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di ScratchThePage
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Osservatore(Parte I) ***
Capitolo 2: *** L'Osservatore(Parte II) ***
Capitolo 3: *** Gli Altheir (Parte I) ***
Capitolo 4: *** Gli Altheir (Parte II) ***



Capitolo 1
*** L'Osservatore(Parte I) ***


Avviso ai lettori: questa storia è nata da un pessimo connubio tra lo studio assiduo di storia e la lettura forse un po’ troppo accanita del “Trono di Spade”. Quindi, molto probabilmente, non sarà una botta di originalità, ma avevo lo stesso voglia di pubblicarla qua.
P.S.: credo che sarà la palese dimostrazione che leggere certe cose fa male.
P.P.S.: mi sto riferendo ai libri di storia, ovviamente.                                            
 
 
                                             L’Osservatore
 
La mensa era gremita di sacerdoti, tutti intenti a consumare il loro pasto. Una lunghissima tavola li accoglieva e, in fondo alla stanza, una monumentale statua di Gleigos, il Dio della Sapienza e della Mente, li stava osservando. Era forgiata interamente in ferro e, nonostante fosse molto semplice rispetto a quella del tempio, aveva una sua solennità. L’unica parte che si differenziava erano gli occhi, due lucenti rubini accuratamente lavorati.
Durante i pasti era vietato parlare, ma quella sala era ugualmente invasa da un caos tremendo: cucchiai che sbattevano contro i piatti, bicchieri che venivano appoggiati con più o meno cura sul tavolo, sorseggi fastidiosi della minestra da parte dei sacerdoti più anziani e vari colpi di tosse riecheggiavano disarmonicamente nella stanza. A questi rumori, però, se ne aggiunse un altro poco consono al luogo:”Ehi Rehar”, sussurrò Leika, una giovane sacerdotessa, al ragazzo di fronte a lei.
Questo sembrò non sentirla: si spostò tranquillamente una ciocca ribelle di capelli neri che gli era ricaduta sul viso e continuò a mangiare, come se non fosse successo niente.
“Rehar!” continuò a chiamare la ragazza, ma non ottenne di nuovo una risposta. Fece una smorfia. Detestava tutta quella confusione: se almeno ci fosse stato più silenzio sarebbe riuscita a farsi sentire, anche se sussurrava; mentre così, se voleva attirare l’attenzione di Rehar, doveva urlare. In quel modo, però, avrebbe fatto capire a tutti che aveva rotto il divieto di parlare. Decise di non arrendersi e prese delle molliche di pane. Le lanciò contro il ragazzo che finalmente alzò gli occhi dal piatto.
“Chi mi ha tirato il pane?!”sbraitò scattando in piedi. Il movimento scosse bruscamente la sua tunica giallo chiaro e bordata di oro, assieme al drappo bianco tempestato di piccole pietre rosse. Tutti i sacerdoti si girarono a guardarlo, facendo sprofondare la sala in un cupo silenzio.
“S..scusatemi…” disse imbarazzato il ragazzo, prima di sedersi nuovamente al suo posto.
Il resto dei presenti riprese il pasto, allibito da questi giovani cadetti che non rispettavano le regole.
Intanto Rehar afferrò una brocca e, mentre si stava versando l’acqua, ancora pieno di vergogna, incrociò i due occhi azzurri e vivaci di Leika. Capì immediatamente tutto.
“Maledetta” sibilò tra i denti, consapevole che non l’avrebbe potuto sentire, dato che il baccano di prima era ricominciato. Stava per porgere nuovamente lo sguardo sul piatto, quando la ragazza cercò di attirare la sua attenzione agitando la mano.Allora non voleva solo farmi fare una brutta figura.
Leika, all’interno dell’ordine dei Sapienti di Altheira, era molto famosa per le sue bricconate, grazie alle quali finiva spesso in penitenza. Non aveva mai avuto cattive intenzioni, voleva semplicemente divertirsi. Infatti aveva passato tutta la sua vita per le strade di Heiress, una città poco distante dalla capitale, fino  al giorno in cui erano morti i suoi genitori. I parenti che l’avevano accolta avevano fin troppe bocche da sfamare e avevano deciso di mandarla dai Sapienti, perché diventasse una sacerdotessa. Avrebbe avuto vitto e alloggio sicuri per il resto della sua vita e non sarebbe mai vissuta in povertà. Certo, non avrebbe mai potuto sposarsi e generare dei figli e avrebbe dedicato tutta la sua esistenza al culto di Gleigos, ma almeno non sarebbe morta di fame. Così il suo mondo era crollato da un giorno all’altro e si era ritrovata a indossare la tunica dei sacerdoti e a tenere i suoi capelli biondo chiaro lunghi fin sotto i lobi delle orecchie. Quella era stata la regola che aveva detestato sin dal primo momento: Leika li aveva sempre tenuti molto lunghi e non l’era mai piaciuto tagliarli; ma a tutti i Sapienti veniva imposto di non tenerli  più lunghi di Gleigos, cioè fino all’inizio del collo.
“E chi vi ha detto che li aveva così lunghi? Vi basate solo su delle raffigurazioni e su delle statue!” aveva detto un giorno la ragazza per protestare l’ennesimo taglio dei capelli. Alla fine non aveva ottenuto niente, se non un’ulteriore penitenza.
Le altre regole iniziò ad odiarle con il tempo: pregare assieme tre volte al giorno e altre tre individualmente; il divieto assoluto di lasciare la Casa dei Sapienti ( un insieme di edifici, tempio compreso, circondati da un giardino) a meno che non si ricevesse un permesso dal maggior Sacerdote; il coprifuoco dalle prime due ore dopo il tramonto e, soprattutto, dover studiare tutta la mattina per potersi avvicinare sempre di più al livello di Sapienza Suprema, in modo da poter acquistare completamente tutto ciò che Gleigos aveva donato loro, e per sfruttarlo al meglio.
