Giochi del Destino

di Alexandra e Mac
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Bacio ***
Capitolo 2: *** Un Diario ***
Capitolo 3: *** L'Incontro ***
Capitolo 4: *** Ritorno ***
Capitolo 5: *** La Presentazione ***
Capitolo 6: *** Chiarimenti ***
Capitolo 7: *** La sfida ***
Capitolo 8: *** Indagini ***
Capitolo 9: *** Il Ballo a Corte ***
Capitolo 10: *** Gelosie ***
Capitolo 11: *** Il Libro ***
Capitolo 12: *** Gioco di lame ***
Capitolo 13: *** Un Giuramento ***
Capitolo 14: *** Turbamenti ***
Capitolo 15: *** Una Fuga inutile ***
Capitolo 16: *** Invito per un tè ***
Capitolo 17: *** Scherzare col fuoco ***
Capitolo 18: *** Dubbi ***
Capitolo 19: *** Confessioni ***
Capitolo 20: *** Novità ***
Capitolo 21: *** La Festa di Natale ***
Capitolo 22: *** Nulla come previsto ***
Capitolo 23: *** Di corsa contro il tempo ***
Capitolo 24: *** Cambio di direzione ***
Capitolo 25: *** Immersi nel bianco ***
Capitolo 26: *** Contrasto di sentimenti ***
Capitolo 27: *** Marsiglia ***
Capitolo 28: *** La Medea ***
Capitolo 29: *** Il Segreto del suo cuore ***
Capitolo 30: *** Giochi del Destino ***



Capitolo 1
*** Il Bacio ***




Disclaimers  :

 Il marchio JAG e tutti i suoi personaggi appartengono alla BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di lucro.
Qualunque riferimento a fatti o persone, che non siano avvenimenti o personaggi storici, e’ del tutto casuale.
I contenuti del racconto sono tutelati ai sensi della legge 633/1941 (legge sul diritto d’autore). Tutti i diritti riservati.



Capitolo I

Il bacio



La discussione era molto animata, ma se ciò accadeva era un buon segno: significava che erano tornati a parlarsi e che, apparentemente, i loro rapporti erano normali… ovviamente nell’accezione che questa parola assumeva quando si trattava di loro due.

Erano chiusi in sala riunioni sin dalla mattina per confrontarsi sui risultati delle indagini effettuate da una settimana a quella parte, ovvero da quando l’Ammiraglio li aveva assegnati al caso dell’omicidio del Tenente Laura Cresswell. Accusato del delitto era il Sottufficiale Joseph Clarke la cui difesa era stata assegnata a Mac, mentre l’accusa era toccata in sorte ad Harm.

“Il rapporto della scientifica dice che il Tenente è stata ritrovata cadavere vicino al molo di Norfolk, con evidenti segni di colluttazione sul corpo. La causa della morte è strangolamento. Quello che non mi spiego è come mai non siano state trovate tracce di DNA della vittima sul mio cliente” disse in tono di sfida ad Harm.

“Tuttavia il Sottufficiale era nei paraggi, quella sera li hanno visti uscire da un bar poco distante dal luogo del ritrovamento e un testimone li ha anche uditi litigare furiosamente” le rispose a tono lui.

“Questo non basta per fondare un’accusa di omicidio e lo sai bene” lo rimbrottò Mac.

“Potrebbe sempre averla aggredita con indosso un paio di guanti ed averli gettati via dopo averla uccisa”.

“Le tue sono solo supposizioni” sbuffò seccata.

Erano seduti l’uno accanto all’altra, cosa strana questa, dato che da quando lei aveva ripristinato le distanze fra loro entrambi avevano fatto in modo di ritrovarsi lontani anche dal punto di vista fisico.

Harm rispettava la scelta di Mac, sapeva che in parte era per colpa sua se lei aveva cambiato rotta, ma pur condividendola tuttavia non l’approvava, come del resto non approvava l’uomo con il quale, presumibilmente, faceva coppia fissa in quel momento: Webb. Sapeva bene che, prima o poi, l’agente della CIA ne avrebbe combinata una delle sue e a farne le spese sarebbe stata proprio Mac, la quale ne avrebbe sofferto, e se c’era una cosa che odiava era vederla soffrire, così come non tollerava di vederla accanto ad un altro solo per un sentimento di riconoscenza. Ma non poteva fare nulla per cambiare la situazione. No, non era vero, qualcosa poteva fare, ma non sapeva quale sarebbe stata la sua reazione. Normalmente la leggeva come un libro aperto, ma da qualche tempo sembrava non riuscirci più: Mac era divenuta molto più riservata, lo sfuggiva e gli unici contatti che aveva con lei erano solo per lavoro. Niente più dopo-ufficio a casa di uno dei due, niente cene di lavoro, niente pranzi insieme… nulla di nulla.

Un po’, si rendeva conto, era stata anche colpa sua; completamente assorbito dal suo nuovo ruolo di tutore di Mattie aveva trascurato l’amica per concentrarsi sulla ragazza e poi, dopo che quest’ultima era andata ad abitare con Jen, beh… anche Coates aveva bisogno di una guida, per cui…

“…forse non lo sai, oppure le tue indagini non sono state abbastanza approfondite, ma il Tenente e il Sottufficiale si frequentavano e… Harm? Harm sei qui o sei su Marte?” la voce di Mac lo riportò alla realtà.

“Euh... sì sono qui. Mi stavi dicendo che si frequentavano, ma questo cosa c’entra?”

Mac lo squadrò un po’ incredula che il suo collega di norma tanto sveglio a fare i collegamenti, quella volta non capisse il nesso: “Te lo dico in poche parole semplici e chiare: erano amanti. Quella sera, la stessa del delitto, sono andati insieme in quel bar e la lite cui hanno assistito i tuoi ‘testimoni’ non era una lite, ma una banale discussione fra innamorati.”

“E tu come fai a saperlo? Chi te l’ha detto?”

“Il mio cliente! Chi vuoi che me l’abbia detto?!!”

“Uuhhh Mr. Verità” ironizzò Harm con un sorrisetto divertito.

Mac s’inquietò, non sopportava di essere presa in giro a quella maniera, per cui gli rispose per le rime: “Senza uno straccio di prova che fondi la colpevolezza del mio cliente oltre ogni ragionevole dubbio non solo non otterrai un rinvio davanti alla corte marziale, ma se anche ci dovessimo arrivare, la giuria non lo condannerebbe mai. Mi sto chiedendo se la squadra NCIS che ha preso in mano questo caso non sia per caso la stessa che voleva incolparti dell’omicidio della Singer…” ironizzò a sua volta.

Harm frugò fra le sue carte, poi ne trasse un documento: “Parlavi di prove fisiche? Eccotele Colonnello. Sotto le unghie del Tenente sono stati trovati residui di sangue secco e poiché il tuo cliente è stato tanto ingenuo da volersi sottoporre al test del DNA perché si escludesse la sua colpevolezza ecco che il campione prelevato dal Sottufficiale e i resti trovati sul corpo del Tenente coincidono. E sì, la squadra NCIS è la stessa, ma questo non vuol dire che siano degli incompetenti: semplicemente quella volta hanno preso un granchio e del resto Lindsay aveva orchestrato bene la cosa.”

Mac strabuzzò gli occhi in un’espressione che la diceva lunga sulla sua personale considerazione dell’agente speciale Gibbs e dei suoi collaboratori.

“Clarke mi ha riferito che il giorno prima del delitto lui e il Tenente si erano visti e avevano avuto un rapporto un po’... violento durante il quale lei gli aveva graffiato la schiena. Torno a ripetertelo Harm, la tua tesi non passerà in Tribunale.”

“Spiegami come farai a provare l’innocenza del tuo cliente allora.”

“Guarda che io non devo provare un bel niente. Sei tu l’accusa e sei tu, pertanto, quello che deve provarne la colpevolezza. Ti dirò di più: i due si frequentavano clandestinamente non solo per timore di una probabile, e non certo impossibile, accusa di fraternizzazione, ma anche perché il Tenente era sposata, per cui caro collega abbiamo un secondo sospetto: il marito della donna” concluse trionfante lei.

Si erano avvicinati ancora di più, ancorché inconsapevolmente, ed ora le loro teste quasi si sfioravano. Mac avvertiva la presenza di lui, percepiva il leggero effluvio del suo dopobarba mischiato all’aroma del profumo e l’effetto era quello di farle girare un po’ la testa. Webb non era Harm, non lo sarebbe mai stato. Era tempo di aprire gli occhi sulla verità: tutta la riconoscenza di questo mondo non sarebbe bastata a colmare il vuoto che sentiva dentro di sé da quel “no” in Paraguay. Rimpiangeva tutto del loro rapporto, anche le incomprensioni, ma erano meglio della sterile relazione professionale di adesso.

Aveva sperato che, chiudendo una porta, se ne sarebbe aperta un’altra: una vita con Clay, che sapeva l’aveva sempre amata per averglielo detto lui stesso. Ovviamente non avrebbe potuto aspirare alla normalità, con Webb questo non era proprio possibile, ma almeno lui faceva ogni sforzo per esserci, aveva bisogno di lei e glielo dimostrava.

“E io?” si chiese controbattendo contemporaneamente ad un’obiezione di Harm “Io ho bisogno di lui? Ma soprattutto lo amo?”

Conosceva già la risposta, ma questa cozzava con la sua attuale situazione sentimentale, e non ne poteva parlare con nessuno, meno che meno con Harm con cui non aveva più una conversazione nel senso letterale del termine da parecchio tempo per evitare di dover rispondere a domande imbarazzanti o affrontare discorsi che sarebbero scivolati verso un terreno insidioso quanto le Everglades.

Mattie l’aveva cambiato profondamente, lo intuiva. Supponeva che la ragazza l’avesse costretto ad un bell’esame di coscienza.

“Mac, per favore, secondo te, il marito del Tenente verrebbe in aula a confessare di essere stato cornificato dalla moglie attirandosi i sospetti di omicidio?”

“Ti facevo più sveglio Harm, è proprio quello che intendo fare” gli rispose Mac riavendosi dalle sue estemporanee riflessioni.

“Clarke ha ammesso di avere avuto una discussione con la vittima la notte dell’omicidio” continuò incaponendosi lui.

E Mac gli rispose per le rime: “Te lo dico ancora un’altra volta: erano amanti! Come puoi pretendere che i loro rapporti fossero sempre rose e fiori? Il mio cliente mi ha riferito che la ‘violenta discussione’, come la definisci tu, è stata una divergenza d’opinioni senza importanza: lui voleva che lei lasciasse il marito, ma lei ancora non era pronta.”

“E questo mi pare un ottimo movente per un omicidio” replicò Harm.

“Sì, esattamente come quello del marito che si è scoperto tradito” ribatté Mac.

Harm scuoteva il capo con un sorriso da canaglia stampato in viso, quello stesso che adottava quando trovava risibile una delle teorie della sua controparte. Era un comportamento normale, in lui, ma quella volta a Mac sembrò che fosse diretto proprio a lei in particolare. Si scoprì a fissarlo incantata mentre leggeva per l’ennesima volta le dichiarazioni dell’agente dell’NCIS (quello stesso Di Nozzo che aveva trovato il berretto di Harm sul luogo del delitto della Singer) che aveva percorso per primo la griglia sulla scena del crimine la notte stessa del ritrovamento del cadavere del Tenente Cresswell.

Il mondo intorno a lei era sparito, vedeva solo lui e si rese conto che se non l’avesse baciato subito sarebbe scoppiata. Colse quindi l’occasione al volo non appena lui si voltò.

Fulminea si avvicinò e posò le sue labbra su quelle di Harm assaporandone il gusto. Nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere un bacio leggero, ma capì di voler andare oltre. Passò la lingua sulle labbra di lui cercando di schiudergli la bocca, cosa che Harm fece portando contemporaneamente la mano sulla nuca di lei per avvicinarle di più il capo e assaporare quel bacio fino in fondo.

Continuarono a baciarsi per un tempo indefinito, completamente dimentichi del Tenente Cresswell, del marito di quest’ultima e del Sottufficiale Clarke, ma soprattutto dimentichi di tutto quanto li aveva divisi sino a quel momento. Nessuno dei due voleva staccarsi, ma alla fine fu questo ciò che accadde.

Harm era piuttosto basito, un attimo prima stavano discutendo animatamente di un caso e un attimo dopo si trovava avvinghiato in un bacio che l’aveva lasciato senza fiato. Guardò Mac, le gote arrossate, gli occhi che brillavano di malizia e la trovò più desiderabile che mai.

“Se non l’avessi fatto sarei scoppiata” disse lei senza troppi preamboli. “Sogno di farlo dal momento in cui ti ho conosciuto e perché mi piaci da impazzire” aggiunse con molta calma, riavviandosi i capelli e aggiustandosi la giacca della divisa.

Quell’ultima rivelazione lo colpì e affondò. Sapeva che lei provava qualcosa per lui, mille volte i suoi atteggiamenti gli avevano confermato questa sensazione, anche se non si erano mai parlati veramente e anche se l’uomo che aveva al suo fianco non era lui, ma sentirselo dire era tutt’altro affare! Per la prima volta non sapeva che dire e la sua famosa dialettica leguleia era andata momentaneamente in vacanza lasciandolo a corto di parole.

“Allora” Mac riprese, come se nulla fosse accaduto, il discorso interrotto, “ci sono gli estremi per un accordo o devo farti fare una figuraccia in Tribunale?”

Harm riprese la favella: “Fammici pensare un paio di giorni.”

“Bene” rispose lei radunando le carte e riponendole nel proprio fascicolo. Fece per alzarsi ma lui la fermò prendendola per un braccio.

“E Webb?” chiese.

“Che c’entra Clay con il nostro caso?”

“Stai con lui Mac, però hai baciato me.”

Lei si chinò verso di lui: “E lo rifarei ancora” sussurrò posandogli un leggero bacio sul collo. Poi si alzò e, mentre usciva dalla sala riunioni, aggiunse: “Mai credere alle voci di corridoio Comandante” e richiuse l’uscio dietro di sé.

Una volta fuori si appoggiò alla porta con il cuore in subbuglio. Ma che diamine le era preso? Lei era innamorata di un altro. DOVEVA esserlo! Altrimenti perché preoccuparsi quando partiva per chissà dove? E perché gioire di ogni singolo momento passato insieme? Non ci capiva più nulla.

Però se veramente fosse stata innamorata di Clay non avrebbe provato l’irresistibile impulso di baciare Harm, anche solo per prendersi la soddisfazione di farlo. Quando una donna ama il proprio compagno, si diceva mentre tornava al proprio ufficio, non sente l’esigenza di fare gesti inconsulti con un altro! Cercò quindi di dimenticare l’accaduto, relegandolo in un angolo della mente, ma la sensazione delle labbra di lui sulle sue e ciò che aveva provato mentre lo baciava resero l’operazione più difficile di quanto non avesse preventivato.

Pochi attimi dopo uscì dalla sala riunioni anche il Comandante Rabb, con la stessa espressione spiazzata che aveva il Colonnello. Con i documenti sotto il braccio si diresse verso il proprio ufficio, immerso in dubbi e pensieri.

L’Ammiraglio Chegwidden, trovatosi a passare proprio da quelle parti mentre uscivano prima l’una e poi l’altro, con il fiuto che solo un vecchio lupo di mare come lui poteva possedere, notò le espressioni dei suoi subalterni e colse un messaggio ben preciso, che non era necessario fosse lanciato a chiare lettere…

“Questi due farebbero la felicità di un professore di comportamentistica” pensò divertito, avendo osservato un nuovo brillio negli occhi del Colonnello, la quale sembrava una bambina che avesse combinato una marachella e che fosse riuscita a farla franca. Rabb, invece, non era riuscito del tutto a nascondere un’espressione basita: il Comandante di solito era sempre compassato e imperturbabile, tanto che a volte l’Ammiraglio pensava che il ragazzo avesse origini inglesi, considerato l’aplomb tipicamente british che ostentava anche nelle situazioni più assurde. Ma in quel preciso istante la corazza doveva essersi incrinata per qualche motivo. L’Ammiraglio ne era più che certo.

Da tempo ormai era sicuro che non fosse solo una semplice amicizia quella che legava il Comandante e il Colonnello, ma aveva anche compreso che le difficoltà da superare erano davvero tante. Eppure non si era mai intromesso nelle loro vite né in veste privata né tanto meno in veste ufficiale, salvo qualche occasionale giro di vite quando esageravano nell’una o nell’altra direzione.

Tuttavia, proprio quella mattina, durante un colloquio con il Colonnello, le aveva detto che gli sembrava che lei e il Comandante ci avessero messo una pietra sopra e dall’espressione che Mac aveva assunto aveva capito che invece la partita era ancora aperta e tutta da giocare. Anche se il Colonnello frequentava l’agente Webb, in realtà il suo cuore era occupato da un’unica persona… e lui sapeva benissimo chi era quella persona.

La tentazione di metterli a confronto era davvero forte, anche perché era sua opinione che il Colonnello fosse la sola donna in grado non solo di comprendere il carattere assai complicato del Comandante, ma anche di gestirlo e di tenerlo a bada. Tuttavia si era ripromesso, e intendeva mantenere fede all’impegno, di non fare alcunché.

“Se è destino che comprendano ciò che provano l’uno per l’altra, allora le cose si aggiusteranno da sole” pensò.

In fondo fare da spettatore passivo a quella “guerra” lo divertiva assai, anche se non poteva negare che a volte si sentiva esasperato dal comportamento infantile dei diretti interessati e la tentazione di dare una mano al destino si faceva ogni giorno sempre più forte.

“E perché no?” si disse sorridendo tra sé, mentre passava davanti ad un esterrefatto sottufficiale Coates, poco abituato a vederlo sorridere, soprattutto sapendolo di ritorno da un incontro con il Segretario.

 

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Capitolo 2
*** Un Diario ***


Capitolo II

Un Diario



L’Ammiraglio non poteva assegnargli incarico peggiore!

Scartoffie! Lui odiava le scartoffie. E i cinque scatoloni ben allineati sul tavolo della sala riunioni avevano tutta l’aria di esserne pieni.

Il Comandante Rabb guardò con aria depressa tutto il materiale che Jennifer Coates gli aveva fatto trovare, dopo che era uscito dall’ufficio del suo superiore.

“Inizierà lei, Comandante, e poi, quando il Colonnello rientrerà dalla missione fra due giorni, lavorerete assieme al caso.”

Al caso!

Come poteva chiamarsi “caso”, termine che lui e Mac usavano per definire l’indagine che precedeva di solito un processo, quell’insieme di carte e vecchi manoscritti che arrivavano addirittura dall’Archivio Storico dell’Accademia Navale?

Tutta quella roba aveva come minimo più di cento anni e a lui sarebbe toccato doverla leggere per… per cosa, poi?

Per scoprire un colpevole? No.

Per difendere o accusare qualcuno ad un processo? Neppure.

Solo per aiutare dei professoroni a preparare una conferenza in occasione della commemorazione del centenario della scomparsa dell’Ammiraglio Alexander Blackbird, eroe della Marina Americana.

La recente scoperta di nuovi documenti storici, donati all’Accademia Navale dall’ultimo dei suoi discendenti, faceva supporre che avesse avuto contatti con la Monarchia Asburgica ai tempi dell’Imperatore Francesco Giuseppe. Sembrava addirittura che l’Ammiraglio avesse contribuito alla fuga di due stranieri cui l’Imperatore aveva affidato la vita della moglie Elisabetta: sventato l’attentato contro l’Imperatrice, certi equilibri di potere avevano costretto l’Imperatore a nascondere al suo entourage che era ricorso all’aiuto di un francese e di un’inglese per proteggere la sua Consorte, e i due stranieri ad abbandonare Vienna e l’Europa per rifugiarsi in America, proprio sulla nave dell’Ammiraglio Blackbird.

Come mai l’Ammiraglio, ufficiale della Marina Americana, si trovasse ad avere contatti con gli Asburgo era ancora tutto da chiarire, ma questa recente scoperta aveva creato un ulteriore mistero alla già avventurosa e brillante carriera dell’ufficiale e l’Accademia, in occasione del centenario della sua morte, voleva arricchire la biografia dell’Ammiraglio Alexander Blackbird con tutto ciò che poteva dare maggiore lustro alla Marina Americana.

A questo punto entravano in scena lui e Mac: il JAG era stato contattato per aiutare un gruppo di storici a selezionare documenti di diritto americano di oltre un secolo prima da incartamenti prettamente militari o da carte private e personali. E l’Ammiraglio aveva affidato a lui il compito, pur sapendo quanto odiasse certi lavori. Che volesse ancora fargliela pagare per le sue impulsive dimissioni?

Cercò di pensare all’unico lato positivo della faccenda: avrebbe lavorato a stretto contatto con Mac, appena fosse rientrata dalla missione che la vedeva lontana dal JAG per altri due giorni.

Accidenti che voglia che aveva di rivederla! Quel bacio, che solo pochi giorni prima lei gli aveva dato, bruciava ancora sulle sue labbra, accompagnato da mille dubbi e mille pensieri…

Distratto da quel ricordo, non si era neppure accorto di essersi messo inconsciamente all’opera: aveva aperto uno scatolone e ora si trovava tra le mani un quaderno di pelle marrone che aveva tutta l’aria di essere un vecchio diario. Forse dell’Ammiraglio Blackbird stesso.

Si sedette sulla poltrona della sala riunioni, allungando le gambe davanti a sé incrociate alle caviglie; delicatamente aprì il quaderno e s’immerse nella lettura.



***



16 Settembre 1856 [1]


Le note di un valzer giungono festose alle mie orecchie, sebbene io sappia che la situazione richiederebbe melodie di ben altro genere.
Sua Maestà l’Imperatore è preoccupato e ha richiesto il mio intervento: l’identità della persona che fra due giorni dovrò incontrare e condurre a Palazzo mi è ancora sconosciuta, ma ho capito che Sua Maestà ripone molta fiducia in questo Inglese. E, a quanto mi ha lasciato ad intendere l’Imperatore, io e il nuovo arrivato lavoreremo a stretto contatto, il che è alquanto significativo e sta ad indicare il clima di grande sfiducia ed enorme sospetto che si è venuto a creare ultimamente a Corte.
Un Conte francese ed un Gentiluomo inglese per salvare la Monarchia Asburgica e proteggere la vita di Sua Maestà l’Imperatrice Elisabetta…




[1] In realtà, nel periodo in cui si svolge il racconto (Inverno 1856-1857), Francesco Giuseppe ed Elisabetta erano in viaggio in Italia. Dal libro “Sissi –vita e leggenda di un’imperatrice”di Nicole Avril, Oscar Mondatori, collana Storia, pagg. 57-62. N.d.A.




***

La carrozza correva a perdifiato nella notte. A bordo due uomini e una donna cercavano di combattere una battaglia contro il tempo che sembrava persa in partenza.

“Siete sicuro, Conte?” chiese con voce affannata la giovane.

“Più che sicuro, Milady. Sua Maestà ha chiesto espressamente di Voi.”

Lady Sarah si chiese cosa mai volesse da lei Francesco Giuseppe, Imperatore di uno sterminato territorio che si estendeva dai confini con la Russia ai Balcani ed oltre.

Il vestito con le crinoline la infastidiva molto, lei abituata a portare nelle sue missioni comodi abiti maschili, quando doveva indossare qualcosa di più femminile era impacciata. Ma doveva essere ricevuta a Corte quindi l’etichetta andava rispettata.

L’accompagnavano il Conte André François D’Harmòn, un francese, e il suo segretario Robert, un tipo grassottello ma simpatico e disponibile. Il Conte l’aveva colpita al primo sguardo: alto e atletico, capelli neri eternamente scomposti raccolti in un corto codino, e due pozze verdi come laghi di montagna in cui perdersi.

Il loro lungo viaggio era cominciato due giorni prima a Calais, quando lei era sbarcata dalla “Persefone”, nave traghetto che faceva la spola tra il porto francese e Dover, in Inghilterra, trovando all’attracco l’affascinante Conte ad attenderla.

Lady Sarah si stava godendo una meritata vacanza dopo l’ultima missione per conto di Sua Maestà la Regina Vittoria. Non pensava di doversi catapultare quasi al polo opposto dell’Europa dopo appena due giorni di permanenza a Bath.

Tuttavia, quando il dispaccio che le annunciava l’immediata partenza per Vienna era giunto all’albergo presso il quale alloggiava, non aveva avuto molta scelta. La missiva era molto chiara e la firma in calce alla stessa non lasciava adito a dubbi: l’Imperatore d’Austria necessitava della sua presenza a Vienna.

Eppure il loro precedente incontro, avvenuto due anni prima a Bad Ischl la sera del fidanzamento di Francesco Giuseppe con la cugina Elisabetta, non era stato certo all’insegna della cordialità!

In quell’occasione era stata l’Arciduchessa Sofia ad avere bisogno dei suoi servigi e l’aveva spedita in Ungheria per indagare su una possibile rivolta degli insurrezionalisti capeggiati dal Conte Hyula Andrassy finalizzata alla destabilizzazione dello status quo mediante un attentato alla vita del monarca austriaco: il suo compito sarebbe stato quello di scoprire se veramente avevano intenzione di uccidere l’Imperatore. E così aveva fatto, solo che i metodi utilizzati dalla polizia ungherese fedele al regime una volta informata dell’imminente rivolta e attentato non erano stati proprio ortodossi… non era stata certo colpa sua. Del resto la sua opera si era limitata ad una semplice investigazione infiltrandosi nell’organizzazione.

Francesco Giuseppe, quando era venuto a conoscenza di quanto era accaduto in Ungheria, non l’aveva presa molto bene e in una riunione privata e segreta con lei e sua madre, poco prima del ricevimento che avrebbe ufficializzato il suo fidanzamento con Elisabetta Duchessa in Baviera, si era inalberato moltissimo sostenendo che in un momento simile la violenza era l’ultima cosa di cui l’Impero aveva necessità.

Lady Sarah era intervenuta affermando che non era stata sua intenzione provocare l’arresto degli insorti e l’Arciduchessa Sofia aveva ricordato al figlio che le rivolte andavano sedate con la forza se si voleva conservare potere e controllo.

L’Imperatore se n’era andato sbattendo con forza la porta e chiamando a gran voce il suo aiutante di campo.

L’Arciduchessa si era rivolta a Lady Sarah e le aveva detto: “Non vi preoccupate Milady, l’Imperatore è ancora molto giovane e non comprende quali siano le vere priorità di un monarca che voglia conservare il suo dominio.” Poi le aveva pagato il compenso pattuito e l’aveva invitata al gran ballo di quella sera.

Ed ora quella convocazione improvvisa.

Chissà cosa mai poteva volere da lei.

Alzò lo sguardo verso il Conte D’Harmòn: “Conte, conoscete per caso la natura dell’invito di Sua Maestà?” chiese.

“No, Milady. Mi è stato ordinato di giungere a Calais e di portarvi a Vienna” rispose fissandola nello sguardo.

Lady Sarah si sentì incatenare da quegli occhi. Sentiva che, se solo avesse voluto, sarebbe potuta affondare in quello sguardo chiaro.

“Debbo supporre che lo scoprirò solo quando l’Imperatore mi riceverà” concluse lei.

André D’Harmòn annuì e tornò a sprofondarsi nella lettura di un libro, senza curarsi degli sguardi di sottecchi che provenivano dalla giovane donna.

Sul far del mattino giunsero a Vienna e subito il cocchiere prese la direzione della residenza imperiale dello Schonbrunn.

Lady Sarah si aggiustò la voluminosa gonna di seta blu notte e diede una lisciata al corpetto. Continuava a provare fastidio per tutta quell’impalcatura che era stata costretta ad indossare, ma si impose di portare pazienza ancora per poco tempo.

Sporse la testa fuori dal finestrino e l’aria frizzante del primo mattino viennese le solleticò le narici. I profumi dell’autunno si spargevano nell’aria tersa e pulita. La rivoluzione industriale che imperava in Inghilterra ancora non aveva intaccato completamente questa parte dell’Europa, pensò soddisfatta Lady Sarah, mentre la carrozza superava la cancellata dorata del palazzo e si fermava in un ampio cortile.

Il Conte scese e, dopo essere passato dalla sua parte, le aprì galantemente lo sportello porgendole la mano per aiutarla a scendere, mentre il suo aiutante Robert si dirigeva verso la guardia per annunciare l’arrivo dell’ospite.

D’istinto Lady Sarah avrebbe rifiutato qualsiasi aiuto, ma quella volta accettò la presa salda del Conte con un brivido che le correva lungo la schiena.

Anche lui aveva dovuto percepire la medesima sensazione, perché lo sguardo che le lanciò valse più di mille parole.

Lady Sarah fece finta di non comprenderne il significato e una volta scesa si diresse verso il portone principale che le fu aperto.

Pochi minuti dopo si trovava nello studio dell’Imperatore.




***

21 Settembre 1856


Lady Sarah... Profondi occhi scuri, deliziosa carnagione ambrata, capelli color dell’ebano, labbra rosse come petali di rosa... Non ha l’aspetto di un inglese. E non assomiglia neppure ad un gentleman. No, il suo corpo voluttuoso ed invitante non ricorda proprio quello di un Lord! La sorpresa di scoprire che l’Inglese che avrei dovuto accompagnare a Palazzo non era un uomo, ma una deliziosa ed affascinante Lady, non mi ha impedito di apprezzare ogni particolare del suo aspetto. E’ bellissima... Sarà intrigante lavorare con lei...




***



Sarà intrigante lavorare con lei…

“Già, lo è stato davvero…” pensò Harm, chiudendo il diario “e lo è di più ogni giorno che passa…” aggiunse nella sua mente, sorridendo al pensiero del bacio che Mac gli aveva dato pochi giorni prima.

Si ricordò che anche lui, come il conte francese, era rimasto molto sorpreso quando aveva incontrato Sarah per la prima volta: a differenza del conte non sapeva che avrebbe dovuto incontrare qualcuno. Ma quando l’Ammiraglio li aveva presentati, ricordava ancora come il suo cuore per poco non si era fermato nel vederla: era l’esatta copia di Diane… Ed era bellissima.

Sì, era bellissima. Lo aveva notato subito, appena si era ripreso dallo stupore. Non tanto per l’aspetto fisico, che essendo talmente identico a Diane, era ovvio che gli piacesse, ma per quell’aria indipendente e un po’ aggressiva dietro la quale si nascondeva. Lo aveva capito quasi subito, da quella prima stretta di mano, che lei era sulla difensiva, anche se non voleva lasciarlo ad intendere. Anzi, ci teneva a sfoggiare l’atteggiamento da duro Marine! Ma lui aveva scoperto ben presto quanto fosse vulnerabile e adorabile...

Ma che c’entrava, ora, il suo incontro con Mac?

Si guardò attorno confuso e adocchiò l’orologio sulla parete: era già ora di pranzo. Possibile che si fosse immerso così profondamente in quelle “scartoffie” vecchie di oltre un secolo, tanto da non accorgersi neppure del tempo che passava?

Passò una mano sulla copertina del diario del conte francese… era solo all’inizio e il quadernetto era scritto fitto fitto fino a poche pagine dalla fine. Chissà che storia racchiudeva? E chissà come mai era finito tra le carte dell’Ammiraglio Blackbird? Che il conte francese, cui il diario sembrava appartenere, fosse uno dei due stranieri che l’Ammiraglio aveva aiutato a fuggire? E se l’altro straniero fosse stato Lady Sarah? In quel caso la storia doveva essere vera! Più tardi avrebbe cominciato a spulciare tra gli altri scatoloni, alla ricerca di maggiori informazioni. Ma al momento era incuriosito dal sapere come continuava il diario.

Si alzò, recuperò berretto e libricino e decise che avrebbe pranzato, in mancanza di Mac, assieme ad un nobile europeo di due secoli prima.

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Capitolo 3
*** L'Incontro ***


Capitolo III

L'Incontro



Francesco Giuseppe la ricevette personalmente con l’unica compagnia di una seconda persona.

Lady Sarah entrò nell’ampio e riccamente decorato studio privato dell’Imperatore, mentre qualcuno, dietro di lei, con mani invisibili chiudeva la porta. La dama, un po’ impacciata negli abiti di corte, fece qualche passo in avanti sprofondandosi in un inchino in attesa che il sovrano le rivolgesse la parola.

“Ben tornata a Vienna, Lady Sarah” udì la voce di Francesco Giuseppe che la salutava.

Rialzandosi dalla riverenza, la dama rispose: “Sono al Vostro servizio, Maestà.”

Senza darlo a vedere, studiò il volto del monarca e notò che il giovane ed impetuoso sovrano conosciuto due anni prima a Bad Ischl era profondamente mutato. Rughe, ancorché impercettibili, segnavano gli occhi e gli angoli della bocca e l’espressione era quella di un Atlante costretto a portare sulle spalle, seppure possenti, il peso della volta celeste. Non era affatto un compito semplice essere l’uomo più potente del mondo…

Del resto quello non era un bel momento per l’Austria. Dopo il Congresso di Parigi del Febbraio precedente che aveva posto termine alla guerra di Crimea, l’Impero si trovava sempre più isolato dal resto delle monarchie europee, e non solo per la scelta di Francesco Giuseppe di ammogliarsi con Elisabetta Duchessa in Baviera… infatti, durante quel conflitto l’Impero Asburgico era rimasto neutrale, e al tavolo delle trattative per la pace al Quai d’Orsay a Parigi, Richard Von Metternich, figlio del celebre padre e rappresentante dell’Austria, non era riuscito ad imporre la sua mediazione e pertanto gli Asburgo non ci avevano fatto una gran bella figura.

I russi del resto non avevano perdonato loro il mancato aiuto nella guerra appena conclusasi e Francesco Giuseppe, che aveva sperato di conservare i possedimenti italiani risparmiando la Francia non si stava accorgendo che Napoleone III propendeva per Cavour e l’Italia ben sapendo che, se Veneto e Lombardia fossero stati annessi al regno di Sardegna, lui avrebbe ottenuto la Nizza e la Savoia, che rivendicava da tempo.

Era un periodo nel quale l’Europa, alla ricerca di una nuova identità, era tormentata da profondi rivolgimenti sociali e da rivendicazioni nazionaliste.

Il sovrano austriaco non poteva (o non voleva?) concedere riforme, ma nel perseverare in questo atteggiamento ultra conservatore si stava sempre più esponendo alla critiche feroci dei suoi stessi sudditi.

Il monarca le fece cenno di seguirlo e si sedettero l’uno di fronte all’altra: Francesco Giuseppe dietro la scrivania ingombra di carte, Lady Sarah appollaiata sul ciglio della scomoda sedia Luigi XV a causa del volume delle vesti. Quanto rimpiangeva i comodi abiti che indossava abitualmente! Quel busto così stretto quasi non la faceva respirare e il suo generoso décolleté era a stento contenuto.

Accanto all’Imperatore notò un quadro di dimensioni ragguardevoli che ritraeva l’Imperatrice Elisabetta, soprannominata affettuosamente Sissi.

Lady Sarah, durante il suo breve soggiorno a Bath, aveva udito raccontare dalle bocche dei molti nobili che ivi si trovavano la favola d’amore tra il giovane Imperatore e la bella duchessina bavarese. Nei salotti si mormorava che la prescelta sposa sarebbe dovuta essere in realtà Elena, la sorella maggiore di Sissi, ma che al tè organizzato dalle madri dei futuri sposi, l’Arciduchessa Sofia e la di lei sorella Duchessa Ludovica in Baviera, egli si fosse follemente innamorato della sorella minore e, contravvenendo ai voleri delle due madri, l’avesse sposata. Si raccontava anche di come Elena ne avesse avuto il cuore spezzato rifugiandosi a Pottsdam da una zia e che lì avesse incontrato il Principe Turn und Taxis, sposandolo successivamente…

Lady Sarah, però, conosceva la verità: la duchessa Elena in Baviera non era affatto innamorata del giovane Francesco Giuseppe, al contrario l’avrebbe dovuto sposare per decisione della madre di costui, la quale aveva escogitato un tale matrimonio nella convinzione che si sarebbero evitati spiacevoli incidenti diplomatici che avrebbero potuto trascendere in qualcosa di peggio qualora il figlio si fosse sposato con una principessa straniera. Quella soluzione, che non preferiva né penalizzava alcuna delle monarchie dell’epoca, era apparsa la più ragionevole.

Alla sinistra del sovrano, un poco discosto verso la finestra che dava direttamente sul grande parco del Prater, stava ritto come un fusto nell’alta uniforme degli ufficiali austriaci un uomo imponente, che le venne presentato come Conte Von Webb, aiutante di campo di Sua Maestà.

Lady Sarah non mancò di notare che era affascinante tanto quanto il sovrano cui però faceva da contraltare quanto a caratteristiche fisiche: biondo con gli occhi azzurri il primo, moro e con profondi occhi scuri il secondo. Moro… esattamente come quel Conte D’Harmòn che l’aveva accompagnata da Calais fin lì, solo che il Conte francese aveva due pozze di mare in tempesta al posto degli occhi…

“Milady” esordì Francesco Giuseppe riscuotendola dai suoi pensieri. “Vi chiederete senz’altro la ragione di questa convocazione”.

“Niente affatto, Maestà” mentì la dama “sono al Vostro servizio, anche se il nostro ultimo incontro non è stato improntato all’insegna della cordialità, per cui Voi siete l’ultima persona da parte della quale mi sarei aspettata una chiamata…” aggiunse schiettamente e senza troppi fronzoli.

Von Webb sgranò gli occhi per l’incredulità. Era inaudito! Nessuno mai aveva osato di rivolgersi con tanta sfrontatezza all’Imperatore e men che meno una donna!

Francesco Giuseppe non diede segno di aver visto l’espressione del suo aiutante di campo e sorrise all’impertinenza di Lady Sarah: “Ricordo bene come si è svolto il nostro ultimo incontro Milady, ma sono certo che lo spiacevole incidente sia stato dimenticato.”

“Sua Maestà può contare sul mio aiuto” rispose compitamente Lady Sarah. Sapeva che l’Imperatore non era uomo da chiedere scusa, il rango glielo imponeva, ma a suo modo l’aveva appena fatto.

“Ebbene Milady, Vi ho chiamata perché temo per l’incolumità dell’Imperatrice.”

La giovane donna non fece commenti e del resto la notizia non le giungeva nuova. Nelle sue peregrinazioni per l’Europa, aveva sentito dire di come il sovrano fosse inviso alle popolazioni ungheresi cui, dopo la repressione del 1848, aveva tolto ogni libertà abrogandone la Costituzione e annettendo il Paese all’Impero, giustiziando i ribelli ed imprigionando i liberi pensatori.

Per la verità queste abominevoli azioni furono ordinate su consiglio dell’Arciduchessa Sofia, la “vera Imperatrice” come mormoravano i bene informati, ma agli occhi di tutti responsabile ne era stato Francesco Giuseppe. Era quindi più che logico che lo volessero colpire laddove era più vulnerabile.

“Quale sarà il mio compito?” chiese alfine.

“Dovrete proteggere l’Imperatrice” le rispose il sovrano alzandosi e andando accanto al ritratto della giovane moglie. “Sarete presentata a Sua Maestà e diventerete sua dama di compagnia” proseguì Francesco Giuseppe con gli occhi fissi al quadro, l’espressione di un marito innamorato che teme per la vita dell’adorata consorte “Muterete nome, naturalmente, pertanto per la Corte voi sarete la Baronessa Sarah de Bellegarde[1] , vedova del Barone Jean-Jacques de Bellegarde.”

Lady Sarah ascoltava con attenzione le parole dell’Imperatore. Era avvezza a mutare identità come il vento muta la propria direzione e questo non le creava troppe difficoltà. Di volta in volta era stata italiana, russa, magiara, tedesca e persino indiana e passava da un idioma all’altro con estrema semplicità. Questa volta sarebbe toccato al francese, peraltro lingua ufficiale a Corte. Tuttavia era a conoscenza del fatto che Elisabetta in privato, per non farsi comprendere dallo stuolo di dame che la suocera le aveva messo alle calcagna per sorvegliarla, parlava e scriveva in inglese. Questo le sarebbe stato di enorme aiuto, consentendole di avvicinare l’Imperatrice e di divenirne la confidente.

“Sarete presentata quest’oggi alle 15.00 dal Gran Cerimoniere di Sua Maestà e da quel momento terrete occhi ed orecchie ben aperti. Svolgerete i vostri compiti servendovi dell’ausilio del Conte D’Harmòn, che già conoscete e che gode della stima dell’Imperatrice, e del Conte Von Webb che mi relazionerà settimanalmente sugli sviluppi del vostro operato. Per il momento alloggerete nell’ala del palazzo riservata agli ospiti stranieri, dopodiché sarete trasferita nelle stanze occupate dal seguito di Sua Maestà. Buon Lavoro, Milady.”

La conversazione era terminata. Francesco Giuseppe si allontanò dal quadro e si sedette alla scrivania, congedandola.

Lady Sarah si alzò dalla scomoda posizione e fece una riverenza all’insegna dell’Imperatore uscendo poi a ritroso per non dargli le spalle.

Mentre seguiva il valletto che la conduceva fra dedali di corridoi che sembravano non terminare mai e scaloni tanto imponenti quanto percorsi da robuste correnti d’aria, si chiese se l’Arciduchessa Sofia fosse al corrente dell’incarico assegnatole dal figlio e della sua presenza a Vienna e, in caso affermativo, cose ne pensasse.

Per domare la giovane ed inesperta nuora, essa aveva infatti scelto personalmente ogni dama che avrebbe fatto parte del seguito di Sissi. Ogni nuovo ingresso nell’entourage era da lei proposto, vagliato e approvato e nessuno poteva intromettersi, dal momento che l’Arciduchessa si era assunta personalmente il compito di “educare” Elisabetta alla sua nuova vita.

Sulle duecentoventitrè dame, regina senza regno, dominava incontrastata la figura della Contessa Esterhàzy, la quale esagerava fino alla caricatura il ruolo assegnatole: labbra serrate, espressione arcigna, pelle incartapecorita e rugosa, atteggiamento devoto e severo. Questa dama conosceva tutte le sottigliezze del protocollo, tutti i pettegolezzi di corte e tutti gli intrighi; per lei esisteva una sola morale: l’etichetta e ogni mancanza da parte dell’Imperatrice, voluta o meno che fosse, era considerata come un peccato capitale da segnalare a sua Altezza Imperiale l’Arciduchessa Sofia.

Con tutto questo si sarebbe scontrata Lady Sarah di lì a qualche ora, spirito libero e indomito, poco incline a seguire etichette e protocolli di sorta, infastidita da qualsiasi tipo di regola, tranne quelle che lei stessa s’imponeva, compresa quella di non lasciarsi affascinare da un francese dal ciuffo ribelle e dagli occhi di mare…

 

 

 
 

 



[1] Dama d’onore dell’Imperatrice nel dicembre 1855 era la Contessa di Bellegarde.  Dal libro “Sissi – vita e leggenda di un’imperatrice”di Nicole Avril, Oscar Mondatori, collana Storia, pag. 50. N.d.A.

 



***




22 Settembre 1856


Questa mattina, molto presto, sono stato convocato da Sua Maestà per essere informato dei termini del colloquio tra l’Imperatore e Lady Sarah: Milady diventerà dama di compagnia di Sua Maestà l’Imperatrice e si farà chiamare Baronessa Sarah de Bellegarde, vedova del Barone Jean-Jacques de Bellegarde.

Grazie al fatto che fingerà di essere una dama francese, non sembrerà strano che desideri parlare con il Conte André François D’Harmòn... A quanto pare Sua Maestà ha previsto proprio tutto! Un'unica cosa mi lascia perplesso: che Milady (o piuttosto Madame... dovrò ricordarmi di rivolgermi a lei in questo modo) dovrà riferire anche all’aiutante di campo dell’Imperatore, il Conte Von Webb.

Quell’uomo non mi è mai piaciuto. Ho sempre ritenuto che Sua Maestà riponesse troppa fiducia nel Conte, soprattutto se si tiene conto del fatto che, in gioventù, si mormorava fosse innamorato della sorella dell’Arciduchessa Sofia, la Duchessa Ludovica di Baviera, madre dell’Imperatrice Elisabetta, la quale fu costretta dalla famiglia a preferirgli il Duca Max.

Massimiliano Giuseppe, Duca in Baviera, fu certamente considerato un partito più appetibile del giovane borghese, divenuto Conte Von Webb solo successivamente e insignito di tale titolo dall’Imperatore stesso per meriti in battaglia e dopo essere riuscito a convincere al matrimonio la Contessa Maria Luisa.

Klaus Von Webb è un uomo molto astuto e di grandi ambizioni, che sa accattivarsi molto bene la simpatia di Sua Maestà. Ma ha un che di sfuggente e subdolo che traspare dallo  sguardo e dai suoi modi. Il pensiero che Lady Sarah debba avere a che fare anche con lui non mi aggrada... O forse non mi aggrada l’idea che Milady debba avere contatti con altri uomini, oltre il Conte D’Harmòn?

Mio caro André, che la bella Inglese abbia già fatto breccia nel tuo cuore?

 





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Capitolo 4
*** Ritorno ***


Capitolo IV

Ritorno



Mac non aveva fatto in tempo a posare la 24 ore e il cappotto che già Coates bussava alla porta. Era stanca, di più, era distrutta! L’aver dovuto fare da scorta ad un marine indisciplinato che l’aveva anche presa a pugni in aula era stato semplicemente sfiancante. Non era addestrata a quel tipo di lavoro ed aveva dovuto improvvisare. C’era mancato poco che la prigioniera le sfuggisse… avrebbe desiderato fare rapporto all’Ammiraglio e chiedere il resto del giorno di riposo, ma la discreta presenza di Jen alle sue spalle lasciava intendere il contrario.

“Signora, l’Ammiraglio mi ha chiesto di condurla da lui non appena fosse rientrata.”

“Arrivo subito” le rispose Mac con voce incolore. Posò quello che doveva e seguì il Sottufficiale che l’annunciò a Chegwidden.

“Desiderava vedermi, Signore?” chiese mantenendosi sull’attenti.

“Riposo, Colonnello, si sieda.”

Quando Mac si fu seduta, Chegwidden le spiegò per sommi capi in cosa sarebbe consistito il nuovo incarico.

“Signore, posso parlare liberamente?” AJ annuì.

“Credo che per questo tipo di lavoro sarebbe più utile avvalersi dell’ausilio di uno storico puro piuttosto che non di un avvocato… e poi io e il Comandante abbiamo ancora in sospeso il caso Clarke.”

“Ho fatto in modo che di questo se ne occupino il Comandante Turner e il Tenente Roberts. Questo caso ha la precedenza su tutto” le rispose con tono fermo il superiore che non voleva essere costretto ad organizzare un’altra festa di fidanzamento per un matrimonio che non sarebbe mai stato celebrato.

“Quand’è così…” cedette Mac senza troppa convinzione. “Dove posso trovare il Comandante?”

“In sala riunioni.”

A quella frase le tornò alla mente il bacio che aveva dato ad Harm pochi giorni addietro, sentì nuovamente il sapore delle sue labbra su di sé e le parve di avvampare. Sperò che l’Ammiraglio non si fosse accorto di nulla.

Si sbagliava.

Mentre Mac usciva dopo averlo salutato, AJ rise sornione sotto i baffi.

Mac era assai perplessa da quello strano incarico, non le era mai accaduto di dover scartabellare fra mucchi di scartoffie ingiallite dal tempo. Anche se non odiava il lavoro d’archivio quanto Harm non si poteva certo dire che ne fosse innamorata.

E poi a cosa sarebbe servito tutto ciò? Quando aveva chiesto spiegazioni, l’Ammiraglio l’aveva liquidata con un laconico “chieda a Rabb, lui conosce i dettagli”.

Arrivò alla sala riunioni ed entrò. Harm non c’era, ma al suo posto trovò quattro scatoloni ancora chiusi posati per terra ed uno aperto messo vicino ad una delle sedie che circondavano il grande tavolo di mogano. Sbirciò dentro la scatola e arricciò il naso al sentore di muffa che vi aleggiava all’interno. Vide fasci di documenti vergati rigorosamente a mano e la pelle le si accapponò… ma l’Ammiraglio che diavolo pensava dovessero fare con quelle carte?

Non sapendo bene da che parte iniziare, in attesa del ritorno di Harm, prese lo scatolone già aperto, lo posò sul tavolo e cominciò ad estrarne metodicamente il contenuto.





***





André D’Harmòn congedò il servitore con una mano, terminando lui stesso di sistemare la sciabola nel fodero: era parecchio che non indossava l’alta uniforme, ma quell’occasione la richiedeva, per sottolinearne l’ufficialità. Era stato l’Imperatore stesso a suggerirlo, per far comprendere meglio alla sua adorata consorte, semmai ce ne fosse stato bisogno, che Lady Sarah era stata scelta personalmente da lui come sua dama di compagnia. Era assolutamente necessario che a Sua Maestà l’Imperatrice piacesse la Baronessa de Bellegarde, altrimenti gli sforzi di Francesco Giuseppe per proteggere la moglie sarebbero stati vani.

L’Imperatore sapeva bene quanto Elisabetta odiasse le proprie dame di compagnia, tutte abilmente scelte dalla suocera, e come si ostinasse a non confidarsi con nessuna di loro. Addirittura si divertiva a parlare in inglese, anziché in francese, la lingua usata a Corte, proprio per evitare di farsi capire. Per questo motivo Sua Maestà l’Imperatore aveva scelto Lady Sarah per quell’incarico.

Lady Sarah…

Sistemandosi inconsciamente un ciuffo ribelle, che tanto ribelle restava comunque, il giovane Conte sorrise al pensiero che fra pochi minuti l’avrebbe rivista.

Era molto eccitato, all’idea!

Non riusciva a capire come mai quella donna l’avesse colpito tanto: certo, era molto bella. Ed anche la sua aria leggermente esotica contribuiva ad aumentare il suo fascino; per non parlare di quanto l’avesse subito intrigato quel luccichio nei suoi occhi, evidente segno di una mente brillante e di un carattere volitivo.

Ma il Conte André François D’Harmòn, seppure giovane, ne aveva conosciute molte di donne belle, brillanti e altrettanto volitive, eppure mai nessuna l’aveva colpito a tal punto. Tra l’altro, considerato il suo aspetto notevole, per non parlare del suo titolo e del consistente patrimonio, parecchie di queste affascinanti dame avevano fatto il possibile e l’impossibile per fare breccia nel suo cuore, con scarsi risultati.

Il bel Conte si limitava a corteggiarle, a conversare amabilmente con loro, in alcuni casi a concedersi discrete avventure, ma mai ad impegnarsi.

Finché non aveva conosciuto Lady Sarah… Dal primo momento in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli di lei, André aveva provato l’impulso irresistibile di stringerla tra le braccia e non lasciarla andare mai più. Ma al tempo stesso aveva avuto la sensazione che sarebbe stata una difficile conquista… La luce nei suoi occhi, che lui aveva colto fin dal primo istante, gli aveva suggerito che, oltre ad avere un carattere volitivo, Milady fosse anche uno spirito libero, difficilmente domabile da un uomo. Ed anche un mistero: chissà quali segreti nascondeva il suo passato?

Forse era proprio questo ad averlo intrigato tanto.

“In fondo le sfide difficili e misteriose mi sono sempre piaciute”, pensò sorridendo.

Raccolse dalla poltroncina in velluto color crema il copricapo della sua uniforme, se lo mise sotto il braccio, com’era consuetudine portarlo in presenza di una dama, e si avviò verso la porta della sua stanza, pronto a raggiungere Lady Sarah per accompagnarla all’incontro con Sua Maestà l’Imperatrice Elisabetta.

“E chissà quali dolcezze cela il suo meraviglioso corpo…” si scoprì ad immaginare, mentre si richiudeva la porta alle spalle.

Sì, la Baronessa de Bellegarde si prospettava essere una delle più gradevoli sfide della sua vita.

 

 

 

 
 

 

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Capitolo 5
*** La Presentazione ***


Capitolo V

La Presentazione



Quando giunse nei propri appartamenti, Lady Sarah si avvide che il suo scarno bagaglio era già stato sistemato. Mancava ancora qualche ora all’incontro con l’Imperatrice, pertanto decise di prendersi un po’ di tempo e di bighellonare per le stanze.

A differenza delle altre dame del suo tempo che necessitavano di ore e ore di preparativi anche solo per partecipare ad un semplice pic-nic, a Lady Sarah bastava poco per essere perfetta ed impeccabile in ogni occasione.

Girellò per le stanze che costituivano la sua temporanea sistemazione. Decori, oro, stucchi veneziani, dipinti, arazzi e velluti erano spesi a profusione, anche se questo lusso era comunque più sobrio di quello di Versailles, recentemente ritornata ad essere la residenza di Napoleone III dopo la rovina della Rivoluzione.

Il letto della camera era sontuoso, sormontato da un baldacchino in velluto blu notte con in cima l’aquila bicipite degli Asburgo, il mobilio era in stile Luigi XV e per terra tappeti di squisita fattura Savonnerie. Nel bagno mancava una vasca e Lady Sarah rammentò come, nell’austero palazzo voluto dalla grande Maria Teresa, questi orpelli fossero stati giudicati inutili. Sorrise al pensiero di come avrebbero reagito a questa bizzarria alcune sue amiche dell’alta società di Boston…

“Passare dagli Stati Uniti all’Europa è come viaggiare su una macchina del tempo, per certi versi" pensò.

