociato qualche volta. Sono certa che se lo avessi guardato meglio non sarebbe passato inosservato. Non si possono dimenticare degli occhi così!
—Perchè te ne stai lì imbabolata a fissarmi?— mi dice lui scontroso.
—Tu che ci fai qui?— ribatto io immediatamente. Sorride e si guarda un po’ intorno, poi mi dice:—Veramente te l’ho chiesto io per primo—. Ha ragione, ma la mia testa è completamente fuori controllo. Mi metto a sedere, il cuore mi sta esplodendo dentro al petto, ho il respiro affannato e mi reggo a malapena in piedi. Questa volta mi sono presa un bello spavento. Credevo veramente di essere spacciata.
—Stavo raccogliendo delle bacche— farfuglio con il fiato corto.
—Me ne sono accorto— mi risponde ficcandosene qualcuna in bocca— mia madre le compra sempre al mercato. Crede che vengano dalla palude. A quanto pare qualcuno si prende gioco di lei e dell’intero distretto— mi accusa lui.
—Lo faresti anche tu per tirare avanti— gli rispondo isterica.
— O credimi lo farò! E se mi crei dei problemi dirò a tutti la verità— dice mangiando un’altra bacca. Cosa? Non avrà mica intenzione di rivelare il nostro segreto?
—Non puoi farlo! Questo è il nostro posto!— ora sto letteralmente gridando.
—E come farai a impedirmelo? Mi denuncerai forse?— ride—se arrestano me, mi assicurerò che prendano anche te! Cosa pensi di fare ragazzina. Ormai questo posto è mio quanto tuo!—.
Ride ancora mentre mangia un’altra bacca. Questo posto non è suo. Come può anche solo pensare che gli appartenga. Non glielo permetterò!
—Non puoi farlo! Questo posto me lo ha lasciato mia madre, è un suo regalo! é l’unica cosa che mi è rimasto di lei— grido e sento le lacrime che mi riempiono gli occhi —mi ha chiesto di custodirlo e di tenerlo al sicuro, non lascierò che uno stupido egoista come te rovini tutto!—
Mi raggomitolo su me stessa e inizio a piangere rumorosamente, sento i singhiozzi soffocarmi la gola e il cuore martellarmi nel petto. Respirare si fa sempre più difficile.
Parlare di mia madre è sempre doloroso. Non è passato nemmeno un anno. La ferita è ancora aperta. Mi graffio le spalle con le unghie: il dolore mi divora. Va un po’ meglio così, questo mi distrae dal casino nelle mia testa.
Sento qualcuno sedersi vicino a me, deve essere il ragazzo. Non ha la faccia cattiva, ma non ci ha messo più di un minuto a portarmi via tutto ciò che mi è rimasto.
—Mi dispiace. Non sapevo che tu fossi la figlia di Marybeth— sentire quel nome mi fa sobbalzare. Quasi nessuno lo pronuncia più. Mio padre non lo sopporterebbe. Tiro sù la testa e lo guardo, sembra davvero dispiaciuto. Ma mi incupisco immediatamente: come fa a conoscere mia madre? Lui mi risponde subito:— Lei e la mia erano amiche, ci vendeva sempre le bacche. Siamo venuti anche al suo funerale. Le è dispiaciuto molto—.
Questo è vero, che vendeva le bacche. Poi quando sono diventata un po’ più grande ha affidato questo compito a me. Anche mia cugina Riza ne era già a conoscenza. L’unico che sa del posto al difuori della famiglia è Lian. Non potevo non dirglielo.
—Era una brava persona, è stata una vera disgrazia— farfuglia lui senza staccare gli occhi dal terreno.
—Lo era— gli rispondo. Nessuno poteva prevedere ciò che le è successo. Era giovane e in salute. Una sera è andata a letto e non si è più svegliata. Morta nel sonno, nessuna spiegazione. Mio padre nei primi tempi è andato fuori di testa, solo ora sembra essere tornato un po’ in sè. Il fatto che è più in mare che a casa lo mantiene intero, almeno per un po’. 
Mi scrollo la testa. La mia attenzione si sposta sul ragazzo al mio fianco. Ha davvero intenzione di rovinare tutto?
—Non puoi dirlo a nessuno—gli dico.
Ride:— Non preoccuparti non lo farò. Sarebbe una cosa stupida, non credi?— si volta verso di me e mi sorride. Non è un sorriso come quelli di prima, di sfida e di superiorità. Questo sembra più dolce, più sincero.
Il cuore mi fa male, sembra correre più veloce di prima. Ma ora sono incerta sul motivo. I suoi occhi mi mettono agitazione: è come specchiarsi direttamente nel mare.
—Non so ancora il tuo nome— mi dice riportandomi alla realtà.
—Annie Cresta. E tu?— balbetto in modo quasi patetico.
—Davvero non sai chi sono?— mi ride fragorosamente in faccia. Perchè diavolo dovrei conoscerlo? Lo guardo perplessa senza rispondere.
—Mi chiamo Finnick Odair. Piacere di conoscerti— mi dice porgendomi la mano.
—Piacere mio— rispondo stringendola. L’ho detto ma non sono certa che questo sia veramente un piacere. Mi ha seguita di nascosto, quasi sono morta per lo spavento e ha minacciato di rivelare tutto. Non mi fido di lui.
—Davvero non sapevi il mio nome?— mi chiede con aria stupefatta.
—Non prima di oggi— poi mi sorge un dubbio —ci siamo forse già incontrati?—
—Penso di no— mi risponde confuso
—E allora perchè dovrei conoscerti?— domando mentre frugo nel mio sacchetto alla ricerca di qualche bacca.
—Tutti mi conoscono!— mi giro confusa —Non si dimentica un bel faccino come il mio—
Al’improvviso ho un’illuminazione —Ho capito chi sei! Mia cugina mi ha parlato di te— il suo volto si illumina —sei un patetico montato fissato sull’aspetto fisico che se ne sta da solo perchè nesssuno è degno della sua bellezza e l’unica cosa che hai di positivo è che tua madre alleva conigli— mi guarda sbalordito, confuso e direi anche offeso, sta per ribattere ma non glielo permetto:— Ma visto che non ti conosco non sono del tutto certa che...— la ruga di adirazione sulla sua fronte si assottiglia—...tua madre venda conigli!— scoppio a ridere. Da sola naturalmente. Il ragazzo sembra abbastanza sbigottito e questo non fa altro che incitarmi a continuare: la sua faccia è troppo buffa.
—L’unica cosa vera è quella sui conigli— sbuffa frenando la mia ilarità.
—Oh da come ti sei presentato pretendendo che riconoscessi il “tuo bel faccino”— tento di imitare la sua voce — credo che sia tutto vero— ribatto con tono fermo e deciso.
—Già. Sembra che il bel faccino sia l’unica cosa che importa alla gente del Distretto— il suo volto è cupo, non sembra arrabbiato: è triste — Le persone non vanno mai oltre al mio aspetto, si fermano lì e non gliene frega un bel niente di quello che c’è dietro — sospira — è per questo che che me ne sto sempre da solo, non perché mi ritengo superiore, ma perché nessuno sta in mia compagnia perché gli piaccio veramente. Così preferisco isolarmi e tenermi lontano dal quel gruppo di ipocriti—.
Cavolo. Non pensavo che questo ragazzo avesse questa roba per la testa. Se dice la verità merita tutta la mia ammirazione. Ma non mi fido ancora. Una persona che ne inganna così tante deve avere per forza un lato pericoloso.
—Mi dispiace non dovevo dirti certe cose— sospiro imbarazzata. Lui ride.
—Oh non ti preoccupare. Tu fai parte dell’altro gruppo di persone che mi giudicano in base alle apparenze: non mi sopporti perchè gli altri mi venerano— ne sembra divertito.
—Però ci scherzi come se non te ne importasse niente— lo accuso infuriata.
—Certo cosa dovrei fare? Compatirmi tutto il giorno perchè nessuno mi capisce. é molto meglio ridere di sè stessi e di tutti gli stupidi che mi circondano—.
Non rispondo. Anche se non so se prenderla come un’offesa o meno. Ma so benissino che questa conversazione non ci porterà a niente, se non a litigare. E questa non è la giornata adatta. Così ce ne restiamo in silenzio sotto l’alberello a contemplare una libellula che balza da un arbusto ad un altro.
Poi decido di rompere la quiete:—Io me ne torno a casa— ho passato fin troppo tempo qui. Mi alzo.
—Vengo anche io— dice seguendomi. Camminiamo lenti e silenziosi. Poi oltrepassiamo il muro ettenti e ci ritroviamo nella palude, attraversiamo anche quello senza troppe difficoltà. Una volta fuori mi giro senza neanche salutare il ragazzo poi vengo angosciata da una preoccupazione:—Hai intenzione di tornare nel bosco?— gli dico.
—Quello non mi sembra esattamente un bosco. Non ha neanche un albero degno di essere chiamato tale! Io lo chiamerei più il bosco senza alberi. Che ne pensi?— mi domanda.
—Non hai risposto— dico disinteressata. Non me ne importa un fico secco di come lo chiama.
Sembra scocciato dalla mia indifferenza— Certo che sì! Non me le scordo bacche come queste!—
—Ci andrai da solo?— gli chiedo.
—Certo che ci andrò da solo! Non crederai mica che sveli il segreto a qualcuno. Non sono così stupido!—
—Non è per quello. è pericoloso se ci vai da solo— dico io.
—Oh sei preoccupata per me?— dice avvicinandosi a me.
—Sì sono preoccupata! Ma per me. Se ti scopre un pacificatore finiamo nei guai tutti. Sono sicura che non ci metteresti molto a spifferargli il mio nome!— gli urlo.
—Non sono così sprovveduto da farmi beccare!— mi risponde incredulo.
—Neanche io lo sono. Ma mi hai scoperto lo stesso e la prossima volta che vai nel bosco potresti trovare un pacificatore!— dico infuriata.
—Il bosco senza alberi— mi corregge lui. 
Ma quanto sarà stupido! 
—Promettimi che non ci andrai da solo— lui indugia —per favore— lo imploro.
—Ok. Ma tutte le volte che ci vai tu mi devi chiamare— accetto senza protestare. Fare dei discorsi sensati con lui è impossibile. Finirei col collassare. Ci salutiamo e ognuno se ne torna a casa propria.
è davvero strano quel ragazzo. Strano e testardo. E bello.
Mi sorprendo del mio ultimo pensiero. Non mi permetto di andare avanti. Ma è impossibile.
Oltrepasso la soglia di casa e deposito le bacche sul tavolo e mentre ne gusto una cerco disperatamente nei miei ricordi qualcosa che sia bello quanto Finnick Odair.
 
 
 
 

 
 
Sono arrivata al terzo capitolo e non ci credo!
Vorrei ringraziare tutte le persone che mi seguono e in particolare WrongHysteria per avermi aiutato col primo capitolo. Se volete lasciatemi una recensione, mi farebbe molto piacere.
Light Rain   

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Capitolo 4
*** Mietitura ***


Percepisco un calore nuovo sulla mia pelle. Apro lentamente gli occhi e vengo immediatamente accecata da un raggio di sole che batte sulla mia finestra. Mi giro nell’altro lato. Oggi ho dormito di più, ma non troppo. Mi trascino in cucina dove sorprendentemente trovo mio padre.
—Buongiorno tesoro— mi dice lui.
—Buongiorno— rispondo con un sorriso.
Di solito a quest’ora è già a pesca, ma oggi non si lavora. Oggi si cerca la fortuna.
Cerco di scacciare i pensieri negativi e mi concentro su mio padre che mangia una fetta di pane con una confettura fatta con le nostre bacche. Questa scena mi riporta alla mente immagini che mi sembrava di aver dimenticato. Immagini di una famiglia felice che faceva colazione insieme. Mi arresto di colpo. Tutto ciò non mi fa bene.
Mi siedo a tavola e afferro una fetta di pane. Nessuno parla.
Io e mio padre non comunichiamo molto, il minimo indispensabile. Nel nostro rapporto è come se si fosse rotto qualcosa. Ma questo non mi impedisce di volergli bene come prima, se non di più. Noi ci confortiamo a vicenda con la sola presenza dell’ altro. E questo basta a entrambi.
Mi alzo, mi devo cambiare per il grande evento.
—Sul mio letto c’è un vestito. Me lo ha portato tua zia, l’ha fatto per te.— mi dice mio padre. Lo ringrazio e mi avvio verso la sua camera. Lì trovo un vestito color turchese a mezze maniche con un piccolo fiocco nel dietro. Semplice, essenziale e molto bello. Lo adoro anche se l’occasione per cui dovrò indossarlo non è delle più felici.
Vedo anche delle forcine accanto al vestito, le prendo e le analizzo: mi sembra di averle già viste.
—Erano di tua madre— mi dice mio padre facendomi sobbalzare — le ho ritrovate poco tempo fa e ho pensato che le avresti volute— annuisco. 
è strano passarmele tra le dita, mi riportano indietro di qualche anno dove la mia sola preoccupazione era di selezionare per colore le conchiglie che trovavo sulla spiaggia. Ora è diverso. Ho dovuto crescere in fretta lasciandomi alle spalle il mondo di quando ero bambina. Apparte credo che solo la gente di Capitol City si può permettere di rimanere piccoli a lungo. Tutti coloro che abitano nei Distretti a dodici anni rischiano di andare al macello ogni anno. è una cosa disgustosa.
Mi lavo e mi spazzolo i lunghi capelli aggrovigliati, farlo è sempre un’impresa. Vado fuori per asciugarli un po’, c’è ancora tempo; dopo una mezzora sono soddisfatta, mi infilo nel vestito e cerco di acconciare nel migliore dei modi i capelli. Li lego formado una crocchia un po’ scompigliata cercando di appuntare le ciocche ribelli con le forcine di mia madre. Sono molto eleganti e il risultato finale mi sembra abbastanza soddisfacente.
Sono pronta. Raggiungo mio padre in cucina, lui mi aspetta seduto al tavolo. Manca ancora un bel po’ : faremo un pranzo veloce e poi ci avvieremo in piazza. Aspettiamo in silenzio, ogni tanto esco a prendere una boccata d’aria, queste mura mi soffocano. Poi dopo tre uscite in meno di cinque minuti mi barrico nel magazzino: per me fare una rete è impegnativo quanto dormire, ma distrae abbastanza. Dopo averne intrecciate tre mi costringo a tornare a casa.
Mio padre ha già preparato il pranzo. Non sono stata molto di aiuto, di solito cucino io, ma penso che capirà.
Ci sediamo e iniziamo a mangiare, ha fatto uno stufato di pesce con delle patate. è buono, ma non come quello che faceva mia madre. Quello che faccio io, a mio parere, è anche più buono ma non avrà mai lo stesso gusto.
All’una dobbiamo trovarci nella piazza centrale che è molto distante da dove abitiamo noi, così partiamo in lauto anticipo. Passiamo da mia cugina, almeno andiamo in compagnia. 
Mio padre bussa alla loro porta. Ci apre mia zia Leslie, bellissima come al solito, ma nel suo abito color giallo pastello lo sembra ancor di più.
—Forza andiamo. Sono già arrivati!— urla mia zia dentro casa, percepisco una flebile risposta di assenso. Poco dopo escono anche mio zio Drew e mia cugina Riza: anche lei indossa un vestito identico al mio, varia solo per il colore, infatti il suo è di un verde più intenso.
—Ciao— la saluto.
—Ciao— mi risponde. Leggo perfettamente nei suoi occhi la paura, e questo non fa altro che aumentere la mia. 
Camminiamo silenziosi. Anche se sia i miei zii sia mio padre sono visibilmente tranquilli: non sono preoccupati per le loro figlie. Una volta arrivati in piazza la troviamo già abbastanza piena: è molto grande, dopotutto serve per ospitare tutti i ragazzi del distretto e noi siamo molto numerosi. Dobbiamo andare a registrarci, saluto mio padre, lui mi abbraccia forte e mi stampa un bacio in fronte. Non penso sia molto piacevole per un padre sapere che la figlia il prossimo anno potrebbe non avere tanta fortuna. 
Cerco di non pensarci troppo, finirei per non riuscire più a vivere serenamente. Tutto ciò che mi interessa ora è trovare il mio migliore amico tra la folla. Ma non è affatto facile c’è un sacco di gente.
Io e Riza restiamo sempre accanto, anche dopo la registrazione, quando ci mettono in fondo a tutti essendo solo dodicenni facciamo in modo di non staccarci più l’una dall’altra. Solo quando mi fermo ho modo di scrutare più attentamente la piazza : è stracolma, piena di adulti infondo alla piazza, di ragazzi spaventati, di pacificatori con le armi puntate e di scommettitori. Quelli non mancano mai, ogni anno si piazzano in prima fila per assistere alla mietitura, trepidanti di sapere se hanno ricavato un po’ di soldi. Tutto questo mi disgusta.
Sposto lo sguardo sul lato della piazza adiacente al mio, dove spero di trovare il mio amico Lian.
Ma non lo vedo, però individuo un’altra faccia, file più avanti alla mia : Finnick se ne sta composto tra i suoi coetanei, ha lo sguardo rilassato; sembra molto più tranquillo lui che rischia la vita che io che sono al sicuro.
—Lo hai trovato?— mi chiede agitatissima mia cugina.
—Sì. Sembra tranquillo— le rispondo.
—Dov’ è?— mi chide ansisosa.
—Prima della metà della piazza— le indico —più o meno dove c’è il sarto—.
Mia cugina inizia a scrutare la folla, poi mi tira una gomitata — Non Finnick!— grida —sto cercando Lian!—.
Giusto! Lian!
La guado imbarazzata e contino la mia ricerca. Non c’è verso, non lo trovo.
—Eccolo!— mi dice Riza indicandomi un gruppo di ragazzi abbastanza vicino a noi. Mi ci vogliono svariati secondi per individuarlo: se ne sta immobile con lo sguardo perso nel vuoto, il corpo rigido e in volto una maschera di paura. Sto male. Sto male per Lian e questa volta non posso fare veramente niente, se non sperare.
Afferro la mano di mia cugina, lei la stringe forte.
Sobbalzo quando una voce mi riporta alla realtà: il nostro sindaco deve leggere il solito discorso ogni anno.
Del mondo disastrato, di come è nato Panem, dei distretti, della rivolta guidata dal tredici e della caduta di quest’ultimo ed infine del Trattato del Tradimento che ci ha portati esattamente qui. Ad aspettare gli Hunger Games. 
“Un reality show eccitante e pieno di azione” è così che li considerano gli abitanti di Capitol City.
Io li ritengo solamente una cosa mostruosa e priva di senso.
—è il momento del pentimento ed è il momento del ringrazziamento— intona il sindaco.
E prende a leggere la lunga lista dei vincitori provenienti dal nostro distretto.
Se ne stanno in fondo al palco e quando viene letto il loro nome fanno un passo avanti e salutano divertiti la folla, noi li dobbiamo applaudire, è obbligatorio. Io ne farei volentieri a meno.
Dopo una lunga passerella dei nostri vincitori il sindaco presenta l’ accompagnatrice del Distretto 4: Cloud Derting eccitatissiama abitante di Capitol City. Ogni anno si veste sempre in modo assurdo, ma rimanendo sempre sulla stesse tomalità che variano dal vedre al blu, penso per richiamare il nostro distretto.
Quest’anno indossa un vestito blu abbastanza sobrio per il suo solito, ma non è questo che mi fa sorridere, bensì una parrucca gigante color azzurro cielo a cui sono appesi dei pesci grigliati, mi sembra una cosa ridicola.
Anche perchè non so se sia di buon auspicio, sembra che ci stia dicendo che i nostro tributi quest’anno finiranno abbrustoliti.
—Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!— squittisce Cloud con la voce più acuta che abbia mai sentito.
—Cominciamo con le signiore— esclama lei.
Si dirige a grandi passi verso la boccia con i nomi delle ragazze. Ci infila la mano e inizia a menscolare, dopo vari secondi di tensione estrae una striscia di carta. Per un momento penso al nome scritto in quel foglietto: potrebbe essere il mio.
Ritorna al microfono ma non fa in tempo a fiatare che svariate file davanti alla mia si fa largo verso il palco una ragazza.
—Mi offro volontaria come tributo— urla la ragzza che sale immediatamente le scalette e si posiziona accanto alla nostra accompagnatrice. Ora che la vedo bene non mi sembra una faccia nuova : capelli lunghi color miele, pelle dorata e decisamente bella. Ma il suo aspetto mi interessa il giusto, se si è offerta volontaria significa che è letale e ne va fiera.
—Come ti chiami tesoro?— le chiede una Cloude eccitatissima.
—Sousette Grey— risponde la ragazza sfoderando un sorriso che a prima vista può sembrare innocente, ma nei suoi occhi si vede tutta la ferocia che il suo bel faccino nasconde.
—Bene bene! Facciamo un bell’applauso al nostro primo tributo!— esclama la donna della capitale.
Parte un applauso fortissimo seguito la urla di incoraggiamento, la acclamano come fosse la loro eroina. Ma io non ci trovo niente di eroico nell’offrirsi volontaria per andare ad uccidere dei ragazzi in un’arena.
Dopo l’ovazione Cloude si schiarisce la voce e dice —Adesso il tributo maschile!—.
Si dirige verso l’altra boccia e ne estrae un pezzettino di carta. 
Mi si blocca il respiro. Ho la nausea.
Si posiziona davanti al microfono.
Ti prego. Ti prego. Fa che non sia Lian e che...
—Finnick Odair— esclama la donna.
Non sento più niente. Se non un pugnale che mi si rigira nel petto.
Riza mi strattona, ne sono sicura. Ma non le presto molta attenzione.
Lo sto cercando. Ma non lo trovo. Perchè? Perchè proprio lui?
Poi lo vedo, esce dalla sua file e sale sul palco.
No! Non è vero! Non può essere vero!
La gente applaude. Lui stringe la mano all’altro tributo. Parte l’inno. Saluta il pubblico. Scompare dietro una porta.
Scompare.
Per sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sono al capitolo cinque! Non credevo di arrivare così lontano.
Ringrazio quelli che mi seguno e mi raccomando recensite!
Al prossimo capitolo
Light Rain

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Capitolo 5
*** Forse il mare ***


Forse il mare.
Il vento mi scompiglia i capelli.
Forse il mare è l’unica cosa che abbia visto più bella di Finnick Odair.
Mi distendo rasseganta sulla sabbia calda. Percepisco ogni singolo granello graffiarmi delicatamente la pelle. Ormai sono passati giorni dal nostro primo incontro e mi sto scervellando alla ricerca di qualcosa che lo superi in bellezza. è abbastanza stancante. Ma mi sono imposta di trovarlo e finchè non avrò ciò che cerco non mi fermerò. Non gliela posso dare vinta. Mi colpirebbe dritto dritto nell’orgolio.
Mi alzo di scatto e guardo un’altra volta il magnifico paesaggio che mi si staglia davanti.
Arrivo alla conclusione che il mare è senza ombra di dubbio la cosa più bella che io abbia mai visto. Mi sento soddisfatta. Poi mi sorge un dubbio: tecnicamente il mare è una cosa mentre lui è una persona in carne ed ossa; si possono paragonare? Se la mettiamo così non conosco nessuno che sia più bello di quel tale.
Sconfitta. Ecco come mi sento, sconfitta.
No! Non mi arrendo. Il giudice sono io, di conseguenza le regole le faccio io.
Il mare vince. Mi alzo vittoriosa con un bel sorriso stampato in faccia.
Vado a casa. L’unico aspetto positivo della mietitura è che il giorno prima possaimo non andare a scuola.
La trovo vuota naturalmente. Mio padre starà in mare tutto il giorno com mio zio Drew visto che domani ci sarà la mietitura; le loro figlie sono già salve ma è tradizione festeggiare e abbiamo intenzione di farlo come ci piace di più: con tanto buono pesce. O almeno noi ci auguriamo che ne peschino abbastanza in modo che i pacificatori ce ne lascino un po’. A forza di pensare al cibo mi è venuta fame, trovo una pagnottina a forma di pesce dipinta col verde delle alghe: qui è l’unico genere di pane che troviamo ma mia madre un giorno mi ha detto che ce sono di ogni specie proveniente dagli altri Distretti. La mordicchio per un po’ poi vengo interrotta: qualcuno bussa alla mia porta. Appena la apro mi ritrovo davanti mia cugina Riza smagliante, sorridente e naturalmente bellissima.
—Disturbo?— mi chiede lei cortese.
—No. Entra pure— la invito io.
Si accomoda su una sedia in cucina che in pratica è l’unica stanza per accogliere gli ospiti, poi ci sono solo due piccole camere. Anche se non ho alcun imbarazzo con mia cugina.
Mi sembra turbata, come se non sapesse se confidarmi si o no un segreto. Lei è sempre stata quella più riservata delle due, di solito sono io che non mi faccio troppi problemi. Riza ci pensa sempre due volte, anzi diciamo quattro, prima di dire qualcosa di importante.
—Hai visto Lian di recente?— mi dice alla fine.
—Quando siamo andati a raccogliere le bacche. E poi qualche volta di sfuggita a scuola— rispondo.
—Ieri è venuto a casa mia— fa una pausa —mi ha detto che era passato anche da te, ma non ti ha trovata— sembra addolorata. Ieri sono andata al mercato a vendere qualche mollusco. La lascio proseguire —Annie è distrutto! Siamo stati tutto il pomeriggio seduti sulla spiaggia a fissare l’orizzonte e l’unica cosa che mi ha voluto dire è che non voleva essere estratto alla mietitura— gli si spezza la voce — non lo avevo mai visto così!— conclude con un piccolo singhiozzo controllato, ma le sue lacrime non hanno alcuna intenzione di trattenersi. Esplode in un pianto devastante e si accuccia sul tavolo proteggiendo il volto con le mani.
Mi fa male vederla così. Mi fa male pensare che sta piangendo perchè il nostro amico potrebbe scendere nell’arena. Mi fa mele realizzare che non posso fare assolutamente niente.
—Riza calmati— le vado vicino —Lian non verrà estratto, è il suo primo anno e poi c’è sempre la possibilità che qualcuno si offra volontario— questo è vero, ma lo dico solo per tranquillizzarla. è quasi del tutto impossibile visto che nessuno ha ancora avvertito.
Sembra più calma, ma non troppo.
Riza è molto sensibile, è come se raddoppiasse le emozioni e in casi come questo non le fa bene. Diventa doppiamente fragile. Ma la sua qualità può essere anche positiva: è più matura di quanto possa sembrare e nei giorni buoni non ho mai visto una persona più solare di lei.
—Riza gurdami— la costringo ad alzare lo sguardo —non ti preoccupare—.
—Tu non lo hai visto! Dobbimo fare qualcosa!— singhiozza lei.
Questo è il problema. Non possiamo fare niente se non sostenerlo il più possibile...
—Mi è venuta un’idea! Perchè non passiamo la giornata nel nostro posto?— le propongo.
Il suo volto si illumina —sarebbe fantastico Annie! Ce ne staremo là, lontano dal mondo e lontano da tutte le preoccupazioni!— è tornata allegra in meno di due secondi. Questa è un’altra sua grande qualità.
—Non so se starà veramente meglio a fine giornata però possiamo provare a distrarlo un po’— le dico. Lei annuisce. Usciamo in fretta di casa, prima però passiamo dai miei zii a prendere una pagnotta e del pesce già cotto avanzato dalla cena. Ci basteranno per pranzo, le bacche completeranno il tutto.
Corriamo verso casa di Lian, spero solo che non sia fuori a pesca con i suoi. Bussiamo con violenza alla porta e per fortuna il nostro amico ci apre immediatamente.
—Ciao— bofonchio. Capisco perfettamente cosa intendeva Riza: Lian ce l’ha scritto in faccia che è distrutto.
—Ciao—mi risponde lui con tono piatto. Mia cugina lo afferra per un braccio e lo trascina in strada, lui non sembra opporre molta resistenza.
—Dove andiamo?— chiede distaccato.
—Passiamo la giornata nel bosco— dice Riza —abbiamo anche preso da mangiare quindi partiamo subito—.
Lian sembra essere abbastanza confuso e altrettanto indifferente; si lascia condurre senza alcuno sforzo.
Ci dirigiamo alla palude che stamattina è pullulante di uccelli acquatici. Balzelliamo da un sasso ad un altro e ci ritroviamo al muro. Arriviamo alla fessura e iniziamo a ripulirla dalle frasche.
—Stiamo attenti, l’ultima volta mi hanno beccata— faccio notare agli altri.
Si girano allarmati, confusi e stupiti che io sia ancora viva per raccontarlo. Mi sorprendo io stessa delle mie parole, è come se in quest’ultima ora lo avessi completamente rimosso.
—Ti ha vista un pacificatore?— mi chiede spaventato Lian. Scuoto la testa. Lui sembra volermi fare un’ altra domanda ma lo blocco con la mano e mi allontano dal mondo esterno per rifugiarmi nella mia mente.
Maledizione avevo tralasciato quel deficiente. Non posso lascialo indietro, se lo scoprisse manderebbe all’aria tutto. —Qualcuno sa dirmi dove abita Finnick Odair?— chiedo frettolosa.
I volti dei miei amici mi sembrano più confusi di prima.
—Perchè ce lo chiedi proprio adesso? Cosa centra?— mi chiede mia cugina.
—è lui che mi ha scoperta. Abbiamo fatto una specie di patto: io lo porto con noi e lui non ci denuncia— affermo.
Silenzio. Non parla nessuno.
—Insomma sapete dove abita?— chido quasi isterica. Non possiamo starcene qui al muro a pensare in eterno. Non è per niente un posto sicuro. Riza scuote la testa.
—Io non so chi sia— afferma Lian. Sto per proporgli una dettagliata descrizione ma mia cugina mi anticipa.
—Cosa? Come fai a non sapere chi sia!— urla contro il nostro amico — alto, abbronzato, capelli color bronzo, occhi da infarto...— Lian è visibilmente spaventato — Ma stai scherzando? è praticamente il ragazzo più bello che io abbia mai visto!— Riza sta sclerando. Ma Lian ancora non ha capito chi sia. Sto pensando a qualcosa di rilevante e improvvisamente ho un’illuminazione —Sua madre  vende conigli— dico al mio amico.
Sulla sua faccia si fa largo un ampio sorriso, il primo della giornata —So dove abita— ci dice.
Sapevo che quei maledetti conigli sarebbero stati fondamentali!
Usciamo dalla palude e ci dirigiamo in paese.
—Sta vicino al mercato— ci dice Lian mentre ci guida —qualche anno fa sua madre mi fece vedere il suo piccolo allevamento, e ogni tanto quando abbiamo un po’ di soldi extra compriamo i suoi conigli—.
Il mercato non è molto distante da dove abito io. Ma non ci vado spesso, e se ci vado è per vendere e non per comprare. Lì ci sono cose di ogni tipo ma solo i ricchi se li possono permettere. Diciamo che serve per rifornire i vincitori degli Hunger Games. E da noi sono fin troppi. Le loro famiglie e pochi altri frequentano abitualmente il mercato. L’ altra gente del Distretto ci va solo in occasioni importanti. Per esempio se i figli non vengono estratti alla mietitura. Questa è sicuramente un’occasione importante.
In breve arriviamo al mercato. Lian ci ha spiegato che la casa di Finnick dovrebbe starere dietro la ferramenta.
Superiamo il primo tratto di bancarelle e ci dirigiamo nell’ala destra dove, forse, troveveremo ciò che stiamo cercando.
—Lì c’è la ferramenta— ci fa notare Lian.
Oltrepassiamo il negozio e svoltiamo nel suo retro.
—Se non mi sbaglio dovrebbe essere questa— dice il mio amico indicando una casa. Grande e ben curata, sicuramente superiore agli standard del Distretto 4. Ci avviciniamo alla porta, prendo un bel respiro e busso. Non so perchè ma rivederlo mi mette agitazione.
La porta ci viene aperta da una donna vagamente familiare. Capelli color bronzo e occhi identici a quelli del figlio.
—Finnick è in casa?— chiedo timorosa.
—Chi lo cerca?— mi domanda la donna cortese.
—Annie Cresta— le rispondo in tono pacato. Mi concede un gran sorriso e si ritira nell’abitazione —Vado a chiamarlo— ci dice la donna. Se non altro non abbiamo sbagliato casa.
Dopo poco da dietro la porta sbuca un volto a me familiare: Finnick sembra stupito di vedermi.
—Guarda guarda chi è venuto a cercarmi— mi dice.
—Già sono sorpresa anche io— sospiro —comunque noi stavamo pensando di andare in quel posto e se vuoi venire sei ben accetto— gli dico. Ci riflette qualche secondo e poi annuisce rilassato. Ci lasciamo la sua casa alle spalle e ci dirigiamo verso la palude.
—Non credevo che il gruppo fosse così numeroso— mi fa notare Finnick. In effetti non abbiamo parlato molto io e lui.
—Scusate non vi ho presentato— rispondo io —questo è Finnick— lo indico — e questa è mia cugina Riza e lui è Lian—. Mia cugina concede al ragazzo un gran sorriso mentre Lian sembra un po’ più restio.
La palude è tornata ad essere tranquilla e silenziosa, gli uccelli si sono spostati. Ci dirigiamo alla fessura.
—Annie è stata imprudente e si è fatta beccare— dice Finnick mentre sposta le frasche.
Lian ridacchia sotto i baffi :—Già è sempre stata impulsiva—.
—E molto distratta— aggiunge Riza. Ridono tutti e tre. Mi limito a mandarli a quel paese.
Oltrepassiamo il muro e ci dirigiamo al nostro alberello, dove solitamente ci rifugiamo per rilassarci.
Ci accampiamo lì.
—Nonostante la nostra Annie sia un po’ sbadata come hai fatto a vederla?— chiede Lian a Finnick indaffarato a raccogliere bacche.
—In realtà l’ho vista per caso che infilava dentro la palude, così l’ho seguita. Non avevo niente di meglio da fare— ride —poi quando ha spostato le frasche e ha rivelato il passaggio ero veramente curioso di sapere cosa stava facendo. L’ho pedinata senza farmi sentire e poi le ho fatto prendere un bello spavento— ride in modo più fragoroso —non avevo mai visto nessuno così impaurito—.
Lui è molto divertito ma poi si accorge del mio volto serio e si placa. Non sono arrabbiata perchè si sta prendendo gioco di me; ma perchè sto ripensando alle nostre conversazioni e non sono molto allegre, almeno per me.
Lian decide di rompere l’atmosfera :— Spero che abbiate portato qualcosa da mangire perchè io non ho fatto nemmeno colazione—.
—Non ti preoccupare abbiamo una bella pagnotta, un bel po’ di pesce e le bacche— dice Riza.
—Se mi aveste avvertito avrei portato del coniglio. Ne è avanzato un po’ da ieri sera— afferma Finnick.
—Wow! Che peccato. L’ho mangiato poche volte ma lo adoro— esclama mia cugina.
—Lo adoro anche io— risponde il ragazzo —anche se una volta una persona mia ha detto che allevarli è l’unica qualità che ho— mi fulmina con gli occhi.
—Che persona spregevole— afferma Riza indignata.
—Dipende dalla situazione in cui lo ha detto— mi infilo nella conversazione contrariata.
—Annie!— mi sgrida mia cugina. Finnick è divertito.
—Sì, davvero una persona spregevole— dico per placare l’isterismo di mia cugina, ma la voce mi è uscita così poco veritiera che mi metto anche io a ridere insieme al ragazzo di cui mi prendo gioco. Anche lui fa lo stesso con me. I miei amici ci guardano confusi.
—Sù forza non perdiamoci in chiacchiere, io ho fame!— ci interrompe Lian.
Da una borsa tirimo fuori il cibo e iniziamo a mangiare. Finnick fa un piccolo cestino dove depositiamo un bel po’ di bacche. Ne abbiamo trovate molte di più rispetto all’ultima volta.
Il pomeriggio passa veloce. Finnick ci spiega come lui in realtà non sappia molto sui conigli, ci pensa sua madre, lui preferisce di gran lunga la pesca. Di come ami arpionare i pesci con una lancia che gli ha regalato il fabbro che abita difronte a casa sua. E di come una volta ha lottato contro un coniglio che non si voleva far cucinare.
Rido fino ha piangere. Non ricordavo più questa sensazione di spensieratezza e felicità.
Anche Lian si diverte e questo non fa altro che incrementare la mia felicità. Siamo riusciti a fargli passare un pomeriggio spensierato.
Quando cala il sole e ci avviamo verso casa mi rendo conto che Finnick, nonostante tutto, è un bravo ragazzo. Totalmente differente da come può apparire a prima vista.
Riza e Lian vanno a casa io accompagno Finnick alla sua. Al ritorno cercherò di vendere qualche bacca al mercato. Siamo davanti alla sua porta. Solo ora mi accorgo che ha numerosi fiori colorati piantati nel giardinetto davanti.
—Ci vediamo alla mietitora— mi dice lui riportandomi alla realtà.
—Buona fortuna— gli rispondo. Mi saluta con la mano e sparisce dietro la sua porta.
Cosa mi succede? Una fitta al petto mi fa star male.
Mi volto velocemente. Penso che questa sia paura. Paura che Finnick venga estratto.
Perfetto! Adesso ho due persona per cui stare in ansia. Loro due non se lo meritano, non sarebbe giusto. Poi nella mia mente si accalcano volti diversi: il figlio più piccolo del vecchio Mitch, i miei compagni di scuola, ragazzi di cui non so neanche il nome. E mi rendo conto che chiunque venga estratto per me non sarà mai giusto.
 
