Il ritorno?

di Ashes Eye
(/viewuser.php?uid=180585)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 3 mesi dopo ***
Capitolo 2: *** Illusione? ***
Capitolo 3: *** Pezzi d'anima ***



Capitolo 1
*** 3 mesi dopo ***


Erano passati ormai tre mesi dalla sua morte, ma John ancora non riusciva a darsi pace. Quel pensiero lo tormentava di continuo impedendogli di vivere. Era certo che il suo migliore amico non poteva essere morto così. Era praticamente impossibile, si ripeteva all’infinito. Eppure aveva assistito alla caduta e aveva sentito il polso muto, senza battito. Aveva visto quegli occhi vitrei e immobili senza vita, coperti da strisce di sangue che continuavano a scorrere sul viso e colorare il marciapiede di rosso. John passava e giornate a pensare, piangere e fissare lo schermo del PC aperto sempre sulla stessa pagina web: il sito di Sherlock. Non sapeva cosa cercare o dove, ma aspettava solo un cenno di vita che confermasse la sua teoria: Sherlock era vivo.

Ogni notte, quando si svegliava di soprassalto a causa degli incubi andava al cimitero, a parlare con la lapide nera e scura, sotto la quale giaceva Holmes. Diceva sempre le stesse cose, nella speranza che si avverassero, ma una notte disse una cosa di più: 
«Mi manchi…Sherlock». Un lungo pianto terminò il monologo notturno e una pesante tristezza lo riaccompagnò al suo nuovo appartamento. Non era più tornato al 221B di Baker Street e non ne aveva intenzione. Non senza Holmes.

Era la mattina del 4 aprile. John non dormiva dalle tre del mattino quando aveva fatto visita alla tomba sperando di trovarci Sherlock intento a sparare a qualche albero per combattere la noia. Era quella stessa notte che invece di parlare di idee e congetture, una brevissima frase rivelò al vento notturno i suoi sentimenti. Si sentiva terribilmente abbandonato e preso in giro. Non riusciva più a sopportare l’idea che da lì in poi avrebbe dovuto vivere senza di lui. Era seduto sul pavimento, sotto una finestra lasciata aperta, mentre l’aria gelida entrava nell’appartamento ricordandogli che era vivo. Davanti a sé, appoggiato alle ginocchia c’era il PC. Era sempre acceso e mostrava la home del sito di Sherlock. Ancora nessun segno, nessun indizio. 

Appoggiò la testa alla parete e sollevò gli occhi al soffitto quando il suo cellulare emise un doppio bip. Era un messaggio. Le tre settimane dopo la morte di Sherlock, a ogni messaggio in arrivo, John trasaliva e lo apriva con mani tramanti nella speranza che il mittente fosse Holmes. Ma quella speranza rimase tale e nel tempo cominciò a svanire. Quindi prese di malavoglia il telefono e guardò lo schermo sul quale compariva una busta gialla che indicava l’sms. Lo aprì e lesse le uniche quattro parole: «Anche tu mi manchi».

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Illusione? ***


Gli ci vollero alcuni minuti per riprendersi. Era svenuto. Ricordava l’sms e la testa che girava. Non aveva più ossigeno e un conato si interruppe quando perse i sensi. Si risvegliò dieci minuti dopo con il cellulare in mano e la vista annebbiata. Aveva paura di guardare lo schermo, temeva di essersi immaginato tutto e strapparsi il cuore in altri mille pezzi. Quindi si rialzò e, lasciando tutto sul pavimento, si rifugiò sotto la doccia dove l’acqua fredda sembrava corrodergli la pelle e farsi strada tra i muscoli fino ad arrivare alle ossa che si sbriciolavano come fossero sabbia. Si lasciò cadere e, sull’orlo di un altro svenimento, iniziò a respirare profondamente cercando di recuperare la calma e la lucidità. Uscì dal bagno, si vestì velocemente e raccolse il cellulare rimasto sul pavimento. Quando stava per premere lo schermo la paura lo assalì e iniziò a tremare. Non riusciva a spiegarsi questa reazione. Dopotutto erano tre mesi che aspettava un cosa così. Ma ora che era reale cosa avrebbe fatto? Avrebbe confermato la sua teoria certo, ma se Sherlock non avesse avuto intenzione di tornare? Era come se fosse morto, di nuovo.

