So let's freefall and see where we land

di heyyouthere
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***
Capitolo 21: *** XXI ***



Capitolo 1
*** I ***


 Faceva davvero freddo quella mattina. Sistemai meglio la sciarpa intorno al collo e mi strinsi nel mio giacchetto di pelle. Mi maledissi per essermi vestita senza tenere conto della temperatura che durante quei giorni si stava decisamente abbassando, ma mi consolai con il fatto che per fortuna avevo lasciato qualche giorno prima i guanti nella borsa, così almeno le mie mani ora non stavano congelando. Mi mancava avere mamma dentro casa che mi diceva sempre che non ero vestita abbastanza pesante, incurante della dozzina di strati di vestiti che avevo addosso e anche papà che ogni mattina era il io metereologo personale, ma erano ormai due mesi che vivevo da sola e ci avevo fatto l’abitudine. Avevo promesso ai miei che me la sarei cavata alla grande e che potevano tranquillamente andare in Svizzera per non perdere la grande occasione che il mondo del lavoro aveva loro offerto. Diciamocelo, il francese non è proprio il mio forte. E poi non sarei mai riuscita a cambiare scuola e tutto quanto proprio durante l’ultimo anno. Certo, quella che stavo frequentando al momento non era proprio di mio gradimento, ma visto che avrei dovuto fare il grande salto e trasferirmi per andare all’università, avevo deciso che rimanere per finire dove avevo cominciato era forse la scelta migliore. Altri cinque mesi e avrei lasciato Leicester.
Mi avviai tranquillamente alla fermata dell’autobus e la trovai deserta, visto che per la felicità mia e di altre venticinque persone, l’entrata a scuola era stata posticipata di un’ora. Così appoggiai la borsa sul muretto che circondava il parco, in cerca del mio vecchio e malconcio mp3, quando mi si avvicinò una signora dall’aria preoccupata, che si era appena staccata da un gruppo di mamme raccolte davanti al portone della scuola elementare lì vicina.
"Scusa, posso rubarti un attimo?" domandò, con un sorriso un po’ stentato.
Sperai con tutto il cuore che non mi chiedesse di fare qualche stupida attività di volontariato nelle scuole, non perché non sia una persona altruista, ma diciamo che le attività con i bambini non rientrano esattamente nella mia lista delle cose preferite da fare. Così, cercando di sembrare cordiale, ma allo stesso tempo non disponibile per una conversazione, le sorrisi. "Mi dica."
 "Ecco, ci chiedevamo se per caso quel ragazzo addormentato su quella panchina sia una tua conoscenza." Vedendo però la mia espressione poco convinta e leggermente scandalizzata dal fatto che stesse insinuando che potessi essere conoscente di un barbone, aggiunse "No, perché sai, sembra avere più o meno la tua età, e così pensavamo che magari.. non lo so.. potessi conoscerlo."
"Beh, mi dispiace, ma non credo di potervi essere utile." E ritornai con lo sguardo nella mia borsa, dove non ero ancora riuscita ad individuare ciò che cercavo. Ma la donna non dava segno di volersene andare.
"Allora ti chiediamo davvero un grandissimo favore. Non è che potresti andare tu da lui e dirgli che non può restare nel parco? Perché, vedi, è proprio attaccato alla scuola, e non vorremmo nessun pericolo così vicino ai nostri figli. Insomma, potrebbe anche andarci una di noi, ma abbiamo pensato che forse tu saresti più adatta, visto che avete quasi la stessa età, e poi sei anche carina, e quindi probabilmente darebbe ascolto a te piuttosto che a noi."
Nonostante fossi un po’ sorpresa da quella richiesta, con tutto il gruppetto di genitori preoccupati a causa di questa ‘terribile minaccia’ che mi guardavano con sguardo speranzoso, diffidente ma allo stesso tempo impaziente di allontanarmi da quello strano teatrino, decisi di accontentarli e così entrai dal piccolo cancello e camminai con passo molto più deciso di quello che avrei voluto fino alla panchina su cui dormiva il tanto temuto ragazzo. Che razza di persone mature sono quelle che mandano una povera ragazza indifesa a fare il loro lavoro sporco? E se fosse stato davvero una minaccia? Nessuna aveva pensato alla mia incolumità e di certo non si sono fatte scrupoli a passare la palla a me, ma chi sono io per giudicare? Mi ritrovai quasi a sperare che fosse una persona pericolosa, almeno così si sarebbero sentite in colpa se mi succedesse qualcosa di terribile.
 Mi fermai ad un passo da lui e mi abbassai per guardarlo meglio. Dannata curiosità che mi prende nei momenti meno opportuni. Dal cappello sotto il cappuccio del giubbotto tirato fin sotto il naso, vidi spuntare dei ciuffi di capelli rossi, disordinati sulla fronte e sugli occhi. Stava rannicchiato con una mano a penzoloni su un grosso zaino da campeggio, sistemato metà sotto la panchina e aveva le guance arrossate per il freddo. Tutto il contrario della “minaccia” che tutte si aspettavano. Alzai la mano coperta dai guanti di lana che prima mi avevano salvata grazie alla loro miracolosa presenza e sfiorai la sua guancia destra. A quel contatto, reagì, per mia sorpresa, appoggiando la sua mano ghiacciata sulla mia e aprendo gli occhi un po’ sbigottito. Essendomi resa conto solo in quel momento di quello che avevo fatto, cominciai ad arrossire e ritrassi subito la mano, e lui si alzò a sedere, e volendosi riscaldare, prese a passarsi velocemente le mani sulle braccia. ‘Come se questo bastasse a farti sentire più caldo dopo il freddo che probabilmente hai patito durante la notte’ pensai. Ma vedendo che lui mi fissava con sguardo interrogativo e un po’ divertito allo stesso tempo, mi ricordai del motivo della mia presenza lì.
"Scusa se disturbo il tuo sonno, ma i genitori dei bambini che frequentano la scuola laggiù non sono molto contenti del tuo nuovo alloggio."  dissi con tono scocciato, volendo sembrare il più fredda possibile. Il mio incarico di messaggero non mi piaceva affatto.
"Oh, naturalmente. Avrei dovuto immaginare che probabilmente qualcuno non avrebbe gradito una presenza ‘inquietante’ come la mia così vicina ad una scuola."
"Già. Probabilmente uno che dorme su una panchina non è esattamente la compagnia che un genitore vorrebbe per il proprio figlio di sette anni."
"Peccato. Stava cominciando a piacermi. È un posto davvero carino, non trovi?" Mi chiese e mi guardo come se ci trovassimo nella situazione più normale del mondo, a parlare magari del posto per una futura vacanza. Si sentiva però nella sua voce che stava cercando di mascherare un po’ di insicurezza e di preoccupazione.
"Se ti fa sentire meglio, sappi che se fosse per me potresti anche restare, davvero. Ma la signora che ci sta fissando e tutta la combriccola è determinata." cercai di sfoggiare un sorriso rassicurante. "E poi, come posto non è il massimo. Credimi, ci vivo." Ero dispiaciuta. Veramente. Doveva essere terribile sentirsi cacciare anche dalla strada.
"Grazie. Ma non ti preoccupare. Sono un uomo dalle mille risorse. Sopravviverò." e mi rispose a sua volta con un sorriso. Lo vidi però ancora tremare per il freddo. Presa quindi da un istinto oltremodo altruista a me estraneo, mi tolsi la pesante sciarpa nera e gliela poggiai intorno al collo, per poi cominciare a correre alla vista dell’autobus che era quasi arrivato alla mia fermata. Salii di corsa, cercando di ignorare la vista fuori dal finestrino del ragazzo della panchina che mi fissava sorpreso con la stupida faccia che precede una grande risata.
"Ciao, bionda!" mi salutò Jeremy, non appena salii sull’autobus. Ovviamente questa settimana il suo turno era la mattina e così mi ritrovai a parlare con lui, cominciando a flirtare. Era il nostro piccolo gioco e mi piaceva. Sarò anche egoista, ma a chi non piacerebbe essere riempita di complimenti, velati o meno, di mattina, magari in una giornata cupa e buia? Il ragazzo non era niente male e mi ero spesso chiesta come mai uno come lui e alla sua età- avrà sì e no 25 anni- si fosse trovato a fare l’autista. Ma ero contenta di avere almeno una conoscenza durante quel percorso infernale che ero costretta a percorrere ogni giorno.
Durante il tragitto fino a scuola, mi ritornò in mente la sciarpa e il mio grandissimo gesto da buona samaritana, e più ci pensavo e più mi sembravo stupida: davvero avevo immaginato che nello zaino che si portava dietro non aveva niente che potesse riscaldarlo e che la mia stupida sciarpa fosse così indispensabile? Mi sentivo ridicola anche solo a pensarci, non era da me fare cose del genere. Così decisi di rimuovere quell’episodio dalla testa e concentrarmi su qualcosa di più utile, come una possibile interrogazione alla prima ora.



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Capitolo 2
*** II ***


Salve gente! Non so se vi piace o meno questa storia, ma aggiungo anche il secondo capitolo, almeno così vi do modo di inquadrarla meglio. Se volete, ditemi cosa ne pensate :)


 

Era una giornata davvero pesante, che sommata al freddo della classe e alla sonnolenza generale, non fece altro che far sembrare la lancetta del secondi ferma sull’orologio sul muro sopra la testa del professore che si ostinava a spiegare, cercando di catturare l’attenzione di studenti che evidentemente avevano altro per la testa. Frequentare il liceo classico è un’impresa da veri eroi, perché chi altri se non un eroe sopporterebbe tanta pressione, ore di studio e materie, sopravvivendo senza troppi crolli psichico – emotivi? Per di più, quella che era appena trascorsa era stata una pessima giornata scolastica e mi sentivo terribilmente frustrata a causa di valutazioni ingiuste, professori che approfittano della propria autorità e persone che hanno una considerazione immensamente superiore della loro persona di quanto dovrebbero; ma, nonostante tutto, decisi che probabilmente sarebbe stato meglio tenere a bada l’istinto omicida e la rabbia che tutti questi fattori accumulati mi avevano causato almeno fino a casa. Quindi, dopo cinque lunghe ore passate tra i banchi di scuola e un interminabile pomeriggio dedicato a un progetto scolastico che avrei volentieri scambiato con una bella dormita sotto le calde coperte del mio letto, finalmente mi sedetti con la testa appoggiata al finestrino dell’autobus con adam levine che cantava dolcemente nelle mie cuffie, liberando la mia mente da ogni tipo di pensiero, rilassandomi durante i 20 minuti che mi separavano da casa mia, dove finalmente avrei potuto farmi un bagno caldo, per togliermi di dosso il freddo di quella giornata.
“Per oggi niente. Ti spiego dopo. Love you.” Il messaggio di Silvie quindi liberava la mia serata da ogni impegno e mi lasciava libera di dedicarmi al mio hobby favorito: giacere sul divano, mangiando cibi non esattamente tra i più sani, e dilettarmi con una buona dose di tv spazzatura, termine adatto a definire gran parte dei programmi con cui preferisco passare i miei momenti liberi.
Ero quasi arrivata e la pioggia che batteva incessante con forza contro il mio finestrino non accennava a smettere, quindi per la seconda volta in un giorno arrivai a maledire me stessa per essermi dimenticata l’ombrello, strumento indispensabile in quel periodo dell’anno.
Arrivata alla fermata, scesi dall’autobus, pronta a superare il record mondiale di velocità per raggiungere il mio appartamento. Mentre stavo attraversando la strada però, notai vicino al muretto quello che riconobbi come il ragazzo della panchina, che si riparava sotto il tendone nella parte laterale del minimarket.
Non se ne era ancora andato. Eppure mi era sembrato di essere stata abbastanza chiara, sembrava avesse capito. E invece no. E la sua presenza lì mi fece tornare in mente l’imbarazzante episodio di 6 ore prima, che aveva per protagonisti me, lui e una maledetta sciarpa e che avevo allegramente cercato di dimenticare per l’intera mattinata. Andai spedita verso di lui, probabilmente con l’intenzione di scaricare un po’ della rabbia accumulata durante quel giorno. E poi, dopo la figuraccia che avevo fatto con lui proprio quella mattina, non ero molto contenta di rivederlo.
“Per quale strano motivo sei ancora qui? Non sapevo che il freddo e la pioggia danneggiassero l’udito, perché presumo che sia questo il motivo per cui non hai ascoltato la mia amichevole richiesta di stamattina.” dissi convinta, cercando di dare alle mie parole un tono arrabbiato e scocciato. Evidentemente però non ci riuscii molto bene, perché lo vidi cercare di nascondere una risata. “Che c’è? Lo so di essere divertente, ma questo non ti autorizza a ridere mentre ti sto dando contro.”
“Ma non sto ridendo.” mi rispose, tentando di assumere un’espressione seria.
“Va bene. Stai sorridendo. È solo una risata più discreta e contenuta.”
“Più discreta, ma non per forza più contenuta. Magari non eri così divertente da farmi ridere, ma abbastanza da farmi sorridere.”
“Non ero così divertente? Certo che non lo ero! Perché non volevo essere divertente. Stavo cercando di essere arrabbiata. Ma tu hai rovinato la mia sfuriata.”
“Mi dispiace. Non volevo interromperti ridendo.”                               
“HA! Quindi lo ammetti che sono divertente!” dissi, soddisfatta.
“Non l’ho mai detto. Stai rigirando le mie parole per farti dei complimenti?”
“Sì, davvero. Mi mancava ricevere dei complimenti da uno sconosciuto. Adesso la mia vita è completa, posso morire felice.”
“Bene, bene. Una bestia del sarcasmo. Mi piace.”
“E questa è solo una delle mie innumerevoli qualità. Non sfidarmi, rosso.”
“Aaaaah, adesso passiamo agli insulti? Scusa, però mi tiro indietro. Non potrei mai trovare dei difetti ad una lady così piena di qualità. Perdo in partenza.”
“Niente male, Sherlock. Però sei passato ai giudizi un po’ in fretta. Chi ti dice che il mio non voleva essere un complimento? Potrei avere una passione segreta per i capelli rossi. Non mi conosci.”
“Ma allora sei davvero perfetta?! Sono un uomo fortunato ad averti incontrata.” e si spostò un poco per farmi spazio per sedermi vicino a lui. Nonostante fosse un perfetto estraneo e incurante del freddo, presi posto di fianco a lui, che mi offrì un po’ della sua birra. Presi un gran sorso e, sotto i suoi occhi increduli, finii quella mezza bottiglia che era rimasta.
“Brutta giornata?” mi chiese con una faccia tra il divertito e lo stupito.
“Un po’. Però ho la tendenza ad esagerare e ad alzare un gran polverone per niente.”
“Beh, allora in questo caso mi devi metà birra, signorina ‘bevo le bibite dei poveri ragazzi, illudendoli e senza nemmeno presentarmi’.”
“Scusami, signor ‘offro la birra alle ragazze sconosciute con fini non molto chiari ma sicuramente non molto ortodossi’. Sono Natalie.”
“Se il mio fine fosse stato sicuramente non molto ortodosso, non mi sarei nemmeno interessato al tuo nome. Ti avrei semplicemente stregata con il mio fascino e poi allora le cose sarebbero finite in un modo non molto ortodosso.”
“Wow, Casanova. Quindi è così che fai di solito con le tue vittime?”
“Non ti rivelerò i segreti del mestiere. Una cosa che ti posso dire però è che non dico alle mie vittime che mi chiamo Edward Sheeran. Però chiamami Ed. È più da me.”
“Va bene, Sheeran. Sai cosa? Visto che a causa del freddo potremmo morire assiderati e che questa pioggia non ha intenzione di smettere molto presto, credo che farò ritorno alla mia tana” dissi convinta, alzandomi e dando un’occhiata per vedere la situazione. Il tempo stava peggiorando sempre di più e sicuramente durante la notte la temperatura sarebbe decisamente precipitata. Mi girai e lo vidi stringersi nella sua giacca. “Stai cercando di farmi pena, così invito anche te a godere delle comodità di un appartamento?”
“Io? Non potrei mai fare una cosa del genere. Non preoccuparti per me. Andrò errando per le strade buie e fredde di questa città sconosciuta, in cerca di un nuovo posticino che possa..”
“Mi piacerebbe molto sentire il continuo di questo affascinante soliloquio, ma questo non è certo il posto più confortevole per passare la serata.” ero pronta ad andare “Aspetti un invito scritto per caso? Non perdere questa occasione, perché questi miei scatti di bontà non capitano spesso.” Ero un’incosciente, ero completamente impazzita.
“Tutto merito del mio fascino.” disse, alzandosi anche lui e mettendosi lo zaino in spalla, mentre con una mano prese quella che sembrava la custodia di una chitarra. “Potrei anche essere un maniaco, lo sai?”
“Sheeran, prima di tutto, un maniaco non direbbe mai di esserlo. E poi, sei stato così gentile da dividere la tua birra con me e addirittura dirmi il tuo nome. Con che cuore ti lascio qui?” lo guardai pronto per partire. “Vedrò di lasciarmi prendere dalla paranoia più tardi. Una volta ho fatto una lezione di autodifesa. Sono pronta a tutto.”
Lui scoppiò a ridere e io cominciai a correre come avevo già in mente da quando ancora le porte dell’autobus stavano per aprirsi, guardandomi ogni tanto alle spalle per assicurarmi che il mio ospite mi stesse ancora seguendo.

 

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Capitolo 3
*** III ***


è cortino e non succede niente; diciamo che è più un capitolo di passaggio, ecco.
Ho mascherato anche un pezzettino di una canzone di Ed, vediamo se la trovate :)
 




Lanciai le chiavi di casa sul divano e dopo aver dato via libera alla segreteria telefonica di casa
su cui lampeggiava impertinente l’1 che contava il numero totale dei messaggi ricevuti,
cominciai a togliermi il giubbotto, con l’intenzione di cambiarmi quei vestiti ormai fradici.
#Nuovi messaggi, Uno:
“I miei sono stati così carini da farmi una sorpresa e anticipare di un giorno il loro arrivo, quindi per stasera niente.
Scusa, scusa, scusa. Ma comunque restano da me solo due giorni, quindi possiamo tranquillamente rimandare a giovedì.
Non ti lascerò senza un vestito da Afrodite. E poi tanto la festa è tra due settimane. Abbiamo tutto il tempo.
E poi con il vestito che farai e l’acconciatura che ho in mente per te e il tutto…
oh, ci sarà anche il biondino e credo proprio che si siano lasciati, quindi lui e il cubano saranno soli e..
BIIIIIP ‘fine messaggi’ recitò una voce metallica.
“Una festa in maschera, eh? Il fatto che si siano lasciati però è molto più intrigante.”
‘Dannazione.’ Non avevo fatto caso alla sua presenza e, arrivata a casa, ero partita con la mia solita routine c.m.c.t.,
ovvero chiavi-messaggi-cambio-tv, trascurando il fatto che mi ero portata dietro un ospite inaspettato.
“Benissimo. Perfetto. Un altro dramma ancora. Perché? Dovrò imparare a tenere a bada i miei ormoni
e quelli degli altri da ora in poi. Anzi, sai una cosa? Non me ne importa proprio niente.
Io non lo sapevo nemmeno che lui ce l’avesse, la ragazza.” Mi girai e lo vidi in piedi ancora davanti alla porta
con una faccia tra il sorpreso e il divertito.
“Puoi sistemarti su quel divano, il bagno è in fondo al corridoio, il frigo probabilmente tiene fresco solo a se stesso,
ma arrivo subito, giusto il tempo di cambiarmi.” ora si muoveva in direzione del divano che gli avevo indicato,
guardandosi un po’ in giro e facendo attenzione a non bagnare troppo dove passava.
“Uno spazzolino ce l’hai?” conclusi pronta ad imboccare il corridoio per andare in camera mia.
“Non ti dispiace condividere, vero?” disse, ridendo della propria battuta.
"Sai cosa non mi dispiacerebbe? Toglierti quello che hai addosso." Oddio mio benedetto e Zeus che mi proteggi sempre,
che cosa avevo detto? Qualcosa di terribilmente fraintendibile, ecco cosa. Troppo tardi per rimangiarsela, la frase era già uscita
dalla mia bocca. "I vestiti bagnati! Intedevo i vestiti.. bagnati.. così nonprendi freddo e soprattutto non bagni il resto.." spiegai sconsolata, vedendo la sua faccia con un sopracciglio alzato e un sorriso che spuntava sule labbra. "Ho capito, non devi spiegarti. Ho capito benissimo.Faccio spesso questo effetto."
"Qualsiasi cosa io dica per giustificarmi e spiegarti quello che intendevo dire veramente sarebbe inutile, vero?"
"Probabilmente sì." rispose soddisfatto.
Lo salutai con un gesto della mano e me ne andai in camera.
Ma in cosa mi ero cacciata?
___
 
Is it wro-wrong that I think it's kinda fun
When I hit you in the back of the head with a gun?
My daddy's in the trunk of his brand new truck
I really want him back, but I'm kinda outta luck…
Dopo aver indossato un paio di pantaloncini e la mia felpa di Oxford, finii di asciugarmi i capelli e fermai la voce di Lana del Rey che usciva a tutto volume dal mio stereo. Mi diressi verso lo spazio cucina-salotto e trovai Edward intento a mettere ad asciugare i suoi vestiti sul balcone al riparo dalla pioggia.
“Sei davvero una brava casalinga. Me ne serviva proprio una.” lo presi in giro mentre tiravo fuori dal congelatore due pizze maxi e una busta di patatine. “Però non sei molto efficiente e nemmeno tanto furbo. Mettili sul termosifone, che sicuramente funziona meglio di questa leggera brezza di gennaio che c’è fuori.” Si diede per vinto e accettò la mia proposta.
“Dovrei starti a sentire più spesso, in fondo sei una donna di mondo, hai conosciuto tante situazioni e tante persone.”
“Stai per caso insinuando qualcosa, Sheeran?” Forse me lo stavo solo immaginando a causa della mia colossale coda di paglia, ma c’era qualcosa nel suo sguardo e nel modo in cui parlava che mi lasciava pensare solo questo.
“No di certo. Non sono mica io quello che scatena gli ormoni degli altri, provocando rotture tra poveri fidanzati innamorati.” Ecco! Lo sapevo! Non fece in tempo nemmeno ad accorgersene che già cinque secondi dopo fu colpito in piena schiena dal cuscino più pesante del mio divano. Quando mia nonna me lo aveva regalato, non avrei mai pensato che avesse davvero uno scopo, tranne quello di farsi odiare quando, in mezzo al sonno più bello e dolce sul divano, me lo trovavo conficcato tra le costole a disturbarmi. Ma evidentemente mi sbagliavo. È un’arma perfetta. Infatti si gira con una faccia dolorante, massaggiandosi la schiena.
“Dai, non fare la femminuccia. Non farà mica così male!” Ma lo vidi lanciarsi sul divano, come un soldato appena colpito in pieno e così decisi di avvicinarmi per controllare lo stato della vittima. “Hei Sheeran? Ed? Credi di sopravvivere o devo chiamar..”
Bam! Un altro cuscino, non della stessa pericolosità, ma di certo non innocuo mi colpì in faccia, facendomi cadere all’indietro sull’altro divano.
“Colpita e affondata!” esclamò, alzandosi trionfante.
“Stavo venendo in pace per offrirti il mio aiuto. Sei sleale!”
“Questo lo chiami sleale? Tu mi hai colpito mentre ero di spalle! Sei davvero una persona orribile.”
“Faccio del mio meglio per riuscirci.” dissi sogghignando. Lui rise, lasciò cadere il cuscino sul divano e andò a finire quello che stava facendo prima del mio attentato.

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Capitolo 4
*** IV ***


Eccomi tornata con un nuovo capitolo. Spero vi piaccia, e come sempre, se volete, ditemi cosa ne pensate :)


 “Io a quella festa non ci vado. No no no no. Adios muchachos.” dissi sconsolata lasciandomi cadere di peso sul divano
di fianco a Ed. “Ma sei un artista o qualcosa del genere? Hmm, vivevi per strada, avrei dovuto immaginarlo.” lo presi in
giro vedendolo strimpellare la sua chitarra.
“Direi qualcosa del genere e non proprio un artista, ma solo perché sono tremendamente modesto.
Adoro il modo in cui mi giudichi solo dall’apparenza. Mi fa capire quanto in realtà sei profonda e ancora di più 
quanto cerchi di nasconderlo.”
“Ti ringrazio veramente tanto per aver analizzato i miei problemi di personalità. Mi serviva proprio.”
“E tu a quella festa ci vai.” concluse lui, come se non mi avesse sentita e prendendo la birra che avevo in mano. “Perché
non vuoi andarci? Hai paura dei troppi pretendenti?” mi chiese divertito, dopo aver bevuto un sorso.
Non risposi. Mi concentrai su una mosca che continuava a girare intorno alla lampada, attratta inspiegabilmente da quella fonte di luce.
Non erano affari suoi. Non ci sarei andata. Chi dice che affrontare i problemi li farà andare via è solo un povero illuso. Io mi sono
sempre dileguata e sono comunque sopravissuta, quindi non vedevo proprio il motivo per cui questa volta avrei dovuto fare diversamente.
“È per colpa di quel tipo?”
Ancora nessuna risposta. Presi il telecomando e cominciai a cambiare i canali, in cerca di uno di quei programmi
così stupidi che ti fanno capire quanto tu sia poco interessante, ma allo stesso tempo ti fanno ringraziare il cielo e
tutto l’Olimpo di aver ricevuto anche la modesta intelligenza con cui ti ritrovi.
“Non ci posso credere.” Il rosso continuava imperterrito di fronte al mio silenzio. Non è che non volessi rispondergli,
mi sembrava solamente inutile. “Dopo esserti vantata delle tue innumerevoli qualità, ti tiri indietro per una cosa del genere?”
sembrava davvero sorpreso.
“Non ho paura. Cerco solo di evitare di rovinarmi la serata con un dramma decisamente inutile e poco desiderabile.” finalmente mi
ero decisa a rispondere.
“Ma quale dramma? Dai, per favore. Sono cose che succedono.”
“Tu ne sai qualcosa, vero, Casanova?” ammiccai nella sua direzione.
Forse avevo trovato il modo di cambiare argomento.
“Ok, problema risolto. Sono sicuro che vedendoti con quel vestito nessuno avrà più voglia di drammi,
anzi, tutt’altro..” va bene, non aveva intenzione di mollare.
“Guarda che un trattamento a base di complimenti non funzionerà.” dissi, riprendendomi la bottiglia di cui lui si era
appropriato indebitamente. “Tu non capisci. Non hai conosciuto la gente in questo stupido liceo. Il dramma è il loro
pane quotidiano. Quelli che si salvano sono così pochi che ti bastano le dita di una mano per contarli.”
“Ci devi andare. Non puoi rinunciare senza un motivo valido. È solo una festa! Dovrà esserci un modo per convincerti.”
“Adesso che lo dici, forse un modo ci sarebbe..”
“Il tuo sguardo non tradisce niente di buono. Già ho paura. Spero solo che la serata non finisca in un bagno di sangue
come in uno di quei film horror da due soldi.” le sue mani erano ferme sulla chitarra mentre mi guardava, pronto a sentire il piano.
“Tu verrai con me.” Ecco. Come piano poteva funzionare. Non avrebbe mai accettato e io avrei potuto dire di averci provato.
Sono un genio, due piccioni con una fava, scacco matto, hasta la vista ba..
“Va bene. Vedrò di trovare qualcosa di adeguato da mettermi.”
CHE COSA? No! Non era questo il piano! Il suo sguardo compiaciuto mi faceva venire voglia di piantargli un pugno
diritto in faccia. Chi me lo aveva fatto fare? Chi? E adesso non potevo nemmeno cacciarlo fuori, no. Così imparo a stare
a sentire ancora Silvie “Dai, Nat, è geniale! Vi dividerete l’affitto e le spese. Pensa allo shopping che potrai fare con tutti i soldi
che risparmierai, pensa a Londra. E poi te l’ha proposto lui, non lo hai obbligato. Ed è anche carino. Cosa vuoi di più?”
E quando
gli chiesi come aveva intenzione di pagare, visto che lo avevo praticamente raccolto dalla strada, lui mi rispose con il suo faccino
arrogante che dormiva per strada per l’amore per l’avventura, ma non era certo così sprovveduto da andarsene di casa senza
nemmeno un soldo dietro. E adesso si era anche trovato un lavoro. Stupido lui e stupida me. Stupido appartamento con due camere,
e stupidi affitti alti che ti spingono ad accettare coinquilini della cui presenza poi ti penti.
Potrei sempre rifiutare, ma dopo passerei alla storia come la persona più codarda del secolo, che ha paura anche di andare a una
stupidissima festa. Perfetto.
“Ti odio.” dissi sconsolata, dandogli uno schiaffo sul braccio.
“L’affetto che mi dimostri ogni giorno non ha prezzo.” rispose, lanciandomi in testa la felpa che si era appena tolto.
“Sheeran, tutta questa confidenza porterà in posti sbagliati un giorno. Ricordati le mie sagge parole.”
“Lo spero proprio. Se no, non mi darei tanta pena per niente.” mi guardava, assumendo uno sguardo provocatorio. Stava cercando
di giocare con me? Non sarei stata di certo da meno. Non sopportavo l’idea di essere inferiore, e proprio per questo le cose o le lasciavo perdere in partenza o le facevo al massimo delle mie potenzialità. Mi avvicinai sempre di più, sporgendomi sopra la chitarra che
per fortuna ci separava.
“Non so se ti conviene provocarmi. Non sai di cosa sono capace.” gli soffiai queste parole sulle labbra, per poi alzarmi e dirigermi
con passo elegante verso la cucina. Forse alla fine non era poi così male. La convivenza, naturalmente. Non facile, ma cominciava
a essere molto interessante.
________________
 


“Sei ancora in tempo per ripensarci.” gli urlai dalla mia camera, mentre finivo di aggiustarmi il trucco. I brillantini con cui
stavo per accecarmi si erano finalmente decisi a stare al loro posto.
“Sono o non sono il più bel dio greco che tu abbia mai visto?” mi chiese, facendo la sua entrata trionfale in camera.
“Sei molto sexy, vista la tua interpretazione in chiave moderna con jeans e camicia.” e dopo averlo guardato nello specchio,
mi girai. Misi il mascara e il rossetto nella pochette e mi avviai verso la porta, dove lui stava appoggiato ad aspettarmi.
“Sei una bomba.” disse quando gli passai vicino, cercando di ignorare il suo sguardo.
“Bomba ad orologeria. Il conto alla rovescia è partito, quindi vedi di non starmi troppo vicino quando esploderò.” presi le chiavi di casa
e mi fermai ad aspettarlo mentre usciva di casa. Chiusi la porta a chiave e mi girai per trovarmi faccia a faccia con lui.”Ricordati,
sei il mio asso nella manica, perciò ogni volta che qualcuno di indesiderato vorrà parlare con me, tu mi porterai via con una scusa.”
e gli piantai un bacio sulla guancia. Dovevo essere carina con lui, in modo da tenermelo buono.
“E così, dipendi da me. Mi piace.” disse soddisfatto mentre ci avviavamo verso la macchina di Silvie che ci aspettava parcheggiata
davanti al pub sotto casa mia.
“Non contarci, Sheeran. Non succederà più. Un giorno sarai tu ad avere bisogno di me e io vedrò di rinfacciartelo quanto più spesso
possibile.” mi aprì la portiera della macchina. “Che gentiluomo.” lo guardai sorridendo.
“Ci sono tante cose che non sai di me. Potrei sorprenderti.”

