Until My Dying Day di Lusio (/viewuser.php?uid=123627)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordo ***
Capitolo 2: *** Children of the Revolution ***
Capitolo 3: *** Diamond Angel ***
Capitolo 4: *** Rhythm of the Night ***
Capitolo 5: *** Your Song ***
Capitolo 6: *** Elephant Love Medley ***
Capitolo 7: *** One Day I'll Flay Away ***
Capitolo 8: *** Spectacular Spectacular ***
Capitolo 9: *** Come What May ***
Capitolo 10: *** El Tango de Roxanne ***
Capitolo 11: *** The Show Must Go On ***
Capitolo 12: *** Io ti amo ***
Capitolo 13: *** Eternità ***
Capitolo 1 *** Ricordo ***
Ricordo
Quella macchina da scrivere lo aveva
ossessionato per
giorni, per settimane, per mesi. Ritta su quel tavolino, come una di
quelle
statue moderne che stavano andando così di moda in quegli
anni, in attesa di
essere utilizzata, di piantare su un foglio di carta la sua
storia… la loro
storia.
Scrivi di
noi…
Ancora quelle parole così
dolorose che tornavano a
straziargli le orecchie.
- Ti prego, smettila! Non ce la
faccio!
…
così sarò sempre con
te.
- Smettila di tormentarmi! Come fai
ad essere con me? Tu non
ci sei più, te ne sei andato per sempre, mi hai abbandonato.
Non voglio
sentirti nel mio cuore. Ho bisogno di sentirti accanto a me quando mi
sveglio e
quando vado a coricarmi, quando respiro l’aria della
città fuori dalla finestra,
quando scrivo…
Scrivi di
noi…
- Perché non posso
smettere di pensare? Perché non posso
smettere di ricordarmi di te? Perché non posso smettere di
amarti?
Tutte le
parole che
non ti ho detto… tutto quello che avresti voluto
dirmi… Il nostro sogno… la nostra
vita…Comunque vada… Ricordi?…
Sì, ricordava. Per questo
si era mosso verso la macchina da
scrivere.
L’aveva osservata da
lontano, senza mai avvicinarsi ad essa,
quel marchingegno che gli ricordava quanto inchiostro aveva versato per
quello
spettacolo che avrebbe dovuto salvare un intero mondo fatto di artisti,
ballerine, poltrone foderate di velluto rosso, di lampadari di finti
diamanti,
di statuine orientali e che invece era naufragato, lasciandosi dietro
un
portone sigillato con un cartello che diceva
“Fallito”; i tasti che aveva
premuto per dare vita all’inno al suo amore, al loro amore
rifiutato da tutti,
vissuto di nascosto, consumato in quella stanza.
Come se
fosse la prima
e ultima volta.
Si avvicinò alla macchina
da scrivere ne accarezzò i tasti,
uno ad uno, soffermandosi sulle lettere che componevano il
“suo” nome, passò le
dita sul nastro fino a farle diventare nere per l’inchiostro,
cancellando ogni
residuo delle parole scritte in passato.
- E’ questo quello che
vuoi? Va bene, anch’io lo voglio.
Prese una sedia, una risma di fogli e
si sedette di nuovo di
fronte alla machina.
Come iniziare? Mettendo un foglio
nella macchina,
naturalmente, ma con quale parola iniziare? Con quale lettera?
Dal principio, quindi dalla prima
lettera dell’alfabeto: la A, un calice rovesciato
che
spargeva una storia sulla prima pagina, poi una M, per portarti in alto
e poi
gettarti di nuovo sulla terra, la O
che ti risucchia come un abisso, una R tortuosa che ti assale come un
cavallo
imbizzarrito, per poi mettere una E che chiude il tutto come un
cancello.
- Rimbaud, tu hai colorato le
vocali*; ma io ho dato la vita
a delle lettere.
Cosa aveva scritto? AMORE
Non avrebbe potuto dare un inizio
più adatto. Adesso avrebbe
continuato e non si sarebbe fermato più.
E’ iniziato tutto nel Moulin Rouge. Tutti
lo conoscevano quando era
ancora all’apice della sua gloria e alcuni lo ricordano con
una nota di
rimpianto adesso che è abbandonato al tempo inclemente.
Il Moulin Rouge era tante cose. Un locale notturno.
Una sala da ballo.
Un bordello. Un’isola di piaceri proibiti. Il regno di Will
Schuester. Il luogo
di ritrovo dei vecchi uomini d’affari, dei giovani che si
affacciavano alla
vita, dei ricchi signori annoiati dalla vita familiare. Il posto in
cui chiunque
poteva andare a divertirsi con giovani e belle creature di malaffare.
Dove si
poteva pagare una notte di fuoco al prezzo di un orecchino, di un
anello, di un
bracciale.
Un campo disseminato di ballerine di can can e di
atletici giocolieri
che avevano il compito di svegliare virilità sopite e di
attizzare un fuoco che
crepitava in petti inesperti. Fanciulle ingioiellate e truccate
pesantemente
con gambe e seni scoperti, ballerini che mostravano arti fasciati da
strette
calzamaglie; questi erano i “fiori” del Moulin
Rouge. E il più bello di questi
fiori era il ragazzo che amavo…
- Dammi la forza di scrivere il tuo
nome, di riportarlo nel
mio cuore, sulle mie mani e sulle mie labbra.
Kurt, un prostituto che vendeva il suo amore agli
altri. Lo chiamavano
“L’Angelo di Diamante”… e lo
era. Era lui l’angelo custode del Moulin Rouge,
colui che lo manteneva in piedi con la sua bellezza, la sua
capacità di
fingere, il suo talento, la sua crudeltà, il suo corpo.
Senza di lui non
sarebbe esistito nulla di quel mondo. Si faceva donare ogni cosa:
denaro,
gioielli, finanziamenti, per una sola notte di finzione, di false
carezze e di
vuoti baci e di un corpo freddo che simulava un calore ed una passione
che non
aveva. Per tutti era una tigre che si nascondeva dietro le sembianze di
un
gatto, un uccello rapace in grado di spolpare chiunque fino al midollo;
ma lui
era ben altro. Pochissime persone conoscevano la sua vera natura,
quella che
lui nascondeva dietro gli abiti sgargianti e ambigui e un lieve strato
di
cerone e un sorriso smagliante; io ero una di queste persone. Io ho
potuto
vedere ed ho potuto toccare con mano il suo vero essere. Io lo amavo.
Il ragazzo che amavo è…
Una parola può fermarti ed
impedirti di andare avanti con la
sua ineluttabile crudeltà. Perché sai che
è vera e la verità è la cosa
più
dolorosa che esista. Ma c’è sempre qualcosa che ti
spinge a continuare.
- Te l’ho promesso.
Non era tanto diversa dalla prima
parola che aveva scritto.
Doveva superare quella M irta come una montagna per gettarsi nello
scuro abisso
racchiuso nella O e lì trovare il cuore della parola, il suo
nucleo che aveva
la forma della R, risalire quel lungo pilastro che era la T
che lo avrebbe portato verso
la luna nuova, piena e scura che chiudeva la parola. O.
MORTO
Ecco, l’aveva scritto.
L’aveva detto. Non poteva accettarlo.
Sì, il ragazzo che amava
era morto.
C’era una macchia di sangue
sul colletto della sua camicia;
l’unica cosa che gli era rimasta. Il suo ultimo bacio.
Quello che
senti nella
mia bocca non è sangue; è la passione,
è il nostro amore…
- Il nostro amore… Per te
scrivo questo. Andrò avanti e se
non riuscirò a proseguire, torna da me a punzecchiarmi, mio
piccolo fringuello…
Solo per te.
E riprese a scrivere.
Nota
dell’autore
* Riferimento alla poesia
“Voyelles” (“Vocali”) del poeta
francese
Arthur Rimbaud (1854-1891), mio autore preferito che vi consiglio
caldamente.
Sì, sono ritornato, anche
se in ritardo ma, come molti
sanno, sono molto lento.
Da dove nasce questa nuova long?
L’idea ha preso forma da
una delle mille volte che ho rivisto “Moulin
Rouge!” di Baz Luhrmann e
l’impennata per scrivere mi è stata data dalle
ragazze di “You’re killing me
now” alle quali dedico questo mio primo capitolo.
Anticipo che questa non
sarà una song-fic. E che non sarà un
unico “copia-incolla” del film. E anche che, questa
volta, causa impegni, mi
risulterà difficile essere costante e preciso con gli
aggiornamenti; se volete
poi avere aggiornamenti riguardo alle mie storie, questa è
la mia pagina
d’autore su facebook: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
So che a molti potrebbe non piacere
ma, come chiedo sempre,
non giudicatemi per quello che scrivo ma per come lo scrivo. Fatemi
sapere cosa
ne pensate : D
Lusio
|
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Capitolo 2 *** Children of the Revolution ***
Children of the Revolution
Con un sospiro soddisfatto, Blaine
Anderson si lasciò cadere
sulla brandina cigolante della stanzetta che aveva affittato; il
materasso era
sottile e scomodo
ma poco gli importava
in quel momento. Riusciva solo a pensare al fatto che era nella patria
dell’arte, la città dei cantanti, degli attori,
dei musicisti e degli
scrittori, lontano dalla dittatura di suo padre che avrebbe voluto
vederlo
ammuffire dietro la scrivania della loro azienda di famiglia, a
compilare
moduli, firmare note di assunzione e di licenziamento, controllare le
entrate
ed altre cose mentalmente massacranti. Quando gli aveva parlato delle
sue
aspirazioni da scrittore aveva dovuto sopportare le sue urla, i suoi
rimproveri, il suo chiamarlo “figlio snaturato” e
mille altre cose, con sua
madre che riusciva solo a disperarsi per quell’ennesima lite
tra padre e
figlio. Sembrava dovesse concludersi come tutte le altre volte
precedenti: con
Blaine che si isolava nella sua stanza; ma quella volta le cose erano
andate in
modo diverso.
La loro discussione, ad un certo
punto, aveva preso una
brutta piega e, ad una frase del padre (“Credi veramente di
avere talento? Sei
solo un bambino viziato che crede di poter fare tutto ma che non ha
nemmeno
l’ingegno per affrontare il lavoro serio!”) Blaine
non ce la fece più.
Sentitosi punto nel vivo, radunò in fretta e furia le sue
cose, prese i soldi
che si era guadagnato lavorando in una libreria della città
e, senza voltarsi
indietro, lasciò quella casa con l’intenzione di
non farvi più ritorno.
Qualche ora dopo, quando la rabbia
era sbollita e si trovava
sul treno che lo avrebbe condotto alla meta che si era prefisso di
raggiungere,
prese coscienza del suo gesto. Si era comportato come un bambino
fuggito di
casa perché gli era stato negato il giocattolo desiderato,
ma una cosa che
aveva sempre odiato era sentirsi dire che la sua vita sarebbe stata un
fallimento perché non era un ragazzo concreto e
perché viveva sempre tra le
nuvole, in un mondo di sogni e romanticismi futili; va bene, forse era
vero,
forse non sarebbe mai diventato uno scrittore famoso, forse era
veramente un
povero illuso ma non sarebbe rimasto bloccato in una vita monotona per
poi
ritrovarsi ad una certa età a domandarsi “Come
sarebbero andate le cose se…”.
No, avrebbe colto l’occasione, come stavano facendo tanti
altri giovani come
lui, sulla scia delle nuove correnti artistiche rivoluzionarie
dell’epoca.
Sarebbe diventato uno di loro, uno
dei “Figli della
Rivoluzione”; avrebbe seguito le orme del poeta che
più ammirava, Arthur
Rimbaud, avrebbe fatto una vita da zingaro, da artista, precario certo,
povero
sicuramente, ma da artista. Avrebbe fatto la sua vita.
Ed eccolo lì, in una
piccola camera ammobiliata, con un
affitto ragionevole da pagare, una macchina da scrivere e tanta voglia
di
scrivere, di dare vita ai suoi sentimenti.
Facendo schioccare le dita, Blaine si
rialzò e si sedette al
tavolino,davanti alla macchina da scrivere, ansioso di mettersi
all’opera; ma
proprio mentre stava per battere l’indice su un primo tasto,
due cose lo
bloccarono: la prima fu il rendersi conto di non sapere come iniziare
(la cosa
peggiore che può capitare a chi scrive); la seconda, molto
più strana ed
inaspettata, fu un ragazzo che piombò con un gran fracasso
nella sua stanza…
dal soffitto per essere precisi.
Blaine saltò letteralmente
dalla sedia nel vedere un
ragazzo, asiatico a giudicare dai tratti somatici, svenuto a quanto
sembrava,
appeso ad una corda per la gamba e completamente ricoperto dal
calcinaccio del
soffitto. Non poté nemmeno prendere coscienza di quanto era
accaduto perché la
porta della stanza si aprì ed una ragazza bassina vestita
“alla garçon” entrò
di gran carriera.
- Oh, buongiorno – disse la
ragazza, aggiustandosi i
capelli, notando Blaine – Sono Rachel Berry,
l’inquilina del piano di sopra,
nonché “grande attrice”. Ma sono certa
che avrete sentito parlare di me –
concluse con una punta di vanità.
- Veramente… no
– disse Blaine, sconvolto da quella
“doppia”
intrusione.
- Oh… be’, non
ha importanza – replicò Rachel, cadendo dalle
nuvole e concentrandosi sul ragazzo svenuto ancora appeso a testa in
giù al
centro della stanza – Cielo, che disastro! Sono desolata per
il soffitto; non è
mai capitata una cosa del genere. Di solito quando gli succede ha il
buon gusto
di trovarsi con i piedi piantati al suolo.
- In che senso “quando gli
succede”? – esclamò Blaine.
- Vedete, questo mio amico, Mike,
è affetto da una strana
malattia: la narcolessia. In poche parole, un momento prima
è perfettamente
sveglio e l’istante successivo è più
svenuto di una gallina con un panno sugli
occhi. Io lo dicevo che accogliere uno come lui nella nostra compagnia
era uno
sbaglio ma…
- Rachel! Hai finito di fare
conversazione?
Quelle parole sguagliate e volgari
furono seguite dalla
comparsa di tre volti che fecero capolino dal buco sul soffitto: il
primo
(quello che aveva parlato) apparteneva ad un ragazzo dalla carnagione
bruna ed
una curiosa cresta sulla testa, il secondo ad un ragazzo biondo con
delle
labbra vergognosamente grandi e il terzo ad un ragazzone
dall’aria poco
sveglia.
- Fantastico! –
esclamò il ragazzo con la cresta – E’
svenuto di nuovo. Mi spieghi come facciamo ad andare avanti col
protagonista
maschile fuori uso?
- Non preoccuparti Puck –
disse Rachel, tranquillamente – Con
il mio talento riusciremo ad ultimare lo spettacolo.
- Non lo mettiamo in dubbio
– fece il ragazzo biondo con
lieve ironia – Ma sarà un po’ difficile
continuare a lavorare senza
protagonista maschile.
- Troveremo qualcuno che
sostituirà Mike; non so dove, ma lo
troveremo.
- Rachel – fece il terzo
ragazzo – Perché non lo chiedi a
quel ragazzo lì vicino a te? Ha la faccia del poeta
innamorato.
- Questo? –
valutò la ragazza, esaminando in modo
inappropriato Blaine, il quale non riusciva proprio a capacitarsi di
quanto
stava accadendo – Sì, potrebbe fare al caso nostro.
- Bando alle ciance! –
disse Puck rialzandosi, seguito dagli
alti due – Rachel, recupera Mike e porta su quel ragazzo.
Dobbiamo ultimare lo
spettacolo entro stasera.
- Bene… eh…
come ti chiami, scusa? – chiese Rachel, rimasta
sola con Blaine (e Mike ancora svenuto).
- Blaine Anderson – risposa
il ragazzo.
- Bene Blaine. Ti do il benvenuto
nella nostra compagnia.
- Potrei almeno sapere qualcosa di
più, invece di essere
sballottato qui e là senza sapere niente? – fece
Blaine, esasperato da quella
presa di posizione.
- Scusa. E’ vero, siamo
stati invadenti ma il fatto è che
siamo con l’acqua alla gola. Dobbiamo portare, entro stasera,
uno spettacolo
teatrale per il Moulin Rouge, il noto locale qui di fronte. Uno
spettacolo
innovativo, che sarà portavoce degli ideali
bohémien di noi Figli della
Rivoluzione. Uno spettacolo che parlerà di
“Libertà”, di
“Verità”, di
“Bellezza” e di “Amore”. E con
questo spettacolo risolleveremo anche le sorti
del Moulin Rouge, rendendolo un teatro vero e proprio. Allora, stavolta
te lo
domando ufficialmente: vuoi partecipare a questa nostra opera, Blaine?
Blaine aveva ascoltato ogni parola di
Rachel, prima con
titubanza, poco convinto dal fare superbo della ragazza, poi con sempre
maggior
interesse. Uno spettacolo, un’opera che avrebbe racchiuso gli
ideali che lui
stesso stava inseguendo. Solo pochi minuti fa stava lamentando il fatto
di non
sapere come iniziare ed ecco che gli si presentava
un’opportunità, un
trampolino di lancio, un inizio. La sua nuova vita non gli era mai
sembrata
così nitida e vicina come in quel momento. Avrebbe dovuto
sostituire
momentaneamente un attore; non sarebbe stato come recitare in un ruolo
principale ma sarebbe stato pur sempre un inizio. Il suo inizio.
Accettò.
Dopo aver staccato Mike dalla corda,
i due ragazzi salirono
al piano di sopra ed entrarono nella stanza adibita a “sala
prove”, una camera
enorme, che prendeva luce da un’ampia vetrata sul tetto,
piena di bozze di
copioni, strumenti musicali, oggetti di ogni tipo, scenografie
malandate, un
odore di sigarette che rendeva l’aria irrespirabile. Un vero
ritrovo di artisti
bohémien.
A parte Rachel e Mike Chang, che
venne adagiato su una
brandina, gli altri componenti erano Noah Puckerman, chiamato
semplicemente
Puck, il ragazzo con la cresta, e Sam Evans, il ragazzo biondo dalle
labbra
esagerate, che erano gli addetti alla musica, e Finn Hudson, quello
dall’aria
poco sveglia, che era un interprete.
Misero in mano a Blaine un copione
scritto a metà, gli
diedero alcune indicazioni sul suo ruolo e ripresero il lavoro.
Ma quello spettacolo sembrava tutto
fuorché
“rivoluzionario”; Blaine se ne accorse subito.
Già la storia di per sé era
veramente scontata: l’amore a prima vista tra un
pastore-poeta ed una ragazza
di città, lo struggimento dei due amanti al limite dello
stucchevole e del
monotono, il lieto fine prevedibile, il tutto infarcito di frasette
sdolcinate
ed elogi esagerati nei confronti della protagonista, interpretata da
Rachel.
Certo, c’erano gli ideali dei Figli della Rivoluzione ma non
erano riportati
nella loro pienezza. Si avvertiva anche una certa incomprensione tra i
vari
attori su alcuni pezzi, sul finale da costruire, sul ruolo dei vari
personaggi
(tecnicamente “del personaggio”, visto che la
protagonista era perennemente
presente in scena). E Blaine, in mezzo alle esclamazioni di Rachel, i
rimproveri di Puck, i tentativi musicali di Sam e la
passività di Finn, si
sentiva soffocare ed una grandissima voglia di dire la sua, di non
essere un
semplice “oggetto di scena”, gli premeva nel petto
aspettando solo di uscire.
Ed esplose quando venne ripreso il punto in cui il protagonista
declamava il
suo amore.
- Perché? – si
azzardò a domandare Blaine e facendo voltare
tutti verso di lui.
-
“Perché” cosa? – chiese
Rachel.
- Perché il protagonista
maschile è così sicuro dei suoi
sentimenti?
- Ma mi pare ovvio –
rispose la ragazza – Perché la
protagonista è una fanciulla bella, dotata di ogni
virtù e solo un idiota non
capirebbe che è la compagna perfetta.
- Sicuramente –
replicò Blaine vincendo la tentazione di
alzare gli occhi al cielo – Non mi azzardo a negare che il
colpo di fulmine
esista ma, così facendo, non rischiamo di perdere di vista
il concetto di
“Verità”?
- Non lo stiamo perdendo di vista
– rispose Puck,
infastidito da quel “novellino” che si sentiva in
diritto di dire la sua –
Nessun sentimento è “vero” come
l’amore.
- Appunto perché
è vero non può essere racchiuso in un solo
concetto e dimenticando tutte le sue sfaccettature.
- Cosa vuoi dire? – chiese
Finn che, assieme a Sam, sembrava
più interessato.
- L’amore… -
iniziò Blaine, cercando di calcolare ogni
parola – Secondo me l’amore si evolve attraverso
vari stadi: prima c’è
l’attrazione fisica che ti porta a guardare, ad esplorare
l’oggetto dei tuoi
desideri; c’è poi la curiosità, la
voglia di conoscere di più quella persona,
apprezzare i suoi lati positivi, accettare quelli negativi; se poi
capisci che
sei disposto ad accettare quella persona nella sua interezza, se anche
l’altra persona
fa lo stesso con te, allora c’è l’amore.
Quell’amore che nulla può distruggere,
che vivrà per sempre, fino al loro ultimo giorno di vita. Lo
so, il modo in cui
ho esposto questo concetto è troppo freddo e clinico ma se
mi deste la
possibilità di adattarlo in un dialogo o in un monologo per
lo spettacolo…
- Aspetta! – lo
fermò Rachel, il sangue che le stava
inondando la testa – Stai per caso dicendo che vorresti
riscrivere a tuo
piacimento il mio… cioè il
“nostro” spettacolo?!
- Fermi tutti!
Queste ultime parole furono
pronunciate da Mike che si era
risvegliato e stava fissando Blaine con sguardo allucinato.
- E’ geniale! –
continuò, alzandosi e avvicinandosi agli
altri – Ragazzi, ma vi rendete conto? Questo tipo
può essere la voce dei Figli
della Rivoluzione. Potrebbe scrivere lui lo spettacolo.
- Ammetto che ha una
mentalità ancora acerba – disse Sam –
Ma credo anch’io che, se ben indirizzato, possa avere delle
potenzialità.
- A me piace – si
limitò a dire Finn, entusiasta.
- Fermi! Fermi tutti! –
sbottò Rachel – Vi rendete conto di
quello che state dicendo? State proponendo di buttare al vento mesi di
fatica,
quando dovremmo già portare almeno una trama completa entro
stasera.
- Tanto non è che siamo
riusciti a fare tanto – disse Puck –
Tentare non ci costa nulla. Poi, questo ragazzo sembra sapere il fatto
suo.
- E Schuester dove lo mettete?
– chiese Rachel, imperterrita
– Credete seriamente che accetterà di proporre al
finanziatore uno spettacolo
scritto da un ragazzino privo di esperienza? Senza offesa Blaine.
- Esperienza o no, si vede che ha
talento – Finn corse in
difesa di Blaine – E per quanto riguarda Schuester, ho la
soluzione: Kurt. Se
gli presentiamo Blaine, lui ci spianerà la strada verso
Schuester.
- Sì, con Kurt
sarà più semplice – convenne Sam
– In fondo
lui è, più o meno, uno di noi anche se ha
più gioielli di un usuraio, mentre
Rachel non ha nemmeno lo stile di George Sand* quando vuole indossare
abiti
maschili… - non poté terminare la frase, visto
che gli arrivò, dritto sulla
fronte, un volume de “Les Fleurs du Mal” di
Baudelaire.
- Farò finta di non aver
sentito – disse Rachel,
tranquillamente, aggiustandosi le maniche della camicia – Se
la mettete così…
proviamo. Ma sappiate che non mi prenderò nessuna
responsabilità nel caso in
cui il piano fallisse.
- Allora Blaine – si
rivolse Finn al ragazzo, rimasto in
silenzio, in attesa – Vorresti scrivere il nostro spettacolo
per il Moulin
Rouge?
Blaine sarebbe potuto annegare nel
mare di novità che lo
aveva investito in modo così inaspettato. Non era trascorsa
nemmeno una
settimana da quando si era lasciato alle spalle la sua famiglia, la sua
casa,
la sua vita passata, e nemmeno un’ora da quando non sapeva
come iniziare la sua
nuova vita da artista ed ecco che, in un attimo, gli si era parata
davanti una
strada colma di possibilità, con un modo per esporre il suo
pensiero, di dar
vita ai sentimenti che aveva dentro e che aspettava solo una scintilla
per
esplodere come tanti fuochi d’artificio. Non gli erano chiare
alcune parti di
tutti quei discorsi come “Schuester”,
“Kurt”, “finanziatore” e,
francamente,
non gli interessava più di tanto. In quel momento,
l’importante per lui era
l’opportunità che gli stavano concedendo quei
Figli della Rivoluzione.
Aveva accettato di sostituire un
attore svenuto; accettò di
scrivere quello spettacolo bohémien.
* * *
Quella sera, si sentivano tutti in
balia dell’ansia; dal
buon esito di quella serata dipendevano tante cose: il salto di
qualità del
Moulin Rouge, una solida sicurezza per i Figli della Rivoluzione e un
inizio
che avrebbe segnato un futuro per Blaine. Ma, col cuore colmo di
positività,
speranza e tenacia, il gruppo si diresse verso il Moulin Rouge.
Blaine, stretto nello smoking che gli
avevano procurato, non
aveva mai visto un posto simile; come tutti i giovani aveva il suo
bagaglio di
esperienze in fatto di locali notturni, ma il Moulin Rouge non era come
gli
altri. Già visto di fuori era un vortice di luci e colori,
ed era un caldo e
tenue rosso a prevalere con il mulino che si ergeva
sull’ingresso, quasi
un’ironica beffa in mezzo a tanti altri monumenti seri ed
importanti e forse
era per questo che i bohémien lo preferivano agli altri
luoghi di ritrovo
artistici. Lì non era richiesta la concretezza e il
conformismo; lì potevi
abbandonare la maschera che mostravi alla società e mostrare
il tuo vero io e
nessuno ti avrebbe mai giudicato.
Un mondo nuovo e fuori dal tempo
presente.
Attraversato l’ingresso ci
si trovava in un ampio spiazzale
all’aperto dove si trovavano due componenti separati del
locale: la “Torre
Gotica” un edificio a quattro piani, dall’aria
oscura e tetra, sulla sinistra e
l’ “Elefante”, al centro, una curiosa
struttura a forma d’elefante indiano con
tanto di finimenti e decorazioni che fungeva da alcova per i
“personaggi
importanti” che desideravano intrattenersi con le ballerine
del Moulin Rouge.
C’era poi il secondo
ingresso, quello definitivo. Una porta
e subito una tenda rossa, per stuzzicare l’eccitazione di chi
entrava. Poi…
luci, colori e musica.
Nota
dell’autore
* Pseudonimo di Amandine Aurore
Lucile Dupin (1804-1876),
scrittrice francese e femminista moderata che era solita indossare
abiti
maschili.
Penso che il giovedì
sarà il giorno in cui posterò i
capitoli di questa fic. visto che è il giorno in cui ho meno
impegni, anche se
non assicuro che gli aggiornamenti saranno settimanali. Io, per me,
farò del
mio meglio per essere preciso e costante.
Per tutti gli altri aggiornamenti,
questo è il link della
mia pagina facebook: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
Una bacio enorme a tutti.
Lusio
|
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Capitolo 3 *** Diamond Angel ***
Diamond Angel
Nel Moulin Rouge tutto sembrava
sospeso tra angelico e
demoniaco. Le ragazze che si esibivano erano, per la maggior parte,
giovani e
splendide ma con un che di trascorso sui visi pesantemente truccati e
negli
abiti quasi zingareschi; tra i loro passi di danza forsennati e volgari
si
intrufolavano, qui e là, con salti e capriole, ragazzi e
uomini acconciati come
saltimbanchi che divertivano o inquietavano con le loro smorfie e il
loro
sbucare dalle gonne danzanti delle ballerine che rispondevano a quei
lazzi con
urletti di piacere. I clienti più intraprendenti (in genere
quelli più
ubriachi) si lasciavano trascinare dall’onda della musica e
delle canzoni e si
dimenavano sulla pista da ballo cercando di stringere le forme delle
ballerine
o dei ballerini, a seconda delle preferenze.
Will Schuester, il proprietario,
dirigeva tutto da una
balconata sul palco dove l’orchestra suonava, invogliando
clienti e ballerine
al divertimento, con una voce alta e forte che riusciva a sovrastare
anche il
rumore delle risate, grazie anche alla posizione elevata e,
soprattutto, agli
anni di esperienza nel campo dell’intrattenimento e della
ruffianeria.
Sul palcoscenico si stavano esibendo
quelle che sembravano
le “stelle del locale". Belle e irraggiungibili, diverse dalle
ballerine in
pista e, per questo, una vera attrazione per chi le guardava. La prima
che
saltava all’occhio era Lauren l’
“Arena”, chiamata così per la sua stazza
fisica accentuata dalla massa di piume che decoravano il suo ampio
vestito
dorato, che divorava il palco e, al tempo stesso, lo sorreggeva con una
grande
forza di imposizione; con movenze languide e scattanti si mostrava Tina
il “Fiore
di Loto”, che racchiudeva in sé il fascino esotico
dell’Oriente; accanto a lei
si muoveva la “Regina” Quinn, la sovrana di quel
palco, la più nobile in mezzo
a loro, una bionda principessa degli zingari se ci si perdeva nelle
ciocche
rosa che decoravano la sua capigliatura; dalla parte opposta, in
sincronia come
un’unica anima divisa in due corpi, ballavano Santana e
Brittany “les Fleurs du
Mal”, i fiori proibiti uniti da un legame ancora
più proibito, ostentato
attraverso il contrasto tra nero e bianco, violenza e leggiadria, abito
“alla
garçon” e ampia sottoveste “alla
greca”, e attraverso le languide carezze e i
baci saffici che si scambiavano davanti al pubblico urlante;
l’ultima, immobile
sul palco, Mercedes la “Rose Noir” dalla quale
nascevano i canti che animavano
il Moulin Rouge.
