Schiessenhausen

di TooLateForU
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Highway to hell ***
Capitolo 2: *** Brutta copia di Jay-Z. ***
Capitolo 3: *** Rahmapfelkuchen ***
Capitolo 4: *** Burro. ***
Capitolo 5: *** Strane usanze. ***
Capitolo 6: *** Pre-Concerto ***
Capitolo 7: *** scarface. ***
Capitolo 8: *** Pick up. ***
Capitolo 9: *** k-way all the way. ***



Capitolo 1
*** Highway to hell ***


Zalve. E' la prima volta che mi cimento in una storia sui Tokio Hotel (scoperti da poco) ma spero che possa piacere a qualcuno *balle di fieno*
comunque, sappiate che il mio stile di scrittura è moolto influenzato da ciò che leggo, ma le cose narrate qua sotto sono solo frutto della mia testa perversa e malata #yeep
adios!




“Salve, è il pilota che vi parla. Stiamo per decollare dall’aeroporto di Heathrow con destinazione Berlino. Le condizioni atmosferiche sono buone, con una temperatura di quattordici gradi e poche nuvole. Il volo durerà all’incirca due ore e un quarto, vi preghiamo di allacciare le cinture. Buon viaggio.”
La voce metallica del pilota si estinse, finalmente, mentre una hostess tutta miele e sorrisi prendeva a fare dei gesti da psicolabile di fronte a tutto l’aereo.
Oh certo, perché mettere la testa sotto al sedile sarebbe la PRIMA cosa che farei se l’aereo andasse a fuoco, ovvio.  
Ma magari l’aereo andasse a fuoco. Certo, possibilmente senza che mi prendano fuoco i capelli, come quella volta che papà aveva provato a cucinare le omelette.
Gott in Himmel, che cavolo ci faccio su questo aereo?!
“Guarda, dopo esserci sistemate nella casa potremmo andare a visitare la Porta di Brandeburgo! E’ alta ventisei metri, e larga..”
“Carol, Carol ecco il piano. Tu trotti per la città, io no. Fine.” Tagliai corto, tornando a fissare il panorama fuori dal finestrino. Ovvero l’aeroporto, dato che non eravamo ancora partiti.
Carol sbuffò, sbattendo il depliant sulle sue gambe “Mi spieghi perché sei venuta se odi la Germania e il tedesco?”
“Perché il Capo Nazista, ovvero la prof. di tedesco, mi odia e ha voluto mandare me a fare questa cavolata dello ‘scambio culturale’ di sei mesi in StrudelLandia, e i miei non vedevano l’ora di sbarazzarsi di me e darsi alla pazza gioia. Ecco perché!” Sbottai, e mi accorsi che detta ad alta voce la mia situazione sembrava ancora più tragica.
“E dire che non sei neanche brava in tedesco..” commentò Carol.
“Sì, lo so.”
“Voglio dire, il tuo ultimo compito a detta della prof era ‘incredibilmente vergognoso’..”
“Sì Carol, me lo ricordo.”
“Per non parlare delle interrogazioni, e quella volta che hai detto..”
“Carol, CHIUDI IL BECCO!”
 
 
Quattrocento anni dopo sentii qualcosa premere insistentemente sulla mia spalla, intromettendosi nel mio fantastico sogno.
Stavo sognando di essere da Mark&Spencer a fare spese folli: rossetti, ombretti, piegaciglia..
“Julie, svegliati.” Mi intimò una voce in lontananza.
“Ridammi il mascara ciglia feline..” bofonchiai.
“Julie, siamo rimaste solo noi sull’aereo!”
“Julie!”
Continuai a fingere di non sentirla, ma non riuscii a fingere di non sentire il suo calcio negli stinchi, e mugolai di dolore.
“Ahia, Carol!” mi lamentai, aprendo gli occhi e lanciandole uno sguardo si fuoco “Stavo sognando.”
“E le hostess stanno per chiamare la sicurezza, se non scendiamo immediatamente. Muoviti!” mi sgridò, prima di afferrare il suo bagaglio a mano di Hello Kitty (sì, hello kitty) ed allontanarsi a passo spedito.
Io sbuffai, slacciandomi distrattamente la cintura di sicurezza. Poi mi accorsi che non me l’ero proprio allacciata, e mi decisi ad alzarmi e a seguire la schiena di Carol verso l’uscita.
“Io odio la Germania.” Borbottai, a nessuno di preciso.
 
“Io odfio la Germafia!” esclamai a voce più alta, mentre addentavo un hot dog e mi sedevo sulla mia valigia.
Ma Carol era troppo euforica per darmi retta. Non faceva altro che saltellarmi intorno e puntare entusiasta qualsiasi cosa. ‘Guarda, un cartellone in tedesco!’ ‘Guarda, dei veri strudel tradizionali!’ ‘Guarda, un vero sputo di cuculo tedesco per terra!!’
“Perché nessuno è ancora venuto a prenderci? Forse è un segno.”
“Segno di cosa?”
“Segno che dobbiamo tornare in patria, tra i nostri connazionali, per proteggere la regina!” gridai, alzando un pugno all’aria patriotticamente.
“Eccola, è arrivata!” esclamò Carol, indicando una signora bionda ed alta come un abete a pochi metri da noi.
“E come fai a sapere che è lei?” domandai, scettica.
“Perché porta un foglio in mano con scritto ‘Armstrong e Cartwright, scambio culturale’.”
Gott in Himmel, mi ha fregata. Pensavo di essere ancora in tempo per scappare su un altro volo, e invece la tipa doveva aver notato i segnali di Carol (muovere entrambe le braccia in aria come se qualcosa stesse per andare a fuoco) e si avvicinava.
“Da ora per i prossimi sei mesi fingerò di aver perso la voce. Dille che le mie corde vocali sono, ehm, esplose, e svolazzate per tutto l’aereo come falene..” mormorai a Carol.
“Zalve zignorine, zono la vostttttra akkompagnatttttrice. Zeguitemi, preko.” Si presentò la biondona, con un sorriso per niente rassicurante. Mi sembrava che alcuni denti fossero finti, o forse ne aveva un’altra fila come gli squali..?
Poi prese praticamente a correre verso l’uscita dell’aeroporto, mentre noi arrancavamo con le nostre sessanta valigie dietro di lei. Ma non si preoccupi signora, stiamo bene.
La biondona, che scoprì chiamarsi Gretel Ajnxjksbiwoueu o qualcosa del genere, ci condusse fino ad un mini van nero e lucido, e ci intimò a salire.  
“vielen Dank, mein Freund und ich wir sind sehr glücklich, hier zu sein*” le disse Carol, chiaramente pavoneggiandosi perchè sapeva due parole di tedesco.
Bhè, anche io se mi fossi impegnata avrei saputo dire qualcosa! Come, ehm, laderhosen! Seitz! Mutter, Vater!
E..

Ora non mi vengono in mente, ma ce ne sono di cose che so dire!
Comunque, la biondona sembrava tutta entusiasta per quello che aveva detto Carol, e cominciò a congratularsi in tedesco. Io mi limitai a sorridere ed annuire seria ogni tanto, perchè dovevo mantenere il mio profilo da senza-voce.
“Ha detto che sembriamo due brave ragazze e che adesso ci porta dalla famiglia che ci ospiterà, che è tra le più benestanti di Berlino.” Mi tradusse Carol, con quell’aria da saputella che mi faceva venir voglia di darle un pugno.
Mimai che l’avevo capito, e lei alzò gli occhi al cielo, prima di entrare nel mini van.
Oh, com’era permalosa!
Salii anch’io, e non avevo neanche finito di chiudere lo sportello che il tedesco pazzoide alla guida ingranò l’ottava e partì a duecentoquaranta all’ora.
Carol e tutta la sua ingombrante mole mi caddero addosso, e Gretel si girò dal sedile anteriore “Infilate vostre cinttture, rakazze.” Ci intimò.
Sfrecciavamo per le cupe strade berlinesi come se fossimo sulla frecciarossa, e davvero mi sfuggiva il perché. Però ci fermavamo ad ogni santissimo stop, e le delicate frenate del pazzoide mi fecero sbattere sei volte la fronte sul sedile davanti.
“Ahia cazzo!” gridai, massaggiandomi la testa. La biondona si girò di nuovo, entusiasta “Ti è tornatttttta la foce!”
Immaginai che ‘foce’ stesse per ‘voce’, e mi morsi la lingua. Dannazione, dannazione, dannazione!
“Ehm, sì, il famoso miracolo a Sant’Anna..” bofonchiai, abbozzando un sorriso di circostanza. Lei non sembrò capire, e tornò a guardare la strada.
Ma tanto non capivo nemmeno io quello che dicevo.
Dio mio, il pazzoide si fermava anche quando il semaforo era giallo!! Non aveva capito che giallo non voleva dire altro che ‘accelera e passa finchè sei in tempo’?
Dopo vari conati di vomito finalmente l’auto fece la Brusca Frenata Finale davanti ad una villetta immersa in un bosco sperduto nel nulla. Un minuto fa eravamo a Berlino, ed ora siamo nella foresta di Hilander.
“Ma non dovevamo andare a Berlino?” mormorai a Carol.
“Noi siamo a Berlino. Nel quartiere residenziale.” Precisò, senza togliersi quel sorriso entusiasta dalla faccia.
“E’ stato un piaccccere rakazze, ciao ciao!” ci salutò la biondona, prima di aprire la nostra portiera e tirarci fuori quasi a forza. Il pazzoide lanciò in modo davvero maleducato le nostre valigie fuori dal bagagliaio, poi rientrarono entrambi e schizzarono via lasciandoci come due barbone al ciglio della strada.
Intorno a noi, il silenzio più assoluto. Neanche le allodolen cantavano, ammesso e concesso che le allodole cantassero.
Almeno il cielo somigliava a quello di Bristol. Cupo, molto cupo.
“Forse dovremmo bussare.” Ipotizzò Carol, rigirandosi una ciocca di capelli tra le dita.
“Oppure potremmo fare l’autostop e tornarcene nel mondo civile. Lo vedi il camino? Sta fumando. Potrebbe essere una persona quella..”
Mi diede uno schiaffo sul braccio, cosa che avrebbe davvero potuto ferirmi nel profondo se solo durante tutti i nostri anni di conoscenza non gliele avessi suonate di santa ragione.
“Io suono il campanello.” Annunciò, prima di avvicinarsi alla porta con fare deciso e suonare. Io restai a controllare che lo smalto blu non si fosse scrostato da nessun dito..
La porta si spalancò, e un tizio molto biondo, molto cinquantenne, e molto rotondo si presentò “Ah, siete le ragazze dello scambio! Benvenute!” esclamò gioviale, ed incredibilmente parlava bene l’inglese.
Dio sia lodato!
“Entrate, mia moglie ha appena preparato i crauti!”
Oh, grandioso.


*ho usato google traduttore, non fidatevi AHAH

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Capitolo 2
*** Brutta copia di Jay-Z. ***


avete recensito in SEI il primo capitolo? oddio AHAHAHAHAH non ci credo! siete mucho mucho bonite (tre anni di spagnolo sono serviti, eh?)
gomungue, spero che ‘sta cagata di capitolo venga apprezzata da qualche povera anima pia che come me sta crepando di caldo :D  
besos.