Andò alle finestre bordate di tende di pizzo di Fiandra e sormontate da mantovane di velluto beige e ammirò il panorama. Il Prater circondava l’intero palazzo di Schonbrunn e da qualunque parte ci si affacciasse lo si poteva ammirare; la giornata autunnale insolitamente luminosa, poi, rendeva i gialli, i rossi, gli arancioni e i marroni tipici della stagione ancora più brillanti.

Tornò all’armadio e l’aprì.

Non era preoccupata più di tanto da quell’incontro, avendo frequentato parecchio le corti d’Europa sapeva bene come ci si comportava e abbigliava alla presenza di un sovrano. Era tuttavia curiosa di conoscere l’Imperatrice Elisabetta della cui bellezza si favoleggiava nei circoli bene di tutta Europa e nei salotti più aristocratici degli Stati Uniti.

Aprì l’imponente anta di ciliegio intarsiato e scelse la toeletta appropriata. Si spogliò sino a rimanere col solo busto e la sottoveste di seta candida, dei quali si liberò con un gesto insofferente. Odiava le gale, odiava le crinoline, odiava soprattutto i busti dalle lunghe stecche di balena che impedivano di respirare come un essere umano costringendola a brevi respiri che le davano l’impressione di stare soffocando.

Avrebbe tanto desiderato immergersi in una bianca vasca smaltata circondata da profumi e dall’aroma dei sali minerali, ma a Vienna i costumi erano assai diversi da quelli della sua casa in Inghilterra e così dovette accontentarsi di una rudimentale tinozza di legno e di tre brocche di acqua bollente. Per fortuna aveva con sé il necessario per una toilette degna di questo nome.

Prese il bagno completamente nuda, cosa che avrebbe scandalizzato ben più di una persona in un’epoca dove la pudicizia spingeva a coprire persino le gambe dei tavoli, delle sedie e dei pianoforti.

Assaporò ogni istante di quel bagno seppur primitivo e quando ne uscì si sentiva meglio; la stanchezza del viaggio era rimasta nell’acqua della tinozza profumata di essenza alla vaniglia.

In poco meno di un’ora Lady Sarah era pronta per essere ricevuta dall’Imperatrice Elisabetta e per entrare nel suo mondo.

Un leggero bussare alla porta l’avvisò che la sua “scorta” era arrivata. Uscì dalle stanze e quale fu la sua sorpresa nel vedersi davanti il Conte D’Harmòn nell’alta uniforme degli Ussari francesi!

“Conte, non mi aspettavo l’onore della Vostra compagnia” esclamò.

“L’Imperatore ha espresso il desiderio che fossi io a condurVi alla sala delle udienze dell’Imperatrice” le rispose galante lui.

Lady Sarah non poté impedire al proprio cuore di far capriole nel petto, quell’uomo le suscitava emozioni che non comprendeva e per la prima volta sembrava non riuscire ad avere la meglio sui suoi sentimenti. Nondimeno si ricordò della regola d’oro: mai innamorarsi. La sua vita non glielo permetteva, lei era uno spirito libero, che mal tollerava costrizioni o pastoie di sorta. E l’amore finiva sempre con l’imbrigliarti.

Pertanto ricacciò le sue sensazioni nell’angolo più remoto di se stessa e sorrise leggera al Conte che le porgeva il braccio.

“Allora andiamo” gli disse con tono salottiero.

André François D’Harmòn era ormai un habitué alla corte imperiale di Vienna e pertanto la condusse senza esitazioni sino all’ala del palazzo riservata all’Imperatrice.

Rampollo di una lunga discendenza nobile della Borgogna, era l’unico figlio maschio del Conte Henry Louis D’Harmòn, aristocratico sfuggito per miracolo alla Rivoluzione, e della Contessa Patricia Von Raab, austriaca per parte di padre.

Tale ascendenza tedesca e il fatto di essere il miglior produttore di vino Borgogna del suo tempo avevano reso possibile l’ingresso a corte del giovane Conte.

Da alcuni anni, infatti, era lui a curare gli interessi dell’azienda di famiglia presso la corte di Vienna, poiché il padre e la madre avevano preferito ritirarsi a vita privata nello Chateau di famiglia, nei pressi di Cluny. E la cosa non dispiaceva affatto al giovane Conte: nel 1848 studenti, operai e Guardia nazionale avevano costretto il re Luigi Filippo I, duca d’Orléans, ad abdicare; era stata proclamata la Seconda  Repubblica ed era stato eletto presidente Luigi Napoleone, nipote di Bonaparte, il quale, alla fine del 1852, aveva agito in modo tale che la nuova Costituzione lo aveva proclamato “Imperatore dei Francesi per grazia di Dio e volontà della nazione” con il nome di Napoleone III.

Pertanto in quegli anni la nobiltà francese non viveva momenti felici; D’Harmòn stesso preferiva di gran lunga vivere alla corte asburgica, il cui sovrano era di sangue blu, che non a quella francese, ove sul trono vi era il discendente di un ex-ufficiale d’artiglieria. Grazie alla sua discendenza tedesca per parte materna gli era possibile indossare la divisa degli Ussari francesi e al tempo stesso frequentare la corte viennese.

La sua abilità di spadaccino, di cavallerizzo e di tiratore gli erano valsi l’ammirazione e la benevolenza dell’Imperatore Francesco Giuseppe, quasi suo coetaneo, e in più di un’occasione il francese aveva dimostrato la sua fedeltà al sovrano. Grazie a questo era stato trattenuto a Vienna dall’Imperatore stesso proprio quando i soldati francesi e i loro alleati inglesi stavano morendo a migliaia per il colera e per il freddo alle porte di Sebastopoli, nella penisola di Crimea, in una guerra nata da un conflitto tra monaci cattolici ed ortodossi per i Luoghi Santi a Gerusalemme, ma che in realtà vedeva in gioco l’egemonia russa e quella francese.

Di temperamento piuttosto riservato, ma di gusti assai raffinati e dai modi ineccepibili, D’Harmòn piaceva molto a corte, specialmente alle dame, per quella sua aria da eterno ragazzo e per i suoi incredibili occhi che avevano sollevato numerose discussioni ai tè: erano verdi o azzurri?

Sissi amava molto il suo modo di porsi e l’Imperatore, intuite le abilità del Conte con le armi e notato il suo savoir fare con la giovane moglie, fidandosi ciecamente del nobiluomo gli aveva affidato la vita della sovrana, pregandolo di proteggerla con discrezione. Successivamente, quando voci di un possibile attentato alla vita dell’Imperatrice si erano fatte sempre più insistenti, era giunto a chiamare Lady Sarah per affiancarla a D’Harmòn.

Il Conte scortò con fare sicuro Lady Sarah fino alla meta e bussò con discrezione. Il Gran Cerimoniere di Sua Maestà aprì la porta di legno laccato bianco intarsiata d’oro.

Il Conte cedette il passo alla dama, la quale, in un fruscio di seta nera, entrò nell’ampio salone, e poi la seguì facendo anch’egli il proprio ingresso e inchinandosi insieme a lei davanti all’augusta persona di Elisabetta Imperatrice d’Austria.

La sovrana era seduta per terra e stava giocando con la maggiore delle figlie, la piccola Sofia, ed era semplicemente radiosa.

“Non sono favole quelle che si raccontano sulla sua bellezza” pensò Lady Sarah osservandola di sottecchi, per quanto le consentiva la posizione in cui si trovava.

Elisabetta indossava un semplice abito di velluto verde smeraldo, stretto in vita da una fascia di seta bianca. Non portava gioielli di sorta e i lunghissimi capelli erano intrecciati sulla sommità del capo in un’acconciatura estremamente sobria .

Non aveva ancora compiuto 19 anni (il suo compleanno sarebbe caduto la prossima vigilia di Natale), ma era già madre di due bambine, Sofia nata nel 1855 e Gisella nata nel 1856 che in quel momento le tenevano compagnia, la più piccina nella culla, la maggiore gattonando per terra sul magnifico parquet intarsiato.

Sissi stava giocando con Sofia e non si era avveduta dell’ingresso del Conte e di Lady Sarah, pertanto il Gran Cerimoniere l’avvertì con discrezione della presenza degli ospiti che avrebbe dovuto ricevere.

“Che sbadata!” esclamò con voce argentina in inglese cui seguì un’allegra risata.

“Conte!” disse sempre sorridendo e tendendo le mani verso l’uomo. “Che piacere rivedervi! Ci siete mancato moltissimo!”

D’Harmòn si sollevò dalla riverenza e baciò le mani della sovrana. “Il piacere è mio, Maestà” mormorò con rispetto.

“Suvvia mio caro André, quanta affettazione! Rimanete lontano per soli quattro giorni e già ripristinate le distanze? Non sarete forse stato troppo a lungo in compagnia della Contessa Esterhàzy?” domandò impertinente sempre parlando in inglese.

D’Harmòn sorrise: “Niente affatto, Maestà. Mi sono recato sino a Parigi per portare con me la vostra nuova dama di compagnia: la Baronessa Sarah de Bellegarde.”

“Baronessa siamo molto lieti di fare la vostra conoscenza. Siamo al corrente del vostro lutto e ce ne dispiace… Il nostro più vivo augurio è che la Vostra nuova vita a corte possa regalarvi un po’ di serenità e consentirvi di lenire il dolore per la perdita del vostro adorato marito” le disse Sissi parlandole ancora in inglese e dimentica che la “Baronessa” era di nazionalità francese.

“Maestà, voi siete troppo buona” rispose in inglese Lady Sarah ritornando in posizione eretta con tono mesto, simulando alla perfezione la parte della vedova.

L’Imperatrice si avvide della gaffe commessa rivolgendosi alla Baronessa in inglese e se ne scusò.

“Maestà, non mi avete offesa” le rispose Lady Sarah “parlo molto bene l’inglese e mi fa piacere ogni tanto poter utilizzare questa lingua nelle conversazioni.”

La sovrana rimase favorevolmente impressionata dalla Baronessa de Bellegarde.

Il primo passo era stato fatto.

“Ebbene, Baronessa, non rimpiangete la vostra bella Parigi?” chiese Elisabetta.

“Non v’è nulla di meglio che mutare clima e costumi dopo un lutto, Maestà, ed essere al Vostro servizio per me è un onore” le rispose compitamente Lady Sarah.

“Ne siamo lieti e siamo contenti che l’Imperatore abbia fatto una così buona scelta.”

Allora era vero! Esultò dentro di sé Lady Sarah. L’Arciduchessa Sofia non era al corrente della manovra del figlio e forse neanche sapeva del pericolo che correva la vita della nuora.

“Si profilano tempi interessanti” si disse.

 

 

 
 

 

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Capitolo 6
*** Chiarimenti ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo VI

Chiarimenti



“Bentornata tra noi, Colonnello” la salutò Harm di ritorno dal pranzo. “Come è andata a Miramar?”

Mac alzò la testa dallo scatolone che aveva di fronte a sé e per tutta risposta gli chiese: “Cos’è questa storia della ricerca?”.

“Quanta fretta Marine! Neanche più si salutano i vecchi amici?”

Mac lo guardò in tralice, più che salutarlo avrebbe voluto fare altro, ma in quel momento l’esigenza di udire spiegazioni era impellente.

Harm le chiese stupito se l’Ammiraglio le avesse detto qualcosa.

“No” rispose lei sbuffando e posando le carte che aveva in grembo. “Mi ha solo detto di rivolgermi a te per i dettagli.”

Harm appoggiò il diario del Conte D’Harmòn e si sedette accanto a Mac.

“Anche io sono rimasto molto stupito quando me l’ha detto” esordì guardandola dritto negli occhi. Se non fosse stato per la distanza di secoli, si sarebbe detto di trovarsi in presenza della Lady Sarah del Conte….

La manovra aveva un suo perché: doveva scoprire cosa albergava in lei, quali fossero i suoi veri sentimenti. L’istinto sarebbe stato quello di prenderla fra le braccia e baciarla fino a farla restare senza fiato.

In quei due giorni le era mancata come l’aria, sembrava che il JAG fosse vuoto senza la sua presenza, ma in realtà quello vuoto era lui.

“Però adesso è qui” pensò, “e questo strano lavoro mi fornirà l’occasione che cerco.”

Davanti a quello sguardo indagatore che sembrava volerle scrutare anche l’anima, Mac si sentì a disagio. Che dire? Che fare?

Aveva voglia di baciarlo ancora?

Sì, da morire.

Lo amava?

Sì, da morire.

Tuttavia qualcosa la trattenne dallo sporgersi dalla sedia e incollare le sue labbra a quelle di lui. Si limitò a distogliere lo sguardo e a chiedere nuovamente lumi su quell’incarico così stravagante.

“L’Ammiraglio Alexander Blackbird” cominciò lui, “è stato un eroe della Marina Militare, le sue gesta sono descritte nei libri di storia e le sue tattiche di guerra vengono studiate ancora adesso dagli allievi dell’Accademia navale. Sei mesi fa l’ultimo dei suoi discendenti ha rinvenuto delle carte dell’avo e…”

“I cinque scatoloni?” chiese Mac con aria affranta.

“Precisamente” le rispose Harm con aria divertita. “E ne ha fatto dono all’Archivio Storico di Annapolis. L’Ammiraglio Chegwidden mi ha riferito che da quelle carte è emersa una storia alquanto singolare. Ad un certo punto della sua carriera, l’Ammiraglio Blackbird entrò in contatto con l’Impero Asburgico e si mise al servizio temporaneo dell’Imperatore Francesco Giuseppe il quale gli chiese di nascondere a bordo della sua nave, la “Medea”, due stranieri, un inglese e un francese, cui egli aveva affidato la vita dell’Imperatrice Elisabetta sua moglie. Tra poco ricorrerà il centenario della morte dell’Ammiraglio e l’Accademia, nonché la Marina, vogliono arricchire la sua biografia di questo ulteriore particolare, per cui l’Ammiraglio Chegwidden ha pensato di incaricare noi per svelare il mistero dei due fuggiaschi a bordo della Medea” concluse Harm.

“Posso dirti in tutta onestà che la cosa non mi entusiasma?” disse Mac con voce piatta.

“Anche io la pensavo così, fino a quando non ho trovato questo” le rispose lui porgendole il diario del Conte D’Harmòn.





***

Non appena furono congedati da Sua Maestà, il Conte D’Harmòn fece per accompagnare Lady Sarah nelle sue stanze, ma la donna lo fermò.

“Che ne direbbe, Conte, di fare due passi con me in giardino?”

“Con piacere, Madame” rispose galante il nobile francese, porgendole il braccio.

“Devo capire alcune cose…” mormorò tra sé Lady Sarah, mentre raccoglieva l’invito del Conte. Appoggiò la sua mano sul tessuto della divisa dell’uomo al suo fianco, mentre lui gliela copriva con l’altra, in un gesto forse più intimo di quanto le circostanze avrebbero imposto. Ma Lady Sarah era solita non badare troppo alle rigide regole d’etichetta. Tuttavia si sentì turbata dal contatto delle loro mani: sebbene quella del Conte fosse coperta dal guanto che completava l’uniforme, la nobildonna non poté non accorgersi del calore che sprigionava il corpo del nobile francese.

Lui la stava scortando attraverso vari corridoi e scalinate, per condurla nei giardini. Lady Sarah aveva in mente di fargli una serie di domande sull’Imperatrice che, a quanto aveva potuto osservare, era in ottimi rapporti con il Conte, ma passeggiando al suo fianco si rese conto di non riuscire a pensare a nulla che non fosse il suo affascinante accompagnatore.

André D’Harmòn aveva iniziato ad illustrarle vari dipinti che si trovavano alle pareti, raccontandole la storia di molti dei personaggi rappresentati nei quadri. Aveva una voce calda e profonda e sapeva suscitare l’interesse dell’ascoltatore con grande abilità. Era una sua dote naturale, ancor più evidenziata dal piacere che il giovane francese traeva dalla compagnia della bellissima donna che lo accompagnava. Il suo fascino era naturale e, proprio per questo, ancora più apprezzato da Lady Sarah la quale, nel suo girovagare presso le varie corti europee, aveva avuto modo di conoscere molti uomini, anche di bell’aspetto e di ottima cultura, ma spesso di maniere troppo affettate. E se c’era una cosa che Milady non sopportava erano gli uomini che tentavano di sedurla a tutti i costi.

Il Conte, invece, l’aveva colpita proprio perché tutto, in lui, era estremamente spontaneo e, proprio per questo, altamente seducente.

“Ed ecco, Madame, il giardino!” disse il Conte con un sorriso che gli illuminò il volto, aprendole una vetrata per permetterle di uscire.

Lady Sarah ammirò lo spettacolo dei giardini di Schonbrunn: benché fosse autunno inoltrato, risplendevano sotto il sole del pomeriggio e rivelavano sentieri perfettamente curati e costeggiati da siepi sagomate, a rivelare la profonda sensibilità della grande Imperatrice Maria Teresa per gli spazi naturali.

Tuttavia la giovane inglese, già abituata allo splendore dei giardini di Versailles, restò più abbagliata dal sorriso del Conte, che dalla bellezza del parco della residenza degli Asburgo. Gli rivolse a sua volta un sorriso luminoso e decise di godersi ancora per un po’ la compagnia dell’affascinante francese, prima di rivolgergli le domande che le stavano a cuore.

Passeggiarono per alcuni minuti all’aperto, chiacchierando di arte e giardinaggio, prima che il Conte, arrivato nel luogo appartato che aveva come meta fin dall’inizio, le chiese: “Cosa volevate sapere, Milady?”.

Lady Sarah lo fissò per qualche attimo, sorpresa dal fatto che solo ora, se ne rendeva conto, si accorgeva che André D’Harmòn, oltre ad essere molto bello, un abile oratore e un’affascinante compagnia, era anche un uomo di grande intuito e intelligenza.

Decise quindi di chiedergli tutto ciò che avrebbe potuto servirle per entrare in confidenza con l’Imperatrice: s’informò sul carattere di Elisabetta, domandò come mai Sua Maestà parlasse spesso in inglese e si fece spiegare per sommi capi chi avrebbe dovuto tener d’occhio maggiormente tra le dame che attorniavano la giovane sovrana.

André D’Harmòn rispose con semplicità ad ogni domanda, raccontandole anche alcuni aneddoti che la fecero sorridere. Dopodiché, fornite tutte le indicazioni necessarie, riaccompagnò Milady nelle sue camere.




***

22 Settembre 1856


Ho sempre amato i giardini di Schonbrunn, più semplici di quelli di Versailles, ma al tempo stesso egualmente maestosi; ho sempre apprezzato passeggiarvi in una giornata di sole, assaporando la quiete e la serenità del luogo.

Eppure, questo pomeriggio, assieme a Lady Sarah… non mi è mai piaciuto tanto conversare con qualcuno come ho fatto oggi con lei.

Amo il suo animo e con esso la sua poesia; amo la grammatica e la sintassi incalzante del suo brillante pensiero.

Sebbene tutto di lei mi affascini - le sue labbra, i suoi occhi, le sue mani - amo quello, più d’ogni altra cosa in lei. Labbra, occhi e mani in qualche modo si rassomigliano tutti, ma il suo pensiero è nato con lei e con lei sparirebbe.

Il suo pensiero, esternato dalle sue parole, è solo lei e lei soltanto.


***

Alzò gli occhi e lo guardò, ancora sopraffatta da quelle parole. Lui la stava osservando, mentre leggeva il diario del conte André D’Harmòn, e si stava domandando quali immagini e idee attraversassero la sua mente.

“Allora? Credi ancora che il nostro incarico non sia entusiasmante?” chiese Harm, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. La scrutò con un sorriso, divertito dall’espressione sognante che aveva scorto nei suoi occhi: nessuna donna, neanche un duro Marine dell’era dello spazio e della cibernetica, sarebbe rimasta indifferente alle parole del nobile francese. Lui stesso, quando le aveva lette, aveva provato un brivido nel profondo, forse perché aveva scoperto essere le stesse che più volte anche lui avrebbe desiderato dire alla sua “Lady Sarah”.

“Mi è sembrato che le parole del Conte francese avessero un certo effetto su di te…” la prese benevolmente in giro, più per attenuare le sue stesse emozioni, che per sminuire il romanticismo che leggeva nei suoi occhi.

“Qualunque donna sarebbe felice di essere oggetto di tanta passione, non credi?”

“Tu dici?” domandò a sua volta, sempre con aria leggermente divertita.

“Oh, sei insopportabile, sai?” lo accusò lei.

“Credevo che un duro Marine come te fosse insensibile al fascino di un nobile di oltre un secolo fa… invece, a quanto pare…”

“Sei un uomo, non puoi capire.”

“Anche il bel Conte era un uomo, Mac” la incalzò lui, sempre più divertito da come riusciva sempre a provocarla. L’adorava, letteralmente, quando perdeva le staffe per le sue frecciatine!

“Come sai che il Conte era un bell’uomo? Nulla lo fa supporre, dalle parole del diario” ribatté immediatamente lei.

“Mhmm… chiamalo sesto senso. Forse lo era, forse non lo era. Ma certamente tu te lo sei immaginato bellissimo, semplicemente da quelle parole, vero?”

Quanto lo odiava, quando riusciva a leggerle dentro come un libro aperto!

E come aveva ragione! Dopo aver letto quelle parole, aveva alzato lo sguardo su di lui e immediatamente se lo era immaginato proiettato nel passato, vestito, anziché della divisa della Marina Americana, con l’uniforme di un corpo militare francese del 1856 e i capelli legati alla nuca. Solo gli occhi, due pozze d’acqua di mare, erano gli stessi...

“Entusiasmante o meno, questo incarico ci tocca: come pensi di portarlo a termine? Semplicemente leggendo un diario?” lo apostrofò con aria volutamente pedante, per interrompere il flusso dei suoi pensieri, che stavano prendendo una strada molto, troppo pericolosa.

Lui sorrise, le si avvicinò più di quanto già non fosse e le sussurrò all’orecchio:

“In ufficio potremmo sbrigare tutte quelle scartoffie…” e fece un cenno, indicando gli scatoloni “… e a casa mia, o a casa tua, potremmo proseguire con la lettura del diario…”

Mac indietreggiò impercettibilmente fino ad arrivare contro il tavolo, per allontanarsi dal calore della sua pelle e per far rallentare il battito impazzito del suo cuore. All’improvviso si rese conto di essere imprigionata tra lui e l’arredo e, una volta tanto, senza sapere come ribattere.

Harm non attese la sua risposta: sollevò una mano verso il suo volto e le sfiorò rapidamente le labbra con l’indice.

“Pensaci…” e così dicendo le rivolse un ultimo sguardo intenso, girò sui tacchi e uscì dalla sala riunioni.

 

 

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Capitolo 7
*** La sfida ***


Giochi del Destino





Capitolo VII

La sfida



Harm era molto soddisfatto di sé e pensava che l’idea di leggere il diario in un luogo meno intriso di ufficialità fosse semplicemente geniale. Egli sapeva bene d’aver colto in castagna Mac mentre leggeva le pagine di quel quadernetto… “Galeotto fu il libro” gli venne in mente, solo che il libro in questione aveva significato la condanna all’inferno di Paolo e Francesca, mentre il diario del Conte poteva rappresentare l’ancora di salvezza, forse l’unica, per loro.

Andò alla kitchenette dove bevve un caffè, ma era solo un pretesto, quello, per lasciarla cuocere ancora un po’ a fuoco lento. Sorrise sornione e in quel momento entrò l’Ammiraglio.

“Trovato qualcosa di divertente nella nuova indagine, Comandante?” chiese con fare indagatore e un velo di sospettosità nella voce.

“Nulla in particolare, Signore, solo un vecchio diario di un dongiovanni d’altri tempi che contiene aneddoti interessanti e divertenti” rispose con nonchalance Harm.

“Tralasciate le cose superflue e pensate piuttosto a vagliare i documenti ufficiali, sono quelli ciò che interessano ci maggiormente” lo rimbrottò un po’ brusco AJ.

“Riferirò al Colonnello i suoi ordini, Signore” rispose Harm ed uscì.

Chegwidden si divertiva sempre di più. Sapeva dell’esistenza del diario del Conte D’Harmòn perché il Segretario gli aveva consegnato un inventario abbastanza dettagliato delle carte contenute nelle scatole. Non l’aveva letto, ma poteva intuire l’effetto che avrebbe avuto sui suoi due ottusi sottoposti. E ordinare loro di non perderci del tempo avrebbe sortito l’effetto opposto: farglielo leggere con maggiore attenzione, magari in un luogo diverso dal JAG per evitare di farsi scoprire da lui mentre erano occupati nella lettura di carte che egli stesso aveva ordinato di non leggere…

 

  ***


Era passato qualche tempo dacché Lady Sarah aveva fatto il suo ingresso alla corte degli Asburgo, e durante quel mese aveva avuto modo di conoscere meglio sia l’Imperatrice che le dame che la circondavano.

L’età media era piuttosto alta, e del resto quell’accorgimento era stato preso a bella posta dall’Arciduchessa Sofia: più anziane e bigotte erano e meno si sarebbero lasciate tentare dal vento di novità e gioventù che Sissi, con i suoi diciannove anni, portava con sé.

Lei, la “Baronessa de Bellegarde” era la più giovane fra queste nobildonne e pertanto le altre all’inizio l’avevano trattata con supponenza e freddezza, ma quando si era sparsa la voce che lei non solo era stata scelta dall’Imperatore in persona ma che era in ottimi rapporti con il Conte D’Harmòn, le si erano fatte più vicine, come falene attratte dalla luce. Il bell’André aveva dunque fatto strage di quei cuori avvizziti dall’età e impoveriti dalle beghe di Corte…

Il pensiero del giovane e affascinante francese non l’abbandonava e siccome il Conte amava le lunghe passeggiate a cavallo, come lei del resto, ogni giorno, o quasi, si trovavano al fianco dell’Imperatrice che, in sella ad un favoloso lipizzano dono dell’augusto consorte, sgroppava per il Prater suscitando le ire dell’Arciduchessa Sofia che trovava altamente disdicevole un comportamento simile in una sovrana.

Col passare del tempo, Lady Sarah era entrata nelle simpatie di Elisabetta della quale condivideva gli stessi gusti letterari (Shakespeare e Heine), lo stesso amore per l’aria aperta e l’insofferenza alla rigida etichetta di corte. Le due dame passavano lungo tempo in chiacchiere e ogni volta che le era possibile, districandosi dai numerosi impegni che il suo rango le imponeva, Sissi trascorreva del tempo con la Baronessa conversando in inglese o in ungherese, lingua, questa, che Lady Sarah padroneggiava con una certa sicurezza per averla dovuta imparare anni addietro.

La dama inglese, per certi versi, provava pena per questa bambina che, invece di giocare ancora con le bambole, era stata data in pasto ad una cricca di nobili interessati solo ai propri vantaggi e ad acquisire sempre più potere ed ascendente su di lei o sul sovrano. Il suo era stato un matrimonio d’amore, nessuno lo metteva in dubbio, e lei era profondamente innamorata di Francesco Giuseppe, ma Lady Sarah comprendeva lo stato d’animo di Elisabetta quando le confidava la sua nostalgia per la famiglia e Possenhofen o quando le diceva: “Se solo l’Imperatore non fosse l’Imperatore!”.

Quella mattina, nonostante il freddo Sissi aveva voluto uscire per una cavalcata nel parco del castello e Lady Sarah l’aveva seguita. Come sempre, al codazzo di nobili si era aggiunto, presenza discreta ma costante, il Conte D’Harmòn.

Egli era rimasto ammaliato dalla bellezza di Lady Sarah, ma non era solo per la sua avvenenza che se ne sentiva così attratto. C’era un qualcosa in lei, un particolare indefinibile che l’attirava come mai nessuna donna aveva fatto. E dire che di donne ne aveva conosciute!

Anche ora, mentre la seguiva a cavallo, non poté non ammirare la grazia con cui cavalcava all’amazzone. Sembrava che il suo corpo fosse una naturale prosecuzione dell’animale, anche se sospettava che Milady preferisse montare in arcione.

Dal pomeriggio in cui lei era divenuta ufficialmente la Baronessa de Bellegarde avevano avuto parecchie occasioni per conversare e nessuno se n’era stupito più di tanto, come aveva giustamente preconizzato l’Imperatore. Entrambi francesi, entrambi all’estero… era più che naturale che l’uno cercasse la compagnia dell’altro. In realtà quelle loro conversazioni avevano riguardato più che altro le discrete indagini cominciate da Lady Sarah, la quale teneva sempre le orecchie ben aperte per captare ogni minimo segnale e si confrontava con il Conte manifestandogli le proprie sensazioni. Egli, esperto della corte, le confermava o meno le sue impressioni. A volte si trovavano in disaccordo, ma nel complesso le valutazioni di entrambi coincidevano nella maggior parte dei casi.

Immerso in queste considerazioni non mancò tuttavia di accorgersi che Lady Sarah aveva rallentato l’andatura del proprio cavallo in modo tale da accostarsi a lui.

“Cosa posso fare per voi, Madame?” disse in francese.

“Cosa ne pensate della Duchessa Battyàny?”

“E’ ungherese, Madame. Io non credo che possa volere la morte di Sua Maestà.”

“Conte, voi mi deludete. Conoscete molto bene la situazione in Ungheria e conoscete altrettanto bene quale sia il pensiero dell’Imperatore riguardo a quel Paese.”

“Vorrei ricordavi, Madame, che ormai si sta avviando un processo di pacificazione con l’Ungheria grazie al Conte Andrassy e al Signor Deàk.”

“E io vorrei ricordarvi, caro Conte, che Kossuth è pur sempre un irriducibile antiaustriaco ancora a piede libero, e un antiaustriaco molto potente per di più, con amicizie che arrivano persino a San Pietroburgo. E la Russia non è molto ben disposta nei confronti dell’Austria dopo la guerra di Crimea e il trattato di Parigi di quest’anno. Dopo la repressione seguita ai moti rivoluzionari del 1848 molti nobili ungheresi ribelli sono scappati in esilio, alcuni di loro rientrarono in patria dopo l’amnistia proclamata da Sua Maestà a seguito delle nozze, ma altri hanno preferito restare all’estero e continuare la loro crociata irredentista facendo proseliti fra gli altri nobili. Sua Maestà è molto affascinata dall’Ungheria e in tutta franchezza, Conte, non la posso biasimare. È un paese molto bello e magico, ma da quando è lei a scegliersi le dame di compagnia ho notato che la sorveglianza alla sua persona è leggermente allentata. Non vorrei mai che proprio una di queste donne che sono in così alta considerazione perché ungheresi possa un giorno levare la mano contro l’Imperatrice.”

D’Harmòn si stupì una volta di più delle conoscenze politiche e storiche di Lady Sarah e della maniera schietta che aveva di esporle. Oltre ad essere bella da mozzare il fiato (e la tenuta da amazzone non faceva altro che far risaltare le sue forme) era anche intelligente e colta.

“Sarebbe la donna perfetta” pensò. Peccato che Madame non si lasciasse avvicinare più di tanto e che continuasse a mantenere le distanze.

“Sarà una dura battaglia vincere le sue resistenze, ma non ho mai accettato una sfida più volentieri.”

Si riscosse dai suoi pensieri e chiese cosa dovesse fare per raccogliere qualche informazione sulla Duchessa Battyàny.

“Vorrei che indagaste un poco sul suo passato: chi era prima di approdare a Corte, chi l’ha introdotta e perché, se è o è stata sposata e in questo caso se il marito fosse o meno ostile all’Austria. Io con il mio ruolo posso solo indagare fra le dame di compagnia di Sua Maestà” sbuffò infastidita, “ma voi avete maggiore libertà d’azione.”

“Non gradite affatto tutta questa impalcatura di affettazione, etichetta e false cortesie” azzardò il Conte. “Voi siete una persona abituata a fare a modo proprio e ve ne infischiate di etichette e protocolli.”

Lady Sarah lo fulminò con lo sguardo: “Conte siete pregato di non immischiarvi in faccende che non vi riguardano” lo rimise al suo posto spronando il cavallo fino a raggiungere l’Imperatrice.

“Ai vostri ordini, Madame” rispose a mezza voce lui accennando un inchino.

 

 


***

“Ma che diamine gli è preso?” si chiese Mac a mezza voce dopo che Harm fu uscito dalla sala. Il gioco, cominciato con quel bacio, avrebbe dovuto condurlo lei! Adesso, con quell’assurda proposta, lui aveva cambiato completamente le carte in tavola.

Leggere le memorie del Conte a casa sua o in quella di Harm?! Ma neanche per sogno!

Lui aveva capito benissimo l’effetto che le parole del nobile ottocentesco avevano avuto su di lei e intendeva approfittarsene, complice l’intimità delle rispettive abitazioni e il clima più rilassato che si sarebbe certamente venuto a creare.

“Assolutamente NO!” esclamò decisa.

Certo, le parole del Conte francese l’avevano turbata, le erano piaciute oltremodo, e del resto quale donna sana di mente e con un minimo di sensibilità non ne sarebbe rimasta colpita? Ma doveva resistere a quelle parole e alle emozioni che esse suscitavano perché era certa che se avesse seguito l’onda ne sarebbe uscita col cuore spezzato.

Quando Harm rientrò in sala riunioni trovò Mac immersa nello studio di alcuni documenti, mappe navali da quello che poté vedere.

“Pensavo ti saresti lasciata tentare dall’affascinante Conte…” la punzecchiò.

Mac si infervorò subito: “Non credo che il tuo compare francese possa aiutarci a risolvere il mistero dell’Ammiraglio e dei due stranieri” gli rispose seccata.

Harm la prese in contropiede: “In effetti potresti anche aver ragione, Colonnello. E del resto l’Ammiraglio mi ha appena ordinato di lasciar perdere le carte poco importanti e di concentrarci sul resto. Per cui, se vorremo lasciarci coinvolgere dalle avventure di Monsieur le Comte dovremo farlo fuori di qui” lasciò cadere dall’alto.

Mac non l’avrebbe ammesso con anima viva e men che meno di fronte a quel bel tomo di quasi due metri che si stava divertendo come un matto alle sue spalle, come si poteva facilmente intuire dal brillio dei suoi occhi e dal sorrisetto che aveva stampato in viso, ma si era lasciata intrigare parecchio da quel diario, ed era vero che aveva immaginato il Conte D’Harmòn bellissimo ed affascinante.

“Ammettilo, Mac” si disse, “tu hai visto Harm…”

In ogni caso, per puro spirito di contraddizione e perché non gliene voleva lasciar passare una, disse: “Per me va bene, vogliamo fare questa sera a casa mia?” e gli sorrise angelica con l’espressione da io-so-che-tu-sai-che-io-so.

Sapeva di aver fatto il gioco di lui, ma la divertiva enormemente di più sapere che il bell’Harmon, così compassato e dannatamente lontano anni luce dal francese, si fosse lasciato prendere la mano dallo scritto di quell’uomo che descriveva la sua dama con termini tanto poetici.

Si ritrovò a desiderare che Harm facesse lo stesso con lei.

“See… come no” pensò.

Tralasciando con riluttanza il diario del Conte, si rimisero al lavoro su mappe, carte e documenti vecchi di oltre centocinquant’anni. Lavorarono in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, scambiandosi solo qualche parola di tanto in tanto, strettamente attinente al compito che stavano svolgendo. Ma i pensieri di entrambi erano in un’unica direzione: alla serata che li attendeva, in compagnia di Lady Sarah e del Conte D’Harmòn.

 

  

 

 

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Capitolo 8
*** Indagini ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo VIII

Indagini



Quanto ci metteva ad arrivare?

Mac camminava irrequieta, brontolando mentalmente contro Harm, in ritardo come sempre. Il diario del Conte D’Harmòn era in bella vista sul tavolino accanto al divano, dove aveva posato anche qualche dolce e un bricco con del caffè caldo, e lei non vedeva l’ora di continuare nella lettura. Avrebbe voluto proseguire anche da sola, ma Harm le aveva fatto promettere che lo avrebbe aspettato.

Come al suo solito era in ritardo: d’accordo, erano solo tre minuti dopo l’ora stabilita, ma lei stava morendo dalla curiosità. Era impaziente di leggere il seguito della storia.

A dirla tutta era impaziente anche di riavere Harm a casa propria: era da moltissimo tempo che lui non metteva più piede nel suo appartamento. L’ultima volta era stato poco prima di Natale, quando era passato per chiederle aiuto per l’udienza con Mattie. Lei non lo aveva più invitato e da allora lui non era più andato. Forse temeva di incontrarci Webb.

Aveva lasciato Clayton subito dopo quel bacio in sala riunioni. Si era resa conto che i suoi sentimenti per Harm non erano mai cambiati e aveva deciso di porre fine ad una storia che, sebbene ancora all’inizio, non le dava quello di cui aveva bisogno.

Ma di cosa aveva bisogno?

Di Harm.

Di Harm nella sua vita, anche se ne aveva una tremenda paura, per gli stessi motivi che gli aveva esposto in Paraguay.

E di Harm in quel preciso istante, per riprendere finalmente la lettura del diario!

Il suono improvviso del campanello la distolse dai suoi pensieri. Si precipitò alla porta.

“Credevo te ne fossi dimenticato”, lo aggredì a mo’ di saluto.

“Ehi, quanta fretta! Sono in ritardo di soli cinque, sei minuti al massimo!” rispose lui, con un sorriso delizioso sul volto.

Aveva tolto la divisa e, come lei, si era messo comodo. A differenza sua, che indossava una comoda tuta turchese, lui vestiva jeans e una camicia sportiva, come sempre portata fuori dai pantaloni, ed era semplicemente favoloso. Con aria disinvolta entrò nel suo appartamento, si guardò attorno e, scorgendo sul tavolino il quaderno in pelle, le disse divertito:

“A quanto pare sei ansiosa di rivolgere la tua attenzione all’affascinante Conte…” poi, scorgendo i dolcetti, il suo sorriso divenne più radioso, mentre si avvicinava al divano, si sedeva comodo e se ne portava uno alla bocca, gustandolo con aria rapita.

Sarah lo osservò divertita, anche se finse di arrabbiarsi:

“Giù quelle zampacce, Comandante! Quei dolci sono per quando avremo finito.” Era molto felice di riaverlo in casa sua. Si rese conto di quanto le fossero mancate certe serate trascorse assieme a discutere di un caso davanti a del cibo cinese o ad una pizza.

“Oh, smettila di fare la guastafeste, Mac, e vieni qui, accanto a me” le disse, battendo la mano di fianco a sé sul divano. “Sono impaziente di riprendere la lettura, e credo anche tu, visto come mi hai accolto…”

Lei lo raggiunse e gli si sedette accanto, mantenendo un minimo di distanza tra loro, ma Harm le passò un braccio sulle spalle e l’attirò contro il proprio corpo, costringendola ad appoggiarsi a lui. Prese un altro dolce dal piatto e glielo avvicinò alle labbra:

“Sono deliziosi, assaggiane uno anche tu…” le disse mentre la imboccava.

Lei evitò di dire che già lo sapeva, non essendo la prima volta che li mangiava, e stette al gioco, prendendo il dolce dalle sue mani: fortunatamente non lo guardava negli occhi, perché altrimenti non avrebbe resistito e lo avrebbe baciato di nuovo.

Quando prese in bocca l’ultimo pezzettino le sembrò che Harm le sfiorasse le labbra con le dita, ma fu solo un attimo: lui si mise un po’ più comodo, allungando le gambe e attirandola meglio contro di sé, quindi aprì il diario alla pagina dov’erano rimasti e iniziò a leggere.

 

 


***

Quando rientrarono dalla passeggiata a cavallo, Lady Sarah riuscì a rimanere sola nelle sue stanze: l’Imperatrice aveva udienza con una delegazione di dignitari prussiani facenti parte dell’ambasciata giunta quella mattina a palazzo e sarebbe stata impegnata per molto tempo. Pertanto il seguito era momentaneamente congedato.

Si cambiò d’abito e pescò dal fondo del baule un vestito da borghese di tessuto pesante, corredato da un grembiule bianco in cotone e da un cappellino in tinta con l’abito. Così abbigliata dava l’impressione di una normale donna viennese. Ed era questo il suo intento.

Uscì furtiva da una porta segreta appena fuori delle sue stanze e percorse un lungo passaggio segreto che la condusse ad un’uscita posteriore del castello.

Aveva intenzione di mischiarsi alla servitù e alla folla che quotidianamente si ammassava all’entrata riservata ai fornitori del palazzo per cercare di capire quanta fondatezza avessero le voci su un attentato alla vita dell’Imperatrice e per sapere qualcosa di più sulle dame che la circondavano. Sapeva per esperienza che molte volte racchiudevano più verità i pettegolezzi che le carte bollate.

Quello che non sapeva era che D’Harmòn l’aveva vista infilarsi nella porticina e che ora, travestito anch’egli, l’aspettava alla fine del passaggio segreto.

Lady Sarah aprì la postierla ed uscì. Si incamminò con passo veloce per raggiungere l’ingresso dei fornitori.

D’un tratto sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Si voltò di scatto facendo scivolare lungo la mano l’affilatissimo stiletto che portava sempre agganciato all’avambraccio destro (tranne quando era in abiti di corte… in quelle occasioni lo stiletto rimaneva quiescente allacciato alla giarrettiera) e lo puntò contro il malcapitato.

“Madame, voi non mancate mai di stupirmi” udì la voce del Conte da sotto il cappello da impiegato.

“Cosa credete di fare in quest’arnese?”

“Ricordate che l’Imperatore ci ha ordinato di lavorare insieme” le disse lui con una nota di impertinenza nella voce.

“Ma il suo ordine non includeva il fatto di seguirmi come un’ombra” gli rispose Lady Sarah facendo rientrare lo stiletto nel suo alloggiamento dentro la manica.

“Meglio che abbiate una scorta con questi…” non terminò la frase perché lei lo aggredì.

“Signor Conte, non ho affatto bisogno di scorte, guardie del corpo, gendarmi o accompagnatori di sorta” sibilò Lady Sarah, “me la cavo benissimo da sola e anzi la vostra presenza impaccia i miei movimenti e sconvolge i miei piani” aggiunse girando i tacchi ed incamminandosi verso la sua meta.

D’Harmòn non si diede per vinto e la seguì.

“Due sposi in viaggio di nozze a Vienna che fanno un mucchio di domande daranno meno nell’occhio” ribatté cocciuto.

“Siete un arrogante presuntuoso.”

Il Conte non diede segno di aver raccolto l’insulto e mise un braccio intorno alla vita sottile di Lady Sarah. Si incamminarono pertanto verso il vicino mercato che si teneva ogni giorno davanti all’entrata di servizio del Palazzo.

La sensazione del braccio del francese intorno alla propria vita dava il tormento a Lady Sarah. Quello era uno di quei momenti in cui rimpiangeva il cerimoniale di corte che, al massimo, consentiva alla dama di poggiare la propria mano sull’avambraccio del cavaliere. Ora, dovendo recitare la parte di due giovani sposi era più che logico che lui l’attirasse a sé e la guardasse con atteggiamenti da tenentino innamorato. La gente si sarebbe stupita del contrario.

Sentiva la sua mano che l’attirava sempre più vicino e percepiva il calore di quel contatto anche attraverso la stoffa del vestito, più pesante del taffettà e delle sete degli abiti di corte. Sperò che il Conte non si accorgesse che si era liberata del busto.

D’Harmòn si godette quel tragitto a piedi sino all’ultimo passo. Aveva desiderato abbracciare Lady Sarah sin dal primo momento che l’aveva vista scendere dalla scaletta della “Persefone” rifiutando l’aiuto di chicchessia. Purtroppo più lui tentava di tirarla a sé più lei tentava di sottrarsi. Sperava di rifarsi al ballo di quella sera in onore dell’ambasciata prussiana giunta a Corte quel mattino.

Arrivarono a destinazione e cominciarono la loro piccola indagine e nel giro di poco più di un’ora vennero a conoscenza del fatto che il popolo viennese amava moltissimo l’Imperatrice ma non condivideva affatto il suo sempre più crescente interesse per l’Ungheria. Nella memoria dei viennesi era ancora vivo l’attentato subito da Francesco Giuseppe per mano di un magiaro subito dopo essere salito al trono ed essi erano preoccupati di un nuovo attentato alla vita della loro sovrana.

“Il popolo è la miglior fonte di informazioni” disse compiaciuta Lady Sarah a D’Harmòn. “Lo sapevo che la pista ungherese era quella giusta da seguire. A volte si raccolgono più informazioni attendibili parlando con la gente semplice che non conducendo complicate indagini a Corte fra persone che non dicono ciò che pensano o se lo fanno utilizzano tali giri di parole che alla fine è molto difficile distinguere la verità dalla menzogna. Ora tocca a voi, Conte: fatemi sapere ogni cosa sulla Duchessa Battyàny.”

“Ma cosa vedete che non va nella Duchessa?” chiese lui mentre fermava un carretto di fiori e ne traeva una rosa rossa in boccio.

“Non mi piace come si aggira sempre intorno a Sua Maestà. Troppa affettazione, troppo servilismo. Il mio sesto senso dice che c’è qualcosa che non va e il mio sesto senso non sbaglia mai.”

“Ah sì? Non sbaglia mai?” le chiese con aria falsamente incuriosita il Conte. “Allora deve essersi sbagliato in questo preciso istante perché non ha previsto questo” e le porse la rosa.

“Non mi allontanerete dalle mie convinzioni blandendomi con un fiore” rispose Lady Sarah, accettando nondimeno il dono.

“Io credo che la maggiore indiziata sia la Contessa Esterhàzy” disse D’Harmòn.

Lady Sarah scoppiò a ridere portandosi la rosa al viso per assaporarne il profumo.

“Come siete ingenuo, Conte! E dire che vivete a palazzo da più tempo di me e conoscete bene i suoi abitanti!” lo prese in giro. “La Contessa Esterhàzy è in tutto e per tutto una creatura dell’Arciduchessa Sofia, come potrebbe volere la morte dell’Imperatrice?”

Tornarono alla postierla, il braccio del Conte sempre intorno alla vita di Lady Sarah.

“Se non mi volete credere, allora indagate solo per smentirmi” disse lei prima di sparire nel pertugio aperto.

“Ai vostri ordini, Madame” sussurrò il Conte.

Quella donna l’aveva stregato.

 

 

***

19 Ottobre 1856


Ammettilo, André: quella donna ti ha stregato!

Quando l’ho vista uscire furtiva, abbigliata in vesti borghesi, l’ho seguita immediatamente, temendo per la sua vita. Ma l’accoglienza che mi ha riservato, puntandomi lo stiletto al petto, mi ha sorpreso non poco: Lady Sarah è un vero demonio per il mio povero cuore!

E’ affascinante, intrigante, intelligente, seducente… mai nessuna donna mi ha colpito tanto.

Non ho potuto fare a meno di stringerla tra le braccia, con la scusa di fingere di essere una giovane coppia appena sposata venuta da fuori Vienna, per domandare informazioni senza destare troppi sospetti. Non appena l’ho fatto ho sorriso tra me: Milady, come immaginavo quando l’ho vista così abbigliata, non indossava il busto.  Quindi il suo bellissimo corpo non dipende  solo dalle astuzie della moda!

La mia mano attorno alla sua vita ha percepito immediatamente la morbidezza della sua carne, anziché la rigidità del corsetto e quella sensazione mi ha tolto il fiato per un attimo. Non ho potuto impedirmi di stringerla più forte, rischiando che mi rimproverasse per la mia insolenza, ma Milady mi ha sorpreso di nuovo, permettendomi di godere di quel contatto. L’avrà  fatto perché piacevole anche per se stessa?

Suvvia, André, sii serio!  E realista, soprattutto! Davvero credi che Lady Sarah ti abbia permesso di continuare a stringerla a quel modo perché trovava intrigante essere tra le tue braccia?

L’avrà di certo fatto per indagare con più facilità…

Milady sospetta della Duchessa Battyàny, io invece ho più dubbi sulla Contessa Esterhàzy, nonostante sia una creatura dell’Arciduchessa Sofia, come Lady Sarah ha tenuto a precisare, mentre annusava delicatamente la rosa rossa che le ho donato.

Per accontentare Milady indagherò sulla Duchessa, anche se malelingue sostengono che la stessa Arciduchessa non gradisca il fatto che la nuora non abbia dato ancora un erede maschio all’Austria...

Tuttavia ho deciso di seguire il sesto senso di Lady Sarah e farò come mi ha chiesto.

Nel frattempo sono impaziente di rivederla al ballo di questa sera: il periodo di lutto che, per finzione, doveva osservare per il Barone de Bellegarde è fortunatamente terminato e non vedo l’ora di poterla invitare per un ballo per stringerla ancora tra le braccia.

 

 

 


***



Si era accorto che il suo braccio, dalle spalle di Mac, era scivolato più giù, verso la vita, mentre si erano mossi per sistemarsi meglio ed accingersi alla lettura. Quindi, mentre leggeva ad alta voce le parole del Conte, aveva percepito che la sua mano sfiorava la pelle di Sarah, lasciata scoperta dalla maglia corta della tuta e si era immedesimato ancora di più nella lettura, immaginando i due nobili attraversare le strade di Vienna abbracciati. Il Conte D’Harmòn doveva aver provato le sue stesse sensazioni nel sentire la pelle vellutata di Mac sotto le dita, scoprendo che Lady Sarah non indossava il busto, nonostante si fosse limitato a stringerla coperta dagli abiti. Ma per un uomo della nobiltà di metà Ottocento scoprire una dama senza corsetto doveva sembrare altrettanto intrigante che accarezzare la pelle della donna che lavorava al tuo fianco solitamente vestita con l’austera divisa dei Marines.

E lui stesso aveva apprezzato, come il nobile francese, che Sarah non si fosse spostata da quella posizione, permettendogli di godere di quella sensazione.

“Perché hai smesso?” la voce di Mac lo riscosse e lo rese consapevole del fatto che si era fermato. Ma come poteva dirle che si era lasciato trascinare dalla fantasia?

“Credevo volessi fare una pausa” le rispose, tanto per dire qualcosa.

“Niente affatto! Proprio ora che ci sarà il ballo?” disse Mac, voltandosi a guardarlo in viso con un delizioso sorriso furbo. Harm desiderò ardentemente che lo baciasse di nuovo, come aveva fatto alcuni giorni prima, ma lei si limitò a guardarlo, soffermandosi sulle sue labbra per un istante, per ritornare poi nella posizione di prima, con la testa appoggiata alla sua spalla tra le sue braccia.

Quella posizione le piaceva tantissimo: non le era mai capitato che lui la abbracciasse così, se non in casi di pericolo. E il calore della sua mano sulla pelle le dava sensazioni bellissime. Le stesse, immaginava, che doveva aver provato Lady Sarah nel sentirsi stringere tanto dal Conte.

“D’accordo, allora!” le disse lui, riprendendo la lettura.

Voleva assolutamente che Harm continuasse: tra le sue braccia, cullata dalla sua voce calda e sensuale che leggeva le parole scritte sul diario, era come scivolare in un sogno e fare un tuffo nel passato.

Un sogno bellissimo, in cui lei era la nobildonna inglese e Harm l’affascinante Conte francese.

 

 

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Capitolo 9
*** Il Ballo a Corte ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo IX

Il Ballo a Corte



Non le era mai capitato di sentirsi tanto eccitata per un ballo!

Lady Sarah, smessi gli abiti borghesi indossati nel pomeriggio, era immersa nella tinozza di acqua bollente per un bagno profumato prima di indossare l’abito che aveva scelto per la serata. Era in seta color pervinca, un colore non troppo sgargiante considerato che il suo “lutto” era appena terminato, ma che risaltava moltissimo la sua carnagione. Forse era un po’ più scollato di quanto la vedovanza consentisse, ma non le importava granché: del resto non era realmente vedova ed era stufa e arcistufa di mostrare quell’aria mesta e un po’ afflitta che era consona al suo stato e che tutti si aspettavano dalla “povera Baronessa de Bellegarde”.

In quel preciso istante avrebbe cantato e ballato nuda, tanta era l’eccitazione che aveva in corpo, nonostante il bagno rilassante: il Conte francese l’aveva stregata.

“Smettila, Sarah! Smettila di pensare a lui” continuava a ripetersi nella sua mente, ma più si diceva così, più gli occhi del Conte tornavano ad ossessionarla. Gli occhi, le sue mani, le sue braccia attorno alla vita e quel favoloso sorriso che aveva il potere di stravolgerle il cuore.

Uscì dal bagno e si asciugò lentamente, voluttuosamente, avvolgendosi in un morbido telo, mentre immaginava le mani del Conte su di sé…

Perché il destino glielo aveva fatto incontrare? Perché proprio lui, tra tutti gli uomini che poteva avere come compagni di quest’avventura?

Il bel francese, se lo sentiva, le avrebbe rubato il cuore.

E questo non faceva parte dei suoi programmi. Assolutamente no!

Indossò ad uno ad uno gli indumenti intimi che odiava tanto: busto, calze, sottoveste, crinolina, sorridendo all’immagine del Conte se solo quel pomeriggio l’avesse potuta vedere senza tutti quegli inutili orpelli. Ne sarebbe rimasto di certo scandalizzato! I nobili non erano abituati ad immaginare una dama di Corte senza busti e crinoline…

Infastidita scacciò l’immagine sorridente di André D’Harmòn, che per l’ennesima volta le era apparsa alla mente: ma possibile che da quando aveva conosciuto quell’uomo non passava un solo momento senza che davanti ai propri occhi comparisse il suo volto?

