Upside Down

di DeepBlueMirror
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Reminiscenze dal passato ***
Capitolo 2: *** Il decadimento del passato ***
Capitolo 3: *** Il passato è passato... ***



Capitolo 1
*** Reminiscenze dal passato ***



                                                    UPSIDE DOWN




-Halle, ti prego, non insistere.


La mia interlocutrice sorseggia silenziosamente il suo caffè, per poi rivolgermi uno sguardo deciso: -Linda, francamente non capisco la tua ostinazione.

-Ti ha mandata qui lui?- domando, evitando accuratamente di pronunciare quel nome e notando l’irrigidirsi delle sue spalle.

-Ti è davvero di così gran peso prendere in considerazione per un istante la possibilità di un incontro faccia a faccia?- replica con una punta di rimprovero nella voce.

-Halle, ne abbiamo già parlato- mormoro con voce spenta, abbandonando la mia sedia per sostare accanto alla finestra; respirando profondamente l’odore pungente del mare e scrutando la spiaggia in cerca delle parole giuste da usare, conclusi: -Per quanto possa suonare deplorevole, non ho il coraggio di affrontarlo.

-Linda, Near non ha mai provato un minimo di rancore nei tuoi confronti. Ha di te la medesima stima che aveva prima di quell’indagine di tre anni fa.


-Halle…- inizio, esitante -…onestamente, trovo difficile crederlo- affermo seccamente, posando sul tavolo della cucina il mio bicchiere di sangria e iniziando a raccontare.

 


-Near.

-Linda.

-Ho terminato il rapporto e modificato l’identikit del killer seguendo la testimonianza della vicina di casa della vittima- dissi, porgendogli un plico di fogli e ricevendo un cenno d’assenso che interpretai come un ringraziamento.

Lo osservai disporre alcune biglie colorate secondo un ordine che mi sfuggiva:- Non è un po’ tardi per giocare con le biglie?- scherzai, sedendo accanto a lui sul freddo pavimento dell’ex-sede dell’SPK, a Manhattan, tramutata in semplice studio investigativo al termine del caso Kira.

-Sto riflettendo sul caso- replicò lui con un’ombra di divertimento nella voce, posando delicatamente una sfera di vetro ceruleo accanto ad una gemella scarlatta.

Scossi la testa, pazientemente:-Abbiamo passato l’intera giornata a riflettere sul caso, credo sia meglio dormire almeno un paio d’ore e riprendere domani. Abbiamo una buona pista per le mani, dopotutto…  

Osservai le sue dita avvicinarsi ad una biglia verde smeraldo, per poi colpirla seccamente: la sfera di vetro urtò una gemella poco distante, a sua volta condotta verso un’altra, in una catena di fluidi spostamenti che formarono un affascinante vorticare di riflessi colorati.


-Non è abbastanza.


Esitai, notando l’espressione tagliente e determinata che gli aveva appena indurito il volto. Era durata un istante, poi era sbiadita nell’usuale apatia.

-Near…-  mormorai -Sii ragionevole, ci servono più indizi, non risolverai nulla standotene qui a rimuginare alle due del mattino. Dobbiamo attendere il rapporto di Gevanni sulla scena dell’ultimo delitto, è inutile rompersi la testa su quel poco che abbiamo messo insieme.

Di nuovo, notai un lampo nei suoi tratti affilati: questa volta sembrava un misto di rabbia e rimorso. Per un istante il suo volto si sovrappose nella mia mente a quello di un giovane che aveva avuto la stessa espressione frustrata per gran parte della sua breve vita.

E improvvisamente capii.


-Ascoltami- sussurrai, posando una mano sulla sua e ostacolandolo in quel suo perpetuo tentare di possedere il controllo assoluto su tutto, persino su quelle dannate biglie.

Near si irrigidì, fissandomi in silenzio.

Poi si scrollò la mia mano di dosso:- Non serve, hai già compreso la mia linea di pensiero, Linda. Non ho bisogno di sentire cos’hai da dirmi- rispose, tornando il solito, freddo, criptico bastardo.

-Non osare trattarmi come un tuo subordinato- ringhiai, invadendo nuovamente il suo spazio e costringendolo a voltare ancora il viso verso di me -Non lo sopporto e lo sai bene. Se desideri il mio aiuto per procedere nelle indagini, sappi che non accetterò che tu mi rivolga la tua attenzione solo quando ti fa comodo - sibilai, perforando con un’occhiata truce le sue iridi grigio ferro, più luminose del solito per la luce dei numerosi monitor attivi nella stanza buia.


Il suo silenzio mi sorprese. Non era uno dei suoi soliti silenzi vuoti, al più punteggiati di disapprovazione o meditabondi, nel suo silenzio vi era qualcosa di terribilmente stonato, come un fischio di volume troppo basso per essere ben udito, ma abbastanza alto da infastidire l’orecchio.


-Near, ascoltami- ripetei, posando entrambe le mani sulle sue spalle: il contatto fisico gli rendeva meno semplice ribattere in quel modo astioso che sembrava aver appreso da un certo qualcuno.

Scossi la testa, tentando di rimuovere dalla mente il ricordo di un paio di ardenti occhi azzurri.

-A che pro- rispose lui, nessuna sfumatura nella voce o nello sguardo.

-Se la tua linea di pensiero contiene cazzate del tipo tenermi lontana dal pericolo ed eliminarlo in fretta, esigo il diritto di poter esporre il mio punto di vista- ribattei decisa, infischiandomene della buona educazione ricevuta e di ogni possibile tentativo di diplomazia: con lui non avrebbe funzionato, avrebbe come suo solito rigirato in qualche modo la frittata, convincendomi chissà come dell’irragionevolezza dei miei pensieri.

 


-Avevo intuito cosa gli passasse per la testa, Halle… credo tu possa immaginarlo da te.

La mia amica annuisce piano:-Il serial killer cui davamo la caccia… avresti potuto essere una delle sue vittime.

-Una ballerina, uno scrittore, una cantante d’opera, un cantante rock, una pianista, uno scultore… il cadavere di una pittrice famosa non avrebbe sorpreso nessuno. Era un’ipotesi remota, oserei dire, ma credo che Near mi abbia voluta al suo fianco per potermi sorvegliare- concludo con un sorriso triste -Voleva proteggermi. Dopotutto, ero l’unico debole rapporto umano rimastogli dopo il caso Kira …

 


Near strinse gli occhi, senza porre fine al suo ostinato e sgradevole silenzio. Respirai pesantemente:-Torna in te e usa il cervello, Near, questa perdita di lucidità non ti si addice. Lavoro nel tuo ufficio ventiquattr’ore su ventiquattro, non vedo nessuno, non esco se non scortata da uno dei tuoi collaboratori… quel pazzo non può farmi nulla finché resterò qui. Bisogna procedere con calma, raccogliendo informazioni e incastrando magistralmente il colpevole, sperando di perdere meno vite possibili durante il percorso: non è nulla che tu non abbia già portato a termine magistralmente molte volte, da ben prima di ereditare il nome di L. 

Le mie parole sembrarono sfiorarlo, in qualche modo, ma non era abbastanza. Non avevo ancora rotto il suo silenzio.


Tremai per un istante: la cattiveria che mi stava salendo alle labbra forse era eccessiva… ma non riuscii a fermarmi.

 -Mello ti prenderebbe a pugni se ti vedesse ora.

 

Near smise di respirare.                                                                                    

Il suo silenzio fu rotto solamente alcuni secondi dopo da un sospiro appena udibile, dovuto alla necessità di introdurre nuovo ossigeno nei polmoni.


Improvvisamente mi sentii un mostro. Ammutolita, in preda ad un’ondata improvvisa di disperazione, mi allontanai da lui bruscamente.


Mello… dunque Matt. Semplice e devastante associazione di idee.