 
 
 
 
 
Questo quarto capitolo mi è venuto un po’ lungo. Spero non vi abbia annoiato.
Lasciate una recensione. Bella o brutta che sia voglio sapere il vosptro parere!
Baci Light Rain
 
    

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Capitolo 6
*** Che gli Hunger Games abbiano inizio ***


La pioggia ticchetta sul davanzale della finestra.
Oggi non è giornata. Per quanto ami la pioggia, oggi non è giornata.
Non me ne posso stare tappata in casa a logorarmi coi miei pensieri. Domani iniziano gli Hunger Games e io devo uscire da queste mura, devo fare qualcosa, anche la più banale. Mi alzo velocemente e mi dirigo alla porta, la apro e me la lascio alle spalle. Vengo immediatamente investita da una nebbiolina umida, tira così tanto vento che la pioggia viene sollevata e schizzata in ogni direzione. 
Faccio un passo indietro, non ci tengo a inzupparmi tutta, ma trovo la distanza giusta. Se mi fermo a due passi dalla porta sento le goccioline bagnarmi delicatamente senza travolgermi del tutto. Respiro a fondo l’odore della pioggia, ha un sapore così strano, e l’aria è talmente carica di umidità che rende difficile persino respirare. 
Un lampo squarcia le nuvole grigie seguito immediatamente da un tuono che mi fa sobbalzare. I rumori forti o acuti non mi piacciono molto, anzi è più corretto dire che li detesto, ti rimbombano nel cervello e sembrano non volerlo lascire più. Rabbrividisco perchè so già che quel tuono mi perseguiterà per tutta la giornata. 
Vedo un altro fulmine, chiudo gli occhi in attesa di un altro brontolio del cielo; non si fa attendere.
Non mi piace questo tempo, non ora almeno. Solitamente la pioggia ha un potere rilassante su di me, ma non in questo momento. Non oggi che mi costringe a stare in casa e che mi fa preoccupare perchè mio padre è fuori in barca. Se stamattina il cielo non fosse stato limpido non lo avrei fatto partire, ma qualche ora fa non c’era nemmeno una nuvola, è iniziata più o meno quando sono uscita da scuola, è stata una vera fortuna tornare a casa quasi del tutto asciutta.
Rassegnata torno dentro spargendo impronte bagnate un po’ ovunque.
Mi siedo a tavola lasciandomi sfuggire un rumoroso sospiro. Domani iniziano gli Hunger Games e stasera, durante le interviste, potrebbe essere l’ultima volta che vedo Finnick tutto intero. Ieri nel pomeriggio hanno reso noti i punteggi dell’addestramento, Finnick ha preso nove. Sono rimasta del tutto spiazzata, il suo è un punteggio invidiabile dalla maggior parte dei tributi, solo quelli del 2 hanno fatto meglio prendendo entrambi dieci. Invece quelli del 1, la ragazza del mio distretto e il maschio del 7 hanno preso nove come Finnick. Ma ci sono anche molti otto e questo mi preoccupa, l’edizione di quest’anno sembra essere particolarmente ricca di ottimi combattenti.
Mi domando come abbia fatto Finnick a prendere un punteggio così alto? Qualche stratega sarà rimasto folgorato dal “suo bel fccino”. Rido. Questo mi riporta indietro a non molto tempo fa, alla prima volta che parlai con il tributo del Distretto 4. Ora è così che lo vedo, come lo vedono tutti: un concorrente dei sessantacinquesimi Hunger Games, probabilmente morirà con questo appellativo.
Mi volto verso la finestra, diluvia come prima, se non di più.
Sicuramente morirà con questo appellativo.
Faccio uno scatto verso la porta e la sbatto rumorosamente dietro di me e questa volta non mi fermo, corro sotto la pioggia verso l’unica persona che voglio vedere in questo momento.
Quando Lian apre la porta mi grida contro perchè sono completamente fradicia.
—Che diavolo ti salta in testa, uscire con questo tempo!— urla facendomi entrare in casa.
—Scusa— sospiro a bassa voce, la casa è silenziosa, suo padre sarà fuori in mare
—Ti stò bagnando tutto il pavimento— dico facendogli notare le gocce d’acqua che si infrangono sulle mettonelle. Sparisce in un’ altra stanza.
—Prendi questo— dice gettandomi un asciugameno.
Lo afferro e inizio a tamponarmi un po’ ovunque, il temporale non ha risparmiato nemmeno un lembo di stoffa. Sono completamente inzuppata e il freddo inizia a entrarmi nelle ossa, è una sensazione sgradevole.
—Ti faccio una tisana calda Annie?— mi chiede una voce squillante, so perfettamente a chi appartiene
—Grazie mille Judianna!— le urlo.
—Non c’è di che— risponde sorridente la serella di Lian facendo capolino da dietro l’angolo. Ha dieci anni ed è una delle persone più socievoli che io abbia mai conosciuto, sorride sempre, in qualsiasi situazioni e a dispetto di chiunque. Se è conforto quello che sto cercando sono nella casa giusta.
—Che ci fai immobile alla porta Annie?— grida Lian che ha raggiunto sua sorella in cucina. A grandi passi arrivo da loro. Il mio amico è stravaccato pigramente su una sedia mentre Judianna mette un pentolino d’acqua a bollire sul fuoco. Mi siedo accanto a Lian appoggiando nervosamente le mani sul tavolo.
—Tuo padre è in mare?— chiede il mio amico.
—Sì. Anche il vostro?— chiedo distaccata.
—Già. La mamma invece è in città, ha trovato un nuovo lavoro!— mi dice entusiasta Judianna — ora è sindaco!— ridacchia lei.
—Fa la sua assistente Judianna, non lo è diventata!— la coregge suo fratello —possibile che non presti mai attenzione a quello che ti diciamo— sospira rassegnato
—Io invece vi ascolto!— risponde contrariata lei —siete voi che non sapete spiegare bene le cose!—
Rido. Judianna è così divertente: si è posizionata davanti a suo fratello con uno sguando di sfida stampato in faccia, non fanno altro che bisticciare quei due. Poi si gira stizzita e prende tre tazze, ma non prima di avergli mandato un’altra occhiata.
—Allora, se sei uscita con questo tempo suppongo che tu non sia venuta qui per farti una tisana— dice Lian guardandomi dritta negli occhi— Quale è il problema?— mi chiede gentile.
Lian mi conosce molto bene.
—è Finnick vero?— chiede lui
Fin troppo bene.
—Chi è Finnick?— ci chiede Judianna portando goffamente le tisane in tavola.
—è un nostro amico— risponde sbrigativo Lian, è piccola forse pensa sia meglio che lei non sappia.
—Credevo fosse il tributo maschio di quest’anno, ma forse mi sbaglio— dice lei sorseggiando la bevanda ancora calda.
—Se sai chi è perchè diavolo ce lo hai chiesto!— urla Lian
—Volevo vedere cosa mi rispondevate— sogghigna — insomma è vostro amico?— ci chiede quasi maligna.
—Non sono affari tuoi!— grida il mio amico alla sorella.
—Sì invece, è il nostro tributo! Viene dal Dostretto 4 e che ci crediate o no voglio anche io che torni a casa— ora è seria, non sta scherzando come prima. Lian le lancia un’occhiata poi torna a guardare me, non ho ancora risposto.
—Lian, rispondimi sinceramente— prendo fiato —quante possibilità ha?— chiedo timorosa.
—Annie è addestrato, non morirà senza lottare— risponde immediatamente.
Sgrano gli occhi.
—Lian lui non è addestrato, viene a scuola con noi!— grido.
—Annie va alle lezioni private— sono dubbiosa —ne sono sicuro— dice.
In effetti potrebbe anche essere. All’accademia di addestramento ci puoi entrare solo tramite un test, a 10 anni esaminano tutti i bambini e quelli che si dimostrano essere i più valenti possono entrare nella scuola speciale, tutti gli altri vanno ad una normale. Però ci sono anche delle lezioni private che chiunque può frequentare tutti i pomeriggi, ma quelle costano veramente care, in pochi se le possono permettere.
Finnick potrebbe andarci tranquillamente, da quello che so vive in una famiglia benestante. E dal nulla sorge in me una piccola speranza, che forse il nostro tributo possa tornare a casa.
Bevo la mia tisana, scopro che è al limone. Per il tempo che resto lì non parlo più degli Hunger Games ma mi limito ad ascoltare Judianna mentre mi raccconta cosa ha combinato a scuola stamattina. Lian non mi fa andare via finchè il tempo non si calma, quando pioviggiana solo un po’ lo convinco a farmi tornare a casa.
Corro sotto la nebbiolina umida e entrando in cucina mi sorprendo vedendo mio padre seduto a mangiare un frutto.
—Dove sei stata?— mi chiede curioso.
—Ero da Lian— rispondo —c’era una bella tempesta, avete avuto problemi in barca?— chiedo preoccupata
—Oh niente di indomabile— ride lui — però abbiamo deciso di tornare un po’ prima— mi risponde.
—Capisco— dico io mettendo fine alla conversazione, o almeno penso che sia così, perchè invece mio padre prende a raccontare come a passato la giornata, di cosa gli ha raccontato mio zio ed infine mi costringe a dirgli cosa ho fatto io, non che mi dia fastidio, ma non è successo niente di interessante. Quando finiamo di parlare il cielo è nuovamente sereno e non cade più una sola goccia di acqua.
Come consueto andiamo dai miei zii a cena, stasera c’è lo stufato di conisglio, mi domando dove lo abbiano comprato, ma non ho il coraggio di chiederlo. Ripenso tutta la sera alle parole di Lian, “Annie è addestrato, non morirà senza lottare”, cerco di analizzare il loro significato; mi avevano dato speranza all’inizio ma mi accorgo che non è solo questo che Lian intendeva, lui mi voleva dire che morirà, lottando, ma morirà comunque. Ed all’improvviso come era arrivata la speranza lascia il Distretto 4, perchè il suo tributo non tornerà mai a casa.
—Annie muoviti!— grida mia cugina —sta iniziando!— mi incita lei.
Mi siedo sul divano difianco a Riza, lo schermo davanti a noi si illumina e dopo lo stemma della capitale appare Caesar Flickerman nel suo completo blu in netto contrasto con i capelli arancioni di un colore quasi fluorescente.
Per scaldare un po’ il pubblico racconta qualche barzelletta, non ne capisco nemmeno una, deve essere umorismo da Capito City . Dopo poco iniziano ad apparire uno alla vota tutti i tributi, truccati e ben vestiti hanno un’aspetto straordinario. Vedo prendere posto i tributi del Distretto 1, parlano molto, ma non ascolto una singola parola, ho ben altro a cui pensare. Dopo loro arrivano quelli del due, la ragazza è abbastanza silenziosa mentre il ragazzo, che scopro chiamarsi Alexander, è molto più strafottente e sicuro di sè. Ma non mi curo molto di lui, solo una parola che pronuncia desta la mia attenzione, una singola parola che mi riecheggia nel cervello più e più volte: morte. 
Mi paralizzo completamente quando prende posto accanto a Caesar, il tributo femmina del mio distretto, Sousette è assolutamente bellissima nel suo abito azzurro. Inizia a parlare amichevolmente con l’intervistatore su varie mosse di lotta e varie tecniche per strangolare qualcuno. Solitamente si tende a tenere nascoste le proprie abilità, ma a quanto pare non ha la minima intenzione di farlo, questo significa che vuole intimidire i suoi avversari.
Si alza con grazia e scompare dietro al palco.
Ci siamo.
—Ed ora dal Distretto 4, Finnick Odair!— annuncia Caesar.
Spunta da dietro le quinte, in un vestito blu notte, elegantissimo, i capelli in piega lo sguardo pulito rivolto agli spettatori. Rivolge a Capitol City il più intenso dei sorrisi e prende posto accanto all’intervistatore. Dal pubblico si alzano urla, applausi, grida incontrollate: Finnick è già l’idolo di questa edizione.
—Bene Finnick— inizia Caesar, ma le urla del pubblico coprono completamente la sua voce.
—Insomma signore capisco che questo ragazzo è assolutamente straordinario, ma un po’ di contegno— protesta l’intervistatore cercando di placare il pubblico, ma questo non fa altro che alzare le urla, soprattutto perchè Finnick ha concesso loro un gran sorriso.
—Finnick— dice Caesar mentre si volta verso il pubblico con sguardo malandrino per assicurarsi che tutti tacciano, poi prosegue —come ti sarai accorto, da dopo la parata dei tributi— si levano delle grida, Caesar si volta verso di loro e si zittiscono — dicevo da dopo la parata dei tributi hai preso in ostaggio tutti i cuori delle signore di Capitol City, tutto ciò come ti fa sentire?— chiede Caesr smagliante.
Finnick non esita un attimo nel rispondere —O credimi è assolutamente straordinario che così tanta gente si sia interessata a me, hanno tutta la mia gratitudine perchè questo mi da una grande forza— dice sorridendo verso il pubblico — e sono sicuro che anche quando sarò nell’arena troveranno un modo per starmi vicino— sorride ancora una volta e dal pubblico si levano sospiri striduli.
Ho capito cosa sta facendo, sta cercando degli sponsor, e credo che faranno a gara per dargli anche solo un pezzo di pane. Mi domando quanto gli costi fingersi così tranquillo.
—Ma ora Finnick passiamo alle cose serie — Caesar prende un bel respiro — qui tutti noi stiamo impazzendo, vogliamo sapere se qualche ragazza ti aspetta a casa— chiede infine.
Il pubblico è immobile, penso che alcuni abbiano smesso di respirare e tra poco cadranno a terra privi di sensi. Questa volta Finnick ci pensa bene prima di rispondere — Ceaser ti dirò che mi aspettano molte ragazze nel Distretto 4— dal pubblico si leva un chiacchiericcio sommesso —ma nessuna di loro mi interessa veramente, forse troverò ciò che cerco qui a Capitol City— conclude infine.
Ora il pubblico è completamente in delirio, quelli che stavano per perdere i sensi ora rischiano di essere internati in un ospedale per pazzia.
—Finnick mi dispiace ma il nostro tempo è finito— annuncia Caesar facendo alzare il nostro tributo, saluta cortese il pubblico e scompare dietro il palco lasciando il posto alla ragazza del Distretto 5.
—Mi sembra sia andato bene— mi dice Riza riportandomi alla realtà.
—Sì— rispondo sbrigativa.
Guardiamo in silenzio le altre interviste, non succede niente di interessante:  il ragazzo del 7 inspiegabilmente è molto socievole nonostante sia mostruosamente minaccioso,  la ragazza del 10 mette in atto una strana danza tipica del suo distretto e quella del 11 effettua uno spogliarello senza ottenere molto successo.
Quando io e mio padre stiamo uscendo dalla casa dei miei zii per tornare alla nostra mia cugina mi sorprende con una affermazione : —Certo che Finnick è un bel donnaiolo!— c’è acidità nella sua voce, più di quanto io possa sopportare, le lancio un’occhiata e mi avvio verso casa. Mi infilo nel letto e dopo circa due ore mi abbandono al sonno.
 
—Tesoro— una voce dolce mi fa aprire gli occhi. Il volto di mio padre è luminoso e sereno, assolutamente bellissimo. Mi accarezza delicatamente la fronte continuando a sorridere.
—Tesoro hai visite— mi dice.
Annuisco col capo, sono troppo rimbambita per formulare una risposta di senso compiuto. Mio padre torna in cucina, immagino dalla persona che mi sta cercando, chi diavolo va a casa altrui la mattina degli Hunger Games? Mi stiracchio, vado in bagno e mi preparo. Quando raggiungo mio padre scopro che sta parlando con Lian, mi saluta con un sorriso rincuorante. Sì,  perchè averlo lì per me è rincuorante. Mi siedo a tavola e faccaiamo colazione, non parliamo finchè mio padre non esce per andare nel magazzino.
—Perchè qui di buon ora?— chiedo a Lian
Esita un attimo —Pensavo che saresti stata meglio vedendoli in compagnia— risponde.
Il mio Lian si rivela ancora una volta essere il mio migliore amico, ha ragione, vedere gli Hunger Games con lui penso mi risulterà più facile.
—Grazie— rispondo e torno a sorseggiare la mia tisana.
—Se vuoi possiamo andare anche a chiamare Riza?— chiede.
—No!— urlo quasi rabbiosa. Come sospettavo non mi è ancora passata per quello che ha detto ieri —va bene così— continuo io in tono più calmo. 
Appena rientra anche mio padre ci posizioniamo davanti allo schermo, a Capitol City devono essere tutti molto eccitati, a me invece scappa solo da vomitare.
Appare l’annunciatore, Claudius Templesmith che con un sorriso smagliante è pronto a dare il via allo spettacolo.
E come nel peggiore dei miei incubi vedo Finnick circondato da altri tributi, ognuno composto sulla propria pedana ad aspettare che i giochi abbiano inizio.
—Signore e signori, che i sessantacinquesimi Hunger Games abbiano inizio!— annuncia Claudius.
Sessanta secondi. Ancora sessanta secondi e i giochi avranno inizio.
59, 58, 57...
Solo ora mi accorgo dell’arena, molto luminosa e circondata dal verde, la cornucopia è posizionata in un prato e in torno ad essa si estendono vari paesaggi: montagne rocciose, paludi fangose, campi di erba alta due metri, lande aride e gruppi fitti di alberi. Sono tutti paesaggi molto diversi dal Distretto 4.
42, 41, 40...
Inquadrano la cornucopia, ricca di armi di ogni genere, scorte di cibo, zaini con dentro chi sa cosa, kit di emergenza; puoi trovare praticamente qualsiasi cosa, se ci arrivi vivo.
18, 17, 16...
Fanno un primo piano di tutti i tributi, alcuni sorridono, altri hanno stampato in faccia la paura del momento, Finnick è totalmente concentrato sulla cornucopia davanti a lui.
5, 4, 3...
Fa che non muoia.
2, 1...
Il gong risuona nell’arena, corrono tutti, chi via da lì chi dritto dentro il bagno di sangue.
Dove è maledizione! C’è talmente tanto caos che l’ho perso di vista.
Ma quello che non mi perdo è il ragazzo del 2 che taglia la gola ad una ragazza, che cade a terra morta.
Afferro la mano di Lian, lui la stringe forte.
Poi lo inquadrano, Finnick è alla cornucopia con uno zaiono in spalla, vorrei gridargli di scappare, ma ho perso del tutto la capacità di respirare.
Una ragazza, del Distretto 1 credo, gli piomba addosso ma cade nel prato poco dopo inzuppata di sangue. Non capisco cosa è successo finchè non vedo la lama di una spada imbrattata di rosso, e quando realizzo chi è il suo propretario il mio cuore smette di battere per qualche secondo. Finnick scuote la spada per rimuovere l’eccesso di sangue, afferra un altro zainetto, due lance e poi corre verso gli alberi, un ragazzo gli intralcia la strada, anche lui cade a terra privo di vita.
Ora inquadrano dinuovo il bagno di sangue, ma la mia testa è altrove, persa in frammenti che durano pochi secondi cercando di trovare una risposta.
Lian me lo aveva detto, aveva provato ad avvertirmi.
“Finnick è addestrato” le parole mi riecheggiano nel cervello.
Io lo sapevo.
Finnick è addestrato ad uccidere.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Questo capitolo mi è venuto veramente troppo lungo, ma non ho avuto il coraggio di tagliare.
Ringrazio quelli che hanno avuto la tenacia di arrivare fino in fondo.
Lasciatemi una recensione!
Baci
Light Rain

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Capitolo 7
*** Un pezzo di me ***


—Annie!— mi chiamano.
—Annie!— mi scuotono.
Non lo rivedrò più.
—Annie!— gridano.
Quante possibilità ha un ragazzino non addestrato di uscire vivo da un’arena piena di mostri sanguinari?
—Annie!— le voci si fanno più vivide.
Non tornerà mai a casa.
—Annie mi senti!— mia cugina mi prende il volto tra le mani.
—Annie tutto bene?— mi chiede agitata.
No maledizione! Non va bene! Finnick sarà massacrato per il divertimento di Capitol City.
—Tutto apposto— farfuglio.
—Andiamo— mi prende la mano e mi trascina fuori dalla piazza.
Stiamo già andando via? Mi giro verso il palco. Non dovrei andare a salutarlo? Voglio vederlo ancora? Mi scuoto. Ora non conta cosa voglio o non voglio fare io. L’importante è Finnick e sicuramente non sono una delle persone che vuole vedere in questo momento.
Comunque non ha molta importanaza. Siamo già per strada, lontano dalla piazza.
—Lian!— urla Riza lasciandomi la mano e correndo a grandi passi verso il nostro amico.
Ridono. Ridono entrambi. Sono felici. Non dovrei esserlo anche io? Dopotutto ho sperato sino all’ultimo momento che lui non venisse estratto. Dovrei esultare come fanno loro.
Ma non posso. Perchè ho conosciuto il tributo del Distretto 4. Ci ho parlato. Ho riso insieme a lui. Non è giusto. Non si merita di morire così.
Nessuno merita di morire così. Forse quelli che si offrono volontari per far fuori qualcuno. Forse loro. Ecco se quest’anno Sousette sarà uccisa in modo atroce, non piangerò. 
Ma riderò perchè lei sarà solo un’altra pedina nelle mani del governo. Lo siamo tutti. E per l’ennesima volta in questa giornata sono disgustata da tutto questo.
Torno a casa in qualche modo, sopratutto grazie all’aiuto dei miei familiari. Mi congratulo con Lian, nonostante il risultato finale mi abbia spiazzato, si merita un po’ di conforto.
Io, Riza e mia zia Leslie prepariamo un ricco banchetto. Mangiamo sino a sentirci pieni, avanza perfino un po’ di pesce. Scherziamo, ridiamo e per un attimo mi dimentico addirittura perchè lo stiamo facendo. Festeggiamo perchè nessuno di a noi caro entrerà nell’arena. Certo questo mi rende felice. Ma continuo a pensare che adesso io non dovrei festeggiare.
Penso alla madre di Finnick, così gentile e solare, amica di mia madre. Penso a Finnick, un ragazzo che non ho capito fino in fondo, ma che mi sarebbe piaciuto conoscere. Un amico, forse.
Vado a letto e miracolosamente riesco a chiudere gli occhi.
La mattina seguente passa veloce, fin troppo per i miei gusti. Vedo pacificatori montare maxi schermi un po’ ovunque nel Distretto, non si può di certo permettere che qualcuno si perda due secondi del grande spettacolo! Tutti gli anni è sempre la stessa storia: siamo costretti a vedere gli Hunger Games, in casa abbiamo tutti degli schermi fatti apposta, ma volendo li si può vedere in compagnia in piazza, come un simpatico teatrino.
Anche se penso che per Capitol City non ci sia la minima differenza.
Oggi pomeriggio hanno ridato la replica della mietitura, ieri me la sono persa, così ho potuto conoscere i favoriti. Sia nel Distretto 1 che nel 2 si sono offerti volontari, come la ragazza del nostro. Hanno già detto che loro saranno sicuramente il gruppo più letale.
Gli altri non sembrano essere molto minacciosi, aspettiamo la gara non si sa mai, anche se il ragazzo del 7 è mostruosamente grande. Sono rimasta abbastanza spiazzata dai tributi del 12 : alla mietitura erano conciati veramente male. Là si muore di fame e nonostante io mi lamenti ho sempre avuto il piatto pieno. Per quanto riguarda Finnick ha attirato un po’ di attenzione per la sua innata bellezza, non mi stupisco, ma dubito che questo lo aiuterà quando sarà nell’arena. Ho scoperto che ha quattordici anni, giovane, troppo giovane per vincere.
Hanno annuciato anche i mentori dei nostri tributi, visto che noi abbiamo molti vincitori ai ragazzi è consentito scegliere quello che preferiscono avere come mentore.
Sousette ha scelto Greg, uno dei più spietati, vinse la sua edizione più o meno venti anni fa, amava torturare le sue vittime prima di ucciderle. Finnick invece ha optato per Megs, vispa settantenne, ora è abbastanza vecchia ma negli anni buoni era un’ottima combattente. Anche se non è più capace di maneggiare un coltello in modo letale sono sicura che darà a Finnick ottimi consigli. Questo mi conforta un po’, ma non troppo.
Stasera ci sarà la cerimonia di apertura, tutti i tributi sfileranno fino alla residenza del presidente Snow che darà ufficialmente il benvenuto ai concorreni di quest’anno.  Mi domando come vestiranno Finnick e Sousette, il tema marino è scontato, ma ogni anno si cerca di variare. Nelle edizioni che ho visto io hanno sfilato dei pescatori, delle alghe, delle sirene e dei merluzzi: già due anni fa hanno infilato i nostri tributi dentro un costume da pesce, erano ridicoli, ma non ci ha impedito di vincere lo stesso.
—Come va Annie?— mi chiede Riza entrando nella mia cucina. Mi ha spaventata.
—Tutto ok— le rispondo cercando di sembrare più sincera possibile. Sono in ansia, ma non voglio darlo a vedere.
—è stata una vera disgrazia— mi dice sedendosi accanto a me.
—Cosa?— le chiedo confusa.
—Finnick— sospira —è stato veramente sfortunato—.
è la prima volta che parliamo di lui. Non ci eravamo mai confrontate.
—Già— sbuffo —secondo te ha qualche possibilità?— chido infine.
Mia cugina ci riflette qualche secondo poi risponde —Secondo me non è spacciato, non è stupido anzi è molto astuto, lo dimostra il fatto che è riuscito a scoprire il nostro posto. E poi è robusto per la sua età — si interrompe — Non ci resta che sperare che sappia maneggiare un’arma— conclude lei.
Già, non ci resta che sperare.
—Stasera guardimo insieme la parata?— mi chiede Riza intenta a preparare il pranzo.
—Certo— le rispondo. Mio padre è in mare con il suo, e sua madre gestisce un negozietto di tessuti quindi durante la giornata ci facciamo compagnia a vicenda. Riza è una delle poche persone con cui mi sento a mio agio, un’altra è Lian. Poi al di fuori della mia famiglia non ce ne sono altre. Non posso fare a meno di pensare a Finnick, ma con lui mi sentivo così a disagio, mi chiedo se lo posso considerare un amico. Diciamo più un conoscente, dopotutto l’ho conosciuto solo una settimana fa e non penso ce ne saranno altre.
—Ti posso dare una mano?— mi obbligo a chiedere a Riza per pensare ad altro.
—Puoi preparare una salsa con le spezie. Che ne dici se la mettiamo sul pesce arrosto?— mi dice.
—Mi sembra un’ottima idea— le rispondo.
Frugo nei cassetti alla ricerca di un barattolo verde, lo trovo infondo allo scaffale. Dentro ci mettiamo un miscuglio di spezie e erbe saporite che, con una spruzzata di limone ed un pizzico di sale, fanno una salsa squisita da mettere sopra il pesce.
Usciamo fuori e facciamo un piccolo falò, cuociamo il pesce che poi condiamo con la salsa. Durante il pomeriggio cerchiamo di tenerci impegnate: rimettiamo un po’ in ordine il magazzino, facciamo qulache rete e poi andiamo sugli scogli a raccogliere un po’ di molluschi. Ma non ne troviamo molti, così decidiamo di non venderli e di tenerceli per la cena.
Restimo un altro po’ in spiaggia per aspettare i nostri padri che arrivano poco dopo. Tutti insieme andiamo a casa dei miei zii, dove troviamo mia zia Leslie intenta a sbucciare delle rape. Cenare in famiglia e molto meglio, mi riscopro a sorridere quando sono con loro. 
Non ce ne rendiamo nemmeno conto che la cerimonia di apertura è già iniziata. Il nodo allo stomaco mi impedisce di mandar giù qualsiasi cosa. Vediamo sfilare i primi tributi, bellissimi nei loro abititi scintillanti, sorridenti e ansiosi di entrare nell’arena. E poi esce il quarto carro, sono grata che siamo quasi all’inizio, se fossimo stati gli ultimi non avrei retto la tensione. L’occhio mi cade subito su Finnick e mi accorgo immediatamente che è quasi del tutto nudo, se non per una rete annodata attorno alla vita, solo ora mi rendo conto di quanto il suo fisico sia atletico e ne rimango stupita. Lo stesso completo è riservato a Sousette, solo che lei ha anche una fascia che le copre il seno. Non posso far a meno di costatare quanto siano belli entrambi e dalle urla del pubblico capisco che anche i cittadini di Capito City la pensano come me. Finnick sembra totalmente a suo agio: mezzo svestito intento a mandare baci a destra e a manca. Questo mi tranquillizza un po’. Ma torno nuovamente in ansia quando mi ricordo le sue parole, quello che mi disse durante il nostro primo incontro, lui odia le persone che lo giudicano per il suo aspetto. Provo a immaginare cosa ci sia dietro quel suo sorriso smagliante e ciò che trovo mi rende triste più di prima.
Dopo venti minuti di parata i tributi arrivano davanti alla residenza del presidente Snow che appare con un completo blu notte elegantissimo. Quell’uomo a prima vista potrebbe anche sembrare una persona piacevole, quasi confortante, ma poi ti ricordi che permette che dei ragazzi si massacrino per il divertimento suo e dei suoi cittadini, e in lui di piacevole non rimane praticamente niente. Dopo i convenevoli i tributi spariscono nuovamente e io mi sento completamente svuotata, non so come spiegarlo, è una sensazione strana come se mi avessere portato via un pezzo di me. E dopo poco, quando sono a letto sola coi miei pensieri, so esattamente quale pezzo mi hanno portato via e mentre mi addormento mi assale la consapevolezza che non lo riavrò mai indietro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Scusate per il ritardo...
Spero che questo capitolo vi piaccia, lasciate una recensione
Alla prossima
Light Rain

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Capitolo 8
*** Sopravvivere ***


Spalmo nervosamente la confettura sul pane.
Sono passati tre giorni.
Ne stacco un morso, poi un altro.
I tributi si sono ridotti quasi alla metà.
Tre li ha uccisi Finnick: due durante il bagno di sangue e ieri una ragazza.
Contemplo la mia fetta ormai ridotta ad un singolo boccone. Decido di prenderne un’altra.
—Tesoro io esco— la voce di mio padre mi fa sobbalzare.
—Dove vai?— chiedo curiosa, soprattutto perchè porta con se una sostanziosa manciata di soldi.
—Al mercato— risponde.
—Hai visto qualcosa di interessante da comprare?— chiedo, mio padre ci va solo se trova qualcosa di indispensabile, l’ultima volta per rimettere un po’ a nuovo la barca. 
—No, stamattina fanno una raccolta— fa una pausa —vogliamo mandare qualcosa al ragazzo— dice schioccandomi un bacio sulla guancia per poi sparire dietro la porta.
La rabbia mi ribolle nelle vene. 
Certo va a sprecare i tuoi soldi! Va a mandargli una focaccia! Come se stesse morendo di fame, come se quelli di Capitol City non gli mandassero niente!
Mi avvento sulla mia colazione.
Finnick è letteralmente sommerso da cibo, armi, medicine e oggetti di ogni tipo. Probabilmente ha più roba in quell’arena che di quando era a casa. Sarebbe più sensato mandare qualcosa alla ragazza, Sousette, visto che ha una brutta ferita alla spalla e non naviga nel cibo come Finnick. Ma questo a nessuno interessa, hanno già decretato il loro vincitore, anche Capitol City ne è ormai sicura. Non c’è praticamente più partita, i cittadini della capitale non permetterebbero mai che Finnick muoia, sono praticamente tutti ossessionati da lui. Ora si tratta solo di aspettare la fine dei giochi, che visto il numero dei concorrenti rimasti non è poi così tanto lontana.
 Sono disgustata.
è sorprendente come il mio modo di vedere Finnick sia cambiato completamente. Adesso mi sento quasi una stupida a ripensare alla scorsa settimana, quando ero logorata dall’angoscia perchè credevo che sarebbe morto. Non è mai stato veramente in pericolo ed io ero l’unica a non saperlo.
Perchè io, per quanto mi ostini a pensarlo, non lo conosco, non conosco Finnick come potrei conoscere Riza o Lian. Ci ho parlato poche volte, ma per quello che può valere ora, mi era sembrato di averlo capito, anche solo un po’.
E quello che avevo trovato mi era piaciuto.
Adesso si è rivelato essere esattamente il ragazzo che ho incontrato il primo giorno, di cui non mi fidavo, che non ci avrebbe messo meno di un secondo a denunciarmi a qualche pacificatore, il ragazzo che credevo in realtà non esistesse. Ma se è possibile si è rivelato essere anche peggio, visto che uccide sensa scomporsi minimamente.
Esattamente come tutti i vincitorii.
I vincitori da cui io mi tengo alla larga.
Mi alzo e mi trascino fuori diretta da mia cugina, a quanto pare il fatto che io sia leggermente terrificata da Finnick ci ha ravvicinate, non piace molto neanche a lei. Lian non mi ha ancora detto il suo parere e questo mi da abbastanza fastidio.
Apro la porta della sua casa e intravedo il capo di mia cugina fermo davanti allo schermo su cui trasmettono inevitabilmente i giochi.
—Morto qualcuno?— chiedo sedendomi sul divano accanto a lei.
—L’ultima è stata la ragazza del 6 durante la notte— afferma senza staccare gli occhi dallo schermo.
Ho paura. Ho paura di chiedere chi sia il suo assassino. Ho paura, perchè so che lui ne sarebbe capace. Ho paura perchè il Finnick che credevo di conoscere potrebbe allontanarsi ancora di più da me.
—I favoriti l’hanno scovata mentre era al fiume a bere— fa una pausa —Alexander l’ha trafitta e lasciata lì a mollo— conclude.
Non è stato Finnick! è stato il ragazzo del due!
Mi tranquillzzo un po’.
—Claudius ha detto che con questa siamo ufficialmente a metà— mi dice Riza.
Non è consueto che solo al quarto giorno si siano già dimezzati, ma quelli più pericolosi sono ancora in gioco.
C’è il gruppo dei favoriti con entrambi i tributi del 2 e il maschio dell’uno. Fino a ieri ne faceva parte anche Sousette, ma ha provato a farli fuori nel sonno senza successo, è stata ferita al braccio e solo grazie al favore delle tenebre è riuscita a scappare. Finnick invece se ne sta per conto suo nei pressi del settore di roccia, nascosto in una grotta, non ha bisogno neanche di uscire: ha tutto ciò che gli serve. Però se dovessero attaccarlo i favoriti non so chi vincerebbe.
Poi sono rimasti il ragazzo del tre, quello del sei, il gigante del sette, le ragazze dell’otto e del nove ed entrambi i tributi del cinque.
In tutto dodici, come quelli che sono morti fino ad ora. Se non rallentano il ritmo i giochi saranno finiti entro la settimana. Mi domando cosa faranno gli strateghi per renderli più interessanti, gli Hunger Games che finiscono così velocemente devono almeno concludersi in modo epico.
—Sousette è peggiorata molto— mi dice Riza.
—In che senso?— chiedo fingendo interesse.
—La ferita si è infettata e ha perso molto sangue, non è conciata per niente bene— mi risponde mia cugina.
Sousette al contrario di Finnick non ha ricevuto neanche un paracadute, immagino che il massimo che abbia potuto fare per fermare l’emorragia sia aver fasciato il braccio con uno scampolo di stoffa.
Se Finnick fosse stato ferito, cosa abbastanza improbabile, avrebbe ricevuto all’istante tonnellate di doni.
Non riuscirebbe a morire neanche se volesse.
è impressionante come la gente della capitale sia stata completamente soggiogata dal nostro tributo, forse è perchè non sono abituati a vedere una bellezza naturale, là anche gli uomini sono coperti dal trucco da cima ai piedi.
—Sai della raccolta?— mi chiede Riza guardandomi dritto negli occhi.
—Anche tuo padre è andato?— chiedo sorpresa a mia cugina.
—Già— sospira —a quanto pare hanno deciso che tra la nuova attrezzatura per la barca e Finnick è più importante lui— dice ridendo.
In effetti potrebbero non avere tutti i torti, se lui vince l’intero Distretto ne giova, ma cosa se ne farà mai di quello che gli mandiamo noi, a questo punto dei giochi costa tutto moltissimo, al massimo riusciranno a mandargli una pagnotta.
—Sembra proprio che ci sarà uno scontro a breve!— annuncia una voce squillante proveniente dallo schermo, sobbalzo per lo spavento. Claudius Templesmith ridacchia allegramente mostrandoci che il gigante del sette si sta dirigendo dritto dritto alla palude, niente di strano, se non fosse che lì si sono accampati i favoriti.
—Lo vedranno di sicuro— annuncio.
—Già non penso abbia molte possibilità— mi risponde mia cugina.
I favoruti sono in tre, lui è da solo. Loro sono sommersi da armi, lui ha solo un’ascia. Loro sono ben addestrati, lui si basa sull’istinto. Loro hanno ucciso quattro tributi, lui “solo” due. Quasi sicuramente morirà, ma forse si porterà qualcuno nella tomba.
—Voi a casa fate molta attenzione, questo sarà uno scontro entusiasmante!— grida con voce acutissima.
Inquadrano i favoriti: se ne stanno nascosti tra le sterpaglie, se il ragazzo del sette passa di lì sarà impossibile per loro non vederlo.
—Ci siamo! Ci siamo!— strilla l’annunciatore. Il ragazzo del sette si avvicina guardingo alla palude fangosa, ha prima vista sembra tranquilla, ma noi sappiamo che pochi metri più in profondità ci sono i favoriti. Vorrei gridargli di scappare, ma lo scontro è ormai inevitabile.
—Vorrei ricordare agli spettatori che Timothy, il tributo del Distretto 7, ha preso un magnifico nove come punteggio— Claudius ridacchia —sarà una battaglia all’ultimo sangue— conclude eccitatissimo.
Proprio in quel momento spuntano dal nulla i tributi del due che si parano minacciosi davanti a Timothy, lui fa per voltarsi ma alle sue spalle compare il ragazzo del Distretto 1: è in trappola.
Impugna saldamente la sua ascia e guarda dritto negli occhi Alexander che con lo sguardo fisso sul suo avversario fa un passo avanti facendo un cenno ai compagni di starsene in disparte: vuole giocarsela da solo.
Inquadrano per un attimo Claudius, non parla, è assolutamente preso da quello che sta succedendo nell’arena.
Alexander si getta su Timothy con violenza, lui riesce a mala pena a schivare il colpo, cade a terra, si volta di scatto e squarcia la gola di Alexander che cade a terra sommerso dal suo stesso sangue.
Sono tutti scioccati, Timothy per primo, non penso che la sua intenzione fosse esattamente quella, ma non ha importanza perchè non fa in tempo a compiere un passo che gli altri due favoriti gli piombano addosso riducendo quasi il suo corpo a brandelli.
Scappo via da lì, lontano dagli Hunger Games, ma sfuggirvi è praticamente impossibile.
Mi fermo fuori la soglia della porta, cerco di inspirare a fondo l’aria impregnata di salsedine ma è estremamente difficile perchè ho voglia di vomitare: tutto quel sangue mi da la nausea. Ma soprattutto non ci riesco perchè sono paralizzata dalla paura, anche solo pensare che potrebbe succedere a me mi fa fermare il cuore.
—Annie vuoi un biccchiere d’acqua?— mi chiede mia cugina picchiettando alla porta che tengo chiusa alle mie spalle.
—Sì— rispondo, mi sorprendo di essere anche solo riuscita a prender fiato per parlare.
Dopo poco Riza picchietta ancora alla porta, allento la presa e lei si fa uno spiraglio per raggiungermi, mi porge delicatamente il bicchiere d’acqua che inizio a sorseggiare a piccole dosi.
—è una cosa terribile— urla lei  —no, è peggio, è disumana!— squote la testa rassegnata —Costringono dei ragazzi ad uccidersi per il divertimento di qualche imbecille, quello a cui è venuta in mente questa magnifica idea devova essere rinchiuso in qualche ospedale, ed invece cosa hanno fatto— grida sbraitando a destra e a manca— l’hanno approvata e dopo sessantacinque anni non è cambiato niente— conclude lei.
Resta in silenzio per qualche istante, poi prosegue più infuriata di prima —Certo che non è cambiato niente! Se provi a dire qualcosa ti sparano una pallottola in fronte, come possono anche solo pensare che si possa vivere in un mondo così!— dice mia cugina tutto d’un fiato.
—Infatti loro non pensano che tu debba vivere— dico io —in un mondo così puoi solo sopravvivere— le dico stringendo saldamente il bicchiere nelle mie mani.
Ce ne restiamo lì fuori, sedute davanti alla porta, immobili, finchè i morsi della fame non ci costringono a preparare il pranzo. Cerchiamo di non buttare l’occhio sullo schermo, ma è quasi del tutto impossibile.
Claudius ironicamente ci fa il riepilogo della mattinata, come sapesse che ci siamo perse un pezzo: i due favoriti dopo aver ucciso Timothy si sono separati, ora non ci sono più gruppi, Sousette sta sempre peggio, si è rintanata nella sezione boschiva e non da segno di volersi spostare. Il ragazzo del cinque se non si sbriga a cacciare rischia di morire di fame. Fanno una breve panoramica di tutti i tributi rimasti, ormai sono dieci ed infine inquadrano Finnick stravaccato nella sua grotta mentre gusta uno squisito stufato mandatogli pochi minuti prima. Visto la situazione abbastanza tranquilla Claudius rimanda in onda il filmato dello scontro tra i favoriti e Timothy, analizzando ogni singolo movimento e commentando fingendosi in qualche modo dispiaciuto. Nel frattempo la ragazza del due fa fuori quella del cinque, questo li fa rimanere solo in nove dopo solo quattro giorni.
è tardo pomeriggio quando i nostri genitori rientrano a casa, stanchi dopo una lunga giornata di lavoro, la pesca oggi non ha reso molto bene ma mia zia Leslie ha venduto abbastanza in negozio.
Ceniamo silenziosi fino a quando mio zio Drew ci fa girare verso lo schermo: Finnick sta raccogliendo un paracadute, al suo interno trova tre pagnotte dipinte col verde delle alghe, sono inconfondibili e mi bastano pochi secondi per capire che quelle gliele abbiamo mandate noi. Mio padre e mio zio ci guardano compiaciuti, il Distretto 4 è riuscito ad aiutare il suo tributo. Pochi istanti dopo dal cielo cade un altro paracadute, Finnick si precipita a raccoglierlo, rimaniamo tutti pietrificati quando vediamo che alla sua estremità è appeso un luccicante tridente. Claudius spiega che a questo punto dei giochi un’arma del genere è costata agli sponsor un occhio della testa, probabilmente non vi era mai stato un regalo così prezioso.
—Cosa se ne fa di un’altra arma? Ne ha già a sufficienza per difendersi— dico alla famiglia.
Mio padre dall’altro capo del tavolo mi afferra la mano, nei suoi occhi vi è tristezza, si sofferma un po’ su di me e poi dice: —Tesoro sono rimasti in pochi, i giochi stanno finendo in fretta— prende un respiro —Capitol City vuole che Finnick regali loro un finale epico— mi dice infine.
Mi ci vuole un po’ per capire il significato delle parole di mio padre. Ma tutto ciò che la mia mente ha il coraggio di analizzare è che quell’arma non serve a Finnick per difendersi, ma per attaccare.
 
