Giochi del Destino di Alexandra e Mac (/viewuser.php?uid=175435)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Bacio ***
Capitolo 2: *** Un Diario ***
Capitolo 3: *** L'Incontro ***
Capitolo 4: *** Ritorno ***
Capitolo 5: *** La Presentazione ***
Capitolo 6: *** Chiarimenti ***
Capitolo 7: *** La sfida ***
Capitolo 8: *** Indagini ***
Capitolo 9: *** Il Ballo a Corte ***
Capitolo 10: *** Gelosie ***
Capitolo 11: *** Il Libro ***
Capitolo 12: *** Gioco di lame ***
Capitolo 13: *** Un Giuramento ***
Capitolo 14: *** Turbamenti ***
Capitolo 15: *** Una Fuga inutile ***
Capitolo 16: *** Invito per un tè ***
Capitolo 17: *** Scherzare col fuoco ***
Capitolo 18: *** Dubbi ***
Capitolo 19: *** Confessioni ***
Capitolo 20: *** Novità ***
Capitolo 21: *** La Festa di Natale ***
Capitolo 22: *** Nulla come previsto ***
Capitolo 23: *** Di corsa contro il tempo ***
Capitolo 24: *** Cambio di direzione ***
Capitolo 25: *** Immersi nel bianco ***
Capitolo 26: *** Contrasto di sentimenti ***
Capitolo 27: *** Marsiglia ***
Capitolo 28: *** La Medea ***
Capitolo 29: *** Il Segreto del suo cuore ***
Capitolo 30: *** Giochi del Destino ***
Capitolo 1 *** Il Bacio ***
Disclaimers
:
Il marchio
JAG e tutti i suoi personaggi appartengono alla
BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno
scopo
di lucro.
Qualunque riferimento a fatti o persone, che non
siano
avvenimenti o personaggi storici, e’ del tutto casuale.
I contenuti del racconto sono tutelati ai sensi
della legge
633/1941 (legge sul diritto d’autore). Tutti i diritti riservati.
Capitolo I
Il
bacio
La
discussione era molto animata, ma se ciò accadeva era
un buon segno: significava che erano tornati a parlarsi e che,
apparentemente,
i loro rapporti erano normali… ovviamente nell’accezione che questa
parola
assumeva quando si trattava di loro due.
Erano chiusi
in sala riunioni sin dalla mattina per
confrontarsi sui risultati delle indagini effettuate da una settimana a
quella
parte, ovvero da quando l’Ammiraglio li aveva assegnati al caso
dell’omicidio
del Tenente Laura Cresswell. Accusato del delitto era il Sottufficiale
Joseph
Clarke la cui difesa era stata assegnata a Mac, mentre l’accusa era
toccata in
sorte ad Harm.
“Il rapporto
della scientifica dice che il Tenente è stata
ritrovata cadavere vicino al molo di Norfolk, con evidenti segni di
colluttazione sul corpo. La causa della morte è strangolamento. Quello
che non
mi spiego è come mai non siano state trovate tracce di DNA della
vittima sul
mio cliente” disse in tono di sfida ad Harm.
“Tuttavia il
Sottufficiale era nei paraggi, quella sera li
hanno visti uscire da un bar poco distante dal luogo del ritrovamento e
un
testimone li ha anche uditi litigare furiosamente” le rispose a tono
lui.
“Questo non
basta per fondare un’accusa di omicidio e lo
sai bene” lo rimbrottò Mac.
“Potrebbe
sempre averla aggredita con indosso un paio di
guanti ed averli gettati via dopo averla uccisa”.
“Le tue sono
solo supposizioni” sbuffò seccata.
Erano seduti
l’uno accanto all’altra, cosa strana questa,
dato che da quando lei aveva ripristinato le distanze fra loro entrambi
avevano
fatto in modo di ritrovarsi lontani anche dal punto di vista fisico.
Harm
rispettava la scelta di Mac, sapeva che in parte era
per colpa sua se lei aveva cambiato rotta, ma pur condividendola
tuttavia non
l’approvava, come del resto non approvava l’uomo con il quale,
presumibilmente,
faceva coppia fissa in quel momento: Webb. Sapeva bene che, prima o
poi,
l’agente della CIA ne avrebbe combinata una delle sue e a farne le
spese
sarebbe stata proprio Mac, la quale ne avrebbe sofferto, e se c’era una
cosa
che odiava era vederla soffrire, così come non tollerava di vederla
accanto ad
un altro solo per un sentimento di riconoscenza. Ma non poteva fare
nulla per
cambiare la situazione. No, non era vero, qualcosa poteva fare, ma non
sapeva
quale sarebbe stata la sua reazione. Normalmente la leggeva come un
libro
aperto, ma da qualche tempo sembrava non riuscirci più: Mac era
divenuta molto
più riservata, lo sfuggiva e gli unici contatti che aveva con lei erano
solo
per lavoro. Niente più dopo-ufficio a casa di uno dei due, niente cene
di
lavoro, niente pranzi insieme… nulla di nulla.
Un po’, si
rendeva conto, era stata anche colpa sua;
completamente assorbito dal suo nuovo ruolo di tutore di Mattie aveva
trascurato l’amica per concentrarsi sulla ragazza e poi, dopo che
quest’ultima
era andata ad abitare con Jen, beh… anche Coates aveva bisogno di una
guida,
per cui…
“…forse non
lo sai, oppure le tue indagini non sono state
abbastanza approfondite, ma il Tenente e il Sottufficiale si
frequentavano e…
Harm? Harm sei qui o sei su Marte?” la voce di Mac lo riportò alla
realtà.
“Euh... sì
sono qui. Mi stavi dicendo che si
frequentavano, ma questo cosa c’entra?”
Mac lo
squadrò un po’ incredula che il suo collega di
norma tanto sveglio a fare i collegamenti, quella volta non capisse il
nesso:
“Te lo dico in poche parole semplici e chiare: erano amanti. Quella
sera, la
stessa del delitto, sono andati insieme in quel bar e la lite cui hanno
assistito i tuoi ‘testimoni’ non era una lite, ma una banale
discussione fra innamorati.”
“E tu come
fai a saperlo? Chi te l’ha detto?”
“Il mio
cliente! Chi vuoi che me l’abbia detto?!!”
“Uuhhh Mr.
Verità” ironizzò Harm con un sorrisetto
divertito.
Mac
s’inquietò, non sopportava di essere presa in giro a
quella maniera, per cui gli rispose per le rime: “Senza uno straccio di
prova
che fondi la colpevolezza del mio cliente oltre ogni ragionevole dubbio
non
solo non otterrai un rinvio davanti alla corte marziale, ma se anche ci
dovessimo arrivare, la giuria non lo condannerebbe mai. Mi sto
chiedendo se la
squadra NCIS che ha preso in mano questo caso non sia per caso la
stessa che
voleva incolparti dell’omicidio della Singer…” ironizzò a sua volta.
Harm frugò
fra le sue carte, poi ne trasse un documento:
“Parlavi di prove fisiche? Eccotele Colonnello. Sotto le unghie del
Tenente
sono stati trovati residui di sangue secco e poiché il tuo cliente è
stato
tanto ingenuo da volersi sottoporre al test del DNA perché si
escludesse la sua
colpevolezza ecco che il campione prelevato dal Sottufficiale e i resti
trovati
sul corpo del Tenente coincidono. E sì, la squadra NCIS è la stessa, ma
questo
non vuol dire che siano degli incompetenti: semplicemente quella volta
hanno
preso un granchio e del resto Lindsay aveva orchestrato bene la cosa.”
Mac strabuzzò
gli occhi in un’espressione che la diceva
lunga sulla sua personale considerazione dell’agente speciale Gibbs e
dei suoi
collaboratori.
“Clarke mi ha
riferito che il giorno prima del delitto lui
e il Tenente si erano visti e avevano avuto un rapporto un po’...
violento
durante il quale lei gli aveva graffiato la schiena. Torno a
ripetertelo Harm,
la tua tesi non passerà in Tribunale.”
“Spiegami
come farai a provare l’innocenza del tuo cliente
allora.”
“Guarda che
io non devo provare un bel niente. Sei tu
l’accusa e sei tu, pertanto, quello che deve provarne la colpevolezza.
Ti dirò
di più: i due si frequentavano clandestinamente non solo per timore di
una
probabile, e non certo impossibile, accusa di fraternizzazione, ma
anche perché
il Tenente era sposata, per cui caro collega abbiamo un secondo
sospetto: il
marito della donna” concluse trionfante lei.
Si erano
avvicinati ancora di più, ancorché inconsapevolmente,
ed ora le loro teste quasi si sfioravano. Mac avvertiva la presenza di
lui,
percepiva il leggero effluvio del suo dopobarba mischiato all’aroma del
profumo
e l’effetto era quello di farle girare un po’ la testa. Webb non era
Harm, non
lo sarebbe mai stato. Era tempo di aprire gli occhi sulla verità: tutta
la
riconoscenza di questo mondo non sarebbe bastata a colmare il vuoto che
sentiva
dentro di sé da quel “no” in Paraguay. Rimpiangeva tutto del loro
rapporto,
anche le incomprensioni, ma erano meglio della sterile relazione
professionale
di adesso.
Aveva sperato
che, chiudendo una porta, se ne sarebbe
aperta un’altra: una vita con Clay, che sapeva l’aveva sempre amata per
averglielo detto lui stesso. Ovviamente non avrebbe potuto aspirare
alla
normalità, con Webb questo non era proprio possibile, ma almeno lui
faceva ogni
sforzo per esserci, aveva bisogno di lei e glielo dimostrava.
“E io?” si
chiese controbattendo contemporaneamente ad
un’obiezione di Harm “Io ho bisogno di lui? Ma soprattutto lo amo?”
Conosceva già
la risposta, ma questa cozzava con la sua
attuale situazione sentimentale, e non ne poteva parlare con nessuno,
meno che
meno con Harm con cui non aveva più una conversazione nel senso
letterale del
termine da parecchio tempo per evitare di dover rispondere a domande
imbarazzanti o affrontare discorsi che sarebbero scivolati verso un
terreno
insidioso quanto le Everglades.
Mattie
l’aveva cambiato profondamente, lo intuiva.
Supponeva che la ragazza l’avesse costretto ad un bell’esame di
coscienza.
“Mac, per
favore, secondo te, il marito del Tenente
verrebbe in aula a confessare di essere stato cornificato dalla moglie
attirandosi i sospetti di omicidio?”
“Ti facevo
più sveglio Harm, è proprio quello che intendo
fare” gli rispose Mac riavendosi dalle sue estemporanee riflessioni.
“Clarke ha
ammesso di avere avuto una discussione con la
vittima la notte dell’omicidio” continuò incaponendosi lui.
E Mac gli
rispose per le rime: “Te lo dico ancora un’altra
volta: erano amanti! Come puoi pretendere che i loro rapporti fossero
sempre
rose e fiori? Il mio cliente mi ha riferito che la ‘violenta
discussione’, come
la definisci tu, è stata una divergenza d’opinioni senza importanza:
lui voleva
che lei lasciasse il marito, ma lei ancora non era pronta.”
“E questo mi
pare un ottimo movente per un omicidio”
replicò Harm.
“Sì,
esattamente come quello del marito che si è scoperto
tradito” ribatté Mac.
Harm scuoteva
il capo con un sorriso da canaglia stampato
in viso, quello stesso che adottava quando trovava risibile una delle
teorie
della sua controparte. Era un comportamento normale, in lui, ma quella
volta a
Mac sembrò che fosse diretto proprio a lei in particolare. Si scoprì a
fissarlo
incantata mentre leggeva per l’ennesima volta le dichiarazioni
dell’agente
dell’NCIS (quello stesso Di Nozzo che aveva trovato il berretto di Harm
sul
luogo del delitto della Singer) che aveva percorso per primo la griglia
sulla
scena del crimine la notte stessa del ritrovamento del cadavere del
Tenente
Cresswell.
Il mondo
intorno a lei era sparito, vedeva solo lui e si
rese conto che se non l’avesse baciato subito sarebbe scoppiata. Colse
quindi
l’occasione al volo non appena lui si voltò.
Fulminea si
avvicinò e posò le sue labbra su quelle di
Harm assaporandone il gusto. Nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere
un
bacio leggero, ma capì di voler andare oltre. Passò la lingua sulle
labbra di
lui cercando di schiudergli la bocca, cosa che Harm fece portando
contemporaneamente la mano sulla nuca di lei per avvicinarle di più il
capo e
assaporare quel bacio fino in fondo.
Continuarono
a baciarsi per un tempo indefinito,
completamente dimentichi del Tenente Cresswell, del marito di
quest’ultima e
del Sottufficiale Clarke, ma soprattutto dimentichi di tutto quanto li
aveva
divisi sino a quel momento. Nessuno dei due voleva staccarsi, ma alla
fine fu questo
ciò che accadde.
Harm era
piuttosto basito, un attimo prima stavano
discutendo animatamente di un caso e un attimo dopo si trovava
avvinghiato in
un bacio che l’aveva lasciato senza fiato. Guardò Mac, le gote
arrossate, gli
occhi che brillavano di malizia e la trovò più desiderabile che mai.
“Se non
l’avessi fatto sarei scoppiata” disse lei senza
troppi preamboli. “Sogno di farlo dal momento in cui ti ho conosciuto e
perché
mi piaci da impazzire” aggiunse con molta calma, riavviandosi i capelli
e aggiustandosi
la giacca della divisa.
Quell’ultima
rivelazione lo colpì e affondò. Sapeva che
lei provava qualcosa per lui, mille volte i suoi atteggiamenti gli
avevano
confermato questa sensazione, anche se non si erano mai parlati
veramente e
anche se l’uomo che aveva al suo fianco non era lui, ma sentirselo dire
era
tutt’altro affare! Per la prima volta non sapeva che dire e la sua
famosa
dialettica leguleia era andata momentaneamente in vacanza lasciandolo a
corto
di parole.
“Allora” Mac
riprese, come se nulla fosse accaduto, il
discorso interrotto, “ci sono gli estremi per un accordo o devo farti
fare una
figuraccia in Tribunale?”
Harm riprese
la favella: “Fammici pensare un paio di
giorni.”
“Bene”
rispose lei radunando le carte e riponendole nel
proprio fascicolo. Fece per alzarsi ma lui la fermò prendendola per un
braccio.
“E Webb?”
chiese.
“Che c’entra
Clay con il nostro caso?”
“Stai con lui
Mac, però hai baciato me.”
Lei si chinò
verso di lui: “E lo rifarei ancora” sussurrò
posandogli un leggero bacio sul collo. Poi si alzò e, mentre usciva
dalla sala
riunioni, aggiunse: “Mai credere alle voci di corridoio Comandante” e
richiuse
l’uscio dietro di sé.
Una volta
fuori si appoggiò alla porta con il cuore in
subbuglio. Ma che diamine le era preso? Lei era innamorata di un altro.
DOVEVA
esserlo! Altrimenti perché preoccuparsi quando partiva per chissà dove?
E
perché gioire di ogni singolo momento passato insieme? Non ci capiva
più nulla.
Però se
veramente fosse stata innamorata di Clay non
avrebbe provato l’irresistibile impulso di baciare Harm, anche solo per
prendersi la soddisfazione di farlo. Quando una donna ama il proprio
compagno,
si diceva mentre tornava al proprio ufficio, non sente l’esigenza di
fare gesti
inconsulti con un altro! Cercò quindi di dimenticare l’accaduto,
relegandolo in
un angolo della mente, ma la sensazione delle labbra di lui sulle sue e
ciò che
aveva provato mentre lo baciava resero l’operazione più difficile di
quanto non
avesse preventivato.
Pochi attimi
dopo uscì dalla sala riunioni anche il
Comandante Rabb, con la stessa espressione spiazzata che aveva il
Colonnello.
Con i documenti sotto il braccio si diresse verso il proprio ufficio,
immerso
in dubbi e pensieri.
L’Ammiraglio
Chegwidden, trovatosi a passare proprio da
quelle parti mentre uscivano prima l’una e poi l’altro, con il fiuto
che solo
un vecchio lupo di mare come lui poteva possedere, notò le espressioni
dei suoi
subalterni e colse un messaggio ben preciso, che non era necessario
fosse
lanciato a chiare lettere…
“Questi due
farebbero la felicità di un professore di
comportamentistica” pensò divertito, avendo osservato un nuovo brillio
negli
occhi del Colonnello, la quale sembrava una bambina che avesse
combinato una
marachella e che fosse riuscita a farla franca. Rabb, invece, non era
riuscito
del tutto a nascondere un’espressione basita: il Comandante di solito
era
sempre compassato e imperturbabile, tanto che a volte l’Ammiraglio
pensava che
il ragazzo avesse origini inglesi, considerato l’aplomb tipicamente
british che
ostentava anche nelle situazioni più assurde. Ma in quel preciso
istante la
corazza doveva essersi incrinata per qualche motivo. L’Ammiraglio ne
era più
che certo.
Da tempo
ormai era sicuro che non fosse solo una semplice
amicizia quella che legava il Comandante e il Colonnello, ma aveva
anche
compreso che le difficoltà da superare erano davvero tante. Eppure non
si era
mai intromesso nelle loro vite né in veste privata né tanto meno in
veste
ufficiale, salvo qualche occasionale giro di vite quando esageravano
nell’una o
nell’altra direzione.
Tuttavia,
proprio quella mattina, durante un colloquio con
il Colonnello, le aveva detto che gli sembrava che lei e il Comandante
ci
avessero messo una pietra sopra e dall’espressione che Mac aveva
assunto aveva
capito che invece la partita era ancora aperta e tutta da giocare.
Anche se il
Colonnello frequentava l’agente Webb, in realtà il suo cuore era
occupato da
un’unica persona… e lui sapeva benissimo chi era quella persona.
La tentazione
di metterli a confronto era davvero forte,
anche perché era sua opinione che il Colonnello fosse la sola donna in
grado
non solo di comprendere il carattere assai complicato del Comandante,
ma anche
di gestirlo e di tenerlo a bada. Tuttavia si era ripromesso, e
intendeva
mantenere fede all’impegno, di non fare alcunché.
“Se è destino
che comprendano ciò che provano l’uno per
l’altra, allora le cose si aggiusteranno da sole” pensò.
In fondo fare
da spettatore passivo a quella “guerra” lo
divertiva assai, anche se non poteva negare che a volte si sentiva
esasperato
dal comportamento infantile dei diretti interessati e la tentazione di
dare una
mano al destino si faceva ogni giorno sempre più forte.
“E perché
no?” si disse sorridendo tra sé, mentre passava
davanti ad un esterrefatto sottufficiale Coates, poco abituato a
vederlo
sorridere, soprattutto sapendolo di ritorno da un incontro con il
Segretario.
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Capitolo 2 *** Un Diario ***
Capitolo II
Un
Diario
L’Ammiraglio
non poteva assegnargli incarico peggiore!
Scartoffie!
Lui odiava le scartoffie. E i cinque scatoloni
ben allineati sul tavolo della sala riunioni avevano tutta l’aria di
esserne
pieni.
Il Comandante
Rabb guardò con aria depressa tutto il
materiale che Jennifer Coates gli aveva fatto trovare, dopo che era
uscito
dall’ufficio del suo superiore.
“Inizierà
lei, Comandante, e poi, quando il Colonnello
rientrerà dalla missione fra due giorni, lavorerete assieme al caso.”
Al caso!
Come poteva
chiamarsi “caso”, termine che lui e Mac
usavano per definire l’indagine che precedeva di solito un processo,
quell’insieme di carte e vecchi manoscritti che arrivavano addirittura
dall’Archivio Storico dell’Accademia Navale?
Tutta quella
roba aveva come minimo più di cento anni e a
lui sarebbe toccato doverla leggere per… per cosa, poi?
Per scoprire
un colpevole? No.
Per difendere
o accusare qualcuno ad un processo? Neppure.
Solo per
aiutare dei professoroni a preparare una
conferenza in occasione della commemorazione del centenario della
scomparsa
dell’Ammiraglio Alexander Blackbird, eroe della Marina Americana.
La recente
scoperta di nuovi documenti storici, donati
all’Accademia Navale dall’ultimo dei suoi discendenti, faceva supporre
che
avesse avuto contatti con la Monarchia Asburgica ai tempi
dell’Imperatore
Francesco Giuseppe. Sembrava addirittura che l’Ammiraglio avesse
contribuito
alla fuga di due stranieri cui l’Imperatore aveva affidato la vita
della moglie
Elisabetta: sventato l’attentato contro l’Imperatrice, certi equilibri
di
potere avevano costretto l’Imperatore a nascondere al suo entourage che
era
ricorso all’aiuto di un francese e di un’inglese per proteggere la sua
Consorte, e i due stranieri ad abbandonare Vienna e l’Europa per
rifugiarsi in
America, proprio sulla nave dell’Ammiraglio Blackbird.
Come mai
l’Ammiraglio, ufficiale della Marina Americana,
si trovasse ad avere contatti con gli Asburgo era ancora tutto da
chiarire, ma
questa recente scoperta aveva creato un ulteriore mistero alla già
avventurosa
e brillante carriera dell’ufficiale e l’Accademia, in occasione del
centenario
della sua morte, voleva arricchire la biografia dell’Ammiraglio
Alexander
Blackbird con tutto ciò che poteva dare maggiore lustro alla Marina
Americana.
A questo punto entravano
in scena lui e Mac: il JAG era stato contattato per aiutare un gruppo
di
storici a selezionare documenti di diritto americano di oltre un secolo
prima
da incartamenti prettamente militari o da carte private e personali. E
l’Ammiraglio aveva affidato a lui il compito, pur sapendo quanto
odiasse certi
lavori. Che volesse ancora fargliela pagare per le sue impulsive
dimissioni?
Cercò di
pensare all’unico lato positivo della faccenda:
avrebbe lavorato a stretto contatto con Mac, appena fosse rientrata
dalla
missione che la vedeva lontana dal JAG per altri due giorni.
Accidenti che
voglia che aveva di rivederla! Quel bacio,
che solo pochi giorni prima lei gli aveva dato, bruciava ancora sulle
sue
labbra, accompagnato da mille dubbi e mille pensieri…
Distratto da
quel ricordo, non si era neppure accorto di
essersi messo inconsciamente all’opera: aveva aperto uno scatolone e
ora si
trovava tra le mani un quaderno di pelle marrone che aveva tutta l’aria
di
essere un vecchio diario. Forse dell’Ammiraglio Blackbird stesso.
Si sedette
sulla poltrona della sala riunioni, allungando
le gambe davanti a sé incrociate alle caviglie; delicatamente aprì il
quaderno
e s’immerse nella lettura.
***
Le
note di un valzer giungono festose alle mie orecchie,
sebbene io sappia che la situazione richiederebbe melodie di ben altro
genere.
Sua Maestà l’Imperatore è preoccupato e ha richiesto il mio
intervento: l’identità della persona che fra due giorni dovrò
incontrare e
condurre a Palazzo mi è ancora sconosciuta, ma ho capito che Sua Maestà
ripone
molta fiducia in questo Inglese. E, a quanto mi ha lasciato ad
intendere
l’Imperatore, io e il nuovo arrivato lavoreremo a stretto contatto, il
che è
alquanto significativo e sta ad indicare il clima di grande sfiducia ed
enorme
sospetto che si è venuto a creare ultimamente a Corte.
Un Conte francese ed un
Gentiluomo inglese per salvare la Monarchia Asburgica e proteggere la
vita di
Sua Maestà l’Imperatrice
Elisabetta…
***
La carrozza
correva a perdifiato nella notte. A bordo due
uomini e una donna cercavano di combattere una battaglia contro il
tempo che
sembrava persa in partenza.
“Siete
sicuro, Conte?” chiese con voce affannata la
giovane.
“Più che
sicuro, Milady. Sua Maestà ha chiesto
espressamente di Voi.”
Lady Sarah si
chiese cosa mai volesse da lei Francesco
Giuseppe, Imperatore di uno sterminato territorio che si estendeva dai
confini
con la Russia ai Balcani ed oltre.
Il vestito
con le crinoline la infastidiva molto, lei
abituata a portare nelle sue missioni comodi abiti maschili, quando
doveva
indossare qualcosa di più femminile era impacciata. Ma doveva essere
ricevuta a
Corte quindi l’etichetta andava rispettata.
L’accompagnavano
il Conte André François D’Harmòn, un francese,
e il suo segretario Robert, un tipo grassottello ma simpatico e
disponibile. Il
Conte l’aveva colpita al primo sguardo: alto e atletico, capelli neri
eternamente scomposti raccolti in un corto codino, e due pozze verdi
come laghi
di montagna in cui perdersi.
Il loro lungo
viaggio era cominciato due giorni prima a
Calais, quando lei era sbarcata dalla “Persefone”, nave traghetto che
faceva la
spola tra il porto francese e Dover, in Inghilterra, trovando
all’attracco
l’affascinante Conte ad attenderla.
Lady Sarah si
stava godendo una meritata vacanza dopo
l’ultima missione per conto di Sua Maestà la Regina Vittoria. Non
pensava di
doversi catapultare quasi al polo opposto dell’Europa dopo appena due
giorni di
permanenza a Bath.
Tuttavia,
quando il dispaccio che le annunciava
l’immediata partenza per Vienna era giunto all’albergo presso il quale
alloggiava, non aveva avuto molta scelta. La missiva era molto chiara e
la
firma in calce alla stessa non lasciava adito a dubbi: l’Imperatore
d’Austria
necessitava della sua presenza a Vienna.
Eppure il
loro precedente incontro, avvenuto due anni
prima a Bad Ischl la sera del fidanzamento di Francesco Giuseppe con la
cugina
Elisabetta, non era stato certo all’insegna della cordialità!
In
quell’occasione era stata l’Arciduchessa Sofia ad avere
bisogno dei suoi servigi e l’aveva spedita in Ungheria per indagare su
una
possibile rivolta degli insurrezionalisti capeggiati dal Conte Hyula
Andrassy
finalizzata alla destabilizzazione dello status quo mediante un
attentato alla
vita del monarca austriaco: il suo compito sarebbe stato quello di
scoprire se
veramente avevano intenzione di uccidere l’Imperatore. E così aveva
fatto, solo
che i metodi utilizzati dalla polizia ungherese fedele al regime una
volta
informata dell’imminente rivolta e attentato non erano stati proprio
ortodossi…
non era stata certo colpa sua. Del resto la sua opera si era limitata
ad una
semplice investigazione infiltrandosi nell’organizzazione.
Francesco
Giuseppe, quando era venuto a conoscenza di
quanto era accaduto in Ungheria, non l’aveva presa molto bene e in una
riunione
privata e segreta con lei e sua madre, poco prima del ricevimento che
avrebbe
ufficializzato il suo fidanzamento con Elisabetta Duchessa in Baviera,
si era
inalberato moltissimo sostenendo che in un momento simile la violenza
era
l’ultima cosa di cui l’Impero aveva necessità.
Lady Sarah
era intervenuta affermando che non era stata
sua intenzione provocare l’arresto degli insorti e l’Arciduchessa Sofia
aveva
ricordato al figlio che le rivolte andavano sedate con la forza se si
voleva
conservare potere e controllo.
L’Imperatore
se n’era andato sbattendo con forza la porta
e chiamando a gran voce il suo aiutante di campo.
L’Arciduchessa
si era rivolta a Lady Sarah e le aveva
detto: “Non vi preoccupate Milady, l’Imperatore è ancora molto giovane
e non
comprende quali siano le vere priorità di un monarca che voglia
conservare il
suo dominio.” Poi le aveva pagato il compenso pattuito e l’aveva
invitata al
gran ballo di quella sera.
Ed ora quella
convocazione improvvisa.
Chissà cosa
mai poteva volere da lei.
Alzò lo
sguardo verso il Conte D’Harmòn: “Conte, conoscete
per caso la natura dell’invito di Sua Maestà?” chiese.
“No, Milady.
Mi è stato ordinato di giungere a Calais e di
portarvi a Vienna” rispose fissandola nello sguardo.
Lady Sarah si
sentì incatenare da quegli occhi. Sentiva
che, se solo avesse voluto, sarebbe potuta affondare in quello sguardo
chiaro.
“Debbo
supporre che lo scoprirò solo quando l’Imperatore
mi riceverà” concluse lei.
André
D’Harmòn annuì e tornò a sprofondarsi nella lettura
di un libro, senza curarsi degli sguardi di sottecchi che provenivano
dalla
giovane donna.
Sul far del
mattino giunsero a Vienna e subito il
cocchiere prese la direzione della residenza imperiale dello Schonbrunn.
Lady Sarah si
aggiustò la voluminosa gonna di seta blu
notte e diede una lisciata al corpetto. Continuava a provare fastidio
per tutta
quell’impalcatura che era stata costretta ad indossare, ma si impose di
portare
pazienza ancora per poco tempo.
Sporse la
testa fuori dal finestrino e l’aria frizzante
del primo mattino viennese le solleticò le narici. I profumi
dell’autunno si
spargevano nell’aria tersa e pulita. La rivoluzione industriale che
imperava in
Inghilterra ancora non aveva intaccato completamente questa parte dell’Europa,
pensò soddisfatta Lady Sarah, mentre la carrozza superava la cancellata
dorata
del palazzo e si fermava in un ampio cortile.
Il Conte
scese e, dopo essere passato dalla sua parte, le
aprì galantemente lo sportello porgendole la mano per aiutarla a
scendere,
mentre il suo aiutante Robert si dirigeva verso la guardia per
annunciare
l’arrivo dell’ospite.
D’istinto
Lady Sarah avrebbe rifiutato qualsiasi aiuto, ma
quella volta accettò la presa salda del Conte con un brivido che le
correva
lungo la schiena.
Anche lui
aveva dovuto percepire la medesima sensazione,
perché lo sguardo che le lanciò valse più di mille parole.
Lady Sarah
fece finta di non comprenderne il significato e
una volta scesa si diresse verso il portone principale che le fu aperto.
Pochi
minuti dopo si trovava nello studio dell’Imperatore.
***
21 Settembre 1856
Lady Sarah...
Profondi occhi scuri, deliziosa carnagione
ambrata, capelli color dell’ebano, labbra rosse come petali di rosa...
Non ha
l’aspetto di un inglese. E non assomiglia neppure ad un gentleman. No,
il suo
corpo voluttuoso ed invitante non ricorda proprio quello di un Lord! La
sorpresa di scoprire che l’Inglese che avrei dovuto accompagnare a
Palazzo non
era un uomo, ma una deliziosa ed affascinante Lady, non mi ha impedito
di
apprezzare ogni particolare del suo aspetto. E’ bellissima... Sarà
intrigante
lavorare con lei...
***
Sarà
intrigante lavorare con lei…
“Già, lo è
stato davvero…” pensò Harm, chiudendo il diario
“e lo è di più ogni giorno che passa…” aggiunse nella sua mente,
sorridendo al
pensiero del bacio che Mac gli aveva dato pochi giorni prima.
Si ricordò
che anche lui, come il conte francese, era
rimasto molto sorpreso quando aveva incontrato Sarah per la prima
volta: a
differenza del conte non sapeva che avrebbe dovuto incontrare qualcuno.
Ma
quando l’Ammiraglio li aveva presentati, ricordava ancora come il suo
cuore per
poco non si era fermato nel vederla: era l’esatta copia di Diane… Ed
era
bellissima.
Sì, era
bellissima. Lo aveva notato subito, appena si era
ripreso dallo stupore. Non tanto per l’aspetto fisico, che essendo
talmente
identico a Diane, era ovvio che gli piacesse, ma per quell’aria
indipendente e
un po’ aggressiva dietro la quale si nascondeva. Lo aveva capito quasi
subito,
da quella prima stretta di mano, che lei era sulla difensiva, anche se
non
voleva lasciarlo ad intendere. Anzi, ci teneva a sfoggiare
l’atteggiamento da
duro Marine! Ma lui aveva scoperto ben presto quanto fosse vulnerabile
e adorabile...
Ma che
c’entrava, ora, il suo incontro con Mac?
Si guardò
attorno confuso e adocchiò l’orologio sulla
parete: era già ora di pranzo. Possibile che si fosse immerso così
profondamente in quelle “scartoffie” vecchie di oltre un secolo, tanto
da non
accorgersi neppure del tempo che passava?
Passò una
mano sulla copertina del diario del conte
francese… era solo all’inizio e il quadernetto era scritto fitto fitto
fino a
poche pagine dalla fine. Chissà che storia racchiudeva? E chissà come
mai era
finito tra le carte dell’Ammiraglio Blackbird? Che il conte francese,
cui il
diario sembrava appartenere, fosse uno dei due stranieri che
l’Ammiraglio aveva
aiutato a fuggire? E se l’altro straniero fosse stato Lady Sarah? In
quel caso
la storia doveva essere vera! Più tardi avrebbe cominciato a spulciare
tra gli
altri scatoloni, alla ricerca di maggiori informazioni. Ma al momento
era
incuriosito dal sapere come continuava il diario.
Si alzò,
recuperò berretto e libricino e decise che
avrebbe pranzato, in mancanza di Mac, assieme ad un nobile europeo di
due
secoli prima.
|
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Capitolo 3 *** L'Incontro ***
Capitolo III
L'Incontro
Francesco
Giuseppe la ricevette personalmente con l’unica
compagnia di una seconda persona.
Lady Sarah
entrò nell’ampio e riccamente decorato studio
privato dell’Imperatore, mentre qualcuno, dietro di lei, con mani
invisibili
chiudeva la porta. La dama, un po’ impacciata negli abiti di corte,
fece
qualche passo in avanti sprofondandosi in un inchino in attesa che il
sovrano
le rivolgesse la parola.
“Ben tornata
a Vienna, Lady Sarah” udì la voce di
Francesco Giuseppe che la salutava.
Rialzandosi
dalla riverenza, la dama rispose: “Sono al
Vostro servizio, Maestà.”
Senza darlo a
vedere, studiò il volto del monarca e notò
che il giovane ed impetuoso sovrano conosciuto due anni prima a Bad
Ischl era
profondamente mutato. Rughe, ancorché impercettibili, segnavano gli
occhi e gli
angoli della bocca e l’espressione era quella di un Atlante costretto a
portare
sulle spalle, seppure possenti, il peso della volta celeste. Non era
affatto un
compito semplice essere l’uomo più potente del mondo…
Del resto
quello non era un bel momento per l’Austria.
Dopo il Congresso di Parigi del Febbraio precedente che aveva posto
termine
alla guerra di Crimea, l’Impero si trovava sempre più isolato dal resto
delle
monarchie europee, e non solo per la scelta di Francesco Giuseppe di
ammogliarsi con Elisabetta Duchessa in Baviera… infatti, durante quel
conflitto
l’Impero Asburgico era rimasto neutrale, e al tavolo delle trattative
per la
pace al Quai d’Orsay a Parigi, Richard Von Metternich, figlio del
celebre padre
e rappresentante dell’Austria, non era riuscito ad imporre la sua
mediazione e
pertanto gli Asburgo non ci avevano fatto una gran bella figura.
I russi del
resto non avevano perdonato loro il mancato
aiuto nella guerra appena conclusasi e Francesco Giuseppe, che aveva
sperato di
conservare i possedimenti italiani risparmiando la Francia non si stava
accorgendo che Napoleone III propendeva per Cavour e l’Italia ben
sapendo che,
se Veneto e Lombardia fossero stati annessi al regno di Sardegna, lui
avrebbe
ottenuto la Nizza e la Savoia, che rivendicava da tempo.
Era un
periodo nel quale l’Europa, alla ricerca di una
nuova identità, era tormentata da profondi rivolgimenti sociali e da
rivendicazioni nazionaliste.
Il sovrano
austriaco non poteva (o non voleva?) concedere
riforme, ma nel perseverare in questo atteggiamento ultra conservatore
si stava
sempre più esponendo alla critiche feroci dei suoi stessi sudditi.
Il monarca le
fece cenno di seguirlo e si sedettero l’uno
di fronte all’altra: Francesco Giuseppe dietro la scrivania ingombra di
carte,
Lady Sarah appollaiata sul ciglio della scomoda sedia Luigi XV a causa
del
volume delle vesti. Quanto rimpiangeva i comodi abiti che indossava
abitualmente! Quel busto così stretto quasi non la faceva respirare e
il suo
generoso décolleté era a stento contenuto.
Accanto
all’Imperatore notò un quadro di dimensioni
ragguardevoli che ritraeva l’Imperatrice Elisabetta, soprannominata
affettuosamente Sissi.
Lady Sarah,
durante il suo breve soggiorno a Bath, aveva
udito raccontare dalle bocche dei molti nobili che ivi si trovavano la
favola
d’amore tra il giovane Imperatore e la bella duchessina bavarese. Nei
salotti
si mormorava che la prescelta sposa sarebbe dovuta essere in realtà
Elena, la
sorella maggiore di Sissi, ma che al tè organizzato dalle madri dei
futuri sposi,
l’Arciduchessa Sofia e la di lei sorella Duchessa Ludovica in Baviera,
egli si
fosse follemente innamorato della sorella minore e, contravvenendo ai
voleri
delle due madri, l’avesse sposata. Si raccontava anche di come Elena ne
avesse
avuto il cuore spezzato rifugiandosi a Pottsdam da una zia e che lì
avesse
incontrato il Principe Turn und Taxis, sposandolo successivamente…
Lady Sarah,
però, conosceva la verità: la duchessa Elena
in Baviera non era affatto innamorata del giovane Francesco Giuseppe,
al
contrario l’avrebbe dovuto sposare per decisione della madre di costui,
la
quale aveva escogitato un tale matrimonio nella convinzione che si
sarebbero
evitati spiacevoli incidenti diplomatici che avrebbero potuto
trascendere in
qualcosa di peggio qualora il figlio si fosse sposato con una
principessa
straniera. Quella soluzione, che non preferiva né penalizzava alcuna
delle
monarchie dell’epoca, era apparsa la più ragionevole.
Alla sinistra
del sovrano, un poco discosto verso la
finestra che dava direttamente sul grande parco del Prater, stava ritto
come un
fusto nell’alta uniforme degli ufficiali austriaci un uomo imponente,
che le
venne presentato come Conte Von Webb, aiutante di campo di Sua Maestà.
Lady Sarah
non mancò di notare che era affascinante tanto
quanto il sovrano cui però faceva da contraltare quanto a
caratteristiche fisiche:
biondo con gli occhi azzurri il primo, moro e con profondi occhi scuri
il
secondo. Moro… esattamente come quel Conte D’Harmòn che l’aveva
accompagnata da
Calais fin lì, solo che il Conte francese aveva due pozze di mare in
tempesta
al posto degli occhi…
“Milady”
esordì Francesco Giuseppe riscuotendola dai suoi pensieri.
“Vi chiederete senz’altro la ragione di questa convocazione”.
“Niente
affatto, Maestà” mentì la dama “sono al Vostro
servizio, anche se il nostro ultimo incontro non è stato improntato
all’insegna
della cordialità, per cui Voi siete l’ultima persona da parte della
quale mi
sarei aspettata una chiamata…” aggiunse schiettamente e senza troppi
fronzoli.
Von Webb
sgranò gli occhi per l’incredulità. Era inaudito!
Nessuno mai aveva osato di rivolgersi con tanta sfrontatezza
all’Imperatore e
men che meno una donna!
Francesco
Giuseppe non diede segno di aver visto l’espressione
del suo aiutante di campo e sorrise all’impertinenza di Lady Sarah:
“Ricordo
bene come si è svolto il nostro ultimo incontro Milady, ma sono certo
che lo
spiacevole incidente sia stato dimenticato.”
“Sua Maestà
può contare sul mio aiuto” rispose compitamente
Lady Sarah. Sapeva che l’Imperatore non era uomo da chiedere scusa, il
rango
glielo imponeva, ma a suo modo l’aveva appena fatto.
“Ebbene
Milady, Vi ho chiamata perché temo per
l’incolumità dell’Imperatrice.”
La giovane
donna non fece commenti e del resto la notizia
non le giungeva nuova. Nelle sue peregrinazioni per l’Europa, aveva
sentito
dire di come il sovrano fosse inviso alle popolazioni ungheresi cui,
dopo la
repressione del 1848, aveva tolto ogni libertà abrogandone la
Costituzione e
annettendo il Paese all’Impero, giustiziando i ribelli ed imprigionando
i
liberi pensatori.
Per la verità
queste abominevoli azioni furono ordinate su
consiglio dell’Arciduchessa Sofia, la “vera Imperatrice” come
mormoravano i
bene informati, ma agli occhi di tutti responsabile ne era stato
Francesco
Giuseppe. Era quindi più che logico che lo volessero colpire laddove
era più
vulnerabile.
“Quale sarà
il mio compito?” chiese alfine.
“Dovrete
proteggere l’Imperatrice” le rispose il sovrano
alzandosi e andando accanto al ritratto della giovane moglie. “Sarete
presentata a Sua Maestà e diventerete sua dama di compagnia” proseguì
Francesco
Giuseppe con gli occhi fissi al quadro, l’espressione di un marito
innamorato
che teme per la vita dell’adorata consorte “Muterete nome,
naturalmente,
pertanto per la Corte voi sarete la Baronessa Sarah de Bellegarde[1]
, vedova del Barone
Jean-Jacques de Bellegarde.”
Lady Sarah
ascoltava con attenzione le parole
dell’Imperatore. Era avvezza a mutare identità come il vento muta la
propria
direzione e questo non le creava troppe difficoltà. Di volta in volta
era stata
italiana, russa, magiara, tedesca e persino indiana e passava da un
idioma
all’altro con estrema semplicità. Questa volta sarebbe toccato al
francese,
peraltro lingua ufficiale a Corte. Tuttavia era a conoscenza del fatto
che
Elisabetta in privato, per non farsi comprendere dallo stuolo di dame
che la
suocera le aveva messo alle calcagna per sorvegliarla, parlava e
scriveva in
inglese. Questo le sarebbe stato di enorme aiuto, consentendole di
avvicinare
l’Imperatrice e di divenirne la confidente.
“Sarete
presentata quest’oggi alle 15.00 dal Gran
Cerimoniere di Sua Maestà e da quel momento terrete occhi ed orecchie
ben
aperti. Svolgerete i vostri compiti servendovi dell’ausilio del Conte
D’Harmòn,
che già conoscete e che gode della stima dell’Imperatrice, e del Conte
Von Webb
che mi relazionerà settimanalmente sugli sviluppi del vostro operato.
Per il
momento alloggerete nell’ala del palazzo riservata agli ospiti
stranieri, dopodiché
sarete trasferita nelle stanze occupate dal seguito di Sua Maestà. Buon
Lavoro,
Milady.”
La
conversazione era terminata. Francesco Giuseppe si
allontanò dal quadro e si sedette alla scrivania, congedandola.
Lady Sarah si
alzò dalla scomoda posizione e fece una
riverenza all’insegna dell’Imperatore uscendo poi a ritroso per non
dargli le
spalle.
Mentre
seguiva il valletto che la conduceva fra dedali di
corridoi che sembravano non terminare mai e scaloni tanto imponenti
quanto
percorsi da robuste correnti d’aria, si chiese se l’Arciduchessa Sofia
fosse al
corrente dell’incarico assegnatole dal figlio e della sua presenza a
Vienna e,
in caso affermativo, cose ne pensasse.
Per domare la
giovane ed inesperta nuora, essa aveva
infatti scelto personalmente ogni dama che avrebbe fatto parte del
seguito di
Sissi. Ogni nuovo ingresso nell’entourage era da lei proposto, vagliato
e
approvato e nessuno poteva intromettersi, dal momento che
l’Arciduchessa si era
assunta personalmente il compito di “educare” Elisabetta alla sua nuova
vita.
Sulle
duecentoventitrè dame, regina senza regno, dominava
incontrastata la figura della Contessa Esterhàzy, la quale esagerava
fino alla
caricatura il ruolo assegnatole: labbra serrate, espressione arcigna,
pelle
incartapecorita e rugosa, atteggiamento devoto e severo. Questa dama
conosceva
tutte le sottigliezze del protocollo, tutti i pettegolezzi di corte e
tutti gli
intrighi; per lei esisteva una sola morale: l’etichetta e ogni mancanza
da
parte dell’Imperatrice, voluta o meno che fosse, era considerata come
un
peccato capitale da segnalare a sua Altezza Imperiale l’Arciduchessa
Sofia.
Con tutto
questo si sarebbe scontrata Lady Sarah di lì a
qualche ora, spirito libero e indomito, poco incline a seguire
etichette e
protocolli di sorta, infastidita da qualsiasi tipo di regola, tranne
quelle che
lei stessa s’imponeva, compresa quella di non lasciarsi affascinare da
un
francese dal ciuffo ribelle e dagli occhi di mare…
***
22 Settembre 1856
Questa
mattina, molto presto, sono stato convocato da Sua
Maestà per essere informato dei termini del colloquio tra l’Imperatore
e Lady
Sarah: Milady diventerà dama di compagnia di Sua Maestà l’Imperatrice e
si farà
chiamare Baronessa Sarah de Bellegarde, vedova del Barone Jean-Jacques
de Bellegarde.
Grazie
al fatto che fingerà di essere una dama francese,
non sembrerà strano che desideri parlare con il Conte André François
D’Harmòn... A quanto pare Sua Maestà ha previsto proprio tutto!
Un'unica cosa
mi lascia perplesso: che Milady (o piuttosto Madame... dovrò ricordarmi
di
rivolgermi a lei in questo modo) dovrà riferire anche all’aiutante di
campo
dell’Imperatore, il Conte Von Webb.
Quell’uomo
non mi è mai piaciuto. Ho sempre ritenuto che
Sua Maestà riponesse troppa fiducia nel Conte, soprattutto se si tiene
conto
del fatto che, in gioventù, si mormorava fosse innamorato della sorella
dell’Arciduchessa Sofia, la Duchessa Ludovica di Baviera, madre
dell’Imperatrice Elisabetta, la quale fu costretta dalla famiglia a
preferirgli
il Duca Max.
Massimiliano
Giuseppe, Duca in Baviera, fu certamente
considerato un partito più appetibile del giovane borghese, divenuto
Conte Von
Webb solo successivamente e insignito di tale titolo dall’Imperatore
stesso per
meriti in battaglia e dopo essere riuscito a convincere al matrimonio
la
Contessa Maria Luisa.
Klaus
Von Webb è un uomo molto astuto e di grandi
ambizioni, che sa accattivarsi molto bene la simpatia di Sua Maestà. Ma
ha un
che di sfuggente e subdolo che traspare dallo
sguardo e dai suoi modi. Il pensiero che Lady Sarah debba
avere a che
fare anche con lui non mi aggrada... O forse non mi aggrada l’idea che
Milady
debba avere contatti con altri uomini, oltre il Conte D’Harmòn?
Mio
caro André, che la bella Inglese abbia già fatto
breccia nel tuo cuore?
|
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Capitolo 4 *** Ritorno ***
Capitolo IV
Ritorno
Mac non aveva
fatto in tempo a posare la 24 ore e il
cappotto che già Coates bussava alla porta. Era stanca, di più, era
distrutta!
L’aver dovuto fare da scorta ad un marine indisciplinato che l’aveva
anche
presa a pugni in aula era stato semplicemente sfiancante. Non era
addestrata a
quel tipo di lavoro ed aveva dovuto improvvisare. C’era mancato poco
che la
prigioniera le sfuggisse… avrebbe desiderato fare rapporto
all’Ammiraglio e
chiedere il resto del giorno di riposo, ma la discreta presenza di Jen
alle sue
spalle lasciava intendere il contrario.
“Signora,
l’Ammiraglio mi ha chiesto di condurla da lui
non appena fosse rientrata.”
“Arrivo
subito” le rispose Mac con voce incolore. Posò
quello che doveva e seguì il Sottufficiale che l’annunciò a Chegwidden.
“Desiderava
vedermi, Signore?” chiese mantenendosi
sull’attenti.
“Riposo,
Colonnello, si sieda.”
Quando Mac si
fu seduta, Chegwidden le spiegò per sommi
capi in cosa sarebbe consistito il nuovo incarico.
“Signore,
posso parlare liberamente?” AJ annuì.
“Credo che
per questo tipo di lavoro sarebbe più utile
avvalersi dell’ausilio di uno storico puro piuttosto che non di un
avvocato… e
poi io e il Comandante abbiamo ancora in sospeso il caso Clarke.”
“Ho fatto in
modo che di questo se ne occupino il
Comandante Turner e il Tenente Roberts. Questo caso ha la precedenza su
tutto”
le rispose con tono fermo il superiore che non voleva essere costretto
ad
organizzare un’altra festa di fidanzamento per un matrimonio che non
sarebbe
mai stato celebrato.
“Quand’è
così…” cedette Mac senza troppa convinzione.
“Dove posso trovare il Comandante?”
“In sala
riunioni.”
A quella
frase le tornò alla mente il bacio che aveva dato
ad Harm pochi giorni addietro, sentì nuovamente il sapore delle sue
labbra su di
sé e le parve di avvampare. Sperò che l’Ammiraglio non si fosse accorto
di
nulla.
Si sbagliava.
Mentre Mac
usciva dopo averlo salutato, AJ rise sornione
sotto i baffi.
Mac era assai
perplessa da quello strano incarico, non le
era mai accaduto di dover scartabellare fra mucchi di scartoffie
ingiallite dal
tempo. Anche se non odiava il lavoro d’archivio quanto Harm non si
poteva certo
dire che ne fosse innamorata.
E poi a cosa
sarebbe servito tutto ciò? Quando aveva
chiesto spiegazioni, l’Ammiraglio l’aveva liquidata con un laconico
“chieda a
Rabb, lui conosce i dettagli”.
Arrivò alla
sala riunioni ed entrò. Harm non c’era, ma al
suo posto trovò quattro scatoloni ancora chiusi posati per terra ed uno
aperto
messo vicino ad una delle sedie che circondavano il grande tavolo di
mogano.
Sbirciò dentro la scatola e arricciò il naso al sentore di muffa che vi
aleggiava all’interno. Vide fasci di documenti vergati rigorosamente a
mano e
la pelle le si accapponò… ma l’Ammiraglio che diavolo pensava dovessero
fare con
quelle carte?
Non sapendo
bene da che parte iniziare, in attesa del
ritorno di Harm, prese lo scatolone già aperto, lo posò sul tavolo e
cominciò
ad estrarne metodicamente il contenuto.
***
André
D’Harmòn congedò il servitore con una mano,
terminando lui stesso di sistemare la sciabola nel fodero: era
parecchio che
non indossava l’alta uniforme, ma quell’occasione la richiedeva, per
sottolinearne l’ufficialità. Era stato l’Imperatore stesso a
suggerirlo, per
far comprendere meglio alla sua adorata consorte, semmai ce ne fosse
stato
bisogno, che Lady Sarah era stata scelta personalmente da lui come sua
dama di
compagnia. Era assolutamente necessario che a Sua Maestà l’Imperatrice
piacesse
la Baronessa de Bellegarde, altrimenti gli sforzi di Francesco Giuseppe
per
proteggere la moglie sarebbero stati vani.
L’Imperatore
sapeva bene quanto Elisabetta odiasse le proprie
dame di compagnia, tutte abilmente scelte dalla suocera, e come si
ostinasse a
non confidarsi con nessuna di loro. Addirittura si divertiva a parlare
in
inglese, anziché in francese, la lingua usata a Corte, proprio per
evitare di
farsi capire. Per questo motivo Sua Maestà l’Imperatore aveva scelto
Lady Sarah
per quell’incarico.
Lady Sarah…
Sistemandosi
inconsciamente un ciuffo ribelle, che tanto
ribelle restava comunque, il giovane Conte sorrise al pensiero che fra
pochi
minuti l’avrebbe rivista.
Era molto
eccitato, all’idea!
Non riusciva
a capire come mai quella donna l’avesse
colpito tanto: certo, era molto bella. Ed anche la sua aria leggermente
esotica
contribuiva ad aumentare il suo fascino; per non parlare di quanto
l’avesse
subito intrigato quel luccichio nei suoi occhi, evidente segno di una
mente
brillante e di un carattere volitivo.
Ma il Conte
André François D’Harmòn, seppure giovane, ne
aveva conosciute molte di donne belle, brillanti e altrettanto
volitive, eppure
mai nessuna l’aveva colpito a tal punto. Tra l’altro, considerato il
suo
aspetto notevole, per non parlare del suo titolo e del consistente
patrimonio, parecchie
di queste affascinanti dame avevano fatto il possibile e l’impossibile
per fare
breccia nel suo cuore, con scarsi risultati.
Il bel Conte
si limitava a corteggiarle, a conversare
amabilmente con loro, in alcuni casi a concedersi discrete avventure,
ma mai ad
impegnarsi.
Finché non
aveva conosciuto Lady Sarah… Dal primo momento
in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli di lei, André aveva
provato
l’impulso irresistibile di stringerla tra le braccia e non lasciarla
andare mai
più. Ma al tempo stesso aveva avuto la sensazione che sarebbe stata una
difficile conquista… La luce nei suoi occhi, che lui aveva colto fin
dal primo
istante, gli aveva suggerito che, oltre ad avere un carattere volitivo,
Milady
fosse anche uno spirito libero, difficilmente domabile da un uomo. Ed
anche un
mistero: chissà quali segreti nascondeva il suo passato?
Forse era
proprio questo ad averlo intrigato tanto.
“In fondo le
sfide difficili e misteriose mi sono sempre
piaciute”, pensò sorridendo.
Raccolse
dalla poltroncina in velluto color crema il
copricapo della sua uniforme, se lo mise sotto il braccio, com’era
consuetudine
portarlo in presenza di una dama, e si avviò verso la porta della sua
stanza,
pronto a raggiungere Lady Sarah per accompagnarla all’incontro con Sua
Maestà
l’Imperatrice Elisabetta.
“E chissà
quali dolcezze cela il suo meraviglioso corpo…”
si scoprì ad immaginare, mentre si richiudeva la porta alle spalle.
Sì, la
Baronessa de Bellegarde si prospettava essere una
delle più gradevoli sfide della sua vita.
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Capitolo 5 *** La Presentazione ***
Capitolo V
La
Presentazione
Quando giunse
nei propri appartamenti, Lady Sarah si
avvide che il suo scarno bagaglio era già stato sistemato. Mancava
ancora
qualche ora all’incontro con l’Imperatrice, pertanto decise di
prendersi un po’
di tempo e di bighellonare per le stanze.
A differenza
delle altre dame del suo tempo che
necessitavano di ore e ore di preparativi anche solo per partecipare ad
un
semplice pic-nic, a Lady Sarah bastava poco per essere perfetta ed
impeccabile
in ogni occasione.
Girellò per
le stanze che costituivano la sua temporanea
sistemazione. Decori, oro, stucchi veneziani, dipinti, arazzi e velluti
erano
spesi a profusione, anche se questo lusso era comunque più sobrio di
quello di
Versailles, recentemente ritornata ad essere la residenza di Napoleone
III dopo
la rovina della Rivoluzione.
Il letto
della camera era sontuoso, sormontato da un
baldacchino in velluto blu notte con in cima l’aquila bicipite degli
Asburgo,
il mobilio era in stile Luigi XV e per terra tappeti di squisita
fattura
Savonnerie. Nel bagno mancava una vasca e Lady Sarah rammentò come,
nell’austero palazzo voluto dalla grande Maria Teresa, questi orpelli
fossero
stati giudicati inutili. Sorrise al pensiero di come avrebbero reagito
a questa
bizzarria alcune sue amiche dell’alta società di Boston…
“Passare
dagli Stati Uniti all’Europa è come viaggiare su
una macchina del tempo, per certi versi" pensò.
Andò alle
finestre bordate di tende di pizzo di Fiandra e
sormontate da mantovane di velluto beige e ammirò il panorama. Il
Prater
circondava l’intero palazzo di Schonbrunn e da qualunque parte ci si
affacciasse lo si poteva ammirare; la giornata autunnale insolitamente
luminosa, poi, rendeva i gialli, i rossi, gli arancioni e i marroni
tipici
della stagione ancora più brillanti.
Tornò
all’armadio e l’aprì.
