E se io vivessi d'odio?

di IamShe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tutta la verità ***
Capitolo 2: *** Nel segno di Shinichi ***
Capitolo 3: *** Mio eroe ***
Capitolo 4: *** Incontro indesiderato ***
Capitolo 5: *** Nuove conoscenze ***
Capitolo 6: *** Sogno o son desta? ***
Capitolo 7: *** L'arte del travestimento ***
Capitolo 8: *** Chi sei davvero? ***
Capitolo 9: *** Un gioco pericoloso ***
Capitolo 10: *** Imprevedibili sviluppi ***
Capitolo 11: *** Riuniti ***
Capitolo 12: *** La mia arma meravigliosa ***
Capitolo 13: *** Solo per voi ***
Capitolo 14: *** Parole di metallo ***
Capitolo 15: *** Il limite del pericolo ***
Capitolo 16: *** Ladro, poliziotto e detective ***
Capitolo 17: *** L'ultima notte ***
Capitolo 18: *** L'amore e l'odio ***
Capitolo 19: *** Tutto come prima ***



Capitolo 1
*** Tutta la verità ***


Premessa
Ma ciao! Ma chi è tornata a rompervi le scatoline con le sue storielle
strappalacrime e sdolcinate? Ma sì, proprio io. No, non disperate, questa fan fiction
durerà solo una sessantina decina di capitoli, quindi sarà abbastanza breve :D
No, in realtà non so quanto durerà, ma indubbiamente non raggiungerà quota
trenta capitoli, come nell’altra mia fan fiction.
E’ lecito avvisarvi che la sottostante storia è un ipotetico continuo di “Vivere d’emozioni”.
Il tutto riprende sette anni dopo, mentre gli eventi filtrano tutti attraverso il punto di vista di Ran.
Per chi non avesse letto la precedente non c’è alcun problema:
non saranno fatti particolari riferimenti agli eventi passati (casomai capitasse lo scriverei).
Comunque, nel caso voleste avere un quadro generale di quello che è accaduto,
e non aveste voglia di leggervi VdE, a fine
capitolo troverete un piccolo sunto, in modo da chiarirvi le idee.
Consiglio vivamente di non leggerlo, nel caso voleste un giorno interessarvi a VdE, perché
perdereste sostanzialmente tutto il bello della storia. (Seeee, come mi vanto :D)
Detto ciò, non mi resta altro che lasciarvi leggere la mia seconda fan fiction, con la speranza
che piaccia e che vi colpisca. Lasciatemi una recensione, in modo da farmi capire le vostre impressioni.

 
 
Un ringraziamento speciale a coloro che hanno seguito e recensito “Vivere d’emozioni” 
 
 
E se io vivessi d’odio?
1 . Tutta la verità
 
 
E se io vivessi d’odio?
Ormai è l’unica, costante e tartassante, domanda che alberga il mio cervello. Non so più cosa significhi vivere d’emozioni, cosa significhi amare. Sono spenta, svuotata. Sono corpo senza anima, sono mente senza ragione. E ciò che mi fa più male, che mi pugnala e mi getta in un fiume infuocato, è che non trovo la forza di reagire, di andare avanti. Non ci riesco, non ci provo neppure. Nemmeno nell’incontrare gli occhi azzurri di mio figlio, profondi come il mare, belli come i suoi. E mi scopro impotente, inutile, stupida, spaesata.
Sento una lacrima scendermi sul viso, ma poco ci bado, credo di averci fatto l’abitudine.
Sono tre settimane che gocce d’acqua amara mi impregnano la pelle, quasi come a volerne fare un guscio, un’armatura, un recinto di mura, fuori dai quale vita non esiste, Ran non esiste.
Mi aggroviglio su me stessa, proteggendomi il corpo con le mie stesse mani, nel vano tentativo di riscaldarmi, nella povera speranza di sentire quel calore che mi manca, e che in questo letto proprio non riesco a trovare. E’ freddo, è gelido, è grande. Troppo.
E lo è per colpa sua, perché credo che sia così, perché lui non c’è, lui non c’è più. Cerco inutilmente di chiudere gli occhi, lasciar andare via le palpebre così come i miei pensieri, le mie paure, le mie debolezze. Afferro il lembo del piumone che mi copre, portandolo su, fino al naso. Mi sotterro tra le lenzuola, comincio a singhiozzare, e lentamente, a morire. Giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Ogni istante che passo senza di lui mi toglie una parte di me, la più importante e la più infima. Sento il sonno cadermi addosso, e mi accoccolo tra le braccia di Morfeo, sprofondando la testa nel cuscino fradicio.
Mi sveglio di soprassalto, serrando gli occhi, e alzandomi di scatto dal letto, lancio via le coperte. M’incammino velocemente verso la stanza di Conan, cercando di capire cosa stia succedendo. Ho sentito il suo pianto, le sue grida, il suo chiamarmi insistente. Entro in camera, e fiondandomi sul materasso, lo abbraccio forte, asciugandogli con le dita le lacrime.
“E’ tutto passato tesoro, era solo un incubo” gli dico, cercando di essere convincente, e di persuadere anche me. Ma il mio bambino continua a stringermi forte a sé, e tra gli ansimi di una voce rotta e rauca, ed una fronte sudata, mi parla ininterrottamente dell’ennesimo incubo, e dell’ennesima volta in cui ha visto il padre. E così mi rendo conto di vivere d’odio.
Verso il destino, verso me stessa e verso Shinichi, che ci ha abbandonati, che ci ha lasciati soli.
Ricomincio a lacrimare, ma alzo il capo, in modo che Conan non mi veda. Lui ha solo me adesso, e se io cado, cadrà anche lui, insieme a me. Mi asciugo velocemente, e tirando su il naso, ringrazio il buio che cela al mio bambino i miei occhi rossi e gonfi. Lo discosto un po’ da me e gli accarezzo il viso, sfiorandogli la pelle. E’ identico a Shinichi. Ha i suoi stessi occhi, il suo stesso naso, la sua stessa fronte, le sue stesse labbra. Se non fosse che la madre è sicura, avrei fatto fare un test del DNA; sembra che mio marito l’abbia concepito lui solo, nostro figlio.
Ma poi, osservandolo meglio, ne rapisco anche i miei tratti, come il suo essere debole, e costantemente dipendente da Shinichi, dalla sua figura, dalla sua presenza. E mi rendo conto che lui ha bisogno del padre quanto io di mio marito, e che sarà difficile combattere con la consapevolezza di non vederlo più, mai più.
“Mamma” mi chiama, distogliendomi dal mio flusso di pensieri. “Perché proprio papà? Chi è stato mamma? Chi?”
Ecco, adesso somiglia proprio al padre. Ha lo stesso spirito indagatore, la stessa curiosità, la stessa testardaggine. Io, invece, non ci ho proprio pensato. Ricordo solo che, tre settimane fa, un Heiji distrutto e lacrimante mi disse che Shinichi era morto in un incendio, a causa dello scoppio accidentale di un magazzino di fuochi d’artificio, dove lui era andato ad indagare per un caso. Ricordo che sentii il mondo cadermi addosso, e come una pioggia di meteoriti che si infrange sulla Terra deformandola per sempre, la mia anima venne lacerata dal potere tagliente di quelle parole.
“Non lo so tesoro,” mi sforzo di rispondergli, cercando di rasserenarlo. “Sai come è andata.”
“Mamma, non è possibile!” mi esclama lui, quasi arrabbiato, quasi convinto di quello che stesse dicendo. Perché è così cocciuto? Perché deve somigliargli così tanto?
“Perché no?” ribatto, abbassando il capo al pavimento, torturandomi la pelle delle mani con le mie stesse dita.
“Papà non può essere morto in un incendio accidentale,” si azzarda a dire, guardandomi e costringendomi ad osservarlo.
“Lui era troppo intelligente, era il migliore. E’ stato qualcuno mamma, c’è qualcuno sotto.”
Quasi mi viene da ridere. E mentre rido, piango disperatamente. E’ così astuto Conan, così intraprendente, così sveglio. E’ così come Shinichi che, non so se allietarmi del suo ricordo attraverso mio figlio, o soffrire della sua mancanza, ricordatami costantemente dal mio bambino. Sospiro, rassegnata, e gli passo una mano tra i capelli corvini e ribelli, come quelli del padre.
“E tu vorresti scoprirlo, giusto?”
“Sì” mi risponde sicuro, muovendo il capo su e giù. “Insieme a zio Heiji ci riusciremo.”
Sorrido appena, e lo adagio sul materasso, nel tentativo di farlo dormire. Gli rimbocco le coperte, aggiustandogliele sul petto.
“Adesso dormi però, ti servono le energie per fare il detective. Perché tu vuoi diventare un investigatore, giusto?” lo schernisco, mentre in cuor mio prego Dio cambi idea. Di casi misteriosi ne ho sentiti a bizzeffe, di detective nella mia vita ne ho avuti fin troppi, ed è stato proprio quel lavoro a strapparmi Shinichi, così violentemente, senza alcun preavviso. Lui mi guarda tenace, ma con occhi lucidi. Non riesco a decifrare quell’espressione, non riesco a capirlo.
“Sì mamma. Diventerò un detective, proprio come papà.”
Riesco a sorridere, soddisfatta.
 
 
 
 
Avrò dormito all’incirca tre ore scarse. Dopo aver lasciato Conan nel suo letto ho raggiunto la mia stanza, ma nell’entrarci, ho deciso di evitarla. D’ora in poi dormirò sul divano di casa, è abbastanza comodo e sufficientemente grande. Io e Shinichi non ci siamo mai addormentati sul salotto di casa, abbiamo sempre vissuto appieno il nostro matrimonio nel grande lettone che ci regalarono i suoi genitori. Almeno così la notte non aspetterò che lui arrivi, come di consueto, a ficcarsi nel letto dopo un’esasperante giornata lavorativa, o magari che mi abbracci, che mi baci, come faceva sempre da sette anni a poche settimane fa. Sento i piccoli passi di mio figlio scendere le scale di casa, e avvicinarsi alla cucina, dove, da sola, sono a prendere un caffè. Scosta una sedia dal tavolo, e arrampicandosi su di essa, si mette a sedere, aspettando che io gli prepari la colazione.
Lo guardo di sottecchi, e comincio a prenderlo un po’ in giro, in modo da sdrammatizzare la situazione.
“Non mi saluti neanche più la mattina adesso?”
Conan sembra non sentirmi e si mantiene il viso con le mani, sprofondando gli occhi nel vuoto più assoluto. Ecco, nuovamente, Shinichi. Anche lui lo faceva, a volte mi ignorava, si immergeva in un mondo tutto suo, fatto di deduzioni e meccanismi logici; e questo mi faceva stizzire, come nessun’altra cosa al mondo. Cos’aveva da pensare sempre? Per una volta avrebbe potuto spegnerlo quel cervello, magari sarebbe andata diversamente. Gli verso il latte nella tazza, e mi avvicino alla tavola, prendendogli anche i biscotti, i suoi preferiti.
“Ehi? Mostriciattolo?” lo chiamo, tentando di riportarlo al concreto. In realtà era il padre a chiamarlo sempre in questo modo, con quest’appellativo. E nel farlo, mi sembra di ritornare indietro nel tempo, quando tutto era perfetto, quando niente poteva separarci.
“Sì?” mi risponde distratto, come se io lo stessi disturbando quasi. Assottiglio gli occhi, dandogli un pizzico sulla guancia.
“Il latte. Si raffredda.”
Ma ancora una volta, non sembra badare alle mie parole. Si gira fisso verso me, che prendo posto alla sua sinistra, poggiandomi sul bordo del tavolo.
“Papà aveva dei nemici?” mi domanda diretto, come se io ne sapessi più di lui. In quel periodo era un miracolo se riuscivo ad allacciarmi le scarpe, figuriamoci scavare nei meandri della mia ragione, dove di Shinichi non volevano saperne.
“Beh, sicuramente, era comunque un detective di fama nazionale” rispondo, mantenendomi sul vago. Poi ci ragiono distrattamente. Effettivamente sì, aveva dei nemici, innumerevoli. Persone che lo odiavano per le sue ricchezze, la sua vita, la sua bellezza, le sue capacità. Ma di lì a pensare che qualcuno lo volesse addirittura morto ce ne voleva. E poi io di verità non volevo sentirne parlare. Sapere cosa sia effettivamente successo in quella maledetta giornata non mi riporterà indietro il mio Shinichi. Tanto vale cercare di dimenticare il prima possibile.
“Qualcuno in particolare?” mi chiede, ma non ci faccio caso, poiché vengo distratta dall’aprirsi della porta di casa, e dall’avvicinarsi di una delle persone più care della mia vita, in questo momento ed in altri: Heiji.
“Ehilà!” ci saluta tutti e due, accompagnando con la mano quella di Sophie, sua figlia, nonché migliore amica di Conan.
“Ciao Heiji” ricambio con la mano, per poi rivolgermi alla piccola, cercando di sfoderare un bel sorriso. “Ciao Sophie.”
“Ciao zio!” lo saluta entusiasta mio figlio, per poi dirigersi spedito verso di lui, ignorando completamente la sua amichetta, che intimidita cercava di attirare la sua attenzione. Sorrido: mi ricorda qualcuno.
“Ehi campione. Hai preparato lo zaino? E’ tardi” lo riprende Heiji, che da qualche giorno si è preso il compito di accompagnare sia Sophie che Conan a scuola, prima di rintanarsi nel suo ufficio, alla polizia di Tokyo. Lo osservo, scrutando attentamente ogni particolare. E’ pallido, e nonostante cerchi di mascherare il dolore attraverso lo scherzo, dalla sua voce traspare l’agonia, la debolezza, la mancanza di Shinichi. Alzo lo sguardo al soffitto, rivolgendomi a mio marito, e chiedendogli dove sia, ora che abbiamo bisogno di lui. La voce squillante di mio figlio mi distrae, allontanando nuovamente l’immagine del padre.
“Zio oggi non vado a scuola. Dobbiamo indagare per il caso di papà! Non c’è tempo da perdere!” esclama trionfante, mentre vedo arricciare il naso di Heiji, che indagatore si rivolge a me, come a dovergli dare un consenso.
“Non se ne parla proprio. Conan deve andare a scuola, è un bambino” affermo sicura, guadagnandomi lo sguardo deluso di mio figlio, che si aggrappa alla gamba di Heiji, cercando appoggio e comprensione.
“Mamma e dai!” si lamenta, piagnucolando. Come fa a non capire che questo non è un gioco? Ci manca solo che marini la scuola a causa di tutto ciò. Lo guardo severa, un po’ nervosa. La situazione non è delle migliori, e lui non dovrebbe mettersi contro di me.
“Conan no. Devi andare a scuola.”
Vedo mio figlio sbuffare, e alzare lo sguardo verso lo zio, cercando in lui una possibile arma di vittoria.
“Zio per favore!” sbraita ancora. Non demorde, è inutile, è come Shinichi. Heiji si abbassa alla sua altezza, poggiandogli le mani sulle spalle.
“Facciamo così: io vi accompagno a scuola e quando hai finito vieni in un ufficio da me, sei contento?” gli chiede, sperando di averlo convinto. Storco le labbra, in evidente disappunto.
“Mi prometti che indaghiamo?” gli domanda ancora, intenerendomi. Shinichi sarebbe orgoglioso di lui, ne sono sicura.
“Certo campione” lo rassicura Heiji, facendogli l’occhiolino.
“Indagheremo insieme. Proprio come facevamo io e il tuo papà” gli rivela, lasciando trasparire infinite note di nostalgia e tristezza. Riemergo anche io dai ricordi, osservando cupa il mio amico, che si rialza all’in piedi.
“Allora noi andiamo” mi dice, invitando a salutarmi anche Conan e Sophie. Mio figlio sembra completamente immerso nel pomeriggio che deve ancora vivere, entusiasta di dover scoprire la verità, tutta la verità sul padre. Colpa di Shinichi, che ha insegnato lui questi valori, e che sbandierava manco fossero giudizi universali. Li vedo incamminarsi verso la porta, ma decido di fermare Heiji, chiamandolo con voce roca.
“Stai attento a Conan, per favore” lo supplico quasi, preoccupata per la salute del mio piccolo. Quando si cacciano in queste investigazioni non fanno altro che ritrovarsi nei guai, in guai seri. Proprio come Shinichi, che a causa della sua irrefrenabile curiosità si è ritrovato contro i più spietati criminali, le menti più acute di questo mondo. E poi ho un brutto presentimento, non so perché.
Heiji mi rassicura, lanciandomi un sorriso.
“Certo, sai che è come un figlio per me.”
 
 
 
 
 
Sono le otto passate e di Conan ed Heiji nemmeno una traccia. Ticchettio le dita sul tavolo, cercando di ammazzare il tempo con un fastidioso ed assordante rumore, che inganni la mia mente, e mi svii verso pensieri più positivi, meno drammatici. Da quando Shinichi non c’è più non faccio altro che pensare in negativo, che potrebbe succederci di tutto, che siamo vulnerabili a qualsiasi cosa. Sono stata sottratta del mio punto di riferimento, dello scoglio a cui aggrapparmi nel caso affogassi. E adesso mi sembra proprio d’affogare, ma non in un mare qualsiasi, ma in un vortice senza capo né coda, senza inizio né fine. E’ un eterno precipitare il mio, ma senza alcuna direzione.
Decido di alzarmi, prendere le chiavi dell’auto, ed incamminarmi per le strade di Tokyo, in modo da fuggire da quel luogo denso di ricordi. Sfreccio per la capitale nipponica, giungendo a destinazione dopo una ventina di minuti. Il Sole è calato e il buio regna sovrano nel cielo, l’atmosfera è inquietante. Ma come mi sarà venuto in mente di venire in questo posto, di sera, d’inverno, non riesco ancora a capirlo. Eppure l’istinto mi dice di continuare, di raggiungerlo. Con mia sorpresa trovo il cancello aperto, che mi permette di entrare in quel luogo dove il silenzio si fa padrone dell’aria, dove emergono lamenti e pianti, vite spezzate, ridotte a sola cenere. Cammino per qualche minuto, fino a fermarmi vicino ad una lapide marmorea, fredda, gelida, proprio come la mia vita. Mi siedo, sospirando, osservando l’epigrafe incisa sulla roccia: Shinichi Kudo.
“Ciao amore” lo chiamo, convinta che lui riesca a sentirmi. Eppure sarà da qualche parte in questo mondo, o in un’altra galassia, o nell’universo. La mia voce gli arriverà, e non lo lascerà mai solo. “Conan ti assomiglia tanto, sai? Sì, certo che lo sai. E’ astuto, intelligente, curioso, testardo. E’ anche bello come te, avrà sicuramente tantissime ragazzine che gli girano intorno. Quando lo guardo mi sembra di rivederti, e questo mi allieta, anche se di poco. Adesso si è convinto di dover scoprire la verità sulla tua morte. Ti prego, aiutalo tu se puoi, e se sarà necessario.”
Mi fermo un attimo, permettendo alle lacrime di solcarmi il viso e di bagnarmi le labbra, infreddolite e secche.
“Ma perché c’è qualcosa da scoprire poi? E’ stato un incidente giusto? Un incidente! Uno stupido incidente che ti ha tolto a me! A noi!” urlo, sicura che nessuno possa sentirmi, sperando che i miei singhiozzi gli arrivino, in un modo o nell’altro. Cerco di riprendere il controllo di me stessa, poggiandomi una mano sul cuore, e sospirando lentamente.
“Vedi? Io poi non sono cambiata; piangevo prima per te, e piango in continuazione anche adesso” continuo a sbraitare, mentre fisso il mio sguardo sulla lapide, che riporta la sua foto, il suo volto. Fa male, fa davvero male.
“Mi manchi...M-mi manchi tantis-”
Spezzo il flusso delle mie parole, a causa di uno strano rumore che sento in lontananza. Sembrava il fruscio di alcune foglie, ma non c’è vento. Mi alzo all’in piedi, intimorita dall’atmosfera, degna di un film horror, e mi allontano di qualche passo, restando attenta all’ambiente circostante. Sento nuovi fruscii di foglie, questa volta molto più lontani, più distanti. Qualcuno mi stava osservando, e senza farsi notare è fuggito via, nella più profonda delle tenebre. Ma chi era? Preoccupata, lancio un ultimo sguardo alla lapide per poi avviarmi verso l’entrata del cimitero. Comincio a ragionare, e ripenso al cancello aperto che ho trovato all’andata, incredibilmente insolito. Esco e mi fiondo nell’auto, con il cuore in palpitazione.
Senza pensarci troppo do gas, e velocemente mi allontano, lasciandomi alle spalle una figura immersa nel buio più totale.
 
 
 
 
 
Mi ritrovo alla centrale di polizia, senza neanche esserne cosciente. Ho ancora gli occhi serrati e le mani tremolanti per quello che è appena successo. Sono sicura ci fosse qualcuno ad osservarmi, che appena si sia accorto di essere stato scoperto, sia fuggito a gambe levate. Scendo dall’auto, andando alla ricerca di mio figlio e del mio quasi cognato, sperando che stiano tutti bene. Il fruscio di quelle foglie si ripresenta nella mia testa, facendomi rabbrividire. Diventa un’ossessione per la mia coscienza, che non fa altro che martellarmi, e suggerirmi idee avventate e pericolose. Distolgo il flusso dei pensieri, ed entro nella centrale, facendomi accogliere dall’aria calda dei condizionatori, che permette al mio sangue di circolare nelle mie vene, dopo essersi congelato. Chiedo di Heiji, e gli agenti mi accompagnano nel suo ufficio, dicendomi che non ne è uscito per tutto il pomeriggio.
Apro la porta e mi ritrovo davanti Conan, indaffarato in alcune scartoffie, che repentinamente alza lo sguardo verso di me, quasi compiaciuto. Mi volto a guardare Heiji, che cerca nei suoi archivi qualche caso passato, e dall’impegno che ci mette, deve essere di notevole importanza.
“Ciao mamma! Scusa se non ti abbiamo avvisato, ma abbiamo avuto molto da fare” mi viene incontro il mio piccolo principe, con un sorriso soddisfatto sulle labbra, che non mi fa pensare a nulla di buono.
“Allora? Avete scoperto qualcosa?” reggo il gioco, cercando di non far trapelare dalla mia bocca l’ansia e il terrore che mi percuote. Mio figlio annuisce, e mi prende per mano, dirigendomi verso la scrivania di Heiji.
“Guarda mamma! Guarda qui!” mi suggerisce Conan, mentre cerco lo sguardo di Heiji, che proprio non ne vuole sapere di girarsi a salutarmi. Osservo il foglio che ha in mano il mio bambino, e ne leggo il contenuto: è un articolo di giornale che parla di un incendio ad una prigione, avvenuto all’incirca un mese fa. Inarco un sopracciglio, cercando di capire cosa quel documento dovesse dirmi. Rileggo meglio il nome della prigione, quella di Tottori, e mi sembra tutt’altro che estraneo.
“Heiji, che significa?” gli domando, incominciando a preoccuparmi seriamente. I fili del passato cominciano ad intrecciarsi nell’infinito gomitolo del presente, portandomi alla mente eventi di anni e anni fa, completamente sepolti nella memoria.
Mio cognato si volta a guardarmi, con aria sconsolata e tutt’altro che rasserenante. Mi si avvicina, sospirando, aprendo sulla scrivania un fascicolo che sembra essere abbastanza vecchio, ingiallito dal tempo. Poi ne leggo la data sopra, è di sette anni fa. Deglutisco, incominciando a capire.
“Sì, è quella” mormora Heiji, con mani tremanti. “Era nella prigione di Tottori.”
“Heiji, ti puoi spiegare meglio?” lo supplico adesso, afferrandogli un braccio, e strattonando per un po’.
“Leggi la fine dell’articolo, e capirai.”
Non me lo faccio ripetere due volte, e prendo ad osservare le ultime righe del documento, molto frettolosamente. Con il dito indico le parole, e mi aiuto a cercare ciò che potrebbe servirmi a far luce su questo mistero. Sento il terrore impossessarsi del mio corpo, della mia mente, delle mie gambe.
 
Nel disastro sono andate perdute le tracce di taluni reclusi; secondo un primo sopralluogo, i fuggitivi sarebbero tre, tutti appartenenti all’area ovest di Tottori. I nomi, ufficializzati dalla polizia nipponica, sono riportati alla fine dell’articolo. Si spera che le forze dell’ordine riescano a rintracciare questi criminali, per il momento, in libertà assoluta.
 
Osservo i nomi, mi sento svenire. Come ho fatto a non pensarci prima, come ho potuto dimenticarlo. Mi ritrovo proiettata nel mio passato più buio e remoto, quello che avevo voluto a tutti i costi scordare. E mi ci ritrovo senza Shinichi, ma con mille responsabilità in più rispetto a sette anni fa. Mi immergo nel volto preoccupato di Heiji, rifletto i miei occhi nei suoi, e porto il mio sguardo su mio figlio, Conan. Tutti, adesso, potremmo essere in pericolo.
 
Qui riportati i nomi dei tre criminali in libertà:
Ash Toisuke, 45 anni; Juzo Nichi, 28 anni; Toichi Kemerl, 35 anni.

 
 

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Na, na, na, na! Allora? Impressioni, commenti, bestemmie? Ebbene sì, il gurzo, mio adorato gurzo, è morto.
C’entrerà qualcosa Toichi in tutto ciò? Mah! Quanto è puccio Conan? Adoro il suo personaggio, è un mini Shinichi *__*
Cosa sarà successo in quell’incendio? Questo ed altro... lo scoprirete solo vivendo leggendo!
Non mi dilungo molto, è sera, anzi è notte... ed io stamattina ho sostenuto gli esami di maturità!
Oh sì, sono ufficialmente libera, e come avevo promesso, sono ritornata con una nuova storiella.
Immagino già tutto il vostro entusiasmo nel rivedermi... XD
Dai! Lo so che mi volete bene :D
Sono più che ben accette le recensioni! Sono vitali per noi autrici!!
Va beh, adesso me ne vado, a presto!
Un bacione,
Tonia




 
 
 

Sunto “Vivere d’emozioni”
Toichi Kemerl, figlio del capo dell’organizzazione degli uomini in nero, decide di vendicarsi dell’artefice della scomparsa del padre, morto suicida in seguito alla fine dei suoi piani diabolici: Shinichi Kudo. Scompare dalla circolazione e assume l’identità di Richard Nekaie, andando a vivere in America. Proprio qui si è trasferita Ran, in seguito alla fine della sua storia con Shinichi. Ran e Richard si conoscono e si fidanzano, e il criminale sfrutta l’occasione per avvicinarsi alla sua preda, nonostante cominci a provare veri sentimenti d’amore nei confronti della ragazza. I due si trasferiscono a Tokyo, dove Ran, nell’incontrare Shinichi, sente di esserne ancora follemente innamorata. Nonostante ciò, non riesce a lasciare il fidanzato, che nel frattempo, sta organizzando la morte di Shinichi, insieme ad alcuni suoi scagnozzi. Shinichi e Ran si riavvicinano talmente tanto da essere scoperti da Toichi, che andando su tutte le furie, vorrebbe uccidere anche la ragazza. Il finale vede la vittoria del detective e della CIA(Eisuke), a sfavore di Kemerl che viene sbattuto in prigione. Ran scopre d’essere incinta di Shinichi, e si ritrova al settimo cielo nel momento in cui il giovane le proporrà il matrimonio, così da sancire la loro unione.

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Capitolo 2
*** Nel segno di Shinichi ***


E se io vivessi d’odio?
2. Nel segno di Shinichi

 
 
Rimango pietrificata ad osservare il foglio che tengo tra le mani. Tutto mi sembra così irreale, così strano, così inaccettabile. Stento a crederci, cercando nella mia mente un’altra possibile soluzione. Il vuoto totale si impadronisce del mio cervello, del mio corpo. Se solo potessi tornare indietro nel tempo e rimediare agli errori che ho compiuto, che ho causato, che ho inferto a Shinichi; se solo potessi farlo, tutto forse sarebbe stato più semplice.
Dopo sette anni di luce accecante, mi ritrovo a combattere col buio più profondo della mia vita.
“Ok,” afferma Heiji, sospirando appena. “Adesso che facciamo?”
Io lo guardo sconvolta, incapace a ragionare. Se solo Shinichi fosse ancora qui, ad aiutarci, a sostenerci, lui sì che saprebbe cosa fare. Lui non si faceva mai abbattere, era pronto ad affrontare ogni piccolo problema con la grinta di un leone, con la furbizia di una volpe. Io, in confronto, mi sentivo solo un piccolo agnello indifeso, un cucciolo da proteggere e coccolare. Ed anche se a volte mi dimostravo forte, sicura e determinata, pronta ad affrontare qualsiasi pericolo o ostacolo, dovevo tutto a Shinichi, che mi faceva capire che tutto era possibile, che tutto passava. Ma lui non passa, la sua morte non passa, le mie debolezze non passano.
“Dici che... vuole colpire ancora?” mi chiede ancora Heiji, cercando la mia approvazione. Annuisco distrattamente, portando il mio pensiero a Conan, che di questa storia ne è totalmente estraneo*. E se Kemerl volesse vendicarsi di tutto e di tutti? Come farei, adesso, senza Shinichi, a proteggere il mio, il nostro bambino? Come potrei mai riuscirci io?
Approfitto dell’assenza di Conan per trasportare Heiji fuori dall’ufficio, in modo che nessuno possa sentirci. Lo strattono per un po’, finché non mi fermo in un angolo dedicato ai fumatori in divisa che, per via dell’ora, è vuoto.
“Kemerl odiava me quanto odiava Shinichi. E sapeva della mia gravidanza, ricordi?” gli dico, cercando di portare la mente a sette anni fa, e captarne il più piccolo dei particolari, il più misero degli indizi.
“Sì...e mi ricordo anche la sua ultima frase...” mi suggerisce Heiji, guardandomi con aria tutt’altro che serena.
“Kudo, non è finita qui. Ti giuro che non è finita qui” recito alla perfezione quelle parole, imitandone anche la voce. Socchiudo le palpebre, lasciandomi andare ad uno sbuffo, mentre nella mia mente scorrono violente le immagini di quel giorno. I suoi occhi, la sua espressione, le sue labbra. Tutto adesso mi percuote, mi ansima, mi terrorizza. Non potevo davvero credere in quel momento che lui si sarebbe rifatto vivo, che sarebbe tornato, e che sarebbe riuscito nel suo obiettivo, quello di uccidere Shinichi. Si scatenano dentro di me una serie interminabile di emozioni, che prima d’ora, non avrei mai creduto di poter provare. Sento l’odio, la vendetta, la rabbia, la frustrazione e l’incoscienza, impadronirsi e logorarmi l’anima, scuotendola e rivitalizzandola, donandomi quel coraggio che prima mi mancava, ma che adesso esplode in me, come magma che risale in superficie.
“Sarà stato lui ad appiccare l’incendio, ad uccidere Shinichi” medita Heiji, portando lo sguardo nel vuoto. Vedo i suoi occhi divenire lucidi e rossi, le sue mani stringersi in pugni violenti, fino a colorare le nocche di bianco.
“Bastardo” lo sento mormorare, mentre cerca invano di non piangere, di trattenersi. La morte del migliore amico è stata per lui il colpo più grosso da ammortizzare, la ragione per cui i suoi occhi sembrano spenti e furtivi, il suo viso pallido e magro. Nemmeno l’amore di Kazuha è servito a qualcosa, neanche il viso angelico della figlia Sophie.
“Heiji...” lo chiamo, in modo da fargli alzare il capo, ed osservarlo. “Mi vendicherò, e salverò tutti noi. Lo giuro.”
Mio cognato mi guarda perplesso e stupito. Mi poggia una mano su un braccio, come a voler interrompere qualsiasi movimento che possa fare.
“Come? Cosa?” mi chiede incredulo, alla ricerca di una mia smentita.
“Hai sentito benissimo. Non possiamo stare qui con le mani in mano! Siamo tutti in pericolo, lo capisci?” gli urlo contro, e sento le mie vene ingrossarsi, a causa del sangue che, velocemente e violentemente, circola dentro.
“Certo che lo so. Ma come credi di poter vendicarlo? Come credi di salvarti, eh?” mi ribatte lui, nel tentativo di sviarmi da questo folle ed incredibile proposito.
“Sarà sicuramente nascosto da qualche parte, qui in città. Ha ucciso Shinichi pochi giorni dopo la sua liberazione, ciò sta a dimostrare che ha fretta, che non ha tempo” medito, tirando fuori in un soffio un ragionamento logico tanto diretto, che sembra portarmi da qualche parte, verso qualcosa. Heiji mi guarda dubbioso, si strofina il mento con le mani, incomincia a fare il detective. Penso di odiarlo quando fa così, tant’è che scosto lo sguardo verso il basso, immergendolo nelle luci abbaglianti della metropoli di Tokyo. Come potrò mai dimenticare Shinichi se continuo a vederlo ovunque? Lo vedo nelle auto, sui giornali, nel caffè, nel letto, in Heiji, in Conan, negli uffici, negli sguardi di persone sconosciute, incerte. Penso di essere ossessionata dalla sua immagine, dalla sua risata, dai suoi occhi, dalla sua bocca, dalle sue mani. Penso di non poter mai riuscire a dimenticarle. Le sue mani mi hanno esplorata, mi hanno posseduta. I suoi occhi mi hanno stregata, e ipnotizzandomi mi portavano nel più calmo degli oceani, nel più bello dei mari. Il suo sorriso risplende ancora in me, come il suo viso, del quale non riesco a dimenticare un solo particolare. Sento ancora il suo tocco delicato sulla mia pelle, i nostri corpi combaciare, le nostre labbra strofinarsi a tal punto da farsi male. Mi immergo nel suo ricordo, abbandono il mondo, il tempo e lo spazio. Credo di poterlo sentire più vicino a me, anche se per poco, anche se per un istante.
“Ran?” sento la voce di Heiji riemergere da quell’oscurità, la inseguo e torno in me, alla luce, o meglio, all’ombra. Dipende dai punti di vista, certo. Ma per me il mondo è solo un ammasso di rocce e corpi messi insieme, senza alcuna luce, senza alcuna salvezza.
“Sì?” mi affretto a rispondere, consapevole di perdermi fin troppo nei miei pensieri.
“Dicevo...” mi ripete, anche se sento queste parole per la prima volta. “Secondo me non ha fretta. Sennò già avremmo fatto tutti una brutta fine. Non so, penso che il suo obiettivo primario era Shinichi, ma poi ci è voluto andare più cauto, più preparato.”
“Siamo comunque tutti in pericolo. Bisogna agire” gli ricordo, sottolineando la gravità della situazione. Perché non riesce a capire che il futuro di mio figlio dipende da quel pazzo maniaco? Non gli permetterò di torcergli un solo capello, lo proteggerò ad ogni costo, anche della mia stessa vita. Chissà, forse Shinichi sarebbe orgogliosa di me.
“Lo so. Ti giuro che vendicare il mio migliore amico è la cosa più importante in questo momento, ma... devo farlo con accortezza, con astuzia. Devo farlo degno di lui, all’altezza del suo nome” mi confida, ma io lo interrompo, ed anche piuttosto bruscamente.
“Devi?” gli chiedo, come se fosse un’assurdità ciò che ha appena mormorato. Lui mi guarda strano, come se non capisse.
“Dobbiamo.”
Aggiungo subito dopo, socchiudendo le palpebre. Credo di non essermi mai sentita così forte, così determinata, così coraggiosa in tutta la mia vita. Il mio corpo è pervaso dall’adrenalina, dalla consapevolezza di rischiare, ma di farlo per una giusta ragione.
“Come scusa?” mi domanda lui, esterrefatto.
“Parteciperò anch’io” ribatto ancora, e rimarco il concetto, evidenziandolo.
“No” mi risponde duro, come se potesse decidere del mio, del nostro destino. “Non lo permetterò.”
“Non credo tu possa decidere per me Heiji.”
“Shinichi non me lo perdonerebbe mai se ti succedesse qualcosa... mai.”
Sorrido, abbassando il capo verso il pavimento. Sì, forse ha ragione, lui non glielo perdonerebbe, e non avrebbe mai permesso un mio coinvolgimento. Ma Shinichi non c’è, e non c’è nemmeno la persona che possa salvarmi, che si travesta da cavaliere e mi venga a prendere, portandomi lontano dai pericoli.
“Heiji...” comincio, cercando di essere più dolce possibile, anche se sento il sangue ribollire, e i nervi scattare.
“Shinichi non c’è... è morto, capisci? Morto! E se lui fosse qui, non permetterebbe nemmeno che il figlio potesse correre qualsiasi sorta di pericolo. Io devo proteggere Conan, devo farlo anche per Shinichi. Non puoi impedire ad una mamma di salvare il destino del proprio bambino... non puoi farlo, Heiji!” mi fiondo sul suo petto, e comincio a tirargli dei piccoli pugni sullo sterno, mentre le lacrime vanno a bagnare il mio viso e la sua camicia. Improvvisamente mi sento terribilmente debole, come se bastasse un soffio di vento ad uccidermi. La mano di mio cognato si poggia sulla mia schiena, in un tocco così lieve da essere impercettibile. Cerca di rasserenarmi, e probabilmente prega affinché io cambi idea. Ma non lo farò, almeno non questa volta, non ora.
“Ok, ok...” continua a sfiorarmi con la sua mano, nonostante cerchi di distanziarmi un po’. “Adesso calmati.” Le lacrime muoiono e il viso torna al suo naturale pallore, così decido di distaccarmi, e guardarlo fisso negli occhi.
“Heiji, costi quel che costi, vendicherò Shinichi e salverò Conan, lo giuro.”
“Anche io Ran, anche io.”
 
 
 
 
 
“Mamma?” mi si avvicina Conan, mettendosi a sedere su una delle sedie del nostro soggiorno. Mi guarda impaziente, mentre sono impegnata a rovistare in alcuni giornali, alla ricerca di un misero indizio che faccia scattare la lampadina nel mio cervello, e mi suggerisca dove si trovi Kemerl.
“Dimmi tesoro.”
“Ehm...” comincia, grattandosi la testa con l’indice. “Ci sono novità per il caso di papà?”
Lo guardo benevola, e sorrido leggermente. E’ dolcissimo quando fa così, un vero angelo.
“No purtroppo” rispondo sinceramente, incupendo leggermente.
“Ma non preoccuparti, vedrai che zio Heiji scoprirà tutto” gli riferisco, sentendomi un po’ meschina. Non posso però rivelargli che farò parte delle indagini, e che la mia, la nostra vita è appesa ad un filo, che sta per essere spezzato.
“Lo spero” mi confida schietto, un po’ malinconico. Ma per sua fortuna e sfortuna lo conosco bene, e so che c’è dell’altro dietro a quel viso meraviglioso, identico al padre. Metto da parte i giornali, e mi metto a sedere vicino a lui, passandogli una mano tra i capelli corvini.
“C’è dell’altro?”
“Vedi... la settimana prossima la scuola va in gita a Niigata...” strabuzzo gli occhi al suono di quel nome. Tantissimi ricordi affiorano nella mia mente, addolcendola e rattristandola.**
Mi viene da ridere a pensare che nostro figlio debba andare proprio lì, in quel posto, forse proprio su quelle spiagge. Mi perdo nella bellezza di quelle immagini, così nitide e chiare nella mia mente, così indelebili, che mi sembra di averla vissuta ieri, quella notte.
“Ah, bella Niigata...” mi lascio sfuggire involontariamente, sperando che mio figlio non ci faccia troppo caso. Illusione effimera.
“Ci sei stata?” mi domanda di getto, interessandosi, e di parecchio, all’argomento.
“Ehm...sì, con tuo padre, un po’ di tempo fa...” cerco di rimanere sul vago, ma con Conan è praticamente impossibile. Quando incomincia a fare domande non si ferma più, a meno che la sua curiosità non sia stata saziata abbastanza. Sospiro leggermente, e mi preparo alla tortura che sto per subire.
“Davvero? Davvero? E com’è? Come si sta? Cosa c’è di bello?” parte come un razzo, proprio come mi aspettavo.
“Aspetta, ti faccio vedere una cosa.” Faccio per alzarmi, e vengo seguita dal mio bambino che si precipita insieme a me dinanzi ad un mobiletto posto vicino alla parete attrezzata del salone. Ci accovacciamo insieme sul pavimento, e comincio a rovistare tra le foto, permettendo a me, e a lui, di tuffarci in un passato che adesso appare più roseo che mai. Le foto con Shinichi scorrono velocemente tra le nostre mani, nonostante Conan si fermi piuttosto a lungo su alcune, e sprofondi lo sguardo nel viso del padre, inumidendosi gli occhi. Avverto il suo dolore, la sua tristezza, tutto il suo amore, ma allo stesso tempo, so che non posso niente, e non potrò mai niente per rincuorarlo. Un giorno tutto passerà, forse l’immagine di Shinichi si sbiadirà e si perderà e la sua voce sarà solo un’eco lontano. Eppure io non voglio che questo succeda, non voglio dimenticarlo, non voglio credere che davvero lui se ne sia andato. Non posso perché, nel perdere lui, perderei anche me.
“Guarda, l’ho trovata!”esclamo all’improvviso, trovandomi, quasi furtivamente, tra le mani, la foto che stavo cercando. Ritrae me, Shinichi, Heiji, Kazuha, Sonoko e Shiho a Niigata, il pomeriggio dopo quella folle nottata. Mi concentro su quei volti spensierati e felici di ragazzi in vacanza, provando un’abissale nostalgia e un profondo desiderio di felicità e serenità. Ricordo che quel giorno, dall’euforia, sarei stata capace di toccare il cielo con un dito, così vicino, così blu. E ricordo che Shinichi, altrettanto entusiasta quanto me, mi riprese, tutta sola, nel camminare sui sassolini, un po' pensierosa. E' lo scatto di una foto istantanea, fatta senza alcun preavviso e messa in posa. E' una di quelle che adoro di più, e che adesso adorna il muro del nostro corridoio, donandogli un senso di infinita libertà.
“Com’eravate giovani!” mi dice Conan, intanto, osservando la fotografia che gli ho dato, guadagnandosi una mia occhiata stizzita.
“Vorresti dire che ora sono vecchia?” mi fingo offesa, in attesa di una sua risposta.
“No,” continua, cercando di assumere un’espressione da angioletto. “Adesso sei pure più bella.”
Assottiglio gli occhi, dandogli un piccolo spintone. E’ anche adulatore come il padre, non c’è niente da fare.
“Ma ci sono anche gli zii! Uh, zia Sonoko era più magra.”
Scoppio a ridere, annuendo leggermente. “Sì, ma non dirglielo, sennò ci uccide!”
“Zio Heiji è sempre uguale, ed anche zia Kazuha... ma... chi è questa ragazza?” mi chiede, puntando il dito sul volto della nostra amica di laboratorio.
“E’ una nostra grande amica. Si chiama Shiho Miyano, la conosci no? E’ una delle scienziate più famose al mondo” gli rivelo, guardando la sua espressione accendersi.
“Sì sì! Papà me ne aveva parlato! Ma perché non la vediamo mai?” mi domanda poi, con aria indagatrice.
“Perché si è trasferita in America. Vedi, essendo una scienziata, lì ha un laboratorio tutto suo, e può svolgere esperimenti molto più approfonditi rispetto a noi in Giappone. Però comunque qualche volta è tornata, insieme al marito e alla figlioletta... non ti ricordi?”
Lui mi fa cenno di no con il capo, arricciando le labbra. Mi sembra strano, eppure Conan ha una buona memoria, anzi, la definirei ottima. Forse è stato lo shock per la morte del padre a rintontirlo un po’, facendogli perdere i ricordi più flebili e meno importanti.
“No! Cosa vedo!” esclama improvvisamente una voce alle mie spalle, facendomi sussultare. Per fortuna ne riconosco il tono, ed anche la provenienza, e mi calmo all’istante, voltandomi scocciata verso il nostro interlocutore.
“Heiji! Mi hai fatto venire un colpo, potresti bussare quando entri?” gli rimprovero, portandomi una mano sul cuore.
“Scusami, lo so, me ne dimentico” mi dice subito, per poi fiondarsi tra noi e prendere la foto tra le mani di Conan, ed osservarla gioioso.
“No! Cioè, ti ricordi? Niigata! Guardate com’ero figo, un vero playboy!”
“Conan ha detto che sei sempre uguale” gli riferisco, ridacchiando leggermente.
“Davvero?” chiede gioioso al mio piccolo, facendolo sussultare. “Sì, hai ragione, non sono proprio cambiato.”
“Hai messo solo qualche chiletto” s’intromette nella discussione la moglie, nonché mia migliore amica, Kazuha. Arriva dalla porta d’ingresso, dal quale entrano con estrema facilità, essendo in possesso delle chiavi della villa, che io gli ho concesso dal momento in cui è morto Shinichi. In braccio ha la figlia Sophie, una dolcissima e tenera bimba di sei anni, che assomiglia in modo indescrivibile ad Heiji, sia per carnagione che per atteggiamenti.
“Io? Ma ti sei vista tu?” incominciano come sempre a battibeccare, discutendo su ogni piccola cosa.
“Certo, ed ero favolosa. C’era anche Shiho, e Sonoko dopo la sbornia” afferma ridente.
“Shinichi invece non è proprio cambiato col tempo” si sofferma su mio marito, attraversata da una vena di sottile malinconia. M’incupisco anch’io d’un tratto, e permetto ad Heiji di risollevare l’atmosfera, forse anche un po’ troppo.
“Ma come mai è uscita fuori questa foto?” mi chiede incuriosito mio cognato.
“Conan mi stava dicendo che con la scuola la settimana prossima andrà a Niigata, ed io gli ho detto che eravamo già andati” gli riferisco, portando lo sguardo sul mio bambino.
“Sì, me l’aveva detto Sophie, bene... allora, divertitevi” dice loro Heiji, per poi soffermarsi improvvisamente su mio figlio.
“Ehi ometto... cerca di stare attento alla mia bambina. E non avvicinarti alle spiagge! Siamo intesi?” lo monitora, mentre nella mia mente si fa chiaro il messaggio che gli ha voluto mandare, e il mio viso sì imporpora di rosso, di rosso fuoco.
“Alle spiagge? E perché?” domanda ingenuamente Conan, incuriosendosi.
“Si dice che su quelle spiagge succedano delle cose strane... sai il mare, la Luna, le stelle...”
“Heiji!” lo blocco improvvisamente, divenendo paonazza.
“Non ti capisco zio.”
“Tua madre sì però...”
“Non credergli tesoro, zio dice un sacco di stupidaggini!”
“Dai Heiji smettila” lo intima Kazuha, mettendosi a ridere.
“Ah, le spiagge di Niigata...”
“Io continuo a non capire.”
Mi avvicino a mio cognato, gli tiro un orecchio e lo porto vicino alle mie labbra. Gli urlo nei timpani, in modo che gli rimanga impresso ciò che gli sto dicendo.
“Heiji smettila o ti schiarisco!”
“Ok, ok... stavo solo scherzando” cerca di scusarsi, senza smettere di ridere.
“Per quanto tempo restate lì?” domanda poi alla figlia e a Conan, mettendosi a sedere insieme a Kazuha sul divano di casa.
“Una settimana” risponde prontamente mio figlio, sovrastando la voce dell’amichetta.
Conan resterà una settimana fuori da Tokyo? Strabuzzo gli occhi, e mando un’occhiata ad Heiji, che sembra avere la mia stessa idea. Mi dispiace separarmi dal mio bambino, ma, soprattutto in un momento come questo, è la soluzione più efficace e sicura.
“Bambini, andiamo a preparare una bella cena?” li incinta la mia amica, alzandosi dal salotto. Ormai sono giorni che Kazuha e Heiji cenano da noi, forse per farci compagnia, per esserci più vicini. E di questo gliene sono infinitamente grata. Non so proprio come ringraziarli, come far capire loro che ciò che fanno è tanto, è troppo. Sorrido, rendendomi conto che io e Shinichi non avremmo potuto avere amici più veri e fidati.
Prende la mano della figlia, e si volta verso Conan, in modo da afferrare anche la sua. Mio figlio però si avvicina a me, e si aggrappa ai miei pantaloni.
“Mamma io voglio rimanere qui a parlare del caso di papà, non voglio cucinare” si lamenta, come sempre ormai quando c’è in ballo il padre. Ma non posso tenerlo vicino a me, e m’invento la prima scusa che mi passa per la testa, in modo da convincerlo ad andare via.
“Veramente ci terrei che fossi proprio tu a prepararmi qualcosa, come faceva papà prima, ricordi?” cerco di persuaderlo facendo riferimento a Shinichi, la maggior parte delle volte funziona. Ed infatti vedo il suo volto illuminarsi, e annuire.
“Ok, allora ti preparerò una cena buonissima!” esclama, e si lancia in cucina, accompagnato da Kazuha e Sophie.
“Vuole fare tutto quello che faceva Shinichi eh?” mi chiede Heiji, poggiando su un tavolo i documenti relativi al caso. Incomincia ad ordinare fogli ed altri articoli di giornale, e me ne dà qualcuno in mano, in modo che io possa leggerli.
“Sì, è il suo mito, un idolo da seguire” gli rivelo, sprofondando gli occhi nella scartoffie, e scrutandone velocemente i contenuti.
“Lo era per me, figurati per un bambino di sette anni” asserisce il mio amico, un po’ intimidito. Io lo guardo sorridente e addolcita, dandogli una carezza sulla spalla.
Immergo nuovamente lo sguardo nei documenti, rileggendo velocemente i contenuti. Trattano dei tre criminali scomparsi, delle loro caratteristiche, delle loro abitudini, ma anche di dati biografici e descrittivi. Su Kemerl hanno pochissimo materiale, mentre sugli altri due riportano tantissime informazioni che, soprattutto a detective come Heiji, possono risultare di vitale importanza.
“Ash Toisuke era solito travestirsi, indossare delle maschere... mentre Juzo Nichi soffriva di cuore, aveva anche avuto una serie di principio d’infarto” ripeto ad alta voce, in modo da far sentire anche a mio cognato.
“E se lo facessimo anche noi?” gli domando, attirando la sua attenzione.
“Cosa?”
“Travestirci! Potremmo infiltrarci tra gli scagnozzi di Kemerl, e colpirlo dall’interno!” affermo entusiasta, come se avessi avuto il piano migliore al mondo.
“Non so... e poi come facciamo ad infiltrarci se non sappiamo nemmeno dov’è?” mi chiede lui perplesso, aggrottando un sopracciglio.
“Lo troviamo! Sono sicura che non è lontano da Tokyo. Ha voluto colpire prima Shinichi, ma per farlo si sarà stanziato qui... da qualche parte. Dimmi, la polizia dov’è solita controllare in questi casi?”
“Beh... a casa sua, nei luoghi che frequentava, dai suoi vicini, oppure dai suoi parenti. Se non si sono fatti progressi si estende il campo all’intera città e poi... si va a ragionamento.”
“Ovvero?”
“Si cerca di capire dove possa nascondersi, quale luogo sia più adatto ai suoi scopi. Un criminale potrebbe avere solo il bisogno di scappare oppure uccidere qualcuno, oppure crearsi una nuova identità” mi rivela Heiji, facendomi sprofondare in una serie di complicati e ingarbugliati ragionamenti. Come vorrei Shinichi fosse qui vicino a me, ad aiutarmi, a sorridere in quel modo così unico che mi faceva capire che lui sapeva già tutto.
“Se solo ci fosse Shinichi...”
“Aspetta un momento” mi dice Heiji, fiondandosi verso il televisore ed accendendolo. In pochi secondi lo schermo dà vita ai suoi colori, che prendono forme ben definite, e si cristallizzano in programmi digitali. Mio cognato afferra il telecomando e comincia a fare zapping, soffermandosi poi sul tg nazionale.
“Cosa vai cercando?” gli chiedo, avvicinandomi a lui.
 -Passiamo all’ultimissima. Pare che uno dei tre criminali ricercati, Ash Toisuke, in seguito allo scoppio all’incendio del carcere di Tottori sia tornato volontariamente dalle forze armate, dopo essere scappato insieme ai due complici Toichi Kemerl e Juzo Nichi - afferma con sicurezza la signorina in sovraimpressione, leggendo le notizie stampatole dalla direzione. Rivolgo il mio sguardo ad Heiji, e lo vedo annuire ancor prima che io riesca a parlare.
“Avevo sentito la notizia in centrale, ma non ci avevo fatto troppo caso” mi dice Heiji, cercando di scusarsi per la disattenzione che aveva mostrato.
“Non preoccuparti. Abbiamo un grosso jolly in mano adesso, lo sfruttiamo?”
“Perché no. Andiamo a fare due chiacchiere con questo Ash Toisuke.”
 
 
 
 
Arriviamo alla centrale dopo aver cenato insieme a Kazuha e ai bambini, ed aver fatto fatiche incredibili per metterli a letto. Conan, soprattutto, era restio a lasciarci andare e mettersi a dormire, così ho dovuto rimanere per un po’ vicino a lui, fin quando non è caduto sfinito sul suo lettone, tra le mie braccia e un orsacchiotto che gli ha regalato il padre.
Dopo avergli dato un bacio sulla guancia, l’ho lasciato dormire nella sua stanza, sotto le cure amorevoli di Kazuha, a cui ho chiesto gentilmente di badare al mio bambino. Speriamo almeno che tutti questi sacrifici portino a qualcosa, speriamo di intraprendere una buona strada, e di ottenere più indizi possibili riguardo a quel lurido di Kemerl.
Io ed Heiji ci fiondiamo all’interno del dipartimento, accelerando il passo lungo il tragitto. Dopo aver salutato una serie di colleghi, mio cognato viene portato nella stanza dove si trova Toisuke, e dove sta avendo luogo un interrogatorio.
“Voglio entrare anch’io” sussurro all’orecchio del mio amico, cercando di non farmi sentire dagli altri poliziotti. In centrale hanno tutti un’aria cupa e imbronciata, e noto la maggior parte di loro mi fissa in modo strano e scettico. Lascio perdere i loro pregiudizi e mi volto verso il mio amico che, a pochi passi da me, si sta intrattenendo con alcune persone.
Heiji mi annuisce, e dopo aver discusso un po’ con i suoi colleghi, ottiene l’autorizzazione per far entrare anche me.
Apro la porta della stanza, seguendo i passi di mio cognato, e mi ritrovo di fronte a due poliziotti e ad un uomo seduto dinanzi ad un tavolo, ammanettato e visibilmente sciupato.
“Piacere di conoscerti, mi chiamo Heiji Hattori e sono...”
“So come ti chiami e so chi sei, sorvoliamo le presentazioni” ribatte deciso il pregiudicato, facendo arricciare il naso di Heiji.
“Che onore. E come mai?”
“Sei l’amico di Kudo, giusto? Ti ho riconosciuto subito.”
“Sembri conoscere anche Shinichi” replica Heiji, mentre io vado a poggiarmi ad uno dei muri della stanza, su consiglio di uno dei poliziotti.
“Certo, l’ho incontrato anche.”
Sbarro gli occhi, e con me sono certa l’abbia fatto anche Heiji. Come e quando ha incontrato Shinichi? Era nella prigione di Tottori, non avrebbe dovuto avere a che fare con mio marito.
Aspetto che sia il mio amico a rispondere, e a cercare di cavarne più informazioni possibili.
Eppure, quest’uomo sembra sapere fin troppo sulla vicenda.
“Quando lo avresti incontrato?” domanda incerto mio cognato, inarcando un sopracciglio.
“Poco prima che morisse. Ero insieme a Kemerl e a Nichi.”
“Cosa?!” sbottiamo insieme io ed Heiji, facendo spaventare i due agenti nella stanza.
“Hai incontrato Shinichi mentre eri con Kemerl?” cerca di chiarire, e vedo l’uomo annuire e ripetere convinto ciò che aveva appena affermato.
“Sì. Ci trovavamo vicino al magazzino dove è scoppiato in aria. Non chiedetemi cosa è successo, ho preferito andarmene.”
Continuo a sentire, e continuo a credere che tutto sia così irreale, così strano. Come faceva Shinichi a sapere dove erano questi criminali? E perché li ha seguiti all’interno di quel magazzino? Un uomo di cui conosco a malapena il nome è stato uno degli ultimi a vedere mio marito ancora in vita, e non mi va giù. Non mi va per niente giù.
“Te ne sei andato? E gli altri due, non hanno fatto obiezioni? E Shinichi?” continua a chiedere Heiji, alzandosi dalla sedia e poggiando i palmi sul tavolo.
“Sono fuggito. Non so cosa avevano intenzione di fare, ma non mi piaceva per niente.”
“Perché?”
“Quel Kemerl, era strano, sembrava pazzo. Quando è apparso Kudo non ci ha visto più, chiedeva di lasciarli soli... perché avevano un conto in sospeso, o una cosa del genere. Nichi li ha seguiti, ma io mi sono dileguato.”
“E poi?!” lo scuote con violenza Heiji, guadagnandosi una sua occhiata maligna.
“E poi niente. So solo che entrambi, Kemerl e Nichi, volevano vendicarsi di Kudo, e con lo scoppio del magazzino ci sono riusciti.”
“Ok, basta” decide di interrompere l’interrogatorio Heiji, mentre io avrei ancora mille e più domande da porre a quell’uomo. Vedo mio cognato uscire dalla sala, e fare segno a me di seguirlo. In pochi passi ci ritroviamo nei corridoi della centrale, e per alcuni minuti restiamo in silenzio, camminando l’uno affianco all’altro.
“Chi è questo Nichi adesso? Perché voleva vendicarsi?” ragiona ad alta voce il mio amico, strofinandosi il mento pensieroso.
Mi soffermo per un po’ a guardarlo, rendendomi conto che assomiglia davvero al mio Shinichi.
Immergo lo sguardo nel vuoto, e sospiro, afflitta.
Perché Shinichi non mi aveva detto niente quel giorno? Aveva inventato la scusa del caso semplice, di un cliente che lo aveva chiamato. Aveva detto che sarebbe tornato la sera, che avrei dovuto cucinargli il suo piatto preferito, che non avrebbe tardato.
Invece aveva deciso di andare ad uccidersi, senza preoccuparsi di nulla e di nessuno.
Non vidi più il suo sorriso, e non ascoltai più la sua voce da quel giorno. Ritrovammo solo un corpo senza vita, senza più ricordi, senza più speranza.
Perché non sei tornato a casa? Perché amore mio?

 
 
 
 

 
*Conan è estraneo alla vicenda poiché è nato dopo tutti gli eventi.
**A Niigata, Shinichi e Ran fecero pace definitivamente e concepirono il piccolo Conan, proprio su una delle spiagge che rimembra Heiji.

 



Ma buonasera! Sono tornata!
Scusatemi se vi ho fatto aspettare un po’ ma questi giorni sono stati un vero inferno per me.
Ho iniziato con la tosse, ma poi mi sono ritrovata con l’influenza in piena estate, e con anche un po’ di bronchite!
Per fortuna adesso è quasi tutto passato, ma ancora non posso godermi come si deve le giornate afose ç______ç
Ok, la finisco di lamentarmi.
Allora! Nuovo capitolozzo, stiamo incominciando a scoprire qualcosa in più, ma nella trama vera e propria dobbiamo ancora entrarci! ;)
Va beh, come sempre, fatemi sapere come vi pare.
Volevo ringraziare coloro che hanno recensito lo scorso capitolo: LunaRebirth_, mangakagirl, Kaori_, aoko_90, AliHolmes, Delia23 e ShellingFord!
Arigatou!
E ringrazio anche AliHolmes, ChibiRoby, ciachan, Kaori_, LunaRebirth_ e ShellingFord per averla inserita tra le seguite, e ShellingFord per averla anche tra le preferite!
Grazie grazie mille!!!
Un bacione, alla prossima!
Tonia

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Capitolo 3
*** Mio eroe ***


E se io vivessi d’odio?
3 . Mio eroe


 
 
 

Il fatto è che ci provo a riprendermi, ma proprio non ci riesco.
Basta che mi metta ferma, seduta, di fronte ad una delle finestre di casa mia, e mi prende la malinconia. E piango, e poi mi asciugo con il maglione, e poi riprendo a piangere. E non mi manca solo la presenza di Shinichi, la sua voce, e i suoi occhi, azzurri come il cielo d’estate senza tempeste. Mi mancano anche quelle giornate soleggiate primaverili, o quelle afose del mese d’Agosto. Mi manca uscire di casa e respirare l’aria frizzante del mattino, che mette di buon umore, e che fa partire la giornata col piede giusto.
Sono settimane che piove, che si scatenano temporali, che le temperature non superano i primi gradi. A pensarci bene, è proprio da quando Shinichi non c’è più che il cielo ha messo il broncio. E’ come se qualcuno lassù si fosse arrabbiato così tanto che avesse deciso di piangere su di noi, per farci patire tutte le pene di questa situazione, tutt’altro che facile.
Sbuffo rumorosamente, ritrovandomi per l’ennesima volta da sola a casa, insieme alla pioggia.
Sento il suono di una porta sbattere, probabilmente quella d’ingresso, e avverto i piccoli passi di mio figlio camminare sul pavimento. Sarà appena tornato da scuola, ma stranamente, questa volta non mi ha nemmeno salutata.
“Tesoro sei tu?” lo chiamo dal primo piano, per dirigermi verso di lui. Scendo le scale della villa, ma, nel non ricevere risposta, affretto il passo, stando attenta a non inciampare. Mi fiondo in cucina, ma non vedo nessuno. Comincio a preoccuparmi, e velocemente mi dirigo in salone, attraversando una serie di corridoi. Non ho mai odiato questa casa come in questi momenti. E’ così grande e dispersiva che nel camminarci dentro ti da tutto il tempo di pensare, di ragionare, di portare la mente a cose sgradite e drammatiche, come me, in questo momento.
“Conan?” lo chiamo ancora, ed aprendo la porta della stanza, lo vedo seduto sul divano, con in mano un braccialetto.
“Tesoro ti stavo chiamando, perché non rispondi? Mi hai fatta preoccupare!” cerco di sgridarlo bonariamente, incrociando le braccia al petto. Lui alza la testa e mi guarda con occhi lucidi, mentre i ciuffi leggermente bagnati dall’acqua della pioggia gli cadono sulla fronte, inumidendola.
“Scusa mamma, non avevo sentito” mi dice, con il volto imbronciato.
Decido di sedermi accanto a lui, così da capire cosa gli sta attraversando la testa in questo momento.
“E’ successo qualcosa?” gli chiedo, portandogli una mano dietro le spalle minute.
“No, no, niente” cerca di mentirmi, ma dovrebbe saper bene che ad una mamma non si dovrebbero dire bugie. Riesco a capire ogni sua emozione, ogni suo pensiero, solo alla vista del suo sguardo. Quindi sarebbe inutile ogni suo tentativo di celarmi le cose, fallirebbe miseramente.
“Forza su, dimmi cosa è successo. Hai litigato con qualche ragazzino a scuola?”
Lui mi fa cenno di no con la testa, ma continua a guardare verso un punto indefinito della stanza, forse per non incrociare i miei occhi.
“E allora? Perché stai così?”
“Così come?” mi domanda, donandomi finalmente dell’attenzione necessaria.
“Sei triste. E non dire che non è vero, ti conosco sai io.”
“Beh, vedi, un signore a scuola mi ha ricordato molto papà.”
“Papà? E chi era?” gli chiedo, incuriosendomi.
“Non lo so, ma gli assomigliava molto. Mi ha anche chiesto come stavo.”
Incurvo le sopracciglia, cercando di ripescare nella mia memoria qualche conoscente che potesse, anche solo lontanamente, ricordare Shinichi.
Continuo a pensare, ma comincio anche a preoccuparmi. Ripenso all’ombra vista al cimitero, e allo strano atteggiamento di quest’uomo con Conan. Sembra proprio che si stia per abbattere un’immane tempesta sulla nostra famiglia, che infondo, ha già devastato gran parte delle nostre terre. Sospiro, cercando di non far trapelare dalle mie parole le mie paure, e di non trasmetterle a mio figlio che, rattristato, giocherella con il suo braccialetto. Mi sembra addirittura di conoscerlo.
“Tesoro, sai che non devi parlare con gli sconosciuti no?”
“Sì lo so, ma quell’uomo mi stava osservando da parecchio, e poi si è avvicinato. Io ero vicino alla maestra e a Sophie, non mi sono spostato.”
“Ti stava osservando da parecchio?” domando ancora, cercando di ricavarne più informazioni possibili.
“Sì... lo fa da un sacco di giorni.”
Strabuzzo gli occhi, afferrandolo per le spalle.
“E tu... cosa aspettavi a dirmelo?!” urlo stavolta, lasciando che la paura s’impossessi della mia voce.
L’immaginazione vola alta nella mia mente, e crea milioni di scatti che scorrono veloci sui miei occhi. Vedo il mio bambino adocchiato da quest’uomo, del quale non conosco niente. Non so chi sia, non so cosa voglia, non so quali siano le sue intenzioni. So solo che Conan non è più al sicuro, nemmeno a scuola.
“Scusa, mi dispiace...”
Mi intenerisco e cerco di calmarmi, anche se mi risulta più che difficile. Continuo a guardare Conan, intento a giocare e ad intrecciare le dita al braccialetto che ha in mano.
Ne sembra attratto, perché continua a fissarlo, con insistenza.
“Dove lo hai preso?” gli chiedo, incuriosendomi sempre di più all’aggeggio. Vorrei sbagliarmi, vorrei davvero, ma ho un brutto presentimento.
“Quel signore me lo ha donato. Mi ha detto che è un regalo” mi confida,  facendomi per darmelo. Lo prendo e sento il cuore mancare un battito. O forse anche due o tre. Deglutisco più volte, serrando gli occhi e paralizzandoli dinanzi a quell’aggeggio, all’apparenza, così insignificante.
Certo, lo sarebbe per chiunque lo vedesse per la prima volta.
E’ di cuoio, un po’ usurato dal tempo, e delle strisciette di cotone azzurro lo avvolgono ad intervalli regolari. Ha anche un taglietto su un bordo.
Lo riconoscerei tra mille, è il braccialetto di Shinichi.
 
 
 
 
 
Cammino frettolosamente, su e giù, avanti e indietro, a destra e a sinistra, con le dita aggrottate al mento, sopra al pavimento di casa mia. Nell’altra mano mantengo il braccialetto che Conan ha portato da scuola, quello che gli ha regalato, o meglio restituito, quell’uomo misterioso. La domanda mi sorge spontanea, ma la risposta mi inquieta a tal punto che non oso farmela.
Comprendo solo che, a circa tre settimane dalla morte di Shinichi, un uomo pedina nostro figlio, e un altro me, e tutto sono, tranne che poliziotti.
“Tesoro hai intenzione di inscriverti alla maratona quest’anno?”
Una voce, fin troppo familiare, mi blocca i passi e mi spinge a seguirla. Appartiene ad una donna sulla cinquantina, con capelli da enormi boccoli dorati, occhi azzurri, ed un fisico invidiabile anche per me. E’ una delle donne più belle che io abbia mai incontrato, e non a caso, è anche mia suocera.
“Yukiko, che bello vederti!”
Mi avvicino a lei, e mi lascio trascinare nel suo caldo abbraccio, che mi porta a socchiudere gli occhi e ad appoggiare il mio viso sulla sua spalla. Da quando Shinichi non c’è più, Yukiko e Yusaku hanno lasciato Los Angeles per trasferirsi definitivamente a Tokyo, sistemandosi nella vecchia villa Kudo, quella dove mio marito aveva vissuto da solo per una decina d’anni. Noi invece, ai tempi del matrimonio, ce ne costruimmo una tutta nostra, vicino alla quale poi si stanziarono Heiji e Kazuha. Shinichi disse di volerne una nuova, perché avrebbe voluto creare con me un nido tutto nostro, che sia impregnato dei nostri ricordi, dei nostri sacrifici, delle nostre gioie, e non quelle dei genitori. E credo che ci sia riuscito, anche perché questo luogo, in ogni minimo centimetro, mi ricorda il mio detective, ed ogni infima cosa che abbiamo vissuto insieme.
“Come sei pallida, ma stai mangiando?” mi chiede, lasciandomi scivolare una mano lungo la guancia. Io distolgo il viso, un po’ in imbarazzo e mi allontano, cercando di sorridere.
“Certo, sto bene.”
“Hai delle occhiaie mostruose, non stai affatto bene. Non riesci a dormire?”
Cerco di smentire, con un leggero movimento del viso, ma credo che serva davvero a poco. Infondo come può stare bene una donna sulla trentina che ha appena perso la persona più importante della sua vita? Mi sento un po’ una sciocca nel cercare di mostrarmi forte. Ma a chi voglia darla a bere? Le persone che mi circondano mi conoscono, sanno chi sono, sanno come sono. Eppure io faccio di tutto per essere qualcun altro, qualcos’altro. Forse per me, forse per Conan.
“Se vuoi teniamo noi Conan per un po’. Perché non provi a svagarti? Shinichi non vorrebbe vederti così.”
“N-no, voglio stare vicino a Conan, adesso voglio solo lui.”
Bisbiglio, incominciando a singhiozzare. Al solo pensiero di dovermi separare - anche - da Conan, mi viene da piangere. Non dovrebbero nemmeno chiedermela una cosa del genere, che non si azzardassero.
“Ma per qualunque cosa noi ci siamo, ok?” mi dice, prendendomi il viso con le mani, e fissandomi con quei suoi occhioni blu, uguali a quelli del figlio.
Annuisco immediatamente, e mi asciugo quel poco di lacrima che aveva inumidito le mie palpebre.
“Come vorrei essere come te. Mi fingo forte, mentre tu invece lo sei davvero. Non oso immaginare cosa significhi perdere un figlio.”
“Non lo auguro a nessuno credimi. E’ la cosa più brutta che possa capitare ad una madre” mi dice, distogliendo lo sguardo. Adesso posso scorgere nei suoi occhi la tristezza e la debolezza, il dolore di una donna che ha perso il proprio bambino.
“Sai, Shinichi ha sempre dato l’impressione dell’uomo di mondo.. anche a noi, che ne eravamo i genitori, si è sempre mostrato forte, coraggioso, intelligente, anche un po’ sbruffone...”
“...ed incosciente.”
Completa la sua frase una terza voce, quella marcata e decisa di Heiji. Appare sulla soglia della porta accompagnato da Yusaku, segnato da un’espressione indecifrabile sul volto. Che abbiano scoperto altro? Mio suocero si è interessato alla questione dal momento in cui abbiamo capito che tutto è stato, tranne che un incidente. Eppure il suo omicidio appare qualcosa di così complicato e misterioso, che anche uno scrittore di gialli come Yusaku Kudo è incapace a decifrare.
“Sì, effettivamente mi assomigliava molto su questo” afferma, quasi compiaciuta, mia suocera.
“Anche tu saresti andata ad un appuntamento, sapendo di averlo con la morte?” la riprende stizzito il marito.
“Shinichi sapeva?” domando io, serrando gli occhi.
“A quanto dice Toisuke, Kemerl avrebbe chiamato Shinichi sul cellulare dell’ufficio, e si sarebbero messi d’accordo” m’informa Heiji, sospirando.
“Stai scherzando, spero!”
“Ha anche aggiunto che, nella telefonata, Kemerl avrebbe promesso a Shinichi che, se si fossero incontrati, lui avrebbe lasciato stare te e il piccolo Conan.”
“No, non ci credo” mi porto le mani ai capelli, coprendomi la testa. “Come ha potuto...”
“Non capisco. Shinichi non era stupido, perché non me l’ha detto, perché?!” sbotta esasperato il mio amico, dando un calcio al salotto. Io invece non ho nemmeno la forza di reagire, di muovermi, di pensare. Shinichi sapeva, e per un estremo atto di eroismo, è andato a farsi uccidere da un maniaco perverso. Ha lasciato me sola, mio figlio solo, noi soli, per uno stupido atto d’eroismo!
Le mani scorrono sul mio viso, andando così a coprire le lacrime che impregnano il mio volto. Sospiro più volte, cercando almeno di non singhiozzare. Perché non riesco a ringraziarlo semplicemente per ciò che ha fatto? Perché mi sembra più un’azione egoista, diretta dalla sua ostentata superiorità e saccenza? Perché credo che abbia voluto fare tutto da solo, per poi incorniciare, come con una fotografia, quella sua indimenticabile trovata? Beh, di sicuro, noi, non la scorderemo più.
“Stavolta almeno avrebbe potuto ragionare, perché ha sempre creduto di poter fare tutto lui solo?”
“Perché era fatto così. Era fatto così” mormoro io, dando una semplice, ma schietta, risposta, alla domanda di Yusaku.
“Papà non era un egoista!” c’interrompe la voce infantile ed arrabbiata di mio figlio, fermo sulle gradinate della scala. Ha lo sguardo fisso e le mani chiuse in pugni, i muscoli della faccia tirati.
Gli occhi sono lucidi ed arrossati, le labbra sono storte in una smorfia.
“Conan...” lo chiamo, con voce flebile, tentando di avvicinarmi.
“Voi siete cattivi, cattivi! Se si è sacrificato lo ha fatto per noi, per noi mamma!” mi grida contro, incominciando a piangere. Corro verso di lui, cercando di calmarlo, ma mi spinge lontano con il braccio, impedendomi di prenderlo.
“Conan calmati adesso.”
“Non abbiamo detto che tuo padre era un egoista” sento la voce di Heiji rasserenarlo, e avvicinarsi pian piano.
“Era la persona migliore che conoscessi. Ma è per questo che siamo arrabbiati, per averlo perso, capisci?”
“Solo per questo?” chiede Conan, leggermente più addolcito.
“Sì, solo per questo.”
“Beh, l’arcano mistero è svelato. Ecco perché Shinichi si trovava lì, a quell’ora, in quel posto, e perché non si è salvato” deduce Yusaku, con voce bassa. “Era tutto già organizzato e lui, sapendolo, si è sacrificato. Quel che resta è un corpo abbrustolito, una famiglia a pezzi e il suo ricordo.”
“Quando vidi il corpo volevo morire. Penso che sia una di quelle immagini che ti rimangono impresse nella mente, per sempre” continua Heiji, con un tono rotto dalle lacrime che cominciavano a fluire lungo il suo viso.
Ecco, questo è il momento che più odio da tre settimane ad oggi. Il rimpianto. Il ricordo.
Non voglio ricordarlo, non voglio perché sto male, perché io e Conan staremo male.
E sono anche arrabbiata adesso. Sì, sono nera, e non penso che mi calmerò facilmente.
Non ha pensato a cosa saremmo stati senza lui?
Peccato, perché mi hai salvato da una morte meno lenta e dolorosa di quella che sto patendo adesso.
 