Le onde mi accarezzano le dita dei piedi.
I giochi si sono conclusi in una settimana precisa.
Alzo il viso e contemplo il cielo limpido.
Il ragazzo dell’uno ha ucciso la ragazza del nove, Sousette è morta a causa dell’infezione, il ragazzo del cinque è stato ucciso dalla ragazza dell’otto che è morta a sua volta per dissanguamento, gli ultimi quatto rimasti li ha uccisi Finnick: con dei viticci ha intrecciato abilmente una rete che ha usato per intrappolare i suoi avversari poi, come fossero pesci in trappola, li ha trafitti con il suo tridente. Ha vinto senza il minimo sforzo, l’unica che gli ha dato del filo da torcere è stata la ragazza del due.
Mi metto a giocherellare con l’acqua quando una voce mi fa sobbalzare:— Torna oggi— mi dice Lian posizionandosi di fianco a me —verso mezzogiorno— continua lui.
Non alzo lo sguardo, continuo a scalciare istericamente le onde che mi si infrangono sui piedi.
Lo so dal primo giorno degli Hunger Games, il Finnick che conoscevo io è morto nell’arena, non tornerà mai a casa. Io riuscirò a vedere in lui solo un vincitore, un assassino di cui ho paura.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Scusate il ritardo...
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere il vostro parere.
Al prossimo capitolo
Light Rain

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Capitolo 9
*** O morto o assassino ***


—Suppongo tu non abbia cambiato idea— sbuffa Lian varcando la soglia della mia porta.
—No e non penso che la cambierò molto in fretta, quindi per favore la vuoi smettere di venire tutte le mattine a rompermi le scatole— rispondo cercando di non urlargli in faccia.
—Non mi arrenderò finchè non ci sarai andata— mi dice accomodandosi sulla sedia.
—Neanche tu ci sei andato!— lo accuso io.
—Perchè tiri in ballo me, io non centro niente in questa storia!— mi strilla di rimando.
—E allora perchè dovrei andarci io!— grido.
—Te l’ho già spiegato e lo sai benissimo il perchè— mi dice tranquillo —molto meglio di me— conclude con sguardo serio.
Non posso farlo, lui lo sa bene, io non sopporto neanche l’idea di andarci. Tutto questo mi sta annientando.
—Lian ti prego— lo imploro, questi discorsi mi distruggono.
—Ok— mi dice rassegnato alzandosi dalla sedia.
—Vai già via?— chiedo, non può farmi certi discorsi e poi lasciarmi qui da sola a logorarmi.
—Devo andare a pesca con mio padre— mi dice senza neanche voltarsi.
Me ne sto immobile sulla soglia mentre lui si dirige in strada. Poi si arresta di botto e si volta verso di me.
—Annie pensaci— mi dice in un sussurro —ti farebbe bene— poi scompare dietro una casa.
Mi lascio il mondo esterno alle spalle e mi distendo sul letto premendo forte il viso contro il cuscino.
Finnick è tornato a casa da tre settimane e cinque giorni, quasi un mese ormai. Lian vuole che io lo incontri.
Io non ho avuto il coraggio di vederlo nemmeno una volta.
Quando è rientrato dopo gli Hunger Games tutti gli abitanti dovevano andare ad accoglierlo alla stazione, io mi sono rifiutata. Non esco quasi più di casa, da quando è tornato sono andata solo due volte nel bosco, sulla spiaggia nemmeno una. Riza non ci trova niente di strano anzi, mi appoggia in pieno.
Lian la pensa molto diversamente: crede che per il mio bene dovrei andare a trovarlo.
Mi ricordo perfettemente cosa mi ha detto all’incirca una settimana fa:
—Annie tu devi andare a trovarlo, anche solo una volta, altrimenti non riuscirai mai ad andare avanti— mi aveva implorato lui. Non ero per niente convinta.
—L’anno scorso del nostro Distretto chi è stato estratto?— mi aveva chiesto.
—Claire Nicholson— avevo risposto pigramente, sapevo esattamente dove voleva andare a parare.
—Da quanto tempo la conoscevi?— mi aveva domandata Lian.
—Da sempre— gli avevo risposto distante. Lei è una delle poche persone con cui avevo dei rapporti, certo non eravamo grandi amiche soprattutto perchè era molto più grande di me, ma ogni tanto mi capitava di parlarci e mi portava a raccogliere conchiglie sulla spiaggia, era di ottima compagnia. Aveva diciotto anni quando è stata estratta, oro è sposata con un riccone di Capitol City e vive là.
—Bene— mi aveva detto con aria compiaciuta il mio amico —e non mi sembra che quando è stata estratta alla mietitura tu ti sia rinchiusa in te stessa per la disperazione, o che quando ha ucciso qualcuno tu l’abbia considerata un mostro sangunario e tantomento ti sei rifiutata di vederla quando è tornata a casa, Annie. Ti sei addirittura congratulata con lei!— mi aveva fatto notare Lian.
—Ma con lui è diverso— gli avevo risposto arrabbiata. Lian non può capire.
—In realtà non è diverso Annie, ma il problema è che tu ti sei attaccata a quel ragazzo più di quanto abbiamo fatto io e Riza, o di quanto tu abbia mai fatto con qulcuno! Il fatto di essertici affezionata non ti fa pensare in modo razionale, hai tutte le risposte solo che non ci sei ancora arrivata. Ed è proprio per questo che devi andare a trovarlo, credimi ti sarà tutto più chiaro— mi aveva detto prima di scomparire come al solito.
Lo odio quando fa così, come stamattina, mi fa discorsi profondi e poi sparisce.
Mi rigiro nel letto mettendomi a fissare il soffitto della mia stanza.
Con Claire era diverso, non capisco in che modo, ma sono due cose completamente diverse ed è inutile continuare a paragonarle. Mi alzo di scatto decisa ad andare in spiaggia, vedere il mare è sicuramente quello che mi serve, mi rilassa incredibilmente.
Mi lascio la casa alle spalle e inizio a camminare a passo veloce svicolando tra una casa e l’altra, se faccio in fretta forse non incontrerò nessuno.
Come immaginavo la spiaggia è deserta così di mattina presto, corro spedita verso il mare e mi arresto di colpo quando i miei piedi toccano l’acqua gelida. Mi guardo in torno, poi mi si blocca il respiro quando mi rendo conto di non aver controllato sugli scogli, mi volto lentamente e con mia grande gioia mi accorgo che non c’è assolutamente nessuno.
Mi sgranchisco le dita nell’acqua, è troppo fredda, tra poco non sentirò più le punte. 
Chiudo gli occhi e inspiro lentamente l’aria salata prima di voltarmi e tornare in paese. Due donne che battibeccano da una finestra all’altra attirano la mia attenzione, fanno un gran baccano.
—Grazie al cielo se ne sono andati!— grida una con voce stridula.
—Già finalmente! Capisco il loro entusiasmo ma qui tutte quelle telecamere non ci danno altro che fastidio— le risponde l’altra.
Penso stiano parlando della gente di Capitol City, in queste settimane non facevano altro che gironzolare per il Distretto per fare inteviste e riprese, un altro motivo per cui non sono uscita un gran chè di casa. Ora che se ne sono andati sono molto più tranquilla anche io.
Quando svolto dietro la panetteria vedo Thom, il figlio più giovane del vecchio Mitch che parla con due uomini che non conosco, mi saluta con la mano e io gli sorrido amichevolmente.
Proseguo passando difianco a loro e non posso fare a meno di ascoltare la loro conversazione.
—Io non me lo sarei mai aspettato, ve l’ho detto. Sembrava un così caro ragazzo— dice un uomo.
—Già— sospira Thom —bisogna stare attenti a certa gente. Avete visto come ha fatto fuori gli altri tributi, è un mostro!— conclude lui.
Ma cosa diavolo stanno dicendo.
—Non aveva scelta!— grido io senza voltarmi e iniziando a correre a grandi passi.
—Non aveva scelta— farfuglio tra me e me. Quasi per convincermi.
Se muori perdi. Se vivi vinci. Per vincere devi sopravvivere. Per sopravvivere devi uccidere prima che qualcuno uccida te. O uccidi o muori.
Ma la domanda è: avrei preferito vederlo morto piuttosto che come assassino?
Sto correndo e la mia destinazione è già che decisa.
Le case sono allineate, grandi, belle, impreziosite da oggetti vari. Ma non mi soffermo molto sulle altre, io ne sto cercando solo una, dipinta di un verde salvia per quanto ne so io, per quanto mi ha detto Lian.
Lian, il mio amico che aveva sempre saputo ciò che mi passava per la testa, che aveva già tutte le risposte, ora devo trovare la mia: o morto o assassino. Posso sopportare la seconda sapendo che altrimenti sarebbe morto? O la felicità del fatto che non sia stato ucciso mi farà accettere la seconda opzione?
L’unico modo è incontrarlo e parlarci, se avrò la forza necessaria.
Mi trovo davanti alla porta della sua nuova casa nel villaggio dei vincitori, so che è la sua perchè fuori vi sono tonellate di mazzi di fiori mandati da qualche ammiratrice di Capitol City. Ma soprattutto so che quella è casa sua perchè nel bel mezzo della porta è attaccato un piccolo tridente color nero opaco. La sua arma.
O morto o assassino.
Il cuore mi martella nel petto, un po’ per la corsa e soprattutto per il nervosismo del momento.
Vorrei tornare a casa mia, ma devo farlo o non riuscirò ad andare avanti, non con questo dubbio.
O morto o assassino. 
Quando lo vedrò capirò cosa provo: se scapperò per la paura avrò scelto “morto”, perchè non riesco a sopportare l’idea che abbia ucciso quelle persone, avrei preferito che se ne fosse andato in quell’arena.
Se invece riuscirò a parlarci senza strillare ogni volta che fa uno scatto improvviso avrò scelto “assassino”, vorrà dire che sono consapevole e accetto ciò che ha fatto.
Ma qualsiasi sia la mia scelta sono sicura che il mio modo di vederlo non tornerà mai come quello di prima, al massimo lo saluterò cortesemente con un bel sorriso quando lo vedrò per il Distretto 4, niente di più niente di meno. Per quanto questo mi distrugga non si può tornare indietro.
O morto o assassino.
Prendo un bel respiro e busso decisa con due colpi alla porta.
Cosa farò quando verrà a vedere chi è, riuscirò a parlargli? Tutta la sicurezza che avevo pochi secondi fa sembra essere svanita nel nulla. Passi , sento dei passi provenienti dalla casa.
O morto o assassino.
O morto o assassino.
La porta si spalanca con un leggero cigolio, la figura che mi si para davanti mi è familiare, mi soprendo di quanto mi possa essere mancata. Non ho il coraggio di alzare lo sguardo, per fortuna è molto più alto di me, i suoi occhi verdemare non incroceranno i miei, non ancora, non lo sopporterei.
C’è silenzio, troppo. Ci si aspetta che sia io a parlare visto che sono venuta a cercarlo, ma non lo faccio, sono completamente paralizzata: la salivazzione assente, il battito inregolare, le braccia rigide lungo i fianchi, gli occhi persi tra le pieghe dello zerbino, sono completamente immobile.
Potrebbe tranquillamente chiudermi la porta in faccia, per un istante desidero che se ne torni in casa sua e che io possa andarmene via da lì.
Perchè sono qui?
—Io non volevo— mi dice in un sussurro.
—Io non volevo farlo— ripete, questa volta con più convinzione, con voce spezzata.
Di impulso alzo lo sguardo, quello che vedo mi colpisce come un pugnale dritto nel petto: il suo viso è spento, i denti stretti in una morsa e gli occhi lucidi, un tempo così solari, esprimono tutto tranne che felicità, leggo in loro rabbia, paura, sofferenza.
Cosa gli è successo? Questo non è il Finnick che ho conosciuto, ne’ prima ne’ durante gli Hunger Games, questo è un Finnick nuovo, un Finnick che non mi aspettavo.
Le sento, lacrime salate che mi solcano le guance, lacrime che arrivano comunque in ritardo. Le mie mani, prima rigide, si adagiano contro il mio viso per fermare in quelche modo la cascata che mi si sta riversando addosso. Tutto quello che provavo prima adesso mi sembra essere così sbagliato, così ingiusto.
Un rumore strano mi esce dalla gola, poi un altro. Troppe lacrime tutte insieme, ma è solo colpa mia, perchè non ho avuto il coraggio di versarle prima.
—Annie che ti succede— strilla allarmato Finnick cercando di rimuovere le mani dal mio viso, ma loro non ne vogliono sapere di staccarsi, io non ne voglio sapere, ho bisogno di smaltire tutti questi sentimenti così affollati nella mia testa.
—Ho fatto qualcosa di sbagliato?— mi chiede Finnick quasi isterico, sta iniziando a preoccuparsi. Ma se qui c’è qualcuno che ha fatto qualcosa di sbagliato quella sono io. Sento il bisogno di recuperare.
—Mi dispiace— biascico in modo quasi incomprensibile
Quelle due parole per me significano molte cose. Mi dispiace che sia stato estratto, che sia dovuto scendere nell’arena, che sia stato costretto ad uccidere. Mi dispiace di aver anche solo pensato che non avrei più potuto neanche guardarlo in faccia. Mi dispiace di aver avuto paura di lui.
Le lacrime stanno rallentando, va meglio adesso.
Quando ho il coraggio di rimuovere le mani Finnick mi sta fissando con un’espressione confusa.
—Ah quindi ti dispiace per avermi ammollato lo zerbino— mi diece con aria divertita —questo mi conforta molto— prosegue lasciandosi sfuggire un leggero sorriso. Me ne concedo uno anche io.
Lui c’è ancora. Il Finnick che ho conosciuto c’è ancora.
Quindi cosa provo io adesso?
O morto o assassino.
Se fosse morto non lo avrei sopportato ed è Capitol City che lo ha costretto ha diventare un assassino.
O morto o assassino.
Nessuna di queste parole mi piace, così ne scelgo un’altra, una che mi soddisfa molto di più: vivo.
Finnick è vivo.
Che ora come ora è l’unica cosa che mi interessa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Grazie ha tutti quelli che mi seguono e mi raccomando, fatemi sapere il vostro parere!
Al prossimo capitolo...
Baci
Light Rain

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Capitolo 10
*** Tutto il mio mondo ***


La casa è grande, luminosa, ben arredata. Un lusso che solo un vincitore si può permettere, un lusso che molto spesso ti costa caro, a Finnick sicuramente è costato più di altri.
—Puoi fare un giro, se vuoi— mi dice Finnick accomodandosi sul divano.
In effetti sono abbastanza curiosa, ma non mi sembra il caso di gironzolare per la sua nuova casa, non saprei che tipo di confidenza abbiamo.
—Non fa niente, grazie— rispondo rimanendo imbambolata nel mezzo dell’atrio.
Nella stanza a destra vedo la cucina con al centro un enorme tavolo di un legno lucente su cui sopra è posato un centrino ricamato che serve da base ad un vaso riempito di fiori coloratissimi. Nella sala alla mia sinistra c’è Finnick stravaccato su un divano color bordeaux intento a fissare le mattonelle del pavimento.
—Ti va qualcosa da bere?— mi chiede alzandozi di scatto.
—No grazie— rispondo in un singolo sussurro, sono visibilmente a disagio, stare qui mi rende nervosa.
—Invece io mi faccio una bella tisana— dice infilando in cucina, dopo qualche secondo fa capolino dalla porta facendomi cenno di raggiungerlo.
Mi siedo a tavola scrocchiandomi nervosamente le dita, Finnick fruga nei numerosi cassetti alla ricerca di un pentolino, uno volta trovato lo mette a riscaldare su un fornello.
—Sicura che non vuoi niente— scuoto il capo —ho praticamente di tutto— prosegue lui —c’è il caffè, la cioccolata, varie tipologie di thè e un sacco di altre bibite, oppure vuoi qualcosa da mangiare?— mi chiede continuando a frugare nei cassetti.
—No, grazie ma non mi va niente— rispondo cercando di sembrare più normale possibile, ma sono rigida come un paletto.
Finnick abbandona la sua ricerca forsennata e si mette a sedere difronte a me poggiando le mani sul tavolo, il suo sguardo si perde per qualche istante tra i petali di una rosa, poi si sposta su di me. è una situazione imbarazzante: teoricamente non so nemmeno se ci possiamo considerare amici, ci siamo parlati  poche volte ma, per quanto brevi, quelle conversazioni hanno portato alla luce molti lati di noi che preferivamo tenere nascosti: il suo disprezzo per la gente che lo considera solo per il suo aspetto e il mio dolore per la perdita di mia madre che, nonostante sia passato circa un anno, è una ferita che non potrà mai essere rimarginata del tutto.
In quelle brevi conversazioni mi era sembrato di capire la persona che mi sta davnti e invece, ancora una volta, questo ragazzo mi spiazza facendomi conoscere nuovi lati di sè.
Finnick ha saputo conquistare una parte di me, ma io non ho fatto assolutamente nulla per far sì che lui si affezionasse a me. Inizio a pensare che il mio pianto di prima possa essere sembrato esagerato ai suoi occhi, bene adesso sono ancora più a disagio di prima.
Si alza all’improvviso e, da sopra il mobile della cucina, afferra un vasetto e me lo poggia davanti.
—Aprilo— mi dice.
Obbedisco senza pensarci troppo, sollevo il piccolo coperchio di porcellana che copre un contenitore abilmente decorato, al suo interno trovo una finissima polvere bianca che lo riempie fino al margine.
—Zucchero?— chiedo esitante, non ne ho mai visto così tanto in tutta la mia vita, nel Distretto 4 lo zucchero è come se non esistesse, cerchiamo di rimpiazzarlo con dei frutti, ma niente è come l’originale.
—Già—  dice emettendo un sospiro che si trasforma ben presto in ghigno —tiri avanti per una vita e loro non ti considerano minimamente, poi ti metti ad uccidere persone per il loro divertimento e ti sommergono di denaro, oggetti di lusso, zucchero— dice fissando il contenitore tra le mie mani —sai c’è anche la versione in zolletta— mi dice divertito— ma mia madre le ha nascoste, teme che le possa finire tutte— conclude lui.
Ed ora, cosa dovrei dire? Dovrei consolarlo in qualche modo?
Io non sono brava con le parole, a quello ci pensa Lian, io sono capace solo a fare discorsi profondi nella mia testa, discorsi che riguardano le mie di preoccupazioni, non quelle degli altri, anche se nell’ultimo periodo i miei pensieri erano tutti concentrati su un unico ragazzo dagli occhi color verde mare. Lo stesso ragazzo che sta tentando di comunicare con me proprio in questo momento, ma non ho la più pallida idea di come poterlo aiutare.
Un suono strano si fa largo per la cucina, sobbalzo per lo spavento, Finnick corre a spengere il fornello perchè l’acqua in ebollizione è straboccata dal pentolino riversandosi sul fuoco provocando uno strano rumore.
Salvata per un pelo, non avrei saputo rispondere a dovere.
Prende uno strofinaccio e inizia a tamponare istericamente il piano cottura cercando, in qualche modo, di rimedire al disastro di prima.
—Non sono ancora molto pratico— sbuffa Finnick senza voltarsi.
—Oh non ti preoccupare— rispondo.
Lui afferra una tazza, ci versa il liquido ancora caldo e si rimette a sedere difronte a me. Soffia sulla bibita fumante per raffreddarla e io me ne sto immobile rigirandomi una mano nell’altra sperando di passare il più inosservata possibile.
—Hai visto i fiori?— mi chiede di getto.
—Sì, sono molto belli— rispondo iniziando a passarmi una rosa tra le dita —sono una magnifica composizione— dico osservando lo stupendo vaso vicino a me.
—Non questi, quelli che stanno fuori— mi dice Finnick sorseggiando la sua tisana.
Annuisco pensierosa, deve riferirsi alle decine di mazzi di fiori che ho visto fuori dalla porta.
—Ne ricevo in media due al giorno, anche se l’affluenza i primi tempi era senza bubbio maggiore— mi dice —è come se la gente di Capitol City volesse continuare a ricordarmi cosa è successo, come se a loro importasse veramente di me— dice in un sorriso —a loro interessa solo il mio aspetto— fa una pausa —non gliene frega un bel niente di come mi sento io, di come si possa sentire un ragazzo di quattordici anni ad avere ucciso sette persone— i suoi occhi si posano su di me— sette persone!— urla coprendosi il viso con le mani.
Ecco il Finnick che mi ha sopreso alla porta, quello che non mi aspettavo, il Finnick con cui io non sono in grado di parlare perchè la sofferenza che prova lui è come se la sentissi anche io e, il massimo che posso fare è starmene in silenzio ad ascoltare i suoi sfoghi, perchè non sono in grado di dargli conforto
—Io li odio tutti quelli di Capitol City!— grida tra le lacrime —tutti— ripete con più calma.
Non posso dargli torto, tutto ciò che dice è giusto, a quelli della capitale interessa solo divertirsi e ha loro non importa se per farlo devono contringere dei ragazzini ad uccidersi a vicenda, per loro sta proprio lì il divertimento.
Gruardo Finnick in preda ai singhiozzi, dei vincitori fanno solo interviste in cui sono felicissimi di aver vinto, non fanno mai vedere cosa succede dopo, quando il rimorso e la disperazione predono il sopravvento.
Invece dovrebbero farlo, dovrebbero far veder a Panem cosa succede a questi poveri ragazzi, forse anche i più affamati di sangue si darebbero una calmata, forse gli Hunger Games smetterebbero per sempre.
Ma cosa sto pensando? I giochi non finiranno mai, il presidente non lo permetterebbe nemmeno tra un milione di anni. Ma forse per quel tempo la gente si sarà data una svegliata e avrà iniziato a combattere sul serio questo abominio.
Ecco, una rivoluzione è quello che ci vorrebbe. Ma chi avrebbe la forza e il coraggio di farvi parte?
Torno sul ragazzo davanti a me, sembra quasi impossibile credere che il tributo che maneggiava un tridente nell’arena sia qui davanti ai miei occhi a disperarsi per averlo fatto. Ma ha dovuto uccidere, altrimenti sarebbe morto lui. Un brivido mi risale lungo la schiena al solo pensiero.
Allungo una mano alla ricerca della sua, la trovo umida posata sulla sua guancia. è la prima volta che tocco Finnick, in effetti è la prima volta che prendo la mano di un ragazzo, escludendo Lian.
I suoi occhi gonfi si posano su di me, io provo in qualche modo a sorridere leggermente, in modo confortante, per fargli capire che io comprendo ciò che prova.
La sua mano si posa sul tavolo stringendo la mia, con l’altra cerca di asciugare le ultime lacrime rimaste.
—Scusa— mi dice con la voce ancora spezzata.
—No, va bene così— dico cercando di trattenere le lacrime che stanno cercando di uscire.
—Fanno tutti schifo!— grida, ma ora nella sua voce non c’è tristezza, c’è rabbia —tutti! anche la gente del distretto— grida lasciando la mia mano —sono tutti ipocriti, non gli importa niente di me!— urla guardandomi dritto negli occhi.
—Finnick questo non è vero— gli rispondo in tono pacato, non lo può pensare davvero.
—Certo, qui nel quattro la gente sincera è inesistente quanto lo zucchero!— mi dice rassegnato.
Devo rimediare, non può pensare questo del nostro Distretto, non può fare di tutta l’erba un fascio.
—Finnick non dire così, può darsi che molta gente non sia sincera, ma ci sono persone buone— dico —anche qui nel quattro c’è dello zucchero— dico indicando il suo contenitore poggiato sul tavolo.
Non sembra affatto convinto.
—Finnick la mia famiglia non ha mai esultato quando uccidevi qualcuno, anzi gli importava di come stavi e l’unico momento in cui li ho visti sorridere è quando hai ricevuto il pane, erano seriamente preoccupati per te— tira su lo sguardo —e lo ero anche io— dico infine.
Lui sorride leggermente —ma questo non ti ha impedito di avere paura di me— mi dice.
Come fa a saperlo? —Chi te lo ha detto?— chiedo confusa.
—Il tuo amico è venuto una settimana fa ad informarmi, mi ha detto che saresti venuta e che io sarei dovuto rimanere ad ascoltare qualsiasi cosa tu volessi dirmi, perchè dovevi capire delle cosa, o qualcosa del genere— sbuffa Finnick.
Come ha potuto Lian farmi una cosa del genere? Adesso mi sento abbastanza stupida.
—Per questo quando ho aperto la porta e ti sei messa a piangere credevo di aver sbagliato qualcosa, non mi andava di peggiorare le cose— dice Finnick —vabbè che non siamo grandi amici, però il fatto che tu avessi paura di me mi faceva sentire ancor più in colpa per quel che ho fatto e poi non mi andava di far soffrire anche te— sospira —Il tuo amico mi ha detto che ci sei rimasta veramente male quando sono stato estratto, è vero?— mi chiede.
Annuisco.
—Perchè non sei venuta a salutarmi?— mi domanda lui con aria curiosa.
—Non credevo di essere una persona che avresti voluto vedere in quel momento— sospiro imbarazzata.
—Oh credimi non ho molte persone che voglio vedere, ora ancor meno di prima— mi dice rasseganto.
—Ma qualcuno ci sarà, qualcuno di cui ti fidi— chiedo, non può essere così solo.
—Bhè c’è mia madre, la mia mentore Mags, forse un paio di amici— sposta lo sguardo su di me — e poi ci sei tu, mi fido abbastanza di te, non mi sopportavi prima e non mi sopporti neanche ora— dice divertito.
—Questo non è vero— rispondo immediatamente, mi sorprendo per come mi possa aver ferito la sua affermazio. Lui si limita a sorridere.
—Se non altro adesso puoi aggiungere un paio di punti alla tua lista— mi dice.
—Che lista?— chiedo confusa.
—Quella sui miei lati positivi, adesso ho successo e una bella casa, oltre hai conigli intendo— risponde lui.
Ora mi rammento, durante la nostra prima conversazione gli dissi che l’unico lato positivo che aveva era che sua madre allevava conigli, alquanto sgarbato da parte mia. Se ne ricorda ancora?
—Rimango dell’idea che i conigli siano la tua qualità migliore— rispondo divertita.
Sorrride anche lui.
Per il resto della mattinata stiamo seduti uno difronte all’altro a parlare, cerchiamo di evitare il più possibile l’argomento “Hunger Games”, l’unica cosa che mi racconta è il bel rapporto che ha instaurato con Mags. Mi dice che senza di lei molto probabilmente non sarebbe riuscito a tornare a casa.
Poi parliamo delle cosa più disparate: di come ho imparato a nuotare e di come lui sia già nato con questa capacità. Gli parlo di mio padre Rick, dei miei zii, di Riza e del mio amico Lian. Finnick mi racconta di sua madre Shirley, della sua incredibile dolcezza e della sua devozione per il lavoro. Prendiamo in giro la vecchia Lizette per come, nonostante la sua veneranda età, ogni volta che vede un gabbiano si mette ad inseguirlo come se avesse cinque anni. Mi ritrovo a parlare di cose senza senso con una persona che conosco da poco, a sorridere per cose assurde accadute a Finnick anni prima e a essere inspiegabilmente felice perchè riconosco nella persona davanti a me il primo Finnick che ho conosciuto.
Dopo due ore che sono lì mi accorgo di essere in ritardo per il pranzo, mio padre oggi tornava prima dal mare.
—Finnick scusa ma devo andare via— gli dico sinceramente dispiaciuta.
—Oh vai pure, tanto tra poco tornerà mia madre— mi dice lui.
Nella sua situazione l’unica cosa da fare è cercare di rimanere soli il meno possibile.
Mi accompagna alla porta, quando sta per rientrare in casa il suo sguardo si sofferma sul piccolo tridente attaccatovi sopra.
—Sai il presidente Snow ha deciso di farmi questo piccolo regalo— dice Finnick passando le dita sulla piccola arma —per ricordarmi ogni singolo giorno cosa è successo— sospira lui.
—Dovresti toglierlo— suggerisco io immediatamente.
—è quello che ho intenzione di fare, me ne ero completamente scordato che era appeso qui fuori— sorride amaramente — sai tra tutti gli incubi di notte e i pensieri che mi perseguitano di giorno, questo diventa il minore dei problemi— mi dice voltandosi.
—Finnick puoi contare su di me se hai bisogno di qualcosa, anche solo per parlare— gli rispondo convinta.
Me ne sono accorta oggi, se Finnick ha qualcuno con cui sfogarsi oppure anche solo per fare due chiacchiere è più tranquillo, riesce a non pensare a tutto ciò che gli è successo.
Annuisce un po’ più sollevato rientrando in casa. Ma se non è con nessuno?
—Finnick i nodi!— gli urlo prima che la porta si chiuda. Lui mi guarda con aria confusa.
—Puoi fare nodi con un pezzo di corda, oppure intrecciare una rete— gli spiego —non impegna molto, ma quando sei da solo distrae abbastanza— concludo io.
Mi gurda con aria sorpresa, stupita.
—Grazie Annie, di tutto— mi dice soltanto.
—Cercherò di venire a trovarti ogni tanto— gli dico in un sussurro. Lui sorride e sparisce dietro la porta della sua casa. Io mi volto veloce per dirigermi verso la mia, consapevole che sarei tornata a trovarlo quello stesso pomeriggio.
 
Giorno dopo giorno imparo a conoscere Finnick, il suo mondo e ha modificare il mio.
Divento per lui la spalla su cui piangere, la persona con cui confidarsi, l’amica con cui ridere.
Lui per me diventa molto di più, diventa tutto il mio mondo, se è possibile.
Tutto ciò che faccio è con Finnick, per Finnick o pensando a lui.
Mi ritrovo a sorridere inaspettatamente vedendo un pezzo di corda e a piangere per lo stesso motivo.
Scopro nuove emozioni, nuovi lati di me, lati che non avrei neanche potuto immaginare.
Ma nonostante tutto mi ci vogliono due anni per ammettere a me stessa si amare Finnick Odair.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sono arrivata al decimo capitolo e vorrei ringraziare tutti coloro che seguono la mia storia, che l’hanno aggiunta tra le preferite, che l’hanno recensita o anche solo letta.
Questa storia significa molto per me e sono felicissima nel sapere che viene apprezzata!
Al prossimo capitolo...
Un grande bacio
Light Rain

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Capitolo 11
*** Certezza ***


