It doesn't had to end like this.

di Yaeko Nishiara
(/viewuser.php?uid=149811)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Non ci posso credere.

-Stai scherzando vero Sushi...
La ragazza dalla voce cristallina dall'altro capo del telefono rise, anche se non la vedevo potevo immaginarmi le sue lentiggini color carota che si facevano da parte lasciando spazio al suo spensierato sorriso.
-Te lo giuro sul mio gatto!  I Super Junior se ne sono tornati in Corea dopo essere stati a Venezia solo due giorni fa!

Mi vien da piangere.

Ero disperata, i Super Junior non erano tra i miei gruppi preferiti, ma erano pur sempre un gruppo coreano. Spensi la chiamata e mi buttai sconsolata sul letto. Era il mio primo giorno a Venezia dopo un anno, e l'unica notizia con cui venivo accolta era che il giorno prima del mio ritorno i Super Junior se ne erano andati.
Le stesse strade che alcune ore prima loro avevano percorso erano le stesse che nei prossimi giorni mi avrebbero deriso, ricordandomi del mio sbaglio nel rientrare così tardi a Venezia.

Avrei potuto incontrarli...

Affondai il viso nel mio amato cuscino rosa, il cuscino che ne aveva passate di tutti i colori a causa mia, il cuscino che mi aveva accompagnato nella mia crescita, che mi aveva consolato assorbendo le mie lacrime e che aveva soffocato le mie grida, talvolta di gioia talvolta di dolore, e aveva raccolto le mie risate come solo un vero amico avrebbe fatto.
Decisi che non valeva la pena disperarsi e piangere per una cosa del genere - d'altronde il detto dice "Non piangere sul latte versato", giusto? - e rimasi li, inerme, trasmettendo e provando solo vuoto, niente di più, niente di meno.
In realtà ero ancora una novella in fatto di "Korean POPular music" , alias K-POP, ma una cosa era certa, adoravo gli SHINee. Ascoltavo per giornate intere le loro canzoni e quello mi bastava per sentirmi felice. Non conoscevo molto di K-POP perchè in realtà al di fuori degli SHINee non mi interessava altro. Mi bastavano loro.
Presi un bel respiro e, tirato fuori il mio inseparabile mp3 cromato dal primo cassetto del comodino, feci partire "Love like Oxygen" e sprofondai nel mio mondo privato, dove tutto era possibile, anche incontrare gli SHINee.

 
La mattina seguente era un nuovo giorno di una nuova vita per me, ero tornata nella città che più amavo al mondo e la vecchia me era solo un ricordo che con il tempo si sarebbe sbiadito fino a scomparire. L'unica cosa che avrei portato con me - oltre alla maturità derivata dal mio bagaglio di esperienze - sarebbe stato quel mp3 vecchio e malandato che conteneva l'unica cosa capace di farmi sorridere: la libertà, la musica.
Mi alzai presto quella mattina, mi infilai dei calzoncini di jeans e una maglietta senza maniche abbastanza lunga da nascondermi la vita ed i fianchi, uscii di soppiatto senza fare rumore e lasciai sul frigo una nota scritta per i miei zii in cui li avvertivo che non sarei tornata prima di sera. Non si sarebbero preoccupati, era abbastanza normale che io uscissi presto e tornassi tardi, l'importante era non sparire.
L'aria fredda mi colpì in viso. Chiusi gli occhi e presi un respiro profondo.

Questo è il primo respiro della mia libertà.

Riaprii gli occhi e osservai il panorama, la laguna era distante, ma abbastanza vicina per essere distinta nei minimi particolari, era come vedere Venezia in una cartolina. Trattenni il respiro il più possibile, come impaurita di rompere quel magico mattino.

Bello.
 

La prima cosa da fare era la colazione, e la cosa che più amavo mangiare a Venezia era il tramezzino con tonno e cipolline. Solo l'idea mi faceva venire l'acquolina in bocca.
 Affrettai il passo tra le stradine e i ponti di quella incantevole città piena di misteri e fascino, il mio sguardo insaziabile di particolari cercava di scrutare ogni piccolo anfratto e vicolo del percorso che stavo percorrendo, purtroppo il mio stomaco stava avendo la meglio e i miei piedi si erano lanciati in una fuga selvaggia verso il bar con i migliori tramezzini di tutta Venezia.
Arrivai pochi istanti dopo. Il bar era deserto fatta esclusione per il ragazzo che asciugava i bicchieri dietro al bancone. Entrai timidamente ed il ragazzo alzò lo sguardo.
Aveva gli occhi azzurri, chiari, così chiari da sembrare un mare cristallino poco profondo, i capelli castani erano corti e irti, probabilmente arricchiti di gel, i suoi tratti duri lo facevano sembrare più vecchio di quello che i suoi occhi dimostravano. Nonostante tutto mi accolse con un sorriso dolce che mi trasmise fiducia e calore, come aveva fatto poco prima il sole della laguna.
Sorrisi anche io e mi sedetti ad uno dei tavolini vicino alla vetrata che affacciava su un piccolo incrocio di tre canali.
Ordinai il mio tramezzino accompagnato da una bottiglietta d'acqua leggermente frizzante. Non ero una tipa da latte e biscotti, avevo bisogno di consistenza la mattina, o la giornata sarebbe iniziata nel peggiore dei modi.
 