Non era
preoccupata più di tanto da quell’incontro, avendo
frequentato parecchio le corti d’Europa sapeva bene come ci si
comportava e
abbigliava alla presenza di un sovrano. Era tuttavia curiosa di
conoscere
l’Imperatrice Elisabetta della cui bellezza si favoleggiava nei circoli
bene di
tutta Europa e nei salotti più aristocratici degli Stati Uniti.
Aprì
l’imponente anta di ciliegio intarsiato e scelse la
toeletta appropriata. Si spogliò sino a rimanere col solo busto e la
sottoveste
di seta candida, dei quali si liberò con un gesto insofferente. Odiava
le gale,
odiava le crinoline, odiava soprattutto i busti dalle lunghe stecche di
balena
che impedivano di respirare come un essere umano costringendola a brevi
respiri
che le davano l’impressione di stare soffocando.
Avrebbe tanto
desiderato immergersi in una bianca vasca
smaltata circondata da profumi e dall’aroma dei sali minerali, ma a
Vienna i
costumi erano assai diversi da quelli della sua casa in Inghilterra e
così dovette
accontentarsi di una rudimentale tinozza di legno e di tre brocche di
acqua
bollente. Per fortuna aveva con sé il necessario per una toilette degna
di
questo nome.
Prese il
bagno completamente nuda, cosa che avrebbe
scandalizzato ben più di una persona in un’epoca dove la pudicizia
spingeva a
coprire persino le gambe dei tavoli, delle sedie e dei pianoforti.
Assaporò ogni
istante di quel bagno seppur primitivo e
quando ne uscì si sentiva meglio; la stanchezza del viaggio era rimasta
nell’acqua della tinozza profumata di essenza alla vaniglia.
In poco meno
di un’ora Lady Sarah era pronta per essere
ricevuta dall’Imperatrice Elisabetta e per entrare nel suo mondo.
Un leggero
bussare alla porta l’avvisò che la sua “scorta”
era arrivata. Uscì dalle stanze e quale fu la sua sorpresa nel vedersi
davanti
il Conte D’Harmòn nell’alta uniforme degli Ussari francesi!
“Conte, non
mi aspettavo l’onore della Vostra compagnia”
esclamò.
“L’Imperatore
ha espresso il desiderio che fossi io a
condurVi alla sala delle udienze dell’Imperatrice” le rispose galante
lui.
Lady Sarah
non poté impedire al proprio cuore di far
capriole nel petto, quell’uomo le suscitava emozioni che non
comprendeva e per
la prima volta sembrava non riuscire ad avere la meglio sui suoi
sentimenti. Nondimeno
si ricordò della regola d’oro: mai innamorarsi. La sua vita non glielo
permetteva, lei era uno spirito libero, che mal tollerava costrizioni o
pastoie
di sorta. E l’amore finiva sempre con l’imbrigliarti.
Pertanto
ricacciò le sue sensazioni nell’angolo più remoto
di se stessa e sorrise leggera al Conte che le porgeva il braccio.
“Allora
andiamo” gli disse con tono salottiero.
André
François D’Harmòn era ormai un habitué alla corte
imperiale di Vienna e pertanto la condusse senza esitazioni sino
all’ala del
palazzo riservata all’Imperatrice.
Rampollo di
una lunga discendenza nobile della Borgogna,
era l’unico figlio maschio del Conte Henry Louis D’Harmòn,
aristocratico
sfuggito per miracolo alla Rivoluzione, e della Contessa Patricia Von
Raab,
austriaca per parte di padre.
Tale
ascendenza tedesca e il fatto di essere il miglior
produttore di vino Borgogna del suo tempo avevano reso possibile
l’ingresso a
corte del giovane Conte.
Da alcuni
anni, infatti, era lui a curare gli interessi
dell’azienda di famiglia presso la corte di Vienna, poiché il padre e
la madre
avevano preferito ritirarsi a vita privata nello Chateau di famiglia,
nei
pressi di Cluny. E la cosa non dispiaceva affatto al giovane Conte: nel
1848
studenti, operai e Guardia nazionale avevano costretto il re Luigi
Filippo I,
duca d’Orléans, ad abdicare; era stata proclamata la Seconda Repubblica ed era stato
eletto presidente
Luigi Napoleone, nipote di Bonaparte, il quale, alla fine del 1852,
aveva agito
in modo tale che la nuova Costituzione lo aveva proclamato “Imperatore
dei
Francesi per grazia di Dio e volontà della nazione” con il nome di
Napoleone
III.
Pertanto in
quegli anni la nobiltà francese non viveva
momenti felici; D’Harmòn stesso preferiva di gran lunga vivere alla
corte
asburgica, il cui sovrano era di sangue blu, che non a quella francese,
ove sul
trono vi era il discendente di un ex-ufficiale d’artiglieria. Grazie
alla sua
discendenza tedesca per parte materna gli era possibile indossare la
divisa
degli Ussari francesi e al tempo stesso frequentare la corte viennese.
La sua
abilità di spadaccino, di cavallerizzo e di
tiratore gli erano valsi l’ammirazione e la benevolenza dell’Imperatore
Francesco Giuseppe, quasi suo coetaneo, e in più di un’occasione il
francese
aveva dimostrato la sua fedeltà al sovrano. Grazie a questo era stato
trattenuto a Vienna dall’Imperatore stesso proprio quando i soldati
francesi e
i loro alleati inglesi stavano morendo a migliaia per il colera e per
il freddo
alle porte di Sebastopoli, nella penisola di Crimea, in una guerra nata
da un
conflitto tra monaci cattolici ed ortodossi per i Luoghi Santi a
Gerusalemme,
ma che in realtà vedeva in gioco l’egemonia russa e quella francese.
Di
temperamento piuttosto riservato, ma di gusti assai
raffinati e dai modi ineccepibili, D’Harmòn piaceva molto a corte,
specialmente
alle dame, per quella sua aria da eterno ragazzo e per i suoi
incredibili occhi
che avevano sollevato numerose discussioni ai tè: erano verdi o azzurri?
Sissi amava
molto il suo modo di porsi e l’Imperatore,
intuite le abilità del Conte con le armi e notato il suo savoir fare
con la
giovane moglie, fidandosi ciecamente del nobiluomo gli aveva affidato
la vita
della sovrana, pregandolo di proteggerla con discrezione.
Successivamente,
quando voci di un possibile attentato alla vita dell’Imperatrice si
erano fatte
sempre più insistenti, era giunto a chiamare Lady Sarah per affiancarla
a
D’Harmòn.
Il Conte
scortò con fare sicuro Lady Sarah fino alla meta
e bussò con discrezione. Il Gran Cerimoniere di Sua Maestà aprì la
porta di
legno laccato bianco intarsiata d’oro.
Il Conte
cedette il passo alla dama, la quale, in un
fruscio di seta nera, entrò nell’ampio salone, e poi la seguì facendo
anch’egli
il proprio ingresso e inchinandosi insieme a lei davanti all’augusta
persona di
Elisabetta Imperatrice d’Austria.
La sovrana
era seduta per terra e stava giocando con la
maggiore delle figlie, la piccola Sofia, ed era semplicemente radiosa.
“Non sono
favole quelle che si raccontano sulla sua
bellezza” pensò Lady Sarah osservandola di sottecchi, per quanto le
consentiva
la posizione in cui si trovava.
Elisabetta
indossava un semplice abito di velluto verde
smeraldo, stretto in vita da una fascia di seta bianca. Non portava
gioielli di
sorta e i lunghissimi capelli erano intrecciati sulla sommità del capo
in
un’acconciatura estremamente sobria .
Non aveva
ancora compiuto 19 anni (il suo compleanno
sarebbe caduto la prossima vigilia di Natale), ma era già madre di due
bambine,
Sofia nata nel 1855 e Gisella nata nel 1856 che in quel momento le
tenevano
compagnia, la più piccina nella culla, la maggiore gattonando per terra
sul
magnifico parquet intarsiato.
Sissi stava
giocando con Sofia e non si era avveduta
dell’ingresso del Conte e di Lady Sarah, pertanto il Gran Cerimoniere
l’avvertì
con discrezione della presenza degli ospiti che avrebbe dovuto ricevere.
“Che
sbadata!” esclamò con voce argentina in inglese cui
seguì un’allegra risata.
“Conte!”
disse sempre sorridendo e tendendo le mani verso
l’uomo. “Che piacere rivedervi! Ci siete mancato moltissimo!”
D’Harmòn si
sollevò dalla riverenza e baciò le mani della
sovrana. “Il piacere è mio, Maestà” mormorò con rispetto.
“Suvvia mio
caro André, quanta affettazione! Rimanete
lontano per soli quattro giorni e già ripristinate le distanze? Non
sarete
forse stato troppo a lungo in compagnia della Contessa Esterhàzy?”
domandò
impertinente sempre parlando in inglese.
D’Harmòn
sorrise: “Niente affatto, Maestà. Mi sono recato
sino a Parigi per portare con me la vostra nuova dama di compagnia: la
Baronessa Sarah de Bellegarde.”
“Baronessa
siamo molto lieti di fare la vostra conoscenza.
Siamo al corrente del vostro lutto e ce ne dispiace… Il nostro più vivo
augurio
è che la Vostra nuova vita a corte possa regalarvi un po’ di serenità e
consentirvi di lenire il dolore per la perdita del vostro adorato
marito” le
disse Sissi parlandole ancora in inglese e dimentica che la “Baronessa”
era di
nazionalità francese.
“Maestà, voi
siete troppo buona” rispose in inglese Lady
Sarah ritornando in posizione eretta con tono mesto, simulando alla
perfezione
la parte della vedova.
L’Imperatrice
si avvide della gaffe commessa rivolgendosi
alla Baronessa in inglese e se ne scusò.
“Maestà, non
mi avete offesa” le rispose Lady Sarah “parlo
molto bene l’inglese e mi fa piacere ogni tanto poter utilizzare questa
lingua
nelle conversazioni.”
La sovrana
rimase favorevolmente impressionata dalla
Baronessa de Bellegarde.
Il primo
passo era stato fatto.
“Ebbene,
Baronessa, non rimpiangete la vostra bella Parigi?”
chiese Elisabetta.
“Non v’è
nulla di meglio che mutare clima e costumi dopo
un lutto, Maestà, ed essere al Vostro servizio per me è un onore” le
rispose
compitamente Lady Sarah.
“Ne siamo
lieti e siamo contenti che l’Imperatore abbia
fatto una così buona scelta.”
Allora era
vero! Esultò dentro di sé Lady Sarah.
L’Arciduchessa Sofia non era al corrente della manovra del figlio e
forse
neanche sapeva del pericolo che correva la vita della nuora.
“Si profilano
tempi interessanti” si disse.
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Capitolo 6 *** Chiarimenti ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo VI
Chiarimenti
“Bentornata
tra noi, Colonnello” la salutò Harm di ritorno
dal pranzo. “Come è andata a Miramar?”
Mac alzò la
testa dallo scatolone che aveva di fronte a sé
e per tutta risposta gli chiese: “Cos’è questa storia della ricerca?”.
“Quanta
fretta Marine! Neanche più si salutano i vecchi
amici?”
Mac lo guardò
in tralice, più che salutarlo avrebbe voluto
fare altro, ma in quel momento l’esigenza di udire spiegazioni era
impellente.
Harm le
chiese stupito se l’Ammiraglio le avesse detto qualcosa.
“No” rispose
lei sbuffando e posando le carte che aveva in
grembo. “Mi ha solo detto di rivolgermi a te per i dettagli.”
Harm appoggiò
il diario del Conte D’Harmòn e si sedette
accanto a Mac.
“Anche io
sono rimasto molto stupito quando me l’ha detto”
esordì guardandola dritto negli occhi. Se non fosse stato per la
distanza di
secoli, si sarebbe detto di trovarsi in presenza della Lady Sarah del
Conte….
La manovra
aveva un suo perché: doveva scoprire cosa
albergava in lei, quali fossero i suoi veri sentimenti. L’istinto
sarebbe stato
quello di prenderla fra le braccia e baciarla fino a farla restare
senza fiato.
In quei due
giorni le era mancata come l’aria, sembrava
che il JAG fosse vuoto senza la sua presenza, ma in realtà quello vuoto
era
lui.
“Però adesso
è qui” pensò, “e questo strano lavoro mi
fornirà l’occasione che cerco.”
Davanti a
quello sguardo indagatore che sembrava volerle scrutare
anche l’anima, Mac si sentì a disagio. Che dire? Che fare?
Aveva voglia
di baciarlo ancora?
Sì, da morire.
Lo amava?
Sì, da morire.
Tuttavia
qualcosa la trattenne dallo sporgersi dalla sedia
e incollare le sue labbra a quelle di lui. Si limitò a distogliere lo
sguardo e
a chiedere nuovamente lumi su quell’incarico così stravagante.
“L’Ammiraglio
Alexander Blackbird” cominciò lui, “è stato
un eroe della Marina Militare, le sue gesta sono descritte nei libri di
storia
e le sue tattiche di guerra vengono studiate ancora adesso dagli
allievi
dell’Accademia navale. Sei mesi fa l’ultimo dei suoi discendenti ha
rinvenuto
delle carte dell’avo e…”
“I cinque
scatoloni?” chiese Mac con aria affranta.
“Precisamente”
le rispose Harm con aria divertita. “E ne
ha fatto dono all’Archivio Storico di Annapolis. L’Ammiraglio
Chegwidden mi ha
riferito che da quelle carte è emersa una storia alquanto singolare. Ad
un
certo punto della sua carriera, l’Ammiraglio Blackbird entrò in
contatto con l’Impero
Asburgico e si mise al servizio temporaneo dell’Imperatore Francesco
Giuseppe
il quale gli chiese di nascondere a bordo della sua nave, la “Medea”,
due
stranieri, un inglese e un francese, cui egli aveva affidato la vita
dell’Imperatrice Elisabetta sua moglie. Tra poco ricorrerà il
centenario della
morte dell’Ammiraglio e l’Accademia, nonché la Marina, vogliono
arricchire la
sua biografia di questo ulteriore particolare, per cui l’Ammiraglio
Chegwidden
ha pensato di incaricare noi per svelare il mistero dei due fuggiaschi
a bordo
della Medea” concluse Harm.
“Posso dirti
in tutta onestà che la cosa non mi
entusiasma?” disse Mac con voce piatta.
“Anche io la
pensavo così, fino a quando non ho trovato
questo” le rispose lui porgendole il diario del Conte D’Harmòn.
***
Non
appena furono congedati da Sua Maestà, il
Conte D’Harmòn fece per accompagnare Lady Sarah nelle sue stanze, ma la
donna lo
fermò.
“Che
ne direbbe, Conte, di fare due passi con
me in giardino?”
“Con
piacere, Madame” rispose galante il nobile
francese, porgendole il braccio.
“Devo
capire alcune cose…” mormorò tra sé Lady
Sarah, mentre raccoglieva l’invito del Conte. Appoggiò la sua mano sul
tessuto
della divisa dell’uomo al suo fianco, mentre lui gliela copriva con
l’altra, in
un gesto forse più intimo di quanto le circostanze avrebbero imposto.
Ma Lady
Sarah era solita non badare troppo alle rigide regole d’etichetta.
Tuttavia si
sentì turbata dal contatto delle loro mani: sebbene quella del Conte
fosse
coperta dal guanto che completava l’uniforme, la nobildonna non poté
non
accorgersi del calore che sprigionava il corpo del nobile francese.
Lui
la stava scortando attraverso vari corridoi
e scalinate, per condurla nei giardini. Lady Sarah aveva in mente di
fargli una
serie di domande sull’Imperatrice che, a quanto aveva potuto osservare,
era in
ottimi rapporti con il Conte, ma passeggiando al suo fianco si rese
conto di
non riuscire a pensare a nulla che non fosse il suo affascinante
accompagnatore.
André
D’Harmòn aveva iniziato ad illustrarle
vari dipinti che si trovavano alle pareti, raccontandole la storia di
molti dei
personaggi rappresentati nei quadri. Aveva una voce calda e profonda e
sapeva
suscitare l’interesse dell’ascoltatore con grande abilità. Era una sua
dote
naturale, ancor più evidenziata dal piacere che il giovane francese
traeva
dalla compagnia della bellissima donna che lo accompagnava. Il suo
fascino era
naturale e, proprio per questo, ancora più apprezzato da Lady Sarah la
quale,
nel suo girovagare presso le varie corti europee, aveva avuto modo di
conoscere
molti uomini, anche di bell’aspetto e di ottima cultura, ma spesso di
maniere
troppo affettate. E se c’era una cosa che Milady non sopportava erano
gli
uomini che tentavano di sedurla a tutti i costi.
Il
Conte, invece, l’aveva colpita proprio
perché tutto, in lui, era estremamente spontaneo e, proprio per questo,
altamente seducente.
“Ed
ecco, Madame, il giardino!” disse il Conte
con un sorriso che gli illuminò il volto, aprendole una vetrata per
permetterle
di uscire.
Lady
Sarah ammirò lo spettacolo dei giardini di
Schonbrunn: benché fosse autunno inoltrato, risplendevano sotto il sole
del
pomeriggio e rivelavano sentieri perfettamente curati e costeggiati da
siepi
sagomate, a rivelare la profonda sensibilità della grande Imperatrice
Maria
Teresa per gli spazi naturali.
Tuttavia
la giovane inglese, già abituata allo
splendore dei giardini di Versailles, restò più abbagliata dal sorriso
del
Conte, che dalla bellezza del parco della residenza degli Asburgo. Gli
rivolse
a sua volta un sorriso luminoso e decise di godersi ancora per un po’
la
compagnia dell’affascinante francese, prima di rivolgergli le domande
che le
stavano a cuore.
Passeggiarono
per alcuni minuti all’aperto,
chiacchierando di arte e giardinaggio, prima che il Conte, arrivato nel
luogo
appartato che aveva come meta fin dall’inizio, le chiese: “Cosa
volevate
sapere, Milady?”.
Lady
Sarah lo fissò per qualche attimo,
sorpresa dal fatto che solo ora, se ne rendeva conto, si accorgeva che
André
D’Harmòn, oltre ad essere molto bello, un abile oratore e
un’affascinante
compagnia, era anche un uomo di grande intuito e intelligenza.
Decise
quindi di chiedergli tutto ciò che
avrebbe potuto servirle per entrare in confidenza con l’Imperatrice:
s’informò
sul carattere di Elisabetta, domandò come mai Sua Maestà parlasse
spesso in
inglese e si fece spiegare per sommi capi chi avrebbe dovuto tener
d’occhio maggiormente
tra le dame che attorniavano la giovane sovrana.
André
D’Harmòn rispose con semplicità ad ogni
domanda, raccontandole anche alcuni aneddoti che la fecero sorridere.
Dopodiché, fornite tutte le indicazioni necessarie, riaccompagnò Milady
nelle
sue camere.
***
22 Settembre 1856
Ho
sempre amato i giardini di Schonbrunn, più semplici di
quelli di Versailles, ma al tempo stesso egualmente maestosi; ho sempre
apprezzato passeggiarvi in una giornata di sole, assaporando la quiete
e la
serenità del luogo.
Eppure,
questo pomeriggio, assieme a Lady Sarah… non mi è
mai piaciuto tanto conversare con qualcuno come
ho fatto oggi con lei.
Amo
il suo animo e con esso la sua poesia; amo la
grammatica e la sintassi incalzante del suo brillante pensiero.
Sebbene
tutto di lei mi affascini - le sue labbra, i suoi
occhi, le sue mani - amo quello, più d’ogni altra cosa in lei. Labbra, occhi e mani in
qualche modo si
rassomigliano tutti, ma il suo pensiero è nato con lei e con lei
sparirebbe.
Il
suo pensiero, esternato dalle sue parole, è solo lei e
lei soltanto.
***
Alzò gli
occhi e lo guardò, ancora sopraffatta da quelle
parole. Lui la stava osservando, mentre leggeva il diario del conte
André
D’Harmòn, e si stava domandando quali immagini e idee attraversassero
la sua
mente.
“Allora?
Credi ancora che il nostro incarico non sia
entusiasmante?” chiese Harm, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
La
scrutò con un sorriso, divertito dall’espressione sognante che aveva
scorto nei
suoi occhi: nessuna donna, neanche un duro Marine dell’era dello spazio
e della
cibernetica, sarebbe rimasta indifferente alle parole del nobile
francese. Lui
stesso, quando le aveva lette, aveva provato un brivido nel profondo,
forse
perché aveva scoperto essere le stesse che più volte anche lui avrebbe
desiderato dire alla sua “Lady Sarah”.
“Mi è
sembrato che le parole del Conte francese avessero
un certo effetto su di te…” la prese benevolmente in giro, più per
attenuare le
sue stesse emozioni, che per sminuire il romanticismo che leggeva nei
suoi
occhi.
“Qualunque
donna sarebbe felice di essere oggetto di tanta
passione, non credi?”
“Tu dici?”
domandò a sua volta, sempre con aria
leggermente divertita.
“Oh, sei
insopportabile, sai?” lo accusò lei.
“Credevo che
un duro Marine come te fosse insensibile al
fascino di un nobile di oltre un secolo fa… invece, a quanto pare…”
“Sei un uomo,
non puoi capire.”
“Anche il bel
Conte era un uomo, Mac” la incalzò lui,
sempre più divertito da come riusciva sempre a provocarla. L’adorava,
letteralmente, quando perdeva le staffe per le sue frecciatine!
“Come sai che
il Conte era un bell’uomo? Nulla lo fa
supporre, dalle parole del diario” ribatté immediatamente lei.
“Mhmm…
chiamalo sesto senso. Forse lo era, forse non lo
era. Ma certamente tu te lo sei immaginato bellissimo, semplicemente da
quelle
parole, vero?”
Quanto lo
odiava, quando riusciva a leggerle dentro come
un libro aperto!
E come aveva
ragione! Dopo aver letto quelle parole, aveva
alzato lo sguardo su di lui e immediatamente se lo era immaginato
proiettato
nel passato, vestito, anziché della divisa della Marina Americana, con
l’uniforme di un corpo militare francese del 1856 e i capelli legati
alla nuca.
Solo gli occhi, due pozze d’acqua di mare, erano gli stessi...
“Entusiasmante
o meno, questo incarico ci tocca: come
pensi di portarlo a termine? Semplicemente leggendo un diario?” lo
apostrofò
con aria volutamente pedante, per interrompere il flusso dei suoi
pensieri, che
stavano prendendo una strada molto, troppo pericolosa.
Lui sorrise,
le si avvicinò più di quanto già non fosse e
le sussurrò all’orecchio:
“In ufficio
potremmo sbrigare tutte quelle scartoffie…” e
fece un cenno, indicando gli scatoloni “… e a casa mia, o a casa tua,
potremmo
proseguire con la lettura del diario…”
Mac
indietreggiò impercettibilmente fino ad arrivare
contro il tavolo, per allontanarsi dal calore della sua pelle e per far
rallentare il battito impazzito del suo cuore. All’improvviso si rese
conto di
essere imprigionata tra lui e l’arredo e, una volta tanto, senza sapere
come
ribattere.
Harm non
attese la sua risposta: sollevò una mano verso il
suo volto e le sfiorò rapidamente le labbra con l’indice.
“Pensaci…” e
così dicendo le rivolse un ultimo sguardo
intenso, girò sui tacchi e uscì dalla sala riunioni.
|
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Capitolo 7 *** La sfida ***
Giochi del Destino
Capitolo VII
La
sfida
Harm era
molto soddisfatto di sé e pensava che l’idea di
leggere il diario in un luogo meno intriso di ufficialità fosse
semplicemente
geniale. Egli sapeva bene d’aver colto in castagna Mac mentre leggeva
le pagine
di quel quadernetto… “Galeotto fu il libro” gli venne in mente, solo
che il
libro in questione aveva significato la condanna all’inferno di Paolo e
Francesca, mentre il diario del Conte poteva rappresentare l’ancora di
salvezza, forse l’unica, per loro.
Andò alla
kitchenette dove bevve un caffè, ma era solo un
pretesto, quello, per lasciarla cuocere ancora un po’ a fuoco lento.
Sorrise
sornione e in quel momento entrò l’Ammiraglio.
“Trovato
qualcosa di divertente nella nuova indagine,
Comandante?” chiese con fare indagatore e un velo di sospettosità nella
voce.
“Nulla in
particolare, Signore, solo un vecchio diario di
un dongiovanni d’altri tempi che contiene aneddoti interessanti e
divertenti”
rispose con nonchalance Harm.
“Tralasciate
le cose superflue e pensate piuttosto a
vagliare i documenti ufficiali, sono quelli ciò che interessano ci
maggiormente” lo rimbrottò un po’ brusco AJ.
“Riferirò al
Colonnello i suoi ordini, Signore” rispose
Harm ed uscì.
Chegwidden si
divertiva sempre di più. Sapeva
dell’esistenza del diario del Conte D’Harmòn perché il Segretario gli
aveva
consegnato un inventario abbastanza dettagliato delle carte contenute
nelle
scatole. Non l’aveva letto, ma poteva intuire l’effetto che avrebbe
avuto sui
suoi due ottusi sottoposti. E ordinare loro di non perderci del tempo
avrebbe
sortito l’effetto opposto: farglielo leggere con maggiore attenzione,
magari in
un luogo diverso dal JAG per evitare di farsi scoprire da lui mentre
erano
occupati nella lettura di carte che egli stesso aveva ordinato di non
leggere…
***
Era
passato qualche tempo dacché Lady Sarah
aveva fatto il suo ingresso alla corte degli Asburgo, e durante quel
mese aveva
avuto modo di conoscere meglio sia l’Imperatrice che le dame che la
circondavano.
L’età
media era piuttosto alta, e del resto
quell’accorgimento era stato preso a bella posta dall’Arciduchessa
Sofia: più
anziane e bigotte erano e meno si sarebbero lasciate tentare dal vento
di
novità e gioventù che Sissi, con i suoi diciannove anni, portava con sé.
Lei,
la “Baronessa de Bellegarde” era la più
giovane fra queste nobildonne e pertanto le altre all’inizio l’avevano
trattata
con supponenza e freddezza, ma quando si era sparsa la voce che lei non
solo
era stata scelta dall’Imperatore in persona ma che era in ottimi
rapporti con il
Conte D’Harmòn, le si erano fatte più vicine, come falene attratte
dalla luce.
Il bell’André aveva dunque fatto strage di quei cuori avvizziti
dall’età e
impoveriti dalle beghe di Corte…
Il
pensiero del giovane e affascinante francese
non l’abbandonava e siccome il Conte amava le lunghe passeggiate a
cavallo,
come lei del resto, ogni giorno, o quasi, si trovavano al fianco
dell’Imperatrice che, in sella ad un favoloso lipizzano dono
dell’augusto
consorte, sgroppava per il Prater suscitando le ire dell’Arciduchessa
Sofia che
trovava altamente disdicevole un comportamento simile in una sovrana.
Col
passare del tempo, Lady Sarah era entrata
nelle simpatie di Elisabetta della quale condivideva gli stessi gusti
letterari
(Shakespeare e Heine), lo stesso amore per l’aria aperta e
l’insofferenza alla
rigida etichetta di corte. Le due dame passavano lungo tempo in
chiacchiere e
ogni volta che le era possibile, districandosi dai numerosi impegni che
il suo
rango le imponeva, Sissi trascorreva del tempo con la Baronessa
conversando in
inglese o in ungherese, lingua, questa, che Lady Sarah padroneggiava
con una
certa sicurezza per averla dovuta imparare anni addietro.
La
dama inglese, per certi versi, provava pena
per questa bambina che, invece di giocare ancora con le bambole, era
stata data
in pasto ad una cricca di nobili interessati solo ai propri vantaggi e
ad
acquisire sempre più potere ed ascendente su di lei o sul sovrano. Il
suo era
stato un matrimonio d’amore, nessuno lo metteva in dubbio, e lei era
profondamente
innamorata di Francesco Giuseppe, ma Lady Sarah comprendeva lo stato
d’animo di
Elisabetta quando le confidava la sua nostalgia per la famiglia e
Possenhofen o
quando le diceva: “Se solo l’Imperatore non fosse l’Imperatore!”.
Quella
mattina, nonostante il freddo Sissi
aveva voluto uscire per una cavalcata nel parco del castello e Lady
Sarah
l’aveva seguita. Come sempre, al codazzo di nobili si era aggiunto,
presenza
discreta ma costante, il Conte D’Harmòn.
Egli
era rimasto ammaliato dalla bellezza di
Lady Sarah, ma non era solo per la sua avvenenza che se ne sentiva così
attratto. C’era un qualcosa in lei, un particolare indefinibile che
l’attirava
come mai nessuna donna aveva fatto. E dire che di donne ne aveva
conosciute!
Anche
ora, mentre la seguiva a cavallo, non
poté non ammirare la grazia con cui cavalcava all’amazzone. Sembrava
che il suo
corpo fosse una naturale prosecuzione dell’animale, anche se sospettava
che
Milady preferisse montare in arcione.
Dal
pomeriggio in cui lei era divenuta
ufficialmente la Baronessa
de Bellegarde avevano avuto parecchie occasioni per conversare e
nessuno se
n’era stupito più di tanto, come aveva giustamente preconizzato
l’Imperatore.
Entrambi francesi, entrambi all’estero… era più che naturale che l’uno
cercasse
la compagnia dell’altro. In realtà quelle loro conversazioni avevano
riguardato
più che altro le discrete indagini cominciate da Lady Sarah, la quale
teneva
sempre le orecchie ben aperte per captare ogni minimo segnale e si
confrontava
con il Conte manifestandogli le proprie sensazioni. Egli, esperto della
corte,
le confermava o meno le sue impressioni. A volte si trovavano in
disaccordo, ma
nel complesso le valutazioni di entrambi coincidevano nella maggior
parte dei
casi.
Immerso
in queste considerazioni non mancò
tuttavia di accorgersi che Lady Sarah aveva rallentato l’andatura del
proprio
cavallo in modo tale da accostarsi a lui.
“Cosa
posso fare per voi, Madame?” disse in
francese.
“Cosa
ne pensate della Duchessa Battyàny?”
“E’
ungherese, Madame. Io non credo che possa
volere la morte di Sua Maestà.”
“Conte,
voi mi deludete. Conoscete molto bene
la situazione in Ungheria e conoscete altrettanto bene quale sia il
pensiero
dell’Imperatore riguardo a quel Paese.”
“Vorrei
ricordavi, Madame, che ormai si sta
avviando un processo di pacificazione con l’Ungheria grazie al Conte
Andrassy e
al Signor Deàk.”
“E
io vorrei ricordarvi, caro Conte, che
Kossuth è pur sempre un irriducibile antiaustriaco ancora a piede
libero, e un
antiaustriaco molto potente per di più, con amicizie che arrivano
persino a San
Pietroburgo. E la Russia
non è molto ben disposta nei confronti dell’Austria dopo la guerra di
Crimea e
il trattato di Parigi di quest’anno. Dopo la repressione seguita ai
moti
rivoluzionari del 1848 molti nobili ungheresi ribelli sono scappati in
esilio,
alcuni di loro rientrarono in patria dopo l’amnistia proclamata da Sua
Maestà a
seguito delle nozze, ma altri hanno preferito restare all’estero e
continuare
la loro crociata irredentista facendo proseliti fra gli altri nobili.
Sua
Maestà è molto affascinata dall’Ungheria e in tutta franchezza, Conte,
non la
posso biasimare. È un paese molto bello e magico, ma da quando è lei a
scegliersi le dame di compagnia ho notato che la sorveglianza alla sua
persona
è leggermente allentata. Non vorrei mai che proprio una di queste donne
che
sono in così alta considerazione perché ungheresi possa un giorno
levare la
mano contro l’Imperatrice.”
D’Harmòn
si stupì una volta di più delle
conoscenze politiche e storiche di Lady Sarah e della maniera schietta
che
aveva di esporle. Oltre ad essere bella da mozzare il fiato (e la
tenuta da
amazzone non faceva altro che far risaltare le sue forme) era anche
intelligente e colta.
“Sarebbe
la donna perfetta” pensò. Peccato che
Madame non si lasciasse avvicinare più di tanto e che continuasse a
mantenere
le distanze.
“Sarà
una dura battaglia vincere le sue
resistenze, ma non ho mai accettato una sfida più volentieri.”
Si
riscosse dai suoi pensieri e chiese cosa
dovesse fare per raccogliere qualche informazione sulla Duchessa
Battyàny.
“Vorrei
che indagaste un poco sul suo passato:
chi era prima di approdare a Corte, chi l’ha introdotta e perché, se è
o è
stata sposata e in questo caso se il marito fosse o meno ostile
all’Austria. Io
con il mio ruolo posso solo indagare fra le dame di compagnia di Sua
Maestà”
sbuffò infastidita, “ma voi avete maggiore libertà d’azione.”
“Non
gradite affatto tutta questa impalcatura
di affettazione, etichetta e false cortesie” azzardò il Conte. “Voi
siete una
persona abituata a fare a modo proprio e ve ne infischiate di etichette
e
protocolli.”
Lady
Sarah lo fulminò con lo sguardo: “Conte
siete pregato di non immischiarvi in faccende che non vi riguardano” lo
rimise
al suo posto spronando il cavallo fino a raggiungere l’Imperatrice.
“Ai
vostri ordini, Madame” rispose a mezza voce
lui accennando un inchino.
***
“Ma che
diamine gli è preso?” si chiese Mac a mezza voce
dopo che Harm fu uscito dalla sala. Il gioco, cominciato con quel
bacio,
avrebbe dovuto condurlo lei! Adesso, con quell’assurda proposta, lui
aveva
cambiato completamente le carte in tavola.
Leggere le
memorie del Conte a casa sua o in quella di
Harm?! Ma neanche per sogno!
Lui aveva
capito benissimo l’effetto che le parole del
nobile ottocentesco avevano avuto su di lei e intendeva
approfittarsene,
complice l’intimità delle rispettive abitazioni e il clima più
rilassato che si
sarebbe certamente venuto a creare.
“Assolutamente
NO!” esclamò decisa.
Certo, le
parole del Conte francese l’avevano turbata, le
erano piaciute oltremodo, e del resto quale donna sana di mente e con
un minimo
di sensibilità non ne sarebbe rimasta colpita? Ma doveva resistere a
quelle
parole e alle emozioni che esse suscitavano perché era certa che se
avesse
seguito l’onda ne sarebbe uscita col cuore spezzato.
Quando Harm
rientrò in sala riunioni trovò Mac immersa
nello studio di alcuni documenti, mappe navali da quello che poté
vedere.
“Pensavo ti
saresti lasciata tentare dall’affascinante
Conte…” la punzecchiò.
Mac si
infervorò subito: “Non credo che il tuo compare
francese possa aiutarci a risolvere il mistero dell’Ammiraglio e dei
due
stranieri” gli rispose seccata.
Harm la prese
in contropiede: “In effetti potresti anche
aver ragione, Colonnello. E del resto l’Ammiraglio mi ha appena
ordinato di
lasciar perdere le carte poco importanti e di concentrarci sul resto.
Per cui,
se vorremo lasciarci coinvolgere dalle avventure di Monsieur le Comte
dovremo
farlo fuori di qui” lasciò cadere dall’alto.
Mac non
l’avrebbe ammesso con anima viva e men che meno di
fronte a quel bel tomo di quasi due metri che si stava divertendo come
un matto
alle sue spalle, come si poteva facilmente intuire dal brillio dei suoi
occhi e
dal sorrisetto che aveva stampato in viso, ma si era lasciata intrigare
parecchio
da quel diario, ed era vero che aveva immaginato il Conte D’Harmòn
bellissimo
ed affascinante.
“Ammettilo,
Mac” si disse, “tu hai visto Harm…”
In ogni caso,
per puro spirito di contraddizione e perché
non gliene voleva lasciar passare una, disse: “Per me va bene, vogliamo
fare
questa sera a casa mia?” e gli sorrise angelica con l’espressione da
io-so-che-tu-sai-che-io-so.
Sapeva di
aver fatto il gioco di lui, ma la divertiva
enormemente di più sapere che il bell’Harmon, così compassato e
dannatamente
lontano anni luce dal francese, si fosse lasciato prendere la mano
dallo
scritto di quell’uomo che descriveva la sua dama con termini tanto
poetici.
Si ritrovò a
desiderare che Harm facesse lo stesso con
lei.
“See… come
no” pensò.
Tralasciando
con riluttanza il diario del Conte, si
rimisero al lavoro su mappe, carte e documenti vecchi di oltre
centocinquant’anni. Lavorarono in silenzio, ognuno immerso nei propri
pensieri,
scambiandosi solo qualche parola di tanto in tanto, strettamente
attinente al
compito che stavano svolgendo. Ma i pensieri di entrambi erano in
un’unica
direzione: alla serata che li attendeva, in compagnia di Lady Sarah e
del Conte
D’Harmòn.
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Capitolo 8 *** Indagini ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo VIII
Indagini
Quanto ci
metteva ad arrivare?
Mac camminava
irrequieta, brontolando mentalmente contro
Harm, in ritardo come sempre. Il diario del Conte D’Harmòn era in bella
vista
sul tavolino accanto al divano, dove aveva posato anche qualche dolce e
un
bricco con del caffè caldo, e lei non vedeva l’ora di continuare nella
lettura.
Avrebbe voluto proseguire anche da sola, ma Harm le aveva fatto
promettere che
lo avrebbe aspettato.
Come al suo
solito era in ritardo: d’accordo, erano solo
tre minuti dopo l’ora stabilita, ma lei stava morendo dalla curiosità.
Era
impaziente di leggere il seguito della storia.
A dirla tutta
era impaziente anche di riavere Harm a casa propria:
era da moltissimo tempo che lui non metteva più piede nel suo
appartamento.
L’ultima volta era stato poco prima di Natale, quando era passato per
chiederle
aiuto per l’udienza con Mattie. Lei non lo aveva più invitato e da
allora lui
non era più andato. Forse temeva di incontrarci Webb.
Aveva
lasciato Clayton subito dopo quel bacio in sala
riunioni. Si era resa conto che i suoi sentimenti per Harm non erano
mai
cambiati e aveva deciso di porre fine ad una storia che, sebbene ancora
all’inizio, non le dava quello di cui aveva bisogno.
Ma di cosa
aveva bisogno?
Di Harm.
Di Harm nella
sua vita, anche se ne aveva una tremenda
paura, per gli stessi motivi che gli aveva esposto in Paraguay.
E di Harm in
quel preciso istante, per riprendere
finalmente la lettura del diario!
Il suono
improvviso del campanello la distolse dai suoi
pensieri. Si precipitò alla porta.
“Credevo te
ne fossi dimenticato”, lo aggredì a mo’ di
saluto.
“Ehi, quanta
fretta! Sono in ritardo di soli cinque, sei
minuti al massimo!” rispose lui, con un sorriso delizioso sul volto.
Aveva tolto
la divisa e, come lei, si era messo comodo. A
differenza sua, che indossava una comoda tuta turchese, lui vestiva
jeans e una
camicia sportiva, come sempre portata fuori dai pantaloni, ed era
semplicemente
favoloso. Con aria disinvolta entrò nel suo appartamento, si guardò
attorno e,
scorgendo sul tavolino il quaderno in pelle, le disse divertito:
“A quanto
pare sei ansiosa di rivolgere la tua attenzione
all’affascinante Conte…” poi, scorgendo i dolcetti, il suo sorriso
divenne più
radioso, mentre si avvicinava al divano, si sedeva comodo e se ne
portava uno
alla bocca, gustandolo con aria rapita.
Sarah lo
osservò divertita, anche se finse di arrabbiarsi:
“Giù quelle
zampacce, Comandante! Quei dolci sono per
quando avremo finito.” Era molto felice di riaverlo in casa sua. Si
rese conto
di quanto le fossero mancate certe serate trascorse assieme a discutere
di un
caso davanti a del cibo cinese o ad una pizza.
“Oh, smettila
di fare la guastafeste, Mac, e vieni qui,
accanto a me” le disse, battendo la mano di fianco a sé sul divano.
“Sono
impaziente di riprendere la lettura, e credo anche tu, visto come mi
hai
accolto…”
Lei lo
raggiunse e gli si sedette accanto, mantenendo un
minimo di distanza tra loro, ma Harm le passò un braccio sulle spalle e
l’attirò contro il proprio corpo, costringendola ad appoggiarsi a lui.
Prese un
altro dolce dal piatto e glielo avvicinò alle labbra:
“Sono
deliziosi, assaggiane uno anche tu…” le disse mentre
la imboccava.
Lei evitò di
dire che già lo sapeva, non essendo la prima
volta che li mangiava, e stette al gioco, prendendo il dolce dalle sue
mani:
fortunatamente non lo guardava negli occhi, perché altrimenti non
avrebbe
resistito e lo avrebbe baciato di nuovo.
Quando prese
in bocca l’ultimo pezzettino le sembrò che
Harm le sfiorasse le labbra con le dita, ma fu solo un attimo: lui si
mise un
po’ più comodo, allungando le gambe e attirandola meglio contro di sé,
quindi
aprì il diario alla pagina dov’erano rimasti e iniziò a leggere.
***
Quando
rientrarono dalla passeggiata a cavallo,
Lady Sarah riuscì a rimanere sola nelle sue stanze: l’Imperatrice aveva
udienza
con una delegazione di dignitari prussiani facenti parte
dell’ambasciata giunta
quella mattina a palazzo e sarebbe stata impegnata per molto tempo.
Pertanto il
seguito era momentaneamente congedato.
Si
cambiò d’abito e pescò dal fondo del baule
un vestito da borghese di tessuto pesante, corredato da un grembiule
bianco in
cotone e da un cappellino in tinta con l’abito. Così abbigliata dava
l’impressione di una normale donna viennese. Ed era questo il suo
intento.
Uscì
furtiva da una porta segreta appena fuori
delle sue stanze e percorse un lungo passaggio segreto che la condusse
ad
un’uscita posteriore del castello.
Aveva
intenzione di mischiarsi alla servitù e
alla folla che quotidianamente si ammassava all’entrata riservata ai
fornitori
del palazzo per cercare di capire quanta fondatezza avessero le voci su
un
attentato alla vita dell’Imperatrice e per sapere qualcosa di più sulle
dame
che la circondavano. Sapeva per esperienza che molte volte
racchiudevano più
verità i pettegolezzi che le carte bollate.
Quello
che non sapeva era che D’Harmòn l’aveva
vista infilarsi nella porticina e che ora, travestito anch’egli,
l’aspettava
alla fine del passaggio segreto.
Lady
Sarah aprì la postierla ed uscì. Si incamminò
con passo veloce per raggiungere l’ingresso dei fornitori.
D’un
tratto sentì una mano posarsi sulla sua
spalla. Si voltò di scatto facendo scivolare lungo la mano
l’affilatissimo
stiletto che portava sempre agganciato all’avambraccio destro (tranne
quando
era in abiti di corte… in quelle occasioni lo stiletto rimaneva
quiescente
allacciato alla giarrettiera) e lo puntò contro il malcapitato.
“Madame,
voi non mancate mai di stupirmi” udì
la voce del Conte da sotto il cappello da impiegato.
“Cosa
credete di fare in quest’arnese?”
“Ricordate
che l’Imperatore ci ha ordinato di
lavorare insieme” le disse lui con una nota di impertinenza nella voce.
“Ma
il suo ordine non includeva il fatto di
seguirmi come un’ombra” gli rispose Lady Sarah facendo rientrare lo
stiletto
nel suo alloggiamento dentro la manica.
“Meglio
che abbiate una scorta con questi…” non
terminò la frase perché lei lo aggredì.
“Signor
Conte, non ho affatto bisogno di
scorte, guardie del corpo, gendarmi o accompagnatori di sorta” sibilò
Lady
Sarah, “me la cavo benissimo da sola e anzi la vostra presenza impaccia
i miei
movimenti e sconvolge i miei piani” aggiunse girando i tacchi ed
incamminandosi
verso la sua meta.
D’Harmòn
non si diede per vinto e la seguì.
“Due
sposi in viaggio di nozze a Vienna che
fanno un mucchio di domande daranno meno nell’occhio” ribatté cocciuto.
“Siete
un arrogante presuntuoso.”
Il
Conte non diede segno di aver raccolto
l’insulto e mise un braccio intorno alla vita sottile di Lady Sarah. Si
incamminarono pertanto verso il vicino mercato che si teneva ogni
giorno
davanti all’entrata di servizio del Palazzo.
La
sensazione del braccio del francese intorno
alla propria vita dava il tormento a Lady Sarah. Quello era uno di quei
momenti
in cui rimpiangeva il cerimoniale di corte che, al massimo, consentiva
alla
dama di poggiare la propria mano sull’avambraccio del cavaliere. Ora,
dovendo
recitare la parte di due giovani sposi era più che logico che lui
l’attirasse a
sé e la guardasse con atteggiamenti da tenentino innamorato. La gente
si
sarebbe stupita del contrario.
Sentiva
la sua mano che l’attirava sempre più vicino
e percepiva il calore di quel contatto anche attraverso la stoffa del
vestito,
più pesante del taffettà e delle sete degli abiti di corte. Sperò che
il Conte
non si accorgesse che si era liberata del busto.
D’Harmòn
si godette quel tragitto a piedi sino
all’ultimo passo. Aveva desiderato abbracciare Lady Sarah sin dal primo
momento
che l’aveva vista scendere dalla scaletta della “Persefone” rifiutando
l’aiuto di
chicchessia. Purtroppo più lui tentava di tirarla a sé più lei tentava
di
sottrarsi. Sperava di rifarsi al ballo di quella sera in onore
dell’ambasciata
prussiana giunta a Corte quel mattino.
Arrivarono
a destinazione e cominciarono la
loro piccola indagine e nel giro di poco più di un’ora vennero a
conoscenza del
fatto che il popolo viennese amava moltissimo l’Imperatrice ma non
condivideva
affatto il suo sempre più crescente interesse per l’Ungheria. Nella
memoria dei
viennesi era ancora vivo l’attentato subito da Francesco Giuseppe per
mano di
un magiaro subito dopo essere salito al trono ed essi erano preoccupati
di un
nuovo attentato alla vita della loro sovrana.
“Il
popolo è la miglior fonte di informazioni”
disse compiaciuta Lady Sarah a D’Harmòn. “Lo sapevo che la pista
ungherese era
quella giusta da seguire. A volte si raccolgono più informazioni
attendibili
parlando con la gente semplice che non conducendo complicate indagini a
Corte
fra persone che non dicono ciò che pensano o se lo fanno utilizzano
tali giri
di parole che alla fine è molto difficile distinguere la verità dalla
menzogna.
Ora tocca a voi, Conte: fatemi sapere ogni cosa sulla Duchessa
Battyàny.”
“Ma
cosa vedete che non va nella Duchessa?”
chiese lui mentre fermava un carretto di fiori e ne traeva una rosa
rossa in
boccio.
“Non
mi piace come si aggira sempre intorno a
Sua Maestà. Troppa affettazione, troppo servilismo. Il mio sesto senso
dice che
c’è qualcosa che non va e il mio sesto senso non sbaglia mai.”
“Ah
sì? Non sbaglia mai?” le chiese con aria
falsamente incuriosita il Conte. “Allora deve essersi sbagliato in
questo
preciso istante perché non ha previsto questo” e le porse la rosa.
“Non
mi allontanerete dalle mie convinzioni
blandendomi con un fiore” rispose Lady Sarah, accettando nondimeno il
dono.
“Io
credo che la maggiore indiziata sia la
Contessa Esterhàzy”
disse D’Harmòn.
Lady
Sarah scoppiò a ridere portandosi la rosa
al viso per assaporarne il profumo.
“Come
siete ingenuo, Conte! E dire che vivete a
palazzo da più tempo di me e conoscete bene i suoi abitanti!” lo prese
in giro.
“La
Contessa Esterhàzy è in tutto e per tutto una
creatura
dell’Arciduchessa Sofia, come potrebbe volere la morte
dell’Imperatrice?”
Tornarono
alla postierla, il braccio del Conte
sempre intorno alla vita di Lady Sarah.
“Se
non mi volete credere, allora indagate solo
per smentirmi” disse lei prima di sparire nel pertugio aperto.
“Ai
vostri ordini, Madame” sussurrò il Conte.
Quella
donna l’aveva stregato.
***
19 Ottobre 1856
Ammettilo,
André: quella donna ti ha stregato!
Quando
l’ho vista uscire furtiva, abbigliata in vesti
borghesi, l’ho seguita immediatamente, temendo per la sua vita. Ma
l’accoglienza che mi ha riservato, puntandomi lo stiletto al petto, mi
ha
sorpreso non poco: Lady Sarah è un vero demonio per il mio povero cuore!
E’
affascinante, intrigante, intelligente, seducente… mai
nessuna donna mi ha colpito tanto.
Non
ho potuto fare a meno di stringerla tra le braccia, con
la scusa di fingere di essere una giovane coppia appena sposata venuta
da fuori
Vienna, per domandare informazioni senza destare troppi sospetti. Non
appena
l’ho fatto ho sorriso tra me: Milady, come immaginavo quando l’ho vista
così
abbigliata, non indossava il busto.
Quindi il suo bellissimo corpo non dipende
solo dalle astuzie della moda!
La
mia mano attorno alla sua vita ha percepito
immediatamente la morbidezza della sua carne, anziché la rigidità del
corsetto
e quella sensazione mi ha tolto il fiato per un attimo. Non ho potuto
impedirmi
di stringerla più forte, rischiando che mi rimproverasse per la mia
insolenza,
ma Milady mi ha sorpreso di nuovo, permettendomi di godere di quel
contatto.
L’avrà fatto perché
piacevole anche per
se stessa?
Suvvia,
André, sii serio!
E realista, soprattutto! Davvero credi che Lady Sarah ti
abbia permesso
di continuare a stringerla a quel modo perché trovava intrigante essere
tra le
tue braccia?
L’avrà
di certo fatto per indagare con più facilità…
Milady
sospetta della Duchessa Battyàny, io invece ho più
dubbi sulla Contessa Esterhàzy, nonostante sia una creatura
dell’Arciduchessa
Sofia, come Lady Sarah ha tenuto a precisare, mentre annusava
delicatamente la
rosa rossa che le ho donato.
Per
accontentare Milady indagherò sulla Duchessa, anche se
malelingue sostengono che la stessa Arciduchessa non gradisca il fatto
che la
nuora non abbia dato ancora un erede maschio all’Austria...
Tuttavia
ho deciso di seguire il sesto senso di Lady Sarah
e farò come mi ha chiesto.
Nel
frattempo sono impaziente di rivederla al ballo di
questa sera: il periodo di lutto che, per finzione, doveva osservare
per il
Barone de Bellegarde è fortunatamente terminato e non vedo l’ora di
poterla
invitare per un ballo per stringerla ancora tra le braccia.
***
Si era
accorto che il suo braccio, dalle spalle di Mac,
era scivolato più giù, verso la vita, mentre si erano mossi per
sistemarsi
meglio ed accingersi alla lettura. Quindi, mentre leggeva ad alta voce
le
parole del Conte, aveva percepito che la sua mano sfiorava la pelle di
Sarah,
lasciata scoperta dalla maglia corta della tuta e si era immedesimato
ancora di
più nella lettura, immaginando i due nobili attraversare le strade di
Vienna
abbracciati. Il Conte D’Harmòn doveva aver provato le sue stesse
sensazioni nel
sentire la pelle vellutata di Mac sotto le dita, scoprendo che Lady
Sarah non
indossava il busto, nonostante si fosse limitato a stringerla coperta
dagli
abiti. Ma per un uomo della nobiltà di metà Ottocento scoprire una dama
senza
corsetto doveva sembrare altrettanto intrigante che accarezzare la
pelle della
donna che lavorava al tuo fianco solitamente vestita con l’austera
divisa dei
Marines.
E lui stesso
aveva apprezzato, come il nobile francese,
che Sarah non si fosse spostata da quella posizione, permettendogli di
godere
di quella sensazione.
“Perché hai
smesso?” la voce di Mac lo riscosse e lo rese
consapevole del fatto che si era fermato. Ma come poteva dirle che si
era
lasciato trascinare dalla fantasia?
“Credevo
volessi fare una pausa” le rispose, tanto per
dire qualcosa.
“Niente
affatto! Proprio ora che ci sarà il ballo?” disse
Mac, voltandosi a guardarlo in viso con un delizioso sorriso furbo.
Harm
desiderò ardentemente che lo baciasse di nuovo, come aveva fatto alcuni
giorni
prima, ma lei si limitò a guardarlo, soffermandosi sulle sue labbra per
un
istante, per ritornare poi nella posizione di prima, con la testa
appoggiata
alla sua spalla tra le sue braccia.
Quella
posizione le piaceva tantissimo: non le era mai
capitato che lui la abbracciasse così, se non in casi di pericolo. E il
calore
della sua mano sulla pelle le dava sensazioni bellissime. Le stesse,
immaginava, che doveva aver provato Lady Sarah nel sentirsi stringere
tanto dal
Conte.
“D’accordo,
allora!” le disse lui, riprendendo la lettura.
Voleva
assolutamente che Harm continuasse: tra le sue
braccia, cullata dalla sua voce calda e sensuale che leggeva le parole
scritte sul
diario, era come scivolare in un sogno e fare un tuffo nel passato.
Un sogno
bellissimo, in cui lei era la nobildonna inglese
e Harm l’affascinante Conte francese.
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Capitolo 9 *** Il Ballo a Corte ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo IX
Il
Ballo a Corte
Non
le era mai capitato di sentirsi tanto
eccitata per un ballo!
Lady
Sarah, smessi gli abiti borghesi indossati
nel pomeriggio, era immersa nella tinozza di acqua bollente per un
bagno
profumato prima di indossare l’abito che aveva scelto per la serata.
Era in
seta color pervinca, un colore non troppo sgargiante considerato che il
suo
“lutto” era appena terminato, ma che risaltava moltissimo la sua
carnagione.
Forse era un po’ più scollato di quanto la vedovanza consentisse, ma
non le
importava granché: del resto non era realmente vedova ed era stufa e
arcistufa
di mostrare quell’aria mesta e un po’ afflitta che era consona al suo
stato e
che tutti si aspettavano dalla “povera Baronessa de Bellegarde”.
In
quel preciso istante avrebbe cantato e
ballato nuda, tanta era l’eccitazione che aveva in corpo, nonostante il
bagno
rilassante: il Conte francese l’aveva stregata.
“Smettila,
Sarah! Smettila di pensare a lui” continuava
a ripetersi nella sua mente, ma più si diceva così, più gli occhi del
Conte
tornavano ad ossessionarla. Gli occhi, le sue mani, le sue braccia
attorno alla
vita e quel favoloso sorriso che aveva il potere di stravolgerle il
cuore.
Uscì
dal bagno e si asciugò lentamente,
voluttuosamente, avvolgendosi in un morbido telo, mentre immaginava le
mani del
Conte su di sé…
Perché
il destino glielo aveva fatto
incontrare? Perché proprio lui, tra tutti gli uomini che poteva avere
come
compagni di quest’avventura?
Il
bel francese, se lo sentiva, le avrebbe
rubato il cuore.
E
questo non faceva parte dei suoi programmi.
Assolutamente no!
Indossò
ad uno ad uno gli indumenti intimi che
odiava tanto: busto, calze, sottoveste, crinolina, sorridendo
all’immagine del
Conte se solo quel pomeriggio l’avesse potuta vedere senza tutti quegli
inutili
orpelli. Ne sarebbe rimasto di certo scandalizzato! I nobili non erano
abituati
ad immaginare una dama di Corte senza busti e crinoline…
Infastidita
scacciò l’immagine sorridente di
André D’Harmòn, che per l’ennesima volta le era apparsa alla mente: ma
possibile che da quando aveva conosciuto quell’uomo non passava un solo
momento
senza che davanti ai propri occhi comparisse il suo volto?