 
 
 
 
“Ah Heiji, devo parlarti.”
Il mio amico si gira verso di me, e dopo aver congedato i miei suoceri, si appresta a donarmi tutta l’attenzione necessaria, e forse anche un po’ di rispetto. Non riesco a calmarmi, e non riesco a pensare a mio marito senza innervosirmi. E’ strano quello che mi sta succedendo, quello che sto provando. Quasi, quasi, sento di provare un profondo odio verso tutti. Sì, ed in primis, verso Shinichi.
Non riesco ad accettare che lui, così intelligente e intraprendente, avesse scelto quella strada, quell’unica via d’uscita.
“Dimmi.”
“Non è finita qui, giusto? Lo sai vero, Heiji?”
“Certo, lo so” mi risponde convinto, senza guardarmi.
“Il mio eroe si è sacrificato per nulla. Conan è in pericolo, in grave pericolo.”
Mio cognato mi guarda perplesso, e mi lancia una serie di occhiate furtive.
“Come lo sai?”
“Questo” gli indico, per poi darglielo. “E’ il braccialetto di Shinichi. Lo portava sempre, ed indovina un po’? Un individuo si avvicina a mio figlio stamattina e glielo dà, come se nulla fosse.”
“Chi era?” mi chiede allarmato, osservando per bene il bracciale.
“Non lo so. Conan mi ha detto che somigliava al padre e che, ultimamente, lo seguiva sempre.”
“Lo seguiva?” continua a domandarmi, come se io ne sapessi più di lui. Mi lascio andare sul salotto e sbuffo rumorosamente, attirando su di me la sua attenzione.
“Sì, lo seguiva. Capisci? Non è più al sicuro! Nemmeno a scuola!”
“Ok, ok... cerchiamo di non allarmarci e ragioniamo.”
“Non allarmarci?” lo riprendo, ormai completamente fuori di me. “C’è un tizio che segue Conan, ed uno che segue me...”
“Cosa? Cosa? Chi ti segue?” mi chiede Heiji, afferrandomi per il polso.
Io sospiro, abbassando gli occhi al pavimento.
“L’altra volta, quando Conan venne in centrale, ero andata al cimitero. Nonostante fosse sera, il cancello era aperto ed io entrai, senza farci troppo caso. Ma poi mi sono accorta che qualcuno mi stava osservando, e sono fuggita.”
“E perché cavolo non me l’hai detto?!”
“N-non l-lo...” cerco di completare la mia frase, ma vengo interrotta da Conan che, correndo sulle scale, sbatte contro il muro di fronte al corridoio. Corro a soccorrerlo, e faccio per alzarlo, quando vedo, alla base del mio battitappeto, qualcosa di strano che mi incuriosisce, e distoglie il mio sguardo.
“Tutto bene?” gli chiede Heiji, sollevandolo da terra.
“Sì, con i calzini sono scivolato. Vado un attimo in bagno.”
“Ran? Che succede?” mi domanda mio cognato, preoccupato nel vedermi ancora seduta al pavimento. I miei occhi sono puntati verso un piccolo aggeggio che si trova nel nostro corridoio, nascosto dietro al mobiletto, ma portato alla luce dalla caduta di Conan. Serro le palpebre, tesando il braccio verso quell’apparecchio, nero e delicato, piccolo e camaleontico.
“Ran?”
Giro il mio viso verso quello di mio cognato, nel frattempo rimasto da solo nel corridoio. Alzo verso di lui la mia mano, mostrandogli il tesoro che ho appena trovato. Lo vedo sbiancare, e rivolgermi un’occhiata preoccupata, anzi, la definirei terrorizzata.
I nostri sospetti erano fondati.
Siamo davvero, tutti, in pericolo, e adesso ne abbiamo la prova inconfutabile.
Sento il temporale devastare la natura al di fuori della finestra, e cadere violento sulle tegole del nostro tetto, nel nostro giardino, sui nostri balconi.
Ma, adesso, riesco anche a sentire i bisbigli di coloro che si divertono oltre queste mura, ad ascoltarci, a privarci della nostra identità, della nostra privacy.
Mai mi sono sentita più indignata come in questo momento, come ad avere questa cimice tra le mani.



 
 
 
 


Angolino autrice:
*Felice di aver aggiornato presto*
Bene! Miei carissimi lettori, siamo ad un punto shock della storia!
I sospetti di Ran ed Heiji erano fondati, in casa Kudo c’è qualcuno che sente qualcosa di troppo!
Adesso, chi sarà? Ve lo aspettavate, eh?
E il braccialetto? Chi sarà quell’uomo che ha donato a Conan uno dei bracciali preferiti del padre?
E Shinichi? Pensate abbia fatto bene a sacrificarsi per il figlio e la moglie?
Vi ho incuriosito abbastanza? Spero di sì. :P
Vorrei ringraziare coloro che hanno recensito il secondo capitolo:
Kaori_, AliHolmes, Coffee_stains, Delia23, mangakagirl ed aoko_90!
Arigotou!
E grazie anche a Coffee_stains ed aoko_90 per aver inserito la storia tra le seguite!
Allora alla prossima!
Un bacione,

Tonia

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Capitolo 4
*** Incontro indesiderato ***


E se io vivessi d’odio?
4 . Incontro indesiderato

 
 
 
Sarà un’ora, o forse anche due, che sono ferma a fissare, dalla finestra del primo piano degli Hattori, la mia casa, la nostra villa. Il suo profilo, gli alberi che con tanto amore abbiamo fatto crescere, l’intonaco che scegliemmo sette anni fa, le finestre appannate dalla pioggia, il giardino dove Conan giocava, il muro scorticato, le balconate lunghe e strette. La mia espressione imperterrita si ferma su quelle stanze, e su quei mobili, che adesso sono infettati, ed inquinati, da squallidi individui che hanno deciso di spiarci e di intromettersi nella nostra meravigliosa vita.
E adesso mi ritrovo qui, delusa, afflitta, malinconica ed arrabbiata, dal mio migliore amico, a guardare da una finestra la mia cara ed ormai, lontana, casa.
Sono da loro perché Heiji mi ha chiesto di trasferirmi da lui, dove possiamo chiacchierare in tranquillità, perché cimici non ci sono.
Però, adesso che ne sono lontana, sento nostalgia verso i ricordi che quelle mura mi scagliavano addosso con violenza e con dolcezza, facendomi vacillare, ma cullandomi anche in una nube di un passato da non dimenticare. Ed ho paura che, col tempo, io possa dimenticarlo, possa allontanarlo; perché forse non è importante quanto si ami una persona, forse non vedendola, scorderai il suo viso.
Ed io non voglio che accada, non voglio che lui sbiadisca con il tempo o con la vecchiaia, non voglio che con l’aumentare delle rughe diminuiscano i ricordi.
Io voglio avere la sua immagine sempre viva nella mente, come un’onda del mare che ribatte e sbatte dentro di me. Sempre ed instancabilmente. Lo voglio sempre vicino, anche se è lontano.
E non potrei nemmeno andare nell’ufficio di Shinichi, perché anche lì sono stati trovati quegli aggeggi così insignificanti e vili al tempo stesso. Il pensiero di qualcuno che mi ascolta mi rivolta lo stomaco, e mi innervosisce come niente prima d’ora. Il pensiero che qualcuno abbia deciso di privare la nostra privacy, quella della mia famiglia, quella di mio marito, e quella del mio bambino, mi indegna e mi rattrista.
E sento il mio cervello gridare quella fatidica domanda, che faticosamente ho allontanato in queste settimane, ma che ossessa la mente di qualsiasi persona che si crede tradita.
 
Ma perché lui? Perché proprio lui?
 
Mi sento un’egoista, e credo di esserlo, ma avrei preferito fosse successo a qualcun altro, a qualsiasi altro essere presente su questa Terra, ma non a noi, ma non a me.
“Ran? Vuoi andare a fare un po’ di shopping?”
Mi volto verso la mia amica, con gli occhi leggermente spessi di lacrime. Faccio per bere la camomilla che mi ha preparato, ma che con i minuti si è infreddolita e diventata insapore. Proprio come la mia vita. Insipida, senza colore.
Mi osserva con la schiena poggiata alla porta con un’espressione preoccupata, mentre io continuo a guardarla senza degnarle di risposta. Ultimamente ci metto un po’ a metabolizzare ciò che mi dicono.
“Ehm, sì, va bene... ok.”
Fingo, perché in realtà voglia di uscire, di svagarmi, di ridere o di spendere, non ne ho proprio. Però non posso comportarmi da parassita nei confronti dei miei amici, non posso sembrare petulante e noiosa. So che loro tentano di capirmi, ma non ci riuscirebbero mai fino in fondo. E forse, io stessa non voglio che loro ci arrivino. Per comprendere una situazione del genere dovresti solo viverla, e solo in quel momento ti renderesti conto che del mondo, delle persone, delle auto che sfrecciano, dei fiori che sbocciano, delle stagioni che passano e dei giorni che muoiono, non te importeresti minimamente.
“Oh perfetto! Vado a chiamare i bambini, facciamo venire anche loro.”
Ridacchio, immaginando già tutto l’entusiasmo di Conan nel venire a fare shopping con noi. Purtroppo da quando il padre non c’è più, non può nemmeno ingannare il tempo con lui, investigando con lui, giocando con lui. La maggior parte dei pomeriggi Conan li passava con il padre, nel suo ufficio, a cercare - almeno lui così diceva - d’aiutarlo con i casi. In realtà Shinichi non ne aveva granché bisogno, ma che il figlio avesse la sua stessa passione era un motivo d’orgoglio per lui, e di preoccupazione per me. Ho ancora il suo viso splendente e sorridente che con occhi lucidi mi comunica che Conan era arrivato alla sua stessa soluzione, o quando quella volta lo avevamo beccato con un libro di Doyle tra le mani. Shinichi era fiero di suo figlio, e lui era fiero di suo padre.
“Mamma! Io non voglio venire a fare shopping! Mi scoccio, lo sai!”
La sua vocina mi costringe a voltarmi nuovamente verso la porta della stanza, distogliendo la mente dai miei pensieri. Sorrido, sapendo perfettamente quale sarebbe stata la sua reazione. Ma non posso lasciarlo qui da solo, e non posso nemmeno portarlo da Heiji, indaffarato col suo lavoro. Che gli piaccia o no deve venire con noi, anche perché l’idea di essere stati spiati per così tanto tempo mi terrorizza. Lui però non sa niente, nemmeno delle cimici, ed in modo che non abbia di che preoccuparsi io e lo zio abbiamo inventato la scusa che, a causa della loro partenza per Niigata tra quattro giorni, io non me la sentivo di stare da sola in casa.
“Tesoro dai, stai un po’ con la mamma. Da quanto tempo non usciamo un po’ io e te?”
“Dalla morte di papà” mi dice malinconico, con lo sguardo abbassato. Una morsa mi stringe il cuore, e mi costringe a sospirare affannosamente. E’ più difficile del previsto, più di quanto mi avevano detto. Shinichi non manca solo nei momenti importanti, ma anche in quelli più stupidi, in quelli ordinari di ogni giorno. Anzi, forse sono proprio quelli che fanno più male. Nessuno potrebbe mai colmare la presenza di una persona in quegl’istanti, che si rivelano essere fondamentali, perché ti riempiono il tempo, e i giorni, e le ore.
Lo stringo forte a me, socchiudendo gli occhi e lasciando che una lacrima mi scorra sul viso.
“Papà ti vuole vedere felice Conan... cos’è questo broncio? Tu devi essere forte, sei suo figlio, no? Sei Conan Kudo, e non so se mi spiego” cerco di rincuorarlo, facendogli l’occhiolino.
Finalmente accenna ad un sorriso, e si passa una mano sotto gli occhi, portando via le lacrime.
“Certo, io sono forte” mi dice, facendomi sorridere.
“E sei bello, bello, bello!” esclamo, strapazzandolo tra le mie braccia.
“Mamma! Mi fai male!”
“Dimmi, quante ragazzine hai? Dieci? Venti? Cento?” continuo a prenderlo in giro, ridacchiando.
“Ma mamma!”
“Oh, non fare il modesto Conan. Scommetto che Sophie ti piace, vero?”
“Mamma ma che dici!” sbotta lui, strappandosi dalla mia presa, paonazzo.
“Ok, ok... però tu alla tua mamma puoi sempre dire tutto. Io ne capisco di queste cose sai.”
“Sì... immagino.”
Scoppiamo a ridere insieme, come non facevamo da molto tempo ormai. Poi gli dono un bacio sulla testa, scompigliandogli i capelli corvini, e facendolo arrossire ancora di più. Mi alzo, e gli prendo la mano, raggiungendo Kazuha e la piccola Sophie. Pronta, e pronti, ad affrontare una nuova giornata senza Shinichi.
 
 
 
 
 
Abbiamo optato per un centro commerciale; bello, spazioso, luminoso, ma soprattutto, al coperto. Fuori continua la tempesta e noi, furbamente, ce ne stiamo al calduccio ad ammirare le migliaia di vetrine che, come in una catena, si susseguono senza sosta in questo labirinto commerciale.
Abbiamo girato per un bel po’, e sono riuscita anche a non pensare a Shinichi, anche se solo per pochi minuti. Conan è stato più buono del solito; forse grazie alla scoperta di una libreria, dove lui, come c’era da aspettarselo, è volato dritto verso il reparto di gialli.
Kazuha ha comprato anche qualche pantalone, ed alcune felpe colorate a Sophie. Io invece sono rimasta semplicemente a godermi quel momento di apparente serenità, cercando di liberare la mente dai miei pensieri e dalle mie paure, e di sentirmi, anche solo per un momento, serena.
Illusione effimera ed anche contraddittoria per una che fa di tutto per non esserlo. Ma ho voluto crederci, e ho sperato che anche Shinichi lo volesse.
Così, dopo aver fatto un’infinità di giri, abbiamo deciso di andare in pizzeria, per gustarci una bella pizza italiana. Ed è qui che mi trovo in questo momento, ed è qui che sento gli occhi di qualcuno scrutarmi ed osservare ogni minima mossa. Cerco di cavarne un indizio, un particolare, ma intorno a me trovo solo famiglie felici e sorridenti, fidanzati innamorati, e amici ubriachi di chiacchiere.
“No! Ma tu sei Ran Mouri, giusto?”
Una voce sconosciuta mi chiama, e mi costringe a voltarmi verso il ragazzo che, con fare confidente, si è avvicinato al nostro tavolo, poggiando una mano sopra. Lo guardo meglio, e mi fermo ad osservare il suo fisico, e poi il suo viso. Scuoto la testa, allontanando certi pensieri dal mio cervello, che non dovrebbero nemmeno attraversalo. E adesso che mi succede?
Fingo un sorriso nervoso, e faccio per rispondere, schiarendomi la voce.
“Sì... ci conosciamo?”
Lui mi sorride, tendendomi la mano.
“No, ma io conoscevo Shinichi. Sono un suo grande amico.”
“A-amico?” chiedo sorpresa. Non ricordavo che mio marito avesse amici così... simili a lui.
Ma non fisicamente, e nemmeno di viso. Ha qualcosa che mi ricorda Shinichi, e non so cosa sia.
E se fosse lui il tipo che Conan ha incontrato a scuola? No, me lo direbbe, è di fianco a me.
Lo guardo, per scrutare nel mio bambino qualcosa che possa aiutarmi, ma lo vedo completamente disinteressato, e non credo si sia dimenticato di quell’uomo nel giro di pochi giorni.
“Sì... sono anche io un detective, sai. Siamo...” si ferma un attimo, correggendosi, abbassando il capo tristemente. “Eravamo colleghi...”
“Ah, piacere di conoscerti allora.”
“Sei sicuro che sei amico di papà? Lui non ci ha mai parlato di te” s’intromette Conan, lanciandogli un’occhiata furtiva. Il ragazzo sorride, grattandosi la testa, nervosamente.
“Certo. Il mio nome è Gin Kitsune, non vi dice niente?”
“No, mi dispiace” rispondo, sovrastando la voce di Conan.
“Beh, in compenso, Shinichi mi ha parlato sempre molto di voi. Diceva che aveva una famiglia meravigliosa, che era l’uomo più fortunato del pianeta.”
Strabuzzo gli occhi, arrossendo leggermente.
“S-Shinichi ha detto questo?” sbotto stranita, attirando su di me l’attenzione dei presenti. Conoscendolo, mi fa strano sentire che lui parlasse di noi in quel modo. Shinichi è sempre stato riservato e schivo, fin troppo timido per aprirsi con la gente. A stento riusciva a parlare con Heiji, che era il suo migliore amico, non posso immaginare lo facesse con gli estranei.
“Sì... lo ripeteva sempre” ribatte il ragazzo, sorridendomi.
“Oh.” Rimango nuovamente stupita, incapace ad accumulare parole sensate.
“Mi dispiace che sia finita così, per me era un grande davvero.”
Annuisco, perdendomi ad osservare questo ragazzo. Una stupida ed inconcepibile idea mi attraversa la mente, e faccio in tempo a scacciarla, prima che possa farmi del male. Ma non riesco a smettere di fissarlo, proprio perché, stranamente, mi ricorda il mio Shinichi.
 
Che sia...
 
“Di dove sei Gin?” chiedo, cercando di apparire gentile.
“Sono di Kyoto, ma da poco mi sono trasferito a Tokyo per lavoro. Ho conosciuto Shinichi proprio qui, in seguito ad un caso, e siamo divenuti amici. Abbiamo partecipato a molte indagini private insieme, lui era sempre uno scalino sopra di me. L’ho visto per l’ultima volta il venerdì prima che morisse, ah... era davvero sorridente.”
Mi riferisce, storcendo le labbra in una smorfia.
“Uno stupido incidente ha fatto finire tutto. Mi dispiace per te e...” si abbassa leggermente, scompigliando i capelli di Conan con una mano. “...per il piccolo.”
“Non mi toccare” replica Conan, liberandosi con stizza del suo tocco. Strabuzzo gli occhi, appoggiando una mano sul braccio di mio figlio.
“Non essere maleducato tesoro.”
“Oh, non preoccuparti.. io adoro i bambini.”
Così dicendo, lo vedo abbassarsi verso Conan e donargli un sorriso a trentadue denti, riprovando a cercare un contatto con lui, ma fallendo miseramente. Ancora una volta, il mio bambino si scansa, accentuando tutto il suo astio nell’averlo affianco.
“Ti ho detto che non mi devi toccare” continua mio figlio, con voce alterata.
“Conan smettila adesso.” Lo riprendo, e vedo i suoi occhi posarsi su di me, e tentare di dirmi qualcosa.
“Spero che in futuro andremo più d’accordo...” replica Gin, sfoderando un nuovo sorriso.
“Ero un amico di papà, puoi fidarti di me.” Gli fa l’occhiolino, e si discosta leggermente dal tavolo, portando lo sguardo su Kazuha e Sophie, che nel frattempo, erano andate un attimo in bagno. Lascia il posto alla mia amica, e la saluta gentilmente, presentandosi nuovamente.
“Gin... io vado.”
Una voce lo chiama dall’ingresso del locale, obbligandolo a distogliere gli occhi da noi, e a puntarli su di lui. Corriamo con lo sguardo verso la figura che, all’ingresso, sta salutando il nostro nuovo amico.
Da quello che posso notare, è un ragazzo giovanissimo, all’incirca avrà una ventina d’anni. Porta una felpa molto larga, e degli occhiali che gli coprono buona parte del viso, leggermente usurato da foruncoli.
“Sì, vai, vai...Wunderwaffe.”
Lo dilegua frettolosamente, donandogli solamente un’occhiata obliqua. Vedo il ragazzo chiudere la porta dietro di sé, e scomparire tra i grattacieli della città. Ritorno a prestare attenzione al giovane che mi è accanto, e che continua a mostrare il massimo della cordialità nel parlare con Kazuha e con la piccola Sophie.
“Era un tuo amico?”
“Sì... più o meno, abita vicino noi, nel quarto distretto di Beika.”
“Ah, quindi stiamo tutti lì...” sento blaterare da lei, che con viso sorridente intrattiene una discussione con Gin, riguardo case, luoghi e strade.
“Eh sì, mi trovo parecchio bene. Ma purtroppo ancora non so come muovermi bene, Tokyo è gigantesca.”
Mi interesso alla conversazione, e vedo Conan farlo con me, aggrottando leggermente le sopracciglia.
“Non dirlo a me, appena arrivai ero capace di perdermi ogni tre minuti” dice Kazuha, prendendo man mano confidenza con Gin. Io, in realtà, sono presa nell’osservare mio figlio che, con gli occhi fissi su di lui, mostra degli atteggiamenti abbastanza ambigui, o meglio, li definirei, familiari. Il mio pensiero vola così a Shinichi, e alla sua continua diffidenza verso le persone e verso ciò che vogliono sembrare. Lui ha sempre creduto che ogni persona finge, e che dietro a quella maschera di apparente gentilezza siano celati i crimini più vergognosi che un uomo possa commettere. E adesso, sembra che Conan stia cercando di portarli a galla, attraverso l’unico strumento che ha a disposizione, l’osservazione.
E sarà che io non ho le loro capacità, e nemmeno il loro intuito, ma il giovane che ho d’avanti mi pare solo un ragazzo molto allegro e gentile, con un’interminabile voglia di chiacchierare.
Vedo Gin osservare l’orologio ed assumere un’espressione strana. Si rivolge a noi con un sorriso, discostandosi ancor di più dal tavolo.
“Scusatemi signore, ma adesso devo andare... spero di rivedervi. Ciao, Ran...”
Saluta principalmente me, per poi allontanarsi rapidamente, pagare il conto, e lasciarmi interdetta a pensare. Credo di non saper nemmeno descrivere le emozioni che sto provando. Mi fa piacere aver incontrato un amico di mio marito, ma allo stesso tempo mi inquieta il comportamento di Conan. Forse è solo un capriccio verso un uomo sconosciuto, che si sia avvicinato a me, ma che non sia il padre.
“Mamma, non fidarti di quel tizio” incomincia a dirmi, rivolgendomi la parola. I suoi occhi azzurri mi trasmettono titubanze, ma allo stesso tempo anche certezze.
“Perché non dovrei?” gli chiedo, mentre sento gli sguardi di Kazuha e Sophie su di noi, pronte ad intromettersi nella conversazione.
“E’ subdolo... ha detto un sacco di cose strane.”
“Tipo?”
Lo vedo mandare lo sguardo alla finestra della pizzeria, intento a fissare qualcosa. Mi giro verso quella direzione, ma non riesco a notare nulla di strano, se non una serie di coppiette, ed alcuni uomini in cravatta. Ritorna a prestarmi attenzione, sospirando leggermente.
“Ha detto che è un grande amico di papà, ma noi non ne abbiamo mai sentito parlare. Ha detto che ha conosciuto papà a Tokyo, e che insieme hanno svolto alcuni casi. Non solo mi sembra strano che papà si sia fatto aiutare, ma allo stesso tempo non mi convince che stia a Tokyo da tanto tempo per risolvere casi, ma non abbastanza per conoscere le strade. Quando ha parlato dell’amico, a zia Kazuha ha detto che abitava vicino ‘noi’, come se sapesse già dove abitiamo, e come se avesse una tale confidenza da potersi permettere di dirlo. Non so, non mi convince.”
Sbatto più volte le palpebre, strabuzzando gli occhi e serrando leggermente la bocca. E credo che con me l’abbia fatto anche Kazuha, che ha ascoltato l’intera spiegazione dei suoi dubbi.
“Come si vede che sei il figlio di Shinichi” gli dice la mia amica, sorridendogli.
“Eh già” asserisco, lasciando trapelare tutto il mio stupore. Sapevo che Conan fosse intelligente, ma non mi aspettavo potesse arrivare a questo punto. Mi sembra quasi di avere una reincarnazione di mio marito avanti, somigliante in tutto e per tutto.
Ma, nel momento in cui alzo gli occhi un attimo per bere e bagnare la mia gola secca, vedo Conan sgattaiolare verso l’entrata della pizzeria, e scomparire lentamente dalla mia vista. Mi alzo di scatto, scostando con violenza il tavolo, e lasciando andare il bicchiere sulla tovaglia, frantumandolo.
“Conan fermati!”
Lo chiamo urlando, mentre mi ritrovo fuori dal locale, dove nel frattempo, ha smesso di piovere. A terra vi sono tantissime pozzanghere a cui io nemmeno faccio caso, presa come sono nel cercare quel diavolo di mio figlio. Non capisco cosa l’abbia spinto a fuggire così repentinamente da noi, e perdersi tra le strade di Tokyo, dove scontro con le mie spalle quelle di altre persone, che si rivolgono a me con grida incitate.
“Conan!”
Lo chiamo ancora, cacciando tutta l’aria che ho nei polmoni. Sento il fiatone, ma continuo a correre, ritrovandomi in vicoli bui e terrificanti, dove mi sembra di aver visto la figura di mio figlio entrare.
Ripenso allo sguardo fisso sulla finestra che aveva, che sembrava cercare qualcuno o qualcosa, al quale però non so dare né nome né spiegazione.
Mi ritrovo alla fine di una strada, recintata da enormi grattacieli, e miseramente illuminata. Nel girare lo sguardo noto Conan, fermo e deciso nella sua posizione, fisso ad osservare qualcuno. Alzo leggermente il capo, e sento le forze venire meno. Ho davanti a me l’incubo delle miei giorni e delle mie notti, colui che mi ha rovinato la vita privandomi dell’unica persona che mi capisse sul serio, e che io amavo più di me stessa. Toichi Kemerl.
Mi avvicino lentamente al mio bambino, sentendo le gambe tremare, prese da un’asfissiante paura. Strabuzzo le palpebre, stendendo le mani avanti, cercando di fare da scudo per il mio piccolo.
“Guarda chi si rivede... ciao Ran. Da quanto tempo.”
Sento la sua lurida voce arrivarmi alle orecchie, e un sorriso fastidioso nascergli sul viso. Ha sempre la stessa faccia diabolica, lo stesso taglio di capelli, gli stessi occhi, gli stessi zigomi. D’altronde ho dinanzi a me una maschera* e non credo che quelle invecchino col tempo.
“Tu!” gli punto il dito contro, esasperandomi, e raggiungendo finalmente Conan. “Cosa vuoi?!”
“Così si accoglie un amico dopo tutto questo tempo? Che maleducata.”
Afferro il braccio di Conan, in modo da avvicinarlo ancor di più a me.
“Che cosa vuoi?!” sbraito ancora una volta, sentendo quasi l’eco delle mie parole espandersi tra le mura scure di quei palazzi che ci circondano.
“Volevo fare due chiacchiere con questa bellissima famiglia. Oh, ma è mia impressione, o ci manca qualcuno?” ci dice ironico, mentre sento Conan irritarsi e spingere per voler andare da lui. Per fortuna ha il polso bloccato da me, che non gli permetterò di certo di farsi uccidere dalle mani di quell’uomo.
“Mi fai schifo!”
“Tu! Tu hai ucciso mio padre! Come hai potuto?!?”
Grida Conan, cercando di svincolarsi dalla mia presa con tutta la forza che ha in corpo.
“Lasciami andare! Devo vendicare papà, lasciami!”
“Ma che carino, gli assomiglia molto, devo riconoscerlo.”
Mentre cerco di trattenere mio figlio, sento i passi di Kemerl avvicinarsi pericolosamente a noi, e guardarci con aria infernale. Indietreggio di qualche metro, portando Conan con me, e andando a sbattere con la schiena contro un muro.
“Che ne dici, piccolino, di raggiungere tuo padre?” continua ad avvicinarsi a noi, stavolta molto più velocemente. Guardo alla mia destra e, non vedendo alcuna via d’uscita, mi spingo a sinistra, ma vengo fermata dal suono metallico della sicura di una pistola, la sua.
Alzo lo sguardo e mi ritrovo quell’arma puntata contro il capo di mio figlio, all’altezza delle tempie.
“Ferma o gli faccio saltare la testa.”
Sento il cuore battermi all’impazzata, e stringo sempre più Conan a me, indietreggiando nuovamente verso il muro. Le lacrime solcano il mio viso e la mia voce si fa singhiozzante e terrificata.
“T-ti prego... l-lui non c’entra niente, l-lascialo stare... ti prego!”
“Stai zitta tu.”
“P-per f-favore... è u-un bambino, prendi me! Prendi me!” lo supplico, ma il mio pianto sembra non aver alcun effetto su di lui. Se solo avesse un cuore e sapesse cosa significhi amare, forse sarebbe tutto più facile...
“Ho detto stai zitta!”
Continuo a piangere, avvicinando il viso di mio figlio alle mie labbra, e stringendolo sempre più a me. Forse è davvero la fine, forse davvero potrò rincontrare Shinichi e vivere insieme quella vita che ci hanno privato. Sento il corpo di Conan pietrificato, incapace a muoversi, e gli occhi sbarrati puntati su quell’uomo. La sua tempia è ancora occupata da quella pistola, fredda, gelida, nera. Rappresenta la morte e la fine delle speranze. Il suo ghigno si espande nell’aria, e fa raggrinzire la mia pelle, che viene percossa da milioni di brividi di paura. Scusami Conan, scusami Shinichi. Non ho saputo proteggere nostro figlio.
“Addio... piccolo.”
Sta per premere il grilletto, ma si blocca improvvisamente, attirato dal suono delle sirene della polizia. E mentre si avvicinano sempre più, lui si discosta leggermente da noi per cercare di capire da dove stiano arrivando. Ci lancia un’occhiata seccata, e finalmente abbassa la pistola, allontanandosi di pochi passi.
“Vi è andata bene questa volta” ci dice, ma molto più addolcito. Come se la sua frase avesse un doppio senso, che adesso, non riesco a percepire. Immobilizzata, lo vedo correre rapidamente verso uno dei palazzi, arrampicarsi sulle scale antincendio e fuggire via, nel buio più completo della sera.
La polizia ferma le auto alla bocca del vicolo da dove siamo entrati e ci viene incontro con preoccupazione. Heiji appare tra i poliziotti e ci raggiunge prima degli altri, dandomi alcune scosse con le braccia.
“Stai bene Ran? E tu Conan?” ci chiede allarmato, mentre alcuni agenti si fermano alle sue spalle, in attesa di indicazioni.
“Dov’è andato Kemerl?!” continua a sbraitarci contro, ma sento la sua voce lontana, ed anche Conan, che prontamente scende dalle mie braccia. Non riesco a rispondere ai comandi che la mia mente manda al mio corpo, sono totalmente ed emotivamente scioccata.
“E’ scappato su quella scala!”
Sento le voci dei poliziotti aggregarsi e i loro corpi muoversi verso quel palazzo, quelle scale e quell’appartamento. Non riesco a parlare, e a stento respiro.
Toichi Kemerl stava per uccidere il mio bambino, tra le mie braccia, senza alcuna pietà.
Ed io non potevo fare niente per salvarlo, niente.
Mi sento la nullità in persona, un’esistenza che non avrebbe nemmeno il diritto di vivere.
“Zio ma come sapevate che era qui?”
“Abbiamo avuto una chiamata anonima... ci ha rivelato che Kemerl era in questa zona, ma poi abbiamo incontrato zia Kazuha fuori dalla pizzeria, e ci ha detto che eravate scappati fuori, verso questo vicolo.”
“Ma cosa vi ha fatto?” continua a chiederci Heiji, portando lo sguardo preoccupato su di me.
Io lo guardo distrutta, afflitta, atterrita. Porto il pensiero a Shinichi, e alla sua lacerante assenza.
“Stava per ucciderci, stava per farlo.”
Quanto avrei voluto che fosse venuto all’ultimo momento a salvarci, come faceva un tempo, come aveva sempre fatto. Lui manca, ed insieme a lui svanisce anche la consapevolezza di potercela fare un giorno, di poterci riuscire. Però abbattermi significa far morire mio figlio, un bambino di soli sette anni che ancora deve scoprire tutto della vita, che ha ancora da crescere, da piangere, da gioire.
E allora è il momento di stringere i pugni, alzare il capo, e rivendicare Shinichi, in nome di Conan.
Perché forse senza padre, e probabilmente anche senza madre, lui vivrà, lui andrà avanti, lui ce la farà.
Ed intanto ricomincia a piovere, e la primavera sembra non voler arrivare mai.
 


*Toichi Kemerl ha fatto una plastica del viso. Per maggiori informazioni, rileggere il capitolo 28 di “Vivere d’emozioni”: Rache, Kirai, End.
 


Angolino autrice:
Ciao carissime!!!
Sono tornata! :D
Bene, vi ha messo abbastanza paura questo capitolo?!
Ve lo aspettavate di vederlo... il nostro tanto amato e venerato Toichi Kemerl?
Ebbene, è riapparso anche lui... quanto vi è mancato? Posso solo immaginare...
E ditemi, cosa ne pensate di questo Gin Kitsune?
Questo giovanotto amico di Shinichi?
Ed anche se nel capitolo ci sono molti altri misteri... per il momento sto zitta, e vi lascio fantasticare ;)
Ditemi un po’ come pensate stia andando la storia... se vi sta soddisfacendo abbastanza ;)
Ringrazio le ragazze che hanno commentato il terzo capitolo:

aoko_90, mangakagirl, Delia23, Kaori_, AliHolmes e Coffee_ stains! Grazie mille!
Ed anche
Delia23 per averla inserita tra le preferite ^______^
Alla prossima ragazze, o ragazzi, casomai ce ne fossero XD
A big kiss,
Tonia!

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Capitolo 5
*** Nuove conoscenze ***


E se io vivessi d’odio?
5 . Nuove conoscenze


 
 
 

Dopo che il cuore ha ricominciato a battere, il viso a riprendere il suo colorito giornaliero, e la mente le sue funzioni ordinarie, io e Conan siamo stati trasportati d’urgenza in commissariato, a volere del sovrintendente e di alcuni poliziotti, contro il parere del mio caro amico Heiji. Certi di loro sono davvero schivi ed intrattabili, circondati da una perenne aria di superiorità e menefreghismo, ma secondo mio cognato, sono solo degli esaltati alla ricerca di fama e gloria, che nella maggior parte dei casi tarda ad arrivare. A quanto pare sono degli eterni rivali di Shinichi, a cui non è mai andato giù che mio marito partecipasse alle indagini, e che diffondesse tutto il suo sapere e la sua bravura durante i casi, offuscando le loro, come sono soliti chiamarle, capacità.
Tra di questi, vi è uno in particolare, Isao Sawaguri, che fa proprio di tutto per attirarsi l’antipatia di Heiji, e la mia, recentemente. E’ un novellino trasferito da qualche mese nel distretto di Tokyo, perennemente convinto di essere il migliore, ma umiliato - con classe, ha sempre aggiunto Hattori - da Shinichi durante un caso. E da allora, ogni riferimento al grande detective del Giappone è per lui un attacco all’orgoglio da schivare e controbattere, cercando sempre di mantenersi, come dire, offensivo.
“Ok, ora ditemi cosa sta succedendo... e cerco di capirci qualcosa anch’io.”
Nella sala viaggia senza timori la voce del sovrintendente, quella alla quale nessuno oserebbe ribattere. Nessuno, tranne Heiji, ovviamente.
“Sovrintendente, sto lavorando al caso della morte di Shinichi Kudo, e...”
“...e? Ritieni opportuno coinvolgere anche civili?”
“No signore. I qui presenti sono la moglie e il figlio di Shinichi, ma...” cerca di spiegare il mio amico, ma viene nuovamente, e bruscamente, interrotto.
“Ah, quindi ti sei detto facciamoci aiutare, così sterminiamo tutta la famiglia?” risponde il tipo, con un accento ironico. Storco le labbra, infastidita. Vedo anche Heiji farlo, e stringere i pugni come per imporsi un minimo di autocontrollo.
“Non mi sembra il caso di fare sarcasmo” ribatte il mio amico, amareggiato.
“Io non lo sto facendo.”
Mi alzo all’in piedi, lasciando Conan seduto sulla panchetta che si appoggia ad uno della mura della stanza. Mi avvicino ad Heiji con passo sicuro e scaltro, senza soffermarmi sui volti che ho affianco, e puntare contro quello del sovrintendente, che stasera ha tanta voglia di chiacchierare.
“Heiji non ci ha implicati in nulla. Ci trovavamo con Kemerl perché mio figlio è scappato all’improvviso verso quel palazzo ed io l’ho semplicemente seguito.”
E mentre medita su come rispondermi, lancia lo sguardo a Conan che intanto ha incominciato a fissarlo innervosito. L’aria è sempre più pesante e carica di tensione, ma so di dovermi e potermi controllare. Vedo Heiji sbuffare, e passarsi una mano tra i capelli con stanchezza.
“Ehi ragazzino, perché lo hai fatto?”
Mi volto verso mio figlio, incuriosita da quella domanda. Effettivamente vorrei sapere anch’io il motivo che lo ha spinto a fuggire dal locale, e seguire quel pazzo, essendo completamente all’oscuro di tutta la storia. Conan abbassa un po’ il capo, per poi tornare a guardarlo con insistenza.
“So che lui ha ucciso mio padre, e l’ho visto farmi dei segnali incitandomi a seguirlo, e così l’ho fatto.”
“Sei stato un incosciente” è il primo commento dell’uomo, seguiti dai nostri sguardi sconvolti. Mi avvicino a Conan, mentre sento le voci dei poliziotti aggredire con le parole l’azione di un bambino di soli sette anni. Cerco di non farci caso, e mi inginocchio a lui. Vengo raggiunta repentinamente da Heiji, che poggia le mani sulle sua gambe.
“Come lo sai? Ti ha fatto dei segnali?” gli domando io, a raffica.
“E tu ci sei cascato? Sai che potevi morire, sì?” aggiunge Heiji.
“L’ho scoperto dalle vostre conversazioni...” ammette lui, con occhi leggermente lucidi.
“Sì, mi ha spronato ad andare da lui... ed ho pensato a papà, lui avrebbe fatto la stessa cosa, lo so.”
Sawaguri ridacchia ironicamente, sbattendo più volte le mani.
“Che begl’insegnamenti che Shinichi Kudo ha dato a suo figlio, complimenti.”
Io e mio cognato lo fulminiamo con gli occhi, ma Heiji non si ferma, e alzandosi, si avvicina pericolosamente a lui.
“Tu... non sei nemmeno degno di nominarlo.”
“Ma chi, Kudo? Ma fammi il piacere.”
“Ehi, voi due... zitti.”
Replica e s’intromette l’ispettore Megure, cercando di salvaguardare la situazione. Anche lui si avvicina a me e a mio figlio, per poi sedersi affianco a Conan, sopra la panchetta.
“Conan tuo padre non avrebbe voluto che ti fossi cacciato in questi...”
“Sentiamo un po’, ragazzino... quali sono queste conversazioni?” lo interrompe a sua volta il sovrintendente, spingendo Megure a spostarsi leggermente per permettergli di guardarlo. Osservo mio figlio, indecisa sul da fare. E’ davvero giusto raccontare tutto? A me sembra che hanno solo voglia di perdere un po’ di tempo, e rimpiazzarlo occupandosi delle faccende altrui. Sposto lo sguardo su Heiji, lanciando un’occhiata furtiva.
“Ho solo sentito mia madre e mio zio parlare di questo tizio, nulla di più.”
“Ovvero?” chiede l’uomo, poggiando gli occhi su di me. Io sospiro, preparandomi a rispondere, ma Heiji lo fa al posto mio, lasciando stare quel montato di Sawaguri.
“Kemerl è il figlio del capo dell’organizzazione che Shinichi ha sgominato più di una decina di anni fa. Fu lui stesso a sbatterlo in prigione sette anni fa, dopo che Kemerl aveva cercato di ucciderlo.”
Il sovrintendente arriccia le labbra, e comincia a strofinarsi il mento con una mano.
“Ci aveva già provato?”
“Sì, odia Shinichi perché - secondo lui – ha spinto il padre al suicidio, e ha causato la fine dell’organizzazione. Un malato di mente diciamo.”
“Ho capito.”
L’uomo si alza dalla sedia, ricompone la sua giacca e prende le chiavi dell’auto.
“Continua ad indagare, ma non voglio che la moglie e il figlio vengano coinvolti. Fatti aiutare da qualche agente... tipo Sawaguri, sì.”
Heiji e l’interessato strabuzzano le palpebre, rimanendo a bocca aperta. Io mi limito a sbuffare, mentre il mio piccolo abbassa lo sguardo afflitto.
“Ma signore!” replicano insieme i due uomini in divisa, ma vengono interrotti dalla mano del loro capo, che intima loro di tacere.
“Nessun ma. Non voglio scuse e non voglio altri problemi. Tornerò per sapere come procedono le indagini, buona fortuna.”
Sono le sue ultime parole, prima di svanire oltre la soglia della porta, e chiuderla con violenza alle sue spalle. Heiji si guarda intorno imperterrito, mentre il suo collega gli si avvicina, e gli poggia una mano sulla spalla.
“Senti Hattori... a me di Kudo interessa ben poco, però ovviamente il lavoro va diviso dalle faccende personali. Fai fare tutto a me, vedrai che risolveremo in poco.”
“Primo, toglimi le mani di dosso.” Si discosta dal suo tocco, spazzando via la sua mano.
“Secondo, tieniti lontano da me.” Gli afferra il polso con violenza, e lo scaraventa via, sotto gli occhi allibiti e sorpresi dei suoi colleghi.
“Terzo, rinomina di nuovo Shinichi e ti spacco la faccia, quanto è vero Dio.”
Stavolta il suo tono si fa più duro e minaccioso, quasi arrabbiato. Lo vedo prendere le sue cose, farmi un cenno per uscire, e dirigersi velocemente verso la porta della stanza. Prendo la mano di Conan, ed insieme varchiamo lo stipite, abbandonando quel luogo così denso di nervosismo ed ipocrisia, di rancore, e di odio.
 
 
 
“Mamma?” mi chiama Conan, avvicinandosi a me e lasciando la piccola Sophie da sola in salotto. Io sono in cucina, e sto cercando di rendermi utile preparando il pranzo per noi cinque; ma nonostante cerchi qualcosa di buono, non trovo nient’altro che cibi precotti.
“Dimmi tesoro.” Gli rispondo, ma senza rivolgergli lo sguardo, interessandomi principalmente al contenuto dei mobili degli Hattori.
“Non indagherai più per papà?”
Torno ad osservarlo, fingendo un sorriso di rassicurazione.
“Tesoro indagherà zio. Hai sentito ieri, no? Non possiamo essere coinvolti.”
Fingo con maestria, e quasi mi stupisco di come riesca a farlo. Le bugie non sono mai state il mio forte; finivo sempre col farmi scoprire, perché - come mi hanno sempre definito molti, tra cui Shinichi - io sono un libro aperto, dove i miei pensieri diventano parole di un paragrafo. Però, stavolta, mentire significa salvare una vita, quella più importante per me, quella di mio figlio.
E allora ben vengano le bugie, i finti sorrisi, il menefreghismo, l’egoismo e tutte quelle caratteristiche che di certo non mi sono appartenute nel corso degli anni, e che forse mai farò mie.
“Ma mamma...”
Mi inginocchio dinanzi a lui, scompigliandogli i capelli sfiorandoli con la mano.
“Conan, noi non possiamo fare nulla adesso. Zio Heiji insieme agli altri agenti riusciranno a risolvere il caso, e ci diranno tutto quello che è successo. Ma adesso noi dobbiamo starcene buoni qui, ad aiutare zia Kazuha e Sophie.”
“Ma quello lì che lavora con lo zio non vuole bene a papà” mi dice lui, infastidendosi. “E’ cattivo.”
“Ma no, vedrai che si impegneranno tutti... sono dei poliziotti, lavorano per noi.”
Cerco di sorridergli e di convincerlo a rivalutare - anche se non vorrei - quel Sawaguri. Effettivamente spero che fili tutto liscio e che non si intrometta troppo tra me ed Heiji, perché finirebbe col causare solo un rallentamento delle indagini. Conan tiene il capo abbassato, sintomo della sua tristezza. Riprovo a distrarlo, ma è incredibilmente difficile.
“Ehi, tu devi andare a Niigata tra tre giorni, no?”
Si limita ad annuire con il capo, senza guardarmi negli occhi.
“E allora pensa a quando sarai lì, ti divertirai un mondo con i tuoi amichetti.”
Stavolta mi fanno cenno di no con la testa, spingendomi ad inarcare un sopracciglio.
“No? e perché?” gli domando, cercando di alzargli lo sguardo con le dita.
“Perché quando tornerò... non ci sarà papà ad aspettarmi.”
Una lacrima mi scende sul viso, costringendomi a socchiudere le palpebre per cercare di fermare le altre. Sospiro profondamente, riaprendo i miei occhi ai suoi, entrambi attraversati da un fastidioso luccichio.
“E’ qui che ti sbagli... lui c’è sempre, credimi, c’è sempre.”
“Anche se non riesco a vederlo?”
“Sì...” gli dico, sentendo nuovamente il mio inumidito dalla scia di una lacrima. Gli tocco il torace, in modo da indicargli il suo cuoricino. Così giovane, così veloce, così sano. “Lui è qui.”
“Devo custodirlo allora” mi esclama lui, leggermente risollevato.
“Sì e sai perché?” gli sorrido, avvicinandolo a me.
“Perché lui è ovunque. Anche in questa casa, anche in queste mura. Lui è nei tuoi occhi, è nelle mie labbra, è nel sorriso di zio, è nel rossore di Sophie... ma è anche in quel quadro, in quella pentola, in quel giardino...sì, perché lui è anche lì fuori.”
“Ran!” mi chiama Kazuha proprio dal giardino che ho appena indicato a Conan e mi invita a raggiungerla. Mi stacco da mio figlio, ma vengo seguita sia da lui che da Sophie, che nel frattempo ha smesso di colorare il suo bel disegno. Quando varco la porta con i bambini, mi ritrovo la mia amica indaffarata a parlare con due ragazzi, che mi tornano familiari. Sbatto più volte le palpebre, mettendo a fuoco i loro volti. Mi stupisco, ritrovandomi davanti Gin e quel suo amico della pizzeria, quello di ieri sera. Non ricordo il suo nome, ma mi limito a salutarli con un cenno della mano, seguita da un sospettoso ed adirato Conan.
“Ehi, ciao Ran! Piacere di rivederti.” Mi accoglie sorridente lui, stringendomi la mano.
“Ciao, come mai qui?” gli chiedo, cercando di non mostrarmi sgarbata.
“Volevamo andare a mangiare al nuovo McDonald’s vicino l’angolo, ed ho pensato di venirvi a trovare.”
“Che gesto gentile” mi prende in giro la mia amica, ricordandomi molto Sonoko.
“Ah, permettimi di presentarti un mio amico...” fa spazio al giovane alle sue spalle, che goffamente e molto timidamente, mi si avvicina e cerca di stringermi la mano, che trovo incredibilmente sudata.
Ho una sensazione strana, ma allo stesso tempo dolce, nel toccarla; scruto il suo volto, ma non ne recepisco nulla. Non so spiegarmi cosa mi stia succedendo, ma mi trovo bene in loro compagnia, ancor prima di sapere chi siano.
“Piacere di conoscerti, io sono Sir Wunderwaffe, è un onore.”
Inchinandosi a me, lascia scoppiare sul mio viso un leggere rossore, assolutamente atipica a saluti di questo genere.
“Ah, piacere, Ran Mouri.”
E mentre mi presento, comincio a domandarmi da dove provenga. Il suo nome è assolutamente insolito, ha anche l’appellativo di ‘Sir’. Sarà un inglese, penso, e torno a dargli attenzione.
“A proposito, ma perché non venite tutti?” ci invita con gioia Gin, mostrandoci un sorriso a trentadue denti.
“Ehm non so...” faccio per rispondere, ma Kazuha m’interrompe e lo fa al posto mio.
“Sì, è un’ottima idea! Mio marito non tornerà a pranzo causa lavoro... quindi abbiamo il via libera” esclama lei, ironicamente.
“Perfetto!” si compiace Gin, mentre il ragazzo, l’inglese, rimane sostanzialmente impassibile.
“Andiamo a prepararci... bambini, venite su.”
La mia amica mi spinge verso la porta, trascinando dietro sua figlia e il mio Conan. La chiude con nonchalance, dicendo ai bambini di andare a prendere i loro cappotti nelle stanze, mentre spinge me in salone, dirigendosi verso i nostri giubbini.
“La smetti di spingere?”
“Ehi, ehi... ma lo hai visto?” mi domanda lei, assumendo la tipica espressione maliziosa di Sonoko. Mi sa che l’influsso della nostra amica ereditiera non le ha fatto bene.
“Chi?”
“Gin... è davvero un bravo ragazzo, e molto carino aggiungerei.”
“Beh, sì, lo sembra. E allora?”
“Niente niente” mi risponde poi, indossando il suo soprabito.
“Sicura?”
“Sì... forza, andiamo tutti al McDonald’s!” esclama trionfante, rivolgendosi alla sua piccola.
Io e Conan assottigliamo gli occhi, seccati.
 
 
 
 
 
Percorriamo il viale degli Hattori, fino a ritrovarci all’entrata della villa, dove i due giovani ci stanno aspettando. Il mio sguardo viene rapito da Wunderwaffe che, sempre con modi molto composti, si avvicina e si incammina insieme all’amico, affiancandosi  a noi.
Il McDonald’s dista un centinaio di metri, perciò decidiamo di prendercela con comodo, senza affrettare la camminata. Sento alle mie spalle Kazuha chiamare Heiji ed avvisargli che non saremmo state a casa, nel caso lui fosse tornato improvvisamente.
Conan mi è accanto, ma ha lo sguardo perso nella strada, e non sembra essere infastidito dalla presenza dei nostri nuovi amici.
E mentre mi abbandono a fissare quel ragazzino inglese che ho a fianco, così strano, così a modi, così timido... mi ritrovo vicino a Gin, che si avvicina sempre più al mio braccio.
“Sai Ran, ti capisco benissimo...” mi dice, puntando lo sguardo al cielo.
Mugugno, invitandolo a proseguire. Lui sospira, tornando a guardarmi.
“Anche io ho perso mia moglie qualche anno fa, a causa di un tumore.”
“Mi dispiace.”
“Tu però sei più fortunata, hai Conan... lui ti ricorda Shinichi.”
Peccato che sia ancora più difficile così. Sospiro a mia volta, grattandomi leggermente la testa.
“Sì, è molto simile al padre. Per fortuna che c’è lui, sennò non avrei alcun senso di vivere.”
Sposto lo sguardo su mio figlio, ancora incredibilmente silenzioso. Non mi sta guardando, e non sembra minimamente interessato alla mia conversazione. Forse si è accorto di essere stato troppo diffidente ieri sera, e non vuole più dare nell’occhio, eppure...
“I figli sono pezzi di noi, peccato che io non sia riuscito ad averli.”
Mi dice lui, assumendo un tono malinconico.
“Come mai? Se posso permettermi...” gli dico, cercando di essere meno invasiva possibile.
“Mia moglie era sterile... ma non ti nascondo che essere padre è ancora un mio sogno. Ma dovrei trovare la donna adatta... e sono poche quelle che mi soddisfano.”
“Incontri sempre donne sbagliate.” S’intromette nel discorso Wunderwaffe, ostentando un tono poco sicuro. Arriccio le labbra, aspettando la reazione dell’altro, che intanto è rimasto a fissare il giovane alla mia destra con aria sospettosa.
“Oh beh, è possibile. Ma sento di aver vicino quella giusta adesso.”
Lo dice mandandomi un’occhiata a me, che proprio non riesco a decifrare. Distolgo lo sguardo, sentendomi leggermente in imbarazzo.
“Scusi signore...” stavolta è la voce di Conan a propagarsi nelle mie orecchie, spingendomi a voltarmi verso di lui. Sta strattonando i pantaloni del nostro amico timido, tirandoli verso di sé.
“Dimmi piccolo.”
“Che lavoro fa?” s’incuriosisce, guardandolo con aria esigente.
“Sono un programmatore informatico, ti piacciono i computer?” risponde Wunderwaffe, abbozzando un leggero sorriso.
“Abbastanza, ma amo di più i libri gialli, sono il mio genere preferito!” esclama entusiasta. Sembra contento della scelta di essere uscito con questi due ragazzi, a dispetto di ciò che pensavo.
“Davvero? E qual è il tuo preferito?”
“Il segno dei quattro*, di Conan Doyle!”
Wunderwaffe sorride, e gli passa una mano sui capelli, scompigliandoglieli. Li osservo, felice che il mio bambino abbia trovato qualcuno con cui parlare. E poi quel gesto, mi è così familiare...
“Beh, io non me ne intendo molto di gialli... ma mi hanno sempre parlato bene di quel libro. La sai una cosa?” Gli domanda, accovacciandosi alla sua altezza, mentre Gin e Kazuha si sono diretti all’interno del locale per fare l’ordinazione. Noi abbiamo preso posto fuori, in uno dei tavoli adibiti alla consumazione delle pietanze.
Conan annuisce con il capo, guardandolo vispamente.
“Io mi chiamo Arthur, proprio come Doyle. Se non sbaglio aveva due nomi, giusto?”
“Wow! Davvero? Ed io Conan, formiamo una bella coppia!” si esalta mio figlio, facendomi sorridere.
 “Anche i tuoi genitori erano fissati con l’investigazione?” gli chiedo ironica.
Lui mi sorride, sedendosi al tavolo insieme a mio figlio.
“No... io sono inglese, anche se di origini tedesche. La mia famiglia in Inghilterra è molto famosa, ha molte industrie ed è molto ricca. Però io ho deciso di andarmene, convinto di dovermi spianare la mia strada da solo... sono venuto qui ed ho studiato informatica, e adesso sono più che soddisfatto. Per il nome... beh, in Inghilterra, Arthur è più che usato.”
“Beh, è stato molto coraggioso da parte tua.”
“Sì... anche se non ti nascondo che la mia famiglia mi manca, ma già portare il loro nome mi consola, sai, è un onore per me.”
Mi dice, facendomi l’occhiolino. Io sobbalzo appena, continuando il discorso.
“Invece Conan si chiama così perché il padre era il fan numero uno di Conan Doyle e di Holmes.”
Ridacchio, mentre la mia testa è attraversata dall’immagine di Shinichi.
“Beh, è un bel nome.”
“Sì, infondo piace anche a me” ammetto, sprofondando lo sguardo sul mio bambino.
“Tu conosci papà?” gli domanda Conan, poggiandogli una mano sul braccio.
“Ehm...” cerca di rispondere con impaccio lui, e stenta a sorridere in modo da nascondere la timidezza, o qualcos’altro... non so.
“Ne ho sentito parlare, ma nulla di più.”
“Ah” replica rattristato Conan, che riabbassa gli occhi al tavolo, malinconico.
Anche Wunderwaffe fa lo stesso, e comincia a giocare con i fazzoletti, creandone vari quadroni.
“Eccoci qui, abbiamo fatto!” esclama, sempre col solito sorriso, Gin, portando in mano i vassoi delle varie consumazioni. Approfitto del momento di confusione per appoggiare la mia mano su quella di Wunderwaffe, trovandola, nuovamente, sudata.
“Scusalo Conan... e che vorrebbe parlare del padre con chiunque. Sai, lui...”
Il giovane si discosta, portando la mano nelle tasche dei suoi jeans.
“Oh, sì... non preoccuparti.”
Rimango perplessa per questo suo atteggiamento, sperando non gli abbia dato un’impressione sbagliata. Infondo sto bene a parlare con loro, e Shinichi non è più un dolore lancinante, ma un ricordo dolce da poter portare a galla. Sento di potercela fare, anche se quel pazzo di Kemerl gira per la città alla ricerca di me e di mio figlio. Distolgo lo sguardo da Arthur, portandolo su Conan, ancora col capo chinato alla strada.
“Tesoro, mangia o si raffredda.”
“Certo mamma.”
“Ran, che ne dici se dopo andiamo a farci un giro?” mi chiede Gin, facendo spostare gli sguardi dei presenti sopra di me. Arrossisco leggermente, stringendo le mani in polsi.
“Ehm...”
“Ti porto a vedere un posto fantastico, dai.”
“Beh, vedi...veramente...” cerco di replicare, ma sembra che le parole mi muoiano in bocca.
“Tu Kazuha puoi tenere Conan per un po’ vero?”
“Ehi, non devi...” cerco di rispondere stavolta, ma vengo frenata da un improvviso incidente. La coca cola cade addosso a me, sporcandomi tutta la maglietta e gran parte dei pantaloni. Mi guardo afflitta per ciò che mi è successo, e sposto lo sguardo alla mia destra, dove Arthur sta tentando di riparare al danno causato.
“Oddio, scusami! Scusami!” mi dice, prendendo dei fazzoletti dal tavolo.
“No, no, non preoccuparti” cerco di rassicurarlo, mentre noto Gin mandare delle occhiate cupe all’amico.
“Ma Wunderwaffe, insomma... sempre guai combini.” Lo richiama, con un tono un po’ troppo pesante.
“Oh davvero, non c’è bisogno di preoccuparsi... si lava.”
“Mi dispiace davvero molto” mi dice ancora il giovane accanto a me, sistemandosi meglio gli occhiali da vista, che gli sono caduti per la fretta dei movimenti.
“Non è niente. Ma non posso più venire Gin, credo che dovrò proprio andare a casa adesso.”
Prendo a volo la scusa per declinare l’invito. Non ho proprio voglia di uscire con un uomo adesso, non dopo aver lottato per conquistare il mio Shinichi. Io appartengo solo a lui, ed anche se il nostro amico non avesse avuto un secondo fine, non credo sia la cosa giusta.
“Ti vengo a prendere stasera, ti sarai cambiata.” Insiste, abbozzando un sorriso.
“Beh, vedi...”
“Gin non dovevamo fare quella cosa stasera?” s’intromette Arthur, guardandolo di traverso.
“Cosa?”
“Quella cosa...” cerca di ricordagli lui, continuando a fissarlo.
“Ah... sì, sì.”
“Ecco, bravo...”
“Avete da fare?” chiede Kazuha, dopo aver finito il suo panino.
“Sì, abbiamo da fare... anzi, credo che si stia facendo anche tardi. Wunderwaffe, andiamo su.”
“Ma come, già andate via?” domanda ancora la mia amica, dispiaciuta.
Anche Arthur si alza dalla sedia, e si avvicina a me, salutandomi con un leggero ed impercettibile “ciao”.
“Beh, noi andiamo...ciao ragazze, a presto!” esclama Gin, allontanandosi e strattonando via Arthur, afferrandolo per il giubbotto.
Torniamo tutti ai nostri posti, con volti leggermente imperterriti. Continuo a pensare a quei due ragazzi. A Gin, molto aperto e solare, di bell’aspetto, ma forse fin troppo invadente.
E poi ad Arthur... così gentile e timido, magro, ma con un viso troppo usurato da imperfezioni e foruncoli, e occhi nascosti dietro a degli occhiali.
Così diversi, così ambigui, così strani.
Eppure, c’è qualcosa in ognuno dei due che mi ricorda Shinichi.
Saranno i modi, gli atteggiamenti, gli sguardi... dei loro particolari non mi sono sfuggiti, anzi, mi hanno preso sempre di più, incuriosendomi come non facevo da molto tempo.
Riporto l’attenzione sul mio panino, strappandone un morso.
Sprofondo lo sguardo nel vetro che ho davanti, parete dell’enorme locale che contiene all’interno.
Mi blocco, sentendo nuovamente degli occhi addosso, pronti a scrutarmi e ad assistere ad ogni mia mossa, proprio come ieri, proprio come qualche giorno fa al cimitero.
Giro lo sguardo preoccupata, serrando le palpebre.
Il mio primo pensiero va a Kemerl, e alla sua follia omicida.
Ma dietro di me non c’è nessuno, solo persone che camminano serenamente e bambini che giocano sugli scivoli, alternandosi tra di loro.
Porto lo sguardo un po’ più in là, spostando le testa in più direzioni.
Cerco di calmarmi, riportando l’attenzione sul mio vassoio, riprendendo in mano il mio panino.
Probabilmente, l’avrò solo immaginato.





*Piccola curiosità: "Il segno dei quattro" è il libro preferito di Shinichi. Lo dice nel 59° episodio "Il club di Sherlock Holmes".


Angolino autrice:
Salve gente!!!
Sono tornata con un altro capitoletto! Allora.. c'è un bel po' di tensione nell'aria, no?
Soprattutto alla centrale... povero Heiji, sta facendo di tutto,
e si deve pure subire le grida del sovrintendente e di quell'antipatico di Sawaguri!
Mentre Ran sta approfondendo la sua conoscenza con Gin, e con il suo amico,
Wunderwaffe.... chissà cosa succederà.... :P
Pensiate nascondano qualcosa questi due?
E ci sarà davvero qualcuno ad osservare Ran e il piccolo Conan?
Ditemi cosa ne pensate ;)

Un ringraziamento speciale va alle ragazze che hanno recensito il quarto capitolo:
Kaori_, aoko_90, AliHolmes, Delia23, mangakagirl e Sherry Jane Myers!
E grazie anche a Kaity per averla inserita tra le seguite! 

:)

Ci vediamo alla prossima, 
un bacione!
Tonia

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Capitolo 6
*** Sogno o son desta? ***



E se io vivessi d’odio?
Sogno o son desta?
Sesto capitolo



 
 
Strofino i miei occhi passandoci sopra il profilo della mia mano, stropicciando la pelle pallida e tirata. Sbadiglio rumorosamente, mentre godo della rilassante fragranza del caffè, e di quella calda del latte, che bollono in pentola, riscaldando l’ambiente frizzante di prima mattina.
Porto lo sguardo al calendario alla mia destra; poso gli occhi sulla giornata di oggi, e abbasso il capo rendendomi conto che è esattamente un mese che non vedo il mio Shinichi.
Trenta giorni di agonia e di sogni e desideri e progetti spezzati. Trenta giorni di sguardi persi, di occhi spaesati, di volti sbiaditi, e di cuori infranti.
Trenta giorni che, a dispetto, l’inferno sarebbe stato un paradiso per me. E per noi.
 “Buongiorno” mi saluta Heiji con voce impastata ed occhi arrossati.
Io gli sorrido, ricambiandogli il saluto. Poi l’osservo prendere dei biscotti da un mobiletto, ed alcune tazze, accingendosi così a preparare la tavola.
“Kazuha dorme ancora?”
“Sì” mi risponde, ghignando leggermente.
“Cos’è quel sorrisetto? Avete fatto le ore piccole?” gli chiedo, con un tocco di malizia.
Lui mi lancia uno sguardo perplesso, tra l’imbarazzo e il timore, e discosta il capo velocemente, fingendosi indaffarato con i cornetti.
“Ehi, guarda che non mi offendi eh... siete marito e moglie, è giusto che sia così.”
Cerco di fargli capire, e sembra farlo, dato che mi dona un leggero di sorriso, misto di compassione e tenerezza.
“Lo so, è solo che...” comincia a raccontarmi, ma sembra fermarsi, preso dalla tristezza.
“E’ solo che?”
S’incupisce d’un tratto, abbassando il capo al pavimento. Anche se non riesco a vederle, avverto le sue lacrime scendere lungo la sua anima, e segnarla con violenza, come la scia di un aereo che dal cielo non scomparirebbe mai.
“Parlavo di queste cose con Shinichi...” mi confida, mentre la sua voce si colora di toni amari.
“E’ passato un mese da quel maledetto giorno, se solo avessi potuto fare qualcosa...”
Gli do una pacca sulla spalla, cercando, almeno con un semplice gesto, di confortare lui, e di farlo anche con me.
“Non avresti potuto fare niente. Lui ha scelto così...”
Lui mi guarda intenerito, con gli occhi lucidi.
“Sai, stanotte ho sognato di vederlo... non so dov’eravamo, ma lui era lì, con noi...”
“Beato te. Io non riesco proprio a sognarlo... e vorrei, credimi. Potrei rivederlo almeno.”
Gli confido, rabbuiandomi anch’io.
“Se solo me l’avesse detto... insieme saremmo indubbiamente riusciti a cavarcela! Non capisco... come ha potuto credere a Kemerl? Come ha potuto pensare che sua moglie e suo figlio sarebbero stati al sicuro se lui si fosse sacrificato?!” impreca, poggiando violentemente i pugni sul tavolo, e stringendo forte i denti, così tanto da farsi male. Io sospiro afflitta, sedendomi ad una delle sedie del tavolo, sprofondando la testa tra le mie mani.
“Non lo so... non lo riesco a capire nemmeno io.”
Heiji mi imita, versandosi il caffè nella tazzina, e prendendo alcune bustine di zucchero.
“E devo anche lavorare con quel Sawaguri... qualcuno mi dia la forza di sopportarlo.”
“Ignoralo, è solo uno stupido” gli rispondo, non donandogli troppa attenzione. I miei occhi vengono presi dall’arrivo di Conan in cucina che assonnato si dirige verso di me, e mi invita ad abbassarmi cosicché da donarmi un bacio sulla guancia.
“Buongiorno mamma” mi saluta dolcemente il mio piccolo, per poi fare lo stesso con lo zio.
“Ehi campione, oggi parti per Niigata eh?”
Conan si limita ad annuire scocciato, mentre si lascia andare ad un fragoroso sbadiglio.
“Ma non sei felice?” gli domanda ancora Heiji, donandogli un bel sorriso.
“Preferirei restare qui...” ci confida, affondando il viso nella tazza. “Insieme alla mamma... e lontani da quel tipo.”
Heiji mi guarda perplesso, ed aggrotta le sopracciglia curioso.
“Quale tipo?” gli chiede, ma gli rispondo io, anticipando il mio bambino.
“Gin Kitsune... è un ragazzo che abbiamo conosciuto qualche giorno fa, dice di essere un grande amico di Shinichi.” Gli rivelo, mentre osservo mio figlio annuire.
“Grande amico?” domanda un Heiji stranito e dubbioso.
“Zio nemmeno tu lo conosci giusto?” chiede Conan, cercando di confermare i suoi sospetti.
“Mai sentito nominare, e nemmeno da Shinichi...” ci dice mio cognato.
“Ecco, vedi mamma, nemmeno zio sa chi è!”esclama mio figlio, alzandosi all’in piedi sopra la sedia.
“Aspetta... perché vuoi che tua madre ne stia lontana?” domanda a Conan, che si gira verso di lui, e con convinzione chiude le mani in pugni.
“Perché è un tipo strano... e molto sospetto! Fa tanto il carino, e ci prova con mamma.”
Io arrossisco d’un botto, rischiando di affogarmi con il latte. Heiji mi guarda con gli occhi spalancati, fortemente scosso.
“Ci prova con te?!”
“Conan!”
“L’altro giorno l’ha invitata ad uscire anche... però per fortuna le è caduta la coca cola addosso e non è potuta andare” gli rivela mio figlio, mettendomi in imbarazzo.
“E tu ora me le dici queste cose?!” sbotta Heiji, mandando uno sguardo a Conan, pronto a dire tutti gli altri particolari della giornata.
“Non mi sembrava importante.” Cerco di scusarmi, anche se davvero non avevo dato la minima importanza a quella proposta.
“E poi lui ha insistito, ma l’amico l’ha richiamato, e se ne è andato.”
“Amico?” continua a chiedere, girando il capo a destra e a sinistra, verso i nostri volti. Il mio è paonazzo, ma comunque non riesco a negare ciò che mio figlio sta raccontando ad Heiji. Effettivamente le intenzione di Gin sembravano proprio quelle, ed è per questo che ho cercato in tutti i modi di declinarlo. La mia voglia di incontrare un uomo che non sia Shinichi è sotto lo zero, e mai tenderà ad aumentare.
“Un informatico, si chiama Sir Arthur Wunderwaffe.” Risponde prontamente Conan, sperando che le sue informazioni rappresentino uno spiraglio di luce per lo zio. Forse il mio piccolo crede che quei due abbiano a che fare col padre, e di conseguenza con la sua morte, ma io non ne sono del tutto convinta.
“Ma che razza di nome ha?” è il primo commento del mio amico, al suono del nome del ragazzo dall’aria impacciata e timida.
“E’ un nobile inglese, anche se di origini tedesche” lo avviso io, mentre noto il suo viso raggrinzirsi, e le sue sopracciglia aggrottarsi. Assume un atteggiamento pensieroso, dettato dalla solita mano che va a strofinare la parte bassa del mento. I suoi occhi sono alzati al cielo, con lo sguardo perso nella nullità dell’ambiente.
“Wunderwaffe... Wunderwaffe... sapete, mi è familiare, non so perché.”
“Davvero?” chiediamo di rimando io e Conan, sorpresi.
“Sì... mi pare di averlo già sentito da qualche parte, ma non so dove.” Stavolta abbassa lo sguardo verso di noi, grattandosi con due dita il capo.
Lo imito, e vedo anche mio figlio farlo. Effettivamente, pensandoci bene, quel nome è familiare anche a me. Cerco di scavare nella mia memoria, alla ricerca di un debole indizio che possa confermare questa mia impressione, ma non riesco a cavarne nulla.
“Anche a me sembra conoscerlo sai” avviso mio cognato, continuando a pensare.
“A me no” ci avverte Conan, mentre sento il suo sguardo perplesso fermarsi su di me e su Heiji, cercando di captare qualcosa dai nostri volti.
“Allora? Vi è venuto in mente qualcosa?” ci chiede, riportandoci al concreto.
Io e il mio amico ci guardiamo afflitti, scambiandoci uno sguardo di rassegnazione.
“No, nulla.”
“Buongiorno belli!”
La voce di Kazuha, radiante e gioiosa, ci arriva alle orecchie velocemente, spingendoci a guardare verso di lei e verso la piccola Sophie che, assonnata, va a sedersi a fianco a Conan. Abbandoniamo così le nostre elucubrazioni per dedicarci ad una dolce colazione, in compagnia delle persone a noi più care, e dei sapori più invitanti. Mangiamo in un’atmosfera abbastanza cupa, intrisa dell’ormai consueta nostalgia e tristezza che alberga i nostri animi e che spegne i nostri, ormai lontani, sorrisi.
Dopo una mezz’ora abbondante, accompagno mio figlio di sopra, preparandogli gli ultimi bagagli e i più piccoli particolari. Il pullman per Niigata partirà tra tre ore, ma preferisco avere tutto il tempo per stare un po’ con lui, per poi lasciarlo andare e sperare che almeno lì, in quella terra così fertile e pullulante di bei ricordi, riesca almeno a divertirsi.
Gli piego le magliette, posizionandogliele nella valigia, e provo a fargli un po’ di spazio, scartando via gli accessori inutili. Quanto può essere brutto pensare che dovrò continuare a compiere certe azioni senza che Shinichi sia con me? Svegliarmi la mattina, sciacquarmi, fare colazione, vestirmi, uscire, mangiare, comprare, camminare, ma anche solo guardare, senza di lui... senza che lui possa starmi accanto e possa rassicurarmi, è incredibilmente logorante.
Che vita inutile, che vita da odiare.
“Mamma, io ho fatto.”
Guardo il mio bambino, e sorridendogli appena, chiudo la valigia, poggiandola al pavimento.
“Ok, andiamo.”
Scendiamo giù per le scale, ed insieme a Kazuha e Sophie ci dirigiamo alla scuola dei ragazzi, cosicché da salutarli appena prima di partire.
 