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Capitolo 5
*** V ***


 Salve, gente! Ecco a voi un nuovo capitolo :)
Un grazie veramente gigantesco a chi spreca un po' del suo tempo per lasciarmi qualche parolina ad ogni capitolo (anche se non rispondo sempre, sappiate che mi rendete felice come una Pasqua(?).), e anche a chi ha aggiunto la storia tra le seguite e le preferite. Grazie, grazie, grazieeee
Va bene, ora vi lascio alla vostra lettura. :D







 “Forse era stato come quando raduni tutte le tue forze e ti scagli contro una porta che credi sia chiusa a chiave e invece la porta si apre subito e tu resti lì a guardarti intorno, cercando di ricordare cos’era che credevi di volere.”
-Prep        

La testa mi faceva male. Forse era colpa del sole che mi colpiva proprio gli occhi.
Come avevo fatto a dimenticarmi di chiudere le serrande? Mi misi il braccio in faccia per proteggermi da quella luce.
No, probabilmente non era quello. Era la festa, ne ero certa. Non ricordo precisamente dove la cosa sia peggiorata,
ma insieme al centesimo sguardo di traverso e la millesima frecciatina, le maschere da buoni cittadini avevano piano piano fatto spazio alle perfide faccine da pettegole e reginette di bellezza.
Non che fosse successo qualcosa di clamoroso. L’umiliazione pubblica, oltre ad essere passata di moda, è anche troppo indolore,
vista la mia mediocre vita sociale. Sarebbe stato solo un inutile spreco di forze. Chiamatemi anche paranoica, ma quando le conversazioni
che ti trovi costretta a tenere arrivano sempre a puntare a discorsi su ragazzi rubati e sgualdrine che non sanno tenere le mani
al proprio posto, beh, tutto quello a cui riesci a pensare sono cento e uno modi per tappare la bocca a tutti quanti.
Si trovavano tutti insieme a fare la morale riguardo a cose di cui non avevano la minima idea in difesa di persone che non possono nemmeno sopportare. Non li capirò mai.
E il rosso? Credo di averlo perso quando mi sono esclusa da tutti e ho preferito la compagnia dei ragazzi della band,
che dopo una mezza dozzina di canzoni erano stati congedati, perché non suonavano musica compatibile con i gusti degli invitati.
Va bene, ‘perso’ forse non è il termine giusto, forse ‘seminato’ sarebbe leggermente più adatto.
Lo avevo seminato, ma l’avevo fatto per motivi più che giusti. Non solo era convinto che fossi troppo avventata a giudicare
così pesantemente delle persone normalissime; il simpaticone cercava di persuadere anche me a ricredermi e a cercare di conoscerli meglio,
e nel farlo, si era ingraziato gran parte di quella gente. Lo avevo accolto nel mio territorio per darmi una mano,
ma evidentemente lui non aveva capito bene in quale direzione fossero diretti i miei piani. Per giustificarsi poi aveva usato frasi come
‘tieni i tuoi amici vicini, ma i tuoi nemici ancora più vicini’, ma lo sanno tutti che le citazioni dei film non funzionano mai nella vita reale,
pur essendo quelle de ‘Il Padrino’.
Ma la mia voglia di fare discorsi di tipo ideologico con lui era sparita insieme al terzo drink, perciò con la scusa di dover usufruire
della toilette delle signore, lo abbandonai alle sue nuove conoscenze. Mentre mi intrattenevo in un ballo corpo a corpo con il bassista,
pensai che forse non avrei dovuto lasciarlo, che lo avevo praticamente dato in pasto a delle bestie affamate,
ma poi vedendolo impegnato in una conversazione ravvicinata con una mora, mi ero detto che era abbastanza grande e vaccinato
per cavarsela.
La festa come al solito finì con gente per terra, scossa da conati di vomito, e una piccola rissa per chissà quale futile e stupidissimo motivo. Probabilmente fusto 1 e fusto 2 avevano scoperto di aver fatto breccia entrambi nel cuore della stessa donzella
ed erano ansiosi di dimostrare ognuno il loro essere maschio per conquistare la tanto amata.
Bella serata, insomma. Sicuramente da non rifare.
Nella speranza di ignorare la mia testa e di rubare qualche altro minuto, o magari ora di sonno, mi girai dall’altra parte,
per dare le spalle alla finestra. Il mio braccio incontrò qualcosa di morbido, che doveva essere il pelo di Tony, il mio gatto fatto di ciccia e adorabilità.
Ma questo non sembrava affatto quell’essere che mi faceva compagnia nella mia pigrizia. No, era decisamente più grande e
quello sicuramente non era pelo, quella era una morbida camicia che tra l’altro aveva anche un buon odore: doveva essere un profumo,
un misto tra.. UNA CAMICIA??
L’equazione camicia equivale persona, probabilmente di sesso opposto, mi fece fermare di colpo e spalancare gli occhi
in cerca di una risposta che non fosse quella a cui stavo pensando.
Vidi due occhi verdi fissarmi.
“Hai finito di palparmi?” sussurrò, alzando divertito un sopracciglio.
“ ’Fanculo, Sheeran.” mi passai una mano sugli occhi ed emisi un sospiro di sollievo. Però un momento.. “Tu cosa ci fai nel mio letto?”
gli chiesi, spintonandolo. “Dimmi che stavi solo provando i tuoi poteri di teletrasporto e ti sei ritrovato qui casualmente e per sbaglio.” borbottai, alzandomi.
“Se questo ti fa sentire meglio.. Ma sappi che il fatto che tu stia rinnegando in questo modo i tuoi sentimenti per me
e tutto quello che è successo tra noi, beh, mi ferisce profondamente.” recitò con espressione plateale, mentre guardava la porta del bagno dietro la quale ero sparita per sostituire dei pantaloncini e una maglia al vestitino che mi aveva fatto anche da pigiama.
“Nonostante le tue qualità da attore degne di nota, vorrei informarti che mi ricordo quello che è successo ieri. Solo che, ripercorrendo
gli eventi della serata, non riesco ad individuare il punto dove il tuo corpicino prende possesso del mio letto.” conclusi, guardandolo nello specchio mentre mi struccavo.
“Quindi ti ricordi del tuo ballo sensuale con il bassista della band.” ammiccò nella mia direzione, sistemandosi il cuscino sotto la testa.
“E anche del tuo con la mora..” lo stuzzicai.
“Da cui mi hai praticamente trascinato via.” disse con uno sguardo tra il divertito e il curioso. Pensava di avermi incastrata per caso?
Stava insinuando che fossi gelosa? Mi alzai, appoggiando lo struccante sul comodino.
“Eri il mio asso nella manica. L’agente 00 che aveva l’incarico di salvarmi. Non potevo permetterti di fraternizzare con il nemico, anche se praticamente è quello che hai fatto per tutta la sera.” mi ero avvicinata con aria minacciosa, sporgendomi verso di lui
e puntandogli un dito contro, ormai ad un palmo dal suo naso. “E poi avevo sentito che qualcuno aveva chiamato la polizia. Evidentemente
la piccola rissa stava decisamente degenerando. I vicini non saranno stati molto contenti.” Ci fissammo per un po’, sulla sua faccia ancora quell’espressione leggermente insolente che usava spesso e, avevo notato, lo riservava solo a me. Si passò una mano tra i capelli
per spettinarli un altro po’, come se non fossero già abbastanza disordinati.
Poi improvvisamente serrò la mano intorno al mio polso e mi tirò verso il basso. Atterrai per metà sul letto e per metà su di lui,
il mio braccio ancora nella sua presa. Eravamo così vicini che non ebbe neanche bisogno di avvicinarsi per sussurrarmi “Visto che
te lo stavi chiedendo, è più o meno così che sono finito nel tuo letto.”
Lo fissai piuttosto stupita e incredula prima di scoppiargli a ridere in faccia.“Questa storia è un po’ come quella di un vecchio signore
barbuto e ciccione che entra dentro casa tua di notte attraverso il camino per lasciarti sotto l’albero il regalo che hai scritto di volere in una lettera che hai nascosto sotto il cuscino. Oh, e ti avviso che ho smesso di credere alla sua veridicità da quando avevo otto anni.”
“Vuoi davvero dirmi che fino a otto anni non ti sei mai accorta che in realtà erano i tuoi genitori?” adesso era lui a ridere.
“Senti, Sheeran, non è questo il punto! Ero una bambina ingenua. Ma quanto l’ho capito, poi ho continuato a fare finta di niente,
così non avrei dovuto fare a mia volta regali. Ero molto furba.”
“Quindi eri così brava a fare finta come stai facendo adesso riguardo a ieri sera, oppure hai migliorato le tue abilità con il tempo?” mi fissava divertito, la sua mano ancora intorno al mio polso.
Cominciavo a ricordarmi qualcosa.
Ricordai di come, ridendo entrambi, salimmo le scale, io con i tacchi in una mano e l’altro braccio intorno alla sua vita,
mentre lui mi cingeva le spalle con il suo braccio destro.
Ricordai i tentativi di centrare la serratura al buio, vista la lampadina che nessuno dei condomini si decideva a cambiare da ormai
più di due mesi.
Ricordai di come quasi inciampai per colpa di Tony che dormiva tranquillo nel corridoio che portava dal salotto verso le camere
e di come Ed, divertito, si era definito preoccupato per la mia incolumità e aveva deciso che mi avrebbe accompagnato fino al mio letto,
da perfetto gentiluomo.
E, dopo che, stesa sul letto, lui mi aveva tolto di mano la pochette, mi ricordai anche la mia presa sul suo polso e il fatto che,
grazie alla sua instabilità dovuta un po’ all’alcol e un po’ alla stanchezza, era atterrato sul letto vicino a me.
Non mi stava prendendo in giro. Ma non potevo certo ammettere così apertamente che mi faceva piacere passare del tempo con lui.
Quel essere infame me lo avrebbe rinfacciato a vita.
Posai lo sguardo sulla sua spalla. “Ti ho rovinato la camicia.”dissi, notando il mascara e il mio ombretto scuro pieno di brillantini.
L’avrei riconosciuto fra mille, con la fortuna che avevo speso per quel inutile affare.
“In effetti..” osservò lui, dando un’ occhiata.
“Vedrò di farmi perdonare.”gli sorrisi, mentre dopo aver esaminato i danni causati dal mio trucco, portai la mano libera ai suoi capelli
e presi ad arrotolarmi una ciocca arancione attorno al dito.
“Non sarà facile. Era una delle mia camicie preferite.”decretò, lasciando andare il mio polso per portare la sua mano sulla mia schiena e avvicinarmi a lui.
“Addirittura?”chiesi divertita, mentre con il dito contavo le lentiggini sul suo naso.
Eravamo vicini, troppo vicini. Lo sentivo respirare contro di me.
Non andava affatto bene.
Dovevo allontanarmi, subito.
Ma stavo così comoda..
Natalie, ricomponiti e alzati, donna!
Dialoghi interni, con una punta di schizofrenia. Bene.
Dovevo porre fine a quella situazione e le soluzione erano due: o mi sarei alzata oppure sarei stata costretta ad ucciderlo,
ma in quel appartamento non c’era posto per un cadavere, e non ero certo un’assassina esperta per sbarazzarmene così facilmente
e senza problemi. Tutto ciò di conseguenza mi riportava alla prima delle due soluzioni.        



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Capitolo 6
*** VI ***


Eccomi di nuovo qui.
Ormai a forza di ripetermi, lo sanno a memoria anche i muri di camera mia, ma lo dico lo stesso: se vi va, lasciatemi due paroline per dirmi cosa ne pensate.
Ok, basta, ritorno a dormire.
Buona lettura, gente. :3



 Eccomi di

Quando il campanello suonò, dopo essermi ripresa dal brevissimo trauma per il tempismo così perfetto del destino, non esitai nemmeno un secondo e balzai giù dal letto, scavalcandolo e precipitandomi ad aprire.
Ma cosa mi era preso? Sarà che non avevo del tutto smaltito l’alcol della sera prima e che l’adrenalina ancora scorreva veloce nelle mie vene. Non importava. Dovevo smetterla.
Non avrei mai dovuto accettare di dividere il mio appartamento con lui. Stavo molto meglio quando avevo come coinquilino solo Tony, la mia piccola, per modo di dire, palla di pelo. Quella mattina mi ero anche dimenticata di lui. Non appena lo avrei trovato, mi avrebbe rimproverata per la mia trascuratezza con la sua faccia tenera da bambino.
Quando aprii la porta, mi trovai sorpresa di vederlo fissarmi da fuori indispettito per poi sfrecciare tra le mie gambe verso la cucina.
Aspetta, i gatti non suonano il campanello.
La risposta al dubbio che si stava insinuando nella mia mente mi fissava un po’ sorpreso e un po’ divertito sulla porta.
Strizzai gli occhi per abituarli al buio delle scale e cercare di vedere qualcosa. Un ragazzo. Dei capelli scuri. Pantaloni della tuta e scarpe da ginnastica.
Oh mio Dio. Il tipo del secondo piano! Il tipo del secondo piano era davanti alla mia porta, con il suo corpo perfetto, tutto sudato. Potevo chiedere di meglio? Se fosse stato anche il giacca e cravatta, probabilmente mi sarei chiesta se per caso fossi morta e finita in qualche sottospecie di paradiso malato e perverso. Ho sempre avuto un debole per i tipi in giacca e cravatta, hanno quell’aria elegante e alla stesso tempo provocante, ma non mi sarei di certo lamentata. Non capita tutti i giorni di avere il tipo del secondo piano che..
“Scusa se ti disturbo, ma il gatto continuava a miagolare davanti alla tua porta e così ho pensato che fosse tuo.”disse, sfoggiando un mezzo sorriso che lo rendeva ancora più attraente, come se non bastasse già.
“Tranquillo.. Io, ecco.. Sì, il gatto è mio. Ah, che sbadata, l’ho chiuso fuori per sbaglio.”sorrisi nervosa, mentre cercavo di darmi un sistemata molto discretamente. Ero leggermente in imbarazzo, e non solo a causa dei miei pantaloncini di dimensioni decisamente ridotte.
“Allora fortuna che sono passato.”esclamò, togliendosi la felpa e passandosi il dorso della mano sulla fronte imperlata di sudore.
“Vai a correre così presto la mattina?”
Ma cosa stavo dicendo? Stupida bocca, aspetta almeno che il cervello si metta in funzione prima di aprirti solo per prendere aria inutilmente. Non erano mica affari miei quello che faceva o no la mattina presto il tipo del secondo piano.
“Hai una strana concezione del tempo. Per la maggior parte delle persone mezzogiorno non è poi così presto.”rise di gusto quando vide la mia faccia stupita.
“Mezzogiorno?”spalancai gli occhi, sistemandomi dietro l’orecchio una ciocca dei capelli ancora ricci dalla sera precedente.
“Il gatto chiuso fuori, perdi la nozione del tempo.. Notte brava, eh?”chiese retorico, il sorriso ancora sulla faccia. Stava davvero cercando di fare conversazione? La giornata era cominciata male, ma stava decisamente migliorando.
“No, niente del genere. Solo che quando dormo..”
“Nat! Torna in camera! C’è una sorpresa per te proprio sul tuo letto!” la voce di Ed arrivò forte e chiara dalla mia camera.
Ho detto che la giornata stava migliorando? Beh, mi sbagliavo. Non avevo fatto i conti con la più terribile creatura mandata dall’inferno per rovinare la mia vita a poco a poco. Lo aveva sentito! Quel posto aveva le pareti fatte praticamente di carta, era impossibile non sentire. Aveva sentito che stavo parlando con lui e lo stava facendo apposta.
“Capisco.”annuì lentamente mentre si rimetteva la felpa. “Non far aspettare il tuo ragazzo. Mi ha fatto piacere aiutarti con il gatto. Ci si vede in giro.”disse mentre si allontanava e imboccava le scale per salire al suo piano.
Ero ancora sotto shock. “Non è il mio ragazzo.”sbottai, mentre sentii chiudersi la porta del suo appartamento.
Tornai dentro sbattendo la porta e vidi quell’essere infame che stava uscendo da camera mia per andare in cucina.
“Probabilmente avrei dovuto specificare che la sorpresa era il gatto appisolato sul tuo vestitino.”sorrideva con la migliore faccia da schiaffi che aveva in dotazione. “Il tuo amico se n’è già andato?”
“Sei una bestia.”dissi e, mentre gli passavo vicino, gli diedi una spallata così forte da farmi male anche io.
“Sei abbastanza violenta per essere la ragazzina carina che cercavi di sembrare. Il tipo del secondo piano ti fa un brutto effetto.”rise, massaggiandosi il braccio.
L’avrei ignorato e avrei tenuto il muso. Non che quel tipo fosse l’amore della mia vita o che mi importasse di lui più di tanto, anche se era sexy come una mezza dozzina di modelli messi insieme, ma Sheeran mi aveva fatto un dispetto, lo aveva fatto di proposito, e questo non potevo accettarlo. Avrei pensato ad una vendetta migliore più tardi. Adesso dovevo solo prepararmi per andare a pranzo da Silvie, come avevamo deciso la sera prima.
Andai in camera mia e aprii l’armadio, per poi indossare dei jeans scuri e una maglia della stessa tonalità. Combinazione non molto allegra, ma decisamente chic. Mi sedetti sul letto, infilandomi i tacchi rossi che avevo comprato un paio di settimane prima, e sentii qualcosa vibrare sotto le coperte. Mi misi alla ricerca della fonte, doveva essere Silvie. Si sarebbe lamentata del mio ritardo e mi avrebbe chiesto se per caso mi ero persa per strada, una strada che facevo quasi ogni giorno, a causa di una strana forma di amnesia e poi si sarebbe offerta di venirmi a prendere, molto gentilmente e a calci nel culo. La mia migliore amica era davvero una persona simpatica e delicata, un po’ come me, ecco.
Ma al posto del mio cellulare secolare, mi trovai tra le mani quello del rosso. Sullo schermo lampeggiava un nome che conoscevo troppo bene, sormontato da una foto auto scattata evidentemente la sera prima.

 
Essendo ormai pronta, uscii dalla camera e trovai il rosso in salotto che guardava tranquillo la tv, stravaccato sul divano. Gli lanciai il cellulare, che lo colpì proprio all’altezza dello stomaco. “Isabel ti stava cercando. Non ho fatto in tempo a portartelo.”dissi scocciata, cercando le chiavi di casa e il rossetto, per potermene finalmente andare.  
“Ah, sì. Beh, se ha bisogno, richiamerà.”decretò, mettendosi a sedere.
“Dovresti richiamarla. Con tutti i ragazzi che si rigira allo stesso tempo, non ha tempo di stare dietro a ognuno. Mi sembra che al momento il loro numero sia quattro, quindi faresti meglio a non sprecare la tua occasione.” Dove cavolo avevo messo quelle chiavi? Forse in uno di questi cassetti..
“È una ragazza socievole.”
“Socievole non è esattamente il termine che userei per definirla.” Stupidi cassetti pieni di cianfrusaglie. Quando torno butto tutto. Qui dentro c’è il mondo, c’è tutto, tranne quelle stupide chiavi.
“Mentre tu eri impegnata con il tuo amichetto della band, lei è stata disponibile a passare un po’ di tempo con me, visto che ero solo.”
“C’erano tante ragazze lì, Sheeran. Tantissime.  Strano che tu ti sia trovato proprio in sua compagnia.”
“C’è qualche problema?”
“ Lo sai che non la posso sopportare! Te l’ho detto!”mi girai verso di lui, furiosa. Probabilmente si riferiva alle chiavi che stavo cercando sempre più animatamente, ma ormai l’avevo detto.
“Quindi adesso non dovrei più avere a che fare con tutte le persone che non sopporti? Beh, questo restringe notevolmente il cerchio.. forse a una decina di persone?”si alzò in piedi, avvicinandosi a me.
“Lo sai benissimo che lo sta facendo solo perché ormai un mese fa ho baciato un ragazzo che non sapevo nemmeno fosse il suo.”
Come faceva ad essere così cieco? Quella ragazza era una calcolatrice, una piccola manipolatrice che non faceva nulla senza uno scopo ben preciso.
“Natalie, il mondo non gira intorno a te. Non sono tutti coalizzati in un’organizzazione contro di te e la tua persona. Non tutti ti odiano, come invece fai tu!”
“Va bene, sono una pazza. Odio il mondo, come dici tu.”ormai ci stavamo quasi urlando addosso. La situazione stava degenerando. “Vai a dare le tue lezioni sull’amore, sull’amicizia e sugli unicorni a qualcuno a cui interessa.”
Vidi che le chiavi erano sul divano da cui si era alzato, e così passai vicino a lui per prenderle, trattenendomi dal dargli un pugno in faccia. Girai sui tacchi e uscii, lasciando sbattere la porta alle mie spalle.
Forse avevo esagerato, mi ero arrabbiata tanto solo per una stupida telefonata. Anzi, no. Ero infastidita già da prima, e quel dannato nome sul suo cellulare mi aveva fatto solo infuriare di più. Non mi preoccupavo certo per lui. Ma vederlo così ingenuo in un mondo che con gli ingenui ci pulisce per terra mi faceva dare di matto. Non che il mondo mi avesse mai fatto qualcosa in particolare, ma ad un certo punto bisogna abbandonare il mondo degli orsacchiotti e delle fate e cominciare ad essere un pochino più realisti. Chiamare le cose per nome e vederle per come stanno veramente.
Un sognatore, ecco cos’era. Non mi erano mai piaciuti i sognatori. Tanto fumo e niente arrosto.
Il mondo è fatto di tanti piccoli bastardi. ‘Bastarda la glassa, bastardo il ripieno’, il saggio dottor Cox docet.
Per questo non mi fidavo molto degli altri.
Per questo tutta questa situazione di una ‘me generosa’ e Sheeran in casa mia mi faceva così strano.