S’infilò
l’abito da sera e terminò di
acconciarsi i capelli in un’elaborata crocchia che metteva in risalto
il collo
sottile e lasciava abilmente scoperte le spalle. Osservandosi allo
specchio per
ammirare l’effetto finale, si guardò con attenzione, voltandosi da ogni
lato e
sorrise soddisfatta alla sua immagine: il bel Conte l’avrebbe ammirata
non
poco, quella sera!
Ecco:
l’aveva fatto ancora. Aveva pensato di
nuovo a lui.
Oh,
accidenti! Ma cos’aveva quell’uomo, da
turbarla tanto?
Infilandosi
le scarpe in seta e raccogliendo
guanti e ventaglio, s’impose di non pensare al suo corpo possente, ai
suoi
occhi color del mare (lo aveva deciso quel giorno: erano color del
mare, e non
le importava se altre dame li volevano verdi), alle sue labbra sensuali
e a
quel sorriso dolce e al tempo stesso impertinente…
Tutte
caratteristiche del Conte che la
turbavano tanto.
***
Nella
tranquillità del suo cottage, l’Ammiraglio
Chegwidden compose lentamente il numero di telefono del Comandante
Rabb. Al
terzo squillo partì la segreteria telefonica, che annunciava che Harmon
Rabb
non era in casa e che si poteva lasciare un messaggio dopo il segnale.
L’Ammiraglio
depose la cornetta senza dire nulla,
sorridendo soddisfatto.
Prima di
uscire dall’ufficio, era passato dalla sala
riunioni per vedere a che punto erano arrivati con il lavoro il
Comandante e il
Colonnello. Non li aveva trovati più, ma aveva visto diverse pile di
documenti,
suddivisi per tipologia. Dando un’occhiata agli scatoloni si era
accorto che
c’era ancora parecchio lavoro, ma quella constatazione, anziché
renderlo
furioso, l’aveva reso solamente più allegro.
L’unica cosa
che lo aveva fatto sentire ancora più felice
era scoprire che nessun quadernetto in pelle marrone si trovava tra
quelle
carte. Quindi era certo che il diario del Conte D’Harmòn fosse nelle
mani del
Comandante o del Colonnello.
Scoprire ora
che Harm non era a casa sua alle 9.45 p.m.
faceva ben sperare! Di certo era assieme a Mac a leggere quel diario.
Sperava solo
che avessero avuto il buon senso di
restarsene a casa del Colonnello e non mettersi invece a leggerlo ad un
tavolino di McMurphy!
Confidando
nell’intelligenza del Comandante (anche se, per
questioni di quel tipo, spesso ne aveva dubitato) o, quanto meno, nello
spirito
romantico del Colonnello, che le si sarebbe rivoltato contro se
avessero letto
quel diario nel caos di un pub, decise che per quella sera poteva
ritenersi più
che soddisfatto.
Il suo piano
ingegnoso procedeva come sperato.
***
La
scorse subito, non appena fece il suo
ingresso nel salone da ballo.
La
vide muoversi con la sua grazia innata,
quasi fosse lei stessa la sovrana. Di certo lo era di tutte le altre
dame
presenti in quel momento. Era magnifica nell’ampio abito da sera, con i
capelli
raccolti e trattenuti dall’unico gioiello che l’adornava, un fermaglio
di
diamanti dal quale sfuggivano sapientemente piccole ciocche che
mettevano ancor
più in evidenza l’esile collo e le spalle, lasciate generosamente
scoperte
dall’ampia scollatura del vestito.
André
sorrise all’impertinenza e al coraggio di
quella giovane donna: secondo la consuetudine, una vedova appena uscita
da un
lutto, anche se molto giovane, non avrebbe dovuto indossare un abito
tanto
provocante. Ma Lady Sarah non era una dama qualsiasi, questo il Conte
lo aveva
capito da tempo.
La
sala da ballo del palazzo rifulgeva di luci,
suoni e colori: gli enormi lampadari facevano risplendere i gioielli e
gli
abiti delle signore, mentre le note dell’orchestra si mescolavano alle
chiacchiere allegre degli invitati. Tutto era una profusione di fiori,
richiesti espressamente dall’Imperatrice in persona. Aveva voluto lei
quel
ballo, in onore della Delegazione Prussiana ricevuta da sua Maestà
quello
stesso giorno.
Il
Conte D’Harmòn decise di raggiungere Lady
Sarah e stava per muoversi per andarle incontro quando vide il Conte
Von Webb
avvicinarsi a Madame de Bellegarde, profondersi in un pomposo inchino e
condurla con fare cospiratorio in un angolo appartato.
Senza
farsi notare troppo, André li raggiunse:
attraversò il salone, inchinandosi a diverse signore che lo salutavano
e si
rivolgevano a lui, ammirando il nobile francese, come sempre
impeccabile in un
abito in seta nera e camicia candida. In tutta la sala era il solo uomo
vestito
completamente in nero. Ma nessuno si stupiva più, quella era sempre
stata una
sua caratteristica. Salutò diversi aristocratici che attendevano, come
tutti,
l’ingresso delle Loro Maestà e degli ospiti d’onore della serata, e
finalmente
scorse il Conte Von Webb e la Baronessa de Bellegarde
che stavano conversando appartati.
Con la sua usuale nonchalance si accostò ad una colonna, osservando
indisturbato la scena e riuscendo anche a cogliere, se non tutte le
parole,
almeno il senso della conversazione.
Klaus
Von Webb stava chiedendo a Lady Sarah un
resoconto sul suo incarico. Milady quello stesso pomeriggio gli aveva
detto che
aveva relazionato all’aiutante di campo di Sua Maestà già quattro
volte, da che
era arrivata a palazzo, ma che non gli aveva detto granché. Del resto,
al
momento, non c’era granché da riferire. Tranne quello che avevano fatto
quel
pomeriggio e i sospetti di Lady Sarah sulla Duchessa Battyàny.
Mentre
il nobile francese sorrideva compiaciuto
al ricordo del corpo della giovane inglese stretto al suo, vide il
Conte Von
Webb avvicinarsi in maniera fin troppo ostentata alla Baronessa. André
sentì il
sangue scorrergli più velocemente nelle vene nell’osservare lo sguardo
lascivo
con cui Von Webb stava sbirciando nella scollatura di Lady Sarah, la
quale non
faceva nulla per impedirglielo. Anzi! Milady sorrideva divertita ai
complimenti
del Conte, civettando con lui in maniera che André definì sfacciata e
provocante.
Trattenendosi
a stento dall’andare a sferrare
un pugno sulla faccia di Von Webb e di trascinare Lady Sarah via dagli
sguardi
di qualunque uomo che non fosse lui stesso, notò tuttavia che, con il
suo
civettare, la nobildonna aveva abilmente deviato l’interesse del Conte
dalle
domande sui suoi dubbi, inducendolo ad invitarla a ballare.
André
detestava l’idea che quel viscido
individuo le mettesse le mani addosso, ma al tempo stesso comprese la
manovra
di Lady Sarah: in quel modo aveva evitato di raccontare al Conte Von
Webb dei
suoi sospetti sulla Contessa Esterhàzy e dei propri sulla Duchessa
Battyàny,
distraendolo mentre fingeva di essere sedotta dalle sue avance.
O,
almeno, André voleva sperare che fingesse.
Doveva
riconoscere tuttavia che, a quanto
sembrava, Milady sapeva davvero il fatto suo e che lei stessa non si
fidava
dell’aiutante di campo dell’Imperatore.
Volteggiando
tra le braccia del Conte Von Webb
sulle note di un valzer, Lady Sarah scorse il Conte D’Harmòn appoggiato
ad una colonna,
proprio poco distante da dove si trovavano lei e Klaus Von Webb poco
prima;
immaginò che lui avesse sentito tutta la conversazione, compreso il
fatto che
non aveva rivelato nulla né della loro “passeggiata” fuori da Palazzo,
né dei
loro rispettivi sospetti.
Lo
osservò scrutarla con insistenza, sfidandola
a guardarlo: era bellissimo, tutto in nero, con una camicia immacolata
a
sottolineare la sfumatura di azzurro dei suoi occhi. Improvvisamente
desiderò
che la invitasse a ballare e immaginò che il proprio sguardo avesse
rivelato
quel desiderio perché, non appena il valzer terminò, lo vide
avvicinarsi per
richiederla a Von Webb per il ballo successivo. Con riluttanza il Conte
austriaco la cedette al francese, ma poi si voltò a cercare la moglie,
che aveva
trascurato fin troppo.
Il
Conte D’Harmòn si profuse in un elegante
inchino, prima di prenderla tra le braccia per un altro valzer. Lady
Sarah si
rese conto che non aveva atteso altro dal momento in cui lui l’aveva
lasciata
andare dopo la loro avventura fuori le mura del Palazzo: la cosa da un
lato la
indisponeva, perché non voleva che lui le facesse provare emozioni
simili. Ma
d’altro canto era come stregata dal magnetismo del Conte, quindi decise
di
rilassarsi e godersi il ballo e la sua compagnia.
“Siete
bellissima, Milady” le sussurrò lui in
un orecchio, non appena l’ebbe tra le braccia, sfidando ogni
convenzione pur di
aspirare da vicino la fragranza della sua pelle.
Lady
Sarah sentì il cuore balzarle in gola,
come mai le era accaduto prima d’allora. Quell’uomo aveva il potere di
ridurla
in uno stato pietoso, semplicemente sfiorandola…
André
la strinse di più a sé, trascinandola nel
vortice delle danze. Mentre ballavano la guardava negli occhi,
lasciandosi
rapire dall’incanto di quel viso un po’ esotico e dalla carnagione
lievemente
ambrata, messa in risalto dall’abito, di un delicato color pervinca. Lei sorrideva dolcemente e
conversava
amabilmente con lui, come prima aveva fatto con Von Webb e questo, se
da un
lato lo rendeva felice, dall’altro lo stava facendo impazzire di
rabbia: lui la
desiderava solo per sé e odiava l’idea che flirtasse con altri uomini.
Il
ballo terminò e si ritrovarono vicini quando
fu annunciato l’ingresso delle Loro Maestà con la
Delegazione Prussiana.
Tutti i presenti porsero i loro omaggi alla coppia imperiale, ammirando
la
radiosità dell’Imperatrice Elisabetta, splendida in un abito azzurro
cielo, e
la regalità dell’Imperatore Francesco Giuseppe in alta uniforme. Le
Loro Maestà
danzarono alcuni valzer, poi raggiunsero gli ospiti d’onore, lasciando
che gli
invitati continuassero a divertirsi.
Il
Conte D’Harmòn approfittò del fatto che Lady
Sarah gli fosse rimasta accanto durante tutto il cerimoniale
d’accoglienza
della coppia regale, per trascinarla di nuovo nelle danze.
“Conte,
non smettete mai di sorprendermi”,
disse Lady Sarah, mentre lui la guidava in una sfrenata polka. Danzava
benissimo ed era certa che molte dame l’avrebbero uccisa all’istante,
per
quanto stava monopolizzando l’attenzione del bel francese. Ne aveva
scorte
proprio due un attimo prima che la stavano fissando con sguardo truce e
assassino. Di certo dovevano essere innamorate del Conte.
“Come
mai, Milady?” chiese lui, divertito.
“Vi
ritenevo più un tipo da valzer… non credevo
che vi piacesse la polka” rispose lei divertita.
Lui
rispose a quell’affermazione con un'altra:
“Anche
voi, Milady, non smettete mai di
sorprendermi…”
“E
come mai, caro Conte?” lo scimmiottò lei,
con uno splendido sorriso.
“Non
ricordate oggi?” disse lui.
“Cosa
c’entra oggi? Questo pomeriggio svolgevo
un compito… ora stiamo ballando…”
“E’
vero, stiamo danzando. E voi, Lady Sarah,
oltre ad essere stupenda con quest’abito,
ballate anche divinamente bene tra le mie braccia…”
“Non
credete di essere un po’ presuntuoso, caro
Conte?” lo apostrofò lei, divertita dal suo commento.
André
continuò quello che stava dicendo,
ignorando la sua risposta.
“Ma
se devo essere sincero, Milady, preferivo
avervi oggi, tra le mie braccia, con quel semplice vestito borghese e
senza il
busto a costringere le vostre grazie…”
Lady
Sarah restò per un attimo senza parole:
allora lui se n’era accorto! L’idea, anziché sconvolgerla, la divertì
molto e
al tempo stesso la eccitò.
“Conte
D’Harmòn, non solo siete presuntuoso, ma
siete anche terribilmente sfacciato!” gli disse con una luce birichina
negli
occhi.
André
François, ottavo Conte D’Harmòn, a quella
risposta proruppe in una sonora risata, che fece voltare più di una
persona.
Quella
donna era davvero fantastica e lui si
ripromise che l’avrebbe avuta.
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Capitolo 10 *** Gelosie ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo X
Gelosie
Klaus
Von Webb era al proprio scrittoio nella
stanza attigua allo studio dell’Imperatore. Era molto impegnato a
vagliare le
numerose richieste di grazia che quotidianamente giungevano
dall’Ungheria. Si
trattava per lo più di studenti dalle idee liberali, dissidenti e
antimonarchici tutti appartenenti alla cerchia degli intellettuali.
L’Imperatore
gli aveva ordinato di studiare con
molta attenzione quelle domande in quanto non si poteva permettere che
una
sentenza ingiusta vanificasse il processo di rappacificazione appena
instauratosi.
Personalmente
Von Webb era dell’opinione che
quei rozzi magiari andassero non solo giustiziati fino all’ultimo, ma
altresì
governati col pugno di ferro; naturalmente si guardava bene
dall’esternare
queste considerazioni a Sua Maestà, il quale, ne era certo, l’avrebbe
aspramente rimproverato.
Tutta
colpa dell’Imperatrice, se Francesco
Giuseppe si era mostrato così clemente contro una razza barbara come
quella
ungherese era solo a causa dell’influenza che lei esercitava su di lui.
Si
rendeva conto che il suo potere e il suo
ascendente sul sovrano erano sensibilmente scemati dopo le nozze, quasi
che
l’Imperatore desse più ascolto alla moglie-bambina che non a lui o agli
altri
Ministri dell’Impero.
La
cosa lo urtava nel profondo.
Aveva
ottenuto il posto che occupava ora dopo
anni di dure lotte ed un matrimonio contratto esclusivamente per
interesse che
gli aveva consentito di aggiungere quel “Von” al suo cognome che aveva
fatto di
lui, il borghese Klaus Webb figlio di un modesto impiegato di banca, un
nobile,
conferendogli la ricchezza e la dignità sociale necessarie per divenire
un
ufficiale dell’esercito imperiale ed accumulare onori per meriti di
guerra,
fino ad essere nominato aiutante di campo da Francesco Giuseppe in
persona dopo
la rivolta ungherese del 1848.
Il
Conte Von Webb mal sopportava l’Imperatrice
e aveva sempre disapprovato la scelta dell’Imperatore. Considerava
perniciosa
l’influenza che ella aveva sul regale consorte non solo per quanto
riguardava la
questione dell’Ungheria, ma anche per tutto il resto: dall’educazione
delle
figlie al modo in cui, per certi versi, aveva stravolto le secolari
tradizioni
della corte asburgica.
Soprattutto
non sopportava che lei fosse la
Duchessa Elisabetta
in Baviera, figlia di un nobile di campagna e di… non riusciva neanche
a
pronunciarne il nome. Erano passati ormai più di vent’anni, ma l’onta
subita
non era ancora stata lavata.
All’epoca
lui era un giovane borghese, ma dalle
grandi prospettive future. L’impiego in banca del padre gli aveva
fornito la
possibilità di entrare lui stesso nel mondo finanziario, e grazie alle
sue
capacità, era riuscito ad arrivare fino in cima: il figlio
dell’impiegato
Jurghen Webb era divenuto il Presidente della Banca dove il padre aveva
lavorato fino alla consunzione. La posizione che occupava gli aveva
garantito
la frequentazione della nobiltà bavarese ed era accaduto che si fosse
innamorato di Ludovica, figlia dell’Elettore Massimiliano di
Wittelsbach,
divenuto re di Baviera grazie all’alleanza con Napoleone I. Pertanto
lei era
una principessa di Baviera, ma la famiglia, notoriamente di larghe
vedute,
aveva nondimeno accondisceso a che una delle figlie minori si
accompagnasse ad
un borghese.
Poi,
pochi mesi prima del fidanzamento ufficiale,
gli era stato freddamente comunicato, tramite un telegramma da parte
dei
Wittelsbach, che Ludovica sarebbe andata in sposa al Duca Max, suo
secondo
cugino, precipitando così dal ramo principale della famiglia al ramo
cadetto. A
nozze avvenute Ludovica sarebbe stata Duchessa in Baviera.
Il
giovane Klaus si era sentito offeso ed
umiliato. Rifiutato per un bellimbusto spiantato che era al di sotto di
lei
nella scala sociale, ma che aveva quel quarto di nobiltà che ci voleva
per
essere suo marito! Inaudito! Il Duca Massimiliano Giuseppe aveva la
fama di
essere un gran donnaiolo, sperperatore del denaro di famiglia,
provocatore di
scandali ed un pessimo scrittore e poeta… lei non sarebbe mai stata
felice. Ma
la ragion di Stato prevalse sull’amore e così Ludovica andò sposa al
cugino
Max.
Erano
venti anni che Von Webb covava rancore e
non sapeva come dare sfogo alla sua ira repressa.
Bussarono
alla porta e poco dopo comparve il
valletto che aveva mandato da Lady Sarah.
“Ebbene?”
chiese brusco.
“Madame
de Bellegarde prega il Conte di
attenderla. Tra un’ora sarà qui.”
Von
Webb non disse altro, e con un cenno della
mano lo congedò.
Lady
Sarah… quella sì che era stata una vera
sorpresa. Si era aspettato di veder comparire una vecchia carampana ed
invece
ecco una donna in carne ed ossa. Non come sua moglie, sfacciatamente
ricca sì,
ma altrettanto disgustosamente altera e fredda.
Un
fremito di eccitazione percorse la schiena
del Conte al pensiero della dama inglese; lo riempiva di gioia il fatto
che
l’Imperatore le avesse ordinato di tenerlo informato sugli sviluppi
della
vicenda, e lui aveva approfittato di quell’ordine chiamandola a sé ogni
volta
che poteva. Gradiva di meno che la bella inglesina dovesse lavorare a
stretto
contatto anche con quel francese intrigante.
“Quel
Conte da strapazzo” pensò indignato “troverò
il modo di disfarmene.”
***
20 Ottobre 1856
Mon
Dieu, quanto era bella ieri sera!
Assolutamente
favolosa in quell’abito color pervinca, i
capelli raccolti e le spalle generosamente scoperte, senza un solo
gioiello ad
alterarne la perfezione… l’unico prezioso adornava il suo capo,
trattenendo la
sua chioma, che adoro immaginare morbida al tatto e lunga fino alla
vita.
Quanto
darei per poterla vedere con i capelli sciolti, la
sua pelle ambrata e le sue labbra sensuali arrossate dai miei baci!
E
invece ho dovuto assistere alla disgustosa scena di Klaus
Von Webb che sprofondava il suo sguardo lascivo nella scollatura di
Milady.
Avrei
potuto ucciderlo con le mie stesse mani quando l’ho
vista ballare tra le sue braccia, se non fosse stato che ho capito la
mossa di
Lady Sarah nel civettare con il Conte pur di distrarlo dalle domande
sui nostri
sospetti. O almeno voglio convincermi che sia quello il motivo per cui
sorrideva amabilmente a Von Webb.
Ho
avuto pace solo quando l’ho avuta io tra le braccia,
sebbene sia fuori luogo definire “pace” quel desiderio improvviso che
mi assale
ogni volta che le sono vicino.
Quella
donna mi fa un effetto sconvolgente!
Se
ripenso alle mie mani sulle sue morbide curve, libere da
ogni costrizione, mi sento morire dalla voglia di amarla, di poter
avere la sua
pelle sotto le mie dita.
Devo
averla… anche se dubito che una sola notte d’amore con
lei mi potrebbe bastare.
Ciò
che mi intriga in Milady va ben oltre il suo corpo
voluttuoso…
Ho
saputo che Von Webb l’ha appena convocata a colloquio:
Robert ha avuto l’informazione dal valletto del Conte.
Non
sopporto l’idea che quell’essere disgustoso possa
metterle ancora le mani addosso. Non sopporto neppure che la sfiori con
lo
sguardo…
Mio
caro André ammettilo: sei geloso!
Dannatamente
geloso, cosa che non ti era mai accaduta prima
d’ora.
***
Gelosia… Come
capiva il Conte francese!
Lui stesso
stava provando quello stesso sentimento da
mesi, ormai.
“Eh, sì, caro Harm!
E’ inutile che neghi: sei geloso! Geloso di Clayton Webb.”
Webb…
Che strana
coincidenza anche quella! Il Conte austriaco si
chiamava quasi come il suo rivale… Lady Sarah, il Conte D’Harmòn… e ora
che ci
rifletteva, anche Von Webb. Sembrava che i protagonisti di quella
vicenda
vecchia di oltre un secolo in qualche modo ricordassero un triangolo
attualissimo.
Ma che
triangolo e triangolo! Lui non era invischiato in
un triangolo amoroso!
E non era
neppure geloso come il Conte D’Harmòn lo era di
Klaus Von Webb. Sarah poteva scegliersi l’uomo che voleva…
“Ne sei davvero
sicuro? Non ricordi più quello che hai provato quando ti ha baciato?”
Oh, al
diavolo! Perché continuava a pensare a quel bacio?
“Perché la vuoi per
te, ecco perché ci pensi in continuazione!”
Dannazione!
Era vero: la voleva per sé. E avrebbe dato
chissà cosa perché Webb sparisse dalla circolazione e lui potesse
averla per
sempre tra le sue braccia, proprio come in quel momento.
Era assorta
nella lettura del diario del Conte,
accoccolata contro il suo corpo, con il capo sulla sua spalla, tanto
che lui
poteva aspirare la fragranza e percepire la morbidezza dei suoi
capelli.
Sembrava rilassata e lui era molto felice di tenerla accanto a sé.
Fossero
sempre così semplici come in quel momento le cose
tra loro!
***
Dopo
quell’uscita per mischiarsi alla folla,
Lady Sarah era sempre più convinta che la
Duchessa Battyàny
fosse da tenere sott’occhio. Aspettava comunque l’esito delle ricerche
condotte
dal Conte D’Harmòn prima di relazionare definitivamente all’aiutante di
campo
dell’Imperatore perché non voleva formulare giudizi avventati ed
indurre il
sovrano a sospettare di un innocente.
Tuttavia,
questi suoi piani andarono in fumo
quando si vide recapitare un biglietto da parte di Von Webb
consegnatole da un
suo valletto. Dopo averlo letto e aver risposto che sarebbe andata dal
Conte
entro un’ora, si ritrovò a pensare sulle conseguenze di quell’incontro.
Il
Conte Klaus Von Webb era una di quelle
persone che non avevano mai conosciuto l’amore vero e che pertanto
scambiavano
passioni e pulsioni superficiali per un sentimento più profondo. Egli
era
attratto da lei, ma la sua era un’attrazione puramente fisica, dettata
dal
bisogno di possedere ogni cosa bella che gli capitasse sotto gli occhi,
persona
umana o oggetto che fosse. Lady Sarah per il Conte rappresentava solo
un’altra
preda da conquistare e da aggiungere al suo personalissimo palmarès.
La
dama inglese aveva ben compreso l’animo
dell’aiutante di campo dell’Imperatore e aveva deciso di approfittarsi
di quel
temperamento per poter meglio lavorare e condurre così a termine
l’indagine.
Era convinta che l’austero bavarese nascondesse più di uno scheletro
nell’armadio e se voleva distrarlo dalle indagini in corso sarebbe
dovuta
ricorrere a tutte le sue arti femminili.
E
allora perché quel senso di disagio quando
pensava che, con tutta probabilità, avrebbe dovuto lasciarsi
corteggiare dal
Conte, com’era accaduto la sera prima al ballo in onore della
Delegazione
Prussiana, pur di ottenere delle preziose informazioni? E, magari,
divenirne
anche l’amante?
Solitamente
riusciva a limitarsi alle sole arti
di seduzione femminile per ottenere quello che voleva, anche se in un
paio
d’occasioni si era vista costretta a concedere di più, pur di portare a
termine
il suo incarico. Ma
non aveva provato né
rimorso, né disagio o altro: era lavoro, dopotutto!
Del
resto gli uomini erano tutti uguali! Non
sapevano tenere le mani a posto e pur di possedere un bel corpo
femminile
concedevano qualunque cosa in cambio. Semmai aveva provato rabbia e
fastidio
nel costatare quanto poco sapessero apprezzare la mente femminile e,
soprattutto, quanto la sottovalutassero.
Allora
per quale motivo questa volta l’idea di
essere costretta a diventare l’amante di Von Webb la infastidiva tanto
da fare
di tutto perché ciò non accadesse?
“In
fondo, Klaus Von Webb è anche un bell’uomo”, si disse uscendo
dai propri
appartamenti per recarsi dal Conte.
All’improvviso
l’immagine di due occhi del
color del mare e di un sorriso affascinante le comparve davanti e sentì
il
cuore balzarle in gola, come sempre le accadeva quando vedeva o
semplicemente
pensava al nobile francese.
“Cosa mi
avete fatto, André?” si domandò mentre si accingeva a bussare
alla porta
dello studio di Von Webb.
“Madame”
l’accolse con entusiasmo l’aiutante di
campo. “Quale piacere rivedervi!”
“Mio
caro Klaus!” lo salutò altrettanto
allegramente lei, scacciando a fatica l’immagine di André. “Anche per
me è una
gioia rivedervi!”
Il
Conte le andò incontro e la fece accomodare,
anziché davanti a lui, su un più comodo divano e si sedette accanto a
lei.
“Spero
che non vi dispiaccia se vi chiamo
Klaus” disse Lady Sarah con fare civettuolo, prendendo le mani di Von
Webb fra le sue;
era un gesto altamente
sconveniente, quello, ma Milady era ben decisa a distrarre l’attenzione
del
Conte.
“Mi
fate un onore Milady.”
“Mio
caro Klaus, sono certa che comprendiate la
ragione di questo mio ritardo nel ragguagliarvi sull’andamento
dell’incarico
assegnatomi da Sua Maestà, ma come certamente comprenderete, le dame
dell’Imperatrice
sono…” finse di non ricordare la parola e guardò Von Webb il quale
l’osservava
come imbambolato. Si sporse ancora di più verso di lui in modo che lo
scialle
di seta si allargasse offrendo agli occhi del nobile uno scorcio del
suo
generoso décolleté.
“…
riservate?” completò lui mentre lo sguardo
mirava alla scollatura dell’abito in raso di seta rosso amaranto,
appena
coperta da un velo di pizzo.
Lady
Sarah sorrise. “E’ proprio così, mio caro
Klaus. Io sono l’ultima arrivata e non è facile confidarsi con
un’estranea da
poco conosciuta e francese per di più. Ci vuole tempo, non so dirvi
esattamente
quanto, ma rassicurate pure l’Imperatore che ogni cosa è tenuta sotto
stretta
sorveglianza e che l’augusta consorte è in buone mani. Lo farete per me
vero?” chiese
alla fine con inflessione vezzosa. Il Conte non seppe resisterle.
“Madame,
ogni vostro desiderio è un ordine” le
rispose galante.
“Ed
ora dovete scusarmi, mio caro Klaus, ma
devo lasciare la vostra meravigliosa compagnia. L’Imperatrice mi starà
certamente
cercando per la passeggiata mattutina prima del petit
dejouner e debbo essere a sua disposizione” disse alzandosi e
congedandosi.
Uscì
dallo studio di Von Webb lanciandogli una
lunga occhiata carica di promesse.
Il
Conte tornò alle proprie incombenze
estasiato. Aveva conquistato il cuore di Milady, presto sarebbe stata
sua!
***
La lettura di
quel diario si andava facendo sempre più
interessante.
Anche se
scritto in un inglese di oltre un secolo prima, e
pertanto a volte di difficile comprensione, era molto avvincente.
Mac si
rannicchiò ancor di più nell’abbraccio di Harm
godendo del calore che emanava dal suo corpo.
“Non trovi
che questo Conte Von Webb assomigli un po’ alla
tua spia?” le chiese d’un tratto lui interrompendosi.
Mac si alzò a
sedere, sciogliendosi dall’abbraccio, il
senso di benessere che l’aveva pervasa sino a quel momento era
completamente
sparito. Fulminò Harm con un’occhiataccia: “Non è la mia spia” gli
disse
gelida.
Come al
solito l’improvvido commento di lui aveva mutato
radicalmente l’atmosfera fra di loro e di questo Mac ne era addolorata.
Sarebbe
stato il momento perfetto per dirgli che non c’era più nessuna spia
nella sua
vita, ma rimase zitta. Che senso avrebbe avuto dirglielo se poi lui le
avesse
fatto una delle solite battute al vetriolo sulla sua incapacità di
mantenere
una storia d’amore?
“Dai, Mac,
era solo una battuta!” cercò di metterci una
pezza.
“Di pessimo
gusto” rispose. “Hai il dono portentoso di
rovinare tutto, Harmon Rabb jr.”
Harm comprese
che c’erano guai grossi in vista, Mac non lo
chiamava mai con il nome per esteso e quando lo faceva voleva dire che
era
davvero arrabbiata con lui. Le sorrise, sperando di aggiustare le cose
e
cercando di attrarla nuovamente a sé, ma senza alcun risultato.
“Harm, è
molto tardi” gli disse. “Domani abbiamo ancora un
mucchio di lavoro da sbrigare. Se non ci muoviamo l’Ammiraglio si
arrabbierà, e
molto. Buona notte.”
Era un chiaro
invito a levarsi di torno.
Si indispettì.
“Certo, è
quasi mezzanotte” rispose guardando l’orologio,
“e probabilmente la tua spia ti deve chiamare, per cui vuoi essere
lasciata
sola.”
“FUORI DI
QUI!” gli urlò contro Mac.
Harm chiuse
il quadernetto e se ne andò sbattendo la
porta.
|
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Capitolo 11 *** Il Libro ***
Capitolo XI
Il
Libro
Prima
ancora che il Conte D’Harmòn le
comunicasse l’esito delle sue ricerche sulla Duchessa Battyàny, Lady
Sarah
decise di starle alle costole per riuscire a coglierla in flagrante.
Pertanto
cominciò sempre più spesso ad
interpellarla su questioni di cerimoniale adducendo come scusa la sua
scarsa
conoscenza dell’etichetta austriaca.
A
tutta prima la Duchessa si mostrò stupita che
la nuova Prima Dama di Sua Maestà ignorasse le più elementari norme di
comportamento, ma la “Baronessa de Bellegarde” rintuzzò le sue
obiezioni
sostenendo che, ora che i suoi compiti si erano fatti più onerosi e più
pregni
di responsabilità, desiderava migliorare la sua conoscenza del
cerimoniale. A
quel punto la dama ungherese accettò di buon grado di dare dei consigli
e Lady
Sarah ne approfittò per approfondire anche la conoscenza personale,
sfruttando
le sue nozioni sulla storia della patria della Duchessa e parlandole di
tanto
in tanto nella sua lingua natale.
La
mattina dopo il ballo in onore della Delegazione
prussiana e dopo aver conferito con il Conte Von Webb, avvicinò
nuovamente la
Duchessa.
Era
ancora sottosopra per essere stata tra le
braccia del Conte D’Harmòn e aveva bisogno di dimenticare al più presto
le
emozioni provate la sera prima. Cosa c’era di meglio se non immergersi
completamente nella sua missione?
Avvicinò
pertanto la Duchessa Battyàny e le
disse che la sovrana aveva richiesto la sua presenza in qualità di
Prima Dama
di compagnia ad un tè che avrebbe avuto luogo quel pomeriggio con le
mogli dei
notabili di Vienna.
Come
accadeva sempre quando l’Imperatrice
introduceva qualche novità a corte, anche questo tè aveva indispettito
oltremodo l’Arciduchessa Sofia, la quale era già molto amareggiata dal
fatto
che Elisabetta non aveva provveduto a dare un erede all’Impero.
“Anziché
correre a cavallo come una barbara e
circondarsi di ungheresi traditori, farebbe meglio a pensare a dare un
figlio
maschio all’Imperatore” soleva ripetere con acidità ai suoi
fedelissimi. Sissi
non mostrava di essere colpita da tutto ciò, ma Lady Sarah sapeva che
ne
soffriva moltissimo e che se ne faceva un cruccio.
“Lasciate
fare a Madre Natura Maestà” era
solita rincuorarla quando, puntualmente, ogni mese si accorgeva di non
essere
incinta. “Siete giovane, un erede arriverà di certo.”
Elisabetta
prestava ascolto alle parole della
“Baronessa de Bellegarde”, ma dentro di lei lo sconforto aumentava di
giorno in
giorno.
“Duchessa
Battyàny!” esclamò Lady Sarah.
“Finalmente vi trovo. Ho un disperato bisogno del vostro saggio
consiglio.”
“Che
posso fare per voi, Baronessa?”
Si
trovavano nel giardino d’inverno nell’ala
del palazzo riservata all’Imperatrice e la stavano attendendo.
“Oggi
pomeriggio debbo partecipare ad un tè con
Sua Maestà e…”
“Suppongo
si tratti di quello al quale sono
state invitate le mogli dei notabili” disse la Duchessa con una nota di
disprezzo nella voce. Neanche lei gradiva l’iniziativa di Elisabetta.
“Precisamente”
le rispose Lady Sarah simulando
anch’essa un’espressione sdegnata. “Avrei bisogno di conoscere l’esatto
abbigliamento da indossare, non vorrei mai che quelle signore si
sentissero a
disagio” concluse indicando il proprio abito, che dopo il cambio
successivamente all’incontro con l’aiutante di campo dell’Imperatore,
era di
velluto marrone con decorazioni di seta azzurro pallido.
“Certo,
le borghesi non hanno molti soldi da
spendere in abbigliamento, comunque non ne sarebbero all’altezza,
Baronessa”
osservò la Duchessa con aria complice nascondendo un sorrisetto di
compiacenza
dietro al ventaglio.
“Ovviamente”
le diede corda Lady Sarah
lasciandole intendere che condivideva i suoi pregiudizi.
“Un
abito da primo pomeriggio andrà bene, mia
cara, l’importante è che non diate l’impressione di essere più elegante
dell’Imperatrice.”
“Grazie
Duchessa, come sempre siete una fonte
preziosa di consigli. Ma ditemi, come sta vostra figlia a Buda?”
continuò il
discorso Milady passando disinvoltamente dal francese all’ungherese.
“Molto
bene. Si è maritata con un bravo
giovanotto, figlio di un nobile in vista della città. Ma anche se è
aristocratico ha idee liberali e collabora molto da vicino con il caro
Conte
Andrassy per la causa ungherese.”
“Sono
certa che alla fine l’obiettivo verrà
raggiunto.”
La
Duchessa le sorrise con aria complice e
stava per aggiungere qualcosa d’altro, quando Elisabetta fece il suo
ingresso
nel giardino d’inverno, interrompendo così il cicaleccio delle dame
ammesse
alla sua presenza.
Lady
Sarah stava già elaborando le informazioni
appena ottenute dalla Duchessa Battyàny. Apparentemente si era trattato
di una
conversazione come tutte le altre, ma la dama inglese sapeva che non
era così.
Nessuno a corte aveva mai avuto l’ardire di parlare apertamente di
“causa
ungherese”, nemmeno le dame più vicine all’Imperatrice e i Ministri
dell’Imperatore, tutt’al più si accennava ad “accordi con l’Ungheria” o
al
“processo di riavvicinamento” ed il fatto che la nobildonna avesse
usato
quell’espressione le dava molto da pensare. Il comportamento di quella
Duchessa
destava sempre più sospetto e si ripromise di riferire al Conte
D’Harmòn non
appena possibile.
***
Sembrava
l’avesse fatto apposta, ma in realtà l’Ammiraglio
era arrivato alla medesima ora di Harm e Mac per caso. Aveva subito
notato
l’aria truce con cui si erano guardati e il freddo saluto che si erano
scambiati.
“Possibile che siano
riusciti a litigare anche su quel diario?” si chiese. Quei
due erano
incorreggibili!
“Come
procedono le vostre indagini?” domandò, più che
altro per sondare gli animi.
“Benissimo,
Signore” rispose Mac. “Abbiamo trovato del
materiale molto interessante sull’Ammiraglio Blackbird.”
“Già credo
che ne verrà fuori un ritratto insolito
dell’Ammiraglio, Signore” le fece eco Harm. “Soprattutto considerando
il fatto
che la storia sembra molto avere a che fare con le spie…”
Chegwidden
guardò l’ufficiale con aria interrogativa,
mentre Mac lo trapassò con un’occhiata che avrebbe incenerito chiunque.
Erano
arrivati al piano; uscirono dall’ascensore e
Chegwidden, ancora una volta, ordinò loro di prestare attenzione solo
ed
esclusivamente alle carte ufficiali tralasciando tutto il resto. Sperò
che
questo avvertimento li avrebbe riavvicinati al diario, qualunque cosa
fosse
accaduta la sera precedente.
“Ci può
contare, Signore” rispose Mac guardando in realtà
Harm con l’aria di chi non vuol più sentir parlare di diari di
nobiluomini
dell’Ottocento.
Andarono in
sala riunioni.
E come se ci
poteva scommettere l’Ammiraglio! Lo sapeva
che non avrebbe dovuto cedere alle richieste di Harm e lasciarsi
tentare da lui
e da quel dannatissimo francese.
“Maledizione”
sbuffò Mac mentre sollevava il secondo
scatolone e lo posava sul tavolo.
“Troppo
pesante?”
“NO” lo
aggredì lei.
“Troppo caffè
o sei scesa dalla parte sbagliata del
letto?”
“Né l’uno né
l’altra. Ho solo voglia di finire questo
maledetto lavoro e tornare ad occuparmi di cose serie.”
“Ma come? Monsieur
le Comte non ha fatto presa su di te?”
“Ci vuole ben
altro che un valzer, una rosa rossa e dei
complimenti per fare presa su di me!” ribatté lei cominciando ad
estrarre le
carte dallo scatolone e suddividendole per tipologia.
“Già” le
rispose sottovoce Harm prendendo una pila di
documenti suddivisi il giorno prima e accingendosi alla lettura.
Non avrebbe
dovuto farle quelle battute sulle spie la sera
precedente e quella mattina, ma gli erano salite alle labbra prima che
potesse
fermarsi. Il fatto di saperla tra le braccia di Webb, quando invece era
con lui
che avrebbe dovuto stare, gli faceva ribollire il sangue nelle vene. La
sua
“Lady Sarah” gli apparteneva e da quando Mattie l’aveva tampinato fino
a fargli
ammettere di essere innamorato di lei non passava giorno senza che non
pensasse
a quanto la desiderava, a quanto gli mancava quando non c’era e a
quanto
avrebbe voluto invecchiare con lei. Non solo, ma il bacio ricevuto gli
aveva
mutato tutte le prospettive mandandogli in tilt la strumentazione di
volo.
Ma tra loro
c’era Clayton Webb a complicare le cose: il
maledetto pomo della discordia, anche se la sera prima non gli era
parso che
Mac pensasse troppo a lui.
Si era
accoccolata nel suo abbraccio e quando la mano era
scivolata dalle spalle alla vita sino a carezzarle la pelle nuda non si
era
scomposta, anzi gli era parso che si fosse fatta più vicina.
“Che l’abbia
lasciato?” si domandò. “Ma se così
fosse me l’avrebbe
detto”, però si
rese conto che Mac non gli diceva più nulla da un sacco di tempo.
La fissò
mentre, con aria concentrata, estraeva dalla
scatola carte e mappe navali ingiallite dal tempo, adorava
l’espressione che
assumeva quando lavorava, ma del resto adorava tutto di lei.
Con un
coraggio che stupì persino lui stesso d’un tratto
le chiese: “Tu e Webb state ancora insieme?”
Mac lo guardò
come se fosse impazzito.
“Non sono
affari tuoi” gli rispose brusca tornando ad
occuparsi dei documenti.
Ma Harm non
aveva intenzione di demordere. Si alzò dalla
sedia e la raggiunse. Le prese il viso fra le mani, costringendola a
voltarsi
verso di lui: “State ancora insieme?” chiese nuovamente.
“Ti ho già
risposto mi sembra: non sono affari tuoi. Ho
forse mai chiesto se stavi ancora con Renée? No e allora…”
“Allora scusa
per ieri sera e per poco fa nell’ascensore”
le disse. “Non avrei dovuto farti quelle battute.”
“Scuse
accettate Rabb, ora torniamo al lavoro” rispose
asciutta distogliendo il volto da lui e scostando le sue mani.
“Che ne dici
di venire da me stasera e continuare la
lettura?” chiese.
Mac non gli
rispose.
***
Lady
Sarah era ancora immersa nel sonno quando
fu svegliata da un insistente bussare.
Aprì
gli occhi e vide che fuori l’alba, una
fredda e grigia alba dicembrina, stava sorgendo.
“Ma
chi può essere a quest’ora?” si chiese.
Uscì
dal tepore delle coperte e non appena posò
i piedi a terra rabbrividì nella leggera camicia da notte di seta
avorio. Si
infilò la pesante vestaglia di velluto foderata di panno e andò ad
aprire.
Si
trovò di fronte la cameriera personale
dell’Imperatrice, pallida come un cencio, per quello che le fu dato di
distinguere nella semioscurità del corridoio.
“Baronessa,
non so che fare. Sua Maestà sta
male, io non sapevo chi chiamare…”
“Si
calmi, Mathilda” la rassicurò Lady Sarah,
“e mi racconti tutto dal principio.”
“So
solo che ho udito delle grida soffocate
provenire dallo studio privato dell’Imperatrice e quando sono entrata
ho visto
Sua Maestà accasciata sullo scrittoio. Presto, Baronessa, venite, per
favore!”
La
ragazza era angosciata e i suoi occhi erano
spalancati dal terrore.
L’etichetta
le avrebbe imposto quantomeno di
cambiarsi e di indossare una veste più consona, ma Lady Sarah,
infischiandosene
delle convenzioni, uscì dagli appartamenti a lei riservati, poco
distanti da
quelli della sovrana, e in camicia da notte e vestaglia seguì Mathilda
nel
corridoio semibuio fino a giungere alle stanze dell’Imperatrice.
Se
D’Harmòn l’avesse vista così, con i lunghi
capelli color dell’ebano sciolti e vestita solo di una vestaglia e di
una
camicia da notte semitrasparente chissà cosa avrebbe pensato di lei…
“Che
siete assolutamente deliziosa, Madame” le
sembrò di udire la voce impertinente del francese che si faceva beffe
di lei.
Ma
che erano questi pensieri? L’Imperatrice,
colei che Francesco Giuseppe aveva messo sotto la sua ala protettrice,
versava
in chissà quali condizioni e lei pensava a D’Harmòn! Scacciò il volto
sorridente di lui dalla sua mente e si concentrò sul da farsi.
La
cameriera le aprì la porta dello studio di Elisabetta
e Lady Sarah entrò. Nella penombra creata dalle tende vide l’esile
figura
dell’Imperatrice accasciata sul proprio scrittoio, sembrava che stesse
singhiozzando, ma la luce era troppo scarsa. Con un cenno della mano
fece
capire a Mathilda di scostare i pesanti tendaggi dalle finestre.
Un
attimo dopo la pallida luce dell’alba
invernale appena sorta rischiarava la stanza. La cameriera si dileguò e
Lady
Sarah rimase sola con Sissi.
Ora
la vedeva con maggior chiarezza: la massa
di capelli fulvo-castani era sciolta e toccava terra, la sovrana aveva
la testa
appoggiata alle braccia ed era seduta in maniera scomposta in veste da
camera e
a piedi nudi, le spalle sussultavano impercettibilmente.
Lady
Sarah si avvicinò alla sua protetta.
“Maestà”
sussurrò chinandosi accanto ad
Elisabetta.
“Maestà,
sono la Baronessa, che accade?”
Sissi
sollevò il capo e si gettò nelle braccia
della sua Prima Dama.
“Oh,
Baronessa, se non avessi voi! Solo voi mi
capite e comprendete, solo voi siete come me!” esclamò disperata.
“Maestà,
cos’è accaduto?” le chiese nuovamente
Milady aiutandola a rialzarsi da quella scomoda posizione.
“Volevo
solo un po’ di pace prima di ricevere i
precettori, e volevo scrivere alcune lettere a Possenhofen” spiegò la
sovrana
che in quel momento era ciò che in realtà era: una ragazzina di
diciannove anni
non ancora compiuti spaventata e afflitta.
Lady
Sarah provò l’impulso di scappare da quel
posto intriso di falsità portando con sé quella ragazza e restituirle
la
libertà, e al diavolo la ragion di Stato! Ma poi si ricordò che Sissi
era
innamorata di Francesco Giuseppe e che mai e poi mai l’avrebbe lasciato.
“Ecco
come riduce l’amore” pensò amareggiata “incapaci
di qualsiasi scelta che coinvolga solo noi stessi, inetti nel prendere
una via
che conduce alla liberazione solo perché chi amiamo ne soffrirebbe.”
Era
disgustata dall’amore e ringraziò il cielo di non averne mai assaggiato
il
gusto d’aceto e d’ambrosia.
“Mi
sono accostata allo scrittoio e ho… e ho…”
Elisabetta non riusciva a terminare la frase, ma si limitava ad
indicare un
libricino rilegato in cuoio rosso e con le pagine ingiallite dal tempo.
Lady
Sarah lo prese in mano e notò che vi erano alcuni passi sottolineati.
Essi così
recitavano:
“La
ragione di vivere di una
regina consiste nel dare eredi alla Corona (…) è questa infatti la
vocazione
naturale delle regine. Appena se ne allontanano esse divengono fonte di
grandi
mali (…) Quando una regina ha la fortuna di poter dare dei principi
allo stato,
deve limitare tutta la propria azione a questo (…). La principessa che
non
mette al mondo dei figli maschi è solo una straniera nello stato e per
di più
una straniera eccessivamente pericolosa” [1]
“Chi
mai può aver osato una cosa del genere?”
si chiese. “Maestà, sono certa che si tratti solo di una burla di
pessimo
gusto” tentò di rincuorare l’affranta Imperatrice.
“Ha
ragione quel libro” si disperò ancor di più
Elisabetta. “Non so dare un erede maschio alla dinastia degli Asburgo,
il trono
di Franz è in pericolo per colpa mia, e sono solo una straniera qui a
Vienna!
Tutti mi odiano, anche l’Arciduchessa Sofia, anzi lei più di tutti.
Come
possono i miei sudditi accettare una donna bavarese della nobiltà di
provincia
diventata Imperatrice per caso e che non sa procreare un erede maschio?”
Lady
Sarah non sapeva che dire, sembrava che
ogni sua parola non facesse altro che acuire il dolore di Sissi.
“Maestà,
voi non siete una straniera qui a
Vienna, il popolo vi adora e sa che il sospirato erede arriverà presto.
L’Arciduchessa Sofia non è così malvagia, cerca solo di abituare la
Vostra
Maestà alla vita di corte, ma ella vi vuole molto bene, perché sa che
amate
l’Imperatore al di sopra di ogni cosa. Vostro figlio nascerà ne sono
più che
certa e queste infamie saranno presto scordate da chi vi ama veramente,
ovvero
tutti quanti.”
L’Imperatrice
sembrò calmarsi un poco: “Voi
credete, Baronessa?” chiese titubante con il pianto nella voce.
“Ne
sono sicura e non appena l’Imperatore ne
sarà informato sapremo anche chi ha osato causarvi così tanto dolore.”
“No!
Ve ne prego, Baronessa, non informate Sua
Maestà” la supplicò Elisabetta. “Egli è già tanto preoccupato per le
questioni
di Stato e non desidero angustiarlo di più. Tacete, Baronessa, se mi
portate un
poco d’affetto vi scongiuro di tacere.”
Lady
Sarah non era molto convinta della
promessa che stava per fare ad Elisabetta, nella sua opinione
l’Imperatore
avrebbe dovuto essere informato di ciò che era appena accaduto,
tuttavia
cedette alle richieste di Sissi e le promise il suo silenzio.
All’Imperatore,
non al Conte D’Harmòn.
Si
ripromise pertanto di parlarne con lui non
appena possibile.
Rimase
con la sovrana fino a quando non fu
certa che si fosse calmata e poi la lasciò nelle mani più che fidate di
Mathilda, facendo ritorno alle proprie stanze.
Un
interrogativo la tormentava: chi aveva messo
quello scritto infamante sullo scrittoio di Sua Maestà? Certamente
qualcuno che
poteva avere accesso alle sue stanze, e se si escludeva lei, c’erano
ben 222 sospette
più l’Arciduchessa Sofia, senza contare il personale di servizio.
Eliminò
mentalmente la suocera di Elisabetta,
sarebbe stato troppo scontato addossarle la responsabilità del gesto,
poiché
tutti sapevano che tra le due donne non correva affatto buon sangue. E
forse
l’intento del misterioso (o misteriosa?) calunniatore o calunniatrice, era proprio quello: far
ricadere la colpa
dell’accaduto sull’Arciduchessa Sofia per aumentare ancor di più il
baratro fra
suocera e nuora e costringere, forse, Francesco Giuseppe a prender
posizione
sia sui rapporti tra la moglie e la madre sia sul fatto che ancora
l’Austria
non aveva un erede al trono.
Ma
Lady Sarah non riteneva l’Arciduchessa
colpevole di una simile bassezza. Certo Sua Altezza Imperiale non
digeriva
certi atteggiamenti della nuora, ma da lì a metterle un libello di tal
bassa
fattura nello studio privato ce ne voleva!
“Dunque,
chi tra le altre dame avrebbe potuto
farlo? O chi avrebbe potuto incaricare una cameriera compiacente di
portare a
termine la missione?” si domandò.
Guardò
fuori, il sole era ormai sorto, ma la
giornata era nuvolosa, senz’altro prima di sera avrebbe nevicato. Si
chiese
dove potesse essere il Conte D’Harmòn in quel momento.
“Ammesso
che sia sveglio” pensò ironicamente,
conosceva l’amore che i francesi avevano nel tirar tardi la mattina.
Non
voleva scrivergli un biglietto per timore
che cadesse nelle mani sbagliate (il Conte Von Webb per esempio) e
preferì
attendere un’ora più consona prima di incaricare un valletto o una
cameriera di
chiamarlo. Si stupì di se stessa. Proprio lei che contravveniva sempre
ad ogni
regola o etichetta adesso si preoccupava del cerimoniale!
Sorrise
fra sé, ma del resto era meglio
comportarsi correttamente per non dare troppa confidenza al Conte, che
già si
era approfittato fin troppo di lei.
“Però
mi è piaciuto come si è comportato… la
rosa, il ballo, il sentirmi dire, proprio nel bel mezzo della polka,
che mi
trovava più attraente senza busto…”
Si
riscosse da questi pensieri e con un gesto
d’insofferenza si cambiò d’abito. Non doveva pensare al Conte! Se lo
era
imposto!
Decise
di scendere in palestra e di dedicarsi
all’esercizio fisico, meglio concentrarsi su qualcosa di concreto che
lasciar
vagare i pensieri nella solitudine delle proprie stanze.
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Capitolo 12 *** Gioco di lame ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XII
Gioco
di lame
“Che ci fai,
qui?” domandò quando la vide sulla soglia di
casa.
“Non sei
stato tu a dirmi di venire?” rispose lei, fredda.
“Credevo non
volessi più vedermi…”
“Se sono qui
è solo per quello” disse, indicando il diario
in pelle marrone che scorse sul divano. “Di certo non sono venuta per
te”
aggiunse entrando e lasciandolo sull’ingresso ad osservarla.
“Già, di
certo non sei venuta per me…” sussurrò lui,
richiudendo la porta.
“Che hai
detto?” gli chiese mentre si toglieva la giacca e
la posava su una sedia.
“Ah, nulla…”
rispose Harm, osservandola: indossava un paio
di jeans che le aderivano come una seconda pelle e una camicia morbida,
sapientemente slacciata quel tanto che bastava per renderla seducente.
“Non dirmi
che hai continuato senza di me?” domandò Mac,
osservandolo a sua volta: la comoda tuta in felpa grigia non sminuiva
affatto
il suo fascino. Anzi, semmai gli aggiungeva quel tocco casalingo che le
riscaldava il cuore. Clayton non indossava mai una tuta, forse neppure
quando
andava in palestra. Certamente anche il suo abbigliamento sportivo
assomigliava
di più ad un abito in doppiopetto che ad una tuta! Clay non era proprio
il tipo
da vestire informale, neppure quando era in casa sua in totale libertà.
Harm, invece,
tolta l’uniforme, si trasformava e lei non
sapeva mai decidersi se lo preferiva impeccabile nella divisa di
Comandante
oppure casual, in jeans e T-shirt se non addirittura in tuta, come in
quel
momento. Diciamo che se doveva proprio scegliere, la tuta era forse il
suo
abbigliamento preferito, anche se quella che intendeva lei non era
propriamente
quella sportiva, ma piuttosto quella con cui pilotava i tomcat…
“Non pensavo
che saresti venuta” le disse, tornando a
sedersi sul divano e invitandola a raggiungerlo.
Lei lo scrutò
indecisa… la sera prima l’avevano trascorsa
a leggere il diario abbracciati sul divano di casa sua e a lei era
piaciuto
moltissimo, se non fosse stato per come poi lui aveva rovinato tutto
con quelle
frasi su Webb.
Ora la
invitava a raggiungerla di nuovo e lei non sapeva
se arrendersi al piacere di stare ancora tra le sue braccia, oppure se
resistergli e sedersi sul divano accanto… odiava sentirlo tanto vicino
per poi,
subito dopo, ripiombare nella delusione semplicemente a seguito di una
sua frase.
Preferiva piuttosto non concedersi nulla.
Optò per il
divano accanto e stava per sedersi, quando
Harm la intercettò e, prendendole una mano, la tirò dolcemente accanto
a sé.
Stava per ribattere che avrebbe preferito ascoltarlo leggere seduta
lontano da lui,
quando le disse:
“Scusami per
ieri sera, Mac…” con un tono talmente dolce
che le fece cambiare idea. Decise di restargli vicino e godersi il suo
abbraccio ancora una volta. E al diavolo qualunque suo commento su
Webb! A
pensarci bene, forse era il caso di chiarire…
“Non sto più
con Clayton, Harm” gli disse dolcemente.
Lui non
replicò nulla; si limitò ad osservarla e ad
abbracciarla, mettendosi comodo. Quindi riprese la lettura, riprendendo
dal
punto dove l’avevano interrotta la sera precedente.
***
Era
appena l’alba quando entrò in palestra:
approfittando del fatto che sicuramente sarebbe stata sola, aveva
deciso di
indossare pantaloni maschili in velluto marrone e una blusa in seta
bianca,
portandosi dietro anche una pesante giacca per concedersi una bella
cavalcata
“come diceva lei”, prima di rientrare. Aveva in mente di allenarsi un
po’ con
la spada. Suo padre, fin da piccola, le aveva insegnato a tirare di
scherma e
lei sapeva che, dalla palestra, si accedeva ad una sala d’armi
appositamente
predisposta per duelli di allenamento. Non avrebbe sfidato nessuno,
ovviamente!
Quale gentiluomo si sarebbe battuto con una donna? Si sarebbe
accontentata di
qualche mossa in solitudine, tanto per fare del movimento. E poi una
bella
galoppata, prima che il tempo peggiorasse e la richiudesse nel palazzo
per i
prossimi giorni! Lei odiava stare rinchiusa troppo a lungo…
Avvicinandosi
alla porta che conduceva alla
sala d’armi, sentì alcuni rumori provenire dall’interno. Si stupì che
qualcuno
fosse in piedi prima di lei, già nel pieno di un allenamento. Aprì
piano la
porta, per non disturbare i duellanti e rimase sorpresa nel rendersi
conto che
uno dei due uomini era il Conte D’Harmòn che si stava battendo con il
suo
attendente, Robert.