S’infilò l’abito da sera e terminò di acconciarsi i capelli in un’elaborata crocchia che metteva in risalto il collo sottile e lasciava abilmente scoperte le spalle. Osservandosi allo specchio per ammirare l’effetto finale, si guardò con attenzione, voltandosi da ogni lato e sorrise soddisfatta alla sua immagine: il bel Conte l’avrebbe ammirata non poco, quella sera!

Ecco: l’aveva fatto ancora. Aveva pensato di nuovo a lui.

Oh, accidenti! Ma cos’aveva quell’uomo, da turbarla tanto?

Infilandosi le scarpe in seta e raccogliendo guanti e ventaglio, s’impose di non pensare al suo corpo possente, ai suoi occhi color del mare (lo aveva deciso quel giorno: erano color del mare, e non le importava se altre dame li volevano verdi), alle sue labbra sensuali e a quel sorriso dolce e al tempo stesso impertinente…

Tutte caratteristiche del Conte che la turbavano tanto.

 

***

Nella tranquillità del suo cottage, l’Ammiraglio Chegwidden compose lentamente il numero di telefono del Comandante Rabb. Al terzo squillo partì la segreteria telefonica, che annunciava che Harmon Rabb non era in casa e che si poteva lasciare un messaggio dopo il segnale.

L’Ammiraglio depose la cornetta senza dire nulla, sorridendo soddisfatto.

Prima di uscire dall’ufficio, era passato dalla sala riunioni per vedere a che punto erano arrivati con il lavoro il Comandante e il Colonnello. Non li aveva trovati più, ma aveva visto diverse pile di documenti, suddivisi per tipologia. Dando un’occhiata agli scatoloni si era accorto che c’era ancora parecchio lavoro, ma quella constatazione, anziché renderlo furioso, l’aveva reso solamente più allegro.

L’unica cosa che lo aveva fatto sentire ancora più felice era scoprire che nessun quadernetto in pelle marrone si trovava tra quelle carte. Quindi era certo che il diario del Conte D’Harmòn fosse nelle mani del Comandante o del Colonnello.

Scoprire ora che Harm non era a casa sua alle 9.45 p.m. faceva ben sperare! Di certo era assieme a Mac a leggere quel diario.

Sperava solo che avessero avuto il buon senso di restarsene a casa del Colonnello e non mettersi invece a leggerlo ad un tavolino di McMurphy!

Confidando nell’intelligenza del Comandante (anche se, per questioni di quel tipo, spesso ne aveva dubitato) o, quanto meno, nello spirito romantico del Colonnello, che le si sarebbe rivoltato contro se avessero letto quel diario nel caos di un pub, decise che per quella sera poteva ritenersi più che soddisfatto.

Il suo piano ingegnoso procedeva come sperato.

***

La scorse subito, non appena fece il suo ingresso nel salone da ballo.

La vide muoversi con la sua grazia innata, quasi fosse lei stessa la sovrana. Di certo lo era di tutte le altre dame presenti in quel momento. Era magnifica nell’ampio abito da sera, con i capelli raccolti e trattenuti dall’unico gioiello che l’adornava, un fermaglio di diamanti dal quale sfuggivano sapientemente piccole ciocche che mettevano ancor più in evidenza l’esile collo e le spalle, lasciate generosamente scoperte dall’ampia scollatura del vestito.

André sorrise all’impertinenza e al coraggio di quella giovane donna: secondo la consuetudine, una vedova appena uscita da un lutto, anche se molto giovane, non avrebbe dovuto indossare un abito tanto provocante. Ma Lady Sarah non era una dama qualsiasi, questo il Conte lo aveva capito da tempo.

La sala da ballo del palazzo rifulgeva di luci, suoni e colori: gli enormi lampadari facevano risplendere i gioielli e gli abiti delle signore, mentre le note dell’orchestra si mescolavano alle chiacchiere allegre degli invitati. Tutto era una profusione di fiori, richiesti espressamente dall’Imperatrice in persona. Aveva voluto lei quel ballo, in onore della Delegazione Prussiana ricevuta da sua Maestà quello stesso giorno.

Il Conte D’Harmòn decise di raggiungere Lady Sarah e stava per muoversi per andarle incontro quando vide il Conte Von Webb avvicinarsi a Madame de Bellegarde, profondersi in un pomposo inchino e condurla con fare cospiratorio in un angolo appartato.

Senza farsi notare troppo, André li raggiunse: attraversò il salone, inchinandosi a diverse signore che lo salutavano e si rivolgevano a lui, ammirando il nobile francese, come sempre impeccabile in un abito in seta nera e camicia candida. In tutta la sala era il solo uomo vestito completamente in nero. Ma nessuno si stupiva più, quella era sempre stata una sua caratteristica. Salutò diversi aristocratici che attendevano, come tutti, l’ingresso delle Loro Maestà e degli ospiti d’onore della serata, e finalmente scorse il Conte Von Webb e la Baronessa de Bellegarde che stavano conversando appartati. Con la sua usuale nonchalance si accostò ad una colonna, osservando indisturbato la scena e riuscendo anche a cogliere, se non tutte le parole, almeno il senso della conversazione.

Klaus Von Webb stava chiedendo a Lady Sarah un resoconto sul suo incarico. Milady quello stesso pomeriggio gli aveva detto che aveva relazionato all’aiutante di campo di Sua Maestà già quattro volte, da che era arrivata a palazzo, ma che non gli aveva detto granché. Del resto, al momento, non c’era granché da riferire. Tranne quello che avevano fatto quel pomeriggio e i sospetti di Lady Sarah sulla Duchessa Battyàny.

Mentre il nobile francese sorrideva compiaciuto al ricordo del corpo della giovane inglese stretto al suo, vide il Conte Von Webb avvicinarsi in maniera fin troppo ostentata alla Baronessa. André sentì il sangue scorrergli più velocemente nelle vene nell’osservare lo sguardo lascivo con cui Von Webb stava sbirciando nella scollatura di Lady Sarah, la quale non faceva nulla per impedirglielo. Anzi! Milady sorrideva divertita ai complimenti del Conte, civettando con lui in maniera che André definì sfacciata e provocante.

Trattenendosi a stento dall’andare a sferrare un pugno sulla faccia di Von Webb e di trascinare Lady Sarah via dagli sguardi di qualunque uomo che non fosse lui stesso, notò tuttavia che, con il suo civettare, la nobildonna aveva abilmente deviato l’interesse del Conte dalle domande sui suoi dubbi, inducendolo ad invitarla a ballare.

André detestava l’idea che quel viscido individuo le mettesse le mani addosso, ma al tempo stesso comprese la manovra di Lady Sarah: in quel modo aveva evitato di raccontare al Conte Von Webb dei suoi sospetti sulla Contessa Esterhàzy e dei propri sulla Duchessa Battyàny, distraendolo mentre fingeva di essere sedotta dalle sue avance.

O, almeno, André voleva sperare che fingesse.

Doveva riconoscere tuttavia che, a quanto sembrava, Milady sapeva davvero il fatto suo e che lei stessa non si fidava dell’aiutante di campo dell’Imperatore.

Volteggiando tra le braccia del Conte Von Webb sulle note di un valzer, Lady Sarah scorse il Conte D’Harmòn appoggiato ad una colonna, proprio poco distante da dove si trovavano lei e Klaus Von Webb poco prima; immaginò che lui avesse sentito tutta la conversazione, compreso il fatto che non aveva rivelato nulla né della loro “passeggiata” fuori da Palazzo, né dei loro rispettivi sospetti.

Lo osservò scrutarla con insistenza, sfidandola a guardarlo: era bellissimo, tutto in nero, con una camicia immacolata a sottolineare la sfumatura di azzurro dei suoi occhi. Improvvisamente desiderò che la invitasse a ballare e immaginò che il proprio sguardo avesse rivelato quel desiderio perché, non appena il valzer terminò, lo vide avvicinarsi per richiederla a Von Webb per il ballo successivo. Con riluttanza il Conte austriaco la cedette al francese, ma poi si voltò a cercare la moglie, che aveva trascurato fin troppo.

Il Conte D’Harmòn si profuse in un elegante inchino, prima di prenderla tra le braccia per un altro valzer. Lady Sarah si rese conto che non aveva atteso altro dal momento in cui lui l’aveva lasciata andare dopo la loro avventura fuori le mura del Palazzo: la cosa da un lato la indisponeva, perché non voleva che lui le facesse provare emozioni simili. Ma d’altro canto era come stregata dal magnetismo del Conte, quindi decise di rilassarsi e godersi il ballo e la sua compagnia.

“Siete bellissima, Milady” le sussurrò lui in un orecchio, non appena l’ebbe tra le braccia, sfidando ogni convenzione pur di aspirare da vicino la fragranza della sua pelle.

Lady Sarah sentì il cuore balzarle in gola, come mai le era accaduto prima d’allora. Quell’uomo aveva il potere di ridurla in uno stato pietoso, semplicemente sfiorandola…

André la strinse di più a sé, trascinandola nel vortice delle danze. Mentre ballavano la guardava negli occhi, lasciandosi rapire dall’incanto di quel viso un po’ esotico e dalla carnagione lievemente ambrata, messa in risalto dall’abito, di un delicato color pervinca.  Lei sorrideva dolcemente e conversava amabilmente con lui, come prima aveva fatto con Von Webb e questo, se da un lato lo rendeva felice, dall’altro lo stava facendo impazzire di rabbia: lui la desiderava solo per sé e odiava l’idea che flirtasse con altri uomini.

Il ballo terminò e si ritrovarono vicini quando fu annunciato l’ingresso delle Loro Maestà con la Delegazione Prussiana. Tutti i presenti porsero i loro omaggi alla coppia imperiale, ammirando la radiosità dell’Imperatrice Elisabetta, splendida in un abito azzurro cielo, e la regalità dell’Imperatore Francesco Giuseppe in alta uniforme. Le Loro Maestà danzarono alcuni valzer, poi raggiunsero gli ospiti d’onore, lasciando che gli invitati continuassero a divertirsi.

Il Conte D’Harmòn approfittò del fatto che Lady Sarah gli fosse rimasta accanto durante tutto il cerimoniale d’accoglienza della coppia regale, per trascinarla di nuovo nelle danze.

“Conte, non smettete mai di sorprendermi”, disse Lady Sarah, mentre lui la guidava in una sfrenata polka. Danzava benissimo ed era certa che molte dame l’avrebbero uccisa all’istante, per quanto stava monopolizzando l’attenzione del bel francese. Ne aveva scorte proprio due un attimo prima che la stavano fissando con sguardo truce e assassino. Di certo dovevano essere innamorate del Conte.

“Come mai, Milady?” chiese lui, divertito.

“Vi ritenevo più un tipo da valzer… non credevo che vi piacesse la polka” rispose lei divertita.

Lui rispose a quell’affermazione con un'altra:

“Anche voi, Milady, non smettete mai di sorprendermi…”

“E come mai, caro Conte?” lo scimmiottò lei, con uno splendido sorriso.

“Non ricordate oggi?” disse lui.

“Cosa c’entra oggi? Questo pomeriggio svolgevo un compito… ora stiamo ballando…”

“E’ vero, stiamo danzando. E voi, Lady Sarah, oltre ad essere stupenda con quest’abito,  ballate anche divinamente bene tra le mie braccia…”

“Non credete di essere un po’ presuntuoso, caro Conte?” lo apostrofò lei, divertita dal suo commento.

André continuò quello che stava dicendo, ignorando la sua risposta.

“Ma se devo essere sincero, Milady, preferivo avervi oggi, tra le mie braccia, con quel semplice vestito borghese e senza il busto a costringere le vostre grazie…”

Lady Sarah restò per un attimo senza parole: allora lui se n’era accorto! L’idea, anziché sconvolgerla, la divertì molto e al tempo stesso la eccitò.

“Conte D’Harmòn, non solo siete presuntuoso, ma siete anche terribilmente sfacciato!” gli disse con una luce birichina negli occhi.

André François, ottavo Conte D’Harmòn, a quella risposta proruppe in una sonora risata, che fece voltare più di una persona.

Quella donna era davvero fantastica e lui si ripromise che l’avrebbe avuta.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Gelosie ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo X

Gelosie



Klaus Von Webb era al proprio scrittoio nella stanza attigua allo studio dell’Imperatore. Era molto impegnato a vagliare le numerose richieste di grazia che quotidianamente giungevano dall’Ungheria. Si trattava per lo più di studenti dalle idee liberali, dissidenti e antimonarchici tutti appartenenti alla cerchia degli intellettuali.

L’Imperatore gli aveva ordinato di studiare con molta attenzione quelle domande in quanto non si poteva permettere che una sentenza ingiusta vanificasse il processo di rappacificazione appena instauratosi.

Personalmente Von Webb era dell’opinione che quei rozzi magiari andassero non solo giustiziati fino all’ultimo, ma altresì governati col pugno di ferro; naturalmente si guardava bene dall’esternare queste considerazioni a Sua Maestà, il quale, ne era certo, l’avrebbe aspramente rimproverato.

Tutta colpa dell’Imperatrice, se Francesco Giuseppe si era mostrato così clemente contro una razza barbara come quella ungherese era solo a causa dell’influenza che lei esercitava su di lui.

Si rendeva conto che il suo potere e il suo ascendente sul sovrano erano sensibilmente scemati dopo le nozze, quasi che l’Imperatore desse più ascolto alla moglie-bambina che non a lui o agli altri Ministri dell’Impero.

La cosa lo urtava nel profondo.

Aveva ottenuto il posto che occupava ora dopo anni di dure lotte ed un matrimonio contratto esclusivamente per interesse che gli aveva consentito di aggiungere quel “Von” al suo cognome che aveva fatto di lui, il borghese Klaus Webb figlio di un modesto impiegato di banca, un nobile, conferendogli la ricchezza e la dignità sociale necessarie per divenire un ufficiale dell’esercito imperiale ed accumulare onori per meriti di guerra, fino ad essere nominato aiutante di campo da Francesco Giuseppe in persona dopo la rivolta ungherese del 1848.

Il Conte Von Webb mal sopportava l’Imperatrice e aveva sempre disapprovato la scelta dell’Imperatore. Considerava perniciosa l’influenza che ella aveva sul regale consorte non solo per quanto riguardava la questione dell’Ungheria, ma anche per tutto il resto: dall’educazione delle figlie al modo in cui, per certi versi, aveva stravolto le secolari tradizioni della corte asburgica.

Soprattutto non sopportava che lei fosse la Duchessa Elisabetta in Baviera, figlia di un nobile di campagna e di… non riusciva neanche a pronunciarne il nome. Erano passati ormai più di vent’anni, ma l’onta subita non era ancora stata lavata.

All’epoca lui era un giovane borghese, ma dalle grandi prospettive future. L’impiego in banca del padre gli aveva fornito la possibilità di entrare lui stesso nel mondo finanziario, e grazie alle sue capacità, era riuscito ad arrivare fino in cima: il figlio dell’impiegato Jurghen Webb era divenuto il Presidente della Banca dove il padre aveva lavorato fino alla consunzione. La posizione che occupava gli aveva garantito la frequentazione della nobiltà bavarese ed era accaduto che si fosse innamorato di Ludovica, figlia dell’Elettore Massimiliano di Wittelsbach, divenuto re di Baviera grazie all’alleanza con Napoleone I. Pertanto lei era una principessa di Baviera, ma la famiglia, notoriamente di larghe vedute, aveva nondimeno accondisceso a che una delle figlie minori si accompagnasse ad un borghese.

Poi, pochi mesi prima del fidanzamento ufficiale, gli era stato freddamente comunicato, tramite un telegramma da parte dei Wittelsbach, che Ludovica sarebbe andata in sposa al Duca Max, suo secondo cugino, precipitando così dal ramo principale della famiglia al ramo cadetto. A nozze avvenute Ludovica sarebbe stata Duchessa in Baviera.

Il giovane Klaus si era sentito offeso ed umiliato. Rifiutato per un bellimbusto spiantato che era al di sotto di lei nella scala sociale, ma che aveva quel quarto di nobiltà che ci voleva per essere suo marito! Inaudito! Il Duca Massimiliano Giuseppe aveva la fama di essere un gran donnaiolo, sperperatore del denaro di famiglia, provocatore di scandali ed un pessimo scrittore e poeta… lei non sarebbe mai stata felice. Ma la ragion di Stato prevalse sull’amore e così Ludovica andò sposa al cugino Max.

Erano venti anni che Von Webb covava rancore e non sapeva come dare sfogo alla sua ira repressa.

Bussarono alla porta e poco dopo comparve il valletto che aveva mandato da Lady Sarah.

“Ebbene?” chiese brusco.

“Madame de Bellegarde prega il Conte di attenderla. Tra un’ora sarà qui.”

Von Webb non disse altro, e con un cenno della mano lo congedò.

Lady Sarah… quella sì che era stata una vera sorpresa. Si era aspettato di veder comparire una vecchia carampana ed invece ecco una donna in carne ed ossa. Non come sua moglie, sfacciatamente ricca sì, ma altrettanto disgustosamente altera e fredda.

Un fremito di eccitazione percorse la schiena del Conte al pensiero della dama inglese; lo riempiva di gioia il fatto che l’Imperatore le avesse ordinato di tenerlo informato sugli sviluppi della vicenda, e lui aveva approfittato di quell’ordine chiamandola a sé ogni volta che poteva. Gradiva di meno che la bella inglesina dovesse lavorare a stretto contatto anche con quel francese intrigante.

Quel Conte da strapazzo” pensò indignato “troverò il modo di disfarmene.”

 


***

 



20 Ottobre 1856



Mon Dieu, quanto era bella ieri sera!

Assolutamente favolosa in quell’abito color pervinca, i capelli raccolti e le spalle generosamente scoperte, senza un solo gioiello ad alterarne la perfezione… l’unico prezioso adornava il suo capo, trattenendo la sua chioma, che adoro immaginare morbida al tatto e lunga fino alla vita.

Quanto darei per poterla vedere con i capelli sciolti, la sua pelle ambrata e le sue labbra sensuali arrossate dai miei baci!

E invece ho dovuto assistere alla disgustosa scena di Klaus Von Webb che sprofondava il suo sguardo lascivo nella scollatura di Milady.

Avrei potuto ucciderlo con le mie stesse mani quando l’ho vista ballare tra le sue braccia, se non fosse stato che ho capito la mossa di Lady Sarah nel civettare con il Conte pur di distrarlo dalle domande sui nostri sospetti. O almeno voglio convincermi che sia quello il motivo per cui sorrideva amabilmente a Von Webb.

Ho avuto pace solo quando l’ho avuta io tra le braccia, sebbene sia fuori luogo definire “pace” quel desiderio improvviso che mi assale ogni volta che le sono vicino.

Quella donna mi fa un effetto sconvolgente!

Se ripenso alle mie mani sulle sue morbide curve, libere da ogni costrizione, mi sento morire dalla voglia di amarla, di poter avere la sua pelle sotto le mie dita.

Devo averla… anche se dubito che una sola notte d’amore con lei mi potrebbe bastare.

Ciò che mi intriga in Milady va ben oltre il suo corpo voluttuoso…

Ho saputo che Von Webb l’ha appena convocata a colloquio: Robert ha avuto l’informazione dal valletto del Conte.

Non sopporto l’idea che quell’essere disgustoso possa metterle ancora le mani addosso. Non sopporto neppure che la sfiori con lo sguardo…

Mio caro André ammettilo: sei geloso!

Dannatamente geloso, cosa che non ti era mai accaduta prima d’ora.

 

 


***



Gelosia… Come capiva il Conte francese!

Lui stesso stava provando quello stesso sentimento da mesi, ormai.

Eh, sì, caro Harm! E’ inutile che neghi: sei geloso! Geloso di Clayton Webb.”

Webb…

Che strana coincidenza anche quella! Il Conte austriaco si chiamava quasi come il suo rivale… Lady Sarah, il Conte D’Harmòn… e ora che ci rifletteva, anche Von Webb. Sembrava che i protagonisti di quella vicenda vecchia di oltre un secolo in qualche modo ricordassero un triangolo attualissimo.

Ma che triangolo e triangolo! Lui non era invischiato in un triangolo amoroso!

E non era neppure geloso come il Conte D’Harmòn lo era di Klaus Von Webb. Sarah poteva scegliersi l’uomo che voleva…

Ne sei davvero sicuro? Non ricordi più quello che hai provato quando ti ha baciato?

Oh, al diavolo! Perché continuava a pensare a quel bacio?

Perché la vuoi per te, ecco perché ci pensi in continuazione!

Dannazione! Era vero: la voleva per sé. E avrebbe dato chissà cosa perché Webb sparisse dalla circolazione e lui potesse averla per sempre tra le sue braccia, proprio come in quel momento.

Era assorta nella lettura del diario del Conte, accoccolata contro il suo corpo, con il capo sulla sua spalla, tanto che lui poteva aspirare la fragranza e percepire la morbidezza dei suoi capelli. Sembrava rilassata e lui era molto felice di tenerla accanto a sé.

Fossero sempre così semplici come in quel momento le cose tra loro!

 


***

Dopo quell’uscita per mischiarsi alla folla, Lady Sarah era sempre più convinta che la Duchessa Battyàny fosse da tenere sott’occhio. Aspettava comunque l’esito delle ricerche condotte dal Conte D’Harmòn prima di relazionare definitivamente all’aiutante di campo dell’Imperatore perché non voleva formulare giudizi avventati ed indurre il sovrano a sospettare di un innocente.

Tuttavia, questi suoi piani andarono in fumo quando si vide recapitare un biglietto da parte di Von Webb consegnatole da un suo valletto. Dopo averlo letto e aver risposto che sarebbe andata dal Conte entro un’ora, si ritrovò a pensare sulle conseguenze di quell’incontro.

Il Conte Klaus Von Webb era una di quelle persone che non avevano mai conosciuto l’amore vero e che pertanto scambiavano passioni e pulsioni superficiali per un sentimento più profondo. Egli era attratto da lei, ma la sua era un’attrazione puramente fisica, dettata dal bisogno di possedere ogni cosa bella che gli capitasse sotto gli occhi, persona umana o oggetto che fosse. Lady Sarah per il Conte rappresentava solo un’altra preda da conquistare e da aggiungere al suo personalissimo palmarès.

La dama inglese aveva ben compreso l’animo dell’aiutante di campo dell’Imperatore e aveva deciso di approfittarsi di quel temperamento per poter meglio lavorare e condurre così a termine l’indagine. Era convinta che l’austero bavarese nascondesse più di uno scheletro nell’armadio e se voleva distrarlo dalle indagini in corso sarebbe dovuta ricorrere a tutte le sue arti femminili.

E allora perché quel senso di disagio quando pensava che, con tutta probabilità, avrebbe dovuto lasciarsi corteggiare dal Conte, com’era accaduto la sera prima al ballo in onore della Delegazione Prussiana, pur di ottenere delle preziose informazioni? E, magari, divenirne anche l’amante?

Solitamente riusciva a limitarsi alle sole arti di seduzione femminile per ottenere quello che voleva, anche se in un paio d’occasioni si era vista costretta a concedere di più, pur di portare a termine il suo incarico.  Ma non aveva provato né rimorso, né disagio o altro: era lavoro, dopotutto!

Del resto gli uomini erano tutti uguali! Non sapevano tenere le mani a posto e pur di possedere un bel corpo femminile concedevano qualunque cosa in cambio. Semmai aveva provato rabbia e fastidio nel costatare quanto poco sapessero apprezzare la mente femminile e, soprattutto, quanto la sottovalutassero.

Allora per quale motivo questa volta l’idea di essere costretta a diventare l’amante di Von Webb la infastidiva tanto da fare di tutto perché ciò non accadesse?

In fondo, Klaus Von Webb è anche un bell’uomo”, si disse uscendo dai propri appartamenti per recarsi dal Conte.

All’improvviso l’immagine di due occhi del color del mare e di un sorriso affascinante le comparve davanti e sentì il cuore balzarle in gola, come sempre le accadeva quando vedeva o semplicemente pensava al nobile francese.

Cosa mi avete fatto, André?” si domandò mentre si accingeva a bussare alla porta dello studio di Von Webb.

“Madame” l’accolse con entusiasmo l’aiutante di campo. “Quale piacere rivedervi!”

“Mio caro Klaus!” lo salutò altrettanto allegramente lei, scacciando a fatica l’immagine di André. “Anche per me è una gioia rivedervi!”

Il Conte le andò incontro e la fece accomodare, anziché davanti a lui, su un più comodo divano e si sedette accanto a lei.

“Spero che non vi dispiaccia se vi chiamo Klaus” disse Lady Sarah con fare civettuolo, prendendo le mani di Von Webb  fra le sue; era un gesto altamente sconveniente, quello, ma Milady era ben decisa a distrarre l’attenzione del Conte.

“Mi fate un onore Milady.”

“Mio caro Klaus, sono certa che comprendiate la ragione di questo mio ritardo nel ragguagliarvi sull’andamento dell’incarico assegnatomi da Sua Maestà, ma come certamente comprenderete, le dame dell’Imperatrice sono…” finse di non ricordare la parola e guardò Von Webb il quale l’osservava come imbambolato. Si sporse ancora di più verso di lui in modo che lo scialle di seta si allargasse offrendo agli occhi del nobile uno scorcio del suo generoso décolleté.

“… riservate?” completò lui mentre lo sguardo mirava alla scollatura dell’abito in raso di seta rosso amaranto, appena coperta da un velo di pizzo.

Lady Sarah sorrise. “E’ proprio così, mio caro Klaus. Io sono l’ultima arrivata e non è facile confidarsi con un’estranea da poco conosciuta e francese per di più. Ci vuole tempo, non so dirvi esattamente quanto, ma rassicurate pure l’Imperatore che ogni cosa è tenuta sotto stretta sorveglianza e che l’augusta consorte è in buone mani. Lo farete per me vero?” chiese alla fine con inflessione vezzosa. Il Conte non seppe resisterle.

“Madame, ogni vostro desiderio è un ordine” le rispose galante.

“Ed ora dovete scusarmi, mio caro Klaus, ma devo lasciare la vostra meravigliosa compagnia. L’Imperatrice mi starà certamente cercando per la passeggiata mattutina prima del petit dejouner e debbo essere a sua disposizione” disse alzandosi e congedandosi.

Uscì dallo studio di Von Webb lanciandogli una lunga occhiata carica di promesse.

Il Conte tornò alle proprie incombenze estasiato. Aveva conquistato il cuore di Milady, presto sarebbe stata sua!

 


***

La lettura di quel diario si andava facendo sempre più interessante.

Anche se scritto in un inglese di oltre un secolo prima, e pertanto a volte di difficile comprensione, era molto avvincente.

Mac si rannicchiò ancor di più nell’abbraccio di Harm godendo del calore che emanava dal suo corpo.

“Non trovi che questo Conte Von Webb assomigli un po’ alla tua spia?” le chiese d’un tratto lui interrompendosi.

Mac si alzò a sedere, sciogliendosi dall’abbraccio, il senso di benessere che l’aveva pervasa sino a quel momento era completamente sparito. Fulminò Harm con un’occhiataccia: “Non è la mia spia” gli disse gelida.

Come al solito l’improvvido commento di lui aveva mutato radicalmente l’atmosfera fra di loro e di questo Mac ne era addolorata. Sarebbe stato il momento perfetto per dirgli che non c’era più nessuna spia nella sua vita, ma rimase zitta. Che senso avrebbe avuto dirglielo se poi lui le avesse fatto una delle solite battute al vetriolo sulla sua incapacità di mantenere una storia d’amore?

“Dai, Mac, era solo una battuta!” cercò di metterci una pezza.

“Di pessimo gusto” rispose. “Hai il dono portentoso di rovinare tutto, Harmon Rabb jr.”

Harm comprese che c’erano guai grossi in vista, Mac non lo chiamava mai con il nome per esteso e quando lo faceva voleva dire che era davvero arrabbiata con lui. Le sorrise, sperando di aggiustare le cose e cercando di attrarla nuovamente a sé, ma senza alcun risultato.

“Harm, è molto tardi” gli disse. “Domani abbiamo ancora un mucchio di lavoro da sbrigare. Se non ci muoviamo l’Ammiraglio si arrabbierà, e molto. Buona notte.”

Era un chiaro invito a levarsi di torno.

Si indispettì.

“Certo, è quasi mezzanotte” rispose guardando l’orologio, “e probabilmente la tua spia ti deve chiamare, per cui vuoi essere lasciata sola.”

“FUORI DI QUI!” gli urlò contro Mac.

Harm chiuse il quadernetto e se ne andò sbattendo la porta.






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Capitolo 11
*** Il Libro ***


Capitolo XI

Il Libro



Prima ancora che il Conte D’Harmòn le comunicasse l’esito delle sue ricerche sulla Duchessa Battyàny, Lady Sarah decise di starle alle costole per riuscire a coglierla in flagrante.

Pertanto cominciò sempre più spesso ad interpellarla su questioni di cerimoniale adducendo come scusa la sua scarsa conoscenza dell’etichetta austriaca.

A tutta prima la Duchessa si mostrò stupita che la nuova Prima Dama di Sua Maestà ignorasse le più elementari norme di comportamento, ma la “Baronessa de Bellegarde” rintuzzò le sue obiezioni sostenendo che, ora che i suoi compiti si erano fatti più onerosi e più pregni di responsabilità, desiderava migliorare la sua conoscenza del cerimoniale. A quel punto la dama ungherese accettò di buon grado di dare dei consigli e Lady Sarah ne approfittò per approfondire anche la conoscenza personale, sfruttando le sue nozioni sulla storia della patria della Duchessa e parlandole di tanto in tanto nella sua lingua natale.

La mattina dopo il ballo in onore della Delegazione prussiana e dopo aver conferito con il Conte Von Webb, avvicinò nuovamente la Duchessa.

Era ancora sottosopra per essere stata tra le braccia del Conte D’Harmòn e aveva bisogno di dimenticare al più presto le emozioni provate la sera prima. Cosa c’era di meglio se non immergersi completamente nella sua missione?

Avvicinò pertanto la Duchessa Battyàny e le disse che la sovrana aveva richiesto la sua presenza in qualità di Prima Dama di compagnia ad un tè che avrebbe avuto luogo quel pomeriggio con le mogli dei notabili di Vienna.

Come accadeva sempre quando l’Imperatrice introduceva qualche novità a corte, anche questo tè aveva indispettito oltremodo l’Arciduchessa Sofia, la quale era già molto amareggiata dal fatto che Elisabetta non aveva provveduto a dare un erede all’Impero.

“Anziché correre a cavallo come una barbara e circondarsi di ungheresi traditori, farebbe meglio a pensare a dare un figlio maschio all’Imperatore” soleva ripetere con acidità ai suoi fedelissimi. Sissi non mostrava di essere colpita da tutto ciò, ma Lady Sarah sapeva che ne soffriva moltissimo e che se ne faceva un cruccio.

“Lasciate fare a Madre Natura Maestà” era solita rincuorarla quando, puntualmente, ogni mese si accorgeva di non essere incinta. “Siete giovane, un erede arriverà di certo.”

Elisabetta prestava ascolto alle parole della “Baronessa de Bellegarde”, ma dentro di lei lo sconforto aumentava di giorno in giorno.

“Duchessa Battyàny!” esclamò Lady Sarah. “Finalmente vi trovo. Ho un disperato bisogno del vostro saggio consiglio.”

“Che posso fare per voi, Baronessa?”

Si trovavano nel giardino d’inverno nell’ala del palazzo riservata all’Imperatrice e la stavano attendendo.

“Oggi pomeriggio debbo partecipare ad un tè con Sua Maestà e…”

“Suppongo si tratti di quello al quale sono state invitate le mogli dei notabili” disse la Duchessa con una nota di disprezzo nella voce. Neanche lei gradiva l’iniziativa di Elisabetta.

“Precisamente” le rispose Lady Sarah simulando anch’essa un’espressione sdegnata. “Avrei bisogno di conoscere l’esatto abbigliamento da indossare, non vorrei mai che quelle signore si sentissero a disagio” concluse indicando il proprio abito, che dopo il cambio successivamente all’incontro con l’aiutante di campo dell’Imperatore, era di velluto marrone con decorazioni di seta azzurro pallido.

“Certo, le borghesi non hanno molti soldi da spendere in abbigliamento, comunque non ne sarebbero all’altezza, Baronessa” osservò la Duchessa con aria complice nascondendo un sorrisetto di compiacenza dietro al ventaglio.

“Ovviamente” le diede corda Lady Sarah lasciandole intendere che condivideva i suoi pregiudizi.

“Un abito da primo pomeriggio andrà bene, mia cara, l’importante è che non diate l’impressione di essere più elegante dell’Imperatrice.”

“Grazie Duchessa, come sempre siete una fonte preziosa di consigli. Ma ditemi, come sta vostra figlia a Buda?” continuò il discorso Milady passando disinvoltamente dal francese all’ungherese.

“Molto bene. Si è maritata con un bravo giovanotto, figlio di un nobile in vista della città. Ma anche se è aristocratico ha idee liberali e collabora molto da vicino con il caro Conte Andrassy per la causa ungherese.”

“Sono certa che alla fine l’obiettivo verrà raggiunto.”

La Duchessa le sorrise con aria complice e stava per aggiungere qualcosa d’altro, quando Elisabetta fece il suo ingresso nel giardino d’inverno, interrompendo così il cicaleccio delle dame ammesse alla sua presenza.

Lady Sarah stava già elaborando le informazioni appena ottenute dalla Duchessa Battyàny. Apparentemente si era trattato di una conversazione come tutte le altre, ma la dama inglese sapeva che non era così. Nessuno a corte aveva mai avuto l’ardire di parlare apertamente di “causa ungherese”, nemmeno le dame più vicine all’Imperatrice e i Ministri dell’Imperatore, tutt’al più si accennava ad “accordi con l’Ungheria” o al “processo di riavvicinamento” ed il fatto che la nobildonna avesse usato quell’espressione le dava molto da pensare. Il comportamento di quella Duchessa destava sempre più sospetto e si ripromise di riferire al Conte D’Harmòn non appena possibile.

 


***



Sembrava l’avesse fatto apposta, ma in realtà l’Ammiraglio era arrivato alla medesima ora di Harm e Mac per caso. Aveva subito notato l’aria truce con cui si erano guardati e il freddo saluto che si erano scambiati.

Possibile che siano riusciti a litigare anche su quel diario?” si chiese. Quei due erano incorreggibili!

“Come procedono le vostre indagini?” domandò, più che altro per sondare gli animi.

“Benissimo, Signore” rispose Mac. “Abbiamo trovato del materiale molto interessante sull’Ammiraglio Blackbird.”

“Già credo che ne verrà fuori un ritratto insolito dell’Ammiraglio, Signore” le fece eco Harm. “Soprattutto considerando il fatto che la storia sembra molto avere a che fare con le spie…”

Chegwidden guardò l’ufficiale con aria interrogativa, mentre Mac lo trapassò con un’occhiata che avrebbe incenerito chiunque.

Erano arrivati al piano; uscirono dall’ascensore e Chegwidden, ancora una volta, ordinò loro di prestare attenzione solo ed esclusivamente alle carte ufficiali tralasciando tutto il resto. Sperò che questo avvertimento li avrebbe riavvicinati al diario, qualunque cosa fosse accaduta la sera precedente.

“Ci può contare, Signore” rispose Mac guardando in realtà Harm con l’aria di chi non vuol più sentir parlare di diari di nobiluomini dell’Ottocento.

Andarono in sala riunioni.

E come se ci poteva scommettere l’Ammiraglio! Lo sapeva che non avrebbe dovuto cedere alle richieste di Harm e lasciarsi tentare da lui e da quel dannatissimo francese.

“Maledizione” sbuffò Mac mentre sollevava il secondo scatolone e lo posava sul tavolo.

“Troppo pesante?”

“NO” lo aggredì lei.

“Troppo caffè o sei scesa dalla parte sbagliata del letto?”

“Né l’uno né l’altra. Ho solo voglia di finire questo maledetto lavoro e tornare ad occuparmi di cose serie.”

“Ma come? Monsieur le Comte non ha fatto presa su di te?”

“Ci vuole ben altro che un valzer, una rosa rossa e dei complimenti per fare presa su di me!” ribatté lei cominciando ad estrarre le carte dallo scatolone e suddividendole per tipologia.

“Già” le rispose sottovoce Harm prendendo una pila di documenti suddivisi il giorno prima e accingendosi alla lettura.

Non avrebbe dovuto farle quelle battute sulle spie la sera precedente e quella mattina, ma gli erano salite alle labbra prima che potesse fermarsi. Il fatto di saperla tra le braccia di Webb, quando invece era con lui che avrebbe dovuto stare, gli faceva ribollire il sangue nelle vene. La sua “Lady Sarah” gli apparteneva e da quando Mattie l’aveva tampinato fino a fargli ammettere di essere innamorato di lei non passava giorno senza che non pensasse a quanto la desiderava, a quanto gli mancava quando non c’era e a quanto avrebbe voluto invecchiare con lei. Non solo, ma il bacio ricevuto gli aveva mutato tutte le prospettive mandandogli in tilt la strumentazione di volo.

Ma tra loro c’era Clayton Webb a complicare le cose: il maledetto pomo della discordia, anche se la sera prima non gli era parso che Mac pensasse troppo a lui.

Si era accoccolata nel suo abbraccio e quando la mano era scivolata dalle spalle alla vita sino a carezzarle la pelle nuda non si era scomposta, anzi gli era parso che si fosse fatta più vicina.

Che l’abbia lasciato?” si domandò. “Ma se così fosse  me l’avrebbe detto”, però si rese conto che Mac non gli diceva più nulla da un sacco di tempo.

La fissò mentre, con aria concentrata, estraeva dalla scatola carte e mappe navali ingiallite dal tempo, adorava l’espressione che assumeva quando lavorava, ma del resto adorava tutto di lei.

Con un coraggio che stupì persino lui stesso d’un tratto le chiese: “Tu e Webb state ancora insieme?”

Mac lo guardò come se fosse impazzito.

“Non sono affari tuoi” gli rispose brusca tornando ad occuparsi dei documenti.

Ma Harm non aveva intenzione di demordere. Si alzò dalla sedia e la raggiunse. Le prese il viso fra le mani, costringendola a voltarsi verso di lui: “State ancora insieme?” chiese nuovamente.

“Ti ho già risposto mi sembra: non sono affari tuoi. Ho forse mai chiesto se stavi ancora con Renée? No e allora…”

“Allora scusa per ieri sera e per poco fa nell’ascensore” le disse. “Non avrei dovuto farti quelle battute.”

“Scuse accettate Rabb, ora torniamo al lavoro” rispose asciutta distogliendo il volto da lui e scostando le sue mani.

“Che ne dici di venire da me stasera e continuare la lettura?” chiese.

Mac non gli rispose.

 

 


***



Lady Sarah era ancora immersa nel sonno quando fu svegliata da un insistente bussare.

Aprì gli occhi e vide che fuori l’alba, una fredda e grigia alba dicembrina, stava sorgendo.

“Ma chi può essere a quest’ora?” si chiese.

Uscì dal tepore delle coperte e non appena posò i piedi a terra rabbrividì nella leggera camicia da notte di seta avorio. Si infilò la pesante vestaglia di velluto foderata di panno e andò ad aprire.

Si trovò di fronte la cameriera personale dell’Imperatrice, pallida come un cencio, per quello che le fu dato di distinguere nella semioscurità del corridoio.

“Baronessa, non so che fare. Sua Maestà sta male, io non sapevo chi chiamare…”

“Si calmi, Mathilda” la rassicurò Lady Sarah, “e mi racconti tutto dal principio.”

“So solo che ho udito delle grida soffocate provenire dallo studio privato dell’Imperatrice e quando sono entrata ho visto Sua Maestà accasciata sullo scrittoio. Presto, Baronessa, venite, per favore!”

La ragazza era angosciata e i suoi occhi erano spalancati dal terrore.

L’etichetta le avrebbe imposto quantomeno di cambiarsi e di indossare una veste più consona, ma Lady Sarah, infischiandosene delle convenzioni, uscì dagli appartamenti a lei riservati, poco distanti da quelli della sovrana, e in camicia da notte e vestaglia seguì Mathilda nel corridoio semibuio fino a giungere alle stanze dell’Imperatrice.

Se D’Harmòn l’avesse vista così, con i lunghi capelli color dell’ebano sciolti e vestita solo di una vestaglia e di una camicia da notte semitrasparente chissà cosa avrebbe pensato di lei…

“Che siete assolutamente deliziosa, Madame” le sembrò di udire la voce impertinente del francese che si faceva beffe di lei.

Ma che erano questi pensieri? L’Imperatrice, colei che Francesco Giuseppe aveva messo sotto la sua ala protettrice, versava in chissà quali condizioni e lei pensava a D’Harmòn! Scacciò il volto sorridente di lui dalla sua mente e si concentrò sul da farsi.

La cameriera le aprì la porta dello studio di Elisabetta e Lady Sarah entrò. Nella penombra creata dalle tende vide l’esile figura dell’Imperatrice accasciata sul proprio scrittoio, sembrava che stesse singhiozzando, ma la luce era troppo scarsa. Con un cenno della mano fece capire a Mathilda di scostare i pesanti tendaggi dalle finestre.

Un attimo dopo la pallida luce dell’alba invernale appena sorta rischiarava la stanza. La cameriera si dileguò e Lady Sarah rimase sola con Sissi.

Ora la vedeva con maggior chiarezza: la massa di capelli fulvo-castani era sciolta e toccava terra, la sovrana aveva la testa appoggiata alle braccia ed era seduta in maniera scomposta in veste da camera e a piedi nudi, le spalle sussultavano impercettibilmente.

Lady Sarah si avvicinò alla sua protetta.

“Maestà” sussurrò chinandosi accanto ad Elisabetta.

“Maestà, sono la Baronessa, che accade?”

Sissi sollevò il capo e si gettò nelle braccia della sua Prima Dama.

“Oh, Baronessa, se non avessi voi! Solo voi mi capite e comprendete, solo voi siete come me!” esclamò disperata.

“Maestà, cos’è accaduto?” le chiese nuovamente Milady aiutandola a rialzarsi da quella scomoda posizione.

“Volevo solo un po’ di pace prima di ricevere i precettori, e volevo scrivere alcune lettere a Possenhofen” spiegò la sovrana che in quel momento era ciò che in realtà era: una ragazzina di diciannove anni non ancora compiuti spaventata e afflitta.

Lady Sarah provò l’impulso di scappare da quel posto intriso di falsità portando con sé quella ragazza e restituirle la libertà, e al diavolo la ragion di Stato! Ma poi si ricordò che Sissi era innamorata di Francesco Giuseppe e che mai e poi mai l’avrebbe lasciato.

Ecco come riduce l’amore” pensò amareggiata “incapaci di qualsiasi scelta che coinvolga solo noi stessi, inetti nel prendere una via che conduce alla liberazione solo perché chi amiamo ne soffrirebbe.” Era disgustata dall’amore e ringraziò il cielo di non averne mai assaggiato il gusto d’aceto e d’ambrosia.

“Mi sono accostata allo scrittoio e ho… e ho…” Elisabetta non riusciva a terminare la frase, ma si limitava ad indicare un libricino rilegato in cuoio rosso e con le pagine ingiallite dal tempo. Lady Sarah lo prese in mano e notò che vi erano alcuni passi sottolineati. Essi così recitavano:


“La ragione di vivere di una regina consiste nel dare eredi alla Corona (…) è questa infatti la vocazione naturale delle regine. Appena se ne allontanano esse divengono fonte di grandi mali (…) Quando una regina ha la fortuna di poter dare dei principi allo stato, deve limitare tutta la propria azione a questo (…). La principessa che non mette al mondo dei figli maschi è solo una straniera nello stato e per di più una straniera eccessivamente pericolosa” [1]


“Chi mai può aver osato una cosa del genere?” si chiese. “Maestà, sono certa che si tratti solo di una burla di pessimo gusto” tentò di rincuorare l’affranta Imperatrice.

“Ha ragione quel libro” si disperò ancor di più Elisabetta. “Non so dare un erede maschio alla dinastia degli Asburgo, il trono di Franz è in pericolo per colpa mia, e sono solo una straniera qui a Vienna! Tutti mi odiano, anche l’Arciduchessa Sofia, anzi lei più di tutti. Come possono i miei sudditi accettare una donna bavarese della nobiltà di provincia diventata Imperatrice per caso e che non sa procreare un erede maschio?”

Lady Sarah non sapeva che dire, sembrava che ogni sua parola non facesse altro che acuire il dolore di Sissi.

“Maestà, voi non siete una straniera qui a Vienna, il popolo vi adora e sa che il sospirato erede arriverà presto. L’Arciduchessa Sofia non è così malvagia, cerca solo di abituare la Vostra Maestà alla vita di corte, ma ella vi vuole molto bene, perché sa che amate l’Imperatore al di sopra di ogni cosa. Vostro figlio nascerà ne sono più che certa e queste infamie saranno presto scordate da chi vi ama veramente, ovvero tutti quanti.”

L’Imperatrice sembrò calmarsi un poco: “Voi credete, Baronessa?” chiese titubante con il pianto nella voce.

“Ne sono sicura e non appena l’Imperatore ne sarà informato sapremo anche chi ha osato causarvi così tanto dolore.”

“No! Ve ne prego, Baronessa, non informate Sua Maestà” la supplicò Elisabetta. “Egli è già tanto preoccupato per le questioni di Stato e non desidero angustiarlo di più. Tacete, Baronessa, se mi portate un poco d’affetto vi scongiuro di tacere.”

Lady Sarah non era molto convinta della promessa che stava per fare ad Elisabetta, nella sua opinione l’Imperatore avrebbe dovuto essere informato di ciò che era appena accaduto, tuttavia cedette alle richieste di Sissi e le promise il suo silenzio. All’Imperatore, non al Conte D’Harmòn.

Si ripromise pertanto di parlarne con lui non appena possibile.

Rimase con la sovrana fino a quando non fu certa che si fosse calmata e poi la lasciò nelle mani più che fidate di Mathilda, facendo ritorno alle proprie stanze.

Un interrogativo la tormentava: chi aveva messo quello scritto infamante sullo scrittoio di Sua Maestà? Certamente qualcuno che poteva avere accesso alle sue stanze, e se si escludeva lei, c’erano ben 222 sospette più l’Arciduchessa Sofia, senza contare il personale di servizio.

Eliminò mentalmente la suocera di Elisabetta, sarebbe stato troppo scontato addossarle la responsabilità del gesto, poiché tutti sapevano che tra le due donne non correva affatto buon sangue. E forse l’intento del misterioso (o misteriosa?) calunniatore o calunniatrice,  era proprio quello: far ricadere la colpa dell’accaduto sull’Arciduchessa Sofia per aumentare ancor di più il baratro fra suocera e nuora e costringere, forse, Francesco Giuseppe a prender posizione sia sui rapporti tra la moglie e la madre sia sul fatto che ancora l’Austria non aveva un erede al trono.

Ma Lady Sarah non riteneva l’Arciduchessa colpevole di una simile bassezza. Certo Sua Altezza Imperiale non digeriva certi atteggiamenti della nuora, ma da lì a metterle un libello di tal bassa fattura nello studio privato ce ne voleva!

“Dunque, chi tra le altre dame avrebbe potuto farlo? O chi avrebbe potuto incaricare una cameriera compiacente di portare a termine la missione?” si domandò.

Guardò fuori, il sole era ormai sorto, ma la giornata era nuvolosa, senz’altro prima di sera avrebbe nevicato. Si chiese dove potesse essere il Conte D’Harmòn in quel momento.

“Ammesso che sia sveglio” pensò ironicamente, conosceva l’amore che i francesi avevano nel tirar tardi la mattina.

Non voleva scrivergli un biglietto per timore che cadesse nelle mani sbagliate (il Conte Von Webb per esempio) e preferì attendere un’ora più consona prima di incaricare un valletto o una cameriera di chiamarlo. Si stupì di se stessa. Proprio lei che contravveniva sempre ad ogni regola o etichetta adesso si preoccupava del cerimoniale!

Sorrise fra sé, ma del resto era meglio comportarsi correttamente per non dare troppa confidenza al Conte, che già si era approfittato fin troppo di lei.

“Però mi è piaciuto come si è comportato… la rosa, il ballo, il sentirmi dire, proprio nel bel mezzo della polka, che mi trovava più attraente senza busto…”

Si riscosse da questi pensieri e con un gesto d’insofferenza si cambiò d’abito. Non doveva pensare al Conte! Se lo era imposto!

Decise di scendere in palestra e di dedicarsi all’esercizio fisico, meglio concentrarsi su qualcosa di concreto che lasciar vagare i pensieri nella solitudine delle proprie stanze.

 



[1] Questa citazione è tratta dal libro “Sissi – vita e leggenda di un’imperatrice”di Nicole Avril, Oscar Mondatori, collana Storia, pag. 63. N.d.A.

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Capitolo 12
*** Gioco di lame ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XII

Gioco di lame





“Che ci fai, qui?” domandò quando la vide sulla soglia di casa.

“Non sei stato tu a dirmi di venire?” rispose lei, fredda.

“Credevo non volessi più vedermi…”

“Se sono qui è solo per quello” disse, indicando il diario in pelle marrone che scorse sul divano. “Di certo non sono venuta per te” aggiunse entrando e lasciandolo sull’ingresso ad osservarla.

“Già, di certo non sei venuta per me…” sussurrò lui, richiudendo la porta.

“Che hai detto?” gli chiese mentre si toglieva la giacca e la posava su una sedia.

“Ah, nulla…” rispose Harm, osservandola: indossava un paio di jeans che le aderivano come una seconda pelle e una camicia morbida, sapientemente slacciata quel tanto che bastava per renderla seducente.

“Non dirmi che hai continuato senza di me?” domandò Mac, osservandolo a sua volta: la comoda tuta in felpa grigia non sminuiva affatto il suo fascino. Anzi, semmai gli aggiungeva quel tocco casalingo che le riscaldava il cuore. Clayton non indossava mai una tuta, forse neppure quando andava in palestra. Certamente anche il suo abbigliamento sportivo assomigliava di più ad un abito in doppiopetto che ad una tuta! Clay non era proprio il tipo da vestire informale, neppure quando era in casa sua in totale libertà.

Harm, invece, tolta l’uniforme, si trasformava e lei non sapeva mai decidersi se lo preferiva impeccabile nella divisa di Comandante oppure casual, in jeans e T-shirt se non addirittura in tuta, come in quel momento. Diciamo che se doveva proprio scegliere, la tuta era forse il suo abbigliamento preferito, anche se quella che intendeva lei non era propriamente quella sportiva, ma piuttosto quella con cui pilotava i tomcat…

“Non pensavo che saresti venuta” le disse, tornando a sedersi sul divano e invitandola a raggiungerlo.

Lei lo scrutò indecisa… la sera prima l’avevano trascorsa a leggere il diario abbracciati sul divano di casa sua e a lei era piaciuto moltissimo, se non fosse stato per come poi lui aveva rovinato tutto con quelle frasi su Webb.

Ora la invitava a raggiungerla di nuovo e lei non sapeva se arrendersi al piacere di stare ancora tra le sue braccia, oppure se resistergli e sedersi sul divano accanto… odiava sentirlo tanto vicino per poi, subito dopo, ripiombare nella delusione semplicemente a seguito di una sua frase. Preferiva piuttosto non concedersi nulla.

Optò per il divano accanto e stava per sedersi, quando Harm la intercettò e, prendendole una mano, la tirò dolcemente accanto a sé. Stava per ribattere che avrebbe preferito ascoltarlo leggere seduta lontano da lui, quando le disse:

“Scusami per ieri sera, Mac…” con un tono talmente dolce che le fece cambiare idea. Decise di restargli vicino e godersi il suo abbraccio ancora una volta. E al diavolo qualunque suo commento su Webb! A pensarci bene, forse era il caso di chiarire…

“Non sto più con Clayton, Harm” gli disse dolcemente.

Lui non replicò nulla; si limitò ad osservarla e ad abbracciarla, mettendosi comodo. Quindi riprese la lettura, riprendendo dal punto dove l’avevano interrotta la sera precedente.

 

***



Era appena l’alba quando entrò in palestra: approfittando del fatto che sicuramente sarebbe stata sola, aveva deciso di indossare pantaloni maschili in velluto marrone e una blusa in seta bianca, portandosi dietro anche una pesante giacca per concedersi una bella cavalcata “come diceva lei”, prima di rientrare. Aveva in mente di allenarsi un po’ con la spada. Suo padre, fin da piccola, le aveva insegnato a tirare di scherma e lei sapeva che, dalla palestra, si accedeva ad una sala d’armi appositamente predisposta per duelli di allenamento. Non avrebbe sfidato nessuno, ovviamente! Quale gentiluomo si sarebbe battuto con una donna? Si sarebbe accontentata di qualche mossa in solitudine, tanto per fare del movimento. E poi una bella galoppata, prima che il tempo peggiorasse e la richiudesse nel palazzo per i prossimi giorni! Lei odiava stare rinchiusa troppo a lungo…

Avvicinandosi alla porta che conduceva alla sala d’armi, sentì alcuni rumori provenire dall’interno. Si stupì che qualcuno fosse in piedi prima di lei, già nel pieno di un allenamento. Aprì piano la porta, per non disturbare i duellanti e rimase sorpresa nel rendersi conto che uno dei due uomini era il Conte D’Harmòn che si stava battendo con il suo attendente, Robert.