Il sole è già alto quando esco di casa.
Mi assicuro di aver preso la borsa con i soldi e mi dirigo velocemente verso il mercato. Oggi è il primo del mese e al Distretto 4 arrivano i rifornimenti, potremo finalmente goderci un po’ di carne di manzo. Io e la mia famiglia siamo stati parsimoniosi e abbiamo risparmiato abbastanza per poterci permettere questa rarità senza troppi sforzi.
Quando arrivo al primo negozietto c’è già abbastanza gente, non mi stupisco. Svicolo velocemente tra una bancarella e l’altra: intravedo Thom, il figlio più giovane del vecchio Mitch, intento a trattare con il fornario, vedo la signora Tingley parlottare con delle sue amiche, mi saluta immediatamente :—Buongiorno Annie.
—Buongiorno Margareth— le rispondo in modo cortese —Carl si è ripreso?— chiedo allegramente.
Carl è suo marito, qualche giorno fa è tornato dal mare affermando, davanti all’intero Distretto, di aver quasi catturato il pesce più grande della storia, purtroppo è riuscito a liberarsi e il pover uomo è tornato a casa a mani vuote visibilmente traumatizzato dall’accaduto.
—Oh, è già in mare che ci riprova— ride lei.
—Pescatori— sorrido scuotendo il capo.
Svolto l’angolo e la mia attenzione ricade per qualche istante sul negozio di artigianato, in particolare su una catenina d’oro a cui è appesa una piccola stella marina color rosso intenso. è molto bella e, ci scommetto, anche molto costosa. Mia madre ne aveva una simile, ma gliela abbiamo lasciata, quando è partita.
Noi lo definiamo così, il viaggio: nel Distretto 4 quando muore qualcuno è usanza costruire una piccola barchetta, deporvi il corpo e lasciarla al largo, cullata dalle onde. Molti preferiscono la crematura, ma comunque le ceneri vengono disperse in mare.
A mia madre piaceva tanto quella collana così l’abbiamo fatta partire con lei, con qualcosa che le ricordasse casa, per non farla sentire sola.
“Dal mare sei venuto e al mare tornerai, sarai sempre il benvenuto, non ti lascerà mai” recita una vecchia filastrocca del nostro Distretto. Non c’è niente di più vero.
—Annie! Annie!— una voce allarmata mi cerca.
Mi volto velocemente per capire a chi appartiene. Una donna mi piomba addosso.
—Grazie al cielo ti ho trovata!— mi dice lei. Nei suoi occhi traspare tutta l’agitazione che ho udito nella sua voce. E nel preciso momento in cui me ne accorgo la stessa ansia travolge anche me. Se la madre di Finnick mi sta cercando con così tanta foga deve essere per un valido motivo.
—Cosa è successo?— chiedo immediatamente, disperata.
Shirley scuote il capo e riprende fiato cercando di formulare una risposta.
—Ieri ha telefonato il presidente Snow in persona— riesce a dire infine —vuole che Finnick faccia il mentore— grida disperata, piangendo.
Ora è come se stessi affogando: sento il sale dentro le narici, i polmoni pieni d’acqua, incapaci di respirare, incapaci di assimilare anche solo una singola molecola di ossigeno.
—Voleva venire da te, ma era già buio, e stanotte— si interrompe —stanotte lui...— ma anche stavolta non riesce a finire la frase. Non ho bisogno di sentirlo dire da lei, so già cosa è successo stanotte. Vedo Finnick, lo vedo urlare contro l’oscurità, singhiozzare tra le coperte paralizzato dalla paura.
Gli incubi lo perseguitano da quando è tornato, ma sono sicura che stanotte sono stati più brutti del solito, mi si blocca il respiro al solo pensiero.
—Non può farlo! Non possono costringerlo!— grido io in preda ad una crisi isterica.
Shirley scuote il capo, rassegnata. Se il presidente ti chiama non è per chiederti il permesso, è per importi un ordine e questo lo sappiamo bene entrambe. E sappiamo benissimo anche cosa questo significhi per Finnick.
—Non lo hai lasciato da solo, vero?— chido allarmata.
—No! Certo che no, ho avuto il coraggio di uscire di casa solo quando è arrivata Mags— mi risponde lei.
Mi sento un po’ più sollevata, è in compagnia di qualcuno che lo può capire.
—Devo vederlo!— dico scattando improvvisamente verso il Villaggio dei Vincitori, Shirley mi segue immediatamente. Siamo appena uscite dal mercato quando lei mi ferma di colpo.
—Annie dovevi comprare qualcosa?— mi chiede fissando la mia borsa.
Giusto, la carne! Mia zia mi ammazza se non riesco a prendere i pezzi migliori. Ma può aspettare.
—Niente di importante— le rispondo sbrigativa.
—Annie vado io a comprare quello che ti serve— io indugio — tu fai così tanto per noi, questo è il minimo che posso fare per sdebitarmi— mi dice convinta.
Non esito un istante nell’abbracciarla, lei ricambia.
—Grazie— le sussurro.
—Grazie a te— mi risponde.
Mi volto, ma la sua voce mi ferma ancora una volta.
—Annie la borsa, e poi cosa devo comprare?— mi fa notare lei.
—Carne, carne di manzo— rispondo porgendogli la borsa con i risparmi—tutta quella che riesci a comprare con i soldi che ci sono qui— le dico.
—Non ti preoccupare ci penso io— mi dice con un sorriso confortante —sù, sù sbrigati, va da lui!— mi incoraggia dandomi una spintarella.
La ringrazio ancora una volta e ci dirigiamo ognuna verso la propria destinazione. Mi volto per guardarla mentre si perde tra la folla: una donna piccola, minuta, non più giovane come un tempo, i capelli bronzei sono stati sostituiti da un groviglio più spento, ingrigito, ma è nei suoi occhi color verde mare che traspare la sua anima. Una delle persone più buone e dolci che io abbia mai conosciuto, esattamente come suo figlio.
Suo figlio che si ritrova ancora una volta ad affrontare gli incubi degli Hunger Games.
Oltrepasso case, su case, ormai fin troppo familiari, quando arrivo davanti a quella di Finnick devo riprendere fiato, perchè l’ansia ha preso il sopravvento.
Busso alla porta una, due, tre volte, impaziente, isterica.
Poi viene ad aprirmi, occhiaie violacee gli circondano gli occhi gonfi, ed io esattamente come quando tornò dagli Hunger Games non posso fare a meno di piangere ma questa volta non esito minimamente nell’andargli incontro.
Le sue braccia mi avvolgono tempestive, affondo il capo nel suo petto.
—Mi dispiace— singhiozzo —mi dispiace tanto— ripeto in modo quasi incomprensibile.
Poggia il suo mento sulla mia testa e inizia a cullarmi, dolcemente.
Perchè, perchè devono fare questo a Finnick? Non ha forse sofferto già abbastanza? Perchè vogliono che veda altre persone morire, che le conosca, che ci si affezioni per poi mandarle al macello, perchè?
Cerco di trattenere i singhiozzi in gola, ma loro escono più rumorosi di prima.
—Shhh Annie. Va tutto bene, sta’ calma— mi sussurra lui dolcemente —sta’ calma— mi ripete continuando a cullarmi. Sentire la sua voce mi tranquillizza e mi riporta al motivo per cui sono venuta qui: per consolarlo, anche se ora la situazione è completamente agli opposti. Cerco di respirare con più calma, di riprendere il controllo delle mie emozioni, ma non è facile, quando si tratta di Finnick niente è mai facile. Dopo qualche secondo sento di essere tornata abbastanza in me, faccio un passo indietro e lui allenta la presa dell’abbraccio.
I miei occhi ancora lucidi tornano ad incrociare i suoi, ormai Finnick non ha più niente del ragazzino che conobbi due anni fa, è un giovane uomo grande e forte, che Capitol City si ostina a trascinare nella sua oscurità.
Ormai Finnick ha sedici anni e a questa età, secondo il governo, si è abbastanza grandi per diventare mentori, noi ce lo aspettavamo, ne eravamo tutti consapevoli, ma nemmeno tra una decina d’anni sarei stata preparata per questo annuncio, non lo si è mai.
—Scusami— farfuglio, ha dovuto consolare me quando invece quello in difficoltà è lui.
—Ormai ci sono abituato— sorride accarezzandomi la guancia per eliminare un’ultima lacrima rimasta.
Mi fa segno di entrare, saluto Mags seduta a tavola intenta a mangiare dei biscotti ricoperti di cioccolato, mi siedo vicino a lei. La guardo, mantre racconta a Finnick la prima volta che salì in barca, come lui rimango affascinata dalle sue parole. Io le sarò sempre grata, per quello che ha fatto, per quello che sta facendo proprio in questo istante, è una donna straordinaria e Finnick riesce ad andare avanti anche grazie a lei.
Io mi sento abbastanza inutile, non è come dice la madre di Finnick: che io ho fatto tanto per loro. Io mi limito a fargli compagnia, ad ascoltare ciò che ha da dire, a piombare a casa sua e a mettermi a piangere sulla soglia della porta.
Non sono utile a Finnick.
Ma lui lo è per me, lo è stato dal primo istante. Ho imparato a sfogarmi, a parlare delle mie emozioni più represse, a farmi più forza sia per me che per lui, a farmi nuovi amici.
Rido al solo ricordo: era passato poco più di un mese dal suo ritorno a casa, e Finnick non ne voleva sapere di uscire un po’ fuori, anche per andare in spiaggia perchè non si fidava di nessuno. Così lo trascinavo per il Distretto e lo costingevo a fare due chiacchiere con gente che non conosceva, con gente di cui io non sapevo neanche il nome, per dimostrargli che anche qui nel 4 c’è dello “zucchero”. E senza neanche accorgermene dopo due settimane conoscevo l’intero Distretto, così anche io ho imparato a farmi dei nuovi amici.
In realtà ho fatto molto di più, ho imparato ad amare.
E questo è solo merito di Finnick.
—Bhè io vado visto che sei in ottima compagnia—  dice Mags riportandomi alla realtà.
Si infila in bocca l’ultimo biscotto, mi stringe leggermente la mano e si alza per abbracciare Finnick; lei gli sussura qualcosa che non riesco a capire, saluta anche me e poi esce di casa.
Così rimaniamo io e lui, nella stessa stanza, soli.
Non penso riuscirò mai ad abituarmi alla sua presenza o almeno senza avere un attacco cardiaco, ormai ci conosciamo entrambi alla perfezione, da quando è tornato non è passato giorno senza che noi ci vedessimo, sappiamo ognuno i segreti e le paure dell’altro. Penso proprio che l’unica cosa che non ho detto a Finnick è cosa provo veramente per lui e non penso lo saprà mai. Ora come ora l’unica cosa che mi interessa è che lui sia felice e io starò accanto a lui fino a quando ne avrà bisogno.
—Che facciamo?— chiedo cercando in qualche modo di sembrare entusiasta.
—Che ne dici del nostro posto— suggerisce lui non con il mio stesso spirito.
—Vada per il bosco senza alberi— dico alzandomi in piedi. Mi ci sono volute ore e ore di opere di convinzione da parte di Finnick per farmi iniziare a chiamere il nostro posto con quel buffo nome, ma non gli potevo dire di no. Lui sorride leggermente udendo il nomignolo di sua invenzione.
Ci muoviamo con particolare attenzione, io posso passare tranquillamente inosservata, ma un vincitore che si inoltra nella palude desta molta curiosità tra la gente del Distretto, è capitato più di una volta che ci seguissero costringendoci ad annullare la nostra piccola gita.
Camminiamo veloci e per fortuna non ci segue nessuno, oltrepassiamo il passaggio senza troppe difficoltà e ci innoltriamo tra gli arbusti raccogliendo, mano a mano che andiamo avanti, un gran numero di bacche. Dopo una lunga passeggiata ci sediamo sotto il nostro solito alberello per rilassarci, non parliamo, ma Finnick si avventa sulle bacche, faccio lo stesso anche io. Queste a venderle rendono ancora molto bene, ma la mia famiglia non ne fa quasi più uso personale, Finnick ci riempie di zucchero mensilmente, è l’unica cosa che gli permetto di fare per me. 
Lui ne ordina in gran quantità da Capitol City, continua a ripetermi che questo è il solo ed unico lato positivo dell’aver vinto gli Hunger Games, per un ragazzo che vive nel Distretto 4 anche vedere una singola zolletta è un miracolo. Ma mi ripete anche che venderebbe senza batter ciglio tutto lo zucchero del mondo pur di poter tornare indietro e cancellare tutto quello che è successo.
—è stato qui— mi dice d’un tratto— che ci siamo incontrati la prima volta— sorride mangiando un’altra bacca.
—Già— rispondo nel modo più insignificante possibile.
Mi capita spesso di ripensare a quel giorno, non sembra vero ma sono passati due anni, allora eravamo due persone normali che si contendevano una manciata di bacche, pronte a far arrestre l’altro in qualsiasi momento, per me lui era semplicemente un ragazzo montato con degli occhi stupendi.
E adesso eccoci qua: lui è conosciuto in tutta Panem, condividiamo quelle stesse bacche, lui mi regala lo zucchero e io mi sono innamorata del ragazzo con gli occhi color verde mare. Mi domando cosa sarebbe successo se quel lontano giorno di due anni fa io non mi fossi dimenticata il sacchetto con le bacche o se fossi stata più attenta senza farmi scoprire da Finnick.
Sarei qui in questo momento? Lui sarebbe qui? Avremmo continuato a vivere le nostre vite l’uno senza conoscere l’altro?
No. Mi convinco che in qualche modo lo avrei incontrato comunque, non riesco ad immaginare il mio mondo senza Finnick.
—Sono cambiate così tante cose— mi dice lui, come se mi avesse letto nel pensiero, ma nel suo tono c’è tristezza, perchè per lui il mondo è cambiato più di quanto abbia fatto il mio e sicuramente non in positivo.
—E tante altre ne cambieranno— dico sorridendo, in modo sincero, perchè sono sicura che finalmente succederà qualcosa di buono nella vita di Finnick, ne sono sicura, ma non abbastanza da pronunciare la vera frase che gli voglio dire: “E tante altre ne cambieranno, ma stavolta in positivo”, perchè per quanto io lo voglia non c’è certezza in questo.
Lui ricambia il sorriso e poi il suo sguardo si perde tra i rami di un arbusto, chissà forse per immaginare lo stesso futuro che io desidero per lui.
Quando il sole è ormai alto decidiamo di tornare indietro, camminiamo lenti, io per ritardare la nostra separazione, forse lui per non dover tornare ad affrontare gli incubi.
—Finnick! Annie!— ci voltiamo contemporaneamente verso chi ci sta chiamando.
Lian ci viene incontro a passo svelto.
—Tieni— mi dice porgendomi la borsa che si porta dietro —ho incontrato Shirley e mi ha detto di portartela— conclude lui.
La apro e al suo interno ci trovo della carne, molta di più di quanto avrei potuto comprare con i miei risparmi, la madre di Finnick ha deciso di farmi questo regalo. Lei non ha idea di quanto io sia debitrice con loro, su tutti i fronti.
—Ah, prima ho incontrato anche tuo padre, ti vuole subito a casa— aggiunge Lian indicandomi il porto, deve essere tornato prima dal mare. Annuisco pensierosa, posso lasciare Finnick solo, dopo la telefonata di ieri?
Lian mi guarda, spero che capisca, spero che sappia e che faccia la cosa giusta.
—Allora che ne dici di una bella chiacchierata tra uomini?— propone il mio amico a Finnick con uno smagliante sorriso. Lui annuisce divertito.
Sembra strano, ma sono diventati ottimi amici: quando Finnick è tornato dagli Hunger Games aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile e Lian, come c’è sempre stato per me, è stato ben disposto a dare una mano anche a lui.
Gli sarò sempre grata per questo.
I due si allontanano allegramente, ma prima di scomparire dalla mia vista Lian si volta verso di me e mi guarda come per dire “Ci penso io”, nello stesso istante si gira anche Finnick che mi sorride nel più rincuorante dei modi.
Decido di tornare a casa passando per la spiaggia, cammino lungo la riva e mi bagno i piedi nell’acqua.
Mi fermo un istante ad osservare il mare del Distretto 4.
Il mare che ci sfama, che ci culla, che non ci abbandona mai, la nostra vera e unica casa.
Sono cambiate molte cose in questi due anni e domani non so cosa succederà, ma lui non se ne è mai andato.
Chiudo gli occhi e inspiro lentamente l’aria salata.
“Dal mare sei venuto e al mare tornerai, sarai sempre il benvenuto, non ti lascerà mai”
Purtoppo questa è la mia unica certezza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Scusate per il ritardo mastodontico!!!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere il vostro parere ;)
Alla prossima...
Light Rain
 

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Capitolo 12
*** Importante ***


—Io ancora non capisco perchè lo stiamo facendo!— squittisce Riza pulendosi energicamente le mani.
—Perchè fare castelli di sabbia è divertente— ride Finnick posando sopra la torre di sua creazione una piccola pietra colorata.
Rido anche io perchè, in effetti, la situazione è abbastanza imbarazzante: ci siamo io, mia cugina, Lian e Finnick accampati sulla spiaggia da circa un’ora a fare castelli di sabbia.
Penso che Riza sia irritata solo perchè manca di creatività, che invece a noi altri non manca affatto: abbiamo il mercato al completo, due castelli compresi di torri e una specie di barca a vela.
—Sù Riza rillassati un po’!— scherza Lian lanciandole addosso un bastoncino di legno trovato sulla spiaggia, lei lo prende al volo e lo lancia divertita di nuovo verso il mio amico, lui non esita un istante a raccoglierne uno più grande e ad inseguirla per tutta la spiaggia sbraitando a destra e a manca.
Sono così buffi, invece Finnick è impegnato a decorare la torre del suo castello, è impressionante la cura che ha per i dettagli, anche io sono concentrata, ma per un’altro motivo: tento in ogni modo di non sporcare il braccialetto intrecciato in cuoio rosso che porto al braccio sinistro, è molto importante perchè è un regalo, un regalo di Finnick.
Due giorni fa io e lui stavamo passeggiando sulla spiaggia, scherzavo sul fatto che Riza sia terrorizzata dalle formiche, ed d’un tratto Finnick mi prende la mano. Io mi blocco di colpo e lui delicatamente mi allaccia questo piccolo bracciale, non gli chiedo spiegazioni perchè lui mi dice immediatamente queste stesse parole :—Per ringraziarti—.
Sono rimasta impalata per il resto del pomeriggio, visibilmente scombussolata dall’accaduto, ora questo regalo è la cosa più preziosa che ho e farò di tutto per mantenerlo intatto.
Riza  che mi viene in contro mi riporta alla realtà: ha il fiatone dovuto alla corsa, si accuccia dietro alla mia schiena per ripararsi da quel teppista di Lian, che non esita un istante a lanciare a me il bastone, io mi scanso e questo va a piombare esattamente sopra la torre abilmente decorata da Finnick.
Segue un lungo momento di silenzio, so quanto sia pericoloso farlo arrabbiare, ma lui sembra stranamente calmo: afferra il bastone e con indifferenza lo getta in mare, poi a grandi passi si dirige verso il castello di Lian e inizia a saltarci sopra riducendo la sua creazione ad un mucchietto indefinito di sabbia.
Finnick ci guarda compiaciuti e torna alla sua postazione per ricostruire la sua torre.
Io scoppio a ridere, un po’ per la faccia indignata di Lian, un po’ per il sorriso trionfante stampato sul viso di Finnick e soprattutto per lo sguardo confuso di Riza che, evidentemente, deve essersi persa qualche passaggio dell’azione. Ma dopo poco iniziano tutti a ridere fragorosamente.
Quando ci siamo calmati un po’ sento Riza staccarsi dalla mia schiena.
—Mi dispiace ma io devo andare in paese, mia madre a bisogno di me al negozio— ci dice mia cugina togliendosi la sabbia dai vestiti. Già ci aveva avvertite prima, mia zia Leslie gestisce un piccolo negozietto di stoffe e spesso ha bisogno di una di noi.
—Non ti preoccupare Riza, ci penso io a preparare la cena quando torno a casa— le dico tranquilla.
—Ok, allora vado— ci dice salutandoci con la mano.
Restiamo ancora un po’ lì, io aiuto Finnick a ricostruire la sua torre e cerco isieme a Lian di rimettere in sesto il suo castello.
—Devo andare anche io— esordisce Finnick d’un tratto —tra pochi giorni iniziano gli Hunger Games ed io non ho la più pallida idea di come far sopravvivere un tributo in mezzo a quel macello— sbuffa lui —quindi vado da Mags per farmi dare qualche dritta— conclude alzandosi.
è assurdo quanto possa essere straziante ogni singola volta che ci penso, ma vedere Finnick così distrutto mi fa spezzare il cuore, come si può essere in grado di affrontare una cosa del genere?
Forse non è poi così tanto assurdo.
—Fin cerca di non pensarci troppo— gli dico istintivamente alzandomi a mia volta.
—Grazie An— mi risponde soltanto voltandosi verso casa sua.
Mi lascio cadere sulla sabbia calda, rassegnata. Finnick avrà mai un attimo di tregua? Quante altre persone deve vedere morire?
In più sono sicura che per ogni ragazzo che non riporterà a casa si sentirà direttamente responsabile, come se non bastassero i ricordi della sua arena.
“Grazie An” mi ha detto. Grazie per cosa, per non essere minimamente in grado di aiutarlo?
“Grazie An” mi soffermo sul mio nomignolo, sento le guance diventare calde ed un leggero sorriso dipingersi sul volto, questo è quello che sono in grado di fare: arrossire per una semplice conversazione.
—Quindi quando hai intenzione di dirglielo?— mi fa sobbalzare Lian.
—Cosa? A chi?— chiedo confusa al mio amico.
—Lo sai benissimo cosa e anche a chi— mi risponde con un sorrisetto.
—No in realtà non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando— dico aggiustando la porta del castello.
Lui sorride semplicemente scuotendo il capo.
L’ha capito, non so casa, ma l’ha capito.
Lian fa sempre così, è in grado di leggermi dentro come nessun’altro sa fare, proprio come adesso, anche se non so minimamente a cosa si stia riferendo, ma se l’ha tirato in ballo deve essere una cosa per forza importante.
—Come è che tu capisci tutto e io non capisco mai niente— sorrido io.
—Io capisco le persone solo perchè presto attenzione— si limita a dire.
—Quindi stai dicendo che non presto attenzione alla gente!— lo riprendo irritata.
—No, diciamo che tu presti  attenzione solo ad un’unica persona— dice sorridendo.
Un’unica persona?
Me stessa no di certo, a capirmi ci pensa lui.
Riza? O no quella è troppo complicata per soffermarsi anche solo ad analizzare una sua singola azione.
Lian? Non credo, anche se...
Poi la mia testa vola sul braccialetto in cuoio che porto al polso.
Finnick? Possibile che io presti attenzione solo a lui? In effetti è molto probabile.
Mi volto verso il mio amico, sta ridendo.
—Insomma quando hai intenzione di dirglielo?— mi riformula la domanda divertito.
L’ha capito, e finalmente ci sono arrivata anche io, ha capito che mi piace Finnick.
—Come diavolo hai fatto...— sbuffo ma lui mi interrompe.
—Te l’ho detto, basta prestare attenzione— sogghigna modellando la torre del castello.
Basta davvero così poco per accorgersene?
—è così palese?— chiedo nel panico.
—Rilassati Annie, penso di essere l’unico a saperlo ed è solo perchè ti conosco meglio di chiunque altro— dice cercando di tranquillizzarmi.
—Quando te ne sei accorto?— chiedo curiosa.
—Sicuramente prima che te ne accorgessi tu— ridacchia lui.
—E come mai questa volta non ti sei immischiato?— chiedo irritata dalla sua precedente risposta.
—Volevo vedere se ci arrivavi da sola e poi io non mi immischio, io ti porto sulla retta via— dice sorridendo.
—Oh scusa— rispondo ancora più infastidita.
Sulla retta via, ripeto tra me e me.
Non ha per niente torto, non mi basterebbero le dita delle mani per elencare tutte le occasioni in cui Lian mi ha aiutata a prendere una decisione giusta: tutte la volte che mi ha convinto a fare nuove amicizie quando ero più piccola, a dissuadermi dalla mia insensata fobia per i granchi, a farmi capire che dovevo vedere Finnick dopo i suoi Hunger Games perchè sarebbe stato uno sbaglio perderlo.
—Quindi a quando la grande dichiarazione?— chiede malizioso.
—Oh Lian non ci provare!— scatto subito io —questa volta è diverso, le cose sono molto più complicate e non mi convincerai con i tuoi lavaggi del cervello— sbuffo facendo crollare il lato destro del castello.
—Non hai intenzione di dirglielo?— chiede questa volta più serio.
—Non molto presto— gli rispondo abbattuta —non molto presto— ripeto.
Passano lunghi momenti di silenzio.
Poi quando ci avviamo verso casa Lian mi dice: —Se hai bisogno di qualcosa sai dove trovarmi— poi mi apre la porta e si dirige in paese.
Armeggio in cucina alla ricerca di qualcosa di commestibile: stamattina mio zio ci ha portato un uccello di palude, inizio a spiumarlo, se preparo questo e dopo aggiungiamo il pesce che porterà mio padre verrà fuori una bella cena. Dopo aver ripulito per bene il volatile mi occupo delle verdure, le taglio finemente e le condisco con abbondanti spezie. Poi qualcuno bussa alla porta, mio padre penso, ma quando vado ad aprirla mi ritrovo davanti Finnick.
—Disturbo?— chiede esitante.
—No, no entra pure— balbetto facendogli strada, anche se ormai sono abituata alle sue visite.
—Che prepari di buono?— chiede sedendosi a tavola.
—Oh niente di che, aspetto il pesce che sarà sicuramente meglio— gli dico mettendo in ordine la cucina che è piena di piume sparse un po’ ovunque.
—Ti posso aiutare?— mi chiede guardandosi intorno.
—Oh non ti preoccupare, ho quasi finito— rispondo.
Deposito gli ultimi scarti in un secchio e mi siedo vicino a lui.
—Mags ti saluta— mi dice in modo distante.
—Quando la vedo ricambierò— gli rispondo.
Non ho intenzione di chiedergli di cosa hanno discusso questo pomeriggio, perchè se ancora non ha tirato lui fuori l’argomento significa che non ne vuole parlare.
—Lo togli mai?— mi chide accarezzandomi il braccialetto. Un brivido mi risale lungo tutto il braccio.
—Mai— sussurro —ma la tentazione è forte— gli dico continuando a fissare le sue dita che giocherellano con il suo regalo, non ho il coraggio di guardarlo negli occhi.
—Perchè?— chiede confuso.
—Perchè ho paura che si possa rovinare, così ogni volta che faccio qualcosa sto sempre molto attenta che non si sciupi— rispondo tutto d’un fiato.
Quando alzo gli occhi scopro che i suoi stanno fissando i miei.
La sua mano lascia il polso e stringe la mia.
Sento il cuore martellarmi nel petto, ma la vista dei suoi occhi verde mare mi tranquillizza, solo un po’.
Lui continua a fissarmi.
“Quando hai intenzione di dirglielo?” le parole mi riecheggiano nel cervello.
Quando ho intenzione di dirglielo? è l’unico pensiero sensato che la mia mente ha la forza di formulare.
Ho appena il tempo di prendere fiato per parlare che lui mi interrompe.
—Hai le letiggini?— mi chiede strizzando gli occhi per guardare con più cura il mio volto che, ci scommetto, sarà di una colorazione rosso intenso.
—Sì, sul nano e sulle guance— inaspettatamente trovo l’aria per rispondere.
—Non le avevo mai viste— dice continuando a fissarle.
—Non si vedono molto— biascico con la bocca impastata.
—No davvero non riesco a capire come posso non averle notate— dice, ma stavolta sembra essere arrabbiato.
—Si vedono appena, non è importante— sussurro con un filo di voce.
—No! Invece è importante— dice lui con voce dura —tu sei importante— ripete con più calma, con voce incredibilmente dolce.
Il cuore riparte a martellarmi nel petto quando sento la sua mano stringere forte la mia, lui sta per dire qualcosa ma si ferma immediatamente quando sente la porta di casa aprirsi.
—Annie sei in casa?— chide mio padre.
Ho bisogno di scuotermi un po’ per tornare in me, per trovare la lucidità necessaria per rispondere.
—Sì, sono in cucina!— grido per farmi sentire.
Ma immediatamente torno su Finnick, i suoi occhi ricadono sul pavimento e sul suo volto si fa largo un piccolo sorriso, mi accarezza il dorso della mano con il pollice e poi si alza abbandonandola sul tavolo.
—è meglio che vada— dice aggiustandosi la camicia.
—S-sì— balbetto poco convinta.
Saluto mio padre e accompagno Finnick fuori dalla porta.
Ci guardiamo per interminabili secondi, in cui vorrei dirgli un sacco di cose, ma non ho la forza necessaria neanche per pronunciare una singola parola.
Lui però non esita un’istante nell’abbracciarmi, senza ulteriori indugi affondo il capo nel suo petto e mi lascio accarezzare i capelli.
—Cerca di non farti estrarre— mi sussurra con voce spezzata.
—Ci proverò— gli rispondo convinta, come se dipendesse da me.
 
 
Per fortuna quest’anno alla mietitura non è stato estratto nessuno di mia conoscenza ed io ho mantenuto la mia promessa. Ora siamo tutti davanti allo schermo in salotto di mia cugina per assistere alla parata dei tributi, come consueto. Siamo tutti un po’ in tensione, io quasi come qualche anno fa, questa volta perchè Finnick sarà mentore.
Sullo schermo compare Claudius Templesmith che nel suo completo porpora ci accoglie con un gran sorriso.
—Buonasera a tutti!— iniza lui.
Prende a descrivere minuziosamente i vari tributi di quest’anno facendo previsioni sul loro abbigliamento.
Nel frattempo Riza mi passa una tazza al cui intermo vi è una tisana calda, l’ideale prima di coricarsi.
—E poi quest’anno, come tutte voi signore avrete notato, ha fatto ritorno a Capitol City lo scapolo più ambito di Panem— la telecamera inquadra Finnick splendido come sempre che chiacchiera allegramente con una donna tutta agghindata —che a quanto pare non sembra più essere tale— sghignazza il conduttore —sappiamo da fonti certe che il vincitore del sessantacinquesimi Hunger Games ha finalmente trovato la sua dolce metà—
La mia tazza si infrange sul pavimento.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sono tornata!
Ringrazio veramente di cuore tutti coloro che mi sostengono :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto
Fatemi sapere cosa ne pensate
Alla prossima
Baci
Light Rain

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Capitolo 13
*** La porta ***


20 I giorni in cui si sono conclusi gli Hunger Games
9 Il Distretto che ha festeggiato il suo vincitore
5 Le donne che Finnick si è rigirato a Capitol City
17 I giorni che sono trascorsi dal suo ritorno a casa
0 Le volte che mi ha voluto vedere
 
Chiudo gli occhi, rilasso il corpo e mi lascio cullare dalle onde.
Quando sto qui sembra quasi che il resto del mondo sia lontano anni luce, sembra che tutte le preoccupazioni non esistano, sembra che non ci siano mai state.
Ed invece sono sempre con me, come una fedele ombra che mi segue per tutta la giornata.
Durante la parata dei tributi, quando hanno detto che quella donna stava con Finnick, ho sentito una stretta al cuore, perchè ero gelosa, terribilmente gelosa.
Cosa credevo, di avre qualche possibilità con lui?
Cioè è praticamente impossibile, lui è Finnick Odair ed io solo una ragazza del suo Distretto.
E poi mi sono resa conto che se Finnick amava quella donna era giusto che stesse con lei, se è davvero questo che lo rende felice.
Dopo qualche giorno ne aveva già una nuova, e dopo un’altra ed un’altra ancora.
Ero confusa, sorpresa, spiazzata ed ancora più gelosa.
Come poteva uscire con quelle donne? Quelle stesse donne che ogni anno attendono impazienti gli Hunger Games, quelle stesse donne che lui diceva di odiare.
Ma forse avere tutte quelle attenzioni attorno lo distraeva dal fatto che i suoi tributi stavano morendo nell’arena.
Se fosse stato così lo avrei capito, lo capisco tuttora.
Così ho deciso di non farmi troppi problemi finchè non fosse tornato a casa, finchè non avrei potuto parlare lui.
Poi quando è rientrato nel Distretto 4 e, per i primi tre giorni, non mi ha voluto vedere ho creduto che volesse stare da solo, per smaltire tutti gli orrori dei trascorsi Hunger Games, o almeno credevo fosse così.
Perchè i giorni  passavano e lui continuava a respingermi, giorno dapo giorno.
E poi ho iniziato a provare una nuova emozione, una emozione che non avevo mai provato nei confronti di Finnick: rabbia.
Ho iniziato ad essere arrabbiata con Finnick, perchè lui continuava ad evitarmi e non capivo il perchè, ma nonostante tutto ogni mattina continuavo a bussare alla sua porta e, tutte le volte, sua madre mi dicieva che oggi non era giornata, che stava bene, ma che non era giornata.
E poi è successo l’impensabile: due giorni fa, come ogni mattina, ho bussato con due colpi decisi alla porta e in quel momento l’ho sentita: la voce di Finnick.
—Mandala via!— ha urlato —non la voglio tra i piedi! Mandala via!—
Shirley mi ha aperto la porta ma io me ne ero già andata via in lacrime.
Oggi sono passati precisamente 17 giorni dal suo ritorno, negli ultimi due non ho neanche provato a cercarlo, mi sono ripromessa che lo rivedò solo quando lui sarà pronto per parlarmi, quando verrà lui a cercarmi.
Ma ho la sensazione che non lo farà.
Immergo la testa sott’acqua, trattengo il fiato, apro gli occhi.
Sto bene qui.
Vorrei poter stare bene anche sulla terra ferma.
Torno su, scorgo una figura sulla spiaggia.
Decido che è ora di tornare a casa.
Nuoto lenta, pigra, contraria a lascire il mare.
Una volta toccata la sabbia mi strizzo i capelli e capisco chi è la figura che avevo scorto poco prima: Thom, il figlio più giovane del vecchio Mitch.
Mi sta ancora fissando, come ha fatto per tutto il tempo che stavo in acqua.
è un bel ragazzo, alto, capelli castani, carnagione dorata, credo abbia la stessa età di Finnick, ma le somiglianze si fermano lì. Perlopiù è un ragazzo scorbutico, riservato e acido, mi ricordo benissimo quando accusò Finnick di essere un mostro, ma è anche grazie a lui che ho preso l’iniziativa di parlargli al suo ritorno degli Hunger Games.
Strano, ma vero.
—Thom— lo saluto con un cenno del capo.
—Annie— ricambia lui.
è suduto sulla spiaggia ad intrecciare reti con lo sguardo perso nel mare del Distretto 4, strano che non sia a pesca.
—Non avevi niente di meglio da fare che guardarmi fare il bagno?— domando curiosa strizzandomi i vestiti fradici
—Non ti stavo guardando— scatta lui —e comunque oggi dovevo stare a casa per badare a mio padre— prosegue tessendo velocemente la rete.
—Non mi sembra che tu gli stia facendo molta compagnia e poi Mitch sa badare più che bene a se stesso— gli dico prendendo a calci un piccolo sasso.
—è malato— dice d’un fiato.
Per un po’ nessuno parla, poi lui riprende la conversazione.
—La cosa sembra essere più grave di quanto credevamo all’inizio, mio fratello è partito per il mare ed io dovevo badare a mio padre finchè non tornava mia madre— prende un bel respiro —appena è rientrata mi sono fiondato qui, sembra essere l’unico posto che mi tranquillizza— conclude dando uno strattone alla corda.
So bene cose intende, io sono qui per lo stesso motivo.
Non è facile accettare che tuo padre potrebbe...
—Vedrai andrà tutto bene— gli dico avvicinandomi di qualche passo.
—Lo spero— sospira lui.
—Salutamelo quando torni a casa— gli dico voltandomi. Lui si limita ad annuire.
—Come sta il tuo amichetto? è da un po’ che non lo vedo in giro— mi dice lui d’un tratto.
So benissimo che per amichetto non intende Lian.
—Penso che avrai più possibilità di vederlo tu di quante ne ho io— gli rispondo con un filo di voce — non so neanche se siamo ancora amici— gli dico.
Mi sorprendo per aver parlato di cose così personali con Thom, questa sarà la prima conversazione sensata che facciamo.
—Meglio per te, amicizie del genere ti portano solo a star male— dice lasciandosi sfuggire un leggero sorriso —non è forse così Annie?— mi chiede.
Deve aver intuito il motivo della mia angoscia.
—Ci si vede in giro Thom— gli dico semplicemente
—Pensaci— mi risponde, ma io sto già correndo via da lì.
Si può sapere cosa gliene frega a lui?
Non sa niente di Finnick.
Non sa niente, anche io sembro non sapere più niente.
Spalanco la porta di casa, Riza sta intagliado del legno.
Io mi fiondo subito sul mobile della cucina, prendo il braccialetto in cuoio rosso e me lo allaccio, non volevo farmi il bagno con questo addosso, avrei rischiato di rovinarlo.
Mia cugina mi guarda per due secondi poi il suo sguardo si posa di nuovo sulla sua creazione.
—Ancora niente?— mi chiede lei. Suppongo si riferisca all’isolamento di Finnick.
—Oggi non sono andata— le rispondo sedendomi pigramente sulla sedia.
—Invece dovresti andare— mi incita mia cugina.
—Per fare cosa? Per vedermi chiudere la porta in faccia?— le dico infuriata.
—No, per fargli capire che ci sei, per fargli capire che non hai rinunciato— mi dice guardandomi negli occhi —sai quante ne ha passate e sai anche che se lui non vuole vedere nessuno questo non significa che non ne abbia bisogno, che non abbia bisogno di te— conclude lei.
Ha ragione, più di quanta ne abbia io, ma non ce la faccio proprio ad affrontarlo, il solo pensiero mi fa spezzare il cuore.
—Sai tu capisci Finnick più di chinque altro, ma certe volte ti sfuggono di vista i dettagli più importanti— sorride —lui tiene a te più di quanto dia a vedere— mi dice mia cugina.
Lui tiene a me come amica.
—Lui tiene alle donne di Capitol City— sbuffo — riguardo a questo qualche illuminazione profetica?— le chiedo.
—Mi dispiace ma per questo non posso difenderlo in nessun modo— mi dice cupa —non lo difendo e non lo perdono, per il semplice fatto che non di cambia partner ogni tre giorni, per non parlare del suo gusto che tende alle donne agghindate di Capitol City assetate di Hunger Games—afferma conficcando il coltello nel quadrato di legno.
—Non lo perdono— ripete lei —ma sono disposta ad ascoltarlo, come dovresti esserlo anche tu— mi dice stringendomi la mano.
—Quindi cosa dovrei fare?— le chiedo.
—Io busserei a quella porta— mi dice sorridendo.
Il pomeriggio passa velocemente, tra intagli di legno e pettegolezzi senza senso, di ritorno dal mare passa anche Lian che ci porta dei frutti di mare, li mangiamo quando sono ancora freschi.
Si sta già facendo buio quando mi decido ad uscire di casa, so già che sarà una cosa veloce: il tempo di andare, bussare alla porta, essere respinta e tornare indietro.
Decido di passare per la spiaggia, il viaggio è decisamente più lungo, ma ne vale senza dubbio la pene.
Scendo a grandi passi fino a raggiungere le onde fredde che mi accarezzano i piedi, cammino per un po’ prendendo a calci un sasso color della pece e poi lo vedo: accovacciato vicino agli scogli, i capelli arruffati e gli occhi persi tra la spuma dell’oceano.
Finnick sembra non avermi visto, così mi dirigo a grandi passi verso il villaggio, lontano dalla riva.
Non sono pronta.
Lo ero a farmi sbattere una porta in faccia, ma non lo sono per vederlo, non sono pronta per vederlo correre via da me, perchè sono abbastanza sicura che è quello che farà quando si accorgerà di me.
Non sono pronta a farmi dire che non conto più niente per lui.
Voglio tornare a casa.
Voglio davvero tornare a casa? Con questa angoscia che mi perseguita ormai da troppo tempo?
Se torno indietro ora non cambierà mai niente, se lo vedo e gli strapperò qualche parola forse sarò finalmente sicura di ciò che gli passa per la testa.
Cammino lenta, timorosa.
Ora inquadro chiaramente la sua schiena ricurva sulle ginocchia, lui non mi può vedere perchè cammino indecisa alle sue spalle.
Quando gli sono a circa un metro trovo sorprendentemente coraggio, mi siedo vicino a lui, Finnick fa un sussulto ma non stacca gli occhi dall’orizzonte.
Mi è mancato, più di quanto potessi pensare, più di quanto avessi il coraggio di ammettere a me stessa perchè attualmente Finnick ha rinunciato alla nostra amicizia e se la fa con ogni donna di Capitol City che gli capiti a tiro.
—Sono passata a trovarti in questi giorni...— inizio ma vengo immediatamente interrotta.
—Non volevo nessuno attorno— mi liquida lui in tono severo.
Mi zittisco immediatamente, come sospettavo lui non mi voleva vedere e sembra che anche ora non ne abbia molta voglia. Ma si può sapere cosa gli ho fatto di male?
—Ti diverti a Capitol City— parlo quasi senza accorgermene.
—Già— mi dice lui semplicemente.
“Già” non è una risposta, non è la risposta che voglio.
—No intendo, ti diverti veramente tanto a Capitol City— dico acida, in tono accusatorio.
—Che problema hai Annie?— mi chiede arrabbiato voltandosi finalmente verso di me.
—Nessuno— gli rispondo in un sussurro non riuscendo a sostenere il suo sguardo.
Mi odia, senza alcun dubbio. Mi odia e non ne capisco il motivo, tra i due dovrei essere io quella infuriata, sono io quella che si è vista sbattere tutti i giorni la porta in faccia, che ha dovuto subire interviste su interviste delle sue numerose amanti affamete di Hunger Games. Io dovrei urlare, non lui.
—Sai Finnick, invece c’è un problema— gli dico finalmente —c’è che tu te la spassi alle feste di Capitol City, vai in giro con quella gente disgustosa e poi quando te ne torni a casa mi tratti come una pezzente— riprendo fiato —che poi quelle persone non ti piacciono nemmeno— grigo gesticolando.
—E questo chi te lo ha detto? Che non mi piacciono— chiede quasi preoccupato con voce dura.
—Tu Finnick! Tu me lo hai detto!— dico disperata, con la voce spezzata.
—Ho cambiato idea— si limita a dire alzando le spalle.
—Come fai ad aver cambiato idea? Quella gente si diverte vedendo dei ragazzi che si uccidono a vicenda, si sono divertiti vedendoti nell’arena, come puoi aver cambiato idea?— grido.
Eppure sembra essere proprio così, l’ho visto mentre brindava davanti ad un banchetto chiacchierando allegramente con gli strateghi, con il presidente Snow, con tutte le sue donne.
—Il successo deve averti dato alla testa— dico in tono severo, adesso è la rabbia a parlare.
—è questo che pensi di me?— chiede voltandosi, con gli occhi lucidi.
—No! Certo che no! è che non so più cosa pensare, mi sembra di non conoscerti più— dico infilandomi le mani tra i capelli, lui non risponde, non ha intenzione di farmi capire.
—Finnick ti prego parlami...— sussurro cercando di mettergli una mano sulla spalla.
Lui si volta di scatto e tira uno schiaffo alla mia mano.
—Non sono affari tuoi!— grida rabbioso in un modo che non avevo mai visto.
—Della mia vita faccio quello che voglio e tu non c’entri niente con me!— continua lui, io mi alzo immediatamente, lui fa lo stesso per continuare la discussione.
—Si può sapere perchè ti interessa tanto Annie?— mi urla in faccia.
—Perchè ti amo stupido!— grido in lacrime.
In questo momento vorrei insultare, prendere a calci il mondo, ma non posso.
Perchè le sue labbra sono premute sulle mie.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Eccomi!
Ho pubblicato prima del previsto ;)
Spero che il capitolo non vi abbia deluso, fatemi sapere che cosa ne pensate
Alla prossima...
Baci
Light Rain

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Capitolo 14
*** Possiamo ***