Non aveva mai sopportato quella vita monotona e piena di restrizioni e, così, aveva deciso di portare là dentro l’allegria che aveva accompagnato i suoi giorni a Heiress, prima di trasferirsi a Grav Gleigosireness, la capitale. I suoi sforzi erano stati abbastanza vani, ma almeno aveva imparato tutti gli inni del Dio della Sapienza e della Mente prima degli altri novizi, dato che era obbligata a ripeterli svariate volte durante la penitenza. Leika doveva ringraziare solo una persona se, in quei tre anni che aveva passato là dentro, si era quali abituata a quella vita. Qualche volta, però, continuava a fare scherzi o tentava una visita clandestina alla città.
“Che c’è?” comunicò Rehar con un gesto.
“E’ vero che Milos è stato scelto come Osservatore?” disse Leika, incurante dell’obbligo di silenzio.
L’altro tese un orecchio, per farle capire che non aveva sentito nulla.
“E’ vero che Milos è stato scelto come Osservatore?” Aveva alzato la voce e Rehar ora sapeva benissimo che qualcuno l’avrebbe seguito nella penitenza che lui avrebbe subito dopo. Si appoggiò la mano sulla fronte, in segno di disperazione, ma sotto sotto era contento di averle ritornato il favore.
“E allora? Tanto la punizione te la prendi lo stesso, anche se non mi rispondi!”
“Shhhh!” sibilo un vecchio al fianco di Leika. Il ragazzo lo indicò alla sua interlocutrice, come per farle ricordare la regola che vigeva in quel momento.
“Oh, ma andiamo! Non mi serve l’ammonimento del vecchio Pergos per ricordarmi che cosa devo fare. E poi sai che fa spesso tanto baccano per nulla.”
Il vecchio la guardò sconvolto.
Brava Leika, ora hai appena acquistato una seconda penitenza. Pensò Rehar. Stava per riprendere a mangiare la minestra, ormai fredda, ma la ragazza non volle cedere:” Rehar, sei sordo? Hai già infranto il divieto e la punizione l’hai ottenuta. Se parli ancora non ti lapidano.”
Avrebbe voluto spiegarle che era tutta una questione di rispetto delle regole e di dimostrare che quello di prima era stato solo un incidente, ma sapeva benissimo che avrebbe solo sprecato parole.
Il vecchi Pergos sibilò di nuovo, ma lui decise di risponderle, altrimenti quella storia sarebbe andata avanti ancora a lungo. Aprì la bocca ma non riuscì a dire niente: la piccola campana, posta sopra la statua di Gleigos, iniziò a suonare e tutti i monaci si alzarono in piedi e iniziarono a cantare un inno al loro Dio, per ringraziarlo di quel cibo. Intanto dei servi portarono vari piatti ripieni di arrosto di maiale, accompagnati da altri che presero i piatti di minestra più o meno vuoti. Accidenti, per colpa di Leika non ho finito la minestra. Pensò, mentre si rimise a sedere insieme agli altri sacerdoti. Prese con le posate un po’ di carne dal piatto posto in centro alla tavola e lo mise nel suo. Alzò lo sguardo ed incontrò nuovamente gli occhi di Leika, ansiosa di una risposta. Rehar sospirò e decise di dargliela: “Sì”
La ragazza non riuscì a trattenere un risolino.
“Shhh!” ripete il vecchio Pergos.
“Ed è per questo che non è qua? Si sta preparando?” Aveva nuovamente ignorato l’ammonimento dell’anziano al suo fianco.
Il ragazzo scosse la testa, mentre stava masticando un boccone di carne.
“E allora dov’è?”
Rehar si guardò attorno e si mise le mani a fianco alla bocca.
“Tempio. Pregare” disse velocemente, sperando che solo Leika lo avesse sentito. Riprese a mangiare, sperando di avere placato tutte le curiosità della ragazza, ma si dovette ben presto ricredere.
“Al tempio a pregare? Ma cosa può farci una persona, nominata Osservatore, in un tempio a pregare?! E’ assurdo!”
“Shhh!” sibilarono all’unisono tutti i sacerdoti nei paraggi.
Rehar fece cenno a Leika che ne avrebbero riparlato dopo e, finalmente, questa riprese a mangiare.

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Capitolo 2
*** L'Osservatore(Parte II) ***


La sala centrale del tempio era illuminata solo da un lieve raggio di sole, che colpiva l’enorme statua di Gleigos, posta al centro della stanza. I suoi capelli ondulati e il suo pizzo dorati rilucevano sotto quella piccola luce, assieme al resto del corpo, forgiato in oro bianco. I rubini principe che costernavano il drappo e che costituivano l’iride brillavano di un color sanguigno, che rendeva l’ambiente ancora più tetro. Dell’incenso stava bruciando al centro di ogni serie di divanetti  posti a cerchio, che riempivano gran parte della stanza. Di solito venivano utilizzati per le preghiere di gruppo, mentre per quelle individuali delle piccole panche poste sotto l’altare. Di norma i sacerdoti entravano nel tempio tre volte al giorno, per la recitazione collettiva delle preghiere rivolte al Dio, ma non erano da escludere visite in orari poco consueti.
Infatti, una figura maschile era inginocchiata al cospetto della statua, intenta a cantare sottovoce un inno a Gleigos. Era da solo e, sicuramente, aveva scelto l’orario di pranzo, per quella visita al tempio, perché nessuno lo sentisse.