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Capitolo 7
*** VII ***


 Heila, gente! Eccoci ad un nuovo capitolo.
Avrei voluto trovare qualcosa di intelligente o simpatico da dire, ma mi sono appena svegliata e il mio cervello ancora non si è completamente messo in moto.
Ordunque, la smetto e vi lascio leggere. :D
-xo








“Non vediamo mai al di là delle nostre certezze e, cosa ancora più grave,
abbiamo rinunciato all’incontro, non facciamo che incontrare noi stessi in questi specchi perenni
senza nemmeno riconoscerci. Se ci accorgessimo, se prendessimo coscienza del fatto che nell’altro guardiamo solo noi stessi, che siamo soli nel deserto, potremmo impazzire.”
-L’eleganza del riccio

 
Dannazione. Lo sapevo che avrei dovuto prendere la macchina. Non la usavo spesso, sia perché preferivo risparmiare i soldi della benzina sia perché mi faceva piacere prendere l’autobus e osservare persone di tutti i tipi, dal gruppetto di ragazzini tutti in tiro pronti per un giretto in centro al nonno che ritorna a casa dopo aver passato una giornata con la sua nipotina al parco; e naturalmente, come tutti credo, io e Jeremy ci divertivamo a inventare storie per ognuno di loro.
Fu per questo che, quando la mia amica mi invitò a pranzo da lei, non pensai minimamente di prendere la macchina e mi incamminai allegramente- per modo di dire, visti gli avvenimenti appena passati- alla fermata.
E così adesso, al posto di giacere sul divano blu notte di Silvie dopo un pranzo copioso a guardarci in pace Love Actually, mi ritrovavo ad un falò con persone quasi sconosciute a cui lei mi aveva trascinata per “svagarci un po’”, a detta sua.
Devo ammetterlo, era stata una buona idea, all’inizio, nonostante un falò a febbraio non mi avesse molto convinta.
Ma adesso, dopo tre ore di musica alta e alcol a volontà, che avevo prontamente rifiutato dopo il secondo bicchiere, la stanchezza aveva cominciato a farsi sentire. Volevo andare a casa, però allo stesso tempo non volevo rovinare il divertimento di Silvie, che sembrava godersela alla grande, avendo fatto breccia nel cuore del suo cubano e non avevo certo intenzione di affidarmi ad un qualche invitato a questa bonfire night per riportarmici.
Vidi qualcuno arrivare dalla strada e dirigersi verso il fumo che saliva ondeggiando, visto che il fuoco andava via via spegnendosi. Riconobbi quella felpa già in lontananza, anche perché era lui che stavo aspettando.
Era la felpa degli imprevisti, così l’avevo denominata.
La usai per uscire nel terrazzo a raccogliere i vestiti che stavano tranquilli ad asciugare, quando un acquazzone aveva improvvisamente disturbato il loro riposo. 
La usai come coperta prima per Tony che stava appallottolato di fianco a me sul divano, e subito dopo per me, visto il freddo di gennaio appena passato.
La usai addirittura un giorno per andare a scuola, essendo in un ritardo mostruoso, vestendomi al buio ed essendo la felpa buttata come sempre sul divano.
E la usò Ed per proteggersi dal freddo quando gli si presentò l’imprevisto di dovermi venire a prendere alle due di notte.
Esatto. Purtroppo proprio lui. Avevo esplorato tutte le opzioni che avevo per tornare a casa, e dopo aver frugato a fondo nel mio cervellino, l’unica soluzione plausibile e soprattutto sicura mi era sembrata quella di chiamare lui.
Era già la seconda volta nell’arco di due giorni che chiedevo il suo aiuto e questa cosa non mi faceva impazzire; non mi piaceva affatto.
Vedendolo guardarsi in giro un po’ perso, mi risvegliai dai miei pensieri e alzandomi, salutai il ragazzo che mi stava parlando da ben mezz’ora. Non so nemmeno esattamente di cosa, ma sembrava così preso dal proprio racconto che non me la sentii di interromperlo con dettagli poco importanti come il fatto che eravamo perfetti estranei.
E poi non aveva neppure bisogno che io facessi da interlocutore, come in una qualsiasi normale conversazione, anzi; il numero di bicchieri che si era bevuto, di cui sia io che lui che chiunque altro aveva perso il conto, gli dava abbastanza cose da raccontare da permettergli di andare avanti ancora per lungo tempo.
Mi abbracciò appassionatamente, come se fossimo vecchi amici, e mi disse addirittura che potevo essere la sua migliore amica, subito prima che lo aiutassi a sedersi di nuovo sulla panchina, visto il suo equilibrio precario e il suo procedere barcollante.
Così, mentre lui continuava a urlarmi dietro che ero la persona migliore che avesse mai incontrato e naturalmente a chiamarmi con un nome che non era il mio, perché il mio non l’aveva capito, mi avvicinai lentamente a Ed, che intanto si era girato nella mia direzione a causa del baccano che stava facendo il mio nuovo ‘migliore amico ’.
Ero leggermente in imbarazzo. Voglio dire, non ci eravamo lasciati nelle migliori delle condizioni ed era anche un po’ pentita di aver reagito in modo così esagerato. Ma in fondo lo sapeva, lo sapeva dal primo giorno in cui ci siamo conosciuti alla fermata che questa era una delle mie rotelle fuori posto.
Ci fissammo per un po’ in silenzio.
“Hei”
“Hei”
Bene, una conversazione di alto livello, da vere persone adulte.
“Vieni, ho parcheggiato vicino al cancello del parco.”disse, cominciando ad andare verso la nostra meta. Ok, almeno non era lontana. Non avrei dovuto sopportare questa tortura ancora per molto.
Durante il tragitto la cosa non migliorò. L’unico a parlare era stato un radio-deejay stanco, che si ostinava a fare  la domanda di turno e ad interagire poi con gli eventuali ascoltatori ancora svegli e in linea. Almeno la musica che passavano tra una chiamata e l’altra era buona. Avevo sempre avuto un debole per James Morrison.
“You only stay with me in the morning
You only hold me when I sleep

I was meant to tread the water
But now I've gotten in too deep
For every piece of me that wants you
Another piece backs away..

 
Davvero? Tra tutte le canzoni, quel pazzo insonne alla radio aveva scelto proprio questa? Beh, che dire, in questa manche tra me e la signora Casualità, uno a zero per lei, decisamente. Mi aveva battuta questa volta.
Avevo la gola secca, visto che le parole da me pronunciate da quando avevo lasciato il falò si limitavano a quel misero ‘hei’.
Poi che razza di saluto è mai ‘hei’?
‘Hei’ è la parola che usi per dare attenzione al tuo animale domestico che ti aspetta davanti alla porta appena entri e non hai le mani libere per accarezzalo a causa della spesa, oppure il verso indignato verso qualcuno che non rispetta la fila in caffetteria, o ancora, il modo di provarci, accompagnato da un’alzata di testa e magari anche da un ‘baby’, usato dal tipo che cercavi visibilmente di ignorare da quando ti eri seduta al bancone del pub.
Ma come saluto direi che è davvero scarso.
“Grazie, ma puoi lasciarmi qui?”chiesi, quando eravamo ormai ad una paio di isolati da casa.
Fermò la macchina, ma non mi risparmiò uno sguardo sorpreso. “Vai. Me la cavo ad arrivare a casa da sola.”
“Sicura?”
“Certo.”sorrisi gentilmente, sperando che capisse che gli ero grata per essere venuto, e scesi dalla macchina. Aspettai che la rimettesse in moto e si allontanasse un po’ per poi dirigermi al fast-food non stop dall’altra parte della strada.




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Capitolo 8
*** VIII ***


Buondì, gente. Come va?
Ecco un nuovo capitolo, visto che l'altro era un po' cortino.
Ora vado a dormire (che novità!).
Ok, vi lascio al capitolo. Come sempre ditemi cosa ne pensate. :>
-xo






 

 

“Una faccia di bronzo è la cosa più importante da mostrare al mondo, ma di tanto in tanto, quando sei solo, e nessun pubblico ti siede davanti, dovrai pure, suppongo, toglierti la maschera, se non altro per poter respirare liberamente.
Altrimenti, finiresti per soffocare.”
-De Profundis
 

Aprii la porta piano, per non svegliarlo nel caso si fosse addormentato.
Vidi la tv accesa e guardai sul divano, nella speranza però che fosse ancora sveglio. Desiderio esaudito.
Notai che guardava con eccessiva attenzione ‘Made, ballerina di salsa’.
Se non voleva parlarmi, lo avrei capito. Ma dovevo fare qualcosa. Ci stavamo comportando come due bambini a cui la mamma aveva tolto il giocattolo per qualcosa che entrambi avevano combinato e ognuno dava la colpa all’altro per l’accaduto.
Di solito non faccio la persona matura, non sono il tipo da “facciamo una seduta terapeutica per esternare i nostri sentimenti e dire quello che non va”. No. Mi limito a crogiolarmi nel mio realismo e a guardare gli altri mentre si danno da fare. Non mi facevo in quattro per parlare e sviscerare problemi che si potevano benissimo risolvere anche in altri modi.
Non lo avrei fatto nemmeno questa volta. Avrei risolto le cose a modo mio.
“Alla fine lo vincono, il talent show.”dissi sedendomi sul divano di fianco a lui, che era per metà steso, con i piedi appoggiati al tavolino. Mi guardava un po’ sorpreso. “Questa puntata l’hanno già fatta vedere l’altro giorno.”spiegai, mentre posavo sulla sua pancia un sacchetto di carta marrone.
L’odore del cibo era inconfondibile.
“Chips & cheese?” mentre dava un’occhiata dentro la busta, la sua bocca si aprì in un sorriso. “Quindi il tuo piano è quello di comprarmi con il cibo?”
“Ci sto provando.” Infilai la mano nella confezione e presi un paio di patatine.
Mi prese per il braccio e mi tirò più vicino a lui.
“Ci stai provando.. con me.”
“Ecco tornato il Sheeran di prima. Mi era mancato il tuo senso dell’umorismo, insipido e un po’ malato. Vecchio furbacchione che non sei altro.” Con il braccio libero lo spintonai, per poi saltargli addosso, abbracciandolo.
Ci ritrovammo entrambi stesi sul divano.
Alzando un sopracciglio in segno di sfida, sfilai il sacchetto che durante il mio assalto era atterrato fra di noi e, dandogli le spalle, mi girai verso la televisione, cominciando a usufruire di quel pasto poco salutare, ma decisamente delizioso.
Ma Sheeran non si diede di certo per vinto. Circondandomi con le braccia, si allungò per riprendere il cibo che inizialmente era destinato a lui.
Accettando la sconfitta, mi rigirai verso di lui, che si gustava trionfante la sua merenda notturna.
Eravamo vicinissimi. Di nuovo.
Sarà mai possibile che nell’arco di così poco tempo io mi ritrovi così spesso appiccicata a lui?
C’era qualcosa,  qualcosa come una strana legge di gravitazione che al posto di esercitarsi tra Sole e Terra o tra Terra e Luna, continuava a riportarci l’uno attaccato all’altra. Sul libro di fisica c’era l’esempio delle due masse casuali, ma scommetto che Newton non aveva pensato che due persone potessero esserne sottoposte.
O magari si trattava di qualcosa come la terza legge della dinamica, la famosa azione-reazione, di quando un corpo A agisce su un corpo B con una forza, allora il corpo B agisce su A con una uguale ed opposta.
Oddio. Stavo davvero analizzando questa cosa attraverso concetti studiati in fisica?
Altroché rotelle fuori posto, le mie avevano prenotato una vacanza alle Bahamas e si erano perse per strada.
Fu riportata alla realtà dall’odore del cibo sotto il mio naso e alzando lo sguardo incontrai quello di Ed, che mi osservava divertito.
“Che c’è?”borbottai, prendendo dalle sue mani quelle tre patatine che si stava portando alla bocca. Le masticai piano, mentre lo scrutavo in attesa di una risposta.
“Eri così persa nei tuoi pensieri che ho immaginato che solo il tuo nuovo amore poteva risvegliarti.” Quel sorrisino bastardo era tornato sulla sua faccia.
“Il mio cosa?” Ma cosa stava dicendo? Nuovo amore?
“Chips & cheese.” Fece una pausa, mentre osservava la mia espressione. “Ammettilo che prima che arrivassi io non ne andavi pazza come ora.” Aha, certo. Cercò di assumere un faccino innocente, ma il sorrisino di prima lo aveva decisamente tradito.
Capii che si era lasciato la litigata alle spalle ed era tornato al nostro solito giochino ‘uso i doppi sensi, perché dico e non dico’. Lasciavamo cose in sospeso, frasi dette a metà, espressioni dal duplice significato.
Lo facevo spesso questo gioco e il fatto che lui avesse afferrato il meccanismo lo rendeva ancora più interessante.
Ma vista l’ora tarda, il mio cervello era stanco di farsi ancora tutti questi ragionamenti.
Ero esausta già dal falò, ma adesso che avevo finalmente toccato il divano la stanchezza aveva piano piano cominciato a prendere possesso di ogni fibra del mio corpo.
Mi avvicinai di più a Ed e fissai meglio le mie gambe che erano ormai attorcigliate con le sue, per non rischiare di cadere dal sofà nel caso molto probabile in cui mi fossi addormentata.
“Tu domani non devi andare a scuola?”mi chiese, mentre cercava di coprirci entrambi con la coperta a scacchi rossi e blu che avevo comprato qualche giorno prima.
“In teoria sì, ma penso che per un giorno potrei anche fare a meno.” Presi a giocherellare con il braccialetto che aveva alla mano destra, visto che era finalmente riuscito a sistemare il plaid. “E poi, tra ieri e oggi non ho proprio avuto la voglia e la forza d’animo di passare un po’ di tempo con Sallustio. Se non so tradurre quel maledetto passo, la prof è capace di farmi volare fuori dalla finestra in un attimo.. per non parlare poi di filosofia e.. Ma tu devi lavorare! Come farai ad alzarti tra..” guardai le cifre rosse dell’orologio sul tavolino “due ore?!”
“Ho il turno di pomeriggio.”rise davanti alla mia preoccupazione. Beh, come potevo sapere io che in un negozio di musica si fanno i turni?
Non immaginavo mica che una città come Leicester avesse una cultura e una vita musicale così attiva.
Ad essere sincera non sapevo quasi niente di quella città, per me era alquanto insignificante e da quando ci vivevo, gli unici pensieri in cui l’avevo inclusa erano quelli che riguardo un mio futuro trasferimento, appena finito il liceo.
Sorrisi al pensiero che ormai solo pochi mesi mi separavano da quel personale traguardo.
“Perché sei qui?”
“Che cosa?” mi guardava, dubbioso.
“Voglio dire, perché te ne sei andato di casa e adesso ti ritrovi a lavorare part-time in un negozio di musica in una città come questa?” Alzai lo sguardo. Adesso fissavo i suoi occhi che si spostarono da me ad un punto indefinito oltre la mia spalla.
“Di preciso non lo so. Sono un musicista e Suffolk mi stava decisamente stretta. Volevo vivere di musica. E lo voglio ancora. I miei lo sapevano già che avevo intenzione di partire, e così un bel giorno mi sono finalmente deciso e ho preso un biglietto per il treno. Nuove città, nuove opportunità.. nuove persone.” Ritornò a guardarmi. “Ho fatto qualche serata in bar sperduti con una media di cinque clienti a sera. Leicester è più popolata di molti posti dove ho avuto l’occasione di passare. È un posto interessante e il mio pubblico è salito da cinque a quasi una dozzina di persone a serata.” Sorrise con entusiasmo, accarezzandomi la schiena e, siccome il mio corpo era ormai per metà fuori dal divano, mi tirò più vicina a lui.
Quindi aveva suonato anche qui e non mi aveva detto niente. Non l’avrei di certo forzato a farlo.
Era la sua musica, i suoi fatti personali e aveva il diritto che rimanessero tali, anche se probabilmente non lo erano più, visto che li aveva ormai condivisi con chissà quante persone.
Decisi perciò che la stupida curiosità di sentirlo suonare me la sarei tenuta per me.
Di cosa volevo lamentarmi? In fondo, ero stata io ad alzare le barriere che circondavano le nostre rispettive vite private e, anche se non erano sempre state rispettate,  adesso dovevano rimanere così. Eravamo coinquilini, scherzavamo qualche volta, il necessario per la convivenza, ma alla fine della giornata ognuno aveva i propri affari a cui pensare.
Eppure eccoci qui, alle 5.01 di mattina, abbracciati sul divano, i vestiti ancora impregnati dell’odore di fumo del falò.
Volevo alzarmi e andare in camera mia. Dovevo rispettare le barriere, ma un velo di stanchezza così pesante continuò a premere sulle mie palpebre che, dopo avergli dato le spalle ed essermi accoccolata meglio contro di lui, mi addormentai.


“She's reinventing loving me
When we're resembling cutlery on the sofa
It must have been about 5.01
Like my blue ripped jeans
And my eyes are closed
And I'm way too tired
Hoody still smells of the beach bonfire
On the sofa, where we lay
I wanna stay inside all day
And it's cold outside, again
And we're both so high”

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Capitolo 9
*** IX ***


 Buongiornoooo!
Scusate se non ho fatto in tempo a rispondere alle recensioni, ma sappiate che mi hanno resa così felice che avevo pensato di organizzare una festa con tutte voi, per darci alla pazza gioia, bevendo champagne, mangiando pasticcini e guardando l'esibizione di uno spogliarellista arancione.
Solo dopo mi sono accorta che la cosa sarebbe risultata un po' dificile, visto che, beh, come dire, non ci conosciamo nemmeno e probabilmente ci dividono diverse centinaia di kilometri. Ma in fondo, non è colpa mia se incontro persone fantastiche come voi su internet.
Non potevate essere le mie vicine di casa? Che destino crudele.
Va bene, mi sto decisamente dilungando troppo, ma volevo che voi sapeste quanto vi adoro, tutte quante.
A presto, bellezzeeee ;)
-xo





  Buongio







“Devo cambiare occhiali.”decretò, guardandomi. Era al piano cucina a preparare il tè di cui entrambi avevamo bisogno.
“Perché mai? Sei diventato più talpa di prima?” lo presi in giro, mentre continuai ad osservarmi allo specchio per vedere il risultato finale del mio outfit.
“Io vedo del blu nei tuoi capelli..” continuava ad osservarmi curioso, poi prese a dirigersi verso il divano con due tazze fumanti.
“E io che pensavo che il problema fosse che sono solo in lingerie e tacchi e quindi che tu volessi cambiarli solo per potermi vedere meglio.” Mi avvicinai a lui facendo attenzione a non inciampare nel tappeto. Quei 15 centimetri mi stava creando un po’ di difficoltà in una casa in cui l’ordine non era esattamente rispettato a dovere. Già di mio non ero molto incline a mettere a posto; Sheeran poi non mi aiutava affatto.
Mi sedetti di fianco a lui e presi la mia tazza dalle sue mani.
“Dovresti mantenere questo abbigliamento più spesso.”disse con un sorrisino malizioso, dopo aver bevuto un sorso del tè ancora troppo bollente.
“Chiederò a Edith di lasciarmi questo completino, così una sera me lo metterò solo per te.” Gli feci l’occhiolino, prima di avvicinare alle labbra la tazza dentro cui avevo soffiato animatamente per farne raffreddare almeno un po’ il contenuto.
“Dovrò parlare con questa Edith. Fa ancora troppo freddo per farti andare in giro così. Dovrebbe coprirti di più.”mi guardava con aria convinta e saggia, ma la malizia di prima si intravedeva ancora sulle sue labbra.
“La sfilata è al chiuso, non devi preoccuparti.” Presi un altro sorso, per poi girarmi verso di lui. “Ma se sei così in pensiero per me, potresti venire dietro le quinte per riscaldarmi tra un’uscita e l’altra.”
Annuì, ridendo.
Mi avvicinai di più, le nostre tazze in mano a mantenere un po’ di spazio fra di noi. Gli passai una mano fra i capelli, che per una volta non erano pieni di gel, ma comunque rigorosamente disordinati. “Quindi sto bene così?” gli chiesi con un sorrisino innocente, come quello di una bambina che sa di aver combinato qualcosa ma conta sul suo dolce faccino per scampare la punizione.
“Vuoi che sia sincero?” Mi tirò più vicino a lui.
“Non lo so. Mi conviene?” gli sussurrai nell’orecchio.
“Meglio di no. So benissimo che sei consapevole di come stai.” Le sue labbra erano a due millimetri dal mio collo. “E tu sai benissimo che ora devi andare.” Un millimetro. “Se no, arriverai tardi e poi darai la colpa a me.”
Questo gioco continuo e decisamente non molto sano ci stava dando alla testa.
“Veramente ho ancora un quarto d’ora. Ma capisco che per te è troppo poco tempo.” Sulle ultime parole le mia labbra si incurvarono in un mezzo sorriso sul suo orecchio.
“In un quarto d’ora si possono fare molte cose.”
Lancia il sasso e nascondi la mano.
Tira e molla.
Era così che funzionava.
“Beh, però è tardi, hai ragione. Dovrei prepararmi..” mi spostai in modo da vederlo in faccia.
Mi avvicinai per dargli un piccolo bacio sulla guancia, ma calcolai male la distanza. Decisamente di proposito. Poggiai le labbra all’angolo della sua bocca per un secondo per poi scattare in piedi e dirigermi verso la mia stanza, dove mi vestii in fretta e furia.
L’avevo provocato. Speravo solo che aspettasse il mio ritorno da quella specie di sfilata per prendere la sua rivincita.
Perché se la sarebbe ripresa, sicuramente.
Mi vestii in fretta e furia e uscii in cinque minuti, lanciandogli solo un’occhiata di sfuggita, notando un sorrisino sulla sua faccia a cui risposi allo stesso modo, prima di chiudermi la porta alle spalle.


 
L’ora di cena era passata. Per quel pasto mi accontentai dei pasticcini e dello spumante del buffet allestito dietro le quinte alla fine del nostro piccolo spettacolino.
Ero stanca, ma decisamente soddisfatta. Per non contare poi il fatto che mi ero ritrovata con un paio di inviti ad uscire per uno dei giorni successivi.
Il terzo non contava, visto che non mi ero ancora data alla pedofilia e quindi non sarei di certo uscita con un quattordicenne.
Il primo però non avevo intenzione di accettarlo, perché il tipo sembrava leggermente indeciso, con gli occhi che gli correvano dietro a tutti i culi delle altre ragazze che gli passavano di fianco. Di certo mi sarei ritrovata all’appuntamento insieme a metà delle mie compagne di sfilata.
Rimaneva quindi il secondo, un certo Kevin, che, dovevo ammetterlo, non era per niente male, con la sua barbetta bionda, come i capelli.
Ok, forse avevo un debole per i biondi, ma lui era davvero affascinante, a prescindere da ciò.
Un po’ fuori di testa e con un piccolo tatuaggio sulla schiena con la scritta ‘Do me’ che avevo intravisto mentre scimmiottava in giro insieme ad un certo Andy per farmi ridere e quindi accettare di “accompagnarlo molto innocentemente a sentire i suoi amici suonare”.
La sua piccola scenetta aveva funzionato, pensai, dandogli il mio numero e dicendogli che sarei casualmente passata in quel pub verso le 9 di venerdì sera.
Arrivai a casa e mi buttai sul divano, calciando via i tacchi con cui ero rimasta per tutto il giorno, perché non mi ero portata le scarpe di ricambio, vista la fretta con cui me ne ero andata da casa.
Stiracchiai le gambe e le mie dita intorpidite e accesi la tv, mentre la voce metallica della segreteria telefonica sembrava particolarmente felice di annunciarmi che non avevo messaggi.
Alla ricerca del solito programma stupido –avrei probabilmente puntato sul Jersey Shore quella sera- mi tornò in mente la piccola bustina con il logo della marca di intimo i cui prodotti mi ero tolta poco prima.
La presi e cominciai a sgranocchiare i dolcetti e gli stuzzichini che mi ero portata via molto discretamente, visto che a casa il frigo e la dispensa avevano cambiato la loro funzione in semplici oggetti di arredamento. Era una settimana che continuavo a ripropormelo, ma questa volta l’avrei fatto.
Dovevo assolutamente passare in quel benedetto supermercato a fare un po’ di spesa, oppure ci avrebbero trovati morti di fame dentro casa.
Sentii la porta aprirsi, per poi vedere un rosso piuttosto stanco chiudersela alle spalle con un tonfo.
“Spero che tu abbia già mangiato, perché non ho portato abbastanza cibo per sfamarci entrambi.”dissi, mentre lui prendeva la chitarra e si sedeva sul divano.
“Ho preso un boccone con James prima di staccare. Ha comprato qualcosa in quella specie di fastfood che hanno aperto vicino alla piazza.”
Tirò fuori da una busta qualcosa che doveva essere una corda e prese ad armeggiare con la chitarra per cambiare quella rotta da ormai due giorni.
“È il tuo capo. Prendersi cura di te è il suo dovere.”
“Magari in un bel giorno luminoso di un futuro speriamo non molto remoto, avremo anche noi qualcosa da mangiare a casa, senza andare sempre fuori.” Mi guardò con sguardo accusatorio.
“Senti, amore della mamma, lo sai che non sono una casalinga. Ti assicuro che non vorresti vedermi cucinare, oppure potrebbe essere l’ultima cosa che farai.” Lo guardai mentre, tutto concentrato, toccava con cura la sua amatissima chitarra, manco fosse una persona.
Ritornai poi a fissare la televisione quando un tipo particolarmente stupido scivolò dalla piattaforma, finendo in acqua rumorosamente. Il ‘Jersey Shore’ era già finito, quindi mi ritrovavo a guardare ‘Wipe out’, con il quale il mondo ancora una volta mi rinfacciava quanto fossi pigra, visto che mi sentiva già stanca solo a vedere quelle persone fuori di testa ad affrontare prove disumane, con lo scopo di conquistarsi quei due minuti di fama e magari anche in premio in denaro.
“Donna di mondo, devi solo fare la spesa. Con il resto cercherò di cavarmela io.”
“Non fare tanto il cuoco professionista, l’unica cosa che sai fare sono i waffles.” Mi alzai e andai a sedermi sul tavolino di fronte a lui, con la busta del cibo che avevo sottratto alla sfilata in modo che potesse prenderne un po’.
“Sì, ma ammettilo che sono i miglior waffles che tu abbia mai mangiato.”si vantò, mettendosi un intero pasticcino in bocca e sbriciolando un po’ sul divano e un po’ sulla chitarra.
“Se volessi mangiare solo waffles e vivere in una casa di lego per il resto della mia esistenza, beh, saresti l’uomo della mia vita.” Piantai i piedi sul divano vicino a lui, sistemandomi meglio sul tavolino, e sperai che quel mobile dell’Ikea fosse davvero degno delle lodi di cui l’aveva riempito il commesso dal sorriso smagliante a cui avevo chiesto di consigliarmi al tempo e che non cedesse così facilmente sotto il mio peso, lasciandomi con il sedere per terra e le gambe all’aria.
“Sono un musicista, bionda.” Decretò, mentre finì di sistemare la corda. “Fa tutto parte del mio fascino illimitato.” Prese poi a passare le dita sulle corde della chitarra, come per sentire il risultato di un lavoro che reputava davvero ottimo.
“Un musicista, eh? Allora suonami qualcosa.” Spostai lo sguardo dalle sue unghie mangiucchiate, che non potevo sopportare, ai suoi occhi che correvano veloci come ad inseguire sulle corde le note di una canzone che non aveva ancora suonato. “Qualsiasi cosa. Una cosa a caso.”





Continua..
(Veniva un capitolo troppo lungo, quindi ho deciso di spezzarlo. Anche perchè volevo tenervi ancora un po' sulle spine. Sono una persona orribile. :3 )




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Capitolo 10
*** X ***


Buoooongiorno, popolo!
Nonostante questo caldo che mi sta uccidendo in modo lento e doloroso, sono sopravissuta, più o meno, e sono ritornata con il nuovo capitolo (uhuuuuu).
Come promesso, la mia immaginazione un po' malata (ma poco poco, il giusto proprio) ancora una volta ha preso possesso delle mie facoltà intellettive ed ecco cosa è venuto fuori. ewe
Vi ricordo ancora una volta della festa di cui parlavo prima dell'altro capitolo e sappiate che ci conto che prima o poi si realizzi. Sarà molto bello, con tutto lo champagne e tante cose e persone arancioni e blablabla. Ok, forse sto un po' degenerando, ma capita. O no? ç___ç
Va bene, vado a mangiare qualcosa, visto che, oltre a dormire, è l'unica cosa che so fare.
A prestooo :):):)
-xo








  
 “Un musicista, eh? Allora suonami qualcosa.” Spostai lo sguardo dalle sue unghie mangiucchiate, che non potevo sopportare, ai suoi occhi che correvano veloci come ad inseguire sulle corde le note di una canzone che non aveva ancora suonato. “Qualsiasi cosa. Una cosa a caso.”
“A caso dici? Vediamo..” Il suo sorrisino bastardo però faceva capire tutt’altro.
 
“I'm just a bachelor
I'm looking for a partner
Someone who knows how to ride
Without even falling off

 
Qualcosa a caso.
Certo..
L’inizio non prometteva nulla di buono.
L’avevo già sentita quella canzone..


Gotta be compatible
Takes me to my limits
Girl when I break you off
I promise that you won't want to get off


Mi ricordavo il video; era qualcosa come un tipo di colore, con la camicia aperta, che si esibiva in mosse decisamente provocanti.
C’entrava anche un cavallo, un pony, forse..

If your horny, Let's do it
Ride it, My Pony
My saddle's waiting
Come and jump on it


Strip-tease!
Ecco cos’era. L’avevano usata in una scena di un film. Channing Tatum, c’era anche lui nel film. Un gran bel film.

If your horny, Let's do it
Ride it, My Pony
My saddle's waiting
Come and jump on it

 
Una canzone a caso, eh?
Il ghigno malefico sulla sua faccia mi diceva che quella non era altro che una specie di malata vendetta per quel pomeriggio.
Avrei dovuto aspettarmelo.. Quasi-baciarlo e scappare così? Sapevo che si sarebbe preso la rivincita.
 
Sitting here flossing
Peeping your steelo
Just once if I have the chance
The things I will do to you
You and your body
Every single portion
Send chills up and down your spine
Juices flowing down your thigh

..”
 