Mi ci vuole qualche secondo per realizzare che sto baciando Finnick Odair.
è un bacio lento, delicato, dolce. Le sue labbra sono dolci. Dolci e calde.
Come le sue mani che mi accarezzano delicate il viso.
Le posso sentire morbide sulle mie guance.
Posso sentire il suo respiro regolare sulla pelle.
Posso sentire il mio stomaco stretto in una morsa.
è una cosa surreale trovarsi qui, in questo momento, con lui...
Poi si ferma, all’improvviso.
Non faccio in tempo ad aprire gli occhi che i suoi stanno già fissando la sabbia sotto i nostri piedi.
—Io non...— balbetta —io non dovevo— dice voltandosi.
Cosa sta facendo?
—Dove vai?— domando alle sue spalle.
—A casa— mi dice senza guardarmi.
A casa? Dopo quello che è successo? Dopo tutte le domande a cui non ho ancora ricevuto risposta? La confusione dovuta al momento di prima scema veloce, sostituita immediatamente dalla determinazione.
—Cioè tu te la spassi con tutta Capitol City, torni a casa, non mi consideri, mi baci e dopo te ne torni a casa?— urlo incredula.
Lui annuisce senza voltarsi.
—Oh no Odair!— grido —tu mi devi delle spiegazioni!— mi avvicino a lui — e me le devi subito, perchè non hai idea dell’inferno che ho passato in questo ultimo mese!—  mi fermo parandomi davanti a lui.
—è complicato— si limita a dire —è complicato, è pericoloso e farai meglio a dimenticare quello che è successo— mi dice alzando finalmente lo sguardo —io— balbetta —noi— esita qualche secondo —questa cosa ti porterà solo a star male— conclude con voce ferma.
Ma cosa sta dicendo? Quelle parole mi riecheggiano familiari nella testa: vedo il volto divertito di Thom incorniciato dalla sabbia fine del nostro Distretto “Amicizie del genere ti portano solo a star male, non è forse così Annie?” parole che ho già sentito quest’oggi.
—Non ti ci mettere anche tu con questa storia!— grido.
—Chiunque te lo abbia detto ha ragione— dice guardandomi dritta negli occhi —ti prego Annie, torna a casa e dimenticami, per favore— mi implora Finnick.
Come posso dimenticare? Come pensa che io possa?
—No!— gli rispondo secca.
—Annie ti prego— continua lui.
—Non mi importa se è complicato— urlo —non mi importa se è pericoloso o se mi farà stare male, perchè ora come ora l’unica cosa che mi fa soffrire è l’idea di perderti— grido tra le lacrime— quindi no, non posso dimenticarmi di te— concludo asciugandomi le lacrime, ma loro continuano a scendere copiose sulle mie guance.
Le sue braccia mi avvolgono tempestive e, come consueto, iniziano a cullarmi in una danza rilassante.
—Annie non fare così— bisbiglia.
—Allora spiegami— dico tra i singhiozzi —per favore— lo guardo.
Lui mi osserva silenzioso spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
—Ti prego, odio questa sensazione— gli dico —odio non riuscire a capire cosa sta succedendo e, credimi, non mi importa se ti piace la gente di Capitol City, se ti fa star bene io posso capirlo...— ma lui mi interrompe.
—Annie non mi piace quella gente!— grida sciogliendo l’abbraccio —io li odio tutti!— conclude accovacciandosi sulla sabbia.
Io rimango ferma, immobile, confusa.
—Non capisco...— farfuglio io.
—Te l’ho detto, è complicato— ripete più calmo guardando l’orizzonte.
—Se almeno tu provassi a spiegarmi— dico, non ricevo risposta.
—Finnick parlami— chiedo, implorante.
—Io devo farlo e basta— risponde —ed è bene che tu ne resti fuori— conclude.
Lui deve? Deve perchè è un suo bisogno?
—Lo fai perchè vuoi compagnia?— chiedo, non risponde.
—Perchè ti senti solo, è per questo Finnick?— insisto.
—Dannazione Annie! Sono obbligato a farlo!— urla lui.
Obbligato? Da chi?
—Quindi non lo fai di tua spontanea volontà? Non sei tu che vai in cerca di donne a Capito City?— chiedo insistente.
—Certo che no!— urla lui —sono loro— risponde.
Sono loro che cercano Finnick? Come possono averlo? Lo vedo in compagnia di donne sempre diverse, donne che a lui non piacciono, donne che lo amano, che sarebbero disposte a tutto pur di averlo.
Il mio cervello realizza in pochi secondi cosa questo voglia dire.
—Ti comprano— dico con un fil di voce.
Non risponde, ma so di avere ragione.
Lo comprano per farsi vedere in sua compagnia. è solo questo. Vero?
—Cosa devi fare per loro?— chiedo.
Lui continua a fissare l’orizzonte.
—Devi solo farti vedere con loro, vero?— chiedo con voce stridula.
Non risponde.
—Vero?— urlo stavolta. Mi metto davanti a lui e inizio a scrollargli le spalle.
—è solo questo!— grido —giusto Finnick?— strillo nel panico.
Lui solleva il viso, i suoi occhi lucidi risplendono nella luce del tramonto.
—Pacchetto completo— sorride lui, amaramente, la sua sofferenza traspare chiaramente sul suo viso.
Mi alzo lentamente, stordita.
Loro lo comprano e ne fanno ciò che vogliono, tutto ciò che vogliono.
Finnick usato come un oggetto.
Il disgusto mi pervade tutto il corpo, seguito dalla rabbia.
—Loro non possono!— grido —loro, tu— esito qualche istante— tu non puoi permetterlo— dico ancora confusa —tu devi fare qualcosa...— farfuglio.
—Annie non ho scelta!— urla lui.
—Si ha sempre una scelta!— gli rispondo convinta.
—Dannazione Annie! Se non lo faccio ti uccideranno!— grida in lacrime.
Il mondo intorno a me sembra quasi scomparire.
Lui lo fa solo perchè altrimenti mi uccideranno.
Mi accovaccio a terra.
—è colpa mia— farfuglio —se io non ci fossi tu non dovresti farlo—.
è tutta colpa mia.
Sento delle braccia calde avvolgermi.
—Annie non dire stupidaggini— mi sussurra Finnick all’orecchio.
—Ma è vero— gli rispondo sollevando il capo.
Lui scuote la testa.
—Il presidente Snow conosce bene le persone che amo— mi dice calmo asciugandomi la guancia —e sa che l’unico modo per farmi fare delle cose è minacciare la loro incolumità, tu non c’entri assolutamente niente, la colpa è solo sua e di tutta la gente della capitale— conclude accarezzandomi i capelli.
—Questo non cambia il fatto che se io non ci fossi tu non saresti obbligato a farlo— gli rispondo.
—Non ci sei solo tu Annie, c’è mia madre, Mags e i nostri amici— mi dice —apparte penso che gli basterebbe minacciare di uccidere una persona qualunque per costringermi a farmi fare tutto quello che vuole— dice accarezzandomi il dorso della mano —ma non è questo il punto— prosegue lui —tu sei in pericolo per colpa mia ed io non posso accettarlo— conclude giocherellando con le mie dita.
—A me non importa— rispondo immediatamente.
Lui alza lo sguardo.
—La sola cosa che mi interessa è che tu sia felice e farò di tutto perchè questo avvenga— dico decisa.
—L’unico modo per rendermi felice sarebbe metterti al sicuro, togliendoti dalla lista— dice lui —ci ho provato, ad evitarti, ma sai essere molto insistente— sorride leggermente.
—è per questo che non mi volevi vedere?— chiedo.
Lui annuisce —se riesco a convincere il presidente Snow che non tengo più a te non sarai più in pericolo— conclude. 
—E cosa avresti ottenuto, non vedendomi?— domando.
—Che tu saresti stata al sicuro— risponde.
—Vorrai dire che io sarei stata distrutta— dico —come lo sono stata nell’ultimo mese— affermo decisa.
Sta per ribattere, ma non glielo permetto.
—L’unica cosa che mi preoccupa è l’idea di perderti o che tu stia male, non mi preoccupa il fatto di venire uccisa, perchè so che non succederà, perchè ti conosco— gli dico —e so che tu, finchè sarà a rischio anche una singola vita, farai esattamente quello che ti chiedono— riprendo fiato —quindi io, noi— mi correggo —non saremo mai in pericolo.
Lui sembra pensieroso.
—Quindi io ti starò vicino da ora in poi— aggiugo —sempre se tu vorrai— concludo con la voce spezzata.
—Sei una delle persone più testarde che io abbia mai conosciuto— sorride poggiando il mio capo sul suo petto —è una delle ragioni per cui ti amo— sussurra.
Il cuore sembra volermi uscire fuori dal petto.
La mia testa in confusione, analizza per pochi secondi la sua frase, per poi svuotarsi completamente.
Sono felice, ma so che non dovrei esserlo, dopo tutto quello che mi ha detto Finnick.
—Quindi ora tu te ne torni a casa e non mi cercherai più per il resto della tua vita— dice con voce ferma.
—Cosa?— domando incredula staccandomi da lui.
—Hai capito bene, non permetterò che ti facciano del male per colpa mia— mi risponde deciso.
—Forse sei tu che non hai capito, io sono al sicuro, non mi faranno niente, perchè tu non glielo permetterai— rispondo.
—Non glielo permetterò allontanandoti da me— ribatte.
—Non se ne parla, è escluso— grido.
Lui scuote il capo sospirando rumorosamente.
—Credimi non sai quanto mi faccia piacere il tuo altruismo, ma non fa del bene né a te né a me— proseguo —allontanando le persone a cui tieni fai del male anche a te stesso, credi di avere la forza necessaria per affrontare tutto questo da solo, chiuso in casa a guardare fuori dalla finestra?— grido isterica.
—Io voglio solo che tu stia bene— sospira.
—Allora mi farai stare bene permettendomi di darti tutto l’aiuto possibile, non lascierò che ti carichi tutta questa roba sulle spalle— proseguo —quindi farai bene a proppore un’altra opzione, perchè altrimenti mi incavolo sul serio— concludo decisa.
Non posso immaginare Finnick che affronta tutto questo in solitudine, sarebbe troppo per chiunque.
—In realtà ho pensato ad un’altra cosa— dice lui —ma è troppo egoistica, in effetti mi faccio schifo da solo— conclude scuotendo il capo.
—Voglio saperla— scatto io immediatamente.
—Annie è una cosa davvero brutta per te, non riuscirei a tenerti al sicuro, per non parlare di tutte le sofferenze che dovrai passare— sospira guardandomi —ogni secondo in più che ci penso diventa sempre più malsana— scuote leggermente la testa.
Già l’eventualità di non mettermi al sicuro mi piace, questo significherebbe non allontanermi da lui.
—Parlamene— dico con voce ferma
—Annie per favore...— continua lui.
—Tu dimmela, se è così catastrofica sarò io a deciderlo, perchè tu mi sembri abbastanza confuso— dico curiosa.
Lui sorride leggermente e ci pensa a lungo prima di rispondere.
—Avevo pensato ad un noi— dice infine non staccando gli occhi dalla sabbia.
—Un noi?— chiedo confusa.
—Un noi— risponde.
Casa intende? Il significato delle sue parole mi travolgono in un attimo: io e lui...
—Ah, un noi— ripeto con un fil di voce, non ci avevo mai pensato veramente, non credevo che potesse essere realizzabile.
—Ma è un’idea stupida— interviene subito lui —non posso permettere che tu venga coinvolta in questa situazione, non ti permetterò di vedermi uscire di casa per andare da altre donne, sarebbe terribile...—
—Non è un’idea stupida— lo interrompo.
Lui si volta di scatto, non saprei dire se è arrabbiato o sorpreso, però sorride leggermente per poi infilarsi rassegnato le mani tra i capelli.
—Non mi aiuti molto nel mio piano— mi dice.
—Se il tuo piano è costringermi a starti lontano non ho la minima intenzione di farlo— rispondo io.
Mi volto e lo vedo intento a lanciare dei piccoli ciottoli in acqua, pensieroso, perso tra la schiuma bianca del nostro mare.
Lui mi ama, lo ha detto.
Forse me lo sono solo immaginato.
Probabilmente me lo sono solo immaginato.
—è da egoisti— dice d’un tratto —non va bene per te— conclude tirando un’altro sasso.
—Invece la trovo molto altruistica come idea— le parole mi escono fuori in modo naturale —di certo fai un favore anche a me, quindi è una cosa molto generosa— concludo giocherellando con una conghiglia.
—Non dire stupidaggini Annie— mi riprende Finnick.
—è la verità— dico semplicemente.
Non ricevo risposta se non l’infrangersi delle onde sugli scogli.
—Mia madre quando ero piccola mi disse una frase che ricordo alla perfezione anche ora— dico all’improvviso —“Annie se trovi qualcosa di importante, tientelo stretto e non lasciare che nessuno te lo porti via”, forse è per questo che sono così testarda nel non volerti lasciare andare, perchè ho capito che sei troppo importante e perchè so che non vedendomi non otterresti niente— proseguo guardando attentamente la piccola conchiglia —se non il fatto che tu staresti male in solitudine e io piangerei tutto il giorno, non è forse meglio soffrire insieme?— concludo rilassata.
Credo in ciò che ho detto e credo davvero che le cose andrebbero così.
E sono convinta anche del fatto che, nonostante ciò che Finnick deciderà, soffriremo lo stesso entrambi; l’unica cosa da cui non possiamo sfuggire è il destino che il presidente Snow ha già scritto per lui.
E lo odio per questo.
—Quindi ora ti prego di descrivermi dettagliatamente il piano che hai pensato per noi— dico convinta.
Passa un bel po’ di tempo prima che Finnick mi risponda.
—Vivremo nel modo che ci rende più felice— mi dice calmo —faremo finta che non ci siano né ricatti né minacce, faremo finta che Capitol City non esista, ci saremo solo tu ed io— conclude.
Possiamo farlo?
Quando alzo il viso trovo il suo vicinissimo al mio, mi osserva per qualche istante e poi mi bacia, inaspettatamente.
Ma si ritrae quasi subito.
—Scusa, io non...— balbetta distogliendo lo sguardo e premendosi il dorso della mano sulle labbra.
Possiamo davvero vivere in questo modo?
Guardo le sue guance leggermente arrossate, i suoi occhi in cui potrei perdermi per ore, guardo il ragazzo che amo e tutte le preoccupazioni scivolano lontane da me.
Allungo il collo e lo bacio delicata sulla punta del naso.
Possiamo.
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
Eccomi!!! Baco non ti temo *-*
Grazie di cuore a tutti coloro che seguono la mia storia, davvero :)
Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo
Alla prossima...
Tanti baci
Light Rain

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Capitolo 15
*** Brioches ***


—Amore svegliati, è tardi— mi sussurra dolcemente accarezzandomi i capelli.
—Finnick ho sonno, lasciami dormire— biascico io.
—Annie oggi c’è l’allenamento, te lo ricordi?— mi chiede lui con voce calma.
Giusto, l’allenamento.
—Non ho voglia, lasciami dormire— protesto coprendomi la testa con il lenzuolo.
Quando qualcuno viene a svegliarmi di prima mattina c’è da sapere solo una cosa: se potessi me ne starei a letto tutto il giorno.
—Annie...— mi incoraggia Finnick.
Io in risposta mi avvinghio alla coperta e mi rintano al calduccio.
Non posso vederlo ma sono sicura che in questo momento Finnick sta ridendo e, come consueto, mi toglie il lenzuolo lasciandomi tutta infreddolita. Con gli occhi ancora chiusi tento di riprenderlo ma lui mi blocca iniziando a farmi il solletico.
—Finnick smettila!— grido io tra le risate.
Ma lui continua imperterrito ed io sto iniziando a piangere dal ridere.
—Finnick sono sveglia, sono sveglia!— urlo aprendo finalmente gli occhi lucidi.
Lui sorride, le sue mani si fermano e si adagiano delicate sui miei finchi.
—Buongiorno dormigliona— mi dice allegro.
Io mi stiracchio un po’, mi metto a sedere nel letto e poi lo bacio.
—Buongiorno— rispondo sorridendo.
Potrei stare qui a guardarlo per tutto il giorno ma un profumo inebriante mi riporta alla realtà.
—Brioches?— domando eccitata.
—Come sempre— risponde lui compiaciuto.
Tutte le mattine va dal fornaio e mi compra i dolci che io amo alla follia.
—Come stava Simon stamattina?— chiedo per informarmi sul nostro rivenditore autorizzato di brioches.
—Oggi era particolarmente entusiasta— mi risponde Finnick —indossava un’insolita camicia arancione— sorride lui.
Già me lo immagino, il nostro fornaio cosparso di farina girare per il negozio fischiettando con una camicia fosforescente.
—Ti aspetto in cucina— mi dice Finnick baciandomi sulla fronte.
Io sbadigliando mi alzo per andare in bagno.
Mi guado per un attimo allo specchio sorridendo alla vista dei miei capelli arruffati. Prendo un po’ d’acqua e mi lavo il viso.
La mia vita è complicata, più di quanto possa sembrare a prima vista.
Mi chiamo Annie Cresta, ho diciassette anni, adoro dormire e vivo nel Distretto 4 e fin qui niente di strano; mio padre è un pescatore, mia madre è morta, mia cugina è terrorizzata dalle formiche, il mio migliore amico è una specie di veggente, il mio fidanzato si chiama Finnick Odair, ha diciannove anni, ci conosciamo da cinque, stiamo insieme da tre e anche fin qui complessivamente tutto normale, se non fosse che noi viviamo a Panem.
Finnick ha vinto la sessantacinquesima edizione degli Hunger Games, tutta la capitale è ossessionata da lui ed è costretto a vendere il suo corpo altrimeti il presidente Snow ucciderà le persone che ama, compresa me.
La mia vita è complicata, più di quanto possa sembrare a prima vista.
Ma sono felice, ogni tanto.
Stamattina sono felice.
Mi cambio e mi dirigo in cucina dove trovo Finnick intento a lavare i piatti e sul tavolo due brioches fumanti.
Mi avvicino a lui, lo abbraccio da dietro e appoggio la testa sulla sua schiena.
—Stamattina quando sei arrivato c’era ancora mio padre?— domando curiosa.
—Mi ha aperto lui la porta— mi risponde strofinando un piatto con la schiuma.
—Ti ha urlato contro?— chiedo timorosa. A mio padre Finnick non va molto a genio, soprattutto perchè quando accende la televisione lo vede sempre in compagnia di altre donne, quando invece teoricamente sarebbe fidanzato con sua figlia. Naturalmente mio padre non sa come stanno veramnete le cose.
—No— ride lui —ma sono sicuro che volesse farlo— conclude poggiando il piatto pulito.
—Scusalo, lui è fatto così— dico io.
—Non è lui quello che si dovrebbe scusare— mi dice voltandosi, io sono sempre stretta a lui, con le mani ancora bagnate mi abbraccia. Restiamo fermi per qualche secondo poi Finnick mi scrolla un po’ e ci sediamo a fare colazione.
—Pronta per l’allenamento?— domanda lui divertito.
—No— rispondo secca.
Finnick, all’incirca un anno fa, si è accorto della mia totale mancanza di forza fisica e della mia incapacità di maneggiare in modo letale un’arma, o almeno letale verso gli altri, perchè se mi davi un coletello in mano ero solo pericolosa per me stessa. Così il mio caro e dolce Finnick ha deciso di addestrarmi, naturalmente non è molto divertente, ma lo fa per me, o almeno è quello che mi dice lui, nell’eventualità io venissi estratta alla mietitura. Comunque, da quando è iniziato l’addestramento ad ora, non sono cambiate molte cose, forse l’unica cosa che so fare è non essere più pericolosa per me stessa, che per me è già tanto.
Mangiamo le nostre brioches spettegolando sulla gente che c’era dal fornaio stamettina, poi veniamo interrotti da qualcuno che bussa alla porta.
Mi alzo io, dopotutto è casa mia, quando la spalanco trovo il mio amico Lian con un bel sorriso stampato in faccia.
—Pronta per l’allenamento?— chiede divertito.
—No— ruggisco io. Tutti sanno quanto io odi fare questo e tutti si prendono gioco di me.
Lo lascio entrare e si siede vicino a Finnick.
—Brioches!— esclama Lian afferrando il mio ultimo boccone, se lo infila in bocca e ride compiaciuto.
—Dannato, sei venuto per fregarmi la colazione!— grido isterica.
Questo lo fa ridere solamente di più.
Mi calmo solo un po’ quando Finnick mi offre la sua, ne prendo un pezzo e torno a sedere.
—Oggi capo cosa abbiamo in programma?— chiede Lian a Finnick.
Anche il mio amico partecipa agli allenamenti, ma solo perchè altrimenti io mi sarei rifiutata di farli, suppongo che Finnick lo abbia addirittura minacciato.
—Il solito, forze rafforzeremo un po’ il vostro approccio con le armi— risponde lui disinvolto, Lian sorride, a differenza di me il mio amico si diverte molto e non poteva trovare insegnante migliore di Finnick, che è l’unica cosa che mi piace di tutta la faccenda.
Finita la colazione ci dirigiamo a casa di Riza, anche lei è stata costretta ad aggregarsi al gruppo, ma partecipa a modo suo all’addestramento: ha fatto le prime due lezioni e poi si è stancata.
“Basta io non faccio più niente! Tanto non mi estrarrano quindi perchè farlo!” ha urlato tornandosene trionfante a casa, da quel giorno lei sta semplicemente a guardarci. Devo ammettere che l’ottimismo non le manca.
Prendiamo anche lei e poi andiamo al Villaggio dei Vincitori, Finnick si è fatto costruire un magazzino dove tiene delle armi, cosa totalmente illegame, ma c’è gente che a Capitol City gli deve più che un favore, così quando lo ha chisto alle persone giuste non si è lamentato nessuno.
Mi si stringe lo stomaco, perchè so cosa ha dovuto fare Finnick per poter ottenere una cosa simile, lo so e lo detesto.
Entriamo nel magazzino e ci lasciamo il mondo esterno alle spalle, ora non esistono né brioches né il Distretto 4, ci siamo solo noi e un mucchio di armi che non ho la più pallida idea di come usare.
—Annie cosa ti senti di fare oggi?— mi chiede Finnick.
Niente, non mi sento di fare assolutamente niente.
—Coltelli— rispondo svogliata.
Finnick va a prenderne cinque, piccoli, non troppo pesanti, ideali per essere lanciati, l’unica cosa che mi riesce abbastanza.
Scagliare questi affari non richiede molta forza fisica, come per maneggiare una spada o tirare una lancia, questi li tiri e speri di colpire il bersaglio.
Fortunatamente la mira non mi manca, dopo aver passato tutta la vita a catturare pesci la precisione fa parte del mio essere.
Mi posiziono ad una distanza di circa sette mentri da un fantoccio confezionato dalle mani abili di Riza.
Mi passo tra le dita il manico freddo del coltello, prendo un bel respiro e mi concentro sul bersaglio davanti a me ed un’immagine raccapricciante mi passa davanti agli occhi: potrebbe essere una persona.
Finnick mi fa allenare proprio per questa eventualità, per far sì che io sia capace di farlo con una persona, per far sì che io sia capace di...
Digrigno i denti e lancio il coltello con tutta la forza che ho in corpo.
Il rumore acuto della mia arma che si infrange sulle altre posizionate sulla parete mi fa sobbalzare, il manichino non lo ho neanche sfiorato.
Mi giro pronta per rinunciare ma Finnick mi sta fissando con sguardo serio e mi fa cenno col capo che devo riprovare. Quando ci alleniamo lui non è altro che il mio maestro e io la sua alieva, niente di più.
—Forza Annie!— grida allegro Lian applaudendo rumorosamente.
Gli lancio un’occhiata.
Mi dirigo nuovamente alla postazione, muovo un po’ le braccia per rilassare i muscoli, inspiro lentamente e torno a concentrarmi sul bersaglio.
è solo un fantoccio Annie, è solo un fantoccio, rilassati e prendi bene la mira.
Stringo l’arma nella mano destra e senza pensarci due volte la lancio, con suono secco il coltello si conficca nel bel mezzo del petto del manichino seguito immediatamente dagli urletti soddisfatti di Lian alle mie spalle, mi volto e mi lascio sfuggire un piccolo sorriso vedendo quei tre applaudire come deficienti.
Decido che mi allenerò ancora un po’, dopo aver centrato il bersaglio per sei volte consecutive decido che per oggi può bastare, mi siedo difianco a Riza e restiamo a guardare Lian e Finnick che si esercitano con la spada.
La mattinata si conclude velocemente, tra tridenti e tiro con l’arco, ci lasciamo alle spalle il magazzino e ognuno torna a casa propria, io vado da Finnick e pranziamo insieme.
Parliamo della gita in barca che abbiamo in programma per domani mattina, studiamo cosa portarci dietro e cosa preparare da mangiare, poi dopo vari battibecchi arriviamo alla conclusione che decideremo domani sul momento.
Finito di pranzare ci rilassiamo un po’ sul divano, io dormicchio con la testa posata sulla spalla di Finnick, assaporando lentamente il profumo di candele alla vaniglia che si spande per la casa, ne ho accese cinque, anche se a lui danno fastidio, invece su di me hanno un effetto rilassante.
Quando riapro gli occhi fuori è già buio e mi accorgo di aver dormito più del dovuto, Finnick è immobile difianco a me.
—Non ti sei mai mosso?— chiedo con la bocca ancora impastata.
Lui si volta e mi bacia delicato.
—Dormivi così bene— risponde lui calmo.
è strano trovarsi qui, non perchè mi senta a disagio, ma perchè trovo praticamente impossibile che lui possa amarmi, che possa provare le stesse cose che provo io, non che dubiti dei suoi sentimenti, ormai dopo tre anni penso di conoscerli anche troppo bene, è solo che lo trovo una persona così fantastica che mi stupisco che abbia scelto proprio me.
—Cosa pensi?— mi chiede lui curioso.
—Posso farti una domanda?— parlo io improvvisamente.
Lui mi guarda confuso ma acconsente.
—Come ti sei accorto che mi amavi?— chiedo tutto d’un fiato.
—Oh questa è difficcile— risponde lui divertito.
Si prende un attimo per pensare e poi prosegue —vediamo è complicato da spiegare però una cosa è certa, non me lo aspettavo, mi hai completamente spiazzato— dice lui sorridendo.
—Ti ho colto di sorpresa— rido io.
—Oh sì mi hai proprio colto di sorpresa— ripete lui divertito.
Questa cosa mi fa felice, il fatto di aver spiazzato io Finnick per una volta.
—è stato più o meno un anno dopo che ci siamo conosciuti— prosegue lui — dopo il falò sulla spiaggia— me la ricordo quella sera —e quella notte ti ho sognata— mi dice calmo —non era un sogno lungo o particolarmente complesso, c’eri tu sulla spiaggia, correvi, ballavi, piroettavi su te stessa e ridevi, come poche volte ti ho visto fare— mi spiega —e quando mi sono svegliato ero felice, perchè quando tu sei felice lo sono anche io— ride —oh molto di più, io sono felice solo quando anche tu lo sei, allora ho cominciato a ripensare ad alcuni miei comportamenti e quando inizi a notarli non puoi più nasconderli ed è in quel preciso momento che l’ho capito— mi bacia sulla fronte —che ero pazzo di te— sorride lui.
Il cuore sembra volermi uscire dal petto, suppongo non smetterà mai di farmi sempre lo stesso effetto.
—Stupita?— domanda lui.
—Molto— sorrido ancora intontita.
Mi stringe e mi bacia.
—E tu?— mi chiede divertito.
—Io cosa?— sorrido confusa.
—Come ti sei accorta che mi amavi, ti ho colto di sorpresa?— domanda punzecchiandomi sui fianchi.
—O no per niente— rido io.
Lui mi guarda attendendo una spiegazione.
—Diciamo che è stato più un crescendo e quando ne sono stata del tutto sicura me lo aspettavo— dico —quindi no Odair, non mi hai colto di sorpresa— concludo baciandolo sulla punta del naso.
—E quando è che ne sei stata del tutto sicura?— chiede —tre, quattro mesi...— continua lui.
—Due anni— lo interrompo io.
—Due anni?— domanda sbalordito.
Annuisco sorridendo.
—Io ci ho messo un anno e tu due!— sbraita stupefatto.
—Chiedo scusa— rido io.
—Cioè se io fossi stato te ci avrei messo tipo tre giorni ad innamorarmi di me stesso— urla divertito —io sono Finnick Odair porca miseria!— conclude alzando le mani al cielo.
—Sì sarai anche Finnick Odair ma se non venivo io a cercarti col cavolo che venivi tu da me— rispondo di tutto punto contenendo a stento una risata.
—Sono io che ti ho baciato!— grida sorridendo.
—Io ho urlato a squarciagola che ti amavo!— sto per ridere ma lui mi blocca baciandomi, dolcemente, esattamente come la prima volta.
Poi si ferma e mi guarda dritta negli occhi.
—Due anni? Davvero?— chiede sorridendo sulle mie labbra.
Sto per ribattere ma il trillio del telefono interrompe la mia risata.
Il mio cuore si blocca e sento il corpo di Finnick irrigidirsi di fianco al mio.
Il telefono squilla altre due volte prima che lui vada a rispondere.
Alza la cornetta e resta in silenzio ad ascoltare, dall’altra parte una donna squittisce con voce stridula parole che non riesco a comprendere.
Nessuno chiama mai direttamente a casa, tranne loro, lo fanno di continuo, una dopo l’altra, una dopo l’altra...
—Va bene— risponde Finnick in tono piatto. Aggancia la cornetta e resta lì fermo per qualche istante, come fosse paralizzato. Mi alzo per andare da lui, ma scatta immediatamente verso la sua camera da letto, ne esce quasi subito indossando una giacca più pesante.
Ci guardiamo, nessuno ha il coraggio di parlare.
—Niente gita in barca?— domando con la voce spezzata.
—La rimandiamo— risponde fissando il pavimento.
Penso che se non fossi così impegnata a tentare di rimettere insieme i miei pezzi, ora sarei in lacrime.
—Puoi aspettare mia madre per spiegargli...— si interrompe.
Io annuisco.
Si dirige svelto verso la porta, la apre e poi si blocca, si volta e mi viene incontro, mi prende il viso tra le mani e mi bacia.
—Scusami— sussurra.
—Ti amo— dico semplicemente.
—Anche io— risponde premendo la sua fronte sulla mia.
Poi si gira di scatto e si precipita di nuovo verso la porta, esce e scompare nella luce flebile della luna.
Io rimango immobile sulla soglia di casa.
La mia vita è complicata, più di quanto possa sembrare a prima vista.
Ma sono felice, ogni tanto.
 
 



 
 
 
 
 
 
 
 
Scusate per il ritardo, ma la scuola inizia a farsi sentire e il tempo scarseggia...
Spero che questo lunghissimo capitolo vi sia piaciuto ;)
E spero si sia capito che sono passati tre anni da quello precedente, se non si era capito ve lo dico io ora :D
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima...
Baci
Light Rain

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Capitolo 16
*** Elian ***


Tenere la testa occupata.
Non pensarci.
Fare nodi.
Tenere la testa occupata.
Lo spalancarsi della porta del negozio mi fa sobbalzare.
—Buongiorno Margareth, di cosa ha bisogno?— chiedo allegramente alla signora Tingley nascondendo velocemente il pezzo di corda dietro il bancone. Oggi aiuto mia zia Leslie al negozio di stoffe.
—Annie ti ricordi la seta che comprai qualche mese fa?— domanda lei preoccupata.
—Sottile color magenta— propongo io dubbiosa.
Lei annuisce —non è che te ne è rimasta un po’?— chiede guardando negli scaffali alle mie spalle.
—Controllo subito— dico voltandomi.
—Sai me ne basta giusto uno scampolo— aggiunge lei.
Scruto attentamente tutte le stoffe in vendita, ma di quella nemmeno l’ombra.
—Zia?— urlo io.
Lei si affaccia quasi dal retro del negozio.
—Non è che in magazzino è rimasta della seta?— domando.
—No, l’ho ordinata la scorsa settimana e dovrebbe arrivare a giorni— risponde subito lei —sempre che quelli di Capitol City non se la vogliano tenere tutta per se— prosegue mia zia.
—Ci mancherebbe anche— sbuffa Margareth.
Rimango un attimo spiazzata dalla reazione della signora Tingley, per me non sarebbe di certo la fine del mondo, sono ben altre le cose che mi preoccupano. Un brivido mi risale lungo la schiena.
—Annie mi puoi avvertire quando rientra in negozio?— chiede lei.
—Non si preoccupi, ci penso io— le sorrido cortesemente.
Ci saluta e esce in strada, diretta verso il mercato.
Mi lascio cadere sullo sgabello e torno ad afferrare il pezzo di corda che avevo nascosto poco prima, lo osservo per qualche secondo: è consumato alle estremità e nella parte centrale, ma è sempre abbastanza resistente per utilizzarlo ancora un po’.
Me lo passo leggero tra le dita e senza neanche guardarlo mi ritrovo ad intrecciare nodi complicatissimi con una semplicità disarmante, un trucchetto semplice che serve per distrarsi, un trucchetto che ho insegnato anche a Finnick.
Mi blocco di colpo, poi le mie mani tornano a lavorare più frenetiche di prima.
Finnick non c’è oggi, non so neanche quando tornerà.
Ieri è stato chiamato con “urgenza” da una donna della capitale.
è per questo che me ne sto immobile continuado ad ustionarmi le dita con la corda, per cercare di non pensarci, anche se è praticamente impossibile, come ogni volta, ogni stramaledettissima volta.
Dopo tre anni dovrei essere abituata a vedere Finnick, il mio Finnick, uscire di casa per andare da altre donne, donne che pagano per poterlo avere, donne che lo comprano come fosse un semplice scampolo di seta, niente di più.
Poi lo vedo tornare a casa distrutto per quello che ha fatto, distrutto per come io mi possa sentire e tutte le mie sicurezze crollano come un castello di carte, portandosi dietro anche quel briciolo di speranza che mi è rimasta.
Ed io mi ritrovo a pezzi, proprio come in questo momento, pensando solo a come si possa sentire lui, costretto a...
Ma la cosa più devastante è pensare a tutto il raccapricciante meccanismo che c’è dietro: un popolo di ricchi ingenui che si diverte grazie al lusso sfrenato, al macello annuale di ragazzi innocenti e alla bellezza dei pochi sopravvissuti di loro. Un vecchio avido di potere disposto a tutto pur di arricchirsi e pur di portare avanti i suoi macabri giochi per mantenere i consensi; disposto a vendere e a minacciare gli stessi ragazzi che fa vivere da sottomessi e sacrifici umani per mantenere l’autorità dittatoriale, portando loro e le famiglie ad avere come unica ambizione quella di scappare il più lontano possibile dal mondo in cui vivono e di morire nel modo meno straziante possibile.
Un mondo fatto per i privilegiati, un mondo dove io e Finnick non potremo mai essere felici.
Fare nodi.
Scorticarsi fino alle ossa.
Tenere la testa occupata.
Pensare al verde, perchè mi rilassa.
Sono le dieci del mattino quando mi rendo conto che stare lì piantata nel negozio di mia zia non migliorerà la situazione, così decido di andare dall’unica persona che mi sa dare conforto in questi momenti, sperando che non sia in mare.
Busso alla porta con tre colpi leggeri.
—Ciao Annie— mi dice Judianna sorridendo.
—C’è tuo fratello?— chiedo timorosa.
—L’hai beccato appena in tempo— dice lei —Lian c’è Annie!— urla dentro casa.
Sento dei passi veloci e poi il mio migliore amico compare davanti a me.
Mi guarda per qualche istante, il suo sguardo ricade sulla corda che stringo saldamente nel pugno tremolante per poi tornare a me.
—Andiamo— mi dice calmo prendendomi per mano.
—Dove vai?— sento urlare alle nostre spalle. Mi volto e vedo sua madre sulla soglia di casa.
—Faccio in fretta mamma— risponde lui sbuffando.
—Elian mi raccomando, mezz’ora al massimo che poi devi partire— dice lei.
—Non ti preoccupare— conclude lui tornando a camminare lento difianco a me.
Stiamo andando in spiaggia, credo, è lui che mi guida.
—Scusa ma ho poco tempo, mi dispiace— dice in tono preoccupato.
Io mi fermo di colpo, turbata da una parola sentita poco prima.
—Perchè tua madre ti ha chiamato Elian?— domando curiosa.
Lui sorride leggermente.
—Speravo non te ne fossi accorta— prende un bel respiro —perchè è il mio nome— si limita a rispondere alzando le spalle.
—No— obbietto —tu ti chiami Lian— continuo sicura.
—Diminutivo di Elian— prosegue lui.
Possibile? A quanto pare sembra essere così.
Mi ci vuole qualche secondo per assimilare l’informazione, per far capire al mio cervello che il mio migliore amico si chiama in un altro modo.
—Ci conosciamo da dieci anni e non mi hai mai detto il tuo vero nome?— chiedo indignata.
—Non me l’hai mai chiesto— ride.
—Certo che no! Ti sei presentato dicendomi che ti chiamavi Lian, perchè diavolo avrei dovuto pensare che non era così!— urlo isterica.
—Non mi piace il mio nome, è per questo che non l’ho detto a nessuno — mi dice lui.
—Perchè?— chiedo curiosa.
—È strano, nessuno in tutto il Distretto 4 si è mai chiamato così e poi a me non piace— borbotta.
—E come hanno fatto i tuoi ha trovare questo nome?— domando. In effetti non avevo mai sentito un nome del genere nel Distreto, solitamente si tende a dare ai figli i nomi di parenti o di amici conosciuti, io per esempio mi chiamo come la mia bisnonna, ma Elian non mi dice proprio niente.
—Mia madre l’ha sentito in tv quando era piccola— mi dice —da quanto si ricorda era un ricco della capitale, è anche per questo che lo detesto— sbuffa lui —ma a lei piaceva così tanto che ha deciso di chiamare suo figlio così— conclude.
Mi paralizzo un istante ripensando a Capitol City e disgrazie varie ma la voce di Lian mi riporta alla realtà.
—Comunque mi faccio chiamare Lian perchè Elian è un nome ridicolo e strambo, mi vergogno molto a farmi chiamare così— ridacchia lui leggermente imbarazzato.
—Elian Havelock— dico —Elian Havelock— ripeto in tono più alto e mi lascio sfuggire una piccola risata perchè nel complesso, almeno per me, suona molto strano.
—Vedi è per difendermi da persone meschine come te che mi faccio chiamare in un’altro modo— sbraita lui divertito.
Sto per rispondere ma poi mi sorge un dubbio.
—Il mio cervello è andato in pappa perchè non so più come chiamarti!— rido io.
—Possiamo fare finta che tu non abbia mai sentito il mio vero nome?— chiede implorante.
—Ok— acconsento —ma prima di rimuovare dalla mia testa questa conversazione ci tengo a dirti che Elian sarà anche un nome strambo, ma nel Distretto lo hai solo tu e questo ti rende una persona unica e speciale, più di quanto tu non sia già— concludo rilassata.
—Grazie— sorride lui.
Camminiamo silenziosi fino a quando non arriviamo in spiaggia.
Vedo una barca attraccata al porticciolo, non mi ci vuole molto per capire che è quella della famiglia di Lian.
—Devi andare?— domando.
—Mi dispiace— risponde in un sussurro.
—Non ti preoccupare— farfuglio.
Non serve che anche lui stia in pensiero, non serve che sappia.
—Quando è partito?— chiede lui esitante.
Come al solito il mio amico ha già capito tutto.
—Ieri nel tardo pomeriggio— rispondo con la voce spezzata.
—Allora vedrai che per pranzo sarà già tornato a casa— mi dice prendendomi il viso tra le mani —andrà tutto bene— sussurra abbracciandomi.
Restiamo fermi lì per qualche secondo, poi accompagno Lian in porto e lo guardo partire per il mare insieme a suo padre e un’altra manciata di pescatori.
Rassegnata me ne torno in spiaggia e mi accovaccio vicino agli scogli: Riza mi ha sostituita al negozio, mio padre è in barca e Lian pure, casa mia è deserta quindi è di gran lunga meglio stare qui con il mare a farmi compagnia.
Per qualche minuto me ne sto totalmente imbambolata a fissare il volo regolare di un gabbiano poi una voce mi fa sobbalzare.
—Il bellone ti ha lasciata di nuovo sola?— chiede alle mie spalle.
—Mi chiedevo perchè ancora non fosse arrivato l’uccello del malaugurio— sputo acida.
—Lieto di vederti Annie— sorride sedendosi al mio fianco.
—Non posso dire lo stesso io, Thom— sbuffo indignata.
—Il tuo comportamento mi ferisce— ride lui.
Sto per mandarlo a quel paese, ma per quanto mi stia antipatico non si merita un trattamento del genere, anche perchè non lo voglio tra i piedi e litigare mi porterebbe solo a stare peggio di come sto ora.
—Scusami— sussurro.
—Non ti preoccupare— dice lui —quindi c’ho dato sull’abbandono da parte del bellone— prosegue lui.
—Non sono affari tuoi— scatto io.
—Sì— risponde.
—No— urlo secca.
—Se si tratta di te sono sempre affari miei— conclude sorridendo.
La sua risposta mi blocca per qualche istante.
—Non credo proprio— sbuffo io.
—Andiamo Annie non ho forse ragione su Finnick?— chiede.
Ha ragione. Ma nel modo sbagliato, non sono di certo conciata così perchè mi ha abbandonata, ma per quello che è costretto a fare. Ma questo lo sanno in pochi e la gente del Distretto, compreso Thom, navigano con la fantasia descrivendo me come una povera ragazza illusa e sfruttata dal bel vincitore che ama avere molte compagne.
—Thom tu non sai come stanno le cose— dico.
—So che stai male e questo mi basta per essere incavolato e per volere sapere il perchè—conclude deciso.
—Ti prego se vuoi essere arrabbiato con qualcuno non te la prendere con Finnick,  lui non è altro che la vittima in questa situazione— farfuglio.
—Quel tipo può fare quello che vuole, non me ne frega niente di lui— dice Thom —a me interessi tu, di come stai— prosegue.
—Allora puoi anche andartene, perchè io me la cavo benissimo— rispondo irritata.
—Hai ragione— mi dice calmo —te la cavi, tiri avanti, ti accontenti di una vita che non ti darà mai soddisfazioni. Credi davvero che stando con lui potrai essere falice? Che potrai sposarti, avere figli, alzarti la mattina con tuo marito accanto con la sola preoccupazione di preparare un’ottima crostata?— mi chiede preoccupato —andrai avanti con gli anni senza che cambi niente, con lui che farà avanti e indietro da Capitol City e tu che soffrirai in solitudine sperando con tutta te stessa che il giorno dopo vada meglio, cosa che non accadrà. è questo quello che vuoi Annie? Questo ti basta?— urla Thom.
—Certo che no! Come fa a bastarmi!— grido disperata cogliendo la verità nelle sue parole.
—Allora lascialo!— interviele lui.
Questa è la goccia che fa straboccare il vaso.
—Io amo Finnick con tutta me stessa e starò con lui ogni giorno della mia vita finché mi sarà permesso, perché è così che noi affrontiamo le cose, insieme. E non ho la nessunissima intenzione di lasciarlo perché io sono felice quando sto con lui, molto più che con qualsiasi altra persona e non sarà di certo uno stupido come te a mettere in dubbio questo!— urlo isterica — e sappi Thom, che se io mi immagino sposata con figli, al mio fianco c’è Finnick, sempre! Non immagino nessun’altro con me— grido alzandomi.
La rabbia mi ribolle nelle vene e se non fosse per il minimo di contegno che mi è rimasto avrei già gettato quell’imbecille in mare.
—Tu meriti di meglio!— urla lui alle mie spalle.
—Finnick è la cosa migliore che mi potesse capitare— grido camminando svelta.
Poi mi fermo sicura di aver dimenticato qualcosa.
—E Thom non ti azzardare mai più ad intrometterti nella mia vita, perché questi sono affari miei e di Finnick, sicuramente non tuoi!— concludo acida.
In meno di cinque minuti sono già a casa.
Apro la porta lentamente e rimango immobile sulla soglia quando vedo Finnick seduto in cucina: i gomiti posati sul tavolo e le mani premute sugli occhi.
Il cigolio della porta lo fa sobbalzare, alza lo sguardo e mi vede, in qualche modo cerca di ricomporsi.
Mi siedo vicina a lui, calma. Ormai so esattamente cosa fare.
—Lo sapevi che Lian in realtà si chiama Elian?— domando.
Devo distrarlo, devo riportarlo nel nostro mondo e farlo fuggire dal loro. Devo fargli dimenticare, per quanto mi è possibile.
—Io l’ho scoperto oggi, non è un nome buffo?— poseguo. Lui annuisce leggermente.
Mi comporto come faccio sempre dopo che torna a casa, mi comporto come avevamo deciso il giorno che ci siamo messi insieme. Questo lo aiuta a tornare in se, a tornare da me.
—Vuoi una tisana?— chiedo calma.
Viviamo nel modo che ci rende più felici. Facciamo finta che non ci siano né ricatti né minacce, facciamo finta che Capitol City non esista. Ci siamo solo io e lui.
—Sì— sussurra.
Scappiamo dalla realtà fino a quando ci è possibile. Ma non c’è niente di male in questo se la vita che vivi non è degna di essere chiamata tale.
Mi alzo piano per mettere il pentolino sul fuoco e poso sul tavolo il piccolo pezzo di corda che avevo in tasca, Finnick lo afferra lentamente.
Facciamo quelle poche cose che ci sono ancora permesse.
Frugo tra gli scaffali.
Scappare e fare nodi.
Insieme.
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mi scuso per il ritardo, ma pubblicare oggi è stato il massimo che sono riuscita a fare.
Spero che questo sediciesimo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere che ne pensate...
Alla prossima :)
Baci
Light Rain

