The tango will go out

di marguerite_murcielago
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


The tango will go out
{Roxanne, you don’t have to put on that red light
You don’t care if it’s wrong or if it is right
}

 

Anthony Hoyt e Roxanne Mellinger sedevano a tavoli diversi, mangiavano e conversavano con persone diverse. Tutta la sala da pranzo risuonava del tintinnio delle posate e dei bicchieri, delle risate dei commensali e dei passi dei camerieri, così le parole del passeggero, per quanto Roxanne si sforzasse, erano incomprensibili e raramente le capitava di distinguere uno scroscio di risa a cui doveva appartenere anche la sua.
«Scusate, devo assentarmi per qualche minuto.» mormorò.
Tra lei e la porta c’era il passeggero sconosciuto, indifferente nella confusione generale.
Gli passò accanto e lui si piegò in avanti per consentire al cameriere un passaggio più agevole: quasi sorrise, notando una striscia di pelle rosa acceso tra il colletto della camicia ed i capelli.
Lentamente, senza nemmeno guardarlo, sfiorò quella pelle calda con l’indice abbracciato dalla seta del guanto e lo tenne sollevato finché non fu uscita dal ristorante.
Risalì il corridoio vivacemente illuminato il più silenziosamente possibile, prestando ascolto.
«Signorina!» prima ancora di voltarsi, impallidì e affondò le unghie nel palmo delle mani.
«Sì?» chiese, senza chiedergli se si stesse rivolgendo proprio a lei: erano soli, in quel corridoio stretto e chiaro ed era stata lei a invitarlo. Il suo tono fu più brusco, più infastidito di quanto si fosse aspettata e perciò si sentì più titubante di quanto avesse previsto.
L’uomo venne verso di lei a grandi passi, le prese la mano destra e, chinandosi un poco, ne sfiorò il dorso con le labbra sottili. Roxanne avvampò e distolse lo sguardo.
«Anthony Hoyt, per servirla.» proruppe lui, quasi baldanzoso.
«Roxanne Mellinger.» riuscì a dire, a fatica.
Erano così vicini, non era naturale che un uomo e una donna… stessero… cosìvicini.
«Perché mai una signorina così graziosa e perbene cerca di sedurre uno sconosciuto in questa maniera?» le chiese Anthony e, tirato fuori un orologio da tasca, lo studiò brevemente.
«Perché, perché crede che io volessi sedurla? Non so nemmeno di cosa sta parlando.»
«Davvero?»
Il suo tono era così ironico, così denso di scherno che Roxanne dovette alzare gli occhi verso di lui, che non sembrava preoccuparsi di nulla e anzi cercava di farle mettere un piede in fallo.
Lo guardò fisso negli occhi pallidi, socchiudendo i propri: «Davvero.» voleva tacere, eppure le parole che aveva pensato raggiunsero la gola e la lingua: «Seducetemi voi, se vi va.»
Anthony fece una risatina imbarazzata, passandosi le dita tra i capelli fini, ma non se ne andò.
Appoggiò la schiena alla parete e rimase lì, senza guardarla, a riflettere.
Timidamente, lei assunse la stessa posizione, a nemmeno un metro dalla sua spalla destra, e attese a sua volta, benché non sapesse bene cosa sarebbe successo da lì a poco.
«Come mai sei su questa nave?»
«Accompagno mio padre ad un incontro di affari; ha detto che sarebbe stata una buona occasione per farmi scoprire i piaceri dei viaggi per nave.» sospirò.
«E li hai scoperti?»
«Ma questa non è una nave, è una città! Non è un possibile comprendere i viaggi comuni.»
Si portò dall’altra parte del corridoio e gettò uno sguardo oltre il vetro scuro dell’oblò, scosse la testa una volta, due, come se stesse cercando di decifrare qualche forma nel buio, quando invece cercava di far scivolare qualche ciocca di capelli lungo la gola.
Capì di aver vinto, qualunque fosse la posta in palio, quando il respiro di Anthony le fece venire la pelle d’oca sulla nuca e le sue mani scivolarono sui suoi fianchi, solo con la punta delle dita.
«Roxanne…» le mormorò all’orecchio destro. «Cosa dovrei fare, per sedurti?»
Mentre riprendeva fiato, continuò ad allargare le dita, fino a cingerle la vita con le mani, i pollici che si toccavano sulla sua spina dorsale, i medi che si sfioravano sul suo stomaco.
«Che vita sottile, Dio.»
Respirò a fondo: «Sarebbe meglio se… se… non qui.» balbettò, picchiettando contro l’oblò.
«Ogni tuo desiderio è un ordine.» le mani si allontanarono. Scappò lungo il corridoio, senza quasi guardarsi alle spalle.
Aprì in fretta la porta e si precipitò dentro, i capelli in disordine, tallonata da Anthony.
Lasciò che le arrivasse alle spalle e poi si voltò, finendo con lo sfiorargli il mento con il naso.
Di nuovo, aveva beatamente ignorato la distanza di cortesia tra due interlocutori.
Aveva le ciglia arcuate, ma come i capelli erano di un castano così chiaro da essere invisibili; la sua espressione era fastidiosa, così indifferente qualsiasi cosa succedesse, e sentiva che era prossima a detestarlo, appunto per quell’aria superiore.
«E adesso?» la schernì, in attesa.
Roxanne rise.