“A te, grande e onnipotente Gleigos”, proferì ad un certo punto,” che assieme ai tuoi fratelli hai creato il nostro mondo e che hai donato a noi, banali esseri umani, la facoltà di pensare e di apprendere, a te e solo a te io sono stato sempre molto devoto” disse alzando gli occhi verso la statua. Soffermò lo sguardo sulla piccola fiammella che brillava sopra il globo tenuto in mano dal Dio. Il globo, simbolo di equilibrio… equilibrio, proprio quello che mi servirebbe adesso. Pensò, prima di riprendere a parlare:” Non ho mai utilizzato il tuo dono in maniera errata, ti ho sempre ringraziato per ogni nuova scoperta, ho sempre partecipato ad ogni tuo singolo rito, ho sempre rispettato le regole dei Sapienti e, quindi, mi sembra lecita una domanda”, disse passandosi la mano nei suoi corti capelli castani,” Perché mi hai fatto questo?!”, urlò scattando in piedi,”Sono sempre stato un Sapiente devoto… ho sempre aiutato le persone, soprattutto i giovani… ne ho avvicinato molti al tuo culto”, l’uomo stava iniziando a camminare avanti e indietro, senza smettere di gesticolare,”Certo, forse la mia entrata nell’ordine dei sapienti non ha avuto delle motivazioni molto pie, ma…”, si interruppe per un istante, per poi crollare sulle ginocchia,” questo no, NO! E’ troppo… TROPPO! Non sono un santo, lo ammetto, ma non mi sembra di aver commesso tali peccati”, ormai stata abbracciando in piedistallo della statua, in segno di disperazione,” e se ne ho commessi ti chiedo umilmente perdono. Sono disposto a fare tutto, ma non questo… NON QUESTO! Sono disposto anche a chiudermi a vita nella mia cella a costo che tu scelga qualcun’ altro”, stava iniziando a singhiozzare, consapevole che c’era ben poco da fare,” ti prego, ti prego, non mandarmi in quei covi di pazzi, ti prego. Io ci tengo alla mia vita e anche alla mia sanità mentale…”
“Milos?” Quella vocina stupita gli fece sciogliere l’abbraccio con il piedistallo della statua. Si rimise immediatamente in piedi e si sistemò la tunica, cercando di apparire in ordine. Si voltò e incrociò gli sguardi increduli e allibiti di Leika e di Rehar.
“Cosa stai facendo?” chiese la ragazza.
“Niente di che…ecco… stavo pregando, no?” disse accarezzandosi il pizzetto.
“Pregavi? A me quello sembrava più un lamento.” Continuò la bionda.
“Dipende dai punti di vista.”
Milos era più che imbarazzato, non solo perché era stato visto durante quel suo atto così pietoso (cosa alquanto deplorevole per il suo status di uomo equilibrato, calmo e saggio), ma anche perché le persone che lo avevano colto in quel gesto così disperato erano due dei ragazzi che lui aveva salvato dal tunnel dell’infelicità.
“Ma non sei stato nominato Osservatore?” chiese Leika.
“Infatti…” rispose a denti stretti il sacerdote. La ragazza lo guardò stupita.
“Co…cosa intendi con quel”infatti”” balbettò incredula.
“Cara Leika”, disse Milos, avvicinandosi ai due ragazzi,” tu sai cosa vuol dire essere Osservatore?”
“Certo, e so anche che è un grande onore, solo che… tu mi sembri alquanto disperato e impaurito e non ne capisco la ragione.”
“Anch’io sarei impaurito!”, esclamò Rehar,” ho sentito che c’è una famiglia che adora l’esposizione, e non solo per i neonati! L’ultima volta hanno esposto un uomo alle intemperie della foresta solo perché aveva rubato una gallina al vicino! E che dire di quelli che credono a Grram? Non aspetterebbero a spezzarti l’osso del collo se ciò viene richiesto dal loro Dio. E per non parlare di…”
“Grazie Rehar ma… non mi sei molto di aiuto.”
Il ragazzo abbassò immediatamente gli occhi, imbarazzato per quel suo discorso. Milos sospirò: ora era sicuro che un salto giù dal ponte del giardino sarebbe stato meno indolore.
“Scusa Milos, ma perché non hanno nominato Neev Osservatore?” chiese Leika.
L’uomo sorrise:già. Perché non avevano nominato Neev Osservatore? Si era posto questa domanda un’infinità di volte e, infine, era giunto ad un’unica conclusione.
“Perché fa parte della famiglia Altheir. Quindi, nonostante conosca bene l’ambiente di corte, non sarebbe mai stato un buon Osservatore: sarebbe stato troppo di parte.”
“Ah..” rispose la ragazza. Maledizione a Neev! Mi sarebbe utile in questo momento!, pensò Milos, mi potrebbe dare dei buoni consigli su ciò che mi dovrò aspettare dagli Altheir e dalle altre famiglie ma, guarda caso, problemi urgenti lo occupano a corte!
“Ma Neev non è anche il sacerdote privato della sua famiglia?” domandò Rehar.
“Non ricordarmelo…” sibilò l’uomo, ancora adirato con il collega. Si voltò nuovamente a fissare la statua di Gleigos: sperava ardentemente in un qualche miracolo, ma sapeva benissimo che non sarebbe mai accaduto. Improvvisamente, però, gli sorse un dubbio.
“Rehar, Leika… che cosa ci fate qua? L?ora di pranzo non è ancora finita.”
I due ragazzi si guardarono negli occhi e poi abbassarono lo sguardo, imbarazzati per ciò che stavano per raccontare.
“Grazie a qualcuno, sono riuscito a mangiare solo parte dell’arrosto e della minestra” disse Rehar.
Milos roteò gli occhi, avvilito. Buttati fuori dalla sala da pranzo per l’ennesima volta. Questi due formano una coppia insuperabile.
Leika, la ragazza ribelle e burlona e Rehar, il ragazzo dai facili scatti d’ira. Riusciva ad immaginarsi la scena: lui tranquillo che mangiava , lei che inizia a parlottargli qualcosa; lui che cerca di farla stare zitta, lei che continua; lui che sbraita, stufo, lei che inizia a ridere e i sacerdoti, alquanto arrabbiati, che li cacciano fuori.