Il suo sorriso buono mi tornò alla mente, facendo crollare il mio precario equilibrio mentale, ricostruito con fatica negli anni di solitudine che avevano preceduto l’attuale collaborazione con Near.

Nel tentativo di scuotere il mio vecchio compagno d’orfanotrofio, avevo inferto l’ennesimo colpo alla mia fragile volontà di vivere: la mia esistenza aveva senso solo alla luce delle ultime volontà di colui che avrebbe dovuto rimanere al mio fianco ben più a lungo di quanto fosse stato possibile. Non volevo negargli quell’ultimo desiderio.

A tale dolore si aggiungeva la consapevolezza del fatto che Near soffriva il mio stesso destino, se non uno peggiore: lui era riuscito solamente a sfiorare la possibilità di essere amato, per poi vedere ogni cosa crollare davanti ai suoi occhi.


Rinfacciargli quel momento di debolezza notturna, che si sarebbe probabilmente dissolto alle luci dell’alba con l’inizio della giornata di indagini, era stato imperdonabilmente crudele.


Feci per levarmi in piedi, con l’intenzione di fuggire chissà dove in quella struttura immensa e fredda, impossibilitata a tornare nella mia casa, tra i miei quadri e i ricordi felici. La vista cominciava a farsi sempre più sfocata, la gola sempre più stretta.

Near aveva seguito i miei movimenti lenti, in silenzio, respirando appena. Poi una delle sue mani grandi e affusolate si levò ad afferrare con decisione il mio polso.

-No, Linda- rispose lui con voce calma, levandosi in piedi – Ho ascoltato come avevi chiesto, adesso rispetta la mia volontà di… sì, “esporre il mio punto di vista”.

Vederlo in posizione eretta aveva del surreale, senza contare che in altezza ormai mi superava di parecchio, e non ci avevo mai fatto particolare caso. Tentavo disperatamente di concentrarmi su dettagli di lui o della stanza che mi impedissero di levare gli occhi verso il suo viso, di leggervi il disprezzo che meritavo, o la compassione per la mia pietosa figura.

-Linda, io ho ascoltato. Tu guardami, per favore- furono le sue parole, pronunciate con un tono gentile che mi ricordò in modo troppo nitido la voce morbida usata da Mello per rivolgermi le ultime parole prima della partenza per il Giappone.

Era come se…

 


-Col tempo avevo notato che sembrava aver acquisito una sua capacità di lasciar trasparire emozioni… Quasi avesse interiorizzato quella parte di Mello che gli era meno vicina e comprensibile.

-Un cambiamento che abbiamo notato tutti, dopo la morte di Mello... pur essendo appena evidente- concordò Halle, non riuscendo a celare un velo di tristezza mentre pronunciava il suo nome: a quanto avevo capito il rapporto tra lei e Mello era stato un tempo ben più profondo di quanto potessi comprendere.

-Halle…

-Non fare caso a me, davvero, continua.


 

Riuscii a sostenere il suo sguardo serio solo per una manciata di secondi. -Lasciami… io… io…- mi trovai a balbettare tra le lacrime, incapace di darmi un contegno e odiandomi per il mio comportamento debole, per poi invadere nuovamente il suo spazio con un’audacia portata dalla consapevolezza di aver ormai varcato quel limite invisibile che in quegli ultimi anni ci aveva permesso di conservare un rapporto di educata cordialità.


Ormai si trattava di interrompere il rapporto definitivamente, o di mutarlo in qualcosa che potesse dare forza ad entrambi.

O forse solo a me.


Lo strinsi in un abbraccio soffocante, disperato, il respiro spezzato da qualcosa di molto vicino al panico, ripetendo sconnesse parole di scusa nella stoffa candida della sua camicia troppo larga, in attesa che mi respingesse, o tutt’al più rimanesse inerme, in attesa del mio rinsavire. Un singhiozzo più forte degli altri mi scosse quando avvertii le sue braccia avvolgere impercettibilmente la mia vita, ricambiando cautamente la stretta. In quei pochi minuti piansi più di quanto non avessi fatto in quei lunghi anni di solitaria agonia: anche durante il nostro ultimo incontro al cimitero mi ero illusa di poter vivere in una relativa serenità, in una sorta di dolce rimembranza del passato.

Appena rimesso piede in casa, avevo capito di essermi solamente presa in giro.


Levai il volto solamente quando tra di noi cadde nuovamente il silenzio, sbirciando la sua espressione: il suo volto sembrava stanco, ma aveva avuto la forza di modellare un breve sorriso per me.

Mi chiesi perché non ci fossimo ancora separati, ma qualcosa mi impedì di farmi ulteriori domande: avevo fatto giusto in tempo a notare il movimento delicato di Near, un istante dopo avevo percepito con sorpresa immensa le sue labbra sulle mie.


Tremai, irrigidendomi completamente: non riuscivo a credere che il rapporto con Mello avesse stravolto a tal punto la sua personalità; non era mai stato una persona espansiva, se poteva evitare anche solo una stretta di mano, lo faceva.

Confusa, avvertii il lieve sfiorarsi delle nostre labbra; improvvisamente incapace di opporre una qualche resistenza, rafforzai involontariamente la mia stretta su di lui, lasciando che parte del mio peso gravasse su di lui.

Gli occhi di Near occupavano interamente il mio campo visivo: notai distrattamente che le sue ciglia rade avevano sfumature che tendevano al bianco, un bianco sporco, simile all’argento. Affascinata, scrutai le sue iridi grigie in cerca di una risposta, del perché del suo gesto. La mia mano salì timidamente alla sua chioma disordinata, ogni dito si immerse in una ciocca inanellata, attirando il loro proprietario verso di me.

Durò pochi secondi, poi Near si scostò di qualche centimetro.


-Credo che seguire l’istinto porti spesso a conseguenze poco piacevoli- sospirò Near, piegando la testa di lato con aria meditabonda.

-Cosa intendi?- domandai, avvertendo una sorta di turbamento farsi largo nella confusione: istinto e Near non erano due sostantivi da accostare con tanta leggerezza.

-Sembri sconvolta- constatò lui senza scomporsi, iniziando ad allontanarsi lentamente -Mi scuso.


Improvvisamente, il mio corpo agì come mosso da volontà propria:-No- mi sfuggì, mentre le mie braccia gli impedivano di liberarsi.


Finalmente ottenni da parte sua una reazione simile alla sorpresa: mi osservò avvicinarmi al suo volto, senza muoversi di un millimetro, permettendomi di posare le mie labbra tremanti sulla sua bocca dischiusa.

Inspirai cautamente, assaporando piano la pelle liscia del suo labbro inferiore e il lieve profumo di pulito della sua pelle eccessivamente pallida. Osai persino percorrere la superficie del labbro con la punta della lingua, guadagnandomi l’accesso alla sua bocca e approfondendo quel bacio silenzioso, notando che il suo respiro sembrava aver perso il solito ritmo regolare, accelerando impercettibilmente.


C’era qualcosa di folle in tutto ciò, di sbagliato.


Mi sembrava di tradire Matt, mi sembrava che Near stesse tradendo Mello, mi sembrava che il mondo ci stesse crollando addosso in una cascata di frammenti taglienti . Un istante dopo avevo dimenticato tutto ciò, perdendomi nel groviglio di sensazioni che mi  assalivano. Passavo dalla disperazione all’abbandono nell’arco di pochi secondi.

Era assurdo, ma baciare Near sembrava fornirmi una calma che credevo aver dimenticato.

Le sue mani stavano accarezzando la mia schiena con la punta delle dita, in quel modo prudente che gli era caratteristico. Un mio gemito flebile si mischiò alla nostra saliva, mentre tentavo disperatamente di capire il da farsi.

Near mi precedette, interrompendo delicatamente il bacio.

 


-Sorprendente- mormora Halle incredula, un mezzo sorriso misto a stupore sul volto affascinante.