 

Anthony Hoyt sembrava incapace di assimilare il semplice fatto che lei non fosse il tipo di donna cui era abituato: nel baciarla, continuava a strofinarle le mani sulla schiena e a allontanare la bocca per guardarle le gambe pallide e a spingerla indietro, facendola inciampare nel mucchio di stoffa color crema del suo abito, tolto e caduto malamente sul pavimento lindo.
Si lasciò sospingere fino a cozzare la testa contro la parete, infilò le braccia tra loro due e si fece baciare ancora, ancora e ancora, senza opporre una grande resistenza, finché Anthony non le premette le labbra sulla tempia, un paio di volte, e appoggiò la fronte alla sua.
«Ho freddo.» si lamentò poco dopo, con la pelle d’oca sulle braccia nude.
Anthony stornò con tatto lo sguardo, quando si chinò a raccogliere il vestito e lo indossò.
«Posso riaccompagnarti al ristorante, o sarebbe sconveniente?»
«Direi proprio di no: non credo che stiano tutti pensando al fatto che ci siamo assentati…» rispose e, con un gesto fulmineo, gli sistemò il colletto della camicia. Lui la prese per mano con insolita delicatezza e la accompagnò fuori dalla stanza, attendendo che la richiudesse a chiave.
Man mano che le porte del ristorante si avvicinavano, Roxanne fu presa da una leggera sensazione di nausea; strinse più forte il braccio di Anthony e si sforzò di camminare in linea retta, finché lui non si liberò della sua stretta e le cinse la vita con il braccio.
«Hai una brutta cera. Sei sicura di voler tornare là dentro?» i suoi occhi erano ancora sfuggenti, la voce ancora indecisa, eppure qualcosa nella tensione del braccio la rassicurò.
«Non è niente, sono solo…» non sapeva se era stanca, tesa, se era stato il freddo di poco prima, perciò lasciò la frase in sospeso e fece un sorriso timido.
«D’accordo.» la mollò bruscamente, aspettò che tornasse al suo tavolo come un fantasma.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


The tango will go out
{First there is desire
Then... passion!
}

 

Aveva vinto.
Aveva conquistato Anthony, come si conquista una terra vergine, o la cima di una montagna; la seconda mattina di viaggio, stesa sul divanetto nella sua cabina, si sentiva una regina.
La testa castana e deliziosa dell’uomo era l’unica cosa che riusciva a vedere dalla sua posizione, l’unica cosa che comprendeva assieme al suo soffio sulla pianta del piede destro.
«Non soffri il solletico?» Anthony le lasciò la gamba, così poté rimettersi seduta e fingere un contegno che aveva già perduto.
Sorrise e scosse la testa, le mani in grembo, compostissima.
Era immobile e sussultò in maniera visibile quando le dita fredde di Anthony le sfiorarono la nuca, a ricordarle il gesto della sera prima: avvampò e piegò la testa verso quelle dita.
«Ho voglia di uscire, posso?» domandò.
«Tutto quello che vuoi, signorina.» fu la risposta, quando già le aveva aperto la porta.

 

Era una giornata ventosa e molte delle signore sul ponte dovevano chiudere i prendisole e stringere con una mano i cappelli, se volevano fermarsi a conversare. Tutto era azzurro e bianco, compresi gli abiti dei passeggeri.
Roxanne barcollò e si aggrappò con una mano al parapetto, all’improvviso livida.
«Ho freddo.» disse con voce atona, gli occhi fissi sulla schiuma delle onde; Anthony le passò una mano attorno alle spalle e se la strinse al fianco sinistro, con sua enorme sorpresa.
C’era abbastanza caldo, dopotutto si era in Aprile, perciò non capiva come potesse avere tanto freddo, se anche la brezza era tiepida come la primavera.
Sospirò e mosse un poco la testa, per poggiare la nuca e i riccioli molli sul petto di Anthony: se avessero voluto, avrebbero potuto stare lì come due fidanzati e due sposi, o come due che si amavano, quando era ancora nervosa nel farsi toccare.
«Grazie.» pensò e disse ad un certo punto.
«Prego. Sicura di non soffrire di mal di mare?»
«No, ne sono sicura. Non so perché ho sempre…» un altro brivido «così…» di nuovo «freddo.»
«Fatti vedere da un medico.» suggerì Anthony, parlando sopra la sua testa.
Roxanne scosse la testa con aria decisa: «Riposerò e starò meglio, riposerò oggi.»
Capì che si era stretto nelle spalle dal movimento del suo fianco. La traversata continuava, monotona, più di quanto si sarebbe aspettata prima di partire: forse la bellezza di quel viaggio stava nell’intrattenersi con il fior fiore del bel mondo tra letture, piatti raffinati e balli?
Stavano in silenzio.
«Ho voglia di baciarti.»
La voce di Anthony la spaventò quasi, era strana, complessa, ma non quanto la sorprese la richiesta limpida che aveva faticato a comprendere, pronunciata in tono quasi infantile.
Lo guardò dal basso, in fretta e allarmata, scoprendo i suoi occhi sbarrati; allora socchiuse le palpebre, inclinò il viso verso il cielo soleggiato e in fretta, affondandole le dita nelle spalle come se avesse paura di vederla fuggire, Anthony prese a baciarla.
Sembrava scontento: le schiacciava il naso, le faceva quasi tagliuzzare le labbra contro i propri denti, deglutiva come avesse avuto tanta sete e cercasse di bere la sua pelle e il suo sangue.
Sembrava felice: sentiva un sorriso nel suo bacio, un’espressione da bambino, le spalle le si scaldavano, dovunque posasse le mani.
«Anche io avevo voglia di baciarti.» ammise, dopo una pausa studiata ad hoc per riprendere fiato e gioì delle braccia dell’uomo che le avvolgevano la schiena e la cullavano un poco.
Provò di nuovo una sensazione di preoccupazione e torpore, ma in tutta sincerità non lo trovò affatto importante, né tantomeno degno di rovinare la sua perfetta felicità.
«Come sei tenero, sembri un bambino di un anno.»
«Ne ho ventinove, niente male per un bambino.» replicò, senza traccia di buonumore o ironia, otto parole di gelo che la fecero sorridere come se non le importasse nulla di ciò che diceva.
«No, niente male.» sibilò.
«Quindi il viaggio procede bene.»
«Direi che non c’è male.»
«Ne sono… contento.»
Irritata dal blando tentativo di aggiustare le cose, più che il suo essere tanto scostante, spostò il suo braccio dalla sua spalla e, dopo averlo fissato con occhi di brace per qualche secondo, tornò nella propria cabina, gonfiando le labbra e borbottando come una bambina.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