Per Blaine quella era la prima
destinazione e, sebbene
alcuni aspetti di quel posto gli suscitassero una leggera ritrosia, si
armò di
tutta la determinazione di cui si sentiva provvisto in attesa
dell’ “esame” a
cui sarebbe stato sottoposto. Per sicurezza, decise di tenere le dita
incrociate. In fondo si trovava nel mondo
dell’irrazionalità.
- Va bene, ragazzi – disse
Rachel, cercando di farsi sentire
anche in mezzo a quel baccano – Trovatevi un tavolo e
aspettate; io vado e
cerco di parlare con Kurt delle innovazioni dello spettacolo. Fino ad
allora,
vedete di non sparpagliarvi.
- Ah, non fare la guastafeste!
– esclamò Puck – Di sicuro
Kurt non c’è ancora; se fosse già qui
l’attenzione sarebbe tutta su di lui.
Quindi, non vedo perché non dovremmo divertirci un
po’. Forza ragazzi!
Scateniamoci!.
E ignorando i tentativi di Rachel di
riportarli all’ordine,
Puck, Sam e Mike si lanciarono nella pista da ballo, afferrando al volo
una
ballerina ciascuno (tranne Puck che riuscì, incredibilmente,
a prenderne
cinque); anche Finn avrebbe voluto gettarsi nella mischia, ma Rachel
gli si
piantò davanti e gli sibilò minacciosamente:
“Non.Pensarci.Neanche.” Al povero
ragazzo non restò che prendere posto, assieme a Blaine ad
uno dei tavoli posti
intorno alla pista.
- Allora, ragazzi – riprese
Rachel, come se stesse ripetendo
un copione a memoria – Aspettatemi qui. Dirò a
Kurt di te, Blaine, e cercherò
di organizzare un incontro privato tra voi due, così gli
potrai far leggere il
pezzo che hai preparato. L’importante è
convincerlo. Vado e torno.
Ed anche Rachel si infilò
in quella folla di ballerine e clienti,
cercando di evitare questi ultimi che sembravano in vena di allungare
le mani,
e sparì dalla visuale dei due ragazzi rimasti al tavolo a
tenere il tempo della
musica con mani e piedi. Approfittando della pausa di tutti quegli
avvenimenti,
Blaine decise di soddisfare almeno una delle sue curiosità.
- Chi è questo Kurt?
– chiese a Finn.
- E’ la vera stella del
Moulin Rouge – gli rispose il
ragazzo, sorseggiando un bicchiere di liquore che gli era stato portato
al
tavolo – Per lo più è conosciuto col
suo nome d’arte: l’ “Angelo di
Diamante”*;
lo chiamano così perché è bello come
un angelo… o forse perché canta come un
angelo… o magari per tutte e due le cose. Ha molto successo
nel suo campo; si
fa regalare gioielli, vestiti o, addirittura, denaro da tutti i suoi
ammiratori. In poche parole, è lui che manda avanti la
baracca. A prima vista
può sembrare arrogante e difficile da gestire ma quando lo
conosci meglio è un
pezzo di pane, fidati, io lo conosco; mia madre è la sua
costumista. Sii
semplicemente spontaneo quando lo incontri e vedrai che riuscirai a
convincerlo
con il tuo stile poetico. In fin dei conti, anche lui, come noi, spera
di
emergere grazie alla buona riuscita di questo progetto.
Da quella descrizione approssimativa,
Blaine cercò di farsi
un’idea della persona con la quale avrebbe avuto a che fare e
il ritratto che
ne uscì dalla sua mente fu quello di un individuo non tanto
diverso da lui, da
Rachel, dagli altri Figli della Rivoluzione anzi, assai simile a loro
per
grandi linee, con la differenza che lui sembrava aver avuto la fortuna
di
essere già fornito di una certa notorietà nel suo
campo… qualunque esso fosse.
Non poté negare a se stesso di essere curioso di conoscere
questo “Angelo di
Diamante”; e non dovette attendere a lungo.
La musica, il canto della
“Rose Noir” Mercedes, raggiunsero
il loro culmine e si spensero di botto.
La tempesta di luci colorate si
ridusse ad una sola colonna
di luce bianca che si ergeva al centro della sala da ballo, dove ogni
ballerina, saltimbanco e cliente aveva arrestato la sua danza.
- Eccolo! E’ lui
– gli sibilò nell’orecchio Finn, per
paura
di infrangere quel silenzio, stringendogli la spalla.
In un religioso silenzio, scese
dall’alto, da una sottile
altalena da acrobata, l’ “Angelo di
Diamante”.
Nella penombra si potevano notare un
paio di gambe
accavallate, coperte da un pantalone nero da una parte e bianco
dall’altra; il
viso era nascosto, oltre che dalla poca luce, dal pellicciotto che
ricopriva il
colletto del mantello bianco che gli cadeva lungo la schiena come una
cascata
immobile.
Poi, la sua voce ruppe quel silenzio.
Lenta, carezzevole,
dalle mille sfumature, alta per farsi sentire ma morbida per
imprigionare col
suo dolce canto. E, nel mentre che la sua voce riempiva la sala del
Moulin
Rouge, l’altalena scese e girò lentamente
scoprendo, pian piano, un volto
bianco leggermente truccato, un naso all’insù, una
bocca dalle labbra morbide
che si aprivano e si chiudevano languidamente ad ogni parola, ad ogni
nota che
liberavano, occhi intensi, dei quali non si riusciva a distinguere bene
il
colore, capelli castani perfettamente sistemati. Era un angelo, un
angelo
caduto.
Quel volto lievemente illuminato
dalla luce bianca, quel
canto melodioso.
Blaine non aveva mai visto niente di
più bello.
Il primo stadio dell’amore è
l’attrazione.
Quando si dorme si possono fare quei
sogni che ti lasciano
dentro un senso di benessere, pur non essendo stati dei bei sogni, ma
lasciano
dietro di loro un suono, un’immagine, una luce che dona un
languore che ti
scioglie il cuore. Forse, quello era ciò che stava provando
Blaine mentre
vedeva l’ “Angelo” liberarsi, con un
gesto elegante, del mantello e gettandolo
in mezzo al pubblico, dove alcuni cercarono di afferrarlo al volo,
mentre
l’altalena scendeva giù e lo portava al centro
della sala.
Ma c’era un’altra persona che
avrebbe dovuto incontrare Kurt quella
sera; il finanziatore di Schuester: Sebastian Smythe, il Duca.
Seduto al tavolo accanto a quello di
Finn e Blaine, il
giovane duca Sebastian Smythe assisteva all’entrata in scena
dell’ “Angelo di
Diamante”, passando dolcemente la lingua sul bocchino della
sua sigaretta nel
vedere le gambe di Kurt tendersi nel saltare giù
dall’altalena e i muscoli si
contraevano sotto l’abito elegante nel momento in cui
atterrava al suolo,
continuando a cantare, accompagnato dalle ballerine sul palco. Poteva
vedere la
sua lingua fare capolino tra le sue labbra in alcune note; quella vista
fece
tremare la mano di Sebastian.
Accanto a lui c’era Nick**,
il suo segretario personale, un
individuo possente dall’aria inquietante, al suo stesso
tavolo c’era William
Schuester.
- Quando potrò
incontrarlo? – domandò a quest’ultimo,
con un
tono di voce basso e roco.
- Ho organizzato un incontro privato
all’ “Elefante” tra voi
e Kurt, completamente soli – rispose Schuester, con aria
complice – Sono certo
che rimarrete più che soddisfatto e, naturalmente, poi
potremo passare agli
affari.
- Gradirei far passare questa serata,
Schuester – replicò
Sebastian – Non sono solito buttare via il mio denaro per
niente; tutto
dipenderà dal vostro “Angelo” Kurt.
- Posso assicurarvi che non rimarrete
deluso – corse ai
ripari l’uomo, alzandosi – Ora, scusatemi, vado a
dare conferma del vostro
incontro a Kurt; anche lui è impaziente di conoscervi.
Intanto, godetevi lo spettacolo.
E lasciò il giovane nobile
intento a fissare con desiderio
l’ “Angelo di Diamante” e ad immaginare
che il bocchino che aveva in bocca
fosse una delle bianche dita di Kurt, impegnate ad afferrare le
banconote, gli
anelli e le spille che i suoi spettatori gli porgevano.
Aiutandosi con la sua bacchetta da
direttore d’orchestra e
con anni di esperienza, Schuester si fece largo tra la folla esultante,
raggiungendo il piccolo podio mobile posto al centro della sala sul
quale si
stava esibendo Kurt, dimenando i fianchi e alzando le gambe, senza mai
risultare volgare, e continuando a cantare accompagnato da Mercedes e
dalle
altre ragazze sul palco che le facevano da coro. Saltò sul
podio ed iniziò a
ballare accanto a Kurt, mentre alcune ballerine iniziavano a girare
intorno a
loro, agitando le gonne e muovendosi in modo molto
“eloquente”.
- Will – disse Kurt,
approfittando di una parte da solista
di Mercedes per rivolgersi all’uomo accanto a lui –
Il Duca è qui?
- Ne dubitavi per caso? –
rispose Will.
- E dov’è?
– chiese nuovamente Kurt, emettendo uno squittio
emozionato.
Lo sguardo di Will corse al tavolo
dove aveva lasciato il
duca Sebastian e…
Quante cose possono accaderti nella vita. Basta un
gesto semplice, come
porgere un fazzoletto, come uno sguardo dato per sbaglio, e tutto
cambia. E tu
non puoi fare nulla per impedirlo. Per me quello sguardo non fu uno
sbaglio e,
se anche lo fu, fu la cosa più bella che mi sia mai
capitata… Nonostante tutto.
In pochi istanti… Finn
aveva sbadatamente versato metà del
suo bicchiere di liquore addosso a Sebastian, seduto dietro di lui e
stava
cercando, nel modo più goffo possibile, di riparare al danno
fatto agitando il
fazzoletto davanti al giovane duca per aiutarlo ad asciugarsi. E quella
fu la
scena che vide Will.
- Dietro di te – rispose a
Kurt – E’ quello a cui Finn sta
dando un fazzoletto.
Kurt, con un’elegante
giravolta, si voltò per vedere a sua
volta… ma la scena, nel frattempo, era cambiata di nuovo e
quel che vide fu
Finn che maneggiava un fazzoletto davanti ad un ragazzo seduto ad un
tavolo con
l’aria più imbarazzata che avesse mai visto.
Non si trattava del duca Sebastian;
era Blaine, al quale
Finn stava chiedendo in prestito il fazzoletto per sostituire il suo
ormai
inutilizzabile.
Ma questo Kurt non poteva saperlo. Il
destino è un fattore
inaspettato.
- Sei sicuro? – chiese,
poco convinto dall’aspetto del
ragazzo che aveva visto, facendo una seconda giravolta.
- Fa vedere – fece Will,
tornando a guardare e trovandosi
davanti agli occhi la stessa scena di prima, ovvero Finn che si
sbracciava
davanti ad un Sebastian infastidito che si stava allontanando facendosi
scudo
col suo segretario – Sì, è lui
– continuò l’uomo rivolgendosi di nuovo
a Kurt –
Spero solo che quell’idiota non lo faccia scappare.
Ad un segnale di Kurt, le ballerine
salirono sul podio e,
alzando le loro voluminose gonne, coprirono i due alla vista degli
spettatori;
con questa mossa scenica, il ragazzo ne approfittò per
togliersi gli abiti che
indossava e mostrando l’abbigliamento che nascondeva sotto:
un gilet bianco sul
petto nudo, un paio di pantaloni neri molto aderenti e un paio di
stivaletti
bianchi.
- E’ disposto ad investire?
– domandò a Will durante la
preparazione, porgendogli gli abiti tolti.
- Sì – rispose
– Ma tutto dipenderà da come andrà la
vostra
serata. Dovrai cercare di giocare bene tutte le tue carte.
- Ti sei fatto un’idea di
lui? Quale tipo di ragazzo può
piacergli? Timido ed indifeso? Gaio e frizzante? O sensuale tentatore? - si informò Kurt
facendo, magistralmente, a
mano a mano che le elencava, un’espressione dolce e tenera,
una solare ed
allegra ed una vogliosa e provocante.
- Be’… penso che
andrà bene – meditò in fretta Will,
mettendogli in testa il suo cappello a cilindro – il
“sensuale tentatore”. Non
fallire, mi raccomando. Da questo incontro dipende il futuro di noi
tutti; se
tutto andrà come previsto, il Moulin Rouge
diventerà un vero e proprio teatro e
tu diventerai un vero attore.
L’ultima parte di quel
discorso valse, per Kurt, tutte le
parole, tutte le decisioni, tutte le raccomandazioni dette, prese e
fatte fino
a quel momento. Anni di sogni e mesi di preparazioni che stavano per
dare
frutto al riscatto di un’intera esistenza. Un vero
attore… sarebbe diventato un
vero attore anzi, un grande attore, non sarebbe più stato
l’ “Angelo di
Diamante”, ma Kurt Hummel , famoso attore teatrale. Ma, a
quel pensiero, il
giovane si morse le labbra; l’esperienza gli aveva insegnato
che erano le
azioni a contare, non i sogni. Mise, quindi, da parte quella proiezione
di un
suo ipotetico futuro e tornò a concentrarsi sul momento
presente. Lo spettacolo
doveva continuare.
- Si va in scena – disse,
inclinando di lato il cilindro.
- In bocca al lupo – disse
di rimando Will, scendendo dal
podio e dirigendosi alla sua postazione sulla balconata
dell’orchestra, visto
che le ballerine erano scese per mostrare Kurt dopo il suo cambio
d’abito.
Al vederlo nella sua nuova e
provocante mise, il pubblico andò
in visibilio e le urla, gli applausi e i fischi aumentarono di
intensità ma non
riuscirono ad oscurare il canto di Kurt, che si levò, deciso
e sicuro, nel
mezzo della sala da ballo.
Con un’altra piroetta, il
ragazzo saltò dal podio e, senza
smettere di cantare, si diresse con movenze feline verso il tavolo di
Finn e
Blaine, fermandosi davanti a lui intonando un’ultima nota
delicata come una
carezza.
Blaine si tirò
istintivamente indietro ma non poté impedire
ai suoi occhi di correre lungo il corpo di Kurt, in quel momento
così vicino;
dalle gambe strette nei pantaloni al petto nudo e palpitante sotto il
gilet,
fino agli occhi ardenti, ma dei quali non riusciva ancora a definire il
colore.
- Credo che voi stiate aspettando me
– gli sussurrò
languidamente Kurt, nascondendo teatralmente l’affanno.
- I-io… sì,
credo di s-sì – boccheggiò Blaine,
sentendo la
gola tremendamente secca in quel momento di fronte a
quell’invito.
- Rachel è riuscita a
parlarti di lui, Kurt? – chiese Finn,
entusiasta.
- Lascia fare a me, Finn –
lo liquidò Kurt, senza prestargli
particolare attenzione e afferrando Blaine per il braccio –
Su, venite a
ballare. Ho scelto il mio cavaliere per questa sera –
concluse rivolgendosi al
resto dei clienti.
Trascinò il giovane,
ancora immobilizzato dalla confusione e
dalla timidezza, in mezzo alla pista da ballo e, come ad un segnale
convenuto,
ripresero le danze; anche le cantanti sul palco si unirono a loro,
accompagnate
dalla forte voce trascinante di Mercedes.
Finn, invece, rimasto al suo tavolo,
si vide comparire
davanti Rachel, una espressione furiosa e affaticata dipinta in volto,
che si
lasciò cadere pesantemente sulla sedia lasciata libera da
Blaine.
- Rachel, bravissima! – la
accolse Finn – E’ andato tutto
come previsto!
- Ma di cosa stai parlando?
– chiese Rachel, confusa.
- Come di cosa? Hai detto a Kurt di
Blaine; adesso stanno
ballando insieme.
- Finn, non sono riuscita nemmeno ad
avvicinarmi a Kurt! –
rispose la ragazza, esasperata – E’ stata
un’odissea vera e propria: ho dovuto
fare i salti mortali per scansare quei maledetti debosciati che
cercavano di
approfittarsi di me; ad uno insistente ho dovuto strappare via il
parrucchino
(poi ho scoperto che erano i suoi capelli veri, ma tanto li avrebbe
persi
comunque, visto il modo in cui sono riuscita a strapparglieli). Alla
fine, come
se non bastasse, ci si sono messe anche quelle pseudo-ballerine e le
loro
stramaledettissime gonne che non mi hanno fatto nemmeno avvicinare al
podio e
quando si sono, finalmente, tolte dai piedi, Kurt è corso
via, io l’ho seguito
di nuovo e… oh, ordinami qualcosa da bere, ti prego.
Nota
dell’autore:
* Come già avrete notato
dal titolo, ho preferito cambiare
“Diamante Splendente” con questo.
** Questo “Nick”
non è il Nick Duvall dei Warblers che tutti
conosciamo ma è quel bastardo che nella 3x14 ha capeggiato
quell’atto di
bullismo nei confronti di Dave; al momento è lui il
personaggio che più odio,
con tutto che è comparso in due episodi e per solo pochi
istanti ma tanto mi è
bastato.
Sono entrati in scena gli altri
protagonisti di questa
fanfiction e quelli che hanno buona memoria avranno certamente capito a
quale
esibizione di Kurt mi sono ispirato per la sua entrata in scena. E,
alla fine,
anch’io ho introdotto Sebastian in qualcosa scritto da me;
metto di nuovo le
mani avanti e vi assicuro che Sebastian sarà il
più IC possibile… be’, non
sarà
comico come il Duca del film, anzi.
Per tutto il resto, questo
è il link della mia pagina
facebook: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
Ciao a tutti.
Lusio
|
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Capitolo 4 *** Rhythm of the Night ***
Rhythm of the Night
Per Blaine sarebbe stato difficile
dire se si sentisse così
stordito a causa della musica, o per la confusione intorno a
sé, o per il fatto
che Kurt, l’ “Angelo di Diamante”, fosse
letteralmente avvinghiato a lui, o per
un misto di tutti e tre i motivi. Sapeva solo che aveva caldo e che
riusciva a
muoversi, seguendo i movimenti del ragazzo stretto a lui, per puro
miracolo.
Ogni tanto riceveva delle sonore
pacche sulle spalle o delle
parole di incitamento da qualcuno degli uomini in pista; intravide
persino
Puck, circondato da ben sette ballerine dall’aria
compiacente, urlargli: “Vai
così!”
- Siete veramente gentile ad
interessarvi al nostro piccolo
spettacolo.
Le parole di Kurt lo riportarono alla
realtà e il tono
tranquillo e colloquiale che aveva usato lo rassicurò e gli
restituì un po’ di
quella schiettezza che la Natura gli aveva dato e
che, proprio in quel momento, aveva
deciso di abbandonarlo.
- Lo trovo un progetto interessante
– rispose Blaine – Sarei
onorato di partecipare.
- Davvero? –
esclamò Kurt, il volto illuminato da un gran
sorriso.
- Sempre che vi piaccia quello che
faccio.
- Oh, non dovete preoccuparvi
– lo rassicurò Kurt – Sono
sicuro che mi piacerà.
- Mi hanno detto che potevamo farlo
in privato.
All’ultima frase di Blaine,
Kurt si avvicinò ancora di più a
lui, fissandolo con occhi leggermente più scuri e mordendosi
il labbro
inferiore con dei denti molto piccoli.
- Ah, sì – gli
soffiò in volto, cingendogli il collo con le
braccia e strusciando sensualmente i fianchi contro l’inguine
di Blaine.
Il giovane aspirante scrittore
sentì il cuore battergli
all’impazzata nel petto, vedendo Kurt accostarsi a lui in
modo veramente
indecente (anche se il suo subconscio usò il termine
“eccitante”) e quando
tentò di pensare di nuovo in maniera seria, pensò
di essere stato frainteso;
corse quindi ai ripari.
- Intendevo dire –
specificò, con voce leggermente arrochita
e tremante – una lettura in privato.
- Oh, una lettura! –
esclamò Kurt, con l’aria di chi la sa
lunga – Ma sì! Mi piace una buona
“lettura” dopo cena. Che ne dite, allora, di
continuare la nostra serata all’
“Elefante”, dopo la mia esibizione?
Senza aspettare una risposta da
Blaine (che non sarebbe
riuscito neanche a rispondere in quella circostanza), Kurt
strofinò scherzosamente
il suo naso contro quello dell’altro ragazzo, per poi
allontanarsi con una
risatina, facendogli l’occhiolino e buttandosi di nuovo tra
le braccia dei suoi
spettatori.
Blaine rimase immobile
dov’era, la bocca semiaperta e le
guance completamente arrossate e solo una spinta di Puck, Sam e Mike,
leggermente brilli a quanto sembrava, lo mosse e i tre lo riportarono
al
tavolo, dove li aspettavano Finn e Rachel, congratulandosi
rumorosamente con
lui per il buon esito del primo incontro.
Kurt si tolse il cilindro e lo
lanciò in aria, imitato da
tutti i presenti e, in un vortice di cappelli che cadevano al suolo,
l’ “Angelo
di Diamante” risalì sulla sua altalena da acrobata
che lo portò di nuovo verso
l’alto; mentre sotto di lui si continuava a ballare e a
cantare.
Salutò il suo pubblico,
regalando sorrisi ad ogni volto che
lo fissava, come ogni sera, secondo lo spettacolo ma…
Già allora, in quel momento. E nessuno
se ne accorse; io non capii e
nemmeno tu. Era inconcepibile anche solo pensarla una cosa simile.
Kurt sentì la voce
morirgli in gola e il respiro bloccarsi;
dalla bocca gli uscì solo un colpo di tosse, secco e
violento come una sassata.
Respirare, voleva respirare. Ma per quanto tentasse, per quanto aprisse
la
bocca, un muro liquido e denso impediva all’aria
l’accesso ai polmoni. Voleva
respirare, voleva respirare, stava soffocando. Tossiva.
Aiuto.
Un cerchio di fuoco gli prese la
testa, rendendogliela
leggera, rendendo ogni cosa nebulosa e sfocata. Per un attimo non
sentì nulla,
nemmeno i ganci dell’altalena sotto le sue mani.
Cadde.
Venne preso al volo, quasi per
miracolo, da Dave Karofsky,
uno dei ballerini, tra lo sbigottimento e la paura generale; Blaine si
alzò di
scatto non riuscendo a capire cosa fosse successo, imitato dagli altri
ragazzi
della compagnia. Non una sola parola infranse il silenzio che si era
creato.
Dave guardò Schuester, non
sapendo che fare e il
proprietario, trasudando preoccupazione, gli indicò col capo
i camerini; avendo
compreso, il ragazzo portò via l’
“Angelo” caduto mentre alcune ballerine gli
facevano strada allontanando i clienti, agitando scenicamente le gonne;
altre
ragazze, tra le quali le cantanti, seguirono quella specie di
“processione”,
spinte dalla preoccupazione o dalla curiosità.
Mentre succedeva questo, Schuester
prese ad applaudire e ad
esultare, chiamando “Kurt”; se aveva imparato
qualcosa in quegli anni trascorsi
in quel mondo era, di sicuro, il modo in cui il pubblico si faceva
facilmente
manovrare, come un gregge di pecore. Infatti, come aveva previsto,
l’intera
sala, salvo alcune eccezioni, seguì il suo esempio.
“Serata salvata in
extremis”, pensò Schuester, guardando con
preoccupazione la porta dei camerini.
* * *
Dave adagiò delicatamente
Kurt su uno dei divanetti vecchi e
consunti che si trovavano nel retropalco, dove erano collocati i
camerini, e
gli sistemò la testa sul bracciolo in modo che tendesse col
busto verso l’alto,
visto che sembrava affannato. Gli altri ballerini e le ballerine che li
avevano
seguiti si accalcarono intorno cercando di capire cosa fosse successo.
- Mi sa che il Duca non
avrà ciò che vuole, stanotte – disse
Santana, una de “les Fleurs du Mal”, facendo
sentire il veleno nelle sue
sprezzanti parole sopra il bisbiglio degli altri.
- Santana, smettila! – la
zittì, con rabbia, Mercedes che
stringeva teneramente la mano di Kurt.
In quel momento, chiamata da Dave,
arrivò la costumista del
Moulin Rouge, Carole Hudson, una donna sulla cinquantina
dall’aria forte, pur
essendo un po’ bassa e, all’apparenza, fragile,
seguita da una ragazzina bionda
e, a ben vedere il suo viso, portatrice di handicap.
- Cos’è
successo? – si informò Carole, preoccupata,
inginocchiandosi davanti a Kurt come Mercedes.
- Sembra si sia sentito male
– rispose quest’ultima – E’
caduto dall’altalena durante la fine dello spettacolo.
- Becky, prendimi i sali. E voi,
levatevi! Fatelo respirare.
Scattante come una trottola, la
ragazzina corse in uno
stanzino, spingendo via tutti quelli che si trovava davanti e
ritornò subito
dopo con una piccola fiala d’argento consumato e la diede a
Carole. La donna la
aprì e la passò sotto il naso del ragazzo che,
nel sentire l’essenza forte e
pungente dei sali, riaprì gli occhi di colpo e
tirò un sospiro profondissimo.
Aria. Finalmente, aria.
- Kurt, tesoro – gli disse
Carole, dolcemente, passandogli
una mano sulla fronte – E’ tutto a posto?
- Sì…
sì – rispose Kurt, con voce fievole, sorridendo
–
Questi… questi maledetti costumi… così
stretti – continuò, respirando
profondamente e sbottonandosi il gilet.
Un attimo dopo entrò nel
retropalco uno degli assistenti di
Schuester che si informò delle condizioni di Kurt ed
ordinò a tutti gli altri
di ritornare in sala e di continuare la serata.
Rimasero solo Carole, Becky e Kurt
che iniziò a tossire in
un modo che alla donna non piacque; il ragazzo si portò alla
bocca un
fazzoletto che gli stava porgendo Becky, cercando di attutire il rumore
aspro e
violento della tosse. Quando la crisi sembrò terminata, si
sistemò meglio sul
divanetto portandosi una mano alla testa che iniziava a dolergli e
chiudendo
gli occhi per rilassarsi un po’, dando il fazzoletto a Carole.
Ma, quando vide cosa c’era
sul fazzoletto, la donna sbiancò;
quel piccolo quadrato di seta ricamata, uno dei tanti doni che
l’ “Angelo di
Diamante” aveva avuto da uno dei suoi clienti, aveva una
macchia di sangue
rosso scuro, proprio sul punto che aveva incontrato le labbra di Kurt.
* * *
- Dai Carole, sbrigati – la
incentivò Kurt, davanti allo
specchio, un’ora dopo – Il Duca mi starà
di certo aspettando, non voglio
giocarmi questa occasione.
- Non devi preoccuparti, Kurt
– lo rassicurò la donna,
sistemandogli il cravattino – Lo avrai senz’altro
conquistato.
- E’ inutile che mi sistemi
in questo modo – disse il
ragazzo indicando il cravattino – Tanto non baderà
nemmeno a come sono vestito;
gli interesserà di più come togliermi di dosso
tutti questi strati.
- Bisogna sempre, in ogni
circostanza, fare buona
impressione. Vedrai, tra un po’ ti ritroverai a recitare nei
più importanti
teatri del mondo accanto ad artisti come Sarah Bernhardt.
Kurt si concesse, ancora per qualche
istante, di sognare.
Poteva permetterselo, in fondo, grazie alla sua tenacia, alla
teatralità che lo
rendeva sicuro di sé e dei suoi intenti; aveva visto come
quel giovane duca lo
stesse mangiando con gli occhi, era praticamente già fatta e
dopo quella notte,
un’ennesima notte di finzione e lusinga, avrebbe avuto la sua
strada per il
successo sgombra di ostacoli.
- Diventerò un grande
attore, Carole – disse con decisione e
sicurezza – E, finalmente, potrò volare via di qui.
Un sonoro cinguettio lo
riportò alla realtà; Farinelli* il
canarino, che era anche la “mascotte” del Moulin
Rouge, si agitò freneticamente
nella sua gabbietta cercando di attirare l’attenzione dei due
presenti.
- Scusa Farinelli – rise
Kurt, agitando scherzosamente
l’indice dentro la gabbietta – Volevo dire
“voleremo” via di qui.
E il canarino agitò le
ali, come se già volesse prendere il
volo portandosi dietro l’intera gabbietta.
Vedere quel ragazzo, che aveva
accudito come fosse un figlio
suo, ridere spensieratamente dopo quanto era accaduto, dopo
un’intera anche se
breve esistenza passata ad offrirsi agli altri per sopravvivere, fece
male al
cuore di Carole; aveva sempre saputo che quella non era la vita adatta
a Kurt,
non si sarebbe spiegata altrimenti il suo forte desiderio di andare
via,
inseguire i suoi sogni, e che si era gettato in quel mondo
perché non aveva
avuto altre possibilità di scelta, ma si era sempre chiesta
“se avesse avuto
un’altra via?”, “se la vita gli avesse
concesso un’altra scelta?”.