Sospirò nuovamente: aveva fatto di tutto per metterli in riga, ma alla fine i loro caratteri avevano prevalso. Certo, c’erano stati dei miglioramenti, soprattutto in Rehar, ma nessuno dei due si era adeguato all’Ordine. Sorrise, ripensando ai primi anni del ragazzo tra i Sapienti: piangeva e urlava in continuazione, chiedendo di ritornare dai suoi genitori. Inoltre sbraitava contro chiunque lo offendesse o lo rimproverasse. A causa della sua condotta si era ritrovato sotto la tutela di Milos, che era riuscito a calmarlo, anche se non del tutto.
“Quante volte vi ho ripetuto che bisogna stare in silenzio in mensa?”
“Tante” risposero in coro i due ragazzi, come se fossero ancora due bambini.
“Sapete benissimo che è una questione di principio, dato che…”
“… le regole sono fatte per essere rispettate, soprattutto quelle che ha dettato Gleigos” conclusero la frase. Milos annuì per confermare quella loro risposta.
“Bene, visto che sapete cosa bisogna fare con le regole, saprete benissimo anche cosa bisogna fare quando le si infrangono…”
I due ragazzi lo guardarono desolati, sapendo benissimo la risposta a quella domanda.
“Felice della vostra constatazione. Vi faccio un’offerta:iniziamo adesso la vostra penitenza, così sarete liberi prima” disse, avviandosi fuori dalla sala del tempio. Rehar lo seguì immediatamente, tenendo lo sguardo fisso a terra. Leika rimase un po’ ferma nella sala centrale del tempio, ma poi raggiunse gli altri due sbuffando. Arrivò vicino a Milos e, allegramente, gli chiese:”Milos, preferiresti badare a dieci ragazzi come me o fare l’Osservatore?”
“Badare a dieci ragazzi come te, e non credo che cambierò facilmente idea” rispose prontamente l’uomo, prima di uscire nel giardino dell’Ordine, seguito dai due ragazzi. 

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Capitolo 3
*** Gli Altheir (Parte I) ***


Gli Altheir
 
La ruota del carro si scontrò per l’ennesima volta con un sasso. Il mezzo di legno sobbalzò, facendo uscire qualche piccola goccia di vino dalle otri che trasportava. No, no… il vino non mi deve rovinare i resoconti degli altri Osservatori…pensò Milos mentre cercava di togliere via una chiazza di quel liquore dalla pagina che stava leggendo. Ogni tentativo fu inutile e servì solo a far allargare quella chiazza bordeaux.
“Fantastico…” sussurrò. Non solo era stato costretto a farsi trasportare alla reggia in un carretto di legno che sembrava in procinto di rompersi non appena incrociava qualcosa sulla sua strada, ma doveva stare anche in mezzo a degli otri stracolmi di vino.
Si guardò la veste: il suo abito da sacerdote di Gleigos era ridotto a un insieme di macchiette scure che deturpavano il giallo chiaro originario.
“Doppiamente fantastico.” disse con un tono più alto.
“Tutto a posto Milos?” chiese l’uomo che guidava il carro. Era molto tozzo e grosso, ma anche più basso della media. Se una persona l’avesse incrociato per strada non avrebbe mai pensato che fosse affascinante, soprattutto quando avrebbe visto il capo quasi completamente calvo. Indossava una tunica simile a quella di Milos solo interamente rossa.
“Tranquillo Neev, ho solo un paio di otri di vino che mi comprimono il corpo e che mi stanno colorando vivacemente gli abiti.”
“Mi dispiace se non sono riuscito a trovarti un passaggio migliore ma…sai… in questo momento le mia famiglia è molto impegnata e… questo è tutto ciò che siamo riusciti a trovare.” spiegò il sacerdote.
“Certo…” Continuò a sfogliare il libro che aveva in mano. L’occhio cadde accidentalmente sulla nota:” Ti amputano una mano se rovini la reggia.” Tenne il segno e guardò immediatamente chi era stato quell’Osservatore.Gysor di Mesendre, bancario. Gyros, Gyros…viene prima di Pahdra, quindi… Frugò in una delle sue sacche con una mano libera ed estrasse il volume che cercava. Controllò tra i dati degli Altheir e non trovò la stessa nota o una simile. Sospirò: almeno le sue mani erano salve. Rimise il libro al suo posto e continuò a sfogliare l’altro, finché non gli sorse un dubbio.
“Scusami Neev, ma perché le strade sono così piene di sassi se la tua famiglia si preoccupa sempre così tanto che tutte le città siano in perfetto ordine?”
“Ecco… in questo momento c’è un piccolo inconveniente…”, l’aveva colto di sorpresa, lo poteva sentire benissimo dal tono,” e sai, i soldi sono quelli, bisogna utilizzarli con moderazione…”
Grazie mille Neev, ma tutti sanno che la tua famiglia non è un pozzo di altruismo. E non era solo la stessa nota che si ripeteva in tutti gli appunti degli Osservatori, “ utilizzano i capitali solo per se stessi e per abbellire Altheria, non per il popolo”, che glielo aveva fatto capire, ma anche la realtà che lo stava circondando e che lo aveva sempre circondato: gli splendidi palazzi avorio di Graav   Gleigosireness erano più puliti e lucenti che mai, assieme ai vari fregi aurei che ornavano porte, finestre, tetti, colonne, travi, architravi, scalinate, fontane, piedistalli di statue completamente dorate e spesso raffigurante uno dei precedenti capifamiglia, meridiane e, talvolta, anche le pareti. Le strade erano quasi completamente pulite, dato che gli abitanti in una giornata riuscivano a rendere vano il lavoro di un intera nottata dei netturbini. Persino le bancarelle del mercato erano state costruite con lo stesso materiale degli edifici e ornate con motivi basati sulla merce che contenevano. Peccato che questa non era più la stessa delle incisioni orami da moltissimi anni: verdure semi marce e spesso con vermi erano esibite sugli scaffali dei fruttivendoli, pesci evidentemente pescati molti giorni prima su quelli dei pescivendoli, pane che poteva sfidare la durezza dei sassi che incrociavano sul cammino veniva esposto dai panettieri, mentre strane carni, fin troppo piccole per essere di un qualsiasi animale da allevamento, dai macellai.