In
silenzio entrò ad osservarli. Entrambi gli
spadaccini erano molto abili ed erano impegnati in un elegante, ma
durissimo,
gioco di lame.
Si
concentrò sui movimenti del Conte, rapidi e
decisi, tecnicamente perfetti: vibrava stoccate con un’energia
inaudita, quasi
stesse combattendo realmente un avversario temibile. Robert rispondeva
agli
affondi del Conte con destrezza, ma era evidente al primo sguardo chi
conduceva
il duello.
André
D’Harmòn indossava un abbigliamento
simile al suo: pantaloni scuri aderenti alle gambe muscolose e una
camicia in
batista bianca, per metà slacciata sul torace. Una fascia in seta
azzurra gli
stringeva la vita, sottolineando ancora di più le ampie spalle…
Era
stupendo!
Lady
Sarah si concesse il lusso di osservare
indisturbata quel perfetto fisico maschile, tanto agile nei movimenti
pur
considerata la sua notevole altezza: anche attraverso gli abiti, poteva
percepire la potenza dei muscoli che si muovevano ad ogni affondo.
Rapidamente
il duello volse alla fine: con due
abili stoccate, André decise di terminare l’allenamento, facendo volar
via
dalle mani la spada di Robert con un sorriso. Si era accorto, pur senza
darlo a
vedere, della presenza di Lady Sarah e aveva deciso che preferiva
certamente la
compagnia di Milady all’allenamento con Robert.
L’aveva
scorta nell’angolo, accanto alla porta,
e una rapida occhiata gli era stata sufficiente per apprezzare quello
che aveva
visto: Lady Sarah in pantaloni! Chi lo avrebbe mai detto che prima o
poi
avrebbe avuto questa fortuna? Sì, perché era certo che lei amasse
indossare
abiti maschili, in certi momenti… era l’istinto a suggerirglielo, così
come gli
aveva suggerito che era solita cavalcare ad andatura sfrenata, e non
certamente
all’amazzone! E per farlo, non indossava sicuramente un’elegante tenuta
da
cavallerizza; quella era riservata alle passeggiate a cavallo con
l’Imperatrice
e il suo seguito.
Terminato
il duello congedò rapidamente il suo
attendente e si rivolse a Lady Sarah.
“Noto
che apprezzate la scherma, Milady” disse,
prendendole la mano e portandosela alle labbra.
“Conte
D’Harmòn, raramente ho visto uno
spadaccino abile quanto voi…” rispose
la
donna con un sorriso.
“Voi
mi lusingate, Madame” replicò il Conte,
divertito.
“Oh,
non volevo lusingarvi, caro Conte. Stavo
dicendo la verità…”
“E
come fa, una nobildonna come voi, a sapere
che mi batto bene? A quanti duelli avrete assistito, Milady?”
“Voi
mi sottovalutate, Conte D’Harmòn… la
scherma mi ha sempre affascinata…”
“Vorreste
imparare a tenere in mano una spada?”
si sentì chiederle improvvisamente André. Si rese conto che quella
domanda gli
era balenata al cervello non appena aveva osservato meglio Lady Sarah,
stupenda
in quella tenuta maschile: di certo sotto quella blusa e quei pantaloni
non
indossava il corsetto e la tentazione di prenderla di nuovo tra le
braccia con
la scusa di mostrarle l’impostazione di alcuni movimenti, lo assalì
all’improvviso, senza che quasi se ne rendesse conto.
Lei
lo osservò incuriosita, quasi pensierosa.
Poi, dopo aver esitato solo per un attimo, acconsentì con entusiasmo.
Si
lasciò condurre al centro della sala, prese
la spada che lui scelse per lei e si affidò alle sue esperte mani, che
le
spiegarono la giusta posizione. Poi il Conte le si avvicinò da dietro,
cingendole i fianchi, per farle comprendere meglio alcuni movimenti di
affondo
e di difesa.
Lady
Sarah stette al gioco, divertita da come
lui aveva preso sul serio la faccenda: si domandava se era più
interessato a
far di lei un’esperta spadaccina oppure a provare piacere ad avere tra
le
braccia il suo corpo, lo stesso piacere che provava lei nel farsi
abbracciare
da lui. Lo lasciò
continuare,
assaporando con gioia il brivido che le dava ogni suo tocco e
inebriandosi
dell’odore maschile che sprigionava il suo corpo accaldato.
E,
con un sorriso birichino, alla fine della spiegazione,
gli propose qualche colpo di prova. Lui decise di accontentarla, si
mise in
posizione e iniziarono il “duello”.
Le
lame si toccarono lentamente, nei primi
colpi d’assaggio. André osservò compiaciuto la posizione di Lady Sarah
che,
dopo i primi passi incerti, migliorò visibilmente e la lodò per come
imparava
alla svelta. Le rivolse un sorriso, mentre si esibiva in un affondo
perfetto,
tuttavia appena accennato, visto l’avversario inesperto che aveva di
fronte. Ma
all’improvviso Milady rispose con un micidiale affondo, che il Conte
schivò per
miracolo. Lei lo incalzò di nuovo con una stoccata di insolita bravura,
alla
quale lui rispose con un colpo altrettanto perfetto.
La
sorpresa di scoprire che Lady Sarah sapeva
duellare lo incuriosì a tal punto che decise di continuare, certo che
anche lei
non attendeva altro che confrontarsi con lui. A poco a poco i colpi di
entrambi
si fecero più precisi, mentre ognuno dei due sfoggiava il meglio della
propria
tecnica: spietate e micidiali stoccate, vibrate con grande energia.
Lady
Sarah era un avversario degno di lui e una
donna dalle continue sorprese!
Concentrati
allo spasimo, con i muscoli tesi e
i nervi all’erta, duellarono per diversi minuti: nel silenzio del
salone si
sentiva solo il secco rumore del metallo e il fischio dell’aria ferita
dalle
spade, in un gioco di lame che forse cominciava ad assomigliare più ad
un gioco
di cuori e di destini…
***
26 Ottobre 1856
Ciò
che ieri mattina Lady Sarah mi ha riferito mi preoccupa
non poco. E preoccupa anche Milady.
Il
libro che l’Imperatrice ha trovato aperto sul suo
scrittoio è un fatto molto serio. Innanzi tutto qualcuno si è
introdotto nelle
stanze di Sua Maestà col solo scopo di turbarla e già questo è di per
sé grave.
Inoltre Lady Sarah, che ha trovato l’Imperatrice sconvolta, sull’orlo
di una
crisi di nervi, ritiene che fosse proprio quello lo scopo di quel
libro:
turbare Elisabetta, già nota per le sue crisi depressive e i suoi
momenti neri,
sottolineando il fatto che Sua Maestà non ha ancora dato un erede al
trono.
Milady
ha dato uno sguardo al libricino, una raccolta di
scritti indirizzati a Sua Maestà Maria Antonietta, che impiegò
vent’anni a dare
un erede alla Francia. Sembra che le parole sottolineate (da qualcuno…
ma chi?)
nella pagina lasciata aperta fossero tratte da una lettera che un
anonimo
scrisse proprio alla Regina di Francia, lettera mirata ad umiliare la
Regina
Austriaca per non
avere ancora dato un
erede al trono al consorte, Re Luigi XVI..
Secondo
l’opinione di Lady Sarah, lo scopo di chiunque
abbia fatto trovare il libricino all’Imperatrice Elisabetta, era
certamente
quello di turbare la sovrana, cercando di far ricadere la colpa
sull’Arciduchessa Sofia, nota per la sua avversione nei confronti della
nuora,
spesso assente ai suoi doveri di Corte a causa della salute cagionevole.
Eppure
Milady è convinta che non sia opera
dell’Arciduchessa, ma di qualcun altro… I suoi sospetti ricadono sempre
sulla
Duchessa Battyàny e ora, dopo le informazioni che ho ricevuto sul suo
conto,
credo che l’istinto di Milady la stia indirizzando verso la pista
giusta.
Ho
saputo che la Battyàny è vedova di un ungherese, fatto
fucilare durante la rivolta del ’48 e introdotta a corte… e qui la
faccenda si
fa davvero interessante… dall’aiutante di campo dell’Imperatore…
Klaus Von Webb
in persona!
Ovviamente,
per il momento, non ho messo al corrente Lady
Sarah di questa interessante informazione… i contatti che è costretta
ad avere
con il Conte sarebbero più rischiosi per lei se dovesse lasciarsi
sfuggire
qualcosa…
Ma
cosa vado a pensare? Davvero sono convinto che quella
donna possa correre il rischio di perdere il controllo della situazione?
Non
mi è bastato come ha duellato questa mattina con
me? Mai mi sarei
aspettato che fosse
tanto abile con la spada…
Milady
ha davvero il potere di sconvolgere i miei
sensi!
Era
stupenda in quella tenuta maschile, mentre mi teneva
testa in un duello che avrei volentieri perso, se non fossi stato certo
che lei
avrebbe creduto che lo avessi fatto per ingraziarmela, cosa che
l’avrebbe fatta
molto infuriare. E così mi sono visto costretto ad impegnarmi al
massimo, pur
di vincerla… ma non è stato così semplice metterla fuori gioco.
Mentre le lame si
toccavano, una stoccata dopo l’altra, ho colto nei suoi occhi uno
sguardo fiero
e deciso, impossibile da sottomettere.
E
più la osservavo, più desideravo che i nostri corpi
duellassero in tutt’altra maniera, in un modo più dolce e appassionato…
e più
mi appariva indomabile, più ho desiderato poterla sottomettere al gioco dei sensi con i
miei baci e le mie
carezze.
Credo
che comunicherò prima possibile le informazioni che
ho ricevuto sulla Duchessa e su Von Webb a Lady Sarah. Sono certo che
saprà
farne buon uso e che non si lascerà sfuggire nulla al Conte.
Del
resto è meglio, molto meglio, che stia in guardia da quel viscido
individuo.
***
Mentre
leggeva il diario in realtà la mente di Harm era
altrove.
“Non sto più con
Clayton, Harm.”
La frase gli
rimbombava nella testa e continuava
ossessivamente a tornargli in mente. Era felice di questa novità, ora
poteva
averla tutta per sé senza continuamente vedere il fantasma di Webb tra
di loro,
tuttavia si sentiva anche un poco arrabbiato con lei.
“Se non stanno più
insieme perché allora se l’è presa così tanto ieri sera e ancora
stamani? Teoricamente
non dovrebbe più importarle nulla di lui, eppure si è arrabbiata
tantissimo e
mi ha urlato di uscire da casa sua” pensò.
Poi rinunciò
definitivamente a cercare di comprendere lo
strano atteggiamento di Mac, quello che contava era che lei era libera
ed era
lì.
La strinse
ancor di più a sé cercando di trasmetterle così
la gioia che provava nell’averla accanto e si concentrò nella lettura.
Mac, da parte
sua, era un po’ stupita da come Harm aveva
appreso la notizia della rottura con Clay. Si era aspettata… “Cosa?” pensò guardandolo di sottecchi, “che ti prendesse fra le braccia e si
dichiarasse? Sei un’illusa se la pensi a questa maniera.”
Però lui la stava
tenendo stretta quasi avesse timore che lei scappasse via da un momento
all’altro, ma Mac non aveva proprio voglia di scappare.
Raccolse le
gambe sotto di sé e gli si fece più vicina,
appoggiando il capo alla sua spalla. Chiuse gli occhi e non era più a
North of
Union Station, ma in un palazzo ottocentesco a Vienna in compagnia di
un Conte
francese tale e quale all’uomo che le aveva rubato il cuore…
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Capitolo 13 *** Un Giuramento ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XIII
Un
Giuramento
“Posso
unirmi a voi, Milady?”
La
voce del Conte la colse di sorpresa,
facendola sobbalzare. Si voltò immediatamente e rimase senza fiato per
un
attimo: André D’Harmòn la stava fissando con un sorriso favoloso,
pronto per
una cavalcata.
Era
più di una settimana che non lo vedeva… dal
duello nella sala d’armi, dove alla fine, battuta dall’abilità del
Conte, gli
aveva raccontato tutto quello che era accaduto all’alba nelle stanze di
Sua
Maestà. Dopo quell’incontro, o meglio, quello scontro, non lo aveva più
visto.
L’Imperatrice era stata male e aveva richiesto la sua costante
presenza.
Come
Lady Sarah aveva temuto, Elisabetta era
caduta in uno stato di prostrazione dopo aver letto le parole di quel
libro e
lei era sempre più convinta che lo scopo di quello scherzo di pessimo
gusto
fosse proprio quello di turbare Sua Maestà al punto che potesse
meditare il
suicidio. Fortunatamente, con la sua presenza, era riuscita ad
alleviare
l’angoscia e la depressione dell’Imperatrice, aiutata anche
dall’Arciduchessa
Sofia, messa al corrente delle condizioni della nuora e accorsa
prontamente al
suo capezzale. Persino Francesco Giuseppe aveva trascorso con la moglie
qualche
mezz’ora, saltando ben due impegni di rappresentanza pur di starle
accanto.
Come
giustamente Lady Sarah aveva pensato,
l’Arciduchessa era estranea a quella faccenda, altrimenti non sarebbe
stata
tanto sollecita con la nuora.
Lady
Sarah era sempre più convinta che
c’entrasse la Duchessa Battyàny e l’aveva tenuta, se possibile, ancora
più
sotto controllo. Ma purtroppo la Duchessa era estremamente furba e non
si era
lasciata sfuggire nulla.
Dopo
otto giorni, fortunatamente l’Imperatrice
sembrava in condizioni migliori e lei aveva deciso di cogliere al volo
quella
giornata di sole per farsi una bella cavalcata, nonostante facesse
freddo e la
neve, scesa la settimana prima, imbiancasse ancora in alcuni punti
alberi e
terreno, regalando un paesaggio da fiaba.
L’idea
di cavalcare con il Conte la tentava
parecchio, anche se sarebbe stata costretta a frenare il desiderio di
lanciare
il suo cavallo in un galoppo sfrenato: montando all’amazzone non le
sarebbe
stato possibile.
“Conte,
mi avete spaventato!”
“Davvero?
Credevo che nulla potesse
spaventarvi, Milady!” rispose lui, divertito.
Era
lui che si sentiva quasi soggiogato dalla
sua bellezza: anche quella mattina vestiva una tenuta maschile, pratica
e
sportiva, oltre che molto calda. Ma quello strano abbigliamento poco
seducente,
su di lei faceva un effetto eccezionale, soprattutto perché Lady Sarah
aveva i
capelli liberi sulle spalle.
André
non l’aveva mai vista con i capelli
sciolti, sebbene avesse desiderato moltissimo poterla ammirare senza le
elaborate acconciature in uso a corte. Quando aveva duellato con lei
nella sala
d’armi, portava i capelli legati in una lunga treccia, e già così le
era
sembrata bellissima. Ma in quel momento era rimasto quasi senza parole…
i suoi
capelli, color dell’ebano, le ricadevano in onde morbide fino alla vita
e
avevano un aspetto talmente invitante che lui si trattenne a fatica
dall’infilarvi
le mani dentro.
Erano
proprio come se li era immaginati:
lunghi, morbidi e lucenti.
Lady
Sarah rispose al suo commento con uno
sguardo impertinente, quasi una tacita sfida. Ma non rifiutò la sua
compagnia
per la passeggiata a cavallo.
Uscirono
dalle scuderie camminando affiancati,
in silenzio, con i cavalli appena sellati dietro di loro; il freddo e
l’ora non
invogliavano ad uscire e, a parte due stallieri, non incontrarono anima
viva.
Al momento di montare in sella, il Conte la sorprese di nuovo:
“Suvvia,
Lady Sarah, non avrete timore del mio
giudizio?”
Lei,
che stava per chiedergli aiuto per issarsi
all’amazzone, replicò immediatamente:
“Caro
Conte, non capisco cosa intende con
queste vostre parole…”
“Davvero?”
domandò sornione lui, senza
accennare ad avvicinarsi per aiutarla. Anzi, ammiccando con gli occhi
che gli
brillavano più del solito per il divertimento e la sfida, montò in
sella al suo
splendido purosangue nero, facendole cenno di fare altrettanto.
Sorridendo
dentro di sé al fatto che, questa
volta, era stato lui a sorprenderla intuendo perfettamente il suo
desiderio,
Lady Sarah esitò solo un attimo; poi, con decisione, montò in sella
all’arcione
e decise di rendergli la pariglia, spronando all’improvviso il suo baio
al
galoppo.
André
D’Harmòn si stupì del suo gesto solo per
pochi istanti; riprendendosi quasi subito incitò il suo cavallo
all’inseguimento di quella donna che, ad ogni incontro, gli stava
rubando
lentamente il cuore. Per alcune centinaia di metri decise di restarle
dietro,
ad ammirare la sua figura lanciata nella corsa, con i capelli al vento:
doveva
ammettere che cavallo e cavallerizza erano migliori di quanto avesse
immaginato. Poi spronò ulteriormente il suo purosangue, che allungò
immediatamente
il galoppo, fino a portarsi a fianco del cavallo di Milady. Pur
concentrato
sulla corsa, non riuscì fare a meno di osservare la sua compagna, dalla
cui
espressione traspariva la gioia che stava provando per quella galoppata
sfrenata.
Lasciarono
i cavalli lanciati nella corsa
finché giunsero in una radura, al centro della quale sorgeva un piccolo
capanno
da caccia; entrambi sapevano che poco distante vi era un piccolo
ruscello dove
far dissetare gli animali e lì si fermarono.
Il
Conte smontò rapidamente da cavallo e si
avvicinò al baio di Lady Sarah per aiutarla a scendere. Lei non rifiutò
il suo
aiuto e lui ne fu felice: desiderava a tal punto quella donna che non
poteva
fare a meno di toccarla, anche solo per aiutarla a smontare da cavallo.
Era
così bella, se possibile ancora più del solito, con il volto arrossato,
gli
occhi che le brillavano e i capelli scompigliati dal vento.
Strinse
con le sue mani forti la sua vita
sottile, la sollevò e, trattenendola per un istante in aria prima di
deporla a
terra, non riuscì a resistere dal sussurrarle dolcemente:
“Siete
bellissima…”
Quelle
parole ebbero il potere di farle mancare
il fiato più della cavalcata appena conclusa. Lo fissò negli occhi e
lui, in
quello sguardo, vide scorrere un’emozione dopo l’altra: la gioia appena
provata
nel galoppare libera dalle costrizioni che imponeva l’etichetta, un
sentimento
di riconoscenza per lui, che l’aveva spinta a farlo, e infine un
turbamento
intenso e improvviso per ciò che le aveva appena detto.
E
quello che lesse in quegli splendidi occhi
scuri lo emozionò a tal punto che non riuscì a controllare l’istinto:
la depose
lentamente a terra, ma anziché lasciarla andare, mantenne la presa alla
vita,
la avvicinò maggiormente al proprio corpo e, dopo aver affondato una
mano nella
sua chioma invitante, posò le labbra sulle sue.
Il
solo contatto li fece fremere nello stesso
momento; non appena André percepì la reazione di Lady Sarah, approfondì
il
bacio, assaporando le sue labbra con dolcezza, lentamente… lei sapeva
che
doveva farlo smettere, ma non ci riuscì. Quella bocca sulla sua era
talmente
deliziosa che le impediva qualunque pensiero razionale; ricambiò il
bacio,
concedendogli libero accesso alle labbra, senza accorgersi che stava
regalandogli anche la chiave del proprio cuore…
Il
Conte smise di baciarla solo quando la
necessità di respirare lo costrinse a farlo, ma anche allora non riuscì
a
staccarsi da lei. La tenne sempre tra le braccia, anche mentre le
diceva:
“Perdonatemi…
non avrei dovuto…”
Le
parole erano quelle, ma i suoi occhi
dicevano altro. Lady Sarah glielo poteva leggere chiaramente nello
sguardo:
André D’Harmòn la desiderava e, che Iddio la perdonasse, anche lei
desiderava
lui alla follia…
Si
sciolse a fatica dalla sua stretta e si
costrinse ad assumere un’aria un po’ sprezzante, pur di darsi un
contegno.
“Avete
ragione, non avreste dovuto” replicò
secca, anche se tutto il corpo le urlava il contrario.
Lui
la osservò: Milady lo stava ricacciando al
suo posto, dopo averlo baciato con un ardore che lo aveva piacevolmente
sorpreso; ma anche in quel momento, pur replicandogli piccata, non era
stata in
grado di allontanarsi da lui. Era rimasta lì, a pochi centimetri dal
suo corpo,
senza accennare ad allontanarsi. E nei suoi occhi André scorgeva solo
un’emozione intensa, che tentava di celare con parole dure.
“Mi
dovete promettere, Conte, che ciò non
accadrà mai più”, stava continuando lei.
Decise
di risponderle con sincerità, anche se
questo avrebbe potuto compromettere i loro rapporti. Ma non riusciva a
nascondere quello che provava per lei.
“Vi
giuro, Milady, che farò tutto il possibile
perché quello che è appena successo non accada ancora…” disse
guardandola negli
occhi. Osservò per un attimo l’effetto delle sue parole, che sembravano
averla…
delusa? Tranquillizzata? Non avrebbe saputo dirlo con certezza. Però
poi
aggiunse:
“…
tuttavia non posso promettervi che non
accadrà più.”
E
detto questo, si allontanò da lei, per
raggiungere i cavalli che, nel frattempo, si muovevano liberi nei
pressi del
ruscello. Lei rimase ad osservarlo recuperare gli animali, ancora
confusa da
quello che lui le aveva appena detto: quell’uomo era impossibile!
Deliziosamente
impossibile…
aggiunse tra sé.
Ritornò
con i cavalli una decina di minuti
dopo, con la massima galanteria l’aiutò a rimontare in sella e, mentre
passeggiavano affiancati, le disse finalmente quello che aveva scoperto
della
Duchessa Battyàny e del Conte Von Webb.
Era
stato quello fin dall’inizio l’unico motivo
per cui aveva voluto accompagnarla nella passeggiata a cavallo,
aggiunse. Solo
per metterla al corrente delle nuove informazioni e consigliarle di
prestare
attenzione a Klaus Von Webb.
Questo,
almeno, fu quello che disse a lei.
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Capitolo 14 *** Turbamenti ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XIV
Turbamenti
8 Novembre 1856
La
passeggiata a cavallo di questa mattina con Lady Sarah è
stata un’esperienza indimenticabile: vederla cavalcare con il suo baio lanciato al galoppo, i
capelli al vento e il
volto arrossato dalla gioia per quella libertà è stato troppo. Non sono
riuscito a trattenermi…
L’ho
aiutata a scendere da cavallo e lei era talmente
bella… le sue labbra erano lì, per me.
I
suoi occhi erano uno specchio d’emozioni, quando le ho
sussurrato: “Siete bellissima…”
E
lo era. Lo è. Nessuna donna mi ha mai affascinato tanto
quanto lei. L’ho stretta tra le braccia, concedendomi nuovamente il
lusso di
gioire della sensazione del suo corpo libero da costrizioni… sarà
quello che mi
intriga tanto?
Quando
ho posato le labbra sulle sue ho sentito un brivido…
un fremito improvviso che attraversava i nostri corpi. Anche lei non è
rimasta
indifferente al mio bacio, anzi lo ha ricambiato con ardore. Un ardore
che non
osavo quasi sperare.
Ho
lasciato la sua bocca solo per respirare. Se fosse stato
possibile proseguire quel bacio all’infinito, lo avrei fatto senza
esitazioni.
Dopo le sue labbra erano arrossate e i suoi occhi trattenevano a stento
un’emozione intensa.
Quanto
avrei voluto poter cogliere i pensieri celati dietro
quei suoi occhi!
Era
turbata, tanto quanto lo ero io. Se non ancora di più.
Ma si è ripresa subito, molto prima di quanto sia riuscito a fare io, e
mi ha
rimesso al posto, con poche parole secche e decise.
Il
mio non è stato un comportamento da gentiluomo: ne sono
conscio. Ma mi è impossibile esserlo, quando le sono accanto. Anche se
ho
giurato che farò quanto sarà in mio potere…
Nulla
mi aveva preparato alla dolcezza delle sue labbra,
all’emozione che avrei provato stringendola a quel modo.
Ho
avuto diverse donne, e tutte molto belle. Le ho amate
con l’intensa passionalità che è caratteristica del mio sangue
francese… eppure
questa mattina mi sentivo un ragazzetto al suo primo bacio, con lei tra
le
braccia.
***
Harm
comprendeva perfettamente lo stato d’animo di André D’Harmòn
perché, dopotutto, era il SUO stato d’animo. Dopo che Mac l’aveva
baciato in
sala riunioni si era sentito rimescolare il sangue e non era passato
attimo da
quel giorno senza che non ripensasse a quel bacio, che avrebbe voluto
ricambiare quanto prima.
Interruppe la
lettura e si alzò.
“Dove vai?”
chiese Mac.
“Hai paura
che scappi, Marine?” le chiese con aria
ironica.
Lei non
rispose.
“A prendere
qualcosa da bere. Leggere ad alta voce secca
la gola” e sparì in cucina.
Mac si
distese sul divano allungando le gambe e
stiracchiandosi come una gatta.
“Secondo me
si sono innamorati” osservò.
“Chi? Il
Conte e Milady?” le rispose Harm tornando con una
birra per sé in una mano e un succo di frutta per lei nell’altra.
“Certo. E chi
sennò?”
“Potrebbe
anche essere, ma c’è stato solo un bacio fra di
loro” disse provocandola.
Mac raccolse
la punzecchiatura: “Da un bacio si
comprendono molte cose, marinaio. Ma tu sei un uomo per cui…” ribatté
con aria
saputa.
“Ah sì? E io
che credevo che un bacio rappresentasse solo
un gesto d’amicizia o d’addio” osservò facendo il finto tonto.
Era palese il
riferimento a quanto era accaduto fra loro
negli anni precedenti, dal bacio di lei a Brumby all’aeroporto di
Sidney a
quello che si erano scambiati sotto il portico a casa dell’Ammiraglio.
“Se dato
nella maniera giusta, un bacio può valere più di
mille parole” buttò lì Mac.
Harm si
sedette e le offrì la bibita che lei accettò di
buon grado. Perché improvvisamente la gola le si era seccata? Lui le si
avvicinò di qualche centimetro riducendo pericolosamente le distanze
fra di
loro e incatenando il suo sguardo al proprio: “Allora cosa voleva dire
quel
bacio di qualche giorno fa in sala riunioni?”
Mac si
divincolò come meglio poté, ma lui le stava proprio
di fronte e non riuscì a scostarsi di molto sia da Harm sia dal suo
sguardo
indagatore.
“Veramente io
stavo parlando del Conte e di Lady Sarah”
disse con voce arrochita trangugiando in un unico sorso il succo di
frutta.
“Dannazione”
pensò infastidita, “ma è mai possibile
che non si riesca a fare le cose a modo mio con quest’uomo?”
Harm si
discostò da lei scuotendo la testa: “Come no”,
borbottò bevendo un po’ della birra e riprendendo in mano il diario del
Conte,
ma Mac glielo tolse dalle mani.
“Dai qua”
disse imperiosa, “vado avanti io.” E si
allontanò da lui, mutando posizione, i gomiti puntati sulle ginocchia
in modo
che le mani divenissero una sorta di leggio.
***
Lady
Sarah tornò nelle proprie stanze in stato
confusionale. Avrebbe dovuto condurre lei le danze ed invece era
bastato che
lui la prendesse fra le braccia per sentirsi sciogliere come neve al
sole.
Si
osservò allo specchio, sfidando se stessa
con lo sguardo: “Non è così che deve andare” disse alla propria figura
riflessa, “non devi farti coinvolgere. Non ti devi innamorare. Se i
sentimenti
prevarranno finirai col rovinarti la vita. Concentrati su ciò che devi
fare,
assimila le informazioni che ti ha dato, elabora un piano. E
TIENITI ALLA LARGA DA
ANDRÉ FRANÇOIS D’HARMÒN.”
Dopo
questo dialogo con se stessa si sentiva
meglio: il cuore aveva ripreso a battere con ritmo normale e le gambe
non
parevano più fatte di gelatina.
Chissà
cosa le era saltato in mente di
accettare che lui le “insegnasse” a tirare di scherma, per non parlare
poi del
fatto che si fosse lasciata abbracciare e baciare!
Però
che sensazioni…
“Sarah
Jane!” si richiamò all’ordine sedendosi
allo scrittoio per prendere nota in un quadernetto delle ultime notizie
apprese
e buttare giù qualche appunto che le consentisse di elaborare una
strategia.
Rifletté su quanto le aveva detto D’Harmòn dopo averla…
“Dopo
niente!” esclamò stizzita battendo il
pugno sul ripiano di legno.
Doveva
stare appresso alla Battyàny, ora più
che mai. Von Webb l’aveva introdotta a Corte, ma a quale a scopo?
Perché?
L’unica soluzione era quella di irretire il Conte austriaco con la
promessa di
chissà quali delizie per indurlo a confessare.
Fece
una smorfia di disgusto.
“La
tua missione è scoprire chi vuole
assassinare l’Imperatrice e perché” si ricordò con severità. “Questo è
l’unico
tuo obiettivo e nessun mezzo sarà abbastanza basso o infame per
arrivare alla
verità.”
Chiuse
il suo cuore e lo corazzò d’acciaio. Ora
si sentiva calma e sicura di sé. Alla prima occasione si sarebbe
appartata con
il “caro Klaus” e avrebbe ottenuto le informazioni di cui necessitava.
Già,
ma quando? Non poteva presentarsi alla
porta dell’aiutante di campo dell’Imperatore chiedendo udienza: il
protocollo
imponeva che fosse lui a chiamarla per il tramite di una terza persona,
e
mandargli un biglietto sarebbe stato eccessivamente rischioso.
Apparentemente
sembrava non esservi via d’uscita, quando all’improvviso le balenò
l’idea.
“Che
sciocca sono stata! Potevo pensarci
prima!”
Si
spogliò e si tuffò nella tinozza per levarsi
di dosso la polvere della cavalcata
e la
sensazione delle labbra di André sulle sue. Dopo esserne uscita si
vestì e si
recò dall’Imperatrice: come Prima Dama di compagnia di Sua Maestà aveva
libero
accesso ai suoi appartamenti e non aveva necessità, a differenza delle
altre
dame ammesse, di essere convocata per parlarle.
La
Baronessa de Bellegarde raggiunse Elisabetta
nel giardino d’inverno. Prima di entrare chiese alla guardia ferma
sulla porta
se l’Imperatrice fosse sola e, alla risposta positiva, data con un
impercettibile cenno del capo da parte del soldato, scostò l’uscio ed
entrò.
Sissi
sedeva su una sedia in ferro battuto e
guardava, anzi per meglio dire fissava, una mano appoggiata al mento,
la neve
che scendeva copiosa da un cielo color grigio perla. Era notevolmente
dimagrita
dopo la malattia seguita al ritrovamento del libro, e l’incarnato, già
di norma
pallido, appariva quasi diafano. Oltretutto vestiva completamente di
nero, non
indossava gioielli ed era priva di trucco, e tutto ciò contribuiva ad
accentuarne il pallore spettrale.
Neanche
le figlie riuscivano più ad accendere
il sorriso sul suo viso e i regali sontuosi che ogni giorno le venivano
recapitati da parte di Franz Joseph sembravano darle più fastidio che
piacere.
Interpellato,
l’archiatra di corte aveva
diagnosticato nella sovrana un profondo stato depressivo e paventava
anche il
manifestarsi di manie suicide se la psiche di Elisabetta non fosse
stata
adeguatamente curata.
Spaventato
da queste terribili notizie,
Francesco Giuseppe aveva convocato in tutta fretta la madre e la
sorella maggiore
di Sissi, Elena, cui la stessa era molto legata nella speranza che
potessero
risollevarle lo spirito. Purtroppo non c’era stato nulla da fare,
Elisabetta
non dava segno di ripresa e anzi pareva sprofondare ogni giorno di più
nella
depressione, per cui all’affranto consorte non era restato altro da
fare che
affidarsi a Lady Sarah e alla Provvidenza, affinché l’una o l’altra
restituissero al più presto la gioia di vivere all’adorata moglie.
Lady
Sarah si avvicinò e avvertì la sovrana
della sua presenza con un leggero colpo di tosse.
Elisabetta
voltò il capo e le sorrise
debolmente: “Come sarebbe bello, Baronessa, uscire e lasciarsi
seppellire da
questi candidi fiocchi. Quale dolce morte sarebbe!”
“Non
dite così, Maestà” le rispose l’altra
notando solo in quel momento una lettera aperta che giaceva in grembo
all’Imperatrice.
“Notizie
da Possi?” chiese.
“Mia
sorella Maria, a Napoli” le rispose
porgendole lo scritto.
Lady
Sarah lesse e commentò: “La situazione è
grave, ma non disperata.”
“Ho
chiesto a Franz di intervenire, ma lui è
stato irremovibile. In questo momento non può muovere neanche un fante
e io
devo lasciare mia sorella a fronteggiare quei ribelli con l’unico aiuto
di un
marito inetto ed impotente…” Una lacrima scese sul viso di Sissi.
“Maestà
non abbattetevi, i garibaldini non
faranno del male a Vostra sorella e al re, dopotutto non è da molto che
sono
ascesi al trono. Non angustiatevi e pensate che fra poco sarà Natale.”
Elisabetta
alzò lo sguardo sulla sua Prima Dama
di compagnia: “Debbo confidare in un destino che mi porta solo
sventure?”
“So
cosa vi angustia e ve lo dissi anche in
un'altra occasione: non pensate a chi vi vuole solo arrecare dolore, ma
godete
della vostra gioventù e della vostra posizione privilegiata.
L’Imperatore è
molto preoccupato del vostro stato di salute, non fa che domandarmi
come state,
e ha consultato parecchi medici ed esperti di depressione” aggiunse.
Quest’ultima
affermazione sembrò risvegliare di
colpo Sissi: “Franz? Preoccupato?” chiese spalancando gli occhi. “Non
posso
recargli altre angustie! Io voglio che sia felice e che non si
preoccupi per
me.”
“Allora
fate in modo che non accada.
Festeggiate il Natale e il vostro genetliaco con un ballo, così
l’Imperatore si
rassicurerà del vostro stato di salute. Fategli vedere che siete
gioiosa e che
le malignità non vi toccano. Questo renderà più tranquillo l’Imperatore
e al
contempo taciterà qualsiasi voce sul vostro conto” propose Lady Sarah.
“Farò
come suggerite, Baronessa, organizzerò un
magnifico ballo di Natale e mi sforzerò di non avere brutti pensieri.
Desidero
che voi mi aiutiate nell’organizzare questo ricevimento. Avete un gusto
squisito per le decorazioni e voglio che questa festa di Natale sia la
più
bella.”
“Con
piacere” rispose Lady Sarah. I preparativi
le fornivano l’occasione che cercava: avrebbe coinvolto anche la
Duchessa
Battyàny che fino a quel momento si era mantenuta a debita distanza da
lei –che
stesse subodorando qualcosa?- e avrebbe anche evitato la pericolosa
vicinanza
di D’Harmòn.
“Inviteremo
tutti e faremo regali di Natale,
convocherò l’Orchestra Filarmonica di Vienna… sarà una serata
indimenticabile
in onore di Franz e del Natale.”
Gli
occhi di Elisabetta luccicavano e sulle
gote si era acceso un po’ di rossore dovuto all’eccitazione di quella
novità.
Lady Sarah ne era ben felice, nonostante avesse preso quella missione
con il
suo solito spirito distaccato, si era sinceramente affezionata alla
giovane
Imperatrice e si era presa a cuore il compito assegnatole, andando
anche oltre
i propri doveri. Si congedò da Sua Maestà promettendole di farle
pervenire un
appunto con le sue proposte circa le decorazioni con cui addobbare la
sala ove
si sarebbe svolto il ricevimento.
“E
non scordate l’albero, Baronessa!” esclamò
Elisabetta poco prima che Lady Sarah uscisse.
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Capitolo 15 *** Una Fuga inutile ***
Capitolo XV
Una
Fuga inutile
Aprì la porta
e se lo ritrovò davanti, appoggiato con una
spalla allo stipite, sulle labbra un sorriso da far sciogliere un
iceberg e il
quadernetto in pelle marrone tra le mani.
“Harm! Come
mai sei qui? Non avevamo deciso di
incontrarci.”.
“Oh, lo so!
E’ una settimana che lavoriamo assieme solo in
ufficio…” rispose.
“Infatti,
appunto. E quale sarebbe il problema?” domandò
lei, interrompendolo. “Il lavoro prosegue bene, no? Anzi, direi che
siamo a
buon punto.”.
Lui la
osservò per un attimo, divertito dal suo tentativo
di giustificarsi e di svicolare… quante volte lui stesso lo aveva
fatto?
Conosceva ogni mossa di quel “giochetto”.
“E questo?”
domandò, mettendole sotto il naso il diario
del conte D’Harmòn. “Credevo ti interessasse anche questo.”.
“Non serve a
nulla per la nostra ricerca e, soprattutto,
non serve a nulla per il compito che ci hanno assegnato…”
Questa volta
fu lui ad interromperla: “Eppure ero convinto
che ti interessasse sapere la fine della storia d’amore tra Lady Sarah
e il bel
Conte André!”
“La storia
d’amore? Ma se mi hai presa in giro, quando ho
sostenuto che si erano innamorati! E ora sei tu a parlare di storia
d’amore?”
“Mhmm…” fece
lui, annuendo con lo sguardo, piegando solo
impercettibilmente il capo, com’era sua abitudine fare.
Sarah lo
osservò e dentro di sé maledisse la propria
vulnerabilità di fronte a quell’uomo: era inutile! Non era in grado di
resistergli. Qualunque tentativo facesse per prendere le distanze da
Harm, lui
riusciva sempre, in un modo o nell’altro, ad intrufolarsi di nuovo nel
suo
cuore.
Come
resistere davanti a quello sguardo, un po’ divertito,
un po’ imbronciato? A volte le sembrava un monellaccio, spensierato e
un po’
ribelle, anziché il Comandante di Marina pluridecorato, nonché l’abile
avvocato
che spopolava nelle aule dei tribunali. Quanto avrebbe dato per il
privilegio
di averlo potuto conoscere adolescente!
Quell’irruente sedicenne che aveva lasciato l’America per
andare in
Vietnam a cercare suo padre, convinto di trovarlo ancora vivo…
“Perché stai
scappando, Mac?”
La sua
domanda la distolse dall’immagine di Harmon Rabb jr
sedicenne e la riportò bruscamente alla realtà. E le ricordò perché, a
volte,
lo odiava tanto!
“Non sto
scappando…” rispose, anche se in realtà non era
assolutamente vero. Come sempre lui le aveva letto nella mente alla
perfezione!
Quella domanda sul bacio che gli aveva dato, che lui le aveva rivolto
diverse
sere prima dopo aver letto assieme il diario del Conte, l’aveva turbata
molto.
Così come l’aveva turbata passare del tempo tra le sue braccia, ad
ascoltarlo
leggere le parole del nobile francese che si stava innamorando della
bella
inglese.
“Davvero?”
chiese di nuovo Harm.
“Davvero”
rispose decisa lei. E per confermare quanto
diceva, si fece da parte e lo lasciò passare. “Dai, entra… riprendiamo
da
dov’eravamo rimasti l’ultima volta.”
Lui si
diresse verso il divano, si sedette e la guardò con
un sorriso, facendole un breve cenno divertito, come a dirle di
raggiungerlo.
Sarah sospirò
rassegnata: quello era uno dei classici
momenti in cui lo odiava e lo amava al tempo stesso. Sarebbe mai finita
quell’altalena di sentimenti?
No, si disse,
mentre si sedeva accanto a lui. Non sarebbe
mai finita, neppure se per puro miracolo si fossero messi assieme;
neanche se
avesse potuto amarlo liberamente, facendo l’amore con lui come
desiderava fare
fin dalla prima volta che lo aveva conosciuto: Harm aveva una
personalità
talmente forte che l’avrebbe sconvolta sempre. Forse, potendolo amare e
se
fosse stata ricambiata da lui, si sarebbe abituata a quello sbalzo
improvviso
di emozioni, a quell’altalena tra amore e odio che il suo temperamento
le
faceva spesso provare.
Ma non ne era
affatto certa…
L’unica cosa
di cui era assolutamente sicura era che
avrebbe dato chissà cosa per smettere d’aver paura e potersi rimangiare
quel “no” che gli aveva detto in
Paraguay.
***
10
Dicembre 1856
Sono
settimane che non la vedo, che mi sfugge. Che non
riesco più a parlare con lei in solitudine. La incontro solo brevemente
a
Corte, a volte ai tè del pomeriggio, oppure a qualche breve passeggiata
nei
giardini, durante le ore più calde della giornata. Ma è sempre accanto
all’Imperatrice e, non appena mi avvicino, trova sempre una scusa per
andare
altrove.
Disdetta
vuole che non abbia neppure avuto una valida
ragione per obbligarla a parlare con me. Dopo quel libricino lasciato
sullo
scrittoio di Elisabetta, non è accaduto più nulla e questo rende tutta
la
faccenda ancora più sospetta. Perché ciò sta a significare che chi ha
compiuto
quel gesto, non l’ha fatto in preda a sentimenti improvvisi, ma si è
mosso
guidato da un piano accuratamente studiato nei minimi particolari.
Se
davvero è così, vi è una sola spiegazione: la mente
dietro a tutto questo è malvagia.
Ritengo
che la Battyàny sia solo uno strumento; lo
strumento di qualcuno che medita di far del male a Sua Maestà da tempo.
Di
qualcuno che non agisce solo perché esasperato da una
situazione, o perché provocato oppure, come nel caso della Duchessa,
per
vendicare il marito ucciso.
Questo
è il piano premeditato di una mente perversa,
malvagia e gelosa, che si nasconde dietro ad un’insospettabile aura di
sincerità e assoluta dedizione.
Si
tratta certamente di una persona che gode della massima
fiducia delle Loro Maestà e, proprio per questo, ancora più subdola e
pericolosa. Una persona che arriverebbe anche ad uccidere, pur di
raggiungere
il proprio scopo.
Fino
ad ora, comunque, non avevo scuse per incontrarmi da
solo con Lady Sarah. Ma ora le cose sono cambiate: Robert ha
intercettato un
messaggio della Battyàny molto sospetto. Ancora non so a chi era
indirizzato,
poiché la busta non recava nomi. Ma è un’informazione che devo assolutamente
comunicare a Milady… e per
farlo, lei sarà costretta a trascorrere del tempo con me.
***
Alla
corte asburgica il tè del pomeriggio era
più che altro un capriccio voluto dall’Imperatrice, che non un rito
vero e
proprio come accadeva in Inghilterra. Si trattava di un momento della
giornata
in cui Elisabetta si svagava, chiacchierando con poche persone, nobili
e dame
che sceglieva a suo gusto. Proprio per questo la maggior parte delle
sue dame
di compagnia non l’accompagnavano. In quell’occasione, l’unica della
giornata,
si circondava esclusivamente di persone che la facevano star bene e tra
queste
il Conte D’Harmòn era una delle preferite. Egli era un invitato fisso
di quei
brevi ritrovi pomeridiani e se mancava era solo perché aveva altri
impegni. Da
tempo non riceveva neppure formale invito, perché l’Imperatrice gli
aveva detto
che non occorreva, lui era sempre nella lista degli ospiti.
Ai
tè pomeridiani Elisabetta beveva
esclusivamente il suo solito bicchiere di latte appena munto, che molto
spesso
sostituiva anche il suo pranzo, lasciando agli ospiti tutto quello che
la
cucina di corte preparava per accompagnare il tè.
L’Imperatrice
aveva una vera
ossessione per la sua linea e per la sua bellezza. La sua dieta era a
base di
arance, uova, succo di carne bovina spremuta e l’immancabile latte
fresco
appena munto, fornito da bestiame scelto e sotto continuo controllo
medico che
era tenuto nel giardino di Schonbrunn. Non solo: mucche e capre
l’accompagnavano sempre anche nei suoi viaggi, poiché non si fidava di
animali
stranieri. Si pesava più di una volta al giorno e i valori erano
registrati su
una tabella; era alta 1 metro e 72 centimetri e il suo peso non doveva
superare
i 50 chilogrammi, altrimenti era una tragedia. La sua maggior
preoccupazione
era quella di avere una figura esile e snella, pertanto erano misurati,
oltre
al giro vita, che non doveva superare i 50 cm, anche la circonferenza
dei
fianchi e persino quella dei polpacci. [1]
Durante
i tè del pomeriggio, tuttavia, Sua
Maestà si divertiva ad ascoltare chiacchiere e pettegolezzi di corte, e
per
brevi momenti sembrava serena, anziché triste e depressa come spesso le
accadeva di essere quando era a palazzo.
Quel
pomeriggio l’incontro era appena iniziato
quando il Conte D’Harmòn entrò nella saletta adibita allo scopo e si
avvicinò
all’Imperatrice, s’inchinò al suo cospetto e le rivolse una domanda che
lasciò
allibiti tutti i presenti.
“Maestà,
potrei privarvi della compagnia di
Madame de Bellegarde per oggi?”
Lady
Sarah, che stava conversando con il Conte
Von Webb, si voltò di scatto in direzione della voce del Conte
D’Harmòn: non si
era accorta che fosse entrato e non appena lo vide si rese conto che
gli sforzi
che aveva fatto per evitarlo non erano serviti a nulla.
“Caro
Conte, dovrei chiedervi il perché…” disse
Elisabetta; però, scrutando per un attimo negli occhi il giovane
francese,
aggiunse con un sorriso divertito: “Tuttavia sarò magnanima e non vi
domanderò
nulla… Non vi chiederò come mai desideriate trascorrere del tempo con
l’affascinante Madame de Bellegarde!”
Lady
Sarah si sentì avvampare, per la prima
volta in tutta la sua vita: come osava quell’uomo metterla in imbarazzo
davanti
a tutti? Era ovvio che quella richiesta inaspettata non poteva che
instillare
nei presenti il dubbio che tra loro vi fosse un legame o, quanto meno,
che lui
volesse appartarsi con lei per corteggiarla. Il problema era che,
avendo Sua
Maestà acconsentito, lei non avrebbe potuto rifiutare, altrimenti
l’imbarazzo
sarebbe stato ancora peggiore.
Guardò
negli occhi André D’Harmòn che si era
voltato verso di lei e vi scorse un guizzo di divertimento:
quell’impertinente
di un francese era ben cosciente d’averla messa con le spalle al muro!
Gli
avrebbe reso la pariglia.
Si
congedò dal Conte Von Webb e si avvicinò
all’Imperatrice:
“Vostra
Maestà, Vi ringrazio del permesso
accordatomi, ma Vi assicuro che non è necessario… qualunque cosa il
Conte abbia
da dirmi, può farlo qui, in Vostra presenza.”
André
aveva già pronta sulle labbra la frase
per convincere Elisabetta ad aiutarlo, ma la risposta che l’Imperatrice
diede a
Lady Sarah gli evitò di pronunciarla: già così avrebbe dovuto faticare
non poco
per rabbonire Milady, considerata la rabbia che le aveva letto negli
occhi!
“Madame
de Bellegarde, credo che il Conte
preferisca avervi tutta per sé. Quindi andate, e non fatelo attendere
oltre…”
A
quella risposta Lady Sarah si vide costretta
ad accomiatarsi da Elisabetta; s’inchinò rispettosamente alla sovrana,
ma
quando si voltò verso il Conte, con un sorriso frivolo che nascondeva a
stento
la furia che provava, gli disse:
“Dovreste
vergognarvi, Conte, a privarmi del
tè… sapete quanto io lo gradisca!”
Con
lo stesso sorriso frivolo, ma sinceramente
divertito, mentre l’accompagnava alla porta per uscire, André rispose
ad alta
voce in modo che tutti potessero sentire:
“Mia
cara Baronessa, non vi priverei mai del
vostro tè pomeridiano, sapendo quanto lo gradite. Per questo mi sono
premurato
di farne preparare apposta solo per noi due…”
Una
risata dei presenti, ormai convinti che il
nobile francese stesse cercando di sedurre la giovane vedova,
accompagnò la
loro uscita, mentre Lady Sarah stava cercando nella sua mente il modo
migliore
per far soffrire atrocemente quell’uomo tanto arrogante quanto bello.
|
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Capitolo 16 *** Invito per un tè ***
Capitolo XVI
Invito
per un tè
Non
appena il Conte D’Harmòn ebbe chiuso la
porta della saletta privata in cui l’aveva condotta, Lady Sarah lo
aggredì come
una furia:
“Come
avete osato? Come avete osato far credere
a tutti che… che…”
“…
Che arda dal desiderio di baciarvi?” terminò
lui la frase, con un sorriso divertito.
“Non
intendevo questo” rispose lei, secca.
“Che
desideri disperatamente far l’amore con
voi?” ritentò lui, ancora più divertito.
“Oh,
siete insopportabile!” proruppe lei, più
infuriata di prima.
“E
voi siete deliziosa quando vi arrabbiate!”
Era
vero: era assolutamente deliziosa.
Deliziosa, incantevole e molto seducente. André la osservò lentamente,
trattenendo a fatica il desiderio di fare entrambe le cose che aveva
appena
suggerito. Ma non era quello il momento e, soprattutto, avrebbe dovuto
desiderarlo anche lei.
“Perché
non vi mettete comoda e vi gustate il
vostro irrinunciabile tè, godendo della mia compagnia?”
“Perché
io ero già in buona compagnia, e non
avevo alcuna intenzione di trascorrere del tempo con voi.”
“Oh,
questo l’avevo capito…” disse lui
flemmatico mentre, avvicinatosi al tavolino su cui si trovava il
servizio da tè
e la teiera, iniziava a preparare due tazze d’infuso caldo.
Lady
Sarah lo osservò versare il tè e, ancora
una volta, si sorprese dell’eleganza dei suoi gesti, della naturalezza
dei suoi
modi, anche mentre svolgeva un compito più adatto ad una cameriera che
ad un
nobile bello come il peccato. Prima di iniziare a servire si era tolto
la
giacca ed era rimasto in camicia: lei osservò le sue mani, lunghe,
perfette…
senza rendersene neppure conto immaginò quelle mani su di sé e si sentì
rimescolare tutta.
“Dove
siamo?” chiese, guardandosi attorno, per
placare le sue emozioni. Le era sembrato strano che si togliesse la
giacca.
“Nel
mio salotto privato” rispose lui,
continuando imperturbabile a servire il tè.
“Che
cosa?” sbottò lei, ancora più arrabbiata.
Oh, dannazione a lui! Quell’uomo era di una sfacciataggine inaudita!
“Forse è
per questo che ti piace tanto…” le suggerì una vocina interna.
“Non mi
piace affatto!” cercò di tacitarla lei. Ma era inutile, lo
sapeva
perfettamente. Altrimenti per quale motivo aveva fatto il possibile per
sfuggirgli, in quelle settimane? Per quale motivo si era imposta tanto
fermamente di non pensare al bacio che le aveva dato?
“Mi
avete tenuto alla larga per settimane
perché preferite la compagnia di Von Webb, oppure perché temete che non
mantenga fede al mio giuramento?” la voce del Conte la riscosse dai
suoi
pensieri e le ricordò, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanto lui
fosse
acuto. Quanto sapesse leggerle nel pensiero.
“Sapete
perfettamente perché devo intrattenermi
con il Conte Von Webb…”
“Oh,
certo. Ma so anche che, per lo stesso
motivo, dovreste ‘intrattenervi’ anche con me. Invece sono settimane
che mi
ignorate, persino quando tento di parlarvi. Da quando vi ho baciato…”
“Preferirei
dimenticare quell’episodio.”
“E
perché mai? Quel bacio è stato tanto brutto?
Io non lo ricordo così…” replicò divertito lui. Aveva appena scoperto
quanto era
bella, imbronciata, e quanto gli piacesse vederla così e aveva deciso
di
approfittarne ancora un po’.
Nel
frattempo le aveva servito il tè, i dolci e
le tartine che aveva fatto preparare appositamente per lei, ricordando
alla
perfezione i suoi gusti, e lei lo stava guardando sorpresa, quando si
era
accorta che i piatti contenevano tutti i tipi di leccornie che
preferiva.
“E’
di vostro gradimento?” chiese con un
sorriso dolce.
Alla
fine si vide costretta a cedere: “Sì,
grazie. E’ tutto perfetto”, rispose con un abbozzo di sorriso anche lei.
“Mi
fa piacere sapere che almeno per il tè so
soddisfare i vostri gusti” la stuzzicò di nuovo lui, appoggiandosi
placidamente
alla spalliera della poltrona di fronte a lei e stendendo le sue lunghe
gambe,
con aria perfettamente rilassata. La guardò intensamente al di sopra
della
tazza, mentre sorbiva con molta calma il suo tè; studiò l’effetto che
le sue
parole fecero su di lei e sorrise dentro di sé: lo sguardo che Lady
Sarah gli
stava rivolgendo in quel momento, mentre anche lei si portava alle
labbra la
tazza, era molto eloquente... e non lasciava dubbi sul fatto che fosse
stato in
grado di soddisfare i suoi gusti anche in fatto di baci. Era certo che
quel
bacio che le aveva dato l’avesse sconvolta, altrimenti non l’avrebbe
sfuggito
come aveva fatto. Del resto era stato così anche per lui. Persino in
quel
momento, ripensandoci, era in grado di riassaporare con la mente le sue
labbra
morbide che si schiudevano per lui e il contatto dolce e leggermente
erotico
delle loro lingue…
“Perché
mi avete condotta qui, Conte?” questa
volta fu lei a distoglierlo dai suoi pensieri.
“Devo
parlarvi.”
“Riguardo
a Sua Maestà?”
“Sì.”
“E’
successo qualcosa?” domandò Lady Sarah,
preoccupata.
“Robert
ha intercettato una lettera della
Battyàny… La duchessa non sa che è il mio segretario e lo ha visto
passare
dalle parti dei suoi appartamenti mentre si stava occupando di una
faccenda per
conto mio… lo ha chiamato, credendo che fosse un servitore qualunque,
pregandolo di portare una lettera in un punto ben preciso delle
scuderie. Un
luogo particolarmente nascosto… segreto, se così vogliamo definirlo.”.
“E…?”
domandò incuriosita lei, smettendo
addirittura di mangiare le sue tartine preferite, presa com’era dal
racconto
del Conte. Lui sorrise, vendendola tanto interessata e scoprendo in lei
un
altro aspetto che lo intrigava: Lady Sarah aveva una predilezione per i
misteri. L’affascinavano, quasi allo stesso modo di quanto
l’affascinava il
cibo. André non aveva mai visto una dama a corte mangiare con tale
appetito
qualsiasi manicaretto come faceva lei, pur restando tanto snella. Di
solito
tutte le altre donne, per prima l’Imperatrice, erano ossessionate dalla
linea
anche se, pur nutrendosi come uccellini, la maggior parte sfiguravano
al
confronto con Lady Sarah. Invece lei gustava ogni cosa, dal cibo, ad
una
galoppata, perfino un duello di scherma, con la stessa intensità…
Milady era
una donna che assaporava in pieno la vita, qualunque cosa potesse
offrirle. Se
si abbandonava all’amore con il medesimo entusiasmo che metteva per
indagare su
un mistero o per qualunque altra cosa affrontasse, chissà come sarebbe
stata
appassionata?
“Avete
scoperto qualcosa, Conte?” chiese di
nuovo lei, infastidita dal fatto che, invece di continuare, era rimasto
soprappensiero. Aveva osservato i suoi occhi, mutevoli come il cielo,
incupirsi
improvvisamente, e aveva temuto che avesse brutte notizie. E voleva
saperle
subito.
Mai
avrebbe immaginato che il colore degli
occhi di André D’Harmòn si fosse scurito mentre pensava a lei tra le
sue
braccia, intensa e appassionata, in una folle notte d’amore…
“Qualcosa?...
Ah, sì! O meglio, no… ho letto la
lettera della Duchessa, ma non sappiamo a chi fosse indirizzata”
rispose lui,
finalmente.