Dopo aver ripetuto un’altra volta il ritornello, alzò lo sguardo su di me, posando Nigel di fianco al divano.
“Ginuwine è una scelta davvero interessante. Sei andato a ripescare una canzone degli anni ’90.. proprio a caso, eh?”gli dissi, scrutandolo.
“Sei stata tu a dire che era una canzone a caso, non io.” Si sporse in avanti verso di me, appoggiando i palmi delle mani di fianco alle mie gambe, ancora sul tavolino. “Forse dovrei dire che ogni riferimento a persone e fatti è puramente casuale?” Salì con le mani sulle mie braccia e mi tirò sopra di lui.
Mi sedetti meglio su di lui, con le gambe piegate come in ginocchio.
“Forse dovresti. Non vorrai mica che il messaggio venga frainteso.” Giocavo con i lacci del suo cappuccio, mentre sentivo le sue mani salirmi sulla schiena.
“Beh, allora mi vedo costretto ad ammettere che non è casuale nemmeno un po’, anzi..”
“Ah, no?”
“No. E sai cosa? Credo che nemmeno tutto il resto sia puramente casuale.”
“Senti, Sheeran, tu non s..”
Non feci in tempo a finire la frase  che mi trovai attaccata a lui, le sue labbra premute contro le mie.
Oh mio Dio e Zeus e Afrodite e tutti gli altri dei dell’Olimpo, insieme a tutta la loro santissima e allargata famiglia.
Ma cosa stavo facendo? Cosa stava facendo lui? No, no, no, no, no.
Dovevo assolutamente staccarmi e andare a farmi una doccia fredda, freddissima, ghiacciata.
Però, cavolo, le sue dannatissime labbra non mi stavano certo aiutando così.
Eravamo attaccati, come se qualche forze maligna ci avesse sparso addosso la colla super-attack, prima di spingermi tra le sue braccia.
Riuscivo a sentire ancora un po’ del sapore di cioccolato lasciato da quel pasticcino.
Ci baciammo con foga, con fretta, e quando ci staccammo per prendere aria, sentii la sua bocca allargarsi in un sorriso mentre gli mordevo il labbro inferiore.
Il mondo era impazzito. Io ero impazzita.
E per accentuare ancora di più il mio dissidio interiore, come se non bastasse già così, mi accarezzò piano la nuca per poi scendere fino al collo.
Riprendemmo a darci piccoli baci a stampo, senza mai staccarci davvero.
“Sheeran..”provai a dire, posando le mani sulle sue spalle e cercando di mettere un po’ di spazio fra noi. “Ed..” Eravamo ancora vicinissimi, la sua mano sulla mia nuca mi impediva di allontanarmi più di tanto.
“Di solito non mi chiami Ed. Fa così strano sentitelo dire.” Sorrise sulle mie labbra.
“Beh, diciamo che questo non è proprio il solito, Sheeran. Non credi?”affermai, percorrendo con un dito la linea della sua mandibola.
“Stai progettando il mio omicidio?” mi chiese tranquillamente, per poi stamparmi un altro bacio alla sprovvista.
“Decisamente.”dissi, prendendo il suo volto con entrambe le mani e portandolo ad una distanza di sicurezza,  sempre che cinque centimetri possano considerarsi una distanza di sicurezza. “Dammi un buon motivo per cui non dovrei ucciderti.”esclamai di fronte all’espressione da cucciolo che aveva assunto. “E non fare quella faccia, tanto lo sappiamo entrambi che sei un bastardo.”
“Tanto è per questo che ti piaccio.” Prese le mie mani dalla sua faccia e ancora una volta cancellò quel poco spazio che ero riuscita a mettere.
“Non crederci troppo.” Sprigionai le mie mani dalle sue e lo bloccai con le spalle contro il divano, visto che si stava avvicinando di nuovo. “Chiamiamola piuttosto tensione sessuale repressa da troppo tempo e mettiamoci una pietra sopra.”
Avevo sbagliato a lasciargli le mani libere, infatti un secondo dopo mi prese per la vita e mi tirò più vicino a lui.
“Quindi stai cercando di dirmi che in realtà di me non te ne frega niente e l’hai fatto solo per placare un po’ i tuoi istinti?” concluse, di nuovo troppo vicino a me.
“Esatto.”concordai, giocando con una ciocca dei suoi capelli.
“E più esattamente, Natalie, chi stai cercando di convincere? Me o te stessa?” E, approfittando della mia sorpresa e del mio sbigottimento di fronte alla sua domanda retorica, prese il mio volto fra le sue mani e mi baciò di nuovo come la prima volta, con impeto, con slancio, dimenticando di respirare, e come la prima volta io risposi al suo bacio allo stesso modo.
Aveva ragione. Probabilmente stavo cercando di convincere me stessa, ma dannazione! C’erano mille motivi per cui quella cosa non doveva accadere, primo fra tutti il fatto che eravamo coinquilini.
Le cose sarebbe diventate troppo complicate.
Le relazioni in generale sono complicate.
E io odio le cose complicate.
“Devo andare.”inventai, staccandomi da lui.
Ma cosa stavo dicendo? L’unica scusa che il mio cervello classicista è riuscito a scovare è ‘Devo andare’? Davvero?
“Ma cosa dici? Dove devi andare alle 9 di giovedì sera?”mi chiese divertito, tirandomi indietro a sedere su di lui.
“Devo studiare.”improvvisai, passando le mani tra i suoi capelli.
Bene.
Di male in peggio.
Brava proprio.
“Potrei aiutarti.” Fortunatamente avevo le mani sulla sua testolina e, quando si avvicinò di nuovo pericolosamente, lo fermai appena in tempo.
“Non credo che tu sia in grado di farlo, rosso.”sussurrai sulle sue labbra.
“Sono in grado di fare molto cose, dolcezza.”disse, salendo con le mani sulle mie gambe, fino a prendermi per i fianchi.
Aveva appena appoggiato le sue labbra sulle mie, quando il suono squillante del campanello mi fece perdere una decina di anni di vita. “Ma chi è il pazzo incosciente?”quasi urlai, guardando Ed sbigottita, mentre stringevo tra le mani il suo cappuccio per lo spavento.
“Ecco, potrebbe essere un pazzo. Meglio ignorarlo.”disse, tirandomi più vicina.
Il campanello suonò di nuovo tre volte.
Tre volte.
Il pazzo incosciente era Silvie.
Mi alzai e andai ad aprire, cercando di ricordare se per caso avevo preso qualche impegno con la mia psicopatica amichetta per quella sera.
“Sia benedetto tutto il firmamento, sei a casa. Mi serve assolutamente il tuo aiuto in greco. La pazza mi interroga domani e io tutti quei passi di Archiloco non li so fare.”
“Amore della mia vita, ma il telefono? Ha subito qualche sfortunato incidente o non sai più usarlo?” La scrutavo stupida, domandandomi sulla validità dell’affermazione di un pazzo che dà del pazzo ad un altro.
“Dopo un po’ di tempo mi sono stancata della signora che continuava a ripetermi che eri spenta o irraggiungibile. Per quello di casa non ho avuto il tempo di pagare la bolletta.” Mi sorrise, gesticolando con una faccia dolce e implorante. “Cavolo, ho interrotto qualcosa?” chiese di colpo, spostando lo sguardo da me al rosso.
Wow, è imbarazzante quanto un’amica possa capire da certe situazioni.
“Assolutamente niente.”risposi in fretta, prima che lui avesse occasione di aprire la sua boccuccia, e trascinai Silvie in camera mia. “Devo raccontarti di Kevin!”
“Kevin? Natalie, piccola dolce sgualdrinella Natalie, che cavolo hai combinato?” domandò con fare apprensivo prima di aprire il libro di greco e avventurarci in due lunghe e interminabili  ore di giambi dal significato ambiguo.
Quello che era successo tra me e Sheeran sarebbe rimasto nascosto e sepolto tra me e Sheeran. Doveva rimanere un caso isolato e dimenticato.
Dovevo solo fare finta che non fosse mai accaduto e chiedere a lui di fare la stessa cosa. Facile, no?





(Un'ultima cosetta: se non avete visto questo video, guardatelo assolutamente  http://www.youtube.com/watch?v=wMSEw4jFcTc  yeeeeeeeeeeeeeeeeeey *ormoni che ballano la conga e improvvisamente mi danno l'ispirazione per il capitolo che avete appena letto)




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Capitolo 11
*** XI ***



La mattina dopo mi alzai di malavoglia e mi vestii in tutta fretta visto che ero leggermente in ritardo.
Cercai di fare il più piano possibile.
Non avevo certo intenzione di svegliare Ed e mettere il mio piano in azione subito.
Voglio dire, io avrei potuto benissimo fare finta che non fosse mai successo niente, ma dovevo dire anche a lui di fare la stessa cosa, e non ero certo in condizione di farlo alle 7.24 di mattina.
Avrei agito appena tornata da scuola.
Probabilmente.
Bevvi il the in quattro grandi sorsi, ustionandomi la gola, e addentai un cornetto mentre aprii la porta di ingresso per procedere a passo di marcia verso la fermata. Il mio autobus sarebbe passato tra niente meno che un minuto e anche se Jeremy si sarebbe fermato volentieri ad aspettarmi, non avrebbe di certo potuto costringere un intero autobus a farlo.
Riuscii a prenderlo per un pelo e arrivai a scuola in perfetto orario.
Mi sedetti come al solito in penultima fila, che dopo anni di studio dei posti, avevo finalmente scelto come quello perfetto: non è compromettente come l’ultima fila, che ti assicura una brutta reputazione di fronte ai professori, che hanno sempre lo sguardo puntato in quella direzione per essere sicuri di avere la situazione sotto controllo, e allo stesso tempo non è così limitante come qualsiasi altra delle prime, che sono inevitabilmente sotto tiro come l’ultima in caso di eventuali domande impreviste.
È la fila che nessuno considera, quella che di solito passa inosservata, dunque, come volevasi dimostrare, perfetta.
Appoggiai la borsa sul banco, per farmi da copertura discreta, e presi a sfogliare discretamente il mensile che avevo comprato all’edicola che si trovava a metà del mio percorso tra la fermata e la scuola.
Dopo l’entrata del solito trionfante ritardatario cronico e l’abituale ramanzina del professore che immancabilmente ne seguiva, prestai distrattamente attenzione a quelle due interminabili ore di letteratura e durante le successive quattro ore diventai a poco a poco un’esperta i sudoku, a forza di completare quelle diaboliche griglie ripetutamente con quei nove numeri, alternando il mio nuovo hobby a intervalli in cui prendevo appunti su fogli che molto probabilmente avrei perso.
Insomma, facevo di tutto per cercare di distrarmi, visto che ogni volta che mi fermavo a pensare, il mio cervellino continuava a ritornare a proiettare come un film le immagini della sera precedente.
Il faccino arrogante e il sorrisino bastardo. Quelle lentiggini e la barbetta arancione.
Tutto quanto terribilmente odioso.
Non volevo più pensarci. Dovevo chiudere quella faccenda, ma non ci avrei più pensato fino al fatidico momento.
Siccome l’interrogazione di Silvie andò una meraviglia, visto che come sempre le aveva fatto quelle due domande di repertorio, e non le aveva chiesto tutto il libro come invece continuava a ripetermi lei la sera prima, ci ritrovammo in un bar a festeggiare con caffè e the questa sua vittoria insieme ad un paio di persone.
“Vorrei ringraziarvi tutti per il vostro sostegno e per aver creduto in me, anche nei momenti più bui della mia carriera, e soprattutto la signorina qui presente Natalie, senza la quale tutto questo non sarebbe stato possibile.” recitò Silvie, fingendo di ricevere un Oscar, sotto il nostro sguardo divertito.
“Mi rallegro di essere stata una parte così importante nella tua carriera aurea. Sono commossa.” dissi di rimando, abbracciandola platealmente da seduta.
“Allora bisogna festeggiare, bellezze. Stasera si esce alla grande.” decretò Roxy.
“Sì, ti prego. Un’uscita ci voleva proprio, questa scuola mi sta uccidendo.” esclamò Baylee, esausta.
C’era un tempo in cui noi quattro uscivamo sempre insieme, ma poi, essendo in due corsi distinti, impegni diversi e classi differenti ci avevano tenute separate per un po’. Ci vedevamo ancora qualche volta durante i momenti di pausa a scuola oppure per un film che alla fine nessuna guardava in un pomeriggio piovoso in cui tutte rinunciavamo a fare i compiti e ci consolavamo immaginando magari una futura carriera come cassiere al McDonald’s o in qualche strip club in Olanda.
“Mi spiace deludervi, distinte signore, ma stasera ho altri impegni.” Ammiccai verso di loro, alzando le sopracciglia con fare provocante.
“Sgualdrina, ci dai buca così?”
“Cos’ha lui più di noi?” domandò Roxy, posando la tazza sul tavolino e prendendo un biscotto dal piattino omaggio che il cameriere ci aveva portato facendole l’occhiolino.
“Roxanne, cielo, lo so che non ti piace anatomia, ma pensavo che fino a questo punto ci fos..” Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che un pezzo di biscotto mi colpì in fronte.
“Si chiama Kevin.” mi canzonò Silvie, quasi urlando, fiera di sapere quello straccio di informazione in più rispetto alle altre.
“Mmmm, e dove ti porta questo Kevin?”
“Dopo aver fatto una gita sulla sua moto super potente, mi porterà ad una fiera di tatuaggi, dove metterà in mostra i suoi. Ne ha così tanti. Su tuuuuutto il corpo.” In cambio alla mia battuta ricevetti delle occhiatacce che mi convinsero a svelare la nostra vera location. “Andiamo al Green Pub, perché suonano dei suoi amici.”
“Interessante. Ti porta nei sobborghi della città.” osservò Baylee, sorseggiando il suo caffè.
“Sì, mi aiuterà a cominciare in anticipo la mia carriera da spogliarellista. Non è dolce?”
“Veniamo anche noi.”
“Che cosa?? Non potete farlo. Ho bisogno della mia intimità!” Erano impazzite.
“Dai, faremo finta di non conoscerti.” disse Roxy, pensando di risolvere la questione.
“Lo guarderemo da lontano, giusto per vedere com’è.”
“E poi al Green fanno la pista da ballo il venerdì dopo che hanno finito di suonare quelli di turno.” concluse Silvie, giustificando il loro piccolo agguato.
Le guardai con sguardo accusatorio, ma in fondo potevano essere una via d’uscita se per caso la serata si fosse rivelata un fiasco. A Kevin avevo detto che sarei passata. Così, se per caso la compagnia non fosse stata di mio gradimento, avrei potuto dire di aver visto le mie amiche e che mi sarei unita a loro. 
Bene. Un buon piano.
“Ok, ma, fino a ordine contrario, non ci conosciamo. Intese?”
Quando ebbero finito di esultare, sottolineando il mio buon animo e quando mi stessero bene i capelli quel particolare giorno, le salutai e tornai a casa.
 
Dopo essermi buttata molto delicatamente sul divano, tirai fuori dalla mia borsa rossa il libro di filosofia, per dare giusto una letta al capitolo sui sofisti prima di passare a cose più importanti, come i vestiti che avrei indossato quella sera.
Visto che l’atmosfera e l’immagine di una me studiosa sembravano un po’ depresse, mi allungai verso il tavolino, esibendomi in un numero mortale per prendere il telecomando con i piedi, senza muovermi troppo e sicuramente senza alzare il mio didietro dal divano.
Ci riuscii senza troppo sforzo e pensando a come con una disciplina come questa alle Olimpiadi avrei sicuramente stravinto l’oro, accesi la tv e la lasciai cantare su uno di quei fantastici canali dove passano musica di continuo.
Avevo finito di leggere appena il terzo paragrafo, quando decisi che il panino al tonno che avevo preso a scuola non era stato abbastanza consistente da placare la mia fame per molto, e così andai in cucina, cercando quelle piccole confezioni di popcorn da preparare in microonde che avevo comprato in abbondanza quando ero andata a fare la spesa circa un secolo prima.
La spesa. Dovevo assolutamente andare a fare la spesa.
Gli avvenimenti del giorno prima però avevo portato la mia concentrazione ad un livello decisamente inferiore e mi ero dimenticata di nuovo.

Your touch is so magic to me
The strangest things can happen
The way that you react to me
I wanna do something you can’t imagine...

 
Dio, quanto adoravo quella canzone. Per non parlare poi di Justin Timberlake. Guardai le immagini del video scorrere, mentre aprivo la confezione da tre bustine, e mi chiesi come Ciara riuscisse a non saltare addosso a quel fusto.
“Imagine if there was a million me’s talking sexy to you like that
You think you can handle, boy
If I give you my squeeze and I need you to push it right back.
Baby, show me, show me
What’s your favorite trick that you wanna use on me
And I’ll volunteer
And I’ll be flowing and going
Till clothing disappears, ain’t nothing but shoes on me
Oh, baby”  Cominciai a cantare , sempre che quel mio schiamazzare senza beccare una nota nemmeno per sbaglio potesse essere considerato come cantare, muovendomi a tempo, mentre osservavo i movimenti rotatori del piattino del microonde e sentivo gli spari dei popcorn, che scrutavo attentamente, seguendo passo per passo le istruzioni sulla scatolina.
Feci un movimento molto da spogliarellista norvegese in carriera per abbassarmi a prendere una ciotola dal ripiano in basso e quando mi alzai, per poco non lo lanciai contro Ed in autodifesa, sentendolo parlare alle mie spalle.
“Avrebbero dovuto prenderti per il video.” Rise, probabilmente di fronte alla mia espressione spaventata e sollevata allo stesso tempo.
...









 Buonasera, anime :)
Ebbene sì, non sono morta.
Sono sopravvissuta ad una settimana di fuoco (uhhuuuu) e adesso sono tornata per rompervi un altro po', visto che vi mancava (no, non è vero, ma avevo bisogno di gonfiare un po' il mio ego).
Grazie ancora per le recensioni, le preferite e le seguite. <3 Siete degli esseri bellissimi *saltella felice, ma si stanca subito, vista l'unica ora di sonno accumulata nel giro di più di 24 ore.
Quindi non fatevi scrupoli a scrivermi, almeno mi sento meno stupida a scrivere questa robina.

Ok, ok, ok.
Coooomunque ho deciso che c'ho preso gusto ad interrompere i capitoli un po' così, diciamo più sulle spine.
Anche perchè se avessi stoppato prima, la testa arancione non sarebbe comparsa e preghiamo Zeus che questa tragedia non accada mai.
Ma da lettrice so che la suspence è una cosa orribile, quiiiindi, se state ancora leggendo questa ff e non vi siete già stancate, fatemi sapere così cercherò di aggiornare presto. (sì, faccio la modesta e la preziosa, blablabla)
Ok, sto impazzendo, quindi vi lascio.
A preeeeesto.

Tanti cuori a tutti
-xo













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Capitolo 12
*** XII ***


 ...

“Stavo per ucciderti, Sheeran. Non farlo mai più.”gli intimai, tirando fuori i popcorn per versarli nella ciotola e lasciandoli subito cadere sul ripiano perché troppo bollenti.
Lo guardai riprendere l’operazione che io avevo abbandonato e pensai che magari potevo stare zitta per quanto riguardava la sera prima e fare finta di niente. Magari anche lui avrebbe fatto lo stesso.
“Senti, riguardo a quello che è successo ieri.. ecco..” Cominciai, disegnando piccoli cerchi con il dito sul marmo freddo.
Ma che diavolo stavo dicendo? Perché la mia bocca non si decideva a sincronizzarsi con il cervello?
“Tranquilla, non voglio certo rovinare la tua storia con Kevin.”disse e a quell’ultima parola storse il naso quasi impercettibilmente, come quando non trovava più le sigarette che gli avevo nascosto.
“Senti, lasciamo fuori Kevin da questa cosa, visto che non ci sono nemmeno uscita e me la stai gufando alla grande. Lui non c’entra niente.”
“Ah, no? Perché sembrava un argomento molto importante quando è arrivata Silvie ieri sera.” E con un’espressione molto tranquilla alzò lo sguardo su di me, mangiando una manciata di popcorn.
“Mi sono lasciata prendere da un istinto represso, ok? È successo, succede anche ai migliori. Ma non è stato niente di che.”
“Quindi niente di che? Non mi sembrava che ti dispiacesse poi tanto.”
“Senti, Sheeran, eri tu che non mi lasciavi più andare, per cui direi che è stato il contrario piuttosto.” Mi avvicinai a lui, colpendolo con il dito puntato sulla sua spalla.
“Non è stato niente di che.” Riutilizzò la mia battuta, circondandomi i fianchi con le braccia. “Ma potresti sempre farmi cambiare idea.” Sussurrò avvicinandosi a me.
“Sei un maniaco.”lo canzonai, mentre passavo le mani tra i suoi capelli. “E casomai sei tu che devi far cambiare idea a me, visto che sono stata io a presentare la lamentela per pri..”
Di nuovo! Non mi aveva fatto finire la frase di nuovo che già le sue labbra erano attaccate alle mie.
Cavolo, non poteva succedere ancora. Mi ero ripromessa che avrei chiuso questa faccenda, ma con quale forza di volontà potevo staccarmi da quella bocca?

“I ain’t gonna stop you if you wanna crowd my neck
Talk sexy to me like that
Just do what I taught you, girl
When I give you my heat and I need you to push it right back”


Ok. Quella stupida canzone non mi stava aiutando. Affatto.
Sentii le sue mani scendermi sulla schiena fino al sedere e quando capii che stava per sollevarmi incrociai le gambe intorno ai suoi fianchi.
Nel momento in cui mi appoggiò sul bancone, per poco non feci cadere i popcorn.
Quel rumore mi risvegliò dalla trance e mi staccai da lui, mordendogli con forza il labbro.
Dannazione, quanto mi piaceva mordere le sue labbra.
“Ti odio. Non mi fai mai finire le fra..”cercai di dire convinta, ma non feci in tempo a concludere, visto che mi stampò un altro bacio a tradimento.
“Se questo ti rende così aggressiva, allora lo farò più spesso.”parlò sulla mia bocca.
“Non so se ti conviene, Sheeran.” lo ammonii, passandomi la lingua sulle labbra e toccando inevitabilmente anche le sue. “Potrei torturarti all’infinito, sono una persona molto, ma molto crude..”
Ancora! L’aveva fatto di nuovo. Ma che razza di malattia perversa è mai questa?
“Potrebbe cominciare a piacermi.”disse, baciandomi di nuovo. “Ma forse hai ragione tu, è solo un istinto. Forse sarebbe meglio fare finta di nien..” cercò di allontanarsi, ancora con le mani sulle mie gambe, ma non finì la frase, quando cominciai a lasciargli, salendo, una scia di baci lungo la linea della mandibola.
“Dovresti tenere la barba più spesso.”gli mormorai nell’orecchio, per poi dargli un piccolo morso.
Non doveva giocare con me.
L’avevo avvertito.
“Sì, sai essere davvero crudele. Io cerco di allontanarmi e tu cosa fai? No, così non va affatto bene. Mi stai provocando.”mi sgridò, attaccando il mio collo, mentre io cominciai a ridere.
Il telefono di casa cominciò a squillare con un volume così forte da svegliare anche i morti.
Lo presi per le spalle e lo spostai da me, per andare a rispondere.
Saltai giù dal bancone e mi trovai intrappolata in uno spazio piuttosto angusto.
“Questa volta devo andare. Sul serio. Devo prepararmi.”dichiarai, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Lo guardai a malapena, cercando di essere fredda come un iceberg. Magari proprio come quello che aveva affondato il Titanic. Quello sì che era un gran bel iceberg.
Ci ero cascata di nuovo, però non sarebbe più capitato. Dovevo finirla con questa storia. Tra meno di due ore dovevo uscire con Kevin.
“Anche io.”concordò lui.
Andai in fretta in salotto e presi la cornetta. “Pronto?”
“Ciao. Sono Alex.”
“..ciao?” Alex? E questo adesso?
“Ciao.”
Ok. La cosa stava diventando un po’ inquietante.
“Sono della T-mobile. Ho chiamato per sapere se per caso eri interessata alla nostra offerta che compr..”
“Oddio, Alex, ma dillo! Mi fai prendere i colpi.”
“È un brutto momento? Sto disturbando?”
Che dolce. Era il suo primo giorno, di sicuro. Gli operatori telefonici non solo non sono così dolci e affettuosi, chiedendoti del tuo stato d’animo. Anzi. Non te lo danno nemmeno il tempo di parlare.
“Sì, effettivamente è un momento molto brutto. Non riesco nemmeno a parlare. Mi viene da piangere.” Va bene, forse stavo approfittando un po’ della sua gentilezza, ma la mia voglia di stare a sentire il sermone su un’altra “miglior’offerta telefonica della mia vita” era andata da qualche parte a suicidarsi, insieme alla mia coscienza.
“Va bene allora. Richiamerò in un altro momento.”
“Grazie.”
“Tranquilla, passerà tutto. Ciao.”
 Ma qual’era il suo problema?
La gente al giorno d’oggi, non sai mai cosa aspettarti.
Grazie però ad Alex avevo messo fine a quella faccenda molto sbagliata. Più che sbagliata. Oltre ogni soglia ammissibile dello sbagliato.
Solo un episodio isolato.
Ok, due episodi isolati. ISOLATI. Basta.
Quando riattaccai, mi fiondai velocemente sotto la doccia. Ci misi un po’ per fare tutto e per asciugare la massa di capelli biondi e quando uscii dal bagno per andare in camera, Sheeran era già uscito. Tanto meglio.
Mi preparai con cura e attenzione, in modo da dare al mio aspetto un aria curata ma non troppo, del tipo “mi sono ricordata del nostro appuntamento, ma giusto un’oretta fa, quindi sono così bella e fantastica senza bisogno di grandi preparativi”.
Presi l’ultimo autobus della giornata alle 8.55, che avrebbe contribuito magnificamente a realizzare il mio elegante ritardo, accessorio d’obbligo per una donzella che si rispetti. Infatti arrivai con dieci elegantissimi minuti di ritardo e trovai Kevin seduto su uno sgabello al bar rivolto verso la porta.
 Appena mi vide, alzò la mano in gesto di saluto e fece per alzarsi, ma io lo raggiunsi prima che potesse venirmi incontro.

.....