Probabilmente il Kurt dei primi anni l’avrebbe colta al volo,
mentre il Kurt
attuale… chissà, era molto bravo a fingere;
avrebbe potuto facilmente
rifiutarla fingendo di desiderarla e viceversa. Ma in quel momento non
era il
Kurt che si esibiva al Moulin Rouge e si vendeva per soldi, era solo
Kurt con
un vestito poco casto che giocava con un canarino. Era solo Kurt. Gli
posò un
bacio sulla fronte, facendo attenzione a non scompigliargli i capelli,
poi gli
porse una piccola fiala.
- Kurt, per favore, prendi un
po’ di queste gocce – disse.
- Cosa sono? – chiese lui,
fissando la fiala con curiosità.
- E’ un antibiotico**, per
evitare che ti ricapiti di nuovo
un mancamento.
- Ah, Carole, è stato solo
un caso – la rassicurò Kurt con
leggerezza – Le luci, il movimento, la confusione,
l’abito che era troppo
succinto, non è stato nulla di grave.
- Per favore Kurt, prendile
– lo pregò Carole, preoccupata –
Fallo per me; mi sono molto spaventata. Poi, non potrà che
farti bene. Ti
prego, Kurt.
Dopo un momento di riflessione, Kurt
sospirò rassegnato e
prese quelle gocce di antibiotico, augurandosi che ne valesse la pena;
non
sarebbe stato per niente una buona cosa mostrarsi assonnato o nauseato
durante
l’incontro col Duca. Proprio riguardo a
quest’ultimo, arrivò Schuester tutto
trafelato. La serata doveva essersi conclusa in quel momento.
- Kurt, è tutto a posto?
– si informò.
- Tranquillo Will, sto alla grande
– gli rispose Kurt,
mostrandosi in tutto il suo fascino perverso – Che ne dici?
Sono abbastanza
“sensuale e tentatore” per il nostro Duca?
- Oh Kurt! –
esclamò Will, coprendosi gli occhi – E’
meglio
se ti copri con un cappotto o rischi di farlo svenire, anzi
“venire” troppo
presto.
- Che sboccato che sei –
disse Kurt, fingendosi
scandalizzato ma senza nascondere la sua risata – Fatemi gli
auguri, vado a
fare la storia del Moulin Rouge.
Il ragazzo uscì facendosi
largo tra la folla di ballerine e
ballerini che gli auguravano “buona fortuna”, gli
facevano apprezzamenti spinti
o lo fulminavano con occhiate piene di invidia e lui accoglieva ogni
cosa a
testa alta con un sorriso. Uscito dal locale, andò dritto
all’ “Elefante” che
si ergeva al centro dello spazio aperto e, all’ingresso,
riconobbe la testa
riccioluta e l’aria da pesce fuor d’acqua del
giovane Duca; gli si avvicinò con
passo leggero e lo salutò con lo sguardo più
languido di cui era capace.
- Buonasera; spero di non avervi
fatto attendere.
- N-no… no, anzi
– balbettò Blaine, non sapendo se spostare
lo sguardo sul volto (e quindi sugli occhi) di Kurt o sul suo corpo da
mozzare
il fiato – Come state? Vi siete sentito male?
- Oh, che carino ad interessarvi
tanto, ma non dovete
preoccuparvi. A me piace avere l’attenzione di tutti quando
esco di scena e
sono anche disposto a simili colpi di scena per averla. Prendetela come
una
piccola anticipazione delle mie doti da attore. E adesso, pensiamo a
noi –
concluse, aprendo la porta e invitando Blaine ad entrare.
Quando la porta si chiuse alle loro
spalle, Rachel e gli
altri, che avevano spiato ogni mossa dei due giovani, si avvicinarono
all’
“Elefante” sprizzando entusiasmo da tutti i pori.
- Santo cielo! –
esclamò Rachel, saltando dalla gioia – Sono
andati direttamente all’ “Elefante”;
questo vuol dire che ormai abbiamo lo
spettacolo in tasca. Visto ragazzi, il mio piano ha funzionato.
- Il “tuo” piano?
– la fulminò Puck.
- Va bene, il
“nostro” piano – lo liquidò
Rachel – Comunque,
adesso non ci resta che fare quello che ogni persona in attesa di una
buona
notizia farebbe.
- Aspettare? –
tirò a indovinare Finn.
- No, spiare.
* * *
Kurt fece accomodare Blaine nel suo
boudoir personale e la
cosa non aiutò per niente quest’ultimo, almeno
l’arredamento non lo fece: tutto
in stile indiano con ampi tendaggi che scendevano lungo i muri, statue
di
divinità orientali, strumenti musicali della medesima
fattura con l’unica
eccezione di un pianoforte e (a vederle, Blaine temé che le
tempie gli
scoppiassero tanta fu la quantità di sangue che
sentì salirgli alla testa)
riproduzioni di alcune posizioni del Kamasutra sopra un letto ampio e
rotondo
coperto di cuscini; su un tavolinetto c’erano frutta, dolci
ed una bottiglia di
champagne con due bicchieri; un balcone che dava una splendida vista
del cielo
stellato e delle luci della vita notturna della città.
- Prego, fate come se foste a casa
vostra; col vostro
permesso, io vado a darmi una sistemata – disse Kurt,
scomparendo dietro un
paravento decorato con motivi floreali.
Non sapendo che fare e trovando una
pessima idea quella di
sedersi, visto che l’unico posto era il letto, Blaine si
avvicinò al balcone,
sperando che l’aria fresca della sera gli desse un
po’ di refrigerio e lasciò
correre l’occhio sugli ultimi clienti che lasciavano il
Moulin Rouge,
sgolandosi mentre cantavano canzoni d’operetta e nelle case
si accendevano le
luci per combattere il buio che si faceva sempre più forte
con l’avanzare della
notte.
- Come vi sembra questo posto.
E’ abbastanza “poetico” per
voi?
La voce di Kurt lo fece voltare verso
l’interno e… no, non
poteva essere vero! Sicuramente doveva trattarsi di un sogno visto che
Kurt, in
quel momento, era davanti a lui con solo i pantaloni neri addosso, i
piedi nudi
e una leggera vestaglia che gli lasciava scoperta un’ampia
parte del suo petto
e la stessa espressione sensuale che gli aveva già rivolto
troppe volte in
quella prima serata. L’unica risposta che gli uscì
fu un mugolio d’assenso
dovuto alla gola secca.
- Gradite qualcosa, prima di
iniziare? – chiese Kurt,
voltandosi verso il tavolino – Magari un bicchiere di
champagne?
- Forse è meglio andare
subito al sodo, se a voi non
dispiace – proruppe Blaine tutto d’un fiato,
desiderando solo che quella
situazione altamente equivoca finisse subito.
Quella richiesta infastidì
non poco Kurt; aveva avuto a che
fare con persone un po’ “bramose” ma che
almeno fingevano di avere un minimo di
educazione, cosa che quel “Duca” non aveva, a
quanto sembrava. Ma lamentarsi
non era il suo compito. Quindi, riprese la sua espressione da tentatore
e,
tenendo lo sguardo fisso davanti a lui, andò verso il letto
e vi si distese languidamente.
- Come volete –
sussurrò slacciandosi il nodo della
vestaglia che gli scivolò lungo la spalla, scoprendo un
capezzolo con una
carezza – Allora, venite qui così andiamo subito
al sodo.
- I-io… io preferirei
farlo in piedi – trovò la forza di
dire Blaine, guardandosi le scarpe tirate a lucido.
Con fare stupito ma accondiscendente,
Kurt fece per
rialzarsi dal letto ma Blaine lo fermò subito.
- Non dovete alzarvi per forza
– disse – Il fatto è che… si
tratta di un affare lungo e vorrei che voi steste comodo. Quello che
faccio
potrà sembrarvi un po’ strano ma sono certo che se
siete aperto e preparato
potrebbe piacervi.
- Ne sono sicuro –
esclamò Kurt guardando, con occhi
sbarrati, la parte inferiore del corpo di Blaine.
Era fatta, doveva solo leggergli
quella parte dello
spettacolo che aveva buttato giù su un foglio che
tirò fuori dalla tasca
interna della giacca ma quando alzò lo sguardo su Kurt,
sentì la voce mancargli
nuovamente: il giovane si stava muovendo sul letto con le stesse
movenze di un
gatto, lasciando che la vestaglia lo scoprisse in più punti,
a seconda del
movimento: una spalla, il petto, un braccio, la schiena. E lo fissava
con
desiderio in modo insistente, lasciando che dei piccoli versetti gli
uscissero
dalla bocca.
Era decisamente troppo per Blaine che
si girò cercando di
togliersi dalla testa quell’immagine che aveva appena visto
e, al tempo stesso,
fece dei respiri profondi, schiarendosi la gola e battendo la lingua
sul palato
per recuperare un po’ di voce.
- Va tutto bene? – chiese
Kurt, notando il suo strano
atteggiamento.
- Sì…
s-sì è… è solo che
– balbettò Blaine – sono un
po’
nervoso. Mi ci vuole un po’ per avere l’ispirazione
adatta.
Quelle parole chiarirono le idee di
Kurt che si alzò e si
avvicinò a Blaine con aria comprensiva.
- Ah sì, non preoccupatevi
– disse – Ora ci pensa papino.
E, senza nemmeno avere il tempo di
pensare, Blaine sentì la
mano di Kurt afferrargli le intimità.
- Questo vi ispira? –
chiese Kurt, spingendolo verso il
letto, dove vi affondarono in un groviglio di cuscini e lenzuola di
seta –
Facciamolo.
- Che… che cosa?
– tentò di dire Blaine senza trovare la
forza di ribellarsi.
- Non lo indovinate? – gli
chiese di rimando l’ “Angelo”
facendo scontrare sensualmente i loro bacini.
* * *
- Senti qualcosa, Rachel? –
domandò Finn alla ragazza
mentre, con l’aiuto di Puck, Mike e Sam, la teneva sospesa, a
testa in giù,
davanti ad una finestrella del boudoir.
I cinque si erano arrampicati sulla
cima dell’ “Elefante”,
dove c’era un piccolo terrazzo con delle panche ed una
tettoia, grazie ad una
delle corde alle quali venivano appese le lanterne per illuminare lo
spiazzo, e
in quel momento stavano cercando di “controllare”
l’andamento della situazione
e, visto che Rachel era la più leggera, lei era stata scelta
per essere calata
per le gambe verso una delle finestrelle. Non poteva vedere molto ma
qualcosa
riuscì a sentire.
“Non sentite quanta
poesia?”
- Kurt sta ascoltando il pezzo di
Blaine – disse la ragazza
– La sta chiamando “poesia”.
“Su, liberate la
tigre”.
- Sembra molto preso, gli sta persino
suggerendo qualche
pezzo da aggiungere.
“O mio Dio! E’
enorme!”
- Ragazzi, è fatta! Dice
che ha un “enorme” talento!
* * *
- Avanti, iniziamo la nostra
“lettura”- esclamò Kurt,
aumentando il movimento dei suoi fianchi.
- Per favore! –
scattò Blaine, svincolandosi dalla presa del
ragazzo e saltando giù dal letto e rifugiandosi contro il
muro.
Sconvolto da quella reazione, Kurt si
sollevò in ginocchio
non sapendo cosa dire.
- Scusatemi –
continuò Blaine, dopo essersi un po’ calmato
–
E’ solo che… sto provando tante cose in questo
momento e non sono bravo con le
parole; è una cosa che mi hanno sempre rimproverato. Ma
vorrei, almeno, provare
ad esprimermi con quelle poche parole che ho.
Blaine si interruppe, aspettando una
eventuale
chiarificazione, una parola da parte di Kurt, ma quest’ultimo
rimase in
silenzio, ancora più stupito da tutto quel preambolo e si
sedette in modo più
composto, curioso di sapere dove volesse andare a parare quel
“Duca”.
Quella calma diede un po’
di coraggio a Blaine, che sentì la
voce tornargli normale e il tremolio alle gambe placarsi; la cosa
migliore
sarebbe stata tornare a leggere i suoi appunti ma qualcosa lo
fermò: un nuovo
possibile inizio.
Notava solo in quel momento gli occhi
di Kurt illuminati
dalle luci del boudoir, non più finti e lascivi ma nudi e
dubbiosi e naturali.
Sentì
l’irrefrenabile desiderio di ricominciare da loro e,
stavolta, niente lo avrebbe bloccato.
- Guardate le stelle –
iniziò, voltandosi verso il balcone.
Nota
dell’autore:
* Come vedete, ho inserito anche il
nostro Pavarotti solo
che, vista l’ambientazione e l’epoca, ho preferito
dargli il nome del famoso
castrato italiano.
** L’uso di antibiotici
come la rifampicina e l’isoniazide
fa parte del trattamento per la cura della tubercolosi; alla fine
dell’ottocento, però, era molto più
diffuso l’intervento chirurgico e la
tecnica del pneumotorace ma per esigenze di trama ho preferito
prendermi questa
licenza narrativa.
Dal prossimo capitolo mi aspetto
gioie e dolori. Poi vedrete.
Ringrazio sempre chi mi segue e, per
qualunque cosa, questo
è il link della mia pagina: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
Lusio
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Capitolo 5 *** Your Song ***
Your Song
Se guardo le stelle vedo i tuoi occhi.
E’ una frase scontata e priva
d’effetto, lo so: tutti i grandi poeti
l’hanno già ampiamente utilizzata ma la mia
intelligenza è così limitata che
posso solo ripetere le loro parole per esprimermi.
Spero che tu capisca cosa voglio dire. Stai
sorridendo; mi trovi
divertente, vero? Ti faccio ridere col mio sentimentalismo e la mia
poesia
stucchevole?
Sì, ridi! Ti prego, ridi! I tuoi occhi
diventano ancora più luminosi e
belli mentre ridi, anche se le palpebre li coprono, la loro lucentezza
riesce a
superarle. Ridi. E’ una canzone la tua risata. Mi chiedo se
sono verdi o blu; i
tuoi occhi, intendo. Non riesco ad indovinarne il colore, so solo che
mi piace,
mi piace quando ogni parte del tuo volto è naturale e
genuino come adesso, non
come prima, quando sembrava coperto da una maschera che rendeva tutto
finto e
osceno. Non voglio offenderti, ti sto solo aprendo il mio animo.
Ritorno sempre ai tuoi occhi; non posso farne a
meno, mi sento felice
se li guardo.
Ancora non capisco cosa provo, è tutto
confuso eppure dovrebbe essere
chiaro. Continuo ad usare frasi scontate e prevedibili.
Magari se ti conoscessi meglio potrei chiarirmi le
idee e le mie parole
assumerebbero un valore più grande, ma ho bisogno del tuo
aiuto. Come faccio a
conoscerti se tu non me lo permetti? Non è difficile, devi
solo parlare come
sto facendo io in questo momento, senza vergogna, confessando tutti i
tuoi
sogni, le tue paure, i tuoi momenti più lieti e quelli
più tristi, senza alcuna
vergogna, come se fossimo vecchi amici, due fratelli che condividono
tutto
tranne il sangue.
E poi, quando ci saremo completati a vicenda,
imboccandoci l’un l’altro
con le parole, potrei iniziare ad accarezzarti la mano, a stringerla,
ad
avvicinarmi un po’ di più, continuare a parlare
fino a sfinirci, addormentarci
fianco a fianco, il fiato dell’uno che accarezza la bocca
dell’altro,
riscaldandola, svegliarci nello stesso momento e sorridere
perché sappiamo di
non essere soli ma di avere l’un l’altro.
Incomincio ad essere un po’
più intraprendente e tu mi stai ascoltando
con più attenzione e più serenità;
quindi, qualcosa sta già accadendo. Forse
siamo già amici. Per quanto la cosa mi renda felice, non mi
basta, c’è qualcosa
che mi manca. Ho un po’ di vergogna ma troverei un
po’ di coraggio se mi
dicessi che anche per te è incompleto quello che provi; ma
certamente chiedo
troppo.
Ma più ti guardo, più sento
il suono che ti esce dalle labbra mentre
stai sorridendo e più cresce in me la voglia di
abbracciarti, accarezzarti,
dirti tante cose. Vorrei tantissimo baciarti. Adesso veramente ardisco
troppo.
Lasciami quindi iniziare con una semplice carezza,
sarà breve, non te
ne accorgerai neanche.
Ci siamo avvicinati ancora un po’ e amo
tutto ciò. Ora lo so, l’ho
capito; amo questo sorriso, amo questi occhi, amo tutto quello che sto
provando.
La vita mi sembra più bella ora che ti
ho incontrato.
Queste sono le mie parole; trovane
l’essenza.
Ogni parola pronunciata era stata un
passo di Blaine che li
aveva avvicinati e un tassello della maschera di Kurt che cadeva
mostrando un
volto attento coperto, però, dal velo
dell’interessamento.
Sulla scia delle parole, Blaine si
inginocchiò davanti a
Kurt, che era rimasto seduto sul letto, accostando il suo volto a
quello di
lui, riducendo l’ultima frase in un sussurro soffiato sulle
labbra.
- Non riesco a crederci –
disse Kurt, la voce tremante e un
sorriso imbarazzato sul volto – Mi sono innamorato di un
giovane bellissimo,
pieno di talento e che è anche un duca.
Blaine fu costretto ad appoggiare
entrambe le mani sul
pavimento per sostenersi, visto che quanto aveva sentito, unito a
quanto aveva
detto nell’ispirazione, aveva aumentato il ritmo del suo
cuore. “Innamorato”,
“innamorato”, “innamorato”,
questa parola in pochi attimi gli riempì le
orecchie per poi venire spazzata via da un’altra.
- Duca? –
ripeté, leggermente confuso.
- Non che il titolo sia importante,
è chiaro! – si affrettò
a dire Kurt, ridacchiando.
- Ma io non sono un duca –
chiarì Blaine – Sono uno
scrittore.
Subito Kurt smise di ridere e le sue
labbra si piegarono in
giù e i suoi occhi mostrarono incredulità e
costernazione.
- Come?! –
esclamò, rialzandosi e allontanandosi da Blaine.
- Sono uno scrittore – si
limitò a ripetere il ragazzo,
rialzandosi a sua volta.
- Uno scrittore?! Non siete il Duca
Sebastian Smythe?
- No, io mi chiamo Blaine Anderson.
Pensavo che Rachel…
- Aspettate! Rachel? – lo
fermò Kurt, capendo in un attimo
cos’era accaduto – O mio Dio! Non sarete, per caso,
uno di quegli artisti
bohémien squattrinati della cerchia di Rachel?!
- Be’… in un
certo senso… sì – rispose Blaine che,
avendo
capito di essere stato scambiato per un altro, aveva solo voglia di
sparire per
l’imbarazzo.
Sentendo la conferma alla sua paura,
Kurt coprì un grido di
rabbia e si lasciò sfuggire una violenta serie di
imprecazioni incomprensibili
per un orecchio poco allenato come quello di Blaine ma perfettamente
udibile da
Rachel, ancora fuori dalla finestra ad origliare che, voltatasi verso i
suoi
compagni, pallida in volto, disse:
- Temo che qualcosa sia andato
storto; Kurt ha appena detto
che vuole uccidermi.
Intanto, nel boudoir, Kurt si trovava
ad affrontare le
difficoltà inaspettate sorte dal nulla in quella serata; la
prima fra tutte: il
vero Duca. Se quel tipo con la faccia da pesce lesso non era Sebastian
Smythe,
dov’era quest’ultimo? E, soprattutto, cosa avrebbe
pensato trovandolo in
compagnia di quella specie di “poeta”?
Aveva bisogno di una delle sue
interpretazioni dell’ultimo
minuto per salvare la situazione, peccato solo che l’ansia
gli impedisse di
riflettere razionalmente. L’unica cosa che gli venne in mente
fu quella di
andare incontro al Duca Sebastian Smythe, nel caso stesse venendo da
lui e
distrarlo in modo da permettere a quel ricciolino di liberare la stanza
senza farsi
vedere. Sì, si poteva ancora salvare il salvabile.
Senza nemmeno darsi una sistemata o
legarsi la vestaglia in
vita, si fiondò verso la porta e la aprì ma
ciò che vide nel piccolo corridoio
lo gelò e lo costrinse a richiuderla: Will in compagnia di
un giovane alto,
dall’aria distinta (il vero Duca, sicuramente) si stava
dirigendo verso il
boudoir.
- Oh santo Dio! –
esclamò disperato, guardando Blaine che
era rimasto immobile dov’era, non sapendo cosa fare
– Presto, nascondetevi nel…
- Kurt, ragazzo mio – disse
Will Schuester entrando nella
stanza, seguito da Duca Sebastian – Sei presentabile? Il
nostro duca è ansioso
di conoscerti.
Kurt avrebbe pensato fino
all’ultimo dei suoi giorni che
quello che fece in quella frazione di secondi, nella quale si era
aperta la
porta, era stata la sua “improvvisazione”
più veloce e disperata: si era aperto
completamente la vestaglia creando un “muro” con le
braccia tra i nuovi ospiti
e Blaine, che ebbe il buonsenso di accucciarsi davanti a lui, per non
farsi
vedere. Tocco finale: Kurt fu lesto a voltarsi, mostrando
all’interessato il
suo petto bianco e palpitante e lo stesso sorriso languido che aveva
regalato a
Blaine solo qualche minuto prima.
- Mio caro Duca –
miagolò Kurt, spostandosi lentamente verso
il tavolino per permettere a Blaine di nascondersi meglio dietro di
esso –
Fremevo dal desiderio di fare la vostra conoscenza.
Sebastian Smythe, senza falsi pudori,
lasciò correre uno
sguardo ardente di desiderio lungo le forme pallide che quel ragazzo
bellissimo
esibiva così volentieri davanti a lui e, avvicinandosi
tranquillamente e con
aria sicura, afferrò con delicatezza , ma anche decisione,
la mano che Kurt gli
stava offrendo, respirando profondamente il dolce profumo che emanavano
le sue
carni.
- Il desiderio era reciproco Kurt
Hummel, “Angelo di
Diamante” – disse Sebastian, accarezzando quella
mano con le labbra, dando una
scarica lungo la schiena di Kurt con la sua voce roca – Spero
vivamente che
questa serata insieme ci permetta di “approfondire”
maggiormente questa nostra
conoscenza.
- Allora, io tolgo il disturbo
– disse Will, facendo
l’occhiolino ai due – Divertitevi!
E l’uomo uscì
saltellando dal boudoir.
Essendosi assicurato, con la coda
dell’occhio, che Blaine
fosse ben nascosto dietro il tavolino, lontano dagli occhi di fuoco di
Sebastian,prese gentilmente a quest’ultimo il cappello e i
guanti posandoli sul
letto dove si sedette comodamente aspettando che il giovane duca lo
raggiungesse. Ma, a quanto pareva Sebastian non sembrava avere tutta
questa
fretta.
- Penso che non sarebbe una cattiva
idea scambiare quattro
chiacchiere davanti a qualcosa da mangiare.
-
No! – scattò su
Kurt fermando Sebastian che si stava girando proprio verso il tavolino
– Non…
trovate che sia una bella serata? – domandò,
mostrandosi calmo, indicando la
vista fuori il balcone.
- Incantevole – si
limitò a rispondere Sebastian guardandolo
leggermente sconcertato facendo per voltarsi nuovamente verso il cibo
sul
tavolino.
Senza starci troppo a pensare, Kurt
lanciò un sonoro acuto e
iniziò ad agitare freneticamente le braccia e a sgambettare,
portando le gambe
fin quasi all’altezza della sua testa ed intonando
un’allegra canzone del suo
repertorio.
- Ho tanta voglia di ballare!
– esclamò, avvicinandosi a
Sebastian – Vi prego, ballate con me.
- Se non vi dispiace –
disse il Duca, confuso da quello
strano atteggiamento – vorrei prima bere un po’ di
champagne.
- No!!! – urlò
Kurt agitatissimo, fermando nuovamente
Sebastian che gli lanciò uno sguardo, se possibile, ancora
più sconvolto.
Kurt avrebbe tanto voluto non
sentirsi con l’acqua alla
gola, almeno non in quel momento; ogni secondo che passava lo spingeva
sempre
più nel suo mare di difficoltà. Doveva pensare
subito a qualcosa. E,
inaspettatamente, l’occhio gli cadde proprio su Blaine che
stava facendo
capolino da dietro il tavolino; forse quel tipo gli poteva essere utile.
- Perdonatemi, mio caro Duca
ma… sto… provando tante cose in
questo momento – tentò di ricordare le parole che
gli aveva detto Blaine – e
non sono… bravo con… - continuò
seguendo i suggerimenti di Blaine che, avendo
compreso la situazione, gli stava suggerendo tutto con gesti e
scandendo le
parole con le labbra - … le parole.
Poteva funzionare, potevano
continuare con quel piccolo
intrigo alla “Cyrano di Bergerac”, peccato che
Blaine, sbadatamente, urtò la
mano contro uno dei calici provocando un rumore di vetro incrinato che
risvegliò Sebastian dallo stato di riflessione nel quale era
caduto nel cercare
di comprendere cosa Kurt stesse dicendo.
Temendo che potesse girarsi, Kurt
tentò un’ultima azione
disperata: si gettò in ginocchio davanti a Sebastian
afferrandogli i fianchi e
premendo il volto contro il suo inguine. E’ inutile dire che
quell’ennesimo
gesto strano non dispiacque molto al giovane duca; per tutta la serata
non
aveva fatto altro che pensare a quel ragazzo così avvenente
ed invitante,
immaginando quanto si sarebbero “divertiti” insieme
e, in quel momento, se lo
ritrovava ai suoi piedi, con le labbra che accarezzavano il suo
bassoventre;
riuscì quasi a sentire la morbidezza di quella pelle
attraverso la stoffa dei
pantaloni.
- Non so come spiegarlo ma, da quando
vi ho visto, ho
provato il forte desiderio di esservi più vicino –
riprese Kurt cercando di far
passare la sua agitazione per eccitazione e notando che Sebastian
sembrava
“gradire” molto quelle sue parole. In
un’altra occasione si sarebbe goduto il
momento a sua volta, peccato solo che la sua priorità in
quel momento fosse
permettere e Blaine di uscire – Permettetemi questa
intraprendenza, mio caro
Duca.
Kurt si rialzò il
più lentamente possibile, strusciando il
suo corpo contro quello leggermente tremante di Sebastian, lasciandogli
sentire
e assaporare il suo respiro, il battito del suo cuore, il suo profumo
lieve
reso acre da un sottile strato di sudore, permettendogli di vedere ogni
più
piccolo dettaglio del suo viso: gli occhi verdi ed azzurri al tempo
stesso
(quello destro leggermente più chiuso dell’altro),
il naso all’insù, le labbra
rosee e carnose, la pelle nivea accarezzata da qualche ciocca di
capelli
castani sopra le orecchie. Sebastian, nella sua giovinezza e nel suo
vigore,
aveva avuto tanti giovani di ambo i sessi, innocenti ed esperti, ne
aveva
conosciuto il respiro, il movimento, l’odore, ne aveva
toccato ogni centimetro
di carne e forse qualcuno o qualcuna di questi e quelle li aveva
desiderati un
po’ di più ma ciò che ricordava di loro
era nulla in confronto a quel ragazzo
che stava avvicinando il volto al suo, facendo incontrare le loro
labbra con
una carezza dolce e sensuale che si fece poi più profonda;
come se fosse la
cosa più normale del mondo, iniziarono a mordersi le labbra
a vicenda per
assaporarne la morbidezza, le loro lingue si incrociarono, lottando in
modo
frenetico e desideroso mandando scariche piacevoli lungo la schiena.
Kurt approfondì ancora di
più quel contatto incrociando le
braccia dietro la nuca di Sebastian, approfittando di quella posizione
per
tenerlo fermo e per indicare a Blaine l’uscita, in modo che
si togliesse
definitivamente di torno.
- E’ veramente bellissimo
– sussurrò Sebastian, la voce
ancora più roca, quando si staccarono per riprendere fiato.
- Sì – disse
Kurt, di rimando, continuando a tenere d’occhio
Blaine che stava per aprire la porta ed uscire di soppiatto –
Proprio in questo
momento, assieme a voi, mi rendo conto che la vita è
più bella.
- Cosa volete dire?
Kurt strozzò in gola la
risposta visto il rumore che Blaine
aveva causato, notando che all’ingresso del boudoir si era
piazzato il
segretario personale di Sebastian, richiudendo la porta con uno scatto
secco;
con l’ennesima mossa disperata, lanciò un gemito
di disperazione gettandosi in
modo scomposto sul letto.
- Oh, Duca! –
esclamò, ostentando un dolore esagerato –
Perché siete così crudele? Non capite quale
effetto potete avere su un povero
ragazzo come me? Vi prego, prendetemi ora! – con una presa
salda, afferrò
Sebastian per il suo smoking e lo trascinò su di
sé, sul letto, baciandolo,
affondandogli le dita nei capelli, strusciando i fianchi contro il suo
accenno
di erezione, liberando versi di puro piacere e lasciando che anche il
giovane
duca si desse da fare, stringendogli le membra e leccandogli il collo
con aria
famelica. E, sempre con un braccio libero, Kurt indicò a
Blaine, premuto contro
il muro, di andarsene stavolta verso il balcone.
Con l’unico desiderio di
uscire da quella situazione
imbarazzante, Blaine scivolò verso il balcone salvo poi
rendersi conto che lo
spazio lì era molto esiguo e l’altezza leggermente
considerevole.
Come se avesse compreso al volo i
suoi pensieri, Kurt decise
di dare un taglio definitivo a quella farsa.
- Oh, sì avete ragione
– disse, fingendo di ansimare –
Dovremo aspettare la sera della prima dello spettacolo.
- Come? Aspettare? – fece
Sebastian, spiazzato da quella
uscita.