 
 
 
 
“Guarda, tra poco pioverà di nuovo.”
Alzo gli occhi al cielo, perdendomi nella profonda oscurità delle nubi, e in quella devastante dei tuoni invernali. L’aria è fredda e opprimente, e sebbene tra qualche settimana i fiori dovrebbero cominciare a sbocciare, e le giornate ad allungarsi, il clima non sembra avere nessuna voglia di migliorare, e il mondo di entrare in primavera.
E nemmeno la mia vita. Pare che il cielo si sia intenerito di tutto ciò, e abbia deciso di smettere di brillare alla luce dei raggi solari, nascondendosi dietro una corte perenne di pioggia e nuvole.
Annuisco a Kazuha, di fianco a me tra le strade di Tokyo. Dopo aver accompagnato i bambini, abbiamo deciso di fare un giro in centro, ma nel distrarci siamo capitate in periferia, perdendo quasi del tutto l’orientamento.
“Ci conviene rientrare... si sta facendo tardi.”
Le dico, girando il capo a destra alla ricerca di un punto di riferimento. Dovremmo essere ad ovest della città, ma non ne sono del tutto sicura. Camminiamo ancora un bel po’, finché non ci ritroviamo davanti alcune volanti della polizia, e un gruppo di agenti accostati alle auto. Ci avviciniamo velocemente, riuscendo a definire anche i loro volti, tra i quali, scorgo quelli di Megure e Sawaguri, ed infine, poco più distante, quello di mio cognato.
“C’è Heiji.”
Il marito della mia amica ci vede arrivare, e ci viene incontro, con aria preoccupata e perplessa. Sebbene le temperature non siano delle più alte, alcune goccioline di sudore gli cavalcano la pelle olivastra, marcandogli con decisione le occhiaie. Il nervosismo è nell’aria, e gli sguardi ansiosi dei poliziotti ne sono una conferma.
“Che ci fate qui?”
“Stavamo facendo un giro e ci siamo perse, ma stiamo tornando all’auto.”
Gli informa sua moglie serenamente, passandogli un dito sulla pelle umida.
“Sei sudato, che sta succedendo?”
“No, nulla. C’è stato un omicidio in quel bar, stiamo indagando.”
Ci dice, indicando il locale, effettivamente circondato da altri poliziotti. Ma nello sguardo di Heiji leggo tutt’altro; lo sento ansioso, quasi esaltato.
“Dopo ti devo parlare Ran.” Mi confida, lanciandomi un’occhiata obliqua. Non riesco ad interpretarla, ma spero vivamente sia qualcosa di importante.
“Hattori... vieni qui?” lo chiamano i suoi colleghi, spingendolo a lasciarci da sole per qualche minuto. Kazuha mi guarda stranita, ed alzando le spalle, mi fa segno di averci capito poco e niente.
“Ultimamente Heiji è sotto stress.” Mi confida la mia amica, senza staccare gli occhi da suo marito.
Annuisco, limitandomi a sorriderle.
“Mi sembra quasi che non ami nemmeno più indagare...” continua a dirmi, lasciando trasparire una vena di tristezza.
“La morte di Shinichi è stata una bella batosta.”
Le dico, convinta di ciò che affermo. Che il nostro amico di Osaka sia afflitto per la morte di mio marito è più che evidente, ma credo che sia ancora più rattristato dall’incapacità di risolvere il mistero attorno alla sua morte, e alla scomparsa di Kemerl. Sembra diventato per lui un pensiero fisso e ossessivo, una di quelle cose di cui non riesci a liberarti, finché non la risolvi.
E mentre discute animatamente con Sawaguri su alcuni particolari di un caso, lo vedo riavvicinarsi a noi, sbuffando rumorosamente.
“Ragazze noi andiamo ad interrogare i proprietari dei negozi vicini... voi tornate a casa, ok?” ci raccomanda, donando un sonoro bacio sulle labbra della moglie. Io discosto un po’ lo sguardo, sia per non farli sentire osservati, sia per non vedere ciò che mi manca di più nella mia vita.
Si dilegua frettolosamente, ma nonostante ciò, io e Kazuha continuiamo a seguirlo con gli occhi, dovendo percorrere la sua stessa strada.
Ci affianchiamo così al marciapiede destro, scansando i vari agenti che incontriamo lungo il percorso. Heiji è ancora davanti a noi, seguito da Megure e Sawaguri e circondato da alcuni poliziotti. L’aria diviene improvvisamente più calda, mentre un sottile venticello va ad alzare le ciocche dei miei capelli, scompigliandoli. Seguo il perimetro del marciapiede, facendo strisciare di tanto in tanto un dito lungo il muro. Uno strano silenzio cade sul mondo, quando il tempo sembra fermarsi e procedere così lentamente da dare fastidio.
Ma ciò che succede in un attimo, ha del meraviglioso ed incredibile che necessita di essere visto al rallentatore, come uno spettatore di un film vecchio di trent’anni.
Nel girare lo sguardo verso destra, e facendolo correre lungo tutto il canale che mi ritrovo davanti che apre ai miei occhi una strada parallela alla nostra, scorgo una figura incredibilmente familiare, e bella. Il mio cuore precipita, e cessa di battere per qualche istante indefinito. I miei occhi strabuzzano increduli, il fiato viene a mancare, il corpo sembra quasi cedere.
Quello è... E’ il mio Shinichi. Quelli sono i suoi occhi, i suoi capelli, il suo fisico, le sue labbra.
Il mio sguardo ne cattura ogni minimo particolare, senza omettere nulla.
E’ lontano, ma riesco a vederlo nitidamente, come se fosse vicino, molto più vicino.
E tutt’intorno non sento più nulla, il mondo si è bloccato alla sua vista, al nostro incontro.
Ad un tratto, improvvisamente la moviola cessa, e Lui scompare dalla mia vista.
Così, facendo forza sulle mie gambe, corro più velocemente che posso, cercando di raggiungerlo.
E con tutta l’aria che ho nei polmoni lo chiamo, lanciando un urlo agghiacciante che si protrae in tutto il vicinato.
“SHINICHI!!”
Percorro il canale in qualche secondo, sbattendo contro le spalle di alcuni passanti. Quando esco da quella stradina piccola e stretta, appare dinanzi a me una molto più grande e luminosa circondata da due grandi palazzi. E del mio Shinichi nemmeno l’ombra.
Mi giro a destra, a sinistra, all’indietro, e di nuovo in avanti.
Non c’è, non c’è nessuno. E’ incredibilmente deserta.
Ho il fiatone, e il cuore che batte all’impazzata. Mi chino sulle mie gambe, passandomi le mani tra i capelli.
Cos’è stato? Un sogno, un’allucinazione, una visione?
Oppure, un sosia? E se lo fosse, gli assomigliava davvero molto, ma davvero tanto.
Ma no, era lui. Ne sono certa, ne sono convintissima.
Scuoto il capo, strattonandolo tra le mani.
Ma come poteva essere lui? Il suo corpo è stato ritrovato in quel dannato magazzino, completamente ustionato. Lo stesso Heiji mi ha detto di averlo visto, la stessa polizia l’ha appurato.
Ma allora, cosa diavolo era?
“Ran!”
Sento Kazuha chiamarmi, e i passi di molte persone avvicinarsi. Probabilmente saranno quelli dei miei amici, seguiti dai poliziotti, che si saranno preoccupati per il mio improvviso scatto.
“Ran, cosa succede?!”
“Ehi, Ran?!”
Mi domandano velocemente Heiji e Kazuha, accovacciandosi anche loro. Mi strattonano un po’ per le braccia, spingendomi a rispondere, ma do loro poca attenzione, ancora presa dall’immagine di Shinichi che camminava su quest’asfalto, su questa strada, a pochi metri da me.
“Ran!” continua ad urlare Heiji, visibilmente ansimante.
Mi distolgo dalla loro presa con stizza, mi allontano di qualche passo, cercando di ragionare. Poi guardo tutti loro, che mi stanno fissando con aria imperterrita.
Sospiro, non del tutto razionale, ma cosciente di essere sveglia e di non star sognando.
“Ho visto Shinichi.”
Heiji è il primo a sbiancare, seguito dalla moglie e dall’ispettore Megure.
“Cosa?!?” mi chiede il mio amico, riavvicinandosi a me, scioccato.
“Ho visto Shinichi. Camminava proprio qui, dove siamo noi adesso.”
“S-stai scherzando?” mi domanda ancora, incredulo. Lo so che nessuno vorrà crederci, ma io l’ho visto, ed è stata la più bella sensazione da un mese ad oggi.
 
Non ti ricordavo nemmeno così bello...
Se solo potessi tornare indietro nel tempo, e rivivere quei pochi secondi, quegl’attimi di Paradiso puro...
Pagherei oro solo per quello, solo per rivedere il tuo meraviglioso volto...
Shinichi...
 
“No, è la verità.” Rispondo riprendendomi, sostenendo gli sguardi sorpresi di coloro che mi circondano.
“Ran... Shinichi è...” comincia Megure, ma io lo fermo, anticipandolo.
“Morto... lo so, lo so meglio di voi. Ma io l’ho visto.”
“Potrebbe essere stata un’allucinazione, non è da escludere...” mi dice Sawaguri, cercando di mantenersi insolitamente gentile.
“No!” rispondo, stizzita. “So quello che ho visto!”
“Sawaguri sparisci... oppure se non hai nulla di intelligente da dire, stai zitto.”
Lo avverte bruscamente Heiji, mentre l’ispettore e Kazuha cercano di confortarmi. La mia amica mi stringe in un dolce abbraccio, accarezzandomi la schiena sudata.
“Infatti ho detto qualcosa di intelligente, i morti non resuscitano.” Continua lui, ma mi rifiuto di ascoltarlo e mi stringo a lei, socchiudendo gli occhi. Le lacrime cominciano a scendere copiosamente lungo il mio viso, interrotte solamente da qualche singhiozzo. E non so se piango per gioia o per tristezza, ma sto piangendo.
Io l’ho visto, era lui, era sicuramente lui.
“Stai zitto, che è meglio.”
“Senti Hattori... a me stai zitto non lo dici.”
“Sawaguri fila via, prima che finisce male!”
“Dovrei preoccuparmi di te?”
“Dovresti, sì.”
Sawaguri accenna ad un sorriso sarcastico, ma prima che la discussione si tramuti in qualcosa di diverso, l’ispettore decide di separarli, scaraventando Heiji qualche passo all’indietro.
“Adesso basta voi due. Avete rotto, sembrate due bambini.”
Il poliziotto alza le spalle, e lancia un’occhiata a mio cognato, piena di disprezzo.
“Certo, non sto a parlare con degli psicopatici. Kudo è morto, quando ve ne farete una ragione?” Dice, riferendosi al suo collega, ma probabilmente anche a me. Faccio per staccarmi da Kazuha, e andargli dritto, con la voglia e consapevolezza di dargli una giusta lezione, ma vengo fermata da Heiji, che sorpassa l’ispettore e mi scaraventa via, attaccandolo.
“Cosa hai detto?!?” gli urla contro, prendendolo per il colletto e sbattendolo contro un muro.
“Ripetilo se hai il coraggio forza!”
Ma l’agente non resta muto, anche se visibilmente intimidito. Noi tutti assistiamo alla scena, indecisi sul da fare.
“La verità. Solo la verità!”
Mio cognato sembra mollarlo un attimo, rimuginando su ciò che gli ha appena detto. Ma non pare starci, e raccogliendo tutta la forza che possiede, gli sferra un pugno in pieno volto, lasciandolo cadere contro il muro. Solo a questo punto i suoi colleghi scelgono d’intervenire, prendendo Heiji per le braccia e allontanandolo dall’altro poliziotto. Kazuha, allibita e decisamente impaurita, raggiunge suo marito, tentando di farlo ragionare. Si scatena il caos nel giro di pochi secondi, durante i quali mio cognato non sembra aver voglia di arrendersi, e si scaraventa di nuovo contro il nemico.
“Basta Heiji!” lo richiama Megure, parandosi dinanzi all’agente. “Adesso smettila subito!”
Sawaguri è terra dolorante, e fissa Hattori sbiancando, massaggiandosi l’area dove il collega lo ha colpito. Mio cognato sembra finalmente calmarsi, e dimenandosi contro gli amici si libera facilmente delle loro prese. Si allontana da noi, borbottando qualcosa di incomprensibile.
Kazuha lo guarda esterrefatta, forse anche un po’ delusa.
Io sbuffo rumorosamente, afflitta.
La pioggia comincia a cadere abbondante sui nostri volti, bagnandoli.
Dal Paradiso all’Inferno in un secondo, e solo grazie a Te, Shinichi.
 
 
 
 
“Cazzo Hattori, ma cosa ti è preso?”
E’ l’urlo di stizza che Megure rivolge al suo subordinato, sbattendo i pugni contro la scrivania.
Heiji non accenna a parlare, si limita soltanto a guardare basso, senza alzare mai gli occhi.
Io e Kazuha abbiamo deciso, o meglio, ci hanno obbligato, di accompagnarlo alla centrale, dove gli agenti hanno richiesto la nostra testimonianza al fine di appurare ciò che effettivamente aveva fatto. Colpire un collega è contro il codice della Polizia, e Sawaguri ha richiesto il licenziamento di mio cognato, avvalorandosi anche dei suoi testimoni.
“Ma ti rendi conto?! Cosa dovrei fare io adesso, cosa?!”
Mio cognato continua a chinare il capo, senza azzardarsi a fiatare.
Kazuha è afflitta, accovacciata su una sedia con le mani fra i capelli.
Che situazione...
“Mi rispondi?!”
Ma Heiji non è intento a farlo, e si limita soltanto ad incrociare la braccia al petto, sospirando leggermente. Megure lo squadra e spazientendosi, incomincia a sbuffare, stizzito. Prende alcuni fogli dalla scrivania, li legge e li firma. Fa la medesima cosa anche con altri documenti, questa volta ricavandoli da uno scaffale presente nella stanza.
Il silenzio calato nell’aria, viene spezzato dall’entrata improvvisa di un agente, che si avvicina velocemente al mio amico.
“Hattori, ci sono novità. Kemerl è stato visto in quella zona...” comincia a raccontare, ma viene fermato dall’ispettore che, con tono rude, spezza la voce del ragazzo.
“Heiji, firma qui.”
Gli dice, indicandogli i documenti appena presi.
“Cosa sono?”
“Sei esonerato per tre settimane, ed ovviamente, sei fuori dalle indagini per la morte di Shinichi Kudo e la scomparsa di Kemerl.”
“Cosa?!” sbotta lui, sgranando gli occhi.
Mi passo una mano tra i capelli, fermandola sugli occhi. Sospiro, rassegnata.
Addio indagini su Shinichi, addio ritrovamento di quel dannato di Toichi Kemerl.
“Ritieni fortunato. Sawaguri ha chiesto il tuo licenziamento.”
“Ma ispettore...”
“Nessun ma! Firma!”
Mio cognato si accovaccia alla scrivania, prende una penna e lascia la sua firma su tutti i fogli. Incomincia poi ad allontanarsi, ma viene fermato dall’ispettore, che gli dona una pacca sulla spalla.
“Riposati. E’ quello che ti serve.”
Gli dice, con tono amorevole. Heiji alza gli occhi verso di lui, e gli lancia un sorriso beffardo.
“Come no.”
Si allontana definitivamente, lasciando che la porta ondeggi dietro di lui. Io e Kazuha lo seguiamo, donando un ultimo saluto all’ispettore.
Velocemente lo raggiungiamo, mantenendo un sostanziale silenzio. Percorriamo tutta la centrale, sotto gli sguardi indagatori e  maligni degli agenti. Non ho mai odiato questo luogo come in questo momento. Sono tutti così convinti che il mondo dipenda dalle loro bocche che non muovono un dito affinché si avveri. Finalmente ne usciamo, e velocemente arriviamo all’auto, ed infilandoci dentro, tutti e tre ci lasciamo andare ad un sospiro.
“Complimenti marito, l’esonero ti mancava.” Lo rimbecca Kazuha, con tono sarcastico.
Heiji la ammutolisce, e mette in moto. Ma prima di dare gas, mi guarda dallo specchietto e mi sorride soddisfatto.
“E’ quello che volevo. Kazuha, domani parti per Osaka, vai dai tuoi genitori. Ran, noi invece rimaniamo qui, c’è da fare molto.”
Io e la mia amica lo guardiamo allibite, con occhi spalancati.
“Che?!” gridiamo all’unisono.
“So dov’è Kemerl.”
Stavolta sono io a sorridere, decisa.
Adesso no, non si scherza più.





Angolino autrice che si sente già in vacanza:
Buonasera lettrici e lettori di tutto il mondo!
Se vabbè, oggi sto in vena di scherzi :D
Allora, miei care (<3) come vi è parso il capitolo?
Chi era quella figura che si aggirava tra le strade di Tokyo, incredibilmente somigliante a Shin-chan?
Perché Heiji crede di aver sentito "Wunderwaffe" da qualche parte? :D
Qui, forse, qualcuno potrebbe avere la stessa sensazione..... Sì, sono malvagiiiiiiiiia :P
Che piano avrà Heiji, e come avrà trovato Kemerl?
Ma soprattutto... quanto ha fatto bene a sferrargli un pugno a quel Sawaguri? XD
Questo ed altro ancora, nel prossimo capitolo!
Che, molto probabilmente, avrete verso fine agosto....
Infatti, la sottoscritta, se ne va in vacanza tra qualche giorno, vado in Sicilia e poi... a Londra!!! <3
Non importerà a nessuno, ma dovevo avvisarvi! ;)
Spero che ci sarete anche tra un mesetto ç_______ç (Forse anche prima se ho tempo!)
Ma per farmi perdonare per questa prolungata assenza... ho qui per voi un regalino.....
ladies and gentlemen.... ho l'onore di presentarvi.....
http://i49.tinypic.com/ofrbdk.jpg Gin Kitsune!!!!!
Ringrazio Pav per averlo disegnato! <3
Allora, come vi sembra? :DDDDDDD
Fatemelo sapere!!!!


Thanks to aoko_90, IAm_SlightlyMad, Delia23 e Aliholmes per aver recensito lo scorso capitolo!!!
Grazie anche a mangaka girl per averla inserita tra le seguite, e SimpSiro e xthesoundofthesea tra le preferite!!!!
ARIGATOU!!!!!


Ci vediamo alla prossima ragazze/i :)
Mi raccomando, recensite e.... buona vacanze se non ci sentiamo!
Un bacione grande grande,

Tonia



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Capitolo 7
*** L'arte del travestimento ***


L’arte del travestimento
7 . Settimo capitolo
*
 

Che il Sole faticasse a spuntare in queste giornate di fine inverno era risaputo, ormai. Ma che dovessimo lavorare, o meglio, stressarci, con le lezioni di recitazione di mia suocera, sotto uno strato perenne di nubi e fulmini era troppo. Mettiamoci il freddo, e la pioggia, e il vento, e la Tokyo più umida degli ultimi trent’anni e il gioco era fatto. Così, visibilmente stanca, mi ritrovo seduta sul divanetto dell’ex casa di mio marito, dove, insieme a mio cognato, assistiamo all’ormai consueta voce di Yukiko, guru dei travestimenti.
Sono passati due giorni dall’esonero di Heiji, dalla partenza del mio piccolo Conan, e dall’ultima volta che ho visto Shinichi in quella strada deserta di periferia.
Che poi fosse davvero o no lui, poco m’importa.
Che poi fosse stata solo un’allucinazione, o ancora peggio, una svista, m’interessa ancor di meno.
Al solo pensiero di averlo potuto rivedere sono felice, perché che fosse un caso o no, lui era lì, lì con me.
“Ran!”
Yukiko mi fa sobbalzare, riportandomi al concreto. Alzo gli occhi, abbandonando i miei pensieri, e ritrovandomi dinanzi Heiji, con una maschera in faccia, e mia suocera, con un’altra tra le mani.
A me, personalmente, quest’idea del travestimento convince poco, ma d’investigazione non ne capisco molto, quindi non posso ribellarmi a ciò che mi ha suggerito Hattori.
Secondo lui, il piano migliore per intrappolare Kemerl è fingersi uno dei suoi scagnozzi. Perché, a quanto pare, avrebbe intenzione di ripescarli tutti e di assumerne di nuovi.
E quando, due giorni fa, gli chiesi i dettagli del caso, lui mi disse che aveva indagato per conto suo, e che aveva scoperto, ricercandolo tra mille e più palazzoni abbandonati, il covo della banda dei criminali. E così si era fatto esonerare, in modo da attuare un piano efficace, ma che non fosse vincolato dalle leggi poliziesche. E mi aveva guardato negli occhi, chiedendomi se fossi ancora convinta di volerlo fare. Io annuii, donandogli un sorriso rassicurante. Il piano c’era, la volontà anche.  
“Sì?”
“Stiamo scegliendo le maschere... tu quale vuoi?”
Sbuffo seccata, alzandomi sornione dal divano. Mi avvicino a loro, buttando lo sguardo su una valigia pullulante di facce di plastica, di tutti i generi e di tutte le età. Ne prendo due in mano, che mi attirano particolarmente. L’una è una donna sulla ventina, dai lunghi riccioli d’oro, e dalle labbra rosse e carnose. L’altra è una sulla quarantina, dalle poche rughe sul volto nascosto da un paio di grandi lenti. Le osservo ancora un po’, scrutandole per bene. Quale potrebbe essere più giusta per un lavoro del genere? La donna matura non avrebbe motivi di voler entrare in un’organizzazione criminale, piena di uomini loschi e violenti. Ma una bella donna ventenne, sullo stile della femme fatale francese, che avrebbe nulla da perdere e tutto da guadagnare, che non conosce pietà o amore, ma che vive per l’apparire e per l’intricare, per il confondere e per il dominare, potrebbe affascinare, e di conseguenza, piacere.
Decisa sulla mia scelta, prendo la maschera del mio futuro alter ego. Solo un volto, bellissimo e roseo, circondato da lunghi capelli biondi e brillante di un bel paia di occhi cristallini, si poggia sul mio viso, trasformandomi, e infondendomi un profondo senso di coraggio e di determinazione.
Heiji mi guarda, stupefatto e attonito, con le labbra dischiuse dalla meraviglia.
“Cavolo, che bella.”
Ammette, assecondato da Yukiko, che annuisce compiaciuta.
“E’ la donna che fa impazzire gli uomini, Ran. Devi essere capace di ricoprire il suo ruolo.”
Mi guardo allo specchio, sorridendo. La maschera si è adattata perfettamente al mio viso, senza alcuna striatura o difetto. Una donna che abbia nelle mani un potere grande, quello di comandare, e che non lo tema. Una donna che è l’esatto opposto di quello che sono io, ma che comunque faccio fatica a non sentire già come una parte di me. Sì, ne sarò capace, pienamente.
“Certo.”
Yukiko mi si avvicina, e con forza mi strattona i primi tre bottoni della mia camicia, lasciando in bella vista il mio seno. Heiji mi guarda arrossendo, mentre Yusaku comincia a fissarmi. Faccio subito per coprimi, intimidita, ma mia suocera mi blocca il polso, allontanandolo dal mio petto.
“Eh no, mia cara. Vedi che non sei pronta?”
“Ma... ma...” faccio per ribattere, ma continua ad ammutolirmi, poggiandomi un dito sulle labbra.
“Lei è sensualità, e non ha paura di mostrare ciò che ha. Anzi, sono le sue armi di conquista, la sua prima risorsa. E’ una donna esibizionista ed eccentrica, senza alcun pudore. Sfrutta il suo corpo utilizzando l’intelligenza, mettendo gli uomini sotto i suoi piedi, ed annientandoli, in tutto e per tutto.
Ed anche se nasconde una grande debolezza nel suo passato, fa di tutto per non mostrarlo e per esibirsi forte e dominatrice.”
La guardo un po’ spaesata, ma abbastanza intrigata. Questo personaggio mi piace, e interpretarlo sarà una sfida non indifferente, che però voglio compiere. Mi darà un’altra personalità, che non voglio negare, e che nel profondo del mio cuore, vorrei proprio far emergere.
“Ok, ci sto.”
Ammetto, convinta delle mie idee.
“Da domani reggiseni push-up ed autoreggenti. Magliette scollate e strette, ah... dei tanga non guasteranno.”
Mi dice, guardando di sottecchi il mio reggiseno. Heiji e Yusaku si sono interessanti così tanto alla conversazione da smettere di ricercare maschere adatte e mettersi comodi seduti sul divanetto, ad ascoltare le lezioni di sex appeal di mia suocera, abbastanza preparata sull’argomento.
“Yukiko, guarda che non ho cent’anni. So come essere sensuale.” Le dico, facendo l’offesa.
Lei mi guarda assottigliando gli occhi, ed incrociando le braccia al petto. Un ghigno si fa spazio sul suo viso, ricordandomi terribilmente suo figlio.
“Ah, davvero?” mi sfida, con aria superiore.
Deglutisco leggermente impaurita, neanche più sicura di ciò che dico.
“Beh, sì.”
“Cos’è l’ultima cosa sensuale che hai fatto? Sentiamo.”
Arrossisco d’un botto, spostando lo sguardo altrove. Ma che domande mi fa?
“N-non ricordo m-ma... e poi io non sono quel tipo!”
“Quale tipo?” ribatte lei, stranita. Sento gli sguardi di Heiji e Yusaku spostarsi da me a lei, neanche fossimo una palla da tennis.
“Beh, sono sempre stata un tipo un po’ meno... spinto.”
“Nemmeno con mio figlio eri spinta?”
Un nuovo rossore m’invade il volto, costringendomi a sbraitare.
“Ma Yukiko!”
“Ehi, avete un figlio, quindi non c’è bisogno di nascondere certe cose.”
“Ma che c’entra questo?” sbotto, portando lo sguardo sugli uomini dietro di me. “E voi che avete da guardare?!”
Loro non osano rispondermi, ma la stretta di mia suocera mi spinge e guardare verso di lei, che sospira, quasi afflitta.
“Non hai mai fatto nulla di sensuale con o per Shinichi?”
“Ma saranno fatti miei, o no?”
“Non lo sono più mia cara! Perché il tuo personaggio, queste cose, le fa ogni giorno!”
Strabuzzo gli occhi, mettendomi sulla difensiva.
“Dovrei andare a letto con qualcuno?! No, perché non ci penso proprio!”
“Ma no! Tu non andrai a letto con nessuno, ma loro crederanno che ci andresti con tutti! Capisci?”
“Non tanto.” Ammetto, disorientata.
“Dovrai mostrarti disponibile alle loro lusinghe che, sicuramente, ti faranno. Ma non li lascerai ottenere quello che bramano, perché li avrai sotto pugno, come dei cagnolini!”
“Dici?”
“Dico.” Afferma prontamente, annuendo col capo.
“...Quindi?” mi domanda dopo qualche secondo, inarcando un sopracciglio.
“Cosa?”
“Come speri di sedurli?” 
“Ehm,...facendo loro dei complimenti?” chiedo, quasi preoccupata.
“No!” sbotta, facendo sobbalzare anche Heiji e suo marito.
“Tu devi dimostrare loro che hai in mano le redini del discorso! Mostrati sicura, libera, aperta a tutto! Intrigali con il vedo-non vedo...”
“...che?” domando, incominciando a sentirmi leggermente ignorante in materia.
“Ad esempio, fatti un bel bagno in una vasca piena di schiuma; permetti loro di guardarti, ma non di raggiungerti.”
“Ah.”
Riesco a dire, con un velo di tristezza. E se non ne fossi capace, a questo punto? E’ tutto quello che non avrei mai fatto fino ad oggi. Tutto quello che sembra impuro ed immorale, e che il mio pudore mi avrebbe impedito. Eppure, stranamente, mi intriga. Infondo, perché non provarci? Se può servire a salvare mio figlio e a vendicare mio marito ben venga, farei di tutto.
Anche essere ciò che non sono.
“Voi, uomini, cosa ne pensate?” si rivolge a Heiji e a suo marito, con un sorriso smagliante.
“E-ehm... s-sì, p-può andare b-bene...” balbettano, visibilmente arrossiti e con gli occhi ridotti a puntini.
“Piuttosto, Ran ma hai pensato a come ti chiamerai?” mi chiede poi, girandosi nuovamente verso me.
Io ci penso su un attimo, ma il nome mi viene quasi spontaneo.
E’ tutto quello che ho provato in questi giorni, e che non dimenticherò facilmente.
E’ quello che sento nei confronti di Kemerl, che ha rovinato il mio mondo e la mia famiglia.
“Vanille... Vanille Haine.” Dico, compiacendomi della mia fantasia.
Loro mi sorridono, afferrando al volo il concetto.
“Attenta, l’odio non porta che alla morte.” Mi dice Yukiko, un po’ in ansia.
“La morte è già arrivata.” Le dico, per nulla timorosa.
Una morte che mi divora dall’interno, dal passato, da quello che ho già vissuto. La morte non è davanti a me, ma dietro. Si è fatta padrona di tutti i giorni della mia vita fino ad oggi, e domani ne divorerà un altro. Combatterò partendo da essa, e da essa prenderò lo stimolo di andare avanti.
“Tu Heiji?” domanda ancora mia suocera, rivolgendosi al mio amico.
Nishi Fukushu.” Ci dice sorridendo.
“Mmmm... ottima scelta cognato.” Mi complimento con lui, donandogli una pacca sulla spalla.
“Siete alimentati da due sentimenti pochi nobili. L’odio e la vendetta sono emozioni per deboli, e sicuramente Shinichi non le avrebbe volute.” Continua a rimproverarci con calma Yukiko, mentre io ed Heiji ci lanciamo occhiate complici, sul come dovranno andare le cose.
“Non preoccuparti. Andrà tutto bene.” Cerca di rassicurarla Heiji, mentre con un gesto repentino si fa spazio nella sala, attirando i nostri sguardi su di lui. Porta le mani in avanti e prende fiato, preparandosi ad un lungo discorso, e ad una nuova missione.
“Ok, Ran, il piano è questo. Stanotte, travestiti, ci imbucheremo nel covo di Kemerl, e cercheremo con tutte le armi possibili di ricavare informazioni sulla morte di Shinichi e sulle loro intenzioni. Da quanto ho potuto constatare durante le varie indagini, sono all’incirca una decina di loro, escludendo gli scagnozzi di second’ordine. Ho già affittato un appartamento nei dintorni, ci fingeremo parenti lontani.”
“E perché dovrebbero fidarsi di voi?” chiede Yusaku, interrompendolo.
“Daremo loro una soffiata. La polizia ha molti indizi su Kemerl, e ci metterà pochissimo a scovarlo. Se noi lo avvisassimo di questo, non potrebbe fare altro che fidarsi. D’altronde, è ricercato.”
“Spero per voi che basti.”
Heiji si strofina le mani, quasi entusiasta. Gli occhi di Yukiko e Yusaku sono colmi di preoccupazione ed insicurezze, ma fermarci non sortirebbe alcun vantaggio.
“Yukiko...” la chiamo, attirando la sua attenzione. “Conan tornerà a Tokyo tra sei giorni. Per favore, prendilo in custodia te.”
“Certo, ma è un bambino molto intelligente, sarà difficile nascondergli la verità.” Mi dice con sincerità, mentre ripone la valigia con le maschere in un mobile a scomparsa nel muro.
“Lo so.” Le annuisco, per poi girarmi verso mio cognato, che mi sta aspettando sulla soglia della porta.
“Andiamo Ran?” mi chiede, afferrando la maniglia.
Lo raggiungo con una notevole velocità e sicurezza, pronta a mettermi in gioco, e rischiare la mia vita per quella delle persone che amo. Almeno in questo, potrò vantarmi di averci provato ad essere come lui, come Shinichi.
“Sì, andiamo.”
 
*
 
E’ calata la notte, e con lei una sottile pioggia che va a sbattere contro i profili di ciò che ci circonda. Il freddo di questa serata si fa sentire sulla nostra pelle, che rabbrividisce e si raggrinza, al pensiero di ciò che stiamo per fare. Siamo ad un centinaio di metri dalla base di Kemerl, e la paura e l’ansia, che tutto possa fallire, cominciano a salire vertiginosamente.
La maschera è ben salda sul mio viso, mentre i capelli dorati mi scendono sulle spalle, solleticandole. Dovendo recitare la parte della femme fatale ho scelto un abbigliamento giovanile, con un paio di jeans strettissimi e una canottiera attillata, coperta soltanto da una giacchetta a tre quarti. Il Nishi Fukushu alla mia destra dimostra circa una trentina d’anni, è scuro di pelle ed ha due occhioni castano chiaro. I capelli sono quasi rasati a zero, abbinati ad una folta barba ben curata.
Sotto le pelli di plastica nascondiamo dei dispositivi cambia voce che ci ha prestato e fabbricato il dottor Agasa. Sono quasi invisibili, e ci permettono di alterarla senza che nessuno se ne accorga. Sono attaccati alle nostre orecchie e percorrono le guance, fino a fermarsi sulle labbra, quasi impercettibilmente.
Sono queste le nostre nuove identità, e le storie con cui dobbiamo convivere.
Io, una vamp che mostra una certa sicurezza con gli uomini, e li abbindola attraverso la seduzione. Secondo Heiji dovrei anche mostrare le mie abilità da karateka, così potrei riuscire a guadagnarmi un certo ruolo nella loro gerarchia. Lui, invece, sarà un tipo schivo e quasi intrattabile, che però ottiene rispetto da chiunque lo circondi, a causa del suo diabolico intuito e della sua incredibile intelligenza.
Mi guarda leggermente impaurito, stringendomi una mano per infonderci sicurezza.
“Dobbiamo dimenticarci delle nostre vite. Per noi non è mai esistito nessun Shinichi e nessun Conan, nessuna Kazuha e nessuna Sophie. Siamo solo Vanille e Nishi, due cugini alla lontana, con un’insaziabile sete di potere.”
“Sì.” Rispondo, con sicurezza.
“Dobbiamo tener fisso e presente il nostro scopo, senza farlo notare agli altri. Dobbiamo proteggere Conan, ma loro non devono saperlo. Se nominano lui o Shinichi, calma e sangue freddo. Nessuna espressione strana, nessun pentimento.”
“Sì.” Continuo a ripetere, annuendogli.
“Sei ancora sicura?” mi domanda, un po’ titubante.
Gli prendo l’altra mano, regalandogli un sorriso di plastica.
“Sì.”
Ci alziamo dalla nostra postazione, dove ci siamo nascosti da una manciata di minuti. Camminiamo con sicurezza verso un magazzino, all’apparenza non molto curato. Ma non lo definirei abbandonato, forse leggermente usurato dal tempo. L’oscurità sembra avvolgerlo, permettendo solo ad una misera luce all’entrata d’illuminare lo spazio circostante. Non è molto alto, sono solo due piani, ma è abbastanza esteso orizzontalmente. Molti altri palazzi lo circondano, e nel loro insieme, non sembrano avere nulla di sospetto. Inoltre, si trova ad una decina di chilometri dal luogo dove due giorni fa avvistai Shinichi. Che sia soltanto una coincidenza?
Sospiro leggermente, lasciando che il suo ricordo sbiadisca con le mie paure.
Nessuna espressione strana, nessun pentimento.
Ripeto nella mia mente, mentre avanzo sempre più verso quella porta.
Ne siamo vicinissimi, e l’ansia ci assale come mai fino a questo momento. Ma le mani non devono sudare, e le gambe non devono tremare.
Se nominano lui o Shinichi, calma e sangue freddo.
Continua a dirmi la mente, con il tono di Heiji. Annuisco, prima a me stessa, poi al mio amico.
E’ l’ora della verità.
Heiji bussa alla porta, con tre colpi decisi.
Il silenzio sembra mangiarci, mentre scorrono svariati minuti. Dopo un po’, sentiamo provenire dall’interno i passi lenti di qualcuno, che si avvicina pericolosamente a noi. Scattano le serrature della porta, e la maniglia si abbassa, mentre la faccia di colui che ci ha aperti viene portata alla luce.
Gin. Gin Kitsune.
Strabuzzo leggermente gli occhi, senza farmi notare.
Avrei dovuto stare a sentire Conan e il suo intuito per una volta.
 “Mmm... desiderate?” ci chiede, fingendosi assonnato, e passandosi una mano tra i capelli. Lancia uno sguardo su di me, allietandosi della mia vista. 
“Siamo messaggeri della notte,” mi accingo a dire, con un tono sicuro. “Sappiamo di Kemerl, possiamo aiutarvi.”
Lui ci guarda spaesati, spalancando le palpebre.
“Non saprei di cosa state parlando.” Ci risponde lui, fingendosi all’ignaro di ogni cosa.
Chissà qual è il suo compito in tutto questo poi. Magari avvicinarmi e guadagnarmi la mia fiducia?
“Lo sai benissimo.” Lo corregge Heiji, con la sua nuova voce.
“Sentite, se avete tempo da perdere non è questo il luogo per farlo. Buonanotte.” Sta per sbatterci la porta in faccia, quando con un gesto fulmineo la blocco col piede. Gli sorrido ghignante, aprendola d’un botto, e lasciando che anche mio cognato, o meglio Nishi, possa entrare.
Ci ritroviamo in un ambiente abbastanza scuro e scarno, che dovrebbe essere il salone di una casa. Ci guardiamo intorno, nascondendo un’invisibile paura, che cresce al passare dei secondi. Gin ci guarda esterrefatti, avvicinandosi a noi.
“Voi due! Uscite subito di qui!”
Il mio amico mi guarda, lanciandomi un’occhiata sarcastica. E’ il momento di mettermi alla prova.
Mi avvicino al ragazzo, accarezzandogli il petto. Gli dono un sorriso, mentre con le labbra avanzo verso le sue, sussurrandogli sulla bocca.
“Se fai il bravo e ci porti dal tuo capo, avrò cura di te. Mi sei simpatico, sai.”
“Ehi, bellezza...” comincia a replicare, lasciandosi andare ad un riso nervoso. Ma viene bloccato sul nascere da una porta che velocemente si è aperta alle nostre spalle. Io ed Heiji ci voltiamo, osservando la figura di fronte a noi. Particolarmente familiare.
Porto la mente al passato, ritornando a circa sette anni fa.
La ritrovo e assottiglio i miei occhi puntandola, sì, è la moglie di Kemerl.
E’ colei per cui lavorò Shinichi, colei che rischiò la vita avvicinandosi al marito, protetta dalla CIA.*
“Chi siete?”
“Signora Kemerl, è un piacere incontrarla.” La saluta Heiji, sorridendole ironico.
“Rispondete alla mia domanda.” E mentre lo dice, ordina a Gin di prendere la pistola, e puntarcela contro.
“Oh, oh, cosa sono questi modi così bruschi? Guardate che siamo dalla vostra parte.” Ironizzo io, sentendo il metallo di quell’arma addosso.
“Siamo due che possono servirvi. Volete istituire una nuova organizzazione mafiosa, no? La signorina qui presente è molto convincente nell’intrattenersi con politici e personaggi famosi. Ed io, convinco in altri modi.”
“Come sapete di mio marito?” ci domanda ancora, chiamando con un fischio qualche altro scagnozzo. Escono da una porta secondaria tre tipi abbastanza in carne, ed un quarto, che mi causa un tonfo al cuore.
E’ Wunderwaffe. Arthur Wunderwaffe.
Si mantiene sulla soglia della porta, appoggiando le spalle ad essa. Ci guarda stranito, osservando sia me che Heiji. Gli altri tre si sono fiondati contro di noi, alzando le pistole alle nostre tempie. Non sembrano fidarsi. E la sicurezza di uscirne viva non ce l’ho nemmeno più.
“La polizia sa che siete qui. Se restate un secondo in più, verrete scoperti.” Dico loro, cercando di convincerli.
“E perché dovremmo fidarci?”
“Non abbiamo nulla da perdere. Possiamo darvi molte informazioni utili.”
“Non mi hai convinta, mi dispiace.”
“La convinceremo madame.” Le dico, lanciando uno sguardo sensuale a Gin, Arthur e agli altri tizi.
“Uccidiamoli signora.”
“Macché... la biondina resta con me.”
Confabulano tra loro gli scagnozzi, sperando di ottenere anche un misero bacio da queste labbra. Wunderwaffe è l’unico che non si scompone e che rimane fisso a guardarci, senza esitazioni. Non sembra interessato alla mia bellezza o alle mie provocazioni. Gin invece ridacchia con i suoi complici, lanciando occhiate maliziose al mio sedere.
“Non mi piacete più di tanto, non è la vostra serata fortunata.” Ci dice la moglie del criminale, con un sorriso diabolico.
“Conoscete Shinichi Kudo?” Ci chiede in lontananza una voce, estremamente familiare. Mi volto a guardarlo, resistendo a mordermi le labbra. E’ Kemerl. Ma, nel vederlo, sussulto leggermente.
E’ diverso da quello che ho visto qualche giorno fa, non sembra neppure lui.
Ha molti meno capelli, e qualche chilo di più. Che abbia fatto una cura ingrassante nel giro di una settimana?
“Conosciamo tutti i nostri nemici.” Replica Heiji, sostenendo il suo sguardo.
La farsa sta andando avanti a gonfie vele per il momento. Certo, sentire da dire da Hattori di essere un nemico di Shinichi mi fa quasi ridere.
“Sareste nemici di Kudo? Uh, andremo d’accordo allora.”
“Diciamo che andremo d’accordo con parecchi a Tokyo.”
Kemerl si lascia andare ad una risatina sarcastica, che gli provoca alcune rughe sul volto.
Ad osservarlo meglio, è anche invecchiato.
“Con chi  ho l’onore di parlare?” ci chiede, incrociando le braccia al petto.
I suoi complici ci osservano impietriti, mentre Wunderwaffe continua ad osservare ogni nostro minimo passo.
“Vanille Haine e Nishi Fukushu.”
Presento me ed Heiji, ostentando un tono abbastanza deciso. Il gioco sembra farsi interessante, e quasi non mi accorgo delle pistole che prontamente vengono abbassate all’ordine di Kemerl.
“Benvenuti.”
Ci dice, divaricando le braccia. I suoi complici lo guardano straniti, forse quasi sorpresi.
“Ma Toichi...” cerca di replicare la moglie, evidentemente in disappunto. Ma lui la zittisce, ordinando a me e al mio amico di seguirlo. Tutti si ammutoliscono, mentre vedo Arthur guardarci con degli occhi strani.
Seguiamo il nostro bersaglio verso una stanza ancora più buia, dalla quale si apre una scala, nascosta nel terreno. Scendiamo di sotto, dove troviamo un altro e più ampio appartamento, dove sono accese mille e più luci. Ci guardiamo un po’ intorno, giusto il poco per orientarci.
“Dobbiamo lasciare tutto questo benessere per gli sbirri? Se riuscirete a convincerli che non sono qui, vi guadagnate un bel posticino in questo bel gruppetto.”
Io e il mio amico ci guardiamo, per poi lasciarci andare ad un risolino.
“Sarà un gioco da ragazzi.”
Che siano l’odio o la vendetta i nostri ideali non importa.
E’ fatta, siamo dentro. E da dentro, li stermineremo.

 
 
 
 
*Capitoli 28-29-30 di “Vivere d’emozioni”.

Angolino autrice ~
Buonpomeriggio cariiiiii!! <3
Avete visto? :D
Vi ho fatto una sorpresina... sono riuscita a scrivere questo bel capitoletto, proprio e solo per voi! :D
Ritenetevi onorati ù___ù
Vi comunico ufficialmente che siamo entrati nel cuore della storia!
Allora... avete capito qual era il piano di Heiji? 
Eh sì, proprio travestirsi e infiltrarsi da Kemerl.. e pare ci sia riuscito :D
E chi troviamo dal nostro amato Toichi? Proprio loro! Gin ed Arthur!!! 
Ve l'aspettatavate? :P Sono degli scagnozzi di Kemerl!
Sappiate che ne vedremo delle belle ^___^
Soprattutto con Ran, alle prese con la sua nuova ed erotica identità... :D
Che ne pensate dei nomi? Vanille Haine e Nishi Fukushu... per chi non ci è ancora arrivato a pieno, li spiegerò più in avanti, don't worry :D
(Quello di Heiji è un tantino più facile di quello di Ran.. ma sono tutti e due semplicissimi ;) )
Inoltre... altro piccolo regalino! <3
Non riuscite proprio ad immaginarvi Ran in questa nuova versione?
Ecco a voi Vanille Haine, in versione karateka <3

http://i47.tinypic.com/2gyd5qd.jpg
Bella no? :) Ringrazio nuovamente la mia amica per averla disegnata **
*
Adesso si passa ai ringraziamenti ù___ù
Ringrazio IAmSlightlyMad, Il Cavaliere Nero, aoko_90, Kaori_, mangakagirl e Delia23 per aver commentato il sesto chappy <3
Un ringraziamento speciale a cavy che ha recensito in una mattinata tutti i capitoli :D
Ringrazio Il Cavaliere Nero per aver inserito la storia tra le preferite,  e Lilla95 e arianna20331 per averla inserita tra le seguite!
*
Va bene, adesso vi lascio, ci sentiamo alla prossima!
Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!!!
Un bacione graaaande!

Tonia

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Capitolo 8
*** Chi sei davvero? ***


Ottavo capitolo
Chi sei davvero?
* * * * * * * * * * * * * * * * *


 
“Carino.”
Mi limito a dire, dopo aver dato un fugace sguardo all’ambiente. Kemerl si gira verso di noi, sfoderando un ghigno soddisfatto. Il suo comportamento non mi convince più di tanto, e sembrano essersene accorti tutti, perfino sua moglie. Ci ha accettati fin da subito, senza pretese o premesse. Sembra essersi fidato di noi, come se sapesse davvero chi siamo. Storco le labbra, stranita. Più lo osservo, più mi convinco che sembra tutt’altra persona rispetto a quella che incontrai qualche giorno fa con Conan.
Vengo circondata da alcuni dei suoi uomini, che, come animali in calore, continuano ad osservarmi esterrefatti, quasi come se non avessero mai visto una donna in vita loro.
Ah, gli uomini.
“Mai quanto te bellezza.”
“Che ne dici se vieni da me stanotte?”
E tra le mille e più affermazioni di questo genere, trovo la forza di risponder loro per le righe, cominciando a recitare la mia parte.
“Mi piacerebbe ragazzi. Ma ho parecchio sonno, e sapete, per fare certe cose ci vuole forza.”
Gin, quello che conobbi qualche giorno fa, e che si presentò come amico di Shinichi, mi si avvicina, superando i suoi amici. Mi prende la mano, stringendola alla sua. Il suo tocco mi dona un senso di fastidio, ma cerco di resistere e di contenermi.
“Un corvo travestito da angelo. Eccitante.” dice, sussurrandomi all’orecchio. Sento dei brividi percorrermi la schiena, senza sapere bene se avere paura o incuriosirmi ancora di più.
Distolgo dolcemente il suo tocco, cercando di evitare movimenti troppi bruschi.
Alzo lo sguardo, evitando di pensare alle innumerevoli conseguenze che questa farsa potrà portare, puntando a concentrare l’attenzione sul mio obiettivo. Incontro gli occhi di Wunderwaffe, che mi osservano rattristati, quasi impauriti.
“Allora,” comincia la moglie di Kemerl, sedendosi su una delle sedie dell’appartamento. Il marito la imita, ma si allontana leggermente dalla nostra visuale, mostrandosi quasi indifferente all’argomento.
“Chi entra nel nostro gruppo non deve avere nessuna pietà verso il prossimo. Abbiamo bisogno di sapere se siete pronti a questo.”
Io ed Heiji annuiamo, fingendoci sorridenti.
Incomincio a chiedermi cosa succederà nel momento in cui mi ordineranno di uccidere qualcuno. Come riuscirò a cavarmela? Non potrei mai trasformarmi in un’assassina, non potrei mai farlo.
“Il nostro primo obiettivo è annientare i Kudo.”
A quel nome sobbalzo, mandando giù a fatica. Ma cos’altro vogliono da noi? Può mai essere così forte il loro odio nei nostri confronti? E perché il mio, non riesce ad essere altrettanto? Hanno ucciso mio marito, ma proprio non riesco a volerli morti.
Forse perché io sono diversa da loro, forse perché non potrei mai far provare a qualcun altro quello che sto provando io.
“Qual è il piano?” chiede Heiji, mantenendo un tono rude.
“La moglie e il figlio sembrano magicamente scomparsi nel nulla da un paio di giorni. Dovete trovarli, ed ucciderli.”
Ah, ecco. Ci stavano cercando.
Gin si allontana da me, mettendosi di fronte all’alter ego di Heiji.
“Io e Wunderwaffe abbiamo avuto il compito di avvicinarli, facendoceli amici.” Ci rivela, come se nulla fosse.
Tutto si chiarisce. Quella gentilezza, quei sorrisi, quei modi di fare.
Il nervosismo si alimenta nel mio corpo, portandomi a stringere le mani in pugni. Come ho potuto fidarmi di loro? Avrei dovuto stare ad ascoltare Conan e il suo intuito per una volta.
“E noi? Che ruolo avremo?” domanda mio cognato, rivolgendosi sempre alla donna. Il mio ex ‘fidanzato’ non si azzarda a partecipare alla conversazione, sebbene tutto ciò pare sia stato messo in scena da lui. Affianca Wunderwaffe, che continua a guardarci preoccupati.
 
Che ragazzo strano che è.
 
“Trovateli. Collaborerete con Gin ed Arthur, alla ricerca del figlio. Noi ci occuperemo della moglie.” Dice la donna, mentre Wunderwaffe si lascia andare ad un sospiro.
Io reprimo un sorrisetto che tenta di nascere sul mio volto. Nulla di meglio.
Loro non sanno dove sono, ma io so dov’è Conan.
Illuderli ed ingannarli sarà come bere un sorso d’acqua.
 
*
 
Il Sole sorge, un’altra notte va via.
La luce si espande lungo il cielo, risvegliando gli animi dei nipponici, che tranquilli riposano nelle loro case. Il freddo pungente si infiltra nei nostri muscoli, indurendoli.
Camminiamo velocemente, tentando di riscaldarci con il movimento dei nostri corpi. Affianco Heiji, che guarda fisso verso i due ragazzi che ci precedono.
Gin ed Arthur ci stanno accompagnando nel loro appartamento, in modo da definire i dettagli della nostra operazione. Come disse qualche giorno fa, la casa dei nostri nuovi complici è poco distante dalla mia. Probabilmente l’avranno affittata, in modo tale da controllarci quotidianamente e senza troppi problemi. E poi, avranno sistemato le cimici, così da poter ascoltare tranquilli anche le nostre conversazioni. Forse avranno voluto avere la prova che effettivamente Shinichi fosse morto, e che non lo stavamo nascondendo in qualche luogo buio e desolato della nostra villa.
Sospiro, continuando ad osservarli. Wunderwaffe è molto silenzioso, mentre Gin continua a mandarmi occhiate maliziose, alle quali per il momento non intendo rispondere.
Entriamo in casa velocemente, sbattendo dietro la porta.
“Questa è casa mia. Gin abita nell’appartamento a fianco.” Ci rivela Arthur, mostrandoci la grande apparecchiatura che nasconde il suo nido. E’ un intreccio infinito di macchine e computer, che si illuminano alternando varie luci e video. Da quello che posso capire, hanno piazzato delle telecamere ovunque. Una è addirittura all’ingresso di casa mia, completamente deserta in questo momento.
“Oh, quanti computer.”
“Sono un hacker informatico. Mi occupo della gestione informatica dell’organizzazione.” Ci racconta, continuando a guardarmi. I suoi occhi sono fissi su di me, ma trapelano emozioni strane, represse. Non riesco a decifrarlo, sebbene cominci a guardarlo con attenzione anch’io.
Heiji tossicchia, invitandomi a riconcentrarmi sul nostro obiettivo.
“Bellezza, se vuoi ti mostro casa mia. E’ molto più confortevole di questa.”
E’ Gin, nuovamente, a parlare. Si avvicina a me, afferrando il mio polso. Sento la sua forza attanagliarmi il braccio, quasi come se non volesse lasciarmi andare.
 
Sono una femme fatale, sono una femme fatale!
 
Ripeto nella mia mente, cercando di reprimere la mia vera natura, fin troppo ostile a quel tocco violento.
“Mi ci fai mettere il pensiero, poi” cerco di ostentare un tono sicuro, mentre sotto la maschera arrossisco per la situazione.
“Puoi mettercelo volentieri.”
Gli sorrido con determinazione, mentre Wunderwaffe continua a fissarmi. Sento il suo sguardo addosso, che pesa come un macigno di piombo.
Che pesa come se volesse dirmi qualcosa che non può dire.
Mi distolgo ancora da Gin, che lascia sfiorare le sue dita sul mio braccio, e mi volto a guardare Arthur.
E adesso mi sento più serena, più sicura, più determinata.
Una strana atmosfera mi si crea attorno.
 
Perché ho una sensazione.
 
“Abbiamo tempo poi. Verrai qui ogni giorno, dalle dieci di mattina.” Continua a riferirmi Gin, cercando con sensualità di attirare la mia attenzione.
 
Arthur, Gin. Gin, Arthur.
I loro volti si susseguono nella mia mente, come mille istantanee di una vecchia macchina fotografica.
 
Perché mi ricordano qualcuno, e non dovrebbero.
 
“Certo. Sarò puntuale.”
Annuisco, osservandoli con curiosità.
Un tonfo al cuore mi blocca per qualche istante il respiro.
 
Perché mi ricordano Te.
 
*
 
Se solo qualche tempo fa qualcuno mi avesse detto che nella vita sarei finita col’infiltrarmi in una nascente organizzazione criminale, fingendomi una femme fatale, con il solo scopo di annientarla e di vendicare tutto ciò che mi era stato privato, sarei scoppiata a ridergli in faccia. 
E sebbene la situazione mi appaia tutt’altro che realistica anche in questo momento, non posso fare a meno di pensare che, infondo, nella vita c’è sempre da sorprendersi.
Quando tutto sembra scritto, quando i giochi sembrano fatti, quando il destino scorre  seguendo quel copione ingiallito che puzza di vecchio, ecco che tutto cambia e si stravolge. Senza spiegazione e senza motivazione, gli equilibri si frantumano e lasciano spazio a nuove avventure, a nuove emozioni, a nuovi pensieri.
E mentre affrontiamo questo vortice di novità, ci ancoriamo ad un passato che lentamente ed inesorabilmente si allontana.
Ma è così sbagliato voler trattenere il nostro passato?
Il mio passato?
Shinichi, spensieratezza, Shinichi, sorrisi, Shinichi, pianti, Shinichi, gioie.
Sorrido, riflettendoci un attimo sul serio. La mia vita, a prescindere dal giorno, dall’umore, dal tempo o dal luogo, è stata segnata da Shinichi. E lo è tutt’ora. Ovunque mi giri lo vedo, sento la sua presenza, il suo profumo, i suoi movimenti. Anche ora, anche in questi attimi così lugubri e densi di nervosismo, riesco ad avvertirlo.
E mi ritorna in mente quel volto che vidi qualche giorno fa, in quelle strade periferiche di Tokyo. Non era un sogno, e nemmeno un’allucinazione.
Mio marito era lì.
E non solo lì.
E’ da quando non sono più Ran Mouri che ho la sensazione che uno Shinichi Kudo mi sia vicino. Sarà che mi sono fatta fin troppo influenzare dal piano di Heiji, ma, adesso, credere che lui sia ancora vivo non mi pare più un’eresia. E così, più che raccogliere informazioni sulla morte di mio marito, perdo tempo a scovare segnali concreti e decisivi sulla sua ‘resurrezione’.
“Heiji?” lo chiamo, invitandolo a voltarsi. Ci siamo ritirati nel nostro appartamento, quello che il mio amico ha affittato vicino alla base, come copertura. E’ abbastanza spoglio, ma per quel che serve abbiamo rinunciato ad arredarlo al meglio.
“Dimmi” mi risponde, abbandonando il corpo sul divano. Mi avvicino a lui, facendomi spazio sui cuscini, sedendomi a mia volta.
“Ho una strana sensazione.” Gli confido, lasciandomi andare ad un sospiro. Ho riflettuto un po’ prima di parlagliene, ma sono giunta alla conclusione che avvertirlo sia la cosa più giusta. Probabilmente mi prenderà per pazza, ma l’intuito e l’istinto femminile non sono mai da sottovalutare.
“Cioè?” mi chiede, incuriosendosi.
“Penso che non siano tutti cattivi gli scagnozzi di Kemerl.” Gli dico, cercando almeno per il momento di rimanere sul vago. Mio cognato si leva la maschera, portando alla luce il suo vero volto. Lo imito, gettando il mio alter ego sul tappeto, e sistemandomi leggermente i capelli scompigliati.
“Mmm?” mugugna lui, invitandomi a chiarirmi.
“Forse, potremmo fidarci di qualcuno, no?”
“Perché non riesco a seguirti?” mi domanda, con un leggero accento ironico.
“Perché sto per dire una stupidaggine, forse.” Sorrido, passandomi una mano sul viso.
Sarà che sto impazzendo, che la nostalgia mi sta uccidendo, che la sua mancanza si fa sentire, ma è così sbagliato seguire ciò che dice il nostro istinto?
Razionalmente parlando, mi prenderebbero per matta.
Credere che sia ancora vivo, che sia scampato all’incendio, che si nasconda sotto altre spoglie tra i complici di Kemerl, che non abbia detto nulla e che sia pronto a sbucare da un momento all’altro è tanto incredibile quanto rassicurante.
Ma anche se tutto questo fosse frutto della mia fantasia, per il momento, voglio lasciarla viaggiare, e cullarmi dell’illusione che lui, in qualche modo, sia ancora con me.
“Credo che...” comincio, leggermente in imbarazzo. “Uno tra Gin ed Arthur sia Shinichi.”
Mio cognato sbatte più volte le palpebre, serrate dalla sorpresa. Lancia lo sguardo un po’ ovunque, come se si sentisse smarrito.
“Ti avevo avvertito che era una stupidaggine” faccio quasi per scusarmi, mentre lo osservo ritornare nelle sue piene facoltà mentali.
“No, frena frena!” mi intima, parandomi le mani avanti. “Perché lo credi?!”
“Semplice intuito femminile” gli dico, rimettendomi a sedere freneticamente. Passo le mani tra le ciocche dei miei capelli, mantenendomi la testa alta. Poi mi rialzo, presa da uno strano raptus nevrotico. Non riesco a stare ferma, e il pensiero che mio marito possa essere ancora vivo mi sfinisce.
“Cioè... non so! Quando siamo andati a casa loro... ho avvertito una strana sensazione, come se Shinichi fosse lì! E poi... e poi io l’ho visto davvero in quella strada! Non era un sogno!”
Guardo Heiji e scoppio a ridere, sebbene la situazione non sia delle più comiche. La sua faccia è buffissima, un misto tra ‘ma cosa sta dicendo’ e ‘è impazzita’ e ‘però potrebbe essere’.
“Tu mi stai dicendo che Shinichi è vivo?!” mi urla contro, alzandosi dal salotto.
“No! Cioè... sì. Cioè.. boh!”
Il suo viso si stranisce ancora di più, le sue labbra rimangono per un po’ dischiuse.
“Sì, lo so, è folle. Ma è per questo che mi piace.”
Gli dico, mentre lo osservo rimanere per qualche secondo a meditare. Si strofina il mento con decisione, sbattendo lo sguardo a terra.
“Ok, ragioniamo” parla improvvisamente, tornando a guardarmi.
“Uno di quei due è Shinichi?”
Annuisco semplicemente, con le mani strette in pugni.
“E come avrebbe fatto a salvarsi?” mi chiede, come se io ne sapessi più di lui. Vorrei ricordargli – tanto per – che lui ha visto il corpo abbrustolito, ed è tornato a casa come un fantasma dall’anima rotta.
“Non ne ho idea.”
“Però, c’è da dire una cosa.” Rimbecca lui, portandosi nuovamente le dita sotto il mento.
Sospiro, afflitta.
“Cosa?”
“Quello Gin Kitsune.. il suo nome, beh, mi ricorda Shinichi.”
Ci rifletto un attimo su, navigando tra i neuroni del mio cervello. Gin è il nome di un alcolico potentissimo, ma in giapponese ha un significato completamente diverso, vuol dire argento. E Kitsune... Kitsune vuol dire volpe.
Una volpe d’argento.
“Volpe d’argento!” esclamo, mentre la mia pazza idea diviene sempre più realistica.
Sempre più possibile.
Sempre più vicina.
“Ovvero una persona arguta, capace di imbrogliare chiunque. Una specie di sinonimo di proiettile d’argento. Ma più diretto, stando lui prendendo palesemente in giro tutti. Compresi noi.”
“Shinichi è Gin?” domando, quasi felice.
“Non so. Kemerl non avrebbe fatto il nostro stesso ragionamento?” mi chiede, demolendomi.
Appunto, Kemerl.
Sbarro gli occhi, mentre un’altra, folle, idea, si fa spazio nella mia mente.
Comincio a farmi paura da sola, lo ammetto.
“Kemerl!” urlo, spaventando il mio amico, che sobbalza dal divano.
“Kemerl?”
“Sì! Lui potrebbe essere Shinichi!”
Sbatte più volte le palpebre, allibito.
“Kemerl è Shinichi?!”
“Pensaci. Ci ha accettati fin da subito, perché sapeva che eravamo noi! Sennò perché prenderci così?” gli dico, convinta di ciò che sta uscendo dalla mia bocca.
E’ un po’ contorto, ma ci può stare.
“E dov’è il vero Kemerl?”
“Non so. Da qualche altra parte, forse.”
Heiji sembra rifletterci un po’, ma la sua espressione non è delle migliori.
“Ma non ha senso!” sbotta dopo qualche istante, incredulo.
“Invece sì! Il Kemerl che vidi io, che voleva ucciderci, è quello vero! Infatti è diverso da questo qui!”
“E’ diverso?” mi domanda, con tono sorpreso.
“Sì! Shinichi avrà azzardato un travestimento.”
“Ma tu hai detto che la sensazione l’hai avuta in casa di Wunderwaffe!” dice, ricordandomi un particolare che con queste elucubrazioni ho completamente ignorato.
“Beh, Arthur non credo sia lui. Cioè... è troppo diverso!” ragiono, pensando al nostro amico hacker informatico.
“Non ho detto che Arthur è Shinichi!”
“Però...” lo blocco nuovamente, prendendogli le mani. “Però ha un atteggiamento strano sai quel ragazzo!”
“In che senso?”
“Non so. E’ l’unico che non ha fatto apprezzamenti su di me.”
Mio cognato riduce gli occhi a delle fessure.
“Beh, non lo vedo un tipo che ci sa fare con le donne.”
Abbasso il viso, annuendo. “Sì, effettivamente non lo sembra.”
“Anche se quel nome... dannazione, mi è sempre più familiare, ma non riesco a capire dove l’ho sentito.” Riflette ad alta voce, cominciando a grattarsi il capo.
Sir Wunderwaffe, Wunderwaffe... anche a me fa il medesimo effetto.
Medito, ma non riesco ad arrivare a nulla.
E dal nulla, un brivido mi percorre la schiena. Mi volto a guardare oltre la porta del nostro appartamento, che ha la parte superiore vetrata, leggermente opaca.
Spalanco gli occhi, strattonando il braccio del mio amico.
Una sagoma scurisce la luce che proviene dalla strada. I bordi, per niente nitidi, sono ben visibili grazie alla luminosità di un lampione che si erge a fianco del nostro portone.
Porta una maglia rossa, le braccia sono sottili, ma abbastanza muscolose. I capelli sbarazzini.
Vorrei corrergli contro, ma ricordo in tempo di non avere la maschera.
E il tempo di mettermela, quella sagoma è sparita. Esco fuori rapidamente, aprendo la porta con non curanza. Heiji mi segue, prendendo le sembianze del suo alter ego.
Ma a nulla servono i nostri occhi, quando l’oscurità ci avvolge.
Faccio forza sulle mie gambe e scendo in strada velocemente, trovandomi nel bel mezzo del notte nipponica. Nonostante l’orario, incontro molte persone, alcune delle quali dal viso truce e stanco, forse rovinato dalla cocaina. Le evito, corro, mi affanno, ma tento il tutto per raggiungere quell’individuo.
E quando sto per girare l’angolo, per entrare in un vicolo buio e stretto, sbatto contro qualcuno, che mi si piazza davanti.
Alzo gli occhi ed ho un tuffo al cuore.
Ha i suoi occhi, ha i suoi lineamenti... ma è diverso, non è lui.
Un uomo incredibilmente somigliante a mio marito, si mantiene il labbro, contro il quale sono andata a sbattere poco fa.
“Potrebbe guardare dove va signorina!” mi dice, con la voce rovinata dalle mani.
“Mi scusi.” Riesco a dire semplicemente, ancora presa dal suo viso.
Finalmente si libera le labbra dalle dita, e si mostra integralmente al mio cospetto. Sbatto più volte le palpebre, incredula. Gli assomiglia. Tanto, troppo.
“Ad una bella donna come lei, le si perdona tutto.”
Mi prende la mano gentilmente, e ne bacia il dorso.
Arrossisco sotto la mia maschera, nel tentativo di ritirare il tocco.
Ma nel guardare la mia mano, mi torna in mente il mistero di quel braccialetto, che un uomo fin troppo somigliante a Shinichi, donò a Conan. E il sentirsi osservata, seguita, controllata.
Che sia lui l’ombra che si nascondeva al chiarore della luna?
“Oh, grazie, lei è troppo gentile.”
“E’ qui da sola? Questa zona è pericolosa.” Mi dice, con un tono fin troppo protettivo.  
“Oh, sì. Mi accompagnerebbe a casa mia? E’ ad un centinaio di metri da qui.” Lo invito, nella speranza che accetti. Forse riuscirò a cavarne qualcosa di utile.
“Ma certo.” Mi assicura, sfoderando un grande sorriso.
“Ah, a proposito il mio nome è...” comincia, ma si ferma nell’osservare Nishi, o meglio Heiji, intervenire. Probabilmente, preoccupato per me, si sarà fiondato in strada, e ricercandomi, mi avrà vista in compagnia di quest’uomo. All’oscuro di tutto, avrà pensato bene di raggiungermi, nel tentativo di proteggermi. Ma non è propriamente quello che volevo.
“Vanille, su vieni, andiamo.” Mi trascina via, lasciando il sosia di mio marito sul bordo della strada, con una strana espressione sul viso. Continuo a guardarlo, mentre vengo portata via da mio cognato, che velocemente torna alla nostra base.
“Ma cosa ti viene in mente?! Non puoi metterti a parlare con gli sconosciuti!” mi sgrida inconsciamente.
“Guarda che non stavo facendo amicizia! Era importante! Hai visto che era identico a Shinichi?!” lo rimbecco, mentre rientriamo in appartamento.
“Adesso è quello Shinichi?” mi chiede, con un tono ironico.
“No, ma...” vorrei controbattere, ma mi blocco, infilando la mano nella mia tasca. Lì trovo un foglietto bianco e rettangolare, non molto duro. Lo estraggo e nel frattempo penso a come ci sia finito nei miei pantaloni. Ci sono alcune parole sopra, scritte con una penna nera.
Sbianco, mentre le mie mani vacillano.
 
Il mio nome è Kaito Kuroba, Ran.
Vieni alla torre di Touto, domani alle 21.
Ho delle cose da dirti.
 

“Kaito... Kuroba?!" Sbatto le palpebre ripetutamente. "E chi è?!"






Angolino autrice:
*
Oddio! E' tardissimo!
Domani devo prendere l'aereo per Londra, e sono ancora qui, all'1.40, a pubblicare il capitolo!
Ho pensato di farvi, ancora, un altro regalino, prima di partire!
Sono brava eh? :P
Allora!!! Piaciuto il capitoletto?!
Sorpresi, dispiaciuti, contenti, strafelici?
Chi incontriamo? Ma chi, chi, chi?
Per la gioia di tutte le sue fan... eccolo, è lui!! Kaito Kid!!!
E non è che appare dal nulla, ma c'era già negli altri capitoli!
Solo che non si vedeva, o meglio, non lo vedevate :P
E cosa avrà da dire a Ran? E come farà a sapere che quella è Ran?!
Ovviamente il titolo fa riferimento sia a lui che... ai pensieri di Ran!
Ma poi... è vero che Shinichi è ancora vivo?
Tutti risponderanno sì... Già me lo sento XD 
Beh, io non ci conterei.
Il dubbio vi rimarrà! Almeno per adesso ù_______ù
Scusatemi se non ringrazio ognuno, ma ho davvero sonno, e dovrei essere già a dormire!
In compenso, proprio perché vi ho fatto vedere tutti, potete ammirare la bellezza bruttezza di Wunderwaffe, in tutta la sua goffaggine!
http://i49.tinypic.com/33f6fsn.jpg
E' lui, sì ù.ù

Va beh, adesso vi lascio!
Giuro, la prossima volta ringrazierò tutti!
Un abbraccio, e buone vacanze!
Tonia

P.s. Come avrete notato, sto litigando io e il codice HTML. Sopportatemi, non riesco a trovarne uno che mi piaccia.
*

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Capitolo 9
*** Un gioco pericoloso ***


Nono capitolo
Un gioco pericoloso

 
 

 WARNING:
Il capitolo sarà un po’ violento da un certo
punto in poi, e prego quindi le persone troppo
sensibili  a non farsi trasportare dalla lettura.
Nulla di esagerato, il rating arancione
dovrebbe comunque andare bene.
Have a nice reading.