Lo sguardo perso nell'acqua torbida del canale, non sapevo più neanche io cosa stesse pensando il mio cervello, ero come ipnotizzata dalle piccole increspature che si creavano nell'acqua e regolarmente scomparivano. Mi riportò alla realtà il campanello della porta del bar. Qualcuno era entrato. Alzai lo sguardo e trovai qualcosa che, a differenza delle mie aspettative, era più interessante del canale.
Il ragazzo che era entrato era asiatico, una di quelle bellezze asiatiche un po' particolari che se non presti attenzione non puoi capire. L'attenzione era l'ultima cosa che mi mancava. Ero così curiosa del mondo che mi circondava che il mio sguardo non potè staccarsi da quel viso finchè i suoi occhi non incontrarono i miei e io, per evitare l'imbarazzo di essere pescata a fissare uno scnosciuto, distolsi lo sguardo tornando a fissare un punto indefinito nel vetro.
Le mie guance bruciavano. Anche se per poco, il contatto con i suoi occhi mi aveva segnato.
Non erano piatti e senza "animo proprio" come quelli del ragazzo al bancone, o come quelli di quasi tutte le persone che avessi mai incontrato. Erano vivi, posseduti da una luce propria. Guardare direttamente in quel mare che erano i suoi occhi - scuri perchè non se ne poteva vedere il fondo - avrebbe significato abbandonarsi a qualcosa di troppo..

Pericoloso.

Mi infilai in bocca l'ultimo pezzo di tramezzino e senza neanche ingoiarlo pagai e uscii velocemente dal bar per riavventurarmi in quei vicoli d'altri tempi.

 
Mi sono persa.

Esalai un sospiro di sollievo. Finalmente ero riuscita a perdermi.
Con il senso d'orientamento che mi ritrovavo era impossibile perdermi. Avrebbero potuto bendarmi e lasciarmi nel bel mezzo di una foresta e in qualche modo ne sarei uscita, trovando una via per tornare a casa.
Ma come già ho detto Venezia è una città misteriosa e affascinante che ti inebria come il più dolce dei profumi. L'aggettivo "magica" le calza a pennello, come fosse stato creato per lei, poichè è qui, a Venezia, che tutto può accadere.

 
Il sole stava calando, i gabbiani erano segmenti neri  alti nel cielo che piano piano si tingeva di rosa e d'arancio. Ero seduta sulla banchina che affacciava sul Canale della Giudecca, nella zona delle Zattere, gustandomi un gelato. Il cucchiaio di plastica in bocca e gli occhi persi nel cielo seguendo i moti irregolari degli uccelli.
Avevo passato la giornata così, vagando e perdendo la mente nello spazio che mi circondava, memorizzando i piccoli dettagli, quelli che contano ma nessuno nota.
A momenti sarebbe passato l'ultimo vaporetto per il Lido, poi sarebbe calata la notte, come un velo scuro avrebbe coperto le isole ed il mare, portando Venezia ad essere una città luminosa, piena di gioia, ma allo stesso tempo solitaria e macabra.
Sapevo che mi sarei dovuta alzare e dirigermi alla fermata delle Zattere per prendere il vaporetto che da li a minuti sarebbe passato, ma qualcosa mi teneva incollata li sul posto, come se un chiodo invisibile mi avesse bloccato a terra.
Mi voltai a guardare le centinaia di persone sedute ai tavolini del lungo canale delle Zattere. Le scrutai per bene una ad una leggendo le emozioni che prendevano piede sui loro volti. Mi bloccai.
La sensazione di essere osservata era strana. Solitamente ero io a osservare gli altri, passare inosservata e studiare la gente era un mio passatempo, ma rimanevo invisibile a loro. E invece ero li, a fissare i passanti, fissata a mia volta da uno sguardo curioso e irrisorio.
Rabbrividii. Era un brivido strano, non era per il freddo, né per la paura o il disgusto, era una sensazione nuova, quasi di...

Eccitazione.

Mi illuminai come un bambino che riceve un nuovo giocattolo. Quello era un brivido di eccitazione, una nuova sfida si poneva sul mio cammino. Il ragazzo che mi fissava - lo stesso del bar, e che non sembrava aver intenzione di smettere di guardarmi - era interessante, maledettamente interessante. Mi alzai e lui fece lo stesso.
Senza guardarlo mi diressi alla fermata, passai il biglietto elettronico per convalidarlo ed entrai.
Sentivo ancora il suo sguardo come un peso che non ero abituata a portare e sorrisi divertita dalla situazione.
Mi voltai e lo vidi allontanarsi sulla banchina, dal lato opposto al mio, una smorfia divertita dipinta sul suo volto e le mani in tasca, ostentando un portamento elegante.

Sarà una bella sfida.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Era una bella giornata. Nonostante fino a qualche giorno prima avesse piovuto a non finire,  questi primi giorni a Venezia erano stati un successo, il sole splendeva e mi bruciava la pelle, l'odore salmastro del mare inondava l'aria e il vento leggero e caldo mi sferzava il volto con estrema gentilezza. La mia nuova vita sembrava essere iniziata senza pensieri, se non fosse stato per quel ragazzo misterioso che si divertiva a stuzzicarmi. Era raro che trovassi qualcosa interessante, ancora più raro qualcuno, ma quel ragazzo aveva qualcosa di estremamente attraente. Come un fiore per le api.
A differenza delle altre mattine non mi ero svegliata presto. O almeno non mi ero alzata dal letto presto. Mi ero svegliata, ma ero rimasta tra le lenzuola a pensare. Erano passati tre giorni dal tramonto alle Zattere e da quel momento non avevo più visto quel ragazzo. E se la sfida fosse in realtà solo nella mia testa? E se quel sorriso complice fosse stato solo frutto della mia immaginazione?

Mi rigirai ancora un paio di volte nel letto e poi decisi che era tempo di uscire.
Trovai ad accogliermi in cucina una nota dei miei zii:
"Io e tuo zio siamo andati a lavoro, torniamo per le otto, mi raccomando se esci spegni il gas e chiudi a chiave la porta. Torna per le nove massimo. Un bacio e buona giornata."
Accartociai il post it e lo lanciai nel cestino della spazzatura.
-Canestro!- esultai da sola e tornai in camera a cambiarmi.
 