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Capitolo 17
*** Cado ***


Imbarazzo.
Un’ unica opprimente sensazione che rischia di soffocarmi.
Una quantità spropositata di imbarazzo generata da una situazione generalmete normale.
Tre brioches, un tavolo, tre persone: io, mio padre e Finnick.
E radunare questi tre fattori è molto rischioso per attrettanti semplici motivi:
1. Io potrei non resistere alla tentazione di saltare addosso a Finnick e baciarlo appassionatamente davanti a mio padre. Perché oggi ho un disperato bisogno di affetto fisico.
2. Finnick potrebbe mettersi a piangere da un momento all’altro perché si sente in colpa per cose di cui non si dovrebbe minimemente sentire responsabile. Perché gli occhi minacciosi di suo suocero gli ricordano quello che è costretto a fare.
3. Mio padre potrebbe accoltellare il mio fidanzato proprio per quegli stessi motivi per cui è disperato. Perché lui detesta il mio fidanzato, il mio bellissimo fidanzato, che ho un bisogno disperato di baciare proprio in questo momento.
Imbarazzo. Perché oggi non è una giornata come tutte le altre.
Io guardo le labbra di Finnick.
Mio padre guarda me che guardo Finnick.
Finnick guarda la brioche.
Imbarazzo. Terribile imbarazzo.
—Io vado un po’ al mercato e torno per pranzo— annuncia mio padre alzandosi in piedi.
—Ok— rispondo con un fil di voce.
Prende una giacca, apre la porta ed esce.
Dopo aver tirato un sospiro di sollievo mi volto verso Finnick e cerco la sua mano, la trovo calda posata sul tavolo.
Imbarazzo.
Forse non è quello.
Forse è qualcosaltro mascherato da questa stupida sensazione.
Forse è agitazione, nervosismo, paura.
Perchè oggi non è una giornata come le altre.
Forse io cerco Finnick perchè sono spaventata, perchè ho bisogno di sentirlo vicino.
Forse lui è semplicemente terrorizzato per quello che succederà oggi.
Forse mio padre è in pensiero per me, per noi.
Perché oggi non è una giornata come tutte le altre, oggi c’è la mietitura.
Questo non è imbarazzo, è terrore.
—Novità dal centro di addestramento?— chiedo timorosa.
—No— risponde Finnick scuotendo il capo.
Non ci sono volontari, non quest’anno.
Nelle ultime quattro edizioni dal nostro Distretto abbiamo sempre avuto volontari allenati, pronti per buttarsi nell’arena, ma nessuno è mai tornato a casa, in effetti nessuno a mai avuto una morte decente, visto che sono stati tutti uccisi in modo “disonorevole”. A quanto pare i nostri ragazzi non sono sufficentemente preparati per vincere gli Hunger Games, quindi quest’anno hanno deciso che non ci saranno volontari, si alleneranno duramente per la prossima edizione in modo da essere pronti al combattimento.
L’ultimo ragazzo del Distretto 4 che è tornato a casa è Finnick.
Che ogni anno è costretto a rivivere gli orrori dell’arena e a soddisfare i desideri delle donne di Capitol City.
Durante questa edizione sono cinque, hanno prenotato in largo anicipo per aggiudicarsi il premio più ambito.
Mi costringo a cambiare argomento.
—Usciamo anche noi?— chiedo a Finnick che è ancora intento a studiare la sua colazione.
Ne stacca un morso e poi ci alziamo lenti, sempre stretti saldamente alla mano dell’altro.
Andiamo un po’ in spiaggia, camminiamo silenziosi, lui accenna solo al fatto che oggi il vento sia molto caldo, poi più ninte, se non fosse per la sua mano che mi riporta alla realtà suppongo mi sarei già persa tra le onde del mio adorato Distretto. Quella mano così calda che sa farmi trepidare il cuore nonostante siano passati anni dalla prima volta che la strinsi. Quella mano che non ho la miniama intenzione di lasciare, ma lo faccio, devo: gli stilisti  devono preparare Finnick per le telecamere.
Lo accompagno a casa sua, saluto calorosamente Mags che ci viene incontro, bacio il mio fidanzato e poi decido di andare da Riza; ma non prima di essere stata stretta a Finnick per alemeno due miniti, a dondolarci davanti a casa sua sotto gli sguardi indiscreti dei suoi preparatori che sanno già tutto.
—Andrà tutto bene— mi sussurra tra i capelli.
—Andrà tutto bene— ripeto io.
Mi lascio a malincuore Finnick alle spalle e busso decisa alla porta dei miei zii.
Mi apre Riza che sorridendo leggermente mi fa entrare in casa, seduto al tavolo della cucine trovo anche mio padre che, a quanto pare, non aveva alcuna intenzione di girovagare per il mercato. Mi siedo difianco a lui stirando un piccolo pezzo di corda che mi ha dato Mags poco prima, nessuno parla, il silenzio aleggia solitario nella vecchia casa dei miei zii. Solo quando è il momento di preparare pranzo la cucina si anima un po’: troviamo le pentole, accendiamo i fornelli, sfilettiamo il pesce e sbucciamo le patate. Ho perfino l’occasione di concedermi una piccola risata quando Riza inciampa nei suoi stessi piedi finendo con la faccia spiaccicata sul pavimento.
Poi, però, una volta seduti a tavola la spiacevole sensazione di stamattina torna ad invadermi, con più vigore questa volta, cerco ripetutamente la mano di Finnick senza trovarla, l’unica via di scampo sembra essere quel piccolo pezzo di corda che stringo saldamente nella mano sinistra mentre con la destra mi sforzo di mandar giù qualche boccone di cibo.
Mi ricordo che la mattina della mia prima mietitura, quella in cui fu estratto Finnick, intrecciai abilmente tre reti; ma quell’anno avevo la garanzia che ci sarebbe stata una volontaria, oggi per il nervosismo l’unica cosa che sono in grado di fare è stringere un pezzo sfilaccciato di corda.
Una volta finito il pranzo andiamo veloci a prepararci: io e mia cugina ci infiliamo il vestito delle “feste”, ci sistemiamo un po’ i capelli e siamo pronte per andare in piazza.
Al nostro arrivo la troviamo già ricolma di gente: pacificatori, bambini impauriti, genitori in ansia, scommettitori.
Saluto mio padre, che con piacere abbraccio calorosamente, e i miei zii che mi coccolano come non mai.
Poi afferro la mano di Riza e ci avviamo alla registrazione, ci incodiamo alla lunga fila di ragazzi del nostro Distretto, mi guardo un po’ intorno e intravedo una nuca amica due persone davanti a noi.
—Judianna?— chiamo.
Lei si volta immediatamente e mi rendo conto che la mia intuizione non era sbagliata, mi fa un piccolo sorriso rincuorante e nella mia testa scatta subito un pensiero, un terribile pensiero che ho tentato di scacciare invano per tutta la mattinata.
—Lian dov’è?— chiedo preoccupata.
—Lui è arrivato un po’ prima di me— mi risponde —si è già registrato e penso sia in piazza— conclude lei buttando l’occhio sul gruppo di ragazzi già ammucchiati sotto il palco.
—Tu come va?— le chiedo. Judianna ha quindici anni, non è la sua prima mietitura, ma è comunque la sorella del mio migliore amico, ci tengo a lei e mi sento in dovere di domandarglielo.
—Me la cavo— risponde lei alzando le spalle.
—Tu Annie?— mi domanda a sua volta.
—Me la cavo— sorrido ripetendo le sue stesse parole.
Dopo esserci registrate io e Riza ci dirigiamo in piazza, sempre saldamente attaccate l’una alla mano dell’altra.
Scrutiamo attente la folla nella speranza di incontrare lo sguardo del nostro amico, ma non lo troviamo, in compenso incrocio gli occhi di Thom, lui mi sorride leggermente ed io ricambio il saluto.
Il sindaco ripete il solito discorso come tutti gli anni: di come è nato Panem, dei distretti, della rivolta guidata dal tredici e della caduta di quest’ultimo che ci ha portato esattamente qui, ad aspettare gli Hunger Games.
—è il momento del pentimento ed è il momento del ringraziamento— intona il sindaco.
Così prende a leggere la lunga lista dei vincitori del nostro distretto, uno ad uno sfilano sul palco, ma quasi nessuno si cura molto di loro, stanno tutti aspettando che venga letto l’ultimo nome.
E come  mi aspettavo al solo udire “Finnick Odair” la maggior parte della gente viene colta dall’euforia, alcuni lanciano perfino dei fiori: non solo le donne di Capitol City apprezzano il mio fidanzato, tutta Panem lo apprezza.
Finnick passeggia leggero sul palco nel suo bellissimo completo grigio antracite, allegro saluta la gente del Distretto, poi mi vede, i nostri occhi si incontrano per un momento che mi sembra essere un’eternità, io sorrido.
—Ti amo— gli bisbiglio articolando bene le parole.
Lui afferra il concetto e sorridendo manda un bacio nella mia direzione. Due ragazze davanti a me ridacchiano soddisfatte credendo che sia per loro. Tiro un calcio alla gamba di una, che si gira immediatamente stizzita.
—Scusa— le dico falsamente. Ogni tanto fa bene sfogarsi un po’.
Dopo che Finnick ha finito la sua passerella appare sul palco l’accompagnatrice super eccitata del nostro Distretto: Cloude Derting. Che quest’anno si è lanciata sull’effetto alga di mare, che sembra essere riusctito abbastanza bene perchè il suo abito ricamato alla perfezione appare umido e viscido, l’unica nota più sobria è la parrucca color biondo acceso, non particolarmente vistosa.
—Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!— dice lei in tono acuto, tipico della capitale.
Si prende qualche istante per ammirare la folla e poi con un largo sorriso annuncia —Prima le signore!—
La mia mano viene stritolata da quella di Riza, ma le sono grata, questo mi distrae dal senso di nausea che mi pervade dalla testa ai piedi.
La donna mescola lentamente dentro la boccia per poi tirarne fuori un singolo foglietto.
Ho paura.
A grandi passi torna al centro del palco schiarendosi la voce davanti al microfono.
Il cuore sembra volermi esplodere dentro al petto.
—Annie Cresta— annuncia lei.
Annie Cresta, mi ripeto.
Di istinto mi volto verso mia cugina, lei mi guarda, immobile. Lo fanno tutti.
Annie Cresta. A mia madre piaceva così tanto il mio nome che poteva arrivare a ripeterlo per tutta la giornata, anche a me è sempre piaciuto molto.
Riza lascia la mia mano, ma altre mi afferrano.
Mi muovo, meccanicamente, spinta da braccia sconosciute.
Metto un piede dopo l’altro, uno dopo l’altro, salgo uno scalino, poi due, mi ritrovo ferma davanti alla mia gente senza ricordare come ci sono arrivata.
—Sei pronta per questi Hunger Games cara?— chiede una voce accanto a me.
Annuisco senza capire a pieno le parole, senza staccare gli occhi da un piccolo frammento di piazza direttamente sotto il palco: c’è un fiore, un giglio bianco, calpestato, sfigurato, quasi irriconoscibile.
Cado in un vortice fatto di morte e sangue, morte e sangue...
No! Io non voglio andare! Portatemi a casa! Portatemi a casa!
Urlo istericamente dentro la mia testa. Le palpitazioni hanno preso il sopravvento insieme al panico che divora ogni mio centimetro di pelle.
Non voglio andare! Non voglio andare!
Stringo i pugni conficcando le ungie nel palmo della mano.
Finnick! Dov’è Finnick?
I miei occhi volano veloci da un’estremo all’altro del palco nella speranza di incontrare i suoi.
Dov’è? Dov’è Finnick?
Poi lo vedo, il suo sguardo già rivolto verso di me, respiro lentamente e mi perdo per qualche istante tra le pieghe increspate della sua camicia. Poi i suoi occhi verdemare guizzano lontani da me.
Finnick! Guardami! Finnick!
Cado nel vortice che mi aveva risucchiata pochi istanti prima.
Io non posso andare. Non posso. Io non...
—Elian Havelock— sento.
Un nome strambo, familiare. Un nome che mi riporta indietro a momenti felici, tra la spuma del mio mare e la sabbia leggera del Distretto. Un nome completamente fuori posto.
Mi paralizzo, incapace di muovermi, incapace di realizzare se quello che ho sentito sia una mia illusione o meno. La testa mi sta scoppiando.
Poso lo sguardo nuovamente sul piccolo giglio bianco.
Un nome completamente fuori posto, completamente fuori posto.
Ma l’ultimo pezzo del puzzle va ad unirsi in modo perfetto agli altri quando vedo il mio migliore amico salire sul palco e posizionarsi difianco a me.
Cado di nuovo.
 
 
 
 


 
 
 
 
 







 
 
 
 
 
 
 
Questo diciassettesimo capitolo è arrivato molto in ritardo, perché scriverlo è stata una vera tortura, mi sono decisa ad iniziarlo soltanto stamattina dopo numerose opere di convincimento da parte di me stessa. Ammetto di aver pensato di abbandonare la storia. Cosa che, se state leggendo questo mio sfogo, non è accaduta.
Detto questo ci terrei veramente tanto a spiegare a voi, miei lettori, il motivo per cui la mia creazione ha preso questa piega.
Quando nella mia testa si è fatta strada “Annie”, lei era già tutta scritta, dalla prima all’ultima parola; e una cosa per me era assolutamente fondamentale da trascrivere per il suo riuscimento:
Ho deciso di mantenere fede a ogni cosa che noi sappiamo già sui protagonisti grazie ai fantastici libri della Collins. Quindi se proprio Annie doveva impazzire vedendo decapitare il suo compagno di distretto, lui non poteva essere un tributo qualunque. Doveva essere un amico fidato, a cui lei voleva bene, per lasciarle una cicatrice tanto profonda. Così è nato Lian, sin dal primo capitolo io sapevo già quale sarebbe stato il suo destino: una semplice pedina mandata al macello nei miei giochi. Ma poi è successo qualcosa di inaspettato: Lian riga dopo riga, prendeva vita, entrava nella storia, ne diventava una parte fondamentale, fondamentale per Annie. Tanto che, posso dire serenamente, Annie, la mia Annie, non sarebbe qui senza di lui.
E questo rende più sensata questa mia macabra idea.
Credetemi io per prima amo alla follia questo personaggio e so anche quanto voi lo appreziate, ma se avessi cambiato i miei piani solo per puro affetto, la mia storia non sarebbe stata più la stessa. Penso che se avessi dato ascolto alla mia vocina interiore sostituendo Lian con un altro, avrei smesso di scrivere la storia, perché non più coerente con la mia idea.
Detto questo ringrazio tutti per l’infinito sostegno che mi date.
Spero che, nonostante tutto, il capitolo vi sia piaciuto. Saluto la mia fedele compare BeeMe, che aveva già intuito tutto e mi scuso per averglielo dovuto tenere nascosto.
Alla prossima.
Baci
Light Rain 

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Capitolo 18
*** Sassi color della pece ***


Il cielo era grigio quel giorno, coperto da uno spesso strato di nuvole cariche d’acqua.
Ma non pioveva, anche se il venticello umido che soffiava mi inzuppava quasi come ci fosse stato un temporale.
Quanto tempo è passato? Dieci, undici anni?
Non ricordo con esattezza, ma nella mia mente è impresso in modo permanente ogni fotogramma di quella giornata così lontana.
Camminavo lenta, sulla spiaggia del mio Distretto, saltellavo di qua e di là raccogliendo dei sassi neri.
Stavo costruendo una specie di piramide ed avevo deciso che sarebbe stata composta solo ed esclusivamente da pietre molto scure; quando ne avevo raccolte abbastanza tornavo alla mia postazione e le aggiungevo alle altre.
Quel giorno non c’era scuola, mio padre era in mare, mia madre lavorava al negozio di stoffe insieme a mia zia, Riza era a casa con l’influenza e suo padre si prendeva cura di lei. Io non avevo voglia di starmene tappata in casa, così mi ero precipitata in spiaggia, l’unico posto in cui mi sento veramente bene.
Stavo giocherellando con le mie pietre organizzandole per grandezza quando dei passi alle mie spalle mi fecero sobbalzare, mi voltai e a qualche metro da me c’era un bambino che mi fissava. Io non lo conoscevo.
—Ciao— mi disse lui.
—Ciao— risposi esitante. Non mi piaceva avere gente nuova attorno, soprattutto se invadevano il mio spazio ed era proprio quello che stava facendo lui, perché a piccoli passi si stava avvicinando a me.
Non lo guardavo, non ne avevo il coraggio, ai miei occhi da bambina lui appariva come un estraneo da evitare, così me ne stavo ferma ad armeggiare con le mie pietre.
Poi svariati minuti dopo mi sentii picchiettare sulla spalla, mi voltai timorosa e trovai il bambino ancora più vicino a me che mi tendeva la mano, lentamente la aprì e mi mostrò il suo palmo ricolmo di piccoli sassi neri.
Alzai il capo indecisa.
—Posso giocare con te?— chiese con la voce traballante.
Lo guardai con più attenzione: capelli color nocciola che circondavano un piccolo viso paffuto, occhi scuri che mi sembrò mi scrutassero l’anima, un sorriso meraviglioso e rassicurante.
Oh sì, il sorriso è sempre stato il suo punto forte.
Annuii senza dire una parola, in un modo ancora a me sconosciuto era riuscito a convincermi.
Lui entusiasta si mise subito a scandagliare ogni centimetro di spiaggia per trovare dei sassi colore della pece, correva avanti e indietro in preda ad una strana euforia.
Poi, quando ne aveva le mani piene, mi portava le pietre e mi concedeva un gran sorriso per poi ritornare in tutta fretta sulla riva.
Dopo un po’, quando davanti a me vi era una distesa di sassi neri, decisi che non era così male e mi convinsi a parlare.
—Io mi chiamo Annie— farfugliai imbarazzata.
—Io sono Lian— rispose immediatamente sorridendomi.
 
Mi rannicchio sulla poltrona di velluto rosso del palazzo di giustizia.
Non credo di esserci mai stata, vorrei non esserci neanche ora.
Lo scricchiolio della porta mi fa sobbalzare, il cuore martella nel petto e la vista di mio padre con gli occhi lucidi non migliora la situazione.
Mi alzo immediatamente e corro ad abbracciarlo, restiamo lì fermi, a dondolarci uno tra le braccia dell’altro. è tanto tempo che non succedeva, troppo. E non posso fare a meno di provare un pizzico di felicità, perché quel contatto a me così caro, mi è mancato. Più di quanto abbia dato a vedere.
Poi succede l’imprevedibile: mio padre si stacca da me, prende delicato il mio volto tra le mani e, con voce spezzata, inizia a parlare.
—Vedrai, Finnick ti riporterà a casa— inizia lui —è un bravo ragazzo infondo e ci tiene a te. So che farà di tutto per riportarti a casa, quindi andrà tutto bene— mi dice —andrà tutto bene— balbetta abbracciandomi di nuovo.
—Andrà tutto bene— ripeto affondando il capo sul suo petto.
L’ho detto, più per convincermi che per altro.
Può davvero andare tutto bene?
Io non sono pronta per questo, io non...
Si spalanca nuovamente la porta, io mi aggrappo con forza a mio padre ma due pacificatori lo trascinano via da me.
—Ti voglio bene!— mi dice poco prima che la porta si chiuda.
—Anche io!— grido tra i singhiozzi ma ormai me lo hanno già portato via.
Mi strofino istericamente le guance con il dorso della mano con la speranza di scacciare via tutte le lacrime, poi torno rassegnata sulla poltrona.
In questo momento vorrei poter galleggiare sul pelo dell’acqua, vorrei poter chiudere gli occhi, svuotare la mente e lasciarmi trasportare dalla corrente, lasciarmi trasportare lontano dal polveroso palazzo di giustizia, lontano dalla poltrona pungente di velluto rosso, lontano, non mi importa dove.
Lontano e basta.
La porta si apre in uno stridio agghiacciante.
Non sono preparata per la persona che mi si para davanti. Non me lo aspettavo, non è nella lista delle persone a me più care, in effetti è nella lista delle persone che preferisco evitare.
Ma tutto questo passa in secondo piano ora, non mi importa dei nostri bruschi precedenti, non mi importa di niente in questo momento.
Se non di riuscire ad aggrapparmi ad un’ancora, perchè è come se stessi inesorabilmente sprofondando in un vortice oscuro ed ho bisogno di un appiglio per ritornare un po’ in me.
E quando mi alzo per andare ad abbracciarlo, Thom è pronto ad accogliermi, mi stringe forte e mi accarezza delicatamente la nuca mentre io singhiozzo spiegazzando la sua camicia.
Io non voglio andare, non voglio partire perché so già che non ho speranze di tornare a casa, io non...
—Sai circa un anno fa ero in mare con mio fratello— inizia d’un tratto Thom con voce dolce —era una giornata come tutte le altre, la pesca non rendeva molto bene, tiravamo su le reti e le trovavamo quasi sempre completamente vuote— prosegue continuando a cullarmi delicatamente —così, annoiato, mi ero appollaiato sul lato destro della barca, giocherellavo con una vecchia rete e guardavo le piccole onde che si infrangevano sull’imbarcazione ed è allora che l’ho  vista— si ferma per qualche secondo —una sirena— afferma convinto.
Tiro su leggermente la testa, sbucando dalla camicia umida di Thom.
—è vero— ridacchia lui —è inutile che mi guardi così— dice con voce ferma sorridendomi.
I singhiozzi iniziano a farsi più radi e il respiro meno affannoso.
—L’ho vista per un attimo ma giuro che era una sirena— continua lui deciso —aveva lunghi capelli dorati, la pelle squamosa ed una lunga...—
—Tu ti immagini le cose Thom— lo interrompo bruscamente sciogliendo l’abbraccio.
—Stai forse insinuando che sono un bugiardo— obbietta lui.
—No sto insinuando che ti immagini le cose e che probabilmente hai visto un tonno e lo hai scambiato per una sirena— proseguo asciugandomi le guance.
Sta per ribattere ma la porta si spalanca di colpo, lui mi guarda nel panico mentre un pacificatore lo trascina fuori.
—Ci vediamo quando torni a casa!— mi dice prima di sparire.
Annuisco, anche se ormai sola.
Quando torno a casa?
C’è speranza per me di tornare? In mezzo a tutti gli altri ragazzi, in un mondo che non mi appartiene, insieme a...
—Lasciatemi passare!— sento gridare fuori dalla stanza —lasciatemi passare!— ripete ma questa volta la porta si apre e riesco a vedere a chi appartiene.
—Annie!— urla Riza correndomi incontro.
E mentre mi tuffo tra le sue braccia tutte le orribili sensazioni che mi era sembrato di dimenticare poco prima tornano ad emergere con vigore, dilaniandomi in petto.
—Annie come ti senti?— chiede mia cugina.
—Non bene— rispondo con la bocca impastata.
—Annie non ti preoccupare si sistemerà tutto— dice un’altra voce.
Mi stacco da Riza per incrociare gli occhi di mia zia, le vado incontro per abbracciarla.
—Tuo zio ti vuole far sapere che ti vuole bene— dice stringendomi forte.
—è con mio padre, vero?— chiedo preoccupata.
—Non se la sentiva di lasciarlo— mi dice lei.
Sono un po’ più rassicurata, non è da solo, e non lo sarà neanche dopo.
—Noi tutti ti vogliamo bene e crediamo in te— aggiunge Riza.
—Lo so, ma...— balbetto io.
—Ma niente, Annie tu tornerai a casa e si sistemerà tutto— mi interrompe mia cugina.
Mi volto per guardarla, Riza ha sempre avuto un gran carattere, e sentirle pronunciare queste parole mi da un po’ di forza, ma nel mio animo questa battaglia la vince la paura.
Perché è impossibile che si possa sistemare tutto.
—Judianna ti voleva salutare ma...— prosegue mia cugina.
—Judianna— sussurro io. La ragazzina che mi fa sempre sorridere, la sorella di...
Alzo lo sguardo, gli occhi di mia cugina sono rossi e lucidi, sembra che stia per crollare da un momento all’altro.
—Come sta lui?— azzardo io. Sono sicura che lei ha avuto modo di vederlo.
Ed è in quel momento che Riza esplode, iniziando a piangere rumorosamente.
—Perché Annie? Perché deve succedere tutto questo!— grida lei tra i singhiozzi.
Non lo so, vorrei risponderle, ma ho perso l’uso della parola.
In effetti ho perso molto più della parola, ho perso la capacità di ragionare, di formulare un pensiero che sia più di un monosillabo.
Forse non sono io che non ne sono più capace, forse è che mi rifiuto proprio di pensare, perché tutto quello che mi frulla in testa non è confortevole, è distruttivo, macabro, semplicemente orribile.
—Annie ti vogliamo bene— sento dire da mia zia.
La porta si è già nuovamente spalancata e stanno portando Riza e sua madre fuori.
—Andrà tutto bene— urla lei scomparendo dietro la porta.
Ora quelle parole mi appaiono chiare, mi attraversano l’anima in meno di un secondo.
Ed è in quel preciso istante, sola con me stessa, che il mio cervello torna a funzionare, non so se sia un bene o un male.
—Andrà tutto bene— ripeto in un sussurro.
E questa volta sono profondamente convinta che sia la più grande cazzata che abbia mai sentito.
Non puà andare tutto bene, non può andare neanche minimamente bene.
Perchè io andrò agli Hunger Games, in un’arena piena di gente pronta ad uccidermi a sangue freddo, in un’arena dove solo uno torna a casa.
Ma noi siamo in due.
è questo il punto che cerco di evitare da quando sono entrata qui, è questo il punto che mi sta letteralmente mandando fuori di testa: Lian, il mio migliore amico entrerà in quell’arena insieme a me.
Nel migliore dei casi uno muore e l’altro torna a casa.
Il mio peggior incubo non è neanche minimamente comparabile con questo.
Quindi come può andare tutto bene?
Nel migliore dei casi uno muore e l’altro torna casa.
Dopo aver preso coscienza di questo la mia testa si svuota di nuovo, mi ritrovo alla stazione davanti ai fotografi senza ricordare come ci sono arrivata, esattamente come è successo alla mietitura.
Incrocio per un istante gli occhi di Lian, sposto immediatamente lo sguardo, non è questo il posto adatto per parlare, davanti alle telecamere, questo è il posto per sorridere e farsi vedere forti e determinati agli occhi di Panem, ed è quello che faccio io, per quanto mi è possibile.
Quante cose vorrei dire a Lian, ma tutte mi sembrano allo stesso tempo sia giuste sia sbagliate.
Perché solo uno torna a casa. Solo uno. Ma noi siamo in due.
Come posso mettere la mia vita davanti alla sua? Come posso scegliere tra me e lui? Come posso voler vincere sapendo che Lian...
Ed infatti non posso.
E questa consapevolezza mi fa affondare di nuovo nel mio vortice di disperazione.
—Sù, sù salite che è tardi— squittisce Cloude spingendomi sul treno.
Non ho neanche il tempo di guardarmi un po’ attorno che ci stiamo già muovendo, la velocità mi toglie il fiato.
—Dov’è?— sento gridare d’un tratto —dov’è lei?— prosegue con più disperazione.
Non finisco neanche di pronunciare il suo nome che Finnick mi sta già abbracciando.
Quanto mi è mancato. Poter sentire il suo calore, il suo profumo, le sue mani sul mio corpo, poter sentire che lui c’è, che lui è qui e lo sarà fino alla fine e questo mi conforta un po’.
—Annie...— inizia lui, ma si ferma quasi subito.
—Ti prego non dire niente— farfuglio.
Perché non ho voglia di sentire altre cazzate del genere che “andrà tutto bene”, perché non c’è niente che possa andare per il verso giusto, niente. E questo Finnick lo sa.
—Ti amo— sussurra dolcemente.
Questo sì, questo mi va di sentirlo.
—Anche io— rispondo con la voce traballante.
Restiamo ancora lì per un po’, a dondolarci respirando uno il profumo dell’altro, ce ne freghiamo della voce squillante di Cloud che ci incita a staccarci, ce ne freghiamo che questo treno ci sta portando nel luogo più detestabile di tutta Panem, ce ne freghiamo semplicemente del mondo intero, perché adesso ci siamo solo io e lui, indivisibili.
E questo mi basta per essere felice ora, Finnick è tutto ciò che mi serve.
Allentiamo l’abbraccio e finalmente ci possiamo vedere negli occhi.
Quanto è bello. Me ne sorprendo tutte le volte
Mi metto in punta di piedi in cerca delle sue labbra, ci incontriamo immediatamente in un bacio che non ha niente di casto, non mi trattengo, non ho la minima intenzione di farlo, anche Finnick sembra pensarla come me.
—O mio dio! Cosa state facendo!— strilla Cloud in preda ad una crisi isterica.
Non la ascoltiamo, perché dovremo? Probabilmente tra due settimane sarò morta.
—Insomma smettetela voi due!— continua lei.
Le mani di Finnick si spostano sui miei fianchi mentre io gli accarezzo la nuca giocherellando con una ciocca dei suoi capelli color del bronzo. Le nostre labbra si muovono sempre più frenetiche, mosse da una irrefrenabile passione arrivata, piacevolmente, nel giorno più brutto della mia vita.
Ma come ho detto prima, ce ne freghiamo.
Andiamo a sbattere contro un muro e lì restiamo, fino a quando Finnick si stacca da me dopo l’ennesimo urletto contradditorio della nostra accompagnatrice.
—Per la miseria Cluod stai zitta!— urla Finnick.
Lei sembra arrabbiarsi ancora di più e dopo averci fulminato con lo sguardo si sposta in un altro vagone.
Dopo di che lui torna su di me, mi guarda con i suoi magnifici occhi color verde mare e mi bacia, dolcemente.
Poi sprofondo dinuovo tra le sue braccia finché non mi sento sufficentemente pronta per affrontare il mondo reale, quello dove io e Finnick non possiamo essere felici.
Afferro la sua mano e ci dirigiamo lenti nell’altro vagone, dove, si sono spostati tutti gli altri.
Cloud ci lancia una occhiata per poi tornare ad incipriarsi il naso, noi la ignoriamo.
Poi una figura si alza e si dirige verso di noi: Lian mi fissa senza parlare, neanche io lo faccio, ma quando spalanca le braccia io non esito un istante nel tuffarmici dentro.
Elian Havelock, il mio migliore amico, conosciuto più di dieci anni fa raccogliendo sassi color della pece, di cui ho scoperto da poco l’intero nome, per cui provo un’affetto che non è neanche quantificabile.
—Ci siamo infilati in un bel casino— inizia lui —ma supereremo anche questa— conclude baciandomi sul capo.
E per un unico fugace secondo io ci credo davvero.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Fine del mondo non ti temo!
Mi scuso per il ritardo, ma la scuola mi toglie un sacco di tempo e aggiornare oggi è il massimo che ho potuto fare.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere che ne pensate ;)
Vorrei ringraziare tutti coloro che seguono la mia storia, è grazie a voi se è arrivata così lontano, quindi grazie di cuore!
Alla prossima
Baci
Light Rain

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Capitolo 19
*** Finnick mi conosce troppo bene ***