- Non è il caso che
aggiungiate altro – continuò Kurt
rialzandosi, continuando a tenere Sebastian per lo smoking e portandolo
verso
la porta, senza permettergli di girarsi e vedere Blaine – Il
vostro sangue
freddo mi colpisce, ma avete ragione: l’attesa
renderà tutto più bello, alla
fine. Ma ora è meglio che andiate.
- Ma sono appena arrivato –
tentò di ribellarsi Sebastian,
contrariato da quella interruzione.
- Ci vedremo ogni giorno, alle prove
dello spettacolo, vero?
La vostra magnanimità e i vostri finanziamenti ci saranno di
grande aiuto in
tutto questo; per il resto dobbiamo solo aspettare. Andate!
Lanciando parole a raffica, Kurt
condusse il Duca verso la
porta, la aprì e lo spinse fuori, per poi rivolgersi con uno
sguardo furente
verso Blaine, rimasto in disparte in quegli ultimi secondi.
- Tu, razza di idiota! –
gli urlò contro o, almeno, sembrò
che stesse urlando visto che la sua voce parve come bloccata da
qualcosa, una
mano che gli stringeva la gola – Hai idea di quello che
sarebbe accaduto se ti
avesse scoperto?! – il resto della frase si perse in un
sibilo partorito da un
volto bianco e tremante e fu seguito da un tremendo ansimare.
Blaine fu lesto ad afferrarlo prima
che potesse cadere a
terra svenuto. Proprio non ci voleva!
“Miseria ladra!”
pensò “Adesso cosa può accadere di
peggio?”
Ma quello non era proprio il momento
adatto, non con Kurt
svenuto tra le braccia, non era pesante ma non era nemmeno tanto
leggero e
Blaine si trovava anche in svantaggio per quanto riguardava il fattore
“altezza”; cercando di essere delicato, nei limiti
del possibile, lo portò
verso il letto buttandocelo sopra, pesantemente, finendo anche lui
addosso al
ragazzo. Ed ecco che il peggio arrivò.
- Perdonatemi Kurt – disse
Sebastian, rientrando
inaspettatamente nella stanza – Ho dimenticato… -
e si interruppe quando vide
Blaine steso sul letto addosso a Kurt – E questo cosa
significa? – chiese con
voce gelida e inquietante, mentre la sua mano, tradendo una forte
emozione,
richiudeva violentemente la porta.
- N-no…
scusate… non è… - balbettò
Blaine, cercando di
giustificare la situazione equivoca.
- Oh, Duca! –
trillò Kurt ripresosi, a quanto sembrava,
proprio in quel momento e accortosi subito di quanto stava accadendo
– Che
gradito ritorno il vostro. Vorrei approfittarne per
presentarvi… l’autore del
nostro spettacolo – concluse indicando Blaine per poi
spingerlo via e
rialzarsi.
- Ah, l’
“autore” – mormorò Sebastian,
per niente convinto,
mantenendo il suo tono freddo.
- Sì, l’ho fatto
venire qui per una “prova straordinaria”
–
fu lesto a rispondere Kurt.
- Mi credete davvero così
stupido? – fece Sebastian con
l’ira che iniziava a trasparire dalle sue parole –
Dovrei credere che così
discinto, tra le braccia di un uomo, in un boudoir, dentro un
“elefante”, voi
stavate…
Il fiume di parole del Duca fu
interrotto da un rumore di
vetri e da varie esclamazioni che si conclusero quando Rachel, il viso
arrossato e alcuni frammenti di vetro tra i capelli, seguita dai
ragazzi della
compagnia che stavano inciampando l’uno sull’altro
nello stretto balcone, entrò
come se niente fosse.
- Buonasera –
salutò Rachel, con voce acuta, scuotendosi di
dosso i frammenti di vetro – Spero che la prova stia
proseguendo bene. Scusate
il ritardo ma ci siamo trovati davanti una lastr…
cioè, una fila di gente che
non potete nemmeno immaginarvi. Riprendiamo dall’inizio
– concluse lanciando
un’occhiata d’intesa a Kurt e Blaine.
- Grazie per avermi sostituito
– disse Mike, spingendo
Blaine di lato.
- Noi accordiamo gli strumenti
– Puck e Sam corsero al
pianoforte.
- Volete qualcosa da bere?
– chiese Finn sventolando una
bottiglia di assenzio sotto il naso del Duca.
- Kurt, vorreste spiegarmi?
– esclamò, svincolandosi da
Finn.
- Ma certo, mio caro Duca. Volete
fare silenzio, voi altri?!
– li zittì Kurt per poi tornare a rivolgersi a
Sebastian con voce suadente –
Vedete, il vostro incontro, quei pochi minuti trascorsi in vostra
compagnia mi
hanno talmente ispirato che ho sentito il bisogno di radunare qui la
nostra
compagnia e di iniziare subito a lavorare per lo spettacolo.
- E come mai Schuester
non è qui a supervisionare? – replicò
Sebastian
ancora poco convinto.
- Non volevo disturbarlo
con…
- Ma si può sapere cosa
sta succedendo qui?! – esclamò Will,
precipitandosi proprio in quel momento nel boudoir e fissando con
sgomento
Rachel e tutti gli altri.
- Will, allora sei venuto anche tu
– lo fermò Kurt
correndogli incontro e stritolandogli il polso – Ma non era
il caso; il Duca
Sebastian sa tutto della “prova straordinaria”.
- La… “prova
straordinaria”? – domandò esitante
Schuester.
- Sì, per introdurre i
suoi consigli artistici. E’ per
questo che è così ansioso di finanziarci.
Quell’ultima parola fu
sufficiente per illuminare gli occhi
di Will e a fargli capire l’essenziale di quel caos.
- Caro Duca, voi ci onorate con il
vostro amore per l’arte –
disse – La nostra Rachel sarà felicissima di
mettere la sua penna a vostra
disposizione.
- Io non sto più scrivendo
lo spettacolo – disse Rachel,
infastidita da quel coltello che le giravano nella piaga aperta nel
orgoglio.
- Che cosa?! –
esclamò Will sconvolto.
- Per favore Will, lo sanno tutti
– si affrettò a dire Kurt
– Infatti, il Duca è già stato
conquistato dalla bravura del nostro nuovo
autore – concluse indicando Blaine.
- Oh sì, certo!
– si corresse Will – Allora non avete nulla
di cui preoccuparvi; siamo nelle esperte e fidate mani…
di…
- Blaine – si presento il
ragazzo, sottovoce.
- Blaine! –
annunciò Schuester per poi indicare la porta –
Duca Sebastian, visto che sembra tutto deciso potremmo già
andare a firmare
qualche documento.
- Non c’è fretta
Schuester – si fece finalmente sentire
Sebastian, accomodandosi sul letto – Prima di investire
vorrei sapere di cosa
parla questo spettacolo. Dai vostri commenti si direbbe un vero
capolavoro.
L’euforia che aveva animato
il boudoir al sapere che la “doppia”
missione era riuscita, dopo alti e bassi, venne spazzata via da quella
richiesta e un gelido e imbarazzante silenzio cadde sui presenti,
incapaci di
rispondere.
- Ma certo… lo spettacolo
– Will fu il primo a scuotersi –
Rachel, di’ al Duca di cosa parla.
Probabilmente una persona come Rachel
non avrebbe avuto
problemi ad intavolare una presentazione così, su due piedi,
ma il massimo che
riuscì a fare fu balbettare mezze frasi, intimorita dallo
sguardo magnetico che
Sebastian le stava puntando addosso e, soprattutto, perché
una vera e propria
storia non c’era.
- Il nostro spettacolo parla
d’amore – le venne in aiuto
Blaine, spostando l’attenzione dei presenti su di
sé.
- “Amore”?
– fece Sebastian – Un argomento un po’
scontato.
- No! – si
inalberò Blaine – Parla dell’amore vero;
di
quell’amore che non può essere distrutto da nulla.
La storia si svolge in… in
India – continuò, guardando lo stile del boudoir;
ecco, poteva inventare la
storia lì, sul momento, bastava guardarsi intorno e il suo
sguardo cadde su
Kurt che, come tutti, lo fissava incuriosito e allora Blaine
sentì
l’ispirazione tornargli – Lì regna un
Principe; il più bel principe che esista
al mondo. E il suo regno viene invaso da… - automaticamente,
guardò Sebastian,
che non sembrava per niente preso, ma per evitare qualche sgradito
problema
spostò gli occhi su… Rachel – da una
Perfida Califfa. Per salvare il suo regno
ed il suo popolo, il Principe Indiano deve sedurla e fare in modo che
lei lo
sposi ma, la notte in cui dovrebbe incontrarla, scambia uno
scrit… No! – si
interruppe e afferrò un sitar che si trovava in mezzo agli
altri strumenti
indiani – Un… un Suonatore di sitar squattrinato
per la
Califfa.
- Un momento – lo
interruppe Sebastian senza scomporsi –
Come fa una persona a scambiare un uomo per una donna?
- Oh, be’… il
Suonatore di sitar era travestito da Califfa
perché recitava in una commedia. Sarà tutto
frutto del caso, lui non intenderà
ingannare il Principe Indiano, semplicemente si troveranno
l’uno sulla strada
dell’altro – continuò rivolgendosi a
Kurt.
Lo lessi nei tuoi occhi: avevi capito che ti stavo
chiedendo scusa, nel
mio modo maldestro, ma in quel momento eri troppo concentrato sullo
spettacolo
e sul Duca, come tutti… E non capisti che già ti
stavo aprendo il mio cuore. Forse
nemmeno io lo capivo ancora; sapevo solo che eri tu ad ispirarmi.
- E si innamorano. Quindi,
per…
- Ho capito bene? –
esclamò Sebastian, facendosi più attento
e stendendo le labbra in un sorrisetto malizioso –
“Si innamorano”? Un amore
omosessuale. Non vi sembra una scelta ardita?
- Perché ardita?
– si fece avanti Rachel, battagliera – Il
nostro spettacolo sarà il portavoce degli ideali dello
spirito bohèmien e,
secondo questi nostri ideali, mostreremo la libertà e la
verità che sono parti
integranti del sentimento d’amore.
Sebastian, senza perdere la sua
espressione, si mostrò
pronto ad ascoltare il seguito della storia, lasciando scorrere uno
sguardo
carico di desiderio su Kurt.
- Allora, i due giovani devono
nascondere il loro amore –
continuò Blaine, cercando di ignorare il modo in cui
Sebastian ostentava il suo
apprezzamento per Kurt – E da qui si susseguono le loro varie
vicende.
- Del tipo?
- Il suo sitar – si fece
avanti Sam, cogliendo al volo
un’idea – Il sitar del Suonatore è
magico: è in grado di parlare e di dire solo
la verità.
- Ed io sarò il Sitar
magico! – saltò su Finn strappando il
sitar dalle mani di Blaine, guadagnandosi una serie di occhiate basite
da parte
dei presenti.
- Tu sarai il Sitar?! –
esclamò Rachel senza nemmeno la
forza di alzare il tono di voce tanto era rimasta scioccata da
quell’affermazione – Ti sembra credibile un sitar
alto quasi due metri e dalla
stazza di un armadio a due ante?
- Be’…
è… è un sitar magico
quindi… può anche essere un
sitar di grandi dimensioni – si difese Finn.
- Credo quindi –
continuò Rachel, approfittandone per
mettere anche del suo nello spettacolo – che il
“Sitar magico alto due metri
che dice solo la verità” farà scoprire
i due amanti e la Perfida Califfa,
folle di
gelosia, deciderà di vendicarsi sui due per
l’oltraggio subito…
- Ma loro tentano di fuggire
– attaccò Puck, scavalcando la
ragazza – Quindi, la Perfida
Califfa
li fa inseguire dal suo Stregone di corte che, con un incantesimo
riporta il
Principe Indiano al castello separandolo dal Suonatore di sitar
squattrinato
che si ritrova solo e disperato con solo il Sitar magico e…
e… - non riuscì a
continuare, trovandosi a corto di idee.
- E intona il suo canto
d’amore – continuò Kurt, con le
guance che gli si tingevano di rosso – ed è in
quel preciso istante che il
Principe Indiano lo sente e lo invoca a sua volta, sperando che possano
ritrovarsi.
Il suo tono non era brillante e
malizioso come lo era stato
fino a quel momento anzi, Blaine credé di aver sentito la
vera voce di Kurt
proprio in quell’istante. Era scomparso l’
“Angelo di Diamante” e al suo posto
c’era solo un ragazzo che parlava di una cosa semplice con un
modo di
esprimersi ancora più semplice ma venato da un sottile
sentimento.
“Chi sei tu?” si
ritrovò a pensare.
Il secondo stadio dell’amore è
la curiosità.
- Per grandi linee, questa
è la storia che rappresenteremo –
concluse Blaine, dopo aver catturato un altro po’
dell’immagine di Kurt – E per
quanto riguarda il finale, ci lavoreremo e vedremo cosa ne
verrà fuori.
- Allora, Duca – disse
Will, ansioso – cosa ne pensate?
In quegli ultimi minuti Sebastian era
rimasto
tranquillamente seduto a fissare e ad ascoltare gli artisti ed i loro
suggerimenti, giocherellando con il suo bocchino, lasciando prendere un
po’ di
vita ai suoi occhi quando li posava su Kurt che lo ricambiava con un
affascinante sorriso.
- “Per grandi
linee” – disse facendo il verso a Blaine
– lo
trovo interessante e… sì –
continuò, guardando di nuovo l’ “Angelo
di Diamante”
– sarei proprio curioso di sapere come finirà
questa storia.
Nota
dell’autore:
Non sono molto soddisfatto di questo
capitolo visto che gli
avvenimenti che ho descritto si accavallano così velocemente
che mi è stato
difficile mettere del mio. Ma spero che la parte iniziale vi sia
piaciuta; per
me vale più del capitolo intero.
Per qualsiasi curiosità o
altro, mi trovate qui: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
E vi comunico che il prossimo
capitolo verrà postato in
anticipo, mercoledì 16 per la precisione visto che
giovedì prossimo sarò fuori
città per l’intera giornata.
Ringrazio tutte le persone che mi
seguono, che hanno
inserito questa fanfiction tra le preferite, le ricordate e le seguite
e chi
recensisce. Mi fate sentire realizzato.
Lusio
|
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Capitolo 6 *** Elephant Love Medley ***
Elephant Love Medley
- Blaine! Hey, Blaine! Su apri!
Finn, già un po’
alticcio dopo mezzo bicchiere di assenzio,
stava bussando da un bel po’ alla porta della stanza di
Blaine; inutilmente
quest’ultimo aveva cercato di ignorare lui e i suoi strepiti
e quindi, alla
fine, fu costretto ad aprirgli.
- Finn! – lo riprese,
esasperato – Potresti finirla! Sto
cercando di scrivere le bozze dello spettacolo.
- Ma lascia perdere le bozze; le
potrai scrivere
tranquillamente domani. Vieni da noi, piuttosto: stasera si festeggia.
Non c’è
niente di meglio di una buona notte di bagordi per togliersi di dosso
la fatica
di un’intera giornata. Dai, vieni! Ci sono anche le ragazze
del Moulin Rouge e
anche qualche ballerino se ti interessa.
Naturalmente a Blaine non erano
sfuggiti i rumori, le
risate, i canti provenienti dall’appartamento sopra la sua
testa e il buco sul
soffitto, coperto alla meno peggio con alcune assi, non attutiva certo
il
chiasso.
- Ti ringrazio per il pensiero Finn
– disse il ragazzo,
cercando di mantenere la calma – ma non mi sento in vena
stasera; preferisco
restare qui.
- Se è perché
hai paura di Rachel, non devi preoccuparti:
non è più infuriata per il fatto che le hai tolto
il ruolo da protagonista anzi
ha detto che il ruolo della Califfa è il più
focoso dello spettacolo… o forse
ha detto che voleva dare fuoco al copione, non ricordo.
- Va bene Finn – fece
Blaine capendo che era inutile
discutere con il ragazzo davanti a lui vista la sua ebbrezza alcolica
– Torno a
dirti che non sono interessato. Torna pure di sopra, per favore.
- Va bene, come vuoi – si
arrese Finn, voltandosi e salendo
le scale con passo barcollante e tenendosi stretto al corrimano
– Non sai cosa
ti perdi.
Invece Blaine lo sapeva benissimo:
gli bastava semplicemente
tendere un orecchio e ascoltare il rumore causato dai loro
festeggiamenti. In
quel momento, lui avrebbe solo voluto isolarsi completamente da tutto
quello
che lo circondava per poter scrivere in santa pace; aveva trovato la
sua
occasione, l’aveva colta al volo, poteva finalmente
esprimersi, tirar fuori ciò
che sentiva… e, ancora una volta non riusciva a trovare un
inizio. La cosa che
veramente lo faceva infuriare era il sapere che un istante prima era in
grado
di tirar fuori una storia dal nulla e il momento successivo non sapeva
come
riportarla su carta. La penna batteva insistentemente sul foglio
lasciandosi
dietro delle misere macchie d’inchiostro e qualche parola
priva di qualunque
significato. Niente appunti, solo descrizioni, qualche mezza frase.
Dopo quasi
un’ora buona gli uscì questa frase:
“I tuoi occhi sono verdi o blu?”
Ed un’altra:
“La vita sembra più bella ora che ti ho
incontrato”.
Ed un nome che voleva venire fuori a
forza:
“Kurt”.
Non riusciva a smettere di pensare a
lui; gli ritornavano
alla mente il suo modo di comportarsi malizioso e lascivo e falso
quando lo
aveva scambiato per il Duca Sebastian, sostituiti poi da quel suo
intervento,
semplice e spontaneo, riguardo alla storia e all’amore del
Principe Indiano e
del Suonatore di sitar con voce naturale ed uno sguardo accorato. Due
volti per
una sola persona.
“Chi sei tu,
‘Angelo di Diamante’?” pensò
“Chi sei
veramente, Kurt?”
Blaine guardò fuori dal
piccolo balcone della stanza; da lì
si vedeva il Moulin Rouge con i suoi edifici annessi. Poteva vedere
anche l’ “Elefante”,
dove la luce del boudoir era accesa e poteva veder muoversi la sua
figura.
Sembrava che anche Kurt lo stesse
guardando.
“Tu mi impedisci di
iniziare”.
* * *
Quella serata movimentata aveva
portato qualcosa di buono, a
parte il finanziamento del Duca Sebastian naturalmente e, adesso che
era tutto
finito, Kurt poteva pensarlo in tutta tranquillità: avrebbe
trascorso una
tranquilla notte, da solo, nel boudoir dell’
“Elefante”. Secondo i primi
intenti avrebbe dovuto condividere il letto con Sebastian ma, dopo
quanto
avvenuto, quest’ultimo aveva deciso di rimandare al prossimo
futuro il loro
“incontro”, lasciando libera quella stanza comoda e
lussuosa.
Kurt non disprezzava la sua stanzetta
ma non era così idiota
da non apprezzare il boudoir. E lo avrebbe
“apprezzato” per tutta la notte,
mangiucchiando quello che era rimasto sul tavolino e stiracchiandosi
piacevolmente in quel letto invitante; un primo assaggio della vita che
lo
aspettava.
Sì, i suoi sogni si
sarebbero presto realizzati.
Grandi teatri dove poter recitare, le
luci della ribalta che
avrebbero illuminato il suo viso coperto di cerone, il pubblico che lo
applaudiva e lo acclamava. Il solo pensiero faceva traboccare il suo
cuore di
gioia.
Non avrebbe più avuto
bisogno di niente, si sarebbe lasciato
alle spalle quella vita che iniziava a pesargli; avrebbe avuto il Duca
Sebastian Smythe ad aiutarlo, certo questo implicava una vita da
mantenuto ma
poco importava, purché gli venisse concessa
l’occasione di diventare un grande
attore.
Più che
“volere”, Kurt sentiva che tutto quello gli doveva
essere concesso. Ne aveva passate tante nella sua breve esistenza, anzi
troppe:
aveva conosciuto la fame, la miseria, le strade fredde e sporche dei
quartieri
più malfamati, aveva dovuto soffocare il senso della
vergogna e del pudore per
guadagnarsi il pane, e non nei modi più onesti. Se si
fermava a riflettere,
c’erano molte cose del suo passato che avrebbe volentieri
cancellato ma non si
sarebbe mai pentito di nulla; ogni sua azione, per quanto negativa e
anche
crudele fosse stata, lo aveva condotto lì, dove si trovava
in quel momento.
“In questo nostro mondo non
c’è spazio per il pentimento”
era stato uno dei tanti consigli che Will Schuester gli aveva elargito,
da
quando lo aveva raccolto dalla strada per portarlo alle luci del Moulin
Rouge.
Ma volle porre fine a quei pensieri e
lasciarsi andare al
morbido conforto di quella tranquilla stanza da letto.
Sentendosi accaldato (e temendo di
avere un nuovo
mancamento) andò al balcone e lo aprì, lasciando
che l’aria della viva notte
del quartiere bohémien entrasse nel boudoir. Nel palazzo di
fronte al Moulin
Rouge si sentivano gli schiamazzi causati dal festino organizzato dalla
compagnia di Rachel, al quale erano andati anche Mercedes, Tina, Dave,
Lauren e
tutti gli altri per festeggiare la realizzazione dello spettacolo che
avrebbe
segnato l’inaugurazione del loro Teatro.
Notò una luce accesa nella
stanza sotto quella dove si
teneva la festa; c’era una figura fuori il balconcino,
immobile. Anche se
distante, Kurt credé di riconoscere quel nuovo ragazzo,
l’ “autore” dello
spettacolo; Blaine, aveva detto di chiamarsi. Che tipo strano. Solo
qualche ora
prima, Kurt lo avrebbe fatto volare dal balcone senza troppi problemi
ma, dopo
che tutto si era risolto, trovava divertente quanto accaduto. Doveva
ammettere
che era bravo, aveva dimostrato una certa inventiva nel tirar fuori
quello
spettacolo dal nulla, anche se ci avevano messo del loro anche lui e
gli altri;
peccato che fosse tutto un po’ troppo melenso per i suoi
gusti.
Mentre era immerso in questi pensieri
si accorse che la
figura al balcone era scomparsa.
Scacciando un leggero senso di
delusione e smarrimento,
Kurt, con una leggera scrollata di spalle, imboccò i ripidi
e stretti scalini
che dal balcone portavano alla terrazza sull’
“Elefante”, desideroso di godersi
a modo suo quella limpida nottata. Arrivato si lasciò andare
su una delle
panche, sporgendosi col capo per catturare ogni singola stella che
sarebbe
riuscito a contare. Ce ne era un gruppo di dieci sulla traiettoria del
suo
sguardo, altri dieci gruppi di dieci intorno a quello ed altri dieci
intorno ad
ognuno di essi, da qui all’infinito, come i desideri delle
persone.
C’era una tale pace intorno
a lui, come se quel terrazzo
fosse elevato al cielo.
Un rumore lo destò dai
suoi pensieri; voltatosi di scatto
vide quel ragazzo, Blaine, aggrappato ad uno dei pilastri della tettoia
per non
cadere.
- Scus-scusa, non volevo spaventarti
– si affrettò a dire
Blaine, vedendo Kurt saltare in piedi, preso alla sprovvista da
quell’intrusione.
- Cosa vuoi? – chiese
basito – Come hai fatto a salire?
- Mi sono arramp…
cioè sono salito grazie a questa corda –
rispose Blaine, indicando la stessa corda delle luminarie usata da
Rachel e gli
altri per arrampicarsi a loro volta – Io volevo scusarmi per
quanto è accaduto
e volevo, soprattutto, ringraziarti per averci aiutato con
l’idea dello
spettacolo.
- Ah, sì certo –
fece Kurt, dandosi un contegno – E,
comunque, i ragazzi hanno ragione: hai molto talento. Sono sicuro che
farai un ottimo
lavoro. Ma credo che sia meglio ritirarci –
continuò, sentendosi leggermente in
imbarazzo in quel momento – domani sarà una
giornata importante. Se vuoi
evitare di scendere per quella corda puoi passare dal boudoir.
Vedendo Kurt girarsi per scendere,
Blaine prese il coraggio
a due mani e lo fermò desideroso di fargli quella domanda
che gli stava dando
il tormento da quando si erano lasciati la prima volta.
- Aspetta –
esclamò, facendo voltare Kurt che lo guardò
senza nascondere una vena di impazienza – Prima, quando
noi…
“Noi” cosa? Cosa potevo dire?
Come potevo spiegare quello che era
successo tra noi in quei pochi minuti? Ancora non lo capivo appieno.
Permettimi
di correggermi.
- Quando hai pensato che fossi il
Duca Sebastian, hai detto
di esserti innamorato di me e… volevo sapere se…
- Se stessi recitando? – lo
anticipò Kurt, riprendendo la
sua aria sicura e spavalda.
- Sì – disse
Blaine desideroso e, al tempo stesso, timoroso
di sentire la risposta.
- Ovvio – si
limitò a rispondere Kurt crudelmente.
Quella tenue luce di speranza che
aveva illuminato gli occhi
di Blaine venne spazzata via dalla realtà di quelle parole
ed offuscata
dall’imbarazzo e dalla delusione. Il ragazzo rimase in
silenzio, non sapendo
che fare e, nel vedere il suo smarrimento, Kurt non se la
sentì di infierire.
- Blaine, ma lo hai capito chi sono?
– disse, avvicinandosi
di nuovo alla panca – Sono uno che viene pagato per far
credere agli altri
quello che vogliono credere.
- Già –
riuscì a dire Blaine, con voce debole ma cercando di
dare l’impressione di essere divertito – Che
sciocco sono stato a pensare che
potessi… interessarti ad uno come me.
- Se ti può consolare
– continuò Kurt con leggerezza – io
non posso innamorarmi di nessuno.
- Non puoi innamorarti! –
esclamò Blaine sconvolto, non
potendo credere ad una cosa così… contro natura
– Ma una vita senza amore è
terribile!
- Sei serio? –
replicò Kurt, trattenendo una risata di
scherno per poi innervosirsi per quella frase che, alle sue orecchie,
suonava
come una presa in giro nei suoi confronti se non un rimprovero
– Quanto si vede
che hai vissuto nella bambagia e non hai dovuto sopportare quello che
io ho
subito. Sai cos’è veramente terribile? Vivere in
mezzo alla strada, senza una
casa tua, chiedendo l’elemosina, rubando o peggio per poter
mangiare un pezzo
di pane. Tieniti per te queste romanticherie poetiche, per favore.
Ogni volta che si trovava con lui,
Blaine trovava difficile
parlare e in quel momento sentiva di più quella
difficoltà riconoscendo le sue
ragioni e la verità delle sue parole. Eppure, per quanto
potesse dargli
ragione, per quanto potesse comprendere, sentiva il bisogno di esporgli
a sua
volta le sue ragioni.
- Non puoi pensarlo davvero
– disse, lasciando Kurt di
stucco – Mi risulterebbe difficile crederci. E’
vero, la vita è difficile e
dura ed è più che legittimo desiderare di viverla
senza patire la fame e la
miseria ma non puoi dire che vivere senza amore non è
altrettanto terribile.
Puoi vivere nel più ricco dei palazzi, ma senza amore ci
sarà sempre qualcosa
che ti rende incompleto perché è questo
l’amore: una parte di noi stessi.
- Una parte che, probabilmente, in me
manca vista quanto
poco mi tocchino le tue parole – disse Kurt, tornando a
sedersi sulla panca –
Quindi torno a ripetertelo: non sprecare il fiato.
Incoraggiato da quel gesto, Blaine
prese posto sulla panca
di fronte a quella di Kurt; con quel suo sarcastico rifiuto di
ascoltare
sembrava quasi sfidarlo e se c’era una cosa che veramente gli
piaceva era
l’affrontare una sfida quando gli si presentava. Era pronto a
rispondere.
- Permettimi di continuare e,
tranquillo, per me questo non
è sprecare il fiato. Se vuoi la mia opinione…
- Non credo di volerla – lo
interruppe Kurt ridacchiando.
- Poniamo il caso che tu la voglia
–Blaine non si arrese – Se
vuoi la mia opinione, dicevo, anche tu sai cos’è
l’amore.
- E cosa te lo farebbe pensare?
– chiese Kurt incuriosito e
divertito.
- Le tue stesse parole, il modo in
cui hai parlato dei due
innamorati separati.
- Per favore, stavo solo cercando di
allungare il brodo
dello spettacolo, come tutti gli altri.
- Ma ho sentito bene il suono di
quelle frasi, il tono che
hai usato, la luce che ho scorto nei tuoi occhi…
- O Dio! –
esclamò Kurt, scoppiando a ridere – Devo farti i
complimenti per la tua fervida immaginazione, sono certo che farai
strada nel
campo della scrittura.
- L’immaginazione si nutre
sempre della realtà che l’occhio
vede. Quindi, se anche ho ingigantito quanto credo di aver visto, sono
certo di
non sbagliarmi.
- Senti, Blaine, finiamola con i giri
di parole; perché te
la stai prendendo così a cuore? Non ti sarai innamorato di
me?
Non aveva posto quella domanda con
serietà anzi si sarebbe
aspettato una risata come risposta; invece alla sua ironia
seguì un silenzio
interrotto da un breve singulto. Tornò a fissare Blaine e lo
vide con le guance
arrossate e la bocca che si apriva e si chiudeva senza emettere alcun
suono.
- Ti prego, dimmi che non
è vero – scoppiò a ridere Kurt
lasciandosi andare disteso sulla panca – Tu sei innamorato di
me?
- Io… ecco, non lo so. Non
credo.
- E allora finiamola con questi
giochi – continuò Kurt ancor
ansimante per le risate Penso di aver capito cosa vuoi.