Piazza San Marco era più affollata del solito oggi. Scesa dal vaporetto esaminai per bene la piazza per trovare il posto più adatto dove posizionarsi.
Dopo un po' trovai il posto perfetto, era all'ombra, in un'angolo tra due palazzi, giusto nascosta da alcuni turisti seduti per terra intenti a interpretare la cartina e a dissetarsi in una giornata così calda.
Mi avvicinai, poggiai il mio zainetto a terra e mi sedetti a gambe incrociate, appoggiando la schiena al muro. Tirai fuori il mio mp3 e feci partire "Replay", chiusi gli occhi e mi abbandonai alla musica, cantando le parole che ormai sapevo a memoria, parole che si formavano sulle mie labbra senza fare alcun suono, come un film muto.
Come ogni canzone questa finì e venne immediatamente rimpiazzata da "Ring Ding Dong". Gli occhi ancora chiusi, in estasi per le note e le voci che cantavano solo per me nel mio mondo di musica e libertà.
A metà della canzone venni violentemente riportata alla realtà.
Un paio di mani mi avevano tolto gli auricolari dalle orecchie senza che mi accorgessi di niente.  Senza nemmeno pensarci aprii gli occhi altamente contrariata e urlai: -Yah!
Il ragazzo era accovacciato poco distante da me, con le mie cuffiette in mano e un sorriso impertinente stampato in faccia.
Porsi la mano per fargli capire che rivolevo le mie cuffiette, lui aveva capito benissimo - non era stupido - ma nonostante ciò mi prese la mano e la strinse in segno di saluto. Rise.
- Kwon Ji Yong. Piacere di conoscerti.- disse in perfetto inglese.
Ero scocciata. Mi stai prendendo per il culo?
Lo guardai alzando un sopracciglio e staccai la mano dalla sua stretta.
-Bene.. Know Ji Young.. Mi ridaresti le mie cuffiette?
Lui me le porse  e sorrise di nuovo, un sorriso che non era mai semplice da decifrare, ogni volta aveva un significato diverso ed era facile capirlo dalle sfumatare che prendeva il suo sguardo. Ma probabilmente una persona poco attenta l'avrebbe considerato uguale a ogni sorriso.
-Buona pronuncia. E tu sei...?
Lo ignorai, afferrai le mie cuffiette, lo zainetto e mi allontanai da lui a passo spedito. Naturalmente lui non mi seguì, rimase li a fissarmi con una delle sue smorfie divertite in volto, complice di un gioco di cui nessuno aveva dettato le regole, ma a cui entrambi stavamo partecipando.
 

Kwon Ji Yong...

Quel nome mi rimbombava nella testa. E' coreano giusto?
Aprii il mio zainetto e ne tirai fuori una macchinetta compatta digitale, una di quelle a poco prezzo e con pochi megapixel. A me bastava, era l'essenziale per imprimere le immagini dei miei ricordi su delle fotografie, non mi serviva una macchinetta costosa con troppi obiettivi e difficile da portare in giro.
Fissai il mio sguardo nello schermo della compatta e inquadrai il motivo del mio interesse. A pochi metri, dall'altra parte di un canale che sfociava nel mare aperto, c'era una casa abbandonata che tutti chiamavano la "casa stregata".
Scattai la foto. Più la guardavo più mi sembrava una casa come un'altra, ma forse era perchè, per la prima volta nella mia vita, non stavo badando attenzione a ciò che avevo d'avanti.
La mia mente era distratta, impegnata a ripetere quel nome e a formulare strane congetture su chi potesse essere quel ragazzo e sul perchè mi stesse seguendo. Perchè era abbastanza ovvio che mi stesse seguendo. Se fossero stati incontri casuali l'avrei senz'altro notato sempre io per prima, ma in qualche modo spuntava sempre dal nulla stupendomi e riuscivo a vederlo solo quando lui voleva che lo vedessi.
Per la prima volta mi sentivo messa in difficoltà.

Troppe prime volte in questi pochi giorni..

Riguardai di nuovo la casa.

Una casa come un'altra.

E me ne andai.
 

Dopo aver pensato a lungo decisi che era arrivato il momento per me di scovarlo. Non ero d'accordo nell'essere la preda in questo gioco. Dovevo riuscire a studiarlo anche io, e per farlo dovevo prima trovarlo.
Camminai a passo spedito per le stradine e i ponticelli della città galleggiante e mi ritrovai ben presto nel ghetto.
 

La piazza principale del ghetto era ampia, circondata dai dei palazzetti antichi - come il resto dei palazzetti di Venezia d'altronde - che a loro volta erano costeggiati da vari canali. Il risultato era che questa piazza, seppure molto ampia, era isolata dal resto della città, fatta eccezione per quei pochi ponti che la raggiungevano. La piazza era sempre popolata di gente, vecchi e giovani che si ritrovavano li, seduti sulle panchine all'ombra degli alberi o in piedi a chiacchierare. Inoltre nel bel mezzo della piazza si trovavano tre pozzi, chiusi e inutilizzati ormai da tempo, dove la gente soleva riposare.
Lanciai uno sguardo sulla piazza che conoscevo bene e mi resi immediatamente conto che in una città piccola come Venezia il compito che mi ero prefissa era molto più facile di quanto credessi. L'avevo trovato.
 