Finnick mangia con la mano sinistra mentre con la desta stringe la mia.
è affascinante il modo in cui riesca in tutto ciò che faccia, è capace di essere elegante e composto anche maneggiando la forchetta di mancino.
Rimango ad osservarlo per qualche secondo mentre lui accarezza delicato il dorso della mia mano, poi il mio sguardo si sposta all’altro capo del tavolo: Mags sta costruendo una specie di casetta con dei grissini per illustrare a Lian il sogno che ha fatto stanotte, lui la ascolta sorridendo.
Il suo volto è rilassato, sereno. Questo fa si che anche il mio cuore si tranquillizzi un po’.
Mags sarà mentore anche quest’anno, di Lian naturalmente.
Io non ho avuto possibilità di scelta: Finnick si è imposto con così tanta forza per il ruolo che io non ho neanche tentato di dire la mia, comunque a me va bene così.
Cerco di scacciare i brutti pensieri e torno a fissare la mia zuppa: è di un verde pallido poco invitante, la consistenza a prima vista sembra corposa e vellutata ma il colore che mi riporta ai molluschi avariati e, i piccoli pezzi di verdura non identificati che galleggiano al suo interno, mi fanno indugiare.
—Annie non è che se continui a fissarla cambierà aspetto— mi rimprovera Lian con un sorriso.
Mi limito ad alzare lo sguardo per ammutolirlo.
—C’è talmente tanta roba— inizia Finnick —non ti incaponire su quella— mi fa notare lui.
—Oh no! Ho scelto questa e questa mangerò— ribatto decisa —a costo di stare qui tutta la notte— concludo tornando sulla mia cena.
Sento Lian ridere mentre Finnick mi fa il verso, seguiti immediatamente  dai rimproveri di Mags.
Se non fosse per gli urletti isterici di Cloud che mi rimbombano nelle orecchie sarei abbastanza sicura di trovarmi a casa mia, nel Distretto 4, nel bel mezzo di una simpatica cenetta in famiglia.
Posso quasi sentire la voce di Riza che mi racconta dei suoi progressi riguardanti  la sua fobia per le formiche, sento discutere mio zio e mio padre per decidere l’orario ottimale per uscire la mattina seguente in barca, vedo Judianna piroettare su se stessa per mostrarmi il nuovo vestito comprato nel pomeriggio, percepisco il calore di Finnick al mio fianco.
E fortunatamente questa parte è vera, fortunatamente lui è sempre qui con me.
Stringo forte la sua mano e torno rassegnata sulla zuppa, dopo esserci scrutati per un altro minuto decido di affondarvi il cucchiaio e gustarne il sapore: la consistenza è piacevolmente mordida e, con mia grande sorpresa, anche il sapore non è male. Con il secondo cucchiaio inizio a capire che è fatta con gli asparagi, il che spiegherebbe il colore, ma ci deve essere anche dell’altro dentro, forse del formaggio.
—Era poi così mostruosa?— chiede Lian.
—In effetti è molto buona— ammetto ingoiando un altro cucchiaio.
Dopo averla finita il mio sguardo si sposta sul tavolo imbandito davanti a me a cui, fino ad ora, avevo prestato poca attenzione. C’è praticamente di tutto: altri tre tipi di zuppa, carni succose e dall’aspetto invitante, verdure di qualsiasi genere ricoperte di chissà quale salsa, pesci abbondantemente conditi, dolci che non ho neanche mai visto.
Nonostante non abbia mai patito la fame la vista di questa cena mi sconvolge, a casa mia tutti questi piatti avanzerebbero anche se ci fossero il doppio delle persone.
Poi penso alla popolazione dei Distretti 11 o 12 e mi paralizzo di colpo. Là muoiono perchè non hanno neanche un pezzo di pane, almeno credo che sia così perché ogni anno mi sembrano sempre più scarni e deperiti, ed invece a Capitol City molto probabilmente buttano via la roba da quanta ne hanno.
Non mi stupisco, dopotutto si divertono guardando dei ragazzi che si uccidono a vicenda.
Presa dal disgusto improvviso verso la capitale mi abbandono rassegnata sulla mia sedia bevendo dell’acqua a piccoli sorsi.
Dopo poco Finnick se ne accorge, mi guarda titubante.
—Mi si è chiuso lo stomaco— gli dico semplicemente.
Lui annuisce pensieroso, per poi tornare al banchetto davanti a noi.
D’un tratto posa la sua forchetta, afferra il mio piatto vuoto e abilmente, con una sola mano, inizia a riempirlo di cibo, una volta colmo me lo posa davanti.
—Questo sa di casa— mi dice tranquillo.
Io osservo il mio piatto: c’è dell’insalata di polpo con delle patate, dei piccoli gamberetti fritti in una crosticina dorata e dei filetti di pesce grigliati. Mentre sto per sollevare lo sguardo lui deposita davanti a me un’altra ciotola al cui interno vi è una fumante zuppa di pomodoro con molluschi e pesce.
Finnick mi conosce troppo bene.
Sorrido alla vista della mia cena così ricca di fugaci ricordi, stringo forte la sua mano e, poco alla volta, riprendo a mangiare: un boccone di quello, un morso di quell’altro, assaporo quei gusti così famigliari con una piacevole soddisfazione.
Non so quante altre volte mi sarà permesso mangiare del pesce e poi se voglio essere in forma per i giochi sarà meglio non rimanere a digiuno, non ci tengo a svenire durante gli allenamenti.
Così finisco il mio piatto grazie all’appetito riacquistato a forza e la mano di Finnick che stringe saldamente la mia, come sempre.
Dopo aver gustato un qualche tipo complesso di dessert al cioccolato tutti noi ci spostiamo in un altro vagone per assistere al riepilogo delle mietiture, non sono molto entusiasta ma quelle persone tenteranno di uccidermi, di ucciderci e dobbiamo essere preparati a quello che dovremo affrontare.
Ci accomodiamo su un morbido divano, io mi appallottolo di fianco a Finnick mentre lui mi cinge le spalle, Lian si siede all’altro capo seguito da Mags e Cloud che, dopo aver camminato istericamente avanti ed indietro per il vagone, si siede con una certa riluttanza accanto a me.
Credo mi odi, in qualche modo, io la ignoro semplicemente.
Dal Distretto 1 si offrono entrambi volontari, una ragazza dai lunghi capelli corvini ed un ragazzo dall’aspetto mostruosamente massiccio. Dal due per le ragazze non ci sono volontari, mentre per il tributo maschile si offre un ragazzo minuto dai cortissimi capelli biondi con uno sguardo talmete freddo che mi gela il sangue. Alla mietitura del tre non presto molta attenzione, un po’ perché vengono estratti due poco minacciosi, un po’ perché la mia testa è già volata al Distretto seguente, il nostro.
Vedermi salire sul palco è molto più difficile di quanto mi aspettassi: sembro un’automa che cammina a scatti verso il patibolo, il viso è bianco come un lenzuolo e gli occhi sono persi in qualche irrazionale pensiero.
Come se non bastasse inquadrano Riza che cerca di trattenermi a se mentre dei Pacificatori mi tirano via, il suo volto è rigato di lacrime e urla qualcosa che non riesco ad afferrare.
Ma il colpo di grazia arriva alla lettura del nome di Lian, oggi mi ero persa qualche pezzo, ma grazie a questo magnifico montaggio ho l’occasione di vedere in ogni angolazione il mio migliore amico uscire dalla sua fila e salire lentamente sul palco.
Posso quasi sentire il mio cuore uscire dal petto ed infrangersi sul pavimento, in effetti la mia faccia sullo schermo è esattamente quella di una persona a cui è appena scivolato il cuore via dalle mani.
Il braccio di Finnick mi stringe con più forza a se.
Assistiamo silenziosi alle altre mietiture: il ragazzo del Distretto 5 scoppia in lacrime alla lettura del suo nome, quello del 7 è poco più di un bambino e mi incupisco solo a vederlo salire sul palco. Sorprendentemente dal 10 si offre volontaria una ragazza dal viso affilato e spigoloso, sembra molto a suo agio davanti a tutta la sua gente. I tributi degli ultimi due distretti sono talmente malconci che non gli presto neanche molta attenzione.
Una volta finita la trasmissione la prima cosa che faccio è voltarmi verso Lian, lo sorprendo già a fissarmi.
Lui mi sorride leggermente, tento a mia volta di assumere un’espressione rilassata, ma temo di non riuscirci.
Tre delle persone a cui tengo di più sono su questo treno insieme a me, avrò la fortuna di vederle ancora per qualche giorno, le altre non so se le rivedrò un’altra volta.
D’un tratto sorge in me una preoccupazione.
—Lian i tuoi sono venuti a salutarti?— chiedo di getto al mio migliore amico.
Una domanda abbastanza stupida, ma ho bisogno di sapere che ha incontrato tutti quelli a cui vuole bene.
—Sì— risponde lui —loro, mia sorella e Riza— conclude sorridendo alla pronuncia dell’ultimo nome.
—Come ti è sembrata?— chiedo subito, sono già logorata dalla nostalgia.
—Più isterica del solito— ride lui.
Sorrido anche io, perché mia cugina è un mix imprevedibile di emozioni: prima è tranquilla e riflessiva ed un minuto dopo sta correndo per tutta casa urlando cose senza senso.
—A salutare te è venuto anche Thom?— domanda improvvisamente Lian.
Annuisco.
—Non mi piace quel ragazzo, ti gira troppo a torno— continua lui.
—Non è vero!— ribatto.
—Penso abbia una cotta per te— prosegue il mio amico.
—Ma cosa dici!— urlo irritata.
—In effetti Annie devi ammettere che ti fa una corte spietata, nonostante tu sia fidanzata— interviene Finnick —penso che un giorno di questi gli spaccherò il naso— conclude deciso.
—Sarebbe una gran bella idea— approva Lian divertito.
—Voi due vi siete bevuti il cervello— dico alzando gli occhi al cielo.
—Uomini— sospira Mags rassegnata.
Ma mi fa sorridere l’idea di Finnick che spacca il naso a qualcuno solo perché mi fa la corte, da soddisfazione sapere che sarebbe disposto a farlo. 
—A proposito di Thom, l’ho visto al Palazzo di Giustizia mentre parlavate, cosa voleva?— chiede Lian.
Mi volto pronta a rispondere, ma la domanda non è per me, è per il mio fidanzato.
—Ha voluto fare una specie di patto— dice Finnick con tono svogliato.
—Che patto?— chiedo subito.
—Niente di importante— mi risponde semplicemente.
Poi mi stringe a se e mi bacia sulla fronte.
—Io so cosa devo fare— sussurra spostandomi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.
Vorrei chiedergli di cosa sta parlando ma la voce stridula di Cloud mi interrompe prima che possa farlo.
—Bene ragazzi, ora andate a riposare perché domani sarà una grande giornata e vi voglio tutti freschi come boccioli di rosa— annuncia entusiasta.
Nessuno ribatte, stiamo tutti morendo dal sonno, anche se dubito che riuscirò a chiudere occhio stanotte.
Ci salutiamo e lentamente ci dirigiamo ognuno nelle proprie cabine.
Io afferro la mano di Finnick e mi lascio guidare da lui mentre ci spostiamo in un altro vagone, poi si ferma davanti ad una porta e la apre, stiamo per entrare quando la voce di Cloud ci ferma.
—Cosa fate voi due?— chiede con tono irritato.
—Andiamo a dormire, come hai detto tu— risponde Finnick.
—Nella stessa stanza!— ci fa notare lei incredula.
—Sì Cloud, nella stessa stanza— ribatte Finnick —perché siamo fidanzati e dormiamo nello stesso letto— conclude deciso.
Mi strascina dentro e chiude la porta alle sue spalle, ma sento ugualmente la nostra accompagnatrice mentre istericamente parla da sola sul fatto che tutto questo sia assolutamente disdicevole.
Io mi abbandono sul letto mentre Finnick armeggia nei cassetti di un mobile.
—Mi odia— dico rassegnata, non che la cosa mi importi ma mi infastidisce molto.
—Non ti odia— mi risponde lui ancora occupato a rovistare un po’ ovunque.
—Vuoi un pigiama?— chiede —perché questa è la mia stanza e non ci sono vestiti da donna, se lo vuoi vado a cercartene uno— domanda voltandosi.
—Niente pigiama— rispondo pigramente accarezzando il lenzuolo morbido del letto.
—Cloud non ti odia— continua Finnick intento a sbottonarsi la camicia —è di Capitol City, ha semplicemente qualche rotella fuori posto— conclude gettando l’indumento in un angolo della stanza.
Anche Finnick rifiuta il pigiama, non ricordo di avergnene mai visto indossare uno, così ci infiliamo entrambi nel letto con addosso solo la biancheria intima.
Mi sforzo di pensare ad altro ma gli Hunger Games invadono la mia mente non appena nella stanza cala il silenzio, non posso fare a meno di analizzare i volti dei tributi che ho visto questa sera: naturalmente i più temibili sono quelli dei Distretti 1 e 2, addestrati da quando erano in fasce ad ammazzare gente.
Rabbrividisco al solo pensiero, sono loro i Favoriti di quast’anno.
—Finnick io sono una favorita?— chiedo d’impulso.
Mi rigiro nel letto per guardarlo negli occhi, i nostri nasi sono a pochi centrimeti di distanza e la sua mano non lascia mai il mio fianco.
—Sai lanciare coltelli in modo letale, sei agile, veloce, intelligente, bellissima ed hai me come mentore— risponde lui —sei sicuramente una favorita— conclude avvicinandosi fino a far toccare le nostre fronti.
Vedo i suoi occhi verde mare risplendere nella notte buia, sento il suo respiro regolare sulla guancia ed il suo corpo caldo vicino al mio e gli sono infinitamente grata per questo, perché senza lui non saprei come fare.
—Grazie— sussurro debolmente.
—Per casa?— chiede lui confuso.
—Per tutto— rispondo dopo averlo baciato dolcemente.
Lui allontana un po’ il suo viso per vedermi meglio, mi scosta i capelli dagli occhi e mi guarda, sofferente.
—è colpa mia Annie— mi dice dopo qualche istante, con la voce spezzata —se sei stata estratta— ora i suoi occhi sono lucidi alla luce della luna.
—Ma cosa dici?— lo interrompo io, prima che possa dire altre cavolate.
—Annie quante possibilità ci sono che uno dei miei migliori amici e la mia fidanzata vengano estratti lo stesso anno alla mietitura?— mi fa notare lui con un tono più duro —quante possibilità ci sono?— ripete.
Io scuoto la testa.
Non può essere come dice lui, la nostra è solo sfortuna, terribile sfortuna.
—Devo aver fatto qualcosa di sbagliato ed allora ha deciso di farmela pagare— prosegue lui, disperato, alzandosi di scatto dal letto.
—No Finnick! Il mio nome è stato estratto dalla boccia tra migliaia di altri foglietti, esattamente come quello di Lian— intervengo alzandomi a mia volta.
—Credi davvero che il Presidente Snow non sia capace di truccare la mietitura?— mi dice Finnick, visibilmente scosso.
—Non hai prove che sia così— ribatto decisa.
—Quali altre prove ti servono Annie?— scatta lui deciso —si diverte a mandare a morte ogni anno decine di ragazzi, vende il mio corpo come fosse un oggetto ed ha minacciato più volte le persone che amo! Quali altre prove ti servono?— mi chiede nel panico.
Quelle parole mi esplodono in faccia in pochi secondi, per il Presidente Snow non sarebbe un problema manomettere qualche mietitura, dopotutto è la persona più potente in tutta Panem.
Possibile che sia davvero una ritorsione contro Finnick? Possibile?
—Non è colpa tua, è colpa sua— dico semplicemente.
—No Annie! Devo aver sbagliato qualcosa, così ha deciso di mettere in pratica le sue minacce— urla Finnick —è colpa mia, per forza, non ci sono altre spiegazioni— conclude infilandosi le mani nei capelli.
A piedi nudi cammino avanti e indietro per la stanza cercando di trovare un senso logico alle sue parole, e lo trovo, ma non mi piace: perché il suo discorso non fa una piega, potrebbe essere andata tranquillamente in questo modo. 
Ma Finnick non si deve sentire responsabile, per nessuna ragione.
—Torna a letto, stai prendendo freddo— mi dice lui con tono più rilassato interrompendo il flusso dei miei pensieri.
Mi volto e lo vedo in mutande appoggiato al comodino.
—Senti chi parla, tu sei mezzo nudo— ribatto.
Restiamo a fissarci per qualche istante, senza dire niente, poi decido che non vale la pena stare a discutere ancora su questo argomento.
Mi avvicino a lui a piccoli passi, gli afferro delicatamente la mano e lo trascino verso il letto, con mia grande sorpresa non oppone resistenza e insieme ci infiliamo sotto le coperte.
—Non serve a niente continuare a pensarci— dico in tono tranquilla —quindi ora dormiamo perché ci aspettano dei giorni impegnativi e non mi sarai utile se continuerai a sentirti in colpa per cose che ormai appartengono al passato— concludo giocherellando con i suoi capelli.
Lui annuisce, ma il suo volto è ancora titubante.
Allungo il collo e lo bacio, le sue mani lasciano lente i miei fianchi e si appoggiano delicate sul mio viso, accarezzandolo lentamente. 
—Ti amo così tanto, lo sai?— sussurra sulle mie labbra.
—Ti amo tanto anche io— dico baciandolo un’ultima volta per poi rintanarmi tra le sue braccia così forti e calde.
Ho detto a Finnick che è inutile incaponirsi sul passato, ed è vero, ormai nessuno può cambiare il corso degli eventi, nessuno potrà impedire a me e a Lian di scendere in quell’arena.
Ora l’unica cosa che posso fare è essere pronta per ciò che ci aspetta, essere pronta per i giochi, dove io e Lian rischieremo la vita, dove uno deve morire se l’altro vuole tornare a casa.
Ed è con questo pensiero che cado tra le braccia di Morfeo, con la consapevolezza che non c’è modo di prepararsi a tutto questo.
 
Quando mi sveglio l’altro lato del letto è freddo.
Allungo la mano per cercare Finnick, ma trovo solo il lenzuolo spiegazzato.
Fuori il cielo è ancora abbastanza buio, deve essere da poco sorto il sole.
Stancamente mi giro sull’altro lato e sorrido alla vista di Finnick voltato di spalle, deve essere uscito da poco dalla doccia: indossa già dei pantaloni grigi, ma il petto è nudo e i capelli ancora bagnati.
Ho l’occasione di perdermi per qualche istante nella sua schiena assolutamente perfetta prima che lui mi scopra.
—Ti ho svegliata?— domanda preoccupato.
—No— rispondo sbadigliando.
Stanotte avrò dormito sì e no qualche ora, non ho fatto altro che rigirarmi per il letto ed ora sono stanchissima, talmente a pezzi che non so neanche se riuscirò ad alzarmi.
Francamente non ne ho la minima voglia, perché la giornata non si prospetta essere molto allegra, almeno per me. Sono sicura che gli abitanti di Capitol City non vedono l’ora di studiare da vicino i tributi di quest’anno.
Finnick si avvicina e mi bacia delicato, mi dice che è ancora presto e che ho tutto il tempo per andare a farmi una doccia per poi fare colazione.
Annuisco mettendomi a sedere lentamente sul letto, mi stiracchio un po’ mentre lo osservo abbottonarsi una camicia candida quanto il latte.
Pigramente mi dirigo in bagno, mi spoglio ed entro infreddolita dentro la doccia.
Apro immediatamente il getto d’acqua che arriva piacevolmente caldo sulla mia pelle, mi riporta indietro al mio Distretto, alle lunghe giornate estive passate sulla spiaggia nuotando nel mare salato così a me tanto familiare. Per quanto ami poter sentire la terra sotto i piedi, l’acqua è sempre stato il mio elemento.
Naturalmente quella che scende dalla doccia non è neanche paragonabile a quella delle onde del mio Distretto.
Mi lavo in fretta ed esco dalla cabina, pettino i lunghi capelli aggrovigliati e me li asciugo cercando di essere il più rapida possibile, una volta pronta mi infilo nel vestiro della mietitura e torno in camera da letto.
Finnick mi sta aspettando seduto sul letto, i suoi occhi sono fissi sul pavimento e le mani sono giunte posate saldamente sopra le ginocchia.
—Andiamo a fare colazione?— propongo io.
Passano svariati secondi prima che mi risponda.
—Annie tra poco saremo a Capitol City e voglio che tu sia pienamente consapevole di quello che ti aspetta— inizia lui alzandosi lentamente dal letto —non sarà piacevole anzi, ti distruggerà, fisicamente e psicologicamente— prosegue avvicinandosi a me —non esiste cosa più lacerante e voglio anche che accetti il fatto che in quell’arena solo uno sopravvive, se tu vuoi tornare a casa tutti gli altri devono morire— dice prendendomi il volto tra le mani —tutti gli altri— ripete guardandomi dritta negli occhi.
Mi paralizzo.
Finnick non può volermi dire questo, Finnick non mi sta dicendo che Lian deve morire, Finnick non riuscirebbe neanche a pensare una cosa del genere, Finnick non me lo direbbe mai, Lian è mio amico, Lian è nostro amico, Finnick non vorrebbe mai Lian morto anche se questo significherebbe salvare la mia vita, Finnick non lo vorrebbe mai, vero?
Cerco una risposta nei suoi occhi, ma riesco solo a vedere la loro determinazione.
Finnick non può pensare che io possa mettere me stessa davanti al mio migliore amico, perché io non ho pensato neanche per un secondo di farlo, neanche per un secondo.
—Annie ascoltami— prosegue lui.
—No Finnick. No!— dico io liberandomi dalla sua stretta —tu non puoi chiedermi questo! Non puoi chiedermi di scegliere tra me e lui, non puoi!— grido isterica.
—Ed infatti non ti sto chiedendo questo!— scatta subito lui —non potrei mai, perché so che non mi daresti ascolto— continua con tono più calmo.
Che stupida che sono stata.
Finnick mi conosce troppo bene, sa ciò che mi passa per la testa, non farebbe mai una cosa del genere.
—Io non ti sto chiedendo di scegliere tre te e lui— prosegue Finnick —io ti sto chiedendo di scegliere tra me e lui— conclude.
Le sue parole mi colpiscono come un pugnale dritto nel petto.
—Tu non c’entri niente in tutto questo!— urlo io.
—Perché credi davvero che se tu morirai io me ne tornerò tranquillo a casa, Annie?— grida Finnick —credi davvero che non morirò insieme a te in quell’arena?— mi chiede disperato.
Io scuoto la testa, incapace di formulare una frase sensata.
—Non posso permetterlo, ma so che tu saresti disposta a farlo, tu moriresti per Lian— mi dice lui —ma io voglio che tu sopravviva Annie— prosegue venendomi incontro —se perdi non avrai niente, se vinci avrai me— mi dice convinto.
—Se perdo Lian sopravvive!— grido.
—Se perdi io muoio!— risponde con forza.
Rimango impietrita udendo le sue parole.
Finnick sa che l’unica cosa che può mettere in discussione Lian è lui, perché è la cosa più importante che ho.
—Quindi scegli, o me o lui— mi dice convinto.
Finnick mi conosce troppo bene.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mi scuso con voi per il ritardo, ma sono stata veramente troppo impegnata.
Spero che questo lunghissimo capitolo vi sia piaciuto.
Fatemi sapere cosa ne pensate
Alla prossima, tanti baci
Light Rain

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Capitolo 20
*** Sabbia ***


Constantine passeggia frenetico avanti e indietro all’interno della stanza, continua così da qualche minuto ormai: passi svelti e decisi, la mano sinistra posata delicatamente su un fianco e la destra intenta a massaggiare con movimenti circolari il mento crucciato; ogni tanto si ferma, mi guarda con i suoi occhietti scuri, scuote leggermente la testa e poi riprende la sua strana danza.
Io torno rassegnata a fissare il pavimento.
Constantine è lo stilista degli Hunger Games assegnato al Distretto 4, non che stilista di Finnick da ormai cinque anni. Bazzica a casa sua più di quanto vorrei, più di quanto riesca a sopportare, non tanto per la sua irritante parlantina riservata quasi esclusivamente alla moda, ma perché se lo stilista arriva per agghindare  e vestire di tutto punto Finnick, stai pur certo che ci sarà una festa o un’occasione importante a Capitol City, e dove ci sono feste ci sono donne che sbavano dietro al vincitore dei sessantacinquesimi Hunger Games.
Scaccio velocemente questi pensieri e cerco qualcosa con qui distrarmi un po’, gli occhi si posano per caso sui miei piedi nudi: puliti, senza la minima traccia di sabbia, morbidi, con le unghie limate e smaltate, praticamente perfetti.
Mi urta i nervi guardarli, un po’ per il fatto che mi sembrano innaturali, ma soprattutto per il fatto che non c’è sabbia, non un singolo granello.
Se abiti nel Distretto 4 non passa giornata senza che te ne trovi un po’ addosso: tra le dita dei piedi, sotto le unghie, nei capelli, tra le pieghe dei vestiti, sotto i vestiti, semplicemente attaccata alla pelle in posti talmente impensabili che certe volte ti chiedi come ci sia arrivata.
Nello stesso modo in cui ti domandi, rientrando a casa la sera, come mai nell’angolo della cucina ci sia già un mucchio di sabbia nonostante tu abbia pulito il pavimento la mattina stessa.
Ma per quanto sia insidiosa e certe volte anche troppo onnipresente, nessun abitante del Distretto 4 si sente tale se non ha addosso anche un solo piccolo graffiante granello di sabbia.
Adesso è come se fossi spoglia, nuda, mancante di un qualcosa assolutamente fondamentale.
Di un qualcosa che mi faceva sentire protetta, al sicuro.
è questo che hanno fatto i miei allegri preparatori non appena sono scesa dal treno e ho messo piede a Capitol City: mi hanno strigliata, punzecchiata, lisciata, torturata e privata di quel poco che mi rimaneva di casa.
E dopo avermi impacchettato come un pacco regalo privo della sorpresa mi hanno spedita da Constantine che, fino ad ora, è stato solo capace mi mangiare un pomposo pasticcino alla fragola e camminare istericamente come un granchio disorientato sulla spiaggia.
Uno strano sbuffo si fa largo per la stanza e mi obbliga ad alzare gli occhi e cercare quelli del mio stilista.
Guardandolo bene però mi rendo conto di aver spudoratamente sbagliato, non è per niente un crostaceo che ha perso l’orientamento, è molto più simile ad un’orata in gilè che sguiscia veloce tra le onde del mio mare.
Un po’ per il portamento elegante e allo stesso tempo incredibilmente agile, un po’ per le centinaia di piccole squame argentee attaccate sulla sua pelle.
Sono molto piccole, non più grandi di un’unghia, ed esattamente come quelle dei pesci, a seconda della luce e dall’angolazione in cui le guardi, riflettono tutti i colori dell’iride.
Ricoprono entrambe le braccia fermandosi ai polsi e lasciando libere la mani. Non ho la più pallida idea se anche il resto del corpo ne sia ricoperto, ma il collo squamoso mi fa pensare che si estandano anche sul torace.
Fortunatamente il viso è rimasto illeso.
Una volta, mentre Finnick sfilava nell’atrio di casa sua, io e Constrantine ci siamo messi a chiacchierare sul divano del salotto, diciamo che lui parlava ed io ascoltavo con un misto di stupore e disgusto.
Mi ha spiegato che, sette anni fa, per rappresentare al meglio il Distretto che gli era stato assegnato, cioè il nostro, doveva sentirsene perfettamente parte e per lui non c’era modo più efficace che assomigliare ad un pesce, la nostra materia prima.
Sotto il suo esempio molti altri hanno abbracciato questa nuova forma di moda, ma il boom delle squame ha travolto la capitale alla vittoria dei giochi di Finnick.
Tutti volevano sentirsi più vicini al loro nuovo idolo e così in massa sono andati a farsi impiantare chirurgicamente le scaglie su tutto il corpo: quel tipo di intervento è permanente, a meno che non ci si sottoponga ad un’altra operazione per rimuoverle una ad una da sotto la pelle.
Invece Constantine preferisce applicare le squame con una particolare colla molto resistente e, per rimuoverle, basta farsi una semplice doccia perché il collante si scioglie al contatto con l’acqua.
Ogni mattina deve ripetere sempre lo stesso procedimento: spalmere la speciale sostanza sulle zone del corpo che vuole ricoprire ed applicare una scaglia dopo l’altra, fino a quando non è soddisfatto.
Fortunatamente alcuni preparatori gli danno una mano.
Per quanto sia noioso il procedimento, Constantine mi ha detto che non si farebbe mai innestare le piccole squame permanentemente, perchè vuole essere in grado di sceglierne ogni giorno una tipologia diversa.
Vuole poter cambiare la forma, il colore e la grandezza delle sue scaglie a seconda dell’umore o dell’occasione in cui dovrà sfoggiarle. Cosa che sarebbe impossibile fare se, tutte le volte che vuole trasformarsi, dovesse sottoporsi ad un’operazione, sprecando tempo, energia e denaro.
Anche se sono abbastanza sicura che quest’ultimo non gli manca.
Una volta, circa due anni fa, era venuto nel Distretto 4 per preparare Finnick per un evento, quel giorno le sue squame erano di dimensioni molto più grandi, di forma lanceolata e di un colore nero molto intenso con sfumature verdi che variavano di brillantezza in base alla luce che le colpiva.
La prima cosa che gli dissi fu che non sembrava affatto un pesce con quelle scaglie troppo scure e allungate e che, anzi, il suo aspetto mi ricordava il piumaggio di un Marangone.
Non sembrava affatto offeso dal mio intervento, era stranamente incuriosito da ciò che avevo detto.
Mi chiese subito che cosa fosse un Marangone e dove avessi avuto l’occasione di vederne uno.
Gli spiegai che è un uccello acquatico con uno strano ciuffo sulla testa che in primavera migra nel nostro Distretto, è molto più sfuggente dei gabbiani ma lo si può tranquillamente osservare quando si appollaia con la colonia sulla scogliera.
A quel punto tirò un sospiro di sollievo e mi sorrise soddisfatto dicendomi che, se quello strambo uccello poteva in qualche modo rappresentare il Distretto 4, lui per quella giornata sarebbe stato un Marangone.
Forse è in quel momento che ho capito almeno in parte cosa frulla nella testa di Constantine, è in quella breve conversazione che ho tralasciato l’accento capitolino, i capelli castani dai ciuffi blu, la pelle squamata e ho preso solo in considerazione il suo sorriso genuino, l’attaccamento al nostro Distretto e l’affetto che ha per Finnick.
Constantine è l’unica persona della capitale che tollero, che addirittura a volte apprezzo, sicuramente è molto meglio di quella impertinente di Cloud e della gente che ho conosciuto fino ad ora.
—Annie— inizia d’un tratto lui —credo proprio di aver trovato la ragazza perfetta per il mio abito— mi sorride raggiante.
Solitamente si cerca l’abito perfetto per una ragazza e non l’incontrario, ma visto l’improvviso entusiasmo del mio stilista non faccio domande.
Costantine saltella in un’altra stanza e pochi istanti dopo ne esce fuori tenendo in mano un vestito, io sgrano gli occhi per lo stupore, ho bisogno di osservarlo con più attenzione per essere certa di ciò che ho davanti.
—Sabbia— sussurro io alzandomi per andargli incontro.
—Certo che no— mi sorride lui —ma l’effetto che voglio dare è esattamente quello, voglio far credere agli spettatori che tu sia ricoperta di sabbia dalla testa ai piedi— conclude soddisfatto.
Passo il tessuto tra le dita e rimango incantata  dalla sua leggerezza.
Solo ora che ho il vestito tra le mani posso accorgermi della sua trama: la base è semitrasparente in color carne, ma quello che lo rende così straordinario sono le piccolissime pietre preziose nere, marroni, beige e cristalline che ricoprono, dove più dove meno, l’abito dando l’impressione che sia fatto di sabbia.
Non posso far altro che congratularmi con il mio stilista per il suo magnifico lavoro.
—Ma è bellissimo Constantine— dico con un fil di voce.
—Lo so— risponde lui sorridendomi.
Ma mi rendo veramente conto di quanto il vestito sia meraviglioso solo avendolo addosso: la parte superiore è molto aderente, le maniche sono lunghe, strettissime e si fermano ai polsi; la scollatura è vertiginosa e si conclude qualche centimetro sotto i seni, ma le sfumature più scure delle pietre posizionate strategicamente sul petto non lasciano intravedere niente; la gonna mi sfiora le punte delle dita ed è leggera e per niente attillata, infatti le mie gambe sono liberissime di muoversi facendomi sentire molto a mio agio.
Vedere la mia immagine riflessa allo specchio mi sconvolge: il vestito mi sta alla perfezione, le piccole pietre brillano sotto le luci e il gioco di trasparenze mi rende incredibilmente sensuale, anche il trucco del viso è straordinario con soltanto un po’ d’ombretto color bronzo che rende l’effetto finale molto naturale.
Constantine mi appunta una piccola forcina a forma di conchiglia per fermare qualche ciocca ribelle lasciando il resto dei capelli sciolti lungo la schiena in boccoli perfetti e definiti, infine mi fa indossare dei semplicissimi sandali. Dopo avermi girato attorno per qualche secondo ed avermi osservato in ogni singola sfumatura si convince che il suo lavoro è terminato.
—Sei inriconoscibile Annie— mi prende in giro Lian non appena mi vede.
—Lo devo prendere come un complimento?— domando al mio amico.
Lui si limita a sorridere.
Sono convinta che non si è nemmeno guardato allo specchio, perché altrimenti si sarebbe accorto di come anche lui appaia diverso: indossa dei semplice pantaloncini attillati che si fermano sopra il ginocchio, il tessuto è esattamente uguale a quallo del mio vestito, il resto del suo corpo è nudo e ricoperto da una specie di pellicola luccicante tempestata da piccole pietruzze che danno l’impressione che si sia appena rotolato nella sabbia.
D’istinto vado a toccargli il braccio per capire cosa sia realmente quella patina.
—Me l’hanno spalmata addosso— mi dice —pizzica tantissimo— continua facendo una strana smorfia col viso.
In fretta e furia ci fanno scendere al piano terra del Centro Immagine e qui, per la prima volta, intravedo quelli che saranno i tributi di quest’anno e un senso di malessere mi pervade dalla testa ai piedi.
Per tutto il pomeriggio ho indirizzato ogni singola celleula del mio cervello sul vestito che sto indossando, ma ora che vedo il carro su cui io e Lian dovremo salire la paura si fa concreta e palpabile.
In questo momento ho bisogno solo di una cosa, una soltanto, che è proprio quella che mi manca.
—Finnick?— chiedo disperata a Constantine.
Scuote leggermente la testa —vedrai lui e Mags saranno già a lavoro per cercarvi degli sponsor, quando avrete finito la parata lo troverai sicuramente— mi dice in tono rassicurante.
Io e Finnick non abbiamo più parlato dalla nostra discussione di stamattina.
Io per prima ho cercato di evitarlo, non so come comportarmi con lui dopo quello che mi ha detto, dopo che mi ha chiesto di scegliere tra lui e il migliore amico che scenderà con me nell’arena.
Secondo il mio fidanzato se salverò Lian per noi non ci sarà salvezza, perché io morirò non avendo vissuto abbastanza portandomi dietro quel poco che resta di Finnick, o almeno quello che resta di un Finnick felice e sano.
Ma se io agissi come vuole lui, pensando per me e mettendo la vita di Lian in secondo piano, come potrei poi tornarmene a casa? Come potrei far finta che nulla sia accaduto? Come potrei tralasciare una perdita così importante e continuare la mia esistenza senza che questo mi scalfisca minimamente?
Sarei sicuramente divorata dai sensi di colpa e dalla disperazione, e a quel punto mi domando se ne sarà valsa veramente la pena, se sarà valsa la pena di essermi salvata la vita.
E la risposta è no, ora che ci penso bene la morte di Lian non fa neanche minimamente perte del mio piano, sempre che io ne abbia uno.
Perché lui deve vivere, a qualunque costo, Lian merita una vita felice. 
Ma neanche io voglio morire, non ci penso assolutamente a morire a diciassette anni, ammazzata da chi sa quale di questi mostri sanguinari.
E poi c’è Finnick, il mio Finnick, per cui farei qualunque cosa...
Mi scuoto un po’ e riprendo possesso di me stessa, perché se continuo a pensare a questa cosa andrò fuori di testa, è un rompicapo in cui nessuno dei possibili risultati è accettabile, nemmeno uno.
Almeno che non esista una specie di macchina del tempo per tornare indietro e impedire a quell’antipatica di Cloud di estrarre i nostri nomi alla mietitura del Distretto 4, ma so bene che questo non è possibile.
—Sù, sù presto— ci spintonano in avanti —salite sul carro— ci incitano.
Io e Lian ci posizioniamo mentre i nostri stilisti fanno gli ultimi ritocchi.
—Mi raccomando sorridete e siate raggianti— ci incita Constantine.
Noi annuiamo e in quel momento sento partire la musica che ci da il segnale che la parata ha inizio, mi aggrappo al carro e aspetto che parta, quello del Distretto 1 è già fuori.
Lian mi scruta per qualche secondo per poi aggrottare la fronte.
—Annie ma ti si vede mazza roba!— esclama con gli occhi puntati sul mio petto.
—E tu allora non guardare!— rispondo io un attimo prima che i nostri cavalli color caramello inizino a muoversi.
La quantità di persone è impressionante, tutte accalcate e in delirio per riuscire a vedere meglio i tributi di quest’anno, Lian saluta sorridendo il pubblico, così decido di farlo anche io.
Cerco di sembrare il più rilassata possibile, cerco di sembrare addirittura felice ed eccitata per tutta questa faccenda, spero solo nessuno si accorga che sto letteralmente tremando per l’agitazione.
Le urla di acclamazione e i fiori che vengono lanciati quando passa il nostro carro mi fanno pensare che abbiamo fatto una buona impressione, questo mi conforta perché negli Hunger Games avere dei buoni sponsor conta quasi come saper maneggiare un’arma.
Conclusi i venti minuti di frastuono incessante, acclamazioni e baci il carro si ferma davanti alla residenza del Presidente Snow, dove lui stesso ci da il benvenuto in un elegantissimo completo rosso.
Odio quell’uomo, più di qualsiasi altra persona al mondo.
E mentre la mia immagine appare sullo schermo non posso fare a meno di guardarlo dritto negli occhi, e mi si gela il sangue quando trovo i suoi già puntati su di me.
Lui sa chi sono, lui mi conosce, lui usa me e il mio nome per manovrare Finnick a suo piacimento, lui ha minacciato più volte di uccidermi, chissà se questa volta ce la farà.
Anche io lo conosco, meglio di molti altri, forse meglio dei cittadini di Capitol che lo amano tanto, io so cosa fa, conosco i suoi sporchi giochetti e tutto questo non fa altro che renderlo una persona disgustosa, come se essere a capo di questa deplorevole nazione non fosse già abbastanza. 
Dopo l’inno e un altro rapido riepilogo dei tributo di questa settantesima edizione il nostro carro scompare nel Centro di Addestramento.
Non appena metto piede a terra vengo immediatamente travolta dai preparatori e da Constantine che, sorridendo euforico, si congratula con me.
—Eri bellissima su quel carro! Tutti gli occhi erano puntati su di te!— mi dice entusiasta.
—Tutto merito del tuo bellissimo abito— rispondo.
—Sì, Constantine ha fatto un ottimo lavoro, ma la materia prima è semplicemente straordinaria— mi sorprende una voce alla mie spalle.
Non ho bisogno di voltarmi per capire a chi appartiene, riconoscerei quella di Finnick tra mille.
Ma è l’arresto momentaneo del respriro ha sorprendermi: per tutto il pomeriggio ho aspettato con disperazione questo momento, l’istante in cui avrei potuto riaverlo al mio fianco, e adesso che è qui non ho neanche il coraggio di voltarmi, francamente vorrei semplicemente sparire.
Ho paura di muovermi, di incrociare i suoi occhi, di sentire la sua voce.
Perché so cosa potrebbe dirmi, lo so fin troppo bene.
“Quindi scegli Annie”
La sua mano calda si posa sulla mia spalla.
“O me o lui”
Di scatto mi sposto, facendo qualche passo in avanti.
Mi da fastidio averlo lì vicino, non perché è di lui che ho paura, non potrei mai, sono quelle parole che mi terrorizzano, loro e quello che ne consegue.
Semplicemente mi urta i nervi il fatto che le abbia pronunciate e penso che questo, tutto sommato, sia più che lecito.
—Che dite, ce ne andiamo da qui?— propone Mags volgendo lo sguardo ad un ascensore.
Acconsentiamo spostandoci lenti, a capo del gruppo c’è il mio allegro stilista visibilmente soddisfatto del suo operato, ampiamente elogiato da Cloud, che nel frattempo si è unita a noi.
—Questi di Capitol sono una banda di pazzi— mi sussurra simpaticamente Lian.
—Sarebbero tutti da rinchiudere— ma nel mio tono non c’è niente di scherzoso.
La nostra accompagnatrice per prima andrebbe messa in un ricovero, seguita immediatamente da tutta la popolazione capitolina, non uno andrebbe risparmiato, non uno.
—Ci vediamo domani allora— sento una voce suadente in lontananza sibillarmi nelle orecchie.
Quasta volta la mia testa si gira all’istante, e a pochi metri da me inquadro Finnick in un magnifico completo nero flertare con una donna tutta ricoperta di piume.
Vedere quell’improbabile coppia mi fa un inaspettato effetto, che so essere ingiusto nei confronti del ragazzo in questa circostanza, ma per qualche strana ragione sento crescere sempre di più nel mio petto: rabbia.
Per quanto il mio cervello mi dica che sia sbagliato, che non dovrei provare questo sentimento, che lui sta facendo solo ciò che deve e che sono io quella in torto, il mio corpo, febbricitante di irritazione e disgusto, sembra pensarla essattamente al contrario.
E come se non bastasse, a dargli manforte, arriva anche quel fastidio che mi aveva pervaso pochi istanti prima dovuto alle parole che mi tormentano da questa mattina.
Lancio ai due un’ultima occhiata acida di veleno e mi appresto ad entrare in ascensore insieme agli altri.
Arrivati al quarto piano l’allegra compagnia si disperde nell’immenso appartamento: Cloud, Constantine e i preparatori di cui non mi sono neanche interessata ad imparare i nomi, si dirigono saltellanti verso un’enorme bottiglia  di champagne, aperta nell’immediato accompagnata da una moltitudime di urletti.
Io, Lian e Mags ce ne stiamo compatti ed immobili ad osservare la scena fino a quando non è l’anziana a parlare.
—Venite, vi porto a fere un giro— propone lei.
Noi la seguiamo senza fare storie tra le varie stanze, osserviamo stupefatti la loro grandezza e i mobili che le arredano, per poi aggregarci ai capitolini sorridenti che continuano a brindare in onore della magnifica parata.
Cloud sembra addirittura contenta, mi fa perfino un complimento, io mi obbligo a ringraziarla e in quell’esatto istante le porte dell’ascensore si aprono lasciando entrare Finnick.
Anche lui viene incoraggiato dal gruppo ad unirsi ai festeggiamenti, si dirige lento verso di noi ed io non posso far a meno di notare che mi sta scrutando dalla testa ai piedi con aria severa.
Lui si appresta ad afferare un bicchiere, io poggio il mio e mi allontano di qualche passo da quella marmaglia urlante appoggiandomi pigramente ad un muro.
Finnick non tarda a raggiungermi e, con mio scontento, riprende ad osservarmi.
—Annie vai a cambiarti— dice dopo un po’ in tono, che alle mie orecchie, appare di comando e più duro del solito.
—No— rispondo secca, la frustrazione di prima torna a farsi sentire.
Lui sospira scuotendo leggermente la testa.
—Per favore Annie, vai a cambiarti— prosegue più arrendevole.
—Amo questo vestito, perché diavolo dovrei toglierlo!— concludo irritata in tono troppo alto.
—Ti si vede mezza roba!— scatta immediatamente quasi gridando.
Lo osservo, con sguardo assente.
—Oh, come se tu non avessi visto cosa c’è sotto— rispondo tranquilla e fin troppo acida passandomi un dito sul bordo della scollatura.
Finnick è impassibile, immobile, anche stupito direi.
Io prendo un bel respiro e mi allontano rassegnata e carica di vergogna.
Non so perché l’ho fatto, non ero io a parlare, era la mia frustrazione, mi sento profondamente in colpa per il mio atteggiamento, Finnick non si merita questo.
Lo sento muoversi alle mie spalle.
—Non mi fraintendere— bisbiglia sensuale al mio orecchio —io un’altra guardatina la darei volentieri— conclude accarezzandomi con le dita delicatamente il collo per poi scendere nell’incavo dello sterno.
Un brivido risale frettoloso la mia schiena inarcata per la tensione.
Le sue labbra stanno ancora solleticando il mio lobo quando Cloud ci interrompe.
—O mio Dio! Cosa state facendo!— urla in preda ad un attacco isterico.
Lo vorrei sapere anche io, cosa stiamo facendo.
Questi non siamo noi.
Io e Finnick ci lanciamo un’altra rapida occhiata, vedendolo in viso non saprei cosa sta provando: tristezza, rabbia, paura, rassegnazione, vuoto.
Forse quest’ultima, forse.
Prendo un bel respiro, lento, forzato, profondo.
Chiudo gli occhi, leggermente umidi, e mi dirigo in camera mia, a cambiarmi.
Anche questa volta Finnick l’ha avuta vinta, non ne avevo dubbi.
Il resto della serata passa abbastanza velocemente, tra porzioni di carne grigliata, vino, chiacchiericci sommessi e lunghi momenti di silenzio.
Mi perdo tra le parole di Constantine e gli squittii di Cloud, riesco persino a sorridere, tutto merito di Lian e Mags ed il loro spiccato senso dell’umorismo.
Stranamente sembra procedere tutto liscio, fino a quando Finnick accenna al fatto che “noi abbiamo una strategia vincente”.
Per “noi” intende se stesso, per “vincente” presuppongo si riferisca a me, per quanto riguarda la “strategia” sono abbastanza sicura che preveda la morte di 23 tributi, compreso Lian.
Questo basta al mio corpo per irrigidirsi nuovamente, invaso da un costante senso di nausea e di irritazione.
Mi domando quanto ci abbia messo Finnick ad elaborare questo piano, mi domando quanto tempo abbia impiegato per convincersi che la vita di Lian è meno importante della mia.
Suppongo sia stata una decisione difficile.
Difficile, ma evidentemente non impossibile, almeno per lui.
Dopo tutto Finnick è più legato a me che a Lian.
Poi, d’un tratto, scatta uno strano meccanismo nel mio cervello: cosa avrei fatto io se la situazione fosse ribaltata? Se il mio fidanzato dovesse scendere nell’arena  con un suo amico?
E mi rendo conto che non avrei impiegato molto a mettere la salvezza di Finnick sopra qualunque altra cosa, anche sopra la vita di una persona a me non altrettanto cara.
Mi volto di scatto richiamata da Lian.
—Annie tutto ok? Ti vedo un po’ assente— chiede lui preoccupato.
—Sono solo tanto stanca— farfuglio.
Stanca fisicamente e mentalmente.
—Anche io— risponde —e non vedo l’ora di provare i letti di Capitol City, sono sicuro che saranno morbidissimi— sorride entusiasta.
—Ne sono sicura anche io— rispondo sorridendo a mia volta.
Non mi importa di ciò che avrei fatto io, qui la situazione attuale è diversa: sarò io insieme a Lian a partecipare ai giochi, e per quanto mi riguarda l’unico che ha il diritto di scegliere della vita del mio migliore amico è Lian stesso.
Nessun altro, né io, né Finnick.
Tantomeno Finnick.
—Se non ti dispiace Annie cara, mangierei volentieri il pezzo di torta che ti è avanzato— mi dice Mags con il piatto già pronto.
—Prendi pure— dico porgendole il mio.
—Annie non dovresti incoraggiarla!— mi fa notare Lian —diventerà una vecchia balena grassa!— ride lui.
—Senti giovanotto, ho il quadruplo della tua età— scatta Mags —mangio quello che voglio e quanto voglio!— fa una piccola pausa —e del tuo parere francamente me ne infischio!— conclude soddisfatta ficcandosi in bocca un enorme pezzo di torta.
—Ben detto!— approvo io.
Lian sbarra gli occhi stupefatto, sposta lo sguardo da me, a Mags alla torta, poi scoppia a ridere seguito immediatamente dalla sua mentore che, presa dalla ridarella, sputacchia in giro pezzi ti torta.
Non so come questi due ci riescano, ma mi basta guardarli per farmi travolgere dalla loro spensieratezza, e in men che non si dica ho già un bel sorriso stampato in faccia, sincero, forse il secondo della giornata.
I presenti a tavola si girano tutti verso di noi, ci fissano incapaci di capire il perché del nostro comportamento, in alcuni di loro leggo anche del disgusto, li ignoro semplicemente, invece negli occhi verdemare di Finnick trovo durezza, come se mi stessero dicendo che il mio comportamento è sbagliato, che dovrei fermarmi subito.
Ma invece non lo faccio, continuo a ridere, anche più vistosamente di prima, un po’ per ripicca ed un po’ perché, se gli occhi di Finnick non mi avessero tolto il respiro, so che lo avrei fatto comunque.
Quando ci ricomponiamo lui mi sta ancora fissando, e questo non fa altro che rendermi più nervosa, come se non lo fossi già abbastanza.
Ma per quanto sia irritante il comportamento di Finnick, non trovo la forza di fermarlo quando in piena notte sgattaiola in camera mia e si infila nel mio letto.
Detesto ammetterlo ma mi è mancato, più di quanto potessi immaginare.
Ho cercato di respingerlo per tutta la serata, pur sapendo di averne un disperato bisogno, pur sapendo di non poterne fare a meno.
Per quanto io cerchi di evitarlo, alla fine tornerò sempre da lui, e lui tornerà sempre da me.
E mentre mi accarezza delicato la schiena mi ritrovo, per uno strano scherzo del mio cervello, a paragonare Finnick alla sabbia: graffiante, fastidioso, intrusivo, onnipresente, fragile, protettivo, sfuggevole, accogliente, indispensabile.
Assolutamente indispensabile.
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
Chiedo scusa per il ritardo, che questa volta è veramente eccessivo.
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto e, se mi fate il piacere di lasciare una piccola recensione, ci tengo veramente tanto a sapere come la pensate.
Scusate ancora, a
 presto, baci...
Light Rain