“Oh Gleigos… mi auguro che quella non sia carne di topo…” disse Milos, ancora esterrefatto da ciò che stava vedendo. Era da tempo che non usciva dall’Ordine dei Sapienti e si era dimenticato com’era dura la vita ad Altheira. Doveva ricordarsi di far apprezzare ai nuovi cadetti tutto ciò che potevano trovare là dentro.
“Mah, io non mi preoccuperei tanto. Questa è quasi una buona situazione per il popolo. Pensa che quando era mio nonno a governare certa gente cercò persino di mangiarsi i vestiti!” fece un piccolo risolino quando finì la frase, cosa che fece irritare Milos ancora di più. Facile parlare per te che sei sempre vissuto nella bambagia!  Tornò ad osservare le persone che erano in strada. Se veramente avevano tentato di mangiarsi i vestiti, avevano trovato ben poco con cui riempire lo stomaco: la maggior parete della gente era vestita con abiti alquanto laceri. Qualche volta si riusciva ad intravedere una persona con addosso qualcosa di intatto, soprattutto se per lui quella era un’occasione speciale. Era risaputo, però, che i mercanti più ricchi della città vivevano in una condizione normale, anche se riuscivano ad ottenere quello status grazie ai loro traffici in nero. Inoltre non si vedevano mai per la città: avevano troppa paura che il popolo li aggredisse per impossessarsi dei loro beni.
Improvvisamente Neev fece fermare il cavallo, facendo fare al carretto una tremenda  frenata. Un’ondata di vino si riversò su Milos, rendendo la sua tunica quasi del tutto bordeaux, e non solo.
“Neev! In nome di Gleigos, sei impazzito a frenare in questo modo? Ora ho tutti gli appunti di Gyros  zuppi di vino!” sbraitò, meravigliandosi di quanto facilmente avesse perso le staffe. Molto probabilmente trovarsi compresso tra otri stracolme di quel liquore, vedere il degrado totale degli abitanti di Geev Gleigosireness e lo splendore dei suoi altissimi palazzi d’avorio e subirsi i commenti del suo collega avevano fatto scattare in lui qualcosa che non era mai scattato dentro le tranquille mura dell’ Ordine dei Sapienti di Altheira.
“Vuoi per caso che investa un bambino?” ribatté l’altro.
Milos appoggiò il libro zuppo di vino su di una sua borsa e iniziò a girarsi verso il conducente. Cercò di non urtare le otri, ma l’impressa era pressoché impossibile: appena ne sfiorava una  questa era pronta a rigurgitargli addosso il suo contenuto. E io che credevo che con questa frenata si fossero svuotate abbastanza. Sospirò vedendo la sua tunica ancora più bordeaux. Si chiese perché l’Ordine non avesse delle otri con dei coperchi ma, quando gli passò per la mente la parola “finanziamenti”, smise di preoccuparsi.
Cercò con lo sguardo il bambino in questione e, quando lo vide, il suo cuore si riempì di una tristezza immensa: aveva le guancie completamente scavate, le bracca talmente magre da intravedere le ossature e una marmaglia di capelli completamente unti e spettinati. Aveva un topo morto tra le mani, ma non sembrava prestargli molta attenzione, almeno non quanta prestava al cavallo che li stava trainando: i suoi occhi esprimevano un tremendo desiderio di vedere quell’animale arrosto e poi all’interno del suo piatto.
“Senti Neev, che ne dici se distribuisco un po’ di torta di heirgut alla gente?”
“Sei impazzito!? Vuoi che ci assalgano come belve fameliche?”, esclamò il sacerdote,” e poi ti ricordo che devo portarti dalla mia famiglia intatto, preferibilmente assieme al sottoscritto!”
Certo, come se alla tua famiglia importasse veramente che arrivi l’Osservatore. Ogni singola famiglia, non appena veniva a sapere che era stato nominato il nuovo Osservatore, cercava in tutti i modi di o ritardare il suo arrivo o di evitarlo in qualsiasi modo. Infatti, se il nuovo eletto vedeva che le segnalazioni precedenti non erano state rimosse, riferiva il tutto al Concilio delle Famiglie, che si teneva alla fine del suo incarico. Piccolo errore che i governanti dovevano pagare con una non tanto piccola quantità di denaro, che successivamente veniva donata al resto dei presenti, in modo che la investano nel modo migliore. O, almeno, questo era quello che dovevano fare teoricamente.
“Spostati moccioso! Devo raggiungere la reggia con l’Osservatore e se continui ad intralciarmi dovrò prendere dei provvedimenti.” Sbraitò Neev alzando un pugno.
Il bambino obbedì e,  sconsolato, si avviò verso il bordo della strada con il topo in mano.
“Neev, questo non è un comportamento da Sapiente, noi dobbiamo essere clementi  e ragionevoli con la gente…”
“…perché Gleigos ci ha donato la sapienza per non essere delle persone prive di senno e violente verso il prossimo. Sì, sì, so benissimo i nostri precetti ma prima raggiungiamo la reggia e prima svolgi il tuo lavoro.”
Quelle parole confermarono i suoi pensieri: per gli Altheir era una spina nel fianco che dovevano togliersi il più presto possibile. Ringraziò che dopo l’assassinio del quarto Osservatore il Concilio Elettore avesse decretato che, se una famiglia avesse tentato alla vita del nuovo eletto, avrebbe ceduto tutti i propri beni alle altre.