-So che è incredibile, credimi- borbotto, sentendo il volto andarmi in fiamme per l’imbarazzo causato dal ridacchiare bonario di Halle.

-Non riesco seriamente ad immaginarmi la scena… Tu e Near…

-Ha iniziato lui!- sbotto, causando un aumentare delle sue risa.

-Oh, certo, con le doti di seduttore che si ritrova deve essere difficile resistergli… andiamo, Linda.

-Io…io…uhm…- balbetto, pentendomi di aver introdotto il discorso, subito rassicurata dal sorriso della mia confidente:-Rilassati, stavo scherzando. In realtà ai tempi mi chiedevo quando sarebbe successo qualcosa del genere tra voi due.

-Oh?- commento sorpresa, ricevendo un cenno di convinto assenso.

-Lo hai detto, condividete lo stesso passato, sin dall’infanzia, vi comprendete a vicenda, siete rimasti soli e vi siete confortati l’un l’altro come potevate… e senti un po’ questa, Rester mi ha fatto spesso notare come dopo ogni conversazione telefonica con te Near sembrasse quasi… di buon umore, sì. Un spettacolo piuttosto inquietante, credimi…- replica Halle divertita, salvo poi farsi seria -…non avresti dovuto sparire per tre anni, per il bene tuo e suo.

Taccio, sentendomi in colpa, per poi aggiungere flebilmente:-...altro...

-Come?

Mi schiarisco la gola, ritentando:-C’è dell’altro… in realtà.

Halle sembra per una volta brancolare nel buio.

 







Allora, intanto PRETENDO grossi applausi e grida di giubilo per la mia maturità appena terminata!!!

Ebbene sì, ora sono un'incredula diplomata noiosamente nostalgica della mia gioventù ormai agli sgoccioli... Ahem.

Un anno, diamine, ho passato un anno senza quasi entrare nel mio account EFP.

Troppo tempo, decisamente... oltretutto, sono in uno dei miei periodi bisognosi di una cavolo di storia d'amore NON a senso unico.

E cosa fa Irene Kirsh in questi casi?

Scrive una bella fanfiction d'amore NON a senso unico.


Il titolo esprime solo i capovolgimenti che sconvolgeranno (e siamo già partiti bene, direi, con un Near adulto, in qualche modo segnato dalla breve ma intensa relazione precedente, ben diverso dal ragazzo goffamente corteggiato da Mello -povera stella, lui e Matt mi mancano parecchio ç___ç-) la vita di Linda. Nulla di IC, dato che ci muoviamo oltre la linea cronologica del manga.

Non so perchè mi sia venuto spontaneo riprendere la vecchia "Linda's portraits" e non so bene dove finirà questa seconda serie di memorie e pensieri di una Linda ormai adulta (siamo 8 anni dopo lo special in cui Near ha la meglio sul nuovo Kira, i nostri ragazzi hanno 28 anni). Non avrei mai pensato ad un risvolto del genere, ma alla fine mentre scrivevo non potevo fare a meno di pensare che se Linda fosse esistita, e fosse stata così come l'ho immaginata, forse questa storia sarebbe potuta nascere.

Non spoilero nulla, vi avverto che tenterò di non essere TROPPO troppo OOC.

Quindi no resurrezioni, mi dispiace.

Ci avevo anche pensato, ma no.

Non so nemmeno bene quando e se Linda troverà l'ispirazione per una delle sue opere.


Ringrazio chiunque leggerà e recensirà.


Un abbraccio,

Irene

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Capitolo 2
*** Il decadimento del passato ***


-Quella notte sono scappata via- proseguo, giocherellando con il ghiaccio in procinto di sciogliersi sul fondo del mio bicchiere vuoto. -Era tutto così assurdo, destabilizzante, al punto che faticai a trovare la strada per quella che ormai da un paio di mesi era divenuta la mia stanza. Il mattino seguente mi misi al lavoro come se non niente fosse. Lui sembrò comportarsi al suo solito, non lo scorsi mai intento a guardarmi o a struggersi per me: il solito, rassicurante ed impeccabile Near, insomma. Quel giorno avevamo anche discusso, voleva impedirmi di ispezionare la casa dell’ultima vittima, Joel Howard… probabilmente ricordi.
-Certamente.
Poso gli occhi sulla fetta di mare visibile dalla finestra, perdendomi per un secondo nella calma di quella visione.
-Ovviamente non ero d’accordo, e avevo fatto di tutto per metterlo bene in chiaro, ma a parte questo non era successo nulla di diverso dal solito. Tuttavia quella notte, quando ormai tutti voi vi eravate congedati, qualcosa mi aveva impedito di seguire il vostro esempio. Ero rimasta nella sala monitor a scribacchiare dettagli nel mio rapporto giornaliero, chiedendomi cosa diavolo avrei potuto inventarmi per tentare di carpirgli qualche parola riguardo la sua criptica condotta del giorno prima…
 

Dire che mi sentivo a disagio era nulla.
Sedevo rigida come se qualcuno avesse disposto un paio di porcospini sulla mia sedia, digitando con lentezza estrema ogni carattere sulla tastiera dl mio portatile, mentre Near ignorava educatamente la mia presenza, intento a chissà quale gioco nel solito angolo della stanza in penombra.

Terminai il rapporto in pochi minuti, con mio grande dispiacere; spensi il computer e abbassai delicatamente lo schermo, alzandomi in piedi il più silenziosamente possibile.
“Se riesco ad arrivare alla porta senza farmi notare…” pensai, salvo poi sentirmi un’idiota. “Certo, come se Near potesse non essersi già accorto dei miei movimenti”.
Sospirai, indecisa, lasciando il pc sul tavolo e spostandomi con animo rassegnato verso di lui: non aveva senso rimandare la conversazione, non avevo pace da ieri e probabilmente non ne avrei avuta finchè non mi fossi decisa ad affrontare il problema. Sedetti pesantemente al suo fianco, guardandolo di traverso: -Qual è il gioco di oggi?- mormorai, in un pietoso tentativo di fare conversazione. Lui sembrò apprezzare e mi mostrò in silenzio la sua nuova follia: era il modellino di un edificio familiare, ma che faticai un po’ a collocare nella memoria.

-Questa… è la Wammy’s- mormorai, sfiorando con l’indice la riproduzione perfetta del cancello d’ingresso. -Ma che materiale hai usato?- aggiunsi, osservando la superficie trasparente riflettere la luce dei soliti monitor. Near alzò le spalle, indicando una scatola di latta a pochi centimetri dal suo braccio: immersi la mano nel contenitore e la ritirai piena di minuscoli anellini, probabilmente di plastica.        
-Regalo di Halle- commentò lui, prendendone alcuni dalla mia mano e posizionandoli sulla parte di tetto ancora incompleta. -Sua nipote ha perso interesse per le perline, a quanto pare.
Mi fece sorridere il suo tono serio, adatto ad un meeting lavorativo più che ad una conversazione notturna di quel tenore. Per un attimo seguii il suo lavoro, dimentica del motivo per cui mi ero costretta una seconda volta a fargli compagnia a quell’ora della notte:- Ma… sono fissate o…?- chiesi, temendo la sua risposta: quel giovane sapeva farmi sentire un totale fallimento persino nel lavoro manuale, che doveva essere il mio forte.
Lui non mi degnò di un’occhiata, concentrato sulla precisione dei suoi movimenti:- Nessun fissante- fu la risposta.