In silenzio entrò ad osservarli. Entrambi gli spadaccini erano molto abili ed erano impegnati in un elegante, ma durissimo, gioco di lame.

Si concentrò sui movimenti del Conte, rapidi e decisi, tecnicamente perfetti: vibrava stoccate con un’energia inaudita, quasi stesse combattendo realmente un avversario temibile. Robert rispondeva agli affondi del Conte con destrezza, ma era evidente al primo sguardo chi conduceva il duello.

André D’Harmòn indossava un abbigliamento simile al suo: pantaloni scuri aderenti alle gambe muscolose e una camicia in batista bianca, per metà slacciata sul torace. Una fascia in seta azzurra gli stringeva la vita, sottolineando ancora di più le ampie spalle…

Era stupendo!

Lady Sarah si concesse il lusso di osservare indisturbata quel perfetto fisico maschile, tanto agile nei movimenti pur considerata la sua notevole altezza: anche attraverso gli abiti, poteva percepire la potenza dei muscoli che si muovevano ad ogni affondo.

Rapidamente il duello volse alla fine: con due abili stoccate, André decise di terminare l’allenamento, facendo volar via dalle mani la spada di Robert con un sorriso. Si era accorto, pur senza darlo a vedere, della presenza di Lady Sarah e aveva deciso che preferiva certamente la compagnia di Milady all’allenamento con Robert.

L’aveva scorta nell’angolo, accanto alla porta, e una rapida occhiata gli era stata sufficiente per apprezzare quello che aveva visto: Lady Sarah in pantaloni! Chi lo avrebbe mai detto che prima o poi avrebbe avuto questa fortuna? Sì, perché era certo che lei amasse indossare abiti maschili, in certi momenti… era l’istinto a suggerirglielo, così come gli aveva suggerito che era solita cavalcare ad andatura sfrenata, e non certamente all’amazzone! E per farlo, non indossava sicuramente un’elegante tenuta da cavallerizza; quella era riservata alle passeggiate a cavallo con l’Imperatrice e il suo seguito.

Terminato il duello congedò rapidamente il suo attendente e si rivolse a Lady Sarah.

“Noto che apprezzate la scherma, Milady” disse, prendendole la mano e portandosela alle labbra.

“Conte D’Harmòn, raramente ho visto uno spadaccino abile quanto voi…”  rispose la donna con un sorriso.

“Voi mi lusingate, Madame” replicò il Conte, divertito.

“Oh, non volevo lusingarvi, caro Conte. Stavo dicendo la verità…”

“E come fa, una nobildonna come voi, a sapere che mi batto bene? A quanti duelli avrete assistito, Milady?”

“Voi mi sottovalutate, Conte D’Harmòn… la scherma mi ha sempre affascinata…”

“Vorreste imparare a tenere in mano una spada?” si sentì chiederle improvvisamente André. Si rese conto che quella domanda gli era balenata al cervello non appena aveva osservato meglio Lady Sarah, stupenda in quella tenuta maschile: di certo sotto quella blusa e quei pantaloni non indossava il corsetto e la tentazione di prenderla di nuovo tra le braccia con la scusa di mostrarle l’impostazione di alcuni movimenti, lo assalì all’improvviso, senza che quasi se ne rendesse conto.

Lei lo osservò incuriosita, quasi pensierosa. Poi, dopo aver esitato solo per un attimo, acconsentì con entusiasmo.

Si lasciò condurre al centro della sala, prese la spada che lui scelse per lei e si affidò alle sue esperte mani, che le spiegarono la giusta posizione. Poi il Conte le si avvicinò da dietro, cingendole i fianchi, per farle comprendere meglio alcuni movimenti di affondo e di difesa.

Lady Sarah stette al gioco, divertita da come lui aveva preso sul serio la faccenda: si domandava se era più interessato a far di lei un’esperta spadaccina oppure a provare piacere ad avere tra le braccia il suo corpo, lo stesso piacere che provava lei nel farsi abbracciare da lui.  Lo lasciò continuare, assaporando con gioia il brivido che le dava ogni suo tocco e inebriandosi dell’odore maschile che sprigionava il suo corpo accaldato.

E, con un sorriso birichino, alla fine della spiegazione, gli propose qualche colpo di prova. Lui decise di accontentarla, si mise in posizione e iniziarono il “duello”.

Le lame si toccarono lentamente, nei primi colpi d’assaggio. André osservò compiaciuto la posizione di Lady Sarah che, dopo i primi passi incerti, migliorò visibilmente e la lodò per come imparava alla svelta. Le rivolse un sorriso, mentre si esibiva in un affondo perfetto, tuttavia appena accennato, visto l’avversario inesperto che aveva di fronte. Ma all’improvviso Milady rispose con un micidiale affondo, che il Conte schivò per miracolo. Lei lo incalzò di nuovo con una stoccata di insolita bravura, alla quale lui rispose con un colpo altrettanto perfetto.

La sorpresa di scoprire che Lady Sarah sapeva duellare lo incuriosì a tal punto che decise di continuare, certo che anche lei non attendeva altro che confrontarsi con lui. A poco a poco i colpi di entrambi si fecero più precisi, mentre ognuno dei due sfoggiava il meglio della propria tecnica: spietate e micidiali stoccate, vibrate con grande energia.

Lady Sarah era un avversario degno di lui e una donna dalle continue sorprese!

Concentrati allo spasimo, con i muscoli tesi e i nervi all’erta, duellarono per diversi minuti: nel silenzio del salone si sentiva solo il secco rumore del metallo e il fischio dell’aria ferita dalle spade, in un gioco di lame che forse cominciava ad assomigliare più ad un gioco di cuori e di destini…

 

 

 

 

 


***

 



26 Ottobre 1856




Ciò che ieri mattina Lady Sarah mi ha riferito mi preoccupa non poco. E preoccupa anche Milady.

Il libro che l’Imperatrice ha trovato aperto sul suo scrittoio è un fatto molto serio. Innanzi tutto qualcuno si è introdotto nelle stanze di Sua Maestà col solo scopo di turbarla e già questo è di per sé grave. Inoltre Lady Sarah, che ha trovato l’Imperatrice sconvolta, sull’orlo di una crisi di nervi, ritiene che fosse proprio quello lo scopo di quel libro: turbare Elisabetta, già nota per le sue crisi depressive e i suoi momenti neri, sottolineando il fatto che Sua Maestà non ha ancora dato un erede al trono.

Milady ha dato uno sguardo al libricino, una raccolta di scritti indirizzati a Sua Maestà Maria Antonietta, che impiegò vent’anni a dare un erede alla Francia. Sembra che le parole sottolineate (da qualcuno… ma chi?) nella pagina lasciata aperta fossero tratte da una lettera che un anonimo scrisse proprio alla Regina di Francia, lettera mirata ad umiliare la Regina Austriaca  per non avere ancora dato un erede al trono al consorte, Re Luigi XVI..

Secondo l’opinione di Lady Sarah, lo scopo di chiunque abbia fatto trovare il libricino all’Imperatrice Elisabetta, era certamente quello di turbare la sovrana, cercando di far ricadere la colpa sull’Arciduchessa Sofia, nota per la sua avversione nei confronti della nuora, spesso assente ai suoi doveri di Corte a causa della salute cagionevole.

Eppure Milady è convinta che non sia opera dell’Arciduchessa, ma di qualcun altro… I suoi sospetti ricadono sempre sulla Duchessa Battyàny e ora, dopo le informazioni che ho ricevuto sul suo conto, credo che l’istinto di Milady la stia indirizzando verso la pista giusta.

Ho saputo che la Battyàny è vedova di un ungherese, fatto fucilare durante la rivolta del ’48 e introdotta a corte… e qui la faccenda si fa davvero interessante… dall’aiutante di campo dell’Imperatore…

Klaus Von Webb in persona!

Ovviamente, per il momento, non ho messo al corrente Lady Sarah di questa interessante informazione… i contatti che è costretta ad avere con il Conte sarebbero più rischiosi per lei se dovesse lasciarsi sfuggire qualcosa…

Ma cosa vado a pensare? Davvero sono convinto che quella donna possa correre il rischio di perdere il controllo della situazione?

Non mi è bastato come ha duellato questa mattina con me?  Mai mi sarei aspettato che fosse tanto abile con la spada…

Milady ha davvero il potere di sconvolgere i miei sensi! 

Era stupenda in quella tenuta maschile, mentre mi teneva testa in un duello che avrei volentieri perso, se non fossi stato certo che lei avrebbe creduto che lo avessi fatto per ingraziarmela, cosa che l’avrebbe fatta molto infuriare. E così mi sono visto costretto ad impegnarmi al massimo, pur di vincerla… ma non è stato così semplice metterla fuori gioco.

 Mentre le lame si toccavano, una stoccata dopo l’altra, ho colto nei suoi occhi uno sguardo fiero e deciso, impossibile da sottomettere.

E più la osservavo, più desideravo che i nostri corpi duellassero in tutt’altra maniera, in un modo più dolce e appassionato… e più mi appariva indomabile, più ho desiderato poterla sottomettere  al gioco dei sensi con i miei baci e le mie carezze.

Credo che comunicherò prima possibile le informazioni che ho ricevuto sulla Duchessa e su Von Webb a Lady Sarah. Sono certo che saprà farne buon uso e che non si lascerà sfuggire nulla al Conte.

Del resto è meglio, molto meglio, che stia in guardia da quel viscido individuo.

 


***



Mentre leggeva il diario in realtà la mente di Harm era altrove.

Non sto più con Clayton, Harm.”

La frase gli rimbombava nella testa e continuava ossessivamente a tornargli in mente. Era felice di questa novità, ora poteva averla tutta per sé senza continuamente vedere il fantasma di Webb tra di loro, tuttavia si sentiva anche un poco arrabbiato con lei.

Se non stanno più insieme perché allora se l’è presa così tanto ieri sera e ancora stamani? Teoricamente non dovrebbe più importarle nulla di lui, eppure si è arrabbiata tantissimo e mi ha urlato di uscire da casa sua” pensò.

Poi rinunciò definitivamente a cercare di comprendere lo strano atteggiamento di Mac, quello che contava era che lei era libera ed era lì.

La strinse ancor di più a sé cercando di trasmetterle così la gioia che provava nell’averla accanto e si concentrò nella lettura.

Mac, da parte sua, era un po’ stupita da come Harm aveva appreso la notizia della rottura con Clay. Si era aspettata… “Cosa?” pensò guardandolo di sottecchi, “che ti prendesse fra le braccia e si dichiarasse? Sei un’illusa se la pensi a questa maniera.” Però lui la stava tenendo stretta quasi avesse timore che lei scappasse via da un momento all’altro, ma Mac non aveva proprio voglia di scappare.

Raccolse le gambe sotto di sé e gli si fece più vicina, appoggiando il capo alla sua spalla. Chiuse gli occhi e non era più a North of Union Station, ma in un palazzo ottocentesco a Vienna in compagnia di un Conte francese tale e quale all’uomo che le aveva rubato il cuore…

 



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Capitolo 13
*** Un Giuramento ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XIII

Un Giuramento


“Posso unirmi a voi, Milady?”

La voce del Conte la colse di sorpresa, facendola sobbalzare. Si voltò immediatamente e rimase senza fiato per un attimo: André D’Harmòn la stava fissando con un sorriso favoloso, pronto per una cavalcata.

Era più di una settimana che non lo vedeva… dal duello nella sala d’armi, dove alla fine, battuta dall’abilità del Conte, gli aveva raccontato tutto quello che era accaduto all’alba nelle stanze di Sua Maestà. Dopo quell’incontro, o meglio, quello scontro, non lo aveva più visto. L’Imperatrice era stata male e aveva richiesto la sua costante presenza.

Come Lady Sarah aveva temuto, Elisabetta era caduta in uno stato di prostrazione dopo aver letto le parole di quel libro e lei era sempre più convinta che lo scopo di quello scherzo di pessimo gusto fosse proprio quello di turbare Sua Maestà al punto che potesse meditare il suicidio. Fortunatamente, con la sua presenza, era riuscita ad alleviare l’angoscia e la depressione dell’Imperatrice, aiutata anche dall’Arciduchessa Sofia, messa al corrente delle condizioni della nuora e accorsa prontamente al suo capezzale. Persino Francesco Giuseppe aveva trascorso con la moglie qualche mezz’ora, saltando ben due impegni di rappresentanza pur di starle accanto.

Come giustamente Lady Sarah aveva pensato, l’Arciduchessa era estranea a quella faccenda, altrimenti non sarebbe stata tanto sollecita con la nuora.

Lady Sarah era sempre più convinta che c’entrasse la Duchessa Battyàny e l’aveva tenuta, se possibile, ancora più sotto controllo. Ma purtroppo la Duchessa era estremamente furba e non si era lasciata sfuggire nulla.

Dopo otto giorni, fortunatamente l’Imperatrice sembrava in condizioni migliori e lei aveva deciso di cogliere al volo quella giornata di sole per farsi una bella cavalcata, nonostante facesse freddo e la neve, scesa la settimana prima, imbiancasse ancora in alcuni punti alberi e terreno, regalando un paesaggio da fiaba.

L’idea di cavalcare con il Conte la tentava parecchio, anche se sarebbe stata costretta a frenare il desiderio di lanciare il suo cavallo in un galoppo sfrenato: montando all’amazzone non le sarebbe stato possibile.

“Conte, mi avete spaventato!”

“Davvero? Credevo che nulla potesse spaventarvi, Milady!” rispose lui, divertito.

Era lui che si sentiva quasi soggiogato dalla sua bellezza: anche quella mattina vestiva una tenuta maschile, pratica e sportiva, oltre che molto calda. Ma quello strano abbigliamento poco seducente, su di lei faceva un effetto eccezionale, soprattutto perché Lady Sarah aveva i capelli liberi sulle spalle.

André non l’aveva mai vista con i capelli sciolti, sebbene avesse desiderato moltissimo poterla ammirare senza le elaborate acconciature in uso a corte. Quando aveva duellato con lei nella sala d’armi, portava i capelli legati in una lunga treccia, e già così le era sembrata bellissima. Ma in quel momento era rimasto quasi senza parole… i suoi capelli, color dell’ebano, le ricadevano in onde morbide fino alla vita e avevano un aspetto talmente invitante che lui si trattenne a fatica dall’infilarvi le mani dentro.

Erano proprio come se li era immaginati: lunghi, morbidi e lucenti.

Lady Sarah rispose al suo commento con uno sguardo impertinente, quasi una tacita sfida. Ma non rifiutò la sua compagnia per la passeggiata a cavallo. 

Uscirono dalle scuderie camminando affiancati, in silenzio, con i cavalli appena sellati dietro di loro; il freddo e l’ora non invogliavano ad uscire e, a parte due stallieri, non incontrarono anima viva. Al momento di montare in sella, il Conte la sorprese di nuovo:

“Suvvia, Lady Sarah, non avrete timore del mio giudizio?”

Lei, che stava per chiedergli aiuto per issarsi all’amazzone, replicò immediatamente:

“Caro Conte, non capisco cosa intende con queste vostre parole…”

“Davvero?” domandò sornione lui, senza accennare ad avvicinarsi per aiutarla. Anzi, ammiccando con gli occhi che gli brillavano più del solito per il divertimento e la sfida, montò in sella al suo splendido purosangue nero, facendole cenno di fare altrettanto.

Sorridendo dentro di sé al fatto che, questa volta, era stato lui a sorprenderla intuendo perfettamente il suo desiderio, Lady Sarah esitò solo un attimo; poi, con decisione, montò in sella all’arcione e decise di rendergli la pariglia, spronando all’improvviso il suo baio al galoppo.

André D’Harmòn si stupì del suo gesto solo per pochi istanti; riprendendosi quasi subito incitò il suo cavallo all’inseguimento di quella donna che, ad ogni incontro, gli stava rubando lentamente il cuore. Per alcune centinaia di metri decise di restarle dietro, ad ammirare la sua figura lanciata nella corsa, con i capelli al vento: doveva ammettere che cavallo e cavallerizza erano migliori di quanto avesse immaginato. Poi spronò ulteriormente il suo purosangue, che allungò immediatamente il galoppo, fino a portarsi a fianco del cavallo di Milady. Pur concentrato sulla corsa, non riuscì fare a meno di osservare la sua compagna, dalla cui espressione traspariva la gioia che stava provando per quella galoppata sfrenata.

Lasciarono i cavalli lanciati nella corsa finché giunsero in una radura, al centro della quale sorgeva un piccolo capanno da caccia; entrambi sapevano che poco distante vi era un piccolo ruscello dove far dissetare gli animali e lì si fermarono.

Il Conte smontò rapidamente da cavallo e si avvicinò al baio di Lady Sarah per aiutarla a scendere. Lei non rifiutò il suo aiuto e lui ne fu felice: desiderava a tal punto quella donna che non poteva fare a meno di toccarla, anche solo per aiutarla a smontare da cavallo. Era così bella, se possibile ancora più del solito, con il volto arrossato, gli occhi che le brillavano e i capelli scompigliati dal vento.

Strinse con le sue mani forti la sua vita sottile, la sollevò e, trattenendola per un istante in aria prima di deporla a terra, non riuscì a resistere dal sussurrarle dolcemente:

“Siete bellissima…”

Quelle parole ebbero il potere di farle mancare il fiato più della cavalcata appena conclusa. Lo fissò negli occhi e lui, in quello sguardo, vide scorrere un’emozione dopo l’altra: la gioia appena provata nel galoppare libera dalle costrizioni che imponeva l’etichetta, un sentimento di riconoscenza per lui, che l’aveva spinta a farlo, e infine un turbamento intenso e improvviso per ciò che le aveva appena detto.

E quello che lesse in quegli splendidi occhi scuri lo emozionò a tal punto che non riuscì a controllare l’istinto: la depose lentamente a terra, ma anziché lasciarla andare, mantenne la presa alla vita, la avvicinò maggiormente al proprio corpo e, dopo aver affondato una mano nella sua chioma invitante, posò le labbra sulle sue.

Il solo contatto li fece fremere nello stesso momento; non appena André percepì la reazione di Lady Sarah, approfondì il bacio, assaporando le sue labbra con dolcezza, lentamente… lei sapeva che doveva farlo smettere, ma non ci riuscì. Quella bocca sulla sua era talmente deliziosa che le impediva qualunque pensiero razionale; ricambiò il bacio, concedendogli libero accesso alle labbra, senza accorgersi che stava regalandogli anche la chiave del proprio cuore…

Il Conte smise di baciarla solo quando la necessità di respirare lo costrinse a farlo, ma anche allora non riuscì a staccarsi da lei. La tenne sempre tra le braccia, anche mentre le diceva:

“Perdonatemi… non avrei dovuto…”

Le parole erano quelle, ma i suoi occhi dicevano altro. Lady Sarah glielo poteva leggere chiaramente nello sguardo: André D’Harmòn la desiderava e, che Iddio la perdonasse, anche lei desiderava lui alla follia…

Si sciolse a fatica dalla sua stretta e si costrinse ad assumere un’aria un po’ sprezzante, pur di darsi un contegno.

“Avete ragione, non avreste dovuto” replicò secca, anche se tutto il corpo le urlava il contrario.

Lui la osservò: Milady lo stava ricacciando al suo posto, dopo averlo baciato con un ardore che lo aveva piacevolmente sorpreso; ma anche in quel momento, pur replicandogli piccata, non era stata in grado di allontanarsi da lui. Era rimasta lì, a pochi centimetri dal suo corpo, senza accennare ad allontanarsi. E nei suoi occhi André scorgeva solo un’emozione intensa, che tentava di celare con parole dure.

“Mi dovete promettere, Conte, che ciò non accadrà mai più”, stava continuando lei.

Decise di risponderle con sincerità, anche se questo avrebbe potuto compromettere i loro rapporti. Ma non riusciva a nascondere quello che provava per lei.

“Vi giuro, Milady, che farò tutto il possibile perché quello che è appena successo non accada ancora…” disse guardandola negli occhi. Osservò per un attimo l’effetto delle sue parole, che sembravano averla… delusa? Tranquillizzata? Non avrebbe saputo dirlo con certezza. Però poi aggiunse:

“… tuttavia non posso promettervi che non accadrà più.”

E detto questo, si allontanò da lei, per raggiungere i cavalli che, nel frattempo, si muovevano liberi nei pressi del ruscello. Lei rimase ad osservarlo recuperare gli animali, ancora confusa da quello che lui le aveva appena detto: quell’uomo era impossibile!

Deliziosamente impossibile… aggiunse tra sé.

Ritornò con i cavalli una decina di minuti dopo, con la massima galanteria l’aiutò a rimontare in sella e, mentre passeggiavano affiancati, le disse finalmente quello che aveva scoperto della Duchessa Battyàny e del Conte Von Webb.

Era stato quello fin dall’inizio l’unico motivo per cui aveva voluto accompagnarla nella passeggiata a cavallo, aggiunse. Solo per metterla al corrente delle nuove informazioni e consigliarle di prestare attenzione a Klaus Von Webb.

Questo, almeno, fu quello che disse a lei.

 

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Capitolo 14
*** Turbamenti ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XIV

Turbamenti




8 Novembre 1856


La passeggiata a cavallo di questa mattina con Lady Sarah è stata un’esperienza indimenticabile: vederla cavalcare con il suo baio  lanciato al galoppo, i capelli al vento e il volto arrossato dalla gioia per quella libertà è stato troppo. Non sono riuscito a trattenermi…

L’ho aiutata a scendere da cavallo e lei era talmente bella… le sue labbra erano lì, per me.

I suoi occhi erano uno specchio d’emozioni, quando le ho sussurrato: “Siete bellissima…”

E lo era. Lo è. Nessuna donna mi ha mai affascinato tanto quanto lei. L’ho stretta tra le braccia, concedendomi nuovamente il lusso di gioire della sensazione del suo corpo libero da costrizioni… sarà quello che mi intriga tanto? 

Quando ho posato le labbra sulle sue ho sentito un brivido… un fremito improvviso che attraversava i nostri corpi. Anche lei non è rimasta indifferente al mio bacio, anzi lo ha ricambiato con ardore. Un ardore che non osavo quasi sperare.

Ho lasciato la sua bocca solo per respirare. Se fosse stato possibile proseguire quel bacio all’infinito, lo avrei fatto senza esitazioni. Dopo le sue labbra erano arrossate e i suoi occhi trattenevano a stento un’emozione intensa.

Quanto avrei voluto poter cogliere i pensieri celati dietro quei suoi occhi!

Era turbata, tanto quanto lo ero io. Se non ancora di più. Ma si è ripresa subito, molto prima di quanto sia riuscito a fare io, e mi ha rimesso al posto, con poche parole secche e decise.

Il mio non è stato un comportamento da gentiluomo: ne sono conscio. Ma mi è impossibile esserlo, quando le sono accanto. Anche se ho giurato che farò quanto sarà in mio potere…

Nulla mi aveva preparato alla dolcezza delle sue labbra, all’emozione che avrei provato stringendola a quel modo.

Ho avuto diverse donne, e tutte molto belle. Le ho amate con l’intensa passionalità che è caratteristica del mio sangue francese… eppure questa mattina mi sentivo un ragazzetto al suo primo bacio, con lei tra le braccia.

 


 


***

Harm comprendeva perfettamente lo stato d’animo di André D’Harmòn perché, dopotutto, era il SUO stato d’animo. Dopo che Mac l’aveva baciato in sala riunioni si era sentito rimescolare il sangue e non era passato attimo da quel giorno senza che non ripensasse a quel bacio, che avrebbe voluto ricambiare quanto prima.

Interruppe la lettura e si alzò.

“Dove vai?” chiese Mac.

“Hai paura che scappi, Marine?” le chiese con aria ironica.

Lei non rispose.

“A prendere qualcosa da bere. Leggere ad alta voce secca la gola” e sparì in cucina.

Mac si distese sul divano allungando le gambe e stiracchiandosi come una gatta.

“Secondo me si sono innamorati” osservò.

“Chi? Il Conte e Milady?” le rispose Harm tornando con una birra per sé in una mano e un succo di frutta per lei nell’altra.

“Certo. E chi sennò?”

“Potrebbe anche essere, ma c’è stato solo un bacio fra di loro” disse provocandola.

Mac raccolse la punzecchiatura: “Da un bacio si comprendono molte cose, marinaio. Ma tu sei un uomo per cui…” ribatté con aria saputa.

“Ah sì? E io che credevo che un bacio rappresentasse solo un gesto d’amicizia o d’addio” osservò facendo il finto tonto.

Era palese il riferimento a quanto era accaduto fra loro negli anni precedenti, dal bacio di lei a Brumby all’aeroporto di Sidney a quello che si erano scambiati sotto il portico a casa dell’Ammiraglio.

“Se dato nella maniera giusta, un bacio può valere più di mille parole” buttò lì Mac.

Harm si sedette e le offrì la bibita che lei accettò di buon grado. Perché improvvisamente la gola le si era seccata? Lui le si avvicinò di qualche centimetro riducendo pericolosamente le distanze fra di loro e incatenando il suo sguardo al proprio: “Allora cosa voleva dire quel bacio di qualche giorno fa in sala riunioni?”

Mac si divincolò come meglio poté, ma lui le stava proprio di fronte e non riuscì a scostarsi di molto sia da Harm sia dal suo sguardo indagatore.

“Veramente io stavo parlando del Conte e di Lady Sarah” disse con voce arrochita trangugiando in un unico sorso il succo di frutta.

Dannazione” pensò infastidita, “ma è mai possibile che non si riesca a fare le cose a modo mio con quest’uomo?

Harm si discostò da lei scuotendo la testa: “Come no”, borbottò bevendo un po’ della birra e riprendendo in mano il diario del Conte, ma Mac glielo tolse dalle mani.

“Dai qua” disse imperiosa, “vado avanti io.” E si allontanò da lui, mutando posizione, i gomiti puntati sulle ginocchia in modo che le mani divenissero una sorta di leggio.

 


***

Lady Sarah tornò nelle proprie stanze in stato confusionale. Avrebbe dovuto condurre lei le danze ed invece era bastato che lui la prendesse fra le braccia per sentirsi sciogliere come neve al sole.

Si osservò allo specchio, sfidando se stessa con lo sguardo: “Non è così che deve andare” disse alla propria figura riflessa, “non devi farti coinvolgere. Non ti devi innamorare. Se i sentimenti prevarranno finirai col rovinarti la vita. Concentrati su ciò che devi fare, assimila le informazioni che ti ha dato, elabora un piano. E TIENITI ALLA LARGA DA ANDRÉ FRANÇOIS D’HARMÒN.”

Dopo questo dialogo con se stessa si sentiva meglio: il cuore aveva ripreso a battere con ritmo normale e le gambe non parevano più fatte di gelatina.

Chissà cosa le era saltato in mente di accettare che lui le “insegnasse” a tirare di scherma, per non parlare poi del fatto che si fosse lasciata abbracciare e baciare!

Però che sensazioni…

“Sarah Jane!” si richiamò all’ordine sedendosi allo scrittoio per prendere nota in un quadernetto delle ultime notizie apprese e buttare giù qualche appunto che le consentisse di elaborare una strategia. Rifletté su quanto le aveva detto D’Harmòn dopo averla…

“Dopo niente!” esclamò stizzita battendo il pugno sul ripiano di legno.

Doveva stare appresso alla Battyàny, ora più che mai. Von Webb l’aveva introdotta a Corte, ma a quale a scopo? Perché? L’unica soluzione era quella di irretire il Conte austriaco con la promessa di chissà quali delizie per indurlo a confessare.

Fece una smorfia di disgusto.

“La tua missione è scoprire chi vuole assassinare l’Imperatrice e perché” si ricordò con severità. “Questo è l’unico tuo obiettivo e nessun mezzo sarà abbastanza basso o infame per arrivare alla verità.”

Chiuse il suo cuore e lo corazzò d’acciaio. Ora si sentiva calma e sicura di sé. Alla prima occasione si sarebbe appartata con il “caro Klaus” e avrebbe ottenuto le informazioni di cui necessitava.

Già, ma quando? Non poteva presentarsi alla porta dell’aiutante di campo dell’Imperatore chiedendo udienza: il protocollo imponeva che fosse lui a chiamarla per il tramite di una terza persona, e mandargli un biglietto sarebbe stato eccessivamente rischioso. Apparentemente sembrava non esservi via d’uscita, quando all’improvviso le balenò l’idea.

“Che sciocca sono stata! Potevo pensarci prima!”

Si spogliò e si tuffò nella tinozza per levarsi di dosso la polvere della  cavalcata e la sensazione delle labbra di André sulle sue. Dopo esserne uscita si vestì e si recò dall’Imperatrice: come Prima Dama di compagnia di Sua Maestà aveva libero accesso ai suoi appartamenti e non aveva necessità, a differenza delle altre dame ammesse, di essere convocata per parlarle.

La Baronessa de Bellegarde raggiunse Elisabetta nel giardino d’inverno. Prima di entrare chiese alla guardia ferma sulla porta se l’Imperatrice fosse sola e, alla risposta positiva, data con un impercettibile cenno del capo da parte del soldato, scostò l’uscio ed entrò.

Sissi sedeva su una sedia in ferro battuto e guardava, anzi per meglio dire fissava, una mano appoggiata al mento, la neve che scendeva copiosa da un cielo color grigio perla. Era notevolmente dimagrita dopo la malattia seguita al ritrovamento del libro, e l’incarnato, già di norma pallido, appariva quasi diafano. Oltretutto vestiva completamente di nero, non indossava gioielli ed era priva di trucco, e tutto ciò contribuiva ad accentuarne il pallore spettrale.

Neanche le figlie riuscivano più ad accendere il sorriso sul suo viso e i regali sontuosi che ogni giorno le venivano recapitati da parte di Franz Joseph sembravano darle più fastidio che piacere.

Interpellato, l’archiatra di corte aveva diagnosticato nella sovrana un profondo stato depressivo e paventava anche il manifestarsi di manie suicide se la psiche di Elisabetta non fosse stata adeguatamente curata.

Spaventato da queste terribili notizie, Francesco Giuseppe aveva convocato in tutta fretta la madre e la sorella maggiore di Sissi, Elena, cui la stessa era molto legata nella speranza che potessero risollevarle lo spirito. Purtroppo non c’era stato nulla da fare, Elisabetta non dava segno di ripresa e anzi pareva sprofondare ogni giorno di più nella depressione, per cui all’affranto consorte non era restato altro da fare che affidarsi a Lady Sarah e alla Provvidenza, affinché l’una o l’altra restituissero al più presto la gioia di vivere all’adorata moglie.

Lady Sarah si avvicinò e avvertì la sovrana della sua presenza con un leggero colpo di tosse.

Elisabetta voltò il capo e le sorrise debolmente: “Come sarebbe bello, Baronessa, uscire e lasciarsi seppellire da questi candidi fiocchi. Quale dolce morte sarebbe!”

“Non dite così, Maestà” le rispose l’altra notando solo in quel momento una lettera aperta che giaceva in grembo all’Imperatrice.

“Notizie da Possi?” chiese.

“Mia sorella Maria, a Napoli” le rispose porgendole lo scritto.

Lady Sarah lesse e commentò: “La situazione è grave, ma non disperata.”

“Ho chiesto a Franz di intervenire, ma lui è stato irremovibile. In questo momento non può muovere neanche un fante e io devo lasciare mia sorella a fronteggiare quei ribelli con l’unico aiuto di un marito inetto ed impotente…” Una lacrima scese sul viso di Sissi.

“Maestà non abbattetevi, i garibaldini non faranno del male a Vostra sorella e al re, dopotutto non è da molto che sono ascesi al trono. Non angustiatevi e pensate che fra poco sarà Natale.”

Elisabetta alzò lo sguardo sulla sua Prima Dama di compagnia: “Debbo confidare in un destino che mi porta solo sventure?”

“So cosa vi angustia e ve lo dissi anche in un'altra occasione: non pensate a chi vi vuole solo arrecare dolore, ma godete della vostra gioventù e della vostra posizione privilegiata. L’Imperatore è molto preoccupato del vostro stato di salute, non fa che domandarmi come state, e ha consultato parecchi medici ed esperti di depressione” aggiunse.

Quest’ultima affermazione sembrò risvegliare di colpo Sissi: “Franz? Preoccupato?” chiese spalancando gli occhi. “Non posso recargli altre angustie! Io voglio che sia felice e che non si preoccupi per me.”

“Allora fate in modo che non accada. Festeggiate il Natale e il vostro genetliaco con un ballo, così l’Imperatore si rassicurerà del vostro stato di salute. Fategli vedere che siete gioiosa e che le malignità non vi toccano. Questo renderà più tranquillo l’Imperatore e al contempo taciterà qualsiasi voce sul vostro conto” propose Lady Sarah.

“Farò come suggerite, Baronessa, organizzerò un magnifico ballo di Natale e mi sforzerò di non avere brutti pensieri. Desidero che voi mi aiutiate nell’organizzare questo ricevimento. Avete un gusto squisito per le decorazioni e voglio che questa festa di Natale sia la più bella.”

“Con piacere” rispose Lady Sarah. I preparativi le fornivano l’occasione che cercava: avrebbe coinvolto anche la Duchessa Battyàny che fino a quel momento si era mantenuta a debita distanza da lei –che stesse subodorando qualcosa?- e avrebbe anche evitato la pericolosa vicinanza di D’Harmòn.

“Inviteremo tutti e faremo regali di Natale, convocherò l’Orchestra Filarmonica di Vienna… sarà una serata indimenticabile in onore di Franz e del Natale.”

Gli occhi di Elisabetta luccicavano e sulle gote si era acceso un po’ di rossore dovuto all’eccitazione di quella novità. Lady Sarah ne era ben felice, nonostante avesse preso quella missione con il suo solito spirito distaccato, si era sinceramente affezionata alla giovane Imperatrice e si era presa a cuore il compito assegnatole, andando anche oltre i propri doveri. Si congedò da Sua Maestà promettendole di farle pervenire un appunto con le sue proposte circa le decorazioni con cui addobbare la sala ove si sarebbe svolto il ricevimento.

“E non scordate l’albero, Baronessa!” esclamò Elisabetta poco prima che Lady Sarah uscisse.

 

 

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Capitolo 15
*** Una Fuga inutile ***


Capitolo XV

Una Fuga inutile



Aprì la porta e se lo ritrovò davanti, appoggiato con una spalla allo stipite, sulle labbra un sorriso da far sciogliere un iceberg e il quadernetto in pelle marrone tra le mani.

“Harm! Come mai sei qui? Non avevamo deciso di incontrarci.”.

“Oh, lo so! E’ una settimana che lavoriamo assieme solo in ufficio…” rispose.

“Infatti, appunto. E quale sarebbe il problema?” domandò lei, interrompendolo. “Il lavoro prosegue bene, no? Anzi, direi che siamo a buon punto.”.

Lui la osservò per un attimo, divertito dal suo tentativo di giustificarsi e di svicolare… quante volte lui stesso lo aveva fatto? Conosceva ogni mossa di quel “giochetto”.

“E questo?” domandò, mettendole sotto il naso il diario del conte D’Harmòn. “Credevo ti interessasse anche questo.”.

“Non serve a nulla per la nostra ricerca e, soprattutto, non serve a nulla per il compito che ci hanno assegnato…”

Questa volta fu lui ad interromperla: “Eppure ero convinto che ti interessasse sapere la fine della storia d’amore tra Lady Sarah e il bel Conte André!”

“La storia d’amore? Ma se mi hai presa in giro, quando ho sostenuto che si erano innamorati! E ora sei tu a parlare di storia d’amore?”

“Mhmm…” fece lui, annuendo con lo sguardo, piegando solo impercettibilmente il capo, com’era sua abitudine fare.

Sarah lo osservò e dentro di sé maledisse la propria vulnerabilità di fronte a quell’uomo: era inutile! Non era in grado di resistergli. Qualunque tentativo facesse per prendere le distanze da Harm, lui riusciva sempre, in un modo o nell’altro, ad intrufolarsi di nuovo nel suo cuore.

Come resistere davanti a quello sguardo, un po’ divertito, un po’ imbronciato? A volte le sembrava un monellaccio, spensierato e un po’ ribelle, anziché il Comandante di Marina pluridecorato, nonché l’abile avvocato che spopolava nelle aule dei tribunali. Quanto avrebbe dato per il privilegio di averlo potuto conoscere adolescente!  Quell’irruente sedicenne che aveva lasciato l’America per andare in Vietnam a cercare suo padre, convinto di trovarlo ancora vivo…

“Perché stai scappando, Mac?”

La sua domanda la distolse dall’immagine di Harmon Rabb jr sedicenne e la riportò bruscamente alla realtà. E le ricordò perché, a volte, lo odiava tanto!

“Non sto scappando…” rispose, anche se in realtà non era assolutamente vero. Come sempre lui le aveva letto nella mente alla perfezione! Quella domanda sul bacio che gli aveva dato, che lui le aveva rivolto diverse sere prima dopo aver letto assieme il diario del Conte, l’aveva turbata molto. Così come l’aveva turbata passare del tempo tra le sue braccia, ad ascoltarlo leggere le parole del nobile francese che si stava innamorando della bella inglese.

“Davvero?” chiese di nuovo Harm.

“Davvero” rispose decisa lei. E per confermare quanto diceva, si fece da parte e lo lasciò passare. “Dai, entra… riprendiamo da dov’eravamo rimasti l’ultima volta.”

Lui si diresse verso il divano, si sedette e la guardò con un sorriso, facendole un breve cenno divertito, come a dirle di raggiungerlo.

Sarah sospirò rassegnata: quello era uno dei classici momenti in cui lo odiava e lo amava al tempo stesso. Sarebbe mai finita quell’altalena di sentimenti?

No, si disse, mentre si sedeva accanto a lui. Non sarebbe mai finita, neppure se per puro miracolo si fossero messi assieme; neanche se avesse potuto amarlo liberamente, facendo l’amore con lui come desiderava fare fin dalla prima volta che lo aveva conosciuto: Harm aveva una personalità talmente forte che l’avrebbe sconvolta sempre. Forse, potendolo amare e se fosse stata ricambiata da lui, si sarebbe abituata a quello sbalzo improvviso di emozioni, a quell’altalena tra amore e odio che il suo temperamento le faceva spesso provare.

Ma non ne era affatto certa…

L’unica cosa di cui era assolutamente sicura era che avrebbe dato chissà cosa per smettere d’aver paura e potersi rimangiare quel “no” che gli aveva detto in Paraguay.

 

 

***

10     Dicembre  1856

 

Sono settimane che non la vedo, che mi sfugge. Che non riesco più a parlare con lei in solitudine. La incontro solo brevemente a Corte, a volte ai tè del pomeriggio, oppure a qualche breve passeggiata nei giardini, durante le ore più calde della giornata. Ma è sempre accanto all’Imperatrice e, non appena mi avvicino, trova sempre una scusa per andare altrove.

Disdetta vuole che non abbia neppure avuto una valida ragione per obbligarla a parlare con me. Dopo quel libricino lasciato sullo scrittoio di Elisabetta, non è accaduto più nulla e questo rende tutta la faccenda ancora più sospetta. Perché ciò sta a significare che chi ha compiuto quel gesto, non l’ha fatto in preda a sentimenti improvvisi, ma si è mosso guidato da un piano accuratamente studiato nei minimi particolari.

Se davvero è così, vi è una sola spiegazione: la mente dietro a tutto questo è malvagia.

Ritengo che la Battyàny sia solo uno strumento; lo strumento di qualcuno che medita di far del male a Sua Maestà da tempo.

Di qualcuno che non agisce solo perché esasperato da una situazione, o perché provocato oppure, come nel caso della Duchessa, per vendicare il marito ucciso.

Questo è il piano premeditato di una mente perversa, malvagia e gelosa, che si nasconde dietro ad un’insospettabile aura di sincerità e assoluta dedizione.

Si tratta certamente di una persona che gode della massima fiducia delle Loro Maestà e, proprio per questo, ancora più subdola e pericolosa. Una persona che arriverebbe anche ad uccidere, pur di raggiungere il proprio scopo.

Fino ad ora, comunque, non avevo scuse per incontrarmi da solo con Lady Sarah. Ma ora le cose sono cambiate: Robert ha intercettato un messaggio della Battyàny molto sospetto. Ancora non so a chi era indirizzato, poiché la busta non recava nomi. Ma è un’informazione che  devo assolutamente comunicare a Milady… e per farlo, lei sarà costretta a trascorrere del tempo con me.

 

***


Alla corte asburgica il tè del pomeriggio era più che altro un capriccio voluto dall’Imperatrice, che non un rito vero e proprio come accadeva in Inghilterra. Si trattava di un momento della giornata in cui Elisabetta si svagava, chiacchierando con poche persone, nobili e dame che sceglieva a suo gusto. Proprio per questo la maggior parte delle sue dame di compagnia non l’accompagnavano. In quell’occasione, l’unica della giornata, si circondava esclusivamente di persone che la facevano star bene e tra queste il Conte D’Harmòn era una delle preferite. Egli era un invitato fisso di quei brevi ritrovi pomeridiani e se mancava era solo perché aveva altri impegni. Da tempo non riceveva neppure formale invito, perché l’Imperatrice gli aveva detto che non occorreva, lui era sempre nella lista degli ospiti.

Ai tè pomeridiani Elisabetta beveva esclusivamente il suo solito bicchiere di latte appena munto, che molto spesso sostituiva anche il suo pranzo, lasciando agli ospiti tutto quello che la cucina di corte preparava per accompagnare il tè.

L’Imperatrice aveva una vera ossessione per la sua linea e per la sua bellezza. La sua dieta era a base di arance, uova, succo di carne bovina spremuta e l’immancabile latte fresco appena munto, fornito da bestiame scelto e sotto continuo controllo medico che era tenuto nel giardino di Schonbrunn. Non solo: mucche e capre l’accompagnavano sempre anche nei suoi viaggi, poiché non si fidava di animali stranieri. Si pesava più di una volta al giorno e i valori erano registrati su una tabella; era alta 1 metro e 72 centimetri e il suo peso non doveva superare i 50 chilogrammi, altrimenti era una tragedia. La sua maggior preoccupazione era quella di avere una figura esile e snella, pertanto erano misurati, oltre al giro vita, che non doveva superare i 50 cm, anche la circonferenza dei fianchi e persino quella dei polpacci. [1]

Durante i tè del pomeriggio, tuttavia, Sua Maestà si divertiva ad ascoltare chiacchiere e pettegolezzi di corte, e per brevi momenti sembrava serena, anziché triste e depressa come spesso le accadeva di essere quando era a palazzo.

Quel pomeriggio l’incontro era appena iniziato quando il Conte D’Harmòn entrò nella saletta adibita allo scopo e si avvicinò all’Imperatrice, s’inchinò al suo cospetto e le rivolse una domanda che lasciò allibiti tutti i presenti.

“Maestà, potrei privarvi della compagnia di Madame de Bellegarde per oggi?”

Lady Sarah, che stava conversando con il Conte Von Webb, si voltò di scatto in direzione della voce del Conte D’Harmòn: non si era accorta che fosse entrato e non appena lo vide si rese conto che gli sforzi che aveva fatto per evitarlo non erano serviti a nulla.

“Caro Conte, dovrei chiedervi il perché…” disse Elisabetta; però, scrutando per un attimo negli occhi il giovane francese, aggiunse con un sorriso divertito: “Tuttavia sarò magnanima e non vi domanderò nulla… Non vi chiederò come mai desideriate trascorrere del tempo con l’affascinante Madame de Bellegarde!”

Lady Sarah si sentì avvampare, per la prima volta in tutta la sua vita: come osava quell’uomo metterla in imbarazzo davanti a tutti? Era ovvio che quella richiesta inaspettata non poteva che instillare nei presenti il dubbio che tra loro vi fosse un legame o, quanto meno, che lui volesse appartarsi con lei per corteggiarla. Il problema era che, avendo Sua Maestà acconsentito, lei non avrebbe potuto rifiutare, altrimenti l’imbarazzo sarebbe stato ancora peggiore.

Guardò negli occhi André D’Harmòn che si era voltato verso di lei e vi scorse un guizzo di divertimento: quell’impertinente di un francese era ben cosciente d’averla messa con le spalle al muro! Gli avrebbe reso la pariglia.

Si congedò dal Conte Von Webb e si avvicinò all’Imperatrice:

“Vostra Maestà, Vi ringrazio del permesso accordatomi, ma Vi assicuro che non è necessario… qualunque cosa il Conte abbia da dirmi, può farlo qui, in Vostra presenza.”

André aveva già pronta sulle labbra la frase per convincere Elisabetta ad aiutarlo, ma la risposta che l’Imperatrice diede a Lady Sarah gli evitò di pronunciarla: già così avrebbe dovuto faticare non poco per rabbonire Milady, considerata la rabbia che le aveva letto negli occhi!

“Madame de Bellegarde, credo che il Conte preferisca avervi tutta per sé. Quindi andate, e non fatelo attendere oltre…”

A quella risposta Lady Sarah si vide costretta ad accomiatarsi da Elisabetta; s’inchinò rispettosamente alla sovrana, ma quando si voltò verso il Conte, con un sorriso frivolo che nascondeva a stento la furia che provava, gli disse:

“Dovreste vergognarvi, Conte, a privarmi del tè… sapete quanto io lo gradisca!”

Con lo stesso sorriso frivolo, ma sinceramente divertito, mentre l’accompagnava alla porta per uscire, André rispose ad alta voce in modo che tutti potessero sentire:

“Mia cara Baronessa, non vi priverei mai del vostro tè pomeridiano, sapendo quanto lo gradite. Per questo mi sono premurato di farne preparare apposta solo per noi due…”

Una risata dei presenti, ormai convinti che il nobile francese stesse cercando di sedurre la giovane vedova, accompagnò la loro uscita, mentre Lady Sarah stava cercando nella sua mente il modo migliore per far soffrire atrocemente quell’uomo tanto arrogante quanto bello.

 

 



[1] Queste notizie sono tratte dal libro “L'Imperatrice Sissi – Storia e destino di Elisabetta d'Austria e dei suoi fratelli”di  Erika Bestenreiner, Oscar Mondatori, collana Storia, pagg. 95 e 96. N.d.A.

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Capitolo 16
*** Invito per un tè ***


Capitolo XVI

Invito per un tè




Non appena il Conte D’Harmòn ebbe chiuso la porta della saletta privata in cui l’aveva condotta, Lady Sarah lo aggredì come una furia:

“Come avete osato? Come avete osato far credere a tutti che… che…”

“… Che arda dal desiderio di baciarvi?” terminò lui la frase, con un sorriso divertito.

“Non intendevo questo” rispose lei, secca.

“Che desideri disperatamente far l’amore con voi?” ritentò lui, ancora più divertito.

“Oh, siete insopportabile!” proruppe lei, più infuriata di prima.

“E voi siete deliziosa quando vi arrabbiate!”

Era vero: era assolutamente deliziosa. Deliziosa, incantevole e molto seducente. André la osservò lentamente, trattenendo a fatica il desiderio di fare entrambe le cose che aveva appena suggerito. Ma non era quello il momento e, soprattutto, avrebbe dovuto desiderarlo anche lei.

“Perché non vi mettete comoda e vi gustate il vostro irrinunciabile tè, godendo della mia compagnia?”

“Perché io ero già in buona compagnia, e non avevo alcuna intenzione di trascorrere del tempo con voi.”

“Oh, questo l’avevo capito…” disse lui flemmatico mentre, avvicinatosi al tavolino su cui si trovava il servizio da tè e la teiera, iniziava a preparare due tazze d’infuso caldo.

Lady Sarah lo osservò versare il tè e, ancora una volta, si sorprese dell’eleganza dei suoi gesti, della naturalezza dei suoi modi, anche mentre svolgeva un compito più adatto ad una cameriera che ad un nobile bello come il peccato. Prima di iniziare a servire si era tolto la giacca ed era rimasto in camicia: lei osservò le sue mani, lunghe, perfette… senza rendersene neppure conto immaginò quelle mani su di sé e si sentì rimescolare tutta.

“Dove siamo?” chiese, guardandosi attorno, per placare le sue emozioni. Le era sembrato strano che si togliesse la giacca.

“Nel mio salotto privato” rispose lui, continuando imperturbabile a servire il tè.

“Che cosa?” sbottò lei, ancora più arrabbiata. Oh, dannazione a lui! Quell’uomo era di una sfacciataggine inaudita!

Forse è per questo che ti piace tanto…” le suggerì una vocina interna.

Non mi piace affatto!” cercò di tacitarla lei. Ma era inutile, lo sapeva perfettamente. Altrimenti per quale motivo aveva fatto il possibile per sfuggirgli, in quelle settimane? Per quale motivo si era imposta tanto fermamente di non pensare al bacio che le aveva dato?

“Mi avete tenuto alla larga per settimane perché preferite la compagnia di Von Webb, oppure perché temete che non mantenga fede al mio giuramento?” la voce del Conte la riscosse dai suoi pensieri e le ricordò, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanto lui fosse acuto. Quanto sapesse leggerle nel pensiero.

“Sapete perfettamente perché devo intrattenermi con il Conte Von Webb…”

“Oh, certo. Ma so anche che, per lo stesso motivo, dovreste ‘intrattenervi’ anche con me. Invece sono settimane che mi ignorate, persino quando tento di parlarvi. Da quando vi ho baciato…”

“Preferirei dimenticare quell’episodio.”

“E perché mai? Quel bacio è stato tanto brutto? Io non lo ricordo così…” replicò divertito lui. Aveva appena scoperto quanto era bella, imbronciata, e quanto gli piacesse vederla così e aveva deciso di approfittarne ancora un po’.

Nel frattempo le aveva servito il tè, i dolci e le tartine che aveva fatto preparare appositamente per lei, ricordando alla perfezione i suoi gusti, e lei lo stava guardando sorpresa, quando si era accorta che i piatti contenevano tutti i tipi di leccornie che preferiva.

“E’ di vostro gradimento?” chiese con un sorriso dolce.

Alla fine si vide costretta a cedere: “Sì, grazie. E’ tutto perfetto”, rispose con un abbozzo di sorriso anche lei.

“Mi fa piacere sapere che almeno per il tè so soddisfare i vostri gusti” la stuzzicò di nuovo lui, appoggiandosi placidamente alla spalliera della poltrona di fronte a lei e stendendo le sue lunghe gambe, con aria perfettamente rilassata. La guardò intensamente al di sopra della tazza, mentre sorbiva con molta calma il suo tè; studiò l’effetto che le sue parole fecero su di lei e sorrise dentro di sé: lo sguardo che Lady Sarah gli stava rivolgendo in quel momento, mentre anche lei si portava alle labbra la tazza, era molto eloquente... e non lasciava dubbi sul fatto che fosse stato in grado di soddisfare i suoi gusti anche in fatto di baci. Era certo che quel bacio che le aveva dato l’avesse sconvolta, altrimenti non l’avrebbe sfuggito come aveva fatto. Del resto era stato così anche per lui. Persino in quel momento, ripensandoci, era in grado di riassaporare con la mente le sue labbra morbide che si schiudevano per lui e il contatto dolce e leggermente erotico delle loro lingue…

“Perché mi avete condotta qui, Conte?” questa volta fu lei a distoglierlo dai suoi pensieri.

“Devo parlarvi.”

“Riguardo a Sua Maestà?”

“Sì.”

“E’ successo qualcosa?” domandò Lady Sarah, preoccupata.

“Robert ha intercettato una lettera della Battyàny… La duchessa non sa che è il mio segretario e lo ha visto passare dalle parti dei suoi appartamenti mentre si stava occupando di una faccenda per conto mio… lo ha chiamato, credendo che fosse un servitore qualunque, pregandolo di portare una lettera in un punto ben preciso delle scuderie. Un luogo particolarmente nascosto… segreto, se così vogliamo definirlo.”.

“E…?” domandò incuriosita lei, smettendo addirittura di mangiare le sue tartine preferite, presa com’era dal racconto del Conte. Lui sorrise, vendendola tanto interessata e scoprendo in lei un altro aspetto che lo intrigava: Lady Sarah aveva una predilezione per i misteri. L’affascinavano, quasi allo stesso modo di quanto l’affascinava il cibo. André non aveva mai visto una dama a corte mangiare con tale appetito qualsiasi manicaretto come faceva lei, pur restando tanto snella. Di solito tutte le altre donne, per prima l’Imperatrice, erano ossessionate dalla linea anche se, pur nutrendosi come uccellini, la maggior parte sfiguravano al confronto con Lady Sarah. Invece lei gustava ogni cosa, dal cibo, ad una galoppata, perfino un duello di scherma, con la stessa intensità… Milady era una donna che assaporava in pieno la vita, qualunque cosa potesse offrirle. Se si abbandonava all’amore con il medesimo entusiasmo che metteva per indagare su un mistero o per qualunque altra cosa affrontasse, chissà come sarebbe stata appassionata?