Buooooooongiorno!
Sono stata in vacanza (uohoooo), ma ora sono tornata (purtroppo) ed eccomi di nuovo qui a rompere un altro po'.
Forse vi sarete anche dimenticate quello che è successo nell'altro capitolo, visto che è ben una settimana che non aggiorno (come vedete, nonostante sia in vacanza, so ancora contare i giorni, che brava), però spero che la stiate ancora seguendo.
Ditemi cosa ne pensate del capitolo, anche perchè mi sembra di essere impazzita (e forse è anche un po' cortino, ma in questo strano editor mi re ndo mai conto bene della lunghezza). Sto forse degenerando? Dovrei darmi all'uncinetto? Vi prego ditemi di no, anche perchè sono un disastro per quanto riguarda qualsiasi lavoro manuale che non sia il mangiare. Ma comunue penso che questo non conti come lavoro manuale. Visto? Non so nemmeno classificarli, quindi farli tanto meno.
Ok, tutto questo caldo mi sta facendo davvero male e i miei due neuroni stanno precipitando in un abisso da cui non potranno più fare ritorno. Mi mancheranno ç__ç
Duuuuunque, lo so che siete pigre e che la vostra voglia di lasciare una recensione in questo momento è di molto inferiore a zero (sappiate che in questo caso siete esattamente come me), peròòò vi dico solo che con una di quelle cosine (a.k.a. recensione) fareste la sottoscritta davvero felice. Così felice ad andare a salvare una di quelle specie in via di estinzione, o magari a cercare di risolvere insieme ad un team di scienziati il problema del buco nell'ozono... o forse solo andare a giacere sul letto con il ventilatore puntato in faccia, pensando al continuo di questa storiella, visto che sono troppo svogliata per fare qualsiasi cosa.
Oh Zeus, questa cosa sta diventando più lunga del capitolo, quindi adesso mi dileguo.
Mi siete mancate taaaanto. :)
A presto, dolcezze
-xo


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Capitolo 13
*** XIII ***


....
 ......“Ecco chi si rivede “per caso”. E io che pensavo che in realtà mi avessi dato false speranze.” disse, mentre gli davo un bacio sulla guancia a mo’ di saluto.
“Di solito mi diverto a spezzare i cuori dei ragazzi accettando per finta inviti in giro, ma hai parlato così bene dei tuoi amici che adesso non vedo l’ora di sentirli.” lo presi in giro, mentre arrivava il barista.
Ordinai una birra, mentre lui finiva la sua e ne ordinava un'altra, e flirtammo spudoratamente fino a quando i “Manchester Orchestra” – era così che aveva detto che si chiamavano – non fecero il loro ingresso sul palco.
Va bene, dovevo ammetterlo. Erano davvero bravi.
Ero un po’ scettica all’inizio, ma poi con il loro sound indie rock e il pathos con cui suonavano riuscivano a fare colpo.
Dopo un’ora molto intensa scesero dal palco sfiniti e si diressero verso il bancone, avvicinandosi al punto dal quale io e Kevin li avevamo osservati per tutta la durata della loro esibizione.
“Mi dispiace se Kevin ti ha terrorizzata. Giuro che noi altri non siamo come lui.” scherzò quello che riconobbi come Andy, il ragazzo che era insieme a lui alla sfilata.
Si presero tutti da bere e, mentre loro si insultavano a vicenda, conobbi anche gli altri del gruppo.
Dai, non erano così male.
Erano tutti pazzi. Fuori come dei balconi.
Almeno non avevo avuto problemi ad ambientarmi tra di loro. Non mi sentivo esclusa proprio per niente, visto che avevano cominciato a parlarmi in cinque, ognuno dei suoi affari: del tipo di salsa usavano nei panini del bar, delle portiere del loro furgoncino che continuavano a bloccarsi e sbloccarsi da sole a causa di una misteriosa e sconosciuta forza, di come una figura femminile come la mia nella band avrebbe attirato sicuramente più fan e altre mille cose che non riuscii a captare, nonostante il mio allenamento avanzato nell’attenzione distribuiva.
Mi avevano appena trascinata in una discussione molto accesa riguardante i fuochi d’artificio che il batterista si vantava di aver comprato in un autogrill, chiedendomi come uno poteva capire che non si dovessero accendere all’interno del furgoncino, se tanto nessuno lo aveva specificato, quando sentii di nuovo della musica in sottofondo.
Era davvero bravo il tipo e doveva aver cominciato a suonare da un pezzo, vista la discreta folla che si era venuta a formare di fronte al palco.
 
“I made all my plans and as she has made hers
 
Io quella voce l’avevo già sentita.
Forse in tv?
No, impossibile.
Era una voce che avevo sentito dal vivo.
 
She kept me in mind but I wasn't sure
 
Magari qualcuno sull’autobus?
A scuola?
Al supermercato?
Al parco?
O qualche artista di strada.
 
I searched every room for a way to escape
 
Santissimo Apollo, tu e tutte le Muse.
Artista di strada+palco era un binomio che riportava alla mia memoria una sola risposta.
 
But every time I try to leave she keeps holding on to me for delight
And blocking my way”
 
E quella risposta aveva una massa disordinata di capelli arancioni.
Mi spostai sullo sgabello per avere una visione migliore del palco, senza dare troppo nell’occhio.
Lo vidi lì in piedi con Nigel in mano, mentre sorrideva timido alle persone che lo stavano ascoltando, chi più chi meno.
A chi voleva darla a bere?
Ma per favore, Sheeran! Non convincerai nessuno con questo faccino da cucciolo.
Non ci crede nemmeno Tony che sei così. Ok. Tony non conta, visto che è più intelligente di circa la metà delle persone che conosco.
Non ci credono nemmeno.. quelle ragazze che si stanno dondolando con fare provocante e decisamente inappropriato davanti a te? Va bene, questa te la concedo.
Sei davvero furbo.
La tecnica del musicista romantico e sofferente. All’inizio pensavo fosse un mito, ma poi l’ho vista un paio di volte messa in azione proprio dal tipo che me ne aveva parlato.
Incredibile. È come una di quelle striscioline viscide per le mosche, funziona proprio così. E non credi che sia efficace finché non la vedi piena di quelli stupidi esserini che hanno continuato a girarci intorno fino a rimanerci appiccicate.
Il suono degli applausi eccitati mi risvegliarono con ribrezzo dalle mie profonde riflessioni.
Quando poi sentii anche l’allegra combriccola intorno a me fare apprezzamenti sul fantastico modo in cui cantava “il ginger boy”, decisi che avevo bisogno di una rinfrescata.
Mi alzai dal mio posto, dicendo agli altri la mia meta e passai inosservata dietro la discreta folla che si trovava nel punto in cui fra poco ci sarebbe stata la pista da ballo.
La toilette non era molto lontana dal piccolo palco, quindi cercai di fare il più in fretta possibile. Andai spedita verso la porta verde scuro con un simbolo vandalizzato adibito ad indicare l’uso di quello stanzino e appoggiando la mano sulla maniglia, mi ricordai del perché preferivamo non usare mai il bagno del Green. Quella porta era peggio della Sfinge: non trovi la mossa segreta, non passi.
Voglio dire, con tutti i clienti e le mance che si ritrovano, non riescono a racimolare un po’ di soldi per riparare questa stupidissima maniglia? Al diavolo il tocco rustico con cui cercano sempre di giustificare questo guasto. Se avessi voluto un tocco rustico, sarei andata alla cantina dello zio Joey, o come cavolo si chiama quel posto inquietante di fianco alla metropolitana.
Dannazione. Continuai a girare quella maniglia e la pregai in tutte le lingue che conoscevo di aprirsi per non farmi sembrare una cretina, visto che nonostante il fatto che tutti quelli che frequentavano il pub fossero a conoscenza di quel piccolo problemino, era loro inevitabile non dare un’occhiata allo sfigato di turno che dava anche l’anima per poter usare quel maledetto bagno.
No. Quella sera era decisamente più dispettosa e io ero probabilmente fuori forma. Non voleva saperne di farmi passare, quindi cominciai a spingermi con la spalla contro la porta ripetutamente, come in quegli stupidi film d’azione, in cui i poliziotti riesco ad aprire in questo modo le porte chiuse a chiave. Bah.
Quando stavo ormai perdendo le speranze e la spalla cominciava già a farmi un po’ male, con un suono non molto soave accadde il miracolo. Che tu sia lodato, Giano! Non potevi venirmi in aiuto un po’ prima?
Mi guardai intorno.
Magari anche un po’ prima che Sheeran finisse la sua stupida canzone e questo stupido rumore attirasse la sua attenzione in questa direzione?
Lo sguardo di Ed incrociò il mio.
Ok, Giano. Sappi solo che durante la prossima festività, per te sacrificherò un bue in meno. Oh, e anche per voi cari e dolci Moire o Fortuna o chiunque tu sia, visto che giocate così con il destino. Lo dirò a Zeus, statene certe.
Ci fissammo per un secondo e sfoggiando una faccia da poker, entrai piano nel bagno, chiudendomi delicatamente e con attenzione la porta alle spalle.
Anche se non potevo passare il resto della serata chiusa in quel buco, dopotutto non sarebbe stato poi così male. Il sapone aveva proprio un buon odore, uno di quei saponi che non sai mai di cosa sanno, ma sono così buoni che decidi di non interrogarti più sulle loro origini. Presente, no?
Avevo finito decisamente troppo in fretta. Mi guardai allo specchio e, dopo aver tirato fuori le pinzette che fortunatamente avevo messo nella pochette, presi a dare una sistemata alle sopracciglia.
No, non ne avevano proprio bisogno, visto che le avevo fatte il giorno prima.
Le rimisi al loro posto e presi a passarmi lentamente il lucidalabbra. Con una lentezza esagerata. Ero molto precisa. Nessuno mai nella storia del make up era mai stato così preciso. Ma non potevo di certo ripetere quell’operazione all’infinito.
Cominciaidi nuovo a lavarmi le mani con il fantastico sapone dal profumo non identificabile.
Va bene. Stavo cercando di perdere tempo.
Ma perché? In fondo ero venuta ad un appuntamento con Kevin. Non potevo mica sapere che Sheeran avrebbe suonato lì proprio quella sera.
Un momento. Ma cosa stavo dicendo? Non mi importava. Non mi importava se c’era lui e se mi aveva vista.
Ok, tutta questa situazione era un po’ strana, ma hey, Natalie, ricordi? Facciamo finta di niente.
Ecco, bravo cervellino. Adesso ci siamo.
Aprii la porta con un po’ meno fatica, visto che da dentro questa pratica si rivelava molto meno disumana che dalla parte opposta, e mi incamminai con passo deciso verso il mio sgabello, quando sentii qualcuno tirarmi per il braccio.

.....









Saaaaaaaalve, gente!
Eccomi di nuovo qui! Un altro capitolo e la serata non è ancora finita! E io continuo a usare tutti questi stupidi punti esclamativi dopo ogni frase! *facepalm
Ok, ok, allora, come vedete, ho aumentato la dimensione del carattere, perchè prima mi sembrava un po' illegibile, ma forse era solo a causa del fatto che certe frasi sono davvero illegibili e senza senso o magari è anche colpa del mio mini-computer, che fa le cose il doppio più piccole rispetto al normale.
Aaaanyway, ho preferito convicermi che la dimensione del carattere fosse il problema, quindi ditemi se va bene così, o preferivate quello di prima.
Va bene, mi avete beccata, è anche un modo per farvi recensire *si complimenta con se stessa per la genialata.
E già che siamo in argomento, volevo ringraziarvi tanto tanto, ma proprio TANTISSIMO  per aver aggiunto la storia tra le preferite, le seguite, le ricordate e chi più ne ha, più ne metta; e soprattutto per tutte le recensioni, anche se non rispondo, sappiate che ballo la conga ogni volta che vado in "gestisci le tue storie" e vedo che il numero delle recensioni è cambiato.
Ok, non è sempre la conga. Qualche volta, quando sono in forma e sola nella stanza faccio il ballo della vittoria per esteso. Oh, sì, baby!
Torniamo a noi, cosa stavo dicendo? Ah, sì. Le recensioni! Sono la cosa più bella del mondo! Forse però è subito dopo i muffin. E il tè. E a questo punto probabilmente anche l'ossigeno, visto che senza, la nostra esistenza risulterebbe un po' difficile.
Wow, mi sto di nuovo dilungando. Adesso capisco perchè le persone creano i blog! Sarebbe fantastico avere un blog, per scrivere tutte queste cose stupide e inutili, senza intoppare i capitoli di questa ff.
Devo aggiungere il blog alla mia lista delle cose da fare.
Qualcuno di voi ha un blog??? Ditemi di sì! Ok, se ce l'avete, mandatemi il link.
Oh, per Apollo, ora andrò alla ricerca di qualcosa da mangiare (che novità, mammmmma mia).
A presto, bellezze (+ tanti cuori, ma non li faccio perchè vengono brutti)
-xo







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Capitolo 14
*** XIV ***


 ...
Mi girai di scatto, pronta a mettere in azione quella unica lezione di autodifesa di qualche anno fa, quando mi trovai faccia a faccia con Silvie.
“Oh, per Zeus! Dovevate essere invisibili, ricordi?” la sgridai, mentre ci spostavamo in un posto meno illuminato.
“Nessuno farà caso a noi. Sono tutti molto presi da Ed.” disse, guardandomi maliziosa. “È molto bravo. Non mi avevi mai detto che era un cantante.”
“Cantautore.” la corressi.
“Giusto, hai ragione." Aveva la faccia da io-la-so-lunga. Non prometteva niente di buono.“È stato molto sorpreso di vederti qui.” decretò, spostando lo sguardo da lui a me.
“Che cosa? Ma allora mi hanno vista tutti mentre armeggiavo con quella dannata maniglia?”
“Oh, no, tranquilla. Era tutti troppo occupati a guardare lui. Il rosso invece ha fissato per un po’ quella porta anche dopo che tu ci sei sparita dietro.” mi informò soddisfatta.
Mi girai a guardalo di sottecchi e lo vidi molto preso dalla canzone che stava suonando.
 
“You and I
Two of a mind
This love’s
One of a kind
You and I
We’re drifting
Over the edge
And I will fall for you
And I will fall for you
If I fall for you
Would you fall too?”

 
“Ha detto che l’ha scritta da quando è arrivato qui a Leicester.” La voce di Silvie mi riportò alla realtà.
“Sì, certo. E tu questo lo sai perché lui ti confida tutti i suoi segreti.” Poverina, aveva bevuto troppo e stava delirando. O forse tutto quel fumo lì dentro le stava dando alla testa.
“L’ha detto prima di cominciare a cantarla.” sorrise innocente. “Non solo questa, ma anche altre.” La mora mi guardò, mentre il mio sguardo era ancora su di lui. “Siete due amici che si fissano un bel po’.”
“Senti, Silvie, stai giocando con il mio cervello in un modo un po’ malato. E siccome ti conosco e so che sei molto brava in queste cose, mi allontanerò piano e facendo finta di non averti parlato e ritornerò dai miei nuovi amici laggiù.” dissi piano, per poi girarmi in direzione del mio vecchio posto.
“Salutami Kevin.” La sentii dire, mentre mi allontanavo. Mi girai, facendole una smorfia, per poi riprendere il mio cammino.
Ritornata dai Manchester + Kevin, bevvi un altro drink offerto da un certo Robert, visto che aveva perso una scommessa ed era crollato alla 23esima flessione.
Cercavo di ignorare la voce di Sheeran in tutti i modi, per cui mi avventurai in tutte le loro conversazioni, chiedendomi intanto come facessero delle persone a non esaurire mai gli argomenti ed a riuscire a parlare anche all’infinito delle cose più impensabili.
Quando scoprii quindi che sarebbero ripartiti per l’America fra quattro giorni, mi sentii privata dell’occasione di vivere una vita da band, ma promisi loro che avrei abbandonato la scuola al più presto e li avrei seguiti come groupie.
Non appena Ed ebbe finito di suonare, lo staff sgomberò subito il palco e diede inizio alla serata disco, per cui, alla fine dei conti, la maggior parte dei presenti era lì.
Decisi perciò di approfittare del momento e trascinare Kevin in pista con me.
“Quindi te ne vai fra quattro giorni.” mi lamentai, mentre, io con le mani dietro il suo collo e lui dietro la mia schiena, ci muovevamo un po’ a caso e al rallentatore su una delle tante canzoni di David Guetta.
“Ti prego non ricordarmelo.”disse, tirandomi più vicina a lui.
Ok, lo conoscevo da relativamente poco tempo e se ne sarebbe andato fra qualche giorno, però mi ispirava alla grande.
La Sfiga non può prendersi un piccolo periodo di vacanza? Andare da qualche parte di bello e scaricare tutta quella acidità da zitellona incallita? Magari trovarsi qualcuno e lasciare in pace noi poveri mortali? Ma certo che no.
Lei deve stare sempre pronta e all’erta, così quando tra me e Kevin si creò l’occasione perfetta per un bacio meraviglioso da film drammatico, arrivò e mi sbatté contro, facendo perdere l’equilibrio e il momento.
Mi girai e guardai quel ragazzino così male da fargli rimpiangere di essere uscito quella sera e, sugli sgabelli del bancone a lato della pista da ballo, notai Sheeran con una biondina che, mentre gli accarezzava distrattamente una gamba, gli parlava vicinissimo del tipo “oh, la musica è così alta qui e io con la mia vocina da bella e dolce donzelletta non riesco a urlare”.
Una delle tecniche più banali ancora in circolazione, ma anche una delle più efficaci.
Beh, dopo il sistema del musicista sofferente, non poteva certo aspettarsi in cambio qualcosa mi più elaborato. Eccoti reso pan per focaccia.
Visto che lì in mezzo venivamo spintonati da tutte le parti, Kevin mi prese per mano e mi fece strada verso uno dei lati, troppo vicini a quella scenetta per i miei gusti.
Riportai gli occhi sulla pista e vidi la mia squadra di amiche “invisibili” al completo che, non appena intercettato il mio sguardo, mi fecero gesti molto poco casti in direzione di Kevin, che, grazie al cielo, in quel momento non le vedeva.
Va bene, era chiaro che lo approvavano.
Ballammo per un po’ ed ebbi occasione di sfoggiare le mie mosse da seduttrice migliori. Forse ci avevo messo anche troppo impegno, visto che mi conquistai anche l’attenzione del tipo che ballava di fianco a noi. Ma per carità, uomo! Con una mano tieni la tua ragazza e con l’altra cerchi di palparmi? Ma in che mondo di degenerati viviamo?
Forse era meglio andare a prenderci un drink. Presi di nuovo la mano di Kevin e mi feci portare da lui verso una sedia libera, su cui prese posto, facendomi segno di accomodarmi in braccio a lui.
Così feci e, dividendoci una bevanda colorata, finimmo per riderci in faccia quando entrambi ci avvicinammo per prendere possesso della cannuccia.
E finalmente la distanza da bacio era stata seguita da ciò a cui deve il suo nome. Non è meraviglioso quando le cose chiamate in un certo modo finiscono per svolgere l’esatta funzione per cui hanno ricevuto quella denominazione? Proprio quei dettagli che ti rallegrano la giornata.
Ci staccammo quando un tipo urtò con poca delicatezza la nostra sedia. Era per caso la serata “cerchiamo tutti allegramente di sabotare il baricentro e l’equilibrio fisico e mentale di Natalie”? Se l’avesse fatto un’altra persona ancora, mi sarei messa a cercare in giro le telecamere e gli attori che mi urlassero in coro “sei su Candid Camera!”
Alzai lo sguardo per osservare quel scimmione e lo vidi dirigersi verso il bancone.
Non sembrava molto di buon umore. Avrà fatto i pesi sbagliati in palestra, oppure l’estetista gli avrà sistemato le sopracciglia in modo diverso dal solito.
Povero. Non ho mai capito come i ragazzacci palestrati non si accorgano del fatto che è proprio tutta questa storia delle sopracciglia e del petto perfettamente depilato a renderli meno ragazzacci.
Dovrei tenere un corso su questo argomento. Non ci sarebbero tutti questi gran bei fusti sprecati.
Oh grande Era, Mr. Muscolo si stava dirigendo proprio verso la biondina di prima. L’unico guaio era che intorno alla sua vita c’era il braccio di Sheeran, che, nonostante i tatuaggi, non era poi così pieno di muscoli.
Scorsi il tipo parlare con aria minacciosa al rosso, anche se mi fu praticamente impossibile leggere il labiale con tutto quel buio, e vidi la biondina guardare con aria svenevole e pentita quella sottospecie di giocatore di rugby.
Dal modo in cui gli accarezzò il braccio capii che probabilmente era il suo ragazzo.
Per Ares santissimo, Sheeran! Evidentemente quel gesto così sfacciato in direzione di quel ragazzone non fu una delle sue idee più geniali, visto il pugno che si becco nello stomaco un secondo dopo.
...





Goodmorning, sunshines!

Finalmente è arrivato settembre e insieme a lui il tempo nuvoloso, la pioggia, il fresco.. insomma, la felicità! Diamine, scritto così però sembro ironica D: Ma sappiate che nonn lo sono. Affatto. Anzi, io adoro questo tempo, perchè non mi costringe ad uscire o a vagare alla ricerca di un po' di fresco. Ho anche tirato fuori la mia coperta morbida come un peluche. Non è fantastico? Il mio cuore potrebbe scoppiare a causa di così tante belle emozioni ç___ç
In sostanza, sono così felice che ho deciso di postare il nuovo capitolo. Niente panico! Giuro che la serata è quasi finita. Avrei messo anche l'ultimo pezzo, però dopo il capitolo mi sembrava troppo lungo (che non sia mai!)
L'avrei anche postato ieri sera, solo che quando volevo entrare su efp, il mio computer ha deciso che forse era meglio di no e ogni volta che riprovavo mi diceva che non potevo accedere al sito. A quel punto ho cominciato a insultarlo e poi la cosa è degenerata, con me che gli urlavo contro "Vuoi fare a botte? Ok, bello. Dai, fatti sotto. Non mi fai paura." per poi arrivare a "Non mi giudicare! Tu non sai niente di me o della mia famiglia!" Al che il computer si è ribellato e mi ha girato il desktop di 180 gradi, in pratica avevo lo schermo al contrario. Ebbene sì, gente! Il mio computer è stato posseduto. E' stato un momento di puro terrore, in cui sono andata sclerando da mia padre, che infine ha risolto il problema. Era solo una stupida opzione dello schermo. Stupida! Voglio dire, perchè hanno in primis creato questa opzione? Chi mai vorrebbe guardare e usare il proprio comuter al contario? E' una cosa malata! Cioè ahcgduwcikwedkjed. :(
Dopo tutto quanto, io e il mio pc abbiamo fatto pace e lui mi ha chiesto di condividere questa storia anche con altre persone. (è un po' egocentrico, non fateci caso)
Coooooomunque volevo dirvi GRAZIE DAVVERO di cuore per le recensioni, mi fanno sempre morire dal ridere e dalla felicità (wow, sarebbe una cosa strana morire dalla felicità, boh). Vi abbraccerei una per unaaa, all'infinito. Isomma, sempre la stessa storia anche per le preferite e il resto. Sto diventato patetica. E prevedibile. Patetica e prevedibile D: Che combo. PP. Ho un nuovo soprannome, yeeeeeeee
Però a costo di essere sempre più PP continuerò a ripeterlo in oooogni capitolo, perchè sono molto esaltata, visto che non avrei mai immaginato che la mia mente malata potesse riscuotere questo successo (madonna, manco avessi vinto un Oscar.)
Tranquille, i miei neuroni si consumeranno presto e finirò chiusa in un manicomio in Norvegia.

Ok, ancora non ho capito come far funzionare un blog, nemmeno come crearlo, quindi rimarrò in questa postazione ancora per un po' di capitoli probabilmente.
Ora però,prenderò il mio mantello dell'invisibilità e andrò a rintanarmi in un angolino a deprimermi, visto che non ho preso nessun regalo per l'anniversario dei miei genitori che è proprio oggi. Sono una figlia orribile. Rifletterò su questo.
A presto, bellezze.
Tanto amore,
-xo