Trasformando abilmente il suo riso in
un sorriso, lo stesso
che gli aveva mostrato quando lo credeva Sebastian, il ragazzo si
alzò dalla
sua panca e, ancheggiando in modo esplicito e vistoso, si
avvicinò a quella di
Blaine accomodandosi accanto a lui, talmente vicino che le loro gambe
si
toccavano e i loro respiri si mischiavano in un unico fiato.
- Con me puoi parlare apertamente
– sussurrò lasciando
scivolare un dito lungo la fila di bottoni della camicia di Blaine
– Se vuoi
possiamo trascorrere veramente la nostra “seratina”
iniziata per sbaglio anzi,
visto che lavori per lo spettacolo dal Moulin Rouge, per te si
tratterebbe di
un bel servizio gratuito. Allora, cosa ne pensi? E’ questo
che vuoi, vero?
Stava fingendo di nuovo, non era lui;
questo Blaine lo capì
subito. Quando Kurt gli si fece più vicino si
sentì pervadere da un senso di
fastidio che lo spinse ad alzarsi e ad allontanarsi lasciando il
ragazzo più
perplesso di prima.
- No, scusami – disse
Blaine – Non è questo che voglio, no.
“Rispetto”, necessaria
avvisaglia dell’amore.
- Non andrai molto lontano con questo
tuo romanticismo –
fece Kurt rilassandosi sulla panca – Fossi in te mi darei una
svegliata.
In quel momento la
curiosità divenne reciproca, anche se in
modi e quantità diverse in ciascuno dei due; il trovarsi
davanti un essere dai
mille volti ed un altro dai modi nuovi e imprevedibili, il primo
stuzzicato dal
comportamento diverso del secondo, il secondo desideroso di sfilare dal
viso
del primo ogni sua maschera, una ad una, per poter scoprire di nuovo la
realtà
che aveva solo intravisto.
- Cosa devo capire? –
riprese Kurt – Che veramente ti sei
“innamorato”
di me?
- Non lo so. Potrei innamorarmi se me
lo lasci fare –
rispose semplicemente Blaine.
- Certo che sei proprio strano
– rise Kurt ma nella sua
risata non c’era traccia di scherno e si placò
subito per essere sostituita da
una leggera rassegnazione – E mi dispiace molto per te visto
che ti toccherà
restare col cuore “gonfio d’amore” o
spezzato o tutti e due.
- Potrei evitare questa
“terribile” evenienza col tuo aiuto.
- Cosa vuoi dire?
- Tu mi permetti di innamorarmi di te
ed io proverò a farti
innamorare di me.
Kurt non scoppiò a ridere
come avrebbe voluto fare; non
riuscì né a dire né a fare niente
tanto quella proposta lo sconcertò. Con un
moto di stizza si alzò e fece per attraversare il terrazzino
e scendere.
- Fammi il favore di smetterla con
queste stupidaggini e,
per favore, adesso vattene.
- Che c’è?
– fece Blaine sperando di calmarlo
rivolgendoglisi con un tono allegro – Hai paura che io riesca
a convincerti.
- Per favore, ti ho detto smetterla!
– esclamò Kurt
voltandosi verso di lui – Sono abituato ad aver a che fare
con persone che
fanno di me ciò che vogliono ma non lascio che ci si prenda
gioco di me in
questo modo.
A quello scatto accorato, Blaine si
vergognò delle sue
parole e provo una fitta allo stomaco nel sentirsi addosso lo sguardo
acceso di
Kurt.
- Scusami –
mormorò – Non volevo offenderti. Ma su quanto ho
detto ero serio; questo devi concedermelo –
terminò con un moto di orgoglio.
- Bene, te lo concedo –
disse Kurt, scosso da quelle ultime
parole – Ma non cambia niente.
- Sì, invece. Lasciamelo
fare, non ti costa nulla, non hai
nulla da perdere…
- Al contrario, ho molto da perdere.
Sin da quando ero
piccolo ho dovuto imparare a non fidarmi e a non legarmi troppo a
nessuno; era
la mia unica difesa contro un mondo che non mi ha dato niente, ecco
perché so
essere così falso e, se occorre, anche crudele e non posso
certo dolermi di ciò
che sono. Non nego che, qualche volta, mi sia capitato di immaginare di
avere
una vita come tutti la vogliono… con accanto qualcuno da
amare. Ma non è una
vita per quelli come me.
- Come fai a dirlo? Se tu la
vuoi…
- Se anche la volessi è
impossibile che io trovi qualcuno
disposto a starmi accanto.
- Ma, scusa, ed io?
- Non dubito che i tuoi sentimenti
siano sinceri ma quanto
dureranno? Prima o poi, ti passerà questa sbandata, te ne
andrai e a me non
resterà niente se non un oceano di illusioni infrante.
- No… no, io…
- Blaine – disse
definitivamente Kurt – E’ meglio se te ne
vai.
E senza aspettare un possibile saluto
o una richiesta di
qualunque genere, il ragazzo si voltò e scese le ripide e
strette scale con
passo fluido ma, arrivato al balcone, la mano di Blaine lo
fermò, afferrandolo
per il braccio e costringendolo a voltarsi.
- Non sperare di mandarmi via
così – disse con decisione –
Ti prego, lasciamelo fare. Non ti chiedo di farlo per me, ma per te.
Ormai stufo di quella storia, Kurt si
svincolò dalla presa
e, colto da un’idea, atteggiò le labbra ad un
sorriso malizioso.
- Bene – disse –
Allora voglio metterti alla prova. Vediamo
quanto è forte questo tuo “sentimento”;
io deciderò se darti o meno questa
possibilità e tu dovrai aspettare su questo balcone, senza
muoverti e senza
salire sul terrazzo ma non è un obbligo: se pensi che non ne
valga la pena
potrai scendere per dove sei salito e allora io avrò avuto
ragione su di te.
Il balcone era molto piccolo e non
permetteva molto
movimento e i gradini erano così stretti che stare seduti
sarebbe stato molto
più faticoso che stare in piedi e la cosa a Kurt non
dispiaceva per nulla,
soprattutto se in palio c’era l’espressione stupita
di Blaine, rimasto senza
parole.
- Ah, e per inciso –
continuò Kurt rientrando nel boudoir –
io impiego molto, molto, molto tempo per decidere. Ti auguro una buona
notte,
Blaine.
E, strizzandogli un occhio, chiuse le
ante in vetro del
balcone e si immerse nel tepore della stanza lasciandosi alle spalle
l’aria
fresca della notte e Blaine.
Sentiva il bisogno impellente di
dimenticare quanto prima le
parole di Blaine per smorzare sul nascere qualunque involontario moto
di speranza
(ma poi, speranza in cosa?) che sarebbe stata solo causa di inutile
malessere.
Evitando di voltarsi verso il balcone, afferrò un grappolo
d’uva e si gettò sul
letto; solo in quel momento, mentre la morbidezza del materasso lo
inondava
piacevolmente, si accorse di essere rimasto con i muscoli in tensione
per tutto
quel breve tempo passato con Blaine.
“Basta con queste
stupidaggini” pensò.
Gustandosi
i dolci
acini d’uva, Kurt si rilassò e, dopo un
po’, si arrese alla stanchezza
accumulata e si addormentò.
Si risvegliò con in bocca
il sapore fastidioso dell’uva che
stava già digerendo, si sgranchì facendo rotolare
per terra uno dei cuscini che
aveva sotto le spalle e, incespicando tra le lenzuola, si
trascinò verso il
tavolinetto, prese la bottiglia di champagne e ne bevve una lunga
sorsata.
Quando la fragranza pungente della bevanda ebbe coperto quello
disgustoso
lasciato dal cibo, gettò lo sguardo su un piccolo orologio
in ebano intarsiato:
tra la selva immota di fiori, foglie e cherubini di legno, le lancette
indicavano le quattro e mezza. Erano trascorse un bel po’ di
ore da quando…
Si voltò verso il balcone,
diviso tra la curiosità e una
leggera ansia.
Non c’era nessuno.
“Lo sapevo”
pensò, facendo per gettarsi nuovamente sul
letto, ma si bloccò quando vide un piede spuntare dalle
scale. Pieno di
sbalordimento, andò verso le ante del balcone e le
aprì; disteso in modo
scomposto, le braccia cinte intorno ai fianchi, c’era Blaine
mezzo intontito
dal sonno che lo fissò con sguardo spento e stanco.
- Non so sei più testardo
o più stupido – disse Kurt – Dai,
entra – concluse aiutandolo ad alzarsi e portandolo nel
boudoir.
Lo fece sedere sul letto e gli porse
un bicchiere di
champagne, per poi sedersi accanto a lui. Aveva avuto una conferma, non
quella
che si aspettava, ma pur sempre una conferma.
- Allora, ci tieni davvero a
dimostrare che hai ragione? –
constatò.
- Veramente, credo di tenere di
più a te – mormorò Blaine,
la voce arrochita dall’aria fredda della notte.
- Senti senti –
ridacchiò Kurt, stavolta lusingato e
intenerito dalle parole del ragazzo – E cosa ti piace di
più di me?
- I tuoi occhi – rispose
Blaine senza esitazione.
La risposta sbalordì non
poco Kurt.
- In genere sono l’ultima
cosa che gli altri vedono di me –
disse malinconicamente poi, colto da uno sprazzo di divertimento
infantile, si
coprì gli occhi – Di che colore sono? –
domandò.
- Sono un misto di azzurro e verde,
non saprei nemmeno
trovare un termine per definirlo – rispose prontamente Blaine
poi, coprendosi
gli occhi a sua volta, aggiunse – Adesso indovina tu il
colore dei miei occhi.
A quella domanda inaspettata Kurt
sgranò gli occhi non
sapendo come rispondere; al sorriso divertito di Blaine
reagì con una risata
liberatoria e sincera. Non ricordava di aver mai riso così
di gusto in vita
sua. Né di aver mai visto degli occhi dal colore
bruno-dorato come quelli del
ragazzo davanti a lui.
- Bene – riprese quando si
furono calmati – Sei libero di
capire i sentimenti che ti smuovono tanto e anche di provare a
convincermi e a
farmi cambiare idea. Però ti avverto: sono un amante
difficile e capriccioso,
sono abituato a ricevere molto e a dare poco e, cosa più
importante, ho bisogno
di essere libero, non dovrai assolutamente obbligarmi a fare cose che
non
voglio e non dovrai mai impedirmi di fare ciò che voglio.
Non ti renderò in
alcun modo le cose facili, sappilo. Sei disposto ad accettare tutte le
mie
condizioni?
- Sì, ad ogni condizione
che vorrai pormi – acconsentì
Blaine senza esitazione, col cuore gonfio di felicità e con
un germoglio di
sentimento che stava iniziando a fiorire dentro di lui.
- Adesso, se vuoi puoi baciarmi. Non
è così che si fa? –
fece Kurt avvicinandoglisi per baciarlo sulle labbra; ma, in mezzo a
tutte le
stranezze di Blaine avrebbe dovuto aspettarsi anche quella: il ragazzo
si
allontanò come se avesse avuto timore di essere morso.
- Scusami –
sussurrò – Vorrei tanto baciarti, più
di ogni
altra cosa ma non così, non come se fosse un obbligo da
parte tua. Vorrei, anzi
voglio che tu mi baci perché sei tu a volerlo.
Kurt non era abituato a ricevere quel
rispetto che Blaine
gli stava elargendo così generosamente e non avrebbe potuto
in alcun modo
lamentarsi visto che, tecnicamente, il ragazzo si stava attenendo alle
sue
condizioni. Si tirò indietro a sua volta e si
piegò su se stesso non sapendo
cosa fare; notando il suo imbarazzo, Blaine si alzò pronto a
togliere il
disturbo.
- Credo che andrò, adesso,
si è fatto tardi. Magari domani
parliamo più tranquillamente – disse, dirigendosi
nuovamente verso il balcone –
Penso che scenderò dal tetto; non è
così che si fa? – concluse ammiccando.
Kurt lo lasciò fare ma,
quando sentì il rumore delle ante
che si aprivano, si alzò e gli corse incontro.
- No, dai! Resta ancora un
po’ – disse afferrandolo per il
braccio.
E non aggiunse altro; rimasero
semplicemente a fissarsi con
aria imbarazzata con un mezzo sorriso in volto. Alla fine, fu Kurt a
prendere
un’iniziativa definitiva.
- So già che mi rovinerai
gli affari – disse, facendoglisi
più vicino – E questo te lo do perché
voglio dartelo.
E Kurt colmò la distanza
tra di loro e lasciò che le loro
labbra si accarezzassero, senza approfondire il contatto, godendo della
semplicità di quel gesto così pulito.
Per Blaine fu come bere da un calice
che aveva atteso a
lungo e riusciva solo a pensare che quel calice aveva delle labbra
morbidissime.
E quella fu la prima volta in cui
Kurt non sentì la
necessità di fingere: mentre lo baciava stava sorridendo.
* * *
- Finn! Entra dentro! Non fare
l’idiota!
Rachel impuntò i piedi sul
pavimento nel disperato tentativo
di tenere fermo un fin troppo ubriaco Finn che si stava sporgendo
pericolosamente dalla finestra; sembrava molto interessato a qualcosa
che stava
succedendo davanti a lui, al Moulin Rouge o, più
precisamente, all’ “Elefante”.
- Quei due si innamoreranno, te lo
dico io – biascicò il
ragazzo, la voce impastata e lo sguardo illuminato.
Nota
dell’autore:
Per me questa è la prima
di una lunga serie di “prove del
nove”, ovvero “capitoli nei quali investo
tantissimo”. Certe cose le prendo
troppo di petto, è vero.
Da qui in avanti la storia entra nel
vivo, come tutti
saprete.
Ringrazio tutti coloro che continuano
a leggere e hanno
inserito questa mia fanfiction tra le preferite, le seguite e le
ricordate. E
per qualunque aggiornamento, domanda o altro, questo il link della mia
pagina
ufficiale: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
Ciao a tutti.
Lusio
|
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Capitolo 7 *** One Day I'll Flay Away ***
One Day I’ll Fly Away
Quel semplice pezzo di carta, quel
contratto rappresentava
il risultato di anni di fatica e di lavoro per Will Schuester, uomo
dalle
grandi aspirazioni, partito da zero, con pochi soldi in tasca ed una
sola
pietra dalla quale era venuto fuori il Moulin Rouge, un semplice locale
all’inizio, poi uno dei centri più famosi e
conosciuti della nazione (che
avesse una pessima reputazione aveva ben poca importanza) e adesso un
teatro.
Niente più spettacoli da cabaret e spogliarelli, ma
spettacoli veri e propri,
drammi, commedie, vaudeville; il Moulin Rouge sarebbe stato ricordato
per
sempre come il “Teatro dei Bohèmien” e
tutti i suoi ragazzi avrebbero potuto
avere un futuro migliore.
Col cuore in gola per la contentezza,
ma mantenendo un’aria
composta, avvicinò il contratto ed una penna al Duca
Sebastian Smythe seduto di
fronte a lui, nel suo “ufficio”, ex-ripostiglio per
gli oggetti di scena; era
presente, in piedi dietro il suo padrone, silenzioso ed inquietante,
Nick il
servitore del Duca.
- Bene, mio carissimo Duca
– incominciò – Adesso che avete
un quadro ampio di tutto, non vedo alcun motivo per rimandare oltre la
vostra
firma per la vostra gentile concessione.
- Certo Schuester – disse
Sebastian, la voce roca e sicura
come sempre – Ma avrete certamente notato che la somma
richiesta è una cifra
non indifferente e, come vi ho detto, non sono solito buttare via il
mio
denaro; voglio quindi avere la sicurezza che non andrò a
rimetterci. Ecco,
quindi le mie condizioni: esigerò un diritto sulla
proprietà, nel nostro caso
sul Moulin Rouge…
- Perdonatemi Duca ma… -
lo interruppe Will, allarmato da
quell’imposizione, per poi venire interrotto a sua volta.
- Dite pure che è per
sfiducia, che sono un malfidato, non
mi interessa; sto solo salvaguardando i miei interessi e se, per caso,
farete
anche un solo “scherzetto”, il mio servitore, Nick
– indicò la figura dagli
occhi di ghiaccio dietro di lui – vi insegnerà
come si portano avanti questi
affari nel solo modo che voi, gente di spettacolo, riuscite a capire.
Di fronte alla calma con la quale
erano state dette quelle
parole, Will sentì il sangue gelarglisi nelle vene.
- Tutto questo è
già nel contratto. E c’è un altro punto
importante: la mia e la vostra firma su questo contratto
legherà Kurt Hummel a
me; dopo il vostro spettacolo d’apertura sarò io
ad occuparmi della sua
carriera. Non dovete preoccuparvi; lo farò diventare un
grande attore ed io
sarò il suo mecenate. Chiedo solo di avere l’
“esclusiva” su di lui, in tutti i
sensi. Spero di essere stato chiaro.
- Chiarissimo – si
affrettò a rispondere Will.
- Forse potrei sembrarvi possessivo o
geloso ma non è così.
Semplicemente non sopporto che altri tocchino le mie cose.
Will non seppe se essere
più disgustato da quelle parole o
sconvolto dal tono calmo col quale erano state dette anzi, la voce di
Sebastian
aveva mantenuto il suo calore come se non avesse smesso un istante di
parlare
con un amante. Non poteva negarlo: tutto in quel duca lo spaventava;
non osava
immaginare in quale possibile trappola stava spingendo Kurt. Ma non
c’era solo
lui in tutto questo; c’era in gioco l’avvenire di
tante altre persone che
avevano dato il massimo di loro per giungere a quel punto e tornare
indietro
avrebbe significato il fallimento e la miseria per tutti, soprattutto
dopo le
condizioni di Sebastian. Forse, sarebbe bastato solo tenerselo buono;
sembrava
molto ben disposto nei confronti di Kurt quindi non c’era da
preoccuparsi.
Eppure, quando firmò,
sentì un fastidioso peso al cuore,
invece Sebastian, non appena ebbe firmato a sua volta,
allargò ancora di più il
suo sorriso.
* * *
Will comunicò, tra la
gioia e l’esultanza generale, le
innovazioni che i finanziamenti del Duca Sebastian avevano comportato,
evitando
di riferire i particolari delle condizioni da lui poste riguardo il
diritto
sulla proprietà e, soprattutto, riguardo Kurt.
Grazie al denaro offerto dal Duca
avrebbero potuto pagare
non solo le spese per le scenografie, i costumi e tutto il necessario
per lo
spettacolo ma anche quelle per la sistemazione della pista da ballo per
renderla un teatro vero e proprio. Non era stata ancora decisa una data
precisa;
tutto era lasciato ai tempi di preparazione dello spettacolo e
dell’allestimento ma con la manodopera dei costruttori
assunti da Sebastian e
la forza di volontà di tutte le ballerine e ballerini e
delle cantanti di punta
del locale, tutto sarebbe stato pronto in un mese o poco
più. Una bella sfida
per tutti, soprattutto per Blaine a cui spettava il compito di scrivere
e
dirigere lo spettacolo. Tra bozze e parti aggiunte man mano,
poté dare
indicazioni per ruoli, scenografie e costumi ed una prima scena
introduttiva
completa. Per il resto, si sarebbe rimboccato le maniche e avrebbe
portato lo
spettacolo completo quanto prima.
Le parti principali furono subito
assegnate; ognuno poteva
già fare la sua parte in quel progetto.
Anche Kurt. Soprattutto Kurt.
“Angelo di Diamante” e
“Principe Indiano”, ma anche “ragazzo di
piacere”; quest’ultimo ruolo, al
momento, era quello che richiedeva più attenzione, come
anche il Duca
Sebastian.
Dopo che Will ebbe fatto
l’annuncio a tutti, chiamò da parte
Kurt e gli disse che Sebastian voleva parlargli nel suo vecchio
camerino. Non
c’era molto da capire e questo Kurt lo sapeva.
Odiavi quello che facevi, in seguito l’ho
capito. Per te era solo un
modo di sopravvivere. Se ne avessi avuta la possibilità,
forse, avresti deciso
di vivere diversamente la tua vita.
Il suo camerino, sebbene fosse il
migliore, non era molto
grande ed era diverso dagli altri perché era singolo mentre
gli altri erano
usati in comune da più gruppi; ma l’aspetto e lo
stile arrangiato del luogo
sembrava non interessare a Sebastian, tranquillamente seduto su una
delle due
sedie che c’erano come se si fosse trattata della poltrona di
un salotto,
perfettamente a suo agio, con il canarino Farinelli silenzioso nella
sua
gabbietta. Quando Kurt entrò, Sebastian si alzò
galantemente.
- Buongiorno – lo
salutò con un inchino.
- Mio caro Duca è un
piacere rivedervi – fece Kurt di
rimando.
- Vi prego, chiamatemi per nome e
spero che anche voi mi
permettiate di fare lo stesso… Kurt – concluse
senza spettare il permesso.
- Naturalmente Duc…
Sebastian – disse Kurt, pronunciando
quel nome come se fosse stata una carezza.
Nel sentirlo, nel vederlo, Sebastian
gli si accostò con aria
cupida, senza staccargli gli occhi di dosso; Kurt, abituato a simili
sguardi,
lo lasciò fare anzi iniziò ad accarezzarsi una
gamba col dito medio cercando di
sembrare intimidito ma ostentando una velata malizia.
- Schuester vi ha comunicato i piani
per lo spettacolo? –
domandò Sebastian tranquillamente, portandosi davanti al
ragazzo.
- Sì e sappiate che non
potremo mai esprimervi appieno la
nostra gratitudine, io e tutti gli altri.
- Oh, sono sicuro che sicuro che
potrete col successo che
avrà il vostro spettacolo e, credo, che voi avrete molte
altre occasioni per
dimostrarvi la vostra gratitudine, non credete? – fece
sfiorandogli una ciocca
di capelli che gli ricadeva sulla fronte.
Approfittando del gesto, Kurt gli si
avvicinò ancora di più
con il viso ma arretrando col resto del corpo fino a scontrarsi col
muro
permettendo a Sebastian un “accesso dominante”; non
si sbagliò, era proprio
quello a cui il giovane aristocratico puntava. La già poca
distanza tra loro fu
colmata e rimase solo un velo d’aria a dividerli.
- Non chiederei di meglio, Sebastian
– disse Kurt, giocando
sfacciatamente con quel nome.
- Credete veramente che una lunga
attesa possa rendere
qualcosa ancora più bello?
Quella domanda riportò
alla mente di Kurt il suo frettoloso
tentativo dell’altra sera; in quel momento non aveva pensato
seriamente alla
cosa in sé e adesso non sapeva se essere contento o no di
quello stratagemma.
Non era un conoscitore dell’animo umano ma era abbastanza
esperto sulla
mentalità di certi uomini e capì al volo quello
che passava per la mente di
Sebastian. Un velato desiderio che tutto finisse subito, forse dettato
dall’atmosfera eccitante che si stava creando, gli fece quasi
rispondere con un
secco “no” ma, alla fine di un veloce calcolo, il
capire che mantenerlo sulle
spine sarebbe stato molto più vantaggioso e, per un istante,
quasi
inconsapevolmente, il ricordo delle parole di Blaine, lo fece
propendere per
un’affermazione.
- Sì, lo credo –
caricò quelle semplici parole di una forte
emozione, pronunciandole con un sussurro.
- Molto bene – disse
Sebastian, la voce più roca del normale
– Allora credo che il nostro sodalizio sarà
veramente piacevole. Ma fino ad
allora – continuando con lentezza ed esplorando ogni punto di
quella carnagione
bianca con le sue dita ardenti – nulla ci impedisce di
continuare ad
incontrarci.
- E cosa gradireste fare durante
questi nostri incontri? –
la distanza tra loro non esisteva più.
- Desidero
“assaggiare” ciò che mi viene offerto.
Le dita di Sebastian scesero lungo il
collo di Kurt fino al
primo bottone della camicia che indossava, sganciandolo; lo
sentì fremere
deliziosamente e il gemito strozzato che lo sentì emettere
gli mandò la mente
in estasi. Sganciò poi il secondo bottone, poi il terzo, poi
il quarto
scoprendo, piano piano, la fossetta della gola, il petto liscio e
leggermente
scolpito. Trattenendo il fiato, gli afferrò l’orlo
laterale della camicia
sbottonata a metà e gliela abbassò liberando una
spalla tremante ed un
pettorale sviluppato sul quale faceva bella mostra di sé,
sfiorato dalla
stoffa, un roseo capezzolo.
Quando il suo sguardo bramoso
incontrò di nuovo quello
sottomesso di Kurt, con i suoi occhi lucidi, Sebastian capì
di desiderarlo
davvero, come non aveva mai desiderato qualcuno.
Gli afferrò la vita
facendo scontrare i loro bacini e
affondò il viso nell’incavo del suo collo
respirando a pieni polmoni il profumo
che emanava; assaporò la morbidezza di quella carne
leccandola fino alla spalla
che, in uno scatto di desiderio, morse delicatamente.
Stupito ed eccitato da quegli scatti
appassionati, Kurt si
lasciò andare a quella morsa rovente lasciandosi sfuggire
morbidi gemiti ai
quali si unirono quelli frementi di Sebastian che, lasciata la spalla
ormai
rossa e umida di saliva, scese fino al capezzolo delineandone i
contorni con la
punta della lingua rendendolo duro e teso; con un gemito ancora
più forte lo
morse leggermente ed iniziò a succhiarlo con
voracità e strappando a Kurt un
urlo di piacere.
Alla fine, Sebastian si
staccò dal capezzolo di Kurt e,
ormai giunto alla fine della sua resistenza, lo girò di
spalle e lo premé con
violenza contro il muro, facendolo gemere di dolore; con una violenza
maggiore
gli si avventò contro, premendo il suo membro eccitato
contro i glutei sodi del
ragazzo e iniziando a muoversi freneticamente e in modo sempre
più scomposto,
quasi urlando per il piacere, continuando a far scorrere le mani lungo
quel
corpo che lo stava facendo impazzire di desiderio. Continuò
a spingere finché,
con un verso strozzato, si lasciò andare contro Kurt,
anch’egli ansimante e
arrossato.
Nel camerino si sentì solo
il cinguettio spaventato di
Farinelli.
Abbandonando le sue sembianze di
pantera, Sebastian tornò a
strusciare il viso con molta più lentezza e piacere, lungo
il collo e la nuca
di Kurt, emettendo dei sospiri di piacere.
- Siete così dolce
– ansimò voltando verso di sé il viso
di
Kurt e baciandolo languidamente sulle labbra e accarezzandogliela con
la lingua
– Oh, Kurt.
E Kurt lo lasciò fare
perché quello era il suo compito.
* * *
- Sentite, non credo di essere in
grado di memorizzare delle
battute così difficili – si lamentò
Finn, sfogliando le pagine dove Blaine
aveva segnato alcune battute per lui.
- Hai scelto tu di fare il Sitar
magico – disse Rachel,
intenta a preparare il pranzo su un piccolo fornellino –
Dovevi capirlo subito
che sarebbe stata una della parti più importanti.
- Sì, ma il problema
è questo stile troppo… non so come
dire… troppo esagerato.
- Trattandosi di uno strumento
musicale – intervenne Blaine,
intento a scrivere freneticamente, alla macchina da scrivere, scene e
battute
che aveva ideato con l’intento poi di strutturarle e
ordinarle – ho pensato che
fosse giusto farlo parlare in modo poetico.
- Accidenti! –
sbuffò Finn – Ci impiegherò
un’eternità per
impararle tutte.
- Almeno le tue battute le hai
già; io devo ancora vederle
su carta – disse Rachel, lanciando un’occhiataccia
a Blaine.
- Un po’ di pazienza
Rachel, sto pensando anche alla tua
parte – le rispose il ragazzo; a dire il vero, non era mai
riuscito a scrivere
così facilmente come in quel momento; gli bastava stare in
compagnia di Finn e
Rachel o degli altri per tirare fuori un personaggio con tutte le sue
caratteristiche e le sue sfaccettature, come un sitar un po’
scordato che
riusciva a tirar fuori le sue perle di saggezza o una califfa
capricciosa con
una grande voce. Eppure continuava a sfuggirgli il Principe Indiano;
aveva
descritto in poche ore le pene d’amore del Suonatore di sitar
squattrinato e
anche la sua dichiarazione al principe, ma quest’ultimo
rimaneva una figura
muta, fredda come una statua, persa su uno sfondo. Riusciva
a vedere i contorni del suo viso, la
ricchezza dei suoi gioielli, i fini ricami dei suoi abiti esotici, la
maschera
che mostrava alla Califfa, ma non trovava la sua essenza.
Cosa dice il Principe Indiano al suo Suonatore di
sitar? Dimmelo Kurt.
Dopo qualche momento si
sentì bussare; Finn andò ad aprire e
fece il suo ingresso Kurt; non aveva addosso uno dei suoi abiti
eccentrici
anzi, era vestito in maniera sobria e sulla pelle non c’era
alcuna traccia di
fondotinta, era lui semplicemente. Quando lo vide, Blaine
sentì il cuore
traboccargli di gioia.
- Kurt – lo
salutò Rachel – Cosa c’è? Sei
venuto a trovarci
nei bassifondi?
- Ho sentito Puck, Sam e Mike dire
che avrebbero mangiato
alla locanda visto che oggi cucinavi tu ed era curioso di sapere quanto
è
tremenda la tua cucina – rispose spiritosamente Kurt,
causando una reazione
offesa da parte della ragazza che iniziò ad inveire contro i
suoi denigratori.
- Sfida la sorte, allora, e resta a
pranzo – lo invitò Finn
dandogli una pacca sulla spalla.
- Non ti aspettare un pranzo da re
– lo avvisò Rachel.