“Nessun
destinatario, ovviamente” dedusse lei.
“E cosa c’era scritto?” chiese poi, di nuovo.
“Poche
righe: accennava brevemente al fatto che
il piano numero uno era fallito e chiedeva se doveva procedere con il
piano
due.”
“Quindi
si tratta di un piano… e la Duchessa è
coinvolta, come sospettavo” disse Lady Sarah, pensierosa: si era alzata
e ora
camminava lentamente avanti e indietro per la stanza, con l’aria di chi
riflette spesso a quel modo.
“In
effetti avevate ragione” le concesse il
Conte.
Quell’osservazione
interruppe per un breve
istante la passeggiata riflessiva di Lady Sarah, la quale rivolse al
Conte
D’Harmòn un rapido sorriso, che lui ricambiò.
Poi,
riprendendo a camminare, disse:
“Dovremo
scoprire in qualche modo il
destinatario della missiva. Voi chi credete che sia?”
André
soppesò per un attimo le conseguenze che
la sua risposta avrebbe avuto: lei si sarebbe potuta arrabbiare per i
suoi
sospetti. Avrebbe potuto pensare che concentrava i suoi dubbi su una
certa
persona solo per gelosia… ma infine decise di dirle quello che pensava,
confidando
nell’intelligenza di Milady.
“Von
Webb.”
Lady
Sarah non rispose immediatamente e sembrò
riflettere con attenzione su quello che lui aveva detto. Poi, dopo
alcuni
minuti di silenzio, scandito solo dal lieve fruscio della seta
dell’abito verde
smeraldo che indossava e che ondeggiava ad ogni suo passo, rispose,
voltandosi
verso il Conte e scrutandolo negli occhi:
“Credo
abbiate ragione.”
“Temevo
mi avreste accusato di parlare così per
gelosia” confessò André, piacevolmente sorpreso dalla sua risposta.
“Lo
so. L’ho capito dalla vostra esitazione di
poco prima…” ammise lei, con un lieve sorriso, “e vi ringrazio, Conte,
per
averlo comunque detto. Per non aver insultato la mia intelligenza
sottovalutando la mia capacità di discernimento… qualunque altro uomo
non
sarebbe stato altrettanto schietto.”.
“Per
quale motivo anche voi siete del mio
stesso parere?” domandò lui, compiaciuto d’aver agito nella maniera
giusta con
lei.
“Il
Conte Von Webb mi ha fatto diverse domande
su chi ritenessi avesse potuto lasciare quel libro aperto sullo
scrittoio di
Sua Maestà e su come l’Imperatrice si sentiva ora… non sono state tanto
le
domande a farmi insospettire e diffidare di lui, quanto il tono e
l’interesse
eccessivo… neppure l’Arciduchessa Sofia, o lo stesso Imperatore, pur
indagando,
mi hanno rivolto tante domande. E questo pomeriggio, prima che voi…
prima che
voi…”
“…
prima che io vi rapissi?” suggerì lui, con
tono sornione.
“Prima
che voi mi rapiste davanti a tutti”
sottolineò lei, con lo stesso tono divertito, “il Conte mi stava
domandando di
nuovo del morale di Sua Maestà e se fosse ancora turbata dalle parole
lette in
quel libro. E sembrava quasi… come dire? Sembrava quasi sbalordito dal
fatto
che pareva che l’Imperatrice si fosse ripresa tanto bene dall’accaduto.
Me lo
stava domandando per l’ennesima volta proprio mentre siete arrivato voi
a…
rapirmi!” concluse con un sorriso.
“Allora
ho fatto bene a portarvi via sul mio
focoso destriero, principessa!” la schernì lui. “Vi ho risparmiato di
morire di
noia!” aggiunse divertito.
“Con
voi, caro Conte, è davvero impossibile
annoiarsi…”
Prima
di rendersi conto di quello che aveva
ammesso, le parole le erano sfuggite dalle labbra.
“Ho
piacere che la pensiate così, Milady!
Questo significa che non mi sfuggirete più?” chiese lui, alzandosi e
andandole
vicino. Troppo vicino.
“Solo
se vi comporterete da gentiluomo…”
rispose lei, turbata come sempre dalla sua vicinanza. “E se manterrete
fede al
vostro patto.”.
“Quello
che mi state chiedendo è un sacrificio
davvero grande…” disse lui, fissandola negli occhi e sfiorandole
delicatamente
una guancia. Poi, prese una decisione e tentò il tutto per tutto: “… ma
sono
disposto a fare il possibile per accontentarvi, se voi accontenterete
me.”.
“E
come dovrei accontentarvi?” chiese lei, sospettosa.
“Promettete
di battervi ancora in duello con
me” disse lui, prendendole una mano e portandosela alle labbra.
Al
solo contatto della sua bocca, Lady Sarah
sentì un brivido percorrerle la schiena. Duellare ancora con André
D’Harmòn?
Quell’uomo la voleva far morire… morire d’amore per lui.
“D’accordo,
Conte” acconsentì, “ma solo se voi
promettete che mi accompagnerete di nuovo in una galoppata tra i
boschi.” Se
doveva morire d’amore per il bel francese, tanto valeva godersi la vita
fino in
fondo!
A
quella risposta lui scoppiò in una fragorosa
risata:
“Sul
mio onore, Milady, voi siete la donna più
sorprendente che io abbia mai conosciuto, e vi adoro per questo!”
|
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Capitolo 17 *** Scherzare col fuoco ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XVII
Scherzare
col fuoco
Lady
Sarah sapeva che il tempo scarseggiava. Il
suo sesto senso le diceva che l’assassino avrebbe presto colpito, ed
ora che
aveva apertamente parlato dei suoi sospetti su Von Webb era giunto il
momento
di passare all’azione. Non poteva e non doveva attendere oltre,
n’andava della
vita della sua protetta; perciò aveva elaborato un piano che prevedeva
quello
che aveva temuto sin dall’inizio. Ma faceva parte del suo lavoro.
Tornò
nel salotto dove si teneva il tè
dell’Imperatrice, sperando che gli invitati, in particolar modo un
invitato,
non se ne fossero andati.
Fu
fortunata.
Il
piccolo ricevimento era ancora in pieno
svolgimento, anzi Sua Maestà si era seduta al piano e stava suonando
melodie
tratte dal suo personale repertorio, mentre gli invitati erano
impegnati chi
nell’ascolto, chi in conversazioni mondane.
Lady
Sarah fece il suo ingresso in maniera
discreta, ma non abbastanza da impedire al Conte Von Webb di notarla ed
esserle
immediatamente accanto.
“Milady”
la salutò.
“Conte,
come vedete sono tornata” rispose lei
sorridendogli seducente.
“Auspicavo
un vostro ritorno. Da quando avete
lasciato questo piccolo consesso è come se il sole avesse abbandonato
il
salotto.”
La
dama si nascose dietro al ventaglio piumato:
“Conte voi mi confondete”. Ma i suoi occhi lasciavano intendere
tutt’altro.
Lui
la condusse in un angolo appartato del
salottino, quel tanto che bastava per essere al riparo da occhi ed
orecchie
indiscreti.
“Perché
il Conte D’Harmòn vi ha sottratta alla
mia compagnia?” domandò inquisitore.
“Voleva
solo raccontarmi le ultime…” Lasciò in
sospeso lei. Poi soggiunse: “Caro, caro Klaus, ma perché dobbiamo
parlare di
D’Harmòn? Ora sono qui, con voi, e non intendo abbandonare la vostra
compagnia
per nulla al mondo.”
“Milady,
mia dolce Milady” le sussurrò il Conte
bavarese prendendo le sue mani fra le proprie. “Voi mi avete rubato il
cuore.”
“Ora o
mai più. Batti il ferro finché è caldo” si disse Lady Sarah.
“Anche
voi Conte, sin dal nostro primo
incontro. Dacché vi vidi non ho fatto altro che pensare a voi” disse
con un
filo di voce e dando al proprio tono un’inflessione passionale ma al
tempo
stesso timida, come di chi abbia paura a svelare completamente i
sentimenti che
esplodono in petto.
“Non
dite una parola di più Milady” la tacitò
l’uomo.
“Non
avrei dovuto dirvi quelle cose Conte”
disse affranta Lady Sarah. “Voi siete un uomo sposato e io ho scambiato
le
vostre parole d’amicizia per altro… perdonatemi” e finse di scappare
via, ma
lui la trattenne.
“Voglio
vedervi da sola” affermò deciso il
nobiluomo.
Lei
sgranò gli occhi stupita, come di chi è
incredulo davanti ad un repentino mutamento della sorte: “Dove mio
caro? Dove?”
chiese con apprensione, quasi non avesse fatto altro che sognare quel
momento
per tutto il tempo.
“Fra
tre giorni vi convocherò nel mio studio”
le disse il Conte.
“Tre
giorni” sospirò la dama, “mi sembreranno
un’eternità” e si allontanò da lui.
***
Erano quasi
alla metà del diario, o almeno così supponeva
l’Ammiraglio, eppure non vedeva segni di mutamento nei rapporti fra il
Comandante e il Colonnello. Il dubbio s’insinuò in lui: che
effettivamente
quello che li univa fosse solo una semplice amicizia come avevano
sempre detto
loro?
Non poteva
crederci, per il semplice motivo che, in cuor
suo, era convinto che le cose stessero in ben altra maniera, a dispetto
delle
versioni fornite.
Volendo dare
loro ad intendere che s’interessasse ai
progressi della ricerca, fece in modo di capitare “per caso” in sala
riunioni.
Alla vista
del superiore, Harm e Mac scattarono
sull’attenti.
“Riposo,
Signori. Come procede il caso?” chiese scrutando
ogni singolo battito di ciglia dei due.
“Molto bene,
Signore” rispose Mac. “Abbiamo trovato alcuni
appunti personali dell’Ammiraglio Blackbird nonché alcune lettere alla
moglie,
Mrs. Valerie Sanford Blackbird, dalle quali traspare un qualcosa circa
la
rocambolesca fuga di cui ci ha parlato nell’assegnarci l’incarico.
Purtroppo
ancora non abbiamo trovato il diario di bordo della ‘Medea’.”
Chegwidden
annuì; poi, apparentemente saltando di palo in
frasca, si rivolse ad Harm: “L’ho cercata alcune sere fa, Comandante, a
casa
sua. Volevo parlarle del caso Cresswell, il Tenente Roberts mi ha
chiesto lumi
quando lei era già andato via dallo JAG”.
“Io e il
Colonnello ci siamo… aehm… riuniti per continuare
il lavoro.”
“Spero che la
vostra ‘riunione’
abbia dato i frutti sperati.”
Harm e Mac si
scambiarono uno sguardo complice e anche
questo non sfuggì all’occhio lungo dell’Ammiraglio.
“Sì, Signore.
Abbiamo fatto dei passi in avanti” confermò
Mac.
“Enormi passi
in avanti” aggiunse con enfasi Harm.
“Ammiraglio,
il Comandante esagera come suo solito. Enormi
non è la parola più adatta. Direi piuttosto qualche progresso.”
“Smetterete
mai di essere sempre in disaccordo su ogni
cosa?” chiese Chegwidden leggermente divertito da quella schermaglia.
“Sì Signore.”
“No Signore”,
risposero in coro il Comandante e il
Colonnello.
AJ uscì dalla
sala riunioni augurando ai due ufficiali di
terminare in fretta il loro lavoro.
“Non posso
continuare ancora per molto senza il vostro
apporto, per cui sbrigatevi a mettere le cose a posto” osservò burbero
come al
solito.
Quando il
superiore se ne fu andato, Harm e Mac si
guardarono stupiti.
“Tu pensi che
sappia del diario?” chiese Mac.
“No” negò con
fermezza Harm. Ammettere il contrario
sarebbe equivalso ad ammettere che Chegwidden di proposito aveva deciso
di
metterli davanti ai loro sentimenti utilizzando il diario come
strumento. Non
era possibile che sapesse così tanto su di loro!
E invece AJ
sapeva, eccome se sapeva!
Ancora lo
scopo non era stato raggiunto, ma sospettava che
quell’innocuo quaderno rilegato in pelle avesse portato non poco
scompiglio nei
cuori del Colonnello e del Comandante. Le occhiate che si erano
scambiati e
l’insolita vicinanza fra loro parlavano da sé.
Non riteneva
che si fossero già parlati, anzi dal loro
generale atteggiamento era convinto che fossero ancora ben lontani
dall’aver
chiarito ogni cosa, ma riteneva che a poco a poco, il Destino, grazie
anche al
suo intervento, avrebbe ricondotto tutto sui giusti binari.
Dopo circa
un’ora il religioso silenzio dell’austera sala
riunioni fu rotto da un’esclamazione di gioia di Mac. Si alzò e corse
fuori in
direzione della kitchenette dove Harm si era recato cinque minuti prima
per
farsi un caffè con Sturgis.
Fortunatamente
lo trovò solo.
“Harm!”
esclamò giubilante. “Ho trovato qualcosa di molto
interessante” e gli sventolò sotto il naso una mappa ingiallita e
consunta dal
tempo.
Lui l’afferrò
e la lesse. Poi alzò gli occhi verso la
collega: “Ma questa è…”
“E’ la rotta
della ‘Medea’
da Marsiglia a Southampton e da Southampton a Boston, datata 1857”
completò lei
esultante.
“E se metti
insieme questa mappa con le lettere inviate
alla moglie…” aggiunse Mac.
“… abbiamo la
prova concreta che la storia del Conte e di
Milady è vera! Brava Mac!” si complimentò prendendola per la vita e
quasi
sollevandola da terra.
Istintivamente
lei gli cinse il collo con le braccia e si
ritrovarono così, con gli sguardi inchiodati e i volti pericolosamente
vicini.
Mac sentiva il cuore che batteva come un forsennato, udiva il rombo del
sangue
che urlava nelle vene, sentiva le tempie batterle, il tremito delle
gambe e
aveva una gran voglia di…
“fare l’amore con
lui”.
Il pensiero
si formò nella mente prima che avesse il tempo
di bloccarlo. Arrossì di colpo e si sciolse dall’abbraccio.
“Non ho
compiuto questo gran miracolo” disse, cercando di
darsi un contegno. “La mappa era nello scatolone numero 3. Avremmo
finito col
trovarla prima o poi. E inoltre non prova ancora nulla. Conferma solo
che
l’Ammiraglio Blackbird, tra la fine del 1856 e il 1857, si trovava in
Europa.”
Harm era
ancora un po’ trasecolato dalle emozioni provate
meno di due minuti prima. Mac gli faceva un effetto devastante, gli
bastava
sfiorarla per desiderarla da impazzire. L’avrebbe voluta in
quell’angusto
locale, fra bricchi di caffè, tè, fiocchi di cereali, biscotti,
zucchero e
cibarie di vario genere. Ma si rendeva conto che i tempi non erano
ancora
maturi, prima di tutto doveva prendersi una piccola rivincita e poi… “Poi ti sorprenderò Sarah Mackenzie” si
disse.
“E’ vero,
dobbiamo ancora collegare l’Ammiraglio al conte
e lady Sarah, ad ogni modo questa mappa è un grande passo avanti…”
ammise Harm;
poi si avvicinò e, sfiorandole il collo con un bacio invisibile, le
sussurrò:
“… e tu sei sempre il mio Marine preferito”. Quindi uscì, lasciandola
con la
sensazione che la terra le fosse d’improvviso mancata da sotto i piedi.
Mac si
appoggiò al bancone dove erano messe in bell’ordine
le tazze del caffè del personale dello JAG.
Le girava la
testa.
Avrebbe
voluto rincorrere Harm fuori dalla kitchenette,
abbracciarlo e baciarlo davanti all’intero staff, e dirgli tutto.
Tutto?
“Sì tutto”
mormorò alla confezione di tè verde di Harriett.
Tuttavia non
fece niente di tutto questo. Una volta di più
la paura di essere rifiutata, nonostante il suo comportamento nelle
sere
precedenti avesse lasciato intendere il contrario, prese il
sopravvento.
Pertanto si limitò ad ingollare d’un sorso un bicchiere d’acqua fresca,
a
desiderare ardentemente un calmante e a tornare in sala riunioni con la
mappa
dell’Ammiraglio in mano.
***
Durante
quei tre giorni Lady Sarah aveva fatto
di tutto per non pensare a cosa l’aspettava una volta alla mercé del
Conte. Si
era buttata con entusiasmo nei preparativi per il ballo di Natale
incaricandosi
delle decorazioni del salone e dei regali destinati agli invitati.
Avrebbe
voluto prendere l’iniziativa e scegliere personalmente un piccolo dono
da
offrire al Conte D’Harmòn, ma poi aveva deciso che era meglio lasciare
questo
incombente all’Imperatrice, pertanto si era limitata a fornire solo dei
suggerimenti sull’oggetto più adatto al nobiluomo francese.
“André”
sospirò guardandosi allo specchio. Attendeva da un momento all’altro la
chiamata da parte di Von Webb e aveva sfruttato quel lasso di tempo per
rendersi più bella e desiderabile che mai.
Indossava
un abito davvero poco consono sia
all’ora (era metà mattina) sia al decoro, acquistato in una boutique di
Parigi
all’inizio dell’anno. Una boutique alquanto particolare quella di
Madame
Gèròme… lisciò le pieghe dell’abito di velluto color blu notte dai
riflessi
quasi violacei e sistemò la scollatura a baldacchino che a malapena
conteneva
il seno abbondante.
Di
solito non indossava gioielli, ma per
l’occasione aveva fatto un’eccezione e si era cinta il collo con un
collarino
di velluto dello stesso colore del vestito dal quale pendeva un solo
diamante a
goccia. I capelli erano raccolti in un morbidissimo chignon e al Conte
Von Webb
sarebbe stato sufficiente sfilare il prezioso fermaglio di diamanti e
zaffiri
per godere delle chiome di Milady.
Quel
pensiero le riportò alla mente la
cavalcata con André di qualche giorno prima. Anche lui aveva affondato
le mani
nella sua folta capigliatura ma le sensazioni che aveva provato allora
erano
state molto diverse dai sentimenti di adesso…
Scacciò
dalla mente il volto del francese, le
causava troppa sofferenza e si aggiustò la biancheria intima di pizzi e
di
peccaminose sete francesi acquistati nella medesima boutique di Parigi
da dove
proveniva l’abito.
“André”
sussurrò come un bacio il nome del Conte, “spero
mi possiate perdonare.”
Un
discreto bussare alla porta l’avvisò che la
convocazione era giunta. Raccolse lo scialle di pizzo di Burano ed uscì
dalle
proprie stanze.
“Lavoro,
lavoro, nient’altro che lavoro” continuava a ripetersi mentre
seguiva il
servitore dell’aiutante di campo dell’Imperatore. Ma mai come questa
volta
l’adempimento del proprio dovere le era pesato tanto.
Von
Webb attendeva con impazienza l’arrivo di
Lady Sarah nel suo studio privato, in un’ala del castello molto lontana
dalla
stanza che occupava di norma. Voleva essere ben certo che l’Imperatore
non lo
chiamasse nel bel mezzo di… Sorrise con aria da squalo mentre un
fremito
d’eccitazione lo pervadeva.
La
porta si scostò di pochi centimetri e Lady
Sarah, silenziosa come una pantera, fece il suo ingresso.
“Milady,
siete una visione” si complimentò il
Conte andandole incontro e abbracciandola in maniera che sarebbe stata
giudicata sconveniente.
“André
perdonatemi” pensò un’ultima volta lei mentre sorrideva
seducente al
bavarese.
“Ho
contato le ore e i minuti che ancora mi
separavano da voi, Klaus” disse poi in un sussurro sfiorando con un
bacio le
labbra di lui.
Il
Conte perse del tutto la testa e il
controllo delle proprie azioni.
Strinse
Lady Sarah in un abbraccio da togliere
il fiato e la baciò con prepotenza conducendo entrambi verso una chaiselongue appositamente sistemata per
l’occasione.
La
prese subito, non la spogliò nemmeno
tant’era la bramosia di possederla.
Lady
Sarah lo lasciò fare. Sentiva le mani del
Conte su di sé, dappertutto. Sentì che le slacciava con prepotenza i
bottoni
che chiudevano la scollatura dell’abito, quasi strappandoli dalle asole
per
l’impazienza di posare le labbra sui suoi seni. Sentì la sua mano
trovare il
profondo spacco celato dalle spesse pieghe della gonna e risalire fino
alla
pelle delle cosce non coperta dagli austeri mutandoni in uso presso le
dame
perbene. E poi lo sentì dentro di sé.
Era
disgustata, schifata da quell’animale che
le stava sopra e che faceva l’amore con lei senza il minimo rispetto
per la sua
persona, per i suoi sentimenti, per la sua intelligenza di donna,
nondimeno
finse di assecondarlo.
Quando
tutto ebbe termine si rassettò l’abito e
si mise a sedere, il viso arrossato e i capelli sciolti.
“Non
vi credevo così appassionata e
scandalosamente seducente Milady” osservò lui rimettendosi a posto la
camicia e
infilandosi la giacca della divisa.
“Forse
perché non ho trovato mai l’uomo giusto
con cui esserlo” ribatté civettuola e falsamente soddisfatta
dell’amplesso.
Von
Webb si sedette accanto e le offrì una
coppa di champagne: “Brindiamo alla nostra nuova amicizia” disse
lanciando un
lungo sguardo provocatorio alla dama. “E’ francese, della mia riserva
migliore,
spero lo gradirà” concluse beffardamente.
“Non
amo troppo le bevande francesi e giudico i
francesi in generale un po’ troppo intriganti per i miei gusti” lo
assecondò
lei, bevendo dalla coppa dopo averla intrecciata con quella di lui.
In
realtà il cuore di Lady Sarah sanguinava. Si
sentiva come se avesse tradito qualcuno a lei molto caro. Ma chi?
“Hai
tradito te stessa e i tuoi sentimenti sull’altare del cinismo, Sarah
Jane
Montagu” le suggerì la voce della coscienza.
La
ignorò e si dedicò al Conte.
Bevvero
un secondo bicchiere e il nobiluomo si
sciolse ancor di più, pur sapendo quale fosse la missione che aveva
condotto
Milady a Corte. Lei intuì questo suo stato d’animo e se n’approfittò.
Apparendo
non ancora paga di quanto era
accaduto fra di loro poco tempo addietro, si strusciò contro Von Webb:
“Conte
avete vinto la partita. Non credete che anche io abbia diritto al mio
premio?”
fece le fusa come una gatta in calore.
“Mia
cara, l’avete avuto eccome il premio”
ribatté lascivo.
“Intendevo
un altro genere di premio” continuò
Lady Sarah sporgendosi e mostrando ancora di più il décolleté.
Von
Webb bevve ancora dello champagne. “Perché no?”
si disse. Dopotutto lei
aveva ragione, aveva vinto soffiandola da sotto il naso a quel
bellimbusto
cascamorto di un francese.
“Ebbene
io so chi ha messo quel libro infamante
sullo scrittoio di Sua Maestà” rivelò.
“E
chi è stato?” domandò Lady Sarah
accompagnando la richiesta con un movimento che scoprì una porzione di
gamba
dallo spacco della gonna.
Il
Conte allungò la mano ma lei lo fermò
decisa: “Adesso è il mio turno, Klaus” disse con un sorriso provocante
che
lasciava intendere altre delizie se lui si fosse confidato con lei.
“E’
stata la Duchessa Battyàny”
ammise lui con voce roca.
“Come
fate a saperlo?”
“L’ho
vista che sottraeva quel libro dalla
biblioteca, l’ho seguita e…”
“E?”
lo incoraggiò lei scoprendo ancora di più
la gamba.
“Ho
notato che entrava furtiva nello studio
privato dell’Imperatrice e posava il libro sullo scrittoio.”
“Perché
pensate che l’abbia fatto?”
“L’Imperatore
ha fatto fucilare il Duca
Battyàny dopo i moti ungheresi del 1848 e la Duchessa
è una donna
vendicativa.”
“Perché
non l’avete detto a Sua Maestà?”
“L’Imperatrice
espresse il desiderio che non
giungesse alcuna voce alle orecchie dell’augusto consorte.”
“Come
potete essere a conoscenza di questo?”
chiese stupita Lady Sarah. “Quella mattina l’Imperatrice si confidò con
me
sola.”.
“Mia
adorata” le rispose Von Webb
avvicinandosi, “sono molto potente a Corte, ho occhi e orecchie
dappertutto,
anche nei luoghi più segreti di questo Palazzo.”
“Ora
li avete su di me, Klaus” rispose invitante
Lady Sarah allungandosi nuovamente sulla chaiselongue.
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Capitolo 18 *** Dubbi ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XVIII
Dubbi
Era
appena uscita dagli appartamenti
dell’Imperatrice e si stava dirigendo nel proprio quando,
all’improvviso, si
sentì afferrare e due braccia forti l’attirarono in una delle piccole
sale in
cui erano solite trovarsi le dame di corte quando non erano ritirate
nelle
proprie stanze o non si trovavano assieme a Sua Maestà.
“Ma
chi…” prima di riuscire a terminare la
frase, una mano si posò sulla sua bocca, impedendole di parlare.
“Non
urlate, vi prego… sono io” sentì una voce
familiare sussurrarle all’orecchio. Il brivido che il suo corpo le
trasmise,
improvviso e violento, le fece comprendere, prima ancora d’averlo visto
o
averne riconosciuto la voce, che l’uomo che la stava stringendo era il
Conte
D’Harmòn.
Divincolandosi
si voltò verso di lui, con gli
occhi che mandavano lampi.
“Lasciatemi!”
disse secca, quasi infastidita
dalla sua presenza.
André
D’Harmòn immediatamente la lasciò andare,
sorpreso da quel tono brusco. Cinque giorni prima, dopo aver conversato
piacevolmente con lei davanti ad una tazza di tè, si erano lasciati con
la
promessa che si sarebbero rivisti presto per un “duello” d’allenamento
o una
cavalcata, eppure lei non si era più fatta viva.
Era
tutto il giorno che fremeva dalla voglia di
vederla, di parlarle, di sfiorarla… voleva metterla alle strette e
fissare con
lei un appuntamento per l’indomani mattina, ma per tutto il giorno gli
era
sfuggita di nuovo. Allora aveva atteso che si accomiatasse
dall’Imperatrice
prima di ritirarsi nelle sue stanze per la notte, per riuscire a
parlarle in
privato. Sapeva che probabilmente l’avrebbe spaventata sorprendendola a
quel
modo e a quell’ora tarda, ma non si aspettava quella reazione eccessiva.
“Volevo
parlarvi…” si accinse a dirle, quasi
scusandosi per averla fatta spaventare. Ma lei lo bloccò immediatamente.
“E
non potevate farlo come tutti di giorno?”
domandò arrabbiata.
Lui
la osservò meglio e intuì che in quei pochi
giorni, da quando si era intrattenuto con lei in privato per il tè del
pomeriggio, doveva essere cambiato qualcosa. Ma cosa?
“L’avrei
fatto, se voi me ne aveste dato la
possibilità…” rispose freddo.
“Bastava
che domandaste” continuò lei, piccata.
“Cosa
vi succede? Siete strana. Siete diversa
da qualche giorno fa…”, sussurrò dolcemente lui, cambiando tattica.
Tentò di prenderle
la mano, per portarsela alle labbra, ma lei si ritrasse, quasi non
riuscisse a
tollerare neppure l’idea di un contatto con lui.
André
provò una fitta al cuore.
Lady
Sarah si scostò dal Conte, turbata dalla
sua presenza più di quanto volesse ammettere a se stessa. Da due giorni
non
faceva altro che pensare a quello che si era vista costretta a fare per
ottenere informazioni preziose, tuttavia la parte peggiore era stata
fatta;
adesso non restava che indurre la
Duchessa Battyàny a confermare il malfatto e a
confessare. Lady Sarah n’era certa: la donna ungherese non poteva aver
architettato ogni cosa da sola e soltanto per vendetta. Cosa c'entrava
l’Imperatrice con i suoi rancori personali? All’epoca dei fatti era
poco più
che una neonata, semmai l’odio della Duchessa avrebbe dovuto
indirizzarsi verso
l’Imperatore, diretto responsabile della morte del marito, o al più,
nei
confronti dell’Arciduchessa Sofia. Anche se era plausibile che se la
prendesse
con Sissi, del resto cosa c’è di più terrificante che perdere la
persona che si
ama?
Tuttavia,
nelle “confidenze” di Von Webb c’era
qualcosa che non quadrava. Milady conosceva abbastanza bene la Duchessa
e per quanto
potesse essere una persona intelligente, non poteva davvero aver agito
da sola.
E tutto per una banalissima ragione: il libello infamante non era nella
biblioteca di Palazzo, ma in quella privata del Conte bavarese. Lady
Sarah se
l’era ricordato nel momento in cui lui le aveva “svelato” il complotto
dicendole di aver sorpreso la dama ungherese mentre lo sottraeva dalla
biblioteca dello Schonbrunn.
Si
era recata diverse volte nello studio che il
Conte occupava accanto a quello dell’Imperatore e, nelle attese che
precedevano
le riunioni, si era spesso soffermata ad ammirare la biblioteca privata
del
nobiluomo, sfogliandone anche qualche volume. E aveva notato proprio
quel libro
in bella mostra su uno degli scaffali più bassi.
Non
avrebbe tentato la sorte per controllare
che fosse stato rimesso al suo posto, sapeva che l’astuto Von Webb
aveva già provveduto
a cancellare ogni possibile traccia che lo riconducesse a lui. L’unica
pista da
percorrere rimaneva la
Duchessa Battyàny. Pertanto con il pretesto di
coinvolgerla
negli ultimi preparativi del ballo, l’indomani l’avrebbe mandata a
chiamare e
l’avrebbe ricevuta nei suoi appartamenti, sperando di riuscire a farla
confessare.
In
realtà Lady Sarah avrebbe preferito vedere la Duchessa
altrove, magari
in un luogo dove anche il Conte D’Harmòn avesse potuto ascoltare la
loro
conversazione, ma per fare ciò avrebbe dovuto parlare con lui,
spiegargli come
mai intendeva far parlar la Duchessa… e lui le
avrebbe certamente rivolto delle domande
alle quali non aveva alcuna intenzione di rispondere. Lui di certo non
avrebbe
creduto alla semplice intuizione: a quella aveva già dato ascolto,
quando le
aveva rivelato d’aver indagato sulla Battyàny seguendo il suo
suggerimento. Le
nuove informazioni cui era entrata in possesso l’avrebbero insospettito
e
l’avrebbe messa con le spalle al muro, ne era sicura. Lo conosceva,
ormai, e
aveva capito con che genere d’uomo aveva a che fare: un uomo molto
intuitivo e
intelligente, oltre che affascinante. L’unico uomo che sarebbe stata in
grado
di amare, se solo la sua vita fosse stata meno complicata… L’unico uomo
che era
riuscito a trasmetterle il brivido della passione semplicemente
guardandola o
sfiorandola… l’unico uomo dal quale, da quel momento in poi, proprio
per i
sentimenti che le faceva provare, sarebbe dovuta stare il più possibile
alla
larga, per riuscire a concentrarsi sulla sua missione.
Si
è
trattato di lavoro, nient’altro che lavoro,
continuava a ripetersi da due giorni.
Eppure da due giorni a quella parte gli occhi di André D’Harmòn non
l’avevano
lasciata in pace per un solo istante. Ecco perché doveva fare il
possibile per levarselo
dal cuore.
Dopo
che aveva lasciato Von Webb aveva sentito
la necessità impellente di calarsi in una tinozza d’acqua bollente per
disinfettarsi. Il termine le era apparso più che appropriato, il
contatto
intimo con Von Webb l’aveva fatta sentire sporca, infetta. Non che
l’uomo fosse
di sgradevole aspetto, tutt’altro, ma era lei ad essere cambiata anche
se
ancora non se ne rendeva pienamente conto.
Aveva
trascorso quasi un’ora a mollo
spazzolando vigorosamente corpo e capelli ed era uscita dal bagno con
la
sensazione di essersi lasciata alle spalle la sporcizia, anche se il
senso di
fastidio non se ne era andato. Contava, tuttavia, sul fatto che, avuta
la
preda, il Conte Von Webb non le avrebbe fatto altre avances.
O così sperava.
Quando
si era sentita afferrare all’improvviso,
aveva temuto che fosse Klaus Von Webb e la sola idea che lui la
possedesse di
nuovo le aveva fatto contrarre la bocca dello stomaco in uno sgradevole
senso
di nausea. Però, quando s’era accorta che l’uomo che la stava
stringendo non
era Von Webb ma André D’Harmon, si era sentita peggio… Se aveva ancora
bisogno
di un segnale perché il suo cuore finalmente ammettesse che si era
innamorata
del bel Conte, lo aveva appena avuto. Non appena aveva riconosciuto la
sua
voce, o meglio il fremito che il contatto dei loro corpi le procurava
ogni
volta, il suo cuore si era come spezzato in due, lasciandola affranta.
Non
poteva più vederlo… non poteva più
parlargli… era troppo doloroso. Se lo doveva togliere dalla testa. Se
lo doveva
strappare dal cuore.
“Cosa
vi sta succedendo, Milady?” chiese di
nuovo lui dolcemente, turbato dal silenzio che ostentava e
dall’espressione che
leggeva nei suoi splendidi occhi.
“Nulla.
Non mi succede nulla, Conte. Mi avete
solo spaventata…” si risolse finalmente a rispondergli, cercando di
assumere un
tono più dolce, per evitare di insospettirlo.
“Vi
chiedo perdono, Lady Sarah” la interruppe
lui, “ma desideravo fissare con voi il nostro appuntamento… ricordate
le nostre
promesse dell’altro giorno? Il duello e la cavalcata?”
Stava
incominciando a sentirsi un imbecille ad
elemosinare così la sua attenzione, ma non poteva farne a meno…
desiderava
troppo trascorrere del tempo con lei. Scrutandola attentamente,
tuttavia, si
rendeva conto che lei era realmente cambiata, in quei pochi giorni. Era
accaduto davvero qualcosa. Qualcosa che gliela stava allontanando…
“Mi
spiace, Conte, ma non posso. Domattina
proprio non posso”, stava rispondendo Milady, quasi ad immediata
conferma dei
suoi dubbi.
“Non
potete? Come mai?”
“Devo
vedere la Duchessa Battyàny…
per… per decidere gli ultimi preparativi per il ballo…” rispose Lady
Sarah.
Aveva deciso di dirgli parte della verità, per evitare altre domande.
Ma
commise l’errore di distogliere lo sguardo da quegli occhi blu che la
facevano
impazzire e che la stavano tormentando da due giorni.
Errore
che lui notò subito.
“Ditemi
la verità: nutrite altri sospetti?
Avete in mente qualcosa?”
“Nulla,
Conte… semplicemente… semplicemente
devo vederla per definire gli ultimi dettagli…”
“State
mentendo, Milady” disse secco lui.
“Voi
mi offendete, Conte, con le vostre
insinuazioni” cercò di replicare lei, per farlo tornare sui suoi passi.
Ma
D’Harmòn non era il classico damerino che poteva rimettere al suo posto
semplicemente con un pizzico d’astuzia e di civetteria femminile. Il
Conte era
un uomo deciso, intelligente e, soprattutto, molto caparbio. Una volta
fiutata
una pista, non mollava tanto facilmente.
“Voi,
cara Baronessa
de Bellegarde, avete delle informazioni delle quali mi volete
tenere
all’oscuro e io non ne comprendo la ragione, dato che lavoriamo
assieme. A meno
che…” disse lui deciso, mentre un sospetto cominciava a farsi strada
nella sua
mente. Un sospetto al quale avrebbe preferito non pensare, ma che
l’atteggiamento sfuggente di Milady purtroppo non faceva altro che
confermare.
“A
meno che” continuò quando vide che lei
distoglieva di nuovo lo sguardo, “il motivo per il quale mi volete
nascondere
certe informazioni è perché vi chiederei come ne siete entrata in
possesso…”
azzardò infine, sperando che la sua ipotesi fosse completamente errata.
Ma
quando la vide impallidire, non ebbe più dubbi e sentì come se qualcuno
gli
stesse infilando un pugnale in pieno petto, dritto al cuore.
“State
facendo delle supposizioni inutili,
Conte…” tentò di ribattere lei, ma lui la bloccò immediatamente,
prendendola
per un braccio e attirandola violentemente contro di sé.
“Siete
stata a letto con Von Webb, vero? E’
così che avete avuto certe informazioni?” domandò brusco, con lo
sguardo di
ghiaccio.
“Non
vi permetto di insultarmi, Conte. Se e
come ho avuto certe informazioni non è affare vostro. E ora
lasciatemi!” disse
lei fredda. S’impose la freddezza, se la impose a tutti i costi,
trincerando il
suo cuore dietro ad un muro di ghiaccio che aveva innalzato per
resistergli. Ma
era sempre più difficile: le sue braccia che la cingevano, il suo
sguardo di
fuoco e le sue labbra che le rivolgevano parole tanto sprezzanti
rischiavano di
sciogliere quel muro… Quelle labbra! Quanto desiderava averle ancora
sulla sua
bocca… dolci, tenere, appassionate…
Improvvisamente
lui la lasciò andare e lei si
sentì come persa.
D’Harmòn
la guardò ancora per un attimo
sprezzante, poi riprese il controllo di sé, tornando ad essere il
nobiluomo
educato e impeccabile. S’inchinò brevemente e disse con aria
distaccata, quasi
annoiata:
“Milady
perdonate la mia insolenza. Vi assicuro
che non vi importunerò più… E ora scusatemi…” e così dicendo si voltò,
raggiunse la porta e uscì dalla stanza, lasciandola sola a struggersi
dal
desiderio di essere ancora tra le sue braccia e nel contempo a maledire
il
giorno in cui lo aveva incontrato.
***
16 Dicembre 1856
L’avrei
uccisa. Avrei potuto ucciderla con le mie stesse
mani, se non mi fossi allontanato da lei il prima possibile.
L’avrei
uccisa, ma solamente dopo averla posseduta anch’io…
Non
riesco a tollerare l’idea che sia stata di quell’uomo,
che quel dannato libertino abbia potuto avere il suo corpo delizioso,
quando
io…
Quando
io l’amo con tutto me stesso. Quando sono settimane
che desidero poterla avere tra le mie braccia…
Perché? Perché si è
concessa a Von Webb?
E’
inutile che me lo confermi a parole: so che lo ha fatto.
So che certe informazioni le ha ottenute solo concedendosi a
quell’essere
viscido e disgustoso. Quando gliel’ho domandato ha evitato di
rispondere,
nascondendosi dietro l’offesa che avessi potuto insinuare una cosa
simile; ma
il suo sguardo sfuggente mi ha rivelato quello che temevo di sapere.
Come
ha potuto? Non
era necessario che arrivasse
a tanto per
proteggere l’Imperatrice!
E
se invece lo avesse fatto perché attratta e affascinata
dal Conte?
No.
Mi rifiuto di crederlo… ma allora devo pensare che lei sia
una cortigiana, e della peggior specie?
Se
è così, come posso amarla tanto?
Oh,
che Iddio mi perdoni…
nonostante in questo momento mi senta come se avessi
ricevuto una
pugnalata in pieno petto, come se la lama di un coltello stesse
trafiggendo
lentamente il mio cuore… nonostante tutto io l’amo.
L’amo
e la desidero ancora. Disperatamente.
***
“Lo sapevo!”
esclamò Harm dopo aver terminato la lettura
di quel passo del diario.
Erano in
pausa pranzo e, approfittando della bella
giornata, erano usciti in giardino per godere del sole tiepido e
dell’aria
insolitamente tersa. In quel momento sedevano l’uno accanto all’altra
su
un’assolata panchina, poco distanti da un enorme faggio che stormiva al
leggero
vento marzolino.
“Sapevi
cosa?” domandò Mac.
“Che Lady
Sarah non poteva essere innamorata del Conte! Tu
e i tuoi discorsi sui mille significati di un bacio! Secondo te avrebbe
fatto
quel che ha fatto se l’avesse amato?”
“Harm, il
Conte fa solo delle supposizioni, non c’è nulla
che provi che lei abbia concesso le sue grazie all’aiutante di campo di
Francesco Giuseppe.”.
“No, il Conte
non fa supposizioni. Lui n’è certo.”.
“E tu come
fai a saperlo? Gli leggi nella mente?”
“Non gli
leggo nella mente, Mac, ma anch’io come lui credo
che Lady Sarah non avrebbe potuto entrare in possesso di certe
informazioni se
non agendo in una sola maniera” concluse perentorio.
“E in ogni
caso lei non è per nulla innamorata di lui”
ripeté cocciuto. “Quando una donna ama un uomo non se ne va a spasso
con un
altro.”.
Mac scosse la
testa: “Non è sempre vero quello che
affermi” disse più a se stessa che a lui.
Harm, in
piedi davanti a lei, non aggiunse nulla, ma tese
le orecchie pensando che lei avrebbe dato un seguito a quella frase, ma
Mac
tacque.
Le forzò la
mano: “Che cosa intendi dire?”
“Che una
donna può essere innamorata di un uomo, ma stare
con un altro per motivi che nemmeno lei sa spiegarsi. Magari ha paura
che
l’uomo in questione la rifiuti, magari teme i suoi stessi sentimenti,
chi lo
sa? Credo che Lady Sarah l’abbia fatto solo per dovere. C’è chi lo fa
per paura
e c’è chi lo fa per tentare una chance di felicità” rispose.
“Come con
Brumby e con Webb?” domandò lui a bruciapelo.
“Non è di me
che stiamo parlando, Harm” rispose Mac
sentendosi con le spalle al muro.
Cercò di
riportare il discorso su un piano più generale:
“Devi distinguere i sentimenti che albergano nel suo cuore… Innanzi
tutto non
siamo certi che abbia ottenuto certe informazioni in cambio del suo
corpo: è
solo André D’Harmòn a supporlo. Ma se così fosse, perché ritieni che
non sia
innamorata del Conte francese? Solo perché si è concessa ad un altro?
Io penso
che, se davvero lo ha fatto, lo abbia fatto solo per portare a termine
una
missione. Pur amando il Conte D’Harmòn..."
Harm la
guardò con espressione indecifrabile.
“Forse è
meglio rientrare e riprendere il lavoro” propose
Mac alzandosi e cominciando ad andare verso la palazzina.
Lui la
raggiunse: “Non abbiamo ancora terminato il
discorso” disse caparbio.
“Quale
discorso? Non c’è nulla da aggiungere. Come al
solito la pensiamo in maniera diametralmente opposta” replicò.
“E questo ti
indispettisce vero Colonnello?” sorrise con un’aria
da sberle.
“Non più di
quanto indispettisca te, Comandante” rispose
serafica Mac.
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Capitolo 19 *** Confessioni ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XIX
Confessioni
Quando
la cameriera le consegnò il biglietto
che in calce recava la firma della Baronessa de Bellegarde, la
Duchessa Battyàny
non sospettò alcunché.
Gradiva
molto la compagnia della nobildonna
francese, della quale amava il gusto squisito, la capacità di
conversare in
ungherese e la sua notevole cultura sulla storia, le tradizioni e le
usanze
della sua terra natia. Non solo ma, unica fra tutte le dame di corte,
era
rimasta, o almeno così sembrava, insensibile al fascino indiscusso del
Conte
D’Harmòn, nonostante lui le facesse una corte abbastanza serrata,
sebbene
discreta.
Si
recò dunque, con animo lieto a
quell’incontro, che si sarebbe svolto nell’appartamento della Baronessa.
Fu
introdotta e si accomodò in una delle due
poltroncine davanti ad un tavolino sul quale erano disposte due tazze
ed un
bricco di caffè fumante. Poco distanti alcuni biscotti di pasta frolla
inducevano in tentazione con il loro fragrante profumo. Nell’aria un
sottile
sentore d’essenza alla vaniglia.
Non
dovette attendere molto: la Baronessa de Bellegarde
fece il suo ingresso indossando un abito di seta pesante color avorio,
mirabile
nella sua semplicità. Non un ricamo, non un velo o un pizzo lo
adornavano:
l’unico ricamo era quello del tessuto, un damascato leggermente più
scuro. La
Baronessa non indossava
gioielli, non aveva un’elaborata pettinatura, anzi i capelli erano
leggermente
umidi e raccolti in modo quasi casuale.
Lady
Sarah salutò la Duchessa Battyàny
con calore: “Vogliate scusarmi, cara Duchessa, se vi ricevo in maniera
così
informale, ma vi considero un’amica per cui non ho voluto badare troppo
al
cerimoniale di corte” esordì.
L’altra
donna, lusingata di tanta fiducia, si
rilassò ancor di più.
“Sono
onorata. Qui a Corte non è facile trovare
così tanto calore umano in una dama di compagnia. Generalmente sono
tutte
troppo occupate a conservare i favori di Sua Maestà o ad acquisirne di
nuovi, e
a malignare sul prossimo per gettarlo nel discredito” rispose.
Lady
Sarah si sedette di fronte alla dama ungherese
e versò un po’ di caffè nella tazza dell’ospite prima e nella propria
poi. La
Duchessa si stupì di quel
gesto, si sarebbe aspettata che la Baronessa
chiamasse una cameriera. Lady Sarah sembrò leggerle
nel pensiero: “Ho lasciato libera la servitù, amica mia, quello che ho
da dirvi
preferisco rimanga tra noi”.
Aggiunse
dello zucchero al caffè e cominciò
lentamente a girare il cucchiaino nella tazza.
La
Duchessa Battyàny
era non poco
perplessa: si era aspettata un incontro mondano, ma l’espressione della
Baronessa
lasciava chiaramente intendere come avesse in animo di parlare d’altro.
“Mia
cara amica” esordì la dama inglese,
“purtroppo non posso nascondervi che oggi pomeriggio dovrò recarmi
dall’Imperatore e riferirgli che siete stata voi a mettere un libro
ingiurioso
nello studio privato dell’Imperatrice. Libro che, come sapete, le ha
arrecato
gravi problemi di salute che ancora non si sono risolti.”
La
nobildonna ungherese quasi rovesciò a terra
la tazza con il caffè ancora fumante che stava per portare alle labbra:
come
faceva la
Baronessa
a sapere? Chi mai avrebbe potuto dirle una cosa così riservata? Nessuno
era a
conoscenza del suo gesto, tranne…
“Il Conte
Von Webb” pensò, “vile traditore, mi
aveva promesso che nessuno avrebbe saputo nulla.”
Lady
Sarah aveva scelto l’approccio diretto
perché in tal modo avrebbe potuto contare sull’effetto sorpresa della
sua
rivelazione, e c’era riuscita in pieno. Infatti, all’improvviso il
colore era
sparito dal viso della Duchessa Battyàny, nonostante lo spesso strato
di
belletto, e la donna sembrava invecchiata di colpo.
“Ebbene?”
la incalzò Milady con assoluta calma
olimpica.
L’altra
posò la tazza sul tavolino e strinse le
mani fino a farsi sbiancare le nocche. Si rendeva conto che Madame de
Bellegarde non stava per nulla bluffando e non aveva altra possibilità
se non
raccontarle la verità. TUTTA la verità.
“Non
recatevi dall’Imperatore o in ogni caso
non rivelategli che sono stata io, Baronessa. Egli conosce il mio
passato e non
esiterebbe ad infliggermi una severa punizione.”
“Ci
potete scommettere i vostri smeraldi, cara Duchessa” pensò
Lady Sarah, ma
non una parola uscì dalle sue labbra. Rimase in silenzio in attesa del
resto,
che non tardò ad arrivare.
“E’
vero, sono stata io” ammise la dama
ungherese, “ma l’ho fatto perché sono stata ricattata. Non lo nego,
quando mio
marito fu ucciso dagli austriaci provai odio per l’Imperatore, ma poi,
con gli
anni, mi sono resa conto che si era in tempo di guerra e che se gli
ungheresi
fossero stati al posto delle truppe austriache avrebbero agito nella
stessa
maniera. Sfortunatamente con la morte di mio marito mi furono
confiscate tutte
le proprietà e le ricchezze di famiglia, per cui io e mia figlia ci
trovammo in
gravi ristrettezze economiche. Fu così che venni contattata dal Conte
Von Webb
che aveva ricevuto incarico da parte di Sua Altezza Imperiale
l’Arciduchessa
Sofia di cercare una dama di compagnia ungherese da inserire nel
seguito
dell’Imperatrice. Nonostante non avessi denaro per sostenere il
dispendioso
tenore di vita qui a Vienna, possedevo i requisiti che l’Arciduchessa
Sofia
cercava. Entrai così nell’entourage
delle dame ammesse alla presenza di Sua Maestà, e questo mio
miglioramento fece
sì che mi fossero restituire le terre confiscate e quello che restava
del patrimonio
di famiglia. La mia vita e quella di Emma, rimasta a Buda, mutò
radicalmente.
Ma il Conte Von Webb non fa mai nulla per nulla. La sua generosità
aveva un
prezzo e non ha esitato a riscuoterlo: mi ha ordinato di prendere quel
libro
dalla sua biblioteca privata e di farlo trovare all’Imperatrice. Se non
avessi
obbedito, avrebbe fatto in modo che a mia figlia capitasse un
‘incidente’ che
non l’avrebbe lasciata in vita.”
La
Duchessa Battyàny
era sull’orlo delle
lacrime quando concluse il racconto.
“Perché
il Conte le ordinò di mettere quel
libro sullo scrittoio di Sua Maestà?”
“Non
me lo spiego, ma io credo di saperne il
motivo.”
“Sono
tutt’orecchi, Duchessa” replicò serafica
Lady Sarah sorseggiando il caffè appoggiata alla spalliera della sedia.
La
nobildonna ungherese le raccontò così la
storia del Conte Von Webb, di come per un soffio non fosse riuscito a
sposare
la madre dell’Imperatrice e di come tale smacco l’avesse sempre
tormentato
facendogli covare rancore per anni.
“Come
conoscete questa storia?”
“Sono
una buona amica della moglie del Conte,
povera donna” rispose la Duchessa.
“Per
cui secondo voi, il Conte Von Webb,
l’aiutante di campo di Sua Maestà, la persona più fidata
dell’Imperatore,
avrebbe cercato di attentare alla vita dell’Imperatrice solo per
gelosia e per
lavare una presunta offesa vecchia di vent’anni?” chiese incredula Lady
Sarah.
“Come contate di provare tutto ciò? È la vostra parola, quella di una
vedova
rancorosa, contro quella del braccio destro dell’Imperatore” la provocò.
“Mi
rendo conto della vostra incredulità
Baronessa. Non ho prove concrete che suffraghino quanto vi ho appena
detto,
nondimeno vi prego di volermi credere. Se il Conte venisse a sapere che
vi ho
rivelato i suoi piani sarebbe capace di tutto e mia figlia è ciò che di
più
prezioso ho sulla terra. Avete figli, Baronessa?”
Lady
Sarah scosse la testa. Quanto le sarebbe
piaciuto averne! Ma l’esistenza che era stata costretta a scegliersi,
le
imponeva una vita solitaria.
“Ebbene
se ne aveste conoscereste l’angoscia
che mi attanaglia il cuore. L’ho fatto solo per evitare che alla mia
Emma
accadesse qualcosa di grave. Se le succedesse alcunché non me lo potrei
perdonare mai” terminò quasi in una supplica la Duchessa.
Milady
in cuor suo era convinta della bontà
delle parole della dama, ma non voleva che si adagiasse troppo sugli
allori.
Ricatto o no, il suo gesto andava punito.
“Vi
concedo il beneficio del dubbio, Duchessa,
ma devo verificare il vostro racconto, e solo all’esito delle mie
verifiche
deciderò il da farsi” concluse.
“Certo,
Baronessa” rispose mestamente l’altra.
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Capitolo 20 *** Novità ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XX
Novità
Mac non fece
in tempo a varcare la soglia del bullpen che
Jennifer le venne incontro.
“C’è una
telefonata per lei, Signora” le disse.
“Chi è?”
“Il Signor
Webb” rispose il Sottufficiale.
Mac se ne
stupì. Cosa poteva volere Clay? Si erano
lasciati, meglio lei l’aveva lasciato, un paio di settimane prima,
forse tre, e
da allora non aveva più avuto sue notizie.
“La prendo
nel mio ufficio, Jennifer.” Socchiuse la porta
della propria stanza e, con un sospiro, si sedette nella comoda
poltrona.
Sollevò il ricevitore e premette il tasto della linea.
“Ciao Sarah”
la salutò la profonda voce di Clay.
“Ciao Clay.”
“Come stai?”
Perché un
brivido le percorreva la schiena?
“Bene, dove
sei?”
“A
Washington. Sono tornato ieri dal Bahrein.”
Mac tacque,
non sapeva che dire.
“Perché mi
hai chiamata?” domandò alla fine.
“Perché mi
mancava il suono della tua voce e mi manchi tu,
Sarah” le rispose quasi sussurrando.
“Clay…” stava
per cominciare Mac, ma lui la interruppe.
“Sarah io ti
amo. Ho sbagliato lo so, ti ho mentito e ti
ho fatta soffrire, ma per favore concedimi una seconda chance. Ho
riflettuto e
ho compreso. Sei tu la donna che
fa per
me. Con te sto bene, mi sento un altro. Vediamoci, ti prego. Stasera. A
cena.
Ti porto fuori così resisterò all’impulso di baciarti e di tenerti
stretta a
me.”
Maledizione!
Perché le parole giuste erano pronunciate
dall’uomo sbagliato?!
Mac fu lì lì
per rifiutare, poi ci ripensò. Dopotutto
l’aveva lasciato senza neanche una spiegazione, ne aveva pur diritto.
“Va bene”
concesse.
“Passo a
prenderti alle 20”
Webb fece una pausa. “Abiti
ancora a Georgetown, vero?” chiese con una nota di titubanza nella voce.
“Certo, e
dove altro dovrei abitare?” esclamò sinceramente
stupita Mac.
“Non lo so, a
North of Union Station per esempio.”
Stava per
replicare seccata ma lui la prevenne una seconda
volta: “Lascia stare, era una battuta idiota. Ci vediamo stasera. Ti
amo
Sarah.”
“Ciao Clay, a
stasera.”
Posò il
telefono e si accorse che le tremavano le mani.
Dopo Harm ci si metteva anche Webb a complicarle la vita!
Un colpo di
tosse l’avvertì che nella stanza c’era
un’altra persona. Alzò il capo e vide Harm.
“Da quanto tempo è
qui?” si chiese preoccupata, ma non ebbe il coraggio di
domandarlo a lui.
Preferì optare per un “Dimmi”.
“Ti stavo
aspettando in sala riunioni, ma visto che non
arrivavi sono tornato a cercarti. Tutto bene?”
“Sì sì”
liquidò lei. Si alzò e tornarono in sala riunioni.
“Stasera
facciamo da me o da te?” chiese Harm dopo un
certo tempo.
Mac non alzò
nemmeno gli occhi dalle lettere
dell’Ammiraglio Blackbird alla Marina e gli rispose: “Stasera non
posso”.
Non voleva
che lui le leggesse la verità negli occhi e
pertanto continuò a tenere il capo basso.
“Capisco” si
limitò a dire Harm.
Sapeva che
Mac aveva un appuntamento con Webb. Era
arrivato appena in tempo per udire quel “Ciao
Clay, a stasera” e aveva dedotto una sola cosa: era tornato
alla carica con
Sarah, la sua Sarah.
Ma lei non
l’aveva lasciato? Non gli aveva forse detto che
non stavano più insieme? E allora perché concedergli un appuntamento?
Cosa
avevano ancora da dirsi?
Sarebbe
voluto uscire da lì, andare ad Alexandria e fare
due chiacchiere con lui, alla sua maniera.
“Sei geloso, Rabb”
udì il suo subconscio malignare. “Sei
geloso marcio, ma non le domandi nulla. Geloso e stupido.”
Tacitò la voce
prendendo l’ultimo scatolone e posandolo pesantemente sul tavolo, che
tremò.
Mac alzò
finalmente lo sguardo su di lui e ciò che vide
non le piacque per nulla.