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Capitolo 15
*** XV ***


 
...
Trasalii quando lo vidi indietreggiare di qualche passo e pregai che nella sua testolina fosse rimasto anche un solo neurone non ancora toccato dall’alcol che evidentemente aveva consumato. Uno solo. Lo vidi agitarsi nei sui occhi. Dai, piccolino, ce la farai!
No, evidentemente no. Quel povero bastardo di un neurone non era riuscito a tenere a bada tutti gli altri, che invece avevano spinto il rosso a tirare un pugno in un punto non ben definito delle costole di quel body builder in miniatura.
Non mi piacevano le risse.
Ok, forse mi piacevano, ma solo un pochino. Voglio dire, chi non ha mai fantasticato nei meandri più profondi del proprio cervellino di vedere una zuffa tra due fusti? Solo che nella mia testa era un qualcosa come James Dean e Matt Bomer a torso nudo. E alla fine comparivo io che li dividevo, distrutta e compiaciuta dal fatto che erano arrivati ad uno scontro fisico solo perché entrambi mi desideravano.
Ripensandoci, probabilmente è una fantasia un po’ malata.
Uno psicologo non mi farebbe male. Al giorno d’oggi tutti ne hanno uno. Anche se mi inquieta leggermente l’idea di pagare una persona per sedermi sul loro divano sofisticato a raccontare i miei problemi, mentre loro prendono appunti su un taccuino riguardo alla mia ridotta sanità mentale.
Oh, sacro intero Olimpo, visto che ho già disturbato tutte le tue divinità! Quando Sheeran si beccò un pugno in faccia, mi portai una mano alla bocca, per coprire la forma da O che aveva preso. A questo punto anche Kevin si girò in direzione della scena e vide quello che io stavo già osservando da qualche secondo.
Il barman venne da dietro il bancone si mise in mezzo ai due, che erano già stati separati da testa di canarino, voglio dire, la biondina, che stava cercando di portare via il suo ragazzo dandogli un bacio appassionato e ignorando Ed come se non lo avesse mai visto in vita sua.
Sul serio, ragazza?
I due si guardavano ancora in cagnesco quando il tipo del bar disse loro di fare le pulizie? Ma cosa stava dicendo? O erano tutti impazziti oppure a causa del buio non riuscivo a leggere il labiale come una volta.
Ok, riproviamo.
Le pulizie? No, non ha senso. A meno che questa non sia una specie di punizione interna del Green per chi prende ad azzuffarsi all’interno del locale. Ma potrebbe anche essere. Come quando al ristorante ti presenti senza soli per pagare il pasto che hai appena consumato e ti portano in cucina per lavare i piatti. Però mi sa tanto che questo succede solo nei film e di solito è un espediente per far incontrare due persone o per far vedere quanto la vita di un tale faccia schifo.
LA POLIZIA! Il moro magrolino del bar stava dicendo la polizia! Diamine! Sta per chiamare la polizia!
Spiegai in fretta la situazione a Kevin e me ne andai, raggiungendo quella stupida scenetta sotto lo sguardo schifato del palestrato e della ragazza.
Parlai con il barman, mentre quei due si allontanavano, garantendo di portare il rosso a casa, se lui avesse chiuso un occhio sulla faccenda.
“Grazie, ..Steve” dissi, leggendo il nome sulla sua targhetta.
“Tranquilla, ma la prossima volta stai più attenta al tuo ragazzo.” mi consigliò. Stavo per ribattere e contraddirlo, specificando che non era il mio ragazzo, quando aggiunse “E secondo me dovresti farlo diventare ex-ragazzo. È stato uno stronzo a passare la serata con quella tipa alle tue spalle.”
Ma le persone gli affari propri se li fanno mai? Credo proprio di no.
Cominciai a fantasticare su come sarebbe bello un mondo fatto di tante persone ciniche e menefreghiste con cui passare poco tempo, viste appunto le loro suddette qualità, quindi sfoggiai un sorriso di ringraziamento al barman Steve e mi avvicinai al mio “ragazzo”.
“Tutto risolto. Andiamo a casa, testa calda.” dissi, mentre lo presi sottobraccio, trascinandolo verso l’uscita.
“Non dovevi.”
Mentre continuavo a camminare, mi girai verso di lui e lo vidi guardarmi serio, mentre con il dorso della mano si tamponava il labbro.
Era rotto? Diamine, non sapevo nemmeno la prima cosa riguardo il kit del primo soccorso. Avrei frugato dentro quello che tenevo nell’armadietto in bagno e avrei improvvisato.
“No, non dovevo.” Caspita, Natalie, che tatto! Il poveraccio le ha appena prese dal ragazzo della tipa con cui ci stava provando. Sii un po’ più delicata, guarda la sua faccia da cucciolo bastonato. E smettila di parlare a te stessa in seconda persona. È una cosa stupida! “Ma non potevo certo lasciarti lì a farti rovinare questo bel faccino da quel ragazzaccio.”
Mi guardò male, mentre gli stringevo la testa fra le mani, come facevo con Tony quando mi andava di fargli le coccole e cominciavo a parlargli con una vocina stupida da clown corroso nell’acido.
“Così però non mi aiuti.” disse, divincolandosi dalla mia presa.
Dalla smorfia che fece, capii che probabilmente la mia mossa non aveva sicuramente aiutato il suo labbro dolorante.
“Oh, scusa, scusa, scusa. Ok, ferma un taxi, che io vado a prendere Nigel. Guarda che dolce Steve! Me lo sta portando.”
Lo salutai con la mano e presi la chitarra, per poi zigzagare tra le persone e l’impenetrabile fumo di sigaretta fuori dal pub e salire sull’auto che Ed aveva appena fermato.
Durante il tragitto non parlammo molto. Eravamo troppo coinvolti nella discussione accesa che il tassista stava avendo con la moglie, il cui accento spagnolo si sentiva forte e chiaro attraverso il vivavoce. Ad alimentare poi il cliché a cui assistevamo c’era l’eterna insoddisfazione di un marito che non vuole la suocera dentro casa, nonostante quella poveraccia si sia storta una caviglia mentre portava di sopra la spesa.
Quando dopo undici intensi minuti la macchina si fermò davanti al nostro palazzo, pagai la somma che l’uomo mi indicò sul tassametro, senza smettere di parlare con la moglie.
“Povero Juanito, tanto alla fine si ritroverà comunque a fare quello che dice la moglie.” dissi, mentre entravo in salotto, poggiando pochette e chitarra vicino alla porta e dirigendomi verso il bagno.
“Juanito? Davvero?” La sua voce incredula arrivò da un punto imprecisato del salotto. Probabilmente il divano.
“Hai qualcosa contro il suo nome? Sarà bello il tuo, Edward Christopher.”
Presi il kit dal fondo dell’armadietto sotto il lavandino e tornai in salotto.
“Non ti ho mai detto del mio secondo nome..” Lasciò la frase in sospeso, forse aspettando una spiegazione. O forse solo perché stava cercando la risposta nel suo cervellino sconquassato dall’alcol.
“Beh, ho sbirciato la tua carta d’identità. Ho una passione segreta e malata per le foto dei documenti. Voglio dire, sono sempre così imbarazzanti.” risi, avvicinandomi a lui, steso e scalzo sul divano.
Quando sentii quello che avevo detto, spostò il braccio con cui si copriva gli occhi, guardandomi con una finta faccia indignata. “Avevo sedici anni! Con quale faccia alla tua età fai la prepotente e prendi in giro un sedicenne?”
“Sedici? Te ne davo al massimo tredici in quella foto. E poi ho diciannove anni, bello. Posso benissimo prendermela con uno di sedici. E soprattutto con te.” argomentai, portandomi una mano sul fianco, mentre con l’altra agitavo la scatolina con una piccola croce rossa sopra.
“Sei una tigre.” replicò, prima di scoppiare a ridere insieme. Si fermò però subito dopo, portandosi una mano al labbro che, a causa dei movimenti bruschi che comportano una conversazione e una risata, sicuramente gli stava facendo più male di prima.
“Oh, povero cuore. Vieni.” dissi, porgendogli la mano e facendogli segno di alzarsi.
“Dove vuoi portarmi di bello?” chiese ammiccando, mentre si tirava a sedere come meglio poteva e prendeva la mia mano. Mi divertivano le persone sbronze.
“In camera tua. Proprio sul tuo letto.”
“L’inizio mi piace molto.” decretò con un ghigno, trascinandosi dietro di me. “Sapevo che non avresti resistito al mio fascino ancora per molto.”
“In realtà mi attirano da morire gli uomini sofferenti, quindi il fatto che tu sia stato picchiato ti dà un vantaggio.” risi tra le sue braccia, quando, entrati dalla porta della sua camera, si fermò di botto, attirandomi a lui.
La sbronza felice, tendente al flirt. Menomale. Non avrei saputo gestire una sbronza triste.
“Non sono stato picchiato. È stata una rissa, dolcezza. Un corpo a corpo.” si vantò.
“Beh, il suo corpo comunque ne ha risentito molto meno rispetto al tuo..” lo presi in giro, cominciando a dargli dei piccoli colpi all’altezza dello stomaco dove il tipo lo aveva centrato, cercando di mettere a tacere il pavone che si stava facendo spazio dentro di lui.
“Sei sadica.” commentò rassegnato, accentando di stendersi sul letto.
Era così imbranato. Mi trattenni a stento dal ridere, quando lo vidi armeggiare invano con il disinfettante, cercando di curarsi da solo la ferita al labbro che nemmeno riusciva a vedere.
“Oh, dammi! Faccio io.” Era divertente guardarlo mentre si sforzava, però vedendo che non riusciva a venire fuori con un’idea un po’ più geniale, come andare davanti allo specchio, così almeno sarebbe riuscito  vedere il punto di cui prendersi cura, decisi di far prevalere il mio animo da buona samaritana e dargli una mano.
Lo vidi chiudere gli occhi e stringerli, mentre con un batuffolo di cotone passavo quella soluzione sulla sua ferita.
“Brucia.” osservò, storcendo il naso.
“Dimostra la tua virilità soffrendo in silenzio.” lo ripresi, continuando la mia operazione da assistente improvvisata.
“Potrei dimostrarti la mia virilità in tanti altri modi.” Rise, soddisfatto della sua battuta e non potei fare a meno di non fare lo stesso. Avrei dovuto fargli un video. E magari montare un filmino con tutti questi momenti divertenti, per poi metterlo in imbarazzo con la mia opera d’arte.
“Ok, forse ti ho dato io lo spunto per questo infelice doppio senso. Mi prendo la colpa.” ammisi, mentre lui mi dava ragione annuendo giudiziosamente. “Sei molto bravo comunque a mascherare questo tuo lato da maniaco sul palco.”
Dannazione! Mi era scappato. Mi ero ripromessa di non tirare fuori il discorso della sua esibizione. Tranne la cover di "Pony" che mi aveva innocentemente cantato, Io e lui non parlavamo della sua musica personale. E quella non era certo l’occasione adatta, visto che non era stato lui a volermela far sentire, ma eravamo per caso capitati nello stesso locale nel momento sbagliato.
Evidentemente il mio sarcasmo e la mia voglia di prenderlo in giro avevano azzerato quei dieci secondi destinati al pensare prima di parlare.
Però probabilmente non mi aveva nemmeno sentita. Forse era già a metà strada verso il mondo dei sogni.
“L’ho scritta per te.”
Mi fermai di colpo, con la mano a mezz’aria.










Buonsera, sweethearts! (è già sera? boh)
E' passata ben una settimana, forse anche di più, ma sono di nuovo qui! Ce l'ho fatta! *parte il coro di alleluja*
Hanno cercato tutti di distrarmi, di tenermi occupata in modo da non farmi scrivere questo capitolo, però io sono stata più forte, più determinata, più.. non lo so, non mi viene in mente più niente, visto il mio cervello esaurito a causa dell'ora disumana a cui mi sono alzata stamattina per andare a scuola. Ebbene sì, è giunto anche il mio tempo. Voglio dire, lo sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, ma non era ancora pronta ad essere strappata dal mio letto all'alba ed affrontare una giornata di sei ore. Che crudeltà.
Però sopravviverò.
Soprevviverò a questa sventura come sono sopravvissuta all'attacco dei Mangiamorte (anche se dopo mi sono unita a loro, ma questi sono dettagli poco importanti e che sicuramente non avrei dovuto svelare. Voldemort non ne sarà molto contento D: )
Insomma, inizio poco traumatico della scuola anche a voi! (era un augurio. Non sono molto brava con queste cose, però dire 'buono' mi sembrava troppo, soprattutto riferito alla scuola)
OK, gente! Volevo solo dire di nuovo (PP, ricordatevi. patetica e prevedibile yeah) quanto sono felice per tutte le recensioni e le visite e le preferite e le seguite (ho usato un bel po' di 'e' per enfatizzare il concetto).. insomma, tutto quanto. GRAAAZIE *weee are the chaaampions, my frieeeends. (Non c'entra niente la canzone. Lo so. Ma la usano sempre quando qualcuno fa qualcosa di grandioso nei film ç__ç)
Uso un bel po' di parentesi D:
Vaaaa bene. Vi saluto, perchè vado a mangiare, visto che la scula mi mette fame. Che ci posso fare? Tutto mi mette fame
Tanto amore,
-xo





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Capitolo 16
*** XVI ***


 “Insomma, ammettiamolo: non si può predire quello che accadrà! Ma a volte le cose che non ti aspetti sono quelle che vuoi davvero dopotutto. Forse la cosa migliore è smettere di pensare a dove sei diretto e goderti dove sei.”
J.D. - Scrubs



“Ch-che cosa?!”
“La canzone. Le canzoni.. un bel po’ di quegli stupidi versi li ho scritti grazie a te.”
Aveva ancora gli occhi chiusi, ma non stava di certo dormendo.
Certo, le persone parlano nel sonno, dicono cose come “il reggiseno, che taglia ha questo reggiseno?” oppure “ti prego, mi serve quella maionese per l’insalata” o altre mille cose stupide e senza senso.
Anche quello che aveva detto lui era stupido e senza senso, ma era decisamente su un altro livello di assurdità.
“Sei ubriaco. Non sai quello che dici.”
“Non sono ubriaco.” Ci pensò su un attimo. “O perlomeno non così tanto da non sapere cosa dico.”
Era una stronzata, una stupidaggine.
Non che non mi facesse piacere essere il motivo di una canzone. Anzi, da ragazzine tutte quante sognano, consapevolmente o meno, di trovare un musicista che scriva versi su versi per loro, per scaldare il proprio cuoricino ed il proprio ego.
Ma questo era diverso. Ed aveva bevuto un po’ troppo e si era appena preso un bel due di picche dalla biondina giù al pub.
Quella era solo una di quelle cazzate che si dice quando si è ubriachi; una di quelle cazzate che da sobri si cerca vivamente di rimuovere e ignorare, con la speranza che l’eventuale persona coinvolta faccia lo stesso.
Però la vocina classicista nella mia testa continuava a ripetermi a intervalli regolari “in vino veritas”, sai, l’alcol che ti libera da inibizioni, facendoti fare e dire cose che altrimenti non avresti il coraggio; allo stesso tempo una voce decisamente più forte e determinata mi consigliava di non dare troppo peso alle parole che uscivano dalla bocca del rosso.
E dopo queste voci nella mia testa, aggiungiamoci anche quella che mi ammoniva affettuosa che la mia prossima casa sarebbe stata un manicomio ben protetto sul cucuzzolo della montagna.
“Non hai niente da dire?” mi chiese, guardandomi dritto negli occhi. “Proprio tu, quella che ha sempre un po’ di sarcasmo pronto da sparare in qualsiasi momento? L’unica cosa che fai è smontare una cosa che solo io posso sapere se è vera o no, dicendomi che non sono abbastanza lucido?”
Sembrava incredulo.
“Senti Sheeran, non so se l’hai notato in questi due mesi, ma io non sono esattamente il tipo che va in giro a condividere allegramente con tutti i propri pensieri. Ragiono in silenzio, quindi lasciami in pace.” sbottai, scocciata dal fatto che aveva pienamente ragione a sentirsi offeso dal mio non parlare. “Vado a prenderti del ghiaccio per il labbro.” conclusi, scattando in piedi.
Cercando di ignorare il “Natalie” che arrivò soffocato dalla stanza che avevo appena abbandonato, fissai il fondo del congelatore, chiedendomi cosa contenesse quella strana scatola che ormai lì ci aveva messo radici.
Ok, stavo facendo finta di odiare Ed, ma in un angolino non tanto remoto della mia testa ballavo la conga. La mini-me concluse quella macabra danza con una piccola capriola e, cadendo a terra, cominciò a elencarmi tutti i difetti, reali o immaginari del rosso.
Già, era questo che faceva la mia testa. Da sempre.
Ogni volta mi accendeva l’interesse per un tale, dando il via alla stagione di caccia. Certamente la prima fase, come per qualsiasi cosa che si rispetti, era la negazione, ma poi, accettata la disgrazia, davo del mio meglio per conquistare un ragazzo che non sapevo nemmeno di volere.
L’adrenalina, il gusto di flirtare, gli ormoni che piroettano allegri dandoti la spinta giusta per conquistarlo.
Ogni volta sempre la stessa storia.
E, come ogni volta, ormai sul punto di arrivare ad una conclusione, la mia testolina mi diceva prontamente di tirarmi indietro. Insomma, aveva questa strana tendenza da regina Elisabetta di fare la donna disponibile ma irraggiungibile.
Per questa volta però dovevo ammettere, almeno con me stessa, che Sheeran mi interessava.
Complimenti, Natalie. Ti sei fregata da sola.
Avvolsi la confezione di bastoncini di pesce in un panno e tornai in camera.
“Pensavo che qualcuno ti avesse rapita. Mi stavo preoccupando.” commentò lui, alzandosi a sedere.
“Oh, non devi angosciarti per me. Una volta ho fatto una lezione di autodifesa.”
“È la stessa cosa che mi hai detto anche quando ci siamo conosciuti.” notò, sfoggiando un sorriso malizioso.
“Hai una gran bella memoria, Sheeran.” Lo squadrai, divertita dalla sua affermazione. “E va bene, lo confesso, vado molto fiera di quella lezione.”
“Non penso però che sia stata di grande aiuto.”
“Tu non sai quello che dici. Io sono pronta a tutto.”
Lo guardai con aria di sfida, mentre lo vidi avvicinarsi.
Quando poi, prendendomi per le braccia, mi buttò di schiena sul letto, scoppiai a ridere tutta distesa tra i suoi cuscini: il movimento da contorsionista che aveva messo in atto per lanciarmi dietro di lui gli fece ricordare il pugno tra le costole che si era preso.
“Non ridere di me. Ti ho appena dimostrato la tua autodifesa inesistente.” mi rimproverò, ridendo a sua volta.
“In realtà, potrei colpirti con questa scatola congelata.”
Si stese di fianco a me, tirandomi per il bordo della maglietta per farmi girare nella sua direzione.
“Ma non lo fai, perché..?”
Puntò i suoi occhi nei miei.
“Perché, anche se ho salvato il tuo faccino da quel tipo per poterlo rovinare io, non è questo il momento più adatto. Voglio tenermi quella occasione gloriosa per un’altra volta.” Sorrisi, appoggiando quel sostituto del ghiaccio sulla sua ferita.
“In fondo al tuo cuore di pietra, mi vuoi bene.” disse, tirandomi più vicina e avvolgendomi tra le sue braccia.
“Probabile. Chi lo sa.” lo presi in giro, sorridendo contro il suo collo.
Passarono alcuni momenti, in cui l’unica cosa che si sentiva era il rumore delle macchine che passavano dispettose sotto la finestra semiaperta.
Si allontanò di qualche centimetro, per potermi guardare in faccia.
“Ammettilo, lo sai che le ho scritte per te.”
Mi scrutò, studiando la mia espressione come se cercasse di leggere la risposta nella mia mente.
“Va bene, forse quella del divano mi ricorda qualcosa..” ammisi, sforzandomi di nascondere un sorriso al ricordo della notte in cui era venuto a prendermi da quel falò improvvisato e ci eravamo addormentati sul sofà. “Ma per il resto non ho idea di cosa tu stia parlando.” lo stuzzicai.
Al costo di sembrare crudele, volevo sentirglielo dire di nuovo e ancora. Mi piaceva sentire l’effetto che avevo su di lui; nella mia testa era come una sorta di meschina rivincita per non so quale danno immaginario che avevo subito da parte sua. 
“Ah, no?” La sua bocca si piegò in un piccolo sorriso, mentre io scuotevo la testa per rafforzare la mia precedente affermazione.
“No.” confermai, innocente. “Perché? La conosco? Com’è questa persona di cui parli?”
La sua espressione divertita lasciava intendere che aveva deciso di stare al gioco.
“Oh, è una persona davvero orribile, credimi.”
“Sì?” Aspettai che continuasse mentre tiravo su di noi la pesante coperta che c’era dietro di me.
“Molto. Odia quasi tutti, è permalosa, diffidente, orgogliosa, dispotica, cinica..” Ci pensò un attimo su.
“Sembra proprio una persona di mio gradimento.” notai, per sua sorpresa.
“Dimenticavo narcisista ed egocentrica.” finì.
Scoppiammo a ridere entrambi.
“Beh, lasciatelo dire, dolcezza. Hai scelto una persona un po’ strana su cui scrivere canzoni.” sottolineai dopo aver sentito la sua descrizione.
“Forse. È un po’ schizofrenica, perché poi ha certi scatti di bontà, di pazzia, che fai anche fatica a starle dietro. È provocante e mi fa dannare con i suoi contorti giochetti mentali.”
“Con cui alla fine si frega da sola.” ammisi amaramente, cercando di non dargli troppa soddisfazione con un’affermazione di cui mi sorpresi io stessa  di aver pronunciato.
“Dici?”
Alzai lo sguardo su di lui e vidi i suoi occhi brillare per un nanosecondo.
“Probabilmente. Sei uno dei pochi così odiosi che riesce a tenere testa ad una persona talmente orribile.”
Mi guardò per un po’, mentre io mi rigiravo sull'indice una ciocca dei suoi capelli. Così arancioni. Erano diventati come un’ossessione per me.
“Beh, non so come hai fatto, ma ora come ora non posso fare a meno di te.”
BAM! Dalla terza persona era passato alla seconda?
Oh, ma chissenefrega! Lo presi per il colletto della maglietta e lo baciai con foga.
Oh Zeus, ma ero davvero una stupida ragazzina che si faceva abbindolare da quelle due parole sdolcinate?
Perfetto, ero anche affetta da schizofrenia, aveva ragione.
Caspita! Ero proprio una sgualdrina. Avevo da poco abbandonato Kevin giù al bar e già stavo baciando Ed. Addio valori morali, mi mancherete tanto nel mio tragitto verso la dannazione.
Ma a chi voglio darla a bere? Almeno nella mia testa dovevo essere sincera: di Kevin in fondo non mi era mai importato più di tanto. Non dopo tutto quello che era successo con il rosso. Stavo ancora una volta solo cercando di mentire a me stessa.
Va bene, ora il dilemma è risolto. Ok, cervellino, ora questo dovrà restare solo e solamente tra me e te, intesi? Benissimo.
Perché questa testa non può smettere di ronzare impazzita almeno per qualche secondo?
Mi staccai da lui e solo in quel momento mi ricordai del suo labbro dolorante.
“Diamine, Sheeran! La tua ferita.. rimettici il ghiaccio.” Cercai con lo sguardo la confezione.
“Veramente, preferisco questo.” decretò, baciandomi di nuovo.
Trovai la scatola e la misi tra di noi, appoggiandola sul suo labbro.
“Faresti meglio a dormire un po’, rosso. È stata una giornata lunga.” gli consigliai.
Feci per alzarmi, ma lui mi prese per il braccio, fermandomi.
“Resta qui.” Davanti alla mia espressione un po’ sorpresa continuò “Sta già piovendo e tra un po’ comincerà un temporale. So che hai paura dei temporali, non negarlo.”
Mi guardò trionfante.
“Questo si chiama giocare sporco. Stai usando le mie paure contro di me?” gli chiesi, accoccolandomi contro di lui e fissandolo con una finta aria offesa.
“Se è necessario..” decise, circondandomi con il braccio.
Sì, adesso ero quasi completamente certa dell’esistenza di quella strana e misteriosa forza che continuava a riportarci uno appiccicato all’altra, proprio come colla.
Mi addormentai quasi subito tra le braccia del rosso, cullata dal suono incessante della pioggia.











Saaaaaaaaaaaaaaaalve, belle persone!
Non sono morta. Lo giuro! Non è il mio spirito che vi sta parlando adesso. Sono proprio io!
Ebbene sì, dopo più di due settimane dall'ultimo capitolo, torno tra di voi, con le tasche pine di vergogna e di scuse. (non certo di sassi, come Jovanotti; che cosa stupida. perchè dovresti riempirti le tasche di sassi, uomo? bah)
Davvero, tra scuola, compiti e scuola guida stavo per morire collassata la sera sul letto, quando finalmente riuscivo ad arrivarci.
E' stato tremendo, mi sentivo come uno di quei lavoratori nei gulag della Siberia, ma alla fine ce l'ho fatta:
*rullo di tamburi, rullo di tamburi, gente* Ho passato l'esame di guidaaaaa e adesso sono teoreticamente patentata.
Mi si è aperto un mondo. La vita è così bella adesso, vedo i fiori sbocciare, gli ucellini cinguettare, gli unicorni.. beh, quello che fanno gli unicorni.
Insomma, molta felicità, ecco. *Q*
E quindi sono finalmente riuscita a portare a termine questo capitolo, che stava lì nel mio computer e ogni volta mi pregava di non abbandonarlo a se stesso. E' stata un'impresa, ma ce l'ho fatta.
Dunque, eccomi qui adesso, con questo capitolo lungo, forse anche troppo per i miei standard, però non ce la facevo più a spezzare ancora la giornata di Natalie, voglio dire, è da cinque capitoli circa che siamo sempre nella stessa giornata (vi siete accorte? perchè io no).
Cooooomunque, volevo chiedervi cosa ne pensate: dovrei tagliare corto e farla finire subito o posso andare ancora avanti? Perchè io le idee ce le ho, a volontà proprio, però se magari sta diventando la stessa pappina noiosa e da strappo di capelli, fatemi un fischio, almeno so darmi una regolata.
Ok, mi sto di nuovo dilungando. Come sempre, grazie per le recensioni e per le visite e tutto quanto e vi voglio bene (sono un  po' sfigata che voglio bene a persone che non conosco? probabilmente).
Prometto che stavolta farò del mio meglio per aggiornare al più presto, al costo di.. di.. sì, insomma, un bel costo.
A presto (speriamo), bellezze.
-xo




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Capitolo 17
*** XVII ***


 """""Slow down, Lie down,
Remember it's just you and me
..."


...... 


Guardavo ammirata il monumentale cappello turchese della signora di fronte a me. Mi piaceva.
Oh, non fraintendetemi, quell’indumento non era certo di mio gusto e gradimento, ma il modo elegante e fiero con cui quella donna lo portava era così magnetico che a fatica riuscivo a distogliere lo sguardo dalla sua figura.
Una volta una persona molto saggia aveva scritto che “ovviamente, una delle verità fondamentali della vita è che, di regola, il mondo ti considera quanto tu consideri te stesso.”
Le cose stanno così, ed è probabilmente una delle forme di giustizia più vere che ci siano in una società come la nostra. È inutile auto convincersi della propria qualità. Al minimo segno di vacillamento delle nostre sicurezze, sarà chiara come il sole la nostra incapacità di apprezzarci.
È un gioco pericoloso, perciò bisogna essere sempre certi che la luccicante faccia piena di certezze che esibiamo con tanta premura non sia solo una maschera pronta a cadere al primo imprevisto.
Sono davvero in molti a vantare questo piccolo vizio.
Per fortuna però c’era ancora chi sapeva custodire un sincero amore per la propria persona, come questa regale signora che si distingueva dalla massa di facce comune e indistinte che riempivano la sala riservata alle cerimonie dell’Aylestone Court Hotel.
Sentii la voce di Ed risuonare attraverso quel grande salone, risvegliandomi dai miei pensieri.
Da quando una settimana prima le aveva prese in quel bar, fatto che poi aveva dato via ad una serie di altri sfortunati, e meno, eventi, beh, non avevamo più avuto occasione di parlare di quello che era successo. Insomma, ci eravamo baciati. Di nuovo. E avevamo dormito nello stesso letto. Di nuovo.
Dopo però, quelle poche volte che avevamo avuto un momento per scambiare due parole, ogni volta cercavo di sviare la conversazione, cercando di mandarla il più lontano possibile dall’argomento e lui non avevamo mai fatto niente per dissuadermi.
La questione restava taciuta e in sospeso. Non ci eravamo più nemmeno sfiorati da quella volta, se non per sbaglio mentre uscivo in fretta e furia dal portone e per poco non lo feci cadere.
Alzai lo sguardo e lo vidi concentrato a suonare Last Request di Paolo Nutini. Stupenda. Una di quelle canzoni che ascolteresti per ore e ore, giacendo sul divano avvolto in una coperta durante una giornata piovosa. Mi ritornò in mente quando in un pomeriggio di studio, ancora prima di tutti quegli avvenimenti, lasciai suonare in riproduzione casuale sul computer una vecchia cartella piena di canzoni che non ascoltavo già da troppo tempo. Dunque quando sentii Paolo intonare la sua ultima richiesta non potei fare a meno di esaltarmi come una ragazzina, sfidando il rosso a imparare quella stupenda melodia.
Al momento però mi trovavo in questo posto elegante e insieme a questa strana compagnia di persone mal assortite a festeggiare il rinnovamento delle promesse dei genitori di James, visto che da quando Ed aveva cominciato a lavorare nel suo negozio di dischi e lui aveva scoperto che era un musicista, aveva deciso di usufruire dei suoi servigi per quell’evento.
Ero passata solo per salutare e lasciare un pensierino, che si traduceva in un grande elegante album fotografico ancora da riempire, visto che erano stati così gentili da invitarmi, nonostante ci conoscessimo da poco tempo e solo grazie ad un paio di pranzi che avevamo passato a casa di James in compagnia dei suoi che cucinavano per il loro amato figliolo.
Erano delle brave persone, ma non ero certo a mio agio tra tutta quella gente sconosciuta. Beh, diciamo che non ero a mio agio tra la gente in generale. Ma il caro James non si faceva di certo problemi a causa della mia scarsa, o meglio, quasi inesistente voglia di socializzare, perciò mi aveva piazzata in un tavolo vicino a suo cugino Elliot e ai genitori di quello.
Tuttavia, nonostante tutto, non riuscii a reprimere un sorriso compiaciuto di fronte alla canzone che stavo sentendo. L’aveva imparata. L’aveva imparata davvero ed era stupenda.
Cercai di guardarlo discretamente mentre cantava e mi resi conto di quanto mi era mancato la sua faccia adorabilmente arrogante durante quei giorni.
Già. Ci eravamo visti pochissimo. Le possibilità che incrociassi il principe Harry per strada erano molto più elevate rispetto a quelle di incontrarci per caso a casa, nell’appartamento che dividevamo. Lui lavorava tutti i pomeriggi e rimaneva fino a tardi per provare e far sentire un po’ di canzoni a James e scegliere quelle più adatte per la cerimonia. Io invece, beh, ero stata più impegnata di un’ape a primavera, più della bidella dopo la festa di fine anno nella palestra della scuola, più di una spogliarellista ad una festa di addio al nubilato. Insomma, partivo la mattina per andare a scuola e tornavo a sera inoltrata, dopo ore di studio in biblioteca con gli altri. Durante l’ultima settimana ero spesso rimasta a dormire da Silvie, visto la posizione strategica di casa sua rispetto alla scuola, poi da Roxy, che aveva reclamato la nostra presenza per il fatto che non ci vedeva da troppo tempo, minacciandoci con una permanenza tra le fiamme dell’inferno dantesco in caso di rifiuto.
In breve, ero esausta e non avevo avuto occasione di scambiare qualche battutina acida con il rosso da chissà quanti giorni ormai.
“Per niente male, eh?”
Mi girai in direzione della voce e notai quello che mi era stato presentato come Elliot rivolgermi la parola.
Di fronte al mio sguardo perplesso, lui fece un cenno con la testa in direzione di Ed.
“Beh, direi che se la cava proprio bene.” Sorrisi, osservandolo mentre si scompigliava noncurante i capelli scuri. Avrà avuto sui venticinque anni, ma aveva ancora l’aria di un ragazzino.
“Lo conosci?” mi chiese. “Voglio dire, è famoso da queste parti o qualcosa del genere?”
“Abbastanza.” Lo guardai con un po’ di tristezza. “Purtroppo però molto meno di quello che si meriterebbe.”
“Dici?” Sembrava piuttosto interessato all’argomento. Il pensiero che fosse una specie di talent scout sotto copertura mi balenò in mente e decisi di comportarmi di conseguenza. Sarei stata un buon aggancio, distaccata e professionale. Forza,  facciamo buon uso di tutte quelle orazione sofistiche che il mio cervellino è stato costretto a leggere e analizzare.
“Decisamente. Cioè, per quanto ho sentito dire, è davvero bravo. Mi hanno detto che è anche un cantautore. È un talento su cui varrebbe proprio la pena investire.” Mi rivolsi a Elliot con una suardo di intesa. Dai, bello. Lo so che mi capisci.
“Un po’ di pubblicità non gli farebbe male..” constatò, pensandoci un po’ su, mentre io mi complimentavo con me stessa per le mie grandi doti da oratrice.
Lo guardai compiaciuta e non potei fare a meno di notare che aveva decisamente un aspetto familiare. “Ci siamo già visti da qualche parte?” chiesi, scrutandolo.
“Può darsi.” Rise. Notai anche la bocca di sua madre, che evidentemente aveva sentito parte del discorso, curvarsi in un sorriso e odiai non essere a conoscenza del motivo di quella improvvisa ilarità.
Il discorso poi si spostò sugli “sposini” protagonisti della festa, con lo zio Philip che raccontava a me a suo figlio aneddoti dalla dubbia moralità sul loro conto, che risalivano ai loro anni al college e alla loro giovinezza.
Quando i protagonisti si spostarono sulla pista da ballo per danzare sulla loro canzone, invitando i presenti a fare lo stesso, decisi di approfittare del momento per dileguarmi, dopo aver salutato James ed essere passata vicino al tavolo del buffet per scroccare un altro di quei fantastici crostini alla mela.
Mi allontanai passando per il piccolo corridoio vicino al palco e vidi una gigantesca torta avanzare verso di me. Oh, magnifico Zeus, te l’ho chiesto tante volte un dolce immensamente grande e amichevole che mi venga incontro affinché io possa abbuffarmi fino a esplodere, ma non mi sarei mai aspettata che il mio desiderio venisse esaudito. O almeno, non proprio adesso. Forse non è il momento più adatto, forse sarebbe meglio se potessi tener..
“Mademoiselle, faccia spazio! Faccia spazio!” sentii una voce dall’accento francese spronarmi a togliermi di torno. Oh, dopotutto non era per me. Peccato, per un po’ ci avevo sperato. “Attentioon!” lo sentii urlare, prima di saltare di lato per non essere investita da quell’enorme carrello.
Indietreggiai nello spazio lasciato da una porta aperta e mi fermai barcollando quando la mia schiena andò a sbattere contro qualcosa, o qualcuno.
Mi girai per chiedere scusa, mentre un braccio era teso come a sorreggermi, quando mi trovai davanti agli occhi una barba di un colore che ormai conoscevo molto bene.
“Ah, ma guarda chi si rivede!” risi, sorpresa dal fatto che eravamo finalmente riusciti a incontrarci.
“Allora sei ancora viva! Stavo cominciando a preoccuparmi.”disse, avvolgendomi tra le sue braccia.
“Sono una donna piuttosto impegnata. Ma anche tu non scherzi.”  Con le mani nelle tasche della sua giacca, indietreggiai, appoggiandomi allo stipite della porta aperta.
“Beh, infatti ho notato che non hai molto tempo libero. Come mai sei qui?” chiese, passandomi le mani sulle braccia lasciate scoperte dal vestito senza maniche.
“Ero passata per salutare e me ne stavo giusto andando, ma qualcosa ha interferito con il mio percorso.” Guardai nel corridoio. “La via è bloccata da tutti questi camerieri che fanno avanti e indietro con questi carrelli spaventosi.”
“Mi sa che dovrai rimanere in questo spazio angusto ancora per un poco, almeno finché il passaggio non si sarà un po’ liberato.” La sua mano si era spostata al mio viso.
“Già..” sospirai, spostando lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra.
Diamine, dovevo andare! Dovevo passare a casa per cambiarmi prima di andare in biblioteca a incontrare il gruppo di matematica, formatosi un paio di giorni prima in vista del colossale compito che ci attendeva.
Non feci però in tempo ad esprimere questo pensiero ad alta voce, perché la mia bocca aveva deciso che era più importante stare attaccata a quella del rosso, piuttosto che sprecare altro fiato a parlare inutilmente.
Però una tosse troppo finta per essere vera a pochi metri da noi decise che il tempo a nostra disposizione era arrivato a termine.