 
 
 
 
Sola. Sola come un salmone in..uhm, bhè sola come un salmone che non è stato invitato alla festa nazionale dei salmoni.
Me ne stavo seduta davanti a questa finestra che affacciava sulla savana nera (non mi sorprenderei se saltasse fuori un ghepardo) a fissare la grandine che scendeva da ore.
Plic. Plic. Plic. Anche se devo dire che assomigliavano più a barconi di ghiaccio che a piccoli sassolini, come se fossi sul set di The day after Tomorrow.
Giù in salone Carol stava civettando con Mr e Mrs Schäfer da ore ed ore. Non facevano altro che dirsi cavolate nella lingua die pastori dalla mattina alla sera, come ‘oh, che buoni questi cetriolini!’ o ‘cucina dei waffles meravigliosi!’
Fortunatamente, Mr e Mrs Wurstel o come cavolo si chiamavano avevano capito che a) io non parlavo tedesco e b) non avevo la minima intenzione di inoltrarmi nel pericoloso mondo nazista, quindi si limitavano a parlarmi in inglese durante il pranzo o la cena.
Improvvisamente la porta si spalancò, e Carol fece il suo ingresso con indosso una tovaglia.
“Perché indossi una tovaglia?” le chiesi, legittimamente.
“Non è una tovaglia!” protestò, stirandosi con le mani la TOVAGLIA “L’ho comprata con Mrs Schäfer oggi, al mercatino. Saresti dovuta venire, sai, per socializzare..Siamo arrivate da due giorni!”
“Carol, io sono nel bel mezzo di una protesta non-violenta, pensi che Gandhi se ne andasse in giro per mercatini durante la rivolta del sale?!”
“Era la marcia del sale.” precisò “E comunque loro mi hanno chiesto se fossi mezza muta.”
“E tu cosa hai risposto?”
“Solo durante le interrogazioni di tedesco.”
Ruotai gli occhi al cielo, prima di raccogliere gli spaghetti (capelli) che mi scivolavano sulle spalle in una coda “Woow, come sei spiritosa!”
Lei non afferrò il mio sarcasmo, e sorrise compiaciuta “Comunque è pronto il pranzo, dobbiamo scendere.”
A malincuore mi alzai, attraversai la stanza tutta bianca e nera (sarei impazzita là dentro) e presi a scendere le luunghe scale in parquet, fino ad arrivare alla sala da pranzo.
Questa casa assomigliava ad una di quelle che si vedono sulle riviste patinate. Forse Mr Wurstel era, che so, un famosissimo..uhm, pilota di formula uno tedesco. I tedeschi vincono sempre le gare di formula uno, no?
“Guten abend!” ci salutò la signora, con un enorme sorriso. Carol rispose qualcosa che assomigliava ad ‘anche a lei’, solo che l’ultima parola mi risultava significasse ‘salsiccia’ e quindi forse avevo sbagliato qualcosa.
Io borbottai un “Guten abend.” prima di sedermi. Mrs Wurstel cominciò a servirci la carne (che novità!) e le patate arrosto (oooh!!) ed infine prese posto anche Mr Wurstel.
“Allora, vi sta piacendo Berlino?” iniziò, sorridendo sotto i baffoni biondi.
“Oh sì, è davvero wunderbar!” replicò entusiasta Carol, mentre io giocherellavo con le patate.
“E tu ti stai divertendo?” continuò, spostando gli occhietti azzurri su di me.
“Uhm, sì..cioè, yaa! E’ bello il..panorama dalla mia camera.” Dissi, incerta. Cosa cavolo avrei dovuto dirgli? ‘Sì, tutto splendido, soprattutto il tappetino viola e peloso in bagno!’  
“Sapete che domani inizzzzzierete la skuola, fero?” annunciò Mrs Wurstel.
Un pezzo di carne mi andò di traverso, e cominciai a tossicchiare istericamente. Carol prese a darmi delle FORTI pacche sulla schiena, non accorgendosi di starmi sfracellando la colonna vertebrale, mentre la signora mi passava dell’acqua.
“Tutto bene?”
“Sto bene, sto bene.” Assicurai. E invece no, dannazione, sto bene un cazzo! Perché siamo costrette ad andare a scuola? E cosa diamine avrei capito? Oggi avevo imparato che gabel voleva dire ‘forchetta’, ma non credo che ‘forchetta’ potrà aiutarmi con la letteratura tedesca.
Improvvisamente Mr Wurstel cominciò a parlare in tedesco con Carol, che assentiva interessata (mi pareva..). Dell’intero discorso avevo capito le seguenti cose: ‘lavoro…musica..produco..’ fine. Bhè, è un buon inizio, no?
Carol vedendomi spaesata (ma in realtà ero solo molto annoiata) mi tradusse “Ha detto che è un produttore discografico, che lavora con band molto conosciute qua ma anche nel mondo, come i Tokio Hotel.”
“Wow.” Commentai, dato che conoscevo i Tokio Hotel solo di nome. Poi mi accorsi che forse dovevo dimostrare più entusiasmo “Cioè, doppio wow! E’ fantasticassimo!” trillai.
I signori mi guardarono come se fossi una schizzata, e poi ripresero a mangiare in silenzio, finchè Mrs Wurstel non prese parola, e stavolta capii TUTTO.
Ci stava invitando ad andare al centro commerciale, quel pomeriggio. Oh certo, non vedo l’ora di comprare degli zoccoli, del formaggio e..ehm, delle bombe nucleari, o qualsiasi altra cosa producessero a crautilandia.
Carol ovviamente assentì, mentre io feci una smorfia.
“Magari, Julie, tu potresti venire con me al lavoro.” Propose Mr BB (baffoni biondi)
“Al lavoro?”
“Ya, ho visto che sembravi piuttosto interessata!”
Oh, mi aveva presa sul serio. Bhè, adesso sarebbe stato da veri maleducati rifiutare, quindi stirai un sorriso e annuii con convinzione.
E andiamo.
 
 
Devo dire, pensavo che sarebbe stato mooolto più divertente. Ero convinta che appena entrata avrei incontrato tipo, uhm, Beyonce e Britney Spears, poi mi ricordai che ero nella folle landa dei tedeschen, non a Beverly Hills.
Brun (il nome di Mr Wurstel) era sparito da un’ora buona in uno studio di registrazione, dicendo di fare come se fossi a casa mia, ma sarebbe stato molto complicato mettersi lo smalto sulle unghie dei piedi su quegli stretti divanetti rossi.
Improvvisamente il mio cellulare suonò. Probabilmente i miei genitori si erano accorti che la loro primogenita era sparita da quarantotto ore per chissà dove, e magari erano un po’ in fermento.
“Pronto?” risposi
“Ciao tesoro, come va?”
“Scusi, chi parla?” continuai, anche se sapevo benissimo che era mia madre.
“Oh, non ricominciare Julie!” sbuffò, subito stizzita. Sbuffava sempre quando parlava con me, un giorno all’altro si sarebbe trasformata nel Trenino Thomas.
“Allora, ti diverti?”
“Certo, perché non dovrei divertirmi in questa terra ai confini della realtà popolata da orangutan biondi?” replicai, sarcastica.
“Chiedile se ha già fatto impazzire i poveri ingenui che la ospitano!” sentii urlare in sottofondo da George, colui che si professava mio padre. Ma io l’avevo disconosciuto anni or sono, da quando mi aveva portato a pescare e un anguilla mi era saltata sulle ginocchia davanti a tutti gli altri bambini..
“George, non mi parlare sotto!” strillò Emma La Matta “Julie, c’è Ben che vuole salutarti, ora te lo passo.”
Ci fu un frussssh frussssh crrr in sottofondo, finchè non sentii un “Mmm.” familiare.
“Ciao Ben, come stai?”
Uno scricchiolio fu la sua prima risposta. “Benfe.” Continuò, e potevo giurare che stava mangiando le ciste davanti a dragon ball da ore.
“Ti manco?”
“Mi mancano le tue amiche a casa. Dici che Susie uscirebbe con me?”
O signore, questo è un incubo! “Ben, hai undici anni, certo che no!!” urlai.
“Io ho quindici anni!”
“E’ uguale, non molestare le mie amiche. Addio.” Replicai, prima di attaccare.
Ovviamente era troppo chiedere avere dei genitori normali ed essere figli unica.
Ma quando li ha compiuti quindici anni?!
D’un tratto sentii una porta spalancarsi dietro di me, mi girai per controllare che non fosse un’allucinazione acustica e la prima cosa che vidi fu una criniera nera alta due metri e mezzo.
Mufasa si girò verso di me, insieme ai ragazzi che erano là intorno.
E poi bum, lo vidi. Un dio greco/tedesco travestito da brutta copia di Jay-Z con la testa ricoperta da dozzine di trecce libere e selvagge come la nera foresta..ehm, nera.
Restai imbambolata come un’idiota in blue jeans (oh, ma io ero un’idiota in blue jeans!!) e lui mi fece un occhiolino, prima di dire qualcosa in crautese ai suoi amici e sparire oltre le porte girevoli.
Come ho SEMPRE detto, io ammiro molto la Germania e il fiero popolo tedesco!
 

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Capitolo 3
*** Rahmapfelkuchen ***


  questo capitolo è corto e schifoso, ma sono pur sempre io l’autrice, quindi cosa vi potevate aspettare?
anywaaaaay, come vanno le vostre vacanze? io mi sto sciogliendo. probabilmente cambierò pelle, come i serpenti. ssssssss (?)
grazie millemila a chi legge/ride/recensisce. mi fate sentire meno idiota a pubblicare queste stronzate :)
besos!
 

 


7.30 del mattino. Bagno. Aushw..ehm, casa dei crucchi.
Ero seduta su uno dei due lavandini (a che servono due lavandini?! non abbiamo quattro braccia) del bagno a strecciarmi i capelli, che stamattina assomigliavano pericolosamente a quelli di Bob Marley.
Ah, quanto dolore per essere splendida! Ma dopo aver visto Sexy Treccine non potevo correre il rischio di farmi vedere in giro conciata come una barbona. E se tutti i tedeschen fossero ugualen a lui?
Questo viaggio stava diventando quasi semi sopportabile, ma Dio, stavo lacrimando furiosamente ed ora la spazzola era piena di capelli.
Qualcuno bussò secco alla porta “Julie muoviti, c’è la mia crema idratante per le mani là dentro!” urlò Carol.
Sosteneva infatti di avere le mani secche e rovinate. Ma può esistere una cosa più triste di una crema idratante per le mani?!
“E siamo in ritardo per la scuola!”
Si, può esistere.
 
Brun e Marlene (come le mele, si!!) ci mollarono con la loro BMW nera e lucida davanti ad un edificio in mattoni rossi molto imponente e molto spaventoso. Su questo torreggiava una lastra di marmo con scritto ‘Scuola Ludwig V. Beethoven’
“La nostra scuola si chiama come il tipo sordo che diceva di non essere sordo?” chiesi, incredula.
“Oddio oddio, non vedo l’ora  di vedere come funzionano le cose, le classi, i professori, i compagni..Secondo te ci sarà un corso di teatro?” Carol mi ignorò bellamente, e prese a farneticare sciocchezze. La sua chioma fiammeggiante ballonzolava a destra e a manca, ed io per poco non volavo via a causa dello spostamento d’aria.
“Carol, ti prego, passiamo alle cose che hanno un senso. Tipo me.” suggerii “Ieri al lavoro di Brun ho visto un tipo davvero, uhm, appetitlich  e magari potrebbe essere proprio qui, in questa scuola!” esclamai su di giri.
“Com’era fatto?”
“Bene!”
“Qualche altro segno distintivo, oltre ‘essere fatto bene’?”
“Pieno di treccine, vestito da gangster fallito, una fascia stile Rambo in testa. Non troppo alto, ma più di me.” lo descrissi. Certo, non che dovesse essere difficile essere più alti di mezzo metro.
Carol aggrottò le sopracciglia “L’hai visto allo studio di registrazione? Era con qualcuno?”
Qualcuno, qualcuno, qualcuno..uhm, fino a quel momento avevo focalizzato in mente solo la testa fluttuante di Sexy Treccine, gli altri erano come avvolti in una nebbia di fumo.
“Ah sì, con un tipo con dei capelli alti otto metri, neri. E poi qualcun altro che non ho veramente guardato. Sai, quando hai un Brad Pitt tedesco davanti..”
Stava per aprire bocca e ribattere, quando sentimmo la campanella suonare e mi prese bruscamente la mano. Aveva il panico negli occhi.
“Oddio, oddio, oddio..” mormorò.
“Ti prego, non farti saltare una sincope, sei l’unica che sa il tedesco tra noi due!” la pregai.
Lei scosse la testa, seccata, e poi prese a trascinarmi verso l’atrio. Era TUTTO deserto, TUTTI erano già nelle loro classi.
Non c’era neanche un bidello molleggiante a fingere di pulire. A giudicare dal pavimento, qui pulivano sul serio!
Cose come queste te le sogni a Bristol. Nel bagno del secondo piano della scuola, ad esempio, c’era ancora un mars mezzo mangiucchiato che avevo lasciato cadere cinque mesi prima.
Ad un tratto comparve davanti a noi una vecchia tedesca occhialuta che prese a sbraitare in crautese. Carol prese a farfugliare qualcosa che assomigliavano a delle scuse, allora il dobermann tedesco (la tipa) assentì e ci porse due fogli con l’orario, prima di andarsene.
“Bene. E ora?” chiesi.
“E ora cominciamo la scuola!”
Merda.
 