Aveva bisogno di qualcuno. Pensò alla signora Hudson, ma accantonò immediatamente l’idea. Non avrebbe retto neanche lei. Poi Lestrade, ma non era sicuro che coinvolgerlo sarebbe stata una buona mossa. Infine pensò a Molly, che aveva sofferto quasi quanto lui, e che non avevo più rivisto da ormai due mesi. Nessuno di loro sarebbe riuscito ad aiutarlo, quindi decise di andare al cimitero. Sentiva che era la cosa più opportuna. Gli ci volle molto per arrivare. Andò a piedi e fece la strada più lunga, spesso passando due volte dalla stesso punto. La paura lo tormentava. Giunse alla fine davanti alla lapide sopra la quale trovò un cappello. Il cappello. Lo avrebbe riconosciuto tra mille. Beige, a scacchi, due visiere e mal concio. Non era una delle tante copie vendute ai fan del povero falso detective suicida, ma era quello vero. Il suo. Quello di Sherlock. La paura divenne nuovamente reale, e il cellulare si fece pesante nella sua tasca. Lo tirò fuori e per la prima volta dopo lo svenimento rilesse il messaggio. “Mi manchi anche tu” Nessuna firma, nessun numero. Ma John sapeva benissimo da dove veniva. Ripose il telefono nella tasca e si guardò intorno alla ricerca di una sagoma, un’ombra o di una persona in carne ed ossa. Era solo, ancora.

Dopo qualche minuto di contemplazione, John prese il cappello dalla lapide e sollevandolo verso il cielo con il braccio destro ben teso, urlò davanti a sé: «So che sei qui! Cos’è questo?» A quella domanda una risposta giunse automaticamente dalle sue stesse labbra: «E’ un cappello John! Che diavolo di domanda!» Quindi abbassò il braccio e si massaggiò le tempie, chiudendo gli occhi per impedire a se stesso di perdere nuovamente il controllo. Risollevò le palpebre e i suoi occhi azzurri si bloccarono su una figura. Aveva un cappotto nero e lungo dal quale spuntava una testa che lui conosceva bene. Era proprio lui, Sherlock. John si strofinò velocemente gli occhi che riaprendosi avevano davanti a  sé ancora il detective. Rimase immobile senza saper cosa dire. Dentro tremava, e nella sua testa urlava. Sherlock strinse le labbra e qualche secondo dopo le aprì pronunciando un saluto: «Ciao John». Il tono era freddo e piatto. John non rispose ma sentiva che era sull’orlo di vomitare. Non riusciva a credere a ciò che vedeva e sentiva.

Era sicuramente un’allucinazione. Mentre cercava di risvegliarsi dal terrore, Sherlock riprese a parlare: «Mi dispiace. Davvero. Ma non è stat…». Un urlo interruppe la frase. Proveniva da John. «Zitto!!» Urlava agitando le braccia e muovendosi velocemente avanti e dietro con passi lunghi. Sherlock lo osservava silenzioso dondolando sulla punta dei piedi. Quindi John si bloccò improvvisamente smettendo di urlare contro quella che credeva essere un’allucinazione. Si voltò di scatto e osservò il viso di Sherlock con occhi socchiusi e la fronte corrugata. Gli si avvicinò piano e quando gli fu abbastanza vicino, la mano destra si chiuse a pugno e colpì Sherlock in pieno volto. Questo si piegò di lato scuotendo la testa e massaggiandosi il lato sinistro della faccia. John, ancora scettico, allontanandosi da Holmes, si prese il capo tra le mani e, rilasciandolo qualche secondo dopo si girò verso il detective che ancora soffriva e gli urlò: «Che cosa diavolo sei?» E, senza attendere risposta, gli gettò il cappello addosso sussurrando esausto: «Tu non sei vivo…». Cadde così in ginocchio sulla terra umida coprendosi il volto con le mani tremanti e cacciando via le lacrime che iniziarono a sgorgare senza sosta. Era convinto di stare per impazzire e un pensiero si fece largo nella sua mente: suicidio.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Pezzi d'anima ***