“Avete scoperto qualcosa, Conte?” chiese di nuovo lei, infastidita dal fatto che, invece di continuare, era rimasto soprappensiero. Aveva osservato i suoi occhi, mutevoli come il cielo, incupirsi improvvisamente, e aveva temuto che avesse brutte notizie. E voleva saperle subito.

Mai avrebbe immaginato che il colore degli occhi di André D’Harmòn si fosse scurito mentre pensava a lei tra le sue braccia, intensa e appassionata, in una folle notte d’amore…

“Qualcosa?... Ah, sì! O meglio, no… ho letto la lettera della Duchessa, ma non sappiamo a chi fosse indirizzata” rispose lui, finalmente.

“Nessun destinatario, ovviamente” dedusse lei. “E cosa c’era scritto?” chiese poi, di nuovo.

“Poche righe: accennava brevemente al fatto che il piano numero uno era fallito e chiedeva se doveva procedere con il piano due.”

“Quindi si tratta di un piano… e la Duchessa è coinvolta, come sospettavo” disse Lady Sarah, pensierosa: si era alzata e ora camminava lentamente avanti e indietro per la stanza, con l’aria di chi riflette spesso a quel modo.

“In effetti avevate ragione” le concesse il Conte.

Quell’osservazione interruppe per un breve istante la passeggiata riflessiva di Lady Sarah, la quale rivolse al Conte D’Harmòn un rapido sorriso, che lui ricambiò.

Poi, riprendendo a camminare, disse:

“Dovremo scoprire in qualche modo il destinatario della missiva. Voi chi credete che sia?”

André soppesò per un attimo le conseguenze che la sua risposta avrebbe avuto: lei si sarebbe potuta arrabbiare per i suoi sospetti. Avrebbe potuto pensare che concentrava i suoi dubbi su una certa persona solo per gelosia… ma infine decise di dirle quello che pensava, confidando nell’intelligenza di Milady.

“Von Webb.”

Lady Sarah non rispose immediatamente e sembrò riflettere con attenzione su quello che lui aveva detto. Poi, dopo alcuni minuti di silenzio, scandito solo dal lieve fruscio della seta dell’abito verde smeraldo che indossava e che ondeggiava ad ogni suo passo, rispose, voltandosi verso il Conte e scrutandolo negli occhi:

“Credo abbiate ragione.”

“Temevo mi avreste accusato di parlare così per gelosia” confessò André, piacevolmente sorpreso dalla sua risposta.

“Lo so. L’ho capito dalla vostra esitazione di poco prima…” ammise lei, con un lieve sorriso, “e vi ringrazio, Conte, per averlo comunque detto. Per non aver insultato la mia intelligenza sottovalutando la mia capacità di discernimento… qualunque altro uomo non sarebbe stato altrettanto schietto.”.

“Per quale motivo anche voi siete del mio stesso parere?” domandò lui, compiaciuto d’aver agito nella maniera giusta con lei.

“Il Conte Von Webb mi ha fatto diverse domande su chi ritenessi avesse potuto lasciare quel libro aperto sullo scrittoio di Sua Maestà e su come l’Imperatrice si sentiva ora… non sono state tanto le domande a farmi insospettire e diffidare di lui, quanto il tono e l’interesse eccessivo… neppure l’Arciduchessa Sofia, o lo stesso Imperatore, pur indagando, mi hanno rivolto tante domande. E questo pomeriggio, prima che voi… prima che voi…”

“… prima che io vi rapissi?” suggerì lui, con tono sornione.

“Prima che voi mi rapiste davanti a tutti” sottolineò lei, con lo stesso tono divertito, “il Conte mi stava domandando di nuovo del morale di Sua Maestà e se fosse ancora turbata dalle parole lette in quel libro. E sembrava quasi… come dire? Sembrava quasi sbalordito dal fatto che pareva che l’Imperatrice si fosse ripresa tanto bene dall’accaduto. Me lo stava domandando per l’ennesima volta proprio mentre siete arrivato voi a… rapirmi!” concluse con un sorriso.

“Allora ho fatto bene a portarvi via sul mio focoso destriero, principessa!” la schernì lui. “Vi ho risparmiato di morire di noia!” aggiunse divertito.

“Con voi, caro Conte, è davvero impossibile annoiarsi…”

Prima di rendersi conto di quello che aveva ammesso, le parole le erano sfuggite dalle labbra.

“Ho piacere che la pensiate così, Milady! Questo significa che non mi sfuggirete più?” chiese lui, alzandosi e andandole vicino. Troppo vicino.

“Solo se vi comporterete da gentiluomo…” rispose lei, turbata come sempre dalla sua vicinanza. “E se manterrete fede al vostro patto.”.

“Quello che mi state chiedendo è un sacrificio davvero grande…” disse lui, fissandola negli occhi e sfiorandole delicatamente una guancia. Poi, prese una decisione e tentò il tutto per tutto: “… ma sono disposto a fare il possibile per accontentarvi, se voi accontenterete me.”.

“E come dovrei accontentarvi?” chiese lei, sospettosa.

“Promettete di battervi ancora in duello con me” disse lui, prendendole una mano e portandosela alle labbra.

Al solo contatto della sua bocca, Lady Sarah sentì un brivido percorrerle la schiena. Duellare ancora con André D’Harmòn? Quell’uomo la voleva far morire… morire d’amore per lui.

“D’accordo, Conte” acconsentì, “ma solo se voi promettete che mi accompagnerete di nuovo in una galoppata tra i boschi.” Se doveva morire d’amore per il bel francese, tanto valeva godersi la vita fino in fondo!

A quella risposta lui scoppiò in una fragorosa risata:

“Sul mio onore, Milady, voi siete la donna più sorprendente che io abbia mai conosciuto, e vi adoro per questo!”

 

 

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Capitolo 17
*** Scherzare col fuoco ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XVII

Scherzare col fuoco



Lady Sarah sapeva che il tempo scarseggiava. Il suo sesto senso le diceva che l’assassino avrebbe presto colpito, ed ora che aveva apertamente parlato dei suoi sospetti su Von Webb era giunto il momento di passare all’azione. Non poteva e non doveva attendere oltre, n’andava della vita della sua protetta; perciò aveva elaborato un piano che prevedeva quello che aveva temuto sin dall’inizio. Ma faceva parte del suo lavoro.

Tornò nel salotto dove si teneva il tè dell’Imperatrice, sperando che gli invitati, in particolar modo un invitato, non se ne fossero andati.

Fu fortunata.

Il piccolo ricevimento era ancora in pieno svolgimento, anzi Sua Maestà si era seduta al piano e stava suonando melodie tratte dal suo personale repertorio, mentre gli invitati erano impegnati chi nell’ascolto, chi in conversazioni mondane.

Lady Sarah fece il suo ingresso in maniera discreta, ma non abbastanza da impedire al Conte Von Webb di notarla ed esserle immediatamente accanto.

“Milady” la salutò.

“Conte, come vedete sono tornata” rispose lei sorridendogli seducente.

“Auspicavo un vostro ritorno. Da quando avete lasciato questo piccolo consesso è come se il sole avesse abbandonato il salotto.”

La dama si nascose dietro al ventaglio piumato: “Conte voi mi confondete”. Ma i suoi occhi lasciavano intendere tutt’altro.

Lui la condusse in un angolo appartato del salottino, quel tanto che bastava per essere al riparo da occhi ed orecchie indiscreti.

“Perché il Conte D’Harmòn vi ha sottratta alla mia compagnia?” domandò inquisitore.

“Voleva solo raccontarmi le ultime…” Lasciò in sospeso lei. Poi soggiunse: “Caro, caro Klaus, ma perché dobbiamo parlare di D’Harmòn? Ora sono qui, con voi, e non intendo abbandonare la vostra compagnia per nulla al mondo.”

“Milady, mia dolce Milady” le sussurrò il Conte bavarese prendendo le sue mani fra le proprie. “Voi mi avete rubato il cuore.”

Ora o mai più. Batti il ferro finché è caldo” si disse Lady Sarah.

“Anche voi Conte, sin dal nostro primo incontro. Dacché vi vidi non ho fatto altro che pensare a voi” disse con un filo di voce e dando al proprio tono un’inflessione passionale ma al tempo stesso timida, come di chi abbia paura a svelare completamente i sentimenti che esplodono in petto.

“Non dite una parola di più Milady” la tacitò l’uomo.

“Non avrei dovuto dirvi quelle cose Conte” disse affranta Lady Sarah. “Voi siete un uomo sposato e io ho scambiato le vostre parole d’amicizia per altro… perdonatemi” e finse di scappare via, ma lui la trattenne.

“Voglio vedervi da sola” affermò deciso il nobiluomo.

Lei sgranò gli occhi stupita, come di chi è incredulo davanti ad un repentino mutamento della sorte: “Dove mio caro? Dove?” chiese con apprensione, quasi non avesse fatto altro che sognare quel momento per tutto il tempo.

“Fra tre giorni vi convocherò nel mio studio” le disse il Conte.

“Tre giorni” sospirò la dama, “mi sembreranno un’eternità” e si allontanò da lui.


***



Erano quasi alla metà del diario, o almeno così supponeva l’Ammiraglio, eppure non vedeva segni di mutamento nei rapporti fra il Comandante e il Colonnello. Il dubbio s’insinuò in lui: che effettivamente quello che li univa fosse solo una semplice amicizia come avevano sempre detto loro?

Non poteva crederci, per il semplice motivo che, in cuor suo, era convinto che le cose stessero in ben altra maniera, a dispetto delle versioni fornite.

Volendo dare loro ad intendere che s’interessasse ai progressi della ricerca, fece in modo di capitare “per caso” in sala riunioni.

Alla vista del superiore, Harm e Mac scattarono sull’attenti.

“Riposo, Signori. Come procede il caso?” chiese scrutando ogni singolo battito di ciglia dei due.

“Molto bene, Signore” rispose Mac. “Abbiamo trovato alcuni appunti personali dell’Ammiraglio Blackbird nonché alcune lettere alla moglie, Mrs. Valerie Sanford Blackbird, dalle quali traspare un qualcosa circa la rocambolesca fuga di cui ci ha parlato nell’assegnarci l’incarico. Purtroppo ancora non abbiamo trovato il diario di bordo della ‘Medea’.”

Chegwidden annuì; poi, apparentemente saltando di palo in frasca, si rivolse ad Harm: “L’ho cercata alcune sere fa, Comandante, a casa sua. Volevo parlarle del caso Cresswell, il Tenente Roberts mi ha chiesto lumi quando lei era già andato via dallo JAG”.

“Io e il Colonnello ci siamo… aehm… riuniti per continuare il lavoro.”

“Spero che la vostra ‘riunione’ abbia dato i frutti sperati.”

Harm e Mac si scambiarono uno sguardo complice e anche questo non sfuggì all’occhio lungo dell’Ammiraglio.

“Sì, Signore. Abbiamo fatto dei passi in avanti” confermò Mac.

“Enormi passi in avanti” aggiunse con enfasi Harm.

“Ammiraglio, il Comandante esagera come suo solito. Enormi non è la parola più adatta. Direi piuttosto qualche progresso.”

“Smetterete mai di essere sempre in disaccordo su ogni cosa?” chiese Chegwidden leggermente divertito da quella schermaglia.

“Sì Signore.”

“No Signore”, risposero in coro il Comandante e il Colonnello.

AJ uscì dalla sala riunioni augurando ai due ufficiali di terminare in fretta il loro lavoro.

“Non posso continuare ancora per molto senza il vostro apporto, per cui sbrigatevi a mettere le cose a posto” osservò burbero come al solito.

Quando il superiore se ne fu andato, Harm e Mac si guardarono stupiti.

“Tu pensi che sappia del diario?” chiese Mac.

“No” negò con fermezza Harm. Ammettere il contrario sarebbe equivalso ad ammettere che Chegwidden di proposito aveva deciso di metterli davanti ai loro sentimenti utilizzando il diario come strumento. Non era possibile che sapesse così tanto su di loro!

E invece AJ sapeva, eccome se sapeva!

Ancora lo scopo non era stato raggiunto, ma sospettava che quell’innocuo quaderno rilegato in pelle avesse portato non poco scompiglio nei cuori del Colonnello e del Comandante. Le occhiate che si erano scambiati e l’insolita vicinanza fra loro parlavano da sé.

Non riteneva che si fossero già parlati, anzi dal loro generale atteggiamento era convinto che fossero ancora ben lontani dall’aver chiarito ogni cosa, ma riteneva che a poco a poco, il Destino, grazie anche al suo intervento, avrebbe ricondotto tutto sui giusti binari.

Dopo circa un’ora il religioso silenzio dell’austera sala riunioni fu rotto da un’esclamazione di gioia di Mac. Si alzò e corse fuori in direzione della kitchenette dove Harm si era recato cinque minuti prima per farsi un caffè con Sturgis.

Fortunatamente lo trovò solo.

“Harm!” esclamò giubilante. “Ho trovato qualcosa di molto interessante” e gli sventolò sotto il naso una mappa ingiallita e consunta dal tempo.

Lui l’afferrò e la lesse. Poi alzò gli occhi verso la collega: “Ma questa è…”

“E’ la rotta della ‘Medea’ da Marsiglia a Southampton e da Southampton a Boston, datata 1857” completò lei esultante.

“E se metti insieme questa mappa con le lettere inviate alla moglie…” aggiunse Mac.

“… abbiamo la prova concreta che la storia del Conte e di Milady è vera! Brava Mac!” si complimentò prendendola per la vita e quasi sollevandola da terra.

Istintivamente lei gli cinse il collo con le braccia e si ritrovarono così, con gli sguardi inchiodati e i volti pericolosamente vicini. Mac sentiva il cuore che batteva come un forsennato, udiva il rombo del sangue che urlava nelle vene, sentiva le tempie batterle, il tremito delle gambe e aveva una gran voglia di…

fare l’amore con lui”.

Il pensiero si formò nella mente prima che avesse il tempo di bloccarlo. Arrossì di colpo e si sciolse dall’abbraccio.

“Non ho compiuto questo gran miracolo” disse, cercando di darsi un contegno. “La mappa era nello scatolone numero 3. Avremmo finito col trovarla prima o poi. E inoltre non prova ancora nulla. Conferma solo che l’Ammiraglio Blackbird, tra la fine del 1856 e il 1857, si trovava in Europa.”

Harm era ancora un po’ trasecolato dalle emozioni provate meno di due minuti prima. Mac gli faceva un effetto devastante, gli bastava sfiorarla per desiderarla da impazzire. L’avrebbe voluta in quell’angusto locale, fra bricchi di caffè, tè, fiocchi di cereali, biscotti, zucchero e cibarie di vario genere. Ma si rendeva conto che i tempi non erano ancora maturi, prima di tutto doveva prendersi una piccola rivincita e poi… “Poi ti sorprenderò Sarah Mackenzie” si disse.

“E’ vero, dobbiamo ancora collegare l’Ammiraglio al conte e lady Sarah, ad ogni modo questa mappa è un grande passo avanti…” ammise Harm; poi si avvicinò e, sfiorandole il collo con un bacio invisibile, le sussurrò: “… e tu sei sempre il mio Marine preferito”. Quindi uscì, lasciandola con la sensazione che la terra le fosse d’improvviso mancata da sotto i piedi.

Mac si appoggiò al bancone dove erano messe in bell’ordine le tazze del caffè del personale dello JAG.

Le girava la testa.

Avrebbe voluto rincorrere Harm fuori dalla kitchenette, abbracciarlo e baciarlo davanti all’intero staff, e dirgli tutto.

Tutto?

Sì tutto” mormorò alla confezione di tè verde di Harriett.

Tuttavia non fece niente di tutto questo. Una volta di più la paura di essere rifiutata, nonostante il suo comportamento nelle sere precedenti avesse lasciato intendere il contrario, prese il sopravvento. Pertanto si limitò ad ingollare d’un sorso un bicchiere d’acqua fresca, a desiderare ardentemente un calmante e a tornare in sala riunioni con la mappa dell’Ammiraglio in mano.



***

Durante quei tre giorni Lady Sarah aveva fatto di tutto per non pensare a cosa l’aspettava una volta alla mercé del Conte. Si era buttata con entusiasmo nei preparativi per il ballo di Natale incaricandosi delle decorazioni del salone e dei regali destinati agli invitati. Avrebbe voluto prendere l’iniziativa e scegliere personalmente un piccolo dono da offrire al Conte D’Harmòn, ma poi aveva deciso che era meglio lasciare questo incombente all’Imperatrice, pertanto si era limitata a fornire solo dei suggerimenti sull’oggetto più adatto al nobiluomo francese.

André” sospirò guardandosi allo specchio. Attendeva da un momento all’altro la chiamata da parte di Von Webb e aveva sfruttato quel lasso di tempo per rendersi più bella e desiderabile che mai.

Indossava un abito davvero poco consono sia all’ora (era metà mattina) sia al decoro, acquistato in una boutique di Parigi all’inizio dell’anno. Una boutique alquanto particolare quella di Madame Gèròme… lisciò le pieghe dell’abito di velluto color blu notte dai riflessi quasi violacei e sistemò la scollatura a baldacchino che a malapena conteneva il seno abbondante.

Di solito non indossava gioielli, ma per l’occasione aveva fatto un’eccezione e si era cinta il collo con un collarino di velluto dello stesso colore del vestito dal quale pendeva un solo diamante a goccia. I capelli erano raccolti in un morbidissimo chignon e al Conte Von Webb sarebbe stato sufficiente sfilare il prezioso fermaglio di diamanti e zaffiri per godere delle chiome di Milady.

Quel pensiero le riportò alla mente la cavalcata con André di qualche giorno prima. Anche lui aveva affondato le mani nella sua folta capigliatura ma le sensazioni che aveva provato allora erano state molto diverse dai sentimenti di adesso…

Scacciò dalla mente il volto del francese, le causava troppa sofferenza e si aggiustò la biancheria intima di pizzi e di peccaminose sete francesi acquistati nella medesima boutique di Parigi da dove proveniva l’abito.

André” sussurrò come un bacio il nome del Conte, “spero mi possiate perdonare.”

Un discreto bussare alla porta l’avvisò che la convocazione era giunta. Raccolse lo scialle di pizzo di Burano ed uscì dalle proprie stanze.

Lavoro, lavoro, nient’altro che lavoro” continuava a ripetersi mentre seguiva il servitore dell’aiutante di campo dell’Imperatore. Ma mai come questa volta l’adempimento del proprio dovere le era pesato tanto.

Von Webb attendeva con impazienza l’arrivo di Lady Sarah nel suo studio privato, in un’ala del castello molto lontana dalla stanza che occupava di norma. Voleva essere ben certo che l’Imperatore non lo chiamasse nel bel mezzo di… Sorrise con aria da squalo mentre un fremito d’eccitazione lo pervadeva.

La porta si scostò di pochi centimetri e Lady Sarah, silenziosa come una pantera, fece il suo ingresso.

“Milady, siete una visione” si complimentò il Conte andandole incontro e abbracciandola in maniera che sarebbe stata giudicata sconveniente.

André perdonatemi” pensò un’ultima volta lei mentre sorrideva seducente al bavarese.

“Ho contato le ore e i minuti che ancora mi separavano da voi, Klaus” disse poi in un sussurro sfiorando con un bacio le labbra di lui.

Il Conte perse del tutto la testa e il controllo delle proprie azioni.

Strinse Lady Sarah in un abbraccio da togliere il fiato e la baciò con prepotenza conducendo entrambi verso una chaiselongue appositamente sistemata per l’occasione.

La prese subito, non la spogliò nemmeno tant’era la bramosia di possederla.

Lady Sarah lo lasciò fare. Sentiva le mani del Conte su di sé, dappertutto. Sentì che le slacciava con prepotenza i bottoni che chiudevano la scollatura dell’abito, quasi strappandoli dalle asole per l’impazienza di posare le labbra sui suoi seni. Sentì la sua mano trovare il profondo spacco celato dalle spesse pieghe della gonna e risalire fino alla pelle delle cosce non coperta dagli austeri mutandoni in uso presso le dame perbene. E poi lo sentì dentro di sé.

Era disgustata, schifata da quell’animale che le stava sopra e che faceva l’amore con lei senza il minimo rispetto per la sua persona, per i suoi sentimenti, per la sua intelligenza di donna, nondimeno finse di assecondarlo.

Quando tutto ebbe termine si rassettò l’abito e si mise a sedere, il viso arrossato e i capelli sciolti.

“Non vi credevo così appassionata e scandalosamente seducente Milady” osservò lui rimettendosi a posto la camicia e infilandosi la giacca della divisa.

“Forse perché non ho trovato mai l’uomo giusto con cui esserlo” ribatté civettuola e falsamente soddisfatta dell’amplesso.

Von Webb si sedette accanto e le offrì una coppa di champagne: “Brindiamo alla nostra nuova amicizia” disse lanciando un lungo sguardo provocatorio alla dama. “E’ francese, della mia riserva migliore, spero lo gradirà” concluse beffardamente.

“Non amo troppo le bevande francesi e giudico i francesi in generale un po’ troppo intriganti per i miei gusti” lo assecondò lei, bevendo dalla coppa dopo averla intrecciata con quella di lui.

In realtà il cuore di Lady Sarah sanguinava. Si sentiva come se avesse tradito qualcuno a lei molto caro. Ma chi?

Hai tradito te stessa e i tuoi sentimenti sull’altare del cinismo, Sarah Jane Montagu” le suggerì la voce della coscienza.

La ignorò e si dedicò al Conte.

Bevvero un secondo bicchiere e il nobiluomo si sciolse ancor di più, pur sapendo quale fosse la missione che aveva condotto Milady a Corte. Lei intuì questo suo stato d’animo e se n’approfittò.

Apparendo non ancora paga di quanto era accaduto fra di loro poco tempo addietro, si strusciò contro Von Webb: “Conte avete vinto la partita. Non credete che anche io abbia diritto al mio premio?” fece le fusa come una gatta in calore.

“Mia cara, l’avete avuto eccome il premio” ribatté lascivo.

“Intendevo un altro genere di premio” continuò Lady Sarah sporgendosi e mostrando ancora di più il décolleté.

Von Webb bevve ancora dello champagne. “Perché no?” si disse. Dopotutto lei aveva ragione, aveva vinto soffiandola da sotto il naso a quel bellimbusto cascamorto di un francese.

“Ebbene io so chi ha messo quel libro infamante sullo scrittoio di Sua Maestà” rivelò.

“E chi è stato?” domandò Lady Sarah accompagnando la richiesta con un movimento che scoprì una porzione di gamba dallo spacco della gonna.

Il Conte allungò la mano ma lei lo fermò decisa: “Adesso è il mio turno, Klaus” disse con un sorriso provocante che lasciava intendere altre delizie se lui si fosse confidato con lei.

“E’ stata la Duchessa Battyàny” ammise lui con voce roca.

“Come fate a saperlo?”

“L’ho vista che sottraeva quel libro dalla biblioteca, l’ho seguita e…”

“E?” lo incoraggiò lei scoprendo ancora di più la gamba.

“Ho notato che entrava furtiva nello studio privato dell’Imperatrice e posava il libro sullo scrittoio.”

“Perché pensate che l’abbia fatto?”

“L’Imperatore ha fatto fucilare il Duca Battyàny dopo i moti ungheresi del 1848 e la Duchessa è una donna vendicativa.”

“Perché non l’avete detto a Sua Maestà?”

“L’Imperatrice espresse il desiderio che non giungesse alcuna voce alle orecchie dell’augusto consorte.”

“Come potete essere a conoscenza di questo?” chiese stupita Lady Sarah. “Quella mattina l’Imperatrice si confidò con me sola.”.

“Mia adorata” le rispose Von Webb avvicinandosi, “sono molto potente a Corte, ho occhi e orecchie dappertutto, anche nei luoghi più segreti di questo Palazzo.”

“Ora li avete su di me, Klaus” rispose invitante Lady Sarah allungandosi nuovamente sulla chaiselongue.



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Capitolo 18
*** Dubbi ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XVIII

Dubbi



Era appena uscita dagli appartamenti dell’Imperatrice e si stava dirigendo nel proprio quando, all’improvviso, si sentì afferrare e due braccia forti l’attirarono in una delle piccole sale in cui erano solite trovarsi le dame di corte quando non erano ritirate nelle proprie stanze o non si trovavano assieme a Sua Maestà.

“Ma chi…” prima di riuscire a terminare la frase, una mano si posò sulla sua bocca, impedendole di parlare.

“Non urlate, vi prego… sono io” sentì una voce familiare sussurrarle all’orecchio. Il brivido che il suo corpo le trasmise, improvviso e violento, le fece comprendere, prima ancora d’averlo visto o averne riconosciuto la voce, che l’uomo che la stava stringendo era il Conte D’Harmòn.

Divincolandosi si voltò verso di lui, con gli occhi che mandavano lampi.

“Lasciatemi!” disse secca, quasi infastidita dalla sua presenza.

André D’Harmòn immediatamente la lasciò andare, sorpreso da quel tono brusco. Cinque giorni prima, dopo aver conversato piacevolmente con lei davanti ad una tazza di tè, si erano lasciati con la promessa che si sarebbero rivisti presto per un “duello” d’allenamento o una cavalcata, eppure lei non si era più fatta viva.

Era tutto il giorno che fremeva dalla voglia di vederla, di parlarle, di sfiorarla… voleva metterla alle strette e fissare con lei un appuntamento per l’indomani mattina, ma per tutto il giorno gli era sfuggita di nuovo. Allora aveva atteso che si accomiatasse dall’Imperatrice prima di ritirarsi nelle sue stanze per la notte, per riuscire a parlarle in privato. Sapeva che probabilmente l’avrebbe spaventata sorprendendola a quel modo e a quell’ora tarda, ma non si aspettava quella reazione eccessiva.

“Volevo parlarvi…” si accinse a dirle, quasi scusandosi per averla fatta spaventare. Ma lei lo bloccò immediatamente.

“E non potevate farlo come tutti di giorno?” domandò arrabbiata.

Lui la osservò meglio e intuì che in quei pochi giorni, da quando si era intrattenuto con lei in privato per il tè del pomeriggio, doveva essere cambiato qualcosa. Ma cosa?

“L’avrei fatto, se voi me ne aveste dato la possibilità…” rispose freddo.

“Bastava che domandaste” continuò lei, piccata.

“Cosa vi succede? Siete strana. Siete diversa da qualche giorno fa…”, sussurrò dolcemente lui, cambiando tattica. Tentò di prenderle la mano, per portarsela alle labbra, ma lei si ritrasse, quasi non riuscisse a tollerare neppure l’idea di un contatto con lui.

André provò una fitta al cuore.

Lady Sarah si scostò dal Conte, turbata dalla sua presenza più di quanto volesse ammettere a se stessa. Da due giorni non faceva altro che pensare a quello che si era vista costretta a fare per ottenere informazioni preziose, tuttavia la parte peggiore era stata fatta; adesso non restava che indurre la Duchessa Battyàny a confermare il malfatto e a confessare. Lady Sarah n’era certa: la donna ungherese non poteva aver architettato ogni cosa da sola e soltanto per vendetta. Cosa c'entrava l’Imperatrice con i suoi rancori personali? All’epoca dei fatti era poco più che una neonata, semmai l’odio della Duchessa avrebbe dovuto indirizzarsi verso l’Imperatore, diretto responsabile della morte del marito, o al più, nei confronti dell’Arciduchessa Sofia. Anche se era plausibile che se la prendesse con Sissi, del resto cosa c’è di più terrificante che perdere la persona che si ama?

Tuttavia, nelle “confidenze” di Von Webb c’era qualcosa che non quadrava. Milady conosceva abbastanza bene la Duchessa e per quanto potesse essere una persona intelligente, non poteva davvero aver agito da sola. E tutto per una banalissima ragione: il libello infamante non era nella biblioteca di Palazzo, ma in quella privata del Conte bavarese. Lady Sarah se l’era ricordato nel momento in cui lui le aveva “svelato” il complotto dicendole di aver sorpreso la dama ungherese mentre lo sottraeva dalla biblioteca dello Schonbrunn.

Si era recata diverse volte nello studio che il Conte occupava accanto a quello dell’Imperatore e, nelle attese che precedevano le riunioni, si era spesso soffermata ad ammirare la biblioteca privata del nobiluomo, sfogliandone anche qualche volume. E aveva notato proprio quel libro in bella mostra su uno degli scaffali più bassi.

Non avrebbe tentato la sorte per controllare che fosse stato rimesso al suo posto, sapeva che l’astuto Von Webb aveva già provveduto a cancellare ogni possibile traccia che lo riconducesse a lui. L’unica pista da percorrere rimaneva la Duchessa Battyàny. Pertanto con il pretesto di coinvolgerla negli ultimi preparativi del ballo, l’indomani l’avrebbe mandata a chiamare e l’avrebbe ricevuta nei suoi appartamenti, sperando di riuscire a farla confessare.

In realtà Lady Sarah avrebbe preferito vedere la Duchessa altrove, magari in un luogo dove anche il Conte D’Harmòn avesse potuto ascoltare la loro conversazione, ma per fare ciò avrebbe dovuto parlare con lui, spiegargli come mai intendeva far parlar la Duchessa… e lui le avrebbe certamente rivolto delle domande alle quali non aveva alcuna intenzione di rispondere. Lui di certo non avrebbe creduto alla semplice intuizione: a quella aveva già dato ascolto, quando le aveva rivelato d’aver indagato sulla Battyàny seguendo il suo suggerimento. Le nuove informazioni cui era entrata in possesso l’avrebbero insospettito e l’avrebbe messa con le spalle al muro, ne era sicura. Lo conosceva, ormai, e aveva capito con che genere d’uomo aveva a che fare: un uomo molto intuitivo e intelligente, oltre che affascinante. L’unico uomo che sarebbe stata in grado di amare, se solo la sua vita fosse stata meno complicata… L’unico uomo che era riuscito a trasmetterle il brivido della passione semplicemente guardandola o sfiorandola… l’unico uomo dal quale, da quel momento in poi, proprio per i sentimenti che le faceva provare, sarebbe dovuta stare il più possibile alla larga, per riuscire a concentrarsi sulla sua missione.

Si è trattato di lavoro, nient’altro che lavoro, continuava a ripetersi da due giorni. Eppure da due giorni a quella parte gli occhi di André D’Harmòn non l’avevano lasciata in pace per un solo istante. Ecco perché doveva fare il possibile per levarselo dal cuore.

Dopo che aveva lasciato Von Webb aveva sentito la necessità impellente di calarsi in una tinozza d’acqua bollente per disinfettarsi. Il termine le era apparso più che appropriato, il contatto intimo con Von Webb l’aveva fatta sentire sporca, infetta. Non che l’uomo fosse di sgradevole aspetto, tutt’altro, ma era lei ad essere cambiata anche se ancora non se ne rendeva pienamente conto.

Aveva trascorso quasi un’ora a mollo spazzolando vigorosamente corpo e capelli ed era uscita dal bagno con la sensazione di essersi lasciata alle spalle la sporcizia, anche se il senso di fastidio non se ne era andato. Contava, tuttavia, sul fatto che, avuta la preda, il Conte Von Webb non le avrebbe fatto altre avances. O così sperava.

Quando si era sentita afferrare all’improvviso, aveva temuto che fosse Klaus Von Webb e la sola idea che lui la possedesse di nuovo le aveva fatto contrarre la bocca dello stomaco in uno sgradevole senso di nausea. Però, quando s’era accorta che l’uomo che la stava stringendo non era Von Webb ma André D’Harmon, si era sentita peggio… Se aveva ancora bisogno di un segnale perché il suo cuore finalmente ammettesse che si era innamorata del bel Conte, lo aveva appena avuto. Non appena aveva riconosciuto la sua voce, o meglio il fremito che il contatto dei loro corpi le procurava ogni volta, il suo cuore si era come spezzato in due, lasciandola affranta.

Non poteva più vederlo… non poteva più parlargli… era troppo doloroso. Se lo doveva togliere dalla testa. Se lo doveva strappare dal cuore.

“Cosa vi sta succedendo, Milady?” chiese di nuovo lui dolcemente, turbato dal silenzio che ostentava e dall’espressione che leggeva nei suoi splendidi occhi.

“Nulla. Non mi succede nulla, Conte. Mi avete solo spaventata…” si risolse finalmente a rispondergli, cercando di assumere un tono più dolce, per evitare di insospettirlo.

“Vi chiedo perdono, Lady Sarah” la interruppe lui, “ma desideravo fissare con voi il nostro appuntamento… ricordate le nostre promesse dell’altro giorno? Il duello e la cavalcata?”

Stava incominciando a sentirsi un imbecille ad elemosinare così la sua attenzione, ma non poteva farne a meno… desiderava troppo trascorrere del tempo con lei. Scrutandola attentamente, tuttavia, si rendeva conto che lei era realmente cambiata, in quei pochi giorni. Era accaduto davvero qualcosa. Qualcosa che gliela stava allontanando…

“Mi spiace, Conte, ma non posso. Domattina proprio non posso”, stava rispondendo Milady, quasi ad immediata conferma dei suoi dubbi.

“Non potete? Come mai?”

“Devo vedere la Duchessa Battyàny… per… per decidere gli ultimi preparativi per il ballo…” rispose Lady Sarah. Aveva deciso di dirgli parte della verità, per evitare altre domande. Ma commise l’errore di distogliere lo sguardo da quegli occhi blu che la facevano impazzire e che la stavano tormentando da due giorni.

Errore che lui notò subito.

“Ditemi la verità: nutrite altri sospetti? Avete in mente qualcosa?”

“Nulla, Conte… semplicemente… semplicemente devo vederla per definire gli ultimi dettagli…”

“State mentendo, Milady” disse secco lui.

“Voi mi offendete, Conte, con le vostre insinuazioni” cercò di replicare lei, per farlo tornare sui suoi passi. Ma D’Harmòn non era il classico damerino che poteva rimettere al suo posto semplicemente con un pizzico d’astuzia e di civetteria femminile. Il Conte era un uomo deciso, intelligente e, soprattutto, molto caparbio. Una volta fiutata una pista, non mollava tanto facilmente.

“Voi, cara Baronessa de Bellegarde, avete delle informazioni delle quali mi volete tenere all’oscuro e io non ne comprendo la ragione, dato che lavoriamo assieme. A meno che…” disse lui deciso, mentre un sospetto cominciava a farsi strada nella sua mente. Un sospetto al quale avrebbe preferito non pensare, ma che l’atteggiamento sfuggente di Milady purtroppo non faceva altro che confermare.

“A meno che” continuò quando vide che lei distoglieva di nuovo lo sguardo, “il motivo per il quale mi volete nascondere certe informazioni è perché vi chiederei come ne siete entrata in possesso…” azzardò infine, sperando che la sua ipotesi fosse completamente errata. Ma quando la vide impallidire, non ebbe più dubbi e sentì come se qualcuno gli stesse infilando un pugnale in pieno petto, dritto al cuore.

“State facendo delle supposizioni inutili, Conte…” tentò di ribattere lei, ma lui la bloccò immediatamente, prendendola per un braccio e attirandola violentemente contro di sé.

“Siete stata a letto con Von Webb, vero? E’ così che avete avuto certe informazioni?” domandò brusco, con lo sguardo di ghiaccio.

“Non vi permetto di insultarmi, Conte. Se e come ho avuto certe informazioni non è affare vostro. E ora lasciatemi!” disse lei fredda. S’impose la freddezza, se la impose a tutti i costi, trincerando il suo cuore dietro ad un muro di ghiaccio che aveva innalzato per resistergli. Ma era sempre più difficile: le sue braccia che la cingevano, il suo sguardo di fuoco e le sue labbra che le rivolgevano parole tanto sprezzanti rischiavano di sciogliere quel muro… Quelle labbra! Quanto desiderava averle ancora sulla sua bocca… dolci, tenere, appassionate…

Improvvisamente lui la lasciò andare e lei si sentì come persa.

D’Harmòn la guardò ancora per un attimo sprezzante, poi riprese il controllo di sé, tornando ad essere il nobiluomo educato e impeccabile. S’inchinò brevemente e disse con aria distaccata, quasi annoiata:

“Milady perdonate la mia insolenza. Vi assicuro che non vi importunerò più… E ora scusatemi…” e così dicendo si voltò, raggiunse la porta e uscì dalla stanza, lasciandola sola a struggersi dal desiderio di essere ancora tra le sue braccia e nel contempo a maledire il giorno in cui lo aveva incontrato.


***



16 Dicembre 1856



L’avrei uccisa. Avrei potuto ucciderla con le mie stesse mani, se non mi fossi allontanato da lei il prima possibile.

L’avrei uccisa, ma solamente dopo averla posseduta anch’io…

Non riesco a tollerare l’idea che sia stata di quell’uomo, che quel dannato libertino abbia potuto avere il suo corpo delizioso, quando io…

Quando io l’amo con tutto me stesso. Quando sono settimane che desidero poterla avere tra le mie braccia…

Perché?  Perché si è concessa a Von Webb?

E’ inutile che me lo confermi a parole: so che lo ha fatto. So che certe informazioni le ha ottenute solo concedendosi a quell’essere viscido e disgustoso. Quando gliel’ho domandato ha evitato di rispondere, nascondendosi dietro l’offesa che avessi potuto insinuare una cosa simile; ma il suo sguardo sfuggente mi ha rivelato quello che temevo di sapere.

Come ha potuto?  Non era necessario che  arrivasse a tanto per proteggere l’Imperatrice!

E se invece lo avesse fatto perché attratta e affascinata dal Conte?

No. Mi rifiuto di crederlo… ma allora devo pensare che lei sia una cortigiana, e della peggior specie?

Se è così, come posso amarla tanto?

Oh, che Iddio mi perdoni…  nonostante in questo momento mi senta come se avessi ricevuto una pugnalata in pieno petto, come se la lama di un coltello stesse trafiggendo lentamente il mio cuore… nonostante tutto io l’amo.

L’amo e la desidero ancora. Disperatamente.

 


***



“Lo sapevo!” esclamò Harm dopo aver terminato la lettura di quel passo del diario.

Erano in pausa pranzo e, approfittando della bella giornata, erano usciti in giardino per godere del sole tiepido e dell’aria insolitamente tersa. In quel momento sedevano l’uno accanto all’altra su un’assolata panchina, poco distanti da un enorme faggio che stormiva al leggero vento marzolino.

“Sapevi cosa?” domandò Mac.

“Che Lady Sarah non poteva essere innamorata del Conte! Tu e i tuoi discorsi sui mille significati di un bacio! Secondo te avrebbe fatto quel che ha fatto se l’avesse amato?”

“Harm, il Conte fa solo delle supposizioni, non c’è nulla che provi che lei abbia concesso le sue grazie all’aiutante di campo di Francesco Giuseppe.”.

“No, il Conte non fa supposizioni. Lui n’è certo.”.

“E tu come fai a saperlo? Gli leggi nella mente?”

“Non gli leggo nella mente, Mac, ma anch’io come lui credo che Lady Sarah non avrebbe potuto entrare in possesso di certe informazioni se non agendo in una sola maniera” concluse perentorio.

“E in ogni caso lei non è per nulla innamorata di lui” ripeté cocciuto. “Quando una donna ama un uomo non se ne va a spasso con un altro.”.

Mac scosse la testa: “Non è sempre vero quello che affermi” disse più a se stessa che a lui.

Harm, in piedi davanti a lei, non aggiunse nulla, ma tese le orecchie pensando che lei avrebbe dato un seguito a quella frase, ma Mac tacque.

Le forzò la mano: “Che cosa intendi dire?”

“Che una donna può essere innamorata di un uomo, ma stare con un altro per motivi che nemmeno lei sa spiegarsi. Magari ha paura che l’uomo in questione la rifiuti, magari teme i suoi stessi sentimenti, chi lo sa? Credo che Lady Sarah l’abbia fatto solo per dovere. C’è chi lo fa per paura e c’è chi lo fa per tentare una chance di felicità” rispose.

“Come con Brumby e con Webb?” domandò lui a bruciapelo.

“Non è di me che stiamo parlando, Harm” rispose Mac sentendosi con le spalle al muro.

Cercò di riportare il discorso su un piano più generale: “Devi distinguere i sentimenti che albergano nel suo cuore… Innanzi tutto non siamo certi che abbia ottenuto certe informazioni in cambio del suo corpo: è solo André D’Harmòn a supporlo. Ma se così fosse, perché ritieni che non sia innamorata del Conte francese? Solo perché si è concessa ad un altro? Io penso che, se davvero lo ha fatto, lo abbia fatto solo per portare a termine una missione. Pur amando il Conte D’Harmòn..."

Harm la guardò con espressione indecifrabile.

“Forse è meglio rientrare e riprendere il lavoro” propose Mac alzandosi e cominciando ad andare verso la palazzina.

Lui la raggiunse: “Non abbiamo ancora terminato il discorso” disse caparbio.

“Quale discorso? Non c’è nulla da aggiungere. Come al solito la pensiamo in maniera diametralmente opposta” replicò.

“E questo ti indispettisce vero Colonnello?” sorrise con un’aria da sberle.

“Non più di quanto indispettisca te, Comandante” rispose serafica Mac.

 

 

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Capitolo 19
*** Confessioni ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XIX

Confessioni



Quando la cameriera le consegnò il biglietto che in calce recava la firma della Baronessa de Bellegarde, la Duchessa Battyàny non sospettò alcunché.

Gradiva molto la compagnia della nobildonna francese, della quale amava il gusto squisito, la capacità di conversare in ungherese e la sua notevole cultura sulla storia, le tradizioni e le usanze della sua terra natia. Non solo ma, unica fra tutte le dame di corte, era rimasta, o almeno così sembrava, insensibile al fascino indiscusso del Conte D’Harmòn, nonostante lui le facesse una corte abbastanza serrata, sebbene discreta.

Si recò dunque, con animo lieto a quell’incontro, che si sarebbe svolto nell’appartamento della Baronessa.

Fu introdotta e si accomodò in una delle due poltroncine davanti ad un tavolino sul quale erano disposte due tazze ed un bricco di caffè fumante. Poco distanti alcuni biscotti di pasta frolla inducevano in tentazione con il loro fragrante profumo. Nell’aria un sottile sentore d’essenza alla vaniglia.

Non dovette attendere molto: la Baronessa de Bellegarde fece il suo ingresso indossando un abito di seta pesante color avorio, mirabile nella sua semplicità. Non un ricamo, non un velo o un pizzo lo adornavano: l’unico ricamo era quello del tessuto, un damascato leggermente più scuro. La Baronessa non indossava gioielli, non aveva un’elaborata pettinatura, anzi i capelli erano leggermente umidi e raccolti in modo quasi casuale.

Lady Sarah salutò la Duchessa Battyàny con calore: “Vogliate scusarmi, cara Duchessa, se vi ricevo in maniera così informale, ma vi considero un’amica per cui non ho voluto badare troppo al cerimoniale di corte” esordì.

L’altra donna, lusingata di tanta fiducia, si rilassò ancor di più.

“Sono onorata. Qui a Corte non è facile trovare così tanto calore umano in una dama di compagnia. Generalmente sono tutte troppo occupate a conservare i favori di Sua Maestà o ad acquisirne di nuovi, e a malignare sul prossimo per gettarlo nel discredito” rispose.

Lady Sarah si sedette di fronte alla dama ungherese e versò un po’ di caffè nella tazza dell’ospite prima e nella propria poi. La Duchessa si stupì di quel gesto, si sarebbe aspettata che la Baronessa chiamasse una cameriera. Lady Sarah sembrò leggerle nel pensiero: “Ho lasciato libera la servitù, amica mia, quello che ho da dirvi preferisco rimanga tra noi”.

Aggiunse dello zucchero al caffè e cominciò lentamente a girare il cucchiaino nella tazza.

La Duchessa Battyàny era non poco perplessa: si era aspettata un incontro mondano, ma l’espressione della Baronessa lasciava chiaramente intendere come avesse in animo di parlare d’altro.

“Mia cara amica” esordì la dama inglese, “purtroppo non posso nascondervi che oggi pomeriggio dovrò recarmi dall’Imperatore e riferirgli che siete stata voi a mettere un libro ingiurioso nello studio privato dell’Imperatrice. Libro che, come sapete, le ha arrecato gravi problemi di salute che ancora non si sono risolti.”

La nobildonna ungherese quasi rovesciò a terra la tazza con il caffè ancora fumante che stava per portare alle labbra: come faceva la Baronessa a sapere? Chi mai avrebbe potuto dirle una cosa così riservata? Nessuno era a conoscenza del suo gesto, tranne…

Il Conte Von Webb” pensò, “vile traditore, mi aveva promesso che nessuno avrebbe saputo nulla.

Lady Sarah aveva scelto l’approccio diretto perché in tal modo avrebbe potuto contare sull’effetto sorpresa della sua rivelazione, e c’era riuscita in pieno. Infatti, all’improvviso il colore era sparito dal viso della Duchessa Battyàny, nonostante lo spesso strato di belletto, e la donna sembrava invecchiata di colpo.

“Ebbene?” la incalzò Milady con assoluta calma olimpica.

L’altra posò la tazza sul tavolino e strinse le mani fino a farsi sbiancare le nocche. Si rendeva conto che Madame de Bellegarde non stava per nulla bluffando e non aveva altra possibilità se non raccontarle la verità. TUTTA la verità.

“Non recatevi dall’Imperatore o in ogni caso non rivelategli che sono stata io, Baronessa. Egli conosce il mio passato e non esiterebbe ad infliggermi una severa punizione.”

Ci potete scommettere i vostri smeraldi, cara Duchessa” pensò Lady Sarah, ma non una parola uscì dalle sue labbra. Rimase in silenzio in attesa del resto, che non tardò ad arrivare.

“E’ vero, sono stata io” ammise la dama ungherese, “ma l’ho fatto perché sono stata ricattata. Non lo nego, quando mio marito fu ucciso dagli austriaci provai odio per l’Imperatore, ma poi, con gli anni, mi sono resa conto che si era in tempo di guerra e che se gli ungheresi fossero stati al posto delle truppe austriache avrebbero agito nella stessa maniera. Sfortunatamente con la morte di mio marito mi furono confiscate tutte le proprietà e le ricchezze di famiglia, per cui io e mia figlia ci trovammo in gravi ristrettezze economiche. Fu così che venni contattata dal Conte Von Webb che aveva ricevuto incarico da parte di Sua Altezza Imperiale l’Arciduchessa Sofia di cercare una dama di compagnia ungherese da inserire nel seguito dell’Imperatrice. Nonostante non avessi denaro per sostenere il dispendioso tenore di vita qui a Vienna, possedevo i requisiti che l’Arciduchessa Sofia cercava. Entrai così nell’entourage delle dame ammesse alla presenza di Sua Maestà, e questo mio miglioramento fece sì che mi fossero restituire le terre confiscate e quello che restava del patrimonio di famiglia. La mia vita e quella di Emma, rimasta a Buda, mutò radicalmente. Ma il Conte Von Webb non fa mai nulla per nulla. La sua generosità aveva un prezzo e non ha esitato a riscuoterlo: mi ha ordinato di prendere quel libro dalla sua biblioteca privata e di farlo trovare all’Imperatrice. Se non avessi obbedito, avrebbe fatto in modo che a mia figlia capitasse un ‘incidente’ che non l’avrebbe lasciata in vita.”

La Duchessa Battyàny era sull’orlo delle lacrime quando concluse il racconto.

“Perché il Conte le ordinò di mettere quel libro sullo scrittoio di Sua Maestà?”

“Non me lo spiego, ma io credo di saperne il motivo.”

“Sono tutt’orecchi, Duchessa” replicò serafica Lady Sarah sorseggiando il caffè appoggiata alla spalliera della sedia.

La nobildonna ungherese le raccontò così la storia del Conte Von Webb, di come per un soffio non fosse riuscito a sposare la madre dell’Imperatrice e di come tale smacco l’avesse sempre tormentato facendogli covare rancore per anni.

“Come conoscete questa storia?”

“Sono una buona amica della moglie del Conte, povera donna” rispose la Duchessa.

“Per cui secondo voi, il Conte Von Webb, l’aiutante di campo di Sua Maestà, la persona più fidata dell’Imperatore, avrebbe cercato di attentare alla vita dell’Imperatrice solo per gelosia e per lavare una presunta offesa vecchia di vent’anni?” chiese incredula Lady Sarah. “Come contate di provare tutto ciò? È la vostra parola, quella di una vedova rancorosa, contro quella del braccio destro dell’Imperatore” la provocò.

“Mi rendo conto della vostra incredulità Baronessa. Non ho prove concrete che suffraghino quanto vi ho appena detto, nondimeno vi prego di volermi credere. Se il Conte venisse a sapere che vi ho rivelato i suoi piani sarebbe capace di tutto e mia figlia è ciò che di più prezioso ho sulla terra. Avete figli, Baronessa?”

Lady Sarah scosse la testa. Quanto le sarebbe piaciuto averne! Ma l’esistenza che era stata costretta a scegliersi, le imponeva una vita solitaria.

“Ebbene se ne aveste conoscereste l’angoscia che mi attanaglia il cuore. L’ho fatto solo per evitare che alla mia Emma accadesse qualcosa di grave. Se le succedesse alcunché non me lo potrei perdonare mai” terminò quasi in una supplica la Duchessa.

Milady in cuor suo era convinta della bontà delle parole della dama, ma non voleva che si adagiasse troppo sugli allori. Ricatto o no, il suo gesto andava punito.

“Vi concedo il beneficio del dubbio, Duchessa, ma devo verificare il vostro racconto, e solo all’esito delle mie verifiche deciderò il da farsi” concluse.

“Certo, Baronessa” rispose mestamente l’altra.

 

 






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Capitolo 20
*** Novità ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XX

Novità



Mac non fece in tempo a varcare la soglia del bullpen che Jennifer le venne incontro.

“C’è una telefonata per lei, Signora” le disse.

“Chi è?”

“Il Signor Webb” rispose il Sottufficiale.

Mac se ne stupì. Cosa poteva volere Clay? Si erano lasciati, meglio lei l’aveva lasciato, un paio di settimane prima, forse tre, e da allora non aveva più avuto sue notizie.

“La prendo nel mio ufficio, Jennifer.” Socchiuse la porta della propria stanza e, con un sospiro, si sedette nella comoda poltrona. Sollevò il ricevitore e premette il tasto della linea.

“Ciao Sarah” la salutò la profonda voce di Clay.

“Ciao Clay.”

“Come stai?”

Perché un brivido le percorreva la schiena?

“Bene, dove sei?”

“A Washington. Sono tornato ieri dal Bahrein.”

Mac tacque, non sapeva che dire.

“Perché mi hai chiamata?” domandò alla fine.

“Perché mi mancava il suono della tua voce e mi manchi tu, Sarah” le rispose quasi sussurrando.

“Clay…” stava per cominciare Mac, ma lui la interruppe.

“Sarah io ti amo. Ho sbagliato lo so, ti ho mentito e ti ho fatta soffrire, ma per favore concedimi una seconda chance. Ho riflettuto e ho compreso. Sei tu la donna  che fa per me. Con te sto bene, mi sento un altro. Vediamoci, ti prego. Stasera. A cena. Ti porto fuori così resisterò all’impulso di baciarti e di tenerti stretta a me.”

Maledizione! Perché le parole giuste erano pronunciate dall’uomo sbagliato?!

Mac fu lì lì per rifiutare, poi ci ripensò. Dopotutto l’aveva lasciato senza neanche una spiegazione, ne aveva pur diritto.

“Va bene” concesse.

“Passo a prenderti alle 20” Webb fece una pausa. “Abiti ancora a Georgetown, vero?” chiese con una nota di titubanza nella voce.

“Certo, e dove altro dovrei abitare?” esclamò sinceramente stupita Mac.

“Non lo so, a North of Union Station per esempio.”

Stava per replicare seccata ma lui la prevenne una seconda volta: “Lascia stare, era una battuta idiota. Ci vediamo stasera. Ti amo Sarah.”

“Ciao Clay, a stasera.”

Posò il telefono e si accorse che le tremavano le mani. Dopo Harm ci si metteva anche Webb a complicarle la vita!

Un colpo di tosse l’avvertì che nella stanza c’era un’altra persona. Alzò il capo e vide Harm.

Da quanto tempo è qui?” si chiese preoccupata, ma non ebbe il coraggio di domandarlo a lui. Preferì optare per un “Dimmi”.

“Ti stavo aspettando in sala riunioni, ma visto che non arrivavi sono tornato a cercarti. Tutto bene?”

“Sì sì” liquidò lei. Si alzò e tornarono in sala riunioni.

“Stasera facciamo da me o da te?” chiese Harm dopo un certo tempo.

Mac non alzò nemmeno gli occhi dalle lettere dell’Ammiraglio Blackbird alla Marina e gli rispose: “Stasera non posso”.

Non voleva che lui le leggesse la verità negli occhi e pertanto continuò a tenere il capo basso.

“Capisco” si limitò a dire Harm.

Sapeva che Mac aveva un appuntamento con Webb. Era arrivato appena in tempo per udire quel “Ciao Clay, a stasera” e aveva dedotto una sola cosa: era tornato alla carica con Sarah, la sua Sarah.

Ma lei non l’aveva lasciato? Non gli aveva forse detto che non stavano più insieme? E allora perché concedergli un appuntamento? Cosa avevano ancora da dirsi?