- Tranquilla, conosco i tuoi standard
– scherzò Kurt; vide
Blaine in piedi al centro della stanza che lo guardava emozionato e lo
salutò –
Ciao Blaine.
- Ciao Kurt.
Quella piccola intesa non
sfuggì a Finn che, per certe cose,
aveva occhio.
Quando Rachel ebbe finito di
cucinare, versò la sua minestra
di verdure (allungata con un bel po’ d’acqua) in
quattro scodelle di porcellana
che, sicuramente, avevano conosciuto tempi migliori e, assieme ai tre
ragazzi,
iniziò a sorbire la sua “creazione”,
seduti chi su una sedia chi sul letto di
Blaine (si trovavano nella sua stanza). Non era un capolavoro di
culinaria ma
era comunque buono e la compagnia che si fecero l’un
l’altro rese quel semplice
pasto molto più buono.
Tra le altre cose si ritrovarono a
parlare delle parti che
Blaine aveva già scritto.
- E, non ti dico, a me ha dato una
marea di battute
difficilissime, tipo questa – disse Finn, cercando quella
battuta tra i fogli –
Eccola: “La cosa più grande che tu possa imparare
è amare e lasciarti amare”.
- E’ una frase molto bella
– disse Kurt – Da dove l’hai
tirata fuori, Blaine?
- L’ho ricavata da una
citazione di un poeta latino*, solo
che la sua versione diceva: “Non ti chiedo di amarmi, ma di
lasciarti amare”.
Io ho voluto calare la mano sull’uguale importanza di amare e
di lasciarsi
amare e ne è venuto fuori questo calco. Anzi, Finn ti
starò col fiato sul collo
finché non la avrai imparata a memoria perché
questa è una delle battute più
importanti.
- E hai già scritto
qualche battuta mia? – domandò Kurt,
sinceramente interessato.
- A dire il vero no –
rispose Blaine, mesto – Sei molto
difficile da scoprire… cioè, il Principe Indiano
è un personaggio molto
difficile da delineare.
- Be’, visto che stiamo
parlando della mia parte e che si
tratta anche di un ruolo da protagonista, potrei trattenermi un
po’ e aiutarti
a scrivere le mie battute. Tanto, con i lavori che stanno facendo al
Moulin
Rouge non ho serate da fare.
Blaine sarebbe voluto saltare in
piedi, prendere Kurt e
riempirlo di baci ma sapeva che non avrebbe apprezzato un gesto
così alla
presenza di Finn e Rachel; tra le altre cose gli aveva chiesto di
mantenere
segreto questo loro… “rapporto”? Non
sapeva come definirlo. Comunque non
dovevano assolutamente lasciar trapelare niente o avrebbero rischiato
molto se
il Duca Sebastian li avesse scoperti. Per questo, Blaine si trattenne
mordendosi le labbra.
Ma Finn colse anche
quell’atteggiamento e venne in aiuto del
ragazzo.
- Allora, dato che siamo in vena di
prove – disse, posando
la sua scodella vuota e facendo lo stesso con quella di Rachel e
prendendo
quest’ultima per un braccio – io e la mia ragazza
ci ritiriamo nella nostra
sala prove. Così mi aiuti un po’ con la mia parte,
Rachel.
- Aspetta –
cercò di liberarsi la ragazza – dovrei lavare le
scodelle prima.
- Ci penserai più tardi
alle scodelle. Adesso andiamo.
E la trascinò fuori dalla
stanza, facendo l’occhiolino ai
due ragazzi, sconcertati da quel siparietto.
Rimasti soli si lasciarono andare ad
una risata liberatoria.
- Che tipi che sono quei due
– esclamò Blaine.
- Sono tra le persone più
buone che io conosca, nonostante i
loro lati negativi e ti assicuro che ne hanno parecchi.
Piombarono nuovamente in un silenzio
fastidioso; si
sentivano peggio di quegli stucchevoli innamorati dei romanzetti del
settecento. Ma entrambi potevano bilanciarsi a vicenda: Blaine con la
sua
timida sicurezza, Kurt con la sua innocente spregiudicatezza.
- Vuoi baciarmi? – chiese
Kurt, confermando la sua
caratteristica.
- Sì – rispose
prontamente Blaine, negando la sua.
Kurt gli si avvicinò, gli
prese il volto tra le mani, lasciò
che i loro nasi si incontrassero e…
- Prima, pensiamo a scrivere le
battute per lo spettacolo –
gli soffiò sulle labbra.
Blaine si lasciò sfuggire
un sorriso e la tensione e
l’imbarazzo che li aveva attanagliati scomparve per non fare
più ritorno, nella
parte più remota dei loro animi, soppiantata da una
confidenza che
preannunciava una radiosa fioritura.
Prese carta e penna ed
iniziò a scrivere, con l’ “Angelo di
Diamante” accanto a sé.
Il Principe Indiano iniziò a parlare al
suo Suonatore di sitar
squattrinato.
Parlarono e scrissero tantissimo quel
giorno, quel tanto che
bastava per iniziare a delineare quella storia che assumeva i loro
tratti,
riflesso di quella storia che loro stessi stavano vivendo da un solo
giorno.
Ripresero tutto quello che si erano detti e lo misero in bocca al
principe e al
suonatore di sitar facendoli vivere davanti ai loro occhi. Erano loro,
il
suonatore innamorato del suo principe freddo e pronto al sacrificio per
il suo
popolo.
Quando il sole iniziò a
tramontare, i due ragazzi si
lasciarono andare sul letto di Blaine, un foglio ed una penna tra le
mani per
segnare qualche altra idea.
- Quindi, secondo te, il Principe non
dovrebbe dire subito
quella frase al Suonatore? – chiese Blaine.
- No – rispose Kurt
– Altrimenti dove andrebbe a finire il
tuo “realismo”?
- E quando gliela dirà?
- Alla fine.
- E come gliela dirà?
Kurt ci pensò un
po’ e, intanto, si avvicinò da più al
ragazzo sdraiatogli accanto.
- “Ti amo e ti
amerò fino al mio ultimo giorno di vita”
–
rispose.
Senza fretta, Blaine
iniziò ad accarezzargli il viso e, con
tutta la delicatezza di cui era capace, iniziò a baciarlo.
- E tu, quando me la dirai?
– gli chiese, con un filo di
voce, a pochi centimetri dalle sue labbra.
- Non oggi – gli rispose
Kurt, la voce incrinata
dall’emozione.
Nota
dell’autore:
*
“Non ut ames oro, verum
ut amare
sinas” (Ovidio, Heroides, XV, verso 96). Non so
se quello che ho detto è
vero ma la frase del film mi ha sempre ricordato questa citazione
latina,
quindi ho deciso di approfittarne e dire la mia a riguardo.
Concedetemelo.
Capitolo semi-originale stavolta, con
tanto di scena Kurtastian
(quei due insieme mi intrigano, devo confessarlo) e approfondimento del
personaggio di Finn. Spero che l’abbiate gradito : D
Per tutti gli aggiornamenti e
qualunque domanda o
curiosità questo è il link della mia
pagina: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
Grazie a tutte le care persone che
continuano a seguirmi.
Lusio
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Capitolo 8 *** Spectacular Spectacular ***
Spectacular Spectacular
I giorni che seguirono furono un
carosello inarrestabile di
prove, lavori, fatica e grandissime soddisfazioni.
Mentre il Moulin Rouge veniva reso
sempre più un vero
teatro, mentre il palco veniva allestito scenicamente e si iniziavano a
fissare
le prime poltroncine per gli spettatori, lo spettacolo prendeva forma,
con la
sua storia, le sue scene, la sua schiera di personaggi. Tutti avevano
un ruolo
da interpretare: Kurt sarebbe stato il “Principe
Indiano” naturalmente, mentre
Rachel e Finn avrebbero impersonato rispettivamente la
“Califfa” e il “Sitar
magico”; alla fine, per il ruolo del “Suonatore di
sitar squattrinato” era
stato scelto Mike mentre Puck sarebbe stato lo
“Stregone”; Sam, invece, aveva
scelto di gestire la musica quindi avrebbe diretto
l’orchestra.
Vista la scelta di inserire anche
delle canzoni per
valorizzare appieno le doti degli attori, erano stati inseriti i
personaggi
delle “Sacerdotesse del Sacro Tempio”, i panni
delle quali sarebbero stati
vestiti dalle stelle del Moulin Rouge, Mercedes, Tina, Quinn, Lauren,
Santana e
Brittany. C’era poi l’atletico Dave Karofsky che
aveva il phisique du role
della “Divinità del Tempio” e gli venne
affiancata un’entusiasta Becky, la
giovane assistente di Carole, nel ruolo del piccolo
“Spiritello benefico”. Sì,
lo spettacolo stava prendendo veramente forma.
Anche Will Schuester avrebbe
partecipato come comparsa (una
delle guardie del Principe) più per supervisionare lo
spettacolo dall’interno
che per altro. Per il resto, tutti gli altri, ballerine e ballerini,
avrebbero
composto il coro di sudditi ed altri.
Certo, non tutto filava liscio; a
cominciare dal fatto che
il copione era in continua costruzione e ciò era fastidioso
per la maggior
parte del cast, c’erano poi i problemi singoli: Mike che ogni
tanto aveva i
suoi attacchi di narcolessia che lo facevano rimanere incosciente per
ore, Finn
che aveva seri problemi a memorizzare le sue battute, Rachel con la sua
abitudine di restare in scena più di quanto richiedesse la
sua parte. Ma si
andava avanti.
Dietro le pagine di quel copione ,
intanto, si stava
formando un altro tipo di storia, più difficile,
più lunga, più vera. I due
protagonisti dovevano tenerla segreta, peccato che intorno a loro ci
fossero
troppi muri con occhi e orecchie; ma non se ne accorgevano, troppo
presi dalla
novità che stavano vivendo. Per loro l’importante
era che il Duca Sebastian non
lo venisse a sapere.
L’ultimo stadio dell’amore
è l’accettazione; quando accetti la persona
amata nella sua interezza e se anche questa persona fa lo stesso con
te, allora
c’è l’amore.
Non so quando fu amore, non so dire il momento
esatto. Semplicemente,
un giorno come gli altri, ti ho visto ed ho capito che volevo solo te e
nessun
altro. E’ molto più difficile per me capire quando
tu hai capito di
ricambiarmi. Ma forse non esiste un momento preciso in cui ci si
innamora; si
segue semplicemente un’evoluzione, o una formazione;
l’amore è un sentimento
che ha bisogno di allenarsi, un po’ come Finn quando
memorizzava le sue
battute. Forse era successo questo.
Tu non mi concedevi nulla e a me stava bene; volevo
solo che rimanessi
con me.
Alla fine, fui io il primo a dire “quella
frase”.
“Oh,
labbra che ridete
sulla mia bocca in sogno,
nell’attendere
l’altro
riso più spaventoso.
Su, presto,
adesso
svegliati. Di’, l’anima è
immortale?”
Dopo aver passato un’altra
giornata a scrivere (mancavano
poche scene per completare lo spettacolo), Blaine e Kurt si erano
raggomitolati
sul letto, come facevano da qui ad un bel po’ di tempo, che
ormai non sembrava
più tanto scomodo. Non facevano nulla di che, semplicemente
appuntavano
qualcosa su fogli volanti, per lo più parlavano, della loro
vita privata, delle
loro aspirazioni, imparando a conoscersi un po’ di
più, o si baciavano e si
stringevano; era quasi sempre Kurt a guidare la situazione, lui la
iniziava,
lui la finiva, lui decideva cosa fare. Quel giorno aveva adocchiato
alcuni
libri che Blaine aveva riposto alla meglio su uno scaffale traballante
e
afferratone uno aveva chiesto al ragazzo di leggerglielo; era un volume
di
poesie di Verlaine.
Blaine gliele lesse tutte, una dopo
l’altra ed ogni volta
che si fermava per riprendere fiato Kurt lo pregava di continuare, la
voce
sempre più incrinata dall’emozione; più
andava avanti, più Blaine leggeva buttando
un occhio sul libro e l’altro sul volto del ragazzo steso
accanto a lui: i suoi
occhi erano vivi e lucidi di lacrime e dalle labbra socchiuse si levava
un
respiro spezzato dai singhiozzi. Gli sembrò così
fragile in quel momento, più
vero e sincero. Era bellissimo.
- Ti amo – gli
uscì con un sussurro.
Kurt rimase impassibile; forse
pensò che Blaine gli stesse
leggendo un’altra poesia. Ad un certo punto si riscosse e,
asciugatosi gli
occhi, fissò il ragazzo con sguardo basito. La sua bocca non
ebbe alcun accenno
di movimento, né sembrò dare
l’impressione di voler dire qualcosa; si limitò a
prendergli la mano e a stringerla.
- Leggimene un’altra, per
favore – disse, tornando a fissare
il vuoto.
E Blaine, continuando a tenergli la
mano, riprese a leggere;
un occhio sul libro e un occhio su Kurt.
“Ecco
qui frutti e
fiori, ecco qui foglie e rami,
e poi ecco
il mio
cuore: batte solo per te.
Non
straziarlo, ti
prego, con le tue bianche mani
E sia
l’umile dono
dolce ai tuoi occhi belli.”*
Ti ho tanto cercato, ti ho inseguito a lungo e
continuo tuttora, come
una falena attirata dalla luce di una lanterna, e non riesco a
prenderti. Mi
sfuggi dalle dita dopo esserti fatto prendere per un solo istante
affinché
potessi sentire quanto erano morbide le tue labbra, il sapore della tua
bocca,
la sensazione della tua lingua, il contatto con la tua pelle e
l’odore di
sudore coperto da uno strato di profumo dopo una giornata di prove.
Baciarti, scrivere sulla tua pelle solleticandoti
con la penna per
sentirti ridere. Rimanendo semplicemente distesi sul letto, abbracciati
e
strofinandoci il volto a vicenda come fanno i gatti; ed io che
aspettavo sempre
che anche tu mi dicesti quella frase. Te la elemosinavo come un bambino.
“Mi ami?”
Tacevi, con un sorriso biricchino dipinto in faccia
e non me la
prendevo perché in te tutto era sincerità,
sincerità solo per me e per nessun
altro. Per gli altri l’ “attore”, per me
“Kurt”.
Te lo urlavo con un sussurro, “Ti
amo”, per farmi sentire da te.
Ascoltami.
Mi senti? Continuo ad urlartelo. “Ti
amo”.
Tutto proseguiva per il meglio: il
Moulin Rouge abbandonava
le sembianze del locale per acquistare sempre più quelle del
teatro, mentre lo
spettacolo si avvicinava alla sua definitiva conclusione; mancava solo
quella
conclusione che tardava ad arrivare, visto che ogni “incontro
di lavoro”
dell’autore con il protagonista terminava sempre con una
nuova scena da
aggiungere.
La cosa non infastidiva nessuno,
tutti erano pronti a sudare
sette e più camice per qualche scena in più ma
c’era qualcuno che da quei
giorni di lavoro non stava guadagnando nulla.
Sebastian aveva molto autocontrollo e
sapeva gestire i suoi
sentimenti e le sue voglie ma qualcosa, anzi qualcuno, stava facendo
vacillare
la sua compostezza e quel “qualcuno” era Kurt, con
il suo corpo e la sua voce e
quegli sguardi che gli donava così generosamente, ma solo
quelli gli concedeva,
assieme a qualche carezza e a qualche bacio che si concludeva sempre
con una
lingua vorace che esplorava la bocca dell’ “Angelo
di Diamante”. Si sentiva esplodere
e il fatto di dover aspettare la sera della prima per averlo lo faceva
morire
dal desiderio.
Non poteva fare altro che aspettare,
stargli accanto il più
possibile per sopperire a quella mancanza e intrattenersi a cena con
lui, nella
“Torre Gotica” che Schuester aveva messo a sua
disposizione, proprio come
quella sera, dopo una lunga sessione di prove estenuanti.
Peccato che Sebastian non avesse
considerato un dettaglio:
quel fastidioso “scrittore” che lo teneva separato
dall’oggetto dei suoi
desideri con quelle maledette scene da scrivere. Ed anche in quel
momento venne
a disturbarli.
- Scusate se vi disturbo –
disse avvicinandosi a loro due
seduti – ma, signor Hummel, ci sarebbe quella scena da
ultimare: “l’incontro
segreto dei due amanti nell’umile capanna del Suonatore di
sitar squattrinato”.
Potremmo lavorarci stasera se non vi è di troppo disturbo.
- Certo che è di disturbo
– disse Sebastian, fulminandolo
con lo sguardo – Io e il signor Hummel abbiamo una cena alla
“Torre Gotica”,
stasera.
- Be’, non è una
scena importante…
- Come osate dire una cosa simile!
– scattò Kurt, alzandosi
e fronteggiando Blaine – “L’incontro
segreto dei due amati” è una delle scene
più importanti dello spettacolo. Ci lavoreremo su fino a
quando non ne sarò
soddisfatto.
- Ma, Kurt… -
tentò di replicare Sebastian.
- Mio caro Sebastian – lo
prevenne Kurt – Perdonatemi, ma
l’arte viene prima di tutto per me, a differenza di certa
gente – concluse
lanciando un’occhiataccia a Blaine e andandosene.
Mai come in quel momento Sebastian
avrebbe voluto afferrare
quel dannato imbrattacarte e ammazzarlo di bastonate, soprattutto
vedendo quel
mezzo sorrisetto che aveva stampato sulla faccia mentre si
“scusava” e si allontanava
nella stessa direzione presa da Kurt. Maledetto!
Mentre scariche di rabbia gli
sfuggivano dai denti serrati,
il Duca si diresse di gran carriera verso Schuester intento a sistemare
gli
ultimi particolari per le prove del giorno successivo e lo
strattonò
violentemente.
- Schuester! Dovete fare qualcosa!
– esclamò.
- Ho già fatto tutto
– replicò Will, colto alla sprovvista –
Ho predisposto per la vostra cena di stasera e…
- Potete strozzarvi voi con quella
cena – lo interruppe
Sebastian, la sua solita compostezza crollata – Kurt non fa
che perdere tempo
con quel tizio che scrive lo spettacolo. Vi avverto, voglio che Kurt
venga da
me stasera, non accetterò alcuna scusa; lo voglio da me
questa sera stessa. Se
volete posso ricordarvi le mie “condizioni” nel
nostro accordo; vedete voi come
regolarvi.
- Sì certo, caro Duca
– fece Will, bianco in volto – Farò il
possibile; Kurt sarà da voi stasera.
Alle parole di Schuester, Sebastian
sembrò riconquistare il
suo fare posato e ritornò a sedersi.
* * *
Soffocando le risate, Kurt e Blaine
uscirono fuori dai
tendaggi, tra i quali si erano nascosti. Non la smisero un secondo di
baciarsi
e stringersi.
- Vieni stasera? – chiese
Blaine, ricoprendo di baci il
contorno delle labbra di Kurt.
- Sì, sì
– rispose il ragazzo, trattenendo a malapena una
risatina – Stasera, alle otto.
- Me lo prometti?
- Sì, ma adesso vai.
- E ti stai innamorando?
- Vai! – esclamò
Kurt, spingendolo via, lasciando che la
risata gli scoppiasse rumorosamente in bocca.
Lanciandogli altri baci con la mano,
Blaine andò via
saltellando goffamente solo per portarsi dietro il suono di quella
risata.
Invece, Kurt si sistemò i capelli e la camicia e,
continuando a sorridere, fece
per andare nel suo camerino; ma la figura di Will che gli si
parò davanti lo
fece arretrare di qualche passo: era scuro in volto, con una rabbia
mista ad
agitazione negli occhi.
- Sei impazzito! –
esclamò Will, con un urlo strozzato –
Come puoi permetterti una simile leggerezza?! Il Duca vanta un diritto
di
proprietà sul Moulin Rouge, sta finanziando il nostro
spettacolo, vuole fare di
te un vero attore e tu che fai? Ti metti ad amoreggiare con lo
scrittore!?
- Will, ma cosa ti viene in mente?
– reagì Kurt con
nonchalance, mostrandosi stupito da quell’affermazione.
- Vi ho visti insieme! Non negarlo
– sbottò Will.
Il sorriso di leggerezza sul volto di
Kurt si infranse e al
suo posto comparve una pallida costernazione.
- E’... è solo
una piccola infatuazione… - si schernì
– Non
è niente… è solo… non
è niente.
- Questa “piccola
infatuazione” deve finire – gli ordinò
duramente Schuester – Vai da Blaine e digli che dovete
smetterla con questi
incontri. Il Duca ti aspetta, stasera. Non possiamo permetterci simili
rischi –
concluse lapidario andandosene e lasciandolo solo.
Solo.
Ancora solo, com’era sempre
stato; non sarebbe cambiato
niente anzi, tutto sarebbe ritornato come prima. Prima di cosa? Cosa
era
successo in quell’ultimo periodo? C’era stato un
cambiamento, lo sentiva,
qualcosa che si era trovato davanti e che lo faceva soffrire al
pensiero di
doversene privare.
Ma cosa gli stava succedendo? Stava
veramente pensando
quelle cose? Sì, le stava pensando, e allora? Non aveva mai
avuto nulla dalla
vita, non aveva niente se non un oceano di sogni; niente da toccare
perché lo
voleva, nessuno con cui parlare semplicemente. No, adesso lo aveva;
Blaine che
lo accarezzava senza farlo sentire un oggetto, Blaine che lo ascoltava
e gli
rispondeva, Blaine che diceva di amarlo… Blaine, che era
Blaine e niente più e
gli bastava. E doveva rinunciarci. Come al solito, doveva essere lui a
sacrificarsi per tutti; quanto lo infastidiva! Comunque, era nel suo
interesse:
Sebastian era così generoso con lui, lo avrebbe aiutato a
diventare un attore,
sarebbe volato via da lì; era così che doveva
andare. E allora perché si
sentiva così male?
Gli sembrava tutto così
vuoto e ovattato; l’immagine di
Blaine si faceva sempre più lontana e l’unica cosa
che Kurt avrebbe voluto fare
era inseguirla, prenderla per sentirla vera sotto le sue dita.
Giocavano a farsi il solletico a
vicenda e Blaine sbatteva
in continuazione la testa contro la ringhiera di ferro del letto ma non
smetteva un secondo di ridere. Ridevano insieme.
Ma c’era Sebastian che lo
aspettava; Sebastian con il suo
fuoco, con il suo desiderio… con nient’altro. E
c’erano Will, Mercedes e le
ragazze, Rachel, Finn e tutti gli altri che avevano bisogno di lui.
C’erano i
suoi sogni… assieme a Blaine.
No, doveva smetterla! Non era
più lui, non avrebbe mai
pensato quelle cose. Doveva andare; doveva…
Kurt sentì di nuovo quella
orribile e familiare sensazione stritolargli
i polmoni.
No! Ti
prego, no!
Come potevo sapere che in quegli ultimi giorni
fatali una forza, più
oscura della gelosia di Sebastian e più potente del mio
amore, si stava
impossessando di Kurt. Perché non me lo hai detto? Avrei
potuto fare qualcosa;
avrei potuto portarti via; avrei potuto… tante cose. Quali
erano inutili? E
quale poteva essere quell’unica giusta?
Kurt si piegò in due
mentre una tosse violenta gli
sconquassava il petto e una bruciante scia di sangue gli zampillava in
gola e
si riversava nella sua bocca. La tosse, il sapore ferroso del sangue,
quella
sensazione di soffocamento. Aprì la bocca alla ricerca
disperata di un po’
d’aria ma quel fiume che gli usciva dalla bocca ogni volta
tossiva glielo
impediva. Si aggrappò ad un angolo di muro ma le gambe non
lo ressero e sentì
le braccia diventargli sempre più deboli; stavolta non ci fu
nessuno a
prenderlo al volo e cadde pesantemente per terra con un ultimo
tentativo di
prendere fiato, una tosse persistente e gocce di sangue che cadevano
dalla
bocca, privo di sensi.
Attirati da quell’ansimare
preoccupante e da quella tosse
violenta, Dave e Becky, che stavano posando alcuni oggetti di scena,
fecero
capolino nel corridoio dove videro Kurt svenuto.
- Cosa gli è successo?
– fece Becky, bianca in volto, mentre
Dave si chinava su Kurt per accertarsi delle sue reali condizioni.
- Non lo so – le rispose il
ragazzo, preoccupato – Va’ a
chiamare Carole; io lo porto nel suo camerino.
E mentre la ragazzina correva via,
Dave prese Kurt in
braccio con la stesa delicatezza con la quale avrebbe preso un
uccellino ferito
e lo adagiò sul divanetto del suo camerino; a tenerlo in
braccio si era accorto
di quanto fosse leggero.
Pochi minuti dopo arrivò,
trafelata, seguita da Becky,
Carole che si gettò in ginocchio accanto a Kurt armeggiando
con la fiala dei
sali sotto il suo naso, cercando di farlo rinvenire.
- Dave, va a chiamare il dottore,
presto! – esclamò
agitatissima.
* * *
Will aveva seguito, da dietro la
porta della sala da pranzo
della “Torre Gotica”, ogni movimento di Sebastian
seduto alla tavola imbandita,
sperando di cogliere nel suo volto di ghiaccio qualche segno di
nervosismo o di
rabbia. Se lo sarebbe aspettato già quando era
definitivamente passata l’ora in
cui sarebbe dovuto arrivare Kurt, invece si respirava la stessa aria
gelida che
il Duca sembrava portarsi dietro come un’ombra.
L’unica cosa “viva” in quel
momento sembrava la sigaretta accesa di
Sebastian che si consumò piano piano, tracciando una scia di
cenere sul tavolo di
mogano e disperdendo il fumo nell’aria.
Quando nel bocchino non rimase nulla
e il cibo divenne
talmente freddo da risultare immangiabile, Sebastian si alzò
tranquillamente e
si diresse verso la porta dove si trovò faccia a faccia con
Will, la fronte
grondante sudore.
- Schuester, sono certo che avete una
spiegazione – disse
Sebastian con la sua solita calma inquietante.
Will si passò velocemente
un fazzoletto sul volto, cercando
disperatamente di pensare a qualcosa, di trovare una via
d’uscita e, disperato,
disse la prima cosa che gli passò per la testa:
- E’ andato in chiesa a
confessarsi.
Sebastian rimase per qualche istante
a fissarlo in silenzio
per poi scoppiare a ridere nervosamente.
- Confessarsi?! –
esclamò, divertito e sbigottito allo
stesso tempo – Mi avete preso per un idiota, forse?
- No, mio caro Duca – si
affrettò a dire Will, riordinando
le idee in fretta e furia – Vedete, ero molto restio a
comunicarvelo ma Kurt mi
ha detto, in confidenza, che non se la sentiva di incontrarvi col peso
delle
sue colpe addosso; voleva essere “pulito” prima di
farsi toccare da voi. Ci
teneva tantissimo. Mi ha detto che si sente diverso quando è
con voi; mi ha
detto che si sente… vergine.
- Vergine –
sussurrò Sebastian, facendosi serio ed attento,
scandendo ogni lettera di quella parola.
- Sì –
continuò Will, incoraggiato da quell’interesse
– Lo
fate sentire come una creatura non ancora toccata, lo fate fremere come
nessuno
ha mai fatto. Lo avete conquistato; sente di appartenervi anima e corpo.
L’interesse di Sebastian
assunse in un attimo una vistosa
vena di compiacimento e il suo sorriso lo dimostrò.
- Ma davvero? – disse
compiaciuto – Non ho mai avuto il
piacere di toccare qualcuno ancora “vergine”.
Will poté nuovamente dirsi
tranquillo.
Ancora una volta le brillanti bugie di Schuester
avevano evitato un
sicuro disastro; ma nessuna bugia, per quanto ingegnosa, poteva salvare
Kurt.
Quando Will era ritornato, furioso,
al Moulin Rouge con
l’intenzione di fare a Kurt una sonora lavata di capo, non si
aspettava di
trovarsi davanti ad una scena come quella che vide nel camerino
dell’ “Angelo
di Diamante”: quest’ultimo steso sul divano,
apparentemente addormentato,
bianco e affannato con Carole seduta accanto a lui con gli occhi lucidi
e, in
disparte, un uomo anziano (il dottore, uno dei loro clienti
occasionali).
- Cos’è
successo? – si informò Will, preoccupato.
- Kurt si è sentito di
nuovo male – spiegò Carole con un
filo di voce – Becky e Dave lo hanno trovato svenuto per
terra, allora abbiamo
chiamato il dottore e… - non poté continuare
perché la voce le si spezzò in
gola.
- Signor Schuester devo darvi una
brutta notizia – disse il
dottore – Ho visitato il signor Hummel e i suoi sintomi
indicano una sola cosa:
tubercolosi.
- Come? –
esclamò Will, sconvolto da quella diagnosi – E
cosa dobbiamo fare per curarlo.
- La malattia ha ormai raggiunto uno
stadio avanzato;
potrete ricorrere agli antibiotici se avrà di nuovo queste
crisi ma, a parte
questo, non si può fare niente. Sta morendo.
“Morendo”. Kurt,
quel ragazzo pieno di vita e di sogni da
realizzare. Will non riuscì a dire nulla e Carole non ebbe
nemmeno la forza di
versare una lacrima tanto era assurdo quello scherzo del destino.
- Non dovrà saperlo,
Carole; né lui né nessun altro – si
riscosse Will, ricordando a malincuore le loro priorità
– Lo spettacolo deve
continuare.
Nel silenzio che seguì si
sentì a malapena Kurt mormorare,
nel delirio:
“Blaine… Devo
andare da Blaine…”
Nota
dell’autore:
* Questi estratti sono
rispettivamente la conclusione della
poesia “Versi per essere calunniato” e
l’inizio di “Green” entrambe del poeta
francese Paul Verlaine (1844 – 1896).