Il carretto si rimise in moto e in poco tempo superò il bambino con il topo. Milos decise di non dare ascolto a Neev e, dopo aver aperto la borsa con l’enorme torta di heirgut, ne prese una fetta e la lanciò al piccolo. Gesto che, purtroppo, attirò anche l’attenzione del resto della gente. Fortunatamente si preoccuparono di ottenere solo quel misero pezzo di dolce, avventandosi uno sull’altro, creando un complesso groviglio di braccai e di gambe. Il sacerdote diventò paonazzo e si pentì immediatamente del suo gesto, anche perché il bambino era finito al centro di quella bolgia. Poco dopo, però, un corpicino minuto sbucò da sotto le gambe di un uomo e scattò via da quella folla affamata con il pezzo di torta in mano. Milos sospirò, sollevato che almeno lui non si era fatto niente. Prese un altro libro dalla sacca dove aveva appoggiato l’altro. Sulla copertina, con caratteri dorati, si poteva leggere “Milos di Kadress, sacerdote dei Sapienti di Altheira.” Lo aprì ed impugnò la penna che era posta al suo interno. Non esitò a scrivere la prima nota. Famiglia Altheir: utilizzano i capitali solo per se stessi e per abbellire Altheria, non per il popolo. Come da tradizione. Si guardò ancora attornoe dopo aver rivisto le condizioni del popolo, prese la sua decisione. Tradizione che io farò finire, costi quel che costi!      

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Capitolo 4
*** Gli Altheir (Parte II) ***


Avevano imboccato la salita che portava al palazzo da parecchio tempo. Milos era rimasto esterrefatto da quanto fosse lunga: certo, tutti sapevano che il colle della reggia era alto, ma lui non avrebbe mai pensato così tanto! Era sicuro di aver visto appena metà delle statue degli antenati degli Altheir attuali, che torreggiavano su di lui dai lati della strada. Era uno spettacolo un po’inquietante, dato che le sculture auree erano colossali e ti fissavano con loro autorevoli occhi di rubino. Aveva cercato di sfuggire a quella visuale guardando il paesaggio della capitale, che sarebbe dovuta apparire in tutta la sua maestosità alla sua sinistra… se solo non ci fossero state delle gigantesche guglie d’avorio alternate alle statue.
Decise di continuare a leggere gli appunti degli altri Osservatori. Fortunatamente, oltre all’antica usanza di amputare le mani, non aveva trovato nient’altro di pericoloso, solo qualche innocua cena a base di alimenti non ben specificati e preparata solo e solamente per l’ospite. Aveva anche visto una nota che parlava di un certo allevamento di coccodrilli, ma era sparita dopo tre Osservatori.
Improvvisamente una voce interruppe le sue letture:”Sua sacralità è pregato di fermarsi.”
Milos si girò e tirò un sospiro di sollievo quando vide che erano arrivati alla fine di quella salita interminabile: ora a dividerli dall’entrata del palazzo c’era solo un enorme cancello dorato ricolmo di figure di libri e di piccoli globi e due guardie. Una si era avvicinata al carretto producendo un certo rumore con la sua armatura color avorio. Un lungo mantello rosso gli sventolava dietro le spalle, mentre con la mano destra teneva una lunga lancia appuntita.
“E perché mai?” chiese Neev, molto probabilmente stupito da quell’ordine.
“Sul carretto state trasportando un estraneo e preferirei accertarmi di persona che non sia un malvivente.”
“E’ l’Osservatore idiota. Se no sbaglio eravate state avvisati del suo arrivo.”
A quelle parole la faccia della guardia diventò più bianca della sua armatura. Questo non è un buon segno. Pensò Milos, soprattutto quando l’uomo si avvicinò a Neev e gli sussurrò qualcosa all’orecchio.
“Cooosa?!”, gridò il sacerdote quando l’altro finì di parlare,”Stai scherzando, spero.”
La guardia scosse sconsolata la testa.
“Neev, cos’è successo?” domandò Milos, sicuro di aver di fronte il primo problema di tutti quelli che avrebbe incontrato durante il suo soggiorno.
“Niente di cui devi preoccuparti solo… un contrattempo.” Gli rispose con fare sbrigativo il suo collega, prima di ordinare ai due uomini di aprire il cancello.
Questi obbedirono e poco dopo Neev fece ripartire il carretto.
“Me ne occupo io.” Disse quando passò davanti alla guardia, facendo venire un brivido lungo la schiena di Milos. La situazione inizia a non piacermi…c’è qualcosa di strano nell’aria.
Arrivarono al centro di un immenso piazzale circondato da siepi piene di fiori rossi e a strapiombo sulla città. Al centro c’era l’ennesima statua colossale, solo che questa era decisamente più antica di tutte le altre.
“Gleigodana” disse Milos, continuando ad ammirare la precisione con cui era stata scolpita: sembrava quasi una persona tramutata in oro e poi issata su quel piedistallo.
“Già, il capostipite della famiglia degli Altheir. Primogenito del grande Gleigos.” Confermò Neev facendo frenare il carretto.
“Secondo le antiche leggende, però, è il secondogenito.”
Il sacerdote con la tunica rossa si girò verso il suo collega e, dopo avergli lanciato un’occhiataccia gli sibilò:”Ma da che parte stai? Se non sbaglio sei nato anche tu ad Altheira.”
Milos non riuscì a trattenere un sorriso: sin dall’inizio della nascita delle famiglie gli Altheir, i Savahl e i Virbero, le tre stirpi discendenti dal Dio della Sapienza e della Mente, si contendevano la primigenia del loro capostipite, anche se le antiche leggende spiegavano chiaramente qual’era l’ordine di nascita.