Mi dava le spalle, ma, non so come, l'avevo riconosciuto. Il suo portamento piuttosto grottesco e affascinante, i capelli biondi, d'un biondo che pareva bianco, e la corporatura minuta ma mascolina. Mi andai a sedere su una panchina che fortunatamente era rimasta libera e lo osservai da dietro uno degli alberi della piazza.
Era vestito con una maglietta rossa, larga, senza maniche, decorata con alcune stampe bianche sull'addome, e dei jeans che arrivavano poco sotto il ginocchio. Aveva raccolto con delle forcine la frangetta bionda cosicchè non gli coprisse il volto e lasciasse vedere il suo sguardo che era immancabilmente provocante. 
Distolsi lo sguardo dalla sua figura e notai che stava parlando con altri due ragazzi asiatici.
Il primo ragazzo indossava una camicia rossa con fantasia scozzese sopra ad una maglietta blu e a dei jeans di denim scolorito. I capelli corti e scuri, gli occhi sottili ed espressivi e una bocca particolare: nonostante non sorridesse e non fosse divertito le sue labbra erano sempre piegate in un sorriso. Il secondo ragazzo era più alto degli altri due, indossava una maglietta bianca larga senza maniche e dei bermuda color cachi. Anche lui aveva i capelli corti, più lunghi e scuri del secondo ragazzo. Il suo sguardo mi colpì incredibilmente: le sopracciglia folte e dalla forma particolare, insieme al naso longilineo gli conferivano uno sguardo estremamente seducente, che riuscì perfino a mettermi in soggezione.
Ji Yong parlava con calma agli altri due ragazzi che l'ascoltavano in silenzio.
Come se avesse sentito il peso del mio sguardo sulla sua schiena si girò, e feci appena in tempo a nascondermi dietro l'albero. Il battito a mille e le mani sudate, chiusi gli occhi quasi con la convinzione che se io non avessi visto il mondo, il mondo non avrebbe visto me.

Fa che non mi ha visto. Fa che non mi ha visto. Fa che non mi ha visto.

Sentii la sua risata, più vicina di quello che avrei voluto.

E' finita.

Aprii gli occhi e mi ritrovai circondata dai tre ragazzi che avevo osservato fino a poco prima. Il cuore mi andava ancora a mille. Mi aveva beccata. Qualsiasi cosa cercassi di fare rimanevo la preda di quel gioco, che non può niente di fronte al cacciatore.
Stavo perdendo la sfida. Digrignai un poco i denti, irritata. Era la prima volta che perdevo.

Un'altra prima volta di cui avrei fatto volentieri a meno...

-Da quanto tempo!
Lo guardai con disprezzo. La sconfitta bruciava cara. Sul suo viso quel sorriso esuberante e provocatorio che iniziavo ad odiare. Si diverte a umiliarmi eh...

Ormai non era più un gioco, era diventata una lotta contro me stessa e contro quel ragazzo che sembrava essere più furbo di me. Ero competitiva, esageratamente competitiva e lo sapevo perfettamente, ma quel ragazzo aveva lanciato una sfida intangibile, io avevo solo raccolto l'invito.
Si avvicinò di qualche passo fino a che i nostri corpi non furono a poche decine di centimetri l'uno dall'altro.
-Sei venuta per dirmi il tuo nome?

Neanche per sogno!

Si stava divertendo e si vedeva palesemente nei suoi occhi che brillavano più del solito, animati dall'eccitazione della caccia che stava conducendo.
Alzai lo sguardo verso gli altri due che sembravano abbastanza confusi dalla situazione e ritornai a guardare Ji Yong negli occhi. Finalmente mi decisi a parlare.
-Perchè dovrei? Neanche ti conosco.
Mi guardò per pochi istanti e poi scoppiò a ridere. La sua risata era cristallina, da una parte libera ed ingenua come quella di un bambino, dall'altra bassa e prolungata come quella di un adulto. Lo fissai sconcertata, era l'unica persona di cui non potessi prevedere le mosse, neanche in parte. Era frustante, ma da una parte anche..

...meraviglioso.

Mi puntò un dito vicino al viso.
-Ed è proprio qui che ti sbagli. Noi ci conosciamo abbastanza bene. Tu sai già come mi chiamo e inoltre ci siamo visti già quattro volte in pochi giorni, e adesso ti ritrovo qui a spiarmi da dietro un albero.
Diventai rossa fino alle orecchie, sentivo la pelle bruciarmi e sapevo che era palesemente visibile anche ai due ragazzi che continuavano a guardarci senza capire, ma senza intenzione di interromperci, divertiti dalla scena.
-Sei tu che hai iniziato questo! Li a seguirmi come uno stalker! Manco fossi un idol e tu un fan che cerca di avere il mio autografo!!
Alle mie parole scoppiò in una risata ancora più fragorosa, questa volta seguito anche dagli altri due ragazzi. Io incredula, frustrata, imbarazzata ed arrabbiata rimasi li a fissarli ridere per cinque minuti buoni, poi mi rimisi in spalla lo zainetto e me ne andai.
Non feci in tempo a fare due metri che venni bloccata per un braccio da Ji Yong.
-Okay, okay. Scusa abbiamo esagerato. Non andartene.
Lo guardai. Ogni traccia di esuberanza era sparita dai suoi occhi, sembrava che volesse solo che io rimanessi. Sembrava sincero. Annuii e tornai a sedermi sulla panchina.
-Allora.. Questi sono Lee Seung Hyun e Choi Seung Hyun.
Disse indicando prima il ragazzo con la camicia scozzese e poi quello con lo sguardo seducente, che non ebbi il coraggio d'incontrare per più di qualche secondo.
-Ma li puoi chiamare Seungri e Tabi.
Annuii. Mi ero calmata. Era incredibile come potessi diventare lunatica in così poco tempo.
Ji Yong e gli altri due mi fissavano, adesso, con aspettativa. Mi arresi. Per la prima volta in vita mia mi arresi.

Ecco un'altra prima volta.

-Matilde. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Mi svegliai con un gran mal di testa. La giornata precedente era stata piuttosto movimentata. Oltre ad aver camminato instancabilmente su e giù per i ponti di Venezia, sotto un caldo torrido, ero anche stata bloccata in una conversazione scomoda con tre sconosciuti venuti, probabilmente, dall'altra parte del globo.