L’espressione
che si era disegnata sul viso di Harm era
quella di un temporale in arrivo: mascella contratta, fronte
aggrottata, occhi
cupi e quella piega della bocca che gli veniva ogni volta che era
arrabbiato.
Molto arrabbiato.
“Tutto bene?”
chiese circospetta.
“Sì” rispose
brusco lui aprendo il coperchio dello
scatolone.
***
Nonostante
si fosse ripromessa di non vederlo
più e neppure parlargli, soprattutto dopo quanto era successo la sera
prima,
con le informazioni appena ricevute non poteva farne a meno. Era suo
dovere.
Non
c’era tempo di organizzare un incontro con
il Conte seguendo le regole del cerimoniale di Corte, quindi, non
appena la
Duchessa Battyàny l’ebbe lasciata, Lady Sarah s’infagottò in un pesante
cappotto ed uscì. Non sapeva con certezza dove cercare André, ma pensò
di
rivolgersi al suo valletto Robert, che a quell’ora doveva trovarsi
nelle
scuderie.
Attraversò
con passo deciso il dedalo di
corridoi del palazzo sino a giungere all’esterno nella corte dove erano
situate
le stalle. Individuò subito la figura paffuta di Robert e attraversò il
piazzale di buon passo, sfidando, con le scarpe di seta, la gelida
coltre di
neve e ghiaccio e i fiocchi che avevano ripreso a scendere da un cielo
color
grigio perla.
“Robert”
richiamò l’attenzione del valletto.
Questi
si voltò e un’espressione di stupore si
dipinse sul viso nel riconoscere la dama che gli veniva incontro in
quel freddo
polare: “Madame!” esclamò stupito. “Ma che ci fate… pardonnez
moi” si scusò immediatamente dopo, resosi conto della
propria sfrontatezza.
“Robert,
dove posso trovare il Conte?” chiese
lei ignorando la manchevolezza. “Ho urgenza di parlargli.”
“In
biblioteca” le rispose, “a quest’ora si
reca sempre lì.”
“Grazie”
e sparì così com’era venuta.
Mancava
solo una settimana al gran ballo di
Natale e Lady Sarah era ormai convinta che Von Webb avrebbe cercato di
attentare alla vita di Elisabetta proprio in quell’occasione, anche se
non
sapeva come. Il Conte e l’Imperatore dovevano esserne informati, ma,
nell’impossibilità di raggiungere per le vie spicce il secondo, si era
risolta
a parlare con il primo.
Quasi
fece di corsa il percorso che portava
dalle stalle alla biblioteca principale dello Schonbrunn e giunta
davanti alla
pesante doppia porta laccata trasse un profondo respiro, si tolse il
pastrano
che appoggiò distrattamente su una sedia lì accanto, e aprì l’uscio.
La
scena che si parò davanti agli occhi non se
la sarebbe mai aspettata: il Conte D’Harmòn e l’Imperatore erano seduti
l’uno
di fronte all’altro bevendo uno sherry davanti al camino che
scoppiettava
allegro. Stavano chiacchierando come due vecchi amici.
Si
profuse in un inchino alla vista del sovrano
mormorando: “Vi devo le mie scuse Maestà, non sapevo foste qui”.
Il
monarca si avvicinò e la fece rialzare: “Non
dovete scusarvi Milady, anche io non sapevo che sarei stato qui fino a
poco fa”
le disse sorridendole amichevolmente e guardando D’Harmòn.
Lady
Sarah si rialzò e spostò lo sguardo prima
sull’uno e poi sull’altro dei gentiluomini con aria interrogativa.
Si
fece avanti André che le spiegò il motivo
della presenza dell’Imperatore: “Ho chiesto a Sua Maestà una mezzora
del suo
preziosissimo tempo per discutere di alcune partite di vino che devono
giungere
qui a Vienna dalle tenute di famiglia” spiegò.
“Cercavate
il Conte, Milady?” chiese Francesco
Giuseppe.
“Sì,
Maestà” rispose la dama, “ma visto che
siete presenti entrambi posso raccontare anche alla Maestà Vostra ciò
che ho
appena appreso.”
Narrò
delle sue scoperte di quel mattino,
sottacendo il nome della Duchessa Battyàny e del suo incontro con Von
Webb.
“Ne
siete certa?” domandò alla fine
l’Imperatore.
“Sì
Maestà, sono convinta che il vostro
aiutante di campo stia tentando di assassinare l’Imperatrice per lavare
l’offesa fattagli tanti anni fa dalla sua famiglia d’origine.”
“Come
potete avere tali informazioni così
dettagliate?” tentò di nuovo di sapere D’Harmòn.
Lady
Sarah si sentì a disagio sotto quello
sguardo indagatore: “Ho fatto le mie ricerche e ho svolto il compito
assegnatomi da Sua Maestà” rispose mantenendosi sul vago.
Francesco
Giuseppe si avvicinò alla finestra,
immerso nei suoi pensieri. Non poteva credere a ciò che aveva appena
udito.
Lady Sarah doveva essersi sbagliata! Il Conte Von Webb gli era stato
accanto
sin dal giorno della sua ascesa al trono degli Asburgo ed era stato
lui, Franz
Joseph, a volerlo al suo fianco come suo braccio destro, quale
ricompensa per
la fedeltà dimostratagli anche nei momenti più critici. E durante tutto
quel
tempo mai aveva avuto modo di sospettare che il suo aiutante di campo,
la
persona della quale si fidava più di tutti dopo sua moglie e sua madre,
stesse
tramando alle sue spalle per colpirlo nei suoi affetti più cari.
Sempre
guardando fuori dalla finestra il
paesaggio innevato l’Imperatore disse: “Milady, trovo molto difficile
credere
alle vostre parole. Non ritengo il Conte Von Webb capace di simili
bassezze. Mi
è sempre stato fedele e devoto e sono certo che non attenterebbe alla
vita
dell’Imperatrice”.
Lady
Sarah fece per replicare, ma il sovrano la
tacitò: “Portatemi delle prove certe che non si basino su pettegolezzi
di Corte
e vi crederò”.
“Che
intendete fare Maestà?” domandò il Conte
D’Harmòn.
“Nulla
per ora, non finché non avrò in mano
qualcosa di più concreto.”
Posò
il Napoleon ancora mezzo pieno su un basso
tavolino di mogano ed uscì dalla stanza senza dire altro.
Rimasti
soli, André cominciò a tempestare di
domande Lady Sarah; mentre lo faceva si diceva che stava agendo solo ed
esclusivamente per ottenere maggiori dettagli, solo per l’indagine e
non per
gelosia, non per costringerla ad ammettere di essersi concessa a Von
Webb, ma
sapeva in cuor suo di mentire a se stesso: anche se si era ripromesso
di fare
il possibile per togliersela dalla mente e dal cuore, ogni volta che la
vedeva
si rendeva conto che non ci sarebbe mai riuscito.
Lei
non rispose o se lo fece le sue furono risposte
che contenevano solo riferimenti a quanto dettole dalla Duchessa
Battyàny.
“Mi
credete Conte? Almeno voi?”
“Certo
che sì. Eravamo entrambi concordi nel
ritenere che Von Webb fosse la mente di questo complotto. Ma non
comprendo la
vostra ritrosia nel nominare la Duchessa al cospetto dell’Imperatore.”
“Le
ho fatto una promessa: non l’avrei nominata
per evitarle l’ira di Von Webb e mantenere al sicuro la figlia Emma che
vive a
Buda.”
“Capisco.”
“Dobbiamo
fare qualcosa, Conte. Sono ormai del
tutto sicura che al ballo accadrà qualcosa di terribile
all’Imperatrice.”
“Sorveglieremo
il più strettamente possibile
Sua Maestà e ordinerò a Robert di essere l’ombra di Von Webb. Io mi
mischierò
alla folla degli invitati per individuare qualche eventuale complice e
voi…”
“Mi
vedrete al fianco di Sua Maestà per tutta
la serata.”
“Ah”
sussurrò lui. Si rese conto che per un
attimo, nella follia del suo amore per lei, aveva sperato di poterla
stringere
ancora fra le braccia per condurla in un lento e romantico valzer… ma
le sue parole
avevano troncato sul nascere questo desiderio.
“Dobbiamo
dimostrare all’Imperatore che tutto
ciò che gli ho rivelato è vero. Ne va della vita dell’Imperatrice e
della
stabilità dell’Impero” disse Lady Sarah completamente presa dalla sua
missione.
Lui,
invece, non riusciva a concentrarsi solo
sul loro incarico. Continuava a pensare a lei, nonostante la sofferenza
che
stava provando all’idea che lei fosse stata tra le braccia di un altro
uomo.
Continuava a domandarsi com’era possibile che avesse scordato il loro
bacio…
La
dama fece per lasciare la biblioteca.
“Dove
andate?” le chiese il Conte.
“A
cambiarmi d’abito. È quasi ora di pranzo e
l’Imperatrice ha deciso che oggi vuole pranzare con me sola per
discutere degli
ultimi dettagli” rispose.
“Milady,
è la verità ciò che mi avete detto in
presenza dell’Imperatore? Avete davvero condotto solo delle indagini
interrogando il personale della Duchessa e del Conte?” chiese con uno
sguardo
che non lasciava scampo.
Lei
si adirò: “Conte, come osate mettere ancora
in dubbio la mia parola?” esclamò stizzita. André le leggeva dentro
come un
libro aperto e si conoscevano da nemmeno tre mesi! Percepiva il
sospetto nella
sua domanda e l’altra domanda, quella nascosta che vi si celava sotto.
“Non
ho fatto nulla di più di quello che
richiedesse il dovere e l’adempimento del mio incarico e nulla di meno
di
quanto richiestomi” replicò e uscì.
Una
volta fuori corse nelle sue stanze: voleva
mettere quanta più distanza possibile tra lei e quello sguardo che le
scavava
l’anima. C’era mancato poco che gli raccontasse tutto.
Si
spogliò e buttò l’abito a terra con stizza.
Odiava
André François D’Harmòn. Ma lo amava
anche, ancorché non fosse disposta ad ammetterlo con chicchessia.
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Capitolo 21 *** La Festa di Natale ***
Capitolo XXI
La
Festa di Natale
“L’Imperatrice
ha stupito tutti con questo
ballo” mormorò da dietro il ventaglio una dama ad un’altra che le
rispose
annuendo distratta troppo presa com’era ad ammirare le decorazioni che
addobbavano il salone.
Le
colonne erano percorse da mille fili di
minuscole lampadine bianche che arrivavano ai capitelli e proseguivano
sino al
soffitto. Alla sommità delle colonne le lucine si intrecciavano a
frasche di
pino odorose decorate con fiocchi di raso rosso e dorato, gli stessi
che si
ritrovavano sul maestoso albero di Natale fatto arrivare appositamente
dal
Tirolo, dietro suggerimento di Lady Sarah.
Quest’ultimo
era sontuosamente decorato, anche
se con pochi barocchismi: forme di cristallo di Boemia pendevano dai
suoi rami
riflettendo la luce dei lampadari e componendola nei colori
dell’arcobaleno,
mentre i festoni disposti ad arte si intrecciavano ai suoi rami di un
verde
scuro ed intenso. Completava l’opera un puntale di cristallo adornato
di pietre
dure. Ai suoi piedi un enorme cesto di vimini colmo di regali di tutte
le fogge
e le dimensioni, e accanto un bellissimo presepe di ceramica di
squisita
fattura.
Le
dame sfoggiavano le loro toilettes
più
eleganti e sontuose, alcune di esse, nel tentativo di apparire più
giovani erano
quasi ridicole, strizzate in busti allacciati così strettamente da
impedire
qualsiasi movimento, respiro compreso, imbellettate nel (vano)
esperimento di
fermare il tempo inesorabile e le rughe. Sembravano marionette
incartapecorite,
ma tutti i loro sforzi non potevano eguagliare la bellezza e
soprattutto la
giovinezza dell’Imperatrice cui volevano tanto somigliare.
Elisabetta
fece il suo ingresso al braccio
dell’Imperatore e scortata da una guardia d’onore, ufficialmente per
festeggiare il suo genetliaco, ufficiosamente per garantirne
l’incolumità. Era
bellissima e radiosa nell’abito da sera bianco, il cui davanti era
preziosamente ricamato con brillanti così fini da sembrare intessuti
nella
stoffa stessa. Per la prima volta da settimane sul suo viso era
comparso il
sorriso e quell’ombra scura che le velava lo sguardo era svanita.
Lady
Sarah era al suo fianco, sebbene un poco
discosta. Non l’aveva lasciata sola per un minuto, salvo il tempo di
prepararsi
per il ballo, ma durante quelle tre ore c’era stata la fedele Mathilda
a
vegliare sull’alveare di cameriere che aiutavano l’Imperatrice a
vestirsi.
Scrutava con occhi guardinghi la folla degli invitati per cercare fra
di essi
un atteggiamento, uno sguardo, un cenno sospetto.
Anche
l’Imperatore era sul “chi
va là”
nonostante non avesse voluto prestare fede alle parole di Milady.
Nondimeno
aveva rinforzato il già di norma imponente servizio d’ordine: le voci
su un
attentato erano troppo pericolose per ignorarle del tutto. Tuttavia
tutto
appariva esattamente come era: una festa con ospiti illustri in onore
del
Natale e del genetliaco dell’Imperatrice che cadeva proprio quel
giorno, il 24
Dicembre.
Man
mano che il tempo passava nulla accadeva;
Lady Sarah, pur stando sempre all’erta, cominciò a rilassarsi. Stava
chiacchierando,
comunque a poca distanza da Elisabetta, con la sorella di quest’ultima,
Elena
Turn und Taxis, quando notò con la coda dell’occhio l’alta figura del
Conte Von
Webb che fendeva la folla nella sua direzione.
Sul
volto un sorriso laido.
Lady
Sarah avrebbe voluto sganciarsi dalla
conversazione, ma sarebbe stato un gesto di scortesia nei confronti
della
Principessa Turn und Taxis, per cui restò mentre il Conte bavarese si
avvicinava sempre di più.
“Mesdames” si
inchinò, “desolato di dover
interrompere la vostra conversazione ma avrei necessità di conferire
con la
Baronessa de Bellegarde” disse compitamente.
“Ma
certo, Conte” replicò Elena allontanandosi
verso la madre che si intratteneva più in là con la sorella, la Regina
di
Prussia.
“Cosa
posso fare per voi?” chiese Lady Sarah.
“Gradirei
sapere il perché di un tale dispiego
di forze dell’ordine dentro e fuori dal palazzo” domandò con aria da
inquisitore spagnolo il bavarese.
“Non
sono la persona giusta cui domandarlo”
rispose la dama, “è stato l’Imperatore a disporre in tal senso. Teme
che
qualcuno possa attentare alla vita dell’Imperatrice proprio stasera”
terminò
fissandolo negli occhi.
Il
nobile non fece un plissé
ma osservò
piuttosto con fare allusivo: “Vi trovo diversa da qualche giorno fa…”.
Milady
non seppe trattenere un moto di
repulsione che fortunatamente il suo interlocutore non mostrò di notare.
“Siamo
in pubblico” rispose con occhi che
mandavano lampi e che Von Webb scambiò per una manifestazione di
passione a
stento repressa.
“Certo
mia adorata. Spero di rivedervi presto,
vorrei stasera stessa, ma è presente mia moglie.”
Lady
Sarah stette al gioco sperando così di
toglierselo di torno: “Ci vedremo quanto prima” e si allontanò.
Lontano,
non visto, D’Harmòn aveva occhieggiato
il breve scambio tra i due e la sensazione che qualcosa fosse accaduto
fra di
loro ne uscì rafforzata. Tuttavia reputò che non fosse il momento di
recarsi da
Milady, quindi preferì tenere sott’occhio un cameriere che si muoveva
con fare
circospetto. Già in un paio di occasioni aveva tentato di avvicinarsi
alla
sovrana e lui era stato sul punto di intervenire per fermarlo con
discrezione,
ma con fermezza. Però, quasi per un ripensamento, il cameriere aveva
desistito.
André aveva cercato fra la folla il Conte Von Webb, nel caso fosse
intercorso
un qualsiasi cenno fra i due, ma in entrambe le occasioni non l’aveva
scorto: o
non era presente oppure era altrove, lontano dal suo sguardo.
Stavano
per cominciare i balli e l’orchestra
stava accordando gli strumenti. Per il momento poteva stare tranquillo,
l’Imperatore aveva prenotato l’intero carnet della
consorte, ma al brindisi
all’Imperatrice avrebbe nuovamente dovuto tenere gli occhi aperti.
Ora
i suoi pensieri correvano in direzione di
Lady Sarah: nonostante i suoi dubbi, smaniava di aver ancora fra le
braccia il
corpo morbido e profumato di Milady, e dopo che la coppia imperiale
ebbe aperto
le danze, non resistette un minuto di più. Non appena le dolci note di
un
valzer si sparsero per la sala, si diresse verso di lei, ma quale fu la
sua
delusione non appena la vide accettare l’invito del Maresciallo
Radetzky.
Era
innamorato di lei, ormai ne era certo, e
avrebbe desiderato condurla via e portarla in Francia, a Chateau
D’Igne, per
farla conoscere ai suoi genitori e poi, dopo un consono periodo di
fidanzamento, condurla all’altare e farla sua per sempre.
Se
la Contessa Patricia Von Raab della casata
dei D’Harmòn avesse potuto udire i pensieri del figlio, ne sarebbe
stata
oltremodo lieta. Da tempo, infatti, nelle sue lettere gli ricordava che
il
padre stava invecchiando e che non possedeva più l’energia della
giovinezza e
che era ora che lui, André, mettesse la testa a posto, trovasse una
brava
fanciulla di buona famiglia, nobile s’intendeva, e la sposasse.
“Ebbene, madre”
pensò, “ho finalmente
trovato
la donna giusta per me. Ma quanto è difficile conquistarne il cuore!”
Non
visto la osservava volteggiare leggera fra
le braccia del Maresciallo come una nuvola rosa pallido e immaginava di
sentirla muovere fra le sue di braccia. Morbida, profumata,
desiderabile…
Il
valzer terminò e Milady, dopo aver
ringraziato il suo cavaliere, si diresse verso una delle salette
adiacenti per
sedere e riprendere un poco di fiato. Per tutta la durata del ballo si
era
sentita osservata come una cavia da laboratorio, ma non era riuscita a
capire
da dove provenisse, e soprattutto da chi provenisse, quello sguardo
insistente.
Poteva immaginarlo del resto… Von Webb era stato molto esplicito anche
poco
prima. Ma il suo cuore le diceva che non era il Conte bavarese ad
osservarla,
bensì due occhi chiari che non la lasciavano mai, anche nei suoi sogni.
André
la vide andare verso la saletta e la
raggiunse.
“Milady”
esordì non appena arrivato
appoggiandosi con nonchalance
allo stipite della porta, “state facendo strage
di cuori questa sera.”
“Voi
mi adulate troppo, Conte” rispose
facendosi aria con il ventaglio.
“Vi
state divertendo? Con così tanti
corteggiatori sarebbe impossibile non divertirsi…”
“Anche
voi Conte siete stato attorniato da
donne che non facevano altro che mangiarvi con gli occhi” replicò con
aria
birichina lei.
André
non rispose, si staccò dallo stipite e si
sedette accanto a lei.
“Quello
che fate è altamente sconveniente.”
“E
da quando in qua vi importa di ciò che è
conveniente e di ciò che non lo è?” chiese maliziosamente lui.
“Da
quando ho assunto questo incarico e mi sono
calata nella parte della Baronessa de Bellegarde.”
“Però
quando abbiamo cavalcato insieme…”
Lei
lo interruppe imperiosa: “Scordate quella
cavalcata Conte e ricordatevi della promessa che mi faceste”.
“Vi
dissi anche che non potevo promettervi che
non sarebbe accaduto nuovamente…”
A
Lady Sarah mancò il fiato e non per colpa
dell’odiato busto. Non aveva scordato quel bacio, anche se aveva fatto
di tutto
per riuscirvi, le mani di lui che affondavano nella sua capigliatura,
il sapore
delle labbra di André sulle sue e lo sconvolgimento dei sensi che tutto
ciò le
aveva causato. Da quel mattino, inconsciamente, aveva desiderato che
lui la
baciasse di nuovo, che la accarezzasse, ma la sua parte più razionale
aveva
soffocato il desiderio sul nascere.
Ora
che poteva di nuovo specchiarsi in quegli
occhi chiari, sentiva che qualcosa la stava trascinando via con forza
impetuosa. Aveva paura di quel qualcosa perché sapeva che l’avrebbe
portata alla
rinuncia della sua libertà, nondimeno, al contempo, ne era attratta,
forse
perché non l’aveva mai assaporato, forse perché non aveva mai bevuto
alla fonte
dolce-amara dell’amore… l’aveva sempre rifiutato perché recava solo
dolore e
sventura. Ed invece eccolo arrivare alla carica con le sembianze di
questo
francese bello come Narciso. Ma Sarah non voleva arrendersi, non si
sarebbe
arresa, non prima di aver combattuto e di aver venduto cara la pelle e
non
prima di aver riabilitato il nome del padre e della sua famiglia.
“Siete
così bella, Milady” stava dicendole in
un sussurro il Conte D’Harmòn, “che qualunque uomo con un po’ di senno
farebbe
carte false per poter avere in regalo anche uno solo dei vostri
sguardi.”
La
guardava e in quello sguardo lei vi lesse
una tale passione ed un sentimento così forte che le tremarono le gambe
e si
spaventò ancor di più. Provò l’irresistibile impulso di scappare via,
ma
qualcosa la trattenne.
“E
voi siete un uomo di senno Conte?”
“No”
rispose lui e la baciò.
Lady
Sarah non ebbe il tempo di reagire. Un
momento prima André era seduto accanto a lei ma a rispettosa distanza,
ed ora
la stava baciando. Chiuse gli occhi, lasciandosi andare alla corrente e
respirò
il profumo di lui, assaporò le sue labbra che si schiudevano per lei e
godette
della sensazione della sua mano sul proprio collo.
Ma
fu un attimo. Immediatamente la sua parte
razionale prese nuovamente il sopravvento e Lady Sarah si staccò
bruscamente.
“Come
osate approfittare di me in questo modo!”
esclamò offesa. Fece per alzare la mano e schiaffeggiarlo, ma lui le
bloccò il
polso con presa sicura e impedì che lo schiaffo giungesse a
destinazione.
“Non
mi approfitto di voi. E se l’ho fatto non
mi sono spinto così in là come il Conte Von Webb” le disse mentre
un’ombra cupa
gli scuriva gli occhi che ora assomigliavano ad un oceano in tempesta.
Lady
Sarah si alzò di scatto e fece per
allontanarsi, ma André la trattenne ancora per il polso guantato di
bianco,
mentre una muta domanda prendeva forma nell’aria. Nel salone, intanto,
l’orchestra aveva intonato una canzone di augurio per il genetliaco
dell'Imperatrice e a breve ci sarebbe stato il brindisi. Doveva esserci.
“Lasciatemi,
Conte” lo fulminò sibilando
inviperita. “Qualunque cosa abbiate in animo di chiedermi non otterrà
né
risposta né soddisfazione” e con uno strattone si liberò della presa.
Lui
la seguì e giunsero nel salone dei
ricevimenti proprio nel momento in cui gli invitati stavano levando i
calici
per un brindisi in onore della sovrana che sorrideva loro felice,
accanto
all’Imperatore, dal palchetto eretto vicino all’albero. Infatti, dopo
gli
auguri, le Loro Maestà avrebbero personalmente consegnato i doni di
Natale agli
ospiti.
Lady
Sarah e D’Harmòn presero al volo due flutes
colme di champagne
da un cameriere e si unirono al brindisi.
Lei
sperava che quell’indagine si sarebbe
risolta al più presto, non ne poteva più della Corte viennese, non ne
poteva
più del suo ridicolo protocollo, e soprattutto non ne poteva più del
Conte
D’Harmòn. Le aveva complicato l’esistenza, di per sé già non semplice,
e
desiderava soltanto andare il più lontano possibile da lui, tornare
alla
tranquillità del castello di Beaulieu e correre con il suo cavallo
preferito
per l’ampia campagna inglese fino a perdere la cognizione del tempo e
dimenticare
quel francese dagli occhi di mare.
Era
tempo di porre termine a tutto.
André
guardava di sottecchi la dama che gli
aveva fatto perdere la testa. Riconosceva di aver sbagliato baciandola
a quel
modo: non era questo il modo in cui avrebbe avuto accesso al cuore di
Lady
Sarah, ma l’impulso era stato troppo forte. Voleva imprimere un segno
su quelle
labbra morbide e profumate di vaniglia, voleva impossessarsene anche se
per un
breve, ma intenso, momento. E poi la gelosia… aveva letto nelle
profondità
ambrate negli occhi di Milady che Von Webb aveva ottenuto molto di più
di
quello che lei aveva detto. Era stato un attimo, ma quell’ombra di
disgusto che
si era materializzata e poi era svanita in un amen, era stata un
segnale chiaro
ed inequivocabile. Ma come aveva potuto? Come aveva…
Un
grido interruppe il filo dei suoi pensieri e
vide che, poco distante dall’Imperatrice, uno degli invitati si
accasciava a
terra, colto da malore. Subito si fece largo tra la folla e in men che
non si
dica era giunto accanto ai sovrani, seguito a ruota da Lady Sarah con
il
terrore dipinto sul viso.
A
terra l’uomo si contorceva negli spasmi del
dolore, le mani rattrappite stringevano il petto e il viso era
contratto in una
smorfia orrorifica.
Elisabetta
fissava con orrore la flute
di
champagne a
terra spezzata a metà dello stelo e Lady Sarah, mentre André
soccorreva il poveretto, seguì lo sguardo della sovrana ed impallidì.
Si
chinò e raccolse da terra il calice di vetro
e lo mostrò all’Imperatore dopo averlo odorato.
La
folla degli invitati si era raccolta in un
silenzio carico di aspettativa e di interrogativi. L’orchestra aveva
cessato di
suonare.
“Maestà”
disse mentre l’uomo veniva portato via
agonizzante su una barella dall’archiatra di Corte, “Maestà, questo
bicchiere odora
di mandorle amare e c’è il monogramma dell’Imperatrice…”
Un
mormorio stupito si diffuse nella sala.
La
madre e la sorella di Sissi le erano accanto
atterrite, mentre questa si appoggiava al consorte per non accasciarsi.
“Qualcuno
ha attentato alla vita
dell’Imperatrice” disse D’Harmòn con voce chiara in modo che tutti i
presenti
lo potessero udire, “e voi conoscete il nome del responsabile, Maestà.”
Francesco
Giuseppe, cui il sangue era defluito
completamente dal viso, ma che non aveva perso la calma, ordinò che
tutte le
porte del salone fossero chiuse e che nessuno uscisse fino a nuovo
ordine.
“Maestà”
intervenne Lady Sarah, “il
responsabile se ne è già andato, non serve a nulla trattenere i vostri
ospiti.
L’ho visto allontanarsi poco prima dell’incidente.”
Ed
era vero, nella frazione di secondo che
aveva preceduto il malore improvviso dell’ospite che aveva bevuto la
coppa
avvelenata al posto dell’Imperatrice, aveva potuto notare, seppure di
sfuggita,
il Conte Von Webb che, preso da una strana fretta,
usciva dal salone con la moglie sottobraccio
e un servitore al fianco.
Le
porte non vennero quindi chiuse e la folla
degli invitati sciamò fuori.
Immediatamente
l’Imperatore, mentre Sissi
veniva accompagnata nelle sue stanze pallida e provata, ordinò che il
Conte Von
Webb fosse ricercato e condotto immediatamente alla sua presenza.
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Capitolo 22 *** Nulla come previsto ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XXII
Nulla
come previsto
“Sei
splendida!” esordì Clayton, non appena la vide.
“Grazie”
rispose lei.
Con la
consueta galanteria che lo contraddistingueva, le
aprì la portiera dell’auto, attese che si accomodasse, la richiuse e
raggiunse
il posto di guida. Prima di rimettere in moto tentò di baciarla, ma lei
lo
fermò decisa: non voleva dargli illusioni riguardo alla serata. Aveva
deciso di
rivederlo solo per chiarire i motivi della sua decisione, non per
riprendere
qualcosa tra loro.
Lui si ritirò
senza commentare, accogliendo con eleganza
il suo rifiuto, anche se dentro di sé cominciava a spazientirsi: era
convinto
che lei lo avesse lasciato a causa delle continue menzogne che le aveva
raccontato riguardo il suo lavoro e aveva deciso di riconquistarla,
promettendole, se necessario, la luna pur di riaverla di nuovo nel suo
letto.
Per quanto riguardava la sincerità che Mac tanto reclamava,
semplicemente
sarebbe dovuto stare più attento e crearsi finzioni più credibili e
meglio
confezionate.
Mise in moto
e si diresse verso il ristorante dove aveva
prenotato il tavolo migliore. Si trattava di un locale elegante, molto
alla
moda, ma sufficientemente tranquillo e romantico. Aveva in mente un
perfetto
piano di seduzione, al quale lei non avrebbe di certo resistito. Sarah
amava
essere al centro dell’attenzione di un uomo… non importava se il suo
cuore
continuava a struggersi per il Comandante Rabb: era sufficiente che un
uomo la
adulasse, la riempisse di mille attenzioni, quelle attenzioni che aveva
sempre
smaniato da Rabb, per averla. E lui, in quanto a galanteria, adulazione
e
attenzioni ad una donna era di certo superiore al suo rivale. Proprio
per
questo l’aveva già avuta. E l’avrebbe avuta di nuovo.
La cena si
svolse come da copione: il cibo era perfetto e
la conversazione altrettanto. Clayton Webb, astuto com’era sua natura,
evitò
argomenti pericolosi, parlando di tutto fuorché del loro rapporto e
Mac, poco
alla volta, si rilassò. Nonostante tutto apprezzava la compagnia di
Clayton e
il suo modo di fare tanto accattivante con le donne. Era un perfetto
cavaliere,
romantico e appassionato, quando voleva. E in quel momento sembrava
volerlo
molto.
Soltanto al
termine della serata, quando la riaccompagnò a
casa, lei si accorse che non avevano chiarito proprio nulla. Se ne rese
conto
quando lui tentò nuovamente di baciarla.
“No, Clay…”
“Perché no?
Siamo stati benissimo, questa sera, non trovi?
Ti prometto che le cose cambieranno, Sarah…”
E così
dicendo le aveva preso una mano, per portarsela
alle labbra, dimenticando per un attimo il bacio che voleva darle.
Quel gesto
sorprese Mac la quale, come catapultata in
un’altra dimensione temporale, s’immaginò André D’Harmòn che baciava la
mano a
Lady Sarah… presa da quella fantasia, permise a Webb di andare oltre al
semplice
baciamano. Infatti lui, vedendo che non rifiutava quel gesto, decise di
proseguire nel suo intento e le fece scivolare la mano dietro la nuca,
attirando a sé il suo volto. Posò la bocca sulla sua e s’impossessò
avidamente
delle sue labbra.
“Come il Conte…”
pensò Mac, mentre rispondeva al bacio
quasi senza rendersene conto.
Incoraggiato
dalla sua risposta, Clayton fece scivolare
l’altra mano sulla pelle scoperta della sua gamba e risalì lentamente…
Soddisfatto perché non lo aveva ancora fermato, la strinse più forte a
sé e le
sussurrò all’orecchio:
“Perché non
saliamo a casa tua?”
Fu quello il
suo errore: farle udire la propria voce.
Lei, infatti,
era presa dall’incanto del suo sogno. Era
tra le braccia di André D’Harmon, il “suo” André D’Harmon, il
bellissimo
Comandante che le leggeva le parole di un nobile di un secolo prima…
tutte le
parole appassionate che aveva sempre voluto sentirgli dire…
Quella voce
al suo orecchio non era la voce di Harm!
Si riscosse
brutalmente, come sotto una secchiata d’acqua
gelida, e si rese conto solo in quel momento di quello che realmente
stava
accadendo: era tra le braccia di Clayton Webb, dopo aver risposto ad un
suo
bacio, e con la sua mano che stava cercando di risalire verso le sue
parti più
intime…
“Fermati,
Clayton” disse finalmente decisa.
“Perché?”
domandò lui, travolto dal desiderio del suo
corpo, senza far cenno d’averla presa sul serio: credeva volesse
giocare un
po’, facendosi desiderare di più... era tipico delle donne come lei.
“Fermati ho
detto!”
Finalmente
lui si bloccò, di fronte al tono secco della
sua voce. La guardò sprezzante e divertito: “Che ti succede? Vuoi fare
la
preziosa?”
Lei lo
fulminò con lo sguardo, anche se doveva riconoscere
che era stata solo colpa sua. La sua reazione al bacio doveva avergli
fatto
credere che le cose tra loro potessero ricominciare.
“Mi spiace,
Clay. Mi spiace d’averti fatto credere il
contrario, ma sono uscita con te solo per dirti i motivi che mi hanno
spinta a
lasciarti.”
“E avevi
intenzione di dirmeli a letto? Visto come hai
risposto al mio bacio, cosa dovevo pensare? E poi…”
“Hai ragione,
scusami. E’ che…”
“Che cosa,
Sarah? Che non sono l’uomo che vorresti
baciare?”
“Smettila,
Clayton. Tu non capisci…”
“Oh, sì che
capisco. Capisco benissimo. Io ti amo, Sarah.
Ti amo e ti voglio. Ma tu continui a tenermi sulla corda, e solo perché
speri
sempre che Harmon Rabb ti voglia, vero?”
“Sei odioso,
ora.”
“Solo perché
dico la verità?” chiese cattivo. Poi,
accorgendosi che era la strada sbagliata, ritornò sui propri passi.
“Scusami…
scusami, Sarah. E’ che ho sofferto molto quando
mi hai detto che non volevi più vedermi… credevo che questa sera
potesse essere
un nuovo inizio, per noi. Dimentica le mie parole… non le penso
davvero…
dimentica tutto, tranne che ti amo. Che ti amo moltissimo…”
Lei si sentì
confusa e in colpa: in fondo quello che Clay le aveva detto era in
parte vero.
Lei voleva Harm. Lo aveva respinto, in Paraguay, e ora non sapeva come
fargli
capire che aveva cambiato idea, che avrebbe voluto provare ad avere una
storia
con lui. Lo aveva baciato, ma neanche quello sembrava averlo smosso più
di
tanto.
Lei lo
desiderava; desiderava un uomo…
Accidenti,
che confusione! Perché la sua vita doveva
essere sempre tanto complicata?
Eccolo lì un
uomo. Un uomo che la voleva…
Peccato che
lei desiderasse l’unico che non le avrebbe mai
detto le parole che avrebbe voluto sentirsi dire! Anche quando le aveva
fatto
capire di desiderarla, in quella camera d’albergo in Paraguay, non lo
aveva
fatto in maniera chiara e decisa, ma solo con allusioni e giri di
parole.
E lei lo
aveva rifiutato…
“E’ meglio
che vada” disse a Clayton Webb.
“No… fermati
ancora un poco. Parliamo… parliamo soltanto.
Ti prego, Sarah…”
“E’ inutile,
Clay. Non tornerò sulla mia decisione…” disse
mentre apriva la portiera e scendeva dall’auto.
Si chinò al
finestrino che lui aveva abbassato per
salutarlo e sentì che le diceva:
“Neppure io
abbandonerò la mia idea: ti amo e farò di
tutto per convincerti a tornare con me. Buonanotte, Sarah.”
Quindi se ne
andò, lasciandola sola sul marciapiede sotto
casa, più confusa che mai.
***
“Vi
consiglio, Conte, di abbandonare Vienna
assieme a Lady Sarah prima possibile” disse Francesco Giuseppe non
appena la
festa si fu conclusa.
Lady
Sarah aveva accompagnato nei suoi
appartamenti l’Imperatrice, lasciando soli il Conte D’Harmòn e
l’Imperatore.
Questi,
preoccupato per la sorte del Conte e di
Lady Sarah, stava spiegando a D’Harmòn i motivi per i quali, a suo
avviso,
avrebbe dovuto abbandonare Vienna assieme a Milady.
“Credete
davvero che sia necessario, Vostra
Maestà?” chiese André.
“Certamente,
Conte. E’ troppo pericoloso per
voi restare ancora a palazzo. Soprattutto per Milady… credo che si sia
spinta
troppo oltre con il Conte Von Webb per ottenere certe informazioni che
non
avrebbe avuto altrimenti… e voi lo sapete, André.”
Lo
sapeva, eccome se lo sapeva! Ma sentirlo
confermare dall’Imperatore stesso era come ricevere una nuova pugnalata
al
petto.
L’Imperatore
non poteva immaginare quanto le
sue parole gli stessero facendo del male… eppure aveva ragione: Lady
Sarah era
in pericolo. Anche se non si fosse concessa al Conte bavarese, di certo
lui
avrebbe interrogato la Battyàny e quella, pur di non mettere in
pericolo la
figlia, avrebbe detto qualunque cosa contro la Baronessa de Bellegarde.
Doveva
andarsene e portare con sé Lady Sarah. E
questo prima che l’Imperatore sguinzagliasse i suoi uomini alla ricerca
di Von
Webb, altrimenti sarebbe stato troppo tardi.
“D’accordo,
Vostra Maestà, farò come mi
chiedete” acconsentì il Conte.
“Mi
spiace privarmi della vostra compagnia e
del vostro aiuto, Conte D’Harmòn, lo sapete bene, ma la vostra vita e
quella di
Milady sono in serio pericolo… Non intendo permettere che possiate
correre
ulteriori rischi. Entrambi avete svolto egregiamente il compito
assegnatovi;
ora spetta alle mie guardie catturare quel maledetto traditore…”
aggiunse
Francesco Giuseppe.
“Grazie,
Vostra Maestà” rispose umilmente il
Conte D’Harmòn. Portava un grande rispetto per quell’uomo quasi suo
coetaneo,
cui il compito il destino gli aveva dato carico a volte pareva essere
più
grande di lui, eppure lo perseguiva con instancabile energia.
S’inchinò
rispettosamente al cospetto del
Sovrano del più grande impero europeo e se ne andò, lasciandolo solo ad
affrontare l’ordine forse peggiore che avrebbe dovuto dare ai suoi
uomini:
catturare la persona che, a parte sua madre e la sua adorata moglie,
gli era
stata più vicina da quando era diventato Imperatore.
***
Guardava il
diario del conte e intanto la immaginava tra
le braccia di Webb.
Era andato a
casa, al termine dell’orario d’ufficio, ma si
era sentito come un animale in gabbia: continuava a vederla con Clayton
e non
aveva resistito. Si era rimesso la giacca dell’uniforme che non si era
neppure
tolto ed era tornato al Jag.
Voleva
tentare di lavorare un po’: avevano fatto grandi
passi avanti nella ricerca, soprattutto grazie al ritrovamento della
rotta
della Medea
risalente al viaggio del 1857. La mappa nautica confermava le
lettere ricevute dalla moglie di Blackbird datate fine novembre 1856 e
provenienti dall’Italia: dalle missive risultava che l’Ammiraglio
avesse
scortato un generale e la moglie a Roma, in vista del matrimonio della
loro
figlia con un nobile italiano.
Eppure la
rotta Marsiglia–Southampton–Southampton–Boston
da sola ancora non confermava che la Medea avesse trasportato Lady
Sarah e il
Conte D’Harmòn.
Fino a quel
momento, dalla lettura del diario, sapevano
solo che D’Harmon e Lady Sarah sospettavano Von Webb di essere colui
che voleva
uccidere l’Imperatrice Elisabetta d’Austria. L’unica altra cosa certa
della
quale erano a conoscenza era che il diario del conte si trovava a bordo
della
nave, altrimenti non si spiegava come fosse finito tra gli effetti
personali
dell’Ammiraglio Blackbird.
Ma come e
perché ci fosse finito era ancora tutto da
scoprire.
Aveva deciso
di portarsi avanti con il lavoro, ma aveva
trovato sul tavolo il diario del conte, che Mac aveva scordato in
ufficio,
certamente tutta presa dall’emozione per la serata con il suo amante.
Dannazione,
quanto la odiava quando lo faceva sentire
così!
Perché gli
aveva fatto credere di aver rotto con Webb
quando non era vero?
Eppure
sembrava sincera, quando glielo aveva detto.
E se fosse
stato Webb a convincerla ad uscire?
Già, ma lei
aveva accettato.
Oh,
accidenti…
Si stava
comportando esattamente come quell’idiota di un
francese, innamorato di una donna che non lo degnava di uno sguardo,
che lo
respingeva e al tempo stesso lo baciava, mentre si portava a letto un
altro…
Eppure
l’avrebbe voluta lì con lui, a continuare la
lettura di quello stupido diario, perché era certo che la chiave di
quella
vicenda fosse tutta lì, tra quelle pagine. Inoltre doveva ammettere che
era
curioso di sapere cos’era accaduto a lady Sarah e al conte.
Invece lei
era con Clayton...
La vide
ridere alle sue battute, la immaginò mentre
rispondeva con passione ai suoi baci e alle sue carezze e sentì il
doloroso
morso della gelosia.
No, si disse,
non era gelosia la sua. Solo rabbia. Rabbia
per come l’aveva di nuovo illuso…
Era davvero
stanco di quel tira e molla con lei…
Ma,
nonostante tutto, si rese conto che non riusciva a
fare a meno di Mac.
***
Uscì
furtiva dalla sua stanza con solo la
piccola borsa che aveva con sé al suo arrivo a Vienna poco più di tre
mesi
prima; il lungo e pesante mantello nero che aveva ripiegato al braccio
la
nascondeva alla vista, per destare meno sospetti nel caso avesse
incontrato
qualcuno: poteva sempre dire che non riusciva a prendere sonno e che
stava
andando a fare una cavalcata… Certo, sarebbe stata presa per pazza se
avesse
detto ad un servitore o a chiunque che stava per uscire a cavallo alle
quattro
del mattino, ma che importava? Era già stata vista recarsi alle
scuderie
all’alba, infagottata in abiti maschili… in quel momento era prima del
solito,
ma poteva addurre come scusa gli avvenimenti accaduti durante il
ricevimento di
Natale.
Ancora
più attenta del solito a non far rumore,
prese a scendere il grande scalone diretta all’appuntamento con André
D’Harmòn.
Il Conte l’aveva avvertita, non appena era uscita dagli appartamenti
dell’Imperatrice, che Sua Maestà Francesco Giuseppe aveva ordinato loro
di
abbandonare al più presto Vienna e l’Austria, per sfuggire a Von Webb
il quale
avrebbe di certo cercato di ucciderli non appena si fosse reso conto
che si
sospettava di lui come mandante dell’assassinio dell’Imperatrice
Elisabetta.
Andrè
D’Harmòn le aveva concesso non più di
un’ora per preparare le sue cose e raggiungerlo al limitare dei
giardini, dove
li attendeva una carrozza messa a disposizione da Sua Maestà, che li
avrebbe
condotti in Francia. Alla cattura di Von Webb ci avrebbero pensato le
guardie
dell’Imperatore.
Uscì
dal Palazzo e rabbrividì per il gelo della
notte. Pensò di fermarsi un attimo per indossare il pesante mantello
che
l’avrebbe riscaldata un po’, ma poi preferì evitare di perdere tempo:
prima
partivano, meglio sarebbe stato.
S’incamminò
rapidamente lungo il viale che
conduceva al grande cancello che delimitava la residenza degli Asburgo
ed era
arrivata circa a metà strada quando, all’improvviso, un’ombra le si
parò di
fronte, sbucando da dietro un cespuglio che costeggiava il viale.
Inizialmente
pensò che si trattasse del Conte D’Harmòn, che le era venuto incontro,
ma si
disse subito che se fosse stato lui non l’avrebbe colta così di
sorpresa. E poi
l’uomo incappucciato non era alto quanto André…
Anche
se il volto era ancora coperto alla sua
vista, quando sentì la lama di una spada che le premeva contro il
petto,
comprese immediatamente chi aveva di fronte e si rese conto che la sua
vita
sarebbe finita molto presto...
Non
provò paura all’idea che Von Webb l’avrebbe
uccisa: l’unico pensiero che le attraversò la mente fu che non avrebbe
più
rivisto gli occhi di André D’Harmòn.
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Capitolo 23 *** Di corsa contro il tempo ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XXIII
Di
corsa contro il tempo
25 Dicembre 1856
Quest’ora
credo sia la più lunga della mia vita: ho già
radunato i pochi effetti personali che porterò con me per ritornare in
Francia.
L’unico tesoro che desidero avere con me è lei.
L’Imperatore
ha ragione: Lady Sarah è in pericolo e devo
condurla lontano da Vienna al più presto. Se Von Webb sospetta che
siamo sulle
sue tracce tenterà di ucciderla. E dopo ciò che è accaduto alla festa
questa
sera, temo proprio che avremo quel traditore alle costole.
La
carrozza che Sua Maestà ci ha messo a disposizione per
il viaggio attende al limitare dei giardini, nei pressi dell’entrata
alla
residenza. Francesco Giuseppe è stato davvero magnanimo con noi, nel
concederci
questa opportunità di fuga. Non potrò mai ringraziarLo abbastanza.
Mi
auguro solo che le guardie di Sua Maestà riescano a
catturare Von Webb al
più presto.
Ho
detto a Milady che l’avrei attesa in carrozza, ma ho un
brutto presentimento…
Credo
che lascerò Robert ad attendere Lady Sarah alla carrozza
e io le andrò incontro a cavallo. Spero di sbagliarmi e che la mia sia
una
precauzione inutile, ma...
Temo
per la sua vita, molto più di quanto tema per la mia.
Amo
quella donna al punto che morirei per salvarla…
***
“…al punto che morirei per salvarla”.
Quella frase
la colpì profondamente e, per la prima volta,
si rese conto di quanto fosse vera.
In Paraguay
Clayton aveva quasi dato la propria vita per
salvare la sua, facendosi torturare al suo posto. E lei gli era stata
riconoscente al punto che aveva creduto di ripagarlo mettendosi con lui.
Ma non aveva
mai riflettuto sul semplice fatto che anche
qualcun altro aveva fatto altrettanto per lei.
Harm.
Harm aveva
messo a repentaglio la sua carriera, per
accorrere a salvarla…
Lei aveva
sempre pensato solo a quello: la carriera.
E lo aveva
considerato semplicemente il classico gesto
impulsivo alla Harmon Rabb jr., quello che lui avrebbe fatto per
chiunque. O meglio, forse non per chiunque, ma certamente per
un
amico.
Non aveva mai
considerato che, raggiungendola in Paraguay,
Harm non avesse messo in gioco solo la sua carriera, ma anche e
soprattutto la
propria vita.
Per lei.
Perché l’amava.
Come mai
questo pensiero non le aveva attraversato il
cervello prima d’ora? Perché non aveva mai pensato ai rischi corsi da
Harm per
salvarla dalle torture e da Sadik? E’ vero, lui non aveva subito alcun
danno
fisico, invece Webb era stato costretto in ospedale per settimane al
rientro da
quella missione. Ma mentre Clayton stava svolgendo il suo lavoro e
correndo rischi
calcolati, Harm aveva lasciato il Jag, aveva rassegnato le dimissioni
dalla
Marina e aveva messo a repentaglio la propria vita solo per andarla a
cercare e
per riportarla a casa sana e salva.
E lei, in
Paraguay, gli aveva domandato perché lo avesse
fatto!
Ricordò la
sua risposta: “Lo sai
per quale ragione” ma lei
aveva ribattuto “Non
credo…” e poi aveva aggiunto che le era piaciuto che un
uomo, ossia Clayton, si scoprisse al punto da confessarle che l’amava,
senza
paura di dichiarare il suo amore.
Solo ora si
rendeva davvero conto che anche Harm aveva
fatto lo stesso, non con parole, ma con i fatti. Fatti che lei aveva
sottovalutato, attribuendoli più ad un colpo di testa, ad un bel gesto
teatrale, e che invece erano da attribuirsi ad un rischio calcolato, ad
una
decisione presa solo per amore. Lei continuava ad aspettarsi da Harm
parole e
frasi dolci, mentre lui le dimostrava il suo amore rischiando più volte
la
propria vita per salvarla. Ricordò come l’avesse sempre protetta:
quella volta
che se l’era caricata in spalla ferita ad una gamba dai bracconieri;
quando le
aveva praticato la respirazione bocca a bocca mentre stava per morire
soffocata
su quel sottomarino, per non parlare di quando l’aveva salvata da quel
maniaco
che la perseguitava fino ad arrivare al salvataggio in Paraguay…
“Che stai
facendo? Continui senza di me?” la sua voce la
sorprese, tanto che si voltò verso di lui e solamente il vederlo le
procurò
un’emozione indescrivibile. Solo la sera prima Clayton l’aveva confusa
di nuovo
con i suoi baci, semplicemente con quel modo di fare accattivante che
lei
desiderava disperatamente da un uomo. Ma ora, di fronte ad Harm che le
sorrideva divertito per averla sorpresa a leggere il diario di
D’Harmòn, capì
che tutto il fascino di Clay, tutta la riconoscenza e il senso di colpa
che
poteva provare per le torture che aveva subito pur di proteggerla, non
potevano
farglielo amare quanto amava Harm. Lei stessa, pur non avendoglielo mai
detto,
glielo aveva più volte dimostrato: non era stata lei a seguirlo in
Russia
mentre cercava suo padre? Non era per salvarlo che aveva dato retta a
Chloe e
aveva fatto il possibile per concentrarsi e avere una delle sue “visioni”,
nonostante fosse completamente paralizzata dal pensiero di non poterlo
più
rivedere vivo? Non era stata forse lei a mettersi su quella mina per
evitare
che esplodesse e lo uccidesse?
Anche lei lo
amava al punto che sarebbe morta per lui…
Quel pensiero
la fece sorridere: pretendeva da lui quello
che lei stessa non era in grado di dargli.
Chissà quante
volte Harm avrebbe desiderato che
comprendesse l’amore che nutriva per lei e non continuasse a
rinfacciargli che
si nascondeva sempre dietro alle battutine... Probabilmente tante
quante lei lo
aveva accusato di non ammettere mai apertamente i propri sentimenti.
“Allora? Non
rispondi? Hai deciso di continuare senza di
me?” chiese di nuovo lui, vedendola pensierosa.
“Stavo solo
sbirciando, dopo aver visto i tuoi appunti.
Hai lavorato anche ieri sera?”
“E tu? Che
hai fatto ieri sera? Ti sei divertita?” domandò
Harm a sua volta, con un sorrisetto che era tutto un programma.
Sapeva del
suo appuntamento con Clayton, si disse: quel
tono, quel provocarla, erano tipiche di quando era geloso. Sorrise alla
nuova
consapevolezza che la sua gelosia non era solo il frutto di rivalità
tra
uomini, o del tipico atteggiamento di superiorità di Harmon Rabb, ma di
rabbia
e forse anche di dolore, sentimenti che derivavano dall’amore che lui
sentiva
per lei. Amore che gli riusciva difficile confessarle, ma che, ora ne
era certa,
lui provava.
“Dal tuo
sorriso devo dedurre che ti sei divertita…” gli
sentì dire, con un tono a metà tra la presa in giro e la delusione.
“Sono uscita
con Clayton…”
“Capisco.”
“No, non
credo, Harm. Ma non importa… Senti, che ne dici
di continuare a pranzo la lettura del diario? A quanto pare sembra che
vi siano
nuovi sviluppi…” gli disse, sventolandogli sotto il naso il quadernetto
in
pelle, mentre lo prendeva sotto braccio e lo conduceva fuori dalla sala
riunioni, con aria allegra.
Più allegra del solito,
si disse Harm seguendola docile:
chissà se era perché tanto interessata alla continuazione della vicenda
o a
causa di quello che era successo la sera prima con Webb?
Di certo non
perché si accingeva a mangiare un panino
assieme a lui...
***
Era
rimasta paralizzata dalla sorpresa di
trovarselo di fronte e dalla consapevolezza che presto la sua vita
sarebbe
terminata, ma fu solo per un attimo. Lei era una combattente nata e non
avrebbe
dato a quell’essere viscido e traditore la soddisfazione di vederla
impaurita.
“Conte…
che sorpresa vedervi!” disse con la
stessa aria civettuola che aveva usato per circuirlo. “Non riuscivo a
prendere
sonno, dopo il ricevimento di questa sera, e stavo facendo due passi…
Vorreste
accompagnarmi?” aggiunse quindi, fingendo di non essersi neppure
accorta che
lui le puntava la spada al petto.
“Milady,
voi siete davvero sorprendente,
sapete?”
“Dite
davvero, carissimo Klaus?” continuò con
lo stesso tono.
“Credo
che voi siate un’attrice nata… Ditemi:
fingevate anche tra le mie braccia qualche giorno fa?” disse lui,
premendo
maggiormente sulla spada.
“Voi
che ne dite, caro Conte? Dovreste sapere
che effetto fa sulle donne la vostra virilità e la vostra passione…”
rispose
Lady Sarah, questa volta con tono sarcastico.
“Nessuna
donna si è mai lamentata delle mie
prestazioni!” esclamò lui inviperito.
“Forse,
allora, sono tutte brave quanto me a
fingere…” buttò lì Lady Sarah, quasi stesse pensando ad alta voce.
“Allora
ammettete che stavate fingendo! Lo
avete fatto per carpirmi delle informazioni, vero?” abbaiò Von Webb, al
limite
della collera. Sapeva di rendersi ridicolo, ma era rimasto talmente
affascinato
da Milady che, anche quando si era reso conto di come erano andate le
cose,
faticava a farsene una ragione. Per questo, prima di ucciderla, voleva
sentirselo dire in faccia.
Doveva
ucciderla, questo era certo. Eppure, in
quel preciso istante, l’avrebbe presa proprio lì, a terra, su quel
viale, da
tanto la desiderava. E più gli resisteva, più la scopriva indomita e
fiera, più
bramava per possederla di nuovo.
“Noto
che vi è rimasto un briciolo
d’intelligenza, Conte. Per quale altro motivo mi sarei concessa a voi,
se non
fosse stato per ottenere le informazioni che volevo? Non avrete
creduto, mi
auguro, che lo abbia fatto perché… perché attratta da voi, vero? Oh,
cielo! No…
non mi dite che lo avete pensato! Che davvero avete creduto che avessi
perso la
testa per voi!” disse divertita. Poi, prima che lui potesse replicare
qualcosa,
aggiunse con tono durissimo: “Mi ha fatto ribrezzo ogni singolo istante
in cui
il vostro corpo è stato a contatto con il mio…”.
Un
violento schiaffo la colpì in pieno viso,
facendola barcollare.
Non
appena si riprese, sorrise soddisfatta nel
comprendere quanto quelle parole lo avessero ferito nella sua virilità.
Ma quel
bastardo non si meritava altro…
“Morirete,
per questo…” lo sentì dire, mentre
vide la spada di Von Webb sollevarsi, pronta ad ucciderla.
Avvenne
tutto in un attimo.
Sentì
la lama penetrarle nel braccio, e
inconsciamente si rese conto che si stava domandando come lui avesse
potuto
mancarla. Poi realizzò che qualcuno stava lottando con Von Webb: non si
era
neppure accorta che un uomo a cavallo era piombato sul Bavarese, tanto
lo
schiaffo l’aveva stordita.
André
stava raggiungendo Lady Sarah come si era
ripromesso, quando aveva notato, al chiarore della luna, due ombre che
si
muovevano concitate, anziché una come si era aspettato. Senza indugiare
aveva
spinto il suo cavallo, facendogli percorrere rapidamente le poche
centinaia di
metri che lo separavano dalle due figure, arrivando giusto in tempo per
lanciarsi su Von Webb mentre la lama della sua spada stava per
trapassare
Milady in pieno petto.
La
lotta tra i due uomini durò ancora qualche
secondo, finché il conte austriaco riuscì a sottrarsi al francese
l’attimo
sufficiente per dileguarsi nella notte.
André
D’Harmòn l’avrebbe inseguito, se non
fosse stato per la preoccupazione di accertarsi che Lady Sarah fosse
ancora
viva e portarla via al più presto.