Sarebbe voluto uscire da lì, andare ad Alexandria e fare due chiacchiere con lui, alla sua maniera.

Sei geloso, Rabb” udì il suo subconscio malignare. “Sei geloso marcio, ma non le domandi nulla. Geloso e stupido.” Tacitò la voce prendendo l’ultimo scatolone e posandolo pesantemente sul tavolo, che tremò.

Mac alzò finalmente lo sguardo su di lui e ciò che vide non le piacque per nulla.

L’espressione che si era disegnata sul viso di Harm era quella di un temporale in arrivo: mascella contratta, fronte aggrottata, occhi cupi e quella piega della bocca che gli veniva ogni volta che era arrabbiato. Molto arrabbiato.

“Tutto bene?” chiese circospetta.

“Sì” rispose brusco lui aprendo il coperchio dello scatolone.

 


***



Nonostante si fosse ripromessa di non vederlo più e neppure parlargli, soprattutto dopo quanto era successo la sera prima, con le informazioni appena ricevute non poteva farne a meno. Era suo dovere.

Non c’era tempo di organizzare un incontro con il Conte seguendo le regole del cerimoniale di Corte, quindi, non appena la Duchessa Battyàny l’ebbe lasciata, Lady Sarah s’infagottò in un pesante cappotto ed uscì. Non sapeva con certezza dove cercare André, ma pensò di rivolgersi al suo valletto Robert, che a quell’ora doveva trovarsi nelle scuderie.

Attraversò con passo deciso il dedalo di corridoi del palazzo sino a giungere all’esterno nella corte dove erano situate le stalle. Individuò subito la figura paffuta di Robert e attraversò il piazzale di buon passo, sfidando, con le scarpe di seta, la gelida coltre di neve e ghiaccio e i fiocchi che avevano ripreso a scendere da un cielo color grigio perla.

“Robert” richiamò l’attenzione del valletto.

Questi si voltò e un’espressione di stupore si dipinse sul viso nel riconoscere la dama che gli veniva incontro in quel freddo polare: “Madame!” esclamò stupito. “Ma che ci fate… pardonnez moi” si scusò immediatamente dopo, resosi conto della propria sfrontatezza.

“Robert, dove posso trovare il Conte?” chiese lei ignorando la manchevolezza. “Ho urgenza di parlargli.”

“In biblioteca” le rispose, “a quest’ora si reca sempre lì.”

“Grazie” e sparì così com’era venuta.

Mancava solo una settimana al gran ballo di Natale e Lady Sarah era ormai convinta che Von Webb avrebbe cercato di attentare alla vita di Elisabetta proprio in quell’occasione, anche se non sapeva come. Il Conte e l’Imperatore dovevano esserne informati, ma, nell’impossibilità di raggiungere per le vie spicce il secondo, si era risolta a parlare con il primo.

Quasi fece di corsa il percorso che portava dalle stalle alla biblioteca principale dello Schonbrunn e giunta davanti alla pesante doppia porta laccata trasse un profondo respiro, si tolse il pastrano che appoggiò distrattamente su una sedia lì accanto, e aprì l’uscio.

La scena che si parò davanti agli occhi non se la sarebbe mai aspettata: il Conte D’Harmòn e l’Imperatore erano seduti l’uno di fronte all’altro bevendo uno sherry davanti al camino che scoppiettava allegro. Stavano chiacchierando come due vecchi amici.

Si profuse in un inchino alla vista del sovrano mormorando: “Vi devo le mie scuse Maestà, non sapevo foste qui”.

Il monarca si avvicinò e la fece rialzare: “Non dovete scusarvi Milady, anche io non sapevo che sarei stato qui fino a poco fa” le disse sorridendole amichevolmente e guardando D’Harmòn.

Lady Sarah si rialzò e spostò lo sguardo prima sull’uno e poi sull’altro dei gentiluomini con aria interrogativa.

Si fece avanti André che le spiegò il motivo della presenza dell’Imperatore: “Ho chiesto a Sua Maestà una mezzora del suo preziosissimo tempo per discutere di alcune partite di vino che devono giungere qui a Vienna dalle tenute di famiglia” spiegò.

“Cercavate il Conte, Milady?” chiese Francesco Giuseppe.

“Sì, Maestà” rispose la dama, “ma visto che siete presenti entrambi posso raccontare anche alla Maestà Vostra ciò che ho appena appreso.”

Narrò delle sue scoperte di quel mattino, sottacendo il nome della Duchessa Battyàny e del suo incontro con Von Webb.

“Ne siete certa?” domandò alla fine l’Imperatore.

“Sì Maestà, sono convinta che il vostro aiutante di campo stia tentando di assassinare l’Imperatrice per lavare l’offesa fattagli tanti anni fa dalla sua famiglia d’origine.”

“Come potete avere tali informazioni così dettagliate?” tentò di nuovo di sapere D’Harmòn.

Lady Sarah si sentì a disagio sotto quello sguardo indagatore: “Ho fatto le mie ricerche e ho svolto il compito assegnatomi da Sua Maestà” rispose mantenendosi sul vago.

Francesco Giuseppe si avvicinò alla finestra, immerso nei suoi pensieri. Non poteva credere a ciò che aveva appena udito. Lady Sarah doveva essersi sbagliata! Il Conte Von Webb gli era stato accanto sin dal giorno della sua ascesa al trono degli Asburgo ed era stato lui, Franz Joseph, a volerlo al suo fianco come suo braccio destro, quale ricompensa per la fedeltà dimostratagli anche nei momenti più critici. E durante tutto quel tempo mai aveva avuto modo di sospettare che il suo aiutante di campo, la persona della quale si fidava più di tutti dopo sua moglie e sua madre, stesse tramando alle sue spalle per colpirlo nei suoi affetti più cari.

Sempre guardando fuori dalla finestra il paesaggio innevato l’Imperatore disse: “Milady, trovo molto difficile credere alle vostre parole. Non ritengo il Conte Von Webb capace di simili bassezze. Mi è sempre stato fedele e devoto e sono certo che non attenterebbe alla vita dell’Imperatrice”.

Lady Sarah fece per replicare, ma il sovrano la tacitò: “Portatemi delle prove certe che non si basino su pettegolezzi di Corte e vi crederò”.

“Che intendete fare Maestà?” domandò il Conte D’Harmòn.

“Nulla per ora, non finché non avrò in mano qualcosa di più concreto.”

Posò il Napoleon ancora mezzo pieno su un basso tavolino di mogano ed uscì dalla stanza senza dire altro.

Rimasti soli, André cominciò a tempestare di domande Lady Sarah; mentre lo faceva si diceva che stava agendo solo ed esclusivamente per ottenere maggiori dettagli, solo per l’indagine e non per gelosia, non per costringerla ad ammettere di essersi concessa a Von Webb, ma sapeva in cuor suo di mentire a se stesso: anche se si era ripromesso di fare il possibile per togliersela dalla mente e dal cuore, ogni volta che la vedeva si rendeva conto che non ci sarebbe mai riuscito.

Lei non rispose o se lo fece le sue furono risposte che contenevano solo riferimenti a quanto dettole dalla Duchessa Battyàny.

“Mi credete Conte? Almeno voi?”

“Certo che sì. Eravamo entrambi concordi nel ritenere che Von Webb fosse la mente di questo complotto. Ma non comprendo la vostra ritrosia nel nominare la Duchessa al cospetto dell’Imperatore.”

“Le ho fatto una promessa: non l’avrei nominata per evitarle l’ira di Von Webb e mantenere al sicuro la figlia Emma che vive a Buda.”

“Capisco.”

“Dobbiamo fare qualcosa, Conte. Sono ormai del tutto sicura che al ballo accadrà qualcosa di terribile all’Imperatrice.”

“Sorveglieremo il più strettamente possibile Sua Maestà e ordinerò a Robert di essere l’ombra di Von Webb. Io mi mischierò alla folla degli invitati per individuare qualche eventuale complice e voi…”

“Mi vedrete al fianco di Sua Maestà per tutta la serata.”

“Ah” sussurrò lui. Si rese conto che per un attimo, nella follia del suo amore per lei, aveva sperato di poterla stringere ancora fra le braccia per condurla in un lento e romantico valzer… ma le sue parole avevano troncato sul nascere questo desiderio.

“Dobbiamo dimostrare all’Imperatore che tutto ciò che gli ho rivelato è vero. Ne va della vita dell’Imperatrice e della stabilità dell’Impero” disse Lady Sarah completamente presa dalla sua missione.

Lui, invece, non riusciva a concentrarsi solo sul loro incarico. Continuava a pensare a lei, nonostante la sofferenza che stava provando all’idea che lei fosse stata tra le braccia di un altro uomo. Continuava a domandarsi com’era possibile che avesse scordato il loro bacio…

La dama fece per lasciare la biblioteca.

“Dove andate?” le chiese il Conte.

“A cambiarmi d’abito. È quasi ora di pranzo e l’Imperatrice ha deciso che oggi vuole pranzare con me sola per discutere degli ultimi dettagli” rispose.

“Milady, è la verità ciò che mi avete detto in presenza dell’Imperatore? Avete davvero condotto solo delle indagini interrogando il personale della Duchessa e del Conte?” chiese con uno sguardo che non lasciava scampo.

Lei si adirò: “Conte, come osate mettere ancora in dubbio la mia parola?” esclamò stizzita. André le leggeva dentro come un libro aperto e si conoscevano da nemmeno tre mesi! Percepiva il sospetto nella sua domanda e l’altra domanda, quella nascosta che vi si celava sotto.

“Non ho fatto nulla di più di quello che richiedesse il dovere e l’adempimento del mio incarico e nulla di meno di quanto richiestomi” replicò e uscì.

Una volta fuori corse nelle sue stanze: voleva mettere quanta più distanza possibile tra lei e quello sguardo che le scavava l’anima. C’era mancato poco che gli raccontasse tutto.

Si spogliò e buttò l’abito a terra con stizza.

Odiava André François D’Harmòn. Ma lo amava anche, ancorché non fosse disposta ad ammetterlo con chicchessia.

 

 

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Capitolo 21
*** La Festa di Natale ***


Capitolo XXI

La Festa di Natale




“L’Imperatrice ha stupito tutti con questo ballo” mormorò da dietro il ventaglio una dama ad un’altra che le rispose annuendo distratta troppo presa com’era ad ammirare le decorazioni che addobbavano il salone.

Le colonne erano percorse da mille fili di minuscole lampadine bianche che arrivavano ai capitelli e proseguivano sino al soffitto. Alla sommità delle colonne le lucine si intrecciavano a frasche di pino odorose decorate con fiocchi di raso rosso e dorato, gli stessi che si ritrovavano sul maestoso albero di Natale fatto arrivare appositamente dal Tirolo, dietro suggerimento di Lady Sarah.

Quest’ultimo era sontuosamente decorato, anche se con pochi barocchismi: forme di cristallo di Boemia pendevano dai suoi rami riflettendo la luce dei lampadari e componendola nei colori dell’arcobaleno, mentre i festoni disposti ad arte si intrecciavano ai suoi rami di un verde scuro ed intenso. Completava l’opera un puntale di cristallo adornato di pietre dure. Ai suoi piedi un enorme cesto di vimini colmo di regali di tutte le fogge e le dimensioni, e accanto un bellissimo presepe di ceramica di squisita fattura.

Le dame sfoggiavano le loro toilettes più eleganti e sontuose, alcune di esse, nel tentativo di apparire più giovani erano quasi ridicole, strizzate in busti allacciati così strettamente da impedire qualsiasi movimento, respiro compreso, imbellettate nel (vano) esperimento di fermare il tempo inesorabile e le rughe. Sembravano marionette incartapecorite, ma tutti i loro sforzi non potevano eguagliare la bellezza e soprattutto la giovinezza dell’Imperatrice cui volevano tanto somigliare.

Elisabetta fece il suo ingresso al braccio dell’Imperatore e scortata da una guardia d’onore, ufficialmente per festeggiare il suo genetliaco, ufficiosamente per garantirne l’incolumità. Era bellissima e radiosa nell’abito da sera bianco, il cui davanti era preziosamente ricamato con brillanti così fini da sembrare intessuti nella stoffa stessa. Per la prima volta da settimane sul suo viso era comparso il sorriso e quell’ombra scura che le velava lo sguardo era svanita.

Lady Sarah era al suo fianco, sebbene un poco discosta. Non l’aveva lasciata sola per un minuto, salvo il tempo di prepararsi per il ballo, ma durante quelle tre ore c’era stata la fedele Mathilda a vegliare sull’alveare di cameriere che aiutavano l’Imperatrice a vestirsi. Scrutava con occhi guardinghi la folla degli invitati per cercare fra di essi un atteggiamento, uno sguardo, un cenno sospetto.

Anche l’Imperatore era sul “chi va là” nonostante non avesse voluto prestare fede alle parole di Milady. Nondimeno aveva rinforzato il già di norma imponente servizio d’ordine: le voci su un attentato erano troppo pericolose per ignorarle del tutto. Tuttavia tutto appariva esattamente come era: una festa con ospiti illustri in onore del Natale e del genetliaco dell’Imperatrice che cadeva proprio quel giorno, il 24 Dicembre.

Man mano che il tempo passava nulla accadeva; Lady Sarah, pur stando sempre all’erta, cominciò a rilassarsi. Stava chiacchierando, comunque a poca distanza da Elisabetta, con la sorella di quest’ultima, Elena Turn und Taxis, quando notò con la coda dell’occhio l’alta figura del Conte Von Webb che fendeva la folla nella sua direzione.

Sul volto un sorriso laido.

Lady Sarah avrebbe voluto sganciarsi dalla conversazione, ma sarebbe stato un gesto di scortesia nei confronti della Principessa Turn und Taxis, per cui restò mentre il Conte bavarese si avvicinava sempre di più.

Mesdames” si inchinò, “desolato di dover interrompere la vostra conversazione ma avrei necessità di conferire con la Baronessa de Bellegarde” disse compitamente.

“Ma certo, Conte” replicò Elena allontanandosi verso la madre che si intratteneva più in là con la sorella, la Regina di Prussia.

“Cosa posso fare per voi?” chiese Lady Sarah.

“Gradirei sapere il perché di un tale dispiego di forze dell’ordine dentro e fuori dal palazzo” domandò con aria da inquisitore spagnolo il bavarese.

“Non sono la persona giusta cui domandarlo” rispose la dama, “è stato l’Imperatore a disporre in tal senso. Teme che qualcuno possa attentare alla vita dell’Imperatrice proprio stasera” terminò fissandolo negli occhi.

Il nobile non fece un plissé ma osservò piuttosto con fare allusivo: “Vi trovo diversa da qualche giorno fa…”.

Milady non seppe trattenere un moto di repulsione che fortunatamente il suo interlocutore non mostrò di notare.

“Siamo in pubblico” rispose con occhi che mandavano lampi e che Von Webb scambiò per una manifestazione di passione a stento repressa.

“Certo mia adorata. Spero di rivedervi presto, vorrei stasera stessa, ma è presente mia moglie.”

Lady Sarah stette al gioco sperando così di toglierselo di torno: “Ci vedremo quanto prima” e si allontanò.

Lontano, non visto, D’Harmòn aveva occhieggiato il breve scambio tra i due e la sensazione che qualcosa fosse accaduto fra di loro ne uscì rafforzata. Tuttavia reputò che non fosse il momento di recarsi da Milady, quindi preferì tenere sott’occhio un cameriere che si muoveva con fare circospetto. Già in un paio di occasioni aveva tentato di avvicinarsi alla sovrana e lui era stato sul punto di intervenire per fermarlo con discrezione, ma con fermezza. Però, quasi per un ripensamento, il cameriere aveva desistito. André aveva cercato fra la folla il Conte Von Webb, nel caso fosse intercorso un qualsiasi cenno fra i due, ma in entrambe le occasioni non l’aveva scorto: o non era presente oppure era altrove, lontano dal suo sguardo.

Stavano per cominciare i balli e l’orchestra stava accordando gli strumenti. Per il momento poteva stare tranquillo, l’Imperatore aveva prenotato l’intero carnet della consorte, ma al brindisi all’Imperatrice avrebbe nuovamente dovuto tenere gli occhi aperti.

Ora i suoi pensieri correvano in direzione di Lady Sarah: nonostante i suoi dubbi, smaniava di aver ancora fra le braccia il corpo morbido e profumato di Milady, e dopo che la coppia imperiale ebbe aperto le danze, non resistette un minuto di più. Non appena le dolci note di un valzer si sparsero per la sala, si diresse verso di lei, ma quale fu la sua delusione non appena la vide accettare l’invito del Maresciallo Radetzky.

Era innamorato di lei, ormai ne era certo, e avrebbe desiderato condurla via e portarla in Francia, a Chateau D’Igne, per farla conoscere ai suoi genitori e poi, dopo un consono periodo di fidanzamento, condurla all’altare e farla sua per sempre.

Se la Contessa Patricia Von Raab della casata dei D’Harmòn avesse potuto udire i pensieri del figlio, ne sarebbe stata oltremodo lieta. Da tempo, infatti, nelle sue lettere gli ricordava che il padre stava invecchiando e che non possedeva più l’energia della giovinezza e che era ora che lui, André, mettesse la testa a posto, trovasse una brava fanciulla di buona famiglia, nobile s’intendeva, e la sposasse.

Ebbene, madre” pensò, “ho finalmente trovato la donna giusta per me. Ma quanto è difficile conquistarne il cuore!

Non visto la osservava volteggiare leggera fra le braccia del Maresciallo come una nuvola rosa pallido e immaginava di sentirla muovere fra le sue di braccia. Morbida, profumata, desiderabile…

Il valzer terminò e Milady, dopo aver ringraziato il suo cavaliere, si diresse verso una delle salette adiacenti per sedere e riprendere un poco di fiato. Per tutta la durata del ballo si era sentita osservata come una cavia da laboratorio, ma non era riuscita a capire da dove provenisse, e soprattutto da chi provenisse, quello sguardo insistente. Poteva immaginarlo del resto… Von Webb era stato molto esplicito anche poco prima. Ma il suo cuore le diceva che non era il Conte bavarese ad osservarla, bensì due occhi chiari che non la lasciavano mai, anche nei suoi sogni.

André la vide andare verso la saletta e la raggiunse.

“Milady” esordì non appena arrivato appoggiandosi con nonchalance allo stipite della porta, “state facendo strage di cuori questa sera.”

“Voi mi adulate troppo, Conte” rispose facendosi aria con il ventaglio.

“Vi state divertendo? Con così tanti corteggiatori sarebbe impossibile non divertirsi…”

“Anche voi Conte siete stato attorniato da donne che non facevano altro che mangiarvi con gli occhi” replicò con aria birichina lei.

André non rispose, si staccò dallo stipite e si sedette accanto a lei.

“Quello che fate è altamente sconveniente.”

“E da quando in qua vi importa di ciò che è conveniente e di ciò che non lo è?” chiese maliziosamente lui.

“Da quando ho assunto questo incarico e mi sono calata nella parte della Baronessa de Bellegarde.”

“Però quando abbiamo cavalcato insieme…”

Lei lo interruppe imperiosa: “Scordate quella cavalcata Conte e ricordatevi della promessa che mi faceste”.

“Vi dissi anche che non potevo promettervi che non sarebbe accaduto nuovamente…”

A Lady Sarah mancò il fiato e non per colpa dell’odiato busto. Non aveva scordato quel bacio, anche se aveva fatto di tutto per riuscirvi, le mani di lui che affondavano nella sua capigliatura, il sapore delle labbra di André sulle sue e lo sconvolgimento dei sensi che tutto ciò le aveva causato. Da quel mattino, inconsciamente, aveva desiderato che lui la baciasse di nuovo, che la accarezzasse, ma la sua parte più razionale aveva soffocato il desiderio sul nascere.

Ora che poteva di nuovo specchiarsi in quegli occhi chiari, sentiva che qualcosa la stava trascinando via con forza impetuosa. Aveva paura di quel qualcosa perché sapeva che l’avrebbe portata alla rinuncia della sua libertà, nondimeno, al contempo, ne era attratta, forse perché non l’aveva mai assaporato, forse perché non aveva mai bevuto alla fonte dolce-amara dell’amore… l’aveva sempre rifiutato perché recava solo dolore e sventura. Ed invece eccolo arrivare alla carica con le sembianze di questo francese bello come Narciso. Ma Sarah non voleva arrendersi, non si sarebbe arresa, non prima di aver combattuto e di aver venduto cara la pelle e non prima di aver riabilitato il nome del padre e della sua famiglia.

“Siete così bella, Milady” stava dicendole in un sussurro il Conte D’Harmòn, “che qualunque uomo con un po’ di senno farebbe carte false per poter avere in regalo anche uno solo dei vostri sguardi.”

La guardava e in quello sguardo lei vi lesse una tale passione ed un sentimento così forte che le tremarono le gambe e si spaventò ancor di più. Provò l’irresistibile impulso di scappare via, ma qualcosa la trattenne.

“E voi siete un uomo di senno Conte?”

“No” rispose lui e la baciò.

Lady Sarah non ebbe il tempo di reagire. Un momento prima André era seduto accanto a lei ma a rispettosa distanza, ed ora la stava baciando. Chiuse gli occhi, lasciandosi andare alla corrente e respirò il profumo di lui, assaporò le sue labbra che si schiudevano per lei e godette della sensazione della sua mano sul proprio collo.

Ma fu un attimo. Immediatamente la sua parte razionale prese nuovamente il sopravvento e Lady Sarah si staccò bruscamente.

“Come osate approfittare di me in questo modo!” esclamò offesa. Fece per alzare la mano e schiaffeggiarlo, ma lui le bloccò il polso con presa sicura e impedì che lo schiaffo giungesse a destinazione.

“Non mi approfitto di voi. E se l’ho fatto non mi sono spinto così in là come il Conte Von Webb” le disse mentre un’ombra cupa gli scuriva gli occhi che ora assomigliavano ad un oceano in tempesta.

Lady Sarah si alzò di scatto e fece per allontanarsi, ma André la trattenne ancora per il polso guantato di bianco, mentre una muta domanda prendeva forma nell’aria. Nel salone, intanto, l’orchestra aveva intonato una canzone di augurio per il genetliaco dell'Imperatrice e a breve ci sarebbe stato il brindisi. Doveva esserci.

“Lasciatemi, Conte” lo fulminò sibilando inviperita. “Qualunque cosa abbiate in animo di chiedermi non otterrà né risposta né soddisfazione” e con uno strattone si liberò della presa.

Lui la seguì e giunsero nel salone dei ricevimenti proprio nel momento in cui gli invitati stavano levando i calici per un brindisi in onore della sovrana che sorrideva loro felice, accanto all’Imperatore, dal palchetto eretto vicino all’albero. Infatti, dopo gli auguri, le Loro Maestà avrebbero personalmente consegnato i doni di Natale agli ospiti.

Lady Sarah e D’Harmòn presero al volo due flutes colme di champagne da un cameriere e si unirono al brindisi.

Lei sperava che quell’indagine si sarebbe risolta al più presto, non ne poteva più della Corte viennese, non ne poteva più del suo ridicolo protocollo, e soprattutto non ne poteva più del Conte D’Harmòn. Le aveva complicato l’esistenza, di per sé già non semplice, e desiderava soltanto andare il più lontano possibile da lui, tornare alla tranquillità del castello di Beaulieu e correre con il suo cavallo preferito per l’ampia campagna inglese fino a perdere la cognizione del tempo e dimenticare quel francese dagli occhi di mare.

Era tempo di porre termine a tutto.

André guardava di sottecchi la dama che gli aveva fatto perdere la testa. Riconosceva di aver sbagliato baciandola a quel modo: non era questo il modo in cui avrebbe avuto accesso al cuore di Lady Sarah, ma l’impulso era stato troppo forte. Voleva imprimere un segno su quelle labbra morbide e profumate di vaniglia, voleva impossessarsene anche se per un breve, ma intenso, momento. E poi la gelosia… aveva letto nelle profondità ambrate negli occhi di Milady che Von Webb aveva ottenuto molto di più di quello che lei aveva detto. Era stato un attimo, ma quell’ombra di disgusto che si era materializzata e poi era svanita in un amen, era stata un segnale chiaro ed inequivocabile. Ma come aveva potuto? Come aveva…

Un grido interruppe il filo dei suoi pensieri e vide che, poco distante dall’Imperatrice, uno degli invitati si accasciava a terra, colto da malore. Subito si fece largo tra la folla e in men che non si dica era giunto accanto ai sovrani, seguito a ruota da Lady Sarah con il terrore dipinto sul viso.

A terra l’uomo si contorceva negli spasmi del dolore, le mani rattrappite stringevano il petto e il viso era contratto in una smorfia orrorifica.

Elisabetta fissava con orrore la flute di champagne a terra spezzata a metà dello stelo e Lady Sarah, mentre André soccorreva il poveretto, seguì lo sguardo della sovrana ed impallidì.

Si chinò e raccolse da terra il calice di vetro e lo mostrò all’Imperatore dopo averlo odorato.

La folla degli invitati si era raccolta in un silenzio carico di aspettativa e di interrogativi. L’orchestra aveva cessato di suonare.

“Maestà” disse mentre l’uomo veniva portato via agonizzante su una barella dall’archiatra di Corte, “Maestà, questo bicchiere odora di mandorle amare e c’è il monogramma dell’Imperatrice…”

Un mormorio stupito si diffuse nella sala.

La madre e la sorella di Sissi le erano accanto atterrite, mentre questa si appoggiava al consorte per non accasciarsi.

“Qualcuno ha attentato alla vita dell’Imperatrice” disse D’Harmòn con voce chiara in modo che tutti i presenti lo potessero udire, “e voi conoscete il nome del responsabile, Maestà.”

Francesco Giuseppe, cui il sangue era defluito completamente dal viso, ma che non aveva perso la calma, ordinò che tutte le porte del salone fossero chiuse e che nessuno uscisse fino a nuovo ordine.

“Maestà” intervenne Lady Sarah, “il responsabile se ne è già andato, non serve a nulla trattenere i vostri ospiti. L’ho visto allontanarsi poco prima dell’incidente.”

Ed era vero, nella frazione di secondo che aveva preceduto il malore improvviso dell’ospite che aveva bevuto la coppa avvelenata al posto dell’Imperatrice, aveva potuto notare, seppure di sfuggita, il Conte Von Webb che, preso da una strana fretta,  usciva dal salone con la moglie sottobraccio e un servitore al fianco.

Le porte non vennero quindi chiuse e la folla degli invitati sciamò fuori.

Immediatamente l’Imperatore, mentre Sissi veniva accompagnata nelle sue stanze pallida e provata, ordinò che il Conte Von Webb fosse ricercato e condotto immediatamente alla sua presenza.

 

 

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Capitolo 22
*** Nulla come previsto ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XXII

Nulla come previsto



“Sei splendida!” esordì Clayton, non appena la vide.

“Grazie” rispose lei.

Con la consueta galanteria che lo contraddistingueva, le aprì la portiera dell’auto, attese che si accomodasse, la richiuse e raggiunse il posto di guida. Prima di rimettere in moto tentò di baciarla, ma lei lo fermò decisa: non voleva dargli illusioni riguardo alla serata. Aveva deciso di rivederlo solo per chiarire i motivi della sua decisione, non per riprendere qualcosa tra loro.

Lui si ritirò senza commentare, accogliendo con eleganza il suo rifiuto, anche se dentro di sé cominciava a spazientirsi: era convinto che lei lo avesse lasciato a causa delle continue menzogne che le aveva raccontato riguardo il suo lavoro e aveva deciso di riconquistarla, promettendole, se necessario, la luna pur di riaverla di nuovo nel suo letto. Per quanto riguardava la sincerità che Mac tanto reclamava, semplicemente sarebbe dovuto stare più attento e crearsi finzioni più credibili e meglio confezionate.

Mise in moto e si diresse verso il ristorante dove aveva prenotato il tavolo migliore. Si trattava di un locale elegante, molto alla moda, ma sufficientemente tranquillo e romantico. Aveva in mente un perfetto piano di seduzione, al quale lei non avrebbe di certo resistito. Sarah amava essere al centro dell’attenzione di un uomo… non importava se il suo cuore continuava a struggersi per il Comandante Rabb: era sufficiente che un uomo la adulasse, la riempisse di mille attenzioni, quelle attenzioni che aveva sempre smaniato da Rabb, per averla. E lui, in quanto a galanteria, adulazione e attenzioni ad una donna era di certo superiore al suo rivale. Proprio per questo l’aveva già avuta. E l’avrebbe avuta di nuovo.

La cena si svolse come da copione: il cibo era perfetto e la conversazione altrettanto. Clayton Webb, astuto com’era sua natura, evitò argomenti pericolosi, parlando di tutto fuorché del loro rapporto e Mac, poco alla volta, si rilassò. Nonostante tutto apprezzava la compagnia di Clayton e il suo modo di fare tanto accattivante con le donne. Era un perfetto cavaliere, romantico e appassionato, quando voleva. E in quel momento sembrava volerlo molto.

Soltanto al termine della serata, quando la riaccompagnò a casa, lei si accorse che non avevano chiarito proprio nulla. Se ne rese conto quando lui tentò nuovamente di baciarla.

“No, Clay…”

“Perché no? Siamo stati benissimo, questa sera, non trovi? Ti prometto che le cose cambieranno, Sarah…”

E così dicendo le aveva preso una mano, per portarsela alle labbra, dimenticando per un attimo il bacio che voleva darle.

Quel gesto sorprese Mac la quale, come catapultata in un’altra dimensione temporale, s’immaginò André D’Harmòn che baciava la mano a Lady Sarah… presa da quella fantasia, permise a Webb di andare oltre al semplice baciamano. Infatti lui, vedendo che non rifiutava quel gesto, decise di proseguire nel suo intento e le fece scivolare la mano dietro la nuca, attirando a sé il suo volto. Posò la bocca sulla sua e s’impossessò avidamente delle sue labbra.

Come il Conte…” pensò Mac, mentre rispondeva al bacio quasi senza rendersene conto.

Incoraggiato dalla sua risposta, Clayton fece scivolare l’altra mano sulla pelle scoperta della sua gamba e risalì lentamente… Soddisfatto perché non lo aveva ancora fermato, la strinse più forte a sé e le sussurrò all’orecchio:

“Perché non saliamo a casa tua?”

Fu quello il suo errore: farle udire la propria voce.

Lei, infatti, era presa dall’incanto del suo sogno. Era tra le braccia di André D’Harmon, il “suo” André D’Harmon, il bellissimo Comandante che le leggeva le parole di un nobile di un secolo prima… tutte le parole appassionate che aveva sempre voluto sentirgli dire…

Quella voce al suo orecchio non era la voce di Harm!

Si riscosse brutalmente, come sotto una secchiata d’acqua gelida, e si rese conto solo in quel momento di quello che realmente stava accadendo: era tra le braccia di Clayton Webb, dopo aver risposto ad un suo bacio, e con la sua mano che stava cercando di risalire verso le sue parti più intime…

“Fermati, Clayton” disse finalmente decisa.

“Perché?” domandò lui, travolto dal desiderio del suo corpo, senza far cenno d’averla presa sul serio: credeva volesse giocare un po’, facendosi desiderare di più... era tipico delle donne come lei.

“Fermati ho detto!”

Finalmente lui si bloccò, di fronte al tono secco della sua voce. La guardò sprezzante e divertito: “Che ti succede? Vuoi fare la preziosa?”

Lei lo fulminò con lo sguardo, anche se doveva riconoscere che era stata solo colpa sua. La sua reazione al bacio doveva avergli fatto credere che le cose tra loro potessero ricominciare.

“Mi spiace, Clay. Mi spiace d’averti fatto credere il contrario, ma sono uscita con te solo per dirti i motivi che mi hanno spinta a lasciarti.”

“E avevi intenzione di dirmeli a letto? Visto come hai risposto al mio bacio, cosa dovevo pensare? E poi…”

“Hai ragione, scusami. E’ che…”

“Che cosa, Sarah? Che non sono l’uomo che vorresti baciare?”

“Smettila, Clayton. Tu non capisci…”

“Oh, sì che capisco. Capisco benissimo. Io ti amo, Sarah. Ti amo e ti voglio. Ma tu continui a tenermi sulla corda, e solo perché speri sempre che Harmon Rabb ti voglia, vero?”

“Sei odioso, ora.”

“Solo perché dico la verità?” chiese cattivo. Poi, accorgendosi che era la strada sbagliata, ritornò sui propri passi.

“Scusami… scusami, Sarah. E’ che ho sofferto molto quando mi hai detto che non volevi più vedermi… credevo che questa sera potesse essere un nuovo inizio, per noi. Dimentica le mie parole… non le penso davvero… dimentica tutto, tranne che ti amo. Che ti amo moltissimo…”

Lei si sentì confusa e in colpa: in fondo quello che Clay le aveva detto era in parte vero. Lei voleva Harm. Lo aveva respinto, in Paraguay, e ora non sapeva come fargli capire che aveva cambiato idea, che avrebbe voluto provare ad avere una storia con lui. Lo aveva baciato, ma neanche quello sembrava averlo smosso più di tanto.

Lei lo desiderava; desiderava un uomo…

Accidenti, che confusione! Perché la sua vita doveva essere sempre tanto complicata?

Eccolo lì un uomo. Un uomo che la voleva…

Peccato che lei desiderasse l’unico che non le avrebbe mai detto le parole che avrebbe voluto sentirsi dire! Anche quando le aveva fatto capire di desiderarla, in quella camera d’albergo in Paraguay, non lo aveva fatto in maniera chiara e decisa, ma solo con allusioni e giri di parole.

E lei lo aveva rifiutato…

“E’ meglio che vada” disse a Clayton Webb.

“No… fermati ancora un poco. Parliamo… parliamo soltanto. Ti prego, Sarah…”

“E’ inutile, Clay. Non tornerò sulla mia decisione…” disse mentre apriva la portiera e scendeva dall’auto.

Si chinò al finestrino che lui aveva abbassato per salutarlo e sentì che le diceva:

“Neppure io abbandonerò la mia idea: ti amo e farò di tutto per convincerti a tornare con me. Buonanotte, Sarah.”

Quindi se ne andò, lasciandola sola sul marciapiede sotto casa, più confusa che mai.

 

 


***



“Vi consiglio, Conte, di abbandonare Vienna assieme a Lady Sarah prima possibile” disse Francesco Giuseppe non appena la festa si fu conclusa.

Lady Sarah aveva accompagnato nei suoi appartamenti l’Imperatrice, lasciando soli il Conte D’Harmòn e l’Imperatore.

Questi, preoccupato per la sorte del Conte e di Lady Sarah, stava spiegando a D’Harmòn i motivi per i quali, a suo avviso, avrebbe dovuto abbandonare Vienna assieme a Milady.

“Credete davvero che sia necessario, Vostra Maestà?” chiese André.

“Certamente, Conte. E’ troppo pericoloso per voi restare ancora a palazzo. Soprattutto per Milady… credo che si sia spinta troppo oltre con il Conte Von Webb per ottenere certe informazioni che non avrebbe avuto altrimenti… e voi lo sapete, André.”

Lo sapeva, eccome se lo sapeva! Ma sentirlo confermare dall’Imperatore stesso era come ricevere una nuova pugnalata al petto.

L’Imperatore non poteva immaginare quanto le sue parole gli stessero facendo del male… eppure aveva ragione: Lady Sarah era in pericolo. Anche se non si fosse concessa al Conte bavarese, di certo lui avrebbe interrogato la Battyàny e quella, pur di non mettere in pericolo la figlia, avrebbe detto qualunque cosa contro la Baronessa de Bellegarde.

Doveva andarsene e portare con sé Lady Sarah. E questo prima che l’Imperatore sguinzagliasse i suoi uomini alla ricerca di Von Webb, altrimenti sarebbe stato troppo tardi.

“D’accordo, Vostra Maestà, farò come mi chiedete” acconsentì il Conte.

“Mi spiace privarmi della vostra compagnia e del vostro aiuto, Conte D’Harmòn, lo sapete bene, ma la vostra vita e quella di Milady sono in serio pericolo… Non intendo permettere che possiate correre ulteriori rischi. Entrambi avete svolto egregiamente il compito assegnatovi; ora spetta alle mie guardie catturare quel maledetto traditore…” aggiunse Francesco Giuseppe.

“Grazie, Vostra Maestà” rispose umilmente il Conte D’Harmòn. Portava un grande rispetto per quell’uomo quasi suo coetaneo, cui il compito il destino gli aveva dato carico a volte pareva essere più grande di lui, eppure lo perseguiva con instancabile energia.

S’inchinò rispettosamente al cospetto del Sovrano del più grande impero europeo e se ne andò, lasciandolo solo ad affrontare l’ordine forse peggiore che avrebbe dovuto dare ai suoi uomini: catturare la persona che, a parte sua madre e la sua adorata moglie, gli era stata più vicina da quando era diventato Imperatore.

 

 


***



Guardava il diario del conte e intanto la immaginava tra le braccia di Webb.

Era andato a casa, al termine dell’orario d’ufficio, ma si era sentito come un animale in gabbia: continuava a vederla con Clayton e non aveva resistito. Si era rimesso la giacca dell’uniforme che non si era neppure tolto ed era tornato al Jag.

Voleva tentare di lavorare un po’: avevano fatto grandi passi avanti nella ricerca, soprattutto grazie al ritrovamento della rotta della Medea risalente al viaggio del 1857. La mappa nautica confermava le lettere ricevute dalla moglie di Blackbird datate fine novembre 1856 e provenienti dall’Italia: dalle missive risultava che l’Ammiraglio avesse scortato un generale e la moglie a Roma, in vista del matrimonio della loro figlia con un nobile italiano.

Eppure la rotta Marsiglia–Southampton–Southampton–Boston da sola ancora non confermava che la Medea avesse trasportato Lady Sarah e il Conte D’Harmòn.

Fino a quel momento, dalla lettura del diario, sapevano solo che D’Harmon e Lady Sarah sospettavano Von Webb di essere colui che voleva uccidere l’Imperatrice Elisabetta d’Austria. L’unica altra cosa certa della quale erano a conoscenza era che il diario del conte si trovava a bordo della nave, altrimenti non si spiegava come fosse finito tra gli effetti personali dell’Ammiraglio Blackbird.

Ma come e perché ci fosse finito era ancora tutto da scoprire.

Aveva deciso di portarsi avanti con il lavoro, ma aveva trovato sul tavolo il diario del conte, che Mac aveva scordato in ufficio, certamente tutta presa dall’emozione per la serata con il suo amante.

Dannazione, quanto la odiava quando lo faceva sentire così!

Perché gli aveva fatto credere di aver rotto con Webb quando non era vero?

Eppure sembrava sincera, quando glielo aveva detto.

E se fosse stato Webb a convincerla ad uscire?

Già, ma lei aveva accettato.

Oh, accidenti…

Si stava comportando esattamente come quell’idiota di un francese, innamorato di una donna che non lo degnava di uno sguardo, che lo respingeva e al tempo stesso lo baciava, mentre si portava a letto un altro…

Eppure l’avrebbe voluta lì con lui, a continuare la lettura di quello stupido diario, perché era certo che la chiave di quella vicenda fosse tutta lì, tra quelle pagine. Inoltre doveva ammettere che era curioso di sapere cos’era accaduto a lady Sarah e al conte.

Invece lei era con Clayton...

La vide ridere alle sue battute, la immaginò mentre rispondeva con passione ai suoi baci e alle sue carezze e sentì il doloroso morso della gelosia.

No, si disse, non era gelosia la sua. Solo rabbia. Rabbia per come l’aveva di nuovo illuso…

Era davvero stanco di quel tira e molla con lei…

Ma, nonostante tutto, si rese conto che non riusciva a fare a meno di Mac.

 

 

 

 


***



Uscì furtiva dalla sua stanza con solo la piccola borsa che aveva con sé al suo arrivo a Vienna poco più di tre mesi prima; il lungo e pesante mantello nero che aveva ripiegato al braccio la nascondeva alla vista, per destare meno sospetti nel caso avesse incontrato qualcuno: poteva sempre dire che non riusciva a prendere sonno e che stava andando a fare una cavalcata… Certo, sarebbe stata presa per pazza se avesse detto ad un servitore o a chiunque che stava per uscire a cavallo alle quattro del mattino, ma che importava? Era già stata vista recarsi alle scuderie all’alba, infagottata in abiti maschili… in quel momento era prima del solito, ma poteva addurre come scusa gli avvenimenti accaduti durante il ricevimento di Natale.

Ancora più attenta del solito a non far rumore, prese a scendere il grande scalone diretta all’appuntamento con André D’Harmòn. Il Conte l’aveva avvertita, non appena era uscita dagli appartamenti dell’Imperatrice, che Sua Maestà Francesco Giuseppe aveva ordinato loro di abbandonare al più presto Vienna e l’Austria, per sfuggire a Von Webb il quale avrebbe di certo cercato di ucciderli non appena si fosse reso conto che si sospettava di lui come mandante dell’assassinio dell’Imperatrice Elisabetta.

Andrè D’Harmòn le aveva concesso non più di un’ora per preparare le sue cose e raggiungerlo al limitare dei giardini, dove li attendeva una carrozza messa a disposizione da Sua Maestà, che li avrebbe condotti in Francia. Alla cattura di Von Webb ci avrebbero pensato le guardie dell’Imperatore.

Uscì dal Palazzo e rabbrividì per il gelo della notte. Pensò di fermarsi un attimo per indossare il pesante mantello che l’avrebbe riscaldata un po’, ma poi preferì evitare di perdere tempo: prima partivano, meglio sarebbe stato.

S’incamminò rapidamente lungo il viale che conduceva al grande cancello che delimitava la residenza degli Asburgo ed era arrivata circa a metà strada quando, all’improvviso, un’ombra le si parò di fronte, sbucando da dietro un cespuglio che costeggiava il viale. Inizialmente pensò che si trattasse del Conte D’Harmòn, che le era venuto incontro, ma si disse subito che se fosse stato lui non l’avrebbe colta così di sorpresa. E poi l’uomo incappucciato non era alto quanto André… 

Anche se il volto era ancora coperto alla sua vista, quando sentì la lama di una spada che le premeva contro il petto, comprese immediatamente chi aveva di fronte e si rese conto che la sua vita sarebbe finita molto presto...

Non provò paura all’idea che Von Webb l’avrebbe uccisa: l’unico pensiero che le attraversò la mente fu che non avrebbe più rivisto gli occhi di André D’Harmòn.

 

 

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Capitolo 23
*** Di corsa contro il tempo ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XXIII

Di corsa contro il tempo






25 Dicembre 1856



Quest’ora credo sia la più lunga della mia vita: ho già radunato i pochi effetti personali che porterò con me per ritornare in Francia. L’unico tesoro che desidero avere con me è lei.

L’Imperatore ha ragione: Lady Sarah è in pericolo e devo condurla lontano da Vienna al più presto. Se Von Webb sospetta che siamo sulle sue tracce tenterà di ucciderla. E dopo ciò che è accaduto alla festa questa sera, temo proprio che avremo quel traditore alle costole.

La carrozza che Sua Maestà ci ha messo a disposizione per il viaggio attende al limitare dei giardini, nei pressi dell’entrata alla residenza. Francesco Giuseppe è stato davvero magnanimo con noi, nel concederci questa opportunità di fuga. Non potrò mai ringraziarLo abbastanza.

Mi auguro solo che le guardie di Sua Maestà riescano a catturare Von Webb  al più presto.

Ho detto a Milady che l’avrei attesa in carrozza, ma ho un brutto presentimento…

Credo che lascerò Robert ad attendere Lady Sarah alla carrozza e io le andrò incontro a cavallo. Spero di sbagliarmi e che la mia sia una precauzione inutile, ma...

Temo per la sua vita, molto più di quanto tema per la mia.

Amo quella donna al punto che morirei per salvarla…

 


***



“…al punto che morirei per salvarla”.

Quella frase la colpì profondamente e, per la prima volta, si rese conto di quanto fosse vera. 

In Paraguay Clayton aveva quasi dato la propria vita per salvare la sua, facendosi torturare al suo posto. E lei gli era stata riconoscente al punto che aveva creduto di ripagarlo mettendosi con lui.

Ma non aveva mai riflettuto sul semplice fatto che anche qualcun altro aveva fatto altrettanto per lei.

Harm.

Harm aveva messo a repentaglio la sua carriera, per accorrere a salvarla…

Lei aveva sempre pensato solo a quello: la carriera.

E lo aveva considerato semplicemente il classico gesto impulsivo alla Harmon Rabb jr., quello che lui avrebbe fatto per chiunque. O meglio, forse non per chiunque, ma certamente per un amico.

Non aveva mai considerato che, raggiungendola in Paraguay, Harm non avesse messo in gioco solo la sua carriera, ma anche e soprattutto la propria vita.

Per lei. Perché l’amava.

Come mai questo pensiero non le aveva attraversato il cervello prima d’ora? Perché non aveva mai pensato ai rischi corsi da Harm per salvarla dalle torture e da Sadik? E’ vero, lui non aveva subito alcun danno fisico, invece Webb era stato costretto in ospedale per settimane al rientro da quella missione. Ma mentre Clayton stava svolgendo il suo lavoro e correndo rischi calcolati, Harm aveva lasciato il Jag, aveva rassegnato le dimissioni dalla Marina e aveva messo a repentaglio la propria vita solo per andarla a cercare e per riportarla a casa sana e salva.

E lei, in Paraguay, gli aveva domandato perché lo avesse fatto!

Ricordò la sua risposta: “Lo sai per quale ragione” ma lei aveva ribattuto “Non credo…” e poi aveva aggiunto che le era piaciuto che un uomo, ossia Clayton, si scoprisse al punto da confessarle che l’amava, senza paura di dichiarare il suo amore.

Solo ora si rendeva davvero conto che anche Harm aveva fatto lo stesso, non con parole, ma con i fatti. Fatti che lei aveva sottovalutato, attribuendoli più ad un colpo di testa, ad un bel gesto teatrale, e che invece erano da attribuirsi ad un rischio calcolato, ad una decisione presa solo per amore. Lei continuava ad aspettarsi da Harm parole e frasi dolci, mentre lui le dimostrava il suo amore rischiando più volte la propria vita per salvarla. Ricordò come l’avesse sempre protetta: quella volta che se l’era caricata in spalla ferita ad una gamba dai bracconieri; quando le aveva praticato la respirazione bocca a bocca mentre stava per morire soffocata su quel sottomarino, per non parlare di quando l’aveva salvata da quel maniaco che la perseguitava fino ad arrivare al salvataggio in Paraguay…

“Che stai facendo? Continui senza di me?” la sua voce la sorprese, tanto che si voltò verso di lui e solamente il vederlo le procurò un’emozione indescrivibile. Solo la sera prima Clayton l’aveva confusa di nuovo con i suoi baci, semplicemente con quel modo di fare accattivante che lei desiderava disperatamente da un uomo. Ma ora, di fronte ad Harm che le sorrideva divertito per averla sorpresa a leggere il diario di D’Harmòn, capì che tutto il fascino di Clay, tutta la riconoscenza e il senso di colpa che poteva provare per le torture che aveva subito pur di proteggerla, non potevano farglielo amare quanto amava Harm. Lei stessa, pur non avendoglielo mai detto, glielo aveva più volte dimostrato: non era stata lei a seguirlo in Russia mentre cercava suo padre? Non era per salvarlo che aveva dato retta a Chloe e aveva fatto il possibile per concentrarsi e avere una delle sue “visioni”, nonostante fosse completamente paralizzata dal pensiero di non poterlo più rivedere vivo? Non era stata forse lei a mettersi su quella mina per evitare che esplodesse e lo uccidesse?

Anche lei lo amava al punto che sarebbe morta per lui…

Quel pensiero la fece sorridere: pretendeva da lui quello che lei stessa non era in grado di dargli.

Chissà quante volte Harm avrebbe desiderato che comprendesse l’amore che nutriva per lei e non continuasse a rinfacciargli che si nascondeva sempre dietro alle battutine... Probabilmente tante quante lei lo aveva accusato di non ammettere mai apertamente i propri sentimenti.

“Allora? Non rispondi? Hai deciso di continuare senza di me?” chiese di nuovo lui, vedendola pensierosa.

“Stavo solo sbirciando, dopo aver visto i tuoi appunti. Hai lavorato anche ieri sera?”

“E tu? Che hai fatto ieri sera? Ti sei divertita?” domandò Harm a sua volta, con un sorrisetto che era tutto un programma.

Sapeva del suo appuntamento con Clayton, si disse: quel tono, quel provocarla, erano tipiche di quando era geloso. Sorrise alla nuova consapevolezza che la sua gelosia non era solo il frutto di rivalità tra uomini, o del tipico atteggiamento di superiorità di Harmon Rabb, ma di rabbia e forse anche di dolore, sentimenti che derivavano dall’amore che lui sentiva per lei. Amore che gli riusciva difficile confessarle, ma che, ora ne era certa, lui provava.

“Dal tuo sorriso devo dedurre che ti sei divertita…” gli sentì dire, con un tono a metà tra la presa in giro e la delusione.

“Sono uscita con Clayton…”

“Capisco.”

“No, non credo, Harm. Ma non importa… Senti, che ne dici di continuare a pranzo la lettura del diario? A quanto pare sembra che vi siano nuovi sviluppi…” gli disse, sventolandogli sotto il naso il quadernetto in pelle, mentre lo prendeva sotto braccio e lo conduceva fuori dalla sala riunioni, con aria allegra.

Più allegra del solito, si disse Harm seguendola docile: chissà se era perché tanto interessata alla continuazione della vicenda o a causa di quello che era successo la sera prima con Webb?

Di certo non perché si accingeva a mangiare un panino assieme a lui...

 


***

Era rimasta paralizzata dalla sorpresa di trovarselo di fronte e dalla consapevolezza che presto la sua vita sarebbe terminata, ma fu solo per un attimo. Lei era una combattente nata e non avrebbe dato a quell’essere viscido e traditore la soddisfazione di vederla impaurita.

“Conte… che sorpresa vedervi!” disse con la stessa aria civettuola che aveva usato per circuirlo. “Non riuscivo a prendere sonno, dopo il ricevimento di questa sera, e stavo facendo due passi… Vorreste accompagnarmi?” aggiunse quindi, fingendo di non essersi neppure accorta che lui le puntava la spada al petto.

“Milady, voi siete davvero sorprendente, sapete?”

“Dite davvero, carissimo Klaus?” continuò con lo stesso tono.

“Credo che voi siate un’attrice nata… Ditemi: fingevate anche tra le mie braccia qualche giorno fa?” disse lui, premendo maggiormente sulla spada.

“Voi che ne dite, caro Conte? Dovreste sapere che effetto fa sulle donne la vostra virilità e la vostra passione…” rispose Lady Sarah, questa volta con tono sarcastico.

“Nessuna donna si è mai lamentata delle mie prestazioni!” esclamò lui inviperito.

“Forse, allora, sono tutte brave quanto me a fingere…” buttò lì Lady Sarah, quasi stesse pensando ad alta voce.

“Allora ammettete che stavate fingendo! Lo avete fatto per carpirmi delle informazioni, vero?” abbaiò Von Webb, al limite della collera. Sapeva di rendersi ridicolo, ma era rimasto talmente affascinato da Milady che, anche quando si era reso conto di come erano andate le cose, faticava a farsene una ragione. Per questo, prima di ucciderla, voleva sentirselo dire in faccia.

Doveva ucciderla, questo era certo. Eppure, in quel preciso istante, l’avrebbe presa proprio lì, a terra, su quel viale, da tanto la desiderava. E più gli resisteva, più la scopriva indomita e fiera, più bramava per possederla di nuovo.

“Noto che vi è rimasto un briciolo d’intelligenza, Conte. Per quale altro motivo mi sarei concessa a voi, se non fosse stato per ottenere le informazioni che volevo? Non avrete creduto, mi auguro, che lo abbia fatto perché… perché attratta da voi, vero? Oh, cielo! No… non mi dite che lo avete pensato! Che davvero avete creduto che avessi perso la testa per voi!” disse divertita. Poi, prima che lui potesse replicare qualcosa, aggiunse con tono durissimo: “Mi ha fatto ribrezzo ogni singolo istante in cui il vostro corpo è stato a contatto con il mio…”.

Un violento schiaffo la colpì in pieno viso, facendola barcollare.

Non appena si riprese, sorrise soddisfatta nel comprendere quanto quelle parole lo avessero ferito nella sua virilità. Ma quel bastardo non si meritava altro…

“Morirete, per questo…” lo sentì dire, mentre vide la spada di Von Webb sollevarsi, pronta ad ucciderla.

Avvenne tutto in un attimo.

Sentì la lama penetrarle nel braccio, e inconsciamente si rese conto che si stava domandando come lui avesse potuto mancarla. Poi realizzò che qualcuno stava lottando con Von Webb: non si era neppure accorta che un uomo a cavallo era piombato sul Bavarese, tanto lo schiaffo l’aveva stordita.

André stava raggiungendo Lady Sarah come si era ripromesso, quando aveva notato, al chiarore della luna, due ombre che si muovevano concitate, anziché una come si era aspettato. Senza indugiare aveva spinto il suo cavallo, facendogli percorrere rapidamente le poche centinaia di metri che lo separavano dalle due figure, arrivando giusto in tempo per lanciarsi su Von Webb mentre la lama della sua spada stava per trapassare Milady in pieno petto.