FLASHBACK

-Matilde.
Dissi scandendo bene le sillabe del mio nome. Seungri annuì mentre Tabi e Ji Yong continuarono a guardarmi. Il loro sguardo mi stava opprimendo, mi sentivo soffocata dalla loro presenza.
-Bene adesso che ci siamo presentati io me ne andrei.
Feci per alzarmi da quella panchina una seconda volta, ma nuovamente venni tirata indietro da Ji Yong. Il tocco della sua mano sul mio braccio era fresco, un sollievo per la mia pelle rossa e accaldata dal sole. Era piacevole.
-Rimani un po' con noi. Mostraci la città!
Ji Yong se ne venne fuori con quella idea come se fosse la cosa più geniale dell'ultimo secolo.
Tutto volevo tranne che passare tempo con quella gente. Non che gli odiassi, ma la loro presenza - in particolare quella di Ji Yong - mi metteva in soggezione e mi faceva sentire come se potessi perdere il controllo di me stessa da un momento all'altro. Io  sempre così pacata e discreta.
Questo mi spaventava e mi irritava, per me era essenziale avere tutto sotto controllo, soprattutto me stessa.
-Ma voi non avete una vita? Dovete per forza importunare le ragazze di città straniere?
Ji Yong rise, un riso smaliziato, pieno di un significato misterioso, probabilmente noto solo a lui.
-Come sei rigida! Forza! Mostraci la città e parlaci di te!
Disse mentre mi spingeva con delicatezza verso il ponte più vicino. Sospirai sconsolata. A quanto pare non avevo scelta, e, sinceramente, questa situazione poteva essere divertente.
Li avrei portati in giro, mostrandogli delle particolarità di Venezia che le guide solitamente tralasciavano, considerandole superflue, cose che io consideravo magiche, perchè erano proprio queste che formavano l'animo della città.
Acconsentii e li condussi attraverso un paio di calli alla fermata dei vaporetti di San Marcuola. Mi fermai. E per la prima volta da quando eravamo usciti dal ghetto gli rivolsi la parola.
-Avete un'abbonamento per i vaporetti?
I ragazzi scossero la testa, a quanto pare fino ad adesso avevano solo camminato. Sempre più divertita andai al botteghino e mi misi in fila.
-Per quanto starete a Venezia?
-Uhmm.. Una decina di giorni da oggi.
Questa volta parlò Tabi e credo che rimasi a bocca aperta per un minuto buono. La sua voce era bassa e profonda, cosa che, incredibilmente, lo rendeva ancora più sensuale di quello che avevano già fatto i suoi occhi.
-B-bene! Allora vi faccio un abbonamento settimanale, poi semmai lo rinnovate. L'unico problema è che verrebbe a costare cinquanta euro a testa..
Seungri mi guardò e sorrise dolcemente.
-Nessun problema.
 
Scendemmo dal vaporetto della linea due alla fermata di Rialto. Il ponte come sempre era imponente sul Canal Grande, contorniato da turisti che ne ammiravano la stazza e le decorazioni, e da altri che scattavano foto una dopo l'altra, non tanto interessati dalla meravigliosa città da cui erano circondati, ma occupati a prendere più foto possibili che poi avrebbero mostrato con vanto ai loro amici.
Mi diressi senza pensarci al parapetto del canale e mi ci poggiai, imitata da Ji Yong che poggiò i gomiti sul marmo e lasciò cadere il suo capo sulle sue mani mentre Tabi rimase di fronte a me e Seungri si appoggiò al parapetto con la schiena.

Che carino Ji Yong...

Scossi la testa cercando di togliermi quel pensiero così insolito dalla testa.

Sono finita a fare da guida turistica a degli sconosciuti... Che tristezza.

Sospirai e iniziai a parlare, raccontando di come il progetto del ponte fosse stato scelto tra tanti altri proposti, e di come alcuni si erano lamentati della scelta del progetto di Antonio Da Ponte invece che di quella di Palladio che era molto più elegante e graziosa di quella massiccia e possente realizzata. Dissi che il ponte era stato costruito sotto mandato del dogo Pasquale Cicogna, motivo per cui uno dei lati aveva scolpito un medaglione con una cicogna. Raccontai della leggenda che avvolgeva quelle strade ed il nome dell'architetto Da Ponte che per finire Rialto fu costretto a fare un patto con il diavolo e, nonostante la sua furbizia, perse suo figlio non ancora nato. Raccontai del significato della testa dorata appesa ad una delle entrate del ponte, che indicava la presenza di una farmacia alla popolazione allora analfabeta. Raccontai perfino della rivolta dei Veneziani alla conquista di Napoleone, rivolta che venne soppressa dai soldati proprio su quel ponte.
Più parlavo più la storia di quel posto prendeva vita, i tre ragazzi come me sembravano incantati dalle mille vicissitudini che un ponte poteva nascondere. Guardavano il ponte come se d'avanti  a loro si svolgesse la sua costruzione, come se potessero vedere il diavolo minacciare l'architetto e la rivolta soppressa con freddezza dagli spari dei soldati. Era tutto li, di fronte a noi, nascosto dalla moltitudine di turisti.
Sorrisi. Avevano ascoltato tutto quello che avevo detto. Le mie parole non erano state buttate al vento come la maggior parte delle volte che tentavo di comunicare con qualcuno, loro mi avevano ascoltato veramente. Potevo vedere le mie parole che ancora viaggiavano nel loro sguardo, che piano piano si asciugavano e si imprimevano nel loro animo.

FINE FLASHBACK

La mia giornata era passata così, portando quei ragazzi in giro per Venezia e rivelandogli i suoi segreti, segreti che fino ad allora aveva condiviso solo con me e pochi altri.
E adesso ero li, nel mio letto, bagnata fradicia dal mio sudore e con un mal di testa insostenibile.

Caldo e mal di testa. Si prospetta una splendida giornata..

Mi alzai con calma dal letto e, trascinando un piede dietro l'altro, raggiunsi la cucina dove presi immediatamente un "Moment". Aspettai per qualche minuto seduta immobile al tavolo della cucina che il farmaco facesse effetto, poi il dolore lancinante alla testa cominciò a diminuire fino a scomparire del tutto. Tirai un sospiro di sollievo e andai a lavarmi.
 