The tango will go out     
{His eyes upon your face
His hand upon your hand
His lips caress your skin
}

 

Roxanne si dimenò nelle lenzuola, facendo cadere a terra il libro ancora aperto sulle proprie ginocchia. Sbadigliò e si strofinò gli occhi, prima di piegarsi a raccoglierlo da terra: la posizione in cui si era addormentata le aveva lasciato la schiena ed il collo indolenziti.
Annebbiata dal sonno e prosciugata dalle ultime forze dopo quell’inaspettata dormita, prese a sfogliare le pagine alla ricerca del punto in cui aveva interrotto la lettura ed aveva cominciato a confondere le parole scritte con i sogni.
Pagina quarantadue, giusto, si disse con un lieve tentennamento del capo, sforzando gli occhi cisposi a distinguere le lettere nere dalla pagina grigia, incurante della penombra in cui era immersa la cabina. Sentì una morsa allo stomaco, quando riprese la lettura.

«Tende dal colore indefinibile chiudevano in parte la cuccetta superiore. La luminosa foschia di giugno spargeva una luce fioca su quella scena deprimente. Ah! Come odio quella cabina!...
Strofinò le gambe una contro l’altra, per riscaldarle.
Sotto i suoi occhi stanchi scorrevano le pagine, una dopo l’altra.
«L’oblò era di nuovo spalancato e agganciato alla paratia!...
Portò le ginocchia al petto, con leggero disagio.
«Qualcuno c’era. ricordo bene che, appena vi infilai le mani, ebbi la sensazione d’averle immerse nell’aria di una cantina umida, e da oltre le cortine provenne un soffio di vento che portava con sé l’odore disgustoso di stagnante acqua salmastra…
Pur senza volerlo, Roxanne alzò la testa e perlustrò la cabina silenziosa con gli occhi ben aperti e le orecchie tese, ma l’unico suono che udiva proveniva dalle persone che chiacchieravano nel corridoio; era al sicuro, si disse, ed era sciocco farsi suggestionare da un racconto!
«Il letto era stato usato, e l’odore salmastro era forte; ma le coltri erano asciutte…
Freddi ragni di panico le corsero lungo la schiena.
«Era un qualcosa spettrale, orrendo ogni oltre dire, e si agitava nella mia stretta.

… occhi bianchi spenti sembravano fissarmi dall’oscurità; le aleggiava intorno un fetore putrido d’acqua salmastra, i capelli ricadevano in sudici riccioli lucidi e bagnati sulla faccia spettrale…
Il passaggio appena letto le ricordò un sogno, l’attimo di un lungo incubo: come tutti gli incubi era articolato e non privo di una certa logica onirica, ma non ne ricordava che una minima parte, che anche da sveglia la colmava di spavento; ricordava, per esempio, un mostriciattolo che saltellava lungo la strada del suo paese e che lei afferrava con forza, senza rabbrividire al contatto della sua testa tonda e calva e delle ossa sporgenti sotto la pelle sottile, e che lo spezzava e lo frantumava tra le mani, rompeva quegli ossicini.
Schifata dalle briciole polverose, le lasciava cadere ed esse si ricomponevano a creare quell’essere piccolo e orrendo oltre ogni dire.
Rinunciò a leggere il racconto di Crawford fino alla fine, dovendo respirare pesantemente per mantenere la calma, almeno mentre si vestiva in tutta fretta, in attesa di sentire lo scalpiccio di piccoli passi alle sue spalle.
Uscì dalla cabina quasi di corsa, chiudendo la porta con uno schiocco sonoro, e scoprì proprio Anthony, tra tutte le anime che imbarcava quella nave, appostato dietro l’angolo.
«Oh.»
«Buongiorno.» commentò lui, inarcando un sopracciglio.
«Oh. Scusate.» migliorava, poco a poco.
Si dondolò sui talloni. Un velo di rossore affiorò sulle guance pallide di Anthony, che abbassò gli occhi con disappunto e cercò la sua mano. Gliela strinse delicatamente, si chinò e, nella solitudine in cui sembravano immersi, lontani dal mondo, le offrì un secondo baciamano.
«Stasera vorrei avervi a cena con me, se non vi è di troppo disturbo.» proferì, garbato.
Sentì il proprio cuore aumentare la frequenza dei battiti: «Se non disturba voi.» disse a fior di labbra, guardandolo dritto negli occhi chiari.
Lui s’illuminò di un bel sorriso infantile.
«Perché stavate fuggendo dalla vostra cabina, quando vi ho incontrato?»
«Perché stavate aspettando che uscissi dalla mia cabina, quando vi ho incontrato?» lo scimmiottò, senza perdere il sorriso. Anthony accusò il colpo e chinò il capo per dargliene atto.
«Intanto, se vi sentite offesa, potreste anche allontanarvi da me.» osservò, innocente, mentre Roxanne arrossiva vistosamente e lasciava andare la giacca dell’uomo, gli occhi bassi.
«Non mi sentivo bene.» ammise, ricordando la sensazione opprimente che l’aveva colta in cabina e gli incubi di quel pomeriggio. Mise un altro passo di distanza tra lei ed Anthony.
«Io continuo ad essere del parere che la causa del tuo malessere è il viaggio per mare.»
Fece per replicare, ma le parole preferirono sgretolarsi sulla lingua e svanire nel nulla, non appena realizzò di sentirsi nuovamente male, peggio di quanto non le fosse mai accaduto: barcollò e solo la preda di Anthony le impedì di cadere ai suoi piedi; si portò una mano alla bocca, sentendosi prossima a vomitare, e un rombo copriva le parole allarmate dell’altro.
«Ti prego di non preoccuparti.» respirò a fondo, affondando le dita nella carne dell’uomo, dopo aver emesso quel cinguettio vergognosamente sincero, crogiolandosi per metà nel piacere derivante dalla stretta di Anthony, e fremendo per l’altra metà dal desiderio di scappare da lì, poiché sentiva di aver bisogno di cercare, trovare, capire cosa la angustiasse, perché la risposta doveva essere sotto gli occhi di entrambi.
«Stasera, stasera mi farò trovare al ristorante.» promise, risoluta, e si allontanò in fretta, aggiustandosi in fretta e furia le ciocche di capelli sfuggite allo chignon.