 
 
Lancio lo sguardo fuori dalla finestra, poggiando il capo su di essa.
E’ umida e appannata, raffreddata dalle temperature gelide degli ultimi tempi. Aldilà, una Tokyo spenta, assonnata, e stanca di alzarsi, tenta in tutti i modi di partire, e cominciare la sua, inesorabile e quotidiana, corsa. E come lei, anche i suoi cittadini, persino io.
Protetta da quattro mura spoglie, in questo estraneo, ma pur sempre mio, appartamento, aspetto che i minuti passino e che l’orologio segni l’ora esatta, quella che darà inizio ad una nuova e stupida sceneggiata. E così afferrerò la mia maschera, ne coprirò il mio viso, e spegnerò man mano quello di Ran Mouri.
Ma infondo, a che pro essere una Ran senza uno Shinichi accanto?
Potrei solo fingere di esserlo pienamente.
E il sentirsi incomplete, inadatte, inutili e fragili, riempirebbero le giornate di ogni Ran a cui manchi il suo Shinichi, e che lo ricerchi costantemente, senza mai fermarsi, in ogni piccola cosa. Perché forse scegliere di illudersi è più facile dell’affrontare la realtà, e sbattere contro un muro che non si ha ancora voglia di incontrare.
Una parete alta e maestosa, oltre il quale la mia vita cessa di esistere. E se quello è il limite che mi separa da Shinichi, non voglio superarlo, ma cullarmi della convinzione che infondo, lui, è ancora con me.
Di un’effimera convinzione dalla quale però, trovo la forza di andare avanti.
“Pensierosa?”
La voce di Heiji mi distrae, e mi porta a guardarlo, ancora nella sua originale identità. Gli sorrido accondiscende, ritornando a poggiare il viso lì, su quella fredda finestra.
“Chissà cosa vorrà dirmi quel Kuroba.”
Mio cognato sospira, e con le braccia si aiuta a sedersi a fianco a me, sopra il davanzale che costeggia il muro. Nemmeno lui sembra conoscere l’identità di quell’uomo così somigliante a Shinichi, che si aggirava furtivo nell’oscurità dei palazzoni nipponici.
Un uomo che, dal buio, sapeva di me e della mia doppia identità. Mi aveva seguita, spiata, ed osservata. E conosceva mio marito, aveva il suo braccialetto, e l’aveva donato a Conan, come un regalo qualsiasi.
La curiosità di sapere molto di più su di lui mi sta divorando dall’interno, ma devo fare i conti con le apprensioni del mio amico, che sembra più che restio a lasciarmi andare. Heiji sostiene che potrebbe essere una trappola architettata da Kemerl, che stia facendo di tutto per rivelare la mia vera identità, e portarmi man mano nella sua tana, al cospetto della morte.
Ma il mio intuito dice altro, ed intendo seguirlo.
“Io, ovviamente, starò lì vicino. Non voglio che stai da sola con quel tipo.”
Mi volto a guardarlo, intenerita dal suo sconfinato senso di protezione. E’ così simile a Shinichi, così intraprendente e coraggioso come lui, che nel stargli vicino mi sento serena e sicura, proprio come lo ero con mio marito.
Gli sorrido, e divertita gli parlo, con un leggero tono ironico.
“Grazie cognato, sei unico.”
 Lui sembra arrossire, tant’è che distoglie lo sguardo e tossicchia qualche colpo, nascondendosi il viso con un pugno. Rido, credo di averlo messo in imbarazzo.
“Lo faccio per Shinichi, lo sai. Lui non mi perdonerebbe mai se ti succedesse qualcosa.”
Ridacchio, cercando di stemperare la tensione.
“Nemmeno Kazuha me, quindi cerca di stare attento!”
Stavolta sorride anche lui e torna a guardarmi con sicurezza. Gli occhi gli brillano al nome della moglie, che pare mancargli davvero molto. Ma tenerla distante è la scelta più giusta, che non potrebbe mai ritorcersi contro di lui, lei e la piccola Sophie.
“Già me la immagino” mi dice, per poi ingrossare ed alterare la voce, imitando quella dell’amata. “Razza di un idiota! Sempre a cacciarsi nei guai sta!”
Rido di buon gusto, mentre nella mia mente si forma l’immagine della mia amica che, lontana e al sicuro, pensa al giovane marito e aspetta con impazienza il suo ritorno, nella speranza che il destino le riservi una fortuna che, a me, non ha concesso.
Il nostro dialogo è spezzato dal suono del campanello, che ci fa sobbalzare dalla panchetta e ci porta ad alzarci e a raggiungere repentinamente le maschere.
“Ehi voi due! Bellezza? Su, aprite!”
E’ la voce di Gin che, insistente, sbatte ripetutamente il palmo contro la porta, facendola vibrare. Indossiamo rapidamente quelle facce di plastica che tornano ad adattarsi perfettamente al nostro viso, mutandolo in ogni suo tratto. Mando giù un lungo sospiro, pronta a riprendere la mia identità di femme fatale, ed Heiji quella di uomo scontroso e noioso. Mio cognato apre la porta con non troppa cura, ritrovandosi di fronte Gin e, poco più in là, Wunderwaffe.
“Tutto questo tempo?” domanda con impertinenza il nostro complice, mentre Arthur si appoggia alla ringhiera del corridoio d’entrata.
“Stai calmo, Gin. Cerca di non stressarmi” lo rimbecca il mio amico, per poi dirigersi verso il divano ed afferrare il suo giubbotto. Prende anche il mio e me lo lancia, sperando di farlo finire tra le mie mani. Lo raccoglie al volo Gin, che con violenza lo strattona, e si avvicina a me, con occhi maliziosi.
“Posso mettervelo io, madame?” mi chiede, mentre osservo Heiji lanciarmi delle occhiate cupe, ed Arthur, assistere alla scena seccato.
“Certo, che gentile.”
Il giovane si posiziona alle mie spalle e mi aiuta ad indossare il soprabito, sfiorandomi la pelle con le sue mani. Un brivido mi drizza i peli e mi porta a scansarmi bruscamente, incapace a trattenere le mie emozioni, restie ad assecondarlo. Cerco comunque di non fargli notare quel mio atteggiamento, lanciandogli un sorriso finto, piena di vuota sicurezza. Lui resta fermo a fissarmi, ancora con le mani in aria, preso dalla mia figura.
“Andiamo?” chiede d’improvviso Arthur, con tono brusco. Gin mi affianca, e simula con le labbra una smorfia.
“Stai zitto tu Wunderwaffe.”
L’hacker lancia lo sguardo altrove, in attesa che io e l’altro raggiungessimo lui ed Heiji. La volpe d’argento che tanto e poco mi ricorda Shinichi, si avvicina al complice e gli da un colpetto al petto, facendolo indietreggiare di qualche centimetro.
“Non mi dici tu quello che devo o non devo fare! Qui comando io.”
Esclama, imbottendo la voce di un potere esaltato e fastidioso. Può mai essere questa persona il mio Shinichi? E’ così diverso da lui e dai suoi modi di fare, che mi pare impossibile che sotto quella maschera di sicurezza si nasconda mio marito. Eppure, c’è il suo nome, che tanto ha a che fare con lui e col suo passato, che tiene viva quella piccola speranza.
Dopotutto, anche io sto fingendo di essere qualcun altro, in questo gioco di identità e bugie.
“Non ti sto dicendo niente.” Prova a scusarsi Arthur, riuscendo a sostenere il suo sguardo.
“Non devi fiatare!” sbotta Gin, ergendosi al suo cospetto. Il giovane informatico abbassa il capo, mentre sfoga tutta la tensione nei pugni che, saldi, affiancano i pantaloni.
A dire la verità, mi fa un po’ pena. E’ colui che viene maltrattato più di tutti nell’organizzazione, e non può far nulla per far si che lo si rispetti, anche solo per qualche minuto. E’ sempre agli ordini di qualcuno, e non ha mai provato ad obiettare ciò che gli si imponeva. Ha ancora il capo abbassato, e i pugni tremanti trattengono un’ira che presto o tardi sfocerà. Decido d’intervenire, e poggio una mano sulla spalla di Gin, che prontamente si gira verso di me e l’afferra, portandola in basso, vicino alla tasca dei suoi jeans.
“Dimmi dolcezza.”
“Non perdere tempo” dico, ordinando glielo quasi. “Andiamo.”
 
*
 
“Avete novità sui Kudo?”
Sospiro al di sotto della mia pelle di plastica, consapevole di non essere vista. Cikage Kemerl sembra sempre più ossessionata dell’idea che io, Ran Mouri, e mio figlio, Conan Kudo, potremmo essere ancora in vita, a chilometri e chilometri da Tokyo, sfuggiti ai loro stupidi progetti.
Il marito, invece, continua a mostrarsi più ambiguo che mai. Non partecipa alle riunioni, non si interessa dei piani, non prende alcuna posizione.
Resta tutto il giorno seduto, lì, su di un divanetto che accosta il muro del loro appartamento sotterraneo. Ho notato che spesso e volentieri mi lancia delle occhiate profonde, che sembrano volermi dire più di quello che dovrebbero.
Come adesso.
E’ fisso a guardarmi da un paio di minuti, ignorando completamente le grida della moglie che, quasi indemoniata, tenta inutilmente di cavare informazioni su di noi.
“Signora, non abbiamo più avuto avvistamenti da un paio di giorni. Sembrano essere scomparsi.”
“Ma non lo sono!” continua a rimbeccarli, mentre un colorito rossastro va ad impadronirsi del suo viso. “Trovateli dannazione!”
“Purtroppo, l’ultima volta che la vedemmo fu quando inscenai Kudo, poi nulla più.”
La voce di Gin mi richiama, riportandomi al concreto.
Mi interesso d’un tratto alla discussione, abbandonando lo sguardo magnetico del mio ex fidanzato, che sorride enigmaticamente.
Inscenare... chi?
“Inscenare... chi?” chiedo, cercando di non mostrarmi troppo interessata.
Gin mi osserva, e mi risponde con un tono seccato. “Sì, mi travestii da Kudo e mi feci vedere dalla moglie, cosicché da testare la sua reazione.”
Strabuzzo gli occhi a quella confessione. Quindi, quello, non era il mio Shinichi.
Era solo una stupida maschera, proprio come quella che indosso io, adesso.
Ed io che ci avevo creduto, ed io che ci avevo sperato.
“Sì, se non sbaglio era insieme agli Hattori. A proposito, sono spariti anche loro.” Medita sull’occasione la donna, corrugando la fronte.
“Hattori è stato esonerato. Ha fatto a pugni con un suo collega” aggiunge un loro complice con un leggero tono sarcastico, avvisandoli della situazione che sarebbe dovuta rimanere segreta. Come fanno ad avere anche quest’informazione? Vedo Heiji muoversi con nervosismo, mandando giù lunghi sospiri.
“Magari è partito per una bella vacanza con tutta la compagnia” riflette ancora Cikage, strofinandosi il mento. “Su, scopritemi se in centrale sanno qualcosa di lui, probabilmente la puttana è con loro.”
Deglutisco, sentendomi catalogare in tal modo. Questa donna prova un profondo odio nei miei confronti, che non posso fare altro che biasimare. Non capisco cosa avremmo fatto io e mio figlio per meritarci tutta questa pressante attenzione e stupido rancore. Infondo, se il loro obiettivo era Shinichi, perché continuare con noi? Mando lo sguardo al marito, che è ancora intento a guardarmi. Cosa le avrà detto per far sì che mi odi così tanto?
“Agli ordini.”
Gin abbandona il luogo, accompagnato da alcuni suoi complici. Fortunatamente, ad Heiji è stato ordinato di rimanere a fianco a me e a Wunderwaffe, poiché ritenuti ancora troppo inesperti per agire da soli. Approfitto del momento per avvicinarmi alla donna, e cercare di guadagnarmi la sua fiducia. Sembra restia a parlarmi, intenta a sistemare alcuni documenti all’interno di un mobiletto.
“Come mai tutto quest’accanimento?” le chiedo, tentando di apparire più indifferente possibile. Mio cognato mi guarda, e con gli occhi sembra implorarmi di stare attenta a ciò che dico.
“Che domanda è?” mi chiede a sua volta.
“Beh, sono una di voi adesso. Vorrei sapere i particolari della vicenda.” Le impongo, assumendo un tono che pare far paura anche a me stessa, tanta è la finta sicurezza ostentata.
“Non c’è bisogno che sai nulla. Devi solo fare quel che ti diciamo.”
Non sembra demordere. Ma ha davanti un tipo più duro di lei, e non mi farò bloccare da quattro paroline che stanno cercando in tutti i modi di intimorirmi.
“Potrebbe giovarvi però.”
“Eh?”
“Conoscevo la Mouri, potrei essere un’arma in più” Rivelo, senza soffermandomi troppo a pensare alle probabili conseguenze delle mie parole. Gli occhi dei presenti guizzano e corrono su di me, traboccanti di sorpresa.
“Tu... conoscevi quella troia?” chiede ancora la donna, marcando l’accento su l’ultima parola. Mi blocco un po’ prima di risponderle, rimuginando su cosa e come inventarmi.
“Sì, sono una karateka come lei.”
La donna incomincia a stizzirsi, e si cinge i fianchi con le mani, guardandomi con aria infastidita. Lancia poi un’occhiata al marito che, lontano di qualche metro, vicino ad Heiji ed Arthur, sta ascoltando la conversazione.
“E l’hai conosciuta prima o dopo che s’intromettesse tra me e Toichi?”
Alla domanda sobbalzo, incredula.
Io mi sarei intromessa tra loro?
Io che ero stata soltanto ingannata da lui?
Io che ero stata un’esca, un piccolo pesce da sfruttare, per catturare quello più grosso?
Non riesco ad evitare di strabuzzare gli occhi e sfociare in una buffa espressione, che colora il mio viso finto e spento.
“Ehm, ... non sapevo fosse stata con tuo marito.” Invento, e mi stupisco di quanto sia diventata brava a mentire.
Lei assottiglia gli occhi, seccata.
“Sì, c’è stata.”
“Cikage dai, Ran era solo un modo per avvicinarmi a Kudo, nulla di più.”
S’intromette nella discussione, e si fa notare dopo tanto, troppo, tempo, Kemerl. Ha il sorriso stampato sulla faccia, come se il dialogo tra me e la moglie lo stia divertendo molto. Di tutt’altra espressione sono Heiji, visibilmente preoccupato per le nostre identità ed Arthur, che continua ad osservare la scena dai suoi computer, senza perdersi una singola parola.
“Sì, ma intanto ti sei intrattenuto con lei!” esclama, evidenziando una nota di gelosia, la signora Kemerl. Sospiro, cominciando a capirci qualcosa.
La conversazione va avanti così per molto. Il tema principale sono proprio io, e le opinioni di Cikage Kemerl su di me, mi hanno capire come stanno effettivamente le cose. Evidentemente, la donna in nero porta rancore nei miei confronti per essere stata la fidanzata dell’amor suo, e per essermi ‘intromessa’ inconsapevolmente nel loro matrimonio. Certo, se invece di dar colpa alle donne che frequenta il marito, cominciasse a farsi due domande sul loro rapporto, capirebbe molte cose su di lui e su di lei, che adesso finge di ignorare.
“Guarda che non abbiamo mai fatto nulla.” Le dice, rivelandole la verità. Quasi vorrei annuirgli e dargli ragione, tanto che mi pare che mi stia difendendo dalle grinfie paranoiche della consorte.
“Capo ma che era? Una santa?” chiede di getto uno dei suoi loschi uomini, abbandonato al divanetto vicino alla tv, dove poco prima era seduto Kemerl.
L’interessato sbuffa, per poi lanciarmi un’occhiata ambigua. Un misto tra ironia e beffa, che si mischia ad una punta di divertimento.
“Oh sì, con me, sì.”
Abbasso il capo, sentendomi chiamata in causa. Effettivamente, come dargli torto...
“Capo, senza offesa, si vede che non ci sapevi fare” esclama divertito, ma allo stesso tempo impaurito da un’eventuale reazione, Gin. Appare sulla soglia della porta dopo aver svolto il suo compito, quello affidatogli dalla cara Cikage. Ma per essere tornato così in fretta credo che non abbia risolto un bel nulla.
Guardo Heiji, che intanto sembra più interessato alla conversazione che all’uomo appena arrivato.
“No, era presa da tutt’altro, la Mouri, a quei tempi...” dice, continuando a guardarmi con un’aria che si fa pian piano sempre più maliziosa.
Ma perché mi fissa? Perché proprio me? Che abbia capito tutto?
“Ma che presa e presa! Con me non avrebbe resistito!”
Vorrei andargli vicino e dimezzargli quell’aria da bulletto che si da, ma sarebbe fiato e tempo sprecato. Infondo, l’importante, è esserne convinti.
“Non ti dai troppe arie, Gin?” gli chiede sarcastico Heiji, quasi divertito da quella discussione. Ed io che volevo soltanto avere delle informazioni su mio marito e la sua morte, mi ritrovo ad ascoltare, dall’interno, commenti di uomini depravati ed allupati di sesso.
Assottiglio li occhi, seccata.
“Caro, io le donne le stendo, non lo sai?”
“Sarà forse per il tuo alito non sempre troppo fresco?” gli chiede, ironizzando, ed azzardando un ghigno soddisfatto, Arthur. Ridacchio, portandomi una mano davanti alla bocca. I presenti mi imitano e cominciano a ridere, mentre Gin, nel sentirsi umiliato, pensa bene di rispondergli per le righe, tentando di metterlo a disagio.
“Tu non parlare proprio, che una donna non l’hai vista nemmeno col cannocchiale!” esclama compiaciuto, mentre Arthur non sembra scomporsi né tantomeno imbarazzarsi. Lo ignora semplicemente, riportando lo sguardo sul computer, e continuando a pigiare i vari tasti.
“Secondo me, invece, il nostro amico piace alle donne.” S’intromette nuovamente Kemerl, sorridendo al suo subordinato. Wunderwaffe, seguito da Gin ed Heiji, sbatte più volte le palpebre, sorpreso. Un leggero silenzio cala nell’ambiente, spezzato unicamente dalla risata del Kitsune.
“Ma chi? Lui?” continua a domandare, con la voce rotta dal riso. Gli occhi quasi gli lacrimano, e la risata non tende a scemare, alimentata dal volto del nostro capo che, con convinzione, annuisce ridente. Wunderwaffe si mostra leggermente imbarazzato, fingendosi impegnato nella decifrazione di alcuni codici informatici.
“Vanille” mi chiama improvvisamente Kemerl, facendomi sobbalzare. Mi giro verso di lui, e pronta a rispondergli, lo invito a continuare. Nella mente viaggiano le lezioni di donna fatale che mi ha impartito mia suocera, e che devo costantemente ascoltare, in modo che la mia vera natura non possa fare brutti scherzi.
“Dimmi.”
“Tu andresti a letto con Arthur?”
I volti dei presenti si concentrano su di me, che intanto, sotto la mia pelle di plastica, arrossisco violentemente. Lascio scorrere alcuni secondi, durante i quali lo stesso Wunderwaffe si mostra interessato alla risposta che darò.
Mi verrebbe da chiedere scusa a Shinichi per tutto quello che sto combinando, ma infondo so che se fosse vivo, mi perdonerebbe di certo. O almeno credo.
“Perché no” rispondo sorridendo, cercando di lanciare al diretto interessato un’occhiata (che sarebbe dovuta essere) maliziosa. Il mio sguardo invece si mostra goffo ed impacciato, quasi come se volessi urlare la verità attraverso i miei occhi.
Distolgo il viso, concentrandomi su quello degli altri. Gin ha un’espressione sconcertata ed incredula, come se si fosse appena reso conto che non è l’unico uomo al mondo con cui una donna vorrebbe stare. Heiji ridacchia, abbassando lo sguardo, e con lui lo fa anche Arthur, che per la prima volta, dopo la mia improvvisa apparizione, mi mostra il suo sorriso. Un bellissimo sorriso. Kemerl tossicchia, interrompendo quella strana atmosfera che si era venuta a creare, e si avvicina a Gin, dandogli una pacca sulla spalla.
“Allora? Cosa hai scoperto?” gli chiede, ma il nostro complice appare tutt’altro che sveglio, ancora frastornato dalla mia confessione.
“Eh?”
“Cosa hai scoperto?” ripete ancora il capo, leggermente spazientito.
“Che Vanille andrebbe a letto con Wunderwaffe?”
Non riesco a trattenere una risata, che si apre fragorosa sul mio viso. Mi imitano i miei compagni di malefatte, tra cui lo stesso Arthur, che continua a ridere, quasi soddisfatto, di quell’evenienza.
“Gin, torna tra noi. Intendevo di Hattori.”
“Ah” emette un suono smorzato, resosi conto della situazione. “Ehm, nulla.”
Lancio lo sguardo ad Heiji, soddisfatta, che ricambia la mia occhiata furtiva.
“Come nulla? Toichi, ma dove l’hai preso a questo qui?” Si lamenta la signora Kemerl, che intanto aveva assistito a tutto l’allegro dibattito in silenzio, standosene in disparte.
“Tesoro” la chiama il marito con tono sarcastico, voltandosi verso di lei. “L’hai scelto tu.”
Ancora una volta il riso preme per nascermi in volto, divertita dalla situazione. La donna e il giovane uomo mi guardano cupamente, infastiditi dal mio atteggiamento. Mi ricompongo in un istante, tossicchiando più volte per nascondere la mia bocca. Kemerl mi sorride, e lancia un’occhiata ad Arthur che, intanto, ha ripreso la sua solita espressione oscura e subdola, che tanto mi aveva fatto pensare e sperare in questi giorni.
“L’avrò sopravvalutato.”
“Ovviamente.” Le risponde il marito, assottigliando gli occhi.
“Gin, stasera rimani di guardia insieme ad Arthur, Nishi e Vanille. Così ti riprendi un po’, eh?”
Strabuzzo le palpebre, sconcertata. Vorrei ribattere, ma non posso dire loro la verità. Come faccio ad incontrare quel Kaito se dovrò restare rinchiusa in quest’appartamento per tutta la nottata? Mi mordicchio il labbro, guardando Heiji. Con il volto ondeggiante, mi fa cenno di no, che non ha nessuna idea per aiutarmi.
Ma, stranamente, è Wunderwaffe a parlare e a guadagnarsi man mano sempre più spazio all’interno dell’organizzazione. Adesso, non sembra più il ragazzino timido che incontrai a Tokyo, insieme a Gin.
“Non c’è bisogno di loro. Io basto” dice, rivolgendosi al suo capo. Kemerl sbatte le palpebre, sorpreso dalla sua affermazione. Vi è un gioco di sguardi tra quei due, che ancora, dopo tanti giorni, non riesco a decifrare. Avrei quasi esultato, se Gin non si fosse intromesso di nuovo.
“Wunderwaffe, tu non comandi nulla! Zitto!” gli urla contro, proprio come stamattina. “Ok, almeno perderò tempo piacevolmente.”
E mentre lo dice, mi guarda con occhi maliziosi ed assetati, che cominciano a farmi un po’ troppa paura. Il mio ex fidanzato non pronuncia parola, e lascia le cose così come le aveva decise, convinto forse di aver fatto la scelta giusta. Impossibilitata a pronunciar parola, rivolgo nuovamente lo sguardo verso mio cognato, che mi osserva con aria preoccupata.
Dall’altra parte della stanza, lo sbuffo seccato di Arthur arriva, con profonda chiarezza, sino alle mie orecchie.
 
*
 
Osservo l’orologio impaziente, ticchettando le dita sul tavolo da cucina. Sono le otto di sera, e mentre un silenzio assordante è calato nell’ambiente, sto cercando di scrollarmi di dosso gli occhi di Gin e Kemerl, che è rimasto con noi alla base principale per dare una controllata alle telecamere. Io che tra un’ora avrei dovuto incontrare quel ragazzo, che pareva dovermi raccontare qualcosa di importante, e che probabilmente avrebbe riguardato Shinichi, sono qui, bloccata ed impossibilitata ad andarmene. Timbro i denti sulle labbra, lasciandoci sopra un piccolo solco. Deglutisco, facendo avvertire il mio nervosismo agli uomini che mi circondano. Cosa posso inventarmi affinché Kemerl mi dia il permesso di uscire?
Mando lo sguardo a destra e a sinistra, ricercando anche nei più piccoli oggetti un’idea che possa salvarmi dalla situazione. Sento la testa girare, pesante ed oppressa dell’innumerevole mole di nervosismo e stress accumulato in questi giorni di stupida recita. Mantengo il capo con una mano, ed abbasso gli occhi per qualche istante, rilassandomi. Nel riaprirli, mi accorgo che degli uomini che erano con me nella stanza non è rimasto nemmeno l’ombra. Mi alzo dalla sedia, ricercandoli. Risalgo lungo le scale, ritrovandomi nel piccolo salone d’entrata della villa, ed attraversandolo, apro le varie porte delle stanze, tentando di non fare troppi movimenti bruschi. Nell’uscire da una di queste, sbatto contro qualcosa, ed irrimediabilmente, cado a terra. Alzo lo sguardo verso  l’ostacolo che mi ha ostruito la strada, ed incontro gli occhi neri e brillanti di Gin.
“Scusami bellezza, non ti avevo visto.”
“Non preoccuparti.”
Mi alzo all’in piedi, aiutata dalla mano del mio complice che mi sorregge e mi porta verso l’alto. Cerco di lasciargliela, ma avverto una certa resistenza da parte sua, che comincia a stringermela, causandomi un lieve dolore. Deglutisco, leggermente impaurita.
“Dove credi di andare?” mi chiede, facendomi rabbrividire. Il suo tocco violento mi chiarisce le idee ed allontana tutti i dubbi che avevo sulla sua identità. Il mio Shinichi, quello che conosco da una vita, non mi tratterebbe mai in questo modo. Lancio lo sguardo alla porta, che è a pochi metri di distanza, e spero invano che Heiji appaia all’improvviso, così da allontanarmi da questo essere, che non reputo nemmeno degno d’essere chiamato uomo.
“Lasciami Gin.” Gli ordino cercando di dimenarmi con le braccia, ma non riesco ad allentare la sua presa, che si fa sempre più possente sul mio polso. Stringo i denti, tentando di mantenere la calma.
“Perché non ci divertiamo un po’?” mi domanda, avvicinando la sua bocca al mio orecchio, e il suo corpo ai miei fianchi.
“Non è il momento.” Cerco di ribattere, ma a nulla servono le mie parole. Gin comincia ad annusarmi il collo, fino a scendere lungo la clavicola. Il suo respiro pesante sulla mia pelle mi inorridisce e tento con tutte le forze di allontanarlo, dandogli degli spintoni al petto.
“Ho detto di no!” esclamo, stizzita. I miei occhi trapelanti di paura sembrano divertirlo, tant’è che indietreggia di qualche passo e chiude la porta alle sue spalle, bloccandomi con lui all’interno di quel piccolo e lugubre spazio.
“Ma come? Wunderwaffe sì, ed io no?” mi chiede, ritornando a fare presa sul mio braccio. Con violenza fa aderire il mio corpo al muro, facendomi sbattere le teste contro un quadro che oscilla e cade miseramente a terra. Spero che il rumore abbia allertato il mio amico che, in un momento come questo, desidererei tanto avere accanto. Non posso nemmeno difendermi col karate, avendo bloccati entrambi i polsi, e le gambe ostruite dalle sue.
“Lasciami, smettila!” urlo, nel tentativo di fargli almeno un po’ di pena.
“Fai tanto la puttana, ed ora ti mostri santa. Così non va!”
Gli punto gli occhi contro, pullulanti di paura e rabbia.
“Ho detto lasciami!”
Il suo viso si avvicina al mio, tant’è che riesco a sentire il suo fiato sulle labbra. Agito il volto, evitando il suo, svincolandomi e rendendogli impossibili i suoi propositi.
Ho un brutto presentimento, che non mi permette di ragionare lucidamente.
Oltre a ricevere da lui una violenza fisica, la mia maschera infatti potrebbe cedere e svelare la mia vera identità. Bisogna che faccia qualcosa, e al più presto.
“Se mi lasci ti faccio divertire io, senza bisogno di utilizzare la violenza.” Cerco di convincerlo, ostentando un tono troppo poco sicuro.
“No, mi diverte questa situazione” mi sussurra alle orecchie, per poi allungare la sua lingua sul mio volto di plastica, che riesce, almeno per il momento, a proteggermi dalla squallida sensazione d’essere toccata da qualcuno che non sia Shinichi.
Sì, il mio Shinichi.
Le lacrime scorrono lungo il mio vero volto, ma sono così tante che trapelano oltre la maschera, cadendo a terra. Gin mi osserva compiaciuto, quasi come se avesse ottenuto quello che voleva.
Così, continuando a tenermi le gambe, mi straccia la camicetta, frantumandola. Essa cade a pezzi sul pavimento, mostrando al mostro di fronte a me il mio vero corpo, quello di Ran Mouri.
“Che bellezza!”
Approfittando del momento, riesco a svincolarmi dalla sua presa, ma non ho nemmeno il tempo di fare un passo, che torna a prendermi il polso, riavvicinandomi a lui. Con violenza mi sbatte nuovamente contro il muro, e mi lancia uno schiaffo sul viso, talmente forte, che riesco a sentirlo anche sotto la maschera.
Priva di forze, riesco solamente ad alzare lo sguardo al soffitto, e sussurrare il nome di Shinichi.
Gin, preso dalla foga del momento, nemmeno si accorge delle mie parole, impegnato ad abbassarmi il pantalone, che porta allo scoperto i miei slip. Sento le sue mani luride attraversarmi il corpo, e toccarmi ovunque, privandomi della mia intimità.
Shinichi...
Mi sento sporca e violata, spogliata della mia essenza. Il suo brutale tocco lascia lividi un po’ ovunque, mentre la mia pelle comincia a colorarsi di rosso nelle zone abusate.
Shinichi... ti prego...
Sta per abbassarmi gli slip, e togliermi il reggiseno, quando la sua violenza trova una veloce fine, all’improvviso aprirsi della porta. Da essa appare Kemerl che, alla scena, rimane per qualche istante sulla soglia, con gli occhi spalancati. Gin si distanzia da me, staccando le sue luride mani dal mio corpo.
“Capo, ci lasci soli? Ci stavamo divertendo un po’.”
Il mio ex fidanzato ha la bocca aperta, e gli occhi fissi su di me. Io, incapace a trovare la forza di chiedere aiuto, lo guardo speranzosa che, nonostante tutto e gli anni passati, gli sia rimasto un briciolo di pietà e ritegno. Ad un tratto, abbassa il capo, stringendo forte le mani in pugni. Poi lo rialza, puntando gli occhi verso Gin.
“Vai via.” Gli ordina, con voce sicura e marcata, leggermente arrabbiata.
“Cosa?” cerca di ribattere lui, sorpreso dall’atteggiamento del suo padrone.
Effettivamente, me ne sorprendo anche io, che intanto, riesco ad alzarmi le spalline del reggiseno, usurato dalla violenza che ha subito.
“Sparisci! Subito!”
Stavolta Gin non risponde, e sbuffando, attraversa la porta, scomparendo nel giro di qualche secondo. Ho il cuore che mi batte all’impazzata, e le gambe che stentano a reggermi. Mi rannicchio su me stessa, accovacciandomi al pavimento, nascondendo il viso tra le mie ginocchia. Sento i passi di Kemerl avvicinarsi a me, costringendomi a guardarlo. Tende la mano verso la mia, aiutandomi a rialzarmi, proprio come aveva fatto Gin una decina di minuti fa. Una volta all’in piedi, cerco di coprirmi il corpo con le mie stesse mani, nel vano tentativo di riserbare quel poco di dignità che mi resta. Ma, con mia sorpresa, il mio ex fidanzato si allontana di qualche passo, si avvicina ad un mobiletto e ne estrae una coperta. Dopodiché, me la lancia.
“Tieni, copriti.”
L’afferro al volo, alzando lo sguardo verso di lui che, intanto, è fisso a guardare il mio corpo.
Ma perché mi ha salvata?
Mille e più domande mi affliggono il cervello, alle quali però non posso e non voglio, adesso, dare alcuna risposta.
Così, non posso fare altro che abbassare il capo, e regalargli parole che mai avrei creduto di potergli dire.
 “G-grazie.” Riesco a sussurrare, con la voce rotta dalle lacrime. “D-davvero.”
Non mi risponde subito, anzi, sembra non volerlo fare. Il suo sguardo corre lungo il mio corpo per poi risalire sul mio volto che, sebbene di plastica, appare afflitto e turbato.
Poi sbuffa, seccato, stropicciandosi gli occhi con una mano.
“Questo è un gioco troppo pericoloso per te.” Mi dice, sospirando. “Vai via da qui.”

 
 


 
Angolino autrice:
Ehilà, cari/e!
Mamma mia, è il capitolo più lungo che ho scritto ò.ò Allora, prima che mi ammazziate, vi voglio specificare che Ran non è stata violentata,
come avrete capito, ma soltanto spogliata. Purtroppo, Gin è ancora più squallido di quello che pensava/pensaste.
Ve lo sareste aspettato? Non solo la sua violenza, ma anche l’intervento di Kemerl!
Lui salva Vanille! E le dice quelle poche e semplici parole... “vai via”...
E’ ancora più ambiguo di quanto credevate, eh? XD
Ed Heiji, testa di rapa, dove sarà in un momento come questo?
Attente proprio a lui, nel prossimo capitolo ne capiteranno di tutti i colori! ;)
E la moglie di Kemerl? Che appare più esaurita che mai? XD
Lei è convinta che Ran si sia messa in mezzo, è che è colpa sua che sia successo tutto quello!
Sì, lo so, è impazzita XD
AH, e come avrete capito, quel tizio che vide Ran per strada era Gin, e non il vero Shin ^^' Comunque, spero che alla fine il capitoletto vi sia piaciuto ^^
Volevo ringraziare CupidSBow, Black_Princy, Martins, Kaori_, LunaRebirth_, aoko_90 e Delia23 per aver commentato l’ottavo capitolo.
E 1sere1 per aver inserito la storia tra le preferite, e Black_Princy ed asha___98 per averla inserita tra le seguite!
Grazie anche a chi legge soltanto!!!
Arigatou!

*inchino*
Bene, adesso Tonia vi lascia, va a guardare il piccolo detective in tv ù.ù
Mi raccomando, recensite :P
Un bacione grande!
:*

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Capitolo 10
*** Imprevedibili sviluppi ***


Decimo capitolo

Imprevedibili sviluppi
 
 
 
 
“Vai via da qui.”
Andarmene via. Come se fosse facile, come se fosse la scelta giusta. Ci ho pensato in questi giorni, cosa credi. Ho ceduto, ho pianto, ho disperato. Questa non è la mia vita, non è il mio posto e non è il mio mondo. Io non voglio avere nulla a che fare con investigazioni, delitti, crimini, pistole o quant’altro. Era qualcosa che avevo così vicino, ma ho sempre mandato via, terrificata.
Avevo paura che quel mondo, quelle abitudini e quelle passioni, potessero portarmi via le persone più care. E l’hanno fatto, con quella più importante.
Hai dimenticato, forse?
Sono qui, sola, nuda, nascosta da un viso di plastica e riscaldata da una misera coperta, solo per colpa tua.
Perché tu hai mandato via dalla mia vita l’unica persona che avesse senso di restare.
“Non posso.”
Kemerl non riesce a staccare gli occhi da me, come se fossero attratti da una calamita invisibile, nascosta nel mio corpo. Lo osservo guardarmi, e noto in lui qualcosa di strano. Sta sudando, e il suo volto tenta di mascherare un malessere fin troppo evidente. Il suo sguardo, intanto, si posa sul mio viso, sulle mani tremanti, e sulle cosce scoperte. Da esse, è possibile intravedere i lividi che mi ha inferto Gin, e il rossore che da questi fuoriesce. Brividi di freddo cominciano a percorrere il mio corpo, ma non intendo farglielo notare, sebbene le sue intenzioni non sembrano delle peggiori.
“Perché? Cosa credi di fare?” chiede, forse più a Ran che a Vanille.
Evito per un po’ il suo sguardo indagatore, incapace a rispondergli. I miei seni cominciano a dolere, mentre sul mio corpo appaiono sempre più evidenti i segni della violenza subita, che sembrano moltiplicarsi e nascere come funghi sull’erba bagnata. La pelle mi fa male, e con lei anche il cervello, che pian piano acquisisce la consapevolezza di ciò che è avvenuto. E’ proprio vero che i traumi non li percepisci subito, ma si chiariscono con il tempo dentro di noi, portandoci in una lunga ed inesorabile agonia.
E mentre le forze mi abbandonano, osservo Kemerl avvicinarsi e sorreggermi. Strabuzzo gli occhi, boccheggiando, sia dalla paura che dalla sorpresa. Mi sta... abbracciando?
La sua presa è forte, ma non abbastanza da farmi male. Mi sembra d’essere tornata a sette anni fa, quando da fidanzati, Richard mi donava quegli attimi di dolcezza che io non riuscivo a ricambiargli.
“Mi dispiace” mi sussurra ad un orecchio, per poi staccarsi lentamente da me, ed indietreggiare di qualche passo. I miei occhi sono fissi sulla sua figura, che appare quasi percossa.
Il suo volto ancora tirato, stanco, afflitto.
La mia bocca è leggermente serrata, ed incapace a formulare le numerose domande che vorrei fargli.
“Cosa?”
Ma a bloccare l’atmosfera intervengono i passi di Heiji e di Wunderwaffe, che salgono rapidi lungo le scale. Entrambi si affacciano alla porta spalancando gli occhi, osservando me, mezza nuda, e Kemerl, che ancora si sorregge la coperta.
Restano per qualche istante - indefinito ed interminabile – così, fermi, immobili. Poi d’un tratto, si avvicinano entrambi a me, ma è Heiji a parlare per primo.
“C-cosa è successo?” mi chiede, afferrando anche lui il velo che mi copre. Io sospiro, donando uno sguardo al mio ex fidanzato che, d’un tratto, si è allontanato, appoggiandosi allo stipite della porta.
“Ra... V-vanille? Cosa è successo?” continua a domandarmi mio cognato, inceppandosi anche sul mio vero nome, mentre Wunderwaffe, con le mani leggermente protese in avanti, è incapace a proferir parola. Sembrano più turbati loro tre che io.
“N-nulla.” Fingo, imbarazzata a trattare l’argomento in questa maniera, con i loro sguardi puntati sul mio corpo indolenzito e macchiato dal sangue.
Intanto, la mano di Wunderwaffe mi sfiora la pelle e va ad alzarmi la coperta, portandomi allo scoperto le cosce e la parte orientale del mio fisico, dove i danni sono più che evidenti. I suoi occhi si spalancano sempre di più, e mentre cerco di mandare via quel suo tocco delicato e così... familiare, gli prendo la mano senza curarmi della sua reazione, e la strattono via.
“Cosa g-guardi?” gli domando, ma portando lo sguardo agli altri due, che lo stanno imitando, i nervi mi salgono fino a sfociare in un pianto disperato. “Cosa cazzo guardate?!”
Nella foga, l’intera coperta cade, lasciandomi in intimo - maltrattato e usurato - dinanzi a tre uomini, che sembrano impallidire minuto dopo minuto. Kemerl gira lo sguardo verso la porta, grattandosi il capo, sebbene stenti a trattenere gli occhi lontani da me. Wunderwaffe, con la bocca serrata, continua a poggiare la mano sulla mia coscia, tremante. Il capo, fisso su di me, è bloccato in una posizione che sembra non voler abbandonare più. Mentre Heiji, beh... Heiji, ha le mani sul viso, in segno di disperazione.
Ma all’improvviso, Hattori si gira verso il mio ex fidanzato, si avvicina a lui, e lo prende per il colletto, innalzandolo un po’ da terra.
“Cosa hai fatto a mia... cog-cugina?! Dimmelo!” gli sbotta contro, ringhiando con i denti. Tento di scendere dalla scrivania a cui mi sono appoggiata, ma la mano di Arthur me lo impedisce, e comincia a stringermi sempre più, afferrando poi il mio polso.
“Io nulla... E’ Gin che si è preso un po’ troppe libertà. Che è colpa mia che non la tieni d’occhio, tua cugina?” gli chiede, assumendo un tono fin troppo sarcastico. Heiji, col suo volto da Nishi, si gira verso di me, in cerca di conferma. Riesco appena ad annuire, quando il mio sguardo è catturato in quello dell’hacker informatico, che ancora continua a guardarmi il corpo imperterrito.
Poi, finalmente, riesce a parlare, sebbene la sua voce sia fin troppo bassa da poterne avvertire i sentimenti.
“Cosa...ti ha...fatto?”
Deglutisco, intimorita. Ho la testa inondata da mille pensieri, e la confusione li sparpaglia a più non posso facendoli sperdere tra i tanti meandri della ragione.
Cos’è questo suo comportamento aggressivo adesso?
Non riesco a rispondergli, sebbene volessi un conforto. Ma cosa dovrei dirgli? Cosa potrei mai dirgli? Che la mancanza di mio marito mi sta facendo fare un’innumerevole quantità di pazzie, che proprio non sembrano voler finire?
“Nulla.”
“Come nulla?!” urla, indiavolato. Si ritrae col braccio, indietreggiando di qualche passo. “Ma ti sei vista?!”
Forse per salvare la situazione, o per non farlo svenire sul pavimento, o ancora per non dare inizio ad una discussione senza fine, Heiji e Kemerl lo raggiungono da dietro, mentre il mio ex fidanzato lo strattona e lo porta nel corridoio. Chiudono la porta alle loro spalle e lasciano me e mio cognato all’interno della stanza, sbalorditi.
Dopo qualche secondo è nuovamente il mio amico a riprendere il discorso, alzandomi il mento con le dita.
“Mi dici cosa è successo?”
Chino il volto verso il pavimento, sebbene possa avvertire ancora il suo tocco sul mio viso, che lo accarezza dolcemente. Sento le lacrime spingere per uscire, e gli occhi arrossarsi. Dimentica del tutto del mio compito lì, mi butto tra le braccia di Heiji, che mi accoglie caloroso.
“M-mi ha q-quasi v-violentata... l-le sue mani... e-erano s-su di m-me...” gli confido, tra lacrime e singhiozzi, che rompono la mia voce acuta. Heiji accarezza la mia schiena con le sue mani, incapace a far altro per potermi tirar su di morale.
“Scusami, scusami, scusami...avrei dovuto difenderti io.” Mi dice, poggiando il capo sul mio viso umido. Nuovamente, le mie lacrime riescono a fuoriuscire dalla maschera, e a bagnare il suo volto finto.
“S-Shinichi... v-volevo S-Shinichi...” gli confido, senza nemmeno più pensare a quello che dico. Le parole mi scivolano via così, come un fiume in piena, e non riesco a bloccarlo, nemmeno se volessi. Mi stringo solo forte a lui, nella speranza che dal suo corpo, dalla sua voce, dai suoi occhi, dalle sue mani e dalla sua pelle, riesca a prendere un po’ di mio marito.
“M-mi m-manca... m-mi m-manca t-tantissimo...” singhiozzo, piango, stringo la mia mano sulla stoffa della sua maglietta. Lo sento respirare con pesantezza, mentre le sue mani sono ancora intorno alla mia schiena nuda. Distruggere ogni barriera ed aprirmi a lui, come avevo fatto solo con Shinichi in tutta la mia vita, mi riscalda il cuore e mi fa sentire meglio, come se infondo, fossi tra le Sue braccia. E lo immagino che adesso mi sia accanto, e mi asciughi le lacrime proprio come sta facendo lui. E che mi riempia di coccole, di baci e di sorrisi. E che mi faccia il solletico, mi faccia ridere, così tanto da stare male. E che lo preghi di smetterla, di darmi un attimo di pace che non mi ha mai dato... e che mi appoggi sul letto di casa nostra, e che cominci ad accarezzarmi la gamba per poi risalire su, sempre più su.
Alzo lo sguardo verso un Heiji che non sa più di Heiji, ma che prende le fisionomie della persona che più amo al mondo. E lo bacio. Così, di getto, senza pensarci. Appoggio le mie labbra sulle sue, lo stringo forte a me, perdendo completamente il controllo. Ma lui, mio cognato, e migliore amico di mio marito, non risponde. E prima che possa svincolarmi dal mio gesto con la sua forza, la porta della stanza torna ad aprirsi, illuminando i volti di Wunderwaffe e Kemerl, tornati al capezzale.
Gli occhi corrono su noi due, ancora tanto, fin troppo, vicini.
Heiji porta repentinamente le mani davanti, e appoggiandole al mio ventre, si scosta, allontanandosi dal mio viso. I due uomini, con gli occhi spalancati e la bocca serrata, mi osservano sconvolti. Giuro di aver visto Toichi Kemerl sbiancare. Lui, che tanto sembrava grosso e duro, sta sbiancando.
Io, l’unica cosa che riesco a fare è portarmi una mano sulle labbra, quelle che poco prima avevano toccato la bocca di Heiji.
Ma, nel giro di qualche secondo succede l’imprevedibile.
Kemerl si appoggia allo stipite della porta, sorreggendosi ad essa, finché cade a terra, privo di forze.
Wunderwaffe, invece, pare non importarsi minimamente dell’uomo appena svenuto. Stringe i pugni e si fionda contro mio cognato, sbattendolo al muro.
“Ma che cazzo fai?”
“No, aspetta, non fraintendere!” risponde prontamente il mio amico, quasi per difendersi.
L’ hacker si discosta un po’, sebbene ritorni a fare pressione sul colletto di Heiji, preso alla sprovvista.
“Approfitti di lei?!”
Strabuzzo gli occhi, incredula. Intanto scendo dalla scrivania e mi avvicino a Kemerl,  steso al pavimento, esamine. Lo scuoto un po’ con le mani, mentre gli altri due sembrano ignorare completamene la situazione. Così, proprio come in un film poliziesco, mi abbasso all’altezza del mio ex fidanzato, e gli appoggio due dita sul collo, verificando il battito.
Per fortuna (e non so se chiamarla così), c’è. E’ soltanto svenuto, e non so perché.
“Ma che approfittare! Non stavo facendo nulla!”
“A me non sembra!”
“Ma tu cosa cazzo ne sai?!”
“E tu come cazzo ti permetti?!”
“Ragazzi! Kemerl è svenuto!” grido io, tentando di attirare la loro attenzione.
Heiji, cogliendo un attimo di distrazione, riesce a disfarsi della sua presa e a sbatterlo con forza lontano da lui. Poi, si aggiusta il colletto della maglia, stropicciata dai continui strattoni, e si distanzia ancora di qualche metro, allontanando l’hacker.
“Senti, amico, stai più calmo.” Gli dice con tono rude, sospirando.
“Mi fai schifo!”
“Ma cosa cazzo vuoi?”
“Ragazzi!? Lo aiutiamo sì o no?!” li richiamo nuovamente, prima che sfocino in un nuovo, e pericoloso, scontro. Finalmente, Heiji si avvicina, lanciando ancora alcune occhiate ad Arthur, che intanto imita il mio amico, affiancandomi.
Mio cognato controlla il battito dal polso, forse non troppo sicuro di quello che avevo detto io precedentemente.
“E’ solo svenuto.”
“L’avevo detto io.”
“E’ svenuto?” chiede Arthur, incredulo.
Io, in realtà, sono molto più sconvolta dalla sua reazione che dall’avere Kemerl esamine tra le braccia. Quel Kemerl che mi aveva aiutata, e che si era mostrato gentile nei miei confronti.
“Sì, non mi credi?” continua a punzecchiarlo Heiji, che si sa, non ha mai avuto il sangue freddo.
Wunderwaffe lo guarda fisso, con occhi minacciosi. Dopodiché si alza, e mi invita con la mano ad allontanarmi.
“Portiamolo su un divano.” Dice, rivolgendosi al mio amico.
Heiji annuisce, e mentre aiuta l’hacker a trasportare Kemerl al piano di sotto, io cerco di distanziarmi da entrambi, nel tentativo di non creare nuove tensioni. Nel seminterrato incontriamo Gin che, con una sigaretta in mano, si stava concedendo una pausa dal suo - intenso, ma quanto? - lavoro. Si avvicina, col suo fare insolente, come se nulla fosse successo e da alcuni colpi alla spalla di Nishi, mio cognato.
“Che gli è successo?”
“Gin sparisci o ti cambio i connotati.” Gli risponde rude Heiji, afferrandogli la mano.
“Ah, deve pure sparire?” chiede Arthur, stizzito.
“Chi dovrebbe sparire?” domanda il nostro complice, ignaro dell’astio che si è creato fra i due, e che i due provano verso di lui. Infondo, un po’, lo ignoro anche io.
“Bravo, bravo! Complimenti!”
“Wunderwaffe ma cosa cazzo vuoi?”
Mi passo una mano sopra gli occhi, sbuffando.
“Ehm, sentite, qui comando io. Che sta succedendo?”
I due, però, con gli occhi vivi di fuoco, si girano verso Gin, e all’unisono, gli donano un pugno in faccia, che lo scaraventa sulla parete di fronte, e gli fa perdere tutti e cinque i sensi.
Deglutisco, quasi impaurita.
Soddisfatta però, li guardo accondiscende, compiaciuta del fatto che quel verme abbia avuto la lezione che si meritava.
“Grazie ragazzi.”
“Non c’è di che.” Rispondono, nuovamente all’unisono.
Si lanciano un’altra occhiata ostile, che riesco a stroncare sulla nascita, interponendomi tra loro.
Con le braccia li allontano un po’, nella speranza che quell’astio, nato all’improvviso e senza alcuna ragione, finisse lì.
 
Ma non potevo sapere quanto mi sbagliavo.
 
*
 
Non mi ero nemmeno accorta che, in tutti questi giorni, le unghia mi erano cresciute. Pensavo addirittura che non l’avrebbero più fatto dopo la morte di Shinichi, quando le torturavo continuamente, fino a farmi uscire strati di pelle profonda fuori, o magari, ancora peggio, spezzarne una così male da sopportare il dolore che provocava tutto il giorno.
Infondo però, amavo quel dolore più di tutto, perché era l’unica cosa che riusciva a farmi dimenticare quello che succedeva e che faceva molto più male di un’unghia spezzata.
Il dolore fisico non è nulla paragonato a quello mentale.
Non ci sono cure per quest’ultimo, solo sopportazione. E il tempo, crudele e bastardo, potrebbe rappresentare un antidoto o, nel mio caso, un’arma a doppio taglio.
Perché ci sono dolori che passano ed altri che restano.
E Shinichi non passava, ma è rimasto con me, per sempre.
Ed ora, se torno con la mente a ieri, anzi, se potessi tornare a ieri, mi prenderei per i capelli e mi sbatterei al di fuori di quell’edificio, dove stanotte, nel giro di qualche ora, ne sono capitate di tutti i colori. Ed io che sarei dovuta andare alla torre di Touto, a parlare con quel Kuroba, mi sono ritrovata nel bel mezzo di un disastro coi fiocchi, perlopiù partito da me.
In primis, ho baciato Heiji, ma non perché volessi baciare lui, ma perché in quel momento volevo baciare Shinichi, ed invece mi son ritrovata a baciare lui. Sì, proprio lui, compagno fedele, marito della mia migliore amica. Oh, se mai Kazuha dovesse sapere una cosa del genere non mi rivolgerebbe più la parola, ne sono sicura.
Poi, Kemerl. Atteggiamento strano, stranissimo. Ambiguo e subdolo, senza ombra di dubbio nasconde qualcosa, ma non riesco ad immaginarmi cosa possa essere.
Ricordo ancora quando è svenuto, alla vista di me ed Heiji intenti a - come dire - toccarci le bocche, non lo definirei nemmeno baciarci, si è accasciato al pavimento pian piano, per poi caderci privo di forze. Sul divanetto - fortunatamente? - si è ripreso, ma è difficile capire cosa gli sia capitato. Ha detto che ha avuto un mancamento di zuccheri, e nel giro di qualche minuto si è dileguato.
Arthur ed Heiji intanto non l’hanno smessa un secondo di punzecchiarsi e litigare fra loro.
Sì, Sir Arthur Wunderwaffe. Colui che mi è sempre parso così calmo e disponibile, ieri si è mostrato con un’altra faccia, quella violenta, quella arrabbiata.
Sospiro, dando uno sguardo alla finestra.
Se dovessi capire cosa sia successo ieri, mi servirebbe un opuscolo, ma di quelli grandi, ma davvero grandi, che contengono tutte le didascalie dei misteri di questo mondo, e forse, riuscirei a cavarne qualcosa.
O forse, più semplicemente, dovrei ascoltare ciò che mi dice il cuore, che sembra avere la risposta a tutto, o quasi.
Ma non lo faccio, non lo voglio, perché ora ho da pensare ad una sola persona, e a come spiegarli cosa sia successo (almeno per quello che posso, almeno per quello che ho capito): mio cognato, Heiji.
Sto appunto aspettando che si svegli, per chiedergli scusa, e per chiarire cosa mi abbia spinto a baciarlo. Non credo che nel trambusto di ieri notte se ne sia reso conto, in effetti.
“Sempre mattiniera ormai?”
Mi giro di scatto, ritrovando il mio amico all’in piedi, alle mie spalle, accostato all’altra grande finestra dell’appartamento. Mi alzo velocemente, raggiungendolo in pochi passi veloci.
Respiro, prendendo fiato sufficiente da parlargli.
“Senti Heiji devo dirti una cosa.”
Lui si volta verso di me, sorridendo. “Se ti riferisci a ieri non c’è problema, l’ho capito che non l’hai fatto apposta.”
“Ecco, vedi, io... tu beh...” provo a spiegare, ma inceppo nelle parole, imbarazzata.
“Ti sono sembrato Shinichi.”
Il fatto che sia lui a completare le frasi è un sollievo. Non solo perché mi risparmia la fatica di parlare e trovare le giuste parole, ma anche perché dimostra di aver capito sul serio la situazione.
Alzo gli occhi al cielo, quasi ringraziandolo.
“Sì” ammetto, annuendo. “E’ che ho troppo bisogno di lui Heiji, troppo.”
“L’avevo capito” ironizza, ridacchiando.
“Menomale.” Riesco a sorridere anche io, sentendomi più leggera. Sembra quasi mi sia tolta un macigno di dosso, che pareva avere il volto di Shinichi e Kazuha, verso i quali mi ritenevo una vera e propria traditrice. Ma l’ho tolto davvero quel peso, o è solo un’effimera illusione?
“Kemerl e Wunderwaffe però non sembrano della stessa opinione, non so cosa diavolo sia successo nel giro di pochi minuti.”
“Sì, si è scatenato il finimondo. Non sapevo più a chi badare.”
“Le cose sono due” continua, mostrandomi l’indice e il medio della mano destra. “O sono tutti e due innamorati di te, o nascondono tutti e due qualcosa.”
Sbatto più volte le palpebre, un po’ sorpresa.
“Pensi che Wunderwaffe sia innamorato di me? E... Kemerl?”
Lui annuisce, convinto. “Senti, a me sono sembrate tutte e due scenate di gelosia, ma non riesco a comprenderle bene tutt’ora.”
“S-scenate di g-gelosia?” chiedo, scimiottandolo.
Effettivamente però, non ha tutti i torti. Ripensando agli eventi, tutto potrebbe avere un filo logico che, però, adesso, appare più difficile che mai da trovare.
Ma un dubbio mi assale la mente, e mi porta quasi a sbiancare.
“Aspetta... tu dici che sono innamorati?”
“Sì.” Annuisce ancora, con convinzione.
“Ma... di Ran o di Vanille?”
La mia domanda non trova alcuna risposta, poiché la nostra attenzione viene presa dallo squillo del mio cellulare, che lascio acceso solo di mattina, l’unico momento in cui posso rispondere. Mi avvicino ad esso e mentre lo faccio, un brutto presentimento si espande lungo la mia anima. Deglutisco, cercando di cacciarlo via, ma aumenta nel momento in cui leggo sul display il nome del mittente: Yukiko.
Il mio ragionamento è repentino: Yukiko... Conan.
“No, cos’è successo adesso?” chiedo, più a me stessa che ad Heiji, che intanto mi si è avvicinato, con fare leggermente preoccupato.
Attacco il verde, e vengo inondata dalla voce strillante di mia suocera che, come un suono assordante e fastidioso, mi da la notizia più brutta della giornata.
Porto lo sguardo fuori dalla finestra. Il Sole, luminoso e splendente, da inizio alle danze primaverili, cacciando via dal cielo ogni piccola traccia dell’inverno appena passato.
Ma la tempesta, la mia, non era finita lì.
“Ran...Conan è sparito, non è più a Niigata.”

 
 
 

 
Angolino autrice:
Ehm, sì, lo so, state un po’ così: O_____O.
E non solo per la velocità con cui ho aggiornato, ma anche per il capitolo, in sé per sé, un po’ scioccante!
Ok, partiamo dal primo punto: ho aggiornato adesso perché, nella notte tra domani e dopodomani,
EFP rimarrà chiuso, causa alcuni aggiornamenti. Ed io, boh, ho pensato di aggiornare.
Secondo punto. Allora, è successo un bel casotto in questa nottata eh?
Non so cosa vi frulli per la testa adesso, ma lo vorrei tanto sapere XD
Kemerl che si comporta da vero gentiluomo, fin troppo!
Ran bacia Heiji, Kemerl sviene, Wunderwaffe si arrabbia...ehm ehm, un casino XD
E, sul finale, Conan sparisce da Niigata...
O meglio, è già sparito da un po’!
Ebbene, come vi è sembrato il decimo capitolo?! XD
Mi riferisco ai miei recensori assidui, ma anche ai lettori silenziosi... mi piacerebbe vedere le vostre facce adesso XD
A proposito, grazie ad aoko_90, Kaori_, arianna20331, Delia23, Martins, Black_Princy e CupidSBow, per aver recensito il nono capitolo.
E ad arianna20331 per aver inserito la storia tra le preferite! :D

Dannazione, spero di non deludere le vostre aspettative.
Siete sempre così buone, fin troppo, quindi... mi dispiacerebbe non riuscire a soddisfare le vostre richieste  XD
Suvvia, popolo di EFP, votate!
*mi sento molto Gerry Scotti al Milionario ù.ù*
Scherzo, il caldo da alla testa!
Recensite e fatemi sapere, che più commentate e più veloce aggiornerò XD
Un bacione grande!

Tonia

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Capitolo 11
*** Riuniti ***


Undicesimo capitolo
Riuniti

 
 
 
Misi giù dopo pochi minuti, lasciando che il telefono cadesse a terra e si frantumasse in tanti, piccoli, pezzi. Proprio come il mio cuore, la speranza che la tempesta potesse passare si sbriciolò, e affogò in una grande e scura nube invernale, che nessun vento avrebbe potuto cacciare via.
 
Ma ad un tratto mi ripresi, e mi resi conto di dove e chi fossi.
Vento? Bufere? Neve? Sole?
No, a me non importa nulla delle stagioni, e nemmeno della pioggia.
Non me ne importa nulla dei fiori che sbocciano, e del tempo che passa.
A me importa di Shinichi e di Conan.
Delle persone più significative delle mia vita, dei miei giorni, delle mie ore.
Con cui qualcuno sta provando a giocarci.
Ci sta scherzando, a mio dispetto, si sta divertendo a vedermi crollare, minuto dopo minuto.
Ma infondo, se non fosse un gioco, che senso avrebbe? Ma sì, che senso avrebbe?
Lottare, aspettare, piangere, tradire, gioire, perdere, vincere?
Che senso ha avuto tutto quello che abbiamo sofferto e superato? Tutto quello che abbiamo sperato e guadagnato? Tutto quello in cui abbiamo creduto?
Nulla di tutto ciò avrebbe avuto lo stesso valore senza Shinichi e Conan. Nulla.
E nulla più avrà senso senza loro. Nulla.
Reagirò, combatterò, cadrò e mi rialzerò.
E se non ci riuscirò, almeno in quel momento saprò di poter sorridere per averci provato.
Sì, a riprendermi la mia vita, e i miei uomini.
 
Mi alzo dalla sedia a cui mi ero appoggiata una decina di minuti fa. Le forze mi erano venute meno alla notizia della scomparsa di mio figlio, ma la voglia di cercarlo e trovarlo mi ha invaso, facendomi risplendere di una nuova luce.
Passeggio per l’appartamento, convinta di averlo visto. Sto ricercando un elenco telefonico, e sebbene la mia mi sembri più una pazzia, sono ben lieta di seguirla.
Lo appoggio al tavolo, con poca delicatezza, e comincio a sfogliarlo velocemente.
Mi soffermo su una pagina, quella della K. Come si chiamava? Sì, Kaito Kuroba. E se è di Tokyo ci metterò un secondo a trovarlo. Lascio scorrere il dito sul foglio composto di carta riciclata, leggendo a mente i vari cognomi che scivolano via velocemente, quasi fossero sassolini in un torrente. Poi, d’un tratto, mi fermo.
Sorrido soddisfatta, consapevole di esser riuscita, almeno, in una piccola impresa.
Ritorno al tavolo, e riprendo il cellulare, riassettandolo. Infilo la scheda, la batteria e poi, infine, lo chiudo.
Heiji mi si avvicina, con fare preoccupato.
“Che fai?”
“Chiamo Kuroba.”
Strabuzza gli occhi, sbattendo più volte le palpebre. Poi afferra la mia mano, impedendomi di digitare i numeri sulla tastiera. Stavolta sono io a mandargli un’occhiata torva, e decisamente seccata.
“Sei impazzita forse?”
“Perché?”
“Ma come lo chiami? Non sai chi è, e nemmeno se è dalla nostra parte!”
Scrollo la sua presa dal mio braccio, strattonandomi un po’ all’indietro. Dopo qualche istante mi lascia andare volontariamente, permettendomi di afferrare nuovamente il telefono.
“Voglio sapere questo tizio cosa e come centra con questa faccenda.”
Lui sospira, amareggiato. “E pensi che te lo dirà?”
Osservo il display, e compongo il numero nel giro di qualche secondo, copiandolo dall’elenco.
“Vedremo.” Gli dico, pigiando il verde.
Lo squillo della chiamata mi snerva, inducendomi a mangiucchiare le dita, spezzandomi le unghie. Uno squillo che stranamente sembra infinito ed interminabile, che nella sua noiosa monotonia aumenta le innumerevoli ansie di chi aspetta e di chi spera. Poi, all’improvviso, un suono metallico e la voce di qualcuno, stranamente, femminile.
-Pronto?-
Sussulto, presa alla sprovvista, ricontrollando velocemente il numero dall’elenco e verificando abbia digitato quello giusto. E sembra lo sia.
“Ehm... Stavo cercando Kaito Kuroba. E’ lì?”
Ma la donna dall’altro capo sembra stizzirsi, e acutizza la voce, facendomi rabbrividire.
-E lei cosa vuole da mio marito?-
“Ehm...” strabuzzo gli occhi, stranita. Poi guardo Heiji, che intanto si sta passando una mano sul viso, in segno di disperazione e sconforto. Cerco di rassicurarlo, sussurrandogli un divertito “è sposato”.
“E allora?” Mi risponde lui, con tono un po’ più rude.
“Ma come e allora?” Lo scimmiotto, incredula. “Vuol dire che è una brava persona! Hai visto?”
“Tu giudichi le persone a seconda dello stato civile?” mi domanda, sbottando.
“Lascia stare.” Gli dico, arrendendomi.
-Insomma!- grida la donna, oltre la cornetta. -Mi risponde?!-
Sussulto, rendendomi conto di essermi completamente dimenticata della telefonata. Mi affretto ad inventare una scusa che però, non convince tanto neanche me.
“Ehm... sono una collega.”
-Lei è una collega di mio marito?-
Mi domanda, incredula. Perché, non posso esserlo? A salvare la situazione appare la voce più mascolina di qualcuno, che riconosco immediatamente nell’uomo che avevo incontrato poche sere fa.
-Ma Aoko! Insomma! Dammi il cellulare!-
-Kaito! Hai colleghe donne e non me l’hai detto?!-
Allargo le palpebre, divertita. Credo di averli fatti litigare.
-Macché, è un amico che si diverte a farmi scherzi.-
-E’ la voce di una donna, idiota!-
-E si diverte anche a cambiare voce!...- lo sento tossicchiare più volte, mentre io cerco di riprendere un tono serio per parlargli. -Mi lasci dedicare ad una cosa importante?-
Apro le orecchie, curiosa. Come fa a sapere che sia importante?
-Tanto tutto è più importante di me!- borbotta la moglie, leggermente arrabbiata.
Heiji, intanto, si è seduto e non la finisce di ridacchiare per la telefonata appena ascoltata.
“Sembriamo io e Kazuha.” Dice, sfoderando un riso molto fragoroso.
Annuisco, ridente. “Ed io e Shinichi.”
-Sei Ran vero?- mi chiede improvvisamente il ragazzo, sicuro, come se conoscesse già la risposta.
Io storco gli occhi, stupefatta.
“Ehm...sì. Come fai... a saperlo?” Rispondo un po’ timidamente, ancora scossa dalla sua intuizione.
-Se conoscessi il mio vero lavoro sapresti di non poter essere una mia collega...- riesco a sentire la sua voce ridente, che mi turba un tantino. -Vuol dire che non mi conoscevi, ma avevi comunque il mio nome. Solo tu potevi essere.-
“Oh.” Esclamo, sbalordita.
-Ah, e scusa mia moglie, è un tantino gelosa.- Mi confida, ridacchiando.
-Io non sono gelosa, ladro da strapazzo!- sbotta la donna, ancora in linea.
Sbatto le palpebre ripetutamente, mentre nella mia mente fa capolino ciò che ha appena detto la moglie.
Ladro?!
Avrà scherzato, forse. Mi giro verso di Heiji, con gli occhi serrati.
“E’ un ladro!” sussurro stupefatta, mettendo una mano sopra il cellulare, cosicché da non farglielo sentire.
“Andiamo bene...” risponde il mio amico, con aria afflitta.
-Ran, ci sei ancora?-
“Ehm, a proposito... mi dispiace per avervi fatto litigare.” Provo a scusarmi, sebbene nella mia testa l’obiettivo sia quello di preparare il terreno per il discorso vero e proprio, che a furia di sciocchezze, sto rimandando sempre più.
“E mi dispiace per ieri... non sono potuta più venire perché... beh, perché...” ma non riesco a parlare, imbarazzata dalla questione. Heiji mi fa segno di andare avanti, di non soffermarmi, ma il ragazzo, mio interlocutore, mi blocca, finendo lui quello che ho cominciato io.
-Lo so, è successo il finimondo.-
“Tu... tu lo sai?” sbotto, sbalordita.
-Sì, ho un informatore... speciale- dice poi, ridacchiando.
“Scusami... cosa sai, precisamente?” alzo un po’ la voce, scandendo per bene l’ultima parola. Heiji continua ad osservarmi con sorpresa, sebbene molto attento alla conversazione, che già da un po’ ho messo a vivavoce.
-Che ti sei travestita insieme ad Hattori per tentare di scoprire qualcosa in più sulla morte di Shinichi. E che ieri, non sei potuta venire perché hai dovuto soccombere ai capricci di qualcuno di loro...-
“Ma, ma, ma...?” vorrei replicare qualcosa di più sensato, ma non riesco a emettere alcun suono che non sia di sorpresa. Sa praticamente tutto.
-Che c’è, sorpresa?- chiede lui, come se tutto fosse normale.
“Direi!” sbotto, con assoluta sincerità. “Quante altre cose sai? Ma...sei un infiltrato?”
-Macché...- risponde, sempre con un insolito risolino. -Io controllo tutto da fuori.-
“F-fuori?”
-Sì, l’ho fatto anche con te... finché ho potuto.-
“M-me? E p-perché?”
-Guarda, ci sono delle cose che tu non sai...-
Ma non lo lascio completare, e presa dalla foga dell’entusiasmo, ripenso a mio figlio e spero che sia -al sicuro?- con lui.
“E...sei al corrente anche...della scomparsa di Conan?” chiedo, velocemente. “L’hai preso tu? E’ con te?”
Per qualche istante l’uomo si incupisce e si zittisce, per poi riprendere a parlare, meno tranquillamente.
-Tuo figlio Conan? Perché, non è a Niigata?-
Sa anche di Niigata.
“No, è  s-scomparso.” Lo informo io stavolta, balbettando. Dov’è allora il mio bambino? Dove?
-Ma come?!- sbotta anche lui, innervosendosi. -Dannazione!-
“Non sai dov’è?!”
Una lacrima mi riga il viso, andando a sbattere sulle mie labbra secche e screpolate.
-No! Non vorrei che...- comincia a parlare, ma si interrompe improvvisamente. -Senti, Ran... c’è solo una persona di cui ti puoi fidare lì, ascoltami bene...-
“Ehi! Vanille, Nishi!”
Io e Heiji voltiamo repentinamente gli sguardi verso la porta d’ingresso dell’appartamento. Dietro di essa, due uomini dalla corporatura robusta sbattono continuamente i pugni sul legnale, nel tentativo di farsi aprire. Mio cognato vola dritto verso le maschere e mi lancia la mia, mentre appoggio il cellulare sul divano, nel tentativo di non staccare la chiamata. La indosso, e riporto la cornetta all’orecchio, agitata.
“Scusami, devo attaccare.”
-Ran vai via da lì! Via!- sbraita, con voce percossa.
Stacco la chiamata, ma faccio appena in tempo a sentire questa sua, ultima, frase.
“Vai via.” Nuovamente, nel giro di qualche ora, qualcuno me l’ha detto.
Intanto, il mio amico, si affretta ad aprire il portone, lasciando che i due omoni, scagnozzi e nostri complici, entrassero nell’appartamento. Ho chiuso il cellulare con così tanta fretta che sperò di non averlo rotto, dopo averlo gettato sul divano.
“Insomma quanto tempo!”
Storco le labbra, infastidita da quella frase. Ventiquattro ore prima, l’aveva pronunciata Gin, con la stessa insolenza. Il signorino oggi però non si è fatto vedere, eh.
“Che volete?” domanda Heiji, ancora un po’ scosso.
“La signora Cikage ci ha mandato a chiamarvi.”
“La moglie di Kemerl?” chiedo io, di rimando.
“Sì, bellezza. Ha detto che ci vuole tutti riuniti.”
E perché mai quella donna vorrebbe una cosa del genere? Mando uno sguardo preoccupato ad Heiji, che ne dubbio, annuisce, seguendoli. Imitandolo, ripenso alle parole pronunciate poco fa da quest’uomo.
Riuniti...
 