Come già aveva preannunciato la mattinata quella giornata era caldissima. Non avevo fatto in tempo neppure ad uscire di casa e a raggiungere la fermata del vaporetto che ero bagnata di sudore.
Nonostante indossassi un cappello con la visiera, il mio cervello stava pian piano fondendo e a volte mi sentivo dei forti giramenti di testa.
Dopo pochi minuti, che durarono in eterno, raggiunsi il vaporetto della linea 5.1 che stava partendo e per un pelo riuscii a prenderlo.
Raggiungemmo la fermata di Fondamenta Nuove dove scesi per prendere la linea 12 che usciva dalla zona di Venezia e portava a Murano, Burano e Punta Sabbioni. Il tratto da Murano a Burano fu bellissimo, nel mare aperto della laguna, libero tra le onde con il vento in faccia e l'odore salmastro che impregnava l'aria. Sorrisi e mi godetti quel momento fino a quando non mi iniziò a squillare il cellulare.
Non me ne accorsi subito. Inizialmente sentivo solo qualcosa vibrare nello zaino, ma quando ne aprii la tasca la mia suoneria scoppiò nell'aria riempiendo il piccolo abitacolo che era situato a poppa da dove potevi vedere tutta la rotta.
Controllai il display.

Chiamata Entrante
Kwon Ji Yong

Ma che...??

Com'era possibile? Non mi aveva mai dato il suo numero di telefono e men che meno io gli avevo dato il mio. Come diamine aveva fatto a chiamarmi?
Risposi, dando così pace al povero Minho che continuava a rappare "SHINee World".
-......Pronto?
-Matilde! Dove sei?
Corrucciai la fronte e strinsi le labbra.
-Prima di tutto mi spieghi come diavolo hai fatto ad avere il mio numero di telefono!?!
Lo sentii ridere chiaramente dall'altro capo del telefono. Ero sempre più nervosa.
-Beh.. Ecco.. In realtà ieri, mentre mangiavamo i tramezzini che ci hai detto di provare, e tu sei andata un attimo in bagno, ti abbiamo preso il cellulare e abbiamo scambiato i numeri..
Rise di nuovo. Una risata bassa e breve, palesemente imbarazzata. Sgranai gli occhi e aprii la bocca. Ero esterrefatta. Non solo mi aveva seguito, obbligato a dirgli il mio nome e a fargli da guida, adesso, come se non bastasse, aveva anche preso senza permesso il mio numero di cellulare!
Ci misi qualche minuto a ritrovare la parola e Ji Yong aspettò pazientemente non dicendo niente, ma quando la ritrovai ne usai più del necessario.
-COSA AVETE FATTO!?
Ripresi fiato, ma ancora non sentivo nessun movimento dall'altro lato della cornetta, eppure ero più che certa che stesse ascoltando.
Ero furiosa. Come si permettava un ragazzo che neppure conoscevo di "rubarmi" il cellulare e prendermi il numero senza permesso? Come gli era passato anche solo per l'anticamera del cervello di fare una cosa del genere?!
Cercai di calmarmi. Dall'altra parte ancora nessuna parola.
-E di qualcosa che diamine!
-........... Hai ragione, scusa. Ma almeno così possiamo contattarci no?
Potevo sentire chiaramente che stava sorridendo, pur non vedendolo lo potevo intuire, questo perchè mi ero abituata al suo modo di fare. Non ancora alle sue espressioni e alle sue iniziative, ma essermi abituata al suo modo di fare, o almeno averlo accettato, era già un passo avanti.
-... Allora.. Dove sei?
Sospirai. Quel ragazzo era peggio di un bambino. Potevi dirgli qualsiasi cosa, ma dopo poco aveva già dimenticato tutto, l'uniche cose che gli interessavano erano le sue. E io ero troppo paziente e permissiva.
-.... Sto andando a Burano.
-A tra poco!

Ed attaccò la chiamata. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Non capivo neanche perché glielo avessi detto. Avrei potuto tranquillamente spegnere la telefonata e bloccare il numero per non esserne più scocciata, invece gli avevo risposto, e mi ero ritrovata persino seduta alla fermata aspettando il suo arrivo.
Mi alzai per controllare gli orari di arrivo del vaporetto.  A minuti sarebbero arrivato.
Il vaporetto si scontrò contro la banchina facendola tremare. Riconobbi subito i tre ragazzi che stavo aspettando, scendere dal vaporetto e venire verso di me. A quanto pare anche loro Mi avevano riconosciuto subito.
Lanciai loro uno sguardo stizzito per fargli capire che non ero d’accordo con il loro comportamento, per fargli capire che ero altamente scocciata da tutta quella situazione, ma non vi diedero peso, forse credendo che non facessi sul serio, cosa di cui neanche io ero più così certa.
Tabi mi sorrise e Seungri si limitò a portare la mano all’altezza del capo, in segno di saluto. Subito Ji Yong spuntò alle loro spalle e mi sorrise riuscendo a far crollare anche la mia più piccola parvenza di arrabbiatura per ciò che avevano fatto.  In pochi istanti mi fu di fronte e senza esitazione, continuando a sorridere, mi prese le guance e me le tirò fino a che non mi fecero male.
-Lasciami!
Mi staccai bruscamente e mettendo il broncio iniziai a massaggiarmele.

Antipatico!