Sbattei le palpebre, inebetita: ecco, ora sì che mi sentivo un’incapace, artisticamente parlando. Quella struttura a due piani, in scala perfetta, stava su da sola, in equilibrio. Io non sarei riuscita a far resistere nemmeno il primo tratto di muro.
-Splendido- borbottai con una punta di invidia, guadagnando una sua occhiata a metà tra il soddisfatto e il divertito.
L’opera durò ancora una ventina di minuti, che passai nel più completo silenzio, in contemplazione distratta dei suoi movimenti fluidi e misurati in  modo maniacale, dalla mia mano alla costruzione, ancora e ancora. Con il diminuire delle perline nel mio palmo, le sue dita non potevano evitare di sfiorare la mia pelle per poterne raccogliere altre: arrossendo vagamente, mi maledissi per la situazione in cui mi ero cacciata, per poi sorridere del mio immotivato pudore da dama ottocentesca.
Mi meravigliai di come quel miracolo di micro-architettura non accennasse nemmeno ad oscillare, cosa affascinante quanto, lo ammetto, irritante.
La mano di Near raggiunse la mia per l’ultima perlina, com’era prevedibile, ma io serrai di scatto le dita, impedendogli di procurarsi il pezzo mancante. Lo stavo sfidando? Stavo sfidando me stessa? Forse stavo solamente tentando di capire cosa mi spaventasse tanto di quella situazione.
La scatola era lì, traboccante di tutte le dannate perline che voleva, eppure lui sembrò prendere molto seriamente il mio gesto.
La sua mano sinistra scivolò sotto la mia, mentre le dita della destra scostavano le mie, una per una, sino a raggiungere  l’oggetto della sua ricerca; prelevatolo con delicatezza, lo posò sulla cima dell’edificio, osservando un istante l’opera completa e tornando a voltarsi verso di me.
Mi sentivo in trappola, intimidita dal suo sguardo grave, desiderosa di fuggire come la sera prima.

Invece afferrai saldamente il polso della sua mano ancora premuta contro la mia, attirandolo verso di me senza alcuna motivazione logica e baciandolo bruscamente.


Diamine, era riuscito ugualmente a prevedere le mie mosse: non lo colsi minimamente di sorpresa, né fece alcun tentativo per allontanarmi da sé, limitandosi a schiudere le labbra e lasciandosi travolgere dalla mia improvvisa irruenza.
Qualcosa però non tornava: percepii un certo disagio da parte sua, nonostante la notevole intraprendenza del giorno prima, e notai che rispondeva ai miei movimenti in modo esitante. Mi pentii di averlo aggredito a quel modo e misi più gentilezza nei miei gesti, tirando mentalmente un sospiro di sollievo quando i suoi occhi grigi, spalacanti fino a quel momento, si chiusero lentamente e il suo viso sembrò distendersi un poco; con rassicurante lentezza spostai la mano dalla sua spalla alla guancia, scoprendola leggermente ruvida al tatto.
Il solo pensiero di Near intento a farsi la barba come un vero uomo bastò a farmi allontanare in preda alle risa, guadagnandomi in risposta un’occhiata alquanto perplessa.
-Non fare quella faccia, mi sembra ormai chiaro che il tuo destino sia quello di baciare gente mentalmente instabile- osservai, sollevata nel vederlo semplicemente scuotere la testa con aria paziente:-Credo che “emotivamente instabile” renda più efficacemente l'idea- fu la sua risposta, pronunciata con quel tono morbido che riservava solo a Mello, all’irruento e intrattabile Mello.
Tacqui un istante, tentata di interrogarlo sul loro rapporto; poi decisi di tenere la mia curiosità a freno ancora per qualche minuto, ponendogli un quesito più urgente: -Ho bisogno di capire- dissi, formulando la mia richiesta nel modo più discreto possibile, attenta a non metterlo nuovamente a disagio. -Ieri hai… agito in modo inaspettato.

"Certo, Linda, la tua condotta nelle ultime ore è stata invece perfettamente razionale e comprensibile" pensai, salvo poi rimuovere il pensiero nel giro di pochi secondi: io ero famosa per le mie cazzate, ma Near non era certo un esempio di spontaneità e impulsività, la mia perplessità era legittima.


Il mio ex-compagno d'istituto, nonchè miglior detective del mondo, scelse di ignorarmi per alcuni interminabili secondi.
-Ieri avrei voluto aggiornarti sugli elementi del caso che mi avevano tenuto sveglio a riflettere e su come il tuo arrivo mi abbia poco provvidenzialmente interrotto. Tuttavia, come già detto, credo di aver agito d’istinto- rispose pensieroso. Quel suo cervello dannatamente brillante sembrava poterlo sostenere solo in parte in questo genere di cose: ogni tentativo di razionalizzarle sembrava convincere poco il suo padrone e renderlo sempre più meditabondo.
-E il tuo…uhm, istinto… cosa suggerisce di fare, ora?
Ricevetti in risposta un cupo:– Non riesco ancora a comprenderne la meccanica.
Mi sfuggì un debole sorriso:– Era così anche con…?- domandai, non osando parlare apertamente.
Near levò gli occhi di scatto, perforando i miei:– Con Mello…-  completò lui, pronunciando lentamente il suo nome. –Non saprei, ai tempi ero una persona molto diversa. Era lui a trasmettere emozioni, lui ad agire istintivamente. Io venivo travolto da una miriade di sensazioni e informazioni sconosciute che non sapevo bene come organizzare- mi spiegò brevemente, con un tono che lasciava immaginare che avesse riflettuto più volte sulla faccenda dopo la morte del compagno.
-Credo di capire- mormorai incerta: con Matt era tutto diverso… il nostro rapporto era partecipato da entrambi in ogni aspetto, mi riusciva difficile pensare a qualcosa di tanto distante dal mio modo di vedere l’amore.

Calò nuovamente il silenzio.

Osservai di sottecchi la sua postura rigida, le braccia conserte e l’espressione intensa, interpretandole come segno di un ennesimo tentativo di analizzare la situazione razionalmente, probabilmente senza esito particolarmente positivo. Dal canto mio, mi sentivo lacerata: come avevo potuto comportarmi in quel modo una seconda volta? Ieri potevo anche appellarmi all’effetto sorpresa, oggi non avevo alcun alibi.
Aprii bocca tentando di pensare a qualcosa da dire, ma la richiusi non appena lui si alzò da terra:- Penso che faremmo meglio a riposare qualche ora- disse improvvisamente, avviandosi verso la porta dell’ufficio.
Annuii, un po’ delusa da quella brusca ritirata: in una situazione diversa e con un uomo diverso un tale comportamento, visto quanto era successo per ben due volte nell’arco di due giorni consecutivi, mi avrebbe sicuramente indisposta. “È
 pur sempre Near” mi dissi, sospirando. “Avrò bisogno di una buona dose di tempo e pazienza per capire cosa gli passi per la testa”.
Mi aspettai di udire il richiudersi della porta, ma non accadde nulla del genere: Near era rimasto in piedi, una mano posata sulla maniglia, senza però muovere un muscolo.
-Linda.
-Sì?- risposi, aggrottando le sopracciglia: la sua voce aveva un tono cupo che mi spiazzò, non mi aspettavo quella gravità improvvisa.
-Non voglio che tu ci segua, domani- disse, voltando il capo verso di me affinchè potessi leggere l’irremovibilità della sua decisione anche nei suoi tratti glaciali.
-Sai quanto io detesti metterti i bastoni tra le ruote- ribattei grondando  sarcasmo, sorpresa dal brusco cambiamento della conversazione e alquanto indispettita dal suo tono dispotico –Ma farai meglio a rassegnarti: domani verrò ad ispezionare il luogo dell’ultimo delitto, non ho intenzione di discuterne ancora.
Notai subito l’irrigidirsi delle sue spalle, ma non accennai ad ammorbidire il mio cipiglio; non battei ciglio nemmeno quando il suo sguardo si piantò su di me con una durezza che mi fece desiderare di essere inghiottita dal pavimento nel più breve tempo possibile, salvo poi ricambiare con un’occhiata anche più dura, decisa a non cedere di un millimetro.
-La tua presenza sarebbe superflua- sibilò lui, tornando al suo vecchio, insopportabile tono di voce incolore, -Per non dire d’intralcio.
-Sarò lieta di esserti d’intralcio, se ciò mi permetterà di procedere di pari passo con te nelle indagini- replicai con veemenza, senza nemmeno tentare di dissimulare la rabbia: le sue parole dopotutto erano state pronunciate allo scopo di ferirmi, perché avrei dovuto nascondere il mio stato d’animo? Ero davvero tanto inutile e d'intralcio?