Sono certo che adesso inizierete ad
odiarmi visto che da
questo capitolo abbandoniamo il divertimento ed entriamo nello
straziante vero
e proprio. Piccola nota: tenete bene a mente il comportamento di Dave
che, mi
sono accorto solo adesso, è importante.
E il prossimo capitolo…
Come What May.
Per qualsiasi cosa, questo
è il link della mia pagina: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
Grazie a tutte le care persone che
continuano a seguirmi.
Un bacio a tutti e ciaooooo!!!!!!
Lusio
|
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Capitolo 9 *** Come What May ***
Come What May
Era ormai giorno inoltrato quando
Kurt entrò
nell’appartamento di Blaine; trovò
quest’ultimo intento a ricopiare una scena
alla macchina da scrivere. Era scuro in volto e a malapena lo
degnò di uno
sguardo.
- Ciao – provò a
salutarlo Kurt.
- Ciao – gli rispose Blaine
con voce incolore, continuando a
scrivere.
Visto che sembrava non volergli
rivolgere la parola, Kurt si
tolse le scarpe e si sedette sul letto, aspettando che Blaine finisse;
ma anche
quando sembrò aver terminato il suo lavoro, Blaine rimase in
silenzio,
continuando a battere a vuoto sui tasti della macchina. Si riscosse
solo quando
Kurt coprì un colpo di tosse con la mano e credé
che stesse cercando di
attirare la sua attenzione.
- Dove sei stato ieri notte?
– gli chiese, col cuore gonfio.
- Non mi sono sentito bene e sono
rimasto al Moulin Rouge –
rispose Kurt.
Blaine si alzò dalla sedia
per sedersi sul letto, di fronte
a Kurt, guardandolo con gli occhi aggrottati.
- Non mi devi mentire –
fece, la voce bassa e greve.
- Non ti sto mentendo –
esclamò il ragazzo, sfuggendo a
quello sguardo – Forse è meglio se la finiamo qui.
Sentì Blaine prendere un
respiro profondo e riuscì ad
immaginare il suo desiderio di prendergli la mano e chiedergli scusa,
spaventato da quelle parole.
- Sarebbe la cosa migliore
– continuò Kurt, cercando di
ignorarlo – Ormai lo sanno quasi tutti, anche Will, e chi non
lo sa lo
sospetta. Se il Duca venisse a saperlo sarebbe un disastro. La sera
della prima
dovrò andare a letto con lui, lo sai.
Blaine serrò la mascella e
strinse i pugni.
- Riusciresti a sopportarlo? Non
credo proprio; guarda come
stai reagendo adesso. Ti prego, finiamola qui. E’ stato tutto
molto bello e
magari è meglio così: ne conserveremo un bel
ricordo e ognuno per la sua
strada.
- No! – si
ribellò Blaine – Non puoi dirmi di fare questo,
non puoi chiedermi di fare come se queste settimane non contassero
nulla.
- E cosa pretendi? –
reagì Kurt – Che tutto continui come
sempre? Anche quando la faccenda dello spettacolo sarà
conclusa, quando io me ne
sarò andato via di qui?
- Ma… ma io… io
ti…
-Ti scongiuro non dirlo! –
lo interruppe, alzandosi – Ma
perché devi rendere tutto così complicato? Non
sarei dovuto venire qui –
continuò, iniziando a fare avanti e indietro per la stanza,
mordendosi le
labbra e premendo la mano sugli occhi che iniziavano a bruciargli
– Non avrei
nemmeno dovuto…
- Che cosa? – chiese
Blaine, sul punto di arrabbiarsi
vedendo che si era interrotto – “Non avresti dovuto
accettare la mia proposta?”
Hai il coraggio di affermare che, per te, tutto questo non ha contato
nulla?
- Non mettermi in bocca parole che
non ho detto.
- Allora, se vogliamo essere franchi,
te lo dico; sì, vorrei
che tutto questo continuasse. Non mi importa della gelosia, sono
disposto a
tapparmi occhi e orecchie per non vedere né sentire e se te
ne andrai ti
seguirò dovunque andrai e, se le porte del tuo Duca mi
saranno chiuse, resterò
fuori, sotto la tua finestra, accontentandomi semplicemente di vederti
perché
ti amo e ti amerò per sempre, questo nessuno
potrà mai impedirlo.
- Basta! Finiscila! –
urlò Kurt, le lacrime che iniziavano a
scorrergli sulle guance – Vorrei tanto non averti mai
incontrato; non mi
sentirei così male se non fosse accaduto.
- Cosa vuoi dire? – chiese
Blaine, attirato da quelle ultime
parole.
Col capo premuto contro il vetro,
respirando pesantemente e
torcendosi le mani, mentre le lacrime gli inondavano il volto, Kurt
rimase in
silenzio, incapace di reagire.
- Che cosa mi hai fatto? –
riuscì a dire, alla fine – Non lo
so nemmeno io; so solo che quando sto insieme a te mi sento veramente
bene. Se
mi assopisco sul tuo letto e mi sveglio con te accanto, ho voglia di
sorridere…
Io non lo so cosa mi è successo… non riesco a
parlare…
- Allora non parlare –
disse Blaine cingendolo da dietro le
spalle e premendo le labbra sulla sua nuca – Non dire nulla
se non vuoi, va
bene così; mi va bene tutto quello che fai. Passa tutto il
tempo che vuoi col
Duca, realizza tutti i tuoi sogni, ma non chiedermi di lasciarti. Io ti
amo.
Kurt.
Scuotendosi dalla sua sofferente
fermezza, Kurt si voltò
nella presa di Blaine in modo da cingerlo a sua volta e
iniziò a baciarlo
freneticamente, con tutto il bisogno di un’intera esistenza e
con la paura di
un ultimo giorno di vita.
- Voglio fare l’amore con
te – gli sussurrò sulle labbra.
Blaine iniziò a tremare,
come anche Kurt, l’uno tra le
braccia dell’altro. Paura e desiderio uniti in
un’unica sensazione.
- Non ho mai fatto l’amore
con nessuno; per me è sempre
stato un “soddisfare un cliente”. Adesso voglio
sapere cosa si prova, quanto è
diverso ed è te che voglio.
Se ne avessero avuto la forza
avrebbero riso e pianto nello
stesso momento ma in loro c’era solo il desiderio di
baciarsi, stringersi,
sentirsi completi almeno per quella volta, poi avrebbero riso e pianto
per tutto
il tempo che volevano.
In quel momento c’erano
solo loro due e nient’altro, ogni
cosa spogliata della sua importanza.
- Kurt – mormorò
Blaine, mentre si lasciavano cadere sul
letto.
Fermiamoci un istante, uno solo. Voglio assaporare
questo momento con gli
occhi così da capire perché è
così bello.
Se tu
potessi
immaginare come mi sento.
Perché piangi?
Perché
sono così
felice.
Voglio assaggiare ancora il sapore delle tue labbra.
Continua a
toccarmi;
le tue mani sono così calde e desidero le tue dita sporche
di inchiostro.
Hai sconfitto la mia forza; ora sono tenera argilla
nelle tue mani.
E tu hai
fatto
crollare tutte le mie convinzioni.
Per sempre questo tocco, per sempre questo bacio,
per sempre l’amore
con te.
Adesso nei
miei sogni
ci sei anche tu e il tuo non è un piccolo spazio.
Cos’è questa?
La nostra
canzone.
Ancora un bacio e poi un altro. Sei così
bello: scateni in me
sensazioni mai provate.
Ancora una
volta.
Voglio fare ancora l’amore con te. Così vorrei
morire.
Non parlare di morte; l’unica cosa che
voglio è vivere il resto dei
miei giorni accanto a te.
Ancora una
volta e poi
un’altra ancora; ognuna come se fosse la prima e
l’ultima.
Canta, come solo tu riesci a cantare, arricciando
le corde le mio
cuore, rendendomi così felice da farmi soffrire.
Le tue dita
impugnano
le corde che muovono il mio corpo, lasciandomi inerme alla
mercè della tua
passione.
Soffia su quella candela, il sole sta sorgendo.
Asciuga
anche tu le
tue lacrime come io sto facendo con le mie per vederti meglio nella
luce di
questo nuovo sentimento.
Celebriamo le nostre nozze in questo letto. Non
posso offrirti nulla se
non me stesso.
Ti prego,
dimmelo.
Comunque vada, ti amo e ti amerò fino al
mio ultimo giorno di vita.
Io non ce la
faccio.
Non importa se non vuoi dirlo; io lo
dirò tante volte, lo urlerò a gran
voce anche per te.
Restiamo
qui… insieme…
Insieme…
Amore.
* * *
Si era giunti, finalmente,
all’ultimo giorno di prove; alla
prima mancavano ventiquattro ore o poco più. E al Moulin
Rouge si stava
provando l’ultima scena, il finale che Blaine aveva portato
qualche giorno
prima, con le guance arrossate, gli occhi lucidi e un sorriso che in
quell’isola del piacere non si era mai visto; solo poche
persone come Carole,
Finn, Mercedes e Dave notarono che anche Kurt aveva un sorriso identico
e
preciso a quello dell’autore.
Il finale era quello che tutti si
aspettavano ma non era
scontato: l’amore tra il Principe Indiano e il Suonatore di
sitar squattrinato
trionfava ma rimaneva un’incognita sul loro futuro ma per
loro aveva poca importanza:
il fatto che si amassero contava più di ogni altra cosa. La Perfida
Califfa poteva
disperarsi nella sua rabbia con quei gesti esagerati che Rachel ci
metteva, il
Sitar magico poteva tornare a parlare attraverso le note visto che Finn
ancora
non riusciva a ricordare la sua battuta più importante, la
Divinità del Tempio
benediceva il loro amore incrociando le braccia assieme allo Spiritello
benefico e tutti intonavano l’ultima canzone assieme ai due
amanti. E’ tutto
perfetto.
Forse furono questi i pensieri che
sfioravano Sebastian in
quei rari momenti in cui non era concentrato su Kurt.
- Questo finale è
veramente idiota – disse una voce piena di
veleno dietro di lui.
Sebastian si voltò e vide
Santana, quella creola delle
“Fleurs du Mal”; come molti anche lui era stato
più volte stuzzicato dal
pensiero di intrattenersi con entrambe quelle ragazze che non si
separavano.
Non si sentiva molto attratto dal corpo femminile ma anche Santana e
Brittany
parevano gradire poco le attenzioni maschili; avevano qualcosa in
comune e
poteva sembrare interessante come esperienza.
- Voi dite? – chiese
Sebastian prendendo una lunga boccata
dalla sua sigaretta nel suo immancabile bocchino.
- Ho due occhi anch’io
– rispose Santana – Converrete con me
che è un finale assurdo. Perché mai un principe
indiano dovrebbe scegliere uno
“scrittore” squattrinato.
Per un attimo Sebastian
credé di aver sentito male. Uno
“scrittore” squattrinato? Forse Santana si era
sbagliata. No, sapeva benissimo
cosa aveva detto; aveva calcato proprio su quella parola.
- Oh! – fece la ragazza,
con l’aria di chi finge di
correggersi – Volevo dire “un suonatore
squattrinato” – concluse con tono
allusivo, lanciando un’occhiata alle spalle di Sebastian per
poi ritornare da
Brittany che l’aspettava in una parte della sala, con Quinn
ed altre ballerine.
Sebastian si voltò nella
direzione che Santana sembrava
avergli indicato… e vide quello
“scrittore”, Blaine. Come guardava Kurt, come
gli stava sempre vicino, come gli sfiorava le mani. “Il
Suonatore di sitar
squattrinato”.
Delle sottili, gelide, fiamme iniziarono a percorrergli le vene e un
oscuro
desiderio rabbioso gli si piantò in petto.
La prova si concluse in quel momento
e tutti si voltarono
verso di lui; aspettavano il suo verdetto finale.
Allora, il giovane duca si ricompose
e, con tutta la calma
possibile, sfilò la sigaretta dal bocchino e la spense per
terra, cacciando
fuori l’ultima boccata di fumo e guardando tutte le persone
sul palco con aria
di superiorità.
- Questo finale non mi piace
– sentenziò tranquillamente,
giocherellando col bocchino e gettando tutti nella costernazione.
- Non vi piace il finale, Duca?
– fece Schuester, intimorito
– Come mai?
- Semplice: non è affatto
credibile. Perché il Principe
Indiano dovrebbe scegliere un suonatore di sitar squattrinato alla
Califfa che
gli sta offrendo una sicurezza ed una stabilità per tutta la
sua vita; quello è
“vero amore”. Quando il Suonatore avrà
soddisfatto la sua lussuria lascerà il
Principe senza niente.
Sebastian poté sentire con
soddisfazione l’occhiataccia che
Blaine gli lanciò da dietro il suo banco.
- Suggerisco di cambiare il finale,
con il Principe che
sceglie la
Califfa.
- Ma scusate – intervenne
Finn, con tono conciliante – Un
finale così non esprimerebbe i nostri ideali di
“Verità”,
“Bellezza”,
“Libertà”
e “Am…”
- Io me ne infischio della vostra
stupida dottrina! – scattò
Sebastian; il bocchino si ruppe con un forte schiocco nella sua mano
– Perché
il Principe non può scegliere la Califfa?
- Perché lui non vi ama!
Tutti i presenti, completamente
assorbiti e partecipi di
quella situazione si voltarono verso la persona che aveva urlato quella
frase:
Blaine, il volto arrossato e le vene del collo gonfie come sul punto si
esplodere, che si guardò intorno smarrito, voltandosi verso
Kurt che lo fissava
con occhi sgranati per poi ritornare su Sebastian, cosciente di
ciò che aveva
detto.
- Lui… lui non la ama
– balbettò con un filo di voce –
N-non… non la ama… la Califfa…
non la ama…
- Ora capisco –
mormorò Sebastian facendo correre il suo sguardo
da Blaine, ora pallido come un cencio, a Kurt che aveva assunto
un’aria
indifferente – Schuester, questo finale deve essere
riscritto, con il Principe
che sceglie la
Califfa
e sarà senza la “canzone d’amore degli
amanti”. Verrà provata domani e dovrà
essere pronta per la prima di domani sera.
- Domani sera?! –
esclamò Will, costernato – Ma, Duca, è
impossibile…
- Will! – lo interruppe
Kurt, con aria indignata – Ma vi
rendete conto di come state trattando il nostro povero Duca?
Lanciando un’occhiata di
sufficienza a Blaine, scese dal
palco e si diresse verso Sebastian.
- Non dategli retta; questi sciocchi
scrittori si lasciano
trascinare dal sentimentalismo – continuò
avvicinandosi a lui con fare sinuoso,
fino ad arrivargli a pochi centimetri dal viso –
Perché voi ed io non ceniamo
insieme stasera e, magari, domani faremo sapere a Schuester come
“noi” vogliamo
che finisca lo spettacolo – concluse, accarezzando
maliziosamente il colletto
della camicia di Sebastian.
Quest’ultimo
ricambiò il sorriso perverso che Kurt gli stava
rivolgendo. Dietro di lui notò Blaine, con espressione
smarrita e turbata in
volto.
* * *
Kurt si appoggiò alla
parete dei camerini comuni, premendo
le mani sulle tempie per contenere il dolore alla testa che iniziava a
farsi
sentire e prendendo dei lunghi e profondi respiri. Non aveva mai avuto
così
tanta paura in vita sua. Mai come in quei pochi minuti le cose
sarebbero potute
crollare definitivamente e, per fortuna, era riuscito nuovamente a
sedare
quella tempesta. Avrebbe voluto risparmiarsi
quell’eventualità…
A chi avrebbe voluto risparmiarla? A
se stesso o a Blaine?
Si staccò dalla parete e
si diresse verso il suo camerino
quando sentì due mani tremanti afferrarlo per un braccio.
- Non voglio che tu vada a letto con
lui – mormorò come una
preghiera Blaine, uscendo dal buio di un angolo vuoto.
Le sue membra non smettevano di
tremare e gli occhi erano
gonfi di lacrime; guardò Kurt implorante, senza vergognarsi
di mostrare la sua
debolezza. Kurt sentì il cuore stringersi ma capì
di doversi dimostrare più
forte.
- Devo farlo – disse
– Potrebbe rovinare tutto.
Blaine avrebbe voluto replicare ma le
lacrime glielo
impedirono e riuscì solo a scuotere il capo.
- Me lo hai promesso –
continuò Kurt, prendendogli il volto
tra le mani, per fermarlo – Mi hai promesso che non saresti
stato geloso; non
farmi stare ancora più male di quanto già io non
stia, ti prego. Devo andare –
fece per andarsene in fretta, per evitare un ulteriore strazio.
Blaine lo afferrò con
più forza e disperazione di prima;
affondò il viso nel suo petto per soffocare il pianto
silenzioso e ficcando le
unghie nella schiena di Kurt, strappandogli un gemito, per non
lasciarlo
andare.
Resta con me.
- Blaine –
sussurrò dolcemente Kurt, accarezzandogli i ricci
neri – Va tutto bene. Non è niente. Domani
sarà tutto passato ed io verrò da
te; resterò con te tutto il tempo che vorrai.
Andrà tutto bene; comunque vada.
Ricordi? Ricordi?
- Comunque vada –
trovò la forza di ripetere Blaine
allentando la presa.
Avvertì il delicato tocco
delle labbra di Kurt sulle sue per
poi sentirlo volare via… Il suo angelo.
* * *
La notte fuori era mille volta
più luminosa; nella “Torre
Gotica” regnava non un’oscurità totale
ma qualcosa che aveva le sembianze del
buio. Un’ entità nata da tutto quanto
c’era stato di negativo in quell’ultima
giornata: rabbia, sospetto, dolore. L’unico chiarore
proveniva da due candele
sul tavolo, dalla cenere rossiccia di una sigaretta, dal volto diafano
di Kurt
che emerse dall’ombra dell’ingresso, venato da scie
scure. Anche gli occhi
lussuriosi di Sebastian diedero un po’ di luce in quella sala.
- Mio caro Sebastian, spero di non
avervi fatto attendere –
disse l’ “Angelo di Diamante”, cercando
di non lasciarsi soffocare dal buio e
dal male che covava nel suo petto.
Nota
dell’autore:
Non ho molto da dire su questo
capitolo, a dire il vero.
Semplicemente, questo, assieme al prossimo, è il capitolo
che più ho amato
scrivere anche se è breve. Forse perché
è quello in cui ho messo molto di me.
Il prossimo
sarà… be’, vedrete.
Per qualunque cosa, questa
è la mia pagina: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
Ringrazio sempre di tutto cuore le
carissime persone che
continuano a seguirmi.
Ciaoooo!!!!
Lusio
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Capitolo 10 *** El Tango de Roxanne ***
El Tango de Roxanne
- Assieme a voi arriva sempre il sole.
Il complimento di Sebastian alle
orecchie di Kurt suonò
quasi come una presa in giro visto il buio nel quale brancolavano; ma
il
ragazzo continuò a interpretare la sua parte.
- Mi lusingate troppo –
disse con ostentata ritrosia; senza
nemmeno accorgersene scansò la mano del Duca che
andò ad accarezzargli il
braccio.
-
Spero che il nostro
giovane scrittore non abbia versato troppe lacrime per la nostra serata
– disse
Sebastian, fingendo di non essersi accorto di nulla.
- Ah, ve ne siete accorto anche voi
– fece Kurt ridacchiando
e andando ad accomodarsi su un triclinio – Sì,
quel ragazzo ha una ridicola
ossessione per me. E io, capirete, lo assecondo perché ha
talento. Lui ci
serve… ma solo fino a domani sera.
- Sì, domani sera
– disse Sebastian, la sua voce ancora più
roca di quanto già non fosse – E fino ad allora
non pensiamo a quello
scrittore, a Schuester, al Moulin Rouge e allo spettacolo. Qui ci siamo
solo
noi due. Dopo avervi assaggiato, desidero solo assaporarvi…
Le vostre labbra…
Sebastian si stese su Kurt, facendo
presa con le braccia
sullo schienale e il bracciolo del triclinio per non gravargli addosso;
il
ragazzo poté vedere le vene delle sue mani gonfiarsi e i
muscoli contrarsi per
lo sforzo. Quando sentì il fiato bollente del Duca sul viso,
gettò la testa
all’indietro affinché potesse prendere dalla sua
bocca ciò che desiderava.
Kurt non aveva mai sentito le proprie
labbra così rigide e
fredde come in quel momento; ebbero un cedimento solo quando vide,
nella parete
chiusa dei suoi occhi, l’immagine di Blaine.
Poteva recitare così.
Lui era andato alla “Torre
Gotica” per salvarci tutti. E noi, da parte
nostra, non potevamo fare altro che aspettare.
Al Moulin Rouge si respirava
un’aria ancora più asfissiante
di quella della “Torre Gotica” anzi, si soffocava e
lì c’erano troppe luci
tremolanti ad illuminarla e quelle luci si riflettevano nelle gocce di
sudore
sulle fronti di molti dei presenti e nei bicchieri colmi di assenzio
che si
passavano tra di loro. Finn ne aveva già bevuti tre e
riusciva a malapena a
muoversi sulla sua sedia traballante; persino Rachel, accanto a lui,
non aveva
la forza di parlare e muoversi.
Anche Blaine aveva bevuto, ma tutto
quel bruciante liquore
non riusciva ad impedirgli di pensare, a stordirlo completamente.
Gli unici suoni che riecheggiavano
nella sala erano uno
sporadico colpo di tosse, i biscotti sgranocchiati da Lauren
l’ “Arena”, i
tacchi di Tina il “Fiore di Loto”,
l’unica che aveva la forza (o l’agitazione)
per camminare su e giù e le unghie di Dave che graffiavano
il legno di una
delle balconate. Se si fosse teso maggiormente l’orecchio si
sarebbe potuto
sentire, attraverso quel silenzio assordante, un unico urlo.
“Corri tempo”.
Ad interrompere quella silenziosa
agitazione ci pensò
l’unica persona che sembrava divertirsi lì in
mezzo.
Lesta come un gatto, senza far
smuovere nemmeno le pieghe
della vestaglia che indossava, Santana si sedette sulle gambe di
Blaine,
cingendogli laidamente le spalle e la nuca.
- Non preoccuparti
“uccellino innamorato” – disse con una
voce gonfia di stucchevolezza e di scherno – Avrai il tuo
finale quando il Duca
finirà… dentro… Kurt.
A quella scansione crudele, Blaine
non ci vide più. Provò
l’irrefrenabile desiderio di distruggere quel sorriso che la
ragazza si stava
divertendo a sbattergli in faccia, far saltare tutti quei denti, uno ad
uno,
farle sputare sangue, veleno e bile, gonfiarle il volto fino a renderla
orribile, farla soffrire come lui stava soffrendo in quel momento.
Questi suoi stessi pensieri lo
spaventarono.
Spinse via da sé, con
violenza, Santana facendola sbattere
contro il tavolo accanto, facendo cadere per terra, in frantumi, alcuni
bicchieri. La ragazza reagì istintivamente a
quell’attacco e si gettò nuovamente
su Blaine, le unghie laccate di rosso protese contro di lui come degli
artigli.
- Non provare a mettermi le mani
addosso, schifoso! – gli
urlò prima che Brittany e Mike la fermassero al volo.
La bionda prese la mora tra le sue
braccia, cercando di
calmarla, accarezzandole i capelli e baciandole le labbra; a quel dolce
contatto le membra di Santana smisero di tremare per la rabbia.
Ma, ormai, il silenzio era stato
infranto e ricascarci
sarebbe stato insopportabile per gli altri che si misero a fissare
quella scena
con interesse. In quel momento il protagonista sembrava essere ancora
Blaine,
ma il posto di Santana era stato preso da Mike che fronteggiava il
ragazzo con
occhi severi.
- Mai innamorarsi di chi vende il
proprio corpo; finisce
sempre male – disse l’asiatico, in un crescendo di
rabbia che culminò in quel
“male” urlato a pieni polmoni; difficilmente si
sarebbe riconosciuto in lui l’
“asiatico narcolettico” che cadeva addormentato nei
momenti meno opportuni.
Come personaggi che si muovevano su
un palcoscenico, Blaine
si tirò indietro, rifugiandosi nell’ombra di un
tendaggio, mentre Mike avanzò
verso il centro della ex-sala da ballo.
- Volete che vi racconti una storia
su un simile amore
finito male? – chiese guadagnandosi un interesse ancora
maggiore da parte di
chi lo circondava – Allora, ascoltatemi bene. Abbiamo un
ballo alla “Casa del
Pesco”, uno dei più famosi bordelli di Pechino;
questa è la storia di una
prostituta.
L’attenzione si
spostò su un nuovo personaggio, introdotto
in quella piéce: Tina, ferma sulla gradinata
dell’ingresso, intenta ad
aggiustarsi il reggicalze, la gonna sollevata a mostrare la gamba
bianca e
bellissima e la sua biancheria nera di pizzo. Ad accoglierla in quella
scenetta
ci furono i versi e i fischi di apprezzamento del pubblico maschile.
Vistasi al
centro dell’attenzione, la ragazza scese dalle scale, ridendo
volgarmente,
portandosi al centro della scena, i capelli corvini che le cadevano
lungo le
spalle, una delle quali era lasciata scoperta dal seducente abito rosso
che
indossava; il suo sguardo era messo più in evidenza dal
trucco sbavato.
- E di un uomo –
continuò Mike – che si innamora di lei.
Guarda e impara Blaine – concluse rivolgendosi al ragazzo
nell’ombra per poi
concentrarsi sulla ragazza davanti a lui.
I due orientali si fronteggiarono
come due guerrieri pronti
al combattimento, girando in tondo e diminuendo la distanza che li
separava ad
ogni giro che facevano, fino a trovarsi ad un respiro di distanza. I
violini
iniziarono a suonare.
- Prima c’è
desiderio – riprese Mike, accarezzando il viso
di Tina – Poi passione – le loro mani si
incontrarono con un battito.
Si strinsero dolcemente. Ad un certo
punto, Mike si accorse
di un cambiamento; tre ballerini avevano iniziato a girare attorno a
loro,
fissando Tina con desiderio; la ragazza protese delicatamente un
braccio verso
uno di loro facendosi scoprire dall’asiatico.
- Poi sospetto – si
staccò da lei e la tenne stretta per il
polso – Gelosia, rabbia, tradimento – un nuovo
crescendo con la sua presa che
si faceva sempre più forte e la ragazza arretrava a piccoli
passi scattanti –
Quando l’amore si da al miglior offerente non può
esserci fiducia e senza
fiducia non c’è amore –
lasciò la presa – La gelosia. Sì, la
gelosia ti farà
diventare pazzo.
Un ultimo grido, più forte
e disperato.
Blaine strinse un lembo del tendaggio
fino a strapparlo.
Tina si lasciò cadere fra
le braccia dei tre ballerine.
Kurt e Sebastian iniziarono la loro
cena.
L’ultima danza
iniziò al suono dei violini.
Balla, mia piccola farfalla,
balla. Tra le braccia di
altri, balla. Bella e leggiadra come quando ti ho vista la prima volta,
quando
mi offristi il tuo corpo ed io presi il tuo cuore per divorarlo; adesso
tu
prendi il mio cuore e ci balli sopra, con le tue scarpette e i tuoi
tacchi a
spillo. E balli. Balla.
Io non ho preso il suo cuore per divorarlo.
L’ho serbato, perché è ciò
che ho di più prezioso. E lui non ha straziato il mio.
Sei stato uno stupido;
dovevi farlo. In questo momento
soffriresti di meno.
Non sto soffrendo.
Sì, invece, come
me adesso mentre rivivo il mio passato.
Aprì gli occhi e guarda com’è la
realtà.
Non voglio vedere e questa non è la
realtà.
Realtà unica e
concreta, mia dolce farfalla che balla da
un fiore all’altro. Come ti scoprono le membra e le
accarezzano come io ho
fatto per primo. No! Non sono stato il primo, solo un illuso che lo
sperava e
nulla più e tu che fingevi.
Lui non finge con me; i suoi occhi me lo dicono
ogni volta che mi
guardano.
Con te non finge ma quando
tu non ci sei cosa succede? Io
mi feci questa domanda e cosa trovai?
Tutti si muovono nella sala; chi
afferra la mano di qualcuno
ed inizia a ballare, chi si getta a terra spossato dal caldo e
dall’atmosfera,
chi afferra una ragazza per la vita non più magra e la
trascina in una zona più
intima. Ma tutti si muovono nella sala, tutti diventano personaggi.
Cosa fate? Niente, semplicemente
stiamo vivendo.
La ragazza fugge tra la folla e si
mostra in alto, vicina e
irraggiungibile, vola la piccola farfalla.
Voglio andare via di qui.
Devo catturarti mia piccola
sconsiderata traditrice, devi
sapere quanto ho sofferto.
Fa caldo. Fa troppo caldo. Soffoco.
Resta e guarda la mia caccia
o se vuoi scappare prendi
questo coltello; io posso farlo anche a mani nude.
Non lo voglio questo coltello; che si perda in
questa foresta di gambe
che danzano violentemente e di corpi svenuti.
Vieni qui, piccola mia. Ti
sto aspettando.
Voglio uscire.
Fermate questa scena. Passiamo ad
un’altra.
Terminata la cena Sebastian
chiamò, con uno schiocco di
dita, un cameriere che emerse dalla penombra con un astuccio blu in
mano, lo
diede al Duca e ritornò nel buio che lo
inghiottì. Perfettamente a suo agio in
quella atmosfera, Sebastian si avvicinò a Kurt, seduto
all’altra estremità del
tavolo, portando l’astuccio come se si fosse trattato del suo
stesso cuore e
parlando come all’unico amante che desiderasse.