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Capitolo 21
*** Alleati ***


Solo il caffè bollente che mi scende giù per la gola riesce a svegliarmi un po’.
Non ci sono riusciti né i baci mattinieri del mio fidanzato né gli urletti striduli di Cloude.
Stanotte non ho chiuso occhio, gli abbracci, le carezze e le parole dolci di Finnick sono state vane, non hanno sortito alcun effetto sul mio corpo nervoso e irrigidito dalla paura.
Afferro pigramente una ciambella ricoperta da una viscida confettura dal colore blu acceso e la posiziono nel mio piatto a far compagnia ad un uovo strapazzato con abbondante pancetta, un panino all’olio e tre strambi dolcetti agli agrumi. Riempio un altro bicchiere con del succo d’arancia e mi siedo a tavola difianco ad un Finnick con lo sguardo fin troppo assente.
—Non ti sembra di aver un po’ esagerato— mi fa notare Lian.
—Parla per te!— ribatto.
Nonostante il suo piatto sia già stracolmo continua ad aggiungervi roba e sembra non abbia la minima intenzione di fermarsi.
Io ritorno alla mia colazione.
Effettivamente il mio amico ha ragione, è più abbondante rispetto al mio solito, ma viste le attuali condizioni del mio stomaco costantemente chiuso in una morsa sarà già tanto se riuscirò a strappare un boccone ad ognuna delle pietanze che ho preso.
—Buongiorno ragazzi— ci saluta cortesemente Mags entrando nella stanza.
—Buongiorno— rispondiamo in coro, anche Finnick sembra aver ritrovato un po’ di vitalità.
Mi si spezza il cuore vederlo distrutto, gli Hunger Games per lui sono una vera tortura ogni singolo anno, mi immagino che questa edizione sia più difficile delle altre, lo è per tutti.
—Annie, è buona quella ciambella bluastra?— chiede Lian interrompendo il flusso dei miei pensieri.
I miei occhi si precipitano sulla mia colazione ancora intatta.
—Non lo so— rispondo alzando le spalle.
—Allora assaggiala, cosa aspetti!— sbraita lui —che se è buona la prendo anch’io— mi incoraggia Lian.
—Mi stai forse usando come cavia?— domando leggermente infastidita.
—Non lo farei mai— risponde facendo una faccina beffarda da finto angelo.
Gli faccio la linguaccia e gli concedo anche un piccolo sorriso.
Affero rassegnata la ciambella e ne stacco un morso: la pasta è mordida e dal sapore delicato, la confettura è fresca ed incredibilmente dolce, con un retrogusto asprigno.
—Quindi? Com’è?— chide subito curioso il mio amico.
—Prendine una e assaggiala— rispondo divertita.
Lui sta per ribattere ma io lo ignoro di proposito.
—Con cosa è fatta questa marmellatina blu?— chiedo nella speranza che qualcuno mi risponda.
—Mirtilli— mi dice Finnick.
—Ma i mirtilli non sono mica blu— affermo convinta —almeno non così fluorescenti!— esclamo asservando con più attenzione il colore innaturale della confettura.
—Certo che no sciocchina!— esclama Cloude —voi, nel vostro Distretto, mangiate dei semplici mirtilli. Ma a noi piacciono le cose colorate e sgargianti— conclude soddisfatta lei.
—Li modificate?— chiedo.
—Certo che sì— sorride come se fosse la cosa più naturale al mondo.
La cosa non mi stupisce, che Capitol  voglia modificare anche gli alimenti, ma mi ci vuole qualche istante per convincermi che staccare un altro morso non mi ucciderà. 
Mi fa una strano effetto mangiare questa roba ora che lo so.
Mi infilo in bocca un grosso boccone e ne assaporo la travolgente dolcezza, ne sto per staccare un altro quando Lian mi sorprende mordendo l’altro lato della ciambella.
Io mi tiro indietro di scatto.
—Dannato!— urlo io con la bocca ancora piena.
Ma lui non mi ascolta, mastica allegramente la mia colazione con un’aria decisamente soddisfatta.
Poi mi guarda e scoppia a ridere fragorosamente.
Sto per tirargli addosso la ciambella quando mi accorgo che anche Mags se la sta ridendo sotto i baffi.
Mi volto verso Finnick e anche lui ha stampato in faccia un leggero sorriso, ma quello che mi spiazza di più è vedere la nostra accompagnatrice mentre, sorseggiando del thè, cerca invano di trattenersi dal ridere.
Mi guardo intorno confusa: tutti sono divertiti, ma non capisco il perché.
—Che c’è?— chiedo —perchè state ridendo tutti?— domando in tono allarmato.
—Il tuo naso Annie— riesce a dire Lian con ancora in bocca pezzi di colazione —è tutto blu— conclude divertito indicandomi.
La mia mano vola all’istante sul punto incriminato sporcandosi di appiccicosa marmellata fluorescente.
Deve essere successo quando mi sono tirata indietro di scatto, con ancora in bocca la ciambella, per impedire al mio amico di mangiarla.
Afferro un tovagliolo e mi pulisco il naso con vigore poi, ormai blu, lo riappoggio violentemente sul tavolo.
Offesa dall’accaduto mi concentro esclusivamente sui pasticcini agli agrumi: pasta morbida al cioccolato con piccoli pezzi di frutta candita, ricoperto di glassa arancione con all’intermo un cuore cremoso di cioccolato fondente.
Sento bisticciare Cloude con Lian sul fatto che il suo comportamento sia stato molto irrispettoso nei miei confronti.
Ma se pochi secondi fa se la stava ridendo alla grande?
Quella donna non la capisco proprio.
Sono ancora del tutto concentrata sui pasticcini quando la mano di Finnick si posa sulla mia gamba facendomi tremare dalla testa ai piedi.
La stringo con naturalezza.
Io e lui sembriamo aver fatto qualche miglioramento. Certo, il nostro rapporto non è ritornato quello di pochi giorni fa, ma nessuno dei due fa commenti acidi o tira frecciatine di odio verso l’altro.
—Suvvia Annie! Non fare quella faccia— mi dice Lian divertito.
—Quale faccia?— scatto subito io.
—Sembri una bambina di tre anni a cui hanno appena rubato le caramelle, ti offendi per delle sciocchezze— ride lui —hai intenzione di tenere il broncio per tutta la giornata?— domanda allegro.
Io il broncio?
Ma stiamo scherzando!
—Senti chi parla!— ribatto io —quello che l’anno scorso per non aver vinto una gara di pesca stava per mettersi a piangere!— dico di rimando.
—Stavo, ma non l’ho fatto— mi corregge subito lui.
—Sì certo, solo perché c’era Alyssa!— rispondo con un ghigno.
Lo vedo irrigidirsi, ho colpito un tasto dolente.
—Alyssa?— chiede Mags curiosa.
—La figlia del gioielliere, Lian le sbava dietro da anni ma lei non l’ha mai degnato di uno sguardo— rido io.
Vedo la vecchia annuire, pensierosa.
—Ed invece ti sbagli— mi riprende lui —si da il caso che sia già un mese che usciamo insieme— sorride leggermente, con aria soddisfatta.
Io sgrano gli occhi dallo stupore.
—Razza di idiota, perché diavolo lo vengo a sapere solo ora?— urlo io.
—Vedi Annie, i recenti avvenimenti mi hanno leggermente distratto— mi fa notare lui.
—E cosa te ne frega ora? Voglio dire, non si torna più indietro— dico decisa —quindi ora raccontami per filo e per segno come hai fatto a convincere quella povera ragazza ad uscire con un disperato come te!— sorrido entusiasta.
Lian prende un bel respiro e poi si convince a parlare.
Mi descrive la voce melodiosa di Alyssa, dei suoi lunghi capelli dorati e delle sue mani morbide quanto il cotone.
Mi parla delle lunghe passeggiate sulla spiaggia, delle uscite in barca e delle notti passate a guardere le stelle.
Arrossisce ripensando al loro primo bacio e si imbarazza confidandoci di come sia stata lei ad avvicinarlo per prima.
Mi racconta dello stupore provato vedendo suo padre lavorare con estrema facilità l’oro per poi trasformarlo in un magnifico bracciale.
E sorride, per tutto il tempo.
Sorride in modo talmente genuino da scaldarmi il cuore, in modo così sincero da riportarmi indietro di qualche anno.
Indietro ai miei momenti felici: al primo vero appuntamento con Finnick, al pic nic che aveva organizzato nel notro posto segreto, all’imbarazzo di entrambi e alle poche parole che riuscimmo a dire.
D’istinto ho l’esigenza di confidarmi col mio compagno di vita.
—Non è una cosa dolcissima?— domando solare a Finnick.
Lui si limita semplicemente ad annuire, inespressivo.
Solo ora mi accorgo che le nostre mani non sono più unite, la mia non si è spostata di un singolo millimetro mentre la sua è rigida sopra il tavolo.
è stato lui ad allontanarsi.
E questo mi fa male, mi provoca una fitta al petto difficile da ignorare.
Ma ci provo, lo faccio per Lian, continuo a sorridere ascoltando le sue parole, mi fingo interessata ed entusiasta, esattamente come prima.
Quando il mio migliore amico finisce di parlare nella stanza cala uno strano silenzio, prosegue per svariati secondi prima che Finnick lo interrompa.
—Voi due non azzardatevi a comportarvi così al centro di addestramento— ci dice in tono severo.
Lo guardo confusa, non capisco cosa voglia dire.
—Cioè? Cosa intendi?— mi anticipa Lian.
—Non azzardatevi a comportarvi come amici quando vi allenate— risponde lui, come avesse detto la cosa più palese al mondo.
Io continuo a non capire, lo osservo in attesa di una spiegazione.
—Quando siete sotto gli occhi degli altri tributi non agite come fate di solito, da amici di vecchia data, non azzardatevi a spettegolare allegramente sulla gente del distretto o a mettervi a ridere perchè vi scambiate battutine. Assumete un ruolo più composto— ci dice lui.
—Stai dicendo che dobbiamo comportarci come se non ci conoscessimo da dieci anni, come non contassimo niente l’uno per l’altra— scatto io rabbiosa, interrompendolo.
—Sto dicendo proprio questo— afferma lui deciso —i ragazzi con cui vi allenerete faranno di tutto per uccidervi una volta nell’arena, ed essere amici così affezionati non vi aiuterà. Per loro sarà un punto da usare a loro vantaggio, per voi il più grande punto debole— ci dice deciso.
—Quindi cosa dovremo fare? Comportarci come sconosciuti e non rivolgerci la parola?— chiede Lian stupefatto.
—Non come sconosciuti, ma come alleati— precisa Finnick —una squadra compatta è molto più temibile di una coppia di amici— conclude bevendo un sorso di caffè.
Mi ci vuole qualche secondo per capire a pieno le sue parole, per capire chi dobbiamo essere io e Lian d’ora in poi.
Alleati, non amici.
—In pratica ora siamo semplicemente compagni di distretto che si uniscono per i giochi per poi voltare le spalle l’uno all’altro quando la situazione si farà complicata?— domando incredula.
Finnick non risponde, non ha neanche il coraggio di guardarmi.
Mags invece annuisce, con lo sguando sofferente, ma annuisce comunque.
—Non potete chiederci questo— dice Lian —non potete chiederci di far finta di niente, come se non fossimo disposti a tutto per il bene dell’altro— conclude.
Poi si volta verso di me e allunga la mano dall’altro lato del tavolo, io la afferro con decisione.
—è proprio questo il punto Lian— interviene Mags —siete talmete uniti che fareste di tutto per salvarvi a vicenda, ma i vostri avversari non vi devono vedere come una coppietta inseparabile, saprebbero esattamente dove colpirvi. Siete uno il punto debole dell’altro— ci fa notare lei —per questo dovete apparire ai loro occhi come alleati, alleati per vincere. Se loro vi identificano come troppo coinvolti sentimentalmente o spaventati vi vedranno fragili ed un bersaglio facile. Credetemi ragazzi, sappiamo come dovete comportarvi— conclude decisa.
Io e Lian ci guardiamo senza professare parola. 
Abbiamo capito entrambi cosa Mags ci stia dicendo, lo capiamo e lo accettiamo, per quanto duro possa essere.
Ma nessuno dei due abbandona la mano dell’altro.
—In ogni modo, una volta nell’arena siete liberi di agire come più credete giusto, nessuno ve lo può impedire— aggiunge la vecchia, come per confortarci.
Ma non ci riesce, non mi conforta affatto questo.
Perché so che, a prescindere da cosa faremo, non c’è salvezza.
Non per entrambi.
—Comunque, tenete bene a mente che questa è una gara individuale, vi conviene prendere una decisione e mettere da parte una volta per tutte i vostri sentimenti— aggiunge Finnick.
Prendere una decisione.
Fare una scelta.
Finnick o Lian?
Amore o amicizia?
Salvezza o sacrificio?
Decisione che non sarò mai in grado di prendere.
Non potrò mai fare a meno di una o abbracciare completamente un’altra.
Non in questa situazione. Non quando è in ballo la vita di una delle persone a cui tengo di più.
Guardo un’ultima volta Lian per poi concentrarmi sulla colazione.
Per la sala si fanno largo solo leggeri brusii e nientaltro, fino a quando Cloud chiede ai nostri mentori di darci alcune indicazioni, per i giorni di allenamento che ci attendono.
Mags e Finnick si scrutano per qualche secondo, poi è il più giovane a prendere la parola.
—Alle dieci scenderete giù nei sotterranei e vi troverete davanti una moltitudine di armi, percorsi ad astacoli ed istruttori esperti. Non buttatevi sulle cose in cui vi sentite più sicuri, come le armi, sperimentate cose nuove, cose che vi possono tornare utili— inizia Finnick — vi consiglio di studiare le piante commestibili, visto che nel nostro Distretto abbiamo una flora molto specifica o di imparare tecniche di sopravvivenza o qualche trucchetto utile, come accendere un fuoco o costruire un riparo— ci spiega lui — e solo dopo aver scoperto qualcosa di nuovo andate ad allenarvi con le armi, farsi vedere forti non è mai un male— conclude sicuro.
Io annuisco pensierosa.
Nella mia testa cerco di assimilare le informazioni essenziali: scoprire qualcosa di nuovo, lasciare per ultime le cose in cui mi sento più sicura.
Credo di aver afferrato il concetto.
Anche se non penso di avere un punto di forza, non mi sento sicura di niente in questo momento.
—Poi abbiamo deciso che quest’anno non ci saranno alleanze con gli altri Favoriti— afferma Mags.
—Perché?— domando d’istinto.
Sono senza dubbio contenta di questa decisione, ma ne sono un po’ sorpresa.
Almeno per i primi giorni dei giochi, quando il numero dei tributi è ancora alto, quelli dei Distretti 1, 2 e 4 si uniscono quasi sempre.
Certo, poi fanno di tutto per ammazzarsi a vicenda, ma iniziare gli Hunger Games facendo parte del gruppo dei Favoriti ti da un certo vantaggio.
—Siete tributi speciali voi— mi risponde Mags —non vogliamo correre rischi inutili— conclude con un piccolo sorriso.
Esattamente la stessa cosa che pensavo io, allearsi con i Favoriti ti può facilitare all’inizio, ma comunque vada solo uno torna a casa e loro non si faranno di certo degli scrupoli a farti fuori.
A mio parere se io e Lian vogliamo rimanere in vita più a lungo possibile è bene per noi mantenersi lontani da qualsiasi altro tributo, fortunatamente anche i nostri mentori sembrano pensarla allo stesso modo.
—Meglio così— risponde Lian.
Niente alleati dunque, apparte noi naturalmente.
Dopo qualche altra rapida spiegazione su cosa ci aspetta all’allenamento io ed il mio migliore amico dobbiamo alzarci, manca poco più di mezz’ora alle dieci e dobbiamo ancora cambiarci.
Io e Lian camminiamo lenti verso le nostre camere, Finnick ci segue per farci le ultime raccomandazioni.
—Mi raccomando state sempre insieme e siate affiatati e sicuri di voi stessi, ed allo stesso tempo non comportatevi come amichetti inseparabili, i sentimenti non sono permessi nell’arena, quindi siate...— comincia Finnick.
—Sì, abbiamo capito. Alleti ma non amici— lo interrompo io —non siamo stupidi— concludo infilandomi in camera mia.
Mi butto rassegnata sul letto.
In questi ultimi tempi sto trattando Finnick malissimo, non che lui si impegni molto per impedirmelo.
La situazione si sta facendo veramente insostenibile, ma suppongo che tra qualche giorno si sistemerà tutto, probabilmete sarò morta.
Mi alzo pigramente ed infilo nel bagno, mi lavo i denti, fermo i capelli in una pomposa crocchia e poi indosso la tuta per l’allenamento.
Quando mi decido ad uscire trovo nel salone centrale Lian e Cloude già pronti per scendere al Centro di Addestramento.
—Sei pronta?— mi sussurra il mio amico mentre ci spostiamo —vediamo di fare un buon lavoro come alleati, ho la sensazione che se non ci riusciamo Finnick potrebbe uccidermi con le sue stesse mani—  conclude divertito.
Non rispondo, non ne trovo il coraggio.
Lian non ha la minima idea di come le sue parole mi possano sembrare tristemente possibili, così mi limito a stringere leggermente la sua mano un istante prima che le porte dell’ascensore si chiudano alle nostre spalle.
Il viaggio è breve, fin troppo per i miei gusti, appena metto piede nella sala mi si gela il sangue per la tensione che vi aleggia: almeno la metà dei tributi sono già presenti ed in questo momento stanno tutti fissando nella mia direzione.
L’uomo che mi si para davanti mi fa sobbalzare da quanto sono nervosa, lui non fa altro che attaccare alla mia schiena un foglietto con su scritto il numero 4, fa lo stesso con il mio compagno.
Io e Lian raggiungiamo titubanti gli altri tributi e mi rendo conto che è un male essere scesi così presto, finchè non arriveranno tutti non potremo iniziare l’allenamento, ma saremo costretti a stare qui immobili a fissarci gli uni con gli altri, ed è quello che faccio, osservo guardinga i miei avversari. 
I favoriti sono già tutti qui: entrambi i tributi dell’uno, il ragazzo sarà alto quasi due metri e la ragazza ha uno sguardo talmente severo che mi fa gelare il sangue, poi c’è il tributo maschio del Distretto 2, minuto dai cortissimi capelli biondi e due occhi di tonalità più fredda del ghiaccio.
Nello stesso istante in cui il mio sguardo cade su di lui il suo si sposta nella mia direzione, rabbrividisco per un istante, poi mi ricordo delle parole di Finnick e assumo un comportamento più appropriato: rilasso il corpo e cerco di sembrare impassibile, nessuno dei due abbassa lo sguardo.
—Nessuno ti ha insegnato che è maleducazione fissare le pesone?— mi sorprende Lian alle spalle.
—Io non stavo fissando proprio nessuno— scatto io —stavo semplicemente studiando la situazione— mi giustifico.
Lian sorride scuotendo leggermente il capo.
Per la prima volta sono grata che ci sia lui al mio fianco, senza probabilmente sarei già scappata a rintanarmi in qualche angolo.
Nei seguenti dieci minuti la sala si riempie velocemente, i nostri avversari prendono posto, loro mi osservano ed io faccio lo stesso, sono severa ed impassibile, più spavalda del mio solito.
Dopo una breve spiegazione di quello che faremo  in questi giorni di preparazione i tributi sciamano ognuno verso la postazione che preferiscono, io cerco il mio alleato.
—Cosa facciamo?— chiedo a Lian.
—Per prima cosa andiamo a studiare qualche pianta commestibile— propone lui —sai nel nostro Distretto abbiamo una flora molto specifica— conclude scimmiottando Finnick.
Io non posso far a meno di sorridere.
Lavoriamo silenziosi, cerchiamo di assimilare più informazioni possibili, ma io non ci riesco, non posso fare a meno di buttare l’occhio sui miei avversari, cerco di studiarli il più affondo possibilie, ma quando vedo la ragazza del 10 decapitare senza esitazione un manichino sobbalzo per lo spavento.
Lian mi distrae tempestivo.
—Che bacche sono queste?— mi interroga mostrandomi l’immagine di piccoli frutti neri.
—Non ne ho la più pallida idea— rispondo sinceramente, ancora con il cuore in gola.
—Le mangeresti?— domanda.
Esito qualche istante, poi annuisco.
—Brutta stupida, sono velenose! Non ti devi azzardare neanche a toccarle!— mi rimprovera lui con voce decisa.
Per qualche assurdo motivo mi ritrovo a scusarmi per poi concentrarmi esclusivamente su una pianta con proprietà curative, Lian scuote rassegnato la testa.
—Perché non mi hai detto prima di Alyssa?— domando io all’improvviso.
Un mese, un mese è passato prima che lo venissi a sapere, non nego che mi abbia dato un certo fastidio.
—Volevo esserne del tutto certo— risponde lui semplicemente —e poi, sai come sono fatto io, tendo a tenere le cose nascoste— conclude in un sorriso.
—Come ad esempio il tuo nome?— rido io.
—Come il mio nome— ripete divertito.
Ripenso al momento in cui l’ho scoperto, dieci anni che lo conosco e so come si chiama realmente soltanto da pochi mesi.
Il mio sguardo abbandona una strana foglia per spostarsi su Lian, sta sorridendo, è felice, sta quasi sicuramente pensando a lei.
—Ti piace veramente tanto, vero?— chiedo.
Lui annuisce leggermente imbarazzato.
Mi si ferma per un attimo il respiro prendendo per la prima volta consapevolezza di ciò che sta passando Lian in questo momento: ha una famiglia affettuosa, una sorella straordinaria, una fidanzata, amici numerosi. Lian ha tanta gente che lo aspetta a casa, forse più di me, quindi chi sono io per impedirgli di riabbracciarli? Per mettere la mia salvezza sopra la sua?
—Tu invece, come va con Finnick?— chiede Lian all’improvviso.
Io alzo lo sguardo stupita dalla sua domanda, lascio trascorrere alcuni secondi prima di rispondere.
—Non bene, credo abbia perso il senno della ragione— dico in un sospiro.
—è solo tanto preoccupato, cerca di capirlo— mi suggerisce lui.
—Vorrei, ma non ci riesco— ammetto.
è così, non riesco proprio a sopportare il suo nuovo comportamento, è diventato freddo, distaccato, severo.
Non che il mio sia molto diverso dal suo.
—Mi vuole morto, vero?— domanda Lian.
Mi si ferma il respiro all’udire le sue parole.
L’unica cosa che riesco a fare è scuotere ripetutamente la testa, mi sento in dovere di difendere Finnick in qualche modo.
—Sai, è normale, è suo dovere di mentore— mi dice lui.
Suo dovere di mentore? Penso che per Finnick sia più dovere di fidanzato.
—Mags, lei cosa pensa? Mi vuole morta anche lei— chiedo.
—Non lo ha detto esplicitamente, ma penso di sì. Mi ha ripetuto più di una volta che se voglio vincere tutti e ventitre gli altri tributi devono morire— conclude facendomi vedere l’immagine di un frutto ricco di vitamine.
Annuisco, non so bene a cosa.
Nessuno dei due ha il coraggio di professare altra parola, dopo tutto ciò che è stato detto mi domando come si possa ancora aggiungere altro.
Dopo poco ci spostiamo per studiare alcune tecniche di sopravvivenza, ascoltiamo attenti le parole dell’istruttore, ci aiutiamo a vicenda quando ci è possibile, pranziamo, compatti ma silenziosi, nel pomeriggio decido di maneggiare un coltello, Lian opta per una sciabola, tiro qualche freccia, manco quasi sempre il bersaglio, Lian quasi mai, parliamo, ma solo quando usciamo dall’ascensore diretti verso le nostre camere.
Inizio a pensare che la nostra missione di sembrare alleati sia fallita miseramente, oggi ci siamo comportati più come estranei, mi domando come in questa situazione noi due possiamo comportartci in altro modo.
Infilo pigramente nella doccia, solo lì ho l’occasione di rilassarmi un po’, quando entro nel salone e vengo scossa dagli urletti di Cloude l’incubo ha di nuovo inizio.
Nel giro di qualche secondo vengo bloccata da Constantine che, impaziente, inizia a parlottare di borse e cappelli.
Sorrido cortesemente udendo le sue parole, ma senza capirle mai a pieno, non che sia mia intenzione.
Poi, d’un tratto, qualcuno mi afferra per un braccio.
—Scusa Constantine, ma devo rubarti Annie per un’attimo— dice Lian trascinandomi verso la terrazza.
Una volta arrivati lui lascia la presa della mia mano per poi appoggiarsi pigramente sul bordo del balcone.
Io rimango immobile per qualche istante, disorientata dal magnifico paesaggio che si staglia davanti a me, poi mi abbandono anche io sulla ringhiera poco distante dal mio amico.
—Grazie, per avermi salvato da Constantine— dico semplicemente.
—Dovere— risponde lui ilare voltandosi nella mia direzione.
In un istante, con un semplice sorriso, riottengo tutto ciò di cui ho bisogno in questo momento: il mio migliore amico, quello che mi sembrava di aver allontanato durante la giornata.
Ed una strana sensazione si fa largo dentro di me, una strana sicurezza, la sicurezza di avere al mio fianco il Lian che conosco da una vita, il Lian che ha sempre voglia di scherzare, che in un modo o in un altro riesce sempre ha tirarmi fuori dai guai, il Lian per cui farei qualsiasi cosa.
—Che ne dici— inizio io —oggi sono stata una brava alleata?— chiedo serenamente.
Lui mi studia per qualche istante, poi il suo sguardo si perde nei grattacieli di Capitol City.
—Non rispecchi esattamente i miei critei di alleato ma penso che tutto sommato tu possa andare bene— risponde cercando di rimanere più serio possibile.
—Oh, grazie mille— dico io fingendomi leggermente infastidita.
A quel punto lui scoppia a ridere, faccio lo stesso anche io.
Sto bene, sembra impossibile, ma sto bene, in questo istante è come se tutte le preoccupazioni fossero svanite, scomparse, schiacciate dall’assordante risata di Lian.
—Ed io— inizia lui —sono stato un buon alleato?— domanda ancora sorridente.
—Non potrei immaginarne uno migliore— rispondo nell’immediato, con sincerità.
—Oh, bene—  ride lui —ero seriamente preoccupato che Finnick mi avrebbe strozzato con le sue stesse mani se non ci fossi riuscito—  conclude facendo una strana smorfia con la faccia.
—Non lo permetterei mai, non lo permetterei mai a nessuno— effermo decisa.
—Neanche io permetterò mai a nessuno di farti del male— agginge subito Lian —ti proteggerò sempre Annie, anche quando saremo nell’arena— conclude sorridendomi.
Rimango spiazzata dalla sua affermazione.
Nell’arena? Anche lì?
—Devi pensare a te durante i giochi— scatto io —non ti azzardare a fare qualcosa di stupido, come proteggere me, non devi pensare ai bisogni di nessun’altro se non ai tuoi!— mi accorgo solo ora di stare urlando.
Lian deve sopravvivere, deve tornare a casa, non si può certo permettere di sprecare energie per una smidollata come me.
—Non mi fraintendere Annie— inizia lui —il mio obiettivo è vincere, non ci tengo affatto a morire in uno stupido reality show— cruccia lui la fronte —ma fin quando mi sarà possibile farò di tutto per proteggerti— sorride lui ai grattacieli della capitale.
Vuole vincere, ma vuole anche proteggermi.
—Vale lo stesso per me!— grido.
Ed è vero, voglio più di ogni altra cosa al mondo poter tornare a casa, ma è mia intenzione dare al mio migliore amico la stessa possibilità.
Lian ride, non capisco se ci sia della sofferenza dietro al suo sorriso, nella mia voce c’era.
—Allora abbiamo una strategia— afferma soddisfatto.
Non so bene se essere felice o triste, ma mi sento coraggiosa, stranamente coraggiosa, perché so che Lian è con me e lo sarò anche nell’arena.
Abbiamo un piano, un piano illogico e senza la benchè minima chance di successo, ma ce l’abbiamo e questo è molto più di quanto potessi sperare.
Per quanto possa sembrare improbabile entreremo in quell’arena per vincere, per poter tornare a casa dalle nostre famiglie, dai nostri affetti, entreremo in quell’arena per proteggerci a vicenda, perché nessuno dei due ha intenzione di abbandonare l’altro.
—Abbiamo una strategia— annuisco con decisione.
In questo istante stiamo sugellando un patto, un patto di fedeltà tra alleati, una patto di consapevolezza tra avversari, un patto d’amore tra amici.
Perché è questo quello che siamo prima di ogni altra cosa, amici, e lo saremo fino alla fine.
—Ora non ti resta altro che dirlo a Finnick— suggerisce Lian.
Dirlo a Finnick.
Dirgli cosa?
Che ho intenzione di proteggere Lian durante una competizione mortale dove solo uno sopravvive?
—Già— la voce mi esce fuori in modo innaturale, in un sospiro.
—Sarà la cosa più semplice di questo mondo— aggiunge lui, in tono beffardo.
Già, la cosa più semplice di questo mondo.





 
 
 
 
 
 
 
 
Eccomi! Sono tornata! :D
Questa volta vi ho fatto aspettare veramente tanto, e mi dispiace...
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto, se vi va lasciatemi una piccola recensione <3
Alla prossima, baci
Light Rain

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