Per tutti gli spanferkel di questo mondo, cosa andava blaterando questa tizia? Innanzitutto credo che fosse la propropronipote di Hitler. I baffi c’erano, e anche gli atteggiamenti nazisti. Mi ero arrischiata a sussurrare a Carol che il biondino al primo banco ci fissava e quella mi aveva lanciato un’occhiata raggelante, come se avessi interrotto qualcosa di importante, e non solo una stupida lezione.
Comunque, era l’insegnate di matematica, e questo potrà aiutare a capire come mai ho tentato di tagliarmi le vene con la punta della matita.
Spiegava le disequazioni di secondo grado. Ma perché? PERCHE’?
Ad ogni modo, non potevo deprimermi per molto. Mr Trecce Selvagge non si era visto, quindi probabilmente non veniva alla nostra scuola.
Oooh, forse era più grande. Magari frequentava l’università.
Ah no, un momento, se era in uno studio di registrazione…Ommiodio, era una rockstar!
“Carol Carol, forse Treccia Ribelle è una rockstar!” le mormorai concitata, ma lei mi zittì bruscamente e un colpo alla cattedra mi fece sobbalzare.
Tutta la classe gelò, girandosi verso la Nazi che mi fissava con i suoi occhietti neri come se volesse disintegrarmi. Non parlò, semplicemente indicò la porta con un dito.
Uhm, forse mi stava cacciando. Mi alzai cercando di non far strusciare troppo la sedia, sotto lo sguardo preoccupato di Carol. Mentre passavo tra i banchi una tipa che avrebbe potuto concorrere a Germany’s next top model mi disse “Ciao ciao inglezina!” e poi prese a ridere.
Oh, che palle!
 
Me ne stavo comodamente seduta su una delle sedie fuori dalla presidenza, aspettando che il famoso preside mi accogliesse nella sua calorosa dimora, quando mi apparve davanti agli occhi la figura trafelata di Brun.
“Ciao.” Disse lui, lanciandomi un’occhiata alla io-so-cosa-hai-fatto.
“Uhm, ciao.” Risposi incerta. Dannazione, qui chiamavano i genitori o tutori o quello che è per stronzate simili?!
Questo è contro i diritti umani!
Brun comunque non sembrava troppo arrabbiato. Con un respiro profondo si sedette accanto a me, e si schiarì la gola.
“Senti, Brun, non pensavo che ti chiamassero, okay? Ma non sono io anti-matematica, è la matematica anti-me. Ho tentato di spiegare che sono una tipa pratica, e fantasticare su cose assurde come il pi greco non fa per me, ma nessuno mi da retta.” Gli confessai, in un momento di pura sincerità.
Normalmente qualcuno come mio padre avrebbe cominciato a sbraitare cose senza alcun senso, come ‘quando avevo la tua età tuo nonno mi avrebbe bla bla bla..’ o sul fatto che avessi delle ‘responsabilità’, dei doveri e tante altre cose inutili, invece Brun si mise a ridere.
“Sai, mi ricordi tanto me quando avevo la tua età.” Disse, e cominciai a domandarmi se mi ero tolta a dovere le sopracciglia, ieri “Sei una combina guai, ma hai sedici anni ed è più che normale. Avrai tempo per metterti la testa apposto..Adesso ci sorbiremo qualche chiacchiera di quel grassone là dentro e poi ci andiamo a mangiare qualcosa, che ne dici?”
Fatemi capire, stavo per essere punita con del CIBO?
Mi aggrappai a Brun, gridando “Sei il padre che non ho mai avuto!”
Non potevo considerare il matto che girava per casa il mio vero padre, ovviamente.
 
TRECENTO ANNI DOPO
“Questo cofo è buoniffimo!” esclamai a bocca piena, buttando giù un altro boccone di Rahmapfelkuchen (mi sono fatta capire dal cameriere indicando il dolce, poi me e fingendo di masticare). La cosa più tedesca che avevo mai assaggiato in vita mia erano stati dei Vafer, ma a quanto pare esistono cose mooolto più buone.
Brun rise divertito, prendendo un sorso dalla sua birra. Era una birra ENORME, grossa come il sedere di Eva Justice, e vi assicuro che poteva essere considerata una persona a parte, il suo sedere.
Improvvisamente il blackberry di Brun prese ad illuminarsi e a vibrare sul tavolo, e lui si affrettò a rispondere con un sonoro “YAAA?”
Dopodiché ebbe inizio una veloce discussione in tedesco che non mi presi la briga di ascoltare, intenta a mangiare il mio dolce. Mi sentivo la bocca tutta appiccicosa, segno che probabilmente avevo della crema sparsa un po’ ovunque, ma a chi importava? C’eravamo solo noi in quel bar.
Ad un tratto Brun si alzò in piedi, e prese a sventolare una mano verso qualcuno alle mie spalle. Ma che cosa..?
“Voglio presentarti qualcuno di importante!” mi disse, facendomi l’occhiolino.
“Che cofa?” domandai, con l’ultimo pezzo di dolce in bocca, mentre mi giravo quasi al rallentatore.
Alle mie spalle c’erano quattro sconosciuti di cui uno (uno? una?) era truccato meglio di me e vestito da Catwoman, o almeno era la spiegazione che davo a tutta quell’aderentissima pelle nera che indossava. Gli altri due erano due specie di gorilla larghi come..ehm, un armadio largo dell’ikea.
E poi lui, l’Adone tedesco, che mi fissava mentre avevo un ENORME pezzo di Rahmapfelkuchen in bocca ed ero tutta sporca di crema in faccia.
Mein Gott!

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Capitolo 4
*** Burro. ***


 aloha bella gente! oggi mi sento particolarmente feliz perché stasera vado a cena dai miei zii, dove ci sarà il mio cuginastro strafigo appena tornato da Manchester *balla nuda la conga*
eniuei, l’avete vista la foto di sarah monline con Tom e Bill? che accollo quella tipa. non ce l’ha una vita propria? o degli amici che le dicano ‘SMETTILA DI PEDINARE LE STAR IDIOTA!’
bah. ohibò, vi lascio al capitolo. bai bai.

 
 
 
 
 
‘E poi lui, l’Adone tedesco, che mi fissava mentre avevo un ENORME pezzo di Rahmapfelkuchen in bocca ed ero tutta sporca di crema in faccia.
Mein Gott!’
 
Mi rigirai verso il mio piatto come una furia, sputando fuori l’ultimo pezzo. Cazzo cazzo cazzo..
“Ragazzi, lei è la ragazza inglese dello scambio culturale, ve ne avevo parlato no?” cominciò Brun.
No, zitto zitto, dovevo crearmi una falsa identità! Zitto ZITTO!!
“Che stile.” Commentò Sexy Trecce, con un sorrisetto da pazzo. Non capivo bene come mi stesse guardando, un misto tra ti-sto-prendendo-per-il-culo e, non so..il tipo di sguardo che riserveresti ad un piatto di spaghetti, capite?
“Io ti ho vista, ieri. Eri nello studio.” Disse candidamente Catwoman, con voce delicata.
Comunque anche io l’anno scorso, per Halloween, mi ero vestita da Catwoman, ed era stato un vero sballo, se non fosse che poi mi si era appiccicata tutta la pelle addosso per il troppo caldo e Carol aveva dovuto infilare un pezzo di burro nel vestito in modo da farlo scivolare via..
“Burro.” Fu ciò che uscì dalla mia bocca, e quando incrociai gli sguardi interrogativi dei quattro ragazzi capii che non l’avevo solo pensato “Cioè volevo dire che sì, ero io.” Aggiunsi in fretta, incrociando di nuovo lo sguardo del falso gangster, che non voleva togliersi dalle labbra quel sorrisetto ambiguo, tipo Arancia meccanica, no?
Smettila di ridere, idiota!
“Comunque, loro sono i Tokio Hotel.” Si intromise Brun, con un sorriso compiaciuto.
Oh oh, bene, adesso verrò etichettata come ‘la ragazza-burro che fece una figuraccia con i Tokio Hotel. è pazza? è fuori controllo? no, è solo la RAGAZZA-BURRO!’
Catwoman mi porse una mano, che io strinsi prontamente (che riflessi, eh? peggio di una faina. qualsiasi cosa sia una faina) e disse “Io sono Bill.”
Annuii, ma dopo qualche secondo mi accorsi che stavo continuando a stringere la mano in silenzio “Ah sì, io sono Julie.”
“Non parli tedesco?” Mister Trecce Selvagge si intromise, lanciandomi un’occhiata quasi sospetta.
“No.”
“Perché?”
“Perché non mi piace.”
Gli altri ragazzi fecero dei sorrisetti divertiti, ma lui no, si limitò ad alzare un sopracciglio “E allora perché sei venuta a studiare in Germania?” continuò.
“Perché mi piacciono i mercatini di Natale che ci sono qui.” Fu la mia risposta, completamente priva di senso alcuno.
Perché l’ho detto?!
Ma che cosa mi passa per la testa?
Ma passa qualcosa, per la mia testa?!
La tragica situazione in cui eravamo caduti venne sbloccata da Brun, che indicando colui-che-ora-odiavo disse “Lui è Tom. E loro sono Georg e Gustav.”
Non avrei mai riconosciuto Gregor da Gustos, ma feci comunque un sorriso di circostanza. Poi il mio cellulare prese a vibrare, e lo tirai fuori.
“Pronto? Che? Carol non lo so dov’è la tua sciarpa con gli elefanti! Ma che colore è l’indaco?! No, no..NO! Oddio, sto arrivando.”
Mi alzai, e per poco non feci rovesciare la sedia. Tim o come cavolo si chiamava continuava a fissarmi e a ridacchiare come un povero pazzo (cosa che probabilmente era). Poi con molta nonchalance dissi che avevo un impegno urgente e che dovevo andare, cioè dissi ‘Una mia amica non trova la sua sciarpa indaco con gli elefanti tibetani, devo aiutarla prima che faccia saltare in aria la casa.’ e tutti mi salutarono allegramente, tranne lo scontroso pieno di treccine che disse “Cavolo, chiama Scotland Yard a questo punto.”
Ma si credeva figo? Bhè faceva bene, perché lo era, ma mi stava facendo saltare i nervi.
 
A casa. Brun era rimasto con i ‘suoi ragazzi’. La sciarpa del mistero era stata ritrovata, e Carol aveva smesso di dare di matto.
Allora le avevo raccontato tutta la storia dei Tokio Hotel, mentre si passava la crema depilatoria sulle gambe.
“E continuava a ridere, come uno scemo. Perché rideva?”
“Forse lo facevi ridere tu.” Rispose, concentrata sui suoi peli.
“Che vuoi dire? Pensi che io faccia ridere la gente?” le chiesi, un po’ allarmata.
“Bhè, hai una faccia buffa.”
Mi girai verso lo specchio, per vedere se mi fosse cresciuto un terzo occhio o un secondo naso. Che cosa voleva dire che avevo una faccia buffa?!
Buffa nel senso di..strana?
“Quindi sarei una persona che ispira simpatia.” Commentai, incerta.
“Ho sempre notato una certa somiglianza tra te e Jim Carrey.”
Oh, fantastico. Adesso ero il surrogato femminile di Jim Carrey. E’ forse noto per la sua bellezza? Ve lo dico io: NO.
Perché non potevo essere il surrogato femminile, che so..di Ben Affleck? O di Leonardo DiCaprio?
“Comunque Bill e Tom sono gemelli omozigoti.” Continuò, incurante di avermi lanciato nello sconforto più profondo.
“Quindi Catwoman è un ragazzo al cento per cento?!”
Questo mondo non finirà mai di stupirmi.
 