Quando
la vide in piedi, e non a terra come
aveva temuto nello scorgere la spada di Von Webb alzata su di lei, non
si
preoccupò neppure di chiederle come stava: gli era sufficiente vederla
ancora
viva per tornare a vivere anche lui.
Recuperò
alla svelta il suo cavallo, la borsa e
il mantello di Lady Sarah; la issò in sella, salendo dietro e
cingendola alla
vita, quindi spronò l’animale al galoppo e fuggì con lei in una
disperata corsa
contro il tempo.
|
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Capitolo 24 *** Cambio di direzione ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XXIV
Cambio
di direzione
Aveva
spinto il cavallo al limite delle forze
per parecchio tempo, costringendolo al galoppo con un peso maggiore di
quello
cui l’animale era abituato e ora sapeva che doveva farlo riposare.
Si
era diretto a sud, anziché verso nord-ovest,
come in programma per il viaggio in carrozza. Von Webb era fuggito e
sapeva: se
le guardie non lo avessero catturato in tempo, certamente li avrebbe
inseguiti
per ucciderli.
La
Borgogna, ormai, non era più una meta
sicura. Sarebbe stato meglio dirigersi altrove e raggiungere Cluny
quando
fossero stati certi che Klaus Von Webb era stato catturato.
Di
lì a poco sarebbe sorta l’alba e sarebbe
stato meglio trovare al più presto una locanda per cambiare il cavallo
e
trovarne uno anche per Lady Sarah. Più rapidamente si fossero mossi e
più
probabilità avrebbero avuto di salvare la pelle.
Concentrato
su questi pensieri, non si rese
conto di stringere con più forza la donna tra le sue braccia, quasi per
timore
di vedersela scivolare via.
“Conte…
mi state facendo male…” la voce di lei
gli arrivò debolissima, quasi un sussurro. All’inizio pensò che fosse a
causa
del rumore degli zoccoli sul selciato, ma poi osservò il suo volto,
pallido e
tirato in una smorfia di dolore.
Rallentò
la corsa del cavallo, allentando al
tempo stesso la presa alla vita di Milady, solo per vederla accasciarsi
contro
la sua spalla, priva di sensi.
Solo
allora si accorse che la donna era stata
ferita ad un braccio.
Preoccupato
che avesse perso già troppo sangue,
lanciò di nuovo l’animale al galoppo, finché non vide, in lontananza,
una
locanda che faceva al caso loro.
Quando
vi giunse, smontò rapidamente e bussò
alla porta con Lady Sarah tra le braccia. L’oste, che stava dormendo,
fu
destato dai colpi e gli aprì in camicia da notte; ignorandolo, André
D’Harmòn entrò
e depose la donna su un piccolo divano che aveva scorto nell’ingresso,
domandando subito una camera e l’occorrente per medicare Milady che si
era
ferita cadendo da cavallo.
Immediatamente
l’oste provvide a soddisfare le
richieste del nobiluomo, chiedendo se doveva svegliare la moglie
affinché si
occupasse della signora. Il Conte rifiutò, sostenendo che si sarebbe
preso cura
lui della propria consorte, poiché aveva conoscenze in materia. Non
avrebbe
permesso a nessuno di occuparsi della donna che amava. Sapeva come
curare una
ferita e voleva essere lui stesso ad accertarsi delle condizioni di
Lady Sarah:
sperava non fosse necessario ricorrere ad un medico, perché meno
persone li
avessero notati, meglio sarebbe stato.
Mentre
la trasportava nella camera indicatagli
dall’oste, chiese anche del cibo e ordinò che gli fossero preparati due
cavalli
tra i migliori che avessero: non appena Milady si fosse ripresa,
sarebbero
ripartiti.
L’oste
obbedì, senza porre domanda alcuna. Era
abituato a non immischiarsi in faccende che non lo riguardavano… da
tempo aveva
scoperto che era il miglior modo per lavorare senza correre rischi.
Pertanto
non si domandò neppure come mai due nobili stessero fuggendo da Vienna
– perché
di certo era quello che stava accadendo ai due ospiti – proprio la
notte di
Natale.
André
depose Lady Sarah sul letto e, accertatosi
di nuovo che fosse solo svenuta, le sfilò lentamente la giacca;
dopodiché
slacciò la camicia e gliela fece scivolare dalle spalle, per scoprirle
il
braccio ferito.
Il
sangue aveva inzuppato parecchio il tessuto,
ma, osservando il taglio, notò con sollievo che era meno profondo di
quanto
avesse temuto. Lo lavò e lo disinfettò, controllando che la lama avesse
reciso
solo la fascia muscolare superficiale; quindi unì i lembi della ferita
che
ormai non sanguinava più e fasciò il braccio. Con un panno bagnato pulì
anche
la pelle circostante, per togliere il sangue rappreso. Infine sollevò
delicatamente Milady, le tolse la camicia sporca
e le infilò al braccio sano quella pulita che
l’oste gli aveva procurato.
Eseguì
tutte quelle operazioni in assoluto
silenzio e unicamente concentrato sul respiro di lei, attento al minimo
segnale
di cambiamento. Si dimenticò del suo corpo, di quanto fosse bella e di
come
l’aveva di fronte, con la semplice biancheria intima, per altro
parecchio più
ridotta del consueto poiché Lady Sarah indossava abiti maschili, finché
non
ebbe terminato di medicarla; ma quando fu sul punto di chiuderle la
camicia sul
petto, esitò un momento, affascinato dalla pelle delle sue spalle e
dall’incavo
del seno che aveva così a portata di mano.
Le
emozioni appena vissute e il terrore di
perderla gli fecero abbassare la guardia, scoprendosi a sfiorarla
laddove
avrebbe desiderato posare le proprie labbra con avidità… percorse
lentamente
con le dita quella pelle che aveva sognato milioni di volte di
accarezzare,
affascinato dalle sensazioni che quel fugace contatto stava
trasmettendo alle
sue terminazioni nervose.
Bloccò
la mano all’altezza del suo seno quando
vide due occhi scuri, profondi, che lo stavano osservando: Lady Sarah
aveva
ripreso conoscenza e lo stava guardando.
André
scoprì di non sentirsi affatto
imbarazzato: voleva quella donna più di qualunque altra cosa avesse mai
desiderato
in vita sua e non aveva nessuna difficoltà a dirglielo.
Attese
che dalle sue labbra fuoriuscisse un
commento sagace, oppure un rimprovero; diede anche una rapida occhiata
al
braccio sano, quasi ad attendersi uno schiaffo che lo rimettesse al
proprio posto,
consapevole di essere stato colto in atteggiamento sconveniente; attese
ma non
accadde nulla. Vide solo nei suoi occhi un’emozione che gli bloccò il
respiro
in gola e capì che anche lei stava provando le sue stesse sensazioni.
Ma
quello non era né il momento né il luogo
adatto per amarla; inoltre era ferita e aveva perso parecchio sangue.
Dopo ciò
che le era successo doveva mangiare qualcosa e riposarsi, per essere in
grado
di sopportare altre ore a cavallo. Con uno sforzo enorme, si costrinse
a chiuderle
la camicia, mentre lei lo osservava, sempre in silenzio.
Non
proferì parola neppure lui. Si rese conto
che non ne servivano: lui aveva capito il suo coraggio nel sopportare
la
propria ferita senza dire nulla per non ostacolare la loro fuga; lei
aveva compreso
l’emozione che lo stava guidando mentre l’accarezzava.
L’aiutò
a sollevarsi, mettendole due cuscini
dietro la schiena, e le porse il vassoio con il cibo che l’oste aveva
preparato
nel frattempo. Mangiarono entrambi poche cose in assoluto silenzio,
osservandosi di tanto in tanto, finché lei si assopì, vinta dalla
stanchezza.
Decise
di lasciarla riposare per qualche ora;
sarebbero ripartiti non appena avesse ripreso un poco le forze.
***
25 Dicembre 1856
E’
talmente bella da far male al cuore!
Si
è addormentata subito dopo aver consumato un leggero
pasto e ho deciso di lasciarla riposare per farle riprendere le forze.
La
ferita al braccio, fortunatamente, non è grave, anche se quando ho
visto la
spada di Von Webb alzarsi su di lei ho temuto che l’avrei persa per
sempre. Ho
temuto per la sua vita anche quando me la sono vista svenire tra le
braccia,
mentre fuggivamo a cavallo. Fortunatamente ci hanno accolti in questa
locanda,
anche se è il giorno di Natale, così ho potuto medicarla ed accertarmi
che non
avesse bisogno di un dottore. Non appena si risveglierà, continueremo
il
viaggio.
Credo
sia meglio proseguire verso il sud della Francia
passando attraverso il Lombardo-Veneto e il Regno di Savoia, anziché
dirigerci
immediatamente in Borgogna. Von Webb sa dove si trova lo Chateau di
famiglia e
si aspetterà che mi diriga lì, per portare al sicuro Milady. Pertanto
da qui
prenderemo la via per Innsbruck per
poi
attraversare le Alpi… non sarà un viaggio facile, considerato il clima
rigido e
la neve; tuttavia non abbiamo altra scelta. Non posso farle correre il
rischio
che Von Webb ci trovi: già una volta sono arrivato appena in tempo per
impedirgli di ucciderla. Confido che le guardie di Francesco Giuseppe
siano
riuscite a catturare il Conte prima che riuscisse a lasciare
Schonbrunn. Se non
mi fossi dovuto occupare di Lady Sarah, lo avrei rincorso io stesso,
quando mi
è sfuggito dalle mani; ma la vita di Milady era più importante e avevo
promesso
all’Imperatore che l’avrei portata in salvo. Egoisticamente sono grato
a Sua
Maestà del compito affidatomi.
Come
ho fatto a resistere e non spogliarla del tutto quando
l’ho avuta tra le braccia priva di sensi, mentre le toglievo la camicia
per
medicarle il braccio, ancora me lo domando… Credo d’essere più
“gentleman” di un
vero inglese! Quando, riprendendosi, mi
ha sorpreso ad accarezzarla ove la biancheria intima le lasciava la
pelle
scoperta, mi ha lanciato uno sguardo che non prometteva nulla di buono,
tuttavia non ha detto né fatto alcunché. Anzi, osservandola negli
occhi, ho
notato le mie stesse emozioni a quel fugace contatto.
Come
potrò tener fede alla promessa che le feci settimane
or sono se, solo a guardarla dormire come sto facendo ora, provo
l’irresistibile desiderio di stendermi al suo fianco, svegliarla con un
bacio e
amarla con tutto me stesso?
***
“Ci siamo,
Harm! Queste pagine spiegano come il Conte e
Lady Sarah siano finiti sulla Medea!”
sentì dire dalla voce del Colonnello.
“Tu credi?
Forse hai ragione, Mac” rispose la voce del
Comandante.
“Ma certo che
ho ragione! Hai letto, o no, quello che ha
scritto André D’Harmòn sul diario? Sud della Francia, Harm. E Marsiglia
non è
nel sud della Francia?”
“D’accordo,
te lo concedo. Ma frena il tuo entusiasmo… non
siamo ancora certi che siano arrivati davvero a Marsiglia…”
“Oh, sei il
solito guastafeste! Devi rovinarmi sempre
tutto l’entusiasmo…” sentì Mac replicare, ma con voce allegra, non con
il
solito tono polemico che ultimamente gli usava.
L’Ammiraglio
sorrise, richiuse lentamente la porta della
sala riunioni e tornò nel proprio ufficio soddisfatto: le cose
sembravano
andare per il verso giusto! Magari non avrebbe ricevuto un invito a
nozze tanto
presto, ma era sicuro che almeno il lavoro ne avrebbe tratto
giovamento.
Aveva deciso
di verificare di persona se quello che aveva
visto dai vetri dell’ufficio durante l’intervallo di pranzo fosse vero
oppure
un’illusione ottica: con quei due non c’era mai da fidarsi, neppure
della
propria vista, ancora di dieci decimi nonostante l’età.
Ehm… Ad ogni modo, aveva saltato il pranzo perché stava
dettando alla Coates un documento importante da far pervenire al più
presto al
giudice che seguiva il caso Cresswell, quando, passeggiando come sua
abitudine
per concentrarsi meglio, si era soffermato davanti ai vetri ed
improvvisamente
aveva smesso di dettare. Il sottufficiale si era schiarita la voce più
di una
volta, finché gli aveva domandato se si sentiva bene.
Eccome se si
sentiva bene!
Aveva scorto
su una panchina nel giardino di fronte agli
uffici del Jag il Comandante e il Colonnello intenti a leggere
qualcosa. Bè,
che c’è di strano, direte voi? Conoscendo quei due, soprattutto tenendo
conto
del loro comportamento degli ultimi mesi, chiunque avrebbe capito cosa
lo aveva
piacevolmente sorpreso: il braccio del Comandante sulla spalla del
Colonnello e
la testa di lei appoggiata al braccio di lui.
Ecco
cos’aveva sorpreso l’Ammiraglio Chegwidden!
Intanto, in
sala riunioni, i “due”
in questione, ignari
d’essere oggetto di tanta attenzione da parte del loro superiore,
stavano
ancora commentando le pagine del diario appena lette.
“Che ti
dicevo? Lady Sarah è innamorata del Conte, caro
Comandante! Hai letto quello che ha scritto D’Harmòn? Non si è
sottratta alla
sua carezza…”
“Ah, Mac, che
inguaribile romantica che sei! Dimmi la
verità: ti stai innamorando tu, per caso, del bel Conte francese?”
replicò Harm
divertito.
Quanto
adorava quel genere di schermaglie tra loro! E
quell’atmosfera rilassata che gli ricordava i bei vecchi tempi! Cos’era
cambiato in Mac quel giorno? Da quando l’aveva condotto fuori a pranzo
per
continuare nella lettura, era stata particolarmente affettuosa… se non
avesse
temuto che il suo buon umore potesse dipendere da Clayton Webb,
l’avrebbe
baciata!
Accidenti se
l’avrebbe baciata! Soprattutto dopo aver letto
quello che il francese aveva osato fare mentre si occupava della ferita
di
Milady.
“Certo che il
Conte è un gran bel tipo!” disse per
provocarla.
“Perché dici
così?”
“Credi che se
non fosse stato sorpreso dal suo risveglio, non
si sarebbe approfittato della sua paziente?”
“Sei
disgustoso! Come puoi pensare una cosa simile? Von
Webb avrebbe agito così, ne sono certa, ma non il Conte D’Harmòn!”
“Mhmm… sì,
credo anch’io che Webb si comporterebbe così…”
mormorò tra i denti Harm, credendo che lei non lo sentisse.
Mac fece
finta di nulla, ma aveva ben inteso la battuta.
Tuttavia preferì ignorare e continuò a prendere le difese del conte
francese.
“Sono
assolutamente certa che ha agito solo guidato
dall’istinto e dal desiderio del momento, ma non avrebbe mai
approfittato di
lei. André D’Harmon è un signore, nel vero senso della parola!”
“E a te piace
da morire, vero?” chiese lui.
“Sì, mi piace
da morire” confermò decisa. Poi aggiunse in
un sussurro: “Sono pazza di lui…”
Sollevò lo
sguardo e incontrò un paio di occhi del colore
del mare che la stavano fissando intensamente.
Sì, era proprio pazza di lui,
si disse, ricambiando in
silenzio quel momento.
“Cosa ti
piace del Conte?” domandò Harm all’improvviso,
spezzando l’atmosfera che si era creata.
“Cosa mi
piace oltre la sua nobiltà d’animo? Mi piace come
ammette di essere innamorato di lei, di desiderarla alla follia… Ecco
cosa mi
piace del Conte.”
“Quindi ti
innamoreresti di chiunque ti dicesse che ti
desidera?” chiese lui.
“Il Conte non
è chiunque, per lady Sarah. Lei ne è
innamorata, altrimenti non avrebbe reagito a quel modo ai suoi baci e
alle sue
carezze…” rispose decisa.
“Non hai
risposto alla domanda, Mac” puntualizzò lui.
“Non sono
innamorata di chiunque, Harm. Sono innamorata di
un solo uomo…” ammise, guardandolo negli occhi.
E quell’uomo sei tu,
aggiunse tra sé.
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Capitolo 25 *** Immersi nel bianco ***
Capitolo XXV
Immersi
nel bianco
Da
tre giorni stavano cavalcando
ininterrottamente, fermandosi solo per cambiare i cavalli, per mangiare
e per
dormire. La notte precedente l’avevano trascorsa in una locanda poco
fuori
Innsbruck: avevano cenato in una saletta privata che il Conte aveva
richiesto
appositamente per loro e poi si erano ritirati nelle rispettive camere.
Quella
mattina, prima dell’alba, erano ripartiti, diretti verso le montagne.
Il
Conte D’Harmòn le aveva detto che da quel
punto in poi avrebbero faticato parecchio e ci sarebbero voluti giorni
prima
che potessero fermarsi nuovamente in una locanda, al di là delle Alpi.
Per
questo motivo aveva fatto scorta di cibo e liquori, prima di partire:
dovevano
affrontare il freddo e la neve e non era certo di riuscire sempre a
trovarle un
riparo per la notte.
Lady
Sarah gli aveva risposto che non avrebbe
dovuto preoccuparsi per lei, che ce l’avrebbe fatta, ma ora, dopo una
giornata
al freddo e sotto la neve, cominciava a dubitare della sua resistenza.
Si sentiva
congelata, nonostante il pesante mantello che l’avvolgeva, e anche
molto
stanca. La ferita le faceva ancora un po’ male, ma era certa che se
avessero
potuto fermarsi per qualche giorno a riposare, si sarebbe sentita
meglio.
Era
esausta. Nonostante l’allenamento costante
e il suo fisico sportivo, non aveva mai affrontato tanto a lungo
temperature
così rigide ed estenuanti ore a cavallo. Una cosa era galoppare ogni
giorno per
un paio d’ore al massimo nei boschi o attraverso i prati, altra cosa
era stare
in sella per tre giorni di seguito, fermandosi solo per poche ore la
notte,
sotto il freddo polare dell’inverno sulle Alpi.
Nonostante
tutto si guardò attorno, affascinata
dal paesaggio che le si presentava davanti agli occhi.
Le
Dolomiti innevate erano uno spettacolo da
mozzare il fiato: attorno a loro solo silenzio, interrotto
esclusivamente dal
fruscio della neve che cadeva ogni tanto da qualche albero; neanche il
rumore
degli zoccoli, poiché i cavalli non calpestavano il terreno, ma
affondavano
nella coltre bianca che ricopriva ogni cosa.
Durante
la mattinata una bufera di neve li
aveva accompagnati per diverse ore, ma finalmente nel primo pomeriggio
era
riapparso il sole. Non era servito granché a scaldarli, tuttavia aveva
regalato
un paesaggio da fiaba. Anche in quel momento, mentre stava calando la
sera,
sembrava di essere in un mondo incantato e lei si era innamorata
rapidamente
delle montagne del Tirolo.
Lady
Sarah non aveva paura. Da quando aveva
affrontato Von Webb ed era uscita viva grazie all’intervento di André
D’Harmòn,
si era affidata completamente a lui, docile come non era mai stata. In
quei tre
giorni avevano parlato poco e lei non riusciva a spiegarsi l’umore del
Conte:
era molto premuroso con lei, ma si manteneva sulle sue. Non aveva più
scherzato, non l’aveva più guardata come lo aveva sorpreso fare il
primo
giorno, dopo che le aveva medicato la ferita.
Ogni
volta che ripensava a quel momento,
all’attimo in cui aveva ripreso conoscenza e lo aveva visto chino su di
sé, con
lo sguardo offuscato e le sue mani che le sfioravano la pelle in zone
sensibilissime, si scopriva a desiderare spasmodicamente che quelle
mani la
toccassero ancora.
Eppure
non era proprio lei la donna che si era
imposta di non innamorarsi mai? Di non cedere alla passione? Di non
regalare il
suo cuore ad un uomo?
Ma
André D’Harmòn era un’altra cosa. Lui era
come il frutto proibito, che attraeva irresistibilmente a sé. E ora,
che
sembrava più distante, era ancora più irresistibile…
“Ci
fermeremo qui per la notte” la sua voce le
giunse improvvisa e la riscosse da pensieri troppo pericolosi per il
suo cuore.
Si
guardò attorno e notò che lui aveva
individuato un piccolo chalet immerso nel bianco. Lo seguì sul retro
della
costruzione in legno, osservando che aveva trovato l’entrata per una
stalla,
ormai disabitata da tempo, probabilmente dall’estate precedente, ma
dove vi era
ancora del fieno per nutrire gli animali. Fecero entrare i cavalli e
poi si
diressero all’ingresso principale.
Con
un calcio ben assestato, André aprì la
porta ed entrò in un locale ampio: al centro di una parete c’era un
camino e
dal lato opposto una scala in legno appoggiata ad una specie di
soppalco,
probabilmente l’unico letto del rifugio. Di fronte al camino c’era un
vecchio
divano e davanti ad esso un folto tappeto. Alle spalle del divano si
trovava un
piccolo tavolo con due sedie.
Non
era granché come luogo, ma a Lady Sarah
sembrò il paradiso su questa terra, tanto era stanca e infreddolita.
Rapidamente
il Conte accese un fuoco con la
legna accatastata che trovò in un angolo e poi legò con una robusta
corda la
porta che aveva scardinato, affinché non si aprisse. Lady Sarah lo
osservava in
silenzio svolgere quei compiti: si era tolto il pesante mantello che lo
copriva
e ora si stava togliendo anche la giacca. A quanto pareva il movimento
lo aveva
riscaldato alla svelta, mentre lei non riusciva ancora a muoversi per
il
freddo, nonostante il tepore del fuoco.
Anche
lui la osservava di sottecchi. Erano
giorni che la osservava, che non si perdeva nulla di quella donna. Si
limitava
ad osservarla, perché se si fosse abbandonato al suo istinto, non
sarebbe stato
in grado di controllarsi. Proprio per quel motivo, dalla prima notte
trascorsa
in camera con lei a vegliarla, per le altre due notti
aveva richiesto due camere separate,
altrimenti non sarebbe più riuscito a dormire. Già così aveva faticato
parecchio a prendere sonno sapendola distante solo pochi passi,
nonostante il
viaggio avesse stancato anche lui.
Continuava
a meravigliarsi della resistenza di
Lady Sarah: in tre giorni non l’aveva sentita lamentarsi una sola
volta. Eppure
sapeva che doveva essere parecchio stanca e infreddolita. Probabilmente
aveva
anche male al braccio, ma mai una volta lo aveva pregato di fermarsi.
Obbediva
docile e sottomessa ad ogni suo ordine ed egli si stava domandando se
per caso
l’aver visto la morte in faccia con Von Webb non l’avesse traumatizzata
eccessivamente.
Avrebbe
voluto parlarle; desiderava
spasmodicamente stringerla a sé, come durante le prime ore della loro
fuga,
quando erano in sella allo stesso cavallo: in quel momento l’aveva
sentita
completamente sua. Ma aveva paura a farlo. Qualunque gesto, qualunque
parola,
l’avrebbe condotto inesorabilmente verso di lei, e lui non sapeva come
fare per
trattenersi dal baciarla, se non come stava facendo, ossia quasi
ignorandola.
E
quella notte si sarebbe presentato anche il
problema del letto: era impensabile che potessero dormire assieme in
quell’unico giaciglio lassù! La sola idea di averla tanto vicina, con
il corpo
illuminato dalle stelle che si vedevano attraverso la piccola finestra
al
soffitto, lo faceva impazzire. Non sarebbe riuscito a resistere senza
toccarla.
Guardò il divano di fronte al camino con aria desolata: mancavano come
minimo
una ventina di centimetri perché potesse riuscire ad allungare
completamente le
gambe, ma sarebbe stata una tortura più sopportabile che non quella di
averla
accanto senza poterla avere.
Nell’ispezionare
con lo sguardo la stanza, posò
gli occhi su di lei e si accorse che era ancora in piedi, completamente
avvolta
dal mantello. Vide il volto pallido e le labbra bluastre e si rese
conto che
era quasi assiderata, eppure non aveva detto nulla. Preoccupato, scordò
i buoni
propositi di mantenere le distanze e si avvicinò, prendendole una mano
tra le
sue: era freddissima.
“Ma
voi state tremando…” disse, spezzando il
silenzio che si era creato tra loro ormai da giorni.
“Non
è nulla… ho solo freddo…” rispose lei,
ritraendo lentamente la mano. Era più facile tenere a bada le proprie
emozioni
se lui non la toccava.
“Venite
qui” ordinò dolcemente lui, attirandola
a sé. Le tolse il mantello e la giacca e lei lo lasciò fare. Poi la
condusse
davanti al fuoco scoppiettante e la strinse tra le braccia, per
scaldarla anche
con il calore del proprio corpo. Da principio lei rimase rigida, poi
lentamente
si rilassò e appoggiò il capo sulla sua spalla.
Era
esausta per il freddo e la fatica. Ma a
poco a poco il contatto con il corpo di lui la fece sentire meglio; il
Conte
aveva iniziato a frizionarle le braccia e la schiena, per riscaldarla,
e le sue
mani le stavano regalando sensazioni bellissime.
“Vi
fa ancora male la ferita?” domandò lui,
continuando quella dolce tortura.
“No…”
rispose, ma poi aggiunse, “solo un poco…”
“Perché
non mi avete chiesto prima di fermarmi?
Avrei trovato un altro riparo per la notte”.
“Potevo
continuare ancora, se fosse stato
necessario…”
“No
che non avreste potuto! Poco fa eravate
quasi assiderata… Perché non avete detto nulla?”
Lei
sollevò lo sguardo verso di lui e si perse
in quegli occhi chiari che brillavano alla luce del fuoco.
“Credevo
non voleste più parlarmi…” si decise a
confessargli, con un mezzo sorriso.
Lui
si rese conto che sarebbe arrivata al punto
di stare male, pur di non contrariarlo e provò disgusto per se stesso:
per non
sapersi trattenere dal desiderarla, l’aveva quasi uccisa.
“Mi
dispiace… non volevo darvi l’impressione di
non volervi parlare…” le disse, mentre dolcemente le faceva scorrere un
dito su
una guancia, in una lenta carezza che voleva essere di conforto, ma che
si
rivelò diventare un’arma pericolosissima. Lei, inconsciamente, stava
assecondando con il volto la sua mano e lui si sentì assalire di nuovo
dalla
voglia di averla. Quando poi sollevò il viso e lo guardò negli occhi,
André fu
perduto…
Si
chinò sulle sue labbra, sfiorandogliele con
brevi e rapidi tocchi delle proprie, in un dolcissimo invito a
socchiuderle.
Una mano scivolò tra i suoi capelli, cercando alla cieca il fermaglio
che li
tratteneva e, non appena lo ebbe trovato, lo aprì, lasciando che la
cascata
delle sue morbide onde gli nascondesse la mano che aveva iniziato ad
accarezzarle la nuca. L’altra, invece, la stringeva alla vita,
trattenendola il
più possibile contro il proprio corpo eccitato. Quando comprese che lei
non gli
poneva ostacoli, gemette dal desiderio e s’impossessò della sua bocca
con un
bacio disperato.
Si
lasciò guidare esclusivamente dall’istinto,
dall’intenso desiderio che provava per lei e da tutte le sensazioni che
stava assaporando
nell’averla finalmente tra le braccia, dolce e arrendevole. Continuò a
baciarla
finché non sentì una sua mano sfiorargli il volto e l’altra
accarezzargli
lentamente, dolcemente le spalle; solo allora si rese conto che avrebbe
perso
rapidamente il controllo e si staccò dalle sue labbra per mormorarle:
“Fermatemi…
Fermatemi ora, Sarah…” era una
supplica disperata quella che le rivolse, perché sapeva che da solo non
sarebbe
riuscito a farlo.
Ma
era troppo tardi anche per lei.
“Fermatemi,
ve ne prego… altrimenti non sarò
più in grado di farlo quando me lo chiederete…” mormorò di nuovo sulla
sua
bocca, prima di baciarla ancora.
E
di nuovo lei rispose al bacio con tutta la
passione che quell’uomo era riuscito a suscitarle.
“Non
voglio fermarvi, Conte…” rispose con il
fiato corto e il cuore che le batteva furioso nel petto.
Lui
la guardò negli occhi: “André. Chiamami
André, ti prego… voglio sentire il mio nome sulle tue labbra…”
“Non
voglio fermarti, Andrè…” ripeté lei,
accontentandolo. “Baciami… Baciami ancora…”.
Obbedì
senza indugio alla sua richiesta,
sopraffatto dall’intensità delle emozioni che stava provando, ma ancora
incapace
di credere che lei gli stesse concedendo libero accesso al proprio
corpo.
“Voglio
fare l’amore con te, Sarah. Lo sai questo, vero? Ti desidero come non
ho mai
desiderato una donna in tutta la mia vita…”.
“Voglio
che continui… voglio provare cosa
significa essere posseduta dall’unico uomo che sia riuscito a
risvegliare in me
un desiderio tanto forte…”
“Non
voglio possederti, Sarah. Io desidero fare
l’amore con te. Lo desidero disperatamente” volle precisare lui. Poi
aggiunse:
“Sono innamorato di te da mesi, forse fin dalla prima volta che ti ho
vista…”
La
sentì irrigidirsi per un attimo, a quelle
parole.
“Cosa
succede?” domandò.
“Nulla…
ma non parlare d’amore.”
“Perché?
Perché non devo farlo se è ciò che
provo?”
“Perché
io non ti amo” rispose decisa.
André
sentì come una stilettata al cuore, ma
non si fermò: proseguì ad accarezzarla dolcemente, lasciando che le sue
labbra
le sfiorassero la pelle sensibile del collo fino ad arrivare alla
scollatura
della camicia che lei indossava.
“Come
non amavi Von Webb quando ti sei concessa
a lui?”
A
quelle parole fu lei a ricevere la stilettata
al petto. Ma le sue mani continuavano a toccarla, slacciando ad uno ad
uno i
bottoni fino a sfilarle la camicia dalle spalle, lasciandola con solo
la
biancheria intima a coprirle il seno.
“L’ho
fatto per un unico motivo…” ammise lei,
col fiato corto per l’eccitazione. Non aveva mai provato nulla di
simile con un
uomo, prima di allora. Le poche volte che si era concessa a qualcuno
era
accaduto sempre per lo stesso motivo, perché aveva bisogno
d’informazioni in
cambio e non era riuscita ad evitarlo. Quella era l’unica volta in
tutta la sua
vita che stava per permettere ad un uomo di possederla solo perché
voleva
scoprire cosa si provava con qualcuno che le procurava sensazioni tanto
appaganti semplicemente baciandola.
“E
ti è piaciuto?” stava domandando lui,
fermandosi per un attimo a guardarla negli occhi.
“Con
Von Webb? No, neppure per un momento. Ho
provato solo disgusto, così com’è sempre successo quando ho concesso ad
un uomo
il mio corpo…”
“Mi
stai dicendo che non hai mai provato piacere
nel fare l’amore?” domandò incredulo.
Lei
annuì, incapace di capire cosa lo turbava
tanto.
“Voi
uomini siete esseri strani, avete bisogno
di soddisfare il vostro corpo, lo so. Noi donne ve ne diamo la
possibilità,
tutto qui. L’amore non c’entra in tutto questo… si tratta semplicemente
di un
bisogno fisiologico e io concedo il mio corpo, che sembra destare tanto
interesse
tra voi maschi, solo quando mi serve farlo… Le informazioni che ne
ricavo sono
un giusto prezzo per sopportare il vostro corpo addosso e dentro al
mio, non
credete Conte?”
Egli
la fissò in silenzio, profondamente scosso
da quelle parole. Ora capiva meglio come la pensava e si domandava cosa
l’avesse spinta a tanto. Quel discorso forniva anche una spiegazione al
suo
comportamento con Von Webb: per lei non aveva significato nulla, anzi,
era
stato un motivo in più per disprezzare gli uomini.
Eppure…
Eppure
quel discorso, tanto cinico quanto
convinto, contrastava con il modo in cui stava rispondendo ai suoi baci
e alle
sue carezze.
“Vi
ho scandalizzato, Conte? E’ per questo che
non rispondete? Vi avevo detto di non parlarmi d’amore…”
“Non
mi avete scandalizzato, Sarah. Stavo
semplicemente pensando… mi stavo chiedendo come mai, se per voi gli
uomini sono
solo mezzi per ottenere informazioni, avete deciso di concedere a me,
proprio a
me, il vostro corpo per soddisfare… com’è che li avete chiamati? Ah,
sì! I miei
bisogni fisiologici senza che in cambio io vi dia alcunché…”
“Ve
l’ho detto: desidero provare ad essere
posseduta da un uomo che mi suscita sensazioni piacevoli quando mi
bacia”.
“Giusto…
scordavo la questione. Però c’è un
problema, Milady” disse il Conte, con aria divertita, senza smettere di
stringerla a sé. “Vedete, Lady Sarah, io non desidero possedere il
vostro
corpo. Non solo quello, almeno.”
“Cosa
volete d’altro?” domandò ingenuamente
lei, senza capire ancora dove lui voleva andare a parare.
“Io
voglio il vostro cuore” rispose André
D’Harmòn, prima di sollevarle il viso e baciarla di nuovo. La baciò a
lungo,
intensamente, esigendo dalle sue labbra una risposta appassionata.
“E’
impossibile…” disse lei, quando finalmente
la lasciò andare.
Lui
osservò sul suo volto gli effetti del bacio
che le aveva appena dato e sorrise.
“Vedremo…”
sussurrò al suo orecchio, prima di
inebriarsi delle sensazioni stupende che stava per regalare ad
entrambi.
Lentamente
la spogliò dei pantaloni che
indossava e della biancheria, lasciando scorrere lo sguardo sul suo
corpo: era
stupenda! Aveva un seno rigoglioso e morbido, talmente invitante da
farlo quasi
star male, che risaltava sul suo corpo snello e le donava un aspetto
sensuale e
seducente. Mentre si appagava di quell’immagine meravigliosa, osservò
anche con
attenzione la sua reazione: la semplice passione che traspariva dai
suoi occhi
al solo guardarla, aveva suscitato in lei un’emozione intensa, che
faticava a
nascondere e André si rese conto che sarebbe stato più facile di quello
che
temeva conquistare il cuore di quella splendida donna.
Era
perduta, e lo sapeva!
Nessuno
l’aveva mai guardata a quel modo…
nessuno l’aveva mai fatta sentire tanto bella. Nessun uomo, fino a quel
momento, l’aveva mai spogliata completamente. Si erano accontentati di
entrare
in lei frettolosamente, sollevandole appena le vesti quel tanto che
bastava per
raggiungere lo scopo. Al limite le avevano scoperto il seno, per
baciarglielo
avidamente al solo fine di eccitarsi meglio.
Quando
lui si tolse la camicia e la fece
stendere sul tappeto davanti al fuoco, lei capì che non avrebbe più
avuto scampo
e che il suo cuore sarebbe appartenuto a lui per sempre. Era così bello
da
farle perdere la testa e l’intimità che stavano condividendo, pelle
contro
pelle, stava distruggendo lentamente le barriere con le quali aveva
cercato
disperatamente di difendersi.
“Sei
stupenda…” mormorò André, mentre accarezzava
con le labbra il suo seno, torturandola
con
insistenza. Lei non riuscì a resistere a quel dolce assedio e fece
scorrere le
mani sul suo torace muscoloso, assaporando sotto le dita il contatto
con la sua
pelle.
“Baciami…
Ti prego, baciami anche tu…” la
implorò, quando sentì le sue mani su di sé.
Sarah
si lasciò guidare dal desiderio che
provava per lui e per la prima volta sfiorò con le labbra il corpo di
un uomo.
Scoprì che le piaceva molto e proseguì con l’esplorazione, mentre lui
continuava a toccarla…
Era
quello fare l’amore?
Quel
lasciarsi andare alle sensazioni,
ricercandone di nuove in continuazione?
Quell’abbandonarsi
con fiducia nelle mani di un
uomo, permettendo al proprio corpo di plasmarsi fino a fondersi con il
suo?
Quel
desiderare intensamente di averlo dentro
di sé, per raggiungere un piacere che solo lui avrebbe potuto darle e
al tempo
stesso volergli regalare le stesse emozioni?
Quel
volere il contatto con la sua pelle, con
le sue mani, con le sue labbra, senza riuscire a fare a meno di
toccarlo,
baciarlo e accarezzarlo?
Se
tutto quello era fare l’amore, a Sarah
piaceva tantissimo… ed era qualcosa di talmente intenso che non sapeva
se
sarebbe più riuscita a farne a meno, ora che lo aveva scoperto.
Si
rese conto di volerlo dentro di sé e fu lei
a slacciargli i pantaloni che ancora indossava; non appena se li fu
tolti,
André si abbandonò completamente all’istinto e la trascinò sopra di sé,
perché
voleva regalarle la sensazione di essere lei a possederlo.
Quando
comprese la sua intenzione, a Sarah
vennero quasi le lacrime agli occhi… se quell’uomo non l’avesse già
conquistata
da tempo, l’avrebbe amato solo per quello.
Assecondando
il suo volere, si regalò per la
prima volta un piacere che non aveva mai sperimentato, un piacere che
la fece
sentire intimamente donna. Quindi si lasciò possedere da lui,
abbandonandosi
alla sua passione e al suo desiderio di averla…
E
mentre André la stava amando con tutto se
stesso, ottenne ciò che desiderava di più: nell’attimo in cui lei gli
sussurrò
“Ti amo”,
ottenne finalmente il suo cuore.
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Capitolo 26 *** Contrasto di sentimenti ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XXVI
Contrasto
di sentimenti
Vistosi
perdere la partita a causa
dell’intervento di D’Harmòn, Von Webb si era dileguato nei giardini del
castello, aiutato in questo dalle ombre della notte che ancora
persistevano.
Aveva raggiunto il proprio cavallo ed, eludendo la sorveglianza ai
cancelli
principali, era uscito dal perimetro dello Schonbrunn attraverso una
porta
secondaria poco sorvegliata.
Certamente
l’Imperatore aveva già diramato
l’ordine di catturarlo, e doveva battere tutti sul tempo.
Si
era diretto verso la sua residenza privata a
Vienna.
Non
appena vi era giunto, aveva affidato la
cavalcatura ad un servitore insonnolito e si era rifugiato nel suo
studio
privato. Non aveva molto tempo a disposizione, sapeva ormai che le
guardie
imperiali erano sulle sue tracce, aveva notato, strada facendo un
insolito
dispiegamento di forze: gendarmi e soldati dell’esercito in
mobilitazione che
pattugliavano la città. La sua buona stella, tuttavia, non l’aveva
abbandonato,
e il percorso che l’aveva condotto al palazzo era sgombro. Ma il tempo
scarseggiava.
Doveva
elaborare un piano alla svelta e si era
rallegrato che la casa fosse deserta: sua moglie era dai genitori, dopo
la
festa non se l’era sentita di tornare alla casa coniugale. Era molto
scossa.
Aveva
acceso il camino senza neanche attendere
che qualcuno della servitù lo facesse al suo posto e si era seduto allo
scrittoio.
La
sua mente pensava molto in fretta, cercando
di comprendere non solo dove avesse fallito, ma anche l’itinerario che
Lady
Sarah e D’Harmòn avrebbero potuto seguire.
“Il Conte è francese, quindi
cercheranno scampo
in Francia” si era detto, alzandosi e traendo un grosso
volume dalla biblioteca
alle sue spalle.
Lo
aveva aperto sullo scrittoio. Era un atlante
del Nord Europa e con un dito aveva provato a tracciare il percorso dei
due
fuggiaschi.
Ormai
era inevitabile: avrebbe dovuto
ucciderli. Non poteva permettere che trovassero riparo da qualche parte
e si
mettessero nuovamente in contatto con Francesco Giuseppe rivelandogli i
suoi
piani. Dovevano morire prima, entrambi, così se lui fosse stato
acciuffato
dalle guardie imperiali avrebbe sempre potuto raccontare ciò che più
gli
aggradava e convincere l’Imperatore che si era trattato solo di un
malinteso. A
suo tempo, poi, avrebbe trovato un capro espiatorio e la faccenda si
sarebbe
chiusa.
“Sbarrerò loro l’accesso alla
Francia” si era
detto, “così saranno
costretti a deviare per il Tirolo… ma D’Harmòn ci avrà già
pensato. Sarà anche un francese, ma non è stupido.”
Aveva
fissato l’atlante.
I
secondi correvano e le guardie
dell’Imperatore si avvicinavano. Dopo i suoi appartamenti allo
Schonbrunn
sarebbero certamente arrivate anche lì.
Doveva
sbrigarsi e pensare in fretta.
“Un
momento!” aveva esclamato. “Milady è
inglese, per cui… ma certo come non ho fatto a pensarci prima! Andranno
a
Marsiglia, l’unico porto aperto in questa stagione e per farlo
attraverseranno
le Dolomiti. Li attenderò là e allora…”
Aveva
chiuso il volume ed era uscito a
precipizio dallo studio, lasciando tutto com’era, ci avrebbe pensato la
servitù
a rimettere le cose a posto. Aveva lasciato il palazzo immerso
nell’oscurità,
mentre l’alba del giorno di Natale cominciava a schiarire il cielo
sopra i
tetti di Vienna.
La
città era in subbuglio: la notizia
dell’attentato all’Imperatrice si era sparsa come fuoco nella
sterpaglia. Molta
gente si era riversata nelle strade nonostante l’ora, e in mezzo a
quella folla
che si stava dirigendo verso lo Schonbrunn per apprendere notizie sullo
stato
di salute di Elisabetta c’erano anche molti gendarmi e poliziotti che
sorvegliavano la situazione.
Tutte
le forze di polizia avevano ricevuto un
ordine esplicito: catturare l’aiutante di campo di Sua Maestà vivo.
Ma
la baraonda era davvero imponente e non era
affatto facile tenere sotto controllo tutto quanto.
Von
Webb aveva approfittato di questa
situazione e si era diretto verso il luogo ove abitualmente si
ritrovava con le
sue amanti occasionali e i suoi fedelissimi.
Un
ghigno truce gli era comparso sul volto
tramutandolo in una maschera da Grand
Guignol: aveva un piano e quando fosse
giunto a destinazione, sarebbe stato anche al sicuro dalle guardie
dell’Imperatore.
Avrebbe
obbligato i due amanti a scegliere la
via delle Alpi e del Tirolo, per poi passare nel Lombardo-Veneto e nel
Regno di
Savoia, fino a giungere a Marsiglia e colà avrebbe avuto ragione di
entrambi.
***
29 Dicembre
1856
Stavi
quasi per morire assiderata, pur di non contrariarmi.
Hai
capito perché ti tenevo lontano? Hai capito perché
evitavo di parlarti, se non lo stretto indispensabile?
Durante
i tre giorni a cavallo, diretti verso le montagne
del Tirolo, è stata una tortura non prenderti tra le braccia e cercare
di
scordarmi di te.
Quando
ho visto quel piccolo chalet immerso nel bianco il
mio primo pensiero è stato: “Non puoi fermarti qui con lei...”. Ma non
potevamo
proseguire per tutta la notte… già così avevo chiesto uno sforzo
eccessivo al
tuo fisico. Eri esausta e completamente gelata. Tesa all’inverosimile
nel
tentativo di resistere e non lamentarti.
Quando
ti ho preso tra le braccia, per riscaldarti con il
mio corpo, sapevo che per me sarebbe stata la fine.
Il
mio desiderio era indescrivibile e quando tu mi hai
guardato non sono più stato in grado di resistere.
Nei
tuoi occhi ho potuto vedere il riflesso dei miei sogni.
Baciarti,
dirti che ti amo, è stato come lasciare andare un
respiro trattenuto troppo a lungo: sarei morto, se non lo avessi fatto.
Nei
tuoi occhi ho visto che anche tu stavi andando alla
deriva… non volevi saperne del mio amore, ma mi desideravi da morire.
Io,
invece, oltre al tuo corpo, volevo soprattutto il tuo cuore. Il mio già
ti
apparteneva dal nostro primo incontro.
Ti
ho baciata e, finalmente, nei tuoi occhi c’erano le
risposte alle mie domande. Ho fatto l’amore con te come non ho mai
fatto con
nessun’altra donna.
Dopo
aver saputo che avevi sempre provato repulsione nel
concedere il tuo corpo ma che, nonostante ciò, desideravi che proprio
io ti
possedessi, senza ricavare alcunché in cambio, ho voluto regalarti le
sensazioni più belle che un uomo può donare alla sua donna.
Ora,
nei tuoi occhi, posso vedere perché il nostro amore è
vivo e penso di avere imparato ad amarti di più.
Hai
detto che ti sarebbe stato impossibile concedermi il
tuo cuore…
Forse
non lo sai ancora ma, mentre tra le mie braccia sussurravi
“Ti amo”, il tuo cuore era già mio.
***
Harm terminò
la lettura della giornata del diario che
portava la data del 29 dicembre 1856 e rimase in silenzio.
Accoccolata
tra le sue braccia, come ormai si stava
abituando a fare, anche Mac non disse nulla. Non ci riusciva. Le parole
usate
dal conte per descrivere i suoi sentimenti e ciò che aveva provato nel
far
l’amore per la prima volta con la donna che amava, erano così poetiche,
così
dolci ma al tempo stesso piene di passione, che n’era rimasta
sopraffatta.
Sentirle
pronunciate da Harm, poi, per lei era stato
troppo!
Quante volte
aveva desiderato che lui le dicesse parole
simili?
Osservandolo
di sottecchi mentre leggeva, si era accorta
che anche Harm sembrava emozionato: all’inizio la sua voce aveva il
solito
timbro profondo che tanto le piaceva; ma mentre proseguiva nella
lettura,
l’aveva sentita abbassarsi di un tono, in alcuni momenti addirittura
arrochirsi, come se le parole pronunciate emozionassero anche lui e
faticasse a
proferirle.
Harm
continuava a tenerla tra le braccia e restava in
silenzio.
Chissà quali pensieri stanno
attraversando la sua mente?
si domandò Mac. Incapace di resistere alla curiosità di leggere nel suo
sguardo, alzò gli occhi verso di lui e vide che la stava osservando;
ciò che lesse
le impedì di dire qualunque cosa.
Quegli
stupendi occhi del colore del cielo in tempesta le
stavano comunicando le stesse emozioni che il Conte aveva così ben
descritto
nel suo diario.
Harm continuò
a guardarla sempre in silenzio ma, una volta
tanto, lei si accontentò di quello sguardo e di tutte le parole non
dette.
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Capitolo 27 *** Marsiglia ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XXVII
Marsiglia
Un
mese dopo la loro precipitosa fuga da
Vienna, Lady Sarah e il Conte D’Harmòn giunsero finalmente a Marsiglia.
Avevano
dovuto affrontare un lungo viaggio, a volte anche pericoloso, con gli
sgherri
di Von Webb sempre alle calcagna.
Ora,
nel porto francese, speravano di trovare
un imbarco che li conducesse sani e salvi in Inghilterra dalla quale,
attraversando la Manica, sarebbero al fine arrivati in Francia e di lì
a Cluny.
Arrivarono
a Marsiglia una fredda mattina di
fine gennaio 1857. Era l’alba e la carrozza, noleggiata a Tolone,
correva sulla
strada principale. Di lì a poco avrebbero visto i primi docks del porto.
Al
momento sembrava che i fedelissimi del Conte
bavarese avessero desistito dai loro propositi, ma D’Harmòn non era
tranquillo,
non lo sarebbe stato fintantoché non avessero trovato un passaggio per
il Regno
Unito, mettendo così quanta più distanza possibile fra loro e Von Webb.
La
carrozza prese una buca e sussultò
violentemente facendo svegliare Lady Sarah che si era momentaneamente
assopita,
stanca per il viaggio.
Aprì
gli occhi e guardò Andrè.
“Mia
cara siamo quasi arrivati” le disse
dolcemente.
“Non
ci saranno molte navi alla fonda” osservò
lei. “In questo periodo dell’anno i traffici commerciali marittimi sono
praticamente
fermi per via dell’inverno e Marsiglia è...”
Lui
la tacitò con un bacio: “Dubiti sempre
della nostra buona stella?”
Milady
sorrise amorevole: “No, non ne dubito.”
“Allora
sii fiduciosa, amor mio, troveremo
senz’altro un passaggio che ci conduca oltre Manica” rispose
abbracciandola.
Lei
si accoccolò nell’incavo del suo abbraccio
e rimasero così fino a quando la carrozza, con uno stridio di ruote e
zoccoli
sul selciato umido e scivoloso, si fermò.
Lady
Sarah e Andrè furono quasi sbalzati in
avanti a causa della brusca frenata. Udirono il cocchiere cercare di
calmare i
cavalli innervositisi, ma subito dopo la voce dell’uomo venne tacitata
bruscamente da un’altra persona, che parlava con un marcato accento
tedesco.
Andrè
fece per aprire lo sportello della
vettura, ma Lady Sarah lo fermò: “Aspetta, potrebbero essere gli uomini
di Von
Webb.”
“Prima
o poi dovremo affrontarli e…” D’Harmòn
non terminò la frase che la portiera della carrozza venne spalancata
con
violenza, quasi svellendosi dal cardine che la incernierava al veicolo.
“Sapevo
che sareste arrivati qui a Marsiglia.
Siete così prevedibili. Era l’unica strada praticabile dopo che vi ho
sbarrato
tutte le altre vie” rise beffardo Von Webb.
“Voi!”
sibilò Lady Sarah con gli occhi
fiammeggianti d’ira.
“Milady”
le sorrise laido l’uomo, “lieto di
rivedere il vostro delizioso volto.”
Rivolse
poi la sua attenzione a D’Harmòn:
“Abbiamo un qualcosa in sospeso, voi ed io” lo provocò.
Il
francese annuì serio e determinato mentre la
mano correva immediatamente al calcio della pistola.
“Andrè…”
mormorò lei.
Lui
non si voltò, ma scese dalla carrozza.
Von
Webb si sporse nell’abitacolo: “Quando avrò
terminato con il vostro spasimante da quattro soldi, concluderò anche
con voi
Madame” e richiuse lo sportello abbaiando un ordine in tedesco a due
dei suoi
scagnozzi che prontamente si misero di piantone davanti alle uscite
della
vettura per impedire alla donna rinchiusa qualunque via di fuga.
I
due rivali si avviarono lungo la banchina
semideserta.
Il
pallido sole invernale cominciava appena a
rischiarare il nero del cielo notturno e la superficie tranquilla del
mare era
leggermente increspata.
Salvo
qualche marinaio ubriaco che usciva da
una delle bettole aperte lungo il dock
e due prostitute che rientravano dalla
nottata, in giro non c’era nessuno. Sarebbero dovute trascorrere alcune
ore
prima che gli empori aprissero e le contrattazioni cominciassero.
Von
Webb e D’Harmòn si fronteggiarono,
scambiandosi occhiate di fuoco.
“Ho
sempre pensato che foste un damerino da
strapazzo, voi francesi siete solo dei debosciati” rise ironico il
bavarese.
“E
io vi ho sempre ritenuto un traditore”
replicò caustico Andrè.
“Voi
non sapete nulla di me.”
“So
quanto basta. Avete attentato alla vita
dell’Imperatrice per motivi gretti e futili. Non meritate di…” la frase
del
Conte D’Harmòn si perse nell’eco di uno sparo che rimbombò a lungo
nelle
stradette deserte del porto. Il francese si accasciò a terra tenendosi
il
braccio con il quale impugnava la pistola che cadde al suolo con un
tonfo sordo.
“Chiacchiere,
voi francesi non sapete altro che
far chiacchiere inutili” lo sbeffeggiò Von Webb. “Vi manca lo spirito
pragmatico di noi tedeschi. Se foste stati come noi a quest’ora sul
trono di
Francia non siederebbe il nipote di un ufficiale corso di umili
origini.”
Si
avvicinò ad Andrè con la pistola in mano,
tenendolo sotto tiro.
L’altro
nel frattempo si era rialzato, ma non
poteva impugnare la propria arma a causa del braccio lievemente ferito.
Con un
calcio il bavarese buttò il revolver del suo antagonista in mare.
Ora
Andrè era in balia del suo nemico.
“Godrò
nell’uccidervi come un cane e godrò
ancor di più quando condurrò con me Milady per trattarla come una dama
suo pari
merita…” un’espressione viscida e lussuriosa compariva sul volto del
bavarese.
Il
Conte D’Harmòn non ci vide più dalla rabbia
e si scagliò sul nemico con tutta la forza che aveva in corpo.
Il
Conte bavarese perse l’equilibrio e la
pistola gli scivolò dalla mano e cadde sul selciato.
Lottarono
aggrappati l’uno all’altro, ciascuno
dei due con l’intenzione di togliere la vita al proprio rivale, sotto
lo
sguardo indifferente dei rarissimi passanti che li scambiavano per due
elegantoni ubriachi che litigavano per una questione di soldi.
Chiusa
nella carrozza Lady Sarah aveva udito lo
sparo e per un attimo il suo cuore aveva cessato di battere, ma poi
aveva
sentito la voce di Andrè e i battiti erano ripresi.
Doveva
uscire da lì al più presto, non
sopportava di starsene con le mani in mano. Guardò fuori dai finestrini
e vide
che i due scagnozzi di Von Webb erano ancora lì. Notò però che la
carrozza si
era fermata molto vicino, dal lato sinistro, ad un capannone sorretto
da
pesanti strutture in ferro, con un colpo ben assestato lo sportello si
sarebbe
spalancato colpendo una delle due guardie alle spalle. Il contraccolpo
l’avrebbe spedito dritto contro uno dei piloni in ferro, facendogli
perdere
conoscenza quel tanto che bastava per consentirle di occuparsi del suo
compare.
Si
sedette dal lato opposto della vettura con
la schiena ben puntata contro la parete destra dell’abitacolo e
raccolse le
gambe avvicinandole quanto più possibile al petto. Fece scattare gli
arti
inferiori come una molla usando la parte dove era appoggiata come un
puntello e
le mani come sostegni del peso del suo corpo.
Il
calcio così assestato spalancò lo sportello
che colpì in pieno la schiena dell’uomo, facendolo andare a sbattere
contro il
pilone poco distante, esattamente come aveva calcolato lei.
Il
tizio prese una brutta botta e cascò a terra
privo di sensi.
Il
compare, dall’altro lato della carrozza, udì
dei rumori e abbandonata la propria postazione, andò a vedere che
accadeva.
Non
appena fu a tiro venne raggiunto da un
sasso, scagliato da Lady Sarah, che lo ferì alla tempia facendolo
crollare a
terra svenuto anch’egli.
Così
liberatasi dalle guardie, Lady Sarah poté
raggiungere il luogo dove Von Webb e D’Harmòn si stavano affrontando.
Si
accorse subito che qualcosa non andava per
il verso giusto: D’Harmòn era in piedi, ma alle sue spalle stava il
bavarese
con un coltello puntato alla sua gola. La pistola del Conte giaceva a
pochi
passi da lei. Si chinò e la raccolse, ma il suo gesto non passò
inosservato.
“Ferma
lì, mia bella inglesina. Se tenete alla
vita di quest’uomo non fate un passo in più e posate a terra il mio
revolver”
l’intimò. E a riprova della serietà delle sue parole affondò la lama
del
pugnale nel collo di Andrè finchè una rossa goccia di sangue non
comparve.
“Corri
Sarah! Scappa!”
Milady
scosse la testa: “No” rispose risoluta
alzando l’arma e puntandola alla testa di Von Webb.
“Dovete
morire” ringhiò.
“Sbagliate
Madame, lui dovrà morire” rispose
ghignando il Conte affondando la lama.
In
quel mentre sbucò dal fondo della strada un
uomo che correva come se avesse il diavolo in persona alle calcagna.
Dietro di
lui due poliziotti lo inseguivano gridandogli di fermarsi ed arrendersi.
Von
Webb si distrasse e questo fu un errore
grave.