Questo fatto, però, non era estraneo alle altre famiglie con un dio in comune: ognuna voleva dimostrare di essere più importante dell’altra e non accettava l’idea di discendere da qualcuno che non fosse il primogenito. Fortunatamente non c’erano mai state delle guerre per questo motivo, data la distanza che intercorreva tra una famiglia “cugina” e un’altra.
“Certo, solo che io rispetto ciò che dicono le antiche leggende, che siamo riusciti a tramandare solo grazie al dono che ci ha fatto Gleigos…”
“Ho capito, ho capito. Per favore scendi dal carretto che ti accompagno dentro.” Lo interruppe.
Milos obbedì e, riuscendo miracolosamente a non fare fuoriuscire una quantità esagerata di vino, si mise in piedi. Si stiracchiò: aveva tutti gli arti indolenziti e le ossa doloranti. Sembrava quasi che una giornata di meritato riposo potesse fare al caso suo, ma sapeva benissimo che non sarebbe andata così: non appena avrebbe varcato la soglia del palazzo si sarebbe trovato di fronte la famiglia in tutto il suo splendore e avrebbe dovuto subire le presentazioni ufficiali.
Al solo pensiero gli venne un nodo allo stomaco: entrare là dentro avrebbe significato iniziare il suo lavoro da Osservatore e, quindi, doversi subire quell’oziosa e folle vita di corte di cui aveva spesso sentito parlare. Per non parlare del fatto che gli Altheir sarebbero stati molto sbrigativi con il dimostrare che erano migliorati dall’ultima volta.
Prese le sue sacche da carretto e, accidentalmente gettò lo sguardo sulla sua veste: era un fantastico capolavoro di macchie bordeaux ed emanava un terribile tanfo di vino. Sospirò, pensando alla bella figurina che avrebbe fatto presentandosi in quelle condizioni.
Stava per prendere anche la borsa con la torta di heirgut, quando Neev la prese al posto suo.
“Questa la prendo io, ti vedo parecchio in difficoltà.”
Milos lo ringraziò e poi lo seguì verso il palazzo. L’aveva spesso visto da lontano, ma trovarselo davanti era completamente diverso: il portone, smisuratamente alto, era al centro di una facciata d’avorio sottile e slanciata. Era decorato con quattro scene della famiglia Altheir, racchiuse in quattro riquadri dorati. Nel legno rosso erano incisi vari motivi ondeggiati, che in punto terminavano con due maniglie in rubino. Sopra ad esso c’era un architrave dorata e una cornice piena di strane figure dello stesso materiale.  Un piano con una scultura di Gleigos e una di Gleigodana lo sormontava, mentre due altissime torri racchiudevano l’intera facciata. Erano molto sottili ma non tanto da non essere salite. Una finestra triangolare di apriva poco sotto la cupola a cipolla striata di rosso, mentre  due serpenti si attorcigliavano attorno alle due costruzioni, anch’essi rossi. La facciata era a capanna con al centro ben tre rosoni divisi da una lavorazione aurea. La cima era piena di piccole guglie appuntite, come il resto dell’edificio squadrato che si estendeva alle sue spalle.
Inizialmente poteva sembrare un tipico palazzo rettangolare, almeno finché non si apriva in un’enorme quadriportico. Una scia di finestre di diverse dimensione percorreva tutta la superficie di avorio della reggia alternando decorazioni di rubino e d’oro.
Tutti sapevano che gli Altheir avevano un immenso giardino al certo dell’imponente struttura , che era in netto contrasto con l’esterno: una terra brulla e priva di arbusti circondava la zona, molto probabilmente lasciata a morire quando la famiglia aveva capito che, se volevano mantenere in uno stato decente il palazzo, dovevano risparmiare su qualcosa.
Milos, davanti a tutta quella magnificenza, si sentiva ancora più piccolo e indifeso, cosa che non l’avrebbe di certo aiutato ad affrontare i padroni di casa.
“Milos, vuoi restare tutto il giorno ad ammirare il nostro palazzo?”
La voce di Neev lo fece rinvenire dai suoi pensieri. Si avviò verso il gigantesco portone rosso e, dopo che il sacerdote ebbe bussato, attese assieme a lui che venisse aperto.
Aspettarono ben poco: due servi incredibilmente muscolosi spalancarono loro l’entrata. Lanciarono un’occhiata un po’ preoccupata quando videro Milos, ma Neev li tranquillizzò subito:”Non preoccupatevi, è tutto sotto controllo. Portate questa generosa offerta culinaria nelle cucine.”
I due uomini si guardarono un po’perplessi, chiedendosi forse perché entrambi dovevano fare il lavoro di uno solo.
“Ora.” Sibilò il sacerdote in rosso. A quel richiamo i servi si avviarono celermente lungo l’atrio, prima di sparire dalla vista.
Milos entrò dentro  il palazzo e restò subito turbato da una cosa: la famiglia non era là ad aspettarlo. Stava per chiedere una spiegazione a Neev, ma questo intuì subito la sua domanda.
“Come ti ho spiegato prima la mia famiglia ha avuto un contrattempo e, quindi, non può riceverti. Purtroppo il tutto è da rimandare a domani. Ti accompagnerò personalmente nella tua stanza.”, gli spiegò, prima di gettare un’occhiata alle vesti del collega,” in cui mi auguro ti farai un bagno e ti cambierai i vestiti. Però devi aspettare ancora una manciata di minuti. Devo risolvere una cosa.”
Milos cercò di fermarlo, ma invano: il sacerdote si era già avviato lungo l’immenso atrio lasciandolo solo. Sospirò e si guardò attorno: una serie di quadri percorreva tutta la stanza, incorniciati in oro, mente una fila di candelabri ornati con rubini pendeva dal soffitto. Sarei proprio curioso di sapere quanta gente sfamerebbero con tutto questo oro.