Ha telefonato Marlene, dicendo che lei e Brun hanno un importante cena di lavoro. In poche parole, ci avevano abbandonate a noi stesse nella pericolosa selva tedesca.
“Mettiamo un po’ di musica!” proposi, lanciandomi verso la libreria PIENA di CD. C’erano sei stereo, io presi un disco a caso e lo infilai in quello di mezzo.
Si scoprì che erano tutte allegre canzoni crautesi. Ballabili, se si ignorava la fastidiosa voce che cantava in sottofondo. Io e Carol ci cimentammo in un ballo stile Y.M.C.A. sopra il tavolino di ciliegio, in salone.
Accidentalmente urtai una pedina di una scacchiera in cristallo, precisamente il cavallo. Lo nascosi sotto al tappeto.
“Wow, potremmo diventare ballerine professioniste! Come Ginger..ehm, quello e quell’altra.” Esclamai, mentre Carol si lanciava sul divano con uno sbuffo.
“Dici che manchiamo ai nostri ragazzi?” chiese, fissando il soffitto.
“A chi.”
“Samuel e Corey. I nostri fidanzati. Sedici anni, molto carini, ricordi?” cominciò, con la solita aria da bacchettona.
“Non so cosa sia successo tra te e Sam, ma io e Corey ci siamo scambiati solo un innocente e casto bacio dietro il campo da softball.” Replicai, scostandomi una ciocca di capelli dalla faccia con molta classe.
“E dietro quello da football. E in piscina. E alla festa di Jenny Stevens. E davanti alla cabina telefonica di Churchill Street. E durante l’ora di..”
“Va bene, ho capito.” Tagliai corto “Ma non eravamo fidanzati. Io sono come una colomba, volo sola, nel cielo..Sono libera! E un po’ di tutti..” continuai.
“Io sono solo di Samuel.” Precisò lei “Prima di partire mi ha detto che non mi dimenticherà mai, e mi ha regalato un rosario.”
“Noo, non posso crederci!” replicai, ma lei non colse il mio sarcasmo e continuò a raccontare la storia della sua vita (che non avevo mai chiesto.)
“Però non mi ha ancora chiamata, e siamo qui da tre giorni.” Aggiunse, mestamente.
“Bhè, i miei mi hanno chiamata solo due volte, e sono le persone che mi hanno messa al mondo..”
Ma lei non mi diede ascolto, si limitò ad andare in cucina e ad aprire il maxi pacco di pringles alla paprica. Quando tornò aveva la bocca piena e stringeva possessivamente il pacco tra le mani.
Mi allungai per prenderne una, e lei per poco non mi disintegrò la mano con lo sguardo. “Accendiamo la TV?” proposi, anche se avevo già afferrato il telecomando e cominciato a premere tasti a caso.
Si accese, e apparve l’immagine di un militare, credo, che urlava qualcosa in crautese ad un altro mentre era sdraiato sul fango.
“Questo ha una faccia familiare.” Dissi, indicando l’uomo con il telecomando.
“Ci credo, è Tom Hanks. Questo è salvate il soldato Ryan, credo.”
“Che palle.” Commentai, prima di cambiare canale.
“No aspetta, io non l’ho visto tutto!”
“Alla fine Tom Hanks crepa.”
Carol-la-violenta mi diede un pizzicotto sul braccio, ed io risposi con un calcio sugli stinchi. “AHIA!”
“Guarda, ho trovato MTV! Sono un genio.” Gongolai, mentre il video di una canzone finiva per farne cominciare un altro.
Elicottero. Mmm.
 
‘I’m staring at a broken door, there’s nothing left here anymore..’
 
“Oddio, ma cantano in inglese!” esclamai, riconoscendo Mufasa sullo schermo, e scoppiai a ridere “No dico, hai sentito? Lui sta starrrrrrrrrrrring!”
“Parla perfettamente l’inglese.” Lo difese Carol, ancora imbronciata per il calcio che le avevo affibbiato.
“Sì certo, come no.”
“Tu non ti sei mai sentita parlare in tedesco. Sembri un misto tra una motosega inceppata e una che sta facendo i gargarismi.”
Il tatto è uno dei migliori pregi di Carol.

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Capitolo 5
*** Strane usanze. ***


  Buonsalve, sono tornata ieri sera dalla mia allegra scampagnata al mare (?), ho completato il capitolo e ora lo posto, yeeeah.
Bah, non so che dire. Sono di poche parole stasera.
Scusate se non ho risposto alle recensioni, ma lì non avevo la connessione ed ora mi pesa il culo #onestà
Detto questo vi amo muchissimo, baci!
 

 
 
 
Diveniva ogni giorno più chiaro che il nostro non era un liceo, bensì un campo di concentramento ristrutturato. Certo, la costruzione di un laboratorio di chimica potevano evitarla, ma vabbè..
La nazista (prof. di matematica) mostrava il suo ingiustificato odio verso di me palesemente: pretendeva che risolvessi le equazioni senza calcolatrice! Ma cosa sono, una persona o un nerd senza una vita?
La risposta mi sembra ovvia.
Ma non era lei il solo problema. Il professore di ginnastica era davvero fuori, e anche pervertito. Si potrebbe pensare che qui si pratichino degli sport normali (softball, hockey, baseball..) e invece NO! Lui ci costringeva ad arrampicarci su una ridicola parete per arrampicate fino a toccare un bottone rosso (tristezza al quadrato) e a giocare a pallavolo. Ma faceva anche delle curiose incursioni negli spogliatoi femminili, e quando noi prendevamo ad urlare come delle ossesse lui balbettava delle ridicole scuse senza senso in tedesco, del tipo ‘ho sbagliato stanza..’
Sì certo, come no.
Comunque avevo cominciato a comprendere qualche parola in più, anche se annuire in silenzio rimaneva sempre il mio asso nella manica. Al contrario Carol era diventata la cocca di tutti i professori, e mi sfuggiva davvero il perché. Anzi lo so, perché alzava continuamente la mano e faceva la lecchina con tutti.
“Tu fai la lecchina con tutti.” Le dissi un giorno, a mensa, e lei finalmente alzò gli occhi dal libro di letteratura.
“Non è vero! Sono solo interessata.” ribattè, offesa.
“L-e-c-c-h-i-n-a!”
“Bhè, è sempre meglio che sembrare una scema!”
Oooh, questa non doveva dirla. “Quindi io sarei una scema?” le chiesi tra i denti, scoccandole un’occhiata di fuoco.
“Non ho detto questo..” si mise subito sulla difensiva “..ho detto che lo sembri!”
“Carol?”
“Dimmi.”
“Fottiti.”
 
Mi stavo facendo i beati cavoli miei, aggiustandomi i capelli grazie all’utilissimo specchietto che avevo nella borsa, quando vidi riflesso un biondino familiare.
Mi girai, e sorrisi a trentacinque denti. Era proprio carino!
Dio, fa che mi sia ricordata di mettere il reggiseno con il push-up..
“Ciao.” Cominciò, e notai che aveva degli occhi blublublublu come..ehm, il mare.
“Ciao.” Fu la mia geniale risposta.
“Tu non..parli tedesco, vero?”
“No. Cioè sì, ma senza le congiunzioni, o gli articoli, o i tempi al futuro..”
Ero sicura che dopo questa mia infelice uscita se ne sarebbe semplicemente andato, lasciandomi sola con i miei vaneggiamenti, e invece sorrise. “Fa niente, io zo parlare inglese. Vieni da Londra?”
“No, da Bristol. E’ vicino al mare…” lui fece una faccia un po’ perplessa, e quindi mi ritrovai a mimare con la bocca i fruscii del mare e ad ondeggiare una mano per imitare le onde.
“Ah, sul meer!” esclamò, sempre sorridendo “Comunque io sono Jorg, ziamo nella classe di Matematica inzieme. Ti va di sederti con me a pranzo?”
In quel momento mi sarei seduta anche vicino ad un tricheco con la varicella pur di evitare Carol, ma il fatto che me lo chiedesse un mucho carino ragazzo tedesco era decisamente più gratificante.
Oh no, non avevo ancora detto niente! Pensa a qualcosa di forte, qualcosa di forte, qualcosa di forte..
“Martello.” Dissi, ma grazie al cielo qualcuno aveva chiamato Jorg, coprendo la mia voce.
“A dopo inglezina.” Mi salutò con un occhiolino, prima di correre verso il ragazzo che l’aveva chiamato cominciando a prenderlo a pugni, senza alcuna ragione.
Bah.
 
“E poi quel delizioso Jorg mi ha fatta sedere accanto a lui. Non ho capito mezza parola di quello che hanno detto i suoi amici, ma ad un certo punto ha messo il braccio sullo schienale della mia sedia, ed è un buon segno no?”
“Mmm..” rispose Carol, continuando a fissarsi le scarpe.
“Carol, non ti vedo interessata. Sei ancora offesa perché ti ho detto che sei una lecchina?” le chiesi, punzecchiandole un fianco, ma lei si ritrasse con una smorfia. “Piantala, non è quello.”
“Allora è perché sei gelosa che io abbia una torrida relazione con un carinissimo crucco mentre tu hai una relazione con..ehm, la prof. di fisica.”
“Tu non sai neanche con quante erre si scriva torrida!” replicò, davvero molto acidamente “E’ che mi manca Sam, e i suoi capelli morbidi, e la sua passione..”
“Per cosa? Per Gesù e i suoi sandali?” completai per lei, che si stizzì “Era solo molto spirituale!”
Non le risposi neanche, infilai le chiavi nella serratura di casa ed aprii velocemente la porta.
“Ah, siamo sole! Possiamo lanciarci in una lap-dance sul tavolino e animare tutto il quartiere!” urlai presa dall’entusiasmo, quando vidi emergere una schiena dall’angolo della cucina.
“Servirebbe un palo, ma puoi provarci.” Commentò El Treccia, annoiato.
El Treccia era lì.
Anche Catwoman era lì.
E mi avevano sentito urlare che volevo fare la lap-dance.
Dannazione!
 
15 SECONDI DOPO, NEL BAGNO
“Oddio, oddio, oddio..” continuava a ripetere Carol, come un disco rotto.
“Non credo che Dio possa aiutarci, ormai. La nostra figura di merda quotidiana l’abbiamo già fatta.” Risposi, rassegnata.
“Ma li hai visti? Oh cavolo!”
“Il punto non è che noi abbiamo visto loro, ma che loro hanno visto noi…che urlavamo…VESTITE COSI’!”
Carol si sedette sul cesso (la tavoletta era abbassata, ovvio) e prese a fissare il vuoto con i suoi grandi occhi verdi.
“Credo di essermi innamorata.” Disse, allucinata.
“Wooh, calmiamoci, solo perché una volta ci siamo baciate le labbra per sbaglio mentre ballavamo il boogie questo non vuol dire che..”
“Non di te, cretina!” ribattè, dolce come al solito, poi sospirò “Di Bill.”
“Ma tu non eri solo di Samuel?”
“Di chi?”
Ruotai gli occhi al cielo, prima di uscire dal bagno seguita da Carol e trovammo i due seduti comodamente al tavolo a mangiare due pizze dai cartoni.
“Come siete entrati?” chiesi.
“Con la porta.” Rispose il simpaticone malato di dreads, prima di addentare in modo grottesco un trancio di pizza. Disgustoso.
“Questa me la segno e chiedo di inserirla nel libro delle barzellette di Geronimo Stilton.” Commentai, senza neanche guardarlo.
Bugia. Era incredibilmente figo, anche quando alzava gli occhi al cielo, ma io avevo deciso che lo odiavo.
Quindi ora era brutto, punto.
“Conosciamo Brun da secoli, e abbiamo le chiavi. Pizza?” continuò Bill, porgendo una fetta nella nostra direzione. Io l’afferrai prontamente, anche se avevo appena pranzato.
In tutto questo Carol se ne stava in piedi a fissare Bill come una disturbata mentale, quindi le diedi una gomitata su un fianco, per riscuoterla “Ehm, lei è Carol.” La presentai.
“Ciao Carol!” la salutò Bill, che sembrava il gemello sano (anche se le sue tutine di pelle..) “Anche tu sei dello scambio?” continuò, e persino suo fratello si degnò di alzare lo sguardo dalla pizza per scrutare Carol.
Lei, senza alcuna buona ragione, prese a rispondere in tedesco. Probabilmente decantò l’Odissea, perché parlò per SECOLI, e temevo seriamente che Bill stesse per chiudersi la testa nel forno.
Ma lui sembrava starla a sentire. O forse fingeva bene.
Thomas o qualsiasi fosse il suo nome si alzò moooolto lentamente, fino ad arrivare a me. Mi superava di appena una spanna, e mi fissò con i suoi freddi occhietti neri “Scommetto che non stai capendo niente.” Mormorò, aprendosi in un sorrisetto davvero irritante.
“Ci conosciamo?” ribattei, fredda come un ghiacciolo al limone, e lui inspiegabilmente posò un braccio intorno alle mie spalle.
Brr. Brividi lungo il midollo osseo. Ma lui non mi piaceva affatto, e poi era un cesso.
Cioè se chiudevo un occhio, poi chiudevo anche l’altro, mi giravo e pensavo ad un ragazzo molto molto brutto, era davvero osceno.
“No, però sopra ci sono parecchie stanze vuote dove potremmo conoscerci..” continuò a sussurrare, e ad ogni erre che pronunciava sembrava quasi che facesse le fusa, tipo arrrrrrr…
Ma che sto dicendo? Era osceno!!
Gli diedi uno schiaffo sul petto, allontanandolo “Sei osceno!” gridai.
“E tu una cagacazzi, ma speravo almeno che fossi facile.” Si lamentò, con una smorfia.
Billy e Carol si voltarono verso di noi, interrompendo il loro idilliaco incontro, e lui alzò un sopracciglio “Scusalo, in questo periodo del mese ha gli ormoni in subbuglio..”
Non sentii altro, perché Tommaso o qualsiasi fosse il suo nome si avventò su di lui e presero a picchiarsi selvaggiamente per tutta casa.
Di bene in meglio.
 