Approfittando
della distrazione del suo nemico,
Andrè con uno strattone si liberò dal braccio del bavarese che gli
stringeva la
spalla sinistra e gli afferrò il dietro della giacca costringendolo ad
una
specie di piroetta. Stringendo i denti per il dolore al braccio ferito
gli
bloccò il polso che stringeva il coltello e glielo torse.
Ma
Von Webb era un osso duro e non cedette,
piuttosto con la mano libera afferrò l’arto colpito del suo rivale e
fece
pressione sulla ferita che cominciò a sanguinare, obbligando D’Harmòn a
mollare
la presa.
Andrè
vide che Lady Sarah teneva sotto tiro il
Conte, ma che non sparava perché nella linea di fuoco c’era anche lui.
Sgambettò
l’avversario che perse l’equilibrio e
gridò: “ORA!”
Milady
colse l’attimo e fece fuoco.
Una
macchia rossa che assomigliava ad un fiore
scarlatto, si allargò sul petto dell’immacolata camicia di Von Webb che
abbassò
gli occhi su di essa e poi li rialzò con espressone incredula su
D’Harmòn.
Non
disse una parola, ma cadde pesantemente a
terra privo di vita.
Subito
Andrè si precipitò da Lady Sarah,
l’afferrò per la mano e corsero a perdifiato verso la carrozza.
Vi
montarono a precipizio mentre D’Harmòn
urlava al terrorizzato cocchiere di allontanarsi di corsa.
Lo
sportello della vettura non si era ancora
chiuso che l’uomo frustò i cavalli i quali, con un balzo, galopparono
via verso
il molo poco distante, mentre le urla di una donna, attirata fuori da
un locale
dallo sparo, si spargevano nell’aria limpida del primo mattino e
qualcuno già
gridava che un uomo era stato assassinato.
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Capitolo 28 *** La Medea ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XXVIII
La
"Medea"
La
corsa verso il molo durò pochi minuti
durante i quali a Lady Sarah sembrò che il mondo si fosse completamente
capovolto: solo mezz’ora prima si trovava addormentata tra le braccia
di André,
e ora stavano fuggendo precipitosamente, dopo che lei aveva ucciso un
uomo a
sangue freddo.
Non
che rimpiangesse d’averlo fatto: quel
bastardo non si meritava altro! Quando aveva sentito lo sparo mentre si
trovava
ancora in carrozza, aveva temuto per la vita di André e una furia
incredibile
si era impossessata di lei… Solo allora si era resa conto di amare il
Conte
D’Harmòn più della sua stessa vita.
Tuttavia,
pur avvezza all’uso delle armi poiché
suo padre, oltre alla scherma, l’aveva addestrata anche all’utilizzo
della
pistola, non le era mai capitato di uccidere qualcuno, neppure un
animale. Ma
quando aveva immaginato André a terra, ferito a morte dal colpo di Von
Webb,
non era più riuscita a resistere: se Klaus Von Webb avesse ucciso
l’uomo che
amava, a lei non sarebbe più importato di morire.
La
carrozza si fermò bruscamente e André scese,
recuperò rapidamente le due borse con i pochi effetti personali che
possedevano
e gettò un sacco di monete d’oro al cocchiere, che immediatamente
sparì,
lasciandoli soli.
Il
porto di Marsiglia, a quell’ora e in quel
periodo dell’anno, era insolitamente tranquillo: poche imbarcazioni,
perlopiù
piccoli pescherecci, erano attraccate al molo, mentre una sola nave di
consistenti dimensioni si trovava in porto.
Si
trattava di un veliero a quattro alberi, lungo,
ad occhio e croce, circa 240 piedi; probabilmente un “Clipper”, una nave
tipicamente commerciale, anche se armata di cannoni per difendersi da
eventuali
attacchi dei predoni del mare. Dotato di tre ponti, quello principale,
su cui
si potevano osservare il castelletto di poppa e quello di prua e dove
certamente si trovavano la cabina del Capitano e del suo assistente; il
ponte
di carico, dove alloggiavano gli altri ufficiali e il resto
dell’equipaggio e
quello solitamente denominato di “terza
classe”, ove si trovava la stiva e la
dispensa, il veliero batteva bandiera americana.
Il
Conte D’Harmòn decise che poteva essere
l’unica via di fuga per scampare alla cattura: prese per mano Lady
Sarah e con
lei si diresse rapidamente verso l’imbarcazione.
Alcuni
marinai stavano armeggiando accanto alla
nave; altri uomini sembrava stessero ultimando operazioni di carico,
probabilmente per affrontare il lungo viaggio che li avrebbe ricondotti
in America, sempre
che quella fosse la rotta
prefissata.
Si
avvicinarono ad uno di loro, che sembrava
essere il responsabile delle operazioni, e chiesero di poter parlare
con il
Comandante della “Medea”,
nome della nave che André aveva notato avvicinandosi.
L’uomo
li guardò per un attimo diffidente: i
due estranei non promettevano bene. La donna, pur molto bella, aveva un
aspetto
alquanto sciupato; sconvolto forse era il termine più esatto. Mentre
era certo
che l’uomo fosse ferito poiché, nonostante facesse il possibile per
nasconderlo, l’espressione del suo viso lasciava trasparire un velo di
sofferenza fisica. Conoscendo l’Ammiraglio Blackbird, comandante della Medea,
decise comunque di permettere ai due stranieri di parlare con lui.
L’Ammiraglio
era noto per le sue doti di profondo conoscitore dell’animo umano e
John
Clarke, suo primo assistente, sapeva che Alexander Blackbird avrebbe
saputo
come agire con i due estranei, qualunque cosa volessero in quel momento.
Li
fece salire sulla nave e li condusse a
colloquio con l’Ammiraglio.
Alexander
Blackbird era un uomo sulla
quarantina, che aveva raggiunto rapidamente gli apici della carriera
nella
Marina grazie alle sue eccellenti doti strategiche, alla sua abilità
come
condottiero e grazie anche al fatto che qualunque equipaggio sotto il
suo
comando lo aveva sempre rispettato e gli era sempre rimasto fedele,
cosa non
semplice da ottenere a certi livelli di gerarchia militare. Di aspetto
imponente, era ancora un bell’uomo, nonostante l’età: la vita in mare
aveva
giovato al suo fisico, anche se sul volto alcune rughe denotavano il
peso delle
responsabilità e gli anni trascorsi a navigare gli oceani, sotto sole,
vento e
tempeste.
Due
occhi azzurro cielo, quasi trasparenti,
spiccavano sul suo viso abbronzato e scrutavano attentamente chiunque
fosse al
suo cospetto, senza tuttavia metterlo a disagio. Anzi, era proprio
quella sua
caratteristica, nonché la sua capacità di ascoltare il proprio
interlocutore,
che gli aveva permesso di essere sempre ben voluto dai suoi uomini.
Ad
André l’Ammiraglio piacque subito e
pertanto, pur tralasciando alcuni particolari, raccontò la loro storia,
compreso il fatto che, in quel preciso istante, stava ascoltando due
ricercati
per omicidio.
Blackbird
apprezzò la sincerità del Conte, il
quale avrebbe potuto blandirlo con una storia fasulla, e ammirò anche
la fiducia
che il francese gli dimostrava. Nessuno, infatti, gli avrebbe potuto
impedire
di consegnare i due fuggiaschi ai gendarmi francesi che certamente
sarebbero
stati presto sulle loro tracce. Ma quell’uomo e quella donna gli erano
piaciuti
subito, per i loro modi aristocratici e schietti, nonostante la
situazione.
Decise
pertanto che Milady e il Conte
meritavano il suo aiuto: la Medea
era prossima alla partenza e nessuno avrebbe
potuto accusarlo di aver dato asilo a due ricercati. Nell’arco di
un’ora al
massimo sarebbero salpati, diretti a Southampton, in Inghilterra, per
un breve
scalo in vista della traversata atlantica: John Clarke gli aveva appena
comunicato che le operazioni di carico erano terminate e quindi erano
pronti
per lasciare Marsiglia.
Credendo
a stento a quell’insperata fortuna, il
Conte D’Harmòn ringraziò l’Ammiraglio per la sua ospitalità e aggiunse
che il
porto di Southampton era una meta perfetta. Scherzando Alexander
Blackbird
disse che, se lo avessero desiderato, avrebbe gradito la compagnia di
Milady e
del Conte fino in America, ma a quanto pareva la rotta transoceanica
non era
nei piani dei due fuggiaschi.
L’Ammiraglio
li fece accomodare nella propria
cabina, nonostante sia il Conte sia Milady gli avessero assicurato che
non era
necessario, che si sarebbero adattati anche altrove. Ma l’Ammiraglio,
lontano
da troppo tempo dalla sua adorata moglie, non ci aveva impiegato molto
a capire
che i due passeggeri erano innamorati… l’idea di concedere loro una
tregua alle
loro rocambolesche ultime settimane lo allettò parecchio, facendolo
sentire
giovane e spensierato, quasi un Cupido che vegliava sui due amanti.
Sorridendo
e pregustando il momento in cui
avrebbe raccontato a sua moglie Valerie dei due ospiti imprevisti a
bordo,
ordinò ad un membro dell’equipaggio che facesse pervenire in cabina del
cibo e
l’occorrente per medicare la ferita del Conte.
A
Valerie, romantica di natura, sarebbe
piaciuta quella storia: quasi sempre aveva da raccontarle solo di
noiose
vicende militari, ma quella volta, al suo ritorno, avrebbe avuto la
soddisfazione di incantarla con una storia d’amore!
Finalmente
tranquillo nella cabina
dell’Ammiraglio, André si gettò sul letto, esausto. La ferita al
braccio,
seppur superficiale, gli bruciava parecchio e avrebbe dovuto medicarla
al più
presto per evitare il rischio di un’infezione. Fortunatamente il
proiettile non
era penetrato nella carne, ma lo aveva colpito solo di striscio,
tuttavia era
meglio essere prudenti.
Non
aveva detto nulla a Sarah, per non
preoccuparla, ma in quel momento, risolto il problema principale della
loro
sicurezza, si concesse il lusso di riposare un poco.
Si
era tolto la giacca, mentre Sarah aveva
aperto ad un membro dell’equipaggio che aveva portato loro cibo e
l’occorrente
per curare una ferita.
Domandandosi
come mai l’Ammiraglio avesse
ritenuto necessario procurar loro anche altro, oltre al cibo, si voltò
verso
André e lo sorprese sul letto, con la camicia macchiata di sangue
all’altezza
dell’avambraccio.
Preoccupata
gli si avvicinò.
“Sei
ferito…” sussurrò con ansia, dandosi
mentalmente della stupida per non essersene accorta prima. Aveva notato
che
aveva il volto più tirato del solito, ma aveva creduto fosse per la
tensione
degli ultimi avvenimenti e la necessità di trovare al più presto una
via di
fuga sicura.
“Non
è nulla” rispose lui, ad occhi chiusi.
“Ora mi medicherò. Chiedi per cortesia l’occorrente a qualcuno
dell’equipaggio…”
“Non
occorre. L’Ammiraglio deve averlo capito,
perché ha già mandato tutto il necessario. Perché non mi hai detto
nulla?”
“Non
serviva preoccuparti oltre, si tratta di
una ferita da poco…” disse, mentre si metteva seduto, per levarsi la
camicia.
“Lascia
fare a me” lo fermò lei, aiutandolo a
togliersela. Poi prese l’occorrente e iniziò a medicarlo.
“Ricambi
il favore che ti feci a Natale?” disse
lui, leggermente divertito, osservandola
mentre puliva accuratamente la ferita; era assorta nel
compito, attenta
a non fargli troppo male.
“Già…”
disse piano, terminando di bendarlo.
“Hai
intenzione di ricambiarlo del tutto?”
domandò lui, con un tono provocante.
Lei
lo osservò, all’inizio senza capire: le
pareva strano che, dopo averlo visto poco prima alquanto stanco e
sofferente,
in men che non si dica sembrava essersi ripreso tanto da divertirsi a
quello
che gli stava facendo. Ma, scorgendo una luce maliziosa nei suoi occhi,
finalmente comprese e ricordò a cosa alludeva lui.
Ricambiò
il suo sguardo e si rilassò.
Finalmente erano al sicuro; l’Ammiraglio aveva assicurato che la nave
sarebbe
salpata presto e nessuno sapeva che loro erano a bordo. In quel momento
potevano stare tranquilli e godersi il viaggio di circa quarantotto ore
che li
separava dall’Inghilterra.
In
silenzio, iniziò a sfiorargli lentamente il
torace, partendo dalle spalle e scivolando più giù fino al ventre
piatto, in
una carezza leggera e sensuale. Mentre traeva piacere anche lei da quel
tocco,
lo osservò negli occhi e li vide mutare colore all’improvviso, come
sempre gli
succedeva quando la voleva: la sfumatura più azzurra lasciava il posto
al
grigio scuro, e le comunicava all’istante l’intensità del suo desiderio.
Lei
sorrise dolcemente, scoprendo che André
aveva già scordato la ferita, la loro rocambolesca avventura e anche la
stanchezza, e si sentì eccitata e felice all’idea del potere che aveva
su di
lui. Prese allora a seguire il medesimo percorso con le labbra,
strappandogli
un gemito di piacere.
Si
sentì stringere all’improvviso tra le sue
braccia e cercò di fermarlo, prolungando il divertimento della
schermaglia
amorosa con un piccolo rimprovero:
“Tu
dovresti essere incosciente, e permettermi
di accarezzarti a tua insaputa…” disse seria, ricordandogli quanto era
successo
tra loro nella prima locanda in cui si erano fermati.
“Ma
io non sono incosciente…”
“Conte,
se avessi immaginato che non eravate
privo di sensi, non mi sarei mai azzardata ad accarezzarvi…” disse lei,
con
aria civettuola, prendendolo in giro. “Non vorrei mai che pensaste di
me che
sono una sfacciata…”
Non
riuscì a proseguire nel suo scherzo, perché
lui la fece tacere con un bacio che le annebbiò i sensi, facendole
scordare
qualunque gioco.
Si
abbandonò tra le sue braccia, languida ed
accondiscendente, permettendogli tutto ciò che sapeva piacergli e che
lei
stessa desiderava.
André
era un amante esigente, appassionato e molto
generoso e lei aveva imparato entusiasta a rispondergli allo stesso
modo,
scoprendo in se stessa una natura sensuale e primitiva che mai avrebbe
immaginato di possedere.
Più
tardi, nella calma che segue la passione,
lui la trasse a sé, mormorandole tra i capelli:
“Voglio
un figlio…”
Lei
si sentì il cuore in gola, a quelle parole:
un figlio da lui… Oh, quanto lo avrebbe desiderato! Ma non poteva… non
era
possibile…
“Voglio
sposarti al più presto, Sarah, e voglio
avere dei figli da te” continuò André, deciso.
L’aveva
sentita irrigidirsi impercettibilmente
e sapeva che il suo spirito libero si stava risvegliando a quella sua
proposta.
Nonostante le avesse confessato più volte il suo amore e nonostante
sapesse che
lo amava, tuttavia lei glielo aveva detto una sola volta, nell’estasi
della
loro prima notte.
André
sapeva quanta paura aveva di legarsi ad
un uomo; ancora non comprendeva perfettamente tutti i motivi dietro a
quel
timore perché, ogni volta che tentava di strapparle qualcosa del suo
passato,
lei sfuggiva alle sue domande, trincerandosi dietro ad un ostinato
silenzio,
oppure giocando con lui l’arma della seduzione alla quale sapeva che
non era in
grado di resistere.
Una
volta, tormentato dall’ansia di scoprire
qualcosa in più, aveva frugato fra le sue cose, ma con scarsi
risultati. Lady
Sarah continuava ad essere un mistero: conosceva a memoria ogni curva
sensuale,
ogni piega del suo meraviglioso corpo, ma la sua mente e il suo passato
restavano ancora un enigma.
Aveva
trovato solo una lettera, indirizzata a
Lady Sarah Jane Montagu, di Beaulieu, in Inghilterra. Si trattava di
una
lettera strana, di poche righe e dal testo a lui incomprensibile:
“So dove si trova C.H.
Raggiungetemi a Bath e
vi darò altre informazioni. J.T.”.
Doveva
essere una lettera importante, se se la
portava dietro dall’Inghilterra.
Aveva
intuito che lei nascondeva un passato
carico di problemi, ma la voleva, la desiderava, voleva trascorrere il
resto
della sua vita con lei ed era disposto a tutto pur di averla. L’avrebbe
aiutata, qualunque cosa vi fosse in ballo.
“So
che c’è qualcosa, nel tuo passato, che ti
tormenta ma io voglio vivere con te per sempre e ti aiuterò…”
“Tu
non sai di cosa stai parlando, André…”
disse lei, pacata.
“Non
m’importa. Quello che voglio è sposarti e
voglio che sia tu la madre dei miei figli… Non ti piacerebbe un bambino
che
abbia la tua bellezza e la mia intelligenza?” aggiunse con un dolce
sorriso,
per provocarla.
Lei
si cullò per un attimo nella fantasia di
quel sogno irrealizzabile e replicò divertita: “E se avesse la tua, di
bellezza, e la mia intelligenza?”
“Andrebbe
bene lo stesso!” disse lui, felice
della sua risposta. Temeva un no secco e deciso e invece… sentì le sue
speranze
rinascere: forse, poco alla volta, la sua corazza si stava sgretolando
e se lui
l’avesse amata con tutto se stesso, era fiducioso che alla fine lei
avrebbe
ceduto.
***
29
Gennaio 1857
Siamo
in viaggio da alcune ore, dopo aver lasciato
Marsiglia sulla “Medea”, un veliero che batte bandiera americana.
L’Ammiraglio
Alexander Blackbird, comandante della nave, ha
protetto la nostra fuga, dopo che Sarah ha ucciso Klaus Von Webb per
difendermi.
Quell’assassino
traditore ci ha rintracciati all’arrivo a
Marsiglia e stava avendo la meglio su di me, dopo avermi ferito ad un
braccio.
Sarah,
ancora una volta, mi ha sorpreso: non immaginavo
sapesse impugnare una pistola e sparare. Ma quando l’ho vista, fredda e
determinata,
tenere sotto tiro Von Webb nonostante lui mi puntasse un pugnale alla
gola, ho
capito che sarebbe stata in grado di uccidere e, approfittando di una
momentanea distrazione del Bavarese, mi sono tolto dalla traiettoria
del
proiettile, gridandole di fare fuoco. Rapida e decisa ha premuto il
grilletto,
freddando Von Webb al primo colpo.
Non
appena ho realizzato che eravamo liberi, l’ho
trascinata alla carrozza, per raggiungere al più presto il porto.
Ci
occorreva una via di fuga, prima che i gendarmi si
accorgessero dell’omicidio e ci dessero la caccia.
L’unica
nave in porto che avrebbe potuto portarci lontano
dalla Francia era la “Medea”, diretta a Southampton per un ultimo scalo
prima
di affrontare l’Atlantico. Non avremmo potuto sperare di meglio: una
volta in
Inghilterra, con tutta calma potremo riattraversare la Manica e
raggiungere
Cluny.
L’Ammiraglio
è stato gentile e ci ha concesso persino la
sua cabina. Credo abbia intuito il nostro amore e abbia deciso di
regalarci,
senza troppe domande, un po’ di intimità…
Non
gli sarò mai grato abbastanza!
Trascorrere
la notte tra le braccia di Sarah è ciò che più
desidero al mondo e vorrei poterlo fare per il resto della mia vita.
Poche
ore fa, dopo aver fatto l’amore, gliel’ho detto: le
ho detto che voglio sposarla, che desidero dei figli da lei…
So
che lei non vuole legami, che qualcosa la tormenta. La
lettera, indirizzata a Lady Sarah Jane Montagu, di Beaulieu, che ho
scovato tra
i suoi effetti personali mentre cercavo un qualunque indizio sul suo
passato,
era più misteriosa di lei, ma questo non ha importanza…
Io
l’amo e l’aiuterò a risolvere qualunque problema possa
avere. Dopodiché saremo liberi di amarci e di avere tutti i bambini che
vorremo…
La
condurrò a Chateau D’Igne, e le regalerò la vita più
meravigliosa che mi sarà concesso di donarle.
Nulla
potrà impedirmi di realizzare questo sogno.
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Capitolo 29 *** Il Segreto del suo cuore ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XXIX
Il
Segreto del suo cuore
Copiose
lacrime le rigavano il volto mentre
cercava, a stento, di soffocare i singhiozzi che la stavano devastando.
Lui
era a letto, profondamente addormentato: il
sonnifero che gli aveva versato nel tè aveva già fatto effetto e si
sarebbe
svegliato solo molte ore dopo.
Lo
guardò attraverso gli occhi velati di pianto
e sentì una stretta al cuore… era bellissimo, anche nel sonno. Forse,
per certi
aspetti, lo era quasi di più.
Non
poteva vedere i suoi splendidi occhi né il
sorriso luminoso che sempre le faceva andare il cuore in gola; ma nel
sonno la
sua bocca sensuale, rilassata nella morbida piega dell’accenno di un
sorriso,
gli conferiva un’aria vulnerabile, quasi fanciullesca.
Il
suo corpo perfetto, appena parzialmente
coperto dal lenzuolo, giaceva abbandonato e nel guardarlo provava uno
straziante senso di vuoto al pensiero che non lo avrebbe più sentito
dentro di
sé.
Quante
volte, da quella prima notte d’amore,
quelle braccia forti e tenere al tempo stesso l’avevano stretta a quel
corpo
tanto desiderabile? Quante volte le sue mani l’avevano accarezzata,
regalandole
sensazioni indescrivibili? Quante volte aveva anelato il contatto con
la sua
pelle?
Lo
aveva capito immediatamente, fin da quella
prima notte, immersi nel bianco dei monti del Tirolo, che la passione
che aveva
provato tra le sue braccia non le sarebbe mai bastata; che da quel
momento in
poi, donandogli il proprio corpo, ma soprattutto il proprio cuore, lui
sarebbe
sempre stato con lei, anche se non lo avesse più rivisto.
Era
convinta, tuttavia, che quando fosse giunto
il momento di lasciarlo – e lei sapeva che quel momento sarebbe
arrivato – non
sarebbe stato troppo doloroso allontanarsi da lui.
In
fondo lui era soltanto un uomo.
Un
uomo speciale, d’accordo, che l’aveva fatta
sentire donna come mai nessuno prima di allora, ma pur sempre un uomo.
E
lei non aveva bisogno degli uomini! Di
nessuno di loro.
Quel
magnifico esemplare maschile non aveva
nulla di diverso da quelli che, prima di lui, avevano posseduto il suo
corpo.
La sua bellezza e il suo fascino lo avevano reso semplicemente più
desiderabile
ai suoi occhi, ecco perché con lui aveva provato sensazioni bellissime,
contrariamente agli altri, che le avevano sempre suscitato solo repulsione. Semplicemente
lui ci sapeva fare
meglio; sapeva blandirla con parole appassionate, mentre la toccava con
quelle
mani capaci di regalarle il paradiso.
Ogni
giorno, da quella prima notte in cui si
era lasciata sfuggire quel “ti
amo” che gli aveva strappato il più dolce dei
suoi sorrisi, continuava a ripetersi questo discorso, per convincersi
che non
sarebbe stato troppo difficile lasciarlo.
Era
costretta a farlo: lui avrebbe voluto
sposarla, così le aveva detto. Voleva dei figli… e lei aveva capito ben
presto
che nessuna spiegazione gli avesse fornito lo avrebbe convinto a
desistere dai
suoi progetti. Quell’uomo aveva una volontà di ferro e l’unico modo per
impedirgli di trascinarla lontano da ciò che sapeva essere il proprio
destino,
era fargli credere che lo avrebbe assecondato, per poi mettere miglia e
miglia
di distanza tra loro.
Fuggire,
in pratica. Fuggire da lui.
E
per riuscire a farlo, scordando l’immagine
tentatrice di una vita meravigliosa al suo fianco ad accudire e
crescere i suoi
figli, non aveva avuto altra scelta che continuare a ripetersi che lui
era
semplicemente un uomo, come tutti gli altri.
Se
lo era ripetuto all’infinito, arrivando ad
esserne convinta; ma fino a quel momento non aveva ancora letto quel
quadernetto di pelle marrone.
Risvegliandosi
dopo aver trascorso la notte tra
le sue braccia, non lo trovava quasi mai accanto a sé, ma ad un tavolo,
intento
a scrivere. Non appena si accorgeva che lei era sveglia, smetteva
immediatamente e la raggiungeva, per amarla di nuovo; però qualche
volta lei
aveva finto di dormire ancora, per osservarlo indisturbata, e lo aveva
visto
continuare a lungo.
Scriveva
rilassato, intingendo lentamente la
penna nell’inchiostro e fermandosi spesso a riflettere, quasi a
scegliere le
parole migliori prima di fissare i pensieri su carta; più di una volta
lo aveva
sorpreso a voltarsi verso di lei, osservarla per qualche istante e poi
tornare
a scrivere, come se il solo guardarla gli avesse fatto venire in mente
la frase
giusta.
Ad
un certo punto aveva capito che lui scriveva
un diario e a quell’idea si era intenerita e incuriosita al tempo
stesso, tanto
da chiedergli cos’avesse sempre di così importante da scrivere al
mattino; lui
aveva replicato divertito che spesso scriveva anche di sera o di notte,
ma in
definitiva una risposta non gliel’aveva data.
Sapeva
essere molto evasivo, quando voleva!
La
sua reticenza non aveva fatto altro che
aumentare la sua curiosità: mai avrebbe immaginato che l’affascinante
Conte
André D’Harmòn, l’abile spadaccino, l’elegante e mondano uomo d’affari,
nonché
il caparbio e impertinente francese che le aveva rubato il cuore,
tenesse un
diario!
Aveva
atteso che sprofondasse nel sonno
artificiale, quindi si era alzata dal letto, si era vestita e aveva
radunato
rapidamente le poche cose che avrebbe portato con sé, pronta a lasciare
la Medea
al più presto, non appena fosse attraccata a Southampton. Sapeva che
l’imbarcazione faceva scalo per poche ore, giusto il tempo per
rifornirsi per
il lungo viaggio oltreoceano; per questo aveva calcolato con precisione
la dose
di sonnifero da somministrargli, onde evitare che si svegliasse in
tempo per
seguirla. L’accordo tra loro era che sarebbero sbarcati entrambi in
Inghilterra
e da lì avrebbero raggiunto Cluny, dove c’era lo Chateau di famiglia
dei
D’Harmòn; il tè drogato che gli aveva fatto bere lo avrebbe fatto
dormire
finché la Medea
non fosse stata in pieno Atlantico.
Era
ormai pronta e stava attendendo l’arrivo in
porto quando lo sguardo le era caduto su alcuni suoi effetti personali
appoggiati sul tavolino accanto al letto: sotto il libro che lui stava
leggendo
aveva scorto il quadernetto di pelle marrone… Con il cuore a mille si
era
avvicinata e lo aveva preso in mano, sfiorando per un attimo con le
dita la
copertina, quasi ad accarezzare il ricordo delle sue mani che tante
volte
avevano aperto quel diario.
Si
era sentita una ladra, pronta a carpire i
segreti e i pensieri più intimi dell’uomo che, ignaro, dormiva nel
letto.
Aveva
avuto anche paura ad aprirlo; paura di
leggere e scoprirlo diverso da come voleva portarselo per sempre nel
cuore. In
fondo sapeva bene che in ognuno esiste un lato oscuro, la parte più
segreta…
spesso la più affascinante proprio perché tale, ma non necessariamente
la
migliore. Di certo la più vera ma, proprio per questo, anche la più
fragile o
la meno immaginabile.
Eppure
non era riuscita a resistere e lo aveva
aperto: immediatamente si era sentita come catapultata nell’intrigante
mistero
che era la personalità di André François D’Harmòn.
Sulla
prima pagina non vi era data, ma solo un
pensiero.
La
scrittura è un’attività che ha lo scopo di comunicare e
fissare i concetti.
La
calligrafia implica un concetto estetico e la rende
un’arte che nulla ha da invidiare alla pittura, alla musica o al teatro.
Tramite la
calligrafia la scrittura diventa la danza della
penna sul foglio, una danza che fa rivivere nel tempo antiche emozioni.
Quelle
parole e la sua calligrafia, chiara e al
tempo stesso elegante, l’avevano subito affascinata, spingendola a
divorare i
fogli scritti, uno dopo l’altro.
Il
diario iniziava poco prima del loro incontro
e le prime pagine riportavano le sue considerazioni alla richiesta di
Francesco
Giuseppe di andarla ad attendere a Calais. Scoprì che lui credeva di
dover
lavorare con un uomo e sorrise immaginando la sua sorpresa nello
scoprire che
l’Inglese che avrebbe dovuto accompagnare dall’Imperatore non era un
uomo, ma
una donna.
Esponeva
dubbi, fatti e pensieri con chiarezza,
usando uno stile conciso, pur non privo di una nota poetica insolita in
un
uomo, espressione inconfondibile della sua profonda sensibilità.
Proseguendo
aveva ritrovato anche il suo lato umoristico, nonché lo spirito
impertinente e
un po’ sfacciato che le era sempre piaciuto tanto fin dal primo momento.
Ma
quando era giunta alle parole scritte dopo la
loro prima notte d’amore, era stato allora che si era resa conto di
piangere:
André aveva messo in quelle parole la stessa passione con cui l’aveva
amata, il
medesimo trasporto e l’identico amore che le aveva regalato quella
notte
stessa.
Poche
ore prima si era donata a lui
completamente, amandolo senza riserve: voleva che la sua immagine fosse
incisa
per sempre nel proprio cuore; anche lui l’aveva amata con una passione
tale da
far ribellare ogni fibra del suo corpo alla sola idea di ciò che stava
per fare.
Ma, mentre lei era consapevole che quella sarebbe stata la loro ultima
notte
insieme, essendo stata una sua decisione, per André si trattava di una
notte
come le altre, una delle tante tra quelle che aveva immaginato nel loro
futuro.
Eppure l’aveva amata con grande trasporto, come sempre.
Quello
era il suo modo d’amarla: intenso,
appassionato e coinvolgente. E, a quanto aveva letto nel suo diario,
profondamente sentito.
Arrivò
sino all’ultima pagina, che recava la
data del giorno precedente; le sue parole fiduciose la fecero sentire
ancora
più in colpa per il dolore che, ormai ne era certa, gli avrebbe
provocato al
risveglio. Quella consapevolezza le fece prendere una decisione che non
avrebbe
mai preso per nessun altro uomo.
Voltò
la pagina vergata con la sua calligrafia,
trovando il primo foglio bianco; intinse la penna nell’inchiostro e
iniziò a
scrivere.
***
“Oh no! Non è
possibile…”
“Che ti
succede, Mac?”
“Non ci posso
credere
” disse di nuovo, sedendosi
lentamente, quasi le gambe non la reggessero più.
Stava
aspettando Harm che, quando era arrivata, le aveva
chiesto cinque minuti per farsi una rapida doccia e mettersi in
libertà, prima
di iniziare a leggere insieme quelle che sembravano essere le ultime
pagine del
diario del conte D’Harmòn. Era uscita prima di lui dall’ufficio per
passare da
casa a cambiarsi, lasciandolo solo a terminare di riordinare le carte
dell’Ammiraglio Blackbird. Era stato Harm ad insistere, affinché lei
potesse
arrivare a casa sua per cena.
Il loro
lavoro era finito e l’indomani avrebbero terminato
la relazione per l’Accademia Navale; le loro conclusioni sulla vicenda,
una
volta tanto dopo parecchio tempo, concordavano: Blackbird aveva sì dato
un
passaggio sulla Medea al conte D’Harmòn e a Lady Sarah, ma era stato
per puro caso
e certamente senza che questo fatto implicasse contatti tra
l’Ammiraglio e
l’imperatore Francesco Giuseppe.
A voler ben
guardare tutto il lavoro di quelle ultime
settimane, dal punto di vista dell’Accademia Navale, era risultato
pressoché
inutile; non toglieva nulla, ma neppure aumentava il prestigio
dell’Ammiraglio
Blackbird.
Eppure per
Mac quell’incarico che all’inizio le era
sembrato un peso, l’aveva coinvolta a tal punto che ora faticava ad
allontanarsene.
Merito del
diario del Conte.
Leggere quel
quaderno con Harm aveva permesso un loro
riavvicinamento e le aveva fatto comprendere chiaramente che lui
sarebbe sempre
stato l’unico uomo di cui era innamorata.
“Allora? Me
lo dici che succede?” le domandò di nuovo lui,
giungendo dal bagno con un telo blu navy ai fianchi, un altro
asciugamano tra
le mani con cui si stava frizionando i capelli e goccioline d’acqua che
ancora
scivolavano sul suo petto nudo.
Quanto
avrebbe dato per poter essere una di quelle
goccioline!
Harm smise di
asciugarsi e la osservò mentre lo stava
divorando con gli occhi; con un moto di gioia interiore rimase qualche
secondo
ancora immobile, in silenzio, poi alzò un sopracciglio e con un sorriso
divertito domandò:
“Che c’è?”
Lui si stava
riferendo al suo Oh, no!
di poco prima, che
le aveva sentito pronunciare appena terminata la doccia. Ma a quanto
sembrava,
in quel preciso istante lei stava pensando ad altro, perché rispose:
“Non
ricordavo quanto fossi bello…”
Non aveva
agito intenzionalmente presentandosi a lei in
quel modo; semplicemente aveva reagito d’istinto, sentendo la sua
esclamazione
e non ricevendo risposta alla sua prima domanda.
Ma ora era
contento di essersi lasciato guidare
dall’impulso del momento.
Lei si rese
conto di quello che aveva detto e distolse a
fatica lo sguardo dal suo corpo, tornando all’argomento principale.
“Oh… nulla.
Mi riferivo al diario…”
“Hai
sbirciato, vero?” chiese lui con un ampio sorriso.
“Ebbene sì,
avvocato, sono colpevole. Ma non ho
resistito!”
“E…?”
Lo riguardò,
deglutendo vistosamente, prima di dirgli
quasi con rammarico:
“Vai a
vestirti e raggiungimi. Così, poi, potrai
divertirti quanto vorrai a prendermi in giro…”
“Lei lo
lascia, vero?”
“Come lo sai?
Hai sbirciato prima di me?”
“No, ma me lo
sentivo. D’istinto…”
“A te Lady
Sarah non è mai piaciuta!”
“Al
contrario. Mi piace. Mi piace moltissimo…” e nel
pronunciare quelle parole le lanciò uno sguardo intenso, “l’apprezzo
per la sua
indipendenza, il suo coraggio e anche per la sua fragilità…” aggiunse,
riferendosi a Mac.
“Ma hai
sempre saputo che lo avrebbe lasciato…”
“Più che
altro ho sempre pensato che lo avrebbe fatto
soffrire, e molto anche.”
“Ma perché?
Si amano… E inoltre Andrè le ha fatto
conoscere l’amore…”
“A volte non
sempre quello che un uomo fa per la donna che
ama è sufficiente…”
“Eppure anche
lei lo ama. Io ne ero già convita, ora lo so
con certezza. E’ scritto qui. Leggi…”
Ti
scrivo mentre dormi; il sonno che ti ho indotto con il
sonnifero non altera la bellezza né la serenità del tuo volto e io non
riesco a
smettere di guardarti.
Ci
devo riuscire, ma gli occhi non obbediscono alla mia
volontà.
Ti
lascio, André.
So
di aver violato la
tua intimità, leggendo questo diario; ma lo rifarei di nuovo, ora che
conosco i
tuoi pensieri più reconditi e la bellezza del tuo animo.
Il
tuo dolore, quando scoprirai la mia fuga, non sarà mai
più grande del mio in questo momento e ogni volta che penserò a te: tu
avrai
solo la mia mancanza, io avrò anche la consapevolezza d’averti fatto
soffrire.
So
che vorresti aiutarmi, se solo te lo concedessi. So anche
che daresti la vita per me: se ancora non lo avevo capito, dopo aver
letto il
tuo diario non ho più dubbi. Ma la mia vita è troppo complicata.
Restane fuori,
per il tuo bene.
Non
cercarmi. Lasciami andare e segui il tuo destino.
Ogni
istante trascorso con te è stato meraviglioso e so che
non lo dimenticherò mai, così come so con certezza che il mio cuore ti
apparterrà per sempre. Lo hai conquistato tu, André, con la tua
dolcezza, con
la tua passione e con il tuo amore.
Conserva
di me soltanto un ricordo nel tuo cuore. Nel mio
non ci sarai che tu.
Non
potrò mai scordare l’unico uomo che mi ha fatto
conoscere l’amore.
|
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Capitolo 30 *** Giochi del Destino ***
GdD - 2 - Un Diario
Capitolo XXX
Giochi
del Destino
Mac era
delusa per com’era terminato il diario del Conte.
In tutta franchezza aveva sperato in un “e vissero felici e contenti”
perciò
c’era rimasta davvero male, quando, la sera prima, aveva scoperto che
Lady
Sarah aveva abbandonato Andrè.
“Perché poi?” si
stava domandando, mentre attendeva che il
caffè si scaldasse. Qual era l’irrinunciabile missione di Milady? Non
poteva
credere che possedesse così tanta fermezza d’animo; qualunque donna,
anche la
più fredda e glaciale, aveva lo stesso un cuore.
Prese la
tazza e si avviò lemme lemme, sprofondata in
queste riflessioni, verso la sua stanza. Era arrivata molto presto
quella
mattina per sistemare la relazione che lei e Harm avrebbero dovuto
presentare
quel pomeriggio all’Ammiraglio e che conteneva le loro conclusioni sul
caso
Blackbird.
Da un lato
sapere che il Conte D’Harmòn e Lady Sarah erano
realmente esistiti la confortava, era bello avere appreso che le fiabe
potevano
diventare realtà, anche se quella fiaba in particolare non aveva avuto
un lieto
fine. Dopotutto sentiva di aver contratto un debito di riconoscenza con
il
bell’André, se non fosse stato per il suo diario non avrebbe mai fatto
chiarezza nei suoi sentimenti verso Harm.
Si sedette
alla scrivania, posò la tazza e diligentemente
mise mano alla bozza di relazione che il collega le aveva lasciato
sulla
scrivania la sera prima.
Anche Harm
c’era rimasto male per come era finita la
storia fra Lady Sarah e il Conte, ma la sua non era delusione per una
bella
favola senza lieto fine, al contrario ce l’aveva col Conte per non
essere stato
in grado di tenersi stretta la donna che amava.
“Perché tu cosa stai facendo?”
chiese alla sua immagine
riflessa, mentre si stava annodando la cravatta della divisa. Come al
solito
era in ritardo.
“Stai permettendo che Webb torni
a farsi strada nel cuore
di Mac, quando sai perfettamente che la ami e che l’ultima cosa che
vorresti è
che tornasse con lui. Sarah vuole solo ciò che desiderano tutte le
donne
normali: un po’ d’attenzione e sentirsi dire ‘ti amo’.”
Scosse la
testa, non era tipo da cenette romantiche, rose,
violini, anelli e dichiarazioni appassionate. Non lo era e non lo
sarebbe mai
stato, questo lo sapeva con granitica certezza, ma sapeva altresì con
altrettanta granitica certezza che amava Sarah, che la voleva accanto a
sé per
i giorni e gli anni a venire e in più di un’occasione gliel’aveva
dimostrato
con i fatti. Purtroppo ogni volta o lui o lei avevano frainteso le
parole o i
gesti dell’altro e anziché avvicinarsi avevano finito con
l’allontanarsi ancor
di più.
Mac terminò
di correggere la bozza di Harm e andò a
portargliela, visto che l’aveva sentito arrivare nel frattempo,
nonostante la
porta chiusa.
“Ciao Marine”
l’accolse, “ti stavo aspettando.”
Si stupì:
“Per cosa?”
“Ieri sera,
dopo che abbiamo terminato di leggere il
diario te ne sei andata senza dire una parola.”
“Bè abbiamo
chiacchierato per ore, mi hai fatto tornare a
casa che erano quasi le due” celiò lei.
“Però non mi
hai detto le tue impressioni sulla scelta di
Lady Sarah.”
“Che vuoi che
ti dica?” rispose sedendosi. “Ci sono
rimasta male” confessò, “se fossero stati due personaggi di fantasia
avrei
alzato le spalle e mi sarei dedicata ad altro, come faccio quando
termino un
libro che mi ha particolarmente appassionata, ma loro sono realmente
esistiti e
questo cambia le cose. Avrei preferito…”
“Avresti
preferito un happy end” completò lui per lei.
Mac sorrise
ironica del proprio stato d’animo e si prese
in giro da sola: “Che stupida vero?”
Harm la
guardò intensamente: “Per me non sei stupida” le
disse serio, “dopotutto è stata una lettura appassionante e il Conte è
un
ottimo narratore.”
“Soprattutto
è stata una lettura illuminante, non trovi?”
disse lei riprendendosi dalla momentanea debacle mentre uno
strano brillio le accendeva
gli occhi. Tuttavia non gli lasciò il tempo di replicare: “Ti ho
portato la
bozza corretta della relazione. Dimmi cosa ne pensi.” Si alzò, posò il
fascicolo sulla scrivania e uscì dalla stanza.
Harm lo aprì
e cominciò a leggere. Forse c’era una speranza,
dopotutto.
Il tempo
scorse veloce e l’ora di pranzo giunse in men che
non si dica. Harm alzò lo sguardo dalle carte e si accorse che gli
uffici erano
semideserti. Senza accorgersene era rimasto immerso nel lavoro per
buona parte
della mattinata e non aveva più visto Mac. Ma ora ne sentiva la
mancanza, e
pertanto decise di pranzare con lei, così avrebbe goduto della sua
compagnia e
nel frattempo avrebbero potuto discutere di alcune cose prima di
mettere
definitivamente in bella la relazione sul caso Blackbird.
La riunione
con l’Ammiraglio era fissata per le 16.00,
quindi dovevano sbrigarsi.
La trovò con
un piede sulla porta dell’ufficio.
“Pranziamo?”
le chiese indicandole anche il fascicolo.
“Volentieri”
gli rispose con un sorriso radioso
prendendolo sottobraccio.
Dall’uscio
della stanza di Coates, l’Ammiraglio aveva
seguito la scena. Se mai avesse avuto dei dubbi ora erano
definitivamente
fugati. Non gli era mai capitato di vedere il Colonnello prendere
sottobraccio
il Comandante con un’aria da scolara in gita. Il reef di una
vecchia canzone
gli tornò alla mente “Love
is in the air, everywhere you look around”.
Soddisfatto si ritirò nello studio, non voleva rovinare l’atmosfera
creatasi
fra i due ufficiali facendo la parte del terzo incomodo, ancorché
involontario.
Avrebbe atteso che abbandonassero la palazzina e poi sarebbe uscito a
pranzo a
sua volta.
Harm e Mac si
sedettero ad uno dei tavolini esterni di
McMurphy’s. La primavera era solo all’inizio, ma l’aria si era fatta
più
tiepida, anche il sole era divenuto più caldo e all’ora di pranzo era
piacevole
stare all’aperto.
“Presto indosserà la divisa bianca”
pensò Mac
apparentemente immersa nella lettura del menù, “e allora potrò bearmi dei suoi
bicipiti… e di altro” terminò il pensiero maliziosamente.
Ormai aveva
intrapreso la strada dell’illuminazione perciò tanto valeva ammetterlo
fino in
fondo: Harm le piaceva da impazzire fisicamente, non si stancava mai di
guardarlo e di immaginare il suo corpo sotto l’austerità della divisa o
sotto i
più comodi abiti borghesi. Era indubbio: era proprio un bell’uomo, il
classico
tipo che, quando lo incontri per strada, ti fermi e ti volti a
guardarlo fino a
quando non scompare alla tua vista invidiando a morte la fortunata
donna che
l’ha come compagno o come marito…
Spesso si era
sorpresa a chiedersi come sarebbe stata una
vita con lui, come sarebbe stato dividerne la quotidianità, se fosse un
tipo
che lasciava in giro i calzini sporchi o il tubetto del dentifricio
aperto sul
lavandino… l’arrivo del cameriere la distolse da questi pensieri.
Ordinarono e,
nell’attesa, discussero sulle modifiche apportate da ciascuno e su
quelle,
eventualmente, ancora da apportare. Ora che ebbero terminato il pranzo
si erano
accordati sulla versione definitiva da stendere.
“Non appena
torniamo in ufficio la metto in bella” disse
Mac. Poi, dopo una breve riflessione, aggiunse: “Perchè non lavoriamo
in
tandem? Tu detti e io scrivo così se dobbiamo apportare ancora delle
variazioni
possiamo discuterne direttamente senza fare la spola fra i due uffici.”
Harm era
sinceramente stupito: “Sei sicura di volerlo
fare?” chiese, memore delle volte precedenti quando avevano finito con
l’accapigliarsi persino sulla disposizione delle virgole.
“Perché no?
Sono disposta a correre il rischio” rispose
lei terminando l’acqua tonica. Sapeva cosa stava pensando lui, ma non
gliene
importava nulla, lo voleva accanto a sé il più a lungo possibile.
Si alzarono e
pagarono, dopodiché tornarono alla palazzina
di mattoni rossi. Entrambi sentivano molto la presenza dell’altro
accanto e
nell’aria sembrava corresse una strana elettricità.
Mac prese
Harm sottobraccio e, chiacchierando tranquilli
del più e del meno, arrivarono a destinazione.
Durante il
tragitto incontrarono i Roberts che stavano
andando al Bethesda per il controllo mensile di Harriett, ormai in
avanzato
stato di gravidanza.
“La calma che
precede la tempesta” osservò Bud. La moglie
lo guardò con aria interrogativa.
“Di solito
quando si comportano a questa maniera manca
tanto così ad una delle loro epiche litigate” rispose alla muta domanda
il
Tenente Roberts.
Harriett salì
in macchina scrollando la testa e
sorridendo: “Conosci pochissimo i tuoi amici, caro” rispose, “se non
hai notato
lo sguardo del Colonnello e l’aria beata del Comandante.”
Bud si voltò
e sgranò gli occhi: “Vuoi dire che...” Ma non
terminò la frase. Neanche nei suoi sogni più arditi avrebbe mai osato
sperare
che quella storia decennale fosse alla fine giunta al termine.
“Non ancora,
ma sono sulla buona strada.”
Mise in moto
e partirono alla volta del Bethesda.
Nel frattempo
Harm e Mac erano arrivati, si installarono
nell’ufficio e cominciarono a lavorare.
Quando il
personale del JAG, per lo meno chi li conosceva,
li vide sparire nell’ufficio del Colonnello con la chiara intenzione di
lavorare assieme pensarono quello che aveva pensato Bud poc’anzi: di lì
a poco
il Comandante sarebbe uscito sbattendo la porta e inveendo
all’indirizzo del
Colonnello che era meglio che i rapporti se li scrivesse da sola. Per
cui tutti
rimasero ancora più stupiti, quando non solo non udirono alcunché né
videro
Rabb abbandonare l’ufficio della collega, ma addirittura, più tardi, li
videro
dirigersi tranquilli e rilassati in direzione dello studio
dell’Ammiraglio.
Ne uscirono
un’ora dopo con una pila di fascicoli tra le
braccia, entusiasti per l’inizio di un nuovo incarico ma al tempo
stesso delusi
per la fine di un’avventura tanto appassionante e avvincente.
Mentre Harm
tornava nel suo ufficio all’improvviso, senza
un perché, ricordò il bacio che Mac gli aveva dato ormai settimane
addietro e
le sensazioni che aveva provato in quegli istanti. Si rese conto che
avrebbe
voluto riprovarle, che avrebbe voluto impossessarsi delle sue labbra
per
assaporarle di nuovo. Desiderava sentirla abbandonarsi contro il
proprio corpo,
arresa alle sensazioni che sperava il suo bacio le avrebbe provocato.
Si sedette
alla scrivania, per iniziare a studiare il
nuovo caso, ma l’istinto prese il sopravvento: si alzò e uscì.
“Posso?”
bussò alla porta di Mac.
“Prima fammi
solo prendere un caffè. Sono molto stanca.”
“Te lo porto
io” e sparì in direzione della kitchenette.
Mac si stupì
e non poco per quell’insolito gesto di
galanteria. In nove anni si poteva contare sulla punta delle dita di
una mano
quante volte Harm le aveva portato il caffè in ufficio. Non lo faceva
per
egoismo o perché mancasse di sensibilità, semplicemente era… era Harm e
lei lo
amava così, non l’avrebbe cambiato di una virgola. Battute al vetriolo
comprese. Anzi, forse quello era il suo lato che la stimolava di più.
Arrivò dopo
pochi minuti con una tazza di caffè fumante.
“Appena
fatto” disse porgendogliela. “Italiano”
puntualizzò. “Ti serviranno energie supplementari Colonnello, la
giornata non è
finita.”
“Cosa è
successo di nuovo?” chiese sorseggiando con gusto
la bevanda scura.
“Quello che
sto per fare.”
Le si
avvicinò e percepì un fremito in lei, mentre il suo
sguardo s’incupiva e la sfumatura nocciola dei suoi occhi diventava
quasi nera.
Le tolse la tazza dalle mani e la posò sulla scrivania, sfiorandole il
volto
con una carezza invisibile. Le labbra di Mac parevano una calamita che
l’attraevano sempre di più. L’attirò a sé e le mise una mano sulla nuca
portando il suo capo verso di lui e posò le proprie labbra su quelle
morbide di
Sarah. La baciò a lungo e molto dolcemente, assaporandone la morbidezza
e il
profumo leggermente zuccherato. Era inebriante e paradisiaco.
Mac non
credeva veramente che tutto quello stesse davvero
accadendo, l’unico pensiero coerente che riusciva a formulare era che
la porta
dell’ufficio era semiaperta e che qualcuno li avrebbe potuti vedere.
Alla fine
rinunciò persino a quell’unico barlume di razionalità e si abbandonò
completamente fra le braccia di Harm, rispondendo con ardore al suo
bacio e
stringendosi a lui.
Sembrava che
il tempo si fosse fermato e che tutto intorno
a loro fosse scomparso, lasciandoli soli a godere di quella magia…
All’improvviso
lui la lasciò andare, ma non resistette
alla tentazione: “Avevo voglia di assaggiarti nuovamente, Colonnello”
le disse
e uscì dall’ufficio.
***
Una
lama di luce colpì gli occhi chiusi di
André che subito si svegliò di soprassalto, con una sensazione di vuoto
accanto
a sé. Si levò a sedere e vide che la parte destra del letto era vuota.
“Sarah?”
chiamò, pensando che fosse nelle
vicinanze, ma nessuno rispose.
“Sarà sul ponte di coperta.”
Si alzò ed entrò
nell’angusto bagno della cabina dell’Ammiraglio Blackbird, messa
generosamente
a loro disposizione dallo stesso, e si stupì di trovarvi le proprie
cose, ma
non quelle di lei.
Un
orribile sospetto gli s’insinuò nella mente,
ma non ci volle credere. Si lavò e si vestì. Era certo che l’avrebbe
trovata,
con la lunga chioma sciolta e finalmente libera dalle forcine e dalle
complicate acconciature di Corte, sulla tolda, abbigliata in tenuta
maschile e
immersa in una fitta conversazione con l’Ammiraglio Blackbird o con
qualcuno
dei suoi ufficiali.
Salì
sul ponte e la brezza tesa e fredda
dell’Atlantico lo accolse. Onde alte almeno tre metri si scontravano
con il
robusto scafo della “Medea”,
che fendeva la superficie di piombo liquido del
mare con sicurezza ed agilità. Intorno a lui ferveva l’attività dei
marinai,
mentre un giovane sottufficiale gridava loro gli ordini che a sua volta
riceveva dal secondo in comando, in piedi sul cassero di poppa accanto
all’Ammiraglio
che era al timone del veliero.
Di
Sarah non v’era traccia. Dove poteva essere?
Rise
divertito per non averci pensato prima.
Avrebbe dovuto ormai essere abituato al suo anticonformismo, ma ancora
faticava
a starle dietro.
“La cambusa!” pensò
e subito si tranquillizzò.
Salì sul castelletto di poppa e raggiunse l’Ammiraglio Blackbird.
“Buongiorno
Conte” lo salutò il lupo di mare.
“Buongiorno
Ammiraglio. Un po’ agitato stamani
il mare, vero?”
“Non
più del normale, Conte. Questa non è la
stagione più adatta per affrontare una traversata, ma data l’urgenza…”
Gli
rispose Blackbird lasciando il timone al suo secondo e scendendo con
lui i tre
gradini che dividevano il castelletto di poppa dal ponte vero e
proprio.
“Stamani sul far del mattino abbiamo incontrato del vento teso
proveniente
dall’Irlanda, la nave ha ballato un po’. Spero che questo non vi abbia
disturbati.”
André
lo guardò senza capire: “Non mi sono
accorto di nulla. L’ultimo ricordo che ho è di ieri verso sera: ho
bevuto un tè
con Milady e poi sono crollato sul letto addormentato.”
Il
sospetto di poco prima tornò più forte, ma
anche questa volta D’Harmòn non volle dargli ascolto.
“A
proposito di Milady” chiese, “l’avete vista?
Al mio risveglio non l’ho trovata in cabina e ho pensato fosse salita
sul
ponte, ma non la vedo neanche qui.”
L’Ammiraglio
Blackbird scosse il capo:
“Desolato Conte. Sono sveglio da quando abbiamo lasciato il porto di
Southampton e non ho visto nessuno.”
“Il porto di Southampton?”
pensò.
Si
congedò rapidamente dall’Ammiraglio e scese
di corsa in cabina. Entrò e cominciò a guardarsi attorno, cercando gli
effetti
personali di Sarah… non trovò nulla, ma vide il suo diario aperto sul
tavolino
dove ricordava d’averlo lasciato la sera precedente, sotto il libro che
stava
leggendo.
Si
avvicinò, lo prese in mano e divorò con
ansia le parole che vi trovò scritte.
Lei
se n’era andata…
Lentamente
risalì in coperta, si avvicinò al
parapetto di poppa, sperando di scorgere ancora la costa inglese.
“Perché Sarah?” si
chiese, appoggiando le mani
alla balaustra di legno finemente intarsiata con il cuore gonfio di
dolore e
tristezza.
Fissò
l’orizzonte dove la scia della “Medea”
si
confondeva con il cielo plumbeo, mentre il vento freddo del Nord
Atlantico si
portava via le sue lacrime.
Fine
Dedica
Questa
fanfic è dedicata a Mr.Smith.
E’
un grazie personalissimo per averci regalato dieci anni
di sogni, per averci fatto scoprire una vena creativa che non sapevamo
di possedere,
per averci fatto venir voglia di innamorarci di nuovo e per aver reso
possibile
conoscere tante persone che non avremmo mai incontrato se non avessimo
visto
JAG e non ci fossimo “innamorate” di lui e dei suoi fantastici occhi.
Dedicata
a David: il classico tipo d’uomo che, quando lo
incontri per la strada, ti fa voltare e rimanere ferma ad osservarlo
fino a
quando non scompare dalla tua vista.
Questa
fanfic è dedicata anche al personaggio di Harmon
Rabb jr., eroe gentile ed affascinante,
dal cuore nobile e dal sorriso splendido.
Di
te, Harm, non ne abbiamo mai abbastanza e, pur di far
brillare la tua stella all’infinito, siamo riuscite a farti rivivere
persino
attraverso i secoli.
Grazie
per avercelo permesso, ispirandoci
con ciò che mostri, i tuoi silenzi, i tuoi
dubbi e le tue esitazioni, ma anche con tutto quello che ci hai sempre
lasciato
immaginare, sebbene abilmente rinchiuso nel tuo cuore.
Mac & Alex
Disclaimers :
Il marchio JAG e tutti
i suoi personaggi appartengono alla
BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno
scopo
di lucro.
Qualunque
riferimento a fatti o persone, che non siano
avvenimenti o personaggi storici, e’ del tutto casuale.
I
contenuti del racconto sono tutelati ai sensi della legge
633/1941 (legge sul diritto d’autore). Tutti i diritti riservati.
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