-Ti aveva voluta con noi per sorvegliarti, è vero… così come è vero che il tuo talento artistico poteva essere utile per analizzare quelle strane tele rinvenute sotto i corpi delle vittime. Sono certa però che il suo fine ultimo fosse proteggerti- mormora Halle.
-Ne ero convinta fino al giorno prima- replico con una certa amarezza. -Non sono mai stata una persona sicura di sè, lo sai bene. Il suo fare glaciale, le sue parole... mi ero messa in testa che non fosse soddisfatto del mio lavoro, o qualcosa del genere…  ero accecata dalla rabbia, dal senso di inadeguatezza, dalla frustrazione per il non capire cosa davvero pensasse di me… la mia testa e il mio cuore erano un bel casino in quel periodo, non ho altre spiegazioni da darti.


-Ma certo, quando le cose non filano come da programma, mettiamo su una bella espressione truce e atteggiamoci al nostro peggio- esclamai ridacchiando in modo lugubre. -Dio, facevate sempre così, da bambini… tu, Mello e Matt, sempre sgarbati o glaciali quando la mia presenza vi era chissà per quale motivo impossibile da sopportare- proseguii, levandomi in piedi. -E da adulti la situazione non è cambiata. Persino Matt ha avuto un atteggiamento scostante quando si è trattato di tenermi fuori dal caso Kira, e abbiamo litigato violentemente per questo: sapevo che aveva agito per amore, ma la sua freddezza mi aveva fatto soffrire non poco. Tu, poi… credo non ci sia nemmeno bisogno di parlarne- dissi, mettendo tutto il disprezzo possibile in quel monosillabo: se ciò lo aveva scosso, Near non lo dette a vedere in alcun modo.
-La cosa divertente è che alla fin fine è stato colui sul quale nessuno avrebbe mai scommesso a batterci tutti in maturità - proseguii, voltandomi a guardare la costruzione colorata ai miei piedi.  
-Mello, coraggioso e  premuroso Mello, che è corso da me quando sembrava impossibile che la mia relazione con Matt potesse durare… tutto perché non voleva vedere soffrire il suo migliore amico. Mello, che è morto scegliendo non ciò che era meglio per lui, ma per il maggior numero di persone possibile, nonostante la sua reticenza ad ammetterlo. Proprio il ragazzino più pestifero, isterico e privo di tatto di tutta Winchester… pensare all’uomo che era negli ultimi mesi mi rende orgogliosa di lui, fiera di poter dire di averlo conosciuto. E guarda invece noi tre, indietro anni luce, incapaci di parlare senza ferirci l’un l’altro, nonostante l’affetto e il rispetto che ci legano.

 
Tacqui un istante, formulando un nuovo pensiero cattivo.

-…Ma sai qual è la differenza tra me, Matt e te?- aggiunsi con voce fredda, levando fieramente il volto - Io e Matt abbiamo sempre fatto i conti con la parte peggiore di noi, fino alla fine. Tu no. Intento sin da bambino a costruire attorno a te stupide barriere che ti tenessero lontano da quel mondo tanto caotico che ti circondava tuo malgrado, incapace di lasciarti amare senza prima tentare di farti odiare in qualche modo. Mello è quasi uscito di testa tentando di capire come prenderti, io ci sto andando temo molto più vicina di lui. Perchè un momento prima mi sembra di poterti veramente comprendere, magari anche amare, esageriamo! Un momento dopo mi ritrovo ferita e furibonda, a chiedermi come abbia potuto anche solo pensarlo. E sono stanca di vivere da schizofrenica.

Tirai un calcio rabbioso alla piccola Wammy’s House di perline, trasformandola in un vortice di colori in caduta libera.

Near aveva a malapena reagito al crollo della sua creatura, esattamente come succedeva quando anni prima un piccolo bimbo biondo faceva regolarmente a pezzi i suoi giocattoli con un ghigno dispettoso sul volto.
-La mia scarsa abilità nel rapportarmi con le altre persone non ha nulla a che vedere con la nostra attuale discussione- rispose, prendendo a torturare come suo solito una ciocca di capelli. Osservai distrattamente come con la crescita i tratti somatici di Near fossero divenuti più affilati, dalla forma del volto non più infantile al taglio d’occhi, reso anche più stretto dalla presenza di occhiaie piuttosto marcate; persino la chioma ricciuta aveva perso un po’ della sua ondulazione, forse appesantita dalla lunghezza delle ciocche che ora celavano in parte lo sguardo del loro possessore. Non mi ero resa conto di quanto fosse mutato d’aspetto dall’ultima volta in cui ci eravamo incontrati… quell’informazione mi colpì più di quanto sarebbe stato legittimo, probabilmente.
Near mi sembrò per un istante un perfetto sconosciuto.
-Può darsi- alzai le spalle -Giochiamo al tuo gioco, per me non c'è alcun problema: facciamo finta di niente, nascondiamo la nostra sensibilità sotto un bello strato di ego e lasciamo che quella parvenza di rapporto umano che avevamo decada come un isotopo radioattivo- dissi in tono duro, facendomi poi professionale. - Domani alle otto in punto, numero cinque di Lenox Avenue. Prenderò parte alle indagini, ispezionerò l'abitazione della vittima ed esaminerò ogni oggetto che riterrò rilevante al fine di chiudere questo dannato caso. Non abbiamo altro da dirci, direi.
Mi avvicinai alla porta, aprendola con decisione:-La prossima volta che non mi riterrai all’altezza di un compito… “per non dire d’intralcio”, citandoti... semplicemente, non assegnarlo a me- mormorai, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi mentre lo superavo per varcare la soglia e dirigermi verso la mia stanza, con una gran voglia di infilarmi sotto le coperte e non riemergerne mai più.
 
 
 