Fantasmagorica gita nelle disabitate lande tedesche. A quanto pare era la nostra ora di libertà e quindi avevano lanciato noi e un’altra classe su un pullman per portarci chissà dove.
Dopo circa sessant’anni ci fermammo, ed io riuscii persino a non vomitare sulle gambe di Carol.
“Ma dove diavolo siamo?” borbottai una volta scesa, strizzando gli occhi.
Prato. Prato. Castello. Altro prato.
“Questo è uno dei castelli più famosi di tutta la Germania! E’ stupendo, gotico come si vede da quelle guglie, e risalente al..”
“Carol, non mi sono sintonizzata su History Channel, okay?” la interruppi prima che mi uccidesse con tutta quella roba vecchia, morta e pallosa “Vorrei solo sapere se c’è un bar, sto morendo di fame.”
“Ho delle patatine al formaggio, in borsa.
“No, non ce le hai più.”
Il Fuhrer battè le mani per richiamarci (siamo pecore o persone..?) e cominciò a spiegarci dove eravamo e bla bla bla..
“Come disse Amleto, c’è del marcio in Germania!” citai fieramente.
“Danimarca. C’è del marcio in Danimarca.” Mi corresse Carol, pignola.
“Comunque sia, se stava in un castello come questo ci credo che voleva tagliarsi le vene!”
“Armstrong, fai silenzio una volta per tutte!” gracchiò la prof., in preda ad uno dei suoi soliti attacchi d’ira funesta. Le consiglierei di trovarsi un uomo, per placarsi, ma non vorrei condannare nessuno a sopportare una nazista alta otto metri, e baffuta.
E poi fu un susseguirsi di bla bla bla e bla bla bla e bla bla bla finchè Jorg non comparve al mio fianco.
“Da dove sei saltato fuori?” chiesi
“Sono sempre stattto qvi.” Rispose, scrollando le spalle “Ti diverti?”
“No.”
“Infatti neanche io. Usciamo?” propose, indicando con un cenno del capo le lunghe scale che portavano all’uscita del castello. Erano due ore e un quarto che aspettavo che qualcuno me lo chiedesse, quindi lo presi con entusiasmo per mano e lo trascinai per le scale. Evidentemente dovevo sembrare una schizzata, perché scoppiò a ridere.    
“Perché ridi?” gli domandai, una volta usciti “Perché sei, ehm, come dite in ingleze? Piena di vita, sì.” Replicò.
Stavo per domandargli cosa diavolo si agitasse in quella sua misteriosa testa tedesca quando si avvicinò e mi baciò sulle labbra, a freddo.
Di certo non a caldo, dato che facevano meno ottanta gradi, ma il senso era un altro.
Mmm. Lo conoscevo da due giorni. Ma che ne so, magari qui a crautilandia è usanza comune baciarsi dopo due giorni e lo fanno tutti, anzi probabilmente lui mi considerava strana dato che non l’avevo anticipato
Ci staccammo (finalmente, avevo finito l’aria) e lui mi diede una pacca sulla spalla. Non sto scherzando, una PACCA sulla spalla!! E poi mi disse “Sei molto carina Julie, ci zi vede.” mi superò e tornò nel castello.
Ma che problema hanno i ragazzi da queste parti?!
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Pre-Concerto ***


  ci sentiamo infondo #love
 
 
 
 
 
Meno quindici gradi, diluvio universale e vento che ti potrebbe staccare la testa. Forse più in là c’era anche un uragano.
Ovviamente noi stavamo giocando a pallavolo. In palestra forse? NO! Nel campetto esterno, perché la palestra era occupata da quelli dell’ultimo anno, e nessuno aveva voglia di farsi staccare la faccia a morsi da quei gorilla.
Brr, stavo congelando! Mi sentivo come Rose, nel Titanic. Anzi no, quella vacca si era comodamente sdraiata su tutta la porta lasciando quel figo di Jack a crepare congelato.
Ecco, mi sentivo come Jack, e continuavo a saltellare da un piede all’altro per scaldarmi.
“Devi fare pipì?” mi chiese ad un tratto Carol, dal posto di battuta.
“No!”
“Scusa, sembrava..” non finì la frase, perché Pshyco (il prof. di ginnastica) fischiò come un dannato nel suo stupido fischietto rosso.
“Entra Armstrong!” urlò, e sembrava proprio un matto in mezzo alla tempesta con quei ridicoli pantaloncini a pois verdi. Io sbuffai, e molto molto lentamente entrai in campo consapevole che avrei preso tutte le palle in testa.
Odio la pallavolo.
 
“Quindi Jorg ti ha baciata?” domandò Carol, ed era circa l’ottava volta.
“Sì Carol, e per quando me lo richiederai tra trenta secondi, SI’ CAROL!”
Lei mise subito il broncio, sistemandosi lo zaino sulle spalle. Lei lo portava su entrambe le spalle.
Che tristezza infinita..
“Non abbiamo più incontrato Bill dalla scorsa settimana.”
“Struggente.” Commentai.
“Perché sei così dura? Lui è così…bhè, wow!”
Oh, queste sì che erano profonde considerazioni! “Carol, ci hai parlato dieci minuti una settimana fa, è praticamente un estraneo!”
“Anche Jorg era un estraneo, dato che tu non capivi mezza parola di quello che diceva, ma l’hai baciato.” Ribattè, pignola.
“No tesoro, è lui che ha baciato me, io mi sono limitata a rimanere ferma trattenendo il respiro ad occhi chiusi.”
Detta così praticamente non suonava neanche come un bacio! Era una tecnica che avrei potuto usare più spesso, ed anche per altre cose.
Non ho dato una ginocchiata sui denti a Georgina Stevens del corso di Inglese, le sue gengive si sono gettate a candela sul mio ginocchio..
“Julie, il cellulare!” esclamò stridula Carol, e in quell’istante mi accorsi che stava suonando la suoneria. Lo tirai fuori dalla tasca, e risposi.
“Ja?”
“Julie, sono mamma.”
“Ja.”
“Va tutto bene?”
“Ja.”
“Puoi rispondere qualcosa che non sia ‘ja’?”
Ci pensai su un attimo, e poi mi venne in mente una frase che non so perché mi era rimasta impressa. Forse l’avevo letta nel libro di Diritto.
Anzi no, credo che fosse in un film. Quello..della ragazzina che scrive un diario nella mansarda..Frank Anna, o qualcosa di simile.
 “Arbeit macht frei*!” esclamai, e sentii Carol trattenere il respiro, prima di darmi un calcio sugli stinchi.
“AHIA, CAROL!” strillai, piegandomi, e mi scivolò il cellulare dalle mani “Ma sei fuori di testa?!”  
“TU sei fuori di testa! Come ti viene in mente di urlarlo qui, per strada?”
“Ma che ho detto?!”
 
‘Julie, Julie ci sei?’
 
Sentii la voce stizzita di mia madre dal telefono e con uno sbuffo lo recuperai, per poi riprendere a camminare quasi zoppicando.
“Sì, c’era solo una scimmia per strada.” Borbottai, lanciando un’occhiataccia a Carol.
“Ti stai comportando bene con i signori che ti ospitano? Ringraziali, e aiutali con le cose di casa.”
Ma di che diamine blaterava? Mi sembrava di non capire niente di tutto ciò che dicessero le persone intorno a me, oggi.
“Mamma, ti prego, sai bene che sono una ragazza responsabile, diligente, disponibile..”
Dall’altro lato della cornetta proruppero delle risate incontrollabili, e mi venne davvero voglia di scaraventare il cellulare a terra. Come si permetteva?!
“Perché ridi?” sentii chiedere mio padre, in sottofondo. Ma lui non ci va mai, a lavoro? Non ha delle cose da fare, cose come evitare che gli strozzini ci prendano la casa?
“Ha detto che è una ragazza disponibile!”
“AHAHAHAHA.”
A quel punto attaccai.
 
Stranamente a casa Schäfer c’era qualcuno, ovvero il mio nuovo padre, Brun. Stava cucinando un ‘pranzo inglese’ per farci sentire a nostro agio. Peccato che la sua idea di cucinare fosse semplicemente alzare il telefono e ordinare tre fish and chips da consegnare a casa.
Prendemmo a mangiarli sul divano, davanti ad un entusiasmante partita di calcio. Oooh.
“Allora, vi sono piaciuti i Tokio Hotel?” chiese, e subito Carol attaccò con le lodi e bla bla bla..E’ una ragazza molto prevedibile.
“E a te, Julie?”
Aspettai di mandare giù le sei patatine che mi ero messa in bocca tutte in una volta, per temporeggiare, e poi bofonchiai un “Mmm, sì, carini..” e lui sorrise compiaciuto.
“A loro siete piaciute molto, Bill ha detto che siete adorabili.”
Bill non mi aveva ancora conosciuta, ovviamente. “E domani faranno un concerto proprio qui, a Berlino.”
Silenzio.
Stavolta misi nove patatine in bocca.
Non dirlo, non dirlo, non dirlo, non dirlo..
“E ho due biglietti per il backstage.”
Carol cominciò ad urlare come una schizzata e a saltare sul divano, rovesciando il cartone pieno di pesce a terra “Oh, davvero? E’ fantastico, fantastico, FANTASTICO!”
“Ehi Carol, alza di più la voce, non credo che tutte le pecore della Nuova Zelanda abbiano afferrato bene..” le dissi, ironicamente, ma lei mi ignorò.
“Ma avevano detto che era tutto esaurito!” continuò, verso Brun, che si limitò a stringersi nelle spalle.
“Essere un produttore discografico ha i suoi vantaggi. E i ragazzi saranno contentissimi di vedervi.”
Oh sì, riesco già ad immaginare Thomas che saltella felicemente in un campo di tulipani viola tendendo le braccia verso di me..
..per poi stringerle intorno alla mia gola e uccidermi. Yuppi.
  
 
 
24 ORE DOPO, CAMERA DA LETTO
“Okay, e questo?”
Carol fece una giravolta su se stessa, facendo svolazzare il vestito blu a righe bianche poco più lungo di una maglietta.
“E’ carino, ma se dovremo camminare su un marciapiede qualcuno potrebbe offrirti dei soldi.” Commentai a testa in giù, dal letto.
Lei sbuffò “Grazie tante, mi sei davvero d’aiuto.”
“Dio mio Carol, è solo un concerto! Sarà tutto buio, mettiti un paio di jeans, una maglietta che non puzza troppo e basta!”
“Mi piacerebbe che Bill mi vedesse carina, non come una zingara uscita da un cassonetto.”
“A me piacerebbe che Orlando Bloom comprasse un’isola, le desse il mio nome e poi mi ci portasse in luna di miele. Ma non possiamo aver tutto dalla vita, okay?”
Carol sospirò affranta, sedendosi sul tappeto “Non ho speranze con Bill.” Borbottò.
“Smettila di essere così drammatica!” sbottai.
“Ma è vero! Sono orrenda, ho dei capelli color carota, le ciglia corte e chiare, sono pallida come una morta..”
Oddio no, adesso mi toccava consolarla. Sbuffai, e mi alzai lentamente dal letto per sedermi accanto a lei, poi le posai le mani sulle spalle “Carol, guardami.” Ordinai, e mi gettò uno sguardo sconsolato.
“Ora ripeti: io sono figa.”
“Julie, è una cavolat..”
“Ripeti!”
Ruotò gli occhi al cielo “Io sono figa.” Disse, senza entusiasmo.
“Ecco, ora ripetilo finchè non ci crederai sul serio. Ma fai in fretta, ho fame e dentro casa non c’è niente da mangiare.” Replicai.
Quella serata non prometteva niente di buono.
 

 
 

*il lavoro rende liberi, insegna all'entrata dei campi di concetramento.

Okay, questo capitolo mi fa cagare. E’ solo di transito, serve ad introdurre quello del concerto che sarà più sensato, ma fa cagare comunque. Sorry.
Anyway, ci tenevo a precisare che la battuta su Frank Anna è presa da un fatto reale. La mattina dopo il giorno della memoria, quando avevano trasmesso ‘in ricordo di anna frank’, una mia amica mi dice ‘ieri sera ho visto quel film..quello là, ‘mi ricordo frank anna..’
Voi non potete immaginare quanto abbia riso. Sul serio, ero in preda alle convulsioni.
Ma ditemi di vosotros, come vanno le vacanze? Abbordato qualche figo in spiaggia? Tenetemi aggiornata, ragazzuole!
 
 
p.s. qua sotto dovrebbero apparire le gifs di Julie e Carol, ma nel caso non si vedessero o provate ad aprirle in un’altra pagina o sappiate che per Julie ho immaginato Leighton Meester e per Carol Molly Quinn :)
 
 http://media.tumblr.com/tumblr_m5hqixAy2t1rnvlqy.gif


http://media.tumblr.com/tumblr_lwdp5zR1ex1r29yhp.gif

 
 
 

 
 

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Capitolo 7
*** scarface. ***


 
ALOOOOHA!
come va? avete visto che stiamo spaccando i culi alle olimpiadi?
ITALIANS ARE SO HOT. yeeeeeh
stasera fa caldissimo. sto liquefando (non sono sicura esista questo termine, ma licenza d'autore, evoco teeee!)
e bbbbasta. questo capitolo è lungo come..oddio, non mi viene nessun paragone casto. mi sento perversa e sporca ora.
okkkay, basta, mi sono smerdata abbastanza. adioss!