 

Alla fine si ritrovò sul ponte, senza sapere che fare.
Raddrizzò le spalle, come se un peso tremendo fosse evaporato, non appena uscì alla luce del sole; rimase affascinata dalla struttura immensa della nave, ancora una volta: era come se non avesse visto i quattro fumaioli al momento di salire a bordo, a Southampton.
Era felice.
Si sentiva niente di meno che una privilegiata, per il semplice fatto di essere salita sul Titanic; ricordò una bambina, stretta alla gonna di sua madre, che aveva incrociato il suo sguardo a bocca aperta, incapace di celare l’invidia che la rodeva, prima di abbassare la testa.
Adesso, ritta sul ponte come un soldato, era dispiaciuta per quella bambina, che non avrebbe mai avuto la possibilità di salire sulla nave più bella che avesse mai solcato l’Oceano.
Mai, mai, mai sarebbe entrata in una cabina, pensò ancora.
Mai, mai, mai avrebbe gustato le pietanze raffinate servite in prima classe, né la morbidezza dei divanetti nella sala di lettura. Mai, mai, mai avrebbe dormito tra le coltri morbide, dove lei aveva dormito quella stessa notte.
Ebbe un sorriso triste, a quel pensiero.
La bambina le parve una bambina fortunata, nonostante tutta la miseria e la vergogna in cui poteva vivere, una volta cresciuta. Era una bambina fortunata, certamente.
«Una giornata bellissima, non trovate?» una voce maschile interruppe il suo rimuginare.
«La migliore che abbia mai visto.» rispose all’istante, in nome delle buone maniere, e si voltò verso l’uomo che per primo le aveva rivolto la parola.
«Il mio nome è L. Dichter, per servirla.» si presentò, accennando una riverenza.
«Solo L.?» replicò Roxanne, con una risatina ansiosa, volta a nascondere l’inquietudine provocatele da quel bizzarro dejà-vu.
Dichter abbozzò un gesto di scusa, torcendo le labbra: «Veramente è Lyrik; mia madre era una letterata; ma preferisco non farlo sapere agli estranei, come potete ben capire.»
«Oh, sì, certamente. Voglio dire, è un nome… particolare.» balbettò la ragazza, arrossendo.
«Avete un’aria molto nervosa, signorina…?»
«Roxanne Mellinger.»
«Signorina Mellinger.» completò Dichter e la fece sorridere, con il suo inglese troppo duro.
Roxanne continuò a fissarlo, in barba a tutte le regole della buona educazione, quasi non potesse colmarsi della carnagione immacolata di Dichter, del suo sorriso ambiguo…
Lentamente, quasi a malincuore, allungò il braccio e lasciò andare il parapetto, muovendo qualche timido passo verso il tedesco: l’unico modo per superarlo era passargli accanto.
Lo fece, mentre Dichter sollevava una mano dalle dita lunghissime e le sfiorava la spalla, poi girò la testa e vide Anthony che li osservava dal ponte superiore, corrugando la fronte come se si fosse trovato a dover risolvere un difficile problema matematico; e s’applicava, certo, ma con una sorta di pesante stanchezza che gli scuriva gli occhi azzurri e gli ingobbiva le spalle.
«Anthony…» mormorò, alzando la mano verso di lui, che sostenne il suo sguardo senza significativi mutamenti d’espressione ma poi se ne andò. Se non fosse stata certa di sentire i suoi occhi sulla faccia, avrebbe creduto di non essere stata notata. Per la prima volta, Roxanne si pose una domanda sui veri sentimenti di Anthony.

 

Un’allegra musica riecheggiava nel corridoio.
Roxanne deglutì un paio di volte, sentendosi pronta a scoppiare in lacrime di nervosismo ed imbarazzo; stava ancora decidendo cosa fare, quando la porta a due battenti si aprì con una certa violenza ed Anthony, molto elegante e molto sparuto nel suo completo nero, le rivolse un sorriso abbacinante ed un’occhiata ancora più piacevole, molto simile ad una lunga frase di apprezzamento: quella sera indossava un vestito rosso sangue, stretto in vita da una cintura di seta argentata, con maniche di tulle leggero.
Sorridendo a sua volta, ma con aria di scusa, gli porse una mano inguantata di grigio.
«Quel gioiello vi dona molto.» ammise Anthony, piattamente, indicando la fascia argentata che le ornava la gola bianca. Roxanne piegò la testa di lato e ridacchiò, felice.
«Semplice seta. Anche tu sembri molto a tuo agio, stasera.»
Lui accettò il complimento con un minuscolo cenno del capo, che fece barcollare le intenzioni della ragazza; le studiò le mani, dopodichè chiese, spiccio: «Chi era?»
«Un altro passeggero. Solo un altro passeggero. Stai tranquillo.» replicò Roxanne nello stesso tono, ma aumentò un poco la stretta sulle dita dell’uomo. Alla fine Anthony sospirò, il capo chino, e le schioccò un gran bacio sulle labbra pitturate di rosso.
«Andiamo a farli morire d’invidia!» esclamò, con un accenno di riso sulle labbra.
Guardando quelle labbra ridere, Roxanne sentì l’aria rarefarsi e il mondo ballare sotto i suoi piedi; si lasciò stringere e condurre tra gli altri ballerini e ballò, ballò, ballò.
Rideva per chissà quale battuta di Anthony, quando udì un battere di mano vicinissimo a loro due e salutò cortesemente Dichter, prima che il suo compagno di danze se ne avesse a male.
«Sta’ qua, per favore. Vado a prendere… una cosa.»
Elusivo, Anthony sparì tra la folla.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