-Buongiorno anche a te!
E rise come se avesse appena fatto una battuta geniale. Poi guardò oltre la mia spalla e arricciò le labbra incuriosito.
Dietro di noi infatti si apriva la piazza principale di Burano, le case già illustravano la caratteristica principale per cui quest’isola era tanto famosa - oltre ai merletti - i colori. Ogni casa era di un colore differente, vivido e sgargiante. Ji Yong si riempì gli occhi con quel paesaggio che gli si era aperto davanti. Mi superò piano e iniziò a camminare in testa al nostro gruppo osservando avidamente quegli edifici tanto particolari, mentre io affiancavo Tabi e Seungri.
-Scusaci per aver preso il tuo numero di telefono senza permesso..
In una situazione del genere mi sarei arrabbiata, avrei cercato in tutti i modi di far pesare l’accaduto ai responsabili, ma Seungri sembrava veramente dispiaciuto mentre pronunciava queste parole, quindi sospirai e gli dissi di non preoccuparsi.
Passarono alcuni minuti prima che Seungri riprendesse a parlare.
-Allora Matilde… Sei di Venezia?
La domanda venne posta con incredibile gentilezza, con un sorriso sincero sul volto e con interesse che non sembrava scaturito solo dalla necessita di riempire un silenzio imbarazzante.
-Ehm.. Non proprio.. Ci sono stata molte volte perché qui ci sono i miei zii e gran parte della mia famiglia, ma io vivo a Roma.
-Woo! Bella Roma! Mi piacerebbe visitarla un giorno!
Annuisco e lui continua a sorridere. Quando sorride la sua espressione diventa incredibilmente furba, come quella di qualcuno che sta escogitando qualcosa. Mi accorgo che lo sto fissando e distolgo lo sguardo.
Tabi è incredibilmente silenzioso, ma penso che non sia per il fatto che sia taciturno, forse è solo timido, o forse non è abbastanza confidente con l’inglese per intraprendere una conversazione, così si limita a camminare senza mai abbandonare il posto al mio fianco.
-E quanti anni hai?
Sussulto un poco. Ero così presa dal silenzio che si era instaurato piano piano che la sua domanda improvvisa mi ha colta di sorpresa.
-Ne ho diciassette… E voi? Da dove venite?
Seungri non fa in tempo a rispondermi che per la seconda volta in meno di un ora mi squilla il cellulare. Questa volta me ne rendo conto immediatamente e la canzone non fa nemmeno in tempo a raggiungere l’apice del suo volume. Mi scuso e rispondo.
-Pronto?
-Amore!
-Ciao mamma.
Lo dico con poco entusiasmo. È la prima volta che mi chiama da quando sono arrivata a Venezia, non che la sua mancanza di attenzione nei miei confronti mi stupisca.
-Come va li a Venezia? Ti stai comportando bene con i tuoi zii vero?

No mamma in realtà li ho visti a malapena da quando sono qui, sono occupata a frequentare tre ragazzi asiatici che non ho mai visto in vita mia e a scarrozzarli in giro neanche fossi la loro guida privata.

Sarei tentata di risponderle così, ma, invece, dico solo un “si” a mezza voce che le basta e avanza.
-Che stai facendo di bello?
-Sono a Burano.
-Bella Burano! Quella dove fanno il vetro, no?
-No mamma.. A Murano fanno il vetro, a Burano i pizzi.
-Ah… Va bene! Divertiti amore!
Conclude la chiamata il più velocemente possibile resasi conto della gaffe che ha appena fatto e probabilmente troppo occupata in altre cose per trascorrere più di qualche momento al telefono con me. Attacco la chiamata sospirando e torno da Seungri e Tabi, che vedendomi impegnata hanno raggiunto Ji Yong e stanno parlando tranquillamente.
Ji Yong mi scorge subito e si sposta accanto a me mettendomi con nonchalance il braccio intorno  alle spalle. Arrossisco, e anche palesemente. Ji Yong sorride compiaciuto, forse perché ha visto come ho reagito a quel semplice gesto, o forse per qualcos’altro. Non lo so. Non riesco veramente a capirlo questo ragazzo, più passo il tempo con lui e più penso che si diverti a creare confusione nella mia testa.
Mi asciugo il sudore sulla fronte. Arrossire con questo caldo non aiuta di certo.
-Come mai le case sono così colorate?

Domande, domande e domande.

Non lo so perché, ma sono nervosa. La chiamata di mia madre mi ha parecchio infastidito e non so neanche spiegarmi perché.

Certo che sono parecchio lunatica anche io, eh?

Scuoto la testa per svuotarla dei troppi pensieri che l’affollano.
-Le case? Beh… Si crede che le case siano colorate perché…
Un giramento di testa.

Dio adesso anche la testa ci si mette..

Inizio a sudare freddo. Cerco di riprendere a parlare ma sento la gola secca ed un nodo alla bocca dello stomaco.
Riesco a vedere appena in tempo gli sguardi preoccupati dei tre ragazzi di fronte a me, poi buio.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Buonsalve~
Sono l'autrice! Sorpresa delle sorprese! 
Scusate infitamente se questo capitolo è così corto!!! Cercherò di farmi perdonare con il prossimo! Promesso! ;D
Comunque, spero vivamente che finora la storia vi piaccia! Mi raccomando recensite! 
Questa storia è un po' banale forse (?) ma spero che qualcuno l'apprezzi lo stesso! Mi è venuta in mente soprattutto da queste canzoni, (quasi tutte mie preferite xD) che ascolto tipo 3'000 volte al giorno xD Se non le conoscete o non ne conoscete il significato cliccate immediatamente sui link! è.é
EGO - BIGBANG, Obsession - G-Dragon, Beautiful Stranger - f(x) e YOU - BEAST.
Un bacio a tutti e continuate a leggere se vi piace!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V ***