*
 
“Ehi” affianco il mio amico, sorpassando i due omoni che ci stanno conducendo alla base. Heiji mi guarda, con occhi e aria inquieti ed allarmati. Sembra che già sappia ciò che sto per dirgli.
“Perché ho un brutto presentimento?” gli chiedo, come se lui potesse rispondermi sul serio.
Ma, ovviamente, non può farlo, e si limita ad abbassare il capo e a mettere le mani in tasca, continuando a filare dritto. “Ce l’ho anche io.”
Il percorso che ci divide dalla villa appare più lungo che mai, e la distanza che mi separa dalla verità viene colmata da un’innumerevole quantità di rimorsi e di ansie, che mi attanagliano l’anima. Cerco di calmarmi, inspirando ed espirando, ma l’esercizio serve a ben poco, sapendo che in ballo c’è la vita delle persone che amo. Mio cognato mi mette una mano sul braccio, come per darmi una sorta di conforto.
“Qualsiasi cosa... qualsiasi... Ran. Calma e sangue freddo. Intesi?”
Io annuisco, anche se non troppo convinta.
Finalmente raggiungiamo l’abitazione e scendiamo lungo le scale che ci portano alla tana vera e propria. Sembrano più ripide e pericolose che mai, ma stranamente, le attraverso con rapidità, ansante di sapere cosa ci sia sotto tutto questo mistero. Mi ritrovo contro gli sguardi di Kemerl e Wunderwaffe, che intanto, grazie alla mattinata, ero riuscita ad evitare. Quasi mi ero dimenticata di quest’altro e complicato enigma.
-Senti, Ran... c’è solo una persona di cui ti puoi fidare lì...-
Le parole del giovane uomo riecheggiano nella mia mente con straordinaria limpidezza.
Sebbene non sappia chi sia, e come sia a conoscenza di tutto, ho l’istinto di potermi fidare.
Forse perché qualcuno, qualcuno a cui tengo, si è fidato di lui.
Riporto l’attenzione su Kemerl e Wunderwaffe. Soltanto uno. Uno solo. Ma chi?
“Ci siete tutti?”
E’ la donna in nero a parlare, colei che sembra avere le redini di tutta l’organizzazione, Cikage Kemerl. Si fa avanti da una porta secondaria, dalla quale sbucano anche altri due uomini. Li riconosco, sono quelli che andarono ieri, insieme a Gin, ad investigare su Heiji. Intanto, noto che lo stesso Toichi Kemerl sia ignaro di ciò che stia succedendo, e che tenti di capirlo in tutti i modi. Avanza verso la moglie, titubante.
“Che succede Cikage?”
Lei sorride compiaciuta, per poi rivolgergli un’occhiata subdola. “Se non fosse per me... avresti fatto cilecca di nuovo.”
“Che vuoi dire?” ribatte lui, seccato.
“Che se facessi affidamento sugli uomini che hai scelto tu...” e mentre lo dice, si volta verso Gin e Arthur e poi, successivamente, verso me ed Heiji. “Staremo a zero.”
“Ah sì?” domanda lui, curioso. “Perché?”
La donna si lascia andare ad un’altra, piccola, risata.
“Oh beh. Ieri, dopo che quell’idiota di Gin è tornato a mani vuote e voi vi siete lasciati andare a discorsi poco intelligenti...” comincia a raccontare, beffandosi del marito. “Io ho ordinato a questi due di indagare meglio, e così... andando in centrale, non solo hanno scoperto che Hattori è stato esonerato, ma anche qual era la scuola della figlia.”
Deglutisco, lanciando uno sguardo terrorizzato ad Heiji, che ricambia con la stessa intensità.
“E sono andati alla Teitan. Scuola elementare non solo della bambina, ma anche del figlio di Kudo.”
Mando giù altra saliva, mentre il puzzle si ricompone man mano, pezzo per pezzo.
“...E allora?” chiede Kemerl, incitandola a continuare.
“Fingendosi parenti, hanno chiesto informazioni. I marmocchi non sono a Tokyo, ma a Niigata, in gita scolastica.”
Abbasso le palpebre, angosciata.
Calma e sangue freddo.
Calma e sangue freddo.
Intanto, Wunderwaffe mi ha affiancata, lasciando perdere per un po’ le sue macchinazioni informatiche. Nemmeno lo guardo, presa come sono nello sgomento. La speranza è sempre l’ultima a morire, ma in questo caso, sembra avermi abbandonata dal un bel po’.
Come ho potuto essere così stupida e superficiale?
Come ho fatto?
“Continua Cikage...” le dice il marito, incrociando le braccia al petto.
“Beh... sono andati lì.”
Riapro gli occhi, incapace a stare ferma. Heiji mi trattiene il polso, nel tentativo di infondermi sicurezza.
“E...?” stavolta è la voce di Arthur. Mi arriva, così, vicina e preoccupata.
La donna ridacchia così tanto che avrei voluto romperle tutti i denti e rispettive gengive. La sua risata diabolica è una fitta al cuore, un coltello affilato che si scaglia nella pelle secca.
“E ci hanno portato un souvenir.” Dice, avanzando un po’, e marcando l’accento sull’ultima parola.
Dietro di lei, dall’oscurità di quella seconda porta, appaiono due uomini dallo sguardo truce e maligno. Girandosi, permettono anche a noi di osservare quel ‘souvenir’.
Una nuova e lancinante coltellata al cuore.
Quello che lei definisce regalo, è per me la gioia più grande della mia vita. Mio figlio è sveglio ed è trattenuto per il collo della maglia dall’uomo che, con poca delicatezza, lo trascina avanti, verso di noi.
“Lasciami stare!” grida, svincolandosi da quella potente presa.
Osservo la scena pietrificata, con la consapevolezza di non poter fare nulla per il mio bambino, neppure calmarlo.
Mi volto nuovamente verso Heiji, che guarda il tutto con occhi squarciati. I miei, non sono da meno, forse divaricati dai sensi di colpa e dalla cognizione di aver sbagliato e di aver perso, tutto.
Kemerl intanto, si zittisce per un po’, forse incapace a rispondere. Poi, riprende a parlare, passandosi una mano sulla faccia, che va a finire anche sui capelli.
“E’...il figlio di Kudo?” domanda, sconcertato.
“Sì.” Gli risponde Wunderwaffe, alla mia destra, con voce rotta e marcata. “Si chiama Conan.”
Mio figlio, attratto dalle parole del giovane, si volta verso di lui, e strabuzza le palpebre, incredulo.
“Tu, qui?!” gli chiede, attonito.
Sarà sorpreso di vedere, effettivamente, gli uomini che ci avevano avvicinato con il compito di farci amici. Se solo quella volta, Conan, ti avessi ascoltato... forse adesso mi sentirei un po’ meglio, un po’ più sollevata.
Sì, perché mi rendo conto di essere una completa nullità come persona, e soprattutto, come madre.
L’unica cosa, l’unica, che avrei dovuto fare, amore mio, era difenderti. Era tenerti lontano dai guai, era farti vivere serenamente, senza il minimo intoppo e senza alcun problema. Invece, per colpa mia, sei qui.
E se col pianto potessi espiare almeno un po’ dei miei guai, lo farei, piangerei per sempre, per tutti i giorni che verranno.
“Allora?!” chiede ancora lei, con fare provocatorio. “Non siete contenti?”
Deglutisco, e sento con me farlo anche gli altri. Poi, prendo coraggio, e stringo i pugni, infondendo a me stessa una sorta di coraggio.
“Che...che bisogno c’era di...di prendere il bambino?”
Gli occhi dei presenti guizzano su di me, turbati. Heiji sospira, preparandosi al peggio.
“In che senso?” chiede la donna, stizzita.
“Beh...” cerco di rispondere, ma nell’abbassare lo sguardo, incontro gli occhi cristallini di mio figlio, che mi fanno mancare il respiro. Non riesco a continuare, la voce mi muore in gola e non tende a risalire.
Trovo il coraggio di parlare, azzardando alcune parole.
“Avevate già messo le cimici in casa loro... che bisogno c’era di-di prenderlo?” dico, titubante.
I miei complici mi guardano cupamente, mentre Wunderwaffe sembra lanciarmi occhiate ambigue.
“Noi non abbiamo messo nessuna cimice in casa Kudo.” Risponde poi, Kemerl.
Io sussulto, imperterrita. “Ah, mi... mi sarò sbagliata.”
Cikage Kemerl, intanto, ignorando completamente la conversazione, si abbassa all’altezza di mio figlio, facendo leva sulle ginocchia. Continua a sorridere soddisfatta, mentre la voglia di ucciderla per me, sale sempre di più.
“Moccioso...senti un po’...”
“Cosa vuoi?!” risponde con tono insolente Conan, che mi fa rabbrividire. Prego Dio che alla donna non venga nessun’idea malsana in mente, perché proprio non saprei come contenermi.
“Innanzitutto, abbassa i toni” lo rimbecca, infastidita.
“Io non ho paura di te, brutta befana!”
A Kemerl, intanto, scappa un risolino, che viene bloccato sul nascere dall’occhiata minacciosa della moglie, che afferra mio figlio, e lo scaraventa a terra, facendolo sbattere contro il muro.
Il mio istinto mi porta a raggiungerlo, ma una mano mi afferra il polso, e lo blocca, con sicurezza.
E’ Wunderwaffe.
“Non tollero certi linguaggi da un moccioso di sette anni, intesi?!” sbotta, indiavolata.
Kemerl le si avvicina, tentando di calmarla. “Ma smettila, è un bambino.”
“Non tollero nemmeno che tu lo difendi!” urla contro suo marito adesso, con il viso imporporato.
Poi, girandosi verso Conan, si avvicina di nuovo a lui, con fare minaccioso. Mio figlio non sembra temerla, anzi, mantiene il suo sguardo vivo su di lei, con le mani in pugni.
“Moccioso, porta più rispetto per chi è più grande di te! Questo non te l’ha insegnato...la mamma?” gli chiede, con ironia. Stavolta i pugni li stringo io, tesa come una corda di violino. Prova a torcergli un solo capello e ti uccido. Giuro che ti uccido.
“Rimani comunque una brutta befana! E pure vecchia!” esclama mio figlio, facendomi quasi sorridere. In realtà vorrei tentare di zittirlo io, consapevole che la donna, esaurita com’è, potrebbe decidere qualcosa che io non potrei fermare. Lui, invece, come degno figlio del padre, sembra non avere alcuna concezione del pericolo.
“Peccato che la brutta befana abbia ucciso il tuo paparino, un mese fa.” Gli riferisce, ironicamente. Sento la pelle struggersi sotto le mie unghie, che da un bel po’ premo contro la mano, tentando di sfogarmi. Conan allarga le palpebre, colpito. Stavolta tace, per qualche secondo, fino a quando non porta lo sguardo su Kemerl, deglutendo.
“Voi...” comincia, singhiozzando. “V-voi...t-tu...”
La sua voce pare rompersi dalle lacrime, che cominciano a scendere copiosamente sulla sua guancia. Il suo pianto mi strugge il corpo. Mi sento venir meno, e probabilmente sarei svenuta, se non mi fossi sorretta al braccio di Arthur, che ancora teneva il mio con fermezza.
“Come avete potuto?!? Vi odio! Vi odio! Vi odio!” sbotta, lacrimante, fiondandosi contro la donna e cominciandola a colpire con vari pugni che, purtroppo, non causano alcun danno. Lei, senza curarsi delle sue parole, lo prende e lo sbatte di nuovo contro la parete, facendolo aderire bene a questa. Mio figlio non si alza, ma ha il capo chinato, e le sue lacrime cadono a terra, bagnando il pavimento.
“Ma smettila di lagnarti!” gli dice lei, stizzita. “Adesso pensa a collaborare.”
Conan ha ancora il capo basso, e non sembra intenzionato a risponderle. L’unica cosa che sento sono i suoi singhiozzi, che rimbombano nelle mie orecchie con un’eco di montagna. Come può una donna essere così crudele? Come può provare un sentimento così profondo e brutto, verso un bambino?
Se solo fosse stata una madre, solo in quel caso, mi avrebbe capito.
“Ehi, ragazzino?” lo chiama, tentando di attirare la sua attenzione.
Ma il mio bambino non ha intenzioni propense all’ascolto, e la sua testa ancora chinata ne è la prova struggente.
“Guardami! Immediatamente!”
Ancora una volta una richiesta naufragata. Al terzo tentativo, la donna lancia un’occhiata verso i due uomini, e punta col dito Conan, ancora a terra col viso chinato.
Cosa vorrà fare? Mi stacco dal braccio del mio complice, che intanto sta osservando la scena, con gli occhi fissi sulla donna. Anche lui, proprio come me e Conan, ha le mani strette in pugni, così tanto che le nocche gli si sono schiarite, e le mani arrossate.
Su ordine della signora, intanto, l’uomo più grosso si è avvicinato a mio figlio, e l’alzato dal pavimento, prendendolo per i capelli. Faccio un passo in avanti, turbata da quella visione e da quei lamenti, che continuano a squartarmi l’anima.
“Lasciami stare! Giù le mani!” Dice, cercando di svincolarsi dalla presa. “Mi fai male! Lasciami!”
Conan...
Lo chiamo mentalmente, avanzando di un altro passo. Il cuore mi batte all’impazzata, le gambe mi tremano, ma la voglia di averlo tra le mie braccia mi spinge a non ragionare, e ad agire d’impulso.
“Dov’è la tua mammina moccioso? Dov’è?”
No. Non a causa mia. Non deve soffrire per causa mia.
“Non lo so! M... a se lo sapessi non te lo direi mai! Brutta e vecchia befana!”
La donna continua a stizzirsi sempre di più, finché non compie un’azione che mi fa perdere completamente le staffe. Con tutta la forza che ha nelle mani, stampa uno schiaffo sulla guancia di mio figlio, che arrossisce all’impatto.
Il suo bellissimo viso, toccato da questa donna?
Stavolta, senza frenarmi, mi avvinghio su di lei. Ma prima che possa raggiungerla, la voce del marito mi blocca, e il braccio di Wunderwaffe mi riporta all’indietro, vicino a lui.
“Smettila adesso Cikage.”
“Eh?”
“...E tu, lascialo andare, ora!” sbotta, rivolgendosi all’uomo che, all’ordine ricevuto, lascia che Conan scivoli via sul pavimento, contro cui sbatte. I miei occhi sono due lampioni notturni, per quanto sono aperti.
Ma cosa sta succedendo a Kemerl? Perché si comporta così? Che sia davvero...Shinichi? Che sia davvero lui?
“Toichi, ma cosa cazzo ti prende?! Non sembri neppure felice di avere il moccioso qui!”
Lui sospira, abbassando gli occhi. I nostri sguardi corrono su di lui, increduli e stupiti per il suo insolito atteggiamento.
“Stupida! Non ci hai pensato che, essendo il figlio di Kudo, lo starà cercando mezzo Giappone, centrali di polizia escluse?! Ma ti rendi conto di quello che hai fatto?! Io sono ricercato! E se il bambino è con me, hanno più possibilità di trovarlo, e di conseguenza, trovarmi! Non ci arrivi?!”
La moglie sbatte più volte le palpebre, sentendosi a disagio. “Ma... io pensavo di aver fatto bene!”
“E non l’hai fatto mia cara!” la rimbecca, quasi ironico. Poi sbuffa, passandosi una mano sul viso.
Di nuovo quel sudore, quel nervosismo che ho avvertito ieri. Porta le mani ai fianchi, abbassando il capo, come se fosse impegnato a pensare. Cominciano a battibeccare per qualche minuto, durante i quali, Heiji si avvicina al mio corpo, e mi sussurra qualcosa all’orecchio.
“C’è qualcosa che non va.” Dice, dal tono impercettibile.
“Cosa?”
“Kemerl... è strano.” Continua a sussurrarmi, approfittando del momento di distrazione.
“L’ho notato già da un po’.”
“No, io intendo... Conan. Quando l’ha visto, ha chiesto se era il figlio di Shinichi... come se non lo conoscesse. Ma voi non vi siete già incontrati?”
Ripenso a quello spiacevole incontro che ebbi con Kemerl qualche settimana fa. Effettivamente, in quel caso, si mostrò per quello che era. Cinico e violento. E poi... si mostrò per come lo ricordavo.
Il suo viso non era tirato, non era ingrassato e tantomeno turbato.
“C’è un altro problema... ma chi le ha messe le cimici?”
“Boh.” Mi risponde, alzando le spalle in modo sconcertato.
Intanto, i coniugi hanno smesso di litigare, e Toichi Kemerl è intento a pensare, accarezzandosi il viso con le dita delle mani.  
“Facciamo così... andrà a casa di qualcuno dei nostri uomini, cosicché sia sempre sotto controllo.”
Lo dice puntando gli occhi verso Conan che, seduto a terra, era intento ad ascoltare tutta la conversazione. E nell’osservarlo, Kemerl si lascia andare ad un ghigno, un sorriso criptico e subdolo.
“Moccioso...” lo chiama, incrociando le braccia al petto, e continuando a sorridere.
“Dimmi, con chi di loro vorresti andare?”
Io, Heiji ed Arthur strabuzziamo gli occhi, terrificati.
La sua vita dipende da una scelta. Una stupida scelta.






Angolino autrice:
Buon pomeriggio popolo di EFP! *_____*
Eccomi qui, di nuovo, a pubblicare un altro capitoletto.
Contenti? Felici? Seccati? è.é
Sappiate che il dodicesimo è già in produzione, quindi non avrete da aspettare molto!
Sto aggiornando alla velocità della luce! :DD
Allora, allora.. partiamo dal principio ù.ù
Ho deciso di aggiungere la parte comico-romantica-misteriosa di Kaito perché, boh, perché mi andava XD
Ho pensato anche di fare un piccolo omaggio ad Aoko, e alla loro relazione XD
Come avrete capito... è a conoscenza della doppia identità Kaito-Kid XD
E l'ultima frase di Kaito è proprio il "vai via" di Kemerl... mmm... continuate a spremervi le meningi! *devil*
Vabbè, passando ad altro...
Conan è con loro... è stato proprio rapito, sì.
Bastarda e stronza -si può dire stronza su EFP? .-. Vabbè, l'ho detto XD- di una Cikage esaurita e schizzata!
Ha dato anche uno schiaffo al puccio, ma per fortuna è intervenuto -un'altra volta?XD- Kemerl... 
Attenzione a lui, nel prossimo chap, darà il meglio si sé XDDD Ve lo dico, ci sarà da farsi le risate....
Adesso, Conan, si trova di fronte ad una scelta... riuscirà a scegliere bene? 
E poi... avete avuto due indizi fondamentali che, adesso, non vi ricorderò:P
Se siete -e lo siete ù.ù- lettrici attente, li avrete notati!
Quindi, bando alle ciance, detective!
Fate le vostre deduzioni.... che, la verità, è più vicina che mai! ;)

Ovviamente un saluto speciale a coloro che hanno recensito il decimo capitolo!
LunaRebirth_, Martins, Kaori_, Delia23, CupiSBow, 1sere1, Black_Princy ed aoko_90!
Meravigliose! <3

Ci vediamo al dodicesimo allora ^,^
Un bacione enorme, anche a chi legge soltanto!

Tonia

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Capitolo 12
*** La mia arma meravigliosa ***


Dodicesimo capitolo
La mia arma meravigliosa

 
 
 
 
“S-scelgo i-io?”
La situazione rimane la stessa. Conan ha davanti a sé l’opportunità di salvarsi o di perdere la vita, a seconda di una scelta. Dettata dal caso, dall’intuito, dalla fortuna o dall’istinto, rimane pur sempre una scelta. Un’opportunità che gli ha regalato il nemico giurato di suo padre, come se infondo, volesse dimostrare di averlo anche lui, un cuore.
Ma se dovesse sbagliare?
In quel caso, lancerò via la maschera e mi rivelerei. Abbatterei ogni piano architettato, ogni speranza riposta in una missione troppo difficile da seguire e completare. Ci avrei provato, ed avrei fallito.
E perderei. Ma infondo, perderei tutto quando non avrei più da perdere nulla.
“Scegli bene eh. Non ti far ingannare dalle apparenze.” Lo avverte Kemerl, con un tono ironico.
Conan, intanto, sembra indeciso, e gira più volte il capo verso noi, afflitto. Sembra non sapere di chi fidarsi e di chi no, ma ha la sensazione di non poter sbagliare.  
“Alcuni sono molto comprensivi... altri a stento ti daranno del cibo.” Continua ad avvisargli Kemerl, ridacchiando.
Il comportamento ambiguo del nostro capo mi è fin troppo lontano al momento, e non posso fare altro che ignorarlo, tentando, come se potesse servire a qualcosa, di concentrarmi sul volto turbato del mio bambino, nella vana speranza di incitarlo a venire verso me.
Scegli me tesoro... scegli me...
“Dai, ti do una mano.” Gli dice poi, appoggiandosi sulla sua spalla minuta. Conan lo guarda sconcertato, dagli occhi perplessi. Sussulto, incredula. Cosa vuole fare?
“Abbiamo...” comincia, puntando l’indice contro Gin. “Un maschione forte e sicuro di sé, convinto di essere il più bello di tutta l’organizzazione.”
L’interessato assottiglia gli occhi, seccato. Ma, Conan, fortunatamente, dimostra appieno l’odio di cui mi aveva avvertito all’inizio della nostra conoscenza.
Mai il giudizio di un bambino fu più azzeccato.
“No, lui lo odio. A prescindere.”
Kemerl ridacchia, mentre io tiro un sospiro di sollievo. Uno è andato.
“Oppure lui... è rude, grande e grosso, ma anche padre, e quindi potrebbe trattarti come un figlio.” Dice, rivolgendosi all’uomo alle nostre spalle. Un tipo forzuto, da duecentoventi chili, che non fa altro che mangiare e fumare tutta la giornata. Disgustata, spero che Conan abbia un briciolo d’intuito anche in questo caso.
“Ehm...  è lui quello che a stento mi darà il cibo?”
Alla domanda, ridiamo tutti, mentre l’interessato arrossisce, in imbarazzo. Kemerl gli poggia addirittura una mano in testa, scompigliandogli i capelli.
“Lasciami” sbotta Conan, scansandosi dalla sua presa.
“Da dove l’hai presa tutta ‘sta simpatia? Tuo padre non di certo.”
E mentre lo dice, mi manda un’occhiata divertita e strana, come se sapesse io chi sono.
A me, sembra che sia impazzito. E non da adesso, ma già da un po’ di giorni. Si dimostra subdolo, ambiguo, ma allo stesso tempo, gentile e scherzoso, come non l’avevo mai visto prima d’ora.
“Toichi?” lo chiama la moglie, avvicinandosi a lui. “Ma cosa ti sei fumato?”
“Taci tu. Mi sto divertendo.”
Cikage sobbalza, destandosi per l’atteggiamento di suo marito. “T-ti stai... divertendo?”
Kemerl, ignorando nuovamente la moglie, prende per mano mio figlio, spostandosi di qualche metro, posizionandolo di fronte ad Heiji. Sarebbe una vera fortuna che Conan scegliesse mio cognato, saprei di tenerlo vicino, sicuro e protetto.
“Allora... lui è un tipo che sta sempre in mezzo a qualsiasi cosa. Non lo vuoi vedere? Succede. Lo blocchi su un’autostrada con un falso incidente, impedendo che venga? Magicamente te lo ritrovi davanti. Quindi, se vuoi avere un po’ di privacy, io non te lo consiglierei.”
In questo caso, credo che se la maschera di Heiji potesse sbiancare lo farebbe, e so anche il perché.
Quel riferimento alla strada non era casuale, ma faceva stretto legame all’incidente che Kemerl causò sette anni fa, tentando di frenare l’intervento del mio amico a favore di Shinichi.* E il fatto che l’abbia detto, dimostra pienamente che è a conoscenza della sua identità.
Il puzzle sembra complicarsi sempre di più. I tasselli sembrano sparire, oppure semplicemente, si confondono con altri. Spetta a me scovarli e metterli al posto giusto?
Cerco di far ordine nella mia mente, concentrandomi sugli avvenimenti degli ultimi tempi.
Shinichi muore ustionato in un magazzino abbandonato, dopo aver parlato con Kemerl che, secondo Toisuke, gli aveva promesso di lasciar stare me e Conan. Nel frattempo un uomo somigliante a mio marito, Kaito Kuroba, controlla i nostri spostamenti, facendosi notare da mio figlio, donandogli il braccialetto del padre. Facciamo la conoscenza di Gin ed Arthur, che hanno il compito di avvicinarci, ma i nostri animi vengono turbati dall’incontro con Kemerl, in quel vico buio di Tokyo. Lì, l’uomo, tentò di ucciderci, ma solo grazie all’intervento della polizia potemmo salvarci.
Una chiamata anonima, una chiamata. Ricordo che Heiji mi disse che qualcuno l’aveva avvisato della presenza dell’assassino da quelle parti. Una chiamata anonima... e Kemerl che appare.
E’ mai possibile che...
“Un po’ come mio zio Heiji!”
La voce di Conan mi riporta alla realtà, facendomi sobbalzare. Data la sua perspicacia, i miei occhi sono così aperti che potrebbero uscirmi fuori dalle orbite. E la stessa espressione ce l’ha Kemerl, ed anche mio cognato. Wunderwaffe, invece, ha il viso turbato e preoccupato, tant’è che più volte lo strofina con la mano, con gesti repentini e agitati.
“Esattamente!” Esclama il mio ex fidanzato, entusiasta. “Questo ragazzino è un genio.”
“Hai conosciuto mio zio?” domanda Conan, col tono ingenuo.
“Sì, ho avuto il dispiacere di conoscerlo, molti anni fa.”
Tossicchio, turbata dalla situazione. Kemerl mi manda un’occhiataccia, tra il cupo e il divertito.
“Allora? Lui va bene?” gli domanda ancora, sorridente. “Assomiglia a tuo zio...”
Conan si strofina il mento, pensieroso. “No, uno zio mi basta e avanza.”
“Ok” continua, come se davvero la cosa lo stesse divertendo. Poi, puntando me, fa avvicinare Conan al mio corpo, abbassandosi alla sua altezza.
“Lei... lei è una donna meravigliosa. Si chiama Vanille Haine, è francese. E’ una di quelle che, guardandola, ha il potere di farti cambiare idea, su tutto. Su ogni tua convinzione, su ogni tuo pensiero.” Mi dice, abbondando il tono melodrammatico.
“Toichi!” sbotta la moglie, visibilmente ingelosita.
La domanda che mi strugge è capire se si stia riferendo a Ran o a Vanille, perché quei suoi occhi sognanti non sembrano star fingendo.
“Però, attento, è subdola. E può nasconderti di tutto.” Dice poi, ignorando completamente le lamentele della donna. Io sussulto, rendendomi conto che sa per certo anche di me. Ha scoperto la mia identità, e si sta divertendo.
Ma a che gioco stai giocando, Richard?
“Oh...” Conan si lascia andare ad un verso stupefatto, mentre fissa i suoi occhi blu sui miei. “Ne sembri innamorato!” dice poi, senza pensarci.
Kemerl arrossisce d’un tratto, colorandosi di un rosso fuoco. Tossicchia, in evidente imbarazzo.
“Macché! Su, su... adesso scegli! Muoviti!” lo rimbecca, con un tono molto più brusco di quello utilizzato fino ad adesso. Io, avendo ignorato completamente gli eventi, troppo presa dalla situazione, ho il viso fisso sul mio piccolo.
Scegli me tesoro...
Continuo e provo a chiamarlo mentalmente, nella speranza che mio figlio recepisca le mie paure, e si fidi del suo intuito. Ma, prima che possa esprimere qualsiasi opinione, Conan si allontana di qualche passo, sistemandosi dinanzi a Wunderwaffe.
“E voi? Che guardate?” chiede con stizza Kemerl, riferendosi ai suoi scagnozzi. “A lavoro su! Non vi pago per spassarvela!”
Nel giro di qualche minuto, i vari uomini si defilano, lasciando l’appartamento, e portando con loro le varie attrezzature o armi. Nella stanza restiamo in pochi, tre paia circa. Tutti ad assistere alla scelta di mio figlio, anche lui, insolitamente, sereno.
“E lui?” domanda poi mio figlio, indicando Arthur. Quest’ultimo osserva Kemerl avvicinarsi, e sfoderare un ghigno ancora più beffardo del precedente.
“Lui si chiama Wunderwaffe.” Lo informa, affiancandolo. “A proposito... lo conosci il tedesco, Conan?”
“No.” Gli annuncia mio figlio, facendogli segno col capo. Io sobbalzo, incredula.
Centra qualcosa il suo nome?
“Aspetta, fammi pensare a come descrivere il nostro hacker allora.” Si passa una mano sotto il mento, sorridente. Arthur, intanto, la mano la passa tra i capelli, un po’ sconvolto.
“Ah! Ci sono!” esclama, gioioso. Porta i palmi sulle spalle di mio figlio, abbassandosi alla sua altezza.
“L’hai studiata la Seconda guerra mondiale?”
La Seconda guerra mondiale?
Aggrotto le sopracciglia, stupefatta. Magari si è realmente fumato qualcosa, non so.
E’ diverso da quello che conoscevo, ne sono sicura. L’uomo che provò ad uccidere me e mio marito, in quel lontano magazzino, non può essere lui. E’ impossibile.
“Non ancora, ma ho visto alcuni documentari.” Gli dice Conan, con estrema sincerità.
“Ok, e ti ricordi come si chiamava la forza aerea tedesca?” gli chiede, quasi speranzoso. Wunderwaffe, intanto, si lascia andare ad uno sbuffo e ad un sussurro seccato.
“Dai, è ridicolo.” Gli dice, ma il mio ex fidanzato non pare sentirlo.
Conan ci pensa un attimo su, ma il suo ragionamento non è tanto rapido quanto quello di Heiji, al mio fianco, che sovrasta i nostri pensieri con la sua voce marcata e sicura.
“Luftwaffe.*” Afferma, convinto. “Si chiamava e si chiama Luftwaffe.”
Poi, abbassando le palpebre, azzarda un sorrisetto e sussurra qualcosa. “Ecco dove l’avevo sentito.”
Seguo il suo ragionamento, ricercando nella mia mente ricordi remoti e sepolti sotto cumoli di anni. Con gioia, ricordo anch’io di quell’armata, ma non so come essa possa essere ricondotta all’hacker.
Kemerl intanto, esulta, sempre col riso stampato sulla bocca. “Esattamente!”
Gironzola un po’ per la stanza, soffermandosi sul volto turbato del mio amico che, dopo quello che ha detto, sembra ansimare. Abbassa e rialza lo sterno con una notevole rapidità, tanto da farmi preoccupare.
“Tutto bene?” gli chiedo, perplessa.
Colui che un tempo chiamavo Richard, fa lo stesso, e gli poggia una mano sulla spalla, con un ghigno stampato sul viso.
“E’ vero? Tutto bene, Nishi?” accentua poi la voce sul suo nome, beffeggiandolo.
Heiji annuisce, togliendo con forza la presa di Kemerl dal suo corpo.
“Mai stato meglio.”
Indietreggiando, il mio ex fidanzato si riavvicina a mio figlio, sistemandosi quasi al centro della sala. Alla mia destra, Heiji appare ancora turbato, con gli spalancati e col respiro affannoso. Lo vedo passarsi una mano sul viso, come stesse cercando di svegliarsi da qualche incubo. Poi, all’improvviso, sorride.
“Ehi?” lo chiamo, sussurrando, facendolo voltare. “Che è successo?”
Ma non risponde, e l’unica cosa che fa è donarmi un altro sorriso. Diverso da tutti quelli di quest’ultimo periodo. E’ sincero, è sereno, è felice.
“Qualcuno sa anche cosa significa?” chiede all’improvviso Kemerl, riportando l’attenzione su di lui.
Intanto, Wunderwaffe e mio cognato si stanno scambiando lunghe occhiate, attraversando la stanza coi loro occhi, in completo silenzio. Mentre io, col volto imbronciato, sto tentando di scogliere questa matassa di enigmi, dalla quale sembra essere emerso anche Heiji.
“Nessuno lo sa?” Continua a domandare, sorridente.
Mio figlio alza la mano, facendo notare il suo piccolo indice. “Io! Io!”
Mi verrebbe da ridere nell’osservare con quanta spensieratezza Conan riesca a stare tra noi. E, con quel suo dito alzato, sembra stia ad un’interrogazione. Non so se abbia capito la gravità della situazione, infondo è pur sempre un bambino, cresciuto nell’amore e nell’affetto, lontano dall’odio e dalla morte.
Come potrebbe capire certe cose se non sa nemmeno che possono esistere?
Kemerl si volta verso di lui, sfoderando sempre un ghigno compiaciuto. “Dimmi.”
“Se non sbaglio, significava arma dell’aria! Era stata ripristinata e potenziata da Hitler, che faceva completo affidamento su di essa, essendo molto più aggiornata tecnologicamente rispetto alle concorrenti europee!”
Il nostro capo applaude, soddisfatto. “Il suo significato è proprio quello di arma dell’aria. Pensa un po’, era qualcosa che poteva annientare interi paesi, ed era ciò con cui avanzarono maggiormente i tedeschi, a quel tempo. Era il loro punto forte, dove sapevano di poter vincere senza troppi problemi.”
“Toichi, non sapevo amassi la storia in questo modo!” lo prende in giro la moglie, seduta alle nostre spalle, ridente.
Il marito l’osserva in malo modo, assottigliando gli occhi. “Idiota, sono in parte tedesco. Saprò qualcosa su di loro, o no?”
“Va beh...” risponde seccata la moglie, con uno sbuffo. “E tutta questa pacchianata cosa centra con Wunderwaffe?”
Ecco, lo vorrei sapere anche io. Sembro essere l’unica, a parte la donna, a non averlo capito.
Kemerl ridacchia, abbassando il capo.
“Waffe in tedesco, per l’appunto, significa arma” comincia a spiegare, riavvicinandosi all’hacker e a Conan che, col suo viso puro e dolce, si sta interessando sempre più alla conversazione.
Arthur lo osserva torvo, mentre Heiji li raggiunge da dietro, lasciandomi da sola a pensare.
“Wunder significa meraviglia.” Continua poi, sorridendo all’hacker, affiancato da mio cognato.
Kemerl, intanto, ha di nuovo fatto leva sulle ginocchia, abbassandosi all’altezza di Conan. Parla a lui, come se nella sala non ci fosse nessun altro. Mi avvicino anche io di qualche passo, sebbene le gambe mi tremano dall’angoscia.
“Vedi, Conan. Letteralmente sarebbe un’arma meravigliosa. Ne conosci qualcuna?”
Mio figlio sembra pensarci su, grattandosi il mento, pensieroso. Poi, l’uomo si rialza, girandosi verso di noi.
“E voi, non conoscete alcuna arma che faccia miracoli? Un’arma che, proprio come un hacker, sappia infiltrarsi in qualsiasi sistema e distruggerlo?”
Le mie palpebre si allargano, incredule.
La sua frase, le sue parole, il suo tono... tutto mi suona in un altro senso.
Le labbra si aprono, mentre i piedi continuano a voler camminare, senza fermarsi.
I presenti sembrano pensarci, mettendo in moto quel cervello che per troppo tempo hanno tenuto fermo.
Io, sento di dover rispondere e non poterlo fare.
Sento nascere dentro di me una gioia incontenibile, che a stento riesco a trattenere.
Sento le lacrime bagnarmi il mio viso, quello vero, e scorrere sulla mia pelle, inumidendola.
Sento le mani in continuo fremito, ansiose di toccarlo, di muoversi, non potendo più stare ferme.
Il cuore è in fibrillazione, il suo battito si scontra contro il mio petto, donandomi un tremolio generale e continuo.
Da quanto tempo non mi sentivo così?
Non ho nemmeno il coraggio di alzare gli occhi e guardarlo. La paura mi frena e mi porta a cullarmi in questa meravigliosa sensazione paradisiaca, e mi sballa, come se avessi assunto la peggiore delle droghe.
E se tutto questo fosse un sogno? Allora che nessuno mi svegli, voglio morire dormendo.
“Sì. Io la conosco” sussurro, ma col tono di voce abbastanza alto da poterlo fare ascoltare. Kemerl si gira verso di me, invitandomi a proseguire, con un sorriso amaro stampato sul volto.
Ma io, mi sono già persa ad osservare colui che ha da sempre l’abilità di sorprendermi e di tubarmi.
Colui che rappresenta tutto ciò che c’è di importante a questo mondo.
Colui che, adesso, è lì, appoggiato ad un pilastro, con le mani incrociate al petto.
Colui che adesso mi sta donando uno di quei sorrisi a cui, io, non sono mai riuscita a resistere.
Inimitabile, indelebile ed indimenticabile.
Lui.
“Il proiettile d’argento.”
 
*
 
“Scelgo lui. Somiglia tanto al mio papà.”
“Ci avrei scommesso.” Sospira Kemerl, adornando il viso con un sorriso amaro.
Così fa per andarsene, rimettendosi in posizione eretta. Ma prima di dileguarsi, mi passa accanto e si ferma un istante a contemplare il mio volto, traboccante di gioia.
“Se vuoi, puoi accompagnarlo.”
 
 
*
 
“Eccoci qui, Conan. Questa è casa mia.”
Credo di amarla già, questa voce. E’ finta, falsa e nasconde dietro sé misteri irrisolvibili. Ma è Sua. Ed ogni qualvolta la ascolto, sento il mio cuore battere sempre di più, senza smettere.
Come suggeritomi dal mio ex fidanzato, che continua a mostrarsi più ambiguo che mai, ho accompagnato mio marito e mio figlio in questa nuova casa, che già profuma un po’ di noi. Mio marito e mio figlio.
Sospiro, serena. Come non mi sentivo da tempo ormai.
Mio marito e mio figlio, insieme.
Lui non le può vedere, come non ha potuto o dovuto fare in quest’ultimo periodo, ma le mie lacrime desiderano accarezzare il suo viso, e poggiarsi sulla sua spalla. Ardo dalla voglia di abbracciarlo, e stringerlo forte a me, alla ricerca della prova che tutto questo non è uno stupido sogno o frutto della mia immaginazione.
Ma che alla fine, è stato sul serio solo un brutto incubo.
“Quanti computer!” esclama sorridente il nostro bambino, avvicinandosi ad essi. Chiudo la porta alle mie spalle, con le mani leggermente tremanti dall’emozione. Cammino verso di lui, con passi lenti ed incerti, e mi fermo ad osservare le sue spalle muscolose, coperte da una maglia a maniche lunghe, abbastanza stretta da non lasciare spazio all’immaginazione. Come ho fatto a non notare particolari così importanti in questi giorni? Io che lo ricercavo ovunque, in ogni oggetto, in ogni espressione ed in ogni luogo, ero così accecata dal dolore da non accorgermi d’averlo accanto, proprio vicino me.
E poi, perché mi sento così debole al pensiero di dovergli parlare?
“Cosa vuoi per pranzo piccolo?” gli chiede, poggiandogli una mano in testa, scompigliandogli i capelli.
Stavolta mio figlio si lascia cullare in quel gesto, che non sembra donargli il minimo fastidio.
Conan non è a conoscenza del fatto che i due malviventi che lo sorveglieranno, e che gli staranno vicino in questi giorni, sono proprio i suoi genitori. E non sa nemmeno che dietro alla figura dell’hacker impacciato e timido, si nasconde il suo adorato papà. Però, sembra sereno, e questo lo fa essere anche me.
Infondo, per rivelargli una cosa così importante bisogna farlo con calma, cercando di spiegargli per bene la situazione. Spiegazioni che vorrei tanto avere anch’io, e che otterrò nel giro di poco tempo.
Shinichi non mi guarda, non si volta neppure a sorridermi. E’ così impegnato a parlare con Conan che sembra essersi completamente scordato della mia presenza. Tossicchio, facendomi notare.
“Posso prepararti quello che vuoi!” gli dico sorridendo, e lanciando un’occhiata a mio marito. “Sempre che il nostro hacker abbia qualcosa da mangiare.”
Lui ridacchia, issandosi all’in piedi ed avanzando verso la cucina.
“Dovrei, dovrei.”
Lo raggiungiamo nel giro di qualche secondo, sebbene mio figlio incominci a mostrarsi un po’ schivo nei nostri confronti. Mi sta dietro, con gli occhi puntati su di noi, e col corpo teso e in allerta.
Se solo potesse sapere che non potrei fargli mai del male, e che potrebbe rilassarsi e godersi questi attimi, potrei risparmiargli il nervosismo e la paura che, indubbiamente, staranno crescendo in lui.
“Allora... ehm...” apre il frigo Shinichi, mettendosi a meditarlo. “Abbiamo pomodori, salsa al tonno, insalata non troppo fresca, e...” continua poi, avvicinandosi ai vari mobili affiancanti la cucina. “Un po’ di pane.”
Sussulto, girandomi verso di lui.
“Oh! Conan... ci facciamo un bel panino al tonno, ti piace?” domando, ben conscia della risposta. Lui annuisce, come prevedevo, e prende posto a tavola, spostando una sedia. Poi, poggiando i gomiti sul piano, lo vedo mantenere il viso nelle mani.
“Mi ucciderete vero?”
Io e Shinichi sussultiamo, spalancando gli occhi. Ci giriamo verso nostro figlio, un po’ sorpresi sul cosa dire, ma è il padre il primo ad avvicinarsi a lui, e a parlare.
“No, puoi stare più che sicuro che non potremmo mai farlo.”
“Se non lo farete voi lo farà qualcun altro allora” ci rivela, col tono intriso di punte tristi. Li raggiungo, e gli poggio una mano sulla spalla, ma ancora una volta è Shinichi a rassicurarlo, con un dolce sorriso stampato sul viso di plastica.
“Non succederà. Almeno non prima di aver fatto i conti con me.”
Conan pare colpito dalle sue parole, così tanto che riesce ad alzare lo sguardo e mostrarci i suoi occhi cristallini bagnati dalle lacrime. Mi strugge il cuore a vederlo così sofferente, ma a quanto sembra per mio marito è meglio tenergli tutto all’oscuro per il momento, cosicché non possa finire in nessun altro guaio.
“Io... io non vi credo!” sbotta, mentre una goccia va a solcargli il viso pallido. “V-voi avete ucciso mio padre! Siete cattivi, cattivi!”
Sospiro, scostando la sedia alla sua destra. Mi siedo, e gli poggio una mano sul braccio minuto che, con la sua forza, sta agitando inconsapevolmente contro il padre. Shinichi lo osserva intenerito, con occhi lucidi.
“E se ti dicessimo che tuo padre è vivo?”
Conan si ferma di scatto, girandosi con estrema lentezza verso di me. Ha le pupille dilatate dalla notizia, la bocca aperta e i muscoli tirati. Tenta a dire qualcosa, ma non ci riesce, bloccandosi in balbettii.
“C-Cos-sa? P-papà è-è v-vivo?” chiede, con la voce rotta dai singhiozzi.
Do un’occhiata a Shinichi che, intanto, mi sta osservando con preoccupazione. Deglutisco, tentando di fargli percepire la mia angoscia, e cercando di captare ciò che vorrebbe dirmi. Lo vedo sospirare, e portarsi le mani sul viso, stropicciandolo. Sebbene ancora non riesca a scrutare il suo volto, è più che evidente che sia stanco e ansante, pronto a crollare da un momento all’altro. Vorrei avvicinarmi, stargli accanto e stringerlo tra le mie braccia, ma non riesco ancora a trovare il coraggio.
Lo shock di averlo avuto sempre accanto, e la scoperta di non averlo perso, hanno minato le mie forze fisiche, recandomi un grave malessere alla testa e allo stomaco. Tutta colpa delle emozioni che da sempre accompagnano le mie giornate, e perdono il controllo a contatto con Shinichi.
“E-ehi!” mi chiama Conan, distraendomi dai miei pensieri. “Rispondi! E’ vero quello che h-hai detto?”
Strattona con la sua mano piccola e tenera la mia maglia, avvicinandomi di qualche centimetro a lui.
“Facciamo così” dice all’improvviso Shinichi, nelle sembianze dell’hacker. “Se fai il bravo, te lo diremo.”
Nostro figlio sbatte più volte le palpebre, incredulo. “Ma io lo voglio sapere adesso!”
“Mi dispiace piccolino, dovrai pazientare.”
“Un indizio?” chiede, azzardando un tono fin troppo ingenuo.
Shinichi ridacchia, ed io lo imito, sorridente. “Nessun indizio.”
“Diamine.” Sbotta, sbuffando.
Mi alzo di nuovo, e raggiungo la cucina, preparando il necessario per il panino. Lo mangia molto frettolosamente, dimostrando che nelle ultime ore è rimasto sostanzialmente a digiuno. Lo imitiamo, e ci mettiamo a scherzare un po’, nel tentativo di farlo sentire a suo agio. Nel frattempo, Conan ci chiede il permesso per alzarsi e mettersi sul divano, cosicché da poter accendere la tv. Lo accompagniamo, e ci stendiamo con lui su quel salotto che, sebbene mi sia estraneo e nuovo, ha un’aria invitante e molto comoda. Shinichi ha gli occhi luccicanti e puntati sul figlio, una mano protesa sotto la sua nuca, che va ad accarezzargli la spalla, con un tocco leggero.
Perdiamo qualche ora così, in silenzio, col solo suono dei programmi a disturbarci.
Solo io, Conan e Shinichi. Nessun altro, nessun problema e nessuna paura. Solo noi.
Qualcosa che, fino a qualche giorno fa, avrei pagato per vivere e vedere.
Che miracolo...
Con il passare del pomeriggio, Conan comincia a rannicchiarsi su se stesso, infreddolito. Attento ad ogni sua mossa, Shinichi si alza e si toglie la maglia che poco prima indossava, rimanendo in canottiera. Mi fermo ad osservarlo, estasiata da una visione troppo bella per essere vera.
Copre nostro figlio che, rilassandosi nel calore di quell’indumento, si scoglie tra le braccia di Morfeo, socchiudendo man mano le palpebre stanche.
“Si è addormentato?” sussurro al mio uomo che, alla domanda, annuisce abbozzando un sorriso.
“Lo porto di là.” Mi dice, raccogliendolo tra le braccia e stando cauto a non fare mosse brusche che possano svegliarlo. Li seguo silenziosamente, ed entrando nella stanza col letto matrimoniale, rimbocco le coperte in modo da coprire Conan e lasciarlo dormire serenamente. Fuori è buio, e sebbene siano solo le cinque del pomeriggio, i lampioni della strada illuminano fievolmente l’ambiente, allontanando l’oscurità che potrebbe circondarlo. Usciamo, e socchiudiamo la porta alle nostre spalle, dirigendoci in soggiorno.
Ecco che, di nuovo, il mio cuore torna ad accelerare, accompagnato dal solito tremolio che mi prende le mani e le gambe, facendomi faticare a stare all’in piedi.
Perché ho così paura di parlargli?
Ripenso a tutto quello che è accaduto ieri notte, arrossendo al pensiero della sua reazione e di tutto ciò che ha seguito la violenza di Gin.
“Non dici nulla?” mi chiama, abbandonandosi al divano, e mantenendo le mani unite, appoggiate alle ginocchia.
“Sì.” Gli rispondo, deglutendo, ed abbassando le palpebre. “Voglio vederti.”
Mi avvicino a lui, lasciando che le sue mani si sciolgano e faccino posto alle mie cosce, che si insinuano tra le sue gambe. Facendo leva sui piedi, mi accovaccio su di lui, poggiando le ginocchia sul divano, e portando il mio peso verso il suo petto. Le mie mani corrono lungo la sua pelle, finché non vado a scorticarla, alla base della gola. Da lì parte la maschera che man mano viene via, e con l’aiuto delle mie unghie, libera la sua vera identità, rivelandomela. Un collo pallido lascia spazio ad uno molto più lucido, mentre un viso pullulante di foruncoli si trasforma in un volto meraviglioso e scevro d’imperfezioni, dalla pelle perfetta. Tornano anche le sue labbra e, per finire, i suoi occhi. Ancora più azzurri e profondi di quanto potessi ricordare. Ancora più belli e marcati da quei suoi tratti così mascolini, che vanno a coesistere con un insieme così unico ed eccezionale. Una volta liberati anche i suoi capelli, lancio la maschera dall’altra parte del salotto, con poca cura.
Rimango per un po’ ad osservarlo, completamente rapita dalla sua bellezza.
Lo noto avvicinarsi, e fare la stessa cosa col mio viso. Lo libera man mano da un alter ego che mi stava fin troppo stretto, e che non vedevo l’ora d’abbandonare.
“Ciao moglie...” mi dice, ma con un tono completamente diverso. Le sue labbra hanno rilasciato la sua vera voce, quella di Shinichi Kudo.  E’ un tuffo al cuore che mi provoca una stretta allo sterno, e mi porta ad avvinghiarmi al suo petto caldo e muscoloso. Non riesco nemmeno a frenare le lacrime, che cominciano a scorrere sul mio viso, rigandolo.
“Ciao marito...” Dico, bloccata dai singhiozzi.
Lo sento passarmi una mano dietro la schiena, mentre l’altra va ad alzarmi il viso, costringendomi a guardarlo. Mi sorride, un po’ incerto per il mio atteggiamento.
“Perché piangi?” mi chiede, donandomi un bacio sulla guancia, che si infiamma al suo tocco. Credo di non essere nemmeno più abituata alle sue attenzioni. Negli ultimi tempi, esse, avrebbero potuto essere soltanto un misero ricordo. Un bellissimo ricordo che tentava di riscaldare le mie giornate, mentre fuori era pieno inverno. E adesso, sentirlo lasciarmi una scia di baci lungo il mio viso, per poi scendere verso il mio collo, è un martirio così penetrante, da non poterlo sopportare. Le mie lacrime vanno a infrangersi anche sul suo volto, attaccato al mio, e vengono repentinamente bloccate a superficie dalle sue dita, che cercano di asciugarmi le palpebre. “Ehi, smettila di piangere...”
Mi stringo sempre più forte al suo petto, incavando le unghie nella sua pelle.
“Mi sei mancato... Non puoi neanche immaginare quanto...”
“Sono qui adesso. Sono con te Ran.”
Ritorna ad alzarmi il viso, ma stavolta fa di più. Avvicina le mie labbra alle sue, che tornano a toccarsi dopo tanto, troppo, tempo. Mi lascio trascinare in quella meravigliosa sensazione, che mi dona la forza di alzarmi un po’, e passargli una mano tra i capelli. Ci scambiamo prima un bacio casto e pulito, inumidito dalle mie lacrime che si scagliano violente sui nostri profili, per poi trasformarlo in qualcosa di molto più sensuale e caldo. La sua lingua viene a giocare con la mia, e a muoversi dolcemente nella mia bocca, rilasciandomi il sapore del suo corpo e la fragranza della sua anima. Il bacio continua, alimentato dai nostri respiri che vanno ad insidiarsi sulle nostri pelli, facendole rabbrividire. Sento le braccia di Shinichi stringermi a sé, e trattenermi con la sua forza lungo i lati del suo corpo. La mia mano cade dalle ciocche dei suoi capelli corvini al suo viso, andandolo ad accarezzare, fino alle sue spalle, per poi giungere dietro la schiena. Lo abbraccio anch’io forte a me, come se non volessi mai più lasciarlo andare, dopo tutto il dolore sofferto dell’ultimo mese. Completamente in estasi, avverto il bisogno di staccare le nostre bocche, in modo da rilasciare un gemito.
“Era un modo per farmi smettere di piangere?” Gli domando ridacchiando, sebbene un po’ arrossita. “Perché ci sei riuscito.”
“No. Era un modo per farti capire che non è un sogno” mi dice, incurvando le labbra in un bellissimo sorriso.
“Giusto... Bentornato, amore.”

 

 
 
 
 
*Luftwaffe* Link diretto a wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Luftwaffe_(Wehrmacht)
 
 

Angolino autrice:
Siete ancora vive? Tutto bene? Nessuna di voi è svenuta, vero?
Lo so! Lo so! Ho detto una BUGIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIA! Anzi, ne ho dette parecchie XD
Però, davvero, se non avessi mentito per tutti questi capitoli, la gioia di rincontrarlo sarebbe stata la stessa? Ragazze, sappiate che avete davanti la fan numero uno di Shinichi e della coppia, ed ovviamente, io, non potevo assolutamente farlo morire! Soprattutto dopo aver scritto “Vivere d’emozioni” ed avergliene fatte passare di cotte e di crude a sti due XD
Ve lo aspettavate che comparisse adesso?
Ehi, ehi... cosa state facendo? State smanettando davanti al monitor tentando di capire se è realtà quello che avete letto?! Lo è, lo è!
Shinichi è Wunderwaffe, Wunderwaffe è Shinichi. E lo è stato per tutti questi capitoli... infatti, se andreste a rileggerli, capirete un tantino di cose in più, adesso :P Ad esempio, nel quinto capitolo, capirete perché cade accidentalmente della coca cola addosso a Ran :D *Non dice altro XD*
Oddio, non sapete quanto ero in difficoltà quando lo sospettavate! Non sapevo come confondervi, anche se, l’atteggiamento strano e fin troppo benevolo di Kemerl, vi ha portate su un’altra strada.
Però... come avrete capito, i misteri, e la storia XD, non sono finiti qui... anzi, ne vedremo delle belle!
Però, volevo fare luce sul nome di Shinichi!
Sappiate, come avrete intuito dalla spiegazione dettagliata di Kemerl XD, che non è scelto a caso!
Anzi, quando stavo per scegliere un nome per lui, la cosa divenne tragica. Non sapevo cosa e come fare... tutto mi sembrava scontato e brutto. Per lui serviva qualcosa di incisivo, diretto, e così... non ditemi perché xD, sono andata su google traduttore ed ho cominciato a tradurre nelle varie lingue “proiettile d’argento”. Guardate, non saprei spiegarvi come, ma nel farlo dall’italiano al tedesco, uscì Wunderwaffe, ed io me ne innamorai al momento! *_*
E poi, il fatto che fosse in tedesco, mi aiutava con una cosa... ehm ehm :D
(N.B. Se lo andate a fare, non esce più, non so perché .-. Adesso esce semplicemente “silver bullet” come se fosse inglese XD Ma credetemi che l’ho scoperto così, perché io dell’altra storia non sapevo nulla XD)
Quindi, colpita dal nome, e soprattutto dalla particella “waffe” che mi ricordava tanto la Luftwaffe tedesca ed anche il suo significato “arma dell’aria” (stavo studiando per l’esame di Stato, ed io ho portato per l’appunto la Seconda Guerra Mondiale), sono andata a ricercare il termine su google, imbattendomi nella pagina di wikipedia -------> QUI: http://it.wikipedia.org/wiki/Wunderwaffe , dove ho capito che, a parte lo scazzo di google traduttore (che mi aveva abbandonata, ma mi aveva dato la santa ispirazione XD), quello era il nome adatto a Shinichi!
Praticamente perfetto! *___* E a voi? E’ piaciuto, piace? ;P
Mentre... per il resto (tutto ciò che non ancora sapete) dovrete aspettare i prossimi capitoli!
Avete notato la reazione di Heiji alla scoperta del segreto che celava il nome di Shin? :)
E Kemerl che fa il dolce?! E poi... cosa potevano mangiarsi i Kudo, se non il tonno? Ammetto che quello era un chiaro riferimento alla sua natura :P
Comunque, adesso godetevi l’atmosfera che si respira in casa Wunderwaffe/Kudo, con Conan dolcemente addormentato
e mamma e papà che si riscaldano a vicenda in dolci e succulenti baci :P
Appena è ritornato Shinichi, subito si sono alzate le temperature per Ran :D E per noi :DDDD
Ah, un’altra cosa... mi serve un vostro consiglio XD
Pensate che debba mettere Shinichi tra i personaggi della fic? E poi... credete debba inserire il genere sentimentale,
ad introspettivo e mistero? Fatemi sapere... di questo e di tutto il resto!
Spero, e credo, che il capitolo vi sia piaciuto!
Recensioni, voglio tante recensioni! XDDD
Voglio vedere i vostri sfoghi dopo questa scoperta...
*Sono ben accetti sfoghi insensati e pazzi* XD
 
Va beh, adesso vado. Ringrazio aoko_90, CupiSBow, Delia23, LunaRebirth_, Martins, 1sere1 e Black_Princy per aver commentato l’undicesimo capitolo.
Grazie anche a chi legge soltanto.
 
Un bacione!
 
Tonia

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Capitolo 13
*** Solo per voi ***


Tredicesimo capitolo
Solo per voi

 
 
 
 
La sera cala e le temperature si rinfrescano, ma l’inverno è passato, e non ve n’è più traccia nemmeno qui.
Finalmente, dopo tanto aspettare, è primavera anche per me.
Attorciglio i suoi capelli tra le mie dita, giocando a creare figure astratte nell’aria, scompigliandoglieli in tante ciocche ribelli dalla cromatura corvina.  Gioco con la sua pelle, lasciandogli piccoli baci lungo il profilo del suo collo, e sorrido, sentendolo rabbrividire. Ha il capo appoggiato allo schienale del salotto, e le palpebre abbassate, conscio di potersi godere appieno le mie attenzioni, che non desidero altro che dargli.
Intorno a noi regna il silenzio, spezzato solo dagli ansimi che rimbombano nella stanza e che arrivano dritti alle nostre orecchie, caricando l’ambiente di un’atmosfera bollente.
Il mio corpo è ancora appoggiato al suo, le mie mani attraversano i suoi muscoli duri, mentre le sue sono aggrappate alle mie cosce, e fanno pressione verso il suo fisico, muovendolo con un ritmo regolare e suadente. Attraversata da una scarica d’adrenalina, gli circondo il collo con le braccia e torno ad impossessarmi delle sue labbra, cominciando a giocarci con la mia lingua. Ma nel momento in cui la sua bocca va a prendere la mia, una tosse arriva ai nostri timpani, facendoci fermare all’improvviso. Entrambi spalanchiamo gli occhi, immobilizzati dalla paura, ma nel girarli verso il corridoio, notiamo una figura avanzare nell’oscurità, con le mani a coprirsi il volto.
“Non sto guardando e non voglio guardare.”
Una voce familiare mi porta ad alzarmi improvvisamente dal corpo di mio marito che, al suono di una risatina, scatta all’in piedi, ed avanzando di qualche passo, mi fa scudo col suo fisico.
“Non so cosa state facendo e non lo voglio sapere.”
L’uomo avanza sempre di più, finché la luce non lo illumina. Strabuzzo gli occhi, ritrovandomi dinanzi colui che tanto assomiglia al mio Shinichi. Quest’ultimo intanto, abbassa le spalle, rasserenandosi d’un tratto.
“Ma vi vorrei avvisare che di là c’è un bambino. E svegliarsi e trovare i propri genitori in certi atteggiamenti, non è proprio una bella cosa.”
Sospiro, cercando di portare il mio cuore ad un battito normale, mentre la risatina dell’uomo si espande nella stanza, strappandoci un sorriso anche a noi.
“Per una volta potresti comportarti come persona normale e non entrare dalla finestra come i ladri, che dici?” lo rimbecca Shinichi, mentre sul mio volto si fa spazio un rossore sempre più vivo.
Lui continua ad avanzare, giungendo al lumino che è appoggiato sul tavolino del salotto, ed accendendolo.
“Che ci vuoi fare...” Dice, ridacchiando. “Deformazione professionale.”
Mio marito borbotta qualcosa, seccato, mentre io continuo a sbattere le palpebre, incredula. Chi è lui, e come faceva a sapere che Shinichi abitasse qui? Che sia proprio Shinichi il suo informatore speciale?
Mi stacco dal braccio del mio uomo, indietreggiando di qualche passo e poggiandomi ad un mobiletto del salone. E’ ancora una volta lui a parlare, sempre con il sorriso stampato sulla bocca.
“Mi spiegate cos’è successo? Tua moglie stamattina mi chiama in preda all’ansia per la scomparsa del piccolo, provo a contattarti tantissime volte ma non mi rispondi...” comincia a spiegare, con un tono leggermente melodrammatico. “Il che comincio a preoccuparmi. Così vengo qui, e scopro non solo che Conan è con voi, ma anche che avete intenzione di fargli un fratellino! E bravi.”
I miei occhi sono ridotti a puntini, mentre Shinichi è intento a passarsi una mano tra i capelli, forse tentando di scrollarsi di dosso quella passione che l’aveva pervaso. Si avvicina all’amico, del quale io ignoravo l’esistenza, e accende le luci in camera, illuminando l’intero ambiente.
“Non ti rispondevo perché non potevo mio caro. E poi smettila di dire idiozie, non stavamo facendo nulla. Piuttosto, tu, non mi avevi assicurato che Conan fosse a Niigata?” gli chiede, abbassando il tono della voce, cosicché che nostro figlio non possa svegliarsi.
“Lo era fin quando l’avevo controllato io. Ma insomma, l’avevano preso loro?” chiede, turbato.
“Sì” rispondo io, intromettendomi. “L’hanno rapito e portato nell’organizzazione.”
“Capisco” aggrotta le sopracciglia, strofinandosi il mento. “Quello che non capisco è perché adesso siate ad amoreggiare insieme, voi due.”
“Potresti abbassare la voce? Mio figlio sta dormendo.” Continua a riprenderlo Shinichi, ma l’uomo lo ignora del tutto e si fionda verso di me, con esuberanza.
“Come hai fatto a capire che era lui l’uomo che ti dicevo? Mi aveva detto che non poteva dirti nulla.”
Effettivamente non l’avevo capito.
“In realtà, me l’ha...come dire...suggerito Kemerl.” Gli rivelo, grattandomi il capo con due dita.
“Kemerl?” chiede, innalzando un sopracciglio. Poi, riporta l’attenzione a mio marito, girandosi verso di lui. “Continua a mostrarsi strano?”
“Sì” annuisce Shinichi, riprendendo posto sul divano. “Direi che sta peggiorando.”
“Ed io che avevo pensato che dietro lui ci fossi tu” dico, rivolgendomi a mio marito. Sorride, passandosi una mano sul viso, mentre Kaito ridacchia, poggiandosi ai fianchi.
“A proposito... Ti piace il travestimento che gli ho preparato? Oh, è tutt’opera mia eh. Voglio i diritti d’autore.” Mi dice Kuroba, con la voce fiera, riferendosi alla maschera di Shinichi, lanciata senza alcuna cura sul divano da me qualche minuto fa.
“T-tutta o-opera tua?” domando, inceppandomi nelle parole. Vorrei sapere di più, ma un’insolita paura mi frena... Shinichi non me ne ha parlato, ma lo ha rivelato soltanto a lui.
Perché mi ha tenuto tutto nascosto?
Perché, per l’ennesima volta, non si è fidato di me?
Io l’avrei aiutato, appoggiato, difeso.
“Ma come? Non ti ha detto nulla?” chiede stupendosi l’uomo, divaricando le braccia dalla sorpresa. Gli faccio segno di no col capo, mentre mando un’occhiata a mio marito, guardandolo cupamente.
“Posso dirle cos’è successo?” domanda ancora, stavolta rivolgendo a Shinichi, che annuisce impercettibilmente col capo.
“Beh, prima di tutto... mettiti comoda.” Mi accompagna al salotto, facendomi accomodare vicino mio marito che, al nostro arriva, si scosta per permetterci di sedere.
“C’era una volta...” comincia, scoppiando a ridere. Shinichi lo guarda assottigliando gli occhi, con un’espressione torva dipinta sul viso.
“Cerca di fare il serio Kid!”
Come l’ha chiamato?
Immediatamente mi ritorna in mente l’appellativo che usò sua moglie al telefono, e tutto si chiarisce ai miei occhi. Li strabuzzo, ma prima che possa parlare lo fermo, mettendogli una mano sulla bocca.
“Kid?! Tu... sei Kaito Kid?!”
Inaspettatamente, annuisce col capo, facendomi risalire. Shinichi intanto, con un insolito fastidio stampato sul volto, va a spostare la mia mano dalla sua bocca, portandola nella sua. Lascio che le mie dita si intreccino con quelle di mio marito, e comincio a giocarci, sfiorandole. Il suo tocco mi inebria il cervello e mi fa dimenticare della presenza dell’uomo alla mia destra che, per farsi notare, tossicchia vistosamente.
“Ripasso in un altro momento, che dite?”
Io e Shinichi ci giriamo verso di lui, fingendoci ignari di ciò a cui sta alludendo. In realtà, avendolo capito benissimo, abbiamo quasi paura ad esternarlo. Come se, questo infondo fosse solo uno spicchio di Paradiso nell’Inferno. Come se, alla fine, il peggio debba ancora venire.
“No. No.” Mi affretto a rispondergli, paonazza. Shinichi, intimidito, lascia la mia mano, e si alza all’in piedi, parandosi dinanzi a noi.
“Va beh, spiego tutto io.” Dice, lasciandosi andare ad un sospiro.
“Allora Ran... è iniziato tutto nel momento in cui in quel carcere è scoppiato l’incendio.”
 E mentre mi godo il tono della sua voce, una serie di immagini si aprono e si susseguono dinanzi a me, come in una vecchia pellicola di un film campione d’incassi. Guardare al passato col senno di poi è come sedersi in una sala di un cinema vuoto ed azionare i fotogrammi che compongono la nostra vita. Tutto stabilito e vissuto, nulla sembra più emozionarti. Ma in questo caso, ripensare a quel periodo riesce ancora a turbarmi l’animo, forse perché infondo credo di non esserci mai uscita da quel tunnel, sebbene le prime luci si siano già viste.
“Ero sul posto ed andai a fare un sopralluogo, cercando di informarmi se fosse stato di natura dolosa o no. Gli agenti, in visibile impaccio, erano impegnati in tutt’altro, e non seppero darmi spiegazioni precise in merito, anzi... riuscirono solo a far scappare tre di loro, tra cui Kemerl.”
“Era opera sua l’incendio?” domando, inclinandomi verso l’avanti col busto, avvicinandomi al corpo di Shinichi.
“Non esattamente.” Mi risponde il mio uomo, tra un ricordo e l’altro.
“Alla notizia della sua scomparsa mi misi, ovviamente, a cercarlo. Trovai sia lui che gli altri fuggitivi, ma non erano soli. La moglie l’aveva già raggiunto, e aveva approvato alla nascita di una nuova organizzazione. In quegl’anni, infatti, lei aveva intrattenuto rapporti con alcuni politici ed era riuscita a corromperli. Di conseguenza, aveva assunto anche parecchi uomini, sempre malavitosi, con lo scopo di liberare il marito. E’ stata opera sua l’incendio. Kemerl non sapeva nulla.”
“Cosa?”
“Così pensai a come incastrarli... e ragionando, mi venne in mente Kid. Lui era un mago dei travestimenti, mi avrebbe aiutato.”
“Modestamente” si gonfia il petto il ladro, orgoglioso.
“Mi infiltrai due giorni prima. Avevo già scelto il travestimento, e il piano era ben congegnato. Sapevo, inoltre, che Kemerl da un momento all’altro avrebbe chiesto di me, e non si sarebbe fermato finché non mi avesse visto morire. Così, quando mi telefonò...”
Annuisco, rimembrando quello che sentii dire dalla bocca di Ash Toisuke, qualche settimana fa.
“Lo so, ti chiese di incontrarvi, cosicché lui non avrebbe mai toccato me e Conan.”
Shinichi aggrotta le sopracciglia, stranito. “E tu come fai a saperlo?”
“Heiji ottenne un interrogatorio con Ash Toisuke, l’altro uomo che fuggì dal carcere. Riuscii a parlargli anche io.” Lo informo dell’accaduto, sorprendendolo. “Ci rivelò lui questo particolare.”
Mio marito si lascia andare ad uno sbuffo, e ad un seccato “ovviamente” che io non riesco a decifrare. Rimane per un po’ zitto, finché Kaito non gli ricorda di continuare a narrare ciò che accadde.
“Andai all’appuntamento, in quel magazzino di fuochi d’artificio.”
“Mi vuoi dire perché non ce l’hai detto? Io, Heiji... avremmo potuto aiutarti.”
“Avevo un piano Ran, avresti dovuto saperlo. Infatti, pensavo l’avreste capito.”
Serro le palpebre, incredula. Mi alzo dal divano, avanzando di qualche passo verso di lui.
“Heiji ha trovato il tuo corpo abbrustolito! L’ha visto con i suoi occhi! Te ne rendi conto?!”
Shinichi sbatte più volte l’occhio, come preso da un raptus nervoso.
“Beh, Heiji avrebbe dovuto ragionare un po’ e ci sarebbe arrivato!” Dice, col tono di voce leggermente sarcastico.
“Il corpo, ovviamente, non era suo.” Si intromette Kid, tossicchiando ancora. “Ma era di Juzo Nichi.*”
“J-Juzo Nichi?”
Perché il nome mi sembra più familiare del dovuto?
“Sì... è uno di quelli che scappò con Kemerl.” Continua mio marito, rimettendosi a sedere.
“I-Il corpo era il s-suo? E perché hanno pensato tutti fossi tu?” gli chiedo, accomodandomi sul divano.
“Perché mi spogliai e lo vestii dei miei abiti. Gli infilai nella tasca la mia carta d’identità e tutti gli altri documenti. Successivamente, per non renderlo conoscibile, gli gettai del kerosene addosso, stando attento a far bruciare specialmente il suo viso. Lo stesso feci col corpo, ma senza rovinare le carte. Dopotutto, era giovane, un mio coetaneo, e poteva benissimo passare per me.”
“Non ci posso credere.” Sbotto, passandomi le mani sul viso, coprendolo.
Ho pianto, per più di un mese, sulla tomba di uno sconosciuto.
Ho parlato, per più di un mese, sulla tomba di un criminale.
“Quando andai lì era già morto d’ infarto, soffriva di cuore. Sfruttai l’occasione per far credere a Kemerl che davvero lo fossi anch’io.”
“Avresti potuto dirmelo, dannazione.”
Mi poggia una mano sulla gamba, accarezzandola.
“Non potevo. Avrebbero studiato le vostre reazioni, come ha fatto quell’idiota di Gin.”
“Ma...” cerco di replicare, ma vengo bloccata dallo scorrere degli eventi.
Shinichi abbassa lo sguardo, rattristito.
“L’ho fatto per voi Ran. Solo per te e Conan.”
L’ha fatto per me. Per noi.
Proprio quando, anni fa, mi tenne nascosta tutta la faccenda dell’organizzazione e dei guai che seguirono.
Solo, ed esclusivamente, per tenermi al sicuro. Per accudirci, in un modo tutto suo.
Non ho mai compreso appieno questa sua prassi. Ha sempre voluto farsi carico di tutti i problemi che lo circondano, senza chiedere mai aiuto o appoggio a nessuno. Forse per orgoglio, forse per ostinazione, per eroismo, o per un gran senso d’amore che nemmeno lui riesce a controllare.
Infondo, ho sempre pensato che questo fosse il suo modo di dimostrarci quanto bene ci vuole.
E non a caso, quando, sette anni fa, promisi di amarlo per sempre dinanzi a tutta quella gente, sapevo che avrei dovuto accettare tutto di lui. Anche quelle cose che mi avrebbero fatto stare più male e innervosire.
Anche finte morti e travestimenti ambigui.
Infondo, non ho sposato un ragazzo qualunque, ma lui. E ciò, già mi rasserena.
“Va bene” sorrido leggermente, asciugandomi una lacrima. “Sei quasi perdonato.”
Shinichi ridacchia, lanciandomi un’occhiata maliziosa, mentre il ragazzo alla nostra destra continua il discorso, ignorando le nostre provocazioni.
“Intanto, io, ho continuato a controllarvi. Soprattutto il piccolo, all’uscita da scuola.”
Mi interesso nuovamente al discorso, portando la mente a qualche giorno fa, quando Conan tornò da casa con un’aria insolitamente strana, e con un piccolo dono tra le mani.
“Sei stato tu a dargli il braccialetto vero?”
L’uomo annuisce col capo, osservando mio marito. “Sì. Fu Kudo a dirmi di darglielo.”
Mi volto verso Shinichi, incuriosita dalla questione. “E perché?”
“Beh. C’era scritto...” comincia a dire, ma si blocca improvvisamente. Il suo sguardo è fisso verso il corridoio, e sebbene le sue palpebre si chiudano a ritmo regolare, la sua testa è sostanzialmente immobile.
Mi volto anch’io, imitando mio marito, riuscendo a percepire dal buio dell’ambiente una voce bianca e rotta dai singhiozzi, che si avvicina lentamente verso di noi.
“Non temere mostriciattolo.”
Serro gli occhi, ritrovandomi di fronte l’immagine di mio figlio, con il braccialetto fra le mani e con addosso la maglia del padre, che va a coprirgli perfino le ginocchia. Shinichi sussulta, e rimane fermo per un po’ finché Conan non riprende a piangere e a singhiozzare vistosamente.
“P-papà...”
Fa un passo in avanti, ma ha il viso talmente rigato e gli occhi annebbiati dalle lacrime, che probabilmente, non riesce nemmeno a vederlo chiaramente. Il mio cuore fa una capriola all’indietro, nel momento in cui Conan avanza verso Shinichi, con le mani protese in avanti e le gambe tremolanti.
Mi porto una mano sulla bocca, mentre le lacrime cominciano a scorrere copiose anche sul mio viso.
“P-papà...” continua a chiamarlo, singhiozzante.
Gli occhi lucidi ed arrossati, la bocca leggermente aperta e i denti che vibrano violentemente all’interno di essa, mi fanno percepire l’immensa quantità d’emozione che Shinichi sta cercando di sopprimere, ma che si espande vistosamente dal suo corpo, tradendo le sue intenzioni.
“Papà!”
Conan si avvinghia contro il suo fisico, correndo l’intera stanza nel giro di un secondo. Il padre lo accoglie tra le braccia, stringendolo in un bellissimo abbraccio che rimarrà per sempre nella mia mente. La testa del mio piccolo è sprofondata nell’incavo della spalla di Shinichi che, intanto, si è rialzato, e trattiene Conan con la sua forza, facendolo aderire per bene al suo petto.
Regna il silenzio nell’aria, spezzato di tanto in tanto dai singhiozzi di Conan.
Anche Kaito, leggermente emozionato, ha gli occhi puntati sulla scena, imperterrito, con le mani a coprirsi la bocca. Poi, d’un tratto, si alza, poggiandomi una mano sulla spalla.
“Vado via. Vi lascio soli.”
Il tempo di girarmi, e di lui non è rimasta nemmeno l’ombra. Sorrido, leggermente scioccata.
Una fuga in tempi record, degna di Kaito Kid. Che poi ancora mi sfugge capire come Shinichi l’abbia conosciuto.
Ma, in questo momento, è l’ultimo dei miei pensieri.
Ho davanti l’immagine più bella della mia vita, e restare a guardarla mi infonde il corpo di felicità.
“Ehi, mostriciattolo...”
Lo allontana un po’ da sé, scuotendolo dolcemente con le braccia.
“Che piangi?”
Gli sorride, e sembra farlo anche Conan, sebbene abbia il volto ancora coperto dalle lacrime.
“Ma dove sei stato per tutto questo tempo?”
Gli chiede, mentre Shinichi gli asciuga il viso con le dita, portandogli via l’umidità delle sue stille.
“Sempre vicino a te mostriciattolo.”
“Ma certo!” esclama, sorridente. “Eri Arthur, vero?”
“Sì” annuisce il padre, ridacchiando.
“L’avrei dovuto capire!” si rimprovera lui stesso Conan, storcendo le labbra.
“Dannazione, la scritta era all’interno del braccialetto, ma non ci abbiamo fatto caso! E poi, anche...”
“Per il nome?”
“Sì...” gli risponde mio figlio, convinto. “Papà, la tua fantasia non è delle migliori.”
Shinichi lo osserva torvo, per poi scoppiare a ridere. Lo imito, trattenendo a stento una lacrima.
“Ma come, mi sono inventato quel cognome!”
“Sì, ma effettivamente sul nome non ti sei sprecato più di tanto.” Lo rimbecco io, ridacchiando.
Conan si volta verso di me, sorridendo. Shinichi lo raccoglie fra le sue braccia e lo porta sul salotto, sedendosi a fianco a me.
“Beh, suonava bene. Sir Arthur Wunderwaffe.” Dice, socchiudendo le palpebre e ridendo.
“Il signor proiettile d’argento.” Lo scimmiotto, prendendolo un po’ in giro. “Quanto te la tiri!”
“Io?” chiede, come se l’eventualità fosse improbabile. “E tu? Vanille Haine...”
“E’ fine ed originale, marito.”
“E chi dovresti odiare?” domanda, facendomi arrossire.
Effettivamente scelsi quel nome in un momento particolare. Odiavo con tutta me stessa coloro che mi avevano strappato Shinichi, e il pensiero di far patire loro almeno un briciolo di quello che stavo sopportando io, era una gioia immensa. Forse, per la prima volta, avevo assaporato l’odio.
Mi aveva portato ad infiltrarmi in un’organizzazione criminale, con lo scopo di sterminarla.
Solo per Shinichi. Per Shinichi e per Conan.
“Questi sono fatti miei.” Gli rispondo, un po’ rossa in viso.
“Aspetta, ma sai anche il francese tu?” riprendo a chiedergli, leggermente sorpresa.
Shinichi ridacchia, osservato dagli sguardi incerti di nostro figlio che, ancora sulle sue gambe, è appoggiato col suo corpo al petto del padre.
“Non c’è bisogno di una laurea in lingue per capire che Vanille sta per Vaniglia... ovvero un’orchidea, significato del kanji del tuo nome. Mentre per Haine, beh... mi sono documentato, ma l’avevo immaginato che significasse odio in francese. Soprattutto, dopo aver ascoltato il nome che si è dato quell’idiota di Hattori.”
Il suo tono parte dall’essere sarcastico al seccato. Soprattutto al ricordo dell’amico, Shinichi simula una smorfia scocciata.
“Dai ma come si fa? Almeno tu l’hai tradotto in francese. Quello si presenta in un’organizzazione con quel nome. Salve sono il signor Vendetta dell’Ovest.*”
Conan ridacchia, mentre io rimango un po’ perplessa per il suo atteggiamento.
“A me sembrava carino.” Provo a difendere mio cognato, ingenuamente.
“Oh, l’ho notato.” Replica lui, azzardando un tono leggermente infastidito.
Che sia ancora arrabbiato?
“Ehm... ma così hai scoperto che eravamo noi?” butto lì il discorso, cambiandolo completamente.
Shinichi non mi guarda, limitandosi semplicemente ad annuire, accarezzando i capelli di Conan, che ha il viso poggiato sulla sua spalla. Il corpo del padre sembra rassicurarlo, così tanto che a tratti socchiude le palpebre dalla stanchezza, per poi riaprirle improvvisamente.
“Non solo. Le maschere che avete preso da mia madre, almeno la tua, già la conoscevo.” Mi dice mio marito, sussurrandolo appena.
“Ah ecco. Ci avrai messo due secondi a capire chi eravamo.” Deduco, abbassando un po’ il tono della voce, proprio come Shinichi. Non vogliamo dare troppo fastidio a Conan che sembra lasciarsi andare sempre più nelle braccia del padre, ignorando i nostri discorsi.
“Tua madre ci ha aiutati tantissimo. A me ha dato delle lezioni di sex appeal formidabili.” Gli annuncio, facendogli l’occhiolino.
“A proposito, dovrei avvisarla che Conan è qui e che tu sei vivo.” Medito, portando lo sguardo verso l’alto.
Ma mio marito non mi sta osservando, anzi ha le palpebre socchiuse e il volto poggiato sulla testa di Conan che, intanto, sembra essersi addormentato sul serio.
Il padre gli sposta un po’ il capo, in modo da regalargli un bacio sulla fronte, e accarezzargli il viso con delicatezza.
“Lo portiamo a letto?” gli chiedo, sentendomi quasi ignorata.
Annuisce e, alzandosi, si avvia verso la camera. Lo seguo nella stanza, ma, dopo aver appoggiato Conan nel letto, nostro figlio lo trattiene per un braccio, svegliandosi di soprassalto.
“Dove vai papà? Resta con me!” lo prega, trascinandolo verso di sé.
Shinichi mi lancia un’occhiata ambigua, per poi sorridergli. Si avvicina al letto, e si stende a fianco a Conan, stringendolo tra le sue braccia.
“Mamma perché resti lì? Vieni anche tu!”
Ridacchio, osservando di sottecchi mio marito.
“Certo, vengo subito.” Li raggiungo, facendomi spazio tra le lenzuola, e abbandonando il capo sul cuscino, rilassandomi d’un tratto. Dopo tanto tempo, ritorniamo a dormire come una famiglia normale, solo noi, a cullarci nel buio della notte.
E’ il tempo di socchiudere gli occhi, che la paura m’assale e mi infonde un tremolio generale.
E se dovessi svegliarmi e non trovarlo più?
E’ tutto vero quello che ho vissuto oggi, è uno stupido scherzo? Un bellissimo sogno?
Serro le palpebre, quasi terrificata.
E dall’oscurità della stanza, capisco che nulla è cambiato. Li ritrovo ancora lì, uno stretto all’altro, abbandonati nel loro sonno.
Mio marito e mio figlio. Noi.
Aveva proprio ragione Shinichi, non è un sogno.
 