*compare da dietro l'angolo salutando imbarazzata con la manina*
Hehe, salve, belle persone! Faccio un po' schifo, lo so. Ormai sarà circa un mese che non aggiorno. Sono proprio una brutta persona.
Giuro che non mi ero dimenticata della storia, anzi, ogni giorno rimproveravo questo cervello inutile per farlo resistere almeno fino alle nove di sera, ma il poveretto crollava qualce minuto dopo cena, lasciandomi come un vegetale a giacere sul divano.
Ho anche sognato un bel po' dei prossimi capitoli, che tra l'altro non vedo l'ora di condividere con voi, e poi mi risvegliavo tutta contenta, ma non riuscivo mai a metterci mano perchè dovevo studiare una cosa come 163359731665 materie al giorno; nello spazio poi tra una materia e l'altra mi godevo un po' di vita sociale, a cui però rinunciavo volentieri per una bella dormita (o per guardare Ugly Betty, è una droga, l'ho guardato una volta e adesso non posso certo smettere e rimanere con la suspence. Sono uno schifo di persona.. ).
Però, visto? Alla fine sono tornata! Viva e vegeta (o forse no). Con un capitolo lunghinoo :D E' lunghino, vero? In Word sembrava così ç_____ç Voglio dire, non succede un granché, boh, capitolo di passaggio, non ne ho idea, ma ho già in testa il prossimo capitolo. Speriamo solo che non gli ci voglia così tanto per passare dal mondo delle Idee a quello reale (ogni riferimento a filosofia è puramente casuale, ormai mi perseguita, non posso farci nulla). Ma non prometto niente, visto che la scorsa volta me la sono gufata da sola. Sono un gran gufo. Almeno i gufi sono carini, sembrano morbidi. Come i gatti. Nella mia prossima vita voglio essere un gatto.
Oooook. Scusate se non ho risposto alle recensioni, ma ci tenevo comunque a dirvi che sono bellissime e voi siete bellissime e ogni volta mi rendete felice felice quando me le lasciate <3
Alla prossima, bellezze. ;)
-xo

 

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Capitolo 18
*** XVIII ***


"Ma forse si riduce sempre tutto a motivi insignificanti, a cambiamenti minimi,
a conversazioni che quasi non hai avuto o di cui hai udito solo una parte."
-Prep

 

  

Mentre camminavo spedita per ritornare a casa dopo la grande studiata in biblioteca, bevvi in un ultimo lungo sorso il tè rimasto, buttando il grande bicchiere di plastica nell’apposito bidone per la raccolta differenziata su cui si intravedeva a caratteri cubitali verdi la scritta Salviamo il pianeta.
Quando il signore, che aspettava pazientemente di fianco a me che il semaforo cambiasse colore, tossicchiò, probabilmente a causa del fumo lasciato dalla moto appena passata, gli rivolsi uno sguardo che lo fece allontanare di qualche passo.
Oh Apollo, non mi ero resa conto di averlo guardato davvero così male. Mi rigirai di scatto a fissare il cane della signora dalla parte opposta della strada, dispiaciuta.
Non era certo colpa di quell’uomo se il suo malore mi aveva fatto tornare in mente quello che era successo poche ore prima. La tosse che sorprese me e Sheeran sulla porta di quel corridoio non era stata di certo la sua. Ricordai imbarazzata il modo in cui James ci fissava un po’ sconvolto, riprendendo poi subito la facoltà di parlare, che sembrava aver perso, per dire a Ed che avevano bisogno che lui tornasse a suonare, borbottando qualcosa su dei complimenti da parte degli ospiti. Eravamo sul punto di andare ognuno nella propria direzione, quando poi lui, con l’espressione di chi la sa lunga e con un’innocenza così finta da prendere a schiaffi, chiese “Ma quindi voi due.. voglio dire.. state insieme? Da quando ci date dentro?”. Dopo essersi quindi beccato uno sguardo killer da parte mia e un pugno sul braccio dal suo amico, scoppiò a ridere, farfugliando su come era sorpreso che non ci fossimo saltati addosso prima. Prima di allontanarmi poi da quella scena per dirigermi verso l’uscita, gli suggerii che forse sarebbe meglio tenersi la faccenda per sé tra i ricordi più remoti e profondi, senza bisogno di creare una situazione più grande di quello che in realtà era.
Finalmente il colore dell’omino cambiò dal rosso al verde, in modo da permetterci di passare.
Sistemai meglio intorno al collo la sciarpa nera che fortunatamente ero riuscita a strappare dalle perfide grinfie della mia cerniera, che, per chissà quale motivo, aveva deciso di farla a pezzi, se non fossi intervenuta in tempo. Per i primi di aprile faceva ancora abbastanza freddo, perciò sfruttavo ancora il calore che poteva donare un bello e confortante indumento di lana.
Mi dissi però che probabilmente sarebbe stato preferibile smettere di riflettere sulle sciarpe,  visto che quasi ogni volta continuava a ritornarmi in testa il ricordo imbarazzante del mio atto di carità nei confronti di quello che poi diventò il mio coinquilino.
Appunto mentale: rivoglio quella sciarpa dal rosso. Pena, confisca di uno dei suoi vestiti in cambio. Naturalmente oltre alla felpa di cui mi ero appropriata già dai primi giorni in cui era arrivato.
Guardai l’ora sul cellulare. Le cifre digitali che indicavano le 18.54 sormontavano lo sfondo che non ricordavo di aver impostato. Sgranai gli occhi di fronte all’immagine di me che tiravo le coperte fin sopra la testa, cercando di coprire anche Ed insieme a me, visto che eravamo attorcigliati in maniera inspiegabile, e proteggerci dallo scatto che Silvie aveva tanto gentilmente fatto dopo essere entrata insieme a Roxy con le chiavi che le avevo lasciato in caso di esplicita emergenza.
Mi spiegarono che siccome non avevo risposto al telefono, si erano sentite in dovere di venire a vedere se per caso non mi avessero rapita gli alieni, visto che ci eravamo date appuntamento per andare a fare colazione insieme nel bar dei cornetti più buoni del mondo e io non mi ero presentata.
Mi confessarono poi mentre sedevamo nel tavolino all’angolo, di fronte alle nostre tazze fumanti e ad una mezza dozzina di brioche, che in verità erano solo divorate dalla curiosità di sapere come erano poi andate le cose dopo la rissa del rosso giù al bar. Già. Erano quindi arrivate prima che io mi svegliassi, trovandomi così addormentata nel letto di Sheeran per il famigerato temporale, che tra l’altro non era poi arrivato.
Capii dunque l’occupazione che Silvie aveva trovato con il mio cellulare mentre studiavamo in biblioteca prima. Ero stata davvero così ingenua da credere che avrebbe cancellato quella foto come mi aveva detto? Che donna.
Chiusi il portone della palazzina alle mie spalle, premendo l’interruttore per accendere la luce di fianco alle cassette della posta. Istintivamente mi portai la mano alla borsa in cui avevo infilato la grande busta con lo stemma della KCL stampata all’angolo.
Ce la stavo facendo. La King’s College London mi aveva mandato questa letterina carina per farmi sapere che avevano accettato la mia iscrizione. Mi mancava solo la maturità e tra pochi mesi avrei lasciato Leicester e mi sarei diretta verso la mia nuova casa, il mio sogno di sempre, la mia fantastica Londra.
Avevo trovato la lettera appena tornata dalla cerimonia e avevo deciso di portarmela dietro per condividere la mia smoderata felicità con Silvie e Roxy in biblioteca. Il luogo però non era di certo appropriato al baccano che stavamo scatenando e decidemmo che sarebbe stato meglio se fossero passate quella sera a casa mia insieme ad altre due o tre persone, a festeggiare con un bel po’ di pizza e alcol.
Aprii la porta di casa e, dalla custodia di Nigel vicino al divano, capii che Ed era anche lui tornato dalla cerimonia.
“Ho assolutamente bisogno di una doccia calda. La doccia è mia! L’ho prenotata, quindi, per il tuo bene, spero di trovarla assolutamente libera!” urlai, sia per fargli capire che ero arrivata, sia perché avevo effettivamente il bisogno emotivo, più che fisico, di infilarmi sotto quel getto caldo, dopo il freddo di fuori. Andai a prendere una manciata di orsetti gommosi dalla busta sul tavolino.
“Sei fortunata, bionda. La doccia è a tua disposizione.” Lo sentii dire, mentre arrivava dal corridoio. Mi girai nella sua direzione e lo vidi venirmi incontro. “Anche se ne ho urgente bisogno anche io.”
“Beh, potresti sempre aiutarmi..” scherzai,  tirandolo per il cappuccio, mentre lui mi circondava con le sue braccia.
“Attenta alle tue richieste, Nat.” Sorrise, avvicinandosi e baciandomi.
“Non vorrei essere scortese, ma.. da quando usi questo terribile profumo? E per il buon Zeus, perché in quantità così abbondanti?” gli chiesi, ridendogli sulle labbra, dopo aver fatto una piccola smorfia disgustata.
“Oh, ti prego, non farmelo ricordare. È stato orribile. La zia Tracy non voleva più lasciarmi andare.” disse, fingendosi spaventato.
 “La zia Tracy? La famosa zia Tracy di James?” scoppiai a ridere al ricordo di Elliot che mi raccontava storie su questa famigerata donna, del cui fatidico abbraccio sembra che tutti siano stati vittime prima o poi.
“È una donna spaventosamente affettuosa ed espansiva. Le piacevo molto. Troppo. E non c’era nessuno per farle capire che non ero disponibile alle sue avances, essendo già impegnato.” osservò, curvandolo l’angolo della bocca in un sorriso malizioso.
“Ahhh, e così sei impegnato?” notai retorica, percorrendo con il dito il contorno della sua mandibola. Mi faceva impazzire quando aveva la barba.
“Probabilmente.” Lo sentivo respirare contro di me. Mi guardava con aria interrogativa, come se aspettasse un qualche genere di risposta da parte mia. Sorrisi, appoggiando le mie labbra sulle sue.
Beh, certo che sei impegnato, sei decisamente di mia proprietà.
Di colpo mi ricordai della mia borsa appoggiata sul mobiletto vicino alla porta.
“Mi hanno presa alla KCL.” lo informai, con lo sguardo fisso oltre la sua spalla.
“Lo sapevo che ce l’avresti fatta!” esclamò, abbracciandomi stretta. Mi passò una mano tra i capelli, sfiorando il suo naso con il mio. “E così te ne andrai a Londra.”
“Già.”
Tanto ci saremo separati per forza prima o poi. Era inevitabile.
Era inevitabile però anche quello che era successo fra noi. O forse no. Chi lo sa? Chi potrebbe mai dirlo? Non sono mai stata una grande fan del destino, anche se tutti quegli antichi greci la vedevano come questa grande dea che sceglie e guida le nostre vite e al cui occhio vigile nessuno potrà mai sfuggire.
No, non era stato sicuramente quello.
L’importante comunque era il punto in cui eravamo arrivati. Presto metteremo la parola fine. Presto, però. Non ancora.
Gli diedi un bacio veloce e me ne andai in direzione della doccia. “Ah, tra un po’ arrivano le mie compagne di sventura. E forse anche un altro po’ di gente, ma non so di preciso. Oh, chi vivrà, vedrà.” gli urlai, ormai sulla porta del bagno.
Lo vidi ridere e scuotere la testa, mentre spariva dentro la sua stanza.



Ed eccomi di nuovo qui! Yeeeey.
Vorrei anche farvi notare il fatto che non ho nemmeno superato le due settimane. *si congratula con se stessa* Voglio dire, rispetto al mese che ho fatto passare l'altra volta direi che è un bel passo avanti. Ok, mi sto facendo i complimenti da sola e quasto non è molto carino, no no, per niente. Forse lo faccio perchè sono molto frustrata e ho bisogno di accrescere la mia autostima con un metodo fai da te. Tutta colpa della parrucchiera. Cioè, queste belle donne dovrebbero dare una rispolverata al loro vocabolario e cercarci dentro la parola "spuntatina". Esatto, perchè l'ultima volta che ho controllato questo significava tagliare solo le punte, le punte, benedetta Era. Ha fatto violenza ai miei bei capelli lunghi che avevo coltivato con tanta cura e adesso mi sento molto triste senza di loro. Però mi passerà. Prima o poi.
Bon, veniamo a noi. Eeeeeeh, lo so che vi aspettavate qualcosa di più piccante e molto ayayay carramba, però non ancora. Già, sono una brutta persona (passo dall'elogiarmi al giustificare il mio narcisismo all'insultarmi. Cosa c'è in me che non va?). Insomma, le salse piccante le riserviamo per il prossimo o il prossimoprossimo(?) capitolo. Ancora non ho deciso. Ooooooops, forse sto spoilerando troppo.
Eeeeeeeeeeeeeeeeeee le vostre recensioni sono molto belle e sono tanto feliceee, felis navidad (ancora non è il suo tempo, ma vabbè). Scrivetemi, scrivetemi tutto quello che volete! Mi piacciono così tanto, sono come una droga. Graaazie <3
Ora devo andare, perchè ho molto freddo. Vado a dormire un po' visto che stanotte ho dormito pochissimo a causa del mio raffreddore e del mio naso tappato che sembra non vogliano più abbandonarmi. Mi vogliono bene.
Allora alla prossima, belle fanciulle
-xo

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Capitolo 19
*** XIX ***


 

 ""Teach my skin those new tricks
Warm me up with your lips
Heart to heart melt me down
It's too cold in this town
Close your eyes, lean on me
Face to mouth, lips to cheek
Feeling numb in my feet
You're the one to help me get to sleep"

 





La musica risuonava alta nelle piccole casse dello stereo del salotto, facendo vibrare leggermente quelle due bottiglie che qualcuno aveva dimenticato lì vicino. Il mio cervello mi diede l’input per andare a prenderle, giusto per ridurre al minimo ogni rischio, però la mia attenzione venne distratta da una parola che suonavano molto come “KCL”.
“Scusa, dicevi?” chiesi, cercando di sembrare il meno scortese possibile; cercando di non far capire al tipo del secondo piano, che finalmente si era presentato come Max, di essermi distratta ad un punto indefinito della sua frase, appena aveva cominciato a parlare.
Certo, era un gran bel pezzo di ragazzo, però, ammettiamolo, non mi sembrava esattamente il tipo più brillante del mondo.
“Dicevo, complimenti per l’ammissione alla KCL. Vedo che hai organizzato una bella festa.”
Sorrisi, ringraziandolo e appoggiandomi alla porta aperta dell’appartamento. Eravamo rimasti a parlare sulla soglia da una quindicina di minuti prima, quando avevo portato fuori il sacco della spazzatura, visto che si era riempito in un batter d’occhio con tutti i rifiuti che una decina di persone aveva prodotto nell’arco di qualche ora. Avevamo discusso del più e del meno, arrivando a parlare del motivo di tanto baccano e quindi della mia ammissione.
Eravamo giusto arrivati al punto in cui lui da bella festa era passato a bella ragazza, quando mi sentii tirare per un braccio. Una voce poi troppo familiare si scusò, dicendo che mio zio Colin aveva bisogno di parlare urgentemente con me al telefono.
Salutai Max e, dopo che la porta sbatté, mi ritrovai tra le braccia del rosso a fissarlo sospettosa. “Lo zio Colin?”
“Stavo cercando solo di aiutarti. Quel tipo non voleva andarsene più.” mi spiegò, con tutta la convinzione di uno che sa di aver messo in atto un piano infallibile.
“Stavamo solo facendo conversazione come due buoni vicini.” lo provocai, aggrappandomi alla sua maglietta.
Rise, accarezzandomi la schiena. “Quando bevi un po’, diventi così dolce e ingenua.”
“E tu dolce e geloso.” gli sussurrai a tre millimetri dalle labbra, per poi staccarmi dalle sue braccia e andare a salutare quelle due persone che se ne stavano andando.
Per tutta la sera avevamo cercato di evitare qualsiasi contatto troppo ravvicinato.
Eravamo rimasti d’accordo che per quella serata ci saremo comportati come due normali amici coinquilini, niente di più. Ma la tentazione era indecente, perciò ogni volta che la tensione arrivava al limite, uno di noi doveva dileguarsi in fretta. Questa volta era stato il mio turno.
Tutto ciò mi divertiva molto.
A divertirmi ancora di più però era il modo in cui James ballava con Tony, per poi lasciarlo andare quando Roxy gli passò di fianco, coinvolgendo lei al posto del povero animale nel suo ballo sensuale. Lui e suo cugino erano passati per scambiare due parole in privato con Ed e avevano poi deciso di fermarsi anche loro insieme alla lieta compagnia.
Mi lasciai cadere sul divano vicino a Elliot, impegnato in una conversazione presumibilmente sportiva con Allan, uno di quei pochi esemplari maschili sopravissuti al liceo classico.
Fissai Elliot per un po’, per poi lamentarmi nuovamente, chiedendogli dove ci eravamo visti prima, perché ero certa di averlo già incontrato prima della cerimonia. Era una sensazione orribile, come quando passi un intero film a ripercorrere nella tua mente mille altri per trovare quello in cui hai già visto l’attore e non ti dai pace finché non riesci a individuarlo.
Rise, divertito dalla mia perseverante ricerca. “Hai presente Changed the way you kiss me?”
“Sì, è fantastica, per un po’ sono stata fissata con quella canzone, puoi chiederlo a Tony, quel poveraccio era costretto ad ascoltare tutto quello che ascolto io. Però non vedo cosa cen.. Oh, no.” Sgranai gli occhi, lasciando cadere rumorosamente sulle gambe le mani, con cui stavo cominciando a gesticolare animatamente. “No! Non ci credo! Ex.. cioè, non è possibile! Sei proprio tu? Example seduto sul mio divano..”
Annuiva, ridendo di fronte alle mie incredule esclamazioni. “Fantastico!” sbottai infine, abbracciandolo entusiasta. Non che fosse il mio cantate preferito o qualche altra cosa stupida, stava di fatto però che avevo in effetti ascoltato alcune delle sue canzoni fino allo sfinimento. Aggiungici poi anche l’alcol e tutta l’atmosfera, e la mia reazione era più che legittima.
Trascorsa un’altra ora in allegria, la compagnia cominciò a disgregarsi piano piano, fino a quando anche l’ultimo festaiolo varcò la porta d’ingresso, lasciandomi tra le mani un bicchiere di sex on the beach con cui se ne stava quasi andando.
Vedendo Ed nel buio del corridoio che portava stanco Nigel verso camera sua, cominciai a camminare in silenzio fino alle sue spalle, fermandomi poi di colpo per sussurrargli un “Ciao, rosso.”
Si girò così velocemente che non ebbi il tempo di spostarmi e la bibita che avevo in mano finì addosso alla mia maglietta blu.
“Questa volta l’hai combinata grossa, Sheeran.” lo ammonii, percorrendo con il dito il contorno della grande macchia che si era formata sul mio petto.
“Se ti dico che mi sono girato così di scatto perché mi sei mancata per tutta la sera, risolvo qualcosa?” Appoggiò Nigel a terra e mi tirò più vicino a lui, accarezzandomi la spalla lasciata scoperta dalla maglia.
“Così non vale però. Non puoi essere dolce e sexy allo stesso tempo. Non è giusto.” Lo fissai, un po’ incredula di fronte alla mia stessa frase, che avrei voluto tenere solo per la mia testa e non condividere con lui a voce alta.
 Per fortuna però non poteva vedere la mia espressione sorpresa, visto che l’unica luce era quella di una piccola lampada lasciata accesa; il suo raggio non arrivava alle nostre facce, ma ci lasciava in una tenue penombra.
“Allora se è per questo, tu non sei mai giusta.” Rise, avvicinando il suo viso al mio. Lo fermai ad una distanza di qualche centimetro.
“Ma io non sono dolce.” affermai, convinta di essere nel giusto, come una di quelle persone fastidiose che continuano a chiamare il tuo numero anche dopo che hai ripetuto loro innumerevoli volte che è quello sbagliato e che non sei tu lo zio che stanno cercando.
“Oh, sì invece ultimamente sei stata più dolce del solito.”
“Questo non va bene, allora. Per ridurre la dolcezza, dovrò riequilibrare aggiungendo all’altro piatto della bilancia.” notai pensierosa, guardando verso il basso.
Ritornai a fissarlo con sguardo provocatorio e, senza togliere gli occhi dai suoi, mi liberai delicatamente della mia maglietta.
Lo sentii deglutire impercettibilmente. La battuta che non gli avevo dato il tempo di pronunciare gli era morta in gola.
“Beh, era praticamente fradicia per colpa del drink che hai rovesciato sopra. Non posso stare con i vestiti sporchi addosso.” Il mio tono innocente non era affatto convincente.
Quando lo vidi immobile davanti a me, cominciò a farsi strada nella mia mente che forse non era stata una buona idea.
Magari le sue e le mie intenzioni non coincidevano. Magari per quanto ci riguardava, lui aveva posto dei limiti che non avevo colto.
Che stupida. Veramente, veramente stupida. Mi maledissi per essermi lasciata preda di questo nuovo vizio dell’agire senza pensare. Probabilmente il famoso ‘contare fino a dieci’ non era applicabile solo al parlare. Però dovrebbero specificarlo, mettere un “nota bene” in modo che sia chiaro per tutti; dire ‘Conta fino a dieci prima di parlare o fare qualsiasi altra stupidata di passaggio per il tuo cervellino’.
“Emm.. io.. sarebbe meglio che io vada a mettermi qualcosa addosso..” farfugliai, cercando di tirarmi fuori da quella situazione in modo dignitoso. Come se fosse possibile..
“Non ci provare nemmeno.” sentenziò, tirandomi indietro per il braccio e baciandomi da togliermi il fiato.
Quando mi staccai per respirare, non potei fare a meno di sorridere sulle sue labbra, troppo felice per dire qualsiasi cosa.
Scese lentamente a baciarmi il collo, mentre mi lasciai guidare di spalle verso la sua camera.
Portai le mani al suo viso per poi intrecciarle nei suoi capelli, attaccando di nuovo la mia bocca alla sua Quando mi scollai da lui e gli morsi non molto delicatamente il labbro, inciampammo in qualcosa, probabilmente un libro, e finimmo per metà sul suo letto, io intrappolata tra il materasso e lui.
Scoppiai a ridere, per poi tornare a guardarlo seria. “C’è qualcosa che non mi quadra.” Uno sguardo interrogativo venne a formarsi sulla sua faccia, le sopracciglia platealmente alzate. “Sei proprio sbadato. Versandomi il drink addosso, hai macchiato anche la tua maglia, quindi non capisco come mai ce l’hai ancora addosso.”
“Beh, allora dovremmo rimediare.” mi rispose con la stessa aria di sfida con cui avevo fatto la mia affermazione.
Tornammo a baciarci con foga, mentre, vista la posizione scomoda in cui eravamo atterrati, ci muovevamo più in alto sul letto.
In quell’istante pensai che potevo concedermi per quella sera di smettere di pensare al se, al e poi, a non affezionarmi troppo, a tutte quelle domande che di fatto non fanno altro che distoglierti dal presente in certi momenti. 
Perché appunto in quei momenti “immaginare il futuro sa di rimpianto”, diceva John Green.
Perché in quei momenti l’importante è cogliere l’attimo e lasciarsi trasportare dall’onda.