La testa mi martellava terribilmente, i capelli mi si erano appiccicati al volto per l’eccessiva sudorazione e sentivo freddo nonostante il mio corpo fosse bollente.
Aprii incerta gli occhi che vennero feriti dalla luce troppo intensa. Gemetti per il dolore e li richiusi immediatamente, una mano fresca mi si poggiò sulla fronte portandomi un po’ di sollievo.
Non mi chiesi neppure di chi fosse quella mano, mi limitai a giacere li senza aprire gli occhi e respirando sommessamente.
Penso passarono alcuni minuti, la mano si spostò lasciando la mia fronte. Stavo per chiedere alla persona che mi stava accanto di rimettere la mano al suo posto – poiché questo mi calmava - ma un paio di labbra si poggiarono sulle mie lasciandomi di stucco.
Un calore intenso mi pervase, diverso da quello della febbre, o di un colpo di sole. Era un calore dolce che mi sciolse ma allo stesso tempo riuscì a farmi tremare mandando una scossa su dritto per la spina dorsale. Spalancai gli occhi, appena in tempo per vedere Ji Yong staccarsi da me e allontanarsi verso una porta.
Una microscopica parte del mio cervello registrò che mi trovavo in una stanza dalle pareti verde chiaro e che oltre al letto in cui mi trovavo ce ne erano altri tre, vuoti e perfettamente rifatti. Probabilmente la stanza di un ospedale.
Ma questo non è importante. Se fossimo stati in un cartone animato a questo punto probabilmente mi sarebbe uscito il vapore dalle orecchie per l’imbarazzo.
Non ci pensai due volte e mi tirai su dal letto, mentre Ji Yong usciva dalla porta con un sorriso palesemente stampato in faccia.

DEFICIENTE!                   
                                                    

Stavo per urlargli contro in tutte le lingue conosciute, ma un giramento di testa mi costrinse a sdraiarmi nuovamente. Iniziai a martoriarmi il labbro inferiore con le labbra. Spazzolai dalla mia mente tutti i pensieri, come fosse una lavagna, e mi preparai ad appuntarne di nuovi in modo da poter analizzare la situazione lucidamente. Non dovevo farmi trasportare. Anche se..

Mi ha appena baciato.

Spolverai via ancora una volta quel pensiero e iniziai a segnare i punti salienti di quella situazione per poi svilupparne un ragionamento sensato.

Allora. Mi ha baciato. Perché? È tutto iniziato come un gioco. Nessuno ha fatto una tregua. Che faccia parte di una specie di “piano” per abbattermi?

Sospiro.

Se è così non devo assolutamente dargliela vinta.

Decisi che la cosa migliore da fare era fare finta di nulla, anche se la sensazione delle sue labbra poggiate sulle mie non aveva la minima intenzione di andarsene.
Avevo appena fatto la mia decisione quando una dottoressa di giovane età entrò nella stanza. Aveva una postura dritta, il busto stretto e una figura graziosa. Mi guardò con i suoi occhi azzurri e mi sorrise per tranquillizzarmi, sorriso che ricambiai subito.
-Come ti senti?
Mi chiese in inglese. La situazione in un certo senso era divertente. Era evidente che pensava non parlassi italiano perché mi avevano portato li tre ragazzi stranieri. Le risposi educatamente in italiano.
-Bene. Solo.. Mi fa un poco male la testa.
E sinceramente non sapevo spiegarmi se il mio mal di testa fosse dovuto al fatto che avevo perso i sensi o ai troppi pensieri che mi stavano confondendo ancora di più le idee.
La dottoressa si portò una mano alla bocca nascondendo una risatina silenziosa, probabilmente per il fraintendimento poi annuì e mi fece mettere seduta sul letto.
La testa mi girava in maniera allucinante, mi salì la nausea ed i conati di vomito. Bloccai saldamente le mani alla base del letto per paura di crollare da un momento all’altro. La dottoressa se ne accorse e mi massaggiò la schiena con una mano per calmarmi. Aspettammo in silenzio e dopo alcuni istanti mi abituai a quella posizione ed il senso di disagio svanì.
Con mosse delicate e decise, in poco tempo, mi misurò la pressione, la temperatura corporea e i battiti cardiaci, infine, dopo avermi rimesso apposto la mantellina da malato che copriva il mio corpo nudo – fatta eccezione per l’intimo – iniziò a scrivere su una tavoletta di plastica rigida.
Mentre era intenta a scrivere chissà cosa su quel pezzo di plastica, approfittai per guardarmi finalmente intorno.
La stanza era di medie dimensioni, non troppo grande, ma sufficiente per contenere comodamente quattro letti e le apparecchiature necessarie per ogni paziente. Inoltre accanto ogni letto c’era un comodino e una sedia di legno messa a disposizione per gli eventuali visitatori. Le pareti erano verde chiaro, dello stesso colore della mia mantellina che non distaccava poi tanto dal color crema delle lenzuola del letto. Stavo osservando la televisione accesa dall’altro capo della stanza, senza badarci veramente troppa attenzione, quando la dottoressa parlò.
-Ha contratto una forma influenzale virale abbastanza forte, aggravata sicuramente dal caldo. È svenuta ieri mattina ed ha passato la notte in osservazione. Alla reception si sono occupati di avvertire i suoi famigliari, ma è meglio che li chiami lei appena possibile.
-Quindi adesso posso andarmene?
-Si, certamente.
La ringraziai e lei si avviò verso l’uscita. Mi tornò in mente una cosa. I miei vestiti erano perfettamente ripiegati sulla sedia di fronte a me - quella destinata agli ospiti – ma mancava il mio zainetto.
-Aspetti!
Sussultò e si voltò. Le rivolsi uno sguardo di scuse.
-Scusi.. Il mio zainetto?
-L’hanno tenuto i suoi amici.
Detto ciò uscì definitivamente dalla stanza lasciandomi il tempo e l’intimità per cambiarmi.

Se ne combinano un’altra delle loro questa volta finisce male…
 
Vabbè, ma tanto non c’è niente di che nello zaino se non…..

Sbiancai.

Scattai giù dal letto e barcollando mi poggiai alla sedia.
Nel minor tempo possibile nelle mie condizioni mi vestii e mi scaraventai letteralmente fuori dalla stanza finendo addosso ad un ragazzo e trascinandolo rovinosamente a terra con me.
-Scusa!!

____________________________________________
 

Questo capitolo è veramente troppo corto, ma penso sia intenso abbastanza (?) quindi non odiatemi! ç____ç 
Spero vi piaccia e mi raccomendo RECENSITE!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1136873