“Oddio guarda, stanno cominciando an deiner seite! KEINER WEISS, WIES DIR GEEEEEHT!”
Sbuffai, buttando giù un pugno d’uva tutto insieme. Era ingiusto che le star avessero accesso a tutto questo cibo gratis, e i comuni mortali come me dovessero nutrirsi di schifose patatine alla paprika prese dai distributori.
Comunque, era più di un’ora e mezza che vagavamo nel backstage. O meglio, io vagavo, Carol saltellava praticamente ad un passo dal palco stesso tutta emozionata. L’ultima volta che l’avevo vista così era stato il giorno in cui Samuel l’aveva portata ad una gita al lago con la parrocchia.
Stendiamo un velo pietoso.
Comunque, mi doleva davvero davvero molto ammetterlo, ma i Tokio Hotel non facevano cagare i piccioni in piazza come pensavo. Erano..bravi. Oddio, sicuramente era tutto merito della voce di Willy che era proprio niente male, o della batteria, o del basso..
Di certo la chitarra era una cagata. Potevo affermarlo con certezza.
“Secondo me Timmy non sa suonare.” Dissi a Carol, fissandolo mentre si atteggiava a figo sul palco. Praticamente stava pulendo il palco, con quella maglietta, neanche fosse 50 cent.
“Che?” rispose lei, senza togliere gli occhi dal palco.
“Tommy, Timmy, come cavolo si chiama quello..non sa suonare.”
“Ma sei fuori? TOM è bravissimo con la chitarra!” lo difese, scandalizzata “E poi tu non sai nulla di strumenti.”
“Guarda che mio fratello ha una band rock, provano ogni sabato in garage.” Ribattei, sicura. Lo sapevo perché per un certo periodo di tempo il cantante della band, un certo Stan, mi era venuto dietro. Ma io l’avevo rifiutato, che figura ci avrei fatto ad uscire con un dodicenne (o qualsiasi fosse l’età di mio fratello) ?
“SU LE MANI, BERLINOOOO!” urlò Bill, dopo aver finito la canzone, e per poco non venne giù tutto lo stadio.
Quelle ragazze erano davvero rumorose.
E schizzate.
Soprattutto quella che stava sventolando il suo reggiseno, lì in prima fila, sulle spalle di quell’altra. E si era pitturata i nomi dei componenti della band.
Ma non in faccia.
 
 
“Grazie Gesù, ti voglio bene!” esclamai, portando le mani al cielo, e Carol ruotò gli occhi al cielo.
“Quanta scena che fai. E’ stato un bellissimo concerto.” Replicò, raccogliendosi i capelli in una coda e lasciando passare la troupe per il corridoio.
“Sì, meraviglioso. Ora andiamo.” La presi per un polso, e cominciai a strattonarla verso l’uscita. O almeno, supponevo che quelle scale portassero all’uscita..
“Ehi ehi, mollami!” protestò, scrollandosi velocemente dalla mia presa “Voglio salutare la band, fare i complimenti..”
“Ma se ne sono già andati! So che l’idea di irrompere nel camerino di Billy e violentarlo ti manda su di giri, ma lui potrebbe non essere d’accordo..”
A quel punto mi fece davvero un pessimo, pessimo segnaccio prima di voltarmi le spalle ed addentrarsi nel corridoio che portava ai camerini.
Sbuffai, passandomi una mano tra i capelli, e mi guardai intorno. Era pieno di gente vestita di nero, probabilmente tutto lo staff, che si affrettavano a togliere gli strumenti dal palco, a sistemare le luci, pulire tutto lo schifo arrivato dalla platea..
Non li invidiavo per niente. Ma quel mars al cioccolato fondente e con triplo caramello abbandonato su una delle casse mi attraeva alquanto. Lanciai un’occhiata furtiva intorno, neanche fossi una ladra, e lo afferrai in fretta.
Probabilmente ero ingrassata di cinque chili in quelle due ore, e domani mi sarei risvegliata con ottantacinque brufoli paonazzi, ma a chi importava? Ero sola come un cetriolo, anzi solo come un gurke, e nessuno mi si filava di striscio. Persino Jorg era sparito.
Mi ero sentita un po’ usata a dir la verità. Ma questa è la mia dura vita.
Passeggiavo innocentemente per lo stesso lungo corridoio imboccato da Carol, mangiucchiando il mio mars, quando tutt’un tratto i miei piedi si scontrarono contro qualcosa di duro e persi l’equilibro.
“Cazzo!” esclamai, accorgendomi che per pararmi la faccia avevo schiacciato la barretta sul pavimento.
Ora avevo la mano tutta appiccicosa! Che schifo!! E che diamine era quella cosa rantolante sotto le mie gamb..
“O SIGNORE!” urlai, fissando il viso insanguinato di Tommaso. “Ma che cavolo ti è successo?!”
Mister Trecce Selvagge era semi sdraiato sul pavimento, illuminato dalla luce fioca del corridoio. I dreads erano tutti scompigliati, e il suo solito cappellino si trovava a qualche metro di distanza, ma cosa più importante perdeva TANTO sangue dalla bocca ed aveva una parte della fronte livida.
Tossicchiò, sbattendo più volte le palpebre, e poi si asciugò la bocca con una mano “N-niente, leva ‘ste cazzo di gambe.” Rantolò, accennando alle mie gambe ancora premute sulle sue.
“Ma niente cosa? Ti hanno pestato! EHI, AIUTO, C’E’ QUALCUNO?” urlai, e la mia voce echeggiò per tutto il corridoio. Stavo per ricominciare quando Tom mi mollò un debole schiaffo sulla pancia, che però avvertii comunque.
“Tappati la bocca, per la miseria!” esclamò, ma la voce non gli era uscita minacciosa come aveva sperato, credo.
“Le minacce non riescono se hai la voce di uno che sta per crepare. Okay, adesso..uhm, alzati, andiamo a cercare il tuo gemello sano.” Continuai, levandomi in piedi e afferrandolo per le spalle.
“No, NO! Non dirlo a Bill!” si oppose, stringendo la presa sui miei polsi. Tentò di parlare di nuovo, ma finì con lo sputarsi del sangue sulla maglietta.
Oddio oddio questo muore. Questo mi muore davanti ed io sono fottuta. Oddio oddio oddio..
“Ce la fai a stare zitto o vuoi vomitare fuori anche il pancreas? Okay, appoggiati su di me, ma non troppo perché io sono delicata e poi finiamo per cad..” non riuscii a completare la frase perché, appena messo in piedi, mi crollò praticamente addosso e finimmo contro l’altra parete.
“Merda..” borbottai a mezza bocca, prima di spingere contro il suo torace per rimetterci dritti, ma una sua smorfia mi fece intuire che gli faceva male anche lì.
Dopo circa sei anni riuscì a mettere un braccio intorno alle mie spalle, per poggiarsi, mentre io stringevo sulle sue, di spalle, e piano piano cominciammo a camminare.
“Allora, dov’è il camerino di tuo fratello? O di uno della band? O l’infermeria, o un qualsiasi posto dove ti possano curare..”
“Non m-mi serve niente, chiaro? Smettila.” Mi interruppe, e riusciva comunque a sembrare piuttosto incazzato.
“Senti, evita di fare l’eroe mentre sei praticamente sdraiato su di me. Almeno dimmi dov’è il tuo, di camerino!” insistetti. Lui fece una smorfia, ma poi fece un cenno con la testa verso una porta a pochi passi.
Alleluja, mi stava per cadere la spalla! Ci avvicinammo, e con un gomito abbassai la maniglia in acciaio. Entrammo in una stanza bella grande, arredata come quella di un albergo, all’incirca. Un letto ad una piazza e mezzo stava al centro della stanza, e senza troppi convenevoli ci gettai Tom sopra, che atterrò con un rantolo.
Salii anche io sul letto e mi avvicinai a lui, che continuava a tossire. Osservai meglio la sua faccia, e le ‘ferite’.
“Faccio tanto cagare?” chiese, scrutando la mia espressione.
“Tranquillo, non più del solito.” Cercai di alleggerire la tensione, prima di sospirare “Dannazione Tom, io non la so fare la crocerossina! E’ Carol la brava ragazza, quella che sa fare tutto. Ti fa tanto male?”
Tom scrollò le spalle, chiudendo gli occhi “Naah. Per niente.” Minimizzò. “Solo un po’ di bruciore.”
“Che hai fatto per fare incazzare così chi ti ha picchiato?”
“Mi stavo portando a letto la ragazza.”
“Che?”
Tom sbuffò “Sai, dal palco si vedono un sacco di ragazze carine, e ogni tanto ne scelgo qualcuna per passare il tempo. La tipa di oggi però si era accidentalmente dimenticata di dirmi che era venuta con il suo ragazzo, che ci ha visti e mi ha gonfiato.”  Spiegò, velocemente.
Oh. Wow.
“Bhè, non è che abbia fatto male..” cominciai, e nonostante stessi guardando il soffitto mi arrivò benissimo la sua occhiataccia “..però sei ridotto di schifo. Non è che muori dissanguato?”
“Sì, certo, adesso mi si aprirà la testa come un melone e il cervello salterà fuori, schizzando su tutte le pareti..”
“Uuuh, che schifo!” lo interruppi, con una smorfia. Poi mi misi a sedere “Vado a chiamare qualcuno per metterti apposto.” Annunciai, e stavo per alzarmi quando mi afferrò un polso.
Mi lanciò uno sguardo da lamantino ferito “Non te ne andare, Juliana..”
“Julie, mi chiamo Julie.”
“Sì appunto, Julie..Ho bisogno di te, non lasciarmi..Io mi nascondo dietro la facciata da cattivo ragazzo, ma in realtà..soffro di solitudine. Vado da uno psicoanalista che mi costringe a guardare quelle macchie nere su fogli bianchi tutto il giorno..ho bisogno di affetto.” Concluse mormorando, stringendomi il polso.
Io lo fissai. Lui mi fissò.
Ci fissammo intensamente.
“Da quanto pensavi a questo discorsetto?” chiesi, disincantata, e lui mollò la presa.
“Ho improvvisato. Potevi almeno fingere di crederci.” Borbottò, offeso.
“Tu non hai bisogno di affetto, tu hai bisogno di scopare.”
“Hai afferrato il concetto. Quanti bottoni hanno i tuoi jeans?”
“Dio, sei un ninfomane pazzo!” esclamai, scattando in piedi “Anche quando hai la faccia mezza distrutta!” 
E detto questo uscii dalla stanza, prima che mi violentasse.
 