-Linda…
-Questa conversazione è avvenuta il 13 luglio del 2017- concludo, levandomi in piedi e raggiungendo il lavabo per riempire il bicchiere d’acqua corrente. Ho la gola completamente secca.
Mentre bevo, osservo il volto di Halle, dapprima concentrato sulle mie ultime parole, poi sconvolto:- 13 luglio? Ma… il giorno dopo è stato…
-Capisci perché non voglio vederlo? - le domando con veemenza – Queste sono state le nostre ultime parole, ti rendi conto? Cosa dovrei dirgli? Cosa potrei dirgli, Halle?
La vedo chinare il capo, ancora scossa:- Quel giorno fui responsabile dell’accaduto almeno quanto te, se non di più: ero contravvenuta all’intero contratto di lavoro, per non parlare della perdita della fiducia guadagnata con anni di servizio… nonostante tutto, mi sorprendo ancora oggi della sua scelta di non licenziarmi. Trovare il coraggio di comparirgli nuovamente davanti agli occhi è stato… difficile e doloroso, non lo nego. Ma ho scelto di agire pensando prima alla sua volontà che al mio stato d’animo… e ho fatto la scelta giusta, scelta che spero farai anche tu, visto quanto tra voi è rimasto non detto.
-Direi che ho parlato fin troppo, l’ultima volta - rido cupamente.
-Hai parlato in preda alla rabbia- risponde con gentilezza – E molte di quelle cose erano probabilmente vere, sebbene espresse nel modo sbagliato. Dovreste confrontarvi di nuovo.
Ammutolisco, realizzando per la prima volta che effettivamente non mi sono mai pentita di ciò che gli ho detto, fatta eccezione per le accuse infondate sulla sua scarsa fiducia nelle mie doti investigative. No, a ben pensarci ciò di cui mi sono pentita è come l’ho detto.
E il dannato quando.
Halle sembra sul punto di parlare nuovamente, ma viene interrotta dallo squillare del suo cellulare: posso immaginare chi ci sia dall’altro capo, Rester o Gevanni, mentre seguo con gli occhi i movimenti dei muscoli del suo volto ora ancora più serio. La telefonata dura un paio di minuti, durante i quali fisso alternativamente lei e il vuoto; una volta terminata la conversazione, i suoi occhi azzurri cercano i miei:- Devo tornare al quartier generale per un’indagine in corso. Se Near desidera vederti nonostante tutto quello che è successo e il tuo ostinato silenzio, esaudisci il suo desiderio- afferma, alzandosi dalla sedia in cerca del cappotto e della borsa. -Non potrai rimediare al passato, forse…
-Forse?- mormoro, porgendole entrambi gli oggetti e avvertendo distintamente una pianta carnivora fiorire nel mio stomaco.
-Linda, basta tormentarti- risponde lei decisa, quasi spazientita. -Non hai sorriso una sola volta da quando sono qui. Una volta sorridevi sempre. E non ci sono tele e colori sparsi per casa, come l’ultima volta che sono venuta. Da quando non dipingi più?
-Halle…
-Quando gli ho detto che sarei venuta a cercarti e che ti avrei convinta a seguirmi, lui ha sorriso- aggiunge lei, privandomi di ogni voglia di replicare.
Tacqui, la pianta carnivora ormai intenta a rodermi cuore e polmoni.
-Tornerò a prenderti fra cinque giorni - dice, una malcelata aria di trionfo negli occhi: sa di avermi in pugno.
E non sbaglia.
Alzo gli occhi verso il calendario appeso accanto alla credenza: fra cinque giorni sarà il 13 luglio.
-Grazie.
 




Ora basta fare i misteriosi.
Il prossimo capitolo svelerà molti dettagli di questo sfortunato caso ancora oscuro a voi poveri e pazientissimi lettori.
Per scusarmi dell’attesa, vi offro un assaggio del prossimo capitolo… e la promessa che questo arriverà in un tempo ben più breve, parola di autrice!

 

Levo gli occhi dalla strada per un istante, il tempo necessario per controllare la mia compagna di viaggio addormentata sul sedile del passeggero: il suo viso è rivolto verso il finestrino, ma non ho bisogno di vedere la sua espressione per capire che il suo è un sonno tutt’altro che tranquillo.
Colgo un borbottio che somiglia a una protesta, in una lingua molto diversa dall’inglese: tempo fa Leah mi raccontò di aver vissuto per un po’ in India con la madre, in attesa che il padre tornasse dai suoi giri per il mondo e si stabilisse definitivamente con loro. Non ho mai saputo che fine avesse fatto l’uomo, un inglese, né come era morta la giovane indiana; fatto sta che all’età di otto anni Leah aveva lasciato l’India ed era tornata in Inghilterra, sua terra natia, seguendo un uomo che l’aveva raccolta dalla strada durante un pomeriggio di pioggia torrenziale, chiedendole dove fossero i suoi genitori e rispondendo con un sorriso comprensivo al suo silenzio desolato. “Lasciare l’India non fu così traumatico” mi aveva detto lei con un sorriso. “Mi mancavano il sole, la natura lussureggiante e il canto del Gange, ma l’Inghilterra ha saputo offrirmi ciò che lì non avrei più potuto avere: una casa, un’istruzione e delle persone che mi hanno voluto bene”.



Curiosi?
Un po’ di pazienza e vi sarà tutto più chiaro… forse.

Un abbraccio da una tremante esaminanda che si gioca l’ingresso in università in questi giorni!

Irene

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Capitolo 3
*** Il passato è passato... ***


Levo gli occhi dalla strada per un istante, il tempo necessario per controllare la mia compagna di viaggio addormentata sul sedile del passeggero: ha il viso rivolto verso il finestrino, ma non ho bisogno di vedere la sua espressione per capire che il suo è un sonno tutt’altro che tranquillo. 


Colgo un borbottio che somiglia a una protesta, in una lingua molto diversa dall’inglese, forse un dialetto indiano.


Leah ha alle spalle un passato a dir poco pittoresco: nata senza aver potuto nemmeno vedere sua madre, morta poche ore dopo il parto, ha trascorso l'infanzia con il padre. “Una cameriera scozzese e un pittore inglese, una coppia piuttosto bislacca, non trovi?” ha detto tempo fa, parlandomene. “Non so come si fossero conosciuti, ma penso sia stato un incontro interessante”. L’uomo si è occupato della figlia, senza però smettere di viaggiare in cerca d’ispirazione per le sue opere: Leah non ricorda tutte le mete toccate, ma ricorda bene la terza fiamma del padre, una giovane e ricca indiana, che mi ha descritto come una donna gentile, ma resa malinconica dall'assenza di lui.

"Quell’uomo era capace di viaggiare per mesi, senza farsi sentire né vedere, lasciandomi con qualche donna cui aveva giurato amore eterno, per poi tornarsene con una ancora più bella e agiata... era fatto così. Non facevo in tempo ad affezionarmi a una di loro che venivo trascinata in qualche altro paese dal nome impronunciabile.  L’India fu la mia casa per ben tre anni, un record... mio padre doveva aver trovato un grande amore o l’ispirazione suprema”.


La coppia è morta quando lei ha compiuto sette anni, non ho mai saputo per quali cause: i loro beni sono finiti nelle mani della famiglia di lei che ha rifiutato di accogliere Leah, abbandonandola al suo destino.


“Un anno per la strada. Ho vissuto così, senza vivere la mia condizione in modo tragico. Ero solo uno dei tanti bambini in quelle condizioni, mi feci forza e imparai presto a riconoscere il pericolo e ad evitarlo, così come imparai a procurarmi il necessario per sopravvivere”.  


All’età di otto anni Leah ha lasciato l’India ed è tornata in Inghilterra seguendo un anziano signore vestito alla maniera inglese, con tanto di bombetta e ombrello. 


"Quell’uomo mi salvò la vita” mi ha detto lei con un sorriso. “Era un pomeriggio di luglio, pioveva a dirotto e volevo a tutti i costi salvare un disegno tracciato in terra che mi era venuto particolarmente bene. Ero l’unica imbecille ancora per strada. Quel signore distinto che passeggiava tranquillamente nel mezzo di quel diluvio universale mi ha notata perché ero l’unica cosa da notare e paradossalmente questa è stata la mia fortuna... agire da bastiancontrario. Credo anche che il mio disegno mezzo sciolto nel fango gli fosse piaciuto. Che altro potrei dirti... lasciare l’India non fu così traumatico. Mi mancavano il sole, la natura lussureggiante e il canto del Gange, ma l’Inghilterra ha saputo offrirmi ciò che lì non avrei più potuto avere: una casa, un’istruzione e delle persone che mi hanno voluto bene. ”.

Non abbiamo più parlato del suo passato da quella volta, molti anni fa.



Svolto a destra, immergendomi in un’ennesima via trafficata con il sollievo di chi sa di avere davanti ancora pochi minuti di guida in quel caos infernale che è Los Angeles. Faccio mente locale per richiamare le informazioni fondamentali del caso, così da essere più preparata possibile al mio arrivo. So già che avrò a malapena il tempo per una doccia veloce, meglio ottimizzare i tempi: omicidi seriali, periferia, tre vittime, morte per soffocamento, corpi mutilati, vengono scambiate tra le vittime secondo combinazioni sempre diverse. Sospiro, ritrovandomi a desiderare per una volta un banale furto di gioielli o un omicidio che non sia seguito da una serie di altri delitti più o meno macabri. 


Oltretutto, la meticolosità ossessiva del modus operandi del killer mi ricorda molto...