La lotta tra i due uomini durò ancora qualche secondo, finché il conte austriaco riuscì a sottrarsi al francese l’attimo sufficiente per dileguarsi nella notte.

André D’Harmòn l’avrebbe inseguito, se non fosse stato per la preoccupazione di accertarsi che Lady Sarah fosse ancora viva e portarla via al più presto.

Quando la vide in piedi, e non a terra come aveva temuto nello scorgere la spada di Von Webb alzata su di lei, non si preoccupò neppure di chiederle come stava: gli era sufficiente vederla ancora viva per tornare a vivere anche lui.

Recuperò alla svelta il suo cavallo, la borsa e il mantello di Lady Sarah; la issò in sella, salendo dietro e cingendola alla vita, quindi spronò l’animale al galoppo e fuggì con lei in una disperata corsa contro il tempo.

 

 

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Capitolo 24
*** Cambio di direzione ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XXIV

Cambio di direzione






Aveva spinto il cavallo al limite delle forze per parecchio tempo, costringendolo al galoppo con un peso maggiore di quello cui l’animale era abituato e ora sapeva che doveva farlo riposare.

Si era diretto a sud, anziché verso nord-ovest, come in programma per il viaggio in carrozza. Von Webb era fuggito e sapeva: se le guardie non lo avessero catturato in tempo, certamente li avrebbe inseguiti per ucciderli.

La Borgogna, ormai, non era più una meta sicura. Sarebbe stato meglio dirigersi altrove e raggiungere Cluny quando fossero stati certi che Klaus Von Webb era stato catturato.

Di lì a poco sarebbe sorta l’alba e sarebbe stato meglio trovare al più presto una locanda per cambiare il cavallo e trovarne uno anche per Lady Sarah. Più rapidamente si fossero mossi e più probabilità avrebbero avuto di salvare la pelle.

Concentrato su questi pensieri, non si rese conto di stringere con più forza la donna tra le sue braccia, quasi per timore di vedersela scivolare via.

“Conte… mi state facendo male…” la voce di lei gli arrivò debolissima, quasi un sussurro. All’inizio pensò che fosse a causa del rumore degli zoccoli sul selciato, ma poi osservò il suo volto, pallido e tirato in una smorfia di dolore.

Rallentò la corsa del cavallo, allentando al tempo stesso la presa alla vita di Milady, solo per vederla accasciarsi contro la sua spalla, priva di sensi.

Solo allora si accorse che la donna era stata ferita ad un braccio.

Preoccupato che avesse perso già troppo sangue, lanciò di nuovo l’animale al galoppo, finché non vide, in lontananza, una locanda che faceva al caso loro.

Quando vi giunse, smontò rapidamente e bussò alla porta con Lady Sarah tra le braccia. L’oste, che stava dormendo, fu destato dai colpi e gli aprì in camicia da notte; ignorandolo, André D’Harmòn entrò e depose la donna su un piccolo divano che aveva scorto nell’ingresso, domandando subito una camera e l’occorrente per medicare Milady che si era ferita cadendo da cavallo.

Immediatamente l’oste provvide a soddisfare le richieste del nobiluomo, chiedendo se doveva svegliare la moglie affinché si occupasse della signora. Il Conte rifiutò, sostenendo che si sarebbe preso cura lui della propria consorte, poiché aveva conoscenze in materia. Non avrebbe permesso a nessuno di occuparsi della donna che amava. Sapeva come curare una ferita e voleva essere lui stesso ad accertarsi delle condizioni di Lady Sarah: sperava non fosse necessario ricorrere ad un medico, perché meno persone li avessero notati, meglio sarebbe stato.

Mentre la trasportava nella camera indicatagli dall’oste, chiese anche del cibo e ordinò che gli fossero preparati due cavalli tra i migliori che avessero: non appena Milady si fosse ripresa, sarebbero ripartiti.

L’oste obbedì, senza porre domanda alcuna. Era abituato a non immischiarsi in faccende che non lo riguardavano… da tempo aveva scoperto che era il miglior modo per lavorare senza correre rischi. Pertanto non si domandò neppure come mai due nobili stessero fuggendo da Vienna – perché di certo era quello che stava accadendo ai due ospiti – proprio la notte di Natale.

André depose Lady Sarah sul letto e, accertatosi di nuovo che fosse solo svenuta, le sfilò lentamente la giacca; dopodiché slacciò la camicia e gliela fece scivolare dalle spalle, per scoprirle il braccio ferito.

Il sangue aveva inzuppato parecchio il tessuto, ma, osservando il taglio, notò con sollievo che era meno profondo di quanto avesse temuto. Lo lavò e lo disinfettò, controllando che la lama avesse reciso solo la fascia muscolare superficiale; quindi unì i lembi della ferita che ormai non sanguinava più e fasciò il braccio. Con un panno bagnato pulì anche la pelle circostante, per togliere il sangue rappreso. Infine sollevò delicatamente Milady, le tolse la camicia sporca  e le infilò al braccio sano quella pulita che l’oste gli aveva procurato.

Eseguì tutte quelle operazioni in assoluto silenzio e unicamente concentrato sul respiro di lei, attento al minimo segnale di cambiamento. Si dimenticò del suo corpo, di quanto fosse bella e di come l’aveva di fronte, con la semplice biancheria intima, per altro parecchio più ridotta del consueto poiché Lady Sarah indossava abiti maschili, finché non ebbe terminato di medicarla; ma quando fu sul punto di chiuderle la camicia sul petto, esitò un momento, affascinato dalla pelle delle sue spalle e dall’incavo del seno che aveva così a portata di mano.

Le emozioni appena vissute e il terrore di perderla gli fecero abbassare la guardia, scoprendosi a sfiorarla laddove avrebbe desiderato posare le proprie labbra con avidità… percorse lentamente con le dita quella pelle che aveva sognato milioni di volte di accarezzare, affascinato dalle sensazioni che quel fugace contatto stava trasmettendo alle sue terminazioni nervose.

Bloccò la mano all’altezza del suo seno quando vide due occhi scuri, profondi, che lo stavano osservando: Lady Sarah aveva ripreso conoscenza e lo stava guardando.

André scoprì di non sentirsi affatto imbarazzato: voleva quella donna più di qualunque altra cosa avesse mai desiderato in vita sua e non aveva nessuna difficoltà a dirglielo.

Attese che dalle sue labbra fuoriuscisse un commento sagace, oppure un rimprovero; diede anche una rapida occhiata al braccio sano, quasi ad attendersi uno schiaffo che lo rimettesse al proprio posto, consapevole di essere stato colto in atteggiamento sconveniente; attese ma non accadde nulla. Vide solo nei suoi occhi un’emozione che gli bloccò il respiro in gola e capì che anche lei stava provando le sue stesse sensazioni.

Ma quello non era né il momento né il luogo adatto per amarla; inoltre era ferita e aveva perso parecchio sangue. Dopo ciò che le era successo doveva mangiare qualcosa e riposarsi, per essere in grado di sopportare altre ore a cavallo. Con uno sforzo enorme, si costrinse a chiuderle la camicia, mentre lei lo osservava, sempre in silenzio.

Non proferì parola neppure lui. Si rese conto che non ne servivano: lui aveva capito il suo coraggio nel sopportare la propria ferita senza dire nulla per non ostacolare la loro fuga; lei aveva compreso l’emozione che lo stava guidando mentre l’accarezzava.

L’aiutò a sollevarsi, mettendole due cuscini dietro la schiena, e le porse il vassoio con il cibo che l’oste aveva preparato nel frattempo. Mangiarono entrambi poche cose in assoluto silenzio, osservandosi di tanto in tanto, finché lei si assopì, vinta dalla stanchezza.

Decise di lasciarla riposare per qualche ora; sarebbero ripartiti non appena avesse ripreso un poco le forze.

 

 

 




***

 

25 Dicembre 1856



E’ talmente bella da far male al cuore!

Si è addormentata subito dopo aver consumato un leggero pasto e ho deciso di lasciarla riposare per farle riprendere le forze. La ferita al braccio, fortunatamente, non è grave, anche se quando ho visto la spada di Von Webb alzarsi su di lei ho temuto che l’avrei persa per sempre. Ho temuto per la sua vita anche quando me la sono vista svenire tra le braccia, mentre fuggivamo a cavallo. Fortunatamente ci hanno accolti in questa locanda, anche se è il giorno di Natale, così ho potuto medicarla ed accertarmi che non avesse bisogno di un dottore. Non appena si risveglierà, continueremo il viaggio.

Credo sia meglio proseguire verso il sud della Francia passando attraverso il Lombardo-Veneto e il Regno di Savoia, anziché dirigerci immediatamente in Borgogna. Von Webb sa dove si trova lo Chateau di famiglia e si aspetterà che mi diriga lì, per portare al sicuro Milady. Pertanto da qui prenderemo la via per Innsbruck  per poi attraversare le Alpi… non sarà un viaggio facile, considerato il clima rigido e la neve; tuttavia non abbiamo altra scelta. Non posso farle correre il rischio che Von Webb ci trovi: già una volta sono arrivato appena in tempo per impedirgli di ucciderla. Confido che le guardie di Francesco Giuseppe siano riuscite a catturare il Conte prima che riuscisse a lasciare Schonbrunn. Se non mi fossi dovuto occupare di Lady Sarah, lo avrei rincorso io stesso, quando mi è sfuggito dalle mani; ma la vita di Milady era più importante e avevo promesso all’Imperatore che l’avrei portata in salvo. Egoisticamente sono grato a Sua Maestà del compito affidatomi.

Come ho fatto a resistere e non spogliarla del tutto quando l’ho avuta tra le braccia priva di sensi, mentre le toglievo la camicia per medicarle il braccio, ancora me lo domando… Credo d’essere più “gentleman”  di un vero inglese! Quando, riprendendosi, mi ha sorpreso ad accarezzarla ove la biancheria intima le lasciava la pelle scoperta, mi ha lanciato uno sguardo che non prometteva nulla di buono, tuttavia non ha detto né fatto alcunché. Anzi, osservandola negli occhi, ho notato le mie stesse emozioni a quel fugace contatto.

Come potrò tener fede alla promessa che le feci settimane or sono se, solo a guardarla dormire come sto facendo ora, provo l’irresistibile desiderio di stendermi al suo fianco, svegliarla con un bacio e amarla con tutto me stesso?



***



“Ci siamo, Harm! Queste pagine spiegano come il Conte e Lady Sarah siano finiti sulla Medea!” sentì dire dalla voce del Colonnello.

“Tu credi? Forse hai ragione, Mac” rispose la voce del Comandante.

“Ma certo che ho ragione! Hai letto, o no, quello che ha scritto André D’Harmòn sul diario? Sud della Francia, Harm. E Marsiglia non è nel sud della Francia?”

“D’accordo, te lo concedo. Ma frena il tuo entusiasmo… non siamo ancora certi che siano arrivati davvero a Marsiglia…”

“Oh, sei il solito guastafeste! Devi rovinarmi sempre tutto l’entusiasmo…” sentì Mac replicare, ma con voce allegra, non con il solito tono polemico che ultimamente gli usava.

L’Ammiraglio sorrise, richiuse lentamente la porta della sala riunioni e tornò nel proprio ufficio soddisfatto: le cose sembravano andare per il verso giusto! Magari non avrebbe ricevuto un invito a nozze tanto presto, ma era sicuro che almeno il lavoro ne avrebbe tratto giovamento.

Aveva deciso di verificare di persona se quello che aveva visto dai vetri dell’ufficio durante l’intervallo di pranzo fosse vero oppure un’illusione ottica: con quei due non c’era mai da fidarsi, neppure della propria vista, ancora di dieci decimi nonostante l’età.
Ehm… Ad ogni modo, aveva saltato il pranzo perché stava dettando alla Coates un documento importante da far pervenire al più presto al giudice che seguiva il caso Cresswell, quando, passeggiando come sua abitudine per concentrarsi meglio, si era soffermato davanti ai vetri ed improvvisamente aveva smesso di dettare. Il sottufficiale si era schiarita la voce più di una volta, finché gli aveva domandato se si sentiva bene.

Eccome se si sentiva bene!

Aveva scorto su una panchina nel giardino di fronte agli uffici del Jag il Comandante e il Colonnello intenti a leggere qualcosa. Bè, che c’è di strano, direte voi? Conoscendo quei due, soprattutto tenendo conto del loro comportamento degli ultimi mesi, chiunque avrebbe capito cosa lo aveva piacevolmente sorpreso: il braccio del Comandante sulla spalla del Colonnello e la testa di lei appoggiata al braccio di lui.

Ecco cos’aveva sorpreso l’Ammiraglio Chegwidden!

Intanto, in sala riunioni, i “due” in questione, ignari d’essere oggetto di tanta attenzione da parte del loro superiore, stavano ancora commentando le pagine del diario appena lette.

“Che ti dicevo? Lady Sarah è innamorata del Conte, caro Comandante! Hai letto quello che ha scritto D’Harmòn? Non si è sottratta alla sua carezza…”

“Ah, Mac, che inguaribile romantica che sei! Dimmi la verità: ti stai innamorando tu, per caso, del bel Conte francese?” replicò Harm divertito.

Quanto adorava quel genere di schermaglie tra loro! E quell’atmosfera rilassata che gli ricordava i bei vecchi tempi! Cos’era cambiato in Mac quel giorno? Da quando l’aveva condotto fuori a pranzo per continuare nella lettura, era stata particolarmente affettuosa… se non avesse temuto che il suo buon umore potesse dipendere da Clayton Webb, l’avrebbe baciata!

Accidenti se l’avrebbe baciata! Soprattutto dopo aver letto quello che il francese aveva osato fare mentre si occupava della ferita di Milady.

“Certo che il Conte è un gran bel tipo!” disse per provocarla.

“Perché dici così?”

“Credi che se non fosse stato sorpreso dal suo risveglio, non si sarebbe approfittato della sua paziente?”

“Sei disgustoso! Come puoi pensare una cosa simile? Von Webb avrebbe agito così, ne sono certa, ma non il Conte D’Harmòn!”

“Mhmm… sì, credo anch’io che Webb si comporterebbe così…” mormorò tra i denti Harm, credendo che lei non lo sentisse.

Mac fece finta di nulla, ma aveva ben inteso la battuta. Tuttavia preferì ignorare e continuò a prendere le difese del conte francese.

“Sono assolutamente certa che ha agito solo guidato dall’istinto e dal desiderio del momento, ma non avrebbe mai approfittato di lei. André D’Harmon è un signore, nel vero senso della parola!”

“E a te piace da morire, vero?” chiese lui.

“Sì, mi piace da morire” confermò decisa. Poi aggiunse in un sussurro: “Sono pazza di lui…”

Sollevò lo sguardo e incontrò un paio di occhi del colore del mare che la stavano fissando intensamente.

Sì, era proprio pazza di lui, si disse, ricambiando in silenzio quel momento.

“Cosa ti piace del Conte?” domandò Harm all’improvviso, spezzando l’atmosfera che si era creata.

“Cosa mi piace oltre la sua nobiltà d’animo? Mi piace come ammette di essere innamorato di lei, di desiderarla alla follia… Ecco cosa mi piace del Conte.”

“Quindi ti innamoreresti di chiunque ti dicesse che ti desidera?” chiese lui.

“Il Conte non è chiunque, per lady Sarah. Lei ne è innamorata, altrimenti non avrebbe reagito a quel modo ai suoi baci e alle sue carezze…” rispose decisa.

“Non hai risposto alla domanda, Mac” puntualizzò lui.

“Non sono innamorata di chiunque, Harm. Sono innamorata di un solo uomo…” ammise, guardandolo negli occhi.

E quell’uomo sei tu, aggiunse tra sé.

 

 

 

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Capitolo 25
*** Immersi nel bianco ***


Capitolo XXV

Immersi nel bianco



Da tre giorni stavano cavalcando ininterrottamente, fermandosi solo per cambiare i cavalli, per mangiare e per dormire. La notte precedente l’avevano trascorsa in una locanda poco fuori Innsbruck: avevano cenato in una saletta privata che il Conte aveva richiesto appositamente per loro e poi si erano ritirati nelle rispettive camere. Quella mattina, prima dell’alba, erano ripartiti, diretti verso le montagne.

Il Conte D’Harmòn le aveva detto che da quel punto in poi avrebbero faticato parecchio e ci sarebbero voluti giorni prima che potessero fermarsi nuovamente in una locanda, al di là delle Alpi. Per questo motivo aveva fatto scorta di cibo e liquori, prima di partire: dovevano affrontare il freddo e la neve e non era certo di riuscire sempre a trovarle un riparo per la notte.

Lady Sarah gli aveva risposto che non avrebbe dovuto preoccuparsi per lei, che ce l’avrebbe fatta, ma ora, dopo una giornata al freddo e sotto la neve, cominciava a dubitare della sua resistenza. Si sentiva congelata, nonostante il pesante mantello che l’avvolgeva, e anche molto stanca. La ferita le faceva ancora un po’ male, ma era certa che se avessero potuto fermarsi per qualche giorno a riposare, si sarebbe sentita meglio.

Era esausta. Nonostante l’allenamento costante e il suo fisico sportivo, non aveva mai affrontato tanto a lungo temperature così rigide ed estenuanti ore a cavallo. Una cosa era galoppare ogni giorno per un paio d’ore al massimo nei boschi o attraverso i prati, altra cosa era stare in sella per tre giorni di seguito, fermandosi solo per poche ore la notte, sotto il freddo polare dell’inverno sulle Alpi.

Nonostante tutto si guardò attorno, affascinata dal paesaggio che le si presentava davanti agli occhi.

Le Dolomiti innevate erano uno spettacolo da mozzare il fiato: attorno a loro solo silenzio, interrotto esclusivamente dal fruscio della neve che cadeva ogni tanto da qualche albero; neanche il rumore degli zoccoli, poiché i cavalli non calpestavano il terreno, ma affondavano nella coltre bianca che ricopriva ogni cosa.

Durante la mattinata una bufera di neve li aveva accompagnati per diverse ore, ma finalmente nel primo pomeriggio era riapparso il sole. Non era servito granché a scaldarli, tuttavia aveva regalato un paesaggio da fiaba. Anche in quel momento, mentre stava calando la sera, sembrava di essere in un mondo incantato e lei si era innamorata rapidamente delle montagne del Tirolo.

Lady Sarah non aveva paura. Da quando aveva affrontato Von Webb ed era uscita viva grazie all’intervento di André D’Harmòn, si era affidata completamente a lui, docile come non era mai stata. In quei tre giorni avevano parlato poco e lei non riusciva a spiegarsi l’umore del Conte: era molto premuroso con lei, ma si manteneva sulle sue. Non aveva più scherzato, non l’aveva più guardata come lo aveva sorpreso fare il primo giorno, dopo che le aveva medicato la ferita.

Ogni volta che ripensava a quel momento, all’attimo in cui aveva ripreso conoscenza e lo aveva visto chino su di sé, con lo sguardo offuscato e le sue mani che le sfioravano la pelle in zone sensibilissime, si scopriva a desiderare spasmodicamente che quelle mani la toccassero ancora.

Eppure non era proprio lei la donna che si era imposta di non innamorarsi mai? Di non cedere alla passione? Di non regalare il suo cuore ad un uomo?

Ma André D’Harmòn era un’altra cosa. Lui era come il frutto proibito, che attraeva irresistibilmente a sé. E ora, che sembrava più distante, era ancora più irresistibile…

“Ci fermeremo qui per la notte” la sua voce le giunse improvvisa e la riscosse da pensieri troppo pericolosi per il suo cuore.

Si guardò attorno e notò che lui aveva individuato un piccolo chalet immerso nel bianco. Lo seguì sul retro della costruzione in legno, osservando che aveva trovato l’entrata per una stalla, ormai disabitata da tempo, probabilmente dall’estate precedente, ma dove vi era ancora del fieno per nutrire gli animali. Fecero entrare i cavalli e poi si diressero all’ingresso principale.

Con un calcio ben assestato, André aprì la porta ed entrò in un locale ampio: al centro di una parete c’era un camino e dal lato opposto una scala in legno appoggiata ad una specie di soppalco, probabilmente l’unico letto del rifugio. Di fronte al camino c’era un vecchio divano e davanti ad esso un folto tappeto. Alle spalle del divano si trovava un piccolo tavolo con due sedie.

Non era granché come luogo, ma a Lady Sarah sembrò il paradiso su questa terra, tanto era stanca e infreddolita.

Rapidamente il Conte accese un fuoco con la legna accatastata che trovò in un angolo e poi legò con una robusta corda la porta che aveva scardinato, affinché non si aprisse. Lady Sarah lo osservava in silenzio svolgere quei compiti: si era tolto il pesante mantello che lo copriva e ora si stava togliendo anche la giacca. A quanto pareva il movimento lo aveva riscaldato alla svelta, mentre lei non riusciva ancora a muoversi per il freddo, nonostante il tepore del fuoco.

Anche lui la osservava di sottecchi. Erano giorni che la osservava, che non si perdeva nulla di quella donna. Si limitava ad osservarla, perché se si fosse abbandonato al suo istinto, non sarebbe stato in grado di controllarsi. Proprio per quel motivo, dalla prima notte trascorsa in camera con lei a vegliarla, per le altre due notti  aveva richiesto due camere separate, altrimenti non sarebbe più riuscito a dormire. Già così aveva faticato parecchio a prendere sonno sapendola distante solo pochi passi, nonostante il viaggio avesse stancato anche lui.

Continuava a meravigliarsi della resistenza di Lady Sarah: in tre giorni non l’aveva sentita lamentarsi una sola volta. Eppure sapeva che doveva essere parecchio stanca e infreddolita. Probabilmente aveva anche male al braccio, ma mai una volta lo aveva pregato di fermarsi. Obbediva docile e sottomessa ad ogni suo ordine ed egli si stava domandando se per caso l’aver visto la morte in faccia con Von Webb non l’avesse traumatizzata eccessivamente.

Avrebbe voluto parlarle; desiderava spasmodicamente stringerla a sé, come durante le prime ore della loro fuga, quando erano in sella allo stesso cavallo: in quel momento l’aveva sentita completamente sua. Ma aveva paura a farlo. Qualunque gesto, qualunque parola, l’avrebbe condotto inesorabilmente verso di lei, e lui non sapeva come fare per trattenersi dal baciarla, se non come stava facendo, ossia quasi ignorandola.

E quella notte si sarebbe presentato anche il problema del letto: era impensabile che potessero dormire assieme in quell’unico giaciglio lassù! La sola idea di averla tanto vicina, con il corpo illuminato dalle stelle che si vedevano attraverso la piccola finestra al soffitto, lo faceva impazzire. Non sarebbe riuscito a resistere senza toccarla. Guardò il divano di fronte al camino con aria desolata: mancavano come minimo una ventina di centimetri perché potesse riuscire ad allungare completamente le gambe, ma sarebbe stata una tortura più sopportabile che non quella di averla accanto senza poterla avere.

Nell’ispezionare con lo sguardo la stanza, posò gli occhi su di lei e si accorse che era ancora in piedi, completamente avvolta dal mantello. Vide il volto pallido e le labbra bluastre e si rese conto che era quasi assiderata, eppure non aveva detto nulla. Preoccupato, scordò i buoni propositi di mantenere le distanze e si avvicinò, prendendole una mano tra le sue: era freddissima.

“Ma voi state tremando…” disse, spezzando il silenzio che si era creato tra loro ormai da giorni.

“Non è nulla… ho solo freddo…” rispose lei, ritraendo lentamente la mano. Era più facile tenere a bada le proprie emozioni se lui non la toccava.

“Venite qui” ordinò dolcemente lui, attirandola a sé. Le tolse il mantello e la giacca e lei lo lasciò fare. Poi la condusse davanti al fuoco scoppiettante e la strinse tra le braccia, per scaldarla anche con il calore del proprio corpo. Da principio lei rimase rigida, poi lentamente si rilassò e appoggiò il capo sulla sua spalla.

Era esausta per il freddo e la fatica. Ma a poco a poco il contatto con il corpo di lui la fece sentire meglio; il Conte aveva iniziato a frizionarle le braccia e la schiena, per riscaldarla, e le sue mani le stavano regalando sensazioni bellissime.

“Vi fa ancora male la ferita?” domandò lui, continuando quella dolce tortura.

“No…” rispose, ma poi aggiunse, “solo un poco…”

“Perché non mi avete chiesto prima di fermarmi? Avrei trovato un altro riparo per la notte”.

“Potevo continuare ancora, se fosse stato necessario…”

“No che non avreste potuto! Poco fa eravate quasi assiderata… Perché non avete detto nulla?”

Lei sollevò lo sguardo verso di lui e si perse in quegli occhi chiari che brillavano alla luce del fuoco.

“Credevo non voleste più parlarmi…” si decise a confessargli, con un mezzo sorriso.

Lui si rese conto che sarebbe arrivata al punto di stare male, pur di non contrariarlo e provò disgusto per se stesso: per non sapersi trattenere dal desiderarla, l’aveva quasi uccisa.

“Mi dispiace… non volevo darvi l’impressione di non volervi parlare…” le disse, mentre dolcemente le faceva scorrere un dito su una guancia, in una lenta carezza che voleva essere di conforto, ma che si rivelò diventare un’arma pericolosissima. Lei, inconsciamente, stava assecondando con il volto la sua mano e lui si sentì assalire di nuovo dalla voglia di averla. Quando poi sollevò il viso e lo guardò negli occhi, André fu perduto…

Si chinò sulle sue labbra, sfiorandogliele con brevi e rapidi tocchi delle proprie, in un dolcissimo invito a socchiuderle. Una mano scivolò tra i suoi capelli, cercando alla cieca il fermaglio che li tratteneva e, non appena lo ebbe trovato, lo aprì, lasciando che la cascata delle sue morbide onde gli nascondesse la mano che aveva iniziato ad accarezzarle la nuca. L’altra, invece, la stringeva alla vita, trattenendola il più possibile contro il proprio corpo eccitato. Quando comprese che lei non gli poneva ostacoli, gemette dal desiderio e s’impossessò della sua bocca con un bacio disperato.

Si lasciò guidare esclusivamente dall’istinto, dall’intenso desiderio che provava per lei e da tutte le sensazioni che stava assaporando nell’averla finalmente tra le braccia, dolce e arrendevole. Continuò a baciarla finché non sentì una sua mano sfiorargli il volto e l’altra accarezzargli lentamente, dolcemente le spalle; solo allora si rese conto che avrebbe perso rapidamente il controllo e si staccò dalle sue labbra per mormorarle:

“Fermatemi… Fermatemi ora, Sarah…” era una supplica disperata quella che le rivolse, perché sapeva che da solo non sarebbe riuscito a farlo.

Ma era troppo tardi anche per lei.

“Fermatemi, ve ne prego… altrimenti non sarò più in grado di farlo quando me lo chiederete…” mormorò di nuovo sulla sua bocca, prima di baciarla ancora.

E di nuovo lei rispose al bacio con tutta la passione che quell’uomo era riuscito a suscitarle.

“Non voglio fermarvi, Conte…” rispose con il fiato corto e il cuore che le batteva furioso nel petto.

Lui la guardò negli occhi: “André. Chiamami André, ti prego… voglio sentire il mio nome sulle tue labbra…”

“Non voglio fermarti, Andrè…” ripeté lei, accontentandolo. “Baciami… Baciami ancora…”.

Obbedì senza indugio alla sua richiesta, sopraffatto dall’intensità delle emozioni che stava provando, ma ancora incapace di credere che lei gli stesse concedendo libero accesso al proprio corpo.

 “Voglio fare l’amore con te, Sarah. Lo sai questo, vero? Ti desidero come non ho mai desiderato una donna in tutta la mia vita…”.

“Voglio che continui… voglio provare cosa significa essere posseduta dall’unico uomo che sia riuscito a risvegliare in me un desiderio tanto forte…”

“Non voglio possederti, Sarah. Io desidero fare l’amore con te. Lo desidero disperatamente” volle precisare lui. Poi aggiunse: “Sono innamorato di te da mesi, forse fin dalla prima volta che ti ho vista…” 

La sentì irrigidirsi per un attimo, a quelle parole.

“Cosa succede?” domandò.

“Nulla… ma non parlare d’amore.”

“Perché? Perché non devo farlo se è ciò che provo?”

“Perché io non ti amo” rispose decisa.

André sentì come una stilettata al cuore, ma non si fermò: proseguì ad accarezzarla dolcemente, lasciando che le sue labbra le sfiorassero la pelle sensibile del collo fino ad arrivare alla scollatura della camicia che lei indossava.

“Come non amavi Von Webb quando ti sei concessa a lui?”

A quelle parole fu lei a ricevere la stilettata al petto. Ma le sue mani continuavano a toccarla, slacciando ad uno ad uno i bottoni fino a sfilarle la camicia dalle spalle, lasciandola con solo la biancheria intima a coprirle il seno.

“L’ho fatto per un unico motivo…” ammise lei, col fiato corto per l’eccitazione. Non aveva mai provato nulla di simile con un uomo, prima di allora. Le poche volte che si era concessa a qualcuno era accaduto sempre per lo stesso motivo, perché aveva bisogno d’informazioni in cambio e non era riuscita ad evitarlo. Quella era l’unica volta in tutta la sua vita che stava per permettere ad un uomo di possederla solo perché voleva scoprire cosa si provava con qualcuno che le procurava sensazioni tanto appaganti semplicemente baciandola.

“E ti è piaciuto?” stava domandando lui, fermandosi per un attimo a guardarla negli occhi.

“Con Von Webb? No, neppure per un momento. Ho provato solo disgusto, così com’è sempre successo quando ho concesso ad un uomo il mio corpo…”

“Mi stai dicendo che non hai mai provato piacere nel fare l’amore?” domandò incredulo.

Lei annuì, incapace di capire cosa lo turbava tanto.

“Voi uomini siete esseri strani, avete bisogno di soddisfare il vostro corpo, lo so. Noi donne ve ne diamo la possibilità, tutto qui. L’amore non c’entra in tutto questo… si tratta semplicemente di un bisogno fisiologico e io concedo il mio corpo, che sembra destare tanto interesse tra voi maschi, solo quando mi serve farlo… Le informazioni che ne ricavo sono un giusto prezzo per sopportare il vostro corpo addosso e dentro al mio, non credete Conte?”

Egli la fissò in silenzio, profondamente scosso da quelle parole. Ora capiva meglio come la pensava e si domandava cosa l’avesse spinta a tanto. Quel discorso forniva anche una spiegazione al suo comportamento con Von Webb: per lei non aveva significato nulla, anzi, era stato un motivo in più per disprezzare gli uomini.

Eppure…

Eppure quel discorso, tanto cinico quanto convinto, contrastava con il modo in cui stava rispondendo ai suoi baci e alle sue carezze.

“Vi ho scandalizzato, Conte? E’ per questo che non rispondete? Vi avevo detto di non parlarmi d’amore…”

“Non mi avete scandalizzato, Sarah. Stavo semplicemente pensando… mi stavo chiedendo come mai, se per voi gli uomini sono solo mezzi per ottenere informazioni, avete deciso di concedere a me, proprio a me, il vostro corpo per soddisfare… com’è che li avete chiamati? Ah, sì! I miei bisogni fisiologici senza che in cambio io vi dia alcunché…”

“Ve l’ho detto: desidero provare ad essere posseduta da un uomo che mi suscita sensazioni piacevoli quando mi bacia”.

“Giusto… scordavo la questione. Però c’è un problema, Milady” disse il Conte, con aria divertita, senza smettere di stringerla a sé. “Vedete, Lady Sarah, io non desidero possedere il vostro corpo. Non solo quello, almeno.”

“Cosa volete d’altro?” domandò ingenuamente lei, senza capire ancora dove lui voleva andare a parare.

“Io voglio il vostro cuore” rispose André D’Harmòn, prima di sollevarle il viso e baciarla di nuovo. La baciò a lungo, intensamente, esigendo dalle sue labbra una risposta appassionata.

“E’ impossibile…” disse lei, quando finalmente la lasciò andare.

Lui osservò sul suo volto gli effetti del bacio che le aveva appena dato e sorrise.

“Vedremo…” sussurrò al suo orecchio, prima di inebriarsi delle sensazioni stupende che stava per regalare ad entrambi.

Lentamente la spogliò dei pantaloni che indossava e della biancheria, lasciando scorrere lo sguardo sul suo corpo: era stupenda! Aveva un seno rigoglioso e morbido, talmente invitante da farlo quasi star male, che risaltava sul suo corpo snello e le donava un aspetto sensuale e seducente. Mentre si appagava di quell’immagine meravigliosa, osservò anche con attenzione la sua reazione: la semplice passione che traspariva dai suoi occhi al solo guardarla, aveva suscitato in lei un’emozione intensa, che faticava a nascondere e André si rese conto che sarebbe stato più facile di quello che temeva conquistare il cuore di quella splendida donna.

Era perduta, e lo sapeva!

Nessuno l’aveva mai guardata a quel modo… nessuno l’aveva mai fatta sentire tanto bella. Nessun uomo, fino a quel momento, l’aveva mai spogliata completamente. Si erano accontentati di entrare in lei frettolosamente, sollevandole appena le vesti quel tanto che bastava per raggiungere lo scopo. Al limite le avevano scoperto il seno, per baciarglielo avidamente al solo fine di eccitarsi meglio.

Quando lui si tolse la camicia e la fece stendere sul tappeto davanti al fuoco, lei capì che non avrebbe più avuto scampo e che il suo cuore sarebbe appartenuto a lui per sempre. Era così bello da farle perdere la testa e l’intimità che stavano condividendo, pelle contro pelle, stava distruggendo lentamente le barriere con le quali aveva cercato disperatamente di difendersi.

“Sei stupenda…” mormorò André, mentre accarezzava con le labbra il suo seno, torturandola con insistenza. Lei non riuscì a resistere a quel dolce assedio e fece scorrere le mani sul suo torace muscoloso, assaporando sotto le dita il contatto con la sua pelle.

“Baciami… Ti prego, baciami anche tu…” la implorò, quando sentì le sue mani su di sé.

Sarah si lasciò guidare dal desiderio che provava per lui e per la prima volta sfiorò con le labbra il corpo di un uomo. Scoprì che le piaceva molto e proseguì con l’esplorazione, mentre lui continuava a toccarla…

Era quello fare l’amore?

Quel lasciarsi andare alle sensazioni, ricercandone di nuove in continuazione?

Quell’abbandonarsi con fiducia nelle mani di un uomo, permettendo al proprio corpo di plasmarsi fino a fondersi con il suo?

Quel desiderare intensamente di averlo dentro di sé, per raggiungere un piacere che solo lui avrebbe potuto darle e al tempo stesso volergli regalare le stesse emozioni?

Quel volere il contatto con la sua pelle, con le sue mani, con le sue labbra, senza riuscire a fare a meno di toccarlo, baciarlo e accarezzarlo?

Se tutto quello era fare l’amore, a Sarah piaceva tantissimo… ed era qualcosa di talmente intenso che non sapeva se sarebbe più riuscita a farne a meno, ora che lo aveva scoperto.

Si rese conto di volerlo dentro di sé e fu lei a slacciargli i pantaloni che ancora indossava; non appena se li fu tolti, André si abbandonò completamente all’istinto e la trascinò sopra di sé, perché voleva regalarle la sensazione di essere lei a possederlo.

Quando comprese la sua intenzione, a Sarah vennero quasi le lacrime agli occhi… se quell’uomo non l’avesse già conquistata da tempo, l’avrebbe amato solo per quello.

Assecondando il suo volere, si regalò per la prima volta un piacere che non aveva mai sperimentato, un piacere che la fece sentire intimamente donna. Quindi si lasciò possedere da lui, abbandonandosi alla sua passione e al suo desiderio di averla…

E mentre André la stava amando con tutto se stesso, ottenne ciò che desiderava di più: nell’attimo in cui lei gli sussurrò “Ti amo”, ottenne finalmente il suo cuore.

 


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Capitolo 26
*** Contrasto di sentimenti ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XXVI

Contrasto di sentimenti



Vistosi perdere la partita a causa dell’intervento di D’Harmòn, Von Webb si era dileguato nei giardini del castello, aiutato in questo dalle ombre della notte che ancora persistevano. Aveva raggiunto il proprio cavallo ed, eludendo la sorveglianza ai cancelli principali, era uscito dal perimetro dello Schonbrunn attraverso una porta secondaria poco sorvegliata.

Certamente l’Imperatore aveva già diramato l’ordine di catturarlo, e doveva battere tutti sul tempo.

Si era diretto verso la sua residenza privata a Vienna.

Non appena vi era giunto, aveva affidato la cavalcatura ad un servitore insonnolito e si era rifugiato nel suo studio privato. Non aveva molto tempo a disposizione, sapeva ormai che le guardie imperiali erano sulle sue tracce, aveva notato, strada facendo un insolito dispiegamento di forze: gendarmi e soldati dell’esercito in mobilitazione che pattugliavano la città. La sua buona stella, tuttavia, non l’aveva abbandonato, e il percorso che l’aveva condotto al palazzo era sgombro. Ma il tempo scarseggiava.

Doveva elaborare un piano alla svelta e si era rallegrato che la casa fosse deserta: sua moglie era dai genitori, dopo la festa non se l’era sentita di tornare alla casa coniugale. Era molto scossa.

Aveva acceso il camino senza neanche attendere che qualcuno della servitù lo facesse al suo posto e si era seduto allo scrittoio.

La sua mente pensava molto in fretta, cercando di comprendere non solo dove avesse fallito, ma anche l’itinerario che Lady Sarah e D’Harmòn avrebbero potuto seguire.

Il Conte è francese, quindi cercheranno scampo in Francia” si era detto, alzandosi e traendo un grosso volume dalla biblioteca alle sue spalle.

Lo aveva aperto sullo scrittoio. Era un atlante del Nord Europa e con un dito aveva provato a tracciare il percorso dei due fuggiaschi.

Ormai era inevitabile: avrebbe dovuto ucciderli. Non poteva permettere che trovassero riparo da qualche parte e si mettessero nuovamente in contatto con Francesco Giuseppe rivelandogli i suoi piani. Dovevano morire prima, entrambi, così se lui fosse stato acciuffato dalle guardie imperiali avrebbe sempre potuto raccontare ciò che più gli aggradava e convincere l’Imperatore che si era trattato solo di un malinteso. A suo tempo, poi, avrebbe trovato un capro espiatorio e la faccenda si sarebbe chiusa.

Sbarrerò loro l’accesso alla Francia” si era detto, “così saranno costretti a deviare per il Tirolo… ma D’Harmòn ci avrà già pensato. Sarà anche un francese, ma non è stupido.”

Aveva fissato l’atlante.

I secondi correvano e le guardie dell’Imperatore si avvicinavano. Dopo i suoi appartamenti allo Schonbrunn sarebbero certamente arrivate anche lì.

Doveva sbrigarsi e pensare in fretta.

“Un momento!” aveva esclamato. “Milady è inglese, per cui… ma certo come non ho fatto a pensarci prima! Andranno a Marsiglia, l’unico porto aperto in questa stagione e per farlo attraverseranno le Dolomiti. Li attenderò là e allora…”

Aveva chiuso il volume ed era uscito a precipizio dallo studio, lasciando tutto com’era, ci avrebbe pensato la servitù a rimettere le cose a posto. Aveva lasciato il palazzo immerso nell’oscurità, mentre l’alba del giorno di Natale cominciava a schiarire il cielo sopra i tetti di Vienna.

La città era in subbuglio: la notizia dell’attentato all’Imperatrice si era sparsa come fuoco nella sterpaglia. Molta gente si era riversata nelle strade nonostante l’ora, e in mezzo a quella folla che si stava dirigendo verso lo Schonbrunn per apprendere notizie sullo stato di salute di Elisabetta c’erano anche molti gendarmi e poliziotti che sorvegliavano la situazione.

Tutte le forze di polizia avevano ricevuto un ordine esplicito: catturare l’aiutante di campo di Sua Maestà vivo.

Ma la baraonda era davvero imponente e non era affatto facile tenere sotto controllo tutto quanto.

Von Webb aveva approfittato di questa situazione e si era diretto verso il luogo ove abitualmente si ritrovava con le sue amanti occasionali e i suoi fedelissimi.

Un ghigno truce gli era comparso sul volto tramutandolo in una maschera da Grand Guignol: aveva un piano e quando fosse giunto a destinazione, sarebbe stato anche al sicuro dalle guardie dell’Imperatore.

Avrebbe obbligato i due amanti a scegliere la via delle Alpi e del Tirolo, per poi passare nel Lombardo-Veneto e nel Regno di Savoia, fino a giungere a Marsiglia e colà avrebbe avuto ragione di entrambi.

 

 


***



29  Dicembre 1856




Stavi quasi per morire assiderata, pur di non contrariarmi.

Hai capito perché ti tenevo lontano? Hai capito perché evitavo di parlarti, se non lo stretto indispensabile?

Durante i tre giorni a cavallo, diretti verso le montagne del Tirolo, è stata una tortura non prenderti tra le braccia e cercare di scordarmi di te.

Quando ho visto quel piccolo chalet immerso nel bianco il mio primo pensiero è stato: “Non puoi fermarti qui con lei...”. Ma non potevamo proseguire per tutta la notte… già così avevo chiesto uno sforzo eccessivo al tuo fisico. Eri esausta e completamente gelata. Tesa all’inverosimile nel tentativo di resistere e non lamentarti.

Quando ti ho preso tra le braccia, per riscaldarti con il mio corpo, sapevo che per me sarebbe stata la fine.

Il mio desiderio era indescrivibile e quando tu mi hai guardato non sono più stato in grado di resistere.

Nei tuoi occhi ho potuto vedere il riflesso dei miei sogni.

Baciarti, dirti che ti amo, è stato come lasciare andare un respiro trattenuto troppo a lungo: sarei morto, se non lo avessi fatto.

Nei tuoi occhi ho visto che anche tu stavi andando alla deriva… non volevi saperne del mio amore, ma mi desideravi da morire. Io, invece, oltre al tuo corpo, volevo soprattutto il tuo cuore. Il mio già ti apparteneva dal nostro primo incontro.

Ti ho baciata e, finalmente, nei tuoi occhi c’erano le risposte alle mie domande. Ho fatto l’amore con te come non ho mai fatto con nessun’altra donna.

Dopo aver saputo che avevi sempre provato repulsione nel concedere il tuo corpo ma che, nonostante ciò, desideravi che proprio io ti possedessi, senza ricavare alcunché in cambio, ho voluto regalarti le sensazioni più belle che un uomo può donare alla sua donna.

Ora, nei tuoi occhi, posso vedere perché il nostro amore è vivo e penso di avere imparato ad amarti di più.

Hai detto che ti sarebbe stato impossibile concedermi il tuo cuore…

Forse non lo sai ancora ma, mentre tra le mie braccia sussurravi “Ti amo”, il tuo cuore era già mio.

 


***



Harm terminò la lettura della giornata del diario che portava la data del 29 dicembre 1856 e rimase in silenzio.

Accoccolata tra le sue braccia, come ormai si stava abituando a fare, anche Mac non disse nulla. Non ci riusciva. Le parole usate dal conte per descrivere i suoi sentimenti e ciò che aveva provato nel far l’amore per la prima volta con la donna che amava, erano così poetiche, così dolci ma al tempo stesso piene di passione, che n’era rimasta sopraffatta.

Sentirle pronunciate da Harm, poi, per lei era stato troppo!

Quante volte aveva desiderato che lui le dicesse parole simili?

Osservandolo di sottecchi mentre leggeva, si era accorta che anche Harm sembrava emozionato: all’inizio la sua voce aveva il solito timbro profondo che tanto le piaceva; ma mentre proseguiva nella lettura, l’aveva sentita abbassarsi di un tono, in alcuni momenti addirittura arrochirsi, come se le parole pronunciate emozionassero anche lui e faticasse a proferirle.

Harm continuava a tenerla tra le braccia e restava in silenzio.

Chissà quali pensieri stanno attraversando la sua mente? si domandò Mac. Incapace di resistere alla curiosità di leggere nel suo sguardo, alzò gli occhi verso di lui e vide che la stava osservando; ciò che lesse le impedì di dire qualunque cosa.

Quegli stupendi occhi del colore del cielo in tempesta le stavano comunicando le stesse emozioni che il Conte aveva così ben descritto nel suo diario.

Harm continuò a guardarla sempre in silenzio ma, una volta tanto, lei si accontentò di quello sguardo e di tutte le parole non dette.

 

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Capitolo 27
*** Marsiglia ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XXVII

Marsiglia



Un mese dopo la loro precipitosa fuga da Vienna, Lady Sarah e il Conte D’Harmòn giunsero finalmente a Marsiglia. Avevano dovuto affrontare un lungo viaggio, a volte anche pericoloso, con gli sgherri di Von Webb sempre alle calcagna.

Ora, nel porto francese, speravano di trovare un imbarco che li conducesse sani e salvi in Inghilterra dalla quale, attraversando la Manica, sarebbero al fine arrivati in Francia e di lì a Cluny.

Arrivarono a Marsiglia una fredda mattina di fine gennaio 1857. Era l’alba e la carrozza, noleggiata a Tolone, correva sulla strada principale. Di lì a poco avrebbero visto i primi docks del porto.

Al momento sembrava che i fedelissimi del Conte bavarese avessero desistito dai loro propositi, ma D’Harmòn non era tranquillo, non lo sarebbe stato fintantoché non avessero trovato un passaggio per il Regno Unito, mettendo così quanta più distanza possibile fra loro e Von Webb.

La carrozza prese una buca e sussultò violentemente facendo svegliare Lady Sarah che si era momentaneamente assopita, stanca per il viaggio.

Aprì gli occhi e guardò Andrè.

“Mia cara siamo quasi arrivati” le disse dolcemente.

“Non ci saranno molte navi alla fonda” osservò lei. “In questo periodo dell’anno i traffici commerciali marittimi sono praticamente fermi per via dell’inverno e Marsiglia è...”

Lui la tacitò con un bacio: “Dubiti sempre della nostra buona stella?”

Milady sorrise amorevole: “No, non ne dubito.”

“Allora sii fiduciosa, amor mio, troveremo senz’altro un passaggio che ci conduca oltre Manica” rispose abbracciandola.

Lei si accoccolò nell’incavo del suo abbraccio e rimasero così fino a quando la carrozza, con uno stridio di ruote e zoccoli sul selciato umido e scivoloso, si fermò.

Lady Sarah e Andrè furono quasi sbalzati in avanti a causa della brusca frenata. Udirono il cocchiere cercare di calmare i cavalli innervositisi, ma subito dopo la voce dell’uomo venne tacitata bruscamente da un’altra persona, che parlava con un marcato accento tedesco.

Andrè fece per aprire lo sportello della vettura, ma Lady Sarah lo fermò: “Aspetta, potrebbero essere gli uomini di Von Webb.”

“Prima o poi dovremo affrontarli e…” D’Harmòn non terminò la frase che la portiera della carrozza venne spalancata con violenza, quasi svellendosi dal cardine che la incernierava al veicolo.

“Sapevo che sareste arrivati qui a Marsiglia. Siete così prevedibili. Era l’unica strada praticabile dopo che vi ho sbarrato tutte le altre vie” rise beffardo Von Webb.

“Voi!” sibilò Lady Sarah con gli occhi fiammeggianti d’ira.

“Milady” le sorrise laido l’uomo, “lieto di rivedere il vostro delizioso volto.”

Rivolse poi la sua attenzione a D’Harmòn: “Abbiamo un qualcosa in sospeso, voi ed io” lo provocò.

Il francese annuì serio e determinato mentre la mano correva immediatamente al calcio della pistola.

“Andrè…” mormorò lei.

Lui non si voltò, ma scese dalla carrozza.

Von Webb si sporse nell’abitacolo: “Quando avrò terminato con il vostro spasimante da quattro soldi, concluderò anche con voi Madame” e richiuse lo sportello abbaiando un ordine in tedesco a due dei suoi scagnozzi che prontamente si misero di piantone davanti alle uscite della vettura per impedire alla donna rinchiusa qualunque via di fuga.

I due rivali si avviarono lungo la banchina semideserta.

Il pallido sole invernale cominciava appena a rischiarare il nero del cielo notturno e la superficie tranquilla del mare era leggermente increspata.

Salvo qualche marinaio ubriaco che usciva da una delle bettole aperte lungo il dock e due prostitute che rientravano dalla nottata, in giro non c’era nessuno. Sarebbero dovute trascorrere alcune ore prima che gli empori aprissero e le contrattazioni cominciassero.

Von Webb e D’Harmòn si fronteggiarono, scambiandosi occhiate di fuoco.

“Ho sempre pensato che foste un damerino da strapazzo, voi francesi siete solo dei debosciati” rise ironico il bavarese.

“E io vi ho sempre ritenuto un traditore” replicò caustico Andrè.

“Voi non sapete nulla di me.”

“So quanto basta. Avete attentato alla vita dell’Imperatrice per motivi gretti e futili. Non meritate di…” la frase del Conte D’Harmòn si perse nell’eco di uno sparo che rimbombò a lungo nelle stradette deserte del porto. Il francese si accasciò a terra tenendosi il braccio con il quale impugnava la pistola che cadde al suolo con un tonfo sordo.

“Chiacchiere, voi francesi non sapete altro che far chiacchiere inutili” lo sbeffeggiò Von Webb. “Vi manca lo spirito pragmatico di noi tedeschi. Se foste stati come noi a quest’ora sul trono di Francia non siederebbe il nipote di un ufficiale corso di umili origini.”

Si avvicinò ad Andrè con la pistola in mano, tenendolo sotto tiro.

L’altro nel frattempo si era rialzato, ma non poteva impugnare la propria arma a causa del braccio lievemente ferito. Con un calcio il bavarese buttò il revolver del suo antagonista in mare.

Ora Andrè era in balia del suo nemico.

“Godrò nell’uccidervi come un cane e godrò ancor di più quando condurrò con me Milady per trattarla come una dama suo pari merita…” un’espressione viscida e lussuriosa compariva sul volto del bavarese.

Il Conte D’Harmòn non ci vide più dalla rabbia e si scagliò sul nemico con tutta la forza che aveva in corpo.

Il Conte bavarese perse l’equilibrio e la pistola gli scivolò dalla mano e cadde sul selciato.

Lottarono aggrappati l’uno all’altro, ciascuno dei due con l’intenzione di togliere la vita al proprio rivale, sotto lo sguardo indifferente dei rarissimi passanti che li scambiavano per due elegantoni ubriachi che litigavano per una questione di soldi.

Chiusa nella carrozza Lady Sarah aveva udito lo sparo e per un attimo il suo cuore aveva cessato di battere, ma poi aveva sentito la voce di Andrè e i battiti erano ripresi.

Doveva uscire da lì al più presto, non sopportava di starsene con le mani in mano. Guardò fuori dai finestrini e vide che i due scagnozzi di Von Webb erano ancora lì. Notò però che la carrozza si era fermata molto vicino, dal lato sinistro, ad un capannone sorretto da pesanti strutture in ferro, con un colpo ben assestato lo sportello si sarebbe spalancato colpendo una delle due guardie alle spalle. Il contraccolpo l’avrebbe spedito dritto contro uno dei piloni in ferro, facendogli perdere conoscenza quel tanto che bastava per consentirle di occuparsi del suo compare.

Si sedette dal lato opposto della vettura con la schiena ben puntata contro la parete destra dell’abitacolo e raccolse le gambe avvicinandole quanto più possibile al petto. Fece scattare gli arti inferiori come una molla usando la parte dove era appoggiata come un puntello e le mani come sostegni del peso del suo corpo.

Il calcio così assestato spalancò lo sportello che colpì in pieno la schiena dell’uomo, facendolo andare a sbattere contro il pilone poco distante, esattamente come aveva calcolato lei.

Il tizio prese una brutta botta e cascò a terra privo di sensi.

Il compare, dall’altro lato della carrozza, udì dei rumori e abbandonata la propria postazione, andò a vedere che accadeva.

Non appena fu a tiro venne raggiunto da un sasso, scagliato da Lady Sarah, che lo ferì alla tempia facendolo crollare a terra svenuto anch’egli.

Così liberatasi dalle guardie, Lady Sarah poté raggiungere il luogo dove Von Webb e D’Harmòn si stavano affrontando.

Si accorse subito che qualcosa non andava per il verso giusto: D’Harmòn era in piedi, ma alle sue spalle stava il bavarese con un coltello puntato alla sua gola. La pistola del Conte giaceva a pochi passi da lei. Si chinò e la raccolse, ma il suo gesto non passò inosservato.

“Ferma lì, mia bella inglesina. Se tenete alla vita di quest’uomo non fate un passo in più e posate a terra il mio revolver” l’intimò. E a riprova della serietà delle sue parole affondò la lama del pugnale nel collo di Andrè finchè una rossa goccia di sangue non comparve.

“Corri Sarah! Scappa!”

Milady scosse la testa: “No” rispose risoluta alzando l’arma e puntandola alla testa di Von Webb.

“Dovete morire” ringhiò.

“Sbagliate Madame, lui dovrà morire” rispose ghignando il Conte affondando la lama.

In quel mentre sbucò dal fondo della strada un uomo che correva come se avesse il diavolo in persona alle calcagna. Dietro di lui due poliziotti lo inseguivano gridandogli di fermarsi ed arrendersi.