*
 
Un raggio di luce dorata va a posarsi sul mio viso, costringendomi ad abbandonare il mio sonno ristoratore. Alzo lentamente le palpebre gonfie, mentre con una mano trattengo uno sbadiglio, che nasce spontaneo sul mio volto, ancora un po’ addormentato. Cerco di abituarmi man mano alla luce, aprendo sorniona gli occhi, e fissando il soffitto per qualche istante.
Alla mia destra, addormentati e stretti in un abbraccio senza fine, ritrovo Shinichi e Conan.
Sorrido, restando qualche minuto ad osservarli, in totale silenzio. I loro respiri sono regolari e calmi, i loro volti appaiono rilassati e sereni. Mio figlio lo sta stringendo con le sue mani piccole, che vanno a circondargli il ventre, mentre la sua testolina è appoggiata sul braccio del padre, che si protrae verso il mio corpo, e sfiora con le dita il mio volto.
Mi alzo con delicatezza, stando attenta a non svegliarli, e con le punte dei piedi mi dirigo in cucina, con l’intenzione di preparar loro la colazione. La casa comincia ad illuminarsi dei raggi solari, mentre dalle finestre è possibile ascoltare il canticchio degli uccelli, che si scostano da un ramo ad un altro, facendo cadere alcune foglie. La apro, inspirando la frizzante aria primaverile di primo mattino che aumenta a dismisura il mio buonumore.
Fischietto, cominciando a cercare tra gli scaffali qualcosa che possa zuccherare la mattinata, e che possa fare da colazione ai miei uomini. Ma, a parte cibarie in scatola e alcuni pomodori, sono sostanzialmente vuoti.
“Non c’è nulla di dolce.”
Mi volto improvvisamente, ritrovandomi dinnanzi la figura di Shinichi, intento a stropicciarsi il volto con una mano. Mi alzo, sorridendogli distrattamente.
“E cosa gli diamo a Conan per colazione?” gli chiedo, con un pizzico d’ironia. “Che padre sconsiderato.”
“L’arrivo del mostriciattolo non era previsto nella giornata di Wunderwaffe.” Mi dice, per poi avvicinarmi al mio corpo, e stringermi da dietro.
“In quanto a te, so esattamente come farti svegliare per bene.” Il suo tono malizioso mi provoca un brivido che mi attraversa tutta la schiena, facendomi sfociare in un sorriso divertito.
Shinichi comincia a lasciarmi dei baci lungo il collo, formando una scia di tocchi che si impregnano nella mia pelle, come se fossero lasciati col fuoco. Mi lascio andare in quella sensazione edenica, socchiudendo le palpebre, e abbandonandomi alle sue braccia.
La mano di mio marito scorre lungo i miei fianchi, sfiorandomi i seni, per poi riscendere sul ventre. Non mi oppongo, ma non riesco a non sorridere, nel momento in cui mi fa voltare verso di lui, e mi intrappola tra le sua braccia, facendomi appoggiare al ripiano della cucina. Il suo viso si avvicina, si blocca sulle mie guance e con le labbra tenta di toccare le mie, finché non lo fermo.
“No, no. Ieri ti ho detto che eri quasi perdonato.” Gli ricordo, azzardando un tono tra l’ironico e il malizioso. Shinichi mi sorride, per poi avvicinarsi all’orecchio, e cominciare a baciare anche il profilo di esso.
“Appunto. Lascia che mi faccia perdonare del tutto.”
Il mio dolce martirio tende a continuare, fin quando mio marito non s’impossessa delle mie labbra e comincia a morderle, giocandoci. Ansante di desiderio, lascio che Shinichi mi sollevi leggermente e mi faccia sedere sul tavolo, permettendomi di accarezzargli i capelli, proprio come avevo iniziato a fare ieri sera.
“Shinichi... c’è Conan di là...” lo avviso, balbettando dall’emozione.
“Lo so.” Mi risponde, con un ghigno spavaldo sul viso.
“Potrebbe venire...” cerco di fermarlo, quando in realtà non voglio neanche io. A volte mi sembra d’essere una stupida. Ardo dal desiderio, ma faccio di tutto per non ammetterlo, come se fosse giusto così. E mi accorgo che il mio istinto mi dice altro, sebbene la ragione tenti di frenarmi.
“Sta dormendo.” Mi ricorda, come se io non lo sapessi.
“Potrebbe svegliarsi...”
“Shhhh...”
Non mi permette di dire altro, quando le sue labbra vanno a prendere le mie, intrappolandomi in un gioco dove sembra avere il pieno comando.
Le nostre lingue si scontrano, si sfiorano, si muovono con un ritmo sensuale e crescente.
Le sue mani salgono lungo le mie gambe, adulandole, fin quando non si fermano all’altezza dell’inguine. Shinichi si stacca dal mio bacio, sospirando leggermente. Ha gli occhi fissi sulle mie cosce, mentre col dito va a sfiorare delicatamente su un particolare di queste, un livido. Sussulto, al ricordo di chi me l’ha procurato. Gin si era azzardato a strattonarmi per bene in quella stanza, e i segni sono ancora ben evidenti sul mio corpo. Ma non ho voglia di riparlare di quell’episodio, e lo tiro verso di me, riappropriandomi della sua bocca. Ma ancora una volta si stacca, con fare un po’ brusco.
“Non cercare di evitare il discorso.” Mi dice, col tono duro.
Sussulto, deglutendo. No, non ho voglia di litigare adesso...
“Non lo sto facendo. Ma hai iniziato una cosa...” gli ricordo, cercando di apparire maliziosa. Infondo, quei giorni da Vanille Haine sono serviti a qualcosa.
“...Oppure vuoi abbandonarla?”
Lui ridacchia, forse cadendo nella mia trappola.
“Non mi provocare.”
“E tu finisci quello che hai iniziato...” gli sussurro all’orecchio, facendolo rabbrividire.
Finalmente torna a baciarmi, facendo strusciare le labbra dalla guancia alla mia bocca. Le sue mani mi prendono il viso e la sua forza mi fa stendere sulla tavola fredda e dura, ma al momento non intendo importarmene. Si trascina su di me, sorreggendosi al ripiano, e si lascia sfilare la canottiera, che lancio, senza cura, a terra. Continua a baciarmi, mentre con le dita comincia a sbottonarmi i bottoni della camicetta, aprendola. La sua attenzione si sposta dalle mie labbra ai miei seni scoperti, ma è costretto ad interrompersi, al suono del campanello. Emetto un sussulto, impaurita, ma Shinichi si alza con velocità, ricomponendosi.
“Mi sa che non è cosa.” Dice, sbuffando, mentre cerco di scendere dal tavolo, e riabbottonarmi la camicia.
Un nuovo suono del campanello, stavolta più costante.
“Ma chi è?” domando a mio marito, dimentica del fatto che nessuno sa della nostra permanenza lì dentro. Nessuno, tranne una persona.
“Ehi! Famiglia Kudo! Heiji Hattori a rapporto.”
Assottiglio gli occhi, sorpresa. Appunto. Nessuno, tranne Heiji.
Shinichi sbuffa, rimettendosi la canottiera. Aspetta che io abbia finito di ricompormi, fin quando non si dirige verso la porta, togliendo le varie sicure. Da essa appare mio cognato, dal sorriso stampato sul volto, e da un’aria incredibilmente gioiosa. Ha in mano una busta di carta, quelle tipiche che danno le cornetterie da portare a casa.
Avanza verso mio marito, che lo fissa imperterrito, senza pronunciare una singola parola.
“Ehi amico!”
Cerca di salutarlo, e di abbracciarlo, accompagnato da un’aria incredibilmente calda. Ma l’espressione di mio marito è imperturbabile, e non lascia trasparire nessuna emozione. Non si lascia nemmeno stringere, anzi, si scosta con durezza dalla sua presa. La sua freddezza va a raggelare l’ambiente, che si spegne al suono delle sue parole. Dure, dirette, spinose.
“Proprio te stavo aspettando.”
Ho il presentimento che i guai non siano finiti qui.

 
 
 
 
Precisazioni:
* Juzo Nichi (capitoli 1-2): E’ il tipo, malato di cuore, scappato insieme a Kemerl.
* Vendetta dell’Ovest: Il nome di Heiji è formato da due parole giapponesi “Nishi” (ovest) e “Fukushu" (vendetta). Shinichi però, disapprova questa scelta.

 
 
 
 

Angolino autrice:
Ciao gente!!!
Sono tornata! In questi giorni non ho avuto molto tempo da dedicare alla scrittura, ma ho tentato comunque di concludere il capitolo, visti i numerosi commenti del precedente!
Oh, il ritorno di Shin ha fatto furore! Quel detective montato ha davvero tante ammiratrici, eh?
Ma alla fine solo Ran può gustarselo... a proposito, le scene hot sono finite qui XD
Sennò si diventa ripetitivi eh .-. XD A parte gli scherzi... allora, come vi è sembrato il capitolo?
Kaito che sorprende i due, Shinichi che comincia a spiegare, Conan che scopre tutto...e poi, l’arrivo di Heiji...
Ditemi cosa ne pensate, d’accordo?
Aspetto i vostri commenti, ed intanto, ringrazio i recensori del dodicesimo capitolo:
aoko_90, Black_Princy, LunaRebirth_, arianna20331, Noemina91, xthesoundofsea, 1sere1, Kaori_, CupidSBow e Delia23!
Grazie davvero tantissimo *_______________*
E ringrazio anche ad aoko_90 per aver inserito la storia tra le preferite!

 
Come sempre, siete degli amori <3
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!!
Alla prossima, un bacione!

Tonia

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Capitolo 14
*** Parole di metallo ***


Quattordicesimo capitolo
Parole di metallo

 

“Che accoglienza calorosa.”
Un tono intriso di punte ironiche, come solito di mio cognato, va a sbattere sulle orecchie sorde di Shinichi.
E si schianta su di esse, rimbombando nell’ambiente, come il tonfo di un oggetto. Si avvicina a mio marito, che non smette un minuto di fissarlo, e tenta nuovamente di abbracciarlo, fallendo un’altra volta.
Heiji decide così di allontanarsi di qualche passo e avvicinarsi un po’ a me, cercando di ignorarlo. Mi abbozza un sorriso, ma il suo volto sembra deluso e amareggiato. Shinichi lo segue con gli occhi, immobilizzandosi sull’entrata.
“Tutto bene Ran?” mi domanda mio cognato, tentando di evitare una discussione che sembra sempre più imminente. “Conan come sta?”
“Sta bene. Certo non grazie a te.” Gli risponde con durezza, e con un tono fin troppo tagliente, mio marito. Deglutisco, avvertendo la tensione che si innalza nell’ambiente, pronto a scoppiare da un momento all’altro, come se fosse pullulante di gas.
“Non potevo sapere che l’avrebbero rapito...” prova a scusarsi, ma viene interrotto da Shinichi, che avanza di qualche passo, fino a giungere a pochi centimetri da lui.
“Avresti dovuto immaginarlo.”
Heiji sospira, abbassando lo sguardo.
“Dov’è il piccolo? Dorme?” domanda ancora, ma la sua insistenza non fa altro che peggiorare la situazione.
“Hattori...” fa per farsi notare, col tono rude. “Non cercare di evitare il discorso.”
Heiji si volta verso di lui, assottiglia gli occhi e nasconde le mani in tasca, leggermente seccato. “Cosa c’è? Su, sputa il rospo.”
“Ah, non sai di cosa voglio parlarti, eh?” gli chiede mio marito, leggermente ironico. Sussulto, rendendomi conto improvvisamente quale sia la causa di tale astio incompreso. Quel bacio...
Shinichi, nei panni di Wunderwaffe, vide ciò che stava succedendo, e probabilmente avrà frainteso tutto. Se è così, è mio compito riportare la pace tra i due amici, evitando inutili discussioni.
“Senti... se è per l’altra sera...” comincia a ricordare gli eventi mio cognato, al ché decido di farmi avanti ed intervenire. Ma entrambi veniamo fermati dalle parole di Shinichi.
“E’ per tutto.”
Aggrottiamo le sopracciglia, stupiti. Mi avvicino di qualche passo, ma sento che mio marito non ha nessuna voglia di ascoltare le nostre ragioni. Per cosa poi? Tutto?
Tutto quello che abbiamo scelto di fare io ed Heiji nell’ultimo mese, era stato dettato dalla voglia di vendicarlo e di proteggere i nostri figli.  
“Non riesco a seguirti. Cos’ho fatto?” gli chiede, leggermente esasperato.
“Ah, davvero?” risponde con ironia, come se volesse beffarlo. Poi si avvicina di qualche passo, senza degnarsi di toccarlo. Le sue mani sono ferme in tasca, proprio come quelle di mio cognato.
“Dimmi... tu come reagiresti se chiedessi a Kazuha di infiltrarsi con me in un’organizzazione criminale? Sentiamo.”
Serro le palpebre, un po’ sorpresa.
“Shinichi... Ran era disperata...” prova a spiegargli Heiji, tentando di scusarsi. “Voleva vendicarti!”
“E tu l’hai permesso ben sapendo che non ha nessun’esperienza?!”
Stavolta il suo tono è più alto ed aggressivo del normale, e la sua espressione lascia intendere perfettamente quali siano i pensieri che abitano il suo cervello. Ma, guardando altrove, non riesco a sopportare il volto deluso di Heiji, che osserva mio marito con incredulità, quasi a credere che sia tutto uno scherzo.
“Io non volevo metterla in pericolo! Lo sai benissimo!”
Shinichi ridacchia, ma il suo riso è fin troppo ironico. “Infatti così è al sicuro secondo te... vero?”
“Era con me!” cerca di ribattere Heiji, incominciando ad innervosirsi.
“E’ questo che mi preoccupa Hattori.”
“Non ti fidi di me, Shinichi?!” sbotta il nostro amico, accendendosi.
Mio marito sembra pensarci un attimo, abbassando il capo. “Non più.”
Socchiudo le palpebre, conscia del fatto che la causa del litigio sono unicamente io. Mi sento terribilmente in colpa con Heiji, incapace a difenderlo come si dovrebbe e come, forse, potrei. Non merita nessuna di queste accuse, essendosi preso cura di me per tutto questo tempo, senza alcuna pretesa o richiesta. E’ riuscito ad oltrepassare i limiti del semplice cognato, divenendo un vero e proprio fratello.
Non sopporto gli vengano fatte certe accuse... nemmeno dalla persona che più amo al mondo.
“Ah, è così...” sospira il giovane del Kansai, amareggiato. “Sono il tuo migliore amico, cazzo!”
“Eri...” ci tiene a precisare mio marito, stizzito.
“Ah, ero?” gli chiede Heiji, allibito. “Vuoi buttare a puttane anni di amicizia per questo?!”
“Tu hai buttato a puttane la fiducia che riponevo in te! Io non mi sarei mai comportato in questo modo!”
“Shinichi stai esagerando...” Cerco di farlo ragionare, schierandomi contro le sue opinioni, a favore del mio amico. “Heiji ha fatto di tutto per me.”
“Oh, questo l’ho notato... vi siete anche divertiti in mia assenza.” Afferma con fastidio, coi muscoli del viso tirati dal nervosismo.
Assottiglio gli occhi, seccata. “Se ti riferisci al bacio è stato tutto un equivoco... non fraintendere, per favore!”
Shinichi ci guarda, con aria palesemente infastidita. Ho sempre adorato la sua gelosia e i suoi modi protettivi. Ma come può pensare che tra me ed Heiji ci sia qualcosa?
Sa benissimo che per me è solo un amico, un fratello quasi, proprio come lo considera, o forse, considerava, lui.
“Non mi hai neanche dato il tempo di spiegarlo! Ti sei scagliato contro di me come una furia!”
“Infatti tu saresti restato calmo se avessi visto me e Kazuha baciarci, eh?” lo canzona mio marito, leggermente arrossito.
“No, però...” prova a spiegarsi Heiji, in imbarazzo.
“Però nulla! Non avresti dovuto farlo!” sbotta stavolta, innalzando la voce.
“No, aspetta, sono stata io a baciarlo!” preciso, nel tentativo di migliorare la situazione. Ma non faccio altro che aggravarla.
“Che?”
“Sì... ma era come se stessi baciando te!”
Shinichi mi guarda perplesso, incurvando un sopracciglio. “Ma se io per te ero morto!”
“Sì... ma quando ti manca una persona la cerchi ovunque.”
Ridacchia con ironia, come se stessi raccontando una marea di stupidaggini. “E mi hai cercato anche in Gin?”
Annuisco ed arrossisco un po’, imbarazzata. “Ovunque.”
Ma lui non sembra per nulla preso dalle mie parole. Anzi, dai suoi occhi trapela solo rabbia e frustrazione. “E’ per questo che ti sei fatta quasi violentare?!”
Sussulto al pensiero di quell’azione. Ricordo solo che nel preciso momento che quell’uomo poggiò le sue mani sul mio corpo, sentii quanto Shinichi potesse mancarmi e quanto fosse inutile sperare di rivederlo. Come può accusarmi senza sapere cosa si prova in momenti come quelli che ho vissuto io?
“No...” rispondo, leggermente delusa. “Ma ti volevo, e tu non sei venuto.”
“Beh, neanche Heiji è venuto a salvarti... dove cazzo eri mentre violentavano mia moglie?!”
“Ehi... eravamo andati tutti fuori, a prendere un po’ d’aria. Poi sono scomparsi prima Gin e poi Kemerl.” Risponde mio cognato, cercando di rinfrescargli un po’ la memoria.
“Appunto... chissà per quale santo Kemerl ha deciso di interromperlo. Se non l’avesse fatto, o se peggio ancora avesse approfittato della situazione per fare qualcosa di ancora più malato... mi dici che sarebbe successo?!”
Stavolta le sue grida sono rivolte a me, come se io fossi la colpevole di ciò che mi è successo.
Rimango in silenzio, per qualche minuto, incapace a rispondergli. Mi imita Heiji, evidentemente deluso ed amareggiato. Ma è ancora una volta lui a prendere parola, e a passarsi una mano sul viso.
“Hattori... avevi un solo compito, uno solo. Quello di proteggere Ran e Conan, e cercare di non metterli nei guai. Hai fatto l’inverso, hai agito di testa tua, e non hai pensato alle conseguenze... Come hai potuto credere che Ran avesse un minimo di credibilità travestita? Non ha nessuna esperienza! E come se non bastasse, Kemerl ci ha messo due secondi a capire chi foste quando siete venuti! Vi è andata bene, ma non dovevi implicare lei... lo sai, lo sapevi che io non avrei mai voluto...”
Heiji sospira, socchiudendo le palpebre. “Anche io non avrei mai voluto che il mio migliore amico non mi dicesse nulla sul suo piano! Dannazione!”
“Non vi ho detto nulla perché eravate controllati! E poi dimmi, cosa avresti potuto fare? Almeno Kid...” comincia a dire, ma si blocca improvvisamente, quasi impaurito dall’espressione di Heiji. I suoi occhi sembrano lanciare fuoco e fiamme, nel stesso istante in cui ha sentito dalla bocca di Shinichi il nome del complice.
“Cosa?! Kid?! Kaito Kid?!” sbotta, mentre sul suo collo spunta una vena, che comincia a pulsare insistentemente.
“Sì. Lui.” Risponde Shinichi con sicurezza, fissando lo sguardo su di lui.
Heiji sembra affannarsi qualche istante, indietreggiare di qualche passo, serrare le palpebre. Sembra, insomma, deluso. Ma forse non solo deluso... anche tradito.
“Tu! Tu sei andato a fidarti di un ladro, e non di me?!?” sbotta nuovamente, stavolta riavvicinandosi e prendendogli le spalle, scuotendole poi con forza.
“Dannazione Kudo! Sono io il tuo migliore amico!”
“Senti, Hattori...” prova a svincolarsi dalla presa mio marito, senza alcun risultato.
“Ma ti sembra il modo?!? E ti permetti anche di dirmi cosa dovevo o non dovevo fare?!?”
“Hattori!”
Mi avvicino ai due, al contempo divertita e sorpresa dalla situazione che è divenuta quasi comica.
“Hattori un corno!”
“Ragazzi... abbassate la voce...” cerco di calmarmi, mentre un sorrisetto ironico nasce sul mio viso. “Di là c’è Conan... ragazzi...”
“Si vede che lui è più capace di te!” urla Shinichi, ma in un modo così netto e duro, che le sue parole riescono a far crollare la presa del nostro amico, e farlo zittire per qualche minuto.
E’ indietreggiato nuovamente, ma stavolta con gli occhi fissi su quelli di mio marito.
“Ah... è così?” bisbiglia, visibilmente offeso. “Questo è quello che pensi di me... perfetto.”
E senza un respiro di più, decide di lasciare l’appartamento, prima scaraventando il pacchetto di cornetti contro il muro, poi dirigendosi di fretta verso la porta, e sbattendola violentemente. Delle sue parole non è rimasto che l’eco, che adesso si fa gioco del silenzio che la sua presenza ha lasciato.
Guardo Shinichi, e mi accorgo che, per la prima volta nella mia vita, non sono dalla sua parte. Riesco a provare ribrezzo per le parole che ha inferto senza alcuna ragione ad Heiji, e sento di non riuscire a trattenermi da non dirglielo.
Lui, infondo, sembra scosso dal momento, ma dal suo volto continua a non trapelare nulla. Ho sempre odiato quel suo modo di mascherare qualsiasi emozione, sentimento o pensiero, dietro una stupida maschera. E’ arrivato il momento di distruggerla, e di portare a galla quel che prova, di denudarlo dalle sue barriere.
“Allora, non dici nulla?” gli chiedo, ma con una voce fin troppo amara e stizzita. Lui sembra accorgermene, e mi guarda incerto, spaesato.
“Cosa dovrei dire?”
“Ti sembra il modo di comportarti? Ha fatto di tutto per me e per Conan, e tu così lo ringrazi?”
“Ah..” sospira, ironico e amaro. “Sei dalla sua parte, allora...”
“Certo che sono dalla sua parte! Chi credi abbia cercato di tirarmi su di morale mentre tu giocavi al finto zombie?!”
“Io non stavo giocando, era tutto organizzato per difendervi!”
“Anche Heiji lo ha fatto! Ha messo da parte il dolore ed ha pensato a noi!”
“Certo. Quello l’ha fatto bene...” continua, con il solito accento.
Lo guardo sconcertata. Il suo atteggiamento è a dir poco fastidioso, e in un momento come questo, lui riesce a pensare solo a come Heiji abbia potuto consolarmi o no. C’è la vita di tutti in gioco, e per colpa sua, e lui continua a mostrarsi geloso per una stupidaggine.
“Senti, Shinichi... smettila di fare il paranoico...” gli dico, seccata.
“Ah, io sarei paranoico?!” sbotta, avanzando verso di me. I nostri volti si avvicinano, mentre i suoi occhi azzurri si fiondano nei miei, e mi immobilizzano, straripanti di rabbia. La sua voce si ingrossa, il suo viso si infiamma, angosciato.
“Tu cosa credi che io abbia provato nel ritrovarti nuda con Kemerl? Eh?! E scoprire che stavi per essere violentata?! Sotto i miei occhi... Sotto i miei occhi, Ran! E non potevo fare nulla! Non credi avrei voluto spaccargli la faccia e tutte le ossa a quel deficiente?! E invece no, ho dovuto trattenermi! Sai cosa significa trattenere la rabbia, Ran?! Lo sai?! Senti scoppiarti dentro, la ragione abbandonarti e il fisico tormentarti! Stavo per svenire sul serio in quel momento! E tu mi dai del paranoico?!”
Non ho il coraggio né il tempo di rispondere, che Shinichi torna a sfogarsi, afferrandomi il polso.
“E Kemerl? Che mi ha aiutato, portandomi fuori?! Ti rendi conto?! Kemerl!”
Prende fiato, ma il suo sguardo è sempre fisso sul mio, e non lo lascia un attimo.
“E poi torno in stanza... e vedo te e lui, intenti a baciarvi! Mia moglie e il mio amico! Prima entrate nell’organizzazione, e a me è venuta l’angoscia ogni singolo minuto al pensiero che potessero scoprirvi... e tu vieni quasi violentata, e a me stava per venire un infarto... e poi ti ritrovo pure a baciarlo, e avrei voluto spaccare la faccia anche a lui!”
Si ferma qualche istante, lasciandomi il polso e voltandosi di lato, passandosi le mani sulla faccia.
“Dulcis in fundo... mio figlio viene rapito, ed io non sapevo più cosa fare! E tu pensi che io sia paranoico!” continua a sbraitare, lasciando che le sue ansie lascino il suo corpo, rilassandolo.
“Come credi che debba stare?!? Non paranoico... sono incazzato, incazzato nero!”
E sbattendo contro le mie spalle, fugge via dal salone, rintanandosi in cucina, chiudendo dietro di sé la porta con violenza. Rimango ferma qualche minuto su quei pochi centimetri cubi del pavimento, fissandoli con insistenza. Rimugino sulle sue parole, le accolgo nella mia mente, le decifro, le ripeto ad alta voce. Infondo non ho mai pensato al suo stato d’animo, troppo impegnata a dimenticarmi del mio. Vorrei andare da lui, e stargli vicino, ma ho quasi paura che la mia presenza lo innervosisca. Decido quindi di lasciarlo un po’ solo, e di dirigermi in stanza da letto, per controllare Conan. Sospiro nel camminare, con passo titubante, ma mi blocco nell’osservare la figura di mio figlio, all’in piedi, appoggiato ad un pilastro della casa, con dipinta sul viso un’espressione inquietante ed impaurita, rigata da qualche lacrima.
“Conan!”
Mi avvicino a lui velocemente, mi sostengo sulle ginocchia, e lo trattengo con le braccia.
“Tesoro che c’è?! Perché piangi?!”
Lo scrollo delicatamente, inducendolo a parlare. Anche se qualche sospetto già ce l’ho...
“Perché papà litiga con zio e poi anche con te?”
Ci avrei scommesso che le urla l’avrebbero svegliato. Ed ovviamente, tocca a me tentare di rassicurarlo, quando al momento, un po’ di parole dolci le vorrei sentire anch’io. Ma infondo, mi basterebbe vedere il viso di mio figlio illuminarsi e sorridere per stare meglio. La sua felicità è la mia, e la sua serenità è un compito che spetta a me donarglielo.
Gli passo quindi una mano sul viso, portandogli via le lacrime, e poi tento di sorridergli, mostrandomi più dolce che posso.
“Ma no Conan... non è nulla. Stavamo solo discutendo.”
“Ma stavate urlando! E’ per colpa mia che stavate litigando?” Mi chiede dagli occhi lucidi e grossi di lacrime.
“Ma no... cosa ti passa per la testa?!” lo ammonisco dolcemente, portandolo verso di me.
“Perché è colpa mia se mi hanno rapito...e quindi... i-io sono un disturbo per voi...” afferma, così convinto del suo pensiero, che riesce a strapparmi una lacrima.
“Tu... tu non le devi nemmeno pensare queste cose! Tu non c’entri assolutamente nulla con tutta questa storia! Averti qui, è la cosa più bella che potesse capitarci in questo momento!”
“Ma... papà ha detto che quando mi hanno rapito non sapeva più che fare... quindi forse il suo piano era saltato a causa mia!” esclama, rabbuiandosi di nuovo.
“No, Conan... Lo ha detto perché ha avuto paura che ti succedesse qualcosa che lui non avrebbe potuto evitare... non credere minimamente che lui non ti voglia con sé!”
Lo porto verso di me, stringendolo con forza tra le mie braccia e donandogli alcuni baci sulla testa, tra i capelli castani. Mio figlio si lascia andare nel mio abbraccio, avvertendo i singhiozzi man mano diminuire, e le lacrime svanire.
Mi distanzio un po’ da lui, passandogli un dito sotto le palpebre, e sorridendogli. Il mio piccolo mi imita, e ciò mi permette di ridere ancora di più.
“Mostriciattolo andiamo a lavarci?”
“Ma non ho cambi mamma...”
“Sì, è vero...” Ricordo con delusione, mettendomi a guardarlo. Non posso farlo rimanere per sempre con quei vestiti... dovrò pur comprarne degli altri.
“Mamma ho fame, c’è qualcosa da mangiare?”
Strabuzzo un po’ gli occhi, quando all’improvviso mi torna in mente Heiji e il suo pacchetto.
Annuisco, ridente.
“Certo tesoro. Ci sono i cornetti di zio, ce li mangiamo?”
Conan annuisce contento, ma prima che riesca ad alzarmi e prenderlo per mano, sento la porta dell’appartamento aprirsi, e scricchiolare lungo il pavimento. Nessuno ha le chiavi, tranne che noi. Quindi, qualcuno sta per uscire...
“Shinichi... dove vai?!” domando mentre mi affretto a raggiungerlo, lasciando che mio figlio mi segua dietro correndo.
“Esco. Aspettami qui.” Mi ordina duro, ma con la voce di Wunderwaffe. Chiude la porta dietro di sé, obbligandomi a meditare una lastra di legno che, ad ogni colpo infertogli oggi, sembra cadere da un momento all’altro. E’ Conan a farmi riprendere, attirando la mia attenzione con un cenno della mano.
“Mamma, dove va papà?”
Lo guardo un po’ spaesata, incapace a rispondergli. Poi, riprovo a sorridergli, in modo da rassicurarlo.
“Non lo so, ma torna subito.” Lo avverto, dirigendomi in cucina, afferrando la busta di croissant - palesemente stropicciata - che mio cognato ci aveva gentilmente portato.
“Adesso mangiamo i cornetti... o quel che è rimasto di essi.”

*

Sono passate due ore da quando Shinichi è uscito con quell’aria misteriosa e furtiva dall’appartamento. Il non vederlo ritornare, sentir scattare la chiave, avvertire anche solo il suo respiro vicino a me, mi sta tartassando la testa e il corpo, in continua tensione sul divanetto dell’appartamento. Ho il respiro affannoso, ma cerco di non farlo notare a Conan che intanto, ha trovato il modo di distrarsi, dedicandosi a dei cruciverba di un giornaletto.
Il mio sguardo si sposta dalla porta a mio figlio, e da mio figlio alla porta con una velocità impressionante e tormentata, che neanche più io riesco a sopportare.
Ma nel suono del televisore acceso, sento il campanello della porta suonare con insistenza.
Esulto per un attimo, illudendomi che sia mio marito, ma ragiono repentinamente, chiedendomi il perché lui debba suonare, essendo provvisto di chiavi.
Mi alzo dal divanetto, osservando Conan e intimandogli di fare silenzio, con un dito sulle labbra, e mi dirigo verso l’occhiello della porta, intenzionata a scoprire chi sia. Ma il visitatore mi risparmia la fatica.
“Sono Kemerl.”
Stringo i denti, socchiudendo le palpebre. Corro verso la maschera, la indosso con non curanza, e la medesima cosa faccio col cambia voce, che posiziono molto maldestramente sul mio orecchio. Poi, osservando Conan, avanzo verso di lui e mi inginocchio, sussurrandogli alcune parole.
“Tesoro tu non dire nulla su me e papà, capito?”
“Sì mamma, lo so.”
Gli sorrido, scompigliandogli i capelli, e mi dirigo verso la porta, facendo sì che il mio ex fidanzato possa entrare in casa. 
E’ nascosto sotto il cappuccio della maglia blu, e dietro una sciarpa azzurra che va a coprirgli buona parte del viso, tranne gli occhi. Si avvicina a me, e nel chiudersi la porta alle sue spalle, si libera dei suoi veli, mostrandomi un volto pallido e lievemente smagrito, ma cominciando a sorridermi beffardo. Lo osservo, leggermente impaurita che possa fare qualcosa a Conan, giusto nel momento in cui il padre non c’è. Lui non c’è mai quando dovrebbe esserci.
“Ehi, ti sei mangiata la lingua?” mi chiede, con tono cordiale. “Che c’è? Wunderwaffe non ti tratta bene?”
Sussulto, sospirando. “No, no... è che non mi aspettavo di vederti qui.”
“Beh.. volevo vedere il prigioniero come sta.” Dice, sempre ironicamente.
Si fa spazio nell’appartamento, mettendosi ad osservare Conan, ancora seduto sul divano, indaffarato nel suo cruciverba. Ma nel sentirlo avvicinarsi, mio figlio alza il capo, facendo in modo che i loro sguardi possano incastrarsi.
“Ciao piccolo. Cosa stai facendo?” gli chiede, affiancandolo, e sorreggendosi al poggiolo del salotto. Mi avvicino anche io, e prendo posto vicino a Conan, dall’altra parte del divano.
“Un cruciverba.”
“Oh... sei davvero intelligente allora.” Continua, sorreggendosi la testa con una mano. Il suo volto ancora pallido, tirato. I suoi occhi incavati, stanchi.
“Certo.” Risponde Conan, con dolcezza.
“Sai, io non riesco nemmeno a finirli più.” Gli dice, sorridendogli amaro.
“Perché?”
Io, intanto, osservo la scena basita. Kemerl non risponde alla domanda di Conan, ma continua a sorreggersi la testa con le mani, mentre le dita vanno ad insinuarsi tra i suoi capelli. Non so perché, ma provo un infinito senso di tristezza nei suoi confronti. Sarà che sono troppo sensibile, ma è da un po’ di tempo che mi chiedo cosa gli stia accadendo. Non assomiglia per nulla a quell’uomo spietato che mi regalò un pugno al ventre sette anni fa.
“Perché vorrei che fosse mio figlio a finirli.” Dice poi, abbassando il capo e gli occhi al pavimento.
Deglutisco, e senza neanche rendermi conto, mi alzo dal divano, un po’ nervosa.
“Vuoi un bicchiere d’acqua?” Gli domando, azzardando un sorriso. “Ti vedo... un po’... stanco.”
Mi guarda, e mostrandomi i suoi occhi lucidi, mi sorride, alzandosi dal divano.
“Sì,... no, è che... è da stamattina che ho un terribile mal di testa...” prova a spiegarmi, mentre mi segue in cucina, lasciando che Conan resti da solo nel soggiorno.
Apro il frigo, e gli verso l’acqua, per poi porgergliela. Aspetto che prenda posto su una delle sedie, e lo imito, sedendomi di fronte a lui.
Più lo guardo, e più mi fa una gran pena. Non capisco se sono io ad essere troppo sensibile, o è lui a stare davvero male.
“Grazie.” Mi risponde, mandando giù, molto lentamente.
“Di niente.”
Lo sento deglutire, continuare a reggersi il capo, per poi guardarmi, sforzandosi di sorridermi.
“Come stai adesso?” Mi chiede, ma sembra che la sua domanda pretenda una risposta con un altro senso.
“Bene.” Annuisco, convincente.
“Non mi riferivo a Vanille, ma a Ran...” mi rivela, facendomi sussultare. Mi guardo intorno, evitando il contatto con i suoi occhi, che mi scrutano indagatore.
“Sarai al settimo cielo per averlo rivisto.”
Non oso fiatare, e punto il mio viso verso il basso, leggermente impaurita. Non so se assecondarlo o negare. Shinichi non c’è, e Conan è nelle mie mani.
“Oh, Ran?” mi chiama, costringendomi a guardarlo. “Non mi rispondi neppure?”
Sospiro, palesemente in difficoltà. Poi annuisco, mordendomi un labbro.
“Sì, sono felice che sia vivo.”
“E sarai felice di stare sia con lui che con il bambino dopo tanto tempo. Come una famiglia.”
“Lo sono.” Annuisco, senza guardarlo negli occhi. “G-grazie.” Continuo poi, dicendoglielo per la seconda volta.
“Per cosa?” mi domanda, fingendo, probabilmente.
“Beh... per avermi dato l’opportunità di stare con loro. Non me l’aspettavo...” gli rivelo, sincera.
“Non ringraziarmi. I figli dovrebbero stare con i propri genitori, a prescindere da qualsiasi cosa.” Dice poi, appoggiando il capo sulla tavola.
“Nessuno ha il potere di dividerli.” Continua, muovendo solo le labbra.
“Troppe persone credono di poterlo fare a questo mondo.”
Lo lascio parlare, rimanendo in silenzio, colpita dalle sue parole. Sembra sincero, seriamente convinto di quello che sta dicendo. Ma il flusso dei suoi pensieri viene bloccato dall’improvviso aprirsi della porta di casa, che continua a scricchiolare con sempre più forza.
“Mi sa che è ora di andare.” Dice, alzandosi dalla sedia. “Ciao Ran.”
Mi saluta, ma non fa in tempo a guardare oltre, che si trova di fronte il viso incredulo e basito di Wunderwaffe, fermo sullo stipite della porta che separa i due ambienti. 
“Cosa vuoi?” gli chiede Shinichi, indietreggiando di qualche passo, fungendo da scudo per il corpo di Conan. Kemerl avanza e lo supera, ma non gli risponde subito. Si dirige verso la porta e la apre, ma prima di andarsene, ci rivolge un’occhiata ambigua.
“Sei proprio un padre fortunato.”
Ci saluta con un cenno della mano, e sparisce, chiudendo la porta dietro di sé. Rimaniamo per un po’ senza parlare, sorpresi dal suo comportamento, e lasciamo che il silenzio ci avvolga come una coperta.
“Papà dove sei andato?”
La voce di Conan attira l’attenzione di Shinichi che, sfilandosi la maschera, ignora la domanda del figlio, guardandomi preoccupato.
“Che ti ha fatto? State bene? Cosa voleva?” domanda a raffica, boccheggiando quasi.
“Nulla. Ha parlato un po’ con Conan e con me, ed ha bevuto un bicchiere d’acqua.” Lo avviso, con un tono leggermente freddo. Dovrebbe ancora scusarsi per quel che ha detto, e il perdono non sarà così facile...
“Ma ti ha fatto qualcosa?!” chiede ancora, allarmato.
“Ti ho detto nulla.”
“E perché è venuto?!”
“Non saprei.”
“Sicura?”
Lo guardo torva, mandandogli un’occhiataccia. Perché mai dovrei mentirgli io? Non sono come lui infondo. Non ne sono capace così tanto.
“Certo che ne sono sicura.”
Mi libero della maschera e del cambia voce, poggiandoli sul tavolo della cucina. Mio marito resta fermo a guardarmi per un po’, leggermente scioccato. Gli sventolo una mano davanti agli occhi, per farlo rinvenire.
“Tu invece... dove sei andato?” gli domando, un po’ stizzita.
Shinichi torna indietro, verso l’entrata, ed afferra dal pavimento una busta bianca abbastanza grande.
“A casa nostra.” Afferma, contento.
“Come a casa nostra?!” sbotto, allarmandomi io adesso. Do uno sguardo ai monitor, e ricordo perfettamente che altri ce ne sono alla base.
“E’ pieno di telecamere!” Continuo, impaurita.
Shinichi mi guarda con sicurezza, per niente turbato. “Guarda che le telecamere le ha comunque messe Wunderwaffe, ovvero io, e so dove puntano.”
Resto in silenzio per qualche istante, imperterrita. Poi sento la paura tornare a prendermi, al pensiero di quello che scoprii con Heiji qualche settimana fa.
“Shinichi, ma lì è pieno di cimici! Ti avranno sentito!!” lo informo, portandomi una mano sulla bocca, e strabuzzando le palpebre. Mio marito mi guarda per un po’, per poi scoppiare a ridere per qualche minuto. Assottiglio gli occhi, seccata. Che ha da ridere?
“Ehm... le cimici le ho messe io.” Afferma, continuando a ridacchiare.
“Cioè Wunderwaffe?”
“No, no... proprio io.”
“Cosa?!?” sbotto, allarmata.
“Beh, volevo mettervi paura.”
“Che?”
“Sì, volevo che ve ne andasse da Tokyo. Magari alle Hawaii... che ne so. Lontani. Sarebbe stato più difficile per l’organizzazione trovarvi, ma tu hai deciso di traslocare da Hattori!”
“E TU COSI’ VOLEVI DIRCELO?!?” urlo, lasciando che la paura prenda lui.
“Ma non avevo altri mezzi... Su, su calmati!”
“Quindi hai ascoltato tutti i miei lamenti?” domanda, ma più a me stessa che a lui. Un rossore improvviso mi prende il volto, infiammandolo.
“Qualc...” comincia a dire, ma si ferma nell’osservare il mio sguardo infuocato. “Quasi nessuno.”
“Non ci posso credere...” recito, ma Shinichi finge di ignorarmi.
“Cos’è questa?” S’intromette all’improvviso Conan, indicando la busta bianca. Ancora paonazza, mi volto anch’io a guardarla. Shinichi si abbassa, facendo leva sulle ginocchia, e comincia a sciogliere il nodo che ha tenuto stretto ciò che la busta custodiva.
“Beh... dovrai pur cambiarti, mostriciattolo...” Afferma Shinichi, ridente.
Sorrido divertita, nel momento in cui dal pacco fuoriescono i vestiti che mio figlio non aveva portato con sé a Niigata. Conan esulta gioioso, affondando le mani dentro alla busta, tirandone fuori le felpe che più gli piacciono. Shinichi lo imita, ricercando qualcosa, e trovandola, me la porge divertito. E’ un altro pacchetto, azzurro stavolta, ma dello stesso materiale.
“E questo?” chiedo, curiosa e sospetta.
“Anche tu dovresti cambiarti ed indossare vestiti un po’ meno... sì, insomma... più coperti di come hai fatto in questo periodo... Sai, fa freddo...”
E dicendolo, si mette ad osservare ciò che ho indossato stamattina e negli ultimi giorni. Top molto attillati e pantaloni molto stretti, maglie abbastanza scollate e tacchi alti... tutto per avvicinarmi al ruolo della femme fatale. E lo fa con un’espressione così infastidita, che non posso fare altro che ridere e giocarmi della sua gelosia. Non mi ero mai accorta di quanto fosse peggiorato in questi anni, ma infondo, tutte queste attenzioni non mi disturbano più di tanto.
“Che premuroso che sei.” Lo prendo un po’ in giro, ghignando.
Shinichi mi si avvicina, e senza farsi vedere da Conan, mi porge qualcosa fra le mani, un tessuto. Tastandolo meglio, capisco che non è propriamente stoffa, ed osservandolo, arrossisco, togliendolo dalla visuale di mio figlio. E’ un tanga.
“Shinichi!” gli bisbiglio, per poi scoppiare a ridere.
Ma mio marito mi si avvicina, e ridendo, mi sussurra all’orecchio, facendomi rabbrividire.
“Con me puoi scoprirti però.”
In fondo, il perdono, potrebbe essere più vicino che mai...

 


Angolino autrice:
Lo so!!! Sono in un ritardo pazzesco! Ma è che ultimamente ho avuto tantissimo da fare, e poco tempo da dedicare alla scrittura! Mettiamoci che questo capitolo mi ha dato parecchi problemi per via del dialogo Shin/Heiji... (Lo scrivevo e mi veniva da piangere XD Infatti l’ho reso più soft del previsto, mi veniva da urlare: “no, non litigate ragazzi! No!!!” XD) e allora ci ho messo tanto! Spero mi perdonerete :(
Allora... Shinichi ed Heiji hanno litigato. Ran da ragione ad Heiji, e voi? Chi credete sia più nel giusto?
Come avrete capito Shin non è arrabbiato solo per il bacio, ma anche per “l’irresponsabilità” dell’amico nel coinvolgere la moglie in tutto ciò.
Poi, passiamo a Kemerl, che in questo chap da alcuni segnali della ragione della sua “stranezza”... poi capirete XD Infondo non siamo tanto lontani dalla fine... dovrebbe arrivare nel giro di qualche capitolo. Non so quanti però... XD
E poi... scopriamo che Shin era l’artefice delle cimici, e perché le aveva messe...
Dulcis in fundo, un momento un po’ più dolce e comico per i due sposini... chissà quanto ci metterà Shin a farsi perdonare, eh? XD
Va beh... adesso me vi saluta.
Ringrazia e saluta i recensori dello scorso capitolo: aoko_90, LunaRebirth_, Martins, Kaori_, Delia23, 1sere1, Black_Princy, xthesoundofsea e Scandal!!!
Grazie mille *___*
E grazie infinite a Black_Princy, Ile cullen, Kaori_ e Martins per averla inserita tra le preferite!!!
Grazie mille! *si commuove*
Grazie infinite! *si inchina*

Ok, vi ho rotto, quindi me ne vado :D
Ci vediamo alla prossima, con un nuovo e scoppiettante capitolo!

Tonia

 

 

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Capitolo 15
*** Il limite del pericolo ***


Quindicesimo capitolo

Il limite del pericolo

 
 
 
Sento un leggero fruscio sfiorarmi la clavicola con immensa dolcezza, salire lungo il collo, e molto lentamente, cavalcare il profilo della mia guancia, morbida e arrossata. Mi sforzo di ignorarlo, distraendomi con gli attrezzi culinari che ho tra le mani e le delizie che preparerò per il mio piccolo, facendo affidamento sul mio autocontrollo. Quel tocco così effimero continua il suo percorso, lasciando che una scia di brividi si crei sotto i suoi passi lenti, facendomi sorridere con malizia e divertimento, ed infondo, anche con un po’ di astuzia. 
I miei occhi brillano, ma tentano di mascherarlo, concentrandosi sul pane che ho tra le mani. La mia lingua freme, ma è intrappolata nel mio gioco di sottile vendetta che Shinichi sta assaggiando, bacio dopo bacio. E nonostante le sue mani vadano ad imprigionare il mio corpo alla cucina, racchiudendolo in una gabbia calda e liscia, quella del suo fisico, non potranno far nulla per farmi voltare verso di lui e costringermi a perdermi nei suoi occhi blu, che infondo, quelli sì, avrebbero la capacità di far traslocare in Antartide il mio autocontrollo.
Deglutisco, ma non la smetto di ridacchiare, divertita dalla situazione. E’ anche Shinichi a farlo, rompendo il silenzio che è calato nell’aria dal momento in cui ci siamo svegliati, ed abbiamo raggiunto la cucina, pronti ad iniziare una nuova giornata.
“Sei fuori strada se pensi di farti perdonare con qualche bacetto.”
“Peccato che vorrei darti di più, ma non me lo permetti...”
Che tono malizioso che dovrebbe e potrebbe istigarmi, sa fare. Ma le sue parole non mi toccano, si frantumano.
“Peccato che io non voglia.” Ribatto, sostenendo il suo, di gioco, che si riaccende alle mie parole. Torna a baciarmi la pelle, imitando i movimenti fatti poco prima, ma avvicinandosi di più all’orecchio, facendomi rabbrividire. Ho troppi punti deboli che lui conosce fin troppo bene.
Così, appagato dal mio piccolo sussulto, continua a torturarmi il lobo, facendo aumentare a dismisura il mio respiro. Afferro il coltello, con il vano tentativo di ignorare le sue provocazioni, e continuo a deglutire, stavolta più freneticamente, per via dell’adrenalina. Sarei tentata a voltarmi, ma a causa dell’orgoglio, rimango ferma nella mia posizione.
“Sei sicura che non vuoi?” mi sussurra all’orecchio, ghignando.
“Certamente.”
Farcisco i cornetti, ed aspetto, con impazienza e qualche fremito di troppo, che lui si stacchi, e rinunci ai suoi propositi.
Ma testardo com’è, è un’illusione ridicola. Ed è la sua perseveranza a muovere le sue mani, ad adagiarle sulle mie, e a liberarmi del coltello, facendolo cadere sul ripiano della cucina.
Stringe la mia mano nella sua, e lo stesso fa con quell’altra. Porta le nostre braccia al mio corpo, facendole aderire per bene, stringendomi così, in una nuova e dolce gabbia. Socchiudo gli occhi, e godo delle sue attenzioni, sebbene una piccola parte di me stia ancora e disperatamente tentando di mantenermi.
“Peccato che il tuo corpo dica altro...”
Mi mordo il labbro, quasi incapace a rispondere. Un pizzico d’orgoglio riesce comunque a prevalere sulle mie pulsioni, spingendomi a continuare questa tortura.
“Peccato che non sappia parlare.”
Ribatto, ma lo sento ridere, come se avesse in pugno la situazione.
“E peccato che tu non sia brava a mentire...”
“Peccato che io non stia mentendo.” Recito, consapevole della mia farsa.
Ed essendolo altrettanto lui, Shinichi slega il suo abbraccio, ed afferrando la mia mano, mi fa girare su me stessa, obbligandomi a guardarlo negli occhi, e a far aderire per bene i nostri corpi. Lascia per un attimo la presa, fin quando non sento le sue braccia attorcigliarsi sulla mia schiena, avvicinandomi a lui.
E con - fin troppa - maestria, riesce ad avvicinare il mio viso al suo, e a baciarmi. Sento l’orgoglio disintegrarsi al contatto con le sue labbra così morbide, calde e straordinariamente belle, da spingermi a ricambiare quella lussuria. Con foga gli intrappolo il volto tra le mani, e mi lascio stringere al suo corpo, completamente in balia dei suoi movimenti. E senza nemmeno accorgermene, mi ritrovo sdraiata su qualcosa di comodo, e su un tessuto che somiglia molto a quello del divano.
“E’ mia impressione o mi hai perdonato?” sussurra, staccandosi dalle mie labbra per qualche istante. Rido, avvicinandomi al suo di orecchio, toccandolo.
“Sai com’è... dovevo farmi perdonare anche io.”
Ritorno a baciarlo con veemenza, ma ho l’obbligo di bloccarmi, nel sentire il campanello della porta suonare.
“No... è uno scherzo, vero?”
Mi chiede Shinichi, guardandomi ed assottigliando gli occhi, con aria bastonata e delusa, come se la colpevole di tutte le interruzioni fossi io. Scende dal divano, sbuffando, continuando a lamentarsi.
“Secondo me lo fanno apposta!”
Ridacchio, sebbene non sappia chi ci sia dietro alla porta, quando, nel frattempo, il campanello continua a suonare con insistenza.
Mi alzo anche io, mi ricompongo e mi affretto a prendere le maschere, affiancata da mio marito, tutt’altro che entusiasta di interrompere ciò che avevamo iniziato.
“Non ho il tempo di toccarti che qualcuno viene a rompere!”
Lo guardo torva, lanciandogli un’occhiataccia, seppur leggermente divertita. “Smettila di lamentarti ed indossa questa maschera.”
Obbedisce, ma prima di dirigersi verso la porta per aprirla, si gira verso di me, ridacchiando.
“Sappi che sarai tu a pagarne le conseguenze” mi intima, malizioso.
Lo ignoro, lanciando lo sguardo altrove. Ma nel mio profondo, so che non mi dispiacerebbe sdebitarmi con lui in quel modo.
Ma il fiume di dolci pensieri si scontra con la realtà, quando nel momento in cui Shinichi apre la porta, appaiono dinanzi a lui due uomini molto grossi, nei quali riconosco i rapitori di Conan. Sussulto, avanzando di qualche passo, nella paura che siano tornati a riprendersi mio figlio. Affianco - l’ormai - Wunderwaffe, nel tentativo di sentirmi più protetta, ma vengo superata dai due. Alla mia vista compare Cikage, moglie di Kemerl, col viso tirato e nervoso, e le mani congiunte.
Si fa spazio nella casa senza nemmeno salutarci, lancia lo sguardo in giro, per poi fissarlo su di noi, e schiarirsi la voce.
“Che bella prigione per il baby Kudo.”
Torturo il mio labbro, in tensione. Sento il respiro affannarsi, ma tento di mantenermi lucida. Ho gli occhi bloccati sulla sua figura maligna, spruzzante di nervosismo. Ma si sposta, e continua a girovagare, fermandosi dapprima sul salotto, per poi dirigersi in cucina. La vedo simulare una smorfia nell’osservare la colazione preparata, e lasciata in ultimata, sulla cucina.
“Anche la colazione... lo trattate un po’ troppo bene per i miei gusti.”
Si avvicina a noi, muovendo più volte le palpebre.
“Dobbiamo pur sempre farlo mangiare.” Le rispondo, anche se un po’ titubante.
“Come mai siete qui?” Le chiede Shinichi, facendola voltare verso di lui. Ma il tempo di un’occhiata e la donna vira altrove, dirigendosi verso il corridoio.
“Dov’è il moccioso?” Chiede, quasi spuntando veleno, osservandoci.
“E’ in camera, sta dormendo. Perché?” Continua a domandarle mio marito, camuffato da hacker.
Ma ancora una volta, lo ignora, avanzando verso la nostra camera. Lancio uno sguardo a Shinichi, per poi inseguirla, fino in stanza.
Conan, come pensavamo, è sdraiato al centro del lettone a pancia in giù, completamente abbandonato al sonno. Il suo respiro regolare e calmo mi dona un pizzico di sollievo, ma lo sguardo stizzito della dona non fa altro che farmi saltare i nervi. Che si azzardasse soltanto a toccarlo nuovamente, come ha fatto qualche giorno fa, che sarei capace di mozzarle tutte e dieci le dita delle mani. Ma, per fortuna, non si muove dalla soglia della porta, e si limita ad osservare.
“Dorme beato tra le coperte, al centro del letto matrimoniale. Quasi come se stesse con i suoi genitori...” afferma, facendomi rabbrividire. “Non mi piace.”
E se Kemerl avesse spifferato tutto? In fondo non è così improbabile ed impensabile. E’ pur sempre la moglie, e il suo obiettivo, dovrà essere pur sempre quello di ucciderci. Ma ripensando a lui, a ieri, e alle parole che mi ha detto, questa prospettiva non mi appare più l’unica da percorrere.
La donna, infatti, gira i tacchi e avanza verso il salone, seguita dai due uomini. Si ferma, accomodandosi sul divano, e congiunge le mani in pugno, per poi appoggiarci il viso sopra.
“Sono qui per te.” Soffia velocemente, rivolgendosi alla sottoscritta. Sebbene un po’ sorpresa, la invito a continuare, con un cenno del capo.
“Ho un lavoro, ma dobbiamo parlarne con gli altri. Alla base.”
Annuisco, leggermente impaurita. Non promette nulla di buono tutto ciò, e il suo sguardo ne è la conferma. Ma è in quello di Shinichi che trovo la forza di credere e di andare avanti, perché è solo grazie a lui che non ho più paura di nulla. Mando giù un po’ di saliva, per poi tornare a fissarla.
“Perfetto, andiamoci” le comunico, facendola alzare. Passa dinanzi a mio marito, ma prima di sorpassarlo, gli poggia una mano sul petto, con fastidio.
“Tu rimani qui.”
Shinichi strabuzza gli occhi, preoccupato. “Perché?”
La donna, però, lo ignora, e fa cenno ad uno dei due uomini di avvicinarsi.
“Tu starai con il moccioso insieme a Wunderwaffe, mentre lei sarà via.” Gli impone con durezza, facendolo annuire.
Io, invece, sono totalmente scioccata. Ma dove dovrei andare? E perché senza Shinichi? Al solo pensiero di separarmene nuovamente sto male. Ho paura che qualcos’altro possa accadere, che non tutto vada per il verso giusto, e che succeda l’imprevedibile.
“C-cosa? Perché... dove andrà Vanille?” chiede il mio uomo, ma forse con un tono un po’ troppo preoccupato.
“Senti, Wunderwaffe, le domande le faccio io qui. E poi, non mi piace come state trattando il ragazzino. Questo non è un hotel a cinque stelle! Deve capire che non può fare i suoi comodi.” dice, muovendo una lingua che spruzza cattiveria.
“Akito,” indica l’uomo che dovrà prendere il mio posto, in questi giorni “rimetterà le cose apposto. Non voglio colazioni. Al massimo un pranzo al giorno, e non voglio che dorma sul letto, al massimo nella vasca da bagno. Legatelo lì, affinché non possa muoversi, fategli anche capire che parlare sarebbe una buona cosa per lui. Non voglio che abbia di che svagarsi o quant’altro, insomma, ci siamo capiti.”
“Sì, signora.” Obbedisce l’uomo, annuendo. Io stringo i pugni, adirata.
“E’ il figlio di Kudo, trattiamolo come merita.” Pronuncia ancora, ridacchiando maligna. La punto con gli occhi, storcendo le labbra.
“Ma ti rendi conto che è soltanto un bambino?!” le urlo contro, senza trattenermi. Non m’importa chi è e che poteri ha, ma non posso tollerare che faccia certi discorsi parlando di un bambino, mio figlio.
“Come scusa?” domanda, stizzita, come se mi stesse invitando a ripetere ciò che ho detto.
“E’ un bambino! Ma come fai ad essere così...”
Sento qualcuno tossire, con l’intenzione di richiamarmi. “Se questo è quello che vuole signora lo faremo. Non si preoccupi.”
E’ Shinichi a parlare, attirando la sua attenzione. Mi giro verso di lui, e lo vedo farmi un segno con le dita. Mi sta intimando di zittirmi.
“Ma Vanille può riuscirci benissimo. Lasci che rimanga lei.”
“No, mi serve per un lavoro.” Pronuncia ancora, inaridita.
Poi si volta verso di me, e comincia a camminare, richiamando l’altro uomo.
“Andiamo, non c’è tempo da perdere. Akito rimani con Wunderwaffe, e sveglia il moccioso!”
“Ma!” prova ad obiettare Shinichi, portando una mano avanti.
Non ho il tempo di oppormi, che l’omone mi afferra per la maglia e mi trascina via, fuori dall’appartamento, sbattendo dietro di sé la porta. Scompare dalla mia visuale il volto preoccupato di Shinichi, mentre mi assale la nostalgia e la voglia di scappare.
Senza mio figlio e mio marito, sento che adattarmi a questa vita è un po’ troppo per me.
 
*
 
E mentre sono nell’auto che mi riporterà alla base, affogo il mio sguardo nel mare di Tokyo, dove osservo persone e famiglie camminare felici e sereni, vivendo una vita che sa di normale. La moglie di Kemerl è seduta al mio fianco, e di tanto in tanto mi manda occhiate strane e profonde, per poi abbassare il capo nel momento in cui la osservo anch’io. L’auto si arresta ad un semaforo, e la donna continua a guardarmi, con aria curiosa.
Cerco di ignorarla, ma non posso fare altro che donarle la mia attenzione, nel momento in cui mi tocca la gamba con due dita, facendomi voltare.
“Devi dirmi qualcosa?” le chiedo, infastidita e nervosa.
“Vorrei... anzi, voglio... sì, insomma... voglio un consiglio.”
Serro le palpebre, incredula. “Da me?”
“Sì, da te.”
“Ovvero?” Inarco un sopracciglio, invitandola a continuare. Il suo atteggiamento è mutato completamente nel giro di qualche minuto. La sua parlantina è scomparsa, e sembra che l’imbarazzo le abbia mangiato la lingua. Arrossisce un po’, al pensiero di ciò che dovrà dirmi.
“Vorrei sapere... come fai a... come mai gli uomini cadono ai tuoi piedi. Ecco.”
“Cosa?”
“Hai capito bene. Tu attiri gli uomini, l’ho notato anche con Wunderwaffe, poco fa.”
Rabbrividisco.
“Non so di cosa parli.” Soffio acida, sebbene non sappia cosa risponderle.
“Ehi, non sono nata ieri io. Quando sono entrata nella casa, ho capito che stavate facendo certe cose...” Dice, facendomi arrossire, al di sotto della maschera.
“C-che?” Balbetto, in imbarazzo. “Cosa?!”
Distolgo anche lo sguardo, ma la donna prosegue.
“Beh, il divano in disordine, il cornetto lasciato lì, sul tavolo... sai sono stata moglie anche io.”
Serro le palpebre, osservandola.
“Io non sono la moglie di Wunderwaffe!” Mi affretto a chiarire, con troppa irruenza forse.
Lei mi guarda, poi si mette a ridere. “Sì lo so. Intendo che, sapevo quello che stavate facendo, avendo visto cose che ho visto a mio tempo. E poi, osservando Wunderwaffe...” sospira, sognante.
“Osservando Wunderwaffe... che?” la scimmiotto, ma con un tono molto più infastidito. Non mi piace che faccia certi sospiri al suono del nome di mio marito.
“Ci ha aperti la porta con una canottiera a giro maniche, e con un bermuda. Non mi aspettavo...”
“Non ti aspettavi... che?”
“Che avesse un così bel fisico! Nel toccarlo prima, ho sentito i suoi addominali, e le braccia erano molto muscolose, così come il collo...”
Ripenso all’immagine di Shinichi prima di andare ad aprire la porta. La prossima volta dovrò ordinargli di mettersi qualcosa di più coprente, non mi piace che questa pazza si faccia i filmini mentali su mio marito.
“No, ma cosa dici! è impressione! Sì, sì! E poi a letto non è un granché, e poi il viso, insomma con tutti quei brufoli!” Recito, nel tentativo di dissuaderla. Lei mi guarda furbetta, sorridendomi.
“Allora avevo ragione! Ci sei andata a letto!”
Annuisco, disinvolta. Se proprio devo farla questa farsa, facciamola bene.
“Sì... due, tre volte.”
O forse un milione...
“E l’hai presa tu l’iniziativa?”
Veramente la prende sempre lui.
“Sì, ovviamente.”
“Lui è timido, eh?”
“Timidissimo, non sai quanto...”
Come stamattina...
“Un po’ come mio marito.”
Prego?
Mi volto a guardarla, quando vorrei scoppiarle a ridere in faccia. Da quando Toichi Kemerl è timido? Riesco a trattenermi, schiarendomi la voce.
“Sì... beh, io, vedi... dovrei, forse... non so, potrei... ma, insomma...” comincia lei, a monosillabi.
“Non ho capito nulla.” La blocco improvvisamente, interrompendo il suo balbettare.
“Beh, non è facile parlarne...” si scusa, un po’ in imbarazzo. Mi fa quasi pena.
“Ma stiamo parlando di...?”
Questa donna ha qualche complesso di troppo, e non vorrei che la causa di tutto ciò sia...
“Toichi...Sì, insomma, noi non abbiamo più di quei rapporti. Tu non potresti darmi qualche consiglio?”
Mi ritrovo a fare la consulente amorosa alla moglie del mio ex fidanzato che prova ogni secondo ad uccidere me e tutta la mia famiglia. Stravagante.
“E se posso permettermi... perché?” le chiedo, quasi divertita.
“Beh.. è come se non si creasse l’occasione... Per favore, dammi qualche consiglio! A te gli uomini cadono ai piedi!” esclama, mentre l’auto continua a percorrere il suo tragitto. Dovremmo quasi essere arrivate a destinazione, ormai.
“Ehm...” provo a rispondere, ma in realtà vorrei solo ridere. “Potresti provocarlo... provaci.”
“Tu dici?” esita, con un’espressione per nulla convincente. Passano velocemente alcuni minuti, durante i quali la donna mi appare pensierosa e turbata, assorta nelle sue idee. Infatti, taciturna, sembra essersi anche dimenticata di scendere dall’auto dell’uomo che ci ha accompagnati alla base. La sento richiamare da lui, mentre da sola mi dirigo verso l’entrata, bussando alla porta. Riesco a rilassare qualche nervo nel vedere Heiji che viene ad aprirmi sornione, aspettando con pazienza che la moglie di Kemerl mi imiti. Mio cognato mi saluta con un misero cenno del capo, e non sembra affatto interessato al motivo per cui sono qui con loro, adesso. Comincio a mordermi il labbro, in evidente difficoltà. Sicuramente sarà arrabbiato con e per Shinichi, ma probabilmente proverà rancore anche verso di me, la causa principale del litigio con il suo amico. Vorrei parlargli, ma il dovere mi chiama ed ha la voce di Gin.
L’uomo ci porta nell’appartamento sotterraneo, dove, dopo due giorni, rivedo la maggior parte degli scagnozzi di Kemerl, compreso il loro capo. Nel notarmi arrivare, l’uomo azzarda un sorriso benevolo, che si spegne all’arrivo della moglie che, intanto, sembra aver ripreso il suo atteggiamento fastidioso ed irritante.
“Ci siamo tutti?” chiede, osservandoci, ma il tono non sa di domanda, piuttosto di controllo. “Ok.”
“Il politico statunitense James Smith è un uomo residente in Giappone, molto ricco, con cui abbiamo già intrattenuto parecchi affari in questi mesi. Gin ha avuto l’onore di dirigere alcuni traffici di sostanze stupefacenti prelevando i soldi dai suoi vari conti, mentre io ho avuto modo di parlare con lui per telefono, in merito ad alcune elezioni. Purtroppo, l’idiota, si è fatto beccare dalla sua governante strafatto di eroina, e la donna ha deciso bene di chiamare subito la polizia e l’ambulanza. In seguito alla notizia, l’uomo si è separato dalla moglie ed ha perso la sua rilevanza in parlamento. Attualmente è agli arresti domiciliari, ma non possiamo permetterci che spifferi qualcosa su di noi, non avendo più nulla da perdere.”
Ci spiega la donna, con il massimo della serenità e disinvoltura. Mi stringo nelle braccia, mentre mi chiedo cosa vogliono da me, e cosa c’entri io in questa storia.
Viene a chiarirmi le idee Gin, accostandosi di fronte a me. Averlo così vicino mi da il disgusto, ma non posso fare altro che assecondarlo, impossibilitata a reagire come vorrei.
“Tu...” dice, indicandomi. “Dovrai farlo cadere nella trappola. L’uomo è amante delle belle donne, e vederne una in carne ed ossa dopo tanto tempo non gli farà altro che piacere. Gli farai credere di essere lì per lui, di volergli regalare una bellissima nottata, e gli farai qualche carezza. Non farlo spogliare, spogliati tu. Bendagli gli occhi, giocaci un po’, e quando sei pronta, aspetta che arrivi io. Lo impiccheremo e faremo passare tutto per un suicidio. Capito tutto?”
“Eh?!”
Mi lascio sfuggire un gemito tra lo stupore e la paura, che attira l’attenzione di tutti i presenti su di me. Tossicchio, cercando di mascherarlo, mentre nel mio cervello risuonano le parole di Gin, e il compito che mi è stato affidato. Dovrei uccidere un uomo?
Sbianco al pensiero, totalmente succube del panico. Vorrei tanto che Shinichi mi fosse accanto in questo momento e che architetti qualche ingegnoso piano che possa tirarmi fuori da questa situazione.
Ma l’unico ad avvicinarsi nuovamente è Gin, che con il suo alito tra il fumo e l’alcool, mi priva del respiro.
“Allora? Hai capito tutto?”
Annuisco, senza nemmeno volere. Alzo leggermente lo sguardo verso Heiji, che sembra volermi dire qualcosa usando i suoi occhi.
“Partiremo io e te, da soli. Tre giorni e poi rientriamo.”
Scatto il capo verso quello dell’uomo che mi sta parlando.
“S-Soli?” Dovrei stare tutto quel tempo, da sola, per giunta a Niigata, con Gin? A lui farebbe sicuramente piacere, così da completare quello che ha iniziato qualche giorno fa, ma io come farò a difendermi? Potrei usare il karate, ma se lui avesse delle armi, e ce le ha, cosa farei?
“Sì, bellezza... soli.”
“Vengo anche io.”
E’ lo spiffero di una voce familiare, che proviene dal fondo della stanza. E’ quella di Kemerl. Si è alzato dalla poltrona sulla quale era seduto, e si è avvicinato al suo subordinato, incutendogli un minimo di paura.
“Ma Toichi...” bisbiglia la moglie, palesemente contraria. Io mi torturo le mani, ancora più in difficoltà. Di male in peggio direi.
“Capo ma è inutile... ce la caveremo perfettamente.” Lo rassicura Gin, ma lui non sembra demordere.
“Niente ma... vengo anche io.” Ripete nuovamente, con un tono ancora più deciso. Alzo gli occhi e lo trovo ad osservarmi e a sorridermi. Vorrei tanto decifrare quegli innumerevoli sorrisi che mi regala, ma la situazione non mi permette di concentrarmi su queste sottigliezze.
La situazione mi dice che devo stare, da sola, tre giorni con Gin e Kemerl per uccidere un uomo che, nonostante tutto, non merita di morire. E la situazione non mi piace per nulla.
“Vengo anche io allora.” Stavolta è Heiji a parlare, attraverso la voce di Nishi.
E stavolta l’attenzione dei presenti è presa dalle sue parole, così dirette e... inadeguate.
Mi volto anch’io verso di lui, stando attenta a non chiamarlo per nome per chiedergli spiegazioni.
La moglie di Kemerl e Gin gli mandano un’occhiata torva, mentre il nostro capo si lascia andare ad un’altra risatina.
“Non abbiamo bisogno di te.” Sputa fuori la donna, seguita a ruota da Gin.
“Ho una buona mira, casomai servisse, potrei esservi d’aiuto.”
“Ti abbiamo detto che non...”
“Perché vuoi venire?” gli chiede Kemerl, puntando gli occhi nei suoi, con decisione.
Heiji riesce a mantenere fisso lo sguardo, sebbene sia un po’ in difficoltà.
“L’ho detto... potrei servirvi.”
“Non abbiamo bisogno di un cecchino.”
“Ma forse di un uomo in più sì...”
E durante il discorso, i nostri volti guizzano da Heiji a Kemerl, come se tutti stessimo assistendo ad una partita di tennis, una di quelle più avvincenti.
Ma la nostra attenzione ricade nuovamente sul viso del nostro capo, che riprende parola.
“Tu pensi che io ti creda?”
Sbianco, e penso lo stia facendo anche Heiji, sotto quella faccia di plastica. Non penso abbia intenzione di svelare le nostre identità, e di scatenare guerra in sede stante, però...
“Perché non dovresti?”
Il mio ex fidanzato fa spallucce, e sorride.
“Forse non ti va giù che la bella Vanille parta da sola con due uomini...”
Abbasso il capo, evitando il suo sguardo, mentre mio cognato rimane per un po’ in silenzio, incapace a rispondere.
“Vanille sa cavarsela... non ha bisogno di me.” Recita, forse anche un po’ male.
“Nemmeno noi.” Risponde Kemerl, ghignando. Attraversa l’intera stanza, fissandolo con tenacia, per poi darci le spalle, a tutti.
“E’ deciso allora. Partiamo io, Vanille e Gin, domani. Andate a preparare le valigie ragazzi.”
Heiji stringe i pugni amareggiato, mentre io rimango basita ad osservarlo andarsene.
Ma è sempre lui, prima di lasciare l’appartamento, a riavvicinarsi, e a mandarmi uno dei suoi soliti sorrisi enigmatici.
“Dimenticavo, cara Vanille... andremo a Niigata.” Mi avvisa, ghignando. “Contenta?”
Distolgo lo sguardo, evitando il suo.
“Contentissima...” Rispondo, con grave amarezza.
In fondo lo sapevo già. Non sono mai stata simpatica al destino.
 