The tango will go out
{Me dejaste, me dejaste
El alma se me fue, se me fue corazón,
Ya no tengo ganas de vivir,
porque no te puedo convencer
}

 
«Ho fatto qualcosa di male?» proruppe Dichter, aggrottando le sopracciglia.
Roxanne sospirò, abbassando le palpebre con aria scontenta. «Forse. È possibile.»
Lui sembrò interdetto, per qualche secondo, dopodichè batté le palpebre con aria innocente ed esibì un sorriso stupefacente e privo di rimorso, mentre le circondava la vita con un braccio.
«D’altronde, è nel mio sangue far crollare ai miei piedi tutte le fanciulle che mi piacciono.»
Quindi lei gli piaceva? Sentì una tale vampa salirle al volto che temette di sentire il trucco leggero sciogliersi da un momento all’altro. Se solo…
Che sciocchezze!
Stava per scostarsi, quando un nuovo ballo iniziò e Dichter la attirò a sé, senza darle nemmeno la possibilità di replicare. Non che ne avesse l’intenzione, dopotutto non stavano facendo niente di male. Avrebbero solo ballato.
«Roxanne!» Dichter le stava sussurrando qualcosa all’orecchio, ma ciò non le impedì di udire la voce di Anthony – e non poteva essere solo una sua impressione, il fatto che sembrasse così… affranta, non avrebbe saputo in che altro modo descriverla.
Smise di ballare, all’improvviso.
Qualcuno la urtò e la rimproverò sottovoce, eppure rimase lì dov’era, inchiodata a terra dallo sguardo dell’uomo. Aprì la bocca, senza dire nulla. I ballerini giravano loro intorno, eppure c’erano solo loro due che si fissavano nella sala.
Dichter la sospinse delicatamente verso di lui.
«Anthony, scusami. Non puoi essere geloso di Dichter, è molto stupido.»
«Ma… sei molto sciocca se lo chiami per nome con questa familiarità» replicò Anthony, stizzito. Roxanne assottigliò lo sguardo e lo prese per un braccio, conducendolo a forza in un angolo.
«Insultami in privato, per favore.»
Anthony la fissò con aria apertamente scortese e irritante e non si degnò di risponderle.
All’improvviso la ragazza sentì il sangue ribollirle e montarle nel sangue, mentre stringeva le dita per impedirsi di scrollare quello stupido e di schiaffeggiarlo; anche se entrambi erano lo stereotipo del sangue anglosassone, con occhi chiari e pelle pallida, le parve logico pensare di discendere da una stirpe di caldo sangue spagnolo, tanto la sua furia era bollente e scura!
«Non rispondi nulla?! Allora posso tornare da Dichter, che saprà di sicuro apprezzare la mia compagnia più di quanto tu non faccia» sibilò, rilassando i muscoli del volto, ma Anthony le afferrò un polso e le sfiorò la guancia con le dita dell’altra mano.
«Non è necessario» replicò, con voce ferma. «Ma tu… ma tu… fai male.»
Roxanne sentì una fitta, come se Anthony fosse davvero stato un bambino da proteggere; e allo stesso tempo le fu chiaro che le sarebbe stato impossibile, nel momento del bisogno, stringerlo tra le braccia, proprio come un infante, l’avrebbe perso. Si sentì male.
Davanti agli occhi le vorticò una nebbia scura, opprimente, poi rinvenne tra le braccia di Anthony, che la scrutava con un’espressione a dir poco preoccupata. Era magrissimo, sotto la camicia. Fece del suo meglio per sorridere, per quanto si stesse rivelando difficile.
«Bevi questo» ordinò perentorio e Roxanne ubbidì, sorseggiando il vino leggero.
Mandò giù un ultimo sorso e coprì la mano destra di Anthony con la sua: «Devo ancora un ballo a Dichter» proruppe, decisa «Non c’è bisogno che tu sia così geloso, Anthony. Credimi.»
Lo baciò sulla guancia, prima di lasciarlo solo.

 

Dopo mezzo minuto si fece avanti, anche se le gambe pesavano come piombo.
Eccola, Roxanne: così disperatamente
rossa e sanguigna, dalla sfumatura dei capelli rosso scuro al rossetto di sangue lucido, al vestito che le fasciava i fianchi… “Che vita sottile, Dio”
Fuoco, fuoco, fuoco!
Allentò il nodo del cravattino, socchiuse gli occhi.
Lei aveva ragione, non doveva infastidirsi per così poco; eppure… prese la rincorsa per concludere il pensiero… eppure sembrava così felice quando quel tedesco la osservava con gli occhi neri, il suo sorriso era tanto largo che le sue labbra sembravano stillare sangue.
Sangue, sangue, sangue!
Poggiò con troppa forza il bicchiere su un tavolino, attirando su di sé gli sguardi degli altri frequentatori. Che andasse al Diavolo – rosso, rosso, rosso! – quel tedesco, non sarebbe rimasto a guardare la donna che stava corteggiando mentre ballava, senza neppure considerarlo, con un altro!
Irato, uscì dalla sala e prese la prima rampa di scale per andare giù, nel ventre della nave.

 

Abbattuto, si ritrovò davanti ad una porta di metallo, verniciata di rosso.
Un cartello bianco, lettere nere:
Vietato l’accesso ai non addetti.
Sorrise, sprezzante, e abbassò la maniglia.
Doveva essere il locale caldaie: assomigliava molto all’Inferno, e quegli uomini in canottiera che lo fissavano, straniti, con gli occhi bianchi sulla pelle annerita dalla fuliggine! Il calore era tremendo. Una mano lercia gli afferrò la spalla.
«Che cosa ci fate qui?» gridò l’uomo, per sovrastare il fragore dei macchinari.