MEZZANOTTE E TRENTACINQUE, OSPEDALE.
“Smettila di muovere la gamba, mi fai salire l’ansia!” mi lamentai stridula, verso Bill.
“Scusa se sono nervoso mentre stanno ricucendo la faccia di mio fratello, là dentro!” sbottò lui, infastidito.
“L’infermiera ha detto che basteranno tre punti, non diventerà uno scolapasta..”
“Julie, piantala.” Si intromise Carol, lanciandomi un’occhiataccia dalla sedia davanti a noi, ed io sbuffai.
In quel momento riapparve il bassista, che reggeva eroicamente tre caffè “Volete?” chiese, nella nostra direzione.
Stavo per dirgli che a me faceva vomitare il caffè, ma poi vidi che Carol indossava gli stivali a punta e avrebbero fatto piuttosto male sui miei stinchi, quindi ne presi uno borbottando un grazie.
Lanciai uno sguardo alla sedia alla mia sinistra, dove giaceva raggomitolato il batterista “Ma è svenuto?” domandai.
“No, dorme.” Rispose George, scrollando le spalle “Ci siamo svegliati alle cinque stamattina.”
In quel momento notai che non solo Bill aveva ripreso a muovere la gamba, ma anche a tamburellare le dita laccate di nero sul bicchiere di caffè.
Tenetemi, tenetemi, tenetemi, tenetemi..
La porta della sala dove si trovava Tom si aprì, e apparve l’infermiera grassoccia di prima. Una certa Greta, stando al cartellino “I parenti di Tom Kaulitz?” domandò.
No, siamo della televendita dei materassi Eminflex.
“Sono il fratello. Come sta? E’ a posto la faccia? Posso entrare?” Bill scattò in piedi, facendo mille domande, ma non si curò di aspettare la risposta ed entrò comunque.
Tutti gli altri lo seguirono, rimasi solo io ad indugiare sulla sedia scomoda e blu nel corridoio che odorava di disinfettante. In realtà mi sentivo un po’ a disagio, voglio dire, ci aveva deliberatamente provato con me neanche due ore prima..
Oh, chissene frega! Abbandonai il caffè sulla sedia ed entrai anche io. Tom era comodamente seduto sul lettino d’ospedale, perfettamente conscio, e la faccia era stata del tutto ripulita. Rimaneva tre punti di sutura proprio sotto il labbro inferiore e un pezzo di garza all’angolo sinistro della fronte.
“Guarda che merda di faccia ti ritrovi. Si può sapere che hai fatto?” chiese Georg (ah-ah, avevo ricordato il nome!), fissandolo con una smorfia.
“Niente, problemi con una tipa.” Rispose lui, scrollando le spalle.
“E questa tipa ti ha lanciato addosso una sedia?”
“Gli avrà dato un pugno e lui sarà caduto addosso a qualcosa. Ho visto una ragazza molto grossa e bionda uscire dal corridoio prima che arrivassi.” Inventai sul momento, e tutti si voltarono a fissarmi stupiti.
Tranne Tom, che accennò un veloce sorrisetto complice. “Sì, è andata così.” confermò.
“Quindi..una ragazza ti ha picchiato?” riprese Bill, scettico.
“Oh bhè, sai come sono alcune fan esaltate, urlano per stordirti e poi diventano isteriche e incazzose senza alcuna ragione..”
Ma che alta considerazione delle donne. Ruotai gli occhi al cielo, fino ad incontrare lo sguardo di Carol che si limitò ad alzare le spalle.
Il telefono di Bill si illuminò, e lui scorse velocemente lo schermo “Sta arrivando David. Sveglio Gustav e ce ne andiamo, okay?”
“Perfetto.”
Tutti uscirono velocemente dalla stanza, rimasi solo io appoggiata alla stipite a braccia incrociate, in attesa del ringraziamento.
“Allora?” invogliai Tom, che nel frattempo si stava sdraiando pacatamente sul lettino.
Alzò un sopracciglio, mentre intrecciava le mani dietro la testa “Allora cosa?”
“Un ‘grazie per avermi parato il culo ed evitato la figura da mentecatto davanti a tutti’ sarebbe gradito.”
“Ah, giusto. Certo che avresti potuto inventarti qualcosa di meglio, tipo una scazzottata con qualche criminale, un killer, o magari Tom Cruise..”
“Idiota.” Sibilai, prima di voltargli le spalle e posare la mano sulla maniglia della porta.
“Ehi ehi, stavo scherzando dolcezza, calmati.” Esclamò, ed io mi fermai per lanciarli un’occhiata perplessa.
“Dolcezza..?”
Tom scese velocemente dal lettino, si aggiustò il cappello bianco sulla testa e si fermò a qualche centimetro da me.
Aveva davvero degli occhi particolari. Forse il taglio, o forse il fatto che fossero così neri..
“Grazie per avermi parato il culo.” Disse, allargando le braccia per poi farle ricadere sui fianchi.
“Non ti ci abituare.” Gli risposi, ficcando le mani nelle tasche dei miei jeans.
“Sei parecchio strana, Julia.”
“Julie, dannazione, mi chiamo JULIE!”
Fece un gesto seccato “Sì, come vuoi. Comunque, quando avrai finito di fare l’incazzata nera con il mondo chiamami pure.” Concluse, e prima che potessi sputargli in un occhio mi stampò un bacio a stampo sulle labbra.
Sentii una scarica elettrica attraversarmi da capo a piedi, e sgranai gli occhi. Lui ridacchiò della mia espressione, poi mi scompigliò i capelli ed uscì dalla stanza.
Oh. Signore. 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Pick up. ***


 scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare, ma mi ero scordata di doverlo fare D: dico sul serio.
comunque, come vanno le vacanze? io ora sono nella mia cità natìa (?) a crepare di caldo, ma il 13 me ne vado in cornovaglia e poi a londra (per la sedicesima volta) YEE
basta. non so che dire.
POLLO!
AHAH
ciao.








Arrotolai attorno alla forchetta altri spaghetti, prima di farli ricadere nel piatto come avevo fatto con i precedenti. Quella pasta era disgustosa, probabilmente perché non era veramente pasta. Chi mi assicurava che questi filini biondi non fossero in realtà i capelli della grassoccia donna della mensa? Nessuno, ecco chi.
E perché il condimento era verde? Ricordo perfettamente quando mamma e papà (in uno dei loro deliri di mezza età in cui credevano che fossimo una famiglia normale) avevano trascinato me e Ben a Pastalandia. E gli spaghetti alla bolognese non erano verdi.
“Li mangi quelli?”
Alzai gli occhi su Carol, che a bocca piena indicava con la sua forchetta il mio piatto.
Ma non si era accorta che ero stata in silenzio tutta la mattinata? Che non avevo toccato cibo? E che non avevo nemmeno fatto una qualche divertente battuta sui pantaloni a quadri gialli del professore di ginnastica?
A volte mi chiedevo se davvero valesse la pena essere amiche di Carol. Avrei potuto conversare con uno scoiattolo in coma, e sarebbe stato uguale.
“No, ingozzati pure e continua a fare come se niente fosse!” ribattei stizzita, allontanando bruscamente il piatto da me.
“Okay…” rispose, un po’ stordita “..Ma posso avere anche il budino?”
Mein Gott!
 
UN’ORA DOPO.
Avevo deciso che non avrei rivolto la parola a Carol finchè non mi avesse chiesto scusa. In realtà non credo sapesse di dovermi chiedere scusa, dato che non glielo avevo detto, ma una vera amica dovrebbe intuirlo, no?
Comunque, era l’ora di chimica, e dovevamo andare in laboratorio. Dio santo, questo camice bianco mi faceva sembrare una povera idiota! Eppure a Dottor House sembravano tutti così fighi in camice..
“Scusa, è occupato?” una voce femminile mi riportò sul pianeta terra, e smisi di lottare selvaggiamente con i bottoni del camice.
Solitamente Carol si sedeva sempre vicino a me, così io potevo incidere qualcosa di figo sul banco con le forbici mentre lei lavorava, ma oggi dovevo evitarla e quindi sorrisi alla biondina sconosciuta.
“No, puoi sederti.” Risposi, e lei sembrò sollevata. Si aggiustò gli occhiali grossi come dei televisori sul naso e posò la sua gigantesca borsa rossa sul banco. Poi si stirò la gonna nera che arrivava fino alle ginocchia (no, non le avevano bandite dopo che era passato il quattro avanti cristo!!) e si sedette.
Sembrava davvero una tipa bizzarra. Perché si era conciata in questo modo? Che gusto c’era a sembrare una stressata impiegata ultra cinquantenne a sedici anni? Bah.
Comunque avevo cose più importanti a cui pensare, del tipo: a chi potevo confessare quello che era successo con Treccia Spastica, in ospedale? Dovevo parlarne con qualcuno, non potevo portare quell’opprimente segreto fino alla tomba.
Carol era esclusa, a prescindere. Quindi rimanevano, ehm..

Nessuno. Certo, se fossi stata a casa mia, a Bristol, avrei chiamato Cathy o Jude, ma ormai loro saranno andate avanti con la loro vita, e si saranno scordate della povera ma strepitosa Julie Armstrong.
Ma allora a chi potevo dirlo? A chi?!
Improvvisamente sentii un fracasso terribile alla mia destra, e vidi che la biondina aveva fatto rovesciare tutte le fialette di vetro. Anche quelle del banco di dietro.
Ma come..?
“Ma cazzo, stai attenta!” esclamò irritata la voce di Daan Böhm, il fighetto palestrato della scuola. Sinceramente, non era neanche poi così carino, ma da quanto mi aveva detto Carol tutte impazzivano per lui e si ammazzavano per fargli annusare le loro mutandine, o qualcosa del genere.
Comunque la biondina divenne tutta rossa, e borbottò qualcosa che assomigliavano a delle scuse mentre rimetteva apposto le fialette. Ma Daan continuò a prenderla per il culo (almeno credo, non è che capissi molto) con il suo idiota e gorgheggiante compagno di banco.
Non so come, ma in quel momento ritrovai dentro di me la vena da Xena – Principessa Guerriera e mi incazzai tantissimo. Ma come si permetteva questo?
“Senti, Adolfo, perché non torni a giocare con la macchinine a scontro e non la smetti di rompere le palle alla mia amica?” gli dissi, innervosita. I due smisero subito di ridere, e mi lanciarono un’occhiata perplessa.
Sperai che avessero capito, perché mi stavo già cagando sotto dalla paura e non l’avrei ripetuto.
“Quindi ce l’hai una lingua, tu? Non sei autistica o cose del genere.” Ribattè, divertito, prima di battere il pugno al suo amico.
“Mi verrebbe da chiederti se ragioni con il cervello o con il cazzo, ma dato che non hai nessuno dei due non so che dire.” risposi, prima di rivolgerli un sorriso angelico. Lui divenne immediatamente rosso di rabbia, e stava per urlarmi qualcosa di molto molto offensivo in tedesco quando entrò il prof. e tutti si zittirono.
Dietro di lui entrò Carol, affannata. Si guardò intorno, e quando mi vide già con una compagna di banco fece una faccia offesa.
Così impara.
 
OTTO SECOLI DOPO
“Dio, grazie!” esclamai rivolta al cielo (soffitto) mentre il suono stridulo dell’ultima campanella si diffondeva per tutta l’aula. Tutti si alzarono e cominciarono ad uscire, ignorando bellamente il patetico Mr Schmitt che balbettava i compiti per la prossima volta.
Dico io, quest’uomo non ce l’aveva una moglie? Una moglie che gli dicesse ‘smettila di mettere quegli stupidi papillon..e fatti una permanente!’
Comunque non mi interessava. Dovevo correre a prendere l’autobus prima di Carol, in modo da non incrociarla fino a casa, quindi raccattai velocemente lo specchietto, il mascara, il lucidalabbra e l’astuccio che copriva specchietto, mascara e lucidalabbra.
“Ehm, scusa..” una vocina flebile interruppe il filo dei miei pensieri, e mi girai esasperata verso la biondina.
Oh madre santa, perché non si toglieva di dosso quell’espressione da koala smarrito nella savana? Mi veniva voglia di prenderla per le spalle e urlarle ‘c’è una vita qua fuori..vivila!!’
“Dimmi.” Risposi, il più cortesemente possibile.
“Volevo solo ringraziarti, per prima..con Daan. Nessuno zittisce mai Daan, tantomeno per difendere me. Qui lo assecondano tutti.” continuò, con una smorfia.
Io scrollai le spalle, come se non facessi altro nella vita che prendere a parolacce i fighetti della scuola e difendere gli sfigati “Figurati. La prossima volta rispondigli tu però, eh? Ci vediamo.” La salutai velocemente, dato che avevo visto la chioma di Carol spostarsi verso la porta.
“Io mi chiamo Alina!” mi urlò dietro lei, e io mi girai di nuovo “Julie!” risposi, con un sorriso un po’ tirato, prima di voltarle le spalle e prendere a correre verso la porta. Ma quando arrivai alle scale mi chiesi se non fossi stata troppo brusca.
Oddio, magari io ero la prima persona con cui parlava da anni e anni e ci era rimasta male. Magari pensava che saremmo diventate migliori amiche, o mi considerava la sua salvatrice, la sua eroina, il suo faro nella notte..
Domani mi sarei seduta vicino a lei a mensa. Scesi a due e due gli ultimi scalini, finchè non uscii nel cortile. Strizzai gli occhi, nel momento in cui mi arrivò una gocciolina di pioggia sul naso. Bene, stava pure per piovere.
Continuai a camminare spedita verso la fermata, guardandomi intorno alla ricerca di Carol. Se stava già aspettando l’autobus, era la fine.
Bhè, non proprio la fine, ma sarebbe stato molto più difficile non parlare avendola a tre centimetri da me.
“Psss!”
Sentii uno strano sibilo, e rallentai il passo. Mi guardai dietro, ma non c’era nulla di strano, solo studenti.
Ripresi a camminare, quando sentii un altro “Psssssss!”
Aggrottai la fronte, e presi a girare su me stessa come un’idiota. Okay, non potevo essermi immaginata lo stesso rumore per due volte di seguito, no? Io non sono pazza.
“Bill ma devi pisciare?”
“No, la sto chiamando!”
“Se continui a sibilare così ti prenderanno per un idiota. E non avranno torto.”
Riconobbi quelle voci, e li inquadrai appostati dietro al giornalaio. O meglio, Bill era semi raggomitolato e nascosto, mentre Tom era semplicemente appoggiato al muretto. Ruotai gli occhi al cielo, e mi avvicinai svelta.
“Tranquillo Bill, non ti noterà nessuno con questi stivali con le borchie e il k-way giallo da maniaco.” Lo rassicurai, sarcasticamente.
“Vedi Tom, te l’avevo detto che non sarei sembrato uno di quelli che lavorano di notte sull’autostrada!” esclamò trionfante lui, ignorando il mio sarcasmo. Il cesso ninfomane ruotò gli occhi al cielo, sospirando.
“Che ci fate qui?” continuai.
“Siamo venuti a prendere te e Carol! Lei non è con te?” domandò Willy, guardando oltre le mie spalle.
“Siete..venuti a prenderci? Perché?”
“Perché vogliamo portarvi sul cucuzzolo di una montagna e darvi in pasto agli alpaca.” Ribattè ironico El Treccia.
“Bill, hai sentito anche tu questo ronzio? Chissà da dove viene..” commentai, senza degnarlo di uno sguardo, ma vidi la faccia di Bill illuminarsi.
“Quella è Carol! La vado a chiamare.” Esclamò, poi si portò il cappuccio giallo del k-way sulla testa, si guardò intorno furtivamente e si allontanò, lasciandomi sola con quello.
Ora cominciavo a sentirmi in imbarazzo. Dovevo far finta di niente, come se non fosse successo assolutamente nulla..
Ma in effetti, era stato solo un bacio a stampo, che vuoi che sia? Una cosa così veloce che a malapena potevi dire che fosse accaduta sul serio.
E poi magari era solo inciampato e si era aggrappato..uhm, alle mie labbra. Tutto può essere, no?
“Vuoi?” la sua voce mi riportò da Baciolandia al pianeta Terra, e mi accorsi che aveva una sigaretta tra le labbra e mi porgeva il pacchetto.
“No, non fumo.” Mentii. Bhè, non era proprio una bugia, avevo fumato solo un paio di sigarette con Corey, ed entrambe le volte avevo quasi vomitato sulle sue scarpe. All’inizio pensavo che mi avrebbero dato un’aria più chic e misteriosa, ma l’unica cosa che ti danno è un alito pessimo.
“Che brava bambina.” Commentò, accendendosi la sigaretta con un sorrisetto.
“Sei così rompicoglioni con tutto il mondo o è un trattamento riservato a me?”
“Non crederti speciale, lo sono con tutte.”
“Uuuh, il fascino del cattivo ragazzo. Ho i brividi. Puoi farmi un autografo sulla tetta destra?” domandai, candidamente.
“Prima dovrei riuscire a trovarle, le tue tette.” Replicò, divertito.
Oddioddio, perché ogni volta che apriva bocca mi veniva voglia di ucciderlo? Dio, se ci sei, fa che Carol abbia il corso di ceramica questo pomeriggio e che non possa accettare il passaggio!
“Ehi Julie, dato che ci danno un passaggio li ho invitati a cena, stasera!”
La voce di Carol comparve dal nulla, per distruggere tutte le mie speranze.
Evviva. 
 