*
 
“Grazie per averci provato.”
Rompo il silenzio che è caduto su di noi, e che aveva raggelato l’atmosfera, dal momento in cui Heiji ha deciso di riaccompagnarmi a casa. Dopo essere usciti dall’appartamento, con la grazia improvvisa di Kemerl, abbiamo potuto raggiungere l’auto, nel sostanziale mutismo di mio cognato che, alle mie parole, ricambia con un abbozzo di sorriso, senza staccare gli occhi dalla strada.
“Ho fallito però.” Rammenta amaro, continuando a fissare le macchine dinanzi a lui. “Come sempre.” Aggiunge, dal tono ancora più aspro e pungente, probabilmente percosso dalle parole pesanti di Shinichi. Abbasso lo sguardo verso il tappetino, ma repentinamente torno a guardarlo. Non riesco a sopportare debbano comportarsi in questo modo!
“Heiji...” lo richiamo, ma il suono del suo nome non attira la sua attenzione. “Shinichi era arrabbiato quando ha detto quelle cose... sai bene che non le pensa davvero.” Provo a chiarire, convinta di ciò che stia affermando. So bene che mio marito stima tantissimo l’amico e collega, ma il suo carattere orgoglioso e testardo non gli permette di dimostrarlo appieno, e tende a creare disguidi e dissapori, che non hanno alcuna reale fondamenta.
Heiji sorride sarcastico, mantenendosi il capo con una mano, mentre l’altra mantiene il volante con sicurezza.
“Sì, come no.”
Allargo le palpebre, sospirando sorpresa.
“Dai Heiji... lui è fatto così. Non sembra, ma ci tiene a te!”
Gira di scatto il suo viso verso il mio, preso dalle mie parole. Sorride ancora, ma come se quello che stessi dicendo fosse un’eresia. Poi torna ad osservare la strada, e a concentrarsi sulla guida.
“No... ci tiene quando ne ha bisogno.”
“Lui non è un approfittatore, lo sai.” Chiarisco immediatamente, sentendomi un po’ offesa.
“Non dico che lo sia. Dico solo che non mi ha mai visto alla sua altezza! Io ho sempre fatto di tutto per lui! Mi sono finto lui per depistare i tuoi sospetti, ho indagato per tirarlo fuori da guai, mi sono messo a disposizione per i suoi piani... rischiando la vita, e senza mai chiedere nulla in cambio!* E qual è il ringraziamento!? Questo!?”
“Heiji...” soffio amara, ma non faccio in tempo a dire altro, bloccata nuovamente dalle sue parole.
“Mi hai visto quando pensavamo fosse morto, no? Hai visto come stavo male?! Se ho fatto tutto questo è stato solo per lui!”
“Ma Heiji...” continuo a chiamarlo, nel tentativo di farlo ragionare.
“E poi... chi è che si è sempre considerato il suo migliore amico? Eh? Io! L’hai mai sentito apostrofare me come suo migliore amico?! Prima credevo non lo dicesse per carattere, ma adesso ho capito che non l’ha mai pensato... sennò, se davvero mi avesse considerato come un fratello, avrebbe fatto affidamento su di me, e non su Kid!”
Abbasso il capo, rendendomi conto che provare a parlare oltre sia sostanzialmente inutile. Ma, in fondo, cosa dovrei dirgli? Sebbene ami e adori Shinichi, Heiji ha le sue ragioni per comportarsi così, e nessuno potrà mai fargliele cadere. Così, mentre il silenzio torna a calare nell’autoveicolo, aspetto che la macchina arrivi a destinazione e che mio cognato sbollisca un po’ la rabbia, distraendosi nella guida. Dopo alcuni interminabili minuti, finalmente riesco ad intravedere dal finestrino il fabbricato dell’appartamento dove, negli ultimi giorni, ho vissuto con Shinichi. Scendo dall’auto repentinamente, desiderosa di rivedere Conan e mio marito, e preoccupata per la sorte dei due a causa della presenza di Akito.
“Non sali tu?”
Mio cognato scuote il capo, simulando una smorfia. Aspetta che chiuda lo sportello per dare gas all’auto, e scomparire dietro la prima curva della strada. Sospiro rassegnata, e avanzo verso l’appartamento. Apro la porta, facendo scattare le varie serrature, ritrovandomi di fronte il soggiorno, inghiottito nell’oscurità. Non vi è traccia né di Shinichi né di mio figlio. Cammino un po’, ed accendendo le luci,  ritrovo Akito seduto sul divano ad aspettarmi, con le braccia incrociate.
"Wunderwaffe?"

 
 
 
***
Precisazioni:
(…)Mi sono finto lui per depistare i tuoi sospetti, ho indagato per tirarlo fuori da guai, mi sono messo a disposizione per i suoi piani... rischiando la vita, e senza mai chiedere nulla in cambio! (…):
Heiji si riferisce, rispettivamente, ai casi del Cavaliere Nero, dello Shiragami, e dell’Halloween Party.
***




Angolino autrice:
Lo soooooo!!! Sono imperdonabile!! Ultimamente non riesco proprio a concentrarmi sulla scrittura, e poi, quando lo faccio, cerco di rendere le cose al meglio...
essendo questi gli ultimi capitoli :) Spero che, almeno, ci stia riuscendo XD 
Allora... Shinichi e Ran vengono nuovamente interrotti XD e stavolta Shin se la prende, poverino XD
Avevo forse detto che non ci sarebbero state più scene hot? Cosa volete da me, questi genitori sconsiderati non pensano ad altro! :P
Così a spezzare l'atmosfera, in casa Wunderwaffe/Kudo, arriva Cikage con i suoi uomini e nota che Conan se la sta praticamente spassando... e così, lascia che Akito si occupi del bimbo, mentre porta Ran alla base per affidarle un compito! Proprio così.. dovrà partire per tre giorni da sola con Kemerl e Gin, come la prenderà Shinichi? XD
E la moglie di Kemerl che chiede consigli sessuali a Ran?! XD e lei che fa la gelosona! "No, è tua impressione!" XD Se se XD
Ed Heiji, invece, che ha provato a salvare la situazione ma... Kemerl non gliel'ha permesso? Secondo voi, perché?
E che ne pensate di Hattori che si sfoga con Ran... e quest'ultima che arriva a casa e trova Akito con aria inquietante seduto sul divano, immerso nell'oscurità?
Fatemi sapere cosa ne pensate! 
Ringrazio Il Cavaliere Nero, aoko_90, LunaRebirth_, Delia23, Kaori_, Scandal, Martins, xthesoundofsea e Black_Princy per aver commentato il precedente capitolo!
Grazie anche a Scandal per aver inserito la storia tra le preferite, e MildeAmasoj per averla inserita tra le seguite!


Alla prossima!
Besos,

Tonia

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Capitolo 16
*** Ladro, poliziotto e detective ***


Sedicesimo capitolo

Ladro, poliziotto e detective

 
 
L’uomo dinnanzi a me tiene le braccia incrociate e una gamba sull’altra, mentre sul viso sfoggia un potente sorriso malefico e subdolo. La sua statura e la sua forza mi inquietano, mozzandomi il respiro. Avanzo di qualche passo, con gli occhi sgranati e impauriti. Comincio ad affannarmi, ma nel tremore trovo la forza di parlare ancora, scrutando la stanza con repentini movimenti del capo.
“Dov’è Wunderwaffe?” ripeto, ma Akito non si azzarda a rispondermi, anzi, continua a sorridermi, beffardo.
“Ehi... ti ho chiesto dov’è Wunderwaffe!”
Gli sbraito contro, fuori di senno. Ogni pensiero si tinge di paura, e aumenta a dismisura nel non vedere né Shinichi né Conan. L’uomo non risponde, ma tramuta il suo sorriso in un ghigno fastidioso, per poi ridacchiare fragorosamente. Muovo verso di lui velocemente, un po’ timorosa, ma spinta da una forza di cui ignoro la provenienza.
“Ah, adesso lo chiami Wunderwaffe...  eppure credevo si chiamasse diversamente.”
Le iridi allargate a dismisura, gli occhi neri, ma per nulla profondi, sciapiti, mi scrutano con violenza. Il mio respiro si fa sempre più rumoroso, mentre l’angoscia mi porta ad indietreggiare di qualche passo.
Akito rimane fermo, seduto sul salotto, con la pancia che va a nascondergli buona parte del bacino. Continua a ridacchiare, malefico. Io sento le forze venir meno, e il terrore a tenermi sveglia.
“Dov’è il bambino?” riesco a domandare, nel panico. “Dov’è?!”
Indietreggio, faccio per andare verso le camere, ma la sua voce mi ferma ancora, seppur non riesca a captare la sua frase al momento.
“Il mostriciattolo? E’ qui con me, piccola...”
Faccio ancora un piccolo passo in avanti, quando, riascoltando con più calma le parole, mi giro verso il mio interlocutore. E lui è ancora lì, che ride, contento e soddisfatto.
Fiero.
E a me verrebbe solo voglia di spaccargli quel bel faccino che ha.
Assottiglio gli occhi, mentre sento tremare un sopracciglio. Stringo con titubanza le mani in pugni, nel tentativo di frenare la tempesta d’ira che mi sta prendendo l’anima e il corpo, e che presto assaggerà anche lui. Oh sì che lo farà.
E quando comincia a capire che le cose, per lui, si stanno mettendo male, decide finalmente di interrompere la sua farsa. E dalla sua pancia, accovacciato, esce fuori nostro, suo in questi casi, figlio, sorridente e gioioso. Mentre lui tira da un lato la maschera, portando via un po’ anche il viso divertito.
 “Dai Ran! Era uno scherzo!”
Che simpaticone che è.
Ma io non mi muovo, lo fisso, lo torturo con gli occhi, affinché con la sola forza dello sguardo possa capire cosa deve aspettarsi.
Shinichi si alza dal divanetto, seguito da nostro figlio, e para le mani avanti, forse per difendersi.
Hai forse paura, caro?
“Non ti è piaciuto lo scherzo?” continua a dire, sorridendomi, ma questa volta un po’ più teso.
“Dai mamma! Era carino!”
Abbasso gli occhi verso mio figlio, fulminandolo con lo sguardo. Vorrei sapere dove sono nascosti tutti i loro neuroni e rispettivi collegamenti quando, a padre e figlio, vengono questi geniali idee.
Siamo minacciati di morte giorno e notte, e loro pensano a creare teatrini.
“Di chi è stata l’idea?” mi informo, ma tanto per cronaca. Mio marito, o quello che reputavo una persona intelligente, sa già bene che tutte le pene le dovrà pagare lui.
E alla mia domanda, padre e figlio, quasi come se condividessero insieme un solo neurone, si accusano a vicenda, puntando gli indici uno contro l’altro.
“Sua!”
Mi schiarisco la voce, tossicchiando, avvicinando un pugno alle labbra. Aspetto che nei miei uomini (sebbene non sia proprio il sostantivo esatto per definirli) il terrore salga così in alto da drizzare quei capelli ribelli che hanno. E che, prese dallo sgomento, le loro gambine comincino ad indietreggiare sul pavimento, in preda alla paura. Socchiudo le palpebre, mentre tengo le braccia incrociate al petto.
Deglutisco, e caccio tutta l’aria che ho nei polmoni, facendo quasi tremare le mura.
Ma sì, che mi senta tutta Tokyo.
“VI SEMBRANO SCHERZI DA FARE QUESTI?!? MI AVETE FATTO VENIRE UN INFARTO! NON PERMETTETEVI MAI PIU’!! AVETE CAPITO?!?!”
Sospiro, e lentamente, riesco a calmarmi.
“Sì...Scusa.” Recitano all’unisono, abbassando lo sguardo al pavimento, ed unendo a tratti gli indici delle mani in segno di resa.
Shinichi alza repentinamente lo sguardo su di me, per poi riabbassarlo nel momento in cui lo fisso io. Stizzita, li evito, e mi rifugio in cucina. Loro mi seguono silenziosi, senza osare a parlare. Guardo mio figlio, che tenta d’intenerirmi con un viso da cucciolo bastonato e con due grandi occhioni blu oceano. In effetti, ci riesce, ma come non potrebbe? Gli dono un sorriso come perdono, mentre al padre, che cerca di fare altrettanto, mando soltanto qualche occhiata torva e sinistra.
“Hai pranzato?” domando a Conan, ignorando completamente Shinichi.
“Non ancora. Stavamo aspettando te.” Mi risponde, con voce ingenua.
“Ok.” Annuisco, ma prima di continuare, torno a guardare mio marito.
“Ma dov’è Akito?” gli chiedo,  curiosa. Shinichi, divertito, mi fa cenno di seguirlo, mentre chiedo a Conan di cominciare a preparare la tavola. Attraversiamo il salone e la stanza da letto, fino a ritrovarci nel bagno. E prima d’aprire quella porta, mio marito si volta verso di me, e comincia ad imitare la voce della moglie di Kemerl, in tutta la sua melodrammaticità.
“Non voglio colazioni. Al massimo un pranzo al giorno, e non voglio che dorma sul letto, casomai nella vasca da bagno. Legatelo lì, affinché non possa muoversi, fategli anche capire che parlare sarebbe una buona cosa per lui. Non voglio che abbia di che svagarsi o quant’altro, insomma, ci siamo capiti.” Ripete alla lettera, con un tono alterato e comico, tutto ciò che aveva detto la donna stamattina, ed apre la porta, mostrandomi all’interno l’uomo, legato alla vasca da bagno, che tenta di dimenarsi in tutte le posizioni. Strabuzzo gli occhi nel vederlo in mutande, e con un pezzo di carta adesiva a coprirgli la bocca, impedendogli di parlare. L’omone si volta verso di noi, fissandoci con terrore, allargando al massimo le iridi.
“Detto... fatto.” Esclama fiero Shinichi, ghignando nell’osservare l’uomo in preda all’angoscia, e forse anche allo sgomento nel vedere che i coinquilini di casa siamo proprio noi. “Oh, non gliel’ho data la colazione.”
Ridacchio anch’io, leggermente divertita.
“Ma che hai fatto?” gli chiedo, mentre l’uomo continua ad osservarci basito.
“Quello che ha ordinato la pazza. Ricordami di dire a Richard di soddisfarla di più.” Esclama, chiudendo la porta della toilette dietro di sé. Lascio che la notizia faccia il giro della mia mente e che prenda nitidezza. Poi mi blocco d’un tratto, osservandolo stupita.
“...E tu come lo sai?!”
Lui ride, mentre mi segue in camera da letto dove, puntualmente, il letto non è aggiustato. E’ più forte di me, devo comportarmi da donna di casa anche nel caso in cui la casa non è mia.
“Io so sempre tutto.”
“...Hai sentito?” gli chiedo, leggermente imbarazzata. Non so com’abbia fatto, ma conoscendolo, qualche stratagemma avrà inventato.
“Certo.” Mi si avvicina, e circondandomi la schiena con un braccio, si stringe a me, ma si ritira poco dopo, con qualcosa tra le mani.
“Con questa.” Mi avvisa, mostrandomi la ricetrasmittente che, non so quando e né come, mi ha piazzato addosso.
“Ma... ma quando l’hai messa?!”
“Poco prima che ti portasse via. Non potevo permettermi di non sapere cosa volesse da te...”
“Ah...” soffio, aggiustando le coperte.
Torna ad intrappolare la mia schiena fra le sue braccia, sussurrandomi qualcosa all’orecchio.
“E poi chi è che a letto non sarebbe un granché?” chiede malizioso, facendomi arrossire di colpo.
Ha sentito proprio tutto di quella conversazione a quanto pare!
Lo allontano da me, in imbarazzo, per poi borbottare qualcosa. Vedendolo ghignare, decido di non dargliela vinta, e torno a guardarlo, con decisione.
“Tu.”
“Io?” domanda, come se l’eventualità fosse impossibile.
“Sì, tu.” Riconfermo, ma con voce meno seria, e rotta dalle risa.  “Che c’è la verità fa male?”
“La verità, eh...” mi guarda con gli occhi assottigliati, e sopracciglio tremante.
“Ah! Sì... Shinichi, continua... sì, ah, non ferm...” tenta di imitarmi, e ghigna sorridente, facendomi divenire paonazza.
“SMETTILA IDIOTA!” Lo fermo, tra l’ira e l’imbarazzo, per poi abbassare la voce. “C’è Conan di là!”
“La verità è sempre una sola.” Recita la sua massima, fiero ed orgoglioso.
Lo guardo torva, con sguardo fulminante.
“Piuttosto... hai sentito anche quello che dovrò fare, allora...” Cambio repentinamente discorso, percependo che il precedente sia solo una battaglia persa in partenza con lui.
Shinichi annuisce col capo, stranamente molto tranquillo. Non accenna a dire altro, aspetta che sia io a parlare.
“...e non ti da fastidio?” gli chiedo, curiosa.
Mio marito assottiglia gli occhi, infastidito.
“Credi davvero che ti faccia andare a Niigata con quei due, da sola?”
“Ah ecco, mi sembrava strano...” ridacchio, sentendomi finalmente sicura.
“E cosa pensi di fare?” continuo a domandargli, avvicinandomi a lui.
“Ho già ho un piano, Kid dovrebbe arrivare a momenti per ultimarlo.” Annuncia, circondandomi il bacino con le braccia.
“Di nuovo lui?”
“Chi credi me l’abbia data la maschera di Akito, eh?” mi informa indirettamente della grande idea che hanno avuto, nella quale forse si nasconde anche quel ladro.
“Gli dai molta fiducia...” azzardo, riprendendo il discorso fatto con Heiji poco fa. Sussulto, nel capire che, se Shinichi ha ascoltato davvero tutto, ha anche sentito le parole offese dell’amico in auto, mentre mi riaccompagnava a casa.
“Beh, mi sta aiutando...” mi informa lui, rimanendo sul vago. Credo che questo tipo di discorso non lo metta a suo agio. Poco importa.
“Anche Heiji lo sta facendo.” Gli ricordo, casomai lo dimenticasse.
Lui sbuffa, distanziandosi un po’ da me. Rimane in silenzio, abbassando il capo, senza azzardarsi a rispondere. Così, una volta sistemato il letto, mi riavvicino a lui, alzandogli la testa con un dito sotto il mento.
“Sta male per quello che gli hai detto.” Dico, cercando di convincerlo ad abbandonare il suo orgoglio.
“Hai sentito, no?” Domando, rifacendomi alla ricetrasmittente.
Lui sospira, mandando lo sguardo altrove. “Sì, quante stronzate...”
Scatto, inaridita. “Stronzate? Ha ragione Shinichi!”
“Lui crede io sia un menefreghista!” Sbotta, puntando gli occhi nei miei.
“No, è deluso perché tu non gli hai dato fiducia! Lui si considerava il tuo migliore amico, e adesso è convinto di non esserlo mai stato. Ma si sbaglia, vero Shinichi?”
Lui mi guarda, senza parlare stavolta. Aspetta che io finisca, e che sia io a tirargli le parole di bocca.
“Si sbaglia, vero?” ripeto, affondando i miei occhi nei suoi. Passa qualche istante interminabile, dove il mio detective sembra rimuginare su cosa dire, ed assicurarsi quasi che non lo ascolti nessuno in quella stanza. Dannato orgoglio, lo sta divorando.
“Certo che si sbaglia...” Ammette, distogliendo lo sguardo.
Sorrido, contenta che del piccolo passo fatto.
“Bene... ma non a me. Devi dirlo a lui.”
Sbuffa, fingendosi seccato, quando in realtà so che il solo pensiero di scusarsi lo imbarazza.
“S-sì, p-prima... o p-poi...” balbetta, volendo rimandare la cosa ad un futuro un po’ troppo remoto. Sospiro, socchiudendo le palpebre.
“Meglio prima.” Gli ricordo, osservandolo minacciosa.
“Non c’è fretta... adesso pensiamo alle cose più importanti.” Si svincola dal discorso, evitandolo.
Tossicchio, riattirando la sua attenzione. Shinichi si ferma a guardarmi, ma prima di parlare, lo supero e faccio per dirigermi verso il corridoio, in cucina da mio figlio. Mi volto nuovamente verso di lui, ghignante.
A mali estremi, estremi rimedi.
“Ok. Non faremo l’amore finché non glielo dirai. Ma tanto non c’è fretta, vero?”
Shinichi si ferma qualche istante a captare per bene la frase, aspettando che l’intero suono arrivi alle sue orecchie. E quando lo fa, lo vedo sbiancare, e serrare le palpebre all’impossibile.
“EH?!?”
E fischiettando felice raggiungo Conan in cucina, lasciandolo da solo al capezzale.
In fondo, credo che faranno pace prima del previsto.
 
*
 
Osservo le lancette dell’orologio scoccare le sei del pomeriggio, creando un segmento verticale che in un secondo scompare dalla mia vista. Porto lo sguardo su Shinichi, che mi osserva col broncio, sorreggendosi il capo con una mano, con il gomito appoggiato al tavolo. Non sembra molto d’accordo col patto che ho stabilito, ma se è l’unico modo per velocizzarlo, ben venga.
Nell’attesa mi sono sistemata di fronte a mio marito, nella sua medesima posizione, e di tanto in tanto lo osservo, ridacchiando. In cucina non vi è nessun rumore, se non quello ticchettante e fastidioso dell’orologio.
A spezzare quest’opprimente silenzio, sopraggiunge dal nulla una figura, che tra il fumo colorato e il rumore provocato, ci fa sobbalzare dalle sedie, e mancare un battito al cuore.
“Eccomi signori. Mi stavate aspettando?”
E la sagoma si definisce, portando man mano alla luce il volto e il fisico di Kaito Kid, ormai amico-complice di mio marito.
“Kid, quale parte non ti è chiara della frase «Entrare come una persona normale»?!” gli domanda Shinichi sarcastico, assottigliando gli occhi.
L’uomo sfoggia una risatina, per poi sedersi a capotavola, scostando una sedia.
“Dov’è il piccoletto?” chiede, per poi poggiare le mani sul tavolo. Tra di esse vi è qualcosa di indefinito, che tanto somiglierebbe ad una maschera, ma che non riesco comunque a mettere bene a fuoco.
“Dorme.” Risponde mio marito, un po’ brusco.
“Perfetto.” Soffia, per poi allungare verso Shinichi quella stoffa che ha tra le mani e che, nell’aprirla, sembra proprio una maschera... quella di Gin.
“Ma... ma è Gin!” esclamo, un po’ sorpresa.
Kid annuisce contento, mentre Shinichi la indossa, stropicciandola un po’. Da un momento all’altro, la persona che più amo al mondo si trasforma in una che ho compreso di odiare, e che appartiene a quel gruppo di uomini con cui non vorrei mai avere a che fare.
Però, se sotto quei lineamenti c’è il mio, di uomo, quel viso non mi incute più tanta paura.
“Cavolo, sei identico!” sbotto, toccandogli il volto. La plastica è simile a quella della mia maschera, ma la qualità mi sembra migliore. Beh, in fondo non c’è da stupirsi su questo no? E’ di Kid che stiamo parlando.
“Passo per lui, sì?” chiede conferma Shinichi, sistemandosi il volto di plastica.
“Sei lui!” lo rassicura Kid sorridente.
“Tu e le tue maschere... è stata anche idea tua lo scherzetto di Akito, vero?” chiedo all’uomo, attirando l’attenzione. Lui inarca un sopracciglio, guardandomi ignaro.
“Scherzetto?” chiede, divertito. “Io non so nulla!”
“Sì, come no...”
“No, davvero... Kudo mi ha solo chiamato per farsi portare la maschera di Akito. Mi ha detto che gli serviva perché, casomai venisse qualcun altro dell’organizzazione, si sarebbe mostrato come lui e non come Wunderwaffe... e non avrebbe sortito sospetti.”
“Ah, è così?”
“Sì... perché, ti ha fatto qualche scherzo strano?”
Shinichi tossicchia infastidito, riattirando l’attenzione su di lui.
“Allora Ran... domani parto con te e Kemerl per Niigata, travestito da Gin. Nel frattempo, Kid prenderà il mio posto come Wunderwaffe, e si metterà d’accordo con...” si ferma un attimo, lanciandomi un’occhiata sinistra e dispettosa. “...Heiji per far cadere i restanti dell’organizzazione nella trappola. Verranno tutti a Niigata, e lì tenteremo, sperando di riuscirci, di farla finita.”
“Come li convincerete?” chiedo, rivolgendomi più a Shinichi che a Kid.
“Ricordi la foto che ti feci a Niigata?”*
Annuisco, sorridente. Qualche settimana fa, ignari di tutto quello che ci sarebbe capitato, io e Conan ci eravamo immersi nei ricordi del passato, ed avevamo rovistato alcune foto, tra le quali vi era una, in particolare, che attirò la mia attenzione. Ma perché quella foto potrebbe servire a qualcosa?
“Bene... Kid e Hattori...”
Tossicchio, ridacchiando. Shinichi assottiglia gli occhi, sospirando.
“Kid e Heiji la faranno vedere alla moglie di Kemerl, facendole credere che sia stata scattata in questi giorni. Hai visto com’è fissata con noi, no? Potremmo anche convincerla che suo marito potrebbe ripensarci su di te, e lei, schizzata com’è, farà partire tutti i suoi uomini per Niigata, compresi computer ed aggeggi vari.”
“E come li incastriamo?” chiedo, perplessa.
“Heiji chiamerà la polizia, li avviserà di tutto il piano, e si faranno trovare lì. D'altronde, Kemerl è ricercato in tutto il Giappone, e prendendo accordi anche con la polizia di Niigata, la cosa sarebbe abbastanza fattibile. Li attireremo tutti in un edificio abbandonato vicino al lungomare, è alla terza traversa del corso. Lo ricordi, no?”
Mi spiega, fin quando il suo tono non diviene malizioso. Terza traversa, corso. Brevemente ripercorro Niigata come se l’avessi vista ieri. In realtà, torno a sette anni fa, e all’incredibile corsa che feci per raggiungerlo, di notte. Sussulto, arrossendo un po’.
“E’ di fronte a quella spiaggia...” ricordo e penso a voce alta, con un velo di dolcezza e timidezza.
Kid ci guarda basito, fin quando non interrompe lo scambio di occhiate tra me e mio marito.
“Quale spiaggia?” s’informa, facendosi sussultare.
“Fatti gli affari tuoi tu, e pensa a collaborare.” Gli risponde brusco Shinichi, cercando di nascondere l’imbarazzo.
“Io... Kaito Kid... mi ritrovo a collaborare con gli sbirri per un detective mio arcinemico. A cosa mi sono ridotto.” Fa melodrammatico il ladro, per poi mettersi a ridere.
“Ok... e il politico?” domando poi, riattirando l’attenzione sulla questione principale.
“Avrebbe dovuto ucciderlo Gin, no? Problema risolto.”
“Ed io non dovrò andare da Smith per sedurlo?” mi informo, sorreggendo il capo con una mano poggiata sotto il mento.
“Ci andrai... ma la polizia sarà lì. Sarà una farsa per far credere a Kemerl che tutto stia andando come crede.” Chiarisce, per poi guardarmi sospetto. “Ovviamente non dovrai sedurre nessuno, eh.”
“Ok” annuisco, anche se mi sfugge un risolino. “...e Gin, come lo fermiamo?”
“A Gin ci penso io. Non preoccuparti.” Mi rassicura Shinichi, annuendo col capo. I suoi occhi sembrano cacciare fuoco e fiamme, alimentate da un ricordo non troppo piacevole di qualche sera fa.
“E poi...con Gin, ho un conto in sospeso...”
“Bene... a questo punto, si dovrebbe solo chiamare la polizia.” Informa Kid, interrompendo il fiume di pensieri violenti di Shinichi. Alle sue parole, i miei occhi guizzano su mio marito, invitandolo a prendere il cellulare e a chiamare l’amico, senza alcuna esitazione. Lo sento deglutire con fragore, per prendersi qualche istante di troppo per pensare.
E’ incredibile quanto sia cocciuto.
 “Beh, ma la polizia la potremmo chiamare anche noi, no?” chiede, voltandosi a guardare prima Kaito e poi me, speranzoso.
“No... Tu sei morto per loro, Kid non mi pare la persona adatta, ed io non avrei credibilità. Lo deve fare Heiji, lo sai.”
“Conan?”
“Shinichi!”
Sospira ancora, prendendo il cellulare.
Lo guarda per qualche secondo, per poi porgerlo al giovane uomo seduto a tavola con noi.
“Kid chiama Heij...”
Mi schiarisco la voce, affinché lui possa fermarsi nel parlare.
“Shinichi... devo forse ricordarti che...” lo minaccio, rinfrescandogli la mente per il patto fatto qualche ora fa. Lui fa per dimenarsi, contrario.
“Ma lo sai che è incazzato a morte con me! Non verrebbe mai neanche se lo pregassi!”
“Chiamalo subito.” Gli ordino quasi, mentre il volto di Kid passa dallo sconcertato al curioso nel giro di qualche secondo. “Se usi modi gentili vedrai che verrà.”
Shinichi sbuffa, e con molta lentezza compone il numero dell’amico sul cellulare, per poi chiamarlo. A Kid scappa un risolino, sebbene sia totalmente ignaro della ragione dell’atteggiamento di mio marito. Intanto, gli faccio segno di mettere il vivavoce affinché, in casi estremi, intervenga io nella conversazione per convincere Heiji a collaborare.
Ma, e non so perché, sospetto che il mio aiuto non servirà.
Pronto?” Risponde mio cognato, aldilà della cornetta.
Mio marito sospira, mi manda un’occhiata truce e nervosa, per poi cominciare, finalmente, a parlare. “Sono io.”
Heiji rimane in silenzio per qualche secondo, per poi tornare a fiatare, con voce dura. “Kudo...
“Sì... Senti, passa a casa, dobbiamo parlare...”
Assottiglio gli occhi, inaridita.
“Modi gentili ho detto!” gli ricordo, bisbigliando.
Gli do un pizzico sulla pancia, talmente forte, da farlo sobbalzare. Il nostro amico ancora non risponde, e lui ha tutto il tempo di riformulare la frase, correttamente.
 “Cioè... potresti per favore venire? Devo parlarti.”
Shinichi si gira verso di me, e un po’ in imbarazzo, mi sussurra stizzito un “va bene adesso!?”.
Annuisco, e aspetto che mio cognato risponda, mentre Kid ha espressione che più strana non si potrebbe avere. Mi richiama con un gesto della mano, attirando la mia attenzione.
“Ma che è successo?” chiede, curioso.
“Storia lunga.” Faccio sbrigativa, aspettando la risposta di Heiji che, dopo qualche secondo di interminabile lunghezza, arriva.
Ok, arrivo.
Heiji stacca la telefonata alcuni istanti dopo. Shinichi rimane a guardare il display per qualche minuto, incredibilmente in silenzio. Rimango colpita dal suo atteggiamento, così decido di non disturbarlo. Ma lui, poco dopo, distoglie lo sguardo, perdendosi a guardare un punto indefinito.
“Hai visto? Ci voleva tanto?” gli chiedo, sorridendo.
Lui mi guarda malizioso, ridacchiando.
“Quindi il patto...” prova, ma lo blocco sul nascere.
“Vale ancora, caro.”
 
*
 
“Ho capito. Tu ed Hattori avete litigato. E adesso vi state comportando come due fidanzatini.”
“Ma quali fidanzatini!”
“Il tuo amico ha tutte le ragioni però.”
“Piantala Kid.”
“Anche io mi sarei incazzato se...”
Le parole del ladro più ricercato in Giappone si rompono al suonare del campanello. Un po’ in tensione, e su richiesta di mio marito, dall’occhiello mi assicuro che si tratti effettivamente di Heiji, e non di qualche ulteriore sgradita sorpresa.
Sorrido nel riconoscere il volto di mio cognato, e gli apro la porta raggiante, lanciando un’ultima occhiata torva a Shinichi, affinché capisca ciò che voglio dirgli.
“Buonasera.” Saluta mio cognato, guardando prima me, e poi soffermandosi ad osservare Shinichi, seduto sul salotto, a fianco a Kid. Simula una smorfia con le labbra, ma decide di rimanere in silenzio, in attesa che sia mio marito a parlare. Chiudo la porta e lo accompagno sul divano, per poi offrirgli qualcosa da bere, ma il nostro amico rifiuta in entrambi i casi, rimanendo all’in piedi e dicendosi interessato perlopiù alla faccenda.
“Allora... di cosa mi dovevi parlare?” chiede Heiji, con voce fredda.
“Ran domani partirà per Niigata...” comincia Shinichi, decidendo di sorvolare le presentazioni.
“Lo so.” Lo blocca Heiji, stizzito.
Deglutisco impaurita, mio cognato non sembra dell’umore giusto in effetti.
Shinichi sospira, per poi ricominciare a parlare.
“Sì, vedi io e Kid...”
Ma viene nuovamente interrotto, e non da Heiji. E’ il campanello che ha ricominciato a suonare, e che ha fatto bloccare i volti dei presenti sulla porta d’entrata.
“Ehi Vanille! Muoviti ad aprire!”
Lanciando un’occhiata a Shinichi, Heiji si avvicina all’occhiello dal quale poco fa avevo spiato io, e lo richiude con delicatezza.
“E’ Gin.”
Annuncia, rivolgendosi a mio marito.
Lui, dopo un primo attimo di smarrimento, sorride e si dirige dritto verso la porta, senza curarsi di camuffare la sua vera identità.
“Shinichi sei senza...” prova ad avvisarlo Heiji, ma quando ormai è fin troppo tardi.
“Ma guarda un po’. La volpe che entra da sola nella tana del lupo.”**
Lo accoglie beffardo, mentre Gin, ritrovandoselo davanti non riesce ad emettere alcun suono e compiere alcun movimento. Ma prima che possa anche pensarlo, Shinichi lo afferra per la maglia e lo scaraventa all’interno della stanza, facendolo sbattere al pavimento. Ordina ad Heiji di chiudere a chiave la porta, e si avvicina minaccioso all’uomo, sdraiato al pavimento.
“Mi hai risparmiato la fatica di venirti a cercare, lo sai?”
Gin, dopo un primo attimo di smarrimento, gira freneticamente lo sguardo verso i presenti, con gli occhi aperti all’impossibile e la mascella che quasi va a toccare il suolo.
Si sofferma a guardare Kid, Heiji, me ed infine Shinichi. E comincia a balbettare, indietreggiando, con i gomiti striscianti per terra.
“Ma... ma... tu... tu s-sei... sei... sei...” cerca di completare la frase, ma non ci riesce, preso dalla paura.
“Kudo?” Lo fa al posto suo Shinichi, ghignando.
“Vivo!” Sbotta il giovane, in preda al panico.
“Piccolo particolare.” Lo deride mio marito, facendo scappare un sorriso a tutti noi.
“W-Wunderwaffe?! Dov’è... Dov’è W-Wunderwaffe?! E...e  la donna?!” chiede a raffica, girando il volto in più direzioni alla ricerca dei suoi complici.
“Cos’è, non ci vedi? Sono qui!” Lo avverte Shinichi, imitando la voce di Wunderwaffe, e ridendo maligno. Nel frattempo, raggiungo la porta che divide salone e camere, socchiudendola. Conan dorme, e farlo svegliare non è l’opzione più giusta.
“Tu... tu... sei... sei... no... n-non è... è p-possibile...”
“Hai bisogno di un logopedista amico.”
Ma Gin ignora le risate di Hattori e Kid, ed intrappolato nel panico, si gira verso di me, e con uno scatto felino cerca di avvinghiarsi al mio corpo. Ma Shinichi è più veloce di lui, e prima che l’uomo possa sfiorarmi con le sue luride mani, mio marito lo prende per il collo o lo sbatte al muro, impedendogli di muoversi.
“Adesso mi hai davvero scocciato!”
Gin cerca di dimenarsi con le mani, ma la forza di Shinichi è superiore e non gli permette alcun movimento. Heiji e Kid si avvicinano al mio uomo, mentre quest’ultimo, stringendo il collo al malavitoso, lasciandolo comunque respirare per bene, lo gira col viso verso di me.
“Da bravo bambino... chiedi scusa alla mia signora.”
“V-vi siete i-infiltrati...” bisbiglia, osservandomi.
“Ho detto chiedi scusa!”
La presa di Shinichi si fa sempre più forte e l’uomo, impossibilitato quasi a respirare, con il volto infuocato mi sussurra un debole “scusa”, che spinge mio marito a lasciarlo andare al pavimento.
Shinichi lo fissa con disprezzo e rancore, e sento che la voglia di prendersi una vendetta su di lui, dopo quanto successo alla base, lo sta divorando.
Ma riesce comunque a mantenere la calma, e a sfogare l’ira nei pugni, stretti così tanto da far divenire le nocche bianche.
Gin, in affanno, ha il capo chinato al pavimento, ma è costretto a guardare Shinichi, che lo ha rialzato, prendendolo per il collo della maglia.
“Sentiamo un po’... perché sei venuto qui?”
Ma l’uomo non risponde, e continua a tenere lo sguardo basso.
“Te l’ha detto Kemerl?”
Continua a chiedergli, ma invano, Gin non accenna a parlare.
“Ok...se la metti così.”
Il mio detective si gira verso Hattori, e gli fa cenno di lanciargli qualcosa, che l’amico, repentinamente, gli dona. Una pistola.
Sussulto, nel vedere Shinichi afferrarla, ma mi tranquillizzo nel sapere che sia lui a mantenerla. So, che in fondo, vuole solo spingerlo a parlare.
Gli punta l’arma all’altezza delle tempie, sorridendogli beffardo.
E nell’osservarlo, la mia mente fa una capriola all’indietro, osservando il tutto come se già l’avesse visto.
“Un déjà vu...”  sussurro, perdendomi nella scena dinanzi a me.
“Fermo o ti faccio saltare la testa!” Urla Shinichi, facendomi rabbrividire.
Sento la pioggia, il suono delle gocce cadere sulla strada già umida. Ma il ricordo è sbiadito, così come i suoni.
Gin smette di muoversi, e alla vista dell’arma strabuzza gli occhi. Osserva Shinichi, imperterrito, per poi cominciare a sudare freddo.
“Io... io ero venuto soltanto per parlare con... con Vanille... K-Kemerl non c-c’entra.”
“Volevi parlare con Vanille, eh?”
“S-Sì...”
“Lo sai con chi ti faccio parlare io, adesso?” gli chiede, sarcastico.
L’uomo non si azzarda a rispondere, ma si lascia trascinare da mio marito verso il bagno, dove è nascosto l’altro suo complice. Immobilizzato, lo osserva aprire la porta della toilette e prendere una corda.
“Fate una bella chiacchierata.”
Il resto, era fin troppo prevedibile.
 
*
 
“Ok ho capito... chiamo la Polizia allora.”
Annuncia Heiji, quando Shinichi (dopo aver legato Gin ad Akito amorevolmente insieme nella vasca da bagno) gli ha spiegato l’intera situazione, e gli ha riconsegnato la sua pistola.
“Bene...” Soffia mio marito, rivolgendo un’occhiata d’imbarazzo all’amico. “E grazie.”
Heiji lo guarda torvo, un po’ freddo. “Non mi devi ringraziare... sono un poliziotto, è il mio mestiere.”
“Io un detective...” gli ricorda, sorridendo.
Entrambi si voltano a guardare Kid, che, nel sentirsi osservato, scoppia a ridere.
“Ok, io un ladro... problemi?”
Ridacchio, osservandoli dallo stipite della porta.
Che trio stravagante.





Precisazioni:
* “Ricordi la foto che ti feci a Niigata?” (...): Sono sicura che NESSUNO lo ricorderà, ma per schiarirvi le idee, andate a rileggere il capitolo 2.
Poco prima della parte in cui Ran fa vedere a Conan una foto che ritrae tutto il gruppo, ce n’è un’altra... ;)

** “(…) La volpe che entra da sola (…)”: Riferito, ovviamente, e penso che l’abbiate capito al cognome di Gin, Kitsune che significa volpe.



 

Angolino autrice:

Eccomi qui!!! Questa volta sono stata veloce... eh?!
Sono stata brava eh?! Allora, prima che mi ammazziate, andiamo in ordine XD
Uh! Quante cose sono successe in queste capitolo che... spero vi abbia fatto divertire...
Punto 1. Chi si aspettava che dietro Akito ci fossero padre e figlio a fare uno bello scherzetto a Ran? Quante di voi hanno avuto un infarto?
Quante mi avrebbero voluto uccidere? XD E Akito legato alla vasca da bagno? Cosa ne pensate? :D
[Mi scuso con Assu, lei sa perché XD]
Punto 2. Shinichi ha ascoltato tutto... e fa il birichino con Ran, riguardo all’essere bravi o no... e lei, gliela fa pagare per bene, ricattandolo! XD
Punto 3. Appunto... il ricatto serve per smuoverlo a chiedere scusa ad Heiji, nonostante abbia già ammesso a Ran che l’amico si sbaglia... :D
Punto 4. Kid che arriva e da la maschera di Gin a Shinichi... vi piace il piano? Ovviamente, Shinichi non avrebbe mai permesso a Ran di partire da sola, si sapeva ;)
Punto 5. Per Shinichi chiamare Heiji sembra un’impresa, ma grazie ai consigli dolorosi di Ran, riesce a convincerlo! Si sapeva alla fine che Hattori sarebbe venuto lo stesso, no?
Punto 6. Insieme ad Heiji (incazzato XD) arriva anche Gin che, finalmente, ha ricevuto quello che si merita!!! Olèèè! :D Pensiate Shinichi sia stato troppo violento? Io no ù.ù ...e Ran...
Punto 7. Che trio scoppiettante, no?!? *___*
Insomma... spero che il capitolo vi sia piaciuto! Credo che ci saranno ancora altri due, al massimo tre, e la storia sarà finita :( Che tristezza!
Spero che mi accompagnerete fino alla fine... perché è solo grazie a voi che siamo qui! :DDD
Ringrazio Il Cavaliere Nero, aoko_90, Scandal, Delia23, Kaori_, Martins, xthesoundofsea, 1sere1 e Black_Princy per aver commentato il quindicesimo chap :)
Grazie anche a chi legge soltanto!
Un bacione, e alla prossima!
 
Tonia

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Capitolo 17
*** L'ultima notte ***


Diciassettesimo capitolo

L’ultima notte



 
“Un ultimo desiderio?”
Un sottile e gelido venticello va a posarsi sulla mia guancia arrossata, mentre una ciocca di capelli svolazza sui miei occhi, donandomi un leggero fastidio al contatto con la mia pelle.
Mi volto verso di lui; annuisce, sdraiato col petto all’in su sui freddi granuli di sabbia, con le mani a fargli da cuscino sotto la testa, ha lo sguardo perso nelle stelle di una notte primaverile.
Curiosa, gli sorrido, attorcigliando i capelli dietro l’orecchio.
“E qual è il tuo?” chiedo, quasi sussurrandolo.
I suoi occhi tornano a scrutarmi con dolcezza e sincerità, il suo sguardo traspare malinconia e dolore, ma quel sorriso cela le sue pene, mascherandole dietro un alone di imbarazzo.
 “Fare l’amore con te. Per la prima e l’ultima volta nella mia vita.”
 
 

Dieci ore prima

 
 
“Allora? Dov’è quest’albergo?!”
Quel tono squillante e fastidioso lo conosco fin troppo bene, e la persona a cui appartiene altrettanto meravigliosamente. 
In fondo, si sa, c’è un limite a tutto. Ma sembra che per Cikage, moglie di Toichi Kemerl, essere inopportune è all’ordine del giorno.
Che sia una donna palesemente frustata, nervosa, isterica e insoddisfatta della propria vita sentimentale ci eravamo arrivati tutti. Ma che cominciasse a provare gelosia nei confronti del compagno, che nemmeno la guarda, ed infastidirsi della mia presenza nel viaggio verso l’assassino del politico, è un po’ troppo. Non solo perché, così, ha fatto praticamente saltare una parte del piano organizzato da mio marito, ma ha anche allietato con la sua presenza le ore che ci dividono dallo scontro finale con l’organizzazione.
Così, con immensa gioia, ci ritroviamo io (nei panni di Vanille), Shinichi (in quelli violenti di Gin), Kemerl (in quelli seccati di se stesso), e la simpatica Cikage, nei pressi della città più dolce dei miei ricordi: Niigata.
Rivederla è un vero e proprio tuffo nel passato, e riassaggiarla insieme a mio marito, sebbene in una situazione non troppo idilliaca, è una delle gioie più grandi che possa provare.
“Cikage, non siamo venuti a villeggiare.”
Ma come farglielo capire? La donna in nero sembra così entusiasta di esser venuta qui, che sprizza allegria (e fastidio) da tutti i pori.
“Beh, e dove dormiremo?”
“Non dormiremo.” Le risponde con durezza il marito, seduto al posto passeggero nell’auto, a fianco a Shinichi, che la guida. Mentre noi, le due consorti, ci siamo accomodate dietro, nella - vana - speranza di rilassarmi un po’.
“E se mi verrà sonno?”
“Te lo farai passare.”
Rimane in silenzio per qualche minuto, finché non scorge qualcosa di sensazionale, che mai (lei) avrebbe pensato di trovare in una città marina.
“Ma c’è il mare!”
La sua esclamazione mi porta a voltarmi per osservarlo, intriso nei toni grigiastri un po’ invernali. Sorrido, e nel mandare un’occhiata a mio marito, attraverso lo specchietto retrovisore, noto che anche lui lo sta facendo. I ricordi affiorano e le nostre menti si uniscono in un solo dolce pensiero.
“Effettivamente potresti dormire sulla spiaggia.” Esordisce il compagno, ridacchiando.
“Ma fa freddo!”
“Beh... c’è chi lo fa.” Asserisce, voltandosi indietro, e guardandomi malizioso. “Vanille... tu hai la faccia di una che lo ha fatto.”
Arrossisco sotto la mia maschera, mandando giù la saliva. Ma prima che possa rispondere una qualsiasi cosa, Kemerl fa per girarsi avanti, forse neanche troppo interessato a ciò che avrei detto.
Non capisco, allora, quale sia il suo scopo. Mettermi a disagio? Imbarazzarmi? Rinfacciarmi avvenimenti passati?
“Davvero?”
Una voce mi arriva dalla destra, dove una mano si è poggiata sui miei vestiti e li ha strattonati. Cikage me l’ha quasi sussurrata la domanda, e si è avvicinata così tanto al mio volto che m’incute paura. Mi allontano un po’, ma nel spostarmi, azzardo un leggero movimento col capo, che alla donna arriva come un sì.
“E con chi?”
La guardo strabuzzando gli occhi, per poi sospirare, e stare, per la millesima volta, al gioco.
“Amici.” Dico, con convinzione. La scusa potrebbe andare.
“Ma quanti uomini hai avuto?”
Ancora con questa storia? Non è che ha intenzione di chiedermi consigli sulla relazione tra lei e il marito, in sua presenza, per giunta?
“Meno di quelli che credi.” Invento al momento, nel tentativo di scrollarmela di dosso.
Ma lei, di tutt’altre intenzioni, si avvicina pericolosamente al mio orecchio, fissandomi negli occhi.
“Con Toichi comunque... nulla.”
Asserisce, sospirando amareggiata.
“Sai perché sono venuta con voi?” mi chiede, mentre le sue palpebre traboccano di lacrime, che comunque, riesce con fatica a trattenere. Scuoto il capo, invitandola a continuare.
“Lui... stamattina aveva un biglietto in mano. Era tipo quelli dei fiorai... bianchi, che si mettono vicino ai bouquet. Insomma, a me fiori non ne aveva regalati... così, ho aspettato che si distraesse per sottrarglielo... ed ho scoperto che... era per un’altra donna!”
“Che?” sbotto, con voce leggermente alta, attirando l’attenzione degli uomini che mi sono davanti.
“Un’altra donna?”
Lei annuisce, ritornando a bisbigliare in modo da non farsi sentire.
“C’era scritto una cosa tipo... amore mio, questi tre mesi insieme sono stati fantastici... cioè, capisci? Ha un’altra!”*
Strabuzzo gli occhi, incredula.
“Spero solo non sia quella troia!” sbotta, sebbene a bassa voce, in modo che possa sentirla solo io.
Maledice se stessa, con la testa chinata verso i pugni appoggiati al suo pantalone di raso.
Kemerl ha lo sguardo abbandonato sullo scorrere di Niigata dal finestrino, con la testa poggiata ad esso. I suoi occhi si riflettono nel vetro, infondendo tristezza e dolore, aldilà di quella perenne maschera di odio. Sentimenti che appaiono molto più intensi di quelli sbraitati dalla moglie in questo momento, i cui lamenti si allontanano sempre di più dalla mia mente.
E’ mai possibile abbia davvero un’altra?
 
*
 
“COSA?!?”
“STAI SCHERZANDO SPERO!”
“CHE CAZZO SIGNIFICA NON SAPETE DOV’E’?!?”
Riavvolgendo il nastro delle ultime tre ore, potrei definirle tranquille e sostanzialmente noiose, passate a girovagare per Niigata, alla ricerca di un locale non troppo frequentato per poterci sfamare attraverso il delizioso sapore di un panino alla piastra. Abbiamo passato mezz’oretta a fingerci amici, quasi come se, in comitiva, fossimo usciti come ai vecchi tempi tra coetanei. Tutto è filato liscio, e fin troppo silenzioso, fino a qualche minuto fa, quando, Shinichi, ha ricevuto un messaggio da Heiji, ed è corso in bagno per chiamarlo. Io, preoccupata, l’ho raggiunta, facendomi cadere di proposito della coca cola addosso, in modo da non sortire sospetti nei due coniugi Kemerl.
Ed ora sono chiusa in una toilette del locale insieme a mio marito, pregando che le sue urla non arrivino sino ai nostri compagni.
“OK, ED IO COSA DOVREI FARE A TE E A QUELL’ALTRO IDIOTA?!?”
Gli afferro il bicipite, circondandoglielo con la mia mano, facendogli segno di abbassare la voce. Ma Shinichi mi ignora, e sebbene non possa osservare il suo viso, celato dalla maschera di Gin, il suo stato d’animo è incredibilmente visibile dalle vene ingrossate e dal rossore che si espande sul suo collo.
Terrorizzata, resto a guardarlo, mentre la voce metallica di Heiji fuoriesce un po’ dal cellulare, permettendomi di ascoltare a tratti ciò che sta dicendo.
“Ti ripeto che non so come sia successo!”
“Hattori... dannazione...”
“Calmati... ci penso io. Tu pensa a Kemerl.”
“CALMARMI?!?” sbotta di nuovo, passandosi una mano sopra il viso di plastica. “COME POSSO?!”
Si scosta un po’, e la voce di mio cognato diviene troppo debole affinché possa distinguere le sue parole. Ma quelle di Shinichi, invece, sono chiarissime.
“MA VAFFANCULO HATTORI!”
E con un gesto repentino stacca la chiamata, indemoniato, schiantando il cellulare al pavimento, che si frantuma in vari pezzi. Osservo sbigottita la scena, fin quando non mi decido a chiedergli cosa stia accadendo, e perché abbia mandato a quel paese anche l’ultima possibilità di riallacciare i rapporti con l’amico.
“Perché Conan è scomparso! Non sanno dov’è, capisci?!?”
“COSA?!?” sbraito anch’io adesso, portando la presa sulle sue spalle.
Come sia avvenuto è un mistero, ma restare a Niigata senza sapere come e dove sta Conan mi rende ansiosa, e fin troppo incapace a gestire una parte che già fatico a recitare.
“Ok, e adesso cosa facciamo?” chiedo, aspettando che lui risponda, e che mi infonda quella sicurezza che solo lui possiede.
“Non lo so. Cerchiamo di calmarci, prima di tutto.”
“Ma... non può essere in pericolo. C-cioè, voglio dire, anche se fosse... i restanti dell’organizzazione sono stati arrestati dalla polizia, vero?” gli domando, cercando conferma.
Shinichi alza un po’ il capo permettendomi di guardarlo negli occhi. Mi osserva angosciato, deglutendo a fatica.
“Sono scomparsi anche loro.”
“...anche loro?!?”
“Hattori mi ha detto che quando stamattina la polizia è arrivata alla base per prenderli, loro non c’erano.”
“Non dirmi che hanno preso Conan!” impreco, portando le mani alla nuca, sui riccioli d’oro della bella Vanille. Lascio scivolare le mani sino alla bocca, strabuzzando le palpebre.
“No... il mio bambino...” lo chiamo, come se potesse servire a qualcosa. Comincio a sentire il mio cuore battere sempre più forte, in preda ad un attacco di tachicardia.
“Shinichi... dobbiamo trovarlo... fai qualcosa, ti prego...”
Mio marito comincia a strofinarsi il mento con una mano, cercando - anche se per qualche istante - di staccare il cervello dalle angosce e preoccupazioni, e meditare su qualche piano o un qualsiasi altro espediente che ci permetta di risolvere il problema.
“Ok, per il momento... andiamo da Kemerl. Vediamo se riusciamo a cavarne qualcosa.”
Annuisco, seguendolo. Mi fa cenno di aspettare qualche secondo, in modo tale da non uscire insieme, ed alimentare ancora di più i sospetti. Così attendo, impaziente ed ansiosa, col pensiero fisso di Conan in testa, per un minuto, contando anche i secondi.
Tiro un grosso respiro, fin quando non mi decido ad uscire dalle toilette, ed incrociare, nuovamente, il volto di Shinichi mascherato da Gin.
“Non ci sono.” Mi avvisa con un tono tutt’altro che sicuro, tendente al terrorizzato. “Nel locale non ci sono più.”
“Cosa?! Non dirmi che...”
“Non voglio pensare che abbiano capito tutto e siano fuggiti.” Ammette, cercando di mascherare che lo stia effettivamente pensando.
“Non è possibile! Kemerl sapeva che Vanille ero io... che senso avrebbe avuto portare avanti la cosa sino a Niigata?”
Cammino un po’, avanti e indietro, totalmente succube della paura. Angosciata al pensiero che mio figlio sia scomparso e con lui gli ultimi scagnozzi dell’organizzazione, e adesso anche Kemerl e consorte, spero con tutta me stessa che non siano insieme, ma in parti completamente diverse.
Io voglio solo che Conan stia bene, e in mano a quegli uomini i pensieri non sarebbero dei più rosei.
Shinichi intanto mi supera, lasciando il locale e girando il capo in più direzioni, ricercando i nostri - per così dire - complici di crimini.
“Cosa facciamo? Li cerchiamo?” domando a Shinichi, ritornando ad osservarlo.
“E’ l’unica cosa che possiamo fare.”
“Ok, io vado da quel lato, e tu dall’altro. Faremo prima.” Dico, indicandogli le direzioni, condotta da un coraggio di cui ignoro la provenienza. Ma quando c’è in gioco la vita di mio figlio, non ho tempo per paure o stupidi limiti. La mia ragione si spegne, e l’angoscia prende il sopravvento, portandomi a fare cose, che in fondo, mai avrei fatto prima. Mi dirigo verso il lungomare, ma la mano di mio marito mi blocca, afferrandomi il polso.
“No Ran.”
Mi volto così verso di lui, sorpresa. “Eh?”
“Ho paura a lasciarti sola, non voglio che ti succeda qualcosa.”
Rafforza ancora di più la presa, mentre il calore scoppia sul mio vero viso, accendendolo.
“Non mi succederà nulla, ma dobbiamo trovarli.”
“Ci penso io... Tu va dal politico, ci sono già un paio di poliziotti. Lì starai al sicuro.”
“Ma...” faccio per obiettare, ma Shinichi mi blocca di nuovo.
“Ran... Conan è scomparso e non sono per nulla tranquillo. Ma se so che almeno tu stai bene, potrei riuscire a ragionare e capire dov’è e con chi è. Per favore.” Mi prega quasi, senza abbandonare la presa al polso. Rimango ad osservarlo per qualche istante, durante i quali medito sul cosa fare e come farlo.
 “Ok.” Sospiro poi, decisa. “So che ce la farai, mi fido di te.”
Lui mi sorride, avvicinandosi e donandomi un bacio sulla fronte della mia maschera, ma così dolce e profondo che mi pare percepirlo anche sulla mia pelle.
“Ti prego, sta’ attenta.” Mi sussurra, socchiudendo anche le palpebre.
“Stai attento tu.” Faccio altrettanto, avvicinando le mie labbra alle sue, e regalandogli un bacio casto e pulito, che lui ricambia velocemente.
Si stacca dopo un po’, riaprendo gli occhi.
“Io vado. Casomai non li trovassi, ti raggiungo lì.”
Annuisco, vedendolo incamminarsi verso un palazzo, e poi scomparire aldilà del vicolo. Sospiro, ed obbedendogli, mi dirigo verso la casa del politico James Smith, dove, secondo le disposizioni di Heiji e il piano di Shinichi, dovrebbero esserci tre poliziotti ad aspettarmi.
L’abitazione dista all’incirca quattrocento metri dal locale dove abbiamo perso le tracce dei coniugi Kemerl, e per arrivarci, sono costretta a fiancheggiare la costa, il mare e le spiagge.
Cammino velocemente, tralasciando i ricordi che quella brezza marina mi scaglia addosso, e svolto l’angolo, entrando in una strada abbastanza ampia e illuminata. Il tramonto alle mie spalle, il Sole che si sta immergendo nel mare, ormai intriso di colori rossastri, creano un’atmosfera meravigliosa e da favola, che riesco appena a notare, essendo presa dalla paura e dal tormento.
Volto in capo in più direzioni, quasi come se tentassi di trovare Conan, qui, a Niigata, ma di lui non c’è traccia. Di bambini ne vedo, e tanti, ma è una che mi colpisce l’occhio, e gli adulti che la stanno accompagnando.
Strabuzzo gli occhi, e mi blocco d’un tratto, nel riconoscere Sophie, Kazuha e Yukiko, camminare con un’aria tutt’altro che tranquilla di fronte a me.
Ripensandoci, io non ho più avvisato mia suocera dei nuovi sviluppi, e forse, questo sarebbe il momento opportuno per farlo. Così, comincio a correre verso di loro, salutandole con un gesto della mano, da molto lontano.
Yukiko, nel vedermi, e forse anche nel riconoscermi sotto la maschera che mi ha dato lei, ferma la mia amica, facendola voltare nella mia direzione.
“Ehi, ma che ci fate voi qui?” domando, con ancora un po’ di fiatone. Kazuha mi guarda spaesata e preoccupata, nascondendo la bambina dietro di lei.
“RAN!” esclama Yukiko, cingendomi il collo con le braccia, ed abbracciandomi con forza. “PIUTTOSTO TU CHE CI FAI QUI?!”
Le intimo di abbassare la voce, avendo attirato l’attenzione dei passanti, e le faccio avvicinare al marciapiede, sgombrando la strada.
“SEI RAN?!?” urla a sua volta la mia amica, lasciando andare la piccola Sophie, ed aggrappandosi alle mie braccia. “MA CHE HAI FATTO?! SEI BIONDA, SEI STRANA!”
“Sono io, sì.”La avviso, mettendomi a ridere. “Non ho fatto nulla... è una maschera.”
“MA SI PUO’ SAPERE PERCHE’ NON MI HAI FATTO SAPERE PIU’ NULLA?! MI SONO PREOCCUPATA TANTISSIMO!!!”
“Calma Yukiko, non ho potuto!” le dico, sempre cercando di farle abbassare il tono, fin troppo alto.
“Ma voi... perché siete qui?”
“E CE LO CHIEDI PURE?!” esordisce stavolta Kazuha, stonandomi l’altro timpano. “TUO FIGLIO E’ SCOMPARSO DA QUATTRO GIORNI! LO STIAMO CERCANDO!”
“Ah.” Emetto un singolo sospiro, incapace a rispondere altro.
E adesso chi spiega loro tutto quello che è successo? Non solo di Conan, ma a Yukiko dovrei anche riferirle che suo figlio, nonché mio marito, è vivo, è lei ne è totalmente ignara.
“Ma dov’è Heiji? Sta bene vero?!” mi chiede ancora la mia amica, col viso preoccupato.
Annuisco, guardandola sconcertata. “Sì, sta bene.” La avviso, cercando di calmarla.
“Più che altro... ci sarebbero delle... novità.” Riferisco, sorridendo e grattandomi il capo, leggermente in imbarazzo. Mi volto verso mia suocera e mi maledico per non averla avvisata prima, ma solo adesso ricordo di aver lasciato il cellulare nell’appartamento che condividevo con Heiji, subito dopo la chiamata che ebbi con Kaito Kid.
“Novità?” Mi chiedono all’unisono, inarcando un sopracciglio.
“Ehm...” comincio, ricercando le parole giuste per tentare almeno di accennare loro qualcosa, ma il precipitare degli eventi mi blocca la voce sul nascere. Alla mia destra, con aria furiosa e col capo chinato verso il basso, attraversa la strada Cikage, con un passo relativamente veloce.
Strabuzzo gli occhi nell’osservarla, e contenta che non mi abbia visto in compagnia di Yukiko e Kazuha, scatto, e velocemente tento di raggiungerla. Ma mia suocera mi ferma, afferrando il mio braccio, ed impedendomi di seguirla.
“Dove vai?!” domanda con preoccupazione, notando i miei movimenti per dimenarmi dalla sua presa.
“Yukiko ti spiego tutto dopo! Adesso non posso!” Grido, per poi riuscire a svincolarmi e raggiungere repentinamente Cikage, che ha svoltato un angolo, ed è scomparsa dalla mia visuale.
Corro, lasciandomi indietro mia suocera e la mia amica, con in braccio la bambina, donando loro un ultimo sguardo, prima di fissare il mio sguardo sulla strada, alla ricerca della donna.
Imitandola, giro all’angolo dove l’ho vista dileguarsi, e, con grande gioia, la vedo camminare velocemente ad un centinaio di metri da me. La rincorro, ed aiutandomi con la voce, la chiamo, nel tentativo di fermarla.
Al suono delle mie grida, la donna si volta verso di me, ma non si ferma, e ricomincia a camminare.
Seccata, decido di aumentare ancora di più il passo, e raggiungendola, le afferro il polso, obbligandola a bloccarsi.
“Cikage ma dove eri?! Io e Shin...” mi fermo, mozzicandomi la lingua per il guaio che stavo per combinare. “Io e Gin vi stavamo cercando! Dov’è tuo marito?”
Lei si volta, mostrandomi il suo viso, rigato dalle lacrime, e i suoi occhi, gonfi ed incredibilmente tristi.
Non mi risponde subito, lasciando andare solo alcuni singhiozzi, che vanno ad unirsi al suo pianto disperato.
Vederla così fragile ed indifesa, sebbene sappia cosa abbia in mente di fare, e quali siano i suoi scopi, mi intenerisce, e mi porta ad allentare la presa dal suo polso, lasciandoglielo libero.
“Che è successo Cikage?” le domando, con un tono incredibilmente dolce.
Ancora una volta non mi risponde, incapace a farlo, e si limita a passarsi i gomiti sotto agli occhi, nel tentativo di portar via le lacrime dal suo volto.
“T-Toi-c-chi...” prova a pronunciare il suo nome, con scarsi risultati.
“E’ successo qualcosa con lui?” provo a chiedere ancora, nel tentativo di strapparle qualche confessione che possa tornarmi utile. Lei annuisce con fatica, tentando di inspirare ed espirare, in modo da ritrovare un certo autocontrollo.
“Cosa?”
Deglutisce, senza guardarmi negli occhi. Poi, alzando lo sguardo sul mio, mi fa affogare nella sua rabbia e frustrazione, gettandomela contro.
“E’ innamorato di un’altra puttana! Questo succede!” mi urla contro, senza comunque riuscire a restare un po’ ferma. Innamorato di chi?
“No, aspetta... ha un’altra?” chiedo ancora, più incuriosita che mai.
“Sì.” Annuisce, mentre un’altra lacrima va a rigarle il volto. “Ha detto che la sta aspettando su quella spiaggia.”
Inarco un sopracciglio, titubante. “Quale spiaggia?”
“N-non lo so... Mentre tu e quell’altro eravate in bagno, noi due abbiamo cominciato a litigare, per via di quel biglietto che ti ho detto di aver visto stamattina. Lui faceva il disinteressato, così gli ho dato uno schiaffo, però... l-lui, senza dire una parola, se ne è andato dal l-locale, ed io l’ho rincorso...”
“...E poi?” continuo a chiedere, interessata.
“Mi h-ha detto di avermi preso solo in giro... c-che, almeno in una volta in vita sua, voleva essere sincero, con me e con l’altra...”
Sbatto più volte le palpebre, incredula, mentre Cikage continua il deprimente e singhiozzante racconto di come la sua vita coniugale sia finita da un momento all’altro.
“Ma giuro che la ammazzo! Se capisco chi è, la ammazzo!!” sbotta, stringendo le mani in pugni.
“Calmati Cikage...” tento di sedare la sua rabbia, ma mi è praticamente impossibile. La donna sembra una vera e propria furia, e sbattendo contro la mia spalla, comincia a camminare da dove era venuta, ignorandomi.
“Cikage dove vai?!”
“AD AMMAZZARLA!”
Tento di fermarla, ma, bloccandomi sui piedi, mi tornano in mente le sue parole.
“Ha detto che la sta aspettando su quella spiaggia.”
Rabbrividisco, e ad un tratto mi torna in mente tutto quello che accadde sette anni fa, quando, nel tentativo di lasciarlo, lui mi disse che era venuto a Niigata, e che, sebbene l’abbia fatto con titubanza, mi amava.*
Lì per lì non ci avevo badato, ma se le mie deduzioni fossero giuste, Kemerl potrebbe trovarsi...
 
*
 
“Su questa spiaggia.” Mormoro, osservandola. E’ ormai sera, il Sole è calato, e le temperature si sono abbassate. Ho un nodo alla gola nel ritrovarmi di fronte la roccia che, sette anni fa, oltrepassai nel tentativo di scorgere e ritrovare Shinichi, dopo le brutte parole che ci eravamo rivolti.*
Sebbene la mia intenzione non sia quella di rivivere il tutto, ma con un uomo diverso, devo avvisare il mio ex fidanzato del pericolo incombente della moglie, e portarlo, anche se risulterebbe ridicolo, al sicuro.
So che mio marito farebbe la stessa cosa se si trovasse nella mia posizione.
La vita umana è l’unica cosa che dobbiamo salvaguardare, senza fare alcuna eccezione.
Così, anche se sbuffando, mi arrampico su quello scoglio, e quasi mi sembra di ringiovanire di sette anni. Tutto è rimasto incredibilmente uguale.
Sorrido nell’osservare quello spettacolo, ma decido di sbrigarmi, e di scendere dalla parte opposta, da dove riesco a scorgere, oltre il precipizio, la figura di Toichi Kemerl.
C’avrei scommesso.
Repentinamente scendo le scale, ancora più scricchiolanti di quanto potessi ricordare, e appoggiando i piedi sulla sabbia, attiro la sua attenzione. Giratosi a causa del rumore dei miei passi, nel vedermi arrivare, Kemerl sorride, quasi incredulo.
“Che ci fai qui?” gli chiedo, raggiungendolo. Lui non accenna a muoversi, ma rimane seduto sulla sabbia, riflettendo i suoi occhi in quelli infiniti del mare.
“Vieni su... tua moglie è incazzata nera, prima o poi ti troverà.” Lo avviso, mentre faccio per andarmene.
“Ran...” mi chiama, pronunciando il mio vero nome. Sospiro nel sentirlo pronunciare da lui in quel modo, così sentito e profondo, come non l’aveva mai fatto.
“Cosa c’è?” gli domando, avvicinandomi sempre di più e sedendomi vicino, ma non troppo, a lui.
Sorride, forse compiaciuto, e si sdraia lungo il tappeto di sabbia.
“Tu... non cercheresti di soddisfare il tuo ultimo desiderio se fosse la tua ultima notte?” mi chiede, continuando a sorridere, mentre i suoi occhi sembrano risplendere nel buio della spiaggia. Non gli rispondo, ma acconsento, lasciandolo parlare.
“Io sì... cercherei in tutti i modi di farlo.” Continua a dire, con sicurezza.
Mi osservo le mani, indecisa sul cosa fare. Poi, forse presa da una strana sensazione, decido di rispondergli.
Non so perché, ma ho il sospetto che abbia un gigantesco bisogno di parlare, ed io, ignorandone il motivo, ho una gran voglia di assecondarglielo.
“Un ultimo desiderio?”
Un sottile e gelido venticello va a posarsi sulla mia guancia arrossata, mentre una ciocca di capelli svolazza sui miei occhi, donandomi un leggero fastidio al contatto con la mia pelle.
Mi volto verso di lui; annuisce, sdraiato col petto all’in su sui freddi granuli di sabbia, con le mani a fargli da cuscino sotto la testa, ha lo sguardo perso nelle stelle di una notte primaverile.
Curiosa, gli sorrido, attorcigliando i capelli dietro l’orecchio.
“E qual è il tuo?” chiedo, quasi sussurrandolo.
I suoi occhi tornano a scrutarmi con dolcezza e sincerità, il suo sguardo traspare malinconia e dolore, ma quel sorriso cela le sue pene, mascherandole dietro un alone di imbarazzo.
 “Fare l’amore con te. Per la prima e l’ultima volta nella mia vita.”





Precisazioni:
* (…) amore mio, questi tre mesi insieme sono stati fantastici (…): E’ ciò che c’era scritto sul biglietto che Richard a suo tempo voleva consegnare a Ran, ma che,
per un caso fortuito, lo prese Shinichi. Capitoli 24 – 28 di Vivere d’emozioni.
* (…) lui mi disse che era venuto a Niigata, e che, sebbene l’abbia fatto con titubanza, mi amava. (…): Capitolo 25 di Vivere d’emozioni.
* (…) dopo le brutte parole che ci eravamo rivolti. (…): Capitoli 21 - 22 di Vivere d’emozioni.