Rosso, Roxanne! Fece per scostarsi, gli occhi fissi sui fuochisti – perché non riusciva a smettere di fissarli? Perché? Aprì la bocca, ma prima che potesse dire qualcosa…

 

Uno sparo. O uno strappo.
Cosa diavolo era stato?
Alzando gli occhi, vide un bagliore – innaturalmente bianco e freddo nell’Inferno delle caldaie – e il metallo si ripiegò all’interno come un paio di labbra e un’onda nera piovve loro addosso.
Delle gocce d’acqua gli arrivarono sul viso, facendolo riscuotere dal torpore in cui stava cadendo; si liberò della presa del fuochista, indietreggiando.
Un passo, due passi.
Il rombo dell’acqua vomitata dentro sempre, costante come la corrente di un fiume, coprì le urla e le indicazioni: imboccò la scala instabile da cui era arrivato solo pochi minuti prima, fradicio, con un solo grido angosciato: «Roxanne!»

 

 

Scale, scale, scale, pianerottoli a cui si affacciavano facce assonnate e perplesse, che corrugavano la fronte e inarcavano le sopracciglia, domandandosi se fosse caduto qualcosa al piano superiore. Urtò una donna robusta che lo maledì in italiano, il tutto senza smettere di chiamare, ora più piano, la ragazza.
Aveva così poco tempo!
Rallentò solo al ponte di prima classe, respirando pesantemente.
Chi si attardava a rientrare in cabina lo notò con stupore: fradicio, rosso in volto.
Contrariamente a quanto lui stesso si aspettava non imboccò il corridoio che conduceva alla sala da ballo, ma salì le scale, diretto alla cabina di Roxanne. Barcollava, a causa della morbida moquette che rivestiva il pavimento, poi vide il numero di cabina: 104.
Si gettò sulla maniglia, abbassandola con foga.
Da dentro, la voce di Roxanne.
«È aperto, sciocco.»

 

Anthony rimase sulla soglia, come inebetito; e come dargli torto? Roxanne sorrise, abbassando gli occhi sul proprio corpo e sulla camicia da notte, gettata davanti a lei come uno straccio.
«Cos’era quello che ho sentito?» chiese a bassa voce, nervosa. «Sembrava… uno strappo.»
Lui si accasciò contro lo stipite: «Acqua. Annegheremo, se non ti sbrighi a rivestirti!»
«Anthony…» lo chiamò: chissà se fu il suo tono di voce, o la disperazione che lesse nel suo sguardo, fatto sta che la porta della cabina si richiuse alle sue spalle e, prima ancora che potesse rendersene veramente conto, premeva la schiena nuda contro la parete.

 

«Anthony…» affondò i denti nel suo labbro inferiore, con forza, finché una goccia di sangue non le colò sul mento. Lui gettò indietro la testa e la baciò sulla bocca, gemente. Il labbro ferito era già gonfio. Roxanne stava per dirgli qualcosa, quando udirono entrambi qualcosa che rotolava, ed un cofanetto cadde a terra.
Solo allora vide che tutto pendeva verso sinistra, compresa la cravatta sciolta di Anthony.
«Muoviti, muoviti» le ordinò lui, ansioso, e si rivestì in tutta fretta, dopo essersi brevemente asciugato l’inguine con l’asciugamano del bagno adiacente.
Afferrò un vestito autunnale, grigio e informe come la paura che la attanagliava, e si gettò addosso uno scialle: Anthony le afferrò la mano – le sue dita erano sempre gelide – e la trascinò di malagrazia, faticando per l’inclinazione della nave, fino alla scialuppa 14, a cui l’aveva condotto l’inconfondibile suono di un colpo di pistola.
«C’è un’altra donna da far salire a bordo!» gridò all’ufficiale, che porse le mani a Roxanne per aiutarla a salire; lei, però, si aggrappò con entrambe le mani alla giacca di Anthony.
«E tu?» balbettò, improvvisamente livida.
Lui la scrutò in volto per alcuni secondi, impassibile, poi si voltò da un’altra parte: stretta in un abito liso e troppo leggero per quelle temperature, una donna lo fissava con aria implorante, stringendosi al petto un bambino piangente.
Anche Roxanne la vide, ma spostò subito gli occhi su di lui, quando lo sentì sospirare.
«Devo lasciare il posto a lei» mormorò, le palpebre socchiuse, e fece per allontanarsi; i piedi di Roxanne colpirono il bordo della scialuppa. «Ti prego, Anthony…»
Lui sospirò ancora, più forte, e le forzò le mani.
La donna con il bambino salì a bordo, in lacrime.
«Anthony!» lo richiamò, bianca come un cencio.
«Posso parlarle un attimo?» chiese all’ufficiale, ancora intento ad accogliere bambini e donne a bordo. Quello annuì, senza neppure guardarlo. Abbastanza lontano da renderle impossibile toccarlo, le disse: «Mi dispiace.»
«Anthony, c’è posto… siamo in prima classe… ce lo meritiamo…»
«Credi che sia così vigliacco?! Mi dispiace, Roxanne, ti amo» ripeté, implacabile.
Il sangue le rimbalzava nelle tempie, mentre la scialuppa cominciava a scendere, inesorabile; rimase senza fiato, vedendo il viso pallido di Anthony allontanarsi sempre più, farsi sempre più piccolo nella notte. Prima che fossero tutti fuori vista, lo vide allontanarsi dal parapetto.
Solo allora si premette una mano sulla bocca, mentre le lacrime le inondavano le guance.

Mi dispiace… solo allora pensò che non l’avrebbe rivisto mai più.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Mi dispiace… solo allora pensò che non l’avrebbe rivisto mai più.