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Capitolo 9
*** k-way all the way. ***


da quant’è che non aggiorno? credo parecchio :O
scusate, ma in questi giorni mi sono venute 28367256253 idee per altre storie/one-shot e non mi sono più cagata questa.
sorry.
anywaaaay, lunedì alle sette e mezza di mattina devo trovarmi all’aeroporto per partire, quindi aggiorno ora. Tornerò il 23 agosto, baaaaabes.
ah, non so se Bill abbia un impermeabile giallo, ma vi assicuro che non si veste solo di nero AHAHA.
detto questo, godetevi questo capitolo AHAH
besos.

 
 
 
 
 
 
“Un giorno Carol dovrà spiegarmi perché cazzo ha deciso di accendere il fuoco oggi.” Sibilai, afferrando un pezzo di legna e mettendomelo nel cumolo a sinistra, insieme agli altri.
Dopo un terrificante viaggio in macchina nel quale avevo preferito confondermi con i sedili piuttosto che parlare, la mia cara amica aveva chiesto chi volesse andare nella savana davanti casa nostra per raccogliere un po’ di legna ed io ero praticamente corsa in quella foresta, sperando di potermi perdere tra gli abeti ed avere un po’ di pace.
Ma l’altro gemello era venuto con me.
Bill fece una faccia perplessa, mentre dava dei calcetti ad un tronco gigantesco, facendolo rotolare di qualche metro. “Secondo te ci sta quello nel camino?”
“No, ma nel culo di tuo fratello probabilmente sì.”
Parlai senza riflettere (non era insolito) e pensai che si sarebbe arrabbiato, invece Catty scoppiò a ridere.
Era davvero buffo, con quel k-way giallo banana e il trucco sugli occhi. Ma almeno lui era riparato dalla bufera, io stavo per congelare. Sarei diventata un cubetto di ghiaccio, e tra centomila anni qualcuno mi avrebbe scongelato per studiarmi, come fanno ora con i mammut.
Almeno credo.
“Non sei la prima che dice qualcosa del genere.” Commentò “Ma saresti la prima a provarci. Non lo so, non ho mai misurato il diametro del culo di mio fratello.”
Abbozzai un sorriso, che se avessi avuto meno freddo sarebbe stato una risata. Sfregai le mani l’una con l’altra, prima di incrociarle al petto sperando di scaldarmi un po’.
Freddo freddo freddo FREDDO!
Willy mi squadrò, alzando un sopracciglio “Stai bene?” chiese.
“Certo, non si vede? Io sono in jeans e maglietta e fanno solo meno quaranta gradi, con un vento che farebbe volare una mucca incinta e questa pioggerella così poco fastidiosa. Alla grande.” Risposi sarcasticamente, peccato che stessi battendo i denti.
“Bhè, questo cappuccio è enorme. Puoi provare a mettere anche la tua testa, per evitare la pioggia.” propose, tirando da un lato l’enorme cappuccio giallo.
Lo guardai come si guarda un pazzoide nel mezzo di una tempesta (infatti..) però..però stavo congelando, e qui non c’era nessuno.
E me l’aveva chiesto lui.
“Okay, proviamo.” Acconsentii, e mi avvicinai. Dopo circa tre secondi ci accorgemmo però che era possibile mettere la testa sotto lo stesso cappuccio solo aprendo tutta la zip del k-way.
“Idea!” esclamò lui, e cominciai a preoccuparmi. Poi sfilò un braccio da una manica del k-way “Metti il braccio qua dentro, poi tiriamo su la zip e metti la testa nel cappuccio.”
Io lo guardai.
Lui mi guardò.
Guardai il k-way.
E di nuovo lui.
“Se qualcuno ci vedesse, sarebbe difficile da spiegare.” Dissi, ragionevolmente. Bill si guardò intorno “Gli alberi non sembrano interessati.”
Stare nella stessa giacca con Bill Kaulitz, o morire di ipotermia?
Questa è difficile.
Mmm.
 
DIECI MINUTI DOPO
 
“DESTRA, Bill, vai a DESTRA!”
“Un attimo, mi confondi! La mia o la tua?”
“E’ la stessa, idiota!”
Scoppiammo a ridere, mentre finivamo quasi per rotolare nella fanghiglia. Stretti come acciughe infreddolite dentro il suo k-way si stava molto più al caldo, anche se il mio braccio destro continuava a strusciare sul suo sinistro. Comunque lui era magrolino, e anche io non ero proprio un’elefantessa, quindi stavamo piuttosto comodi.
Alla fine avevamo rinunciato al cappuccio, le nostre facce erano già abbastanza vicine, e se lo avessimo messo avremmo finito per pomiciare anche solo aprendo la bocca per respirare.
“Ma sei sicura che è questa la strada per tornare?” chiese lui a un certo punto.
“No, ma prima o poi la foresta finisce, no?”
Mi guardò terrorizzato per qualche secondo, poi scoppiammo entrambi in una risatina isterica.
Oddio, mi faceva troppo ridere la sua risata. Cominciai a ridere più forte.
“Perché ridi?”
“Perché mi fa ridere come ridi!”
“Anche a me!”
“Anche a te fa ridere come ridi?”
“No, mi fa ridere come ridi..tu!”
Ora non riuscivamo neanche a respirare per quanto stavamo ridendo. Oddio, oddio mi faceva male la pancia, basta, BASTA! E non c’era neanche nessun motivo per ridere!
“Mi..mi fa male la pancia!” rantolai, tra le risate, mentre praticamente barcollavamo.
“Vuoi un massaggino?”
Ad un certo punto misi un piede in fallo e precipitai per terra, tirandomi dietro anche Bill che mi usò come tappeto. Ci sfuggirono di mano tutti i tronchi, che rotolarono giù per una discesa piena di foglie secche.
“Bill, BILL NON RESPIRO!” strillai, mentre tentavo di rotolare su un fianco per rimetterci in piedi, ma stavo ancora ridendo.
“Sembriamo una salsiccia gialla!” Commentò lui, divertito, mentre io tentavo di tirare giù la zip per uscire da quel k-way.
Vai giù, vai giù! Giù giù giù giù!
Continuai a strattonarla per un po’, ma quella rimaneva sempre ferma. Sbuffai, e smisi di lottare. Potrei rimanere sdraiata nello stesso k-way con Bill per tutto il giorno, che mi importa?
“Forse gli altri ci cercano.” Esclamai. Will mi fissò per qualche secondo, poi ricominciammo entrambi a ridere.
“Per un momento ci ho quasi creduto. Poi mi sono ricordato chi è mio fratello.”
“Basta, adesso torniamo a casa!” dissi, decisa, e mi mossi per mettermi in piedi. Grazie al cielo Catty mi seguì nei movimenti, e riuscimmo a rimetterci per verticale senza ucciderci.
“Questa strada mi sembra di averla già fatta.” Considerai, guardandomi attorno.
“Anche a me. Oddio, stiamo girando in tondo! Come nella foresta di Jumanji! E se salta fuori una tigre?”
“Sì, e magari anche un drago azzurro che vomita arcobaleni! Intendevo che forse questa è la strada che abbiamo fatto per arrivare, quindi magari siamo vicini a casa.”
Bill fece una smorfia, fissando la discesa davanti a noi “Non riusciremo mai a scendere restando in piedi.”
Riflettei per qualche secondo, poi alzai un sopracciglio “Allora scenderemo non in piedi.”
 
UN MINUTO DOPO
 “Non ci credo, non ci credo che l’abbiamo fatto sul serio!” esclamò ridendo, mentre facevamo per rimetterci in piedi.
“Intanto ci abbiamo messo pochissimo. Ed eravamo comodi.” Considerai, togliendo con il braccio libero un po’ di foglie dal k-way che ormai non era più giallo. Piuttosto verde.
Verde-marrone. Non voglio indagare.
“Adesso dobbiamo trovare un modo per uscire di qui.” Continuai, indicando la giacca.
“La zip è bloccata.”
“E fin qui c’ero anche io.”
“Sfiliamo dalla testa, no?”
Giusto. Questo ragazzo/felino era molto più sveglio del fratello, ecco perché parlava lui nelle interviste.
“Okay, al tre cominciamo a togliere le braccia dalle maniche e poi lo sfiliamo. Uno, due, tre!” contai, e ci mettemmo all’opera. Peccato che per togliere le braccia dalle maniche dovessimo schiacciarci ancora di più dentro alla giacca, praticamente ci stavamo sovrapponendo.
“AHIA!” strillai, quando mi arrivò una gomitata su una costola.
“Ah, era un tuo fianco quello?”
“No, era di Bob Marley, c’è anche lui qua dentro.” Replicai, e lui mi fece una linguaccia, continuando ad armeggiare con la manica.
Okay, avevamo fatto. Dovevamo solo sfilare il k-way dalla testa. Peccato che ci stessimo praticamente respirando addosso.
“Bill, non girare la testa.” Mi raccomandai.
“Perché?” domandò, e ovviamente girò la testa, e le sue labbra finirono dritte sulle mie guance.
“Ah, ho capito.” Continuò, ritornando a guardare fisso davanti a sé con un sorrisetto divertito. Non lo so, qualche altro membro della famiglia Kaulitz vuole baciarmi?!
Per lo meno questo era stato sulla guancia.
“Andiamo!” lo incitai, e stavamo per iniziare la nostra opera di sfilamento (sfilazione..? sfilanza?) quando apparvero davanti a noi Carol e Tom.
Dal nulla.
Ci guardarono, e mi chiesi come dovevano apparire un ragazzo e una ragazza al limitare di una foresta rinchiusi nella stessa giacca.
Dallo sguardo scandalizzato di Carol e quello gelido di Tom, dedussi non bene.
Grandioso.

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