Von Webb si distrasse e questo fu un errore grave.

Approfittando della distrazione del suo nemico, Andrè con uno strattone si liberò dal braccio del bavarese che gli stringeva la spalla sinistra e gli afferrò il dietro della giacca costringendolo ad una specie di piroetta. Stringendo i denti per il dolore al braccio ferito gli bloccò il polso che stringeva il coltello e glielo torse.

Ma Von Webb era un osso duro e non cedette, piuttosto con la mano libera afferrò l’arto colpito del suo rivale e fece pressione sulla ferita che cominciò a sanguinare, obbligando D’Harmòn a mollare la presa.

Andrè vide che Lady Sarah teneva sotto tiro il Conte, ma che non sparava perché nella linea di fuoco c’era anche lui.

Sgambettò l’avversario che perse l’equilibrio e gridò: “ORA!”

Milady colse l’attimo e fece fuoco.

Una macchia rossa che assomigliava ad un fiore scarlatto, si allargò sul petto dell’immacolata camicia di Von Webb che abbassò gli occhi su di essa e poi li rialzò con espressone incredula su D’Harmòn.

Non disse una parola, ma cadde pesantemente a terra privo di vita.

Subito Andrè si precipitò da Lady Sarah, l’afferrò per la mano e corsero a perdifiato verso la carrozza.

Vi montarono a precipizio mentre D’Harmòn urlava al terrorizzato cocchiere di allontanarsi di corsa.

Lo sportello della vettura non si era ancora chiuso che l’uomo frustò i cavalli i quali, con un balzo, galopparono via verso il molo poco distante, mentre le urla di una donna, attirata fuori da un locale dallo sparo, si spargevano nell’aria limpida del primo mattino e qualcuno già gridava che un uomo era stato assassinato.

 

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Capitolo 28
*** La Medea ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XXVIII

La "Medea"



La corsa verso il molo durò pochi minuti durante i quali a Lady Sarah sembrò che il mondo si fosse completamente capovolto: solo mezz’ora prima si trovava addormentata tra le braccia di André, e ora stavano fuggendo precipitosamente, dopo che lei aveva ucciso un uomo a sangue freddo.

Non che rimpiangesse d’averlo fatto: quel bastardo non si meritava altro! Quando aveva sentito lo sparo mentre si trovava ancora in carrozza, aveva temuto per la vita di André e una furia incredibile si era impossessata di lei… Solo allora si era resa conto di amare il Conte D’Harmòn più della sua stessa vita.

Tuttavia, pur avvezza all’uso delle armi poiché suo padre, oltre alla scherma, l’aveva addestrata anche all’utilizzo della pistola, non le era mai capitato di uccidere qualcuno, neppure un animale. Ma quando aveva immaginato André a terra, ferito a morte dal colpo di Von Webb, non era più riuscita a resistere: se Klaus Von Webb avesse ucciso l’uomo che amava, a lei non sarebbe più importato di morire.

La carrozza si fermò bruscamente e André scese, recuperò rapidamente le due borse con i pochi effetti personali che possedevano e gettò un sacco di monete d’oro al cocchiere, che immediatamente sparì, lasciandoli soli.

Il porto di Marsiglia, a quell’ora e in quel periodo dell’anno, era insolitamente tranquillo: poche imbarcazioni, perlopiù piccoli pescherecci, erano attraccate al molo, mentre una sola nave di consistenti dimensioni si trovava in porto.

Si trattava di un veliero a quattro alberi, lungo, ad occhio e croce, circa 240 piedi; probabilmente un “Clipper”, una nave tipicamente commerciale, anche se armata di cannoni per difendersi da eventuali attacchi dei predoni del mare. Dotato di tre ponti, quello principale, su cui si potevano osservare il castelletto di poppa e quello di prua e dove certamente si trovavano la cabina del Capitano e del suo assistente; il ponte di carico, dove alloggiavano gli altri ufficiali e il resto dell’equipaggio e quello solitamente denominato di “terza classe”, ove si trovava la stiva e la dispensa, il veliero batteva bandiera americana.

Il Conte D’Harmòn decise che poteva essere l’unica via di fuga per scampare alla cattura: prese per mano Lady Sarah e con lei si diresse rapidamente verso l’imbarcazione.

Alcuni marinai stavano armeggiando accanto alla nave; altri uomini sembrava stessero ultimando operazioni di carico, probabilmente per affrontare il lungo viaggio che li avrebbe ricondotti in  America, sempre che quella fosse la rotta prefissata.

Si avvicinarono ad uno di loro, che sembrava essere il responsabile delle operazioni, e chiesero di poter parlare con il Comandante della “Medea”, nome della nave che André aveva notato avvicinandosi.

L’uomo li guardò per un attimo diffidente: i due estranei non promettevano bene. La donna, pur molto bella, aveva un aspetto alquanto sciupato; sconvolto forse era il termine più esatto. Mentre era certo che l’uomo fosse ferito poiché, nonostante facesse il possibile per nasconderlo, l’espressione del suo viso lasciava trasparire un velo di sofferenza fisica. Conoscendo l’Ammiraglio Blackbird, comandante della Medea, decise comunque di permettere ai due stranieri di parlare con lui. L’Ammiraglio era noto per le sue doti di profondo conoscitore dell’animo umano e John Clarke, suo primo assistente, sapeva che Alexander Blackbird avrebbe saputo come agire con i due estranei, qualunque cosa volessero in quel momento.

Li fece salire sulla nave e li condusse a colloquio con l’Ammiraglio.

Alexander Blackbird era un uomo sulla quarantina, che aveva raggiunto rapidamente gli apici della carriera nella Marina grazie alle sue eccellenti doti strategiche, alla sua abilità come condottiero e grazie anche al fatto che qualunque equipaggio sotto il suo comando lo aveva sempre rispettato e gli era sempre rimasto fedele, cosa non semplice da ottenere a certi livelli di gerarchia militare. Di aspetto imponente, era ancora un bell’uomo, nonostante l’età: la vita in mare aveva giovato al suo fisico, anche se sul volto alcune rughe denotavano il peso delle responsabilità e gli anni trascorsi a navigare gli oceani, sotto sole, vento e tempeste.

Due occhi azzurro cielo, quasi trasparenti, spiccavano sul suo viso abbronzato e scrutavano attentamente chiunque fosse al suo cospetto, senza tuttavia metterlo a disagio. Anzi, era proprio quella sua caratteristica, nonché la sua capacità di ascoltare il proprio interlocutore, che gli aveva permesso di essere sempre ben voluto dai suoi uomini.

Ad André l’Ammiraglio piacque subito e pertanto, pur tralasciando alcuni particolari, raccontò la loro storia, compreso il fatto che, in quel preciso istante, stava ascoltando due ricercati per omicidio.

Blackbird apprezzò la sincerità del Conte, il quale avrebbe potuto blandirlo con una storia fasulla, e ammirò anche la fiducia che il francese gli dimostrava. Nessuno, infatti, gli avrebbe potuto impedire di consegnare i due fuggiaschi ai gendarmi francesi che certamente sarebbero stati presto sulle loro tracce. Ma quell’uomo e quella donna gli erano piaciuti subito, per i loro modi aristocratici e schietti, nonostante la situazione.

Decise pertanto che Milady e il Conte meritavano il suo aiuto: la Medea era prossima alla partenza e nessuno avrebbe potuto accusarlo di aver dato asilo a due ricercati. Nell’arco di un’ora al massimo sarebbero salpati, diretti a Southampton, in Inghilterra, per un breve scalo in vista della traversata atlantica: John Clarke gli aveva appena comunicato che le operazioni di carico erano terminate e quindi erano pronti per lasciare Marsiglia.

Credendo a stento a quell’insperata fortuna, il Conte D’Harmòn ringraziò l’Ammiraglio per la sua ospitalità e aggiunse che il porto di Southampton era una meta perfetta. Scherzando Alexander Blackbird disse che, se lo avessero desiderato, avrebbe gradito la compagnia di Milady e del Conte fino in America, ma a quanto pareva la rotta transoceanica non era nei piani dei due fuggiaschi.

L’Ammiraglio li fece accomodare nella propria cabina, nonostante sia il Conte sia Milady gli avessero assicurato che non era necessario, che si sarebbero adattati anche altrove. Ma l’Ammiraglio, lontano da troppo tempo dalla sua adorata moglie, non ci aveva impiegato molto a capire che i due passeggeri erano innamorati… l’idea di concedere loro una tregua alle loro rocambolesche ultime settimane lo allettò parecchio, facendolo sentire giovane e spensierato, quasi un Cupido che vegliava sui due amanti.

Sorridendo e pregustando il momento in cui avrebbe raccontato a sua moglie Valerie dei due ospiti imprevisti a bordo, ordinò ad un membro dell’equipaggio che facesse pervenire in cabina del cibo e l’occorrente per medicare la ferita del Conte.

A Valerie, romantica di natura, sarebbe piaciuta quella storia: quasi sempre aveva da raccontarle solo di noiose vicende militari, ma quella volta, al suo ritorno, avrebbe avuto la soddisfazione di incantarla con una storia d’amore!

Finalmente tranquillo nella cabina dell’Ammiraglio, André si gettò sul letto, esausto. La ferita al braccio, seppur superficiale, gli bruciava parecchio e avrebbe dovuto medicarla al più presto per evitare il rischio di un’infezione. Fortunatamente il proiettile non era penetrato nella carne, ma lo aveva colpito solo di striscio, tuttavia era meglio essere prudenti.

Non aveva detto nulla a Sarah, per non preoccuparla, ma in quel momento, risolto il problema principale della loro sicurezza, si concesse il lusso di riposare un poco.

Si era tolto la giacca, mentre Sarah aveva aperto ad un membro dell’equipaggio che aveva portato loro cibo e l’occorrente per curare una ferita.

Domandandosi come mai l’Ammiraglio avesse ritenuto necessario procurar loro anche altro, oltre al cibo, si voltò verso André e lo sorprese sul letto, con la camicia macchiata di sangue all’altezza dell’avambraccio.

Preoccupata gli si avvicinò.

“Sei ferito…” sussurrò con ansia, dandosi mentalmente della stupida per non essersene accorta prima. Aveva notato che aveva il volto più tirato del solito, ma aveva creduto fosse per la tensione degli ultimi avvenimenti e la necessità di trovare al più presto una via di fuga sicura.

“Non è nulla” rispose lui, ad occhi chiusi. “Ora mi medicherò. Chiedi per cortesia l’occorrente a qualcuno dell’equipaggio…”

“Non occorre. L’Ammiraglio deve averlo capito, perché ha già mandato tutto il necessario. Perché non mi hai detto nulla?”

“Non serviva preoccuparti oltre, si tratta di una ferita da poco…” disse, mentre si metteva seduto, per levarsi la camicia.

“Lascia fare a me” lo fermò lei, aiutandolo a togliersela. Poi prese l’occorrente e iniziò a medicarlo.

“Ricambi il favore che ti feci a Natale?” disse lui, leggermente divertito, osservandola  mentre puliva accuratamente la ferita; era assorta nel compito, attenta a non fargli troppo male.  

“Già…” disse piano, terminando di bendarlo.

“Hai intenzione di ricambiarlo del tutto?” domandò lui, con un tono provocante.

Lei lo osservò, all’inizio senza capire: le pareva strano che, dopo averlo visto poco prima alquanto stanco e sofferente, in men che non si dica sembrava essersi ripreso tanto da divertirsi a quello che gli stava facendo. Ma, scorgendo una luce maliziosa nei suoi occhi, finalmente comprese e ricordò a cosa alludeva lui.

Ricambiò il suo sguardo e si rilassò. Finalmente erano al sicuro; l’Ammiraglio aveva assicurato che la nave sarebbe salpata presto e nessuno sapeva che loro erano a bordo. In quel momento potevano stare tranquilli e godersi il viaggio di circa quarantotto ore che li separava dall’Inghilterra.

In silenzio, iniziò a sfiorargli lentamente il torace, partendo dalle spalle e scivolando più giù fino al ventre piatto, in una carezza leggera e sensuale. Mentre traeva piacere anche lei da quel tocco, lo osservò negli occhi e li vide mutare colore all’improvviso, come sempre gli succedeva quando la voleva: la sfumatura più azzurra lasciava il posto al grigio scuro, e le comunicava all’istante l’intensità del suo desiderio.

Lei sorrise dolcemente, scoprendo che André aveva già scordato la ferita, la loro rocambolesca avventura e anche la stanchezza, e si sentì eccitata e felice all’idea del potere che aveva su di lui. Prese allora a seguire il medesimo percorso con le labbra, strappandogli un gemito di piacere.

Si sentì stringere all’improvviso tra le sue braccia e cercò di fermarlo, prolungando il divertimento della schermaglia amorosa con un piccolo rimprovero:

“Tu dovresti essere incosciente, e permettermi di accarezzarti a tua insaputa…” disse seria, ricordandogli quanto era successo tra loro nella prima locanda in cui si erano fermati.

“Ma io non sono incosciente…”

“Conte, se avessi immaginato che non eravate privo di sensi, non mi sarei mai azzardata ad accarezzarvi…” disse lei, con aria civettuola, prendendolo in giro. “Non vorrei mai che pensaste di me che sono una sfacciata…”

Non riuscì a proseguire nel suo scherzo, perché lui la fece tacere con un bacio che le annebbiò i sensi, facendole scordare qualunque gioco.

Si abbandonò tra le sue braccia, languida ed accondiscendente, permettendogli tutto ciò che sapeva piacergli e che lei stessa desiderava.

André era un amante esigente, appassionato e molto generoso e lei aveva imparato entusiasta a rispondergli allo stesso modo, scoprendo in se stessa una natura sensuale e primitiva che mai avrebbe immaginato di possedere.

Più tardi, nella calma che segue la passione, lui la trasse a sé, mormorandole tra i capelli:

“Voglio un figlio…”

Lei si sentì il cuore in gola, a quelle parole: un figlio da lui… Oh, quanto lo avrebbe desiderato! Ma non poteva… non era possibile…

“Voglio sposarti al più presto, Sarah, e voglio avere dei figli da te” continuò André, deciso.

L’aveva sentita irrigidirsi impercettibilmente e sapeva che il suo spirito libero si stava risvegliando a quella sua proposta. Nonostante le avesse confessato più volte il suo amore e nonostante sapesse che lo amava, tuttavia lei glielo aveva detto una sola volta, nell’estasi della loro prima notte.

André sapeva quanta paura aveva di legarsi ad un uomo; ancora non comprendeva perfettamente tutti i motivi dietro a quel timore perché, ogni volta che tentava di strapparle qualcosa del suo passato, lei sfuggiva alle sue domande, trincerandosi dietro ad un ostinato silenzio, oppure giocando con lui l’arma della seduzione alla quale sapeva che non era in grado di resistere.

Una volta, tormentato dall’ansia di scoprire qualcosa in più, aveva frugato fra le sue cose, ma con scarsi risultati. Lady Sarah continuava ad essere un mistero: conosceva a memoria ogni curva sensuale, ogni piega del suo meraviglioso corpo, ma la sua mente e il suo passato restavano ancora un enigma.

Aveva trovato solo una lettera, indirizzata a Lady Sarah Jane Montagu, di Beaulieu, in Inghilterra. Si trattava di una lettera strana, di poche righe e dal testo a lui incomprensibile: 

So dove si trova C.H. Raggiungetemi a Bath e vi darò altre informazioni. J.T.”.

Doveva essere una lettera importante, se se la portava dietro dall’Inghilterra.

Aveva intuito che lei nascondeva un passato carico di problemi, ma la voleva, la desiderava, voleva trascorrere il resto della sua vita con lei ed era disposto a tutto pur di averla. L’avrebbe aiutata, qualunque cosa vi fosse in ballo.

“So che c’è qualcosa, nel tuo passato, che ti tormenta ma io voglio vivere con te per sempre e ti aiuterò…”

“Tu non sai di cosa stai parlando, André…” disse lei, pacata.

“Non m’importa. Quello che voglio è sposarti e voglio che sia tu la madre dei miei figli… Non ti piacerebbe un bambino che abbia la tua bellezza e la mia intelligenza?” aggiunse con un dolce sorriso, per provocarla.

Lei si cullò per un attimo nella fantasia di quel sogno irrealizzabile e replicò divertita: “E se avesse la tua, di bellezza, e la mia intelligenza?”

“Andrebbe bene lo stesso!” disse lui, felice della sua risposta. Temeva un no secco e deciso e invece… sentì le sue speranze rinascere: forse, poco alla volta, la sua corazza si stava sgretolando e se lui l’avesse amata con tutto se stesso, era fiducioso che alla fine lei avrebbe ceduto.

 

 


***



29  Gennaio 1857



Siamo in viaggio da alcune ore, dopo aver lasciato Marsiglia sulla “Medea”, un veliero che batte bandiera americana.

L’Ammiraglio Alexander Blackbird, comandante della nave, ha protetto la nostra fuga, dopo che Sarah ha ucciso Klaus Von Webb per difendermi.

Quell’assassino traditore ci ha rintracciati all’arrivo a Marsiglia e stava avendo la meglio su di me, dopo avermi ferito ad un braccio.

Sarah, ancora una volta, mi ha sorpreso: non immaginavo sapesse impugnare una pistola e sparare. Ma quando l’ho vista, fredda e determinata, tenere sotto tiro Von Webb nonostante lui mi puntasse un pugnale alla gola, ho capito che sarebbe stata in grado di uccidere e, approfittando di una momentanea distrazione del Bavarese, mi sono tolto dalla traiettoria del proiettile, gridandole di fare fuoco. Rapida e decisa ha premuto il grilletto, freddando Von Webb al primo colpo.

Non appena ho realizzato che eravamo liberi, l’ho trascinata alla carrozza, per raggiungere al più presto il porto.

Ci occorreva una via di fuga, prima che i gendarmi si accorgessero dell’omicidio e ci dessero la caccia.

L’unica nave in porto che avrebbe potuto portarci lontano dalla Francia era la “Medea”, diretta a Southampton per un ultimo scalo prima di affrontare l’Atlantico. Non avremmo potuto sperare di meglio: una volta in Inghilterra, con tutta calma potremo riattraversare la Manica e raggiungere Cluny.

L’Ammiraglio è stato gentile e ci ha concesso persino la sua cabina. Credo abbia intuito il nostro amore e abbia deciso di regalarci, senza troppe domande, un po’ di intimità…

Non gli sarò mai grato abbastanza! 

Trascorrere la notte tra le braccia di Sarah è ciò che più desidero al mondo e vorrei poterlo fare per il resto della mia vita.

Poche ore fa, dopo aver fatto l’amore, gliel’ho detto: le ho detto che voglio sposarla, che desidero dei figli da lei…

So che lei non vuole legami, che qualcosa la tormenta. La lettera, indirizzata a Lady Sarah Jane Montagu, di Beaulieu, che ho scovato tra i suoi effetti personali mentre cercavo un qualunque indizio sul suo passato, era più misteriosa di lei, ma questo non ha importanza…

Io l’amo e l’aiuterò a risolvere qualunque problema possa avere. Dopodiché saremo liberi di amarci e di avere tutti i bambini che vorremo…

La condurrò a Chateau D’Igne, e le regalerò la vita più meravigliosa che mi sarà concesso di donarle.

Nulla potrà impedirmi di realizzare questo sogno.

 

 

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Capitolo 29
*** Il Segreto del suo cuore ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XXIX

Il  Segreto del suo cuore



Copiose lacrime le rigavano il volto mentre cercava, a stento, di soffocare i singhiozzi che la stavano devastando.

Lui era a letto, profondamente addormentato: il sonnifero che gli aveva versato nel tè aveva già fatto effetto e si sarebbe svegliato solo molte ore dopo.

Lo guardò attraverso gli occhi velati di pianto e sentì una stretta al cuore… era bellissimo, anche nel sonno. Forse, per certi aspetti, lo era quasi di più.

Non poteva vedere i suoi splendidi occhi né il sorriso luminoso che sempre le faceva andare il cuore in gola; ma nel sonno la sua bocca sensuale, rilassata nella morbida piega dell’accenno di un sorriso, gli conferiva un’aria vulnerabile, quasi fanciullesca.

Il suo corpo perfetto, appena parzialmente coperto dal lenzuolo, giaceva abbandonato e nel guardarlo provava uno straziante senso di vuoto al pensiero che non lo avrebbe più sentito dentro di sé.

Quante volte, da quella prima notte d’amore, quelle braccia forti e tenere al tempo stesso l’avevano stretta a quel corpo tanto desiderabile? Quante volte le sue mani l’avevano accarezzata, regalandole sensazioni indescrivibili? Quante volte aveva anelato il contatto con la sua pelle?

Lo aveva capito immediatamente, fin da quella prima notte, immersi nel bianco dei monti del Tirolo, che la passione che aveva provato tra le sue braccia non le sarebbe mai bastata; che da quel momento in poi, donandogli il proprio corpo, ma soprattutto il proprio cuore, lui sarebbe sempre stato con lei, anche se non lo avesse più rivisto.

Era convinta, tuttavia, che quando fosse giunto il momento di lasciarlo – e lei sapeva che quel momento sarebbe arrivato – non sarebbe stato troppo doloroso allontanarsi da lui.

In fondo lui era soltanto un uomo.

Un uomo speciale, d’accordo, che l’aveva fatta sentire donna come mai nessuno prima di allora, ma pur sempre un uomo.

E lei non aveva bisogno degli uomini! Di nessuno di loro.

Quel magnifico esemplare maschile non aveva nulla di diverso da quelli che, prima di lui, avevano posseduto il suo corpo. La sua bellezza e il suo fascino lo avevano reso semplicemente più desiderabile ai suoi occhi, ecco perché con lui aveva provato sensazioni bellissime, contrariamente agli altri, che le avevano sempre suscitato solo  repulsione. Semplicemente lui ci sapeva fare meglio; sapeva blandirla con parole appassionate, mentre la toccava con quelle mani capaci di regalarle il paradiso.

Ogni giorno, da quella prima notte in cui si era lasciata sfuggire quel “ti amo” che gli aveva strappato il più dolce dei suoi sorrisi, continuava a ripetersi questo discorso, per convincersi che non sarebbe stato troppo difficile lasciarlo.

Era costretta a farlo: lui avrebbe voluto sposarla, così le aveva detto. Voleva dei figli… e lei aveva capito ben presto che nessuna spiegazione gli avesse fornito lo avrebbe convinto a desistere dai suoi progetti. Quell’uomo aveva una volontà di ferro e l’unico modo per impedirgli di trascinarla lontano da ciò che sapeva essere il proprio destino, era fargli credere che lo avrebbe assecondato, per poi mettere miglia e miglia di distanza tra loro.

Fuggire, in pratica. Fuggire da lui.

E per riuscire a farlo, scordando l’immagine tentatrice di una vita meravigliosa al suo fianco ad accudire e crescere i suoi figli, non aveva avuto altra scelta che continuare a ripetersi che lui era semplicemente un uomo, come tutti gli altri.

Se lo era ripetuto all’infinito, arrivando ad esserne convinta; ma fino a quel momento non aveva ancora letto quel quadernetto di pelle marrone.

Risvegliandosi dopo aver trascorso la notte tra le sue braccia, non lo trovava quasi mai accanto a sé, ma ad un tavolo, intento a scrivere. Non appena si accorgeva che lei era sveglia, smetteva immediatamente e la raggiungeva, per amarla di nuovo; però qualche volta lei aveva finto di dormire ancora, per osservarlo indisturbata, e lo aveva visto continuare a lungo.

Scriveva rilassato, intingendo lentamente la penna nell’inchiostro e fermandosi spesso a riflettere, quasi a scegliere le parole migliori prima di fissare i pensieri su carta; più di una volta lo aveva sorpreso a voltarsi verso di lei, osservarla per qualche istante e poi tornare a scrivere, come se il solo guardarla gli avesse fatto venire in mente la frase giusta.

Ad un certo punto aveva capito che lui scriveva un diario e a quell’idea si era intenerita e incuriosita al tempo stesso, tanto da chiedergli cos’avesse sempre di così importante da scrivere al mattino; lui aveva replicato divertito che spesso scriveva anche di sera o di notte, ma in definitiva una risposta non gliel’aveva data.

Sapeva essere molto evasivo, quando voleva!

La sua reticenza non aveva fatto altro che aumentare la sua curiosità: mai avrebbe immaginato che l’affascinante Conte André D’Harmòn, l’abile spadaccino, l’elegante e mondano uomo d’affari, nonché il caparbio e impertinente francese che le aveva rubato il cuore, tenesse un diario!

Aveva atteso che sprofondasse nel sonno artificiale, quindi si era alzata dal letto, si era vestita e aveva radunato rapidamente le poche cose che avrebbe portato con sé, pronta a lasciare la Medea al più presto, non appena fosse attraccata a Southampton. Sapeva che l’imbarcazione faceva scalo per poche ore, giusto il tempo per rifornirsi per il lungo viaggio oltreoceano; per questo aveva calcolato con precisione la dose di sonnifero da somministrargli, onde evitare che si svegliasse in tempo per seguirla. L’accordo tra loro era che sarebbero sbarcati entrambi in Inghilterra e da lì avrebbero raggiunto Cluny, dove c’era lo Chateau di famiglia dei D’Harmòn; il tè drogato che gli aveva fatto bere lo avrebbe fatto dormire finché la Medea non fosse stata in pieno Atlantico.

Era ormai pronta e stava attendendo l’arrivo in porto quando lo sguardo le era caduto su alcuni suoi effetti personali appoggiati sul tavolino accanto al letto: sotto il libro che lui stava leggendo aveva scorto il quadernetto di pelle marrone… Con il cuore a mille si era avvicinata e lo aveva preso in mano, sfiorando per un attimo con le dita la copertina, quasi ad accarezzare il ricordo delle sue mani che tante volte avevano aperto quel diario.

Si era sentita una ladra, pronta a carpire i segreti e i pensieri più intimi dell’uomo che, ignaro, dormiva nel letto.

Aveva avuto anche paura ad aprirlo; paura di leggere e scoprirlo diverso da come voleva portarselo per sempre nel cuore. In fondo sapeva bene che in ognuno esiste un lato oscuro, la parte più segreta… spesso la più affascinante proprio perché tale, ma non necessariamente la migliore. Di certo la più vera ma, proprio per questo, anche la più fragile o la meno immaginabile.

Eppure non era riuscita a resistere e lo aveva aperto: immediatamente si era sentita come catapultata nell’intrigante mistero che era la personalità di André François D’Harmòn.

Sulla prima pagina non vi era data, ma solo un pensiero.


La scrittura è un’attività che ha lo scopo di comunicare e fissare i concetti. 

La calligrafia implica un concetto estetico e la rende un’arte che nulla ha da invidiare alla pittura, alla musica o al teatro.

Tramite la calligrafia la scrittura diventa la danza della penna sul foglio, una danza che fa rivivere nel tempo antiche emozioni.




Quelle parole e la sua calligrafia, chiara e al tempo stesso elegante, l’avevano subito affascinata, spingendola a divorare i fogli scritti, uno dopo l’altro.

Il diario iniziava poco prima del loro incontro e le prime pagine riportavano le sue considerazioni alla richiesta di Francesco Giuseppe di andarla ad attendere a Calais. Scoprì che lui credeva di dover lavorare con un uomo e sorrise immaginando la sua sorpresa nello scoprire che l’Inglese che avrebbe dovuto accompagnare dall’Imperatore non era un uomo, ma una donna.

Esponeva dubbi, fatti e pensieri con chiarezza, usando uno stile conciso, pur non privo di una nota poetica insolita in un uomo, espressione inconfondibile della sua profonda sensibilità. Proseguendo aveva ritrovato anche il suo lato umoristico, nonché lo spirito impertinente e un po’ sfacciato che le era sempre piaciuto tanto fin dal primo momento.

Ma quando era giunta alle parole scritte dopo la loro prima notte d’amore, era stato allora che si era resa conto di piangere: André aveva messo in quelle parole la stessa passione con cui l’aveva amata, il medesimo trasporto e l’identico amore che le aveva regalato quella notte stessa.

Poche ore prima si era donata a lui completamente, amandolo senza riserve: voleva che la sua immagine fosse incisa per sempre nel proprio cuore; anche lui l’aveva amata con una passione tale da far ribellare ogni fibra del suo corpo alla sola idea di ciò che stava per fare. Ma, mentre lei era consapevole che quella sarebbe stata la loro ultima notte insieme, essendo stata una sua decisione, per André si trattava di una notte come le altre, una delle tante tra quelle che aveva immaginato nel loro futuro. Eppure l’aveva amata con grande trasporto, come sempre.

Quello era il suo modo d’amarla: intenso, appassionato e coinvolgente. E, a quanto aveva letto nel suo diario, profondamente sentito.

Arrivò sino all’ultima pagina, che recava la data del giorno precedente; le sue parole fiduciose la fecero sentire ancora più in colpa per il dolore che, ormai ne era certa, gli avrebbe provocato al risveglio. Quella consapevolezza le fece prendere una decisione che non avrebbe mai preso per nessun altro uomo.

Voltò la pagina vergata con la sua calligrafia, trovando il primo foglio bianco; intinse la penna nell’inchiostro e iniziò a scrivere.

 





***





“Oh no! Non è possibile…”

“Che ti succede, Mac?”

“Non ci posso credere…” disse di nuovo, sedendosi lentamente, quasi le gambe non la reggessero più.

Stava aspettando Harm che, quando era arrivata, le aveva chiesto cinque minuti per farsi una rapida doccia e mettersi in libertà, prima di iniziare a leggere insieme quelle che sembravano essere le ultime pagine del diario del conte D’Harmòn. Era uscita prima di lui dall’ufficio per passare da casa a cambiarsi, lasciandolo solo a terminare di riordinare le carte dell’Ammiraglio Blackbird. Era stato Harm ad insistere, affinché lei potesse arrivare a casa sua per cena.

Il loro lavoro era finito e l’indomani avrebbero terminato la relazione per l’Accademia Navale; le loro conclusioni sulla vicenda, una volta tanto dopo parecchio tempo, concordavano: Blackbird aveva sì dato un passaggio sulla Medea al conte D’Harmòn e a Lady Sarah, ma era stato per puro caso e certamente senza che questo fatto implicasse contatti tra l’Ammiraglio e l’imperatore Francesco Giuseppe.

A voler ben guardare tutto il lavoro di quelle ultime settimane, dal punto di vista dell’Accademia Navale, era risultato pressoché inutile; non toglieva nulla, ma neppure aumentava il prestigio dell’Ammiraglio Blackbird.

Eppure per Mac quell’incarico che all’inizio le era sembrato un peso, l’aveva coinvolta a tal punto che ora faticava ad allontanarsene.

Merito del diario del Conte.

Leggere quel quaderno con Harm aveva permesso un loro riavvicinamento e le aveva fatto comprendere chiaramente che lui sarebbe sempre stato l’unico uomo di cui era innamorata.

“Allora? Me lo dici che succede?” le domandò di nuovo lui, giungendo dal bagno con un telo blu navy ai fianchi, un altro asciugamano tra le mani con cui si stava frizionando i capelli e goccioline d’acqua che ancora scivolavano sul suo petto nudo.

Quanto avrebbe dato per poter essere una di quelle goccioline!

Harm smise di asciugarsi e la osservò mentre lo stava divorando con gli occhi; con un moto di gioia interiore rimase qualche secondo ancora immobile, in silenzio, poi alzò un sopracciglio e con un sorriso divertito domandò:

“Che c’è?”

Lui si stava riferendo al suo Oh, no! di poco prima, che le aveva sentito pronunciare appena terminata la doccia. Ma a quanto sembrava, in quel preciso istante lei stava pensando ad altro, perché rispose:

“Non ricordavo quanto fossi bello…”

Non aveva agito intenzionalmente presentandosi a lei in quel modo; semplicemente aveva reagito d’istinto, sentendo la sua esclamazione e non ricevendo risposta alla sua prima domanda.

Ma ora era contento di essersi lasciato guidare dall’impulso del momento.

Lei si rese conto di quello che aveva detto e distolse a fatica lo sguardo dal suo corpo, tornando all’argomento principale.

“Oh… nulla. Mi riferivo al diario…”

“Hai sbirciato, vero?” chiese lui con un ampio sorriso.

“Ebbene sì, avvocato, sono colpevole. Ma non ho resistito!”

“E…?”

Lo riguardò, deglutendo vistosamente, prima di dirgli quasi con rammarico:

“Vai a vestirti e raggiungimi. Così, poi, potrai divertirti quanto vorrai a prendermi in giro…”

“Lei lo lascia, vero?”

“Come lo sai? Hai sbirciato prima di me?”

“No, ma me lo sentivo. D’istinto…”

“A te Lady Sarah non è mai piaciuta!”

“Al contrario. Mi piace. Mi piace moltissimo…” e nel pronunciare quelle parole le lanciò uno sguardo intenso, “l’apprezzo per la sua indipendenza, il suo coraggio e anche per la sua fragilità…” aggiunse, riferendosi a Mac.

“Ma hai sempre saputo che lo avrebbe lasciato…”

“Più che altro ho sempre pensato che lo avrebbe fatto soffrire, e molto anche.”

“Ma perché? Si amano… E inoltre Andrè le ha fatto conoscere l’amore…”

“A volte non sempre quello che un uomo fa per la donna che ama è sufficiente…”

“Eppure anche lei lo ama. Io ne ero già convita, ora lo so con certezza. E’ scritto qui. Leggi…”

 

 

Ti scrivo mentre dormi; il sonno che ti ho indotto con il sonnifero non altera la bellezza né la serenità del tuo volto e io non riesco a smettere di guardarti.

Ci devo riuscire, ma gli occhi non obbediscono alla mia volontà.

Ti lascio, André.

So di  aver violato la tua intimità, leggendo questo diario; ma lo rifarei di nuovo, ora che conosco i tuoi pensieri più reconditi e la bellezza del tuo animo.

Il tuo dolore, quando scoprirai la mia fuga, non sarà mai più grande del mio in questo momento e ogni volta che penserò a te: tu avrai solo la mia mancanza, io avrò anche la consapevolezza d’averti fatto soffrire.

So che vorresti aiutarmi, se solo te lo concedessi. So anche che daresti la vita per me: se ancora non lo avevo capito, dopo aver letto il tuo diario non ho più dubbi. Ma la mia vita è troppo complicata. Restane fuori, per il tuo bene.

Non cercarmi. Lasciami andare e segui il tuo destino.

Ogni istante trascorso con te è stato meraviglioso e so che non lo dimenticherò mai, così come so con certezza che il mio cuore ti apparterrà per sempre. Lo hai conquistato tu, André, con la tua dolcezza, con la tua passione e con il tuo amore.

Conserva di me soltanto un ricordo nel tuo cuore. Nel mio non ci sarai che tu.

Non potrò mai scordare l’unico uomo che mi ha fatto conoscere l’amore.

 

 

 


 

 

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Capitolo 30
*** Giochi del Destino ***


GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XXX

Giochi del Destino



Mac era delusa per com’era terminato il diario del Conte. In tutta franchezza aveva sperato in un “e vissero felici e contenti” perciò c’era rimasta davvero male, quando, la sera prima, aveva scoperto che Lady Sarah aveva abbandonato Andrè.

Perché poi?” si stava domandando, mentre attendeva che il caffè si scaldasse. Qual era l’irrinunciabile missione di Milady? Non poteva credere che possedesse così tanta fermezza d’animo; qualunque donna, anche la più fredda e glaciale, aveva lo stesso un cuore.

Prese la tazza e si avviò lemme lemme, sprofondata in queste riflessioni, verso la sua stanza. Era arrivata molto presto quella mattina per sistemare la relazione che lei e Harm avrebbero dovuto presentare quel pomeriggio all’Ammiraglio e che conteneva le loro conclusioni sul caso Blackbird.

Da un lato sapere che il Conte D’Harmòn e Lady Sarah erano realmente esistiti la confortava, era bello avere appreso che le fiabe potevano diventare realtà, anche se quella fiaba in particolare non aveva avuto un lieto fine. Dopotutto sentiva di aver contratto un debito di riconoscenza con il bell’André, se non fosse stato per il suo diario non avrebbe mai fatto chiarezza nei suoi sentimenti verso Harm.

Si sedette alla scrivania, posò la tazza e diligentemente mise mano alla bozza di relazione che il collega le aveva lasciato sulla scrivania la sera prima.

Anche Harm c’era rimasto male per come era finita la storia fra Lady Sarah e il Conte, ma la sua non era delusione per una bella favola senza lieto fine, al contrario ce l’aveva col Conte per non essere stato in grado di tenersi stretta la donna che amava.

Perché tu cosa stai facendo?” chiese alla sua immagine riflessa, mentre si stava annodando la cravatta della divisa. Come al solito era in ritardo.

Stai permettendo che Webb torni a farsi strada nel cuore di Mac, quando sai perfettamente che la ami e che l’ultima cosa che vorresti è che tornasse con lui. Sarah vuole solo ciò che desiderano tutte le donne normali: un po’ d’attenzione e sentirsi dire ‘ti amo’.

Scosse la testa, non era tipo da cenette romantiche, rose, violini, anelli e dichiarazioni appassionate. Non lo era e non lo sarebbe mai stato, questo lo sapeva con granitica certezza, ma sapeva altresì con altrettanta granitica certezza che amava Sarah, che la voleva accanto a sé per i giorni e gli anni a venire e in più di un’occasione gliel’aveva dimostrato con i fatti. Purtroppo ogni volta o lui o lei avevano frainteso le parole o i gesti dell’altro e anziché avvicinarsi avevano finito con l’allontanarsi ancor di più.

Mac terminò di correggere la bozza di Harm e andò a portargliela, visto che l’aveva sentito arrivare nel frattempo, nonostante la porta chiusa.

“Ciao Marine” l’accolse, “ti stavo aspettando.”

Si stupì: “Per cosa?”

“Ieri sera, dopo che abbiamo terminato di leggere il diario te ne sei andata senza dire una parola.”

“Bè abbiamo chiacchierato per ore, mi hai fatto tornare a casa che erano quasi le due” celiò lei.

“Però non mi hai detto le tue impressioni sulla scelta di Lady Sarah.”

“Che vuoi che ti dica?” rispose sedendosi. “Ci sono rimasta male” confessò, “se fossero stati due personaggi di fantasia avrei alzato le spalle e mi sarei dedicata ad altro, come faccio quando termino un libro che mi ha particolarmente appassionata, ma loro sono realmente esistiti e questo cambia le cose. Avrei preferito…”

“Avresti preferito un happy end” completò lui per lei.

Mac sorrise ironica del proprio stato d’animo e si prese in giro da sola: “Che stupida vero?”

Harm la guardò intensamente: “Per me non sei stupida” le disse serio, “dopotutto è stata una lettura appassionante e il Conte è un ottimo narratore.”

“Soprattutto è stata una lettura illuminante, non trovi?” disse lei riprendendosi dalla momentanea debacle mentre uno strano brillio le accendeva gli occhi. Tuttavia non gli lasciò il tempo di replicare: “Ti ho portato la bozza corretta della relazione. Dimmi cosa ne pensi.” Si alzò, posò il fascicolo sulla scrivania e uscì dalla stanza.

Harm lo aprì e cominciò a leggere. Forse c’era una speranza, dopotutto.

Il tempo scorse veloce e l’ora di pranzo giunse in men che non si dica. Harm alzò lo sguardo dalle carte e si accorse che gli uffici erano semideserti. Senza accorgersene era rimasto immerso nel lavoro per buona parte della mattinata e non aveva più visto Mac. Ma ora ne sentiva la mancanza, e pertanto decise di pranzare con lei, così avrebbe goduto della sua compagnia e nel frattempo avrebbero potuto discutere di alcune cose prima di mettere definitivamente in bella la relazione sul caso Blackbird.

La riunione con l’Ammiraglio era fissata per le 16.00, quindi dovevano sbrigarsi.

La trovò con un piede sulla porta dell’ufficio.

“Pranziamo?” le chiese indicandole anche il fascicolo.

“Volentieri” gli rispose con un sorriso radioso prendendolo sottobraccio.

Dall’uscio della stanza di Coates, l’Ammiraglio aveva seguito la scena. Se mai avesse avuto dei dubbi ora erano definitivamente fugati. Non gli era mai capitato di vedere il Colonnello prendere sottobraccio il Comandante con un’aria da scolara in gita. Il reef di una vecchia canzone gli tornò alla mente “Love is in the air, everywhere you look around”. Soddisfatto si ritirò nello studio, non voleva rovinare l’atmosfera creatasi fra i due ufficiali facendo la parte del terzo incomodo, ancorché involontario. Avrebbe atteso che abbandonassero la palazzina e poi sarebbe uscito a pranzo a sua volta.

Harm e Mac si sedettero ad uno dei tavolini esterni di McMurphy’s. La primavera era solo all’inizio, ma l’aria si era fatta più tiepida, anche il sole era divenuto più caldo e all’ora di pranzo era piacevole stare all’aperto.

Presto indosserà la divisa bianca” pensò Mac apparentemente immersa nella lettura del menù, “e allora potrò bearmi dei suoi bicipiti… e di altro” terminò il pensiero maliziosamente. Ormai aveva intrapreso la strada dell’illuminazione perciò tanto valeva ammetterlo fino in fondo: Harm le piaceva da impazzire fisicamente, non si stancava mai di guardarlo e di immaginare il suo corpo sotto l’austerità della divisa o sotto i più comodi abiti borghesi. Era indubbio: era proprio un bell’uomo, il classico tipo che, quando lo incontri per strada, ti fermi e ti volti a guardarlo fino a quando non scompare alla tua vista invidiando a morte la fortunata donna che l’ha come compagno o come marito…

Spesso si era sorpresa a chiedersi come sarebbe stata una vita con lui, come sarebbe stato dividerne la quotidianità, se fosse un tipo che lasciava in giro i calzini sporchi o il tubetto del dentifricio aperto sul lavandino… l’arrivo del cameriere la distolse da questi pensieri. Ordinarono e, nell’attesa, discussero sulle modifiche apportate da ciascuno e su quelle, eventualmente, ancora da apportare. Ora che ebbero terminato il pranzo si erano accordati sulla versione definitiva da stendere.

“Non appena torniamo in ufficio la metto in bella” disse Mac. Poi, dopo una breve riflessione, aggiunse: “Perchè non lavoriamo in tandem? Tu detti e io scrivo così se dobbiamo apportare ancora delle variazioni possiamo discuterne direttamente senza fare la spola fra i due uffici.”

Harm era sinceramente stupito: “Sei sicura di volerlo fare?” chiese, memore delle volte precedenti quando avevano finito con l’accapigliarsi persino sulla disposizione delle virgole.

“Perché no? Sono disposta a correre il rischio” rispose lei terminando l’acqua tonica. Sapeva cosa stava pensando lui, ma non gliene importava nulla, lo voleva accanto a sé il più a lungo possibile.

Si alzarono e pagarono, dopodiché tornarono alla palazzina di mattoni rossi. Entrambi sentivano molto la presenza dell’altro accanto e nell’aria sembrava corresse una strana elettricità.

Mac prese Harm sottobraccio e, chiacchierando tranquilli del più e del meno, arrivarono a destinazione.

Durante il tragitto incontrarono i Roberts che stavano andando al Bethesda per il controllo mensile di Harriett, ormai in avanzato stato di gravidanza.

“La calma che precede la tempesta” osservò Bud. La moglie lo guardò con aria interrogativa.

“Di solito quando si comportano a questa maniera manca tanto così ad una delle loro epiche litigate” rispose alla muta domanda il Tenente Roberts.

Harriett salì in macchina scrollando la testa e sorridendo: “Conosci pochissimo i tuoi amici, caro” rispose, “se non hai notato lo sguardo del Colonnello e l’aria beata del Comandante.”

Bud si voltò e sgranò gli occhi: “Vuoi dire che...” Ma non terminò la frase. Neanche nei suoi sogni più arditi avrebbe mai osato sperare che quella storia decennale fosse alla fine giunta al termine.

“Non ancora, ma sono sulla buona strada.”

Mise in moto e partirono alla volta del Bethesda.

Nel frattempo Harm e Mac erano arrivati, si installarono nell’ufficio e cominciarono a lavorare.

Quando il personale del JAG, per lo meno chi li conosceva, li vide sparire nell’ufficio del Colonnello con la chiara intenzione di lavorare assieme pensarono quello che aveva pensato Bud poc’anzi: di lì a poco il Comandante sarebbe uscito sbattendo la porta e inveendo all’indirizzo del Colonnello che era meglio che i rapporti se li scrivesse da sola. Per cui tutti rimasero ancora più stupiti, quando non solo non udirono alcunché né videro Rabb abbandonare l’ufficio della collega, ma addirittura, più tardi, li videro dirigersi tranquilli e rilassati in direzione dello studio dell’Ammiraglio.

Ne uscirono un’ora dopo con una pila di fascicoli tra le braccia, entusiasti per l’inizio di un nuovo incarico ma al tempo stesso delusi per la fine di un’avventura tanto appassionante e avvincente.

Mentre Harm tornava nel suo ufficio all’improvviso, senza un perché, ricordò il bacio che Mac gli aveva dato ormai settimane addietro e le sensazioni che aveva provato in quegli istanti. Si rese conto che avrebbe voluto riprovarle, che avrebbe voluto impossessarsi delle sue labbra per assaporarle di nuovo. Desiderava sentirla abbandonarsi contro il proprio corpo, arresa alle sensazioni che sperava il suo bacio le avrebbe provocato.

Si sedette alla scrivania, per iniziare a studiare il nuovo caso, ma l’istinto prese il sopravvento: si alzò e uscì.

“Posso?” bussò alla porta di Mac.

“Prima fammi solo prendere un caffè. Sono molto stanca.”

“Te lo porto io” e sparì in direzione della kitchenette.

Mac si stupì e non poco per quell’insolito gesto di galanteria. In nove anni si poteva contare sulla punta delle dita di una mano quante volte Harm le aveva portato il caffè in ufficio. Non lo faceva per egoismo o perché mancasse di sensibilità, semplicemente era… era Harm e lei lo amava così, non l’avrebbe cambiato di una virgola. Battute al vetriolo comprese. Anzi, forse quello era il suo lato che la stimolava di più.

Arrivò dopo pochi minuti con una tazza di caffè fumante.

“Appena fatto” disse porgendogliela. “Italiano” puntualizzò. “Ti serviranno energie supplementari Colonnello, la giornata non è finita.”

“Cosa è successo di nuovo?” chiese sorseggiando con gusto la bevanda scura.

“Quello che sto per fare.”

Le si avvicinò e percepì un fremito in lei, mentre il suo sguardo s’incupiva e la sfumatura nocciola dei suoi occhi diventava quasi nera. Le tolse la tazza dalle mani e la posò sulla scrivania, sfiorandole il volto con una carezza invisibile. Le labbra di Mac parevano una calamita che l’attraevano sempre di più. L’attirò a sé e le mise una mano sulla nuca portando il suo capo verso di lui e posò le proprie labbra su quelle morbide di Sarah. La baciò a lungo e molto dolcemente, assaporandone la morbidezza e il profumo leggermente zuccherato. Era inebriante e paradisiaco.

Mac non credeva veramente che tutto quello stesse davvero accadendo, l’unico pensiero coerente che riusciva a formulare era che la porta dell’ufficio era semiaperta e che qualcuno li avrebbe potuti vedere. Alla fine rinunciò persino a quell’unico barlume di razionalità e si abbandonò completamente fra le braccia di Harm, rispondendo con ardore al suo bacio e stringendosi a lui.

Sembrava che il tempo si fosse fermato e che tutto intorno a loro fosse scomparso, lasciandoli soli a godere di quella magia…

All’improvviso lui la lasciò andare, ma non resistette alla tentazione: “Avevo voglia di assaggiarti nuovamente, Colonnello” le disse e uscì dall’ufficio.

 



***




Una lama di luce colpì gli occhi chiusi di André che subito si svegliò di soprassalto, con una sensazione di vuoto accanto a sé. Si levò a sedere e vide che la parte destra del letto era vuota.

“Sarah?” chiamò, pensando che fosse nelle vicinanze, ma nessuno rispose.

Sarà sul ponte di coperta.” Si alzò ed entrò nell’angusto bagno della cabina dell’Ammiraglio Blackbird, messa generosamente a loro disposizione dallo stesso, e si stupì di trovarvi le proprie cose, ma non quelle di lei. 

Un orribile sospetto gli s’insinuò nella mente, ma non ci volle credere. Si lavò e si vestì. Era certo che l’avrebbe trovata, con la lunga chioma sciolta e finalmente libera dalle forcine e dalle complicate acconciature di Corte, sulla tolda, abbigliata in tenuta maschile e immersa in una fitta conversazione con l’Ammiraglio Blackbird o con qualcuno dei suoi ufficiali.

Salì sul ponte e la brezza tesa e fredda dell’Atlantico lo accolse. Onde alte almeno tre metri si scontravano con il robusto scafo della “Medea”, che fendeva la superficie di piombo liquido del mare con sicurezza ed agilità. Intorno a lui ferveva l’attività dei marinai, mentre un giovane sottufficiale gridava loro gli ordini che a sua volta riceveva dal secondo in comando, in piedi sul cassero di poppa accanto all’Ammiraglio che era al timone del veliero.

Di Sarah non v’era traccia. Dove poteva essere?

Rise divertito per non averci pensato prima. Avrebbe dovuto ormai essere abituato al suo anticonformismo, ma ancora faticava a starle dietro.

La cambusa!” pensò e subito si tranquillizzò. Salì sul castelletto di poppa e raggiunse l’Ammiraglio Blackbird.

“Buongiorno Conte” lo salutò il lupo di mare.

“Buongiorno Ammiraglio. Un po’ agitato stamani il mare, vero?”

“Non più del normale, Conte. Questa non è la stagione più adatta per affrontare una traversata, ma data l’urgenza…” Gli rispose Blackbird lasciando il timone al suo secondo e scendendo con lui i tre gradini che dividevano il castelletto di poppa dal ponte vero e proprio. “Stamani sul far del mattino abbiamo incontrato del vento teso proveniente dall’Irlanda, la nave ha ballato un po’. Spero che questo non vi abbia disturbati.”

André lo guardò senza capire: “Non mi sono accorto di nulla. L’ultimo ricordo che ho è di ieri verso sera: ho bevuto un tè con Milady e poi sono crollato sul letto addormentato.”

Il sospetto di poco prima tornò più forte, ma anche questa volta D’Harmòn non volle dargli ascolto.

“A proposito di Milady” chiese, “l’avete vista? Al mio risveglio non l’ho trovata in cabina e ho pensato fosse salita sul ponte, ma non la vedo neanche qui.”

L’Ammiraglio Blackbird scosse il capo: “Desolato Conte. Sono sveglio da quando abbiamo lasciato il porto di Southampton e non ho visto nessuno.”

Il porto di Southampton?” pensò.

Si congedò rapidamente dall’Ammiraglio e scese di corsa in cabina. Entrò e cominciò a guardarsi attorno, cercando gli effetti personali di Sarah… non trovò nulla, ma vide il suo diario aperto sul tavolino dove ricordava d’averlo lasciato la sera precedente, sotto il libro che stava leggendo.

Si avvicinò, lo prese in mano e divorò con ansia le parole che vi trovò scritte.

Lei se n’era andata…

Lentamente risalì in coperta, si avvicinò al parapetto di poppa, sperando di scorgere ancora la costa inglese.

Perché Sarah?” si chiese, appoggiando le mani alla balaustra di legno finemente intarsiata con il cuore gonfio di dolore e tristezza.

Fissò l’orizzonte dove la scia della “Medea” si confondeva con il cielo plumbeo, mentre il vento freddo del Nord Atlantico si portava via le sue lacrime.

 





Fine







Dedica

 

 

Questa fanfic è dedicata a Mr.Smith.

E’ un grazie personalissimo per averci regalato dieci anni di sogni, per averci fatto scoprire una vena creativa che non sapevamo di possedere, per averci fatto venir voglia di innamorarci di nuovo e per aver reso possibile conoscere tante persone che non avremmo mai incontrato se non avessimo visto JAG e non ci fossimo “innamorate” di lui e dei suoi fantastici occhi.

Dedicata a David: il classico tipo d’uomo che, quando lo incontri per la strada, ti fa voltare e rimanere ferma ad osservarlo fino a quando non scompare dalla tua vista.

 

 

Questa fanfic è dedicata anche al personaggio di Harmon Rabb jr., eroe gentile ed  affascinante, dal cuore nobile e dal sorriso splendido.

Di te, Harm, non ne abbiamo mai abbastanza e, pur di far brillare la tua stella all’infinito, siamo riuscite a farti rivivere persino attraverso i secoli.

Grazie per avercelo permesso, ispirandoci  con ciò che mostri, i tuoi silenzi, i tuoi dubbi e le tue esitazioni, ma anche con tutto quello che ci hai sempre lasciato immaginare, sebbene abilmente rinchiuso nel tuo cuore.

 

 

 

                                             Mac & Alex




Disclaimers  :

 

Il marchio JAG e tutti i suoi personaggi appartengono alla BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di lucro.

Qualunque riferimento a fatti o persone, che non siano avvenimenti o personaggi storici, e’ del tutto casuale.

I contenuti del racconto sono tutelati ai sensi della legge 633/1941 (legge sul diritto d’autore). Tutti i diritti riservati.

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