John rimase immobile qualche minuto sull’erba cercando di chiarirsi le idee, ma ogni volta che davanti agli occhi ritornava l’immagine di Sherlock disteso sul marciapiede il suo stomaco si rivoltava e il cuore pulsava sempre più forte. Aveva passato tutto questo tempo a cercare di dimenticare che ormai ricordare diventava sempre più doloroso. Quando, regolando il respiro, riuscì a calmarsi, alzò lo sguardo e davanti a sé c’era ancora Sherlock. Questa volta stava camminando mentre con la mano sinistra si massaggiava la guancia, e con la destra teneva il cappello che faceva sbattere contro il suo ginocchio al ritmo dei passi. Quando si accorse di essere osservato si voltò verso John e con incertezza gli domandò: «Vuoi una mano? Ad alzarti?» e come risposta ottenne un secco «No. Sto bene.» Era una bugia bella e grossa, ma John si alzò ugualmente e con voce strozzata riuscì a dire: «Capisci che mi hai obbligato a seppellirti?» Sherlock, che ancora camminava, si bloccò e senza voltarsi rispose con voce bassa: «Lo so, John, io…» Ma il dottore lo interruppe di nuovo continuando: «Ho dovuto seppellire molti amici durante la guerra. E ora tu mi hai costretto a rifarlo! Hai idea di quanto stia soffrendo Sherlock?» Holmes lo guardò dritto negli occhi e senza rispondere alla domanda disse: «Per come lo stai dicendo sembra che io l’abbia voluto. Se non l’avessi fatto sarei stato io a dover seppellire te! »

A quelle parole seguì un gesto che prese John di sprovvista. Sherlock balzò in avanti e afferrò l’amico per le spalle e senza distogliere lo sguardo sibilò con rabbia e frustrazione: «L’ho fato per proteggervi John! Tu, la Signora Hudson e Lestrade! I suoi uomini erano lì, pronti ad uccidervi! A meno che non fossi morto io per primo! Non dovresti odiarmi, ma ringraziarmi!» Terminò lasciandolo andare e sistemandogli la giacca. «Ringraziarti?» Tuonò John colpendo Sherlock sulle braccia che ancora sistemavano la sua giacca. «Ringraziarti per avermi fatto impazzire? Per avermi costretto a riempirmi di antidepressivi? Bhè, grazie brutto grande stronzo!» Sherlock scosse la testa e respirò profondamente. Poi disse: «No John. Grazie per averti fatto rimanere vivo!» Un’amara risata uscì dalla bocca di John che subito si fece serio e replicò: «Avrei preferito morire che passare tre mesi credendoti morto!»

Entrambi passarono qualche minuto in silenzio a guardarsi di sottecchi mentre pensavano a cosa dire. Sherlock sapeva bene cosa avrebbe dovuto dire, ma per la prima volta in tutta la sua vita, si tratteneva dal farlo. Non avrebbe voluto provocare un’altra reazione di rabbia da parte di John, ma la cosa era troppo importante, e non avrebbe aspettato oltre: «Irene me l’aveva detto» disse senza guardare Watson che invece era rimasto a bocca aperta «Sì John, Irene è viva. Nascosta in Croazia, proprio come ho fatto io tutto questo tempo. Il punto John, è che lei mi ha detto che tu provavi per me un sentimento più forte della comune amicizia…» Sherlock si interruppe guardando lentamente l’amico che, con faccia confusa disse: «E…e questo cosa c’entra?» Come Holmes si aspettava non ci fu smentita quindi aggiunse: «Allora è vero. Mi dispiace John, davvero, ma dovrò spezzarti il cuore un’altra volta. Irene…ecco…lei è incinta.»

John, convinto che fosse uno scherzo, disse ridendo: «Se stai cercando di farmi calmare Sherlock, ti assicuro che ci sei quasi! Dai, non è possibile! Tu non provi quel genere di sentimenti!» e Holmes rispose: «No, hai ragione. Non provo amore, ma attrazione sessuale sì. E’ stato un errore. Lei dice di amarmi John! Ma io, io non so cosa significhi! Io non provo niente! Nulla!» E scandendo le ultime parole si passò una mano tra i capelli, facendola poi scorrere su tutto il viso e fermandola sulla bocca. Aveva gli occhi chiusi e stava appoggiato ad un albero come per sostenersi, l’altra mano teneva ancora il cappello beige ed era immobile. John allora gli si avvicinò e, come se niente fosse successo prima di allora, gli mise una mano sulla spalla e sussurrò: «Non preoccuparti. E’ davvero una brutta situazione, ma puoi contare su di me.» Non era da John mentire, ma per Sherlock provava davvero qualcosa di molto forte, e non l’avrebbe lasciato andare di nuovo. Piuttosto sarebbe morto, fisicamente. Perché in quel momento la sua anima era frantumata in migliaia di pezzi.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1138340