 

Beh, ma saaaaalve, belle persone.
Non sono sparita, non sono morta, non mi hanno rapita e consegnata alla prostituzione (sono un po' tragica?). Sono di nuovo qui a chiedere perdono per la mia imperdonabile assenza. Voglio dire, da lettrice so che fa un po' schifo quando l'autrice simpaticona aggiorna ogni 753294 anni, perchè poi uno perde un attimo il filo del discorso.
In mia difesa però volevo portare come testimone il mio gatto, che voleva salutarvi tutti quanti con il suo pelo morbido e la sua ciccia carina e i suoi occhioni da "il gatto di Shrek". *guarda speranzosa gli effetti del gatto magico*
Ok, va bene, non stavo cercando di corrompervi, io sono una persona onesta. (a qualcuno piacciono i dolci? funzionano come mezzo di corruzione? ok, ora la smetto.)
Coooomunque, visto che ho cambiato il rating? *alza le sopracciglia con fare ammiccante*  Bahhaha, non vi aspettate niente di che, è solo che leggendo anche altre fanfiction, guardavo tipo il rating e vedevo arancione e non succedevano sconcerie e mi sono detta "Oh, forse tutte quelle allusioni e cose varie si meritano un rating più alto."  In sostanza, non che io sia una persona pudica (anzi, per niente; sono una persona molto perversa), solo che non voglio essere sgridata per essere stata troppo oscena per il mio rating, solo perchè non so come funzionano. La mia politica è "nel dubbio, meglio eccedere" (lo so che è una politica schifosa, ma per ora non ho di meglio per giustificare le mie azioni.)Vabbè che si vede anche da quanto mi dilungo in questo spazio.. Sono una pessima persona.
:( Adesso sono triste perchè non ho nessun aneddoto divertente da raccontare. Sto facendo diventare triste anche questo spazio. Di nuovo, sono una pessima persona. Probabilmente questa poca autostima è dovuta all'ora tarda (sì, lo so, non giudicatemi solo perchè di solito vado a dormire come le vecchiette; ho i neuroni molto consumati, sono fragili, anche in un'età tenera come la mia); oh, magari anche dovuta alle mestruazioni, ma riservo il mio attacco a madre natura per il prossimo capitolo magari, visto che sto di nuovo prendendo troppo spazio.
Quiiiiiiindi, arriviamo al dunque: Graaaaaaaaaaaaaaaaaaazie per le recensioni e tutto e ditemi cosa ne pensate anche di questo capitolo e di tutto quello che vi pare (le persone che sclerano sono simpatiche).
Amatevi tantooo <3
Alla prossima (speriamo piuttosto presto),
-xo


 





 

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Capitolo 20
*** XX ***


“Sunday morning, rain is falling
Steal some covers, share some skin
Clouds are shrouding us in moments unforgettable
You twist to fit the mold that I am in
But things just get so crazy, living life gets hard to do
And I would gladly hit the road, get up and go if I knew
That someday it would lead me back to you
That someday it would lead me back to you”

http://www.youtube.com/watch?v=G8nJ-KAiBeo


 

 
 
 
“È tutta colpa tua!  Vattene e non farti più vedere in giro!”
Il tonfo di un borsone sull’asfalto spezzò il suono costante della pioggia.
“Ma io ti amo! Ti prego, non puoi farmi questo! È stato un errore!”
“Ne ho fin sopra i capelli dei tuoi errori!”Un altro tonfo.
Aprii gli occhi piano, cercando di abituarli alla luce del giorno, e guardai sconsolata in direzione della finestra aperta.
Con le poche forze che riuscii a raccogliere mi trascinai fuori dal letto, infilandomi una maglietta presa al volo dal primo cassetto.
Arrivai alla finestra e diedi un’occhiata alla scena che si svolgeva dall’altra parte della strada. La coppia del primo piano stava di nuovo litigando, sempre la stessa storia, sempre la stessa soap opera vista e rivista.
La chiusi, quasi sbattendola, in modo da far capire loro che lo spettacolino non era gradito.
Mi lasciai cadere di nuovo tra le lenzuola, mollando un ceffone sul braccio nudo di Ed.
“Ahi! Non devi prendertela con me perché la coppia felice ha interrotto il tuo sonno sacro.” protestò, massaggiandosi il punto in cui l’avevo colpito, per poi prendermi per un braccio e tirarmi più vicino.
Lo ringraziai mentalmente, vista la mia posizione precaria sul bordo del letto.
“Sicuramente non sono stati loro ad aprire la finestra.”
“È stato  necessario aprirla. L’atmosfera era diventata decisamente bollente ieri sera..” sorrise, mentre la sua mano accarezzava la mia schiena da sopra la maglietta.
“L’atmosfera diventa sempre bollente quando ci sono io in giro.” ammiccai, disegnando con le dita un percorso immaginario lungo la sua clavicola.
Eravamo così vicini che gli basto solo allungare il collo per premere le labbra sulle mie.
Era un pazzia, una vera pazzia il modo in cui avevo bisogno di sentire la sua presenza, di sentirlo vicino, il suo respiro contro di me. “Beh, non so come hai fatto, ma ora come ora non posso fare a meno di te”. La frase che mi aveva detto una sera, un po’ di tempo prima, risuonava ancora fresca nella mia mente, facendomi sorridere impercettibilmente. Era incredibile come riuscissi a immedesimarmi nelle sue parole.
Un suono acuto e insistente pervase il silenzio appena creato.
“Giuro che in questa casa prima il telefono non squillava così tanto e in momenti così inopportuni.” Alzai gli occhi al cielo e spinsi Ed per farlo andare a rispondere, facendogli capire che io non ne avevo alcuna intenzione.
In tutta risposta, lui si sistemò ancora più comodamente.
Dopo una mezza dozzina di squilli, durante i quali provai disperatamente e inutilmente a farlo alzare, entrò con un sonoro bip la segreteria. “Ed, amico! Ho provato a chiamarti sul cellulare, ma è spento. Volevo dirti, riguardo a quello di cui parlavamo ieri sera, ho parlato con Steven e gli ho fatto sentire alcuni dei pezzi che mi hai lasciato. Ne è entusiasta e vuole incontrarti così chiarite i dettagli, insomma per partire insieme a me per il prossimo giro e..”
Lo trascinai giù dal letto e prese la chiamata di Elliot giusto in tempo prima che lui riagganciasse.
Tornai tra le coperte per lasciarli parlare, ma un minuto dopo arrivò anche il rosso, dicendomi che si erano dati appuntamento al pub tra mezz’ora.
“È fantastico!” urlai, alzandomi in ginocchio sul letto e saltandogli addosso. “Meraviglioso! Andrai con Elliot, voglio dire, lui è Example e.. e ci sarà un bel po’ di gente a sentirti..”
“Beh, ancora non so niente di sicuro, ma a detta sua bisogna solo discutere gli ultimi dettagli.” Era raggiante. Appoggiò la sua fronte alla mia, mentre mi accarezzava i capelli.
“Devi andare a prepararti, tra poco devi essere lì.” bisbigliai senza smettere di sorridere, circondando il suo volto con le mie mani.
Lui annuì piano, ma indugiò ancora per un po’ lasciando le nostre fronti attaccate, mentre i nostri respiri si intrecciavano.
“Rubi spesso i vestiti degli altri?” chiese, guardando la sua t-shirt addosso a me.
“Senti, non dovresti lamentarti. Anzi, direi proprio che è stato questo a portarti fortuna.” Inarcai il sopracciglio, sorridendo trionfante.
“Non ho mai amato particolarmente questa maglietta.” disse, infine. “Ma adesso che ce l’hai tu addosso, è improvvisamente diventata la mia preferita.”
Mi aggrappai ai bordi della sua maglietta per dargli un ultimo bacio prima di spingerlo indietro di qualche centimetro, costringendomi a farlo andare via. “Stendilo, Sheeran. Hai capito?” Mi stampò un altro bacio prima di dirigersi verso il bagno.
Abbandonai anche io il letto e andai a prepararmi per andare con gli altri alla fiera di Loughborough, visto che nessuno aveva niente di meglio da fare per quella domenica.

"But things just get so crazy, living life gets hard to do
And I would gladly hit the road, get up and go if I knew
That someday it would lead me back to you
That someday it would lead me back to you, oh.."
 


 
 
Quando tornai a casa era ormai sera inoltrata.
Appoggiai la borsa sul mobiletto vicino alla porta, mentre tenevo ancora in mano la piccola tigre di peluche che avevo vinto a uno di quegli stupidi giochi. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stato così gratificante soffiarla ad una coppia di dodicenni?
Vidi il rosso sul divano, dove mi lanciai trionfante, puntandogli il mio piccolo premio in faccia. “Guarda, è arancione come te.”
Quando aprì gli occhi per vedere quello di cui stavo parlando, scoppiò in una risata. “Io non sono così arancione.”
“Sì invece. E, tadààà..” esclamai, tirando fuori dalla tasca un adesivo a forma di zampa. Lui continuava a guardarmi con faccia divertita. “Ok, questo sarebbe davvero fantastico come tatuaggio, ma avevano finito quelli che si fanno con l’acqua.. voglio dire, ce n'erano altri, ma questo era quello che mi piaceva di più. Quindi, in sostanza, come questo non era rimasto che uno di quelli veri, di quelli con l’ago e tutto, ma vedendo la mia faccia terrorizzata, il tipo mi ha dato questo adesivo per bambini.” Infilai la piccola bustina nella tasca dei suoi pantaloni. “Ho cominciato di nuovo a parlare a macchinetta. Devi fermarmi quando succede!” lo rimproverai, mentre lui mi circondava con le sue braccia. Gli posai un piccolo bacio sulla punta del naso.
“Mi diverte quando lo fai. È come guardare una persona che impazzisce.”
Cominciai a ridere e gli tirai il cappuccio sulla testa. “Potrei vendicarmi, ma adesso sono troppo curiosa di sapere com’è andata con Elliot.”
“Direi proprio alla grande.” Fece una breve pausa e sulla sua faccia intravidi per una frazione di secondo un’espressione strana, quasi malinconica. “Andrò con lui per il prossimo tour. La partenza è prevista fra due, tre settimane al massimo.”
Mi strinsi di più a lui, come se stesse per scivolare via. “Due settimane.” Sentivo il suo respiro sulle mie labbra. “È fantastico.” aggiunsi, cercando di dare alle mie parole incerte una sfumatura il più entusiasta possibile, mentre nella mia testa i secondi sembravano già passare troppo velocemente.




Buongiornoo! E' arrivata la befanaaaa (mammamia quanto sono simpatica. cioè, è arrivata la befana, sono io la befana, perchè sono arrivata proprio oggi. per la befana, capito? *si guarda in giro speranzosa* No? no.)
Come ve la siete spassata durante queste vacanze? State ancora rotolando in giro per casa per tutto lo schifo di roba che avete mangiato? Io davvero non so come farò a muovermi per andare domani a scuola D: *trauma*
Non so per voi, ma per quanto mi rigurda queste vacanze sono passate troppo in fretta. Cioè, prima tutti "oh, arriva la fine del mondo, moriremo tutti, andiamo in Francia così gli alieni ci salvano" e poi BAM, non è finito nulla, e così metà della popolazione adolescenziale femminile si è pentita di aver perso la verginità a causa dei maya, per non parlare poi di chi magari ha mandato affanculo tutti, sperando allegramente in questo lieto evento, e poi si è ritrovato solo ed emarginato quando il tutto si è rivelato una bufala. Tutta colpa dei maya, insomma.
Poi è arivato il Natale e tutti "Oh, mangiamo tutti in allegria, alla palestra ci pensiamo a gennaio" e così siamo diventati tutti degli obesi senza speranza e arrivati a Capodanno ci abbiamo messo tutta la buona volontà possibile ed immaginabile per entrare in quel fottuto vestitino di una taglia più piccola perchè "così fa risaltare le tue forme" (stupida commessa). Per non parlare poi della riabilitazione che viene dopo, i giorni persi a dormire, con brevi intervalli per mangiare, lamentarsi del dolore atroce ai piedi a causa dei tacchi (e dei maya) e il ricordo improvviso di scene di capodanno, che in fondo al tuo cuore speravi fossero solo un sogno, soltanto un incubo; ricordi che i tuoi cari amici non mancheranno mai di usare contro di te.
Eeeeeee con tutto questo discorso intendevo anche in parte giustificare un po' la mia lunga assenza e volevo cogliere l'occasione per dirvi che questo capitolo è stato come un parto. luuungo e faticoso. Ad un certo punto ho anche sperato in qualcuno che mi tagliasse il cranio, prendesse le idee e le mettesse su carta, ma per fortuna(?) nessuno l'ha fatto.
Deeeetto ciò, volevo attirare la vostra attenzione su un ultimo punto: la ff sta per finireee. Cioè, più o meno. Ci sarà ancora qualche capitolo, ma siamo ormai agli sgoccioliiiii ohyeaah
Dunque, volevo di nuovo ringraziare voi anime gentili che recensiteee, i nuovi recensori, i vecchi recensori, tuuuutti quanti, siete delle persone stupende. proprio bellissime, bonazze <3 Scrivete, scrivetemi quello che volete, amo leggere le vostre recensioni (se volete, sclerate pure, tanto io non faccio altro).
(avevo anche twitter una volta, ma il mio computer è due mesi che non mi ci fa più entrare. è crudele e possessivo ç___ç)
Mi sto dilungando troppoooo. Alla prossimaaaaaaaaaa, bellezze.
-xo



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Capitolo 21
*** XXI ***


Buonsalve (?) dolci persone! Come va? Siete ancora tutti vivi? Spero di sì, anche perchè già ci sono troppo poche persone intelligenti a quasto mondo, quindi se mi sparite anche voi, mi lasciate circondata da troppi stupidi nella vita quotidiana.
Sto cercando di fare molto la persona casual e tutta tranquilla, facendo finta di non essere stata via per più di un mese.. Lo so che sono orribile dal punto di vista della costanza (non la persona, la qualità. voglio dire, se c'è una qualche ragazza costanza che ho aiutato in vita mia, probabilmente dal suo punto di vista non sono poi così orribile. ok). Il fatto è che quasto capitolo è stato lungo e faticoso, come il viaggio fino a scuola di mattina nel freddo e nel gelo. Non riuscivo a trovare nessun finale che mi convicesse abbastanza e non trovavo le parole giuste e boh, il mio cervellino si rifiutava di collaborare perchè è più pigro di un bradipo (però i bradipi sono così carini che ti viene da abbracciarlim perchè se no senti che ti si spappola il cuoricino)
Ah, già questo è il finale. *Stappa venticinquemila bottiglie di champagne, versandoli addosso a tutte voi e a se stessa, corre per la strada abbracciando la gente e fa un sacrificio a Zeus* (scusate per il sarificio, non volevo ferire i sentimenti di nessuno, ma Zeus lo voleva)
Finalmente è arrivato anche questo ultimo capitolooooo (è anche per questo che sto scrivendo all'inizio, almeno così arrivate alla fine in pace e tranquillità, senza il mio papiro snervante ad ogni fine di capitolo).
Volevo solo dire che sono molto contenta di aver condiviso questa storiella con voi, e spero che sia stato lo stesso anche per voi. E sono strafelice e volevo ringraziare tutte le persone che l'hanno messa in seguite/ricordate/preferite/mi piacciono gli unicorni, e anche a chi l'ha solo semplicemente letta senza fare niente. E soprattutto voi donne, piccole creature meravigliose che avete recensito, perchè è stato molto bello leggere i vostri commenti stupendi. *voce in lontananza: non hai mica ricevuto un oscar! vai a casa!*
Oooooook, adesso vado e vi lascio leggere.
Ci vediamo presto però, perchè ho decisamente intenzione di scrivere altro, magari oneshot questa volta.
Adesso vado.
Ohhhhh.
Adesso.
Ok, basta, vado.
Siete molto belle. Ciao.
-xo

 









“Every aching wound will cauterize and bruise
In memory of what we used to call in love
And only time will tell if violins will swell
In memory of what we used to call in love
We used to call it...”


Motion City Soundtrack

 

 
 
Salita sull’autobus, presentai l’abbonamento al signore corpulento seduto al posto di guida, ricevendo in cambio un sorriso che mise ancora di più in mostra le sue guance paffute.
Percorsi il corridoio sotto lo sguardo indagatore di una vecchietta con ovvie manie di persecuzione. Dopo la mia analisi completa da capo a piedi, in cerca di un potenziale minaccia, mi lasciò perdere, evidentemente decretandomi inoffensiva, per tornare a tenere d’occhio il ragazzo seduto dalla parte opposta del corridoio: i suoi capelli lunghi sulle spalle, la musica alta nelle cuffie e i vestiti trascurati la mettevano a visibile disagio, e quindi in guardia in vista di un possibile attacco da parte di quel poveretto.
Siamo sempre stati abituati così, diffidare del prossimo, esprimere i nostri giudizi e trarre conclusioni del tutto relative è nella nostra natura. Non possiamo farne a meno. Questo è un istinto che c’è dentro, che è sempre all’erta e che erige una barriera quasi protettiva tra la nostra persona e l’altro, l’estraneo.
È una paura incosciente e incontrollabile, una paura nera, quella di essere feriti. Mostrarsi troppo vulnerabile è una cosa spaventosa, una cosa che si cerca di fuggire con tutte le forze.
Forse proprio per questo in quel momento mi abbandonai sui sedili trasandati della linea D7. Trovai un posto adatto ai miei gusti, un posto in fondo, uno di quei posti che il bagliore fastidioso delle luci di emergenza non colpiva.
Mi infilai le cuffie, principalmente per ignorare il terribile canale radio che l’autista aveva scelto, e provai ad far partire la musica dall’mp3 malconcio. Doveva essere di buon umore, perché decise di farmi un favore e accendersi al primo colpo, nonostante fosse ridotto in condizioni davvero pessime.
Cosa potevo ascoltare?Lasciai scorrere l’elenco di quei pochi album che la sua povera memoria riusciva ancora a contenere, ma non mi decisi per nulla. Lo lasciai andare sushuffle.
‘Cattiva idea. Pessima.’recitò paziente la vocina nella mia testa, quando le prime parole di Pony cominciarono a risuonarmi nelle orecchie.
Ripensai al fatto che il rosso sarebbe partito il giorno seguente e non potei fare altro che notare come il mio senso di autoconservazione mi aveva guidata fuori di casa, fino alla fermata, solo per prendere un autobus che mi portasse in nessun luogo in particolare. Solo un pretesto per uscire e allontanarmi dalla sua stupida faccia, perché, dicevo a me stessa, almeno così il distacco sarebbe stato più facile.
Quando l’autista arrivò al capolinea, scesi anch’io. Entrai nel supermercato all’angolo ed esaminai gli scaffali. Alla fine mi decisi per la bottiglia di vino che c’era sullo ripiano davanti ai miei occhi e la esaminai per qualche secondo. ‘Prenderne un’altra non farà di certo del male a nessuno.’ mi dissi mentre la mia mano si stringeva intorno alla seconda bottiglia.
Usai una cassa rapida, giusto per evitare la signora che sembrava aver depredato l’intero negozio, per poi prendere qualcosa da portare via al Mcdonald’s che fiancheggiava l’uscita.
Durante il viaggio di ritorno, l’autobus era questa volta miracolosamente pieno, così dovetti tenermi in equilibrio nel piccolo spazio tra la coppia di fidanzatini che sembravano voler procreare sul lurido corridoio di un mezzo di trasporto pubblico e un ragazzino che continuò a sbattere il suo zaino contro il mio fianco, fino a quando non lo guardai in modo così truce da fargli mettere tra di noi una distanza di sicurezza.
 
Finalmente arrivata a casa, mi diressi direttamente in cucina, stappai la prima bottiglia e, abbandonato l’istinto di attaccarmici direttamente, riempii un bel bicchiere, di quelli fatti appositamente per il vino bianco, visto che mia madre non aveva mollato fino a quando non era riuscita a comprarli.
“Hei, piccola alcolizzata.” mi salutò Ed, arrivando alle mie spalle e avvolgendomi tra le sue braccia. “Come mai stasera hai scelto il vino?” Mi posò un piccolo bacio sulla tempia, mentre io mandavo giù l’ultimo sorso.
“Dovremmo bere più vino. Fa bene alla salute, sai?” Versai un altro bicchiere per me e ne presi uno anche per lui. “Certo, non come la verdura. Però tanto l’alcol lo beviamo lo stesso. Almeno il vino è buono e salutare.” conclusi, passandogli il suo. Incrociai le mie dita con le sue. “Allora, hai finito? I bagagli sono a posto?”
Gli davo ancora le spalle, ma lo sentii mentre svuotava il suo bicchiere.
“Più o meno.” rispose, infine. Mi girai per guardarlo, sfoggiando un sorriso rassicurante. Nota per me stessa: vadano anche le cose male all’università, ti resta ancora una brillante carriera da attrice. Complimenti.
Andai in camera sua e la vidi quasi vuota. “Beh, almeno questa stanza è finalmente pulita.” lo presi in giro, facendo dondolare la bottiglia in mano, mentre andavo a sedermi sul letto.
Mi raggiunse in un attimo, facendomi ribaltare all’indietro, mentre io cercavo di sfruttare le mie doti da acrobata per non rovesciare il vino sulle lenzuola verdi.
“Sei felice che finalmente sgombero la stanza? Almeno non darlo così tanto a vedere. Puoi darti alla pazza gioia non appena avrò varcato quella soglia.” Mi mise un braccio intorno alle spalle, per tenermi più vicina.
“Quindi vuoi rinunciare a me che ti saluto addolorata, sventolando un fazzolettino bianco mentre il tuo treno sparisce in lontananza?” Scoppiai a ridere, più per la stupidità di quella battuta e per  l’effetto inebriante dell’alcol che per effettiva ilarità.
Mi fermai per prendere un altro sorso, questa volta direttamente dalla bottiglia, visto che il bicchiere lo avevo abbandonato in cucina, e, dopo averla posata sul mobiletto, mi girai per guardarlo, sorprendendolo a fissarmi , con la bocca piegata in un mezzo sorriso.
“Sheeran, non fare quella faccia.”
“Quale faccia?” cercò di assumere un’espressione indifferente.
Quella faccia. La faccia da ‘sto formulando dei pensieri profondi’. Ecco quale faccia.”
“Ma..”
“Non ci provare nemmeno, dolcezza.” lo ammonii.
“Non erano pensieri profondi.. pensavo solo al fatto che mi manch..”
“Shhhshsh.” cercai di zittirlo, coprendogli la bocca con le mani. “Non dirlo. Dillo e ti farò del male, rosso. Molto male.” Alzò le sopraciglio con aria interrogativa. “Quelle parole renderebbero il tutto molto più reale, mi faranno sbattere il muso nella realtà, e io non voglio. Voglio che il mio muso sia al sicuro. Almeno per stasera.”
Sorrise di nuovo. “Tanto lo sai. Non c’è bisogno che te lo dica.”
Spalancai gli occhi con finto sdegno, volendo sembrare offesa dal modo in cui aveva trovato un modo per violare la mia legge.
Lo presi per il colletto e lo tirai vicinissimo alla mia faccia. Sentivo le sue braccia tenermi stretta, come se stessi per scivolare via da un momento all’altro. Quando mi resi conto dello spazio praticamente inesistente rimasto tra di noi, le parole insignificanti che avevo intenzione di dire mi morirono in gola e cancellai quella distanza, attaccandomi avidamente alla sue labbra.

 

Mi svegliai di soprassalto, scattando a sedere. Quel terribile baccano infernale mi aveva di nuovo trascinata via dal mondo dei sogni. Era come uno schiaffo in piena faccia di prima mattina. Quello dell’appartamento accanto stava di nuovo obbligando tutto il primo piano a sentire la sua musica da due soldi, solo per suo diletto personale.
Mi alzai dal letto bruscamente, facendo brontolare Ed probabilmente ancora in dormiveglia, e mi infilai addosso le prime cose che trovai.
Uscii di casa, senza preoccuparmi di chiudermi la porta dietro. Avrei fatto in fretta.
Mi piazzai davanti alla sua e cominciai a suonare il campanello insistentemente. Una, due, tre, quattro volte. Bussai violentemente un paio di volte, per poi ritornare a schiacciare con forza il campanello, come se fosse colpa sua.
Quando finalmente si decise ad aprirmi, mi si piazzò davanti con aria sorpresa, senza però rinunciare all’aria da fighetto.
“Non so se è perché la mattina hai la casa tutta per te perché tua madre va a fare la spesa o esce solo per non vedere la tua faccia per un po’! O forse sei solo troppo stupido e privo di empatia per capirlo!
In ogni caso te lo dico io visto che sembra che tu non ci possa arrivare da solo: dacci un taglio, cazzo! Nessuno di questo piano o di questo condominio ha voglia di sentire la tua musica martellante che sveglia anche i morti. Provaci ancora e giuro che entro dentro casa tua, ti lego stretto stretto alle tue belle casse potenti e ti lascio lì finché non ti si spappola il cervellino!”
Mi guardava con orrore. Si allontanò piano dalla soglia, come se un suo movimento brusco comportasse il mio conseguente attacco. Chiuse la porta e dopo qualche istante tutto quel rumore fastidioso cessò. Un silenzio beato prese il suo posto. Sentii un grido di ringraziamento provenire da uno degli appartamenti confinanti.
Rientrai e tornai in camera, trovandomi davanti al rosso seduto sul letto leggermente disorientato e un po’ divertito. Aprì le braccia, facendomi segno di ritornare vicino a lui.
“La sveglia avrebbe suonato fra poco comunque.” costatò, guardando le cifre rosse dell’orologio e togliendo la sveglia, ormai inutile.
“Tanto prima o poi gliel’avrei detto. Non è che se adesso tu te ne vai, qui non vivrà più nessuno.” Notai l’acidità della mia frase.
Alzai lo sguardo su di lui e vidi che anche lui aveva fatto lo stesso.
Mi sfiorò piano il braccio da sopra i vestiti.
Rivolsi lo sguardo in giro per poi riprendere. “Tu invece faresti meglio a prepararti. Sicuramente Elliot sarà qui fra poco, visto che è sempre in anticipo.” Mi passò una mano tra i capelli, accarezzandomi la linea del collo.
Mi guardai le mani e mi resi conto di avere addosso la sua felpa. “Merda, hai dimenticato di metterla in valigia. Ero sicura che avresti dimenticato qualcosa. Voi uomini non sape..” mi fermò prima che potessi sfilarmela.
“In realtà volevo lasciartela. È la felpa degli imprevisti. Non posso partire e lasciarti senza una felpa per gli imprevisti.”  Giocherellava con le mie dita, senza mai staccare completamente la sua mano dalla mia. Alla fine la lasciò per alzarsi, e andò a prendere qualcosa dalla tasca del suo borsone.
Mi porse dei fogli, scritti, ripiegati, consumati. “Credo che dovresti tenerli tu, gli originali.” Fece una pausa, accarezzando la mia mano stretta intorno a quelle pagine. “In fondo erano, sono per te.”
“Oh, al diavolo, Sheeran.” sbottai, afferrandogli il viso e stampandogli un lungo bacio.
“Quanto ti sono sembrato idiota?” chiese, con uno sguardo arrendevole.
“Oh, lo sai che sei il mio idiota preferito.”
Il campanello suonò due volte, segnale dell’arrivo di Elliot.
Una mezz’ora ed era tutto pronto, il pulmino che aspettava di sotto insieme a tutti gli altri.
“Mi mancherà averti tra i piedi.” Circondai il suo busto con le mie braccia, infilandole sotto la felpa lasciata aperta.
“Pensavo che non fosse concesso dirlo. Ieri sera eri sul punto di linciarmi quando stavo per farlo.” sorrise, dandomi un bacio a fior di labbra.
“Ormai è andata. Negli addii tutto è concesso.. come sono poetica.”
“Non era in amore e in guerra?”
“Anche..”
Sfiorò il suo naso con il mio. “Allora è finita?”
“Sai una cosa, Sheeran? Se c’è una cosa che ho capito, è che non puoi decidere quando una cosa finisce o comincia. Ci sono, accadono e basta. Vivi come viene.”
Mi guardò per un po’, le labbra sottili storte in un sorriso. “Vivi come viene o no, anche io so una cosa. Questo non è di certo un addio.”
“Ah, no?”
“Non sperarci nemmeno.”
“Allora vai a spaccare un po’ di culi e poi chissà, magari ci incontreremo in giro da qualche parte.”
“Io sarò quello con i capelli arancioni e la chitarra.”
Sorrisi contro le sue labbra. “E io quella che forse apparirà a un certo punto, solo per sventolarti le canzoni in faccia, giusto per non farti dimenticare le parole.”
Mi diede un ultimo bacio prima di salutarmi. “Non vedo l’ora.”

 

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