The tango will go out
{Why does my heart cry? 
Feelings I can't fight
}

 

Anthony sospirò, anche se gli occhi di Roxanne non potevano certo averlo notato.
Sospirò e si allontanò dal parapetto, tuffando una mano in tasca; sul ponte, aggrappato ad una cima, un gentiluomo stava fumando una sigaretta. «Scusi, ne ha una?» e fu tanto cortese da donargliene e accendergliene una.
Esalò una boccata di fumo, la mano tremante.
Oltrepassò i componenti dell’orchestra, sorprendentemente pallidi e sorridenti, schivò scatole e altri oggetti che rotolavano verso di lui: l’inclinazione della barca aveva ormai del disumano e solo facendo leva sulle sporgenze che incontrava lungo il tragitto riuscì a camminare in pendenza. Nearer, my God, to Thee, nearer to Thee! 
Diede un ultimo sguardo indietro, verso la prua della nave: l’acqua nera dell’Atlantico lambiva quasi il ponte. Respirò a fondo e riprese la sua salita, sfidando la folla che scivolava verso il basso. Ah! Il suo cuore non aveva mai battuto così forte!
«Dio, spero che Tu abbia pietà della mia anima…» mormorò, sedendosi contro una cassa, poco dietro il pennone di poppa. Poi, le luci si spensero.
Alla fioca luce delle stelle, estrasse l’orologio dal taschino e lo studiò: le due.
«Oh» sussurrò, senza un filo di voce – fece un sorriso tremante, poi la poppa sembrò tremare e volgersi fino al cielo – e mille e più persone cominciarono a gridare.

 

Roxanne, che fino ad allora aveva voltato le spalle allo spettacolo del Titanic che affondava, ebbe un sussulto e guardò lo scafo della nave che si sollevava, mentre la nausea le si agitava in gola. Si coprì gli occhi con i palmi delle mani.

 

Lo scafo andava inclinandosi pericolosamente sotto i suoi piedi; Anthony cercò di rialzarsi, ma quello si piegò in avanti, facendogli picchiare la testa sul rivestimento del ponte. Doveva raggiungere la ringhiera, era il punto più alto di tutta la nave, l’unico posto in cui avrebbe potuto sopravvivere all’acqua. E non indosso neanche un giubbotto salvagente, maledizione!
Qualcosa di caldo gli scivolò lungo il viso, ma non se ne curò molto.
La sigaretta ancora accesa gli cadde, ma non si curò molto neanche di quello.
Afferrò il parapetto con la mano destra, mentre ascoltava le urla degli altri passeggeri.
«Aiuto! Salvatemi!» una ragazzetta annaspava poco lontano, affondava le unghie per non scivolare giù. Anthony gemette e le tese la mano. Lei lo vide e la afferrò, affondandogli le unghie nel palmo: i suoi occhi erano enormi e lucidi per le lacrime.
«Sta’ assieme a me, per l’amor di Dio!» le persone scivolavano o si gettavano in mare.  
Gettò uno sguardo in direzione delle scialuppe, o almeno così sperava: «Roxanne!» chiamò, più e più volte. Se solo l’avesse sentito… se solo avesse saputo che l’aveva sentito sarebbe anche potuto morire in pace.

 

Roxanne alzò la testa di scatto, come se avesse udito un richiamo.
Impossibile, come potrei sentirlo?
«Anthony!» urlò con voce stridula e si infilò le mani nei capelli.
Uno schianto tremendo e il Titanic…

 

Uno schianto tremendo, che spedì sia Anthony che la ragazzetta contro la ringhiera.
Prim’ancora che potessero riprendere fiato, la poppa ebbe un sussulto nel senso opposto, così che entrambi si ritrovarono a fissare l’acqua scura e gorgogliante sotto i loro piedi: penzolavano nel vuoto.
Il braccio sinistro cominciava a fargli davvero male, e non conosceva un modo per evitare di precipitare sotto il relitto del Titanic – e stava perdendo la presa. Respirando a fondo, guardò in faccia la ragazza: «Arrampicati.» Lei sgranò gli occhi: «Cosa?»
«Passami sopra, non preoccuparti!» le gridò, nel tono più rassicurante che gli riuscì.
Lei gli ficcò un piede nello stomaco, ma riuscì ad issarsi sulla ringhiera, accoccolata come un animale spaventato; lui la seguì, la prese per mano e tentò di raddrizzarsi. Aveva davanti a sé lo scafo della nave, alle sue spalle una folla di disperati.
«Spero che tu voglia fidarti di me» mormorò e si lasciò scivolare in avanti.
Scesero veloci come pioggia, puntando i piedi per non rotolare in altre posizioni; l’acqua schiumava in vortici sotto le eliche, agitava figure con il giubbotto salvagente come pupazzi.

Sì, sì, sì! ce l’abbiamo fatta!, pensò esultante, poi arrivò il pezzo di metallo, la sua testa che batteva contro lo scafo con un rintocco secco.

Seduta in scialuppa, Roxanne volse di nuovo gli occhi alla nave, ma non c’era più una nave, ma una chiazza di spuma e urla terribili, troppo lontane per loro. Qualcuno cominciò a pregare.