Decise di non pensarci troppo e appoggiò le borse a terra: aveva come la netta sensazione che i pochi minuti di Neev potessero essere parecchi. Abbassò lo sguardo e sobbalzò quando incrociò quello di una bambina. Aveva due occhi rosso rubino mentre una cascata di capelli biondo scuro gli ricadeva lungo la schiena. Indossava un’elegante vestitino porpora e avorio, pieno di pizzi che sbucavano da qualsiasi bordura. E questa qua da dove sbuca? Da quello che avevo capito la famiglia era troppo occupata per ricevermi.
“Quindi sei tu.” Disse la piccola, con un tono molto più saggio di quello che avrebbe dovuto avere per la sua età.
Milos la guardò perplesso: quello era sicuramente un modo strano per presentarsi.
“Scusami piccola, ma chi sarei io?” le domandò, sperando di estorcerle qualche informazione su quel “contrattempo” spesso citato da Neev.
“Quello che la mia famiglia non ha tanta voglia di vedere.”
Fantastico, incredibilmente fantastico. Ora so che non sono affatto il benvenuto. Scosse la testa: non voleva pensare a che cosa stesse pensando quella bambina sulle sue vesti e, soprattutto non voleva sapere cosa avrebbe riferito al resto della famiglia.
“Scusi, non volevo demoralizzarla ma… ero curiosa di vedere se l’Osservatore fosse così tremendo come lo descrive mio padre.”
Milos la guardò meglio. Aveva visto l’attuale governante di Altheira solo due volte nella sua vita, cioè quelle due volte che si era degnato di far visita all’Ordine dei Sapienti di Altheira, ma dovette ammettere che gli assomigliava parecchio: gli stessi capelli, lo stesso naso ben proporzionato e lo stesso taglio d’occhi. La caratteristica che, però, la connotava subito come la figlia del governante erano gli occhi: solo i diretti discendenti del capofamiglia avevano quel colore rosso rubino. Infatti Neev, essendo figlio dello zio dell’attuale padrone di casa, non aveva ereditato questo piccolo particolare connotativo. Al perché non aveva voglia di pensarci.
“Come ti chiami piccola?”
“Heir.”
Mente, nome tipico da discendente di una famiglia. Mi chiedo perché hanno sempre così poca fantasia. “E cosa ci fai qui? Ho sentito che la tua famiglia è molto occupata.”
“Volevo conoscerla. Inoltre i preparativi sono molto noiosi.”
I preparativi per che cosa? Avrebbe voluto chiederle, se Heir non gli avesse fatto cenno di abbassarsi. Milos le obbedì e si inginocchiò. La bambina si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò:” Sa io sono speciale.”
Il sacerdote si girò verso di lei e, fingendo di essere sorpreso, le disse:”Davvero, e come mai?”
La risposta la ricevette subito dopo, quando si vide fluttuare una delle sue sacche davanti ai suoi occhi.
Ora Milos era veramente sorpreso. Passò lo sguardo prima sulla sua borsa e poi sulla bambina, che lo stava fissando tranquillamente, per poi tornare alla borsa. Oh Gleigos, oh Gleigos. Questa è una Master…UNA MASTER! 
 Una voce interruppe i suoi pensieri:”Heir, cosa sta succedendo qua?”
La sacca cadde a terra, permettendo al sacerdote di vedere un vecchio che si stava avvicinando su di una sedia fluttuante. Aveva anche lui gli occhi rossi e, molto probabilmente, era il prozio della bambina.
“Oh Gleigos, oh Gleigos…” sussurrò, esterrefatto per ciò che stava vedendo.
“Niente, stavo solo…” cercò di giustificarsi Heir, invano.
“Chi è quello là?” gracchiò l’uomo puntando contro a Milos il suo bastone. Ora era vicinissimo, tanto che il sacerdote avrebbe potuto contare tutte le sue rughe.
Il vecchio inspirò e poi con un tono disgustato disse:”Sai di vino…sei un ubriacone! Come osi avvicinarti a mia nipote?!”
Iniziò anche a picchiare Milos con il suo bastone, nonostante le suppliche di Heir di lascialo in pace. L’Osservatore cercò di parare i colpi meglio che poteva e cercò di spiegare che non era quello che sembrava, ma tutto fu inutile. Fortunatamente un’anima pia gli allontanò l’irruento vecchietto.
“Zio, lascialo stare! Non è un ubriacone, è l’Osservatore!”
Fortunatamente Neev era tornato in tempo.
L’uomo si calmò e, dopo aver borbottato un:”Tanto è lo stesso.” Si allontanò ordinando ad Heir di seguirlo. Questa gli obbedì dopo aver salutato Milos con la mano.
“Scusami, scusami, sono terribilmente desolato… ma zio Ghalla è un po’ burbero…”
“L’ho notato…” gli rispose l’Osservatore con un filo di voce.
Come inizio era stato pessimo e non osava pensare che questo era solo il primo giorno della prima famiglia.
Riprese le sue sacche ma, non appena cercò di infilarsi la seconda, sentì un dolore pazzesco percorrergli tutte le giunture: quel vecchio aveva completato egregiamente il lavoro che aveva già fatto il carretto.
“Da a me le tue borse. Non puoi portarle in queste condizioni.”
  Milos gliele cedette volentieri. Non appena Neev se le caricò addosso, gli fece cenno di seguirlo. IL sacerdote obbedì prontamente, anche se le gambe gli dolevano.
Giunsero a metà del salone, quando decise di fare una domanda al suo collega:”Scusa Neev, ma Heir e zio Ghalla sono…”
“Master? Già. E’ una vera fortuna, oltre che un prestigio averne persino due nella nostra famiglia. Sai com’è, al giorno d’oggi non c’è ne sono così tanti.”
Milos annuì e continuò a seguire Neev.  

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