-Hn…- sospira Leah, assumendo una posizione meno rilassata e sbadigliando vistosamente.

-Due minuti e saremo a casa mia- la informo, rallentando per fermare il veicolo davanti all’ennesimo semaforo rosso.


Spero solo di sbagliarmi.

 

 

-C’è tempo per una doccia e uno spuntino?- domanda, guardando con aria distratta la pioggia leggera che ha iniziato a rigare il finestrino.

-Sì per entrambi, ma solo se sei disposta a farti la doccia con me in cinque minuti e a mangiare un tramezzino al volo.

-Andata- risponde, sospirando e tendendo le braccia davanti a sé per distendere i muscoli intorpiditi.


Verde.


-Hai un’aria meno stanca...- osservo, facendo manovra per infilarmi in un parcheggio miracolosamente libero -...Leah- aggiungo, non resistendo alla tentazione di pronunciare quel nome che da anni risuona solo nella mia testa. Tiro il freno a mano e spengo il motore, voltandomi poi verso di lei: sembra essersi incantata a guardarmi con aria meravigliata.

-Non… non mi avevi mai chiamata per nome.

-Lo so.

-Non pensavo nemmeno te ne ricordassi.

-Potrei dire lo stesso… quella sera eri sconvolta, devi essertelo lasciato sfuggire senza volere.

-No.

Incrocio i suoi occhi castani, notando che per la prima volta da quando ci siamo riviste sono vagamente sorridenti: -Se ti ho detto il mio vero nome, è perché volevo che tu lo sapessi- risponde, aprendo la portiera e lasciando l’abitacolo, attendendo che faccia lo stesso per avvicinarsi e proseguire. -Dal mio ingresso in orfanotrofio in avanti ho voluto bene a pochissime persone, nessuna delle quali ha mai saputo il mio nome. Quella sera in particolare … Matt … insomma, non gliel’ho mai detto, e non avrei più potuto farlo. Tu eri lì, mi sei stata vicina per giorni, era il modo migliore per dimostrarti quanto te ne fossi grata.

Mi sento piuttosto stupida per non aver capito le sue intenzioni di quella sera, ma Leah non era in sé, l’avevo trovata in lacrime, accanto ad un portatile distrutto e a un ritratto lasciato a metà; non aveva parlato per ore, limitandosi a piangere in silenzio una lacrima alla volta fino a riguadagnare abbastanza controllo di sé per mormorare con voce spenta “Quell’idiota”.

-C’è sempre una certa persona che ha pazientemente atteso che ti rifacessi viva- le dico, stringendola gentilmente a me per qualche secondo. -E che mi ha permesso di trascinarti nuovamente fin qui per rivederla. Pensi possa essere un buon partito?

-Certo, signora Bennet. Combinatemi un incontro durante il prossimo ballo, così che io possa elegantemente gettarmi tra le sue braccia- replica in tono infastidito, ma con il sorriso sulle labbra.

Mi limito a ridere della citazione del nostro libro preferito degli anni del liceo: -Muoviamoci, o sarai costretta a rinunciare allo spuntino.

 


 

-Buon pomeriggio, Lidner.

-Anche a te, Gevanni- rispondo con un lieve sorriso, sorpassandolo. Leah rivolge un saluto al mio collega, intento a programmare il sistema di sicurezza affinchè la mia amica possa aggirarsi nella struttura senza scatenare allarmi e trappole; noto che ad ogni passo mosso nel lungo corridoio illuminato la sua espressione sembra rabbuiarsi.

-Tutto bene?- le sussurro, guidandola verso la sala monitor principale.

-L’ultima volta che ci siamo viste avevo una pianta carnivora nello stomaco- bisbiglia lei con aria cupa. -Deve essersi riprodotta.

Ridacchio, sfiorandole gentilmente un braccio:- Andrà bene- la rassicuro, fermandomi davanti all'ingresso. -Non posso venire con te, purtroppo, c’è un indagine in corso cui devo immediatamente prendere parte.

-Non devi parlare con… Near? Non è lui a capo delle indagini?- domanda, esitando come ogni volta che è costretta a pronunciare il suo nome.

-Sì, come sempre è lui a capo delle indagini, e no, quello è compito tuo- ribatto con serietà, guadagnandomi un suo sguardo esasperato. -Per oggi lavorerò con Gevanni e Rester. Coraggio, Linda.

Dopo aver sorriso del cambio di nome, Leah fa un passo in avanti, attendendo l'apertura automatica della porta.

Poi entra.

 

 










 

-Coraggio, Linda.


Deglutisco nervosamente, lasciandomi però sfuggire un sorriso.

Linda, eh.

Nella mente degli eredi di L è ben impressa sin da subito una regola che persino gli scapestratissimi Mello e Matt non hanno infranto sino a quando non stati certi di essere giunti al capolinea: non rivelare mai a chiunque per alcun motivo informazioni sul proprio passato, specialmente il proprio nome.

Ma Halle non è “chiunque”, è l’unica persona ancora in vita che si sia presa cura di me in questi anni; inoltre comincio ad essere stanca di tutta questa segretezza... dopotutto, Kira è morto, e per quanto riguarda il mio ruolo come ipotetico successore di L è estremamente improbabile che mi tocchi una tale incombenza: prima di me ci sono altri diciotto membri della Wammy’s.

Che io mi chiami Linda, Leah o Jessica Rabbit comincia a non fare più particolare differenza.

 

La porta si richiude alle mie spalle, mentre i miei occhi vagano su quel poco che c'è da vedere: la solita fredda luce artificiale, i soliti monitor, il solito silenzio, riempito solo dall’eco dei miei passi.Mi muovo in linea retta, fino a posizionarmi al centro esatto della stanza:-Near?- chiamo, confusa dall’assenza di risposta. Non riesco a vedere la sua sagoma bianca in nessuno degli angoli della stanza dove era solito stare.

Sono passati anni, Linda… potrebbe aver cambiato abitudini, mi dico, dimenticando poi la faccenda per un istante.


Chissà quando ho cominciato a pensare a me stessa come Linda… forse è stato per evitare che mi sfuggisse involontariamente ad alta voce il mio vero nome. Sembra che Halle invece non lo faccia.


Percorro la stanza con lo sguardo un’ultima volta, notando finalmente qualcosa di diverso: una piccola porta, sempre in acciaio, quasi mimetizzata con il resto della parete non coperta da schermi. Mi avvicino, sentendomi peggio ad ogni passo.


Un ascensore.


Premo il pulsante di chiamata, attendendo impazientemente che le porte si aprano; una volta entrata, scopro che da qui è possibile muoversi solo di un piano verso l’alto.

La mia corsa dura pochi secondi, le porte si aprono su una stanza meno illuminata della precedente.


No, un corridoio, non una stanza.


Mi muovo cautamente, disorientata: non sono mai finita in quest’ala della struttura, non ho idea di dove mi trovi. La locazione e le dimensioni dell’ascensore lasciano pensare che sia una zona in cui Near è solito recarsi, ma non riesco a dedurre nient’altro. All’inizio del corridoio ho visto delle scale, quindi non è di recente costruzione...


Devo smettere di pensare a cose che mi fanno sentire uno straccio.


Sospiro, tornando a concentrarmi sul percorso e ritrovandomi di fronte ad un ingresso ampio e senza porte d’alcun genere, un semplice foro rettangolare nella parete, circa due metri d’altezza per tre di larghezza.

Varco silenziosamente la soglia, apprezzando l’illuminazione tenue presente nella stanza, piacevole nonostante la sua natura artificiale.

Davanti ai miei occhi fa mostra di sé un’ampia finestra spalancata attraverso la quale fa il suo ingresso un vento freddo e umido, portando nella stanza gocce di pioggia serale.


Davanti alla finestra, di schiena, siede il mio peggiore incubo degli ultimi tre anni, colui che ho desiderato non incontrare mai più, rimuovere dalla memoria.