 

L’acqua salata era talmente fredda che bruciava, quasi, sulla pelle e in particolare sulla ferita alla fronte. Anthony riemerse quasi subito, sbatacchiato qua e là dai vortici. La ragazzetta era ancora aggrappata al suo braccio e tossiva.
«Signore, sta sanguinando!» gli disse, scostandogli i capelli dalla fronte con le dita bagnate.
«Come potevo immaginare che la nave si sarebbe attorta su se stessa?» si scusò lui, accecato dal sangue che gli copriva gli occhi.
«Io mi chiamo Hilda» disse ad un certo punto la ragazza, e subito osservò: «Non avete un giubbotto salvagente, signore?» sostenendolo per un braccio. Anthony scosse la testa.
«I-Io mi chiamo Anthony.»
Non vedeva nulla, la ferita continuava a sanguinare.
Hilda lo abbracciò, quasi, mentre lui continuava a muovere le gambe intorpidite per restare a galla; le onde che li spostavano come pezzi di legno erano dure e fredde, come se il ghiaccio le avesse trasformate. Inghiottì un sorso d’acqua e lo sputò subito, scuotendo la testa.
«Anthony…» la voce di Hilda tremava, «dovete continuare a muovervi, o annegherete!»
Avrebbe voluto replicare che non era uno stupido, che lo sapeva di doversi muovere, ma quell’acqua era così fredda e pesante, faticava così tanto a rimanere a galla senza giubbotto salvagente, continuava a non vedere nulla, il dolore gli bombardava la testa…
«Ah!» le mani piccole e magre – troppo piccole e troppo magre – di Hilda lo sostennero, ma finì lo stesso con il tuffare la testa sott’acqua. Non voleva annegare!
Alzò di nuovo la testa, inspirando a pieni polmoni, ma era sempre più difficile opporsi al mare.
Hilda gli circondò la testa con un braccio e avvicinò le labbra cadaveriche alla sua guancia.
«Anthony, non tema, la sosterrò io.»
Lui fece un minuscolo sorriso, la testa reclinata all’indietro.
«N-non… si preoccupi, Hilda… torneranno a prenderci.»

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


The tango will go out
{Your free to leave me 
Just don't deceive me 
And please believe me 
When I say, I love you
}

 

«Può reggermi la lanterna, signorina?»
Lo sguardo dell’ufficiale Lowe era carico di pietà e orrore, alla luce della lanterna.
Roxanne soffiò sulle proprie mani per riscaldarle e afferrò la lanterna, sporgendosi oltre la fiancata della scialuppa per illuminare la distesa piatta del mare. Decise che, non appena fosse finito quell’ingiusto giro di salvataggio, avrebbe riconsegnato la lanterna a Lowe e avrebbe vomitato tutto – comprese le lacrime per Anthony e tutti i corpi che illuminava.
«Qui non c’è nessuno da salvare» ammise l’ufficiale e la scialuppa cambiò direzione; anche lei sembrava muoversi con una certa titubanza, come una donnicciola che cammini in punta di piedi per evitare di calpestare degli insetti. Solo che erano su una scialuppa che scivolava sul mare liscio come l’olio e gli insetti erano decine, centinaia di corpi.

 

«Sentite questo suono?»
Lowe aveva fatto tacere tutti; nel silenzio della notte, oltre al suono leggero delle onde contro le fiancate della scialuppa, si udiva solo un’altra cosa: un richiamo indistinto, non dissimile da quello di una sirena.
«Può essere qualcuno che ha visto la luce della lanterna» osservò Roxanne, in tono piatto.
La barca si avvicinò alla sorgente del rumore: era una donna, che sbatteva follemente le mani nell’acqua per attirare l’attenzione e li chiamava: «Aiuto! Aiuto! Per favore, tiratelo fuori dall’acqua, io non riesco più a sostenerlo!» esclamò, quando Lowe fu a portata d’udito.
Lui afferrò qualcosa che assomigliava ad un manichino di stoffa, gonfio d’acqua, e lo stese sul fondo della scialuppa. Roxanne dovette spostarsi per far posto ai due naufraghi, così ebbe occasione di guardarli solo quando entrambi furono a bordo e tornò alla sua postazione sulla prua, simile ad una polena scarmigliata e svuotata.
Perciò, fu con un estremo balzo del cuore, di sollievo più che altro, che spostando la lanterna nell’altra mano riconobbe il naufrago disteso sul fondo della scialuppa come Anthony Hoyt.
«Oh, Signore!» strillò, con voce acutissima.

 

«Anthony, ti prego…»
La luce della lanterna illuminò il volto livido di Anthony; lui si portò l’indice alle labbra, intimandole di tacere. Roxanne si inginocchiò al suo fianco, il sorriso raggelato.
«Ma sei vivo, Anthony, ti sei salvato!» protestò, senza poter controllare la voce tremante, e si piegò ancora di più su di lui, finché alcune ciocche di capelli non gli sfiorarono le guance.
Finse di non aver visto le tracce di sangue che aveva tra i capelli e sulla fronte – finse di non aver notato il tremore delle sue mani, quando le sollevò – finse di non aver prestato ascolto al battito leggero e irregolare del suo cuore – ma non finse di non soffrire, quando Anthony le prese il viso tra le mani e l’avvicinò al suo.
«Anthony, ti prego…» ripeté, lacerata dalla sensazione di aver nutrito una speranza inutile fino a quel momento; non poteva succedere, non di nuovo. Nonostante il nervosismo l’avesse irrigidita al pari di una statua, sentì il sangue affluirle alle guance.
«Sono una stupida! Sì, sono stata una sciocca a credere che tutto si sarebbe risolto!»
Non aggiungere nulla, perché Anthony la baciò.
Lei chiuse gli occhi, singhiozzante. La pelle di Anthony sapeva di sale.
«Ti amo» gli disse, pianissimo, come se avesse appena confessato un orribile segreto.
«Ti ho amato anche io» replicò lui, stirando il volto in un sorriso forzato.
«Ti ho amato? Non mi ami più?» Roxanne fece finta di scherzare, stringendogli le braccia attorno alla vita. Anthony sbuffò, premette il volto contro la sua spalla, come se non fossero necessarie altre parole, altre spiegazioni, quelle che Roxanne invece desiderava ardentemente.
Indecisa, scrutò il suo volto da annegato, così pallido e così tranquillo, e lui inarcò le sopracciglia. Piano, come per non darle un eccessivo dispiacere, chiuse gli occhi.
Si addormentò e non riprese più conoscenza.

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