Angolino autrice:
Ecchimeeeeeeeeee!!! Per la gioia (?) di tutte voi, sono tornata!!!
Mi sono fatta attendere un po', ma ce l'ho fatta XD Allora, fatemi sapere com'è questo capitolo...
che, come stanno andando le cose... o sarà il penultimo o il terz'ultimo, devo ancora decidere >.<
Spero che vi sia piaciuta l'idea del salto temporale, e la confessione di Kemerl.
Fatemi sapere cosa ne pensate della scomparsa del piccolo Conan, degli scagnozzi, della litigata con Heiji,
del ritorno di Yukiko e Kazuha, della reazione di Cikage.. insomma di tutto XD
Scusatemi se sono lapidaria, ma debbo proprio andare!
Grazie ad aoko_90, LunaRebirth_, 1sere1, Il Cavaliere Nero, Black_Princy, Scandal e Martins, per aver commentato il precedente capitolo.
Grazie anche a totta1412 per averla inserita fra le preferite, e ciccio fino e sono molto yeah per averla inserita tra le ricordate!
Un grazie anche a coloro che leggono soltanto!!
Alla prossima!!! :)

Tonia

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Capitolo 18
*** L'amore e l'odio ***


Diciottesimo capitolo

L’amore e l'odio
 

 


“CHE?!?”
Sbotto incredula, spalancando gli occhi violacei, tra il terrore e lo stupore.
Lui mi guarda ridacchiando, forse per la mia reazione, forse per l’imbarazzo del momento; resta il fatto che sembra fermamente convinto di ciò che ha detto, e la cosa mi lascia abbastanza inquieta.
Sento la vocina di Shinichi nella mia testa che mi suggerisce di andarmene e di mettermi al sicuro nella casa di quel politico, ma la curiosità del momento è talmente tanta, che tendo ad ignorarla.
“Sorpresa?” mi domanda, issandosi con la schiena, imitando la mia posizione.
“Un po’.” Ammetto, con le palpebre ancora strabuzzanti ed agitate.
“Sapevo avresti reagito così…” ridacchia, sincero.
“E so anche che non accetteresti nemmeno se ti pagassi.” Mi dice, mentre sul suo volto va a dipingersi un nuovo sorriso, questa volta molto più amaro. Annuisco titubante, ma lui non mi sta nemmeno più osservando. Il suo sguardo è preso dall’alternarsi delle onde sul bagnasciuga, che rinfrescano ancor di più l’aria, gettandoci addosso la loro brezza marina.
“Però volevo che lo sapessi...” continua, ritornando a guardarmi, e frugando qualcosa nella tasca dei suoi pantaloni. Ne tira fuori un biglietto, bianco, coi bordi dorati.
“E volevo darti questo...”
Me lo porge, continuando a sorridermi. Lo guardo per un po’ spaesata, indecisa, ed anche incredula. Poi lo prendo, e ruotandolo fra le mani, capisco che è uno di quei biglietti che vanno coi fiori.
Capisco che è il biglietto di cui mi ha parlato Cikage stamattina, e capisco che la donna di cui suo marito è innamorato, sono proprio io.
Lo apro, sospirando, e ne leggo il contenuto. Sono poche semplici parole, le stesse che mi aveva detto la moglie nella mattinata: “Amore mio, questi tre mesi insieme sono stati fantastici.”
Le sussurro, alzando la voce in modo che possa sentirle anche lui. Poi, dopo averlo richiuso, mi giro verso di lui, incerta.
“Non capisco...” ammetto, guardandolo spaesata. Effettivamente, non so quelle parole cosa significhino, e non so perché stia succedendo tutto questo.
“A quanto pare Kudo non ti ha detto nulla...” Finge un nuovo sorriso, ritornando ad osservare il mare.
“Questo biglietto avrei voluto dartelo sette anni fa, proprio qui, a Niigata. Ero tornato dall’Hokkaido, e volevo farti una sorpresa venendoti a trovare nel giorno dei nostri tre mesi insieme. Ti avevo comprato anche un mazzo di rose, ed avevo scritto queste poche parole... nella speranza di rallegrarti, in qualche modo. Eri sempre così triste, piangevi... ed io, come un idiota, non riuscivo a capirne il motivo. Così, dopo aver preparato le armi necessarie per tentare di uccidere quello che tu adesso chiami marito, ti cercai qui, nell’albergo dove sapevo allogavi con le tue amiche. Ma non ti trovai.”
Comincia a raccontarmi, ironizzando, in un modo tutto suo, la parte dove sottolineava il tentato omicidio di Shinichi. Deglutisco, sorvolandoci sopra.
“Quando tornai mi dicesti che non mi avevi trovato. In effetti non ero in albergo.” Cerco di spiegargli, un po’ imbarazzata.
Ancora una volta torna a guardarmi, ed ancora una volta mi regala un sorriso.
“Mentii.” Mi rivela, appoggiando il mento sulle dita della sua mano, chiusa in pugno.
“Nell’uscire dall’albergo incontrai Hattori e la ragazza, che cercavano in tutti i modi di inventarsi qualcosa per ingannarmi, e mi mandarono da quelle altre tue due amiche... che erano in un karaoke. Una di loro, ubriaca, mi rivelò che eri con Shinichi Kudo...e lì... andai su tutte le furie.”
“Ci scommetterei tutto l’oro del mondo che era Sonoko.” Dico, assottigliando gli occhi.
“Boh, non ricordo i nomi. Comunque era fuori di sé, ma si sa che gli ubriachi spesso e volentieri dicono la verità.”
Torno a spalancare le palpebre, indecisa sul se continuare ad ascoltare o no. Ma non lo fermo, e i suoi ricordi continuano ad affiorare.
“Io sapevo di voi due. Sapevo che eravate fidanzati, che vi eravate lasciati, ma non potevo sapere che tu provavi ancora qualcosa per lui... cioè, io ero accecato dal mio obiettivo, quello di ucciderlo, e dal fatto che tu avessi scelto me a lui...Non potevo immaginare che mi avevi messo due corna grandi come quelle di un cervo.” Ironizza ancora, ridacchiando.
“Tu... tu come lo sai?” continuo a strabuzzare gli occhi, annegando nell’imbarazzo.
“Uscii dal karaoke e continuai a cercarti, ...sempre con le rose in mano” specifica, facendomi vedere le dita. “E cominciai a pensare che avrei potuto trovarti su una di queste spiagge...ed infatti...” continua, per poi fermarsi all’improvviso.
“No... non mi dire che...” cerco di bloccarlo, ma in realtà vorrei solo avere la conferma di ciò che sto pensando. E lui, senza esitare oltre, me la da.
“Sì... ti vidi con lui. Ti vidi fare l’amore con lui.” Specifica poi, sospirando amaro.
Io rimango pietrificata, mentre il mio viso ha assunto la tonalità del rosso fuoco, a causa dell’imbarazzo e della vergogna.
“Oddio... Davvero?” Cerco conferma, come se una volta non bastasse.
Annuisce, tornando ad osservare il mare. “Sì, e non sai quanto ha fatto male.”
“Mi... mi dispiace.” E’ l’unica cosa che riesco a dirgli, sebbene sappia che le parole servano a ben poco adesso.
“Fu come prendere una pallottola in pieno petto. Avrei voluto ucciderlo seduta stante, lui mi aveva privato di tutto... e, col senno di poi, compresi che aveva anche vinto su tutto.”
“Perché non ci hai fermati?” riesco a domandargli, comunque felice che non l’abbia fatto.
Torna a guardarmi, facendo rispecchiare i suoi occhi nei miei.
“Per te.”
“Per me?” chiedo, curiosa.
“Sì. Se tutto fosse andato come speravo, io ti avrei perdonato, facendo finta di nulla, e tu saresti rimasta con me. Ma poi...” sospira, prima di continuare. “Scoprii che eri incinta di lui.”
“Cosa?” gli domando, incredula. “Non lo sapeva nessuno!”
“Dai Ran, non sono così idiota. Tu vomitavi sempre, ed io ho fatto 2+2.”
“Beh... veramente io non lo scoprii finché non feci il test.”
“Comunque avrei accettato anche quello...” mi rivela, ridendo di se stesso.
“Se fossi riuscito ad ucciderlo, io ti sarei stato vicino e tu, prima o poi, mi avresti amato. Il bambino l’avrei cresciuto come un mio figlio, anche se in realtà non lo era...”
“Ma...” faccio per obiettare, ma lui non sembra preso dalle mie parole. Sembra, più che altro, immerso nel passato, e felice finalmente di poter dire tutto. Di poter cacciare fuori quella verità che più volte ha mascherato, ha nascosto. Così decido di zittirmi, e di ascoltarlo ancora. Senza giudizi.
“Io ti amavo Ran. Mi ero innamorato davvero di te, sebbene ti avessi avvicinato solo per lui... mi ero ripromesso di trattarti come una principessa. Credevo di essere giusto per te, il migliore.”
Continua a confidarmi, per poi prendere un sasso dalla sabbia, e lanciarlo contro il mare.
“Ma nulla è andato come volevo... lui riuscii ad incastrarmi e a mandare a puttane tutto quello che avevo organizzato. Io lo odiavo con tutto me stesso. Io vivevo d’odio. Era un incubo continuo!”
Continuo a non parlare, lasciandolo sfogare.
“Mi sbatterono in prigione. E lì, in quelle quattro mura fredde e gelide, capii di aver sbagliato tutto... e non perché non ero riuscito nel mio intento, ma perché il mio odio mi aveva portato sulla strada sbagliata... forse, se mi fossi comportato diversamente, le cose sarebbero andate meglio. E’ lì che io non facevo altro che pensare a te. Se lui era il mio incubo, tu eri il sogno che mi permetteva d’alleviare quel dolore. Eri ciò che si definisce una luce nell’oscurità, sebbene quella luce fosse solo frutto della mia fantasia.”
“E tua moglie?” chiedo, interrompendolo.
“Cikage i primi anni non è mai venuta a trovarmi. Probabilmente era ancora troppo scossa, ed io, intanto, mi ero completamente dimenticato di lei. Cioè, in realtà io non l’ho mai amata, ma mi ci ero affezionato in fondo... ma era un sentimento troppo labile per poter resistere a quella situazione.”
“Lei è innamorata di te però.” Gli dico, osservandolo.
“Lo so. Ma io non sono più Toichi Kemerl. Cioè... Quel Kemerl di cui lei era moglie aveva i capelli neri, i lineamenti giapponesi, ed io non li ho più, e per volere mio. Ma inoltre, non mi sentivo e non mi sento più lui neanche dentro. E’ come se, da quando ti ho incontrato, il Richard che avevo inventato avesse preso il possesso di me. Io volevo essere Richard Nekaie in tutto e per tutto. Dai miei compagni di cella, e dagli altri della prigione, mi facevo chiamare con quel nome ed anche adesso, preferirei essere chiamato così.”
“Richard?” domando, quasi sorridendo.
“Sì.” Sorride anche lui, osservandomi. “Proprio come lo dici tu.”
Non gli rispondo, sentendomi a disagio, ed abbasso il capo, raccogliendo in pugno della sabbia, per poi lasciarla andare.
“Comunque... mi duole ammetterlo, ma la prigione mi è servita. Mi ha fatto vedere cose a cui mai avrei creduto di poter assistere, e mi ha fatto cambiare molte delle mie convinzioni. Lì è un mondo a parte, dove tutto l’insieme si vive nel dettaglio. Ho conosciuto detenuti che erano lì perché avevano vendicato dei loro parenti, uccisi brutalmente da dei pazzi psicopatici, oppure, ancora peggio, venuti a conoscenza della verità troppo tardi.”
“La vendetta è qualcosa che ti asfissia, ti porta a perdere la ragione.” Ammetto, sentendomi chiamata in causa. L’inizio di questa avventura, per me era stata dettata dal desiderio di vendicare mio marito, per poi rendermi conto che mai sarei riuscita a portarlo a compimento, perché, nonostante tutto il dolore, io non sarei mai riuscita a fare del male a qualcun altro.
“Ed io lo so bene. Ma come me, lo sapevano bene anche tutti quei padri che si trovavano lì, separati dai loro figli, quando il loro unico desiderio era quello di rivederli. Spesso e volentieri, le mogli o le compagne, nel caso in cui vanno a fare visita, non portano i bambini in carcere perché credono sia un posto inadatto per loro. Ma si sbagliano, e fanno soffrire sia i mariti che i figli.”
Torna a guardare il mare, scuro e gelido per la nottata.
“Io osservavo il tutto da lontano,  e come uno spettatore in un cinema deserto, potevo assistere alle loro emozioni, ma non provarle sulla mia pelle. Così mi ritrovavo ad invidiare uomini che, dopo lunghi anni, rivedevano i loro figli e scoppiavano in lacrime fra le loro braccia. Io non sapevo cosa significasse aver messo al mondo qualcosa di tuo, che ti appartenga e che lasci un po’ di te anche dopo la tua morte. Perché alla fine i figli sono pezzi di noi che sopravvivono col tempo.”
Abbozzo un sorriso, mentre anche io immergo il mio sguardo nell’acqua nera della sera, incredibilmente sereno. Ed è imitando quella calma, che gli parlo, con estrema sincerità:
“Essere genitori è un’emozione grandissima. Ma porta infinite responsabilità e doveri, rinunce e costrizioni, dove non ci sono libretti d’istruzioni da seguire. In fondo, nasciamo figli, ma nessuno ci insegna ad essere genitori.”
“Conan è venuto su bene.” Dice poi lui, dopo qualche attimo di silenzio.
“Beh, io e Shinichi abbiamo cercato di farlo crescere nel migliore dei modi, ma è comunque una peste, non sai quante ce ne ha fatte passare. I guai se li cerca tutti lui. Alla fine è identico al padre.” Ammetto sorridendo, giocherellando con la sabbia. “In tutto e per tutto.”
“Eh sì.” Annuisce, ridacchiando. “Ma è più simpatico di tuo marito.”
Scappa un risolino anche a me, mentre alla mente mi torna la scomparsa di Conan e il vero obiettivo per cui ho cercato Richard, come lui preferisce essere chiamato.
“Piuttosto, sai qualcosa di lui? E’ scomparso! Se è con uno dei tuoi uomini dimmelo, per favore.” Lo prego, appoggiandogli la mano sulla sua. Lui mi guarda sorpreso, allargando un po’ le palpebre e sbattendole più volte.
“No, non dovrebbe essere a Tokyo insieme ad Hattori e... non so chi, visto che tuo marito si è travestito da Gin.”
Dapprima  leggermente rasserenata per la notizia, tendo anch’io a strabuzzare le palpebre, incredula.
“Come fai a saperlo?!”
Lui ride, inarcando un sopracciglio.
“Sei andata in bagno con lui. Ti conosco e non l’avresti mai fatto se fosse stato il vero Gin, quello che ti ha quasi violentata. Ma toglimi una curiosità, ha le maschere di tutta Tokyo, Kudo?”
“Eh?” ribatto, indecisa se ridere o ignorare la sua ironia. Opto per la seconda, tentando di sviare il discorso.
“Heiji ci ha chiamati per dirci che l’aveva perso. Speriamo l’abbia ritrovato.” Sospiro, angosciata.
“Io comunque non so nulla, in fondo non avrei avuto motivo di rapirlo o tentare di ucciderlo se vi ho mandati a villeggiare tutti e tre serenamente a casa Wunderwaffe.”
“A proposito...” riprendo il discorso, osservandolo. “Posso chiederti perché l’hai fatto?”
“Per una volta nella vita ho voluto provare ad amare anziché che odiare. Sì, insomma, l’ho fatto per te. Sapevo che la tua felicità fosse stare con lui e con Conan, ed ho deciso di sentire il brivido di sentirmi buono, prima della fine.”
“Ehi... dopo aver scontato la pena potrai tornare in libertà e crearti una famiglia, come tu la desideri. Non è mai troppo tardi.” Cerco di rassicurarlo, accarezzandogli la spalla. Attraverso il mio tocco quasi riesco ad avvertire la sconfinata debolezza che gli ha corroso il corpo, ma rafforzato l’animo. Lui si lascia cullare in quella carezza, socchiudendo gli occhi.
E da quegl’occhi, fuoriesce una lacrima.
“No, per me lo è.”
Abbassa il capo, stringendo i denti, e la sabbia in un pugno.
“Perché dici così? Non so quanto ti manchi da scontare ma...”
“Ran... ho un tumore al cervello.”
E mi pare quasi il tempo intorno a me si sia fermato per qualche minuto, permettendomi così di metabolizzare per bene le sue parole. Come se tutto il mondo avesse cominciato a girare, ma a girare così velocemente, da bloccarci in un solo punto privilegiato, dove i secondi non trascorrono.
“Cosa?”
Una nuova lacrima cade dalle sue palpebre, scontrandosi con la sabbia fredda.
“L’ho scoperto qualche mese fa, nei soliti controlli di routine che si fanno. Era molto piccolo allora, e con le chemio avrei potuto tamponare i problemi, e vivere per un anno, forse anche due, ma decisi di non curarmi. Perché, manco a farlo apposta, Cikage aveva cominciato a farmi visita nell’ultimo anno, raccontandomi del suo piano di vendetta e dell’intenzione di appiccare il fuoco nel carcere per farmi evadere. Non le dissi nulla della malattia, ma acconsentii ad uscire... Volevo morire, ma avevo un ultimo desiderio: rivederti.”
“R-Richard...” mi lascio sfuggire, deglutendo ansante.
“Contattai Kudo, e nascosi il cadavere di Juzo Nichi, un ragazzo evaso con me morto d’infarto, nel magazzino. Volevo che lui intuisse il piano, e si travestisse... strano eh? Sette anni fa ho sfruttato te per arrivare a lui, ed ora ho fatto l’inverso.”
“Ma...” tento di dire, ma in realtà non so nemmeno come completarla la frase. Cosa si dice in questi casi? Non arrenderti? Quanto le parole possono divenire inutili, quando ne avresti più bisogno?
“Adesso sai anche il mio piccolo segreto. Non l’ho detto a nessuno, tu sei la prima e l’unica.”
“Io... io non so cosa... cosa dirti...”
Lui sorride appena, scuotendo il capo. “Non dirmi nulla. Ma puoi farmi un piacere?”
Annuisco col capo, sospirando.
“Puoi toglierti questa maschera e farti rivedere per quella che sei davvero?”
Resto per un attimo stupita, poi mi lascio andare un sorriso rasserenato. Acconsento, e comincio a sfilarla, facendo attenzione a non stropicciarla troppo. Nel giro di qualche secondo avverto sul viso il vento che, senza la maschera, è più freddo del solito. Lui, nel rivedere il mio vero viso, dipinge un luminosissimo sorriso sul suo volto, mentre i suoi occhi brillano come due stelle nella notte.
Arrossisco nel sentirmi così osservata, ma vado a tingermi di rosso nel momento in cui lui mi sussurra, con estrema delicatezza: “sei ancora più bella di quanto ricordassi...”
“G-grazie...” balbetto, mentre i miei occhi si riducono a dei puntini.
“Quel Kudo ha tutte le fortune del mondo. Non sai quanto avrei voluto essere lui sette anni fa su questa spiaggia... Avrei voluto essere io il padre del tuo bambino e l’uomo che ami. Lo ammetto, ho tentato di emularlo.” Mi rileva, ridacchiando. “Spero solo ti tratti nel migliore dei modi, e che non ti faccia mancare nulla. Non so cosa ci trovi in lui... io lo odio comunque, ma tu lo ami... e credo ci sarà un motivo.”
“Se l’avessi conosciuto aldilà della faccenda dell’organizzazione, sareste anche potuti divenire amici.” Azzardo, ed osservo lui scattare nell’osservarmi, ed assottigliare gli occhi.
“Stai scherzando!?”
“No?”
“Mai conosciuta persona più sbruffona, esaltata ed antipatica di Shinichi Kudo nella mia vita. E ho detto tutto!” sbotta, tenendo a sottolineare la sua stima nei confronti di mio marito. Sento un gocciolone cadermi sul capo, e la consapevolezza di rinunciare a fargli cambiare idea crescere sempre più.
Lo osservo alzarsi dal tappeto di sabbia, e fissare per qualche istante il cielo nero che va a tuffarsi nel mare ancora più scuro, ma illuminato dalla fievole luce della Luna.
“Dov’è adesso?” mi chiede, senza staccare il volto dalle onde del mare.
“Alla ricerca di Conan, di te e di Cikage.”
“Capito.” Dice, per poi osservarmi dall’alto, essendo ancora seduta sulla sabbia.
“Raggiungilo, che credo starà cercando anche te. Io rimango qui.” Mi avvisa, avanzando di qualche passo. Mi alzo anche io, scuotendo la sabbia che mi si è appiccicata addosso, e mandando lo sguardo a lui, poco più innanzi di me.
“Richard?” lo chiamo, spingendolo a girarsi. “Anche per me furono dei bei mesi.”
Lui sorride, tornando a scrutare il mare.
Non risponde, forse in attesa che io vada via, e che gli lasci vivere gli ultimi istanti di libertà della vita che gli rimangono. In un attimo mi scorrono davanti i fotogrammi della nostra vita insieme, dal primo incontro, al primo bacio, al trasferimento a Tokyo. I suoi sospetti, i miei tradimenti, la sua ossessione, la mia ingenuità. Le mie, le sue, le nostre bugie. Forse sarà tardi per chiedertelo, ma scusami.
Scusami se puoi, perché ho assaggiato l’odio quando tu ci vivevi dentro.
Un suo sussurro blocca i miei passi repentini ma deboli. Le gambe tremano, ma non per il freddo.
Il suo ultimo sussurro.
Le sue ultime parole.
 “Lì dove una vita inizia, una vita finisce.”*
Poi uno sparo.
Il silenzio si squarcia per un istante, poi torna, e più opprimente di prima.
Io corro, inciampo, mi affanno, ma non mi volto.
Ho solo il coraggio di dirgli addio, e per sempre.
 
*
 
“E' solo una scelta Ran Mouri.”
La voce velonosa di Cikage, i volti di Shinichi e Conan dinanzi a me.
Pistole, troppe pistole. 
Ti prego, fa che adesso mi alzi dal letto tutta sudata, e che possa sorridere rasserenata, rendendomi conto che sia stato solo un incubo.
Solo un brutto incubo.
“Chi salvi? Tuo marito o tuo figlio?” 




*
 “Lì dove una vita inizia, una vita finisce.”: La vita che inizia è riferito a Conan, ovviamente. Mentre quella che finisce, a lui ^^.




Buonasera!!! Rieccomi! 
In realtà avrei dovuto aggiornare domani, ma sono riuscita a concludere il capitolo abbastanza velocemente, e così l'ho pubblicato adesso.
Allora! Avete capito cosa era successo a Kemerl? Cosa ne pensate di tutto quello che ha confidato, e della decisione di uccidersi sulla spiaggia?
E del tumore?.... e la fine? Cosa pensiate sia successo ai due Kudo?
Scusatemi se vado di fretta, ma non ho tempo xD
Quindi vorrei ringraziare TUTTE le ragazze che hanno commentato il precedente capitolo, scusate se non vi cito, ma ho davvero poco tempo XD.
E coloro che hanno messo la storia tra le preferite!
Anche coloro che leggono soltanto ^^

Grazie mille!
Ci rivediamo al prossimo ed ultimo chap! :)

Tonia

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Capitolo 19
*** Tutto come prima ***


Diciannovesimo capitolo
Tutto come prima

 
 
Quanto male può fare l’amore?
Conoscere l’altra sua faccia, quella cinica, quella violenta, ti corrode, ti priva di qualsiasi impulso vitale. Smetti di sperare, smetti di pensare, e smetti di vivere, mentre dentro, incominci a morire. Nessuno è immune al suo dolore; ti prende e ti attanaglia, ti sciocca, ti tormenta anima e mente, lentamente... ti fa impazzire.
 
E quella pazzia l’ha conosciuta bene Cikage. Ne è rimasta intrappolata senza via di fuga, e senza alcuna voglia di fuggirne. Tentare di farla ragionare sarebbe pressoché inutile; darebbe più risultati parlare di musica ad un sordo, di un paesaggio ad un cieco, o di quanto sia bello cantare ad un muto.
Lei non capirebbe.
Se le parlassi d’amore, della gioia di condividere con qualcuno tutto quello che ti appartiene, lei non capirebbe.
Se le parlassi del bene inimmaginabile che si prova per un bambino, e della voglia di proteggerlo da ogni male che questo mondo gli possa causare, lei non capirebbe.
E allora come potrei pretendere di farle capire che, al di là dell’odio e del rancore, dovrebbe abbassare quelle pistole?
Continua a ripetermi che è soltanto una scelta, ma credo di non ascoltarla nemmeno più.
I miei occhi sono bloccati dal terrore, fissi sulle figure di Shinichi e Conan.
Il primo che tenta invano di svincolarsi dalla presa degli uomini che lo trattengono e lo minacciano con qualche pistola di troppo; il secondo immobilizzato, incapace a fare movimenti che, per un caso o l’altro, possano tradirlo. Io li guardo boccheggiante, ansante, in preda al panico.
Anche se volessi ragionare, sarei impossibilitata a farlo.
Come si fa a mettere in moto il cervello quando tuo figlio e tuo marito hanno dieci pistole puntate alla testa?
“CONAN, SALVA CONAN!”
Mi arriva da lontano la voce di Shinichi, e si schianta su di me con una violenza inaudita, facendomi sobbalzare. Vuole morire per salvare nostro figlio che, intanto, al suono delle parole del padre comincia a lacrimare.
Ed io con lui. Scuoto il capo, respirando rumorosamente.
No, no, no, no, no. Non potrei farti uccidere. Mai.
“RAN MA CHE FAI?! SALVA CONAN, DANNAZIONE!”
Scuoto il capo di nuovo, mentre le lacrime inumidiscono il mio viso.
Prendo fiato, consapevole che possa essere l’ultima volta.
“Uccidi me.”
In un istante l’attenzione di tutti viene presa dalle mie parole. Shinichi strabuzza gli occhi,  probabilmente gli pare tutto un sogno. Conan lo imita, i malavitosi dirigono i loro sguardi verso di me. La stessa Cikage, che dapprima sogghignava, comincia a guardarmi incredula, con gli occhi sbarrati.
“NO!” grida mio marito, ma lo ignoro e con me, Cikage.
“Io sono la causa di tutto, no?” le chiedo, cercando in lei conferma. “Uccidi me, ma lascia andare loro due.”
Ancora qualche attimo, che a me pare interminabile. Lei mi scruta, sbattendo lentamente le palpebre.
Poi ricomincia a sorridere, puntandomi la pistola contro.
“Hai ragione.” Deglutisco, stringendo forte i pugni. “Tu sei la troia, e tu devi pagare.”
“Promettimi che lascerai andare loro due però.”
Fa scivolare il dito sul grilletto, pronta a premerlo. Mi guarda con insistenza, i suoi occhi si gonfiano, straripano di lacrime.
“E’ tutta colpa tua! Toichi...”
Ripete più volte il nome del marito, mentre continua a far forza sul quel grilletto.
“Toichi...”
Guardo Conan, mi brillano gli occhi nel pensare che quella creatura sia opera mia.
E poi, rivolgo un ultimo sguardo a Shinichi.
Mi scappa un sorriso, lui è il mio Shinichi.
E noi siamo i Kudo.
“Grazie di tutto.” Dico soltanto a lui, muovendo le labbra. “Ti amo.”
Poi non sento più nulla, se non un bagliore accecante che brucia la notte.
Socchiudo le palpebre.
Sono in Paradiso.
 
Riapro gli occhi, spaesata. Sento ancora le mani, e le braccia, ed anche le gambe. Non ho nessuna ferita al petto, il sangue scorre bollente nel mio corpo, intatto.
Cikage è ancora davanti a me, con la pistola puntata, e Shinichi e Conan sono ancora dietro di lei, davanti a quegli uomini dai loschi propositi. Solo che, intorno a me, è luce.
Ma cosa è successo?
“Ehi...” fa per esclamare uno di loro, puntando l’indice verso qualcosa di impreciso. “Ma quello è...”
Il suo movimento è seguito dal nostro, ancora più repentino.
Nei miei occhi si riflette audace la figura bianca del ladro più ambito dalla polizia giapponese, che spavaldo, e senza alcun timore, si mostra alla notte di Niigata.
“KAITO KID?!?”
L’indelebile ghigno stampato sulla sua faccia attira mille e più passanti, mentre noi, al di sotto del lungomare, sulla sabbia, assistiamo alla scena, esterrefatti.
Io per prima, che credevo fosse a Tokyo con mio figlio.
Ma prima che possa dire una sola parola, degli spari rompono il silenzio della notte, che è tornata ad essere più scura che mai. Mi volto verso Shinichi, pensando al peggio.
Ritrovandomi, invece, di fronte al meglio.
“Io l’avevo detto di avere una buona mira.”
Heiji punta con sicurezza la pistola contro la donna, avanzando di qualche passo. Dietro di lui tre poliziotti, tra i quali riconosco Sawaguri e Megure.
Cikage riesce soltanto a girare gli occhi verso mio cognato, sbiancando, e sudando freddo.
“C-Cosa?” balbetta, ricercando i suoi uomini. “Sparategli!” Ordina loro, che intanto sono svenuti vicino mio marito, libero finalmente, insieme a Conan, dalle pistole. Le armi sono a terra, allineate, saltate via dalle mani dei criminali a causa degli spari di Heiji, che con un’incredibile precisione, è riuscito a ribaltare la situazione.
Mio cognato raggiunge la donna, la intrappola, approfittando del momento di stupore, e fa cadere anche la sua pistola sulla sabbia, spostandone un bel po’.
Cikage si morde le labbra, che vengono bagnate dalle sue lacrime, adesso ancora più amare.
Punta i suoi occhi neri nei miei, mi guarda con dolore e frustrazione, con odio e rancore.
“Hai vinto di nuovo.” Afferma, singhiozzante, mentre Heiji, alle sue spalle, ordina a Sawaguri di raggiungerlo.
“No, non ho salvato Richard e non sono riuscita a far cambiare idea a te. Abbiamo perso entrambe.”
Lei rimane per qualche attimo in silenzio, mentre le sue braccia vengono trattenute dall’agente. Poi sorride con amarezza, socchiudendo gli occhi, e permettendo che l’uomo la porti via, insieme ai suoi scagnozzi.
“Ora capisco cosa avevi più di me.” Dice, allontanandosi e dandomi le spalle. “Tu non sai odiare.”
Heiji mi osserva titubante, mentre il mio sguardo è preso dalla sua figura che lentamente scompare oltre la spiaggia. E mi rendo conto che a volte la vita si beffa della tua esperienza. Molto spesso, credi di sapere già come vanno le cose nel mondo e cosa fare per risolverle, come se in mano avessi una bacchetta magica pronta ad esaudire ogni tuo desiderio. Poi, quando ti accorgi che quella magia è solo frutto della tua fantasia, ti scontri con la realtà dura e fredda, e senti il mondo sbriciolarsi sotto i tuoi piedi. Ti sembra che tutto quello che hai vissuto fino a quel momento non aveva alcun significato e capisci che non tutto è per sempre, e che le migliori esperienze possono concludersi proprio come sono iniziate.
Però, a volte non riesci ad accettarlo, e resisti, combatti, vai avanti.
Ti aggrappi a ricordi che scivolano via tra le tue mani, senza poter fare nulla per fermarli.
Ma in fondo, cos’è più giusto? Vivere il nostro futuro, o salvare il nostro passato?
Cikage aveva tentato inutilmente di porre un freno alla vita, di controllarla e di fingersi incosciente di ciò che la stava investendo. Ma anche io, come lei, avevo tentato di non lasciar andare il mio passato.
Anche io rivolevo Shinichi a tutti i costi, volevo vendicarlo. Anche io ho provato l’odio sulla mia pelle, e quindi anche io so cosa significhi.
Ma è stato l’amore a vincere su tutto, ecco cosa mi distingueva da lei.
L’amare.
Consapevole che l’artefice di tutto ciò si trova a pochi metri da me, proietto gli occhi su di lui.
I fievoli raggi del Sole lo illuminano in parte, ma abbastanza da poterlo ammirare nella sua intramontabile perfezione. E quei stessi tratti li ritrovo in mio figlio, accanto a lui, intento a guardarlo negli occhi, colmi di ammirazione.
Sorrido, e riesco a malapena a trattenere le lacrime nel momento in cui, entrambi, mi osservano.
Solo adesso me ne rendo davvero conto: è finita.
Non c’è più nessun’organizzazione, nessun ostacolo, nessuna ferita. Siamo di nuovo noi, come prima.
E ad accertarmi di ciò, c’è il sorriso splendente di mio marito, e quello ancora più sorridente di Conan.
La voglia di riabbracciarli è tanta, ma prima dei pensieri agiscono le gambe. Simultaneamente, ci dirigiamo gli uni contro gli altri, avanzando sulla sabbia umida e fresca.
Sbatto contro il petto di Shinichi, al quale mi aggrappo, nel desiderio di non lasciarlo più andare via. Ma qualche secondo dopo ci chiniamo sulle ginocchia, permettendo al nostro tesoro più grande di unirsi nell’abbraccio, che avviene, senza titubanze, pochi istanti dopo.
Li bacio entrambi, consapevole che qualche minuto fa non avrei potuto farlo più; così li inondo di affetto, e lo stesso fa con me Conan, mentre il padre, che tende a mostrarsi più timido del solito, ci circonda nel suo abbraccio.
Pochi metri distante, un Heiji Hattori taciturno ci guarda addolcito, abbozzando un sorriso sereno.
 
*
 
“KUDOOOOO!!!”
Un grido di gioia si fa spazio nell’aria, quando un pesante vento viene alzato dal burrascoso ed improvviso movimento di taluni poliziotti - tra cui Megure - che, alla vista di mio marito, hanno dapprima assunto un colorito tra il pallido e il bianco, per poi sfogare la loro sorpresa in un abbraccio multiplo, dal quale Shinichi tenta inutilmente di sottrarsi.
Lo stesso ispettore sembra stia piangendo, mentre con le grosse mani scompiglia i capelli del mio compagno, irritandolo quel che basta per fargli assumere la sua inconfondibile espressione seccata.
Poco più distanti, io e Conan assistiamo alla scena, a fianco a Kaito liberatosi dei suoi vestiti scenografici, in sostanziale silenzio.
Nel tentativo di romperlo, e di chiarire una questione che mi è ancora oscura, tossicchio visibilmente, portando l’attenzione dei due su di me.
Si girano, ma il mio sguardo è diretto a mio figlio che, comprendendo le mie azioni, comincia a guardarmi con timore.
“Conan... cosa diavolo ci facevi a Niigata? Potrei saperlo?”
Forse per astuzia - chissà -, o per vera ingenuità, mio figlio comincia a spiegarmi il tutto, assumendo un’espressione angelica, mentre Kaito è intento ad ascoltare, osservandolo.
“Io ho avuto paura! Lui e zio stavano parlando di te e di papà, ed hanno detto che eravate partiti per Niigata! Io volevo aiutarvi, per ciò sono partito da solo, per venire da voi...”
“Sei uno sciocco!” alzo il tono, canzonandolo per bene. “Ma ti rendi conto di quanto ci hai fatti stare in pensiero? Dovevi restare con zio e Kaito, e non agire di testa tua! E poi sei un bambino, non devi viaggiare da solo!”
“Scusa mamma.” Prova ad abbindolarmi, mettendo su il muso. Ma io lo ignoro volontariamente, e con agilità, continuo a domandargli: “E poi perché papà era con te? Come ti ha trovato?”
“Per caso, ma lui aveva la maschera di quel tizio antipatico quando l’ho incontrato! Non l’avevo riconosciuto!” Gli luccicano gli occhi, sentendosi colpevole, e con lo stesso tono aggiunge: “Così ho tentato di scappare, ma per convincermi papà si è tolto la maschera, ed in quel momento è arrivata la donna brutta!”
“E così lei vi ha visti...”
“Sì, poi ci hanno minacciato con le armi, e papà non ha potuto fare altro che obbedire ai suoi ordini.”
“Ordini?”
Annuisce col capo. “Ci ha chiesto di camminare fino alla spiaggia, e lì ti abbiano rincontrato.”
“In effetti, oltrepassando lo scoglio, mi sono ritrovata lei avanti, e voi dietro... probabilmente avrà ascoltato tutta la conversazione tra me e Richard... e sarà andata su tutte le furie.”
Finalmente noto Shinichi riavvicinarsi velocemente a noi, con i capelli scompigliati e i vestiti stropicciati, ed un’indelebile espressione seccata sul viso.
“Per questo erano scomparsi i suoi uomini.” Chiarisce la questione Kaito, con braccia incrociate, per poi aggiungere repentino: “Lei li aveva chiamati per farsi raggiungere a Niigata.”
“Voi come l’avete capito?” chiedo all’uomo, mentre Shinichi si volta nei suoi confronti per ascoltare la risposta, interessato. Kaito ridacchia, grattandosi la nuca con una mano.
“In realtà l’ha capito Hattori... Cioè, ha intuito che Conan fosse fuggito a Niigata, che quegl’uomini fossero con la donna... e quando siamo arrivati, nel giro di qualche minuto ha ideato il piano: io mi sarei fatto vedere come Kaito Kid per attirare l’attenzione di tutti e farli distrarre, mentre lui liberava il bimbo dalle pistole e permetteva a Kudo di contrattaccare. Il resto lo sai.”
“Zio ha davvero un’ottima mira!” esclama gioioso mio figlio, mentre Shinichi si ferma qualche istante a pensare, abbandonando lo sguardo nel vuoto.
“E’ vero, è stato merito suo.” Faccio per apprezzarlo, lanciando un’occhiata a mio marito, ma subito dopo mi correggo, convinta di star sbagliando: “cioè, anche merito tuo ovviamente.”
Il ladro – amico di Shinichi sorride, lasciandosi andare ad una smorfia di disappunto.
“Spero solo che non mi abbiano visto in molti... da Kid intendo...”
Inarco un sopracciglio, stupefatta: anni prima avrebbe fatto di tutto per attirare l’attenzione!
Ma prima che possa pronunciare qualsiasi cosa, è Shinichi ad anticiparmi, sorridente: “problemi con tua moglie?”
Kaito sbuffa, emettendo un sospiro mozzato.
Osservando il tutto, una domanda mi sorge spontanea, e la lingue tende a formularla in un attimo.
“Tua moglie non sa che...?”
“Ehi,” mi richiama una voce, obbligandomi a spezzare le mie parole e a voltarmi verso la sua fonte. “Volevo chiederti scusa.”
Dinanzi mi ritrovo Sawaguri, l’agente che qualche settimana fa è stato motivo di rabbia e liti, causando anche l’esonero di mio cognato. Mi porge le sue scuse azzardando un mezzo inchino, per poi issarsi ed osservare mio marito, che curioso, assiste alla scena.
“Non preoccuparti. Ma non dovresti farle a me, ma al tuo collega.” Lo avviso, riferendomi ad Hattori che, al momento, non è presente.
“Lo so, e volevo chiedere scusa anche a te Kudo.”
“Non so di cosa tu stia parlando.” Afferma Shinichi, effettivamente all’oscuro di tutto. Sebbene avesse inondato la casa di spie, ciò che successe quel giorno restò intrappolato nel silenzio di quel pugno e nella franchezza dei presenti di non parlarne.
“Sawaguri!? Insomma, noi dobbiamo andare!” Una voce lontana - quella dell’ispettore Megure - lo richiama, costringendolo a bloccarsi. Il poliziotto lo sta aspettando nell’auto volante che porterà via Cikage, trasportandola in centrale. Ignorando me e gli altri, l’agente decide di dileguarsi, evitando che il superiore rincari la dose di richiami.
Osservo la scena un po’ intontita, e indubbiamente sorpresa.
“Sarà l’aria di Niigata a far bene alle persone...” ragiono ad alta voce, azzardando un tono sarcastico.
Shinichi, dapprima in silenzio intento a guardarlo andarsene, mi da un colpetto sulla spalla, spingendomi ad osservarlo. Con intensa curiosità mi osserva, e stupito mi parla: “Quel tizio mi ha sempre odiato... ma che gli è successo?”
“Ehm...” titubo un po’ prima di rilevargli il tutto, indecisa dal come partire. Poi, utilizzando anche un po’ di furbizia, vado dritta al tema centrale: “Diciamo che... gli ha fatto cambiare idea Heiji.”
Inarca un sopracciglio, invitandomi a proseguire.
“Sì, insomma.. lui parlava a sproposito di te, ed Heiji, stufo, gli regalò un bell’occhio nero.” Ridacchio, ripensando all’accaduto. L’unico ricordo divertente e soddisfacente che quel mese infernale avesse mai potuto regalarmi.
Mio marito sbatte più volte le palpebre, e tenta di nascondere - per sua sfortuna, invano - un sorrisetto compiaciuto. E così, per cercare di mascherarlo, si lascia andare ad uno sbuffo.
“E’ sempre il solito.” Decreta, fingendosi seccato. “E’ per questo che si è fatto esonerare?”
Annuisco, sorridendo.
Continua a rilasciare una quantità enorme di sospiri, visibilmente in imbarazzo, mentre distoglie gli occhi dal mio sguardo, forse senza aver il coraggio di sostenerlo.
Il silenzio calato nell’ambiente, seppur abbastanza rumoroso per il mormorio di fondo di alcuni agenti, viene spezzato da una sua tosse nervosa.
“S-sai... dov’è Heiji?”
Scuoto il capo, negando. Ma è Kaito a rispondergli, repentinamente: “è vicino a quella volante. Sta chiarendo gli ultimi dettagli del caso con i suoi agenti.”
Io e Shinichi dirigiamo la testa in quella direzione, e da lontano scorgiamo il capo del nostro amico, impegnato a trattare con gli altri poliziotti, e a tenere a bada Cikage, prima di portarla in questura.
“V-vado... vado da lui.” Mi dice titubante, con lo sguardo basso. Annuisco, sorridente, ma prima che possa allontanarsi, la voce di Conan richiama la nostra attenzione, portandolo a bloccarsi. Mio figlio, ridente ma allo stesso tempo sorpreso, ci avverte della presenza, seppur lontana, di Yukiko e Kazuha, accompagnate da Sophie.
“Che ci fa mia mamma qui?!” mi chiede Shinichi, sbattendo le palpebre dalla meraviglia.
“Ehm...” esito a spiegargli tutta la faccenda, presa dalle loro figure che lentamente si avvicinano.
Ma nel voltarmi ad osservarlo, mi rendo improvvisamente conto che, soprattutto mia suocera, è all’oscuro di una notizia davvero importante e che potrebbe scioccarla, nel scoprirla così d’impatto.
“Le verrà un infarto nel vederti!” Deduco, mordicchiandomi il labbro.
“Che faccio, mi nascondo?” mi chiede, con una punta fin troppo accentuata di sarcasmo.
“Rimettiti la maschera” gli suggerisce Kaito, indicandola. “Le spiegheremo tutto con più calma, no?”
“Ma non dire sciocchezze! Mia madre è una donna forte!” Afferma lui, fiero, in attesa che le due donne, inconsapevoli della nostra presenza, si avvicinino sempre di più e ci vedano.
“Shinichi... sei sicuro?”
“Certo.” Annuisce, convinto. “Sta un po’ a vedere...”
Avanza di qualche passo verso di loro, tentando di farsi notare con lo sventolio di un braccio. Mai - lui - avrebbe immaginato che la baronessa della notte, tanto furba e sicura, nel vedere suo figlio richiamarla e rivelarle così della sua presenza, potesse cadere a terra priva di sensi, dopo qualche attimo di esitazione e di profondo stupore.
“Ehm... forse non è stata proprio una buona idea.” Decreta, rendendosene conto.
Gli lancio un’occhiata sinistra, con palpebre assottigliate.
“Che idiota.”
 
*
 
“Nonna?!”
“Yukiko?!
“Nonna?!”
“Yukiko?!”
Sospiriamo entrambi, io e Conan, afflitti, nel notare che i nostri richiami non sortiscono alcun effetto sulla donna, trasportata dal figlio su una volante, e fatta sdraiare nei sedili posteriori.
“Niente da fare... nonna non si sveglia.”
“Tutta colpa di quest’idiota di tuo padre!” Lo ammonisco, regalandogli una serie di sguardi truci e torvi. Shinichi simula una smorfia, per poi distogliere lo sguardo, seccato.
“Non credevo la prendesse così male!”
“Papà però... un po’ di delicatezza in più potevi usarla.” Lo ammonisce anche Conan, con tono ironico.
“Ehm... scusate?” si fa spazio nella mischia la mia amica, intimidita. “Potrei sapere cosa è successo?”
Io e Shinichi ci guardiamo, e sospiriamo all’unisono. Decido di spiegarle, in breve, tutto quello che è accaduto da quando Heiji fu esonerato, evitando di raccontare - appositamente - del quasi bacio, o comunque, di quello che accadde quella notte. Kazuha ascolta il tutto con vivo interesse, mentre Conan e Shinichi controllano la povera Yukiko, ancora priva di sensi.
“E così si è suicidato...” soffia poi, dopo aver sentito, insieme a Shinichi, di ciò che Richard mi aveva rivelato la notte prima, sul punto di morte. Annuisco, leggermente rattristita.
“Lui è la prova che le persone possono cambiare. E’ riuscito a provare qualcosa oltre l’odio.”
Emette uno sbuffo Shinichi, col capo chinato. “Avrebbe potuto finire di scontare la sua pena e rifarsi una vita.”
Scuoto il capo, e con fatica, mando giù saliva. “No, era malato. Aveva un tumore al cervello.”
Mio marito spalanca gli occhi, seguito da Kazuha, mentre Conan ascolta ed osserva il tutto in sostanziale silenzio, imitato da Sophie.
“Un tumore al cervello?!”
“Sì, gli restavano pochi mesi di vita. Aveva preferito non curarsi.”
Kazuha abbassa la testa alla strada, colpita dalla mia confessione, mentre Shinichi immerge lo sguardo oltre il lungomare, verso la spiaggia. La sua voce mi giunge pochi minuti dopo, accompagnata da uno strano sorrisetto. Amaro, oserei definirlo.
“Adesso capisco tutto.”
Lo guardo, invitandolo a proseguire, e noto farlo anche a Conan, incuriosito.
“Il motivo per cui svenne quel giorno.” Comincia, socchiudendo le palpebre al ricordo di quegli eventi.
“Un cancro al cervello è difficile da diagnosticare, perché i sintomi dipendono dalla zona in cui esso ha colpito: ad esempio, i tumori del lobo occipitale provocano disturbi visivi, allucinazioni e convulsioni; quelli del lobo parietale si manifestano con convulsioni, paralisi e generiche difficoltà motorie. Ma se il cancro colpisce il cervelletto, allora il malato avrà molte difficoltà a mantenere l'equilibrio, a coordinare i movimenti; soffre spesso di forti cefalee, di nausea e vomito. Ecco perché spesso era pallido, perché diceva di avere mal di testa, e perché perse i sensi.”
“Altro che attacco di gelosia...” medito ad alta voce, ripetendo le parole che sentii da mio cognato il giorno dopo l’accaduto. Kazuha mi osserva perplessa, e con curiosità, inarca un sopracciglio.
“Attacco di gelosia?”
“Eh?” gemito, presa alla sprovvista.
“Di chi era geloso?”
“No, no... niente, pensavo ad altro.”
La mia amica, sebbene non sembri sufficientemente convinta, si lascia trasportare dalla gioia della figlia che, nel vedere il papà arrivare, si stacca dalla madre per saltargli addosso, con l’agilità di un gatto.
“Ciao tesoro!” La saluta, accogliendola fra le sue braccia, e dandole un mare di baci, che provocano nella bambina una risata incontenibile. Sorpassando e quasi ignorando Shinichi, Heiji si avvicina alla moglie e sorridendole, si abbassa per regalarle un bacio sulle labbra, che mi strappa un sorrisetto.
Kazuha si lascia andare, per poi abbracciarlo con forza, felice di poterlo riavere di nuovo accanto.
“Ma che è successo a Yukiko?” domanda poi, ridacchiando.
“E’ svenuta quando ha visto Shinichi.” Lo informo, facendomi contagiare dal suo sorriso.
“Ah, giusto... voi non eravate al corrente.” Ricorda, mandando un’occhiata furtiva all’amico.
“Hattori? Puoi venire solo un secondo?” Lo richiama un suo agente, facendogli segno con le dita di avvicinarsi. Mio cognato annuisce, e staccandosi dalla presa della sua bambina, si avvia verso l’uomo. Shinichi, nel guardarlo allontanarsi, decide di affiancarlo, rilasciando un sospiro di rassegnazione. Senza curarsi della madre svenuta, mio marito lo raggiunge, scomparendo dietro il furgoncino, vicino alla volante.
Guardando mia suocera ancora priva di sensi, decido di issarmi con la schiena e d’allontanarmi un secondo, lasciandola nelle mani della mia amica.
“Kazu... torno subito, vado a cercare un po’ di acqua e zucchero, le farà bene.”
Sebbene suoni un po’ da scusa, la frase sembra ottenere l’effetto desiderato. Kazuha annuisce, portandomi ad affrettare i passi, superare un po’ d’auto parcheggiate, e rallentare nei pressi della volante. Sfrutto la maestosità del furgoncino vicino per nascondermi, e avvicinandomi di qualche centimetro, noto che l’agente che aveva richiamato Hattori per un ultimo chiarimento, si è messo alla guida dell’auto, ed accendendola, si è fatto spazio per andare via. I due detective, fermi ad osservarlo andarsene, sono in sostanziale silenzio. Dopo l’ultima manovra, mio cognato, col capo rigorosamente abbassato, torna sui suoi passi, tentando di ricongiungersi con la sua famiglia, ma una voce lo blocca, spingendolo a sorridere.
“Oh? Aspetta un attimo...” lo chiama Shinichi, spingendolo a voltarsi nei suoi confronti.
La risposta arriva laconica, ma forse anche un po’ seccata: “Che c’è?”
“Scusa per quello che ti ho detto.” Comincia, ma senza guardarlo negli occhi. Ha il capo chinato e lo sguardo rivolto verso il basso, incapace ad alzarlo.
“Non preoccuparti. Acqua passata.” Gli sorride sinceramente, ma mio marito non può vederlo. E forse è anche meglio: capendo di esser stato perdonato, non avrebbe continuato!
“E’ passato anche tutto quello che hai fatto per me, ma non mi sembra di averti mai ringraziato.”
“Non ce n’era bis...” prova ad interromperlo Heiji, ma senza risultato.
“Quindi grazie. Grazie per avermi sempre aiutato, grazie per aver protetto Ran e Conan mentre io non c’ero, grazie per avermi difeso, grazie per averci salvato. Spero solo di poterti restituire il favore, in un modo o nell’altro.”
Hattori continua a sorridere, soddisfatto quasi. Lo imito, rabbuiandomi oltre lo specchietto dell’auto.
“Ok, hai finito?” Lo deride, cercando di stemperare la tensione. “L’aria di Niigata ti fa male, amico.”
Maschi: fanno i duri, ma quando si tratta di dimostrare le loro emozioni l’uno con l’altro, scappano.
Ridacchiando felice, ma cercando di mascherarlo all’amico, Heiji comincia ad allontanarsi, cavalcando il profilo del furgoncino, cercando di dileguarsi. Faccio lo stesso, soddisfatta e convinta che Shinichi abbia davvero concluso. Ma i passi di entrambi vengono bloccati nuovamente dalla voce di mio marito, sicura e ilare.
“Heiji Hattori?”
Mio cognato si volta velocemente, girandosi col corpo.
In silenzio, aspetta che sia lui a parlare; lo vedo finalmente alzare gli occhi, ed abbassare le barriere.
“Grazie per essere il mio migliore amico.”
 
*
 
“Non si è ancora svegliata?” chiedo, dopo esser tornata velocemente all’auto, ed aver recapitato un bicchiere con dello zucchero ad una salumeria vicina, aperta ventiquattro ore su ventiquattro.
“No.” Scuote il capo mio figlio, sospirando.
“Speriamo non svenga di nuovo dopo...” rifletto, elaborando la scena nella mia mente. Credo sarebbe comico e tragico allo stesso tempo.
Kazuha e Conan azzardano un sorrisetto, fantasticando. Intanto, notiamo Shinichi ed Heiji riavvicinarsi insieme, impegnati a chiacchierare come un tempo, quando i loro volti venivano ornati da meravigliosi sorrisi. Mi fermo a guardare mio marito, rapita dalla sua presenza, quando una gomitata mi arriva nei fianchi, facendomi sussultare.
La mia amica, ancora col braccio proteso in aria, mi osserva maliziosa, muovendo su e giù le sopracciglia.
“Allora?” mi chiede, portandosi una mano ai lati della bocca, in modo da escludere mio figlio dalla conversazione.
“Allora cosa?”
La mia ricerca di chiarimenti la fa indispettire ancora di più, tant’è che continua a stuzzicarmi, mantenendo un tono sostanzialmente basso: “Vi siete salutati per bene tu e Shinichi?”
Le mie guance si accaldano nel recepire il senso del suo discorso, ma l’imbarazzo fugge via, e mi permette di replicarle con una linguaccia. Ma lei, tenace, non demorde.
“Siete stati lontani per molto...”
Ridacchio, lanciando lo sguardo altrove. “Non abbiamo ancora avuto occasione.”
Bugia, ma preferisco evitare di raccontarle di tutte le interruzioni di questi ultimi giorni, soprattutto in presenza di mio figlio.
“Perché non rimanete a Niigata?” suggerisce, furba. “Mi sembra di ricordare che sia...”
Ma io la zittisco, ancora prima che possa concludere. “Ma che dici? Sei impazzita? Ti ricordo che c’è Conan... dove lo mando?”
Strabuzza gli occhi, per poi tornare a camuffare la sua voce con la mano. “Conan può rimanere con la nonna, mentre voi...”
Arrossisco ancora, per poi scuotere il capo. “No, no. Non posso farlo.”
“Perché Ran?!” sbotta in sottovoce. “Ripetete l’esperienza di sette anni fa... magari gli regalate anche un fratellino!”
“Ti pare che vado dove stanotte si è ucciso Richard?!” le ricordo, ma alla mia voce, Kazuha assottiglia gli occhi, spazientita.
“Ran, non dicevo sulla spiaggia... non è estate, vi congelereste! Ma ci sono gli alberghi...” continua, allusiva.
“Sì, certo... lo so...” sospiro, incominciando a pensarci sul serio. Perché queste idee pazze si insinuano nella mia testa facendomi perdere il lume della ragione? Non posso espropriare Conan per soddisfare questi desideri malsani, sarebbe vero egoismo. Però, in fondo...
“Si sta svegliando!” interrompe il flusso dei miei pensieri la voce di mio figlio, nel notare la nonna aprire debolmente gli occhi ed issarsi lentamente dal seggiolino dell’auto. Ci guarda intontita, sbattendo più volte le palpebre, fin quando non le spalanca, osservandomi spaurita.
“Ran! Menomale che sei qui! Non sai che sogno ho fatto!” esclama, scuotendomi per le spalle. Voltando il capo verso Kazuha, si scontra con la figura di mio figlio, per poi tornare a guardare me.
“Ho sognato che Shinichi era vivo e che...” si blocca all’improvviso, soffermandosi a fissare il mio abbigliamento. Poi, grattandosi il capo, aggiunge: “Ma lo sai che nel sogno avevi proprio questa maglia?”
“Ehm sì... c’è un motivo Yukiko. Appunto...”
“Comunque mio figlio era vivo, e stava insieme a te, e a...” continua a sbottare, impedendomi di continuare. Insospettita, sposta la sua attenzione sul mio bambino, che la osserva sorridente.
“... Conan. Ma che ci fai qui?! Ti ho cercato ovunque!!”
“Yukiko... ehm, sai, non era propriamente un sogno.” Riesco ad avvisarla, tentando di dirglielo più delicatamente possibile. Mia suocera sbatte più volte le palpebre, incredula.
“Che vuoi dire?”
“Beh... appunto, una delle novità di cui ti parlavo ieri è...”
Ma non riesco a completare la frase che la donna comincia a lacrimare, e a fissare un punto determinato dietro di me. Nel seguire la scia del suo sguardo, mi scontro con Shinichi, che sta osservando la madre con un dolce sorriso stampato sulle labbra. Mia suocera si alza dall’auto e si fa spazio tra di noi, tentando di avvicinarsi a lui, sebbene lo faccia a tentoni. Ma pochi istanti dopo, con gli occhi gonfi e rossi, si fionda verso mio marito, aggrappandosi al suo collo, singhiozzante.
“SHIN-CHAN!!!”
Le sue grida, miste tra gioia e lacrime, ci arrivano sino al cuore, rallegrandoci.
E mentre Shinichi la stringe a sé, leggermente imbarazzato, io e Conan ci lanciamo un’occhiata felice.
 
*
 
Immergendo lo sguardo nel cielo di Niigata, godo del venticello che va a scompigliarmi i capelli, e che si posa sulla mia pelle gelida. La testa tra le mani, e i gomiti poggiati alla ringhiera di quel lungomare così familiare, così dolce, e adesso anche così triste, mi lasciano abbandonare ad un mondo tutto mio, fatto di pensieri e indelebili ricordi.
Un braccio mi circonda il bacino, facendomi sussultare, mentre un caldo respiro si avvicina al mio orecchio. Non mi volto neppure, ma mi lascio stringere in quell’abbraccio. Shinichi mi sorride, per poi affiancarmi, ed osservarmi per qualche istante.
“Dove sono gli altri?” gli chiedo, appoggiandomi alla ringhiera.
“Sono tutti andati in albergo, a cercare delle camere libere. Hanno detto che vogliono rimanere qui per stanotte.” Mi informa, sorridente.
Mi coloro di rosso, mentre le parole di Kazuha rimbombano nella mia mente, come un disco rotto che ripete sempre la stessa strofa.
“Ripetete l’esperienza di sette anni fa... magari gli regalate anche un fratellino!”
Sebbene il secondo sia qualcosa di azzardato e poco propensa a farlo, devo ammettere che il primo suggerimento è parecchio allettante. Rido dei miei stessi pensieri, talmente tanto da farlo notare anche a Shinichi; lui che, puntualmente, si incuriosisce.
“A che pensi?”
“Io?” chiedo, puntandomi l’indice contro, arrossita. “A nulla...” sorrido, osservandolo allusiva.
“Dai, dimmi!”
Simulo una smorfia, prima di riuscire ad inventarmi una qualsiasi scusa.
“Che il nostro ritorno a Niigata l’avevo immaginato molto più sereno.” Sorrido, osservandolo.
“Perché?”
“Beh... Richard, Cikage, un morto, ed io quasi... l’ultima volta fu diverso...”
“Ah,... stai pensando alla notte di sette anni fa.” Deduce, con sicurezza.
Lo guardo torva, mentre lui si lascia andare ad un sorriso malizioso e terribilmente irritante, ma che io amo più di ogni altra cosa al mondo.
“Assolutamente no... neanche me la ricordo.” Fingo, indispettita.
“Se vuoi posso rinfrescarti la memoria nel migliore dei modi.” Continua, avvicinandosi e soffiandomi in un orecchio: “E poi il patto non vale più, vero?”
“Ah, sì?” bluffo ancora, nonostante sia consapevole dell’avvenuta pace con Heiji; ma è proprio dargliela vinta immediatamente che mi scoccia, mi piace giocarci.
“Sì.” Mi sussurra, stringendomi da dietro.
“A proposito di quella notte...” lo distraggo, scansandomi dai suoi baci. “Non mi hai mai detto che avevamo avuto uno spettatore.”
Shinichi sorride, portando lo sguardo altrove. “Te l’ha detto lui?”
“Sì. Perché non mi dici mai nulla?”
“Perché avrei dovuto dirtelo?” mi chiede, ricercando una risposta. “Io lo scoprii dopo.”
“Certo, ma a trent’anni sono venuta a sapere di aver girato involontariamente un film porno, e la cosa non mi gratifica più di tanto.” Lo rimbecco, lanciandogli uno schiaffo molto leggero al viso, quasi una carezza, per farlo spostare.
“Beh, alla fin fine io ti coprivo... quindi, fortunatamente, non ti ha nemmeno visto nuda.” Riflette, compiaciuto della sua deduzione.
“E ti stai preoccupando di questo?” assottiglio gli occhi, seccata. “Ti rendi conto che era un pazzo criminale e avrebbe potuto ucciderci?”
“Non l’ha fatto, no?” mi ricorda, sorridente.
Ma le sue parole mi rievocano alla mente un altro spiacevole evento, che avevo quasi affondato nella memoria. Strofinandomi il mento con due dita, lo ripesco tra le mille avventure che hanno caratterizzato quest’ultimo mese, riportandolo a galla.
“A proposito...” comincio a ricordare, dubbiosa. “In tutta questa faccenda c’è ancora qualcosa che non quadra.”
“Cosa?” inarca un sopracciglio, incrociando le braccia al petto.
“Richard...” annuisco, con la mente immersa a quel giorno. La pioggia che cadeva nel buio, il vicolo isolato, la sua pistola sulla tempia di Conan. Le mie lacrime, il suo viso perfetto - come quello di un tempo. “Qualche tempo fa lo incontrammo io e Conan a Tokyo. E lui... lui lì tentò di ucciderci. Non sai che paura! Però, non capisco, perché l’ha fatto? Non ci riuscì solo perché arrivò la polizia, e dovette scappare...”
Persa nelle mie elucubrazioni, neanche mi rendo conto che mio marito comincia ad assumere un atteggiamento strano e sospetto. Spalanca gli occhi e comincia a dimenarsi con le mani, nel tentativo di attrarre la mia attenzione, ma i ricordi di quel giorno e quelli successivi scorrono davanti ai miei occhi come tanti fotogrammi di un film.
“Guarda chi si rivede... ciao Ran. Da quanto tempo.”
“Ma che carino, gli assomiglia molto, devo riconoscerlo.”
“Vi è andata bene questa volta.”
“Abbiamo avuto una chiamata anonima... ci ha detto che Kemerl era in questa zona...”
Una chiamata anonima?
“Sì, vai, vai... Wunderwaffe.”
Adesso che ci penso, Shinichi era in quel locale quando conobbi Gin.
E’ diverso da quello che ho visto qualche giorno fa, non sembra neppure lui.
“E’...il figlio di Kudo?”
“No, io intendo... Conan. Quando l’ha visto, ha chiesto se era il figlio di Shinichi... come se non lo conoscesse. Ma voi non vi siete già incontrati?”
“C’è un altro problema... ma chi le ha messe le cimici?”
Sussulto, spalancando gli occhi. Aspetta un momento...
“Ehm... le cimici le ho messe io.”
“Beh, volevo mettervi paura.”
“Sì, volevo che ve ne andasse da Tokyo. Magari alle Hawaii... che ne so. Lontani. Sarebbe stato più difficile per l’organizzazione trovarvi, ma tu hai deciso di traslocare da Hattori!”
No, non ditemi che è quello che credo.
Mi volto verso di lui, che mi sta osservando ansante. Goccioline di sudore gli cavalcano il viso, a prova del fatto che sta tentando di nascondere qualcosa.
“Abbiamo avuto una chiamata anonima... ci ha detto che Kemerl era in questa zona...”
“Sì, vai, vai... Wunderwaffe.”
“Fermo o ti faccio saltare la testa!”
“Un déjà vu...”
Gli punta l’arma all’altezza delle tempie, sorridendogli beffardo. La mia mente fa una capriola all’indietro.
“Shinichi!?!”
“Sì, Ran?” risponde titubante, indietreggiando di qualche passo.
“Non dirmi che ciò che sto pensando è giusto...” cerco conferma, avvicinandomi a lui, rabbiosa.
Le mani strette in pugni, le vene pulsanti, gli occhi dritti in un solo punto: lui.
“Perché... c-cosa s-stai pensando?” mi chiede, come se ne fosse ignaro. Nel frattempo continua a camminare all’indietro, ed io a seguirlo.
“Non dirmi che quel Kemerl eri tu, Shinichi!!”
“Ehm...” si guarda dietro, stando attento a non pestare nessuno. Ma credo che il suo scopo sia quello di evitare i miei occhi fiammanti.
“Non dirmi che era tutta una farsa per metterci paura, organizzata da te e quell’altro... non dirmi che il ragazzo che chiamò la polizia era Kaito, non dirmelo Shinichi!!”
“R-Ran...” balbetta, osservandomi con occhi terrorizzati. “Se vuoi che non te lo dico, non te lo dico...”
Mi blocco all’istante, puntando i piedi con saldezza alla strada.
Ho il capo abbassato, e posso testimoniare di sentire il fuoco ardere intorno a me e gli occhi spruzzare fiamme.
Questa però me la paga, e me la paga cara.
Carissima.
Tralasciando il fatto che mi fece venire un infarto nel puntare la pistola contro il figlio, nel parlarmi in un certo modo, e nel scappare all’ultimo momento, consapevole che la polizia sarebbe arrivata da lì a poco... intendo essere molto più fine del solito, più incisiva. Diretta.
“Ran scusami è che... io volevo proteggervi, anche se forse esagerai un po’ allora...”
Ah, forse ha un po’ esagerato.
Indietreggio, prendendo le distanze da lui.
“Certo, tu volevi solo proteggerci no?” chiedo conferma, leggermente sarcastica. “Perché dovrei prendermela? Suvvia.”
“Ah, quindi non sei arrabbiata?” chiede conferma, dal tono timoroso.
“Io? E perché mai dovrei esserlo?”
“Che sollievo...” sospira, portandosi una mano al petto.
Mentre, lui povero illuso, si gode il momento, nostro figlio si avvicina correndo verso di noi, chiamandoci ad alta voce.
“Mamma, papà! Abbiamo trovato l’albergo, restiamo qui stanotte!” esclama gioioso, portando le mani al cielo.
“Ah davvero?” fermo il suo entusiasmo, con un tono pungente. “E dimmi, tesoro, mica hai visto se affittano la camera per il prossimo mese?”
Shinichi si interessa improvvisamente, aprendo ben bene le orecchie.
“No, perché?”
“Perché tuo padre, a Tokyo, ma anche stanotte, credimi, si scorderà di dormire nel letto con la mamma o di rinfrescarle la memoria.” Continuo, sempre più penetrante. “Quindi, potrebbe benissimo rinfrescarsela lui da solo, qui.”
“EH?!” Mio marito spalanca gli occhi, recependo il messaggio all’istante. “No, aspetta, Ran... parliamone!!”
E nel guardarlo torva, ed anche un po’ maligna, decreto il suo destino.
“Se parli ancora i mesi diventano due.”
Stranamente tace, e fermo e solo rimane, mentre osserva me prendere per mano Conan e trascinarlo via da lui. Fischietto felice e serena, allontanandomi.
“Mamma? Ma cosa intendi per rinfrescare la memoria?”
Sussulto, arrossendo un po’. “Ehm... far tornare tutto come prima, tesoro.”
“E tra te e papà non sarà così?”
Annuisco, facendogli l’occhiolino.
“Ci vorrà solo un po’.”
 

The end

 
 

Omake (regalo)

 
 
Dal quel giorno a Niigata è passato un mese esatto; trenta giorni abbastanza movimentati, ma che oserei finalmente definire normali. Shinichi è apparso nei mille e più giornali del Giappone, tanto che dopo che il popolo è venuto a conoscenza della sua resurrezione quasi hanno indotto festa nazionale; Conan è tornato a scuola con la solita felicità che lo contraddistingueva da sempre, vantandosi con i suoi amici di quanto il padre fosse il migliore, la madre una grande, e lo zio un eroe; Heiji, avanzato al grado di ispettore, si è preso una rivincita sui suoi colleghi, che tanto avevano goduto del suo esonero settimane prima; addirittura ci ha chiamati Kaito, per informarci che presto sarebbe divenuto papà, e non di un ladro, si spera.
Insomma, tutto una meraviglia, tranne che per un piccolo particolare.
Che mio marito ci abbia provato spudoratamente ogni giorno a farmi cambiare idea, tentando di provocarmi con qualsiasi mezzo possibile ed immaginabile, è sicuro; che non so come abbia fatto a resistere, sia io che lui, lo è altrettanto; ma che abbia imparato definitivamente la lezione, è un dato di fatto.
Felice che per la prima volta in vita mia sia riuscita a rispettare un programma stabilito, stamattina mi sono alzata con uno scopo preciso: riportare alla norma anche quella sfera della nostra vita.
Così l’ho aspettato per tutta la giornata, impaziente del suo ritorno, ad ingannare il tempo e la voglia, nello scegliere quale completino intimo usare e quale no. Consapevole che nel pomeriggio Conan sarebbe andato a studiare da Sophie, ho pensato di sfruttare il momento per dedicarlo a noi due, abbassando le persiane e creando una certa atmosfera, che possa giovarci in qualche modo, ma che indubbiamente Shinichi ignorerà.
Proprio lui che già dovrebbe essere qui da mezz’ora, e non si degna di arrivare.
Col gomito poggiato alla tavola, e con le dita tamburellanti sul viso, aspetto che faccia il suo ritorno, e alla svelta anche. Tutto questo rimandare non mi è stato per nulla indifferente, ma per solo orgoglio e pudore ho dovuto e voluto resistere. Non potevo dargliela vinta sempre.
Sussulto, nel momento in cui sento la porta scricchiolare nell’aprirsi, ed annunciare finalmente la sua venuta.
Appare dalla porta, bello come sempre, mentre nel mio petto sento martellare il cuore, quasi come se fosse la prima volta. Cerco di impormi una certa sicurezza, ma i brividi mi prendono la schiena.
Sospiro, nel tentativo di calmarmi.
Lui ancora non mi guarda, preso com’è nell’osservare il giornale; recita solo un fugace: “Sono tornato.”
Ferma sul corridoio, appoggiata al muro, con solo l’intimo a coprirmi, lo fisso sorridendo maliziosa e aspettando che si accorga della mia presenza. Posa le chiavi sul mobiletto, affiancandole al giornale, per poi finalmente alzare lo sguardo.
“Bentornato.” Lo accolgo, rimanendo ferma nella mia posizione, con le braccia incrociate.
Sbatte più volte le palpebre, estasiandosi della visione, ma non si muove di un millimetro, forse paralizzato.
“Com’è andata la giornata?” domando, cercando di ignorare il suo sorriso malizioso, che contagia il mio.
“Come sia andata non importa...” dice allusivo, avvicinandosi. “Ma sta finendo meravigliosamente.”
Senza aspettare un istante in più, Shinichi mi prende per la nuca, attraendomi al suo corpo. Con veemenza mi apre la bocca, aiutandosi con la lingua, mentre le sue mani scorrono lungo la mia schiena, adulandola. Facendo forza sulle braccia, attorciate al suo collo, mi aggrappo a lui, facendomi trasportare altrove, dove desidera. La scelta ricade sul salotto di casa, il più vicino angolo morbido della casa, e molto più confortevole di quello di Wunderwaffe.
Facendomi sdraiare su di esso, aspetta che sia io a tirarlo per il colletto della maglia e ad attrarlo a me; ci facciamo spazio sui cuscini grigi e bianchi, mentre tutto intorno si colora d’arcobaleno. Ritorna ad intrappolare la mia lingua nella sua, e baciarmi con ardore, mentre cerco, repentina, di sfilargli la maglia. Riuscendoci, la lancio al pavimento, senza curarmi della destinazione. Faccio scivolare una mano sui suoi pettorali, fino a scendere agli addominali e stringere la presa sui fianchi. Stufo, e desideroso di più, Shinichi mi sfila il reggiseno, facendomi inarcare un po’ la schiena, per permettergli un migliore movimento. Mi accarezza i seni con passione, senza mai staccarsi dalle mie labbra, portando una mano sotto la mia schiena e facendola scivolare giù verso gli slip. Emetto un gemito smorzato, quando, sicuro, sposta la sua lingua sul mio petto, adulandolo, e facendomi ansimare.
Incapace ad aspettare oltre, porto le mani ai suoi jeans, sbottonandoli e lasciando che sia lui, più agile a sfilarli via. Ostacolati dai soli indumenti intimi, decidiamo di liberarcene, ma prima ancora che la sua mano possa abbassare i miei slip, una voce acuta arriva alle nostre orecchie, facendoci sobbalzare.
“Mamma?”
Mio figlio avanza nella sala, accompagnato dalla piccola Sophie, ritrovandosi di fronte me e suo padre, semi, o meglio, quasi del tutto, nudi. Gli attimi che corrono dopo vedono il mio viso e quello di Shinichi divenire paonazzi, di una tonalità vicina al rosso fuoco, mentre i due bambini, ignari di tutto, osservano la scena con curiosità e stupore. Lancio via mio marito dal mio corpo, facendolo sbattere a terra, causando l’ilarità dei due pargoletti. Faccio per mettermi seduta, ma solo dopo mi rendo conta di essere in topless, ed afferrando la prima cosa che mi capita sotto le mani per coprimi, un cuscino, isso la schiena verso di loro.
“C-ciao r-ragazzi, c-come mai g-già qui?”
Le loro palpebre che sbattono, gli occhi fissi su di noi; Shinichi a terra, senza il coraggio di alzarsi, ed io, con il cuscino tra le braccia, a sostenere i loro sguardi indagatori e sorpresi.
“Che stavate facendo?” chiede mio figlio, ingenuamente.
“N-noi?” domando io, osservando mio marito, che intanto, dal pavimento, non riesce a smettere di ridere. A me, invece, verrebbe solo da piangere.
“E-ehm...” balbetto, per poi dire la prima cosa che mi passa per la mente: “Ci stavamo rinfrescando la memoria.”
Un momento di smarrimento, prima che Conan riprenda la parola, esterrefatto.
“Ah, così si fa?” Domanda lui, curioso.
“Certo, se devono rinfrescarsi devono spogliarsi per avere freddo.” Deduce Sophie con sicurezza, annuendo.
I miei occhi ridotti a puntini, e Shinichi che non la smette di ridere.
“Ma perché non farsi una doccia?” chiede ancora stranito mio figlio, osservandoci.
“Scemo, non vedi che devono rinfrescare la memoria, mica il corpo!”
“Va beh, allora continuate, io devo prendere una cosa in camera.” Sancisce, avviandosi alle scale della villa.
“Devo chiedere a papà se posso rinfrescarmi anch’io così.” Continua la sua amichetta, imitandolo.
“Magari con te Conan!” esclama gioiosa, afferrandolo per il braccio.
Io e Shinichi ci guardiamo, spalancando gli occhi.
Sì, è finita proprio meravigliosamente.
“ASSOLUTAMENTE NO!!!”

 

 
Angolino autrice:
Eccomi qui! :) Ci ho messo un po’, ma alla fine ce l’ho fatta: ecco a voi, l’ultimo chap!
Non potete nemmeno immaginare quanti crucci mi ha dato... praticamente l’ho riscritto un quattro cinque volte, perché tutte non mi sembravano andare bene, e devo dire, che neanche quest’ultima versione mi convince chissà che!
Comunque spero che a voi abbia sortito l’effetto contrario, perché ci ho messo davvero l’anima per scriverlo :3
Ci sarebbe da commentare molto sul capitolo... La resa di Cikage, l’intervento di Heiji e Kaito, la pace fatta tra Heiji e Shin (a proposito, spero di non aver reso Shinichi troppo OOC), Yukiko che sviene, la scoperta dell’identità del primissimo Kemerl: chi se l’aspettava fosse Shinichi?, e la conseguente reazione di Ran, che priva a Shin di un altro mese xD e il “regalo” che vi ho fatto, facendovi credere che la coppia riesca finalmente a trovare un po’ di pace ed invece... zac! Entrata in scena di Conan e company xD
Volevo finire il tutto con una scena comica, visto che la fic è iniziata in modo drammatico. Spero di esserci riuscita XD
Piuttosto, per chi ancora spera che i due possano congiungersi, ho qui per voi una bella notizia: farò una raccolta di tre shots, una su KaitoAoko, una su ShinichiRan ed un’altra su HeijiKazuha intitolata “Missing moments”, dove racconterò di episodi che non hanno trovato spazio in questa storia ^^ Ad esempio, la prima shot, quella su Kaito, partirà dalla telefonata di Ran, solo dal punto di vista dei due piccioncini ^^ E forse, in quella di Shinichi e Ran, questi due... beh, potranno avere quel che vogliono *devil*!
Spero vi sia piaciuto, e che la storia vi abbia appassionato.
Ringrazio i recensori di tutti i capitoli, in particolare: LunaRebirth_, aoko_90, Martins, Black_Princy, Il Cavaliere Nero, evelyn malfoy, e Kaori_ per aver commentato il diciottesimo chap!
Ringrazio anche tutti coloro che l'hanno inserita tra le preferite, ricordate o seguite!
Grazie anche a chi ha solo letto!!!

Alla prossima,
Tonia 

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