Tutto questo perché ciò che egli è oggi è essenzialmente colpa mia.


Avrà freddo, immagino.

Si è sistemato in piena corrente, il capo reclinato all’indietro, incurante delle gocce che sono certa lo colpiscano ritmicamente ogni secondo che passa.


Sa che sono qui.


 

-य़ह ठंड है ... तुम बीमार हो सकता है.


 

Osservo il rapido movimento del suo capo, ora rivolto verso di me.

-Ho detto: fa freddo, potresti ammalarti- traduco, osservando con aria seria i suoi movimenti.


Il perchè il mio cervello abbia scelto l'hindi e non l'inglese è qualcosa su cui ora come ora non ho voglia di interrogarmi.


Ritrovarmelo davanti, il suo solito sguardo puntato con gravità sul mio volto, le labbra schiuse, pronte a lasciar fuggire qualche parola e al tempo stesso incapaci di portare a termine il loro compito, mi inquieta.

Comincio inevitabilmente a ripensare a ciò che per tre anni ho tentato di dimenticare.


Non è un buon segno... non è mai un buon segno quando mi vengono i brividi, specialmente in luglio. Deve esserci qualcosa che non ho notato, in questa stanza... qualcosa di

pericoloso.


-Non dici nulla?- provo, tentando di distrarmi.

Near piega il capo verso destra, senza smettere di fissarmi:-Bentornata.


Ho paura che lui non capisca. Che non capisca che in questo momento esatto stiamo rischiando di giocarci la nostra stessa vita. Che non veda quello che sto cercando disperatamente di suggerirgli...


Oh, no.

Così non va bene, posso resistere all'ondata di ricordi indesiderati, ma non alla combinazione ricordi-gentile accoglienza da parte di chi dovrebbe bersagliarti di insulti: mi ritrovo a passare dallo sbalordimento totale alle lacrime nel giro di pochi secondi 

Mi sento un’imbecille, ormai basta qualunque cosa per ridurmi in questo stato... una volta non avrei pianto nemmeno sotto tortura fisica o psicologica, ma ormai ciò che avevo appreso come possibile erede di L stava lentamente svanendo nei meandri della mia memoria... un processo iniziato durante la mia relazione con Matt e accelerato notevolmente dopo la sua morte.

E il mio rapporto discontinuo e turbolento con Near non ha certo giovato.


-Dobbiamo sbrigarci, non è il momento di perdere la testa. Tu occupati di lei, noi ci muoveremo più in fretta possibile.

-D’accordo... Linda, per favore, cerca di calmarti...

 

Continuo a perdermi in un mare di immagini che mi fanno provare ondate di ribrezzo verso me stessa.

-Ti fa davvero piacere che io sia qui?- domando, mutando il carico di emozioni inappropriate in un commento costruttivo: non posso mostrarmi debole davanti a lui, non dopo quello che ha passato per colpa mia.

-Se così non fosse, non avrei chiesto ad Halle di tentare di convincerti- risponde lui, passandosi le dita tra i capelli umidi di pioggia e guardandomi come se avessi appena detto una cosa molto stupida.

 

-No che non mi calmo! Non avresti dovuto! Io ero sacrificabile! IO! Lui no! Doveva capirlo... dovevi capirlo!

-Linda...

-Ho fallito... ho fallito nell’unico compito che mi era stato assegnato.

-Cosa... Lui ti ha chiesto...?

-Ho fallito... devo... andarmene... 

 

Non avrei dovuto andarmene a quel modo.

Proprio no.

 

Davanti a questa rivelazione tanto scontata quanto illuminante, la mia mente sembra riuscire per un secondo ad accantonare ogni pensiero cupo e autoreferenziale.


Alla fine, l'unica cosa realmente importante da considerare è questa: Near non mi ha mai abbandonata.

Nonostante tutte le difficoltà, le distanze spazio- temporali, le incomprensioni e il destino che gli è toccato, ha sempre atteso silenziosamente il mio rinsavire.

Non posso continuare a crogiolarmi nel mio dolore come una moderna Deianira, gli devo tutta la fiducia che in questi anni non ho riposto in lui.

Gli dimostrerò quanto la mia condotta passata abbia poco a che fare con lui e tutto con la mia incapacità di affrontare un futuro più instabile e duro di quanto avessi mai ipotizzato.

 

-Mi dispiace- mormoro, tormentando con fare piuttosto infantile il lembo della camicia prestatami da Halle .

Near sorride lievemente, notando il mio goffo tentativo di porre rimedio alla mia condotta passata come farebbe un bambino sorpreso con le mani nella marmellata da una madre molo severa.

-Lo so- replica semplicemente, tornando a voltarsi verso la finestra spalancata.

 

Non so cosa rispondere.

Forse perché dopotutto non c’è altro che io possa aggiungere.

Decido quindi di tacere, accoccolandomi ai suoi piedi e tenendogli compagnia finché riterrà la cosa di suo gradimento.

 

E rifiutando categoricamente di posare gli occhi sulla sedia a rotelle sulla quale l’ho costretto a passare il resto della sua esistenza.

 

 




 

 

Aggiornamento breve (?) e faticoso.


Devo decisamente smettere di promettere aggiornamenti rapidi, lo so.

Mi piacerebbe dire che non è stata colpa mia, ma la verità è che, per quanto quest’ultimo periodo sia stato uno dei più difficili della mia vita ( so che a vent’anni suona ridicolo, ma è stato davvero orribile), avrei sicuramente potuto aggiornare in tempo.

La prova di tutto ciò sta nel fatto che mi ritrovo qui, con 39 di febbre e un raffreddore micidiale, a lasciarvi un nuovo capitolo.

 

Per la cronaca, la mia scelta è ricaduta sullo studio della psicologia.

Ho intenzione di impegnarmi a fondo, per questo CREDO che le mie visite sul sito si faranno ancora più rade, pur continuando a lavorare alla storia.

Perciò, autrici le cui storie seguo con entusiasmo da tempo, non linciatemi se non troverete commenti alle vostre storie, saprò farmi perdonare.

 

Sappiate che i vostri commenti sono sempre una gioia, soprattutto dopo mesi di incertezze e instabilità emotive.

Sappiate anche che il ritmo lento corrisponde ad un enorme lavoro di scavo psicologico dei miei due amati personaggi; ho passato ore ed ore a studiare il loro linguaggio verbale e non, spero apprezzerete il risultato.

Linda si è comportata male finora, cosa diavolo ha combinato?

Avrebbe sicuramente potuto agire in modo migliore, ma ha tutto a che fare con la mentalità acquisita più o meno inconsciamente alla Wammy's House. Chi ha già letto "Linda's Portraits" (quindi tutti voi, vero? :) ) dovrebbe già conoscere qualcosina del suo carattere, qualcosa che Mello ci aveva raccontato... questo dettaglio potrebbe suggerirvi qualcosa sul "fallimento" di Linda, o meglio, su quanto la sua lunga fuga sia stata sensata o meno.

Si capirà.

Near lo ha capito?

Forse ha intuito qualcosa, sicuramente ha disapprovato i tre anni di silenzio, as you saw. 

Forse non ne ha ancora realmente capito le motivazioni.

Chi è Deianira?

Vediamo, è la moglie di Eracle, la tragedia cui faccio riferimento sono Le Trachinie di Sofocle.

Eracle se ne torna dalla conquista della città di Ecalia con la bella e giovane Iole, figlia del re sconfitto. Deianira tenta di farlo reinnamorare di lei, ma la sua ingenuità condurrà alla morte dell'uomo, in seguito alla quale, disperata, si suicida... la storia è questa, in sintesi estrema.

 


La storia passata di Linda è qualcosa che ho sempre voluto scrivere.

 

 

Il perché della paresi di Near verrà svelato, non temete.

 

Vi abbraccio, perdonate il commento-romanzo :)

Irene

 

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