- Dopo lo spettacolo di domani non
sarete più un semplice
cantante di cabaret, ma un attore. Non dovrete più vivere
nella miseria;
trascorrerete i vostri giorni nell’agiatezza e vi
basterà solo chiedere ed io
soddisferò ogni vostro desiderio. Intanto, questo
è per voi.
Aprì l’astuccio
e mostrò ad un impressionato Kurt una
bellissima e ricca spilla di diamanti: sullo sfondo blu chiaro del
cuscinetto
spiccava nella sua forma di colomba con lucenti pietre preziose sugli
occhi,
sul becco, sulle ali, su ogni piuma.
- Accettatelo –
continuò Sebastian, appuntandoglielo al
petto, in quel punto in cui sentiva il cuore di Kurt battere
all’impazzata –
Accettatelo, come un dono della Califfa al suo Principe Indiano.
- E… e il finale?
– chiese Kurt, una leggera paura nella
voce.
- Voi darete il lieto fine a
Schuester e a tutti i vostri
amici. Voi “Angelo di Diamante”, custode e
protettore del Moulin Rouge.
E fece unire di nuovo le loro labbra
a suggellare una
compravendita giunta alla sua firma definitiva.
Riprendete.
Tornate a muovervi, spianate
la strada verso la mia
farfalla fedifraga.
Torno a scappare da qui. Arranco verso
l’uscita sperando in un po’
d’aria fresca.
La mia voce
si
accavalla ad un’eco lontana che mi sembra di riconoscere. Ho
bisogno di aria
per respirare; ho bisogno di spazio aperto per sentirla meglio.
Anche voi ballate, adesso,
come lei. Vi ha contagiati.
L’amore è un tarlo, è una malattia che
ti afferra e ti soffoca come un
cespuglio di rovi. Siete tutti malati. Pazzi come ero io e come sono
tornato ad
essere.
Anche l’aria qui fuori è
torrida; bramo delle gocce di pioggia. Eccole,
ci sono, sta piovendo. No, forse sto immaginando tutto. Ma che importa!
Preferisco vivere in un’illusione.
Perché
non aprite le
finestre? Perché non mi fate respirare? Avete paura che voli
via? Almeno
lasciatemi poggiare la fronte sul vetro. Merito anch’io un
po’ di refrigerio.
Le corde dei violini sono
talmente tese che basterebbe
sfiorarle per farle saltare. I tacchi di voi altre puttane invece
possono
rompere le assi del pavimento; solo le braccia dei vostri clienti vi
impediscono di precipitare. Si infrangono gocce di sudore.
Gambe sorreggetemi, non abbandonatemi proprio ora.
Non voglio nemmeno
sentire un soffio di quello che sta succedendo. La mia stanzetta.
Magari lo
troverò lì. Corri ammasso di muscoli e organi,
sputa fiato dai polmoni.
I miei
polmoni
bruciano. Fammi respirare, ti scongiuro, solo un po’
d’aria della notte.
Baciami pure ma concedimi un respiro. Qui alla finestra. No! Non
baciarmi la
nuca. Solo lui può baciarmi in quel punto.
Continuate a ballare.
Continuate a suonare. L’ho quasi
raggiunta.
Gambe non abbandonatemi adesso. Dove sono?
Attraverso questa pioggia
immaginaria vedo la finestra della stanza in cui ti trovi. Amore, sei
lì.
Sei venuto.
Non alzare
lo sguardo, non guardarmi, mi impedisci di recitare bene… ti
vedo e non penso e
non parlo… Amore…Comunque vada… Di chi
sono queste labbra che mi baciano? Non
le riconosco… non sono le tue…
- No! – si
scansò Kurt staccandosi dall’abbraccio di
Sebastian, premendo maggiormente il corpo contro il vetro
dell’anta del
balcone.
- No? – mormorò
Sebastian, stupito per poi seguire la scia
dello sguardo di Kurt, vedendo una figura arrancare accanto al muro
opposto al
locale, piegato in due e scosso da tremiti – Ma guarda un
po’ chi c’è; il
nostro Suonatore di sitar squattrinato – concluse, graffiando
il vetro con
l’unghia.
Con un senso di nausea crescente,
Kurt si allontanò
dall’anta e si riportò al centro della sala da
pranzo, per pentirsene subito
dopo quando si vide circondato dal buio; sentì i passi di
Sebastian dietro di
lui. Si voltò, con già pronte le parole per
rabbonirlo ma, prima che potesse
anche solo emettere un suono, il giovane aristocratico lo
afferrò con violenza
per la gola e lo spinse facendolo cadere contro il tavolo.
- Non ti azzardare a parlare
– gli soffiò sul viso, gli
occhi pieni di rabbia, mentre Kurt cercava disperatamente di
svincolarsi da
quella morsa graffiandogli il braccio e battendogli il petto
– Non sopporto
venire dopo qualcun altro. No, non dovevi farlo. Non dovevi farlo.
E la mano libera di Sebastian corse
sul petto di Kurt, dove
pochi minuti prima aveva appuntato la spilla.
I violini riprendono a suonare.
I ballerini e le ballerine riprendono
a muoversi.
Mike e Tina si inseguono e si
sfuggono.
Blaine arranca sulla sua strada.
Dave Karofsky esce dalla sala da
ballo.
Kurt vorrebbe urlare ma non
può.
Sebastian strappa via la spilla
assieme ad un pezzo della
giacca di Kurt.
Riprende la danza.
Ti ho quasi presa. Ti
dibatti tra mille braccia e per me
è facile trovarti.
Sono qui, nella mia stanza ma adesso vorrei essere
da te. Perché ti ho
visto? Voglio stare con te.
Morirò.
Mi ucciderà. I
bottoni della mia camicia saltano. Uno schiaffo mi fa finire contro il
pavimento; mi afferra per i capelli e mi rimette in piedi.
Adesso sei qui, di nuovo tra
le mie braccia, come un
tempo… ma non è più come allora, tu lo
sai e tremi di paura.
Voglio venire da te ma le gambe non mi
reggono… un fiotto di vomito mi
esce dalla bocca e si unisce alle mie lacrime già versate.
Ora riesco solo a
lanciare il mio urlo nella gola libera. Riesco a sentire il tuo urlo.
Le sue mani
mi
graffiano e mi strappano pezzi di camicia; i suoi denti mi divorano.
Non sei
tu, amore. Mi ribello e finisco di nuovo sul tavolo. E’ su di
me.
Non volerai più,
mia bella farfallina. Il tuo bel collo
sottile si spezza come il gambo di un giglio.
Sono un mostro… non vengo da
te… Perdonami… Amore… Ti
amo…
Non sono
nulla, ormai.
Sotto queste mani sono solo un pezzo di carne. Il fracasso
dell’argenteria, del
legno, un tonfo sordo e sono libero.
Nel Moulin Rouge si interrompe la
musica; tutti prendono
coscienza di ciò che hanno fatto nel delirio (colpa
dell’assenzio, dicono
alcuni) e ritornano al loro silenzio. Mike e Tina, invece, si ritirano
in uno
dei camerini a consumare quella notte contro una delle pareti di legno.
Nella sua stanza Blaine si aggrappa
alla finestra, cercando
di respirare quanta più aria può mentre le sue
braccia e le sue gambe non la
smettono di tremare e le labbra sono smosse da un nome:
“Kurt”.
Nella “Torre
Gotica” Kurt vede Sebastian per terra, una scia
rossa al lato della fronte e, in piedi col pugno ancora teso,
c’è Dave; il suo
angelo custode, l’amico che lo afferra ogni volta che rischia
di cadere, colui
che lo ama in silenzio, da lontano.
- Vieni, ti porto da Blaine
– dice porgendogli la mano e
sembra che voglia dire “Per te sono disposto a fare
tutto.”
Nota
dell’autore:
Questo è stato il capitolo
che più ho amato scrivere in
assoluto, prova ne è che l’ho scritto in soli tre
giorni (un record per me). Il
fatto è che quando ho pensato a questa versione Glee di
“Moulin Rouge!”, questa
è stata la prima scena che mi è venuta in mente.
Precisa e identica a come l’ho
scritta e sappiate che il passaggio dal passato al presente
è voluto.
Per la scansione delle
“voci”: sottolineato (Mike),
grassetto corsivo (Blaine) e corsivo (Kurt).
Per il resto, chiedo scusa ai fan di
Sebastian per il suo
eccessivo OOC ma mi serviva ai fini della storia.
Il personaggio di Ninì
è di Santana ma per “El Tango de
Roxanne” non ho proprio potuto fare a meno di utilizzare Tina
visto che è a lei
che penso quando vedo quella scena. Se non riuscite ad immaginarlo,
andate a dare
un’occhiata ai servizi fotografici che Jenna ha fatto per
“Tyler Shields”.
E per il lieve Kurtofsky
finale… mi credete se vi dico che
mi è uscito fuori mentre scrivevo, senza nemmeno pensarci?
Poi ho detto: “Ci
sta alla perfezione”.
Per qualunque cosa, per qualsiasi
domanda, ecco il link per
la mia pagina http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
Un grazie di cuore a tutte le care
persone che continuano a
seguirmi.
Lusio
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Capitolo 11 *** The Show Must Go On ***
The Show Must Go On
La
tempesta esterna sembrava
essersi placata; solo quella dentro Blaine non accennava a placarsi.
Aspettava
che il mondo la smettesse di girare come un carosello impazzito.
L’ansia di
poco prima era scomparsa ma rimaneva un’amarezza dolorosa,
segno di un momento
mancato che chiedeva solo perdono.
Quando
sentì la porta aprirsi e
quel singhiozzo, con quella inflessione vocale che avrebbe riconosciuto
tra
mille, avvertì le forze ritornargli. Era lui. Kurt con Dave
dietro di lui.
Blaine
avrebbe tanto voluto che
non si avvicinasse per non sentire ancora di più la morsa
del senso di colpa
che lo attanagliava ma Kurt gli si gettò tra le braccia
prima che potesse
scansarlo. Piangeva e il ragazzo riuscì a scorgere un segno
rosso sull’angolo
della sua bocca. Si sentì ancora più male.
-
Non ce l’ho fatta – singhiozzò
Kurt contro la sua camicia – Non ho potuto… ti ho
visto lì fuori e non ho più
potuto… e Sebas… il Duc… lui se ne
è accorto e…
-
Calmati. Ti prego calmati –
tentò di calmarlo Blaine, frenandolo per non sentire quello
che temeva.
-
Blaine non ce l’ho fatta… non
voglio più farlo… non voglio più
fingere…
-
Non dovrai più fingere – lo
interruppe Blaine – Ce ne andremo via di qui se tu vuoi.
Spiazzato
da quella proposta, Kurt
rialzò il viso, placando i singhiozzi e guardando il ragazzo
con una nuova luce
negli occhi.
-
Via? – domandò stupito – Ma lo
spettacolo?
-
Non mi importa dello spettacolo;
mi importa solo di te. Se tu vuoi, ti porterò via.
Kurt
aveva sempre accarezzato, in
cuor suo, l’idea di andare via da lì un giorno,
come un famoso attore sull’onda
del suo successo nascente, come uno che era riuscito a superare le
difficoltà e
le miserie che la vita gli aveva dato per la sua bassa estrazione.
Aveva fatto
di tutto per raggiungere quell’obbiettivo e adesso,
inaspettata, gli si
presentava una scelta mai considerata, ed era una sua scelta, nessuno
che lo
obbligava.
Quello
sguardo, quella mano tesa.
La sua strada sembrava così priva di ostacoli.
-
Mi porterai via? Andremo via
insieme?
-
Se tu lo vuoi.
-
Sì, lo voglio – disse Kurt,
baciandolo con trasporto.
Rimasero
stretti per tutto il
tempo che ritennero necessario, fino a quando non si furono entrambi
calmati.
Il primo a destarsi fu Blaine; l’alba sarebbe sorta tra poche
ore e avevano
poco tempo.
-
Dave, per favore – disse,
rivolgendosi al ragazzo rimasto sulla porta – accompagna Kurt
a prendere le sue
cose; nessuno deve vederlo, mi raccomando.
-
Stai tranquillo Blaine, nessuno
si accorgerà di lui – rispose Dave, con un nodo
alla gola e il cuore
traboccante di emozioni contrastanti.
-
Io ti aspetto qui – si rivolse
Blaine a Kurt dandogli un ultimo bacio.
Kurt
andò da Dave e insieme si
apprestarono ad uscire ma prima che potessero arrivare alla rampa delle
scale,
Blaine si affacciò alla porta della sua stanza.
-
Kurt – lo chiamò – Comunque
vada.
-
Comunque vada – gli rispose
Kurt, regalandogli un sorriso.
* * *
Will
Schuester aveva sempre
sperato di non trovarsi in una situazione come quella che stava vivendo
ma il
destino era di una crudeltà immensa e lo aveva spinto in una
faccenda ancora
peggiore di quanto si sarebbe aspettato. Poteva dirsi fortunato se la
stanza
era più illuminata, peccato solo che questo gli permettesse
di vedere meglio
gli occhi furenti e rabbiosi del Duca Sebastian che si faceva medicare
il
taglio che aveva al lato della fronte da uno dei camerieri.
-
Mio caro Duca… io… - balbettò
Will – Non… non so proprio dirvi quanto io sia
dispiaciuto…
-
Ovvio che lo siete – soffiò
Sebastian, interrompendolo, i denti serrati per la rabbia e per il
fastidio del
graffio – E vi dispiacerà ancora di più
quando avrò spazzato via questo schifo
di luogo.
-
Se magari mi permetteste di
parlare con Kurt… se mi deste qualche ora per
convincerlo…
-
Non voglio nessun “se”; voglio
certezze – scattò, allontanando il cameriere con
un ceffone – E’ tutta colpa di
quel ragazzo; lui lo ha incantato con tutti quei suoi discorsi
sull’amore.
Ascoltatemi bene Schuester perché ve lo dirò una
sola volta: dite a Kurt che lo
spettacolo dovrà finire come voglio io e che deve venire da
me quando cala il
sipario… o farò uccidere il ragazzo.
Quelle
ultime parole rimbombarono
nella sala come un tuono assordante.
-
Uccidere? – esclamò Will
costernato.
Dal
buio emerse Nick, il
segretario personale del Duca; con un bagliore, una pistola comparve
nella sua
mano.
-
Uccidere – confermò
tranquillamente Sebastian.
* * *
Arrivato
nel suo camerino, Kurt
prese alla rifusa tutti gli oggetti di valore che possedeva e che
sarebbero
serviti a lui e a Blaine per tirare avanti, per i primi tempi,
gettandoli in
una piccola valigia che tirò fuori da sotto il letto. Non
accese nemmeno la
luce per timore che qualcuno lo notasse, per questo saltò
quando vide la
piccola stanza illuminarsi. Si girò verso la porta e vide
Will, scuro in volto,
con Carole dietro di lui; Dave era stato spinto dall’altra
parte del camerino
per permettere loro di entrare.
-
Dave, vattene – gli ordinò
Schuester.
-
No… no io… - tentò di replicare
Dave.
-
Dave, per favore esci – Carole
lo tirò gentilmente per la camicia e lo fece uscire dal
camerino per poi
chiudere la porta. Rimasero solo loro tre lì dentro.
-
Mi sorprendi, Kurt – disse Will,
con amarezza – Fuggi via come un ladro.
-
Non sperare di fermarmi, Will –
replicò Kurt, battagliero, riprendendo a radunare le sue
cose.
-
Cosa vorresti fare?
-
Non si capisce? – fece con
ovvietà il ragazzo.
-
E non pensi a tutti noi? – reagì
Schuester – Avresti il coraggio di lasciarci alla vendetta
del Duca?
A
quel colpo basso Kurt ebbe un
momento di esitazione e si fermò, martoriandosi il labbro
inferiore con i
denti, provando un tremendo senso di vergogna.
-
Sei riuscito a dirigere questo
posto senza problemi per anni – disse con voce bassa
– Riuscirai a gestire la
situazione ugualmente. Non sono io che sorreggo questo posto; non sono
il suo
angelo custode e da questa sera in poi non sarò
più nemmeno l’ “Angelo di
Diamante”.
- Hai dunque intenzione di scappare
via con Blaine?
- Sì – Kurt
chiuse la valigia con un colpo secco.
- Dovresti evitare gesti avventati;
ti avverto che il Duca
farà uccidere Blaine.
- Cosa? – scattò
il ragazzo, impallidendo e stringendo le
dita attorno al manico della valigia fino a farsi sbiancare le nocche
– No, non
può farlo, non potrebbe.
- Non hai ancora capito che tipo
è? E’ folle di gelosia e se
non andrai da lui la sera della prima ha intenzione di farlo uccidere.
Will sperò, per un attimo,
di averlo convinto ma, con sua
grande costernazione, vide la paura sul volto di Kurt sparire per
essere
sostituita da un fuoco che non gli aveva mai visto negli occhi.
- Lui non ci fa paura –
disse, le labbra stese in un sorriso
da combattente.
- Ti consiglio di riflettere
attentamente – tentò ancora
Will.
- Ho riflettuto ed ho deciso
– fu lesto a replicare Kurt.
Gettò lontano da
sé la valigia che si aprì, spargendo sul
pavimento il suo contenuto.
- Che significa? – si
inalberò Schuester, sconvolto da quel
gesto.
- Non ho più bisogno di te
– urlò Kurt, il fuoco nel suo
sguardo ancora più vivo – Per tutta la vita mi hai
sempre fatto credere che
volessi solo quello che gli altri erano disposti a pagare. Ma Blaine mi
ama.
Lui mi ama, lui… lui… mi ama. E questo vale
più di ogni altra cosa. Ce ne
andiamo via, lontano da te, lontano da Sebastian, lontano dal Moulin
Rouge.
Addio.
E, scansandolo, fece per aprire la
porta e andarsene via per
sempre. Ma qualcosa lo fermò, con la mano che a malapena
sfiorava la maniglia:
quella frase, l’ultimo disperato tentativo di Will di
fermarlo.
- Stai morendo, Kurt.
Dopo il primo istante di
sbigottimento, Kurt sentì una
risata salirgli dal petto, una risata di sincero divertimento per
quell’assurdità. Quanto si vedeva che Will era con
l’acqua alla gola, visto che
non riusciva nemmeno a ideare qualcosa di credibile per trattenerlo.
- Cos’è questa?
Un’altra delle tue bugie? – chiese,
ridacchiando crudelmente, voltandosi leggermente indietro.
- Vorrei tanto che lo fosse
– disse Will, col cuore in gola.
A quella reazione, Kurt si
voltò completamente verso di lui,
iniziando ad innervosirsi sul serio.
- Cosa diavolo stai dicendo?
– lo attaccò.
- E’ la verità
– gli rispose amaramente l’uomo – Hai
presente quei malori, quei mancamenti che ti prendono? Il dottore ci ha
detto
che si tratta di tubercolosi.
Speriamo sempre di non dover vivere
quei momenti orribili in
cui ci sentiamo crollare il mondo addosso e, quando ci piombano tra
capo e
collo, cerchiamo disperatamente un appiglio, qualcosa per sostenerci,
tanta è
la paura di sentirci completamente esposti ed indifesi.
Più o meno, era
così che Kurt si sentiva. Una parte di lui
non voleva credere alle parole di Will e un’altra si faceva
largo nella sua
testa, urlando a gran voce ciò che non voleva sentire. Il
suo sguardo corse a
Carole. Sì, Carole! Lei non gli aveva mai
mentito… e non lo fece nemmeno quella
volta.
Il mondo crollò
nell’istante in cui vide le lacrime negli
occhi della donna.
Poi non ci fu nulla se non dei rumori
attutiti, un
palcoscenico illuminato che si allontanava fino a sparire,
l’immagine di Blaine
di fronte a lui con la mano tesa che si faceva sempre più
sfocata.
Sto
morendo… Blaine…
Io sto morendo.
Non sentiva più niente, di
nuovo, e si preparò ad avvertire
la fredda durezza del pavimento; invece ci fu il calore delle morbide
braccia
di Carole, il suo seno materno profumato di lavanda, che lo
adagiò sulla sedia
della sua specchiera. L’odore dei trucchi e la sua ombra
nello specchio
sembravano venire da un mondo remoto. L’unica cosa reale e
vicina fu il
cinguettio di Farinelli.
- Kurt – gli disse una voce
lontana mentre un’ombra gli
stringeva la mano – Kurt manda via Blaine; è
inutile continuare a soffrire
così.
Lui non mi
lascerebbe
mai. Non capì se le avesse dette o solo pensate
quelle parole.
- Non se crede che tu non tieni a lui.
Cosa?
- Sei un bravissimo attore; fagli
credere che lui non
significa niente per te.
No, ti
prego, no. Non
chiedermi di fare questo. Lacrime bollenti iniziarono a
scivolargli sulle
guance gelide.
- Non c’è altro
modo. Usa il tuo talento.
No. No.
- Fallo soffrire per salvargli la
vita. Cerca di capire; lo
spettacolo deve continuare.
Ma…
io lo amo.
La mano fantasma liberò la
sua e la voce si fece più amara e
distante.
- Non tutti hanno il diritto di amare.
Non c’era più
niente intorno a lui, solo il canto di
Farinelli e i suoi pensieri dolorosi.
* * *
Se qualcuno dei clienti abituali del
Moulin Rouge fosse
entrato in quel luogo avrebbe pensato di aver sbagliato posto visto che
del
vecchio locale non era rimasto più niente: la sala da ballo
era stata riempita
interamente di poltroncine e sul palco pendeva un enorme sipario che
gli dava
un aspetto più imponente. E, in continuo movimento, tecnici,
appaltatori,
costumiste e ricamatrici che ultimavano i loro lavori.
Ormai era quasi tutto finito e
questo, Will Schuester lo
sapeva e non poteva lasciare che ogni cosa venisse spazzata via, non in
quel
momento. Un gruppetto allegro di ballerine e ballerini che gli
passò davanti
gli sbatté in faccia quella necessità.
“Abbandona i sentimenti e
pensa alle cose più concrete” era
solito dire a se stesso e agli altri ma dopo quanto aveva detto a Kurt,
sentiva
il forte desiderio di aver sempre avuto torto con quella frase, eppure
non
poteva permettere che la vita di tante persone venisse sacrificata per
la
felicità di uno solo. Era sbagliato tanto l’uno
quanto l’altro ma non aveva
scelta.
Il sole era ormai sorto quando vide
una figura uscire dal
palco e dirigersi verso l’uscita dove lo stava aspettando.
Fasciato nei suoi
abiti neri che lo facevano sembrare ancora più magro, le
guance colorate da un
velo di fondotinta per combattere il pallore, gli occhi rossi per le
troppe
lacrime, Kurt si fece largo in mezzo alle due file di poltrone, con
l’andatura
fiera di un condottiero.
- Ci hai pensato? – gli
chiese Will, quando se lo trovò
davanti.
- Sì, ho riflettuto
– rispose Kurt, la voce vuota – E ho
deciso. E’ come hai detto tu: lo spettacolo deve continuare;
ed io, ormai, sono
morto. Non ho il diritto di tenere legato a me chi è vivo
– con un gesto
vanitoso, si aggiustò il cilindro e avanzò verso
la porta d’ingresso – Si va in
scena – concluse lanciando un sorriso sghembo a Will.
Non era il suo vero volto; indossava
di nuovo la sua
maschera, stavolta in equilibrio precario. Sorrideva ed era spaventoso.
Kurt si diresse con passo spedito
verso il palazzo dove
abitava Blaine, aggirando tutti gli ostacoli che gli si paravano
davanti e
scavalcando quello scoglio interiore che cercava di fermare. Quando
arrivò al
palazzo ed iniziò a salire le scale, lasciò che i
suoi occhi smettessero di
vedere e un velo nero gli coprisse la vista e che il sangue gli
rimbombasse
nelle orecchie; non vedere e non sentire, forse, avrebbe facilitato il
suo
compito. Lo sperò con tutto se stesso fino alla fine ma
quando aprì la porta
della sua stanza e se lo vide davanti, sul balcone contro la tenue luce
del
mattino con il suo sorriso pieno d’aspettativa, il velo cadde
e il sangue smise
di scorrere.
Grazie a Dio, quel sorriso scomparve
quando Blaine lo vide
senza nessuna valigia e con l’aria stranita.
- Cos’è
successo, Kurt? – chiese, temendo qualcosa di
terribile.
- Io resto qui.
Kurt poteva vedere e sentire ma
poteva anche parlare e le
sue parole potevano aprire ciò che non avrebbe voluto
sentire; quindi, parlò,
veloce e lapidario come un colpo di fucile.
- Quando sono ritornato al Moulin
Rouge, Sebastian è venuto
da me e mi ha offerto tutto, tutto quello che ho sempre desiderato. Ad
una sola
condizione: non devo vederti mai più.
Le parole, però, non
poterono impedirgli di vedere il mutare
del viso di Blaine che passò da un’espressione
preoccupata ad una di
costernazione fino a ridursi ad un sorriso nervoso ed incredulo. Erano
entrambi
vulnerabili e senza difesa.
- Mi dispiace – si
limitò ad aggiungere Kurt voltandosi per
andarsene.
Blaine rimase spiazzato da
quell’ondata di parole senza
senso e, vedendo Kurt uscire, si mosse velocemente verso la porta, lo
afferrò e
lo riportò nella stanza.
- Cosa stai dicendo? –
chiese costernato.
- Non ti ho mai promesso nulla
– rispose il ragazzo – Sapevi
fin dall’inizio chi ero.
- Ma che significa? E tutto quello
che ci siamo detti? E i
nostri piani – ormai Blaine era disperato.
- Non mi aspetto che tu capisca
– esclamò Kurt, liberandosi
dalla presa di Blaine e acquistando un po’ della sua vecchia
energia – Sai qual
è la differenza tra te e me? Il fatto che tu sei libero di
andartene quando
vuoi, niente ti trattiene. Ma il Moulin Rouge è la mia casa,
la mia famiglia è
qui. Non abbiamo altro da dire.
Disse quelle parole con una tale
violenza e una tale
velocità che si ritrovò subito senza fiato e il
respiro gli divenne pesante.
No, non un’altra crisi, non in quel momento! Voltò
la testa per evitare che
Blaine notasse un qualche cambiamento nella sua espressione ma il
ragazzo
sembrò non accorgersene perché gli
parlò; non riuscì a sentire le sue parole
piene di nervosismo, sapeva solo che doveva andarsene; non poteva
lasciarsi
andare proprio in quel momento. Quella debolezza poteva essergli
fatale. Tentò
di uscire da quella stanza ma due mani (le riconobbe subito) lo
afferrarono e
gli impedirono di scappare. E sentì contro il suo orecchio
una richiesta
rabbiosa.
- Dimmi la verità!
- Vuoi la verità?
– a causa della crisi imminente la voce
gli uscì come un sibilo crudele, perfetto per lo scopo che
doveva ottenere – La
verità è che io sono il Principe Indiano e ho
scelto la Califfa.
E’ così che finisce la
storia.
Le mani che lo stringevano
allentarono la presa e il viso di
Blaine si fece bianco e senza emozione alcuna; Kurt ne
approfittò e andò via,
lasciando il ragazzo nella tempesta interiore che lo stava distruggendo.
Blaine non riuscì a
pensare. Le uniche cose che gli
rimbombavano nella testa erano alcune battute dello spettacolo; per
esprimersi
in quel frangente avrebbe potuto usare solo quelle. E le parole di Mike.
“La gelosia ti
farà diventare pazzo”.
Allora era quella la gelosia? Quella
rabbia, quel dolore.
Quel desiderio di riavere con sé l’oggetto dei
suoi desideri. Si accorse che
lui non c’era più; se ne era andato, lo aveva
lasciato solo. Per stare tra le
braccia di quel duca. Lì, al Moulin Rouge. Blaine lo voleva
con sé, ne aveva
bisogno.
Fece tutte le rampe di scale a rotta
di collo e si gettò in
mezzo alla strada. Anche allora gli sembrò di correre sotto
una pioggia
scrosciante ma chi camminava per la medesima strada avrebbe detto,
senza
esitazione che c’era un bel sole. La tempesta era solo nella
sua anima e
nell’anima di Kurt, raggomitolato su se stesso; per lui le
lacrime erano come
gocce che scivolavano sul vetro della sua finestra.
Giunto al Moulin Rouge, Blaine lo
chiamò urlando a
squarciagola, tentò di entrare ma due degli operai che
lavoravano nel locale lo
allontanarono di peso; lui non si arrese e si dibatté
disperatamente tra le
braccia dei due uomini continuando a chiamare Kurt, ignorando il groppo
che gli
si stava formando in gola. Alla fine, uno degli operai fu costretto a
dargli un
pugno sulla mascella, bloccando la sua ennesima invocazione e
stordendolo.
Blaine si lasciò andare sul ciglio del marciapiede, sul
punto di soffocare nel
sapore ferroso del suo stesso sangue e le tempie che gli pulsavano
dolorosamente e in pochi secondi perse conoscenza.
Quando si riprese, sotto di lui non
c’erano più le dure e
fredde mattonelle della strada ma il sottile materasso del suo letto.
Pioveva
anche lì dentro? No, quella sensazione di bagnato era
causata da un panno umido
che Rachel, il viso ancora coperto dal trucco di scena per le prove,
gli stava
premendo sul labbro. Roteando gli occhi per la stanza, Blaine vide che
erano
presente anche gli altri ragazzi, anche loro acconciati per le ultime
prove,
che lo fissavano con sguardi desolati. Gli parlarono ma non li
sentì e, ad un
certo punto, smise anche di vederli, piantando gli occhi sul soffitto
cadente.
Capendo che era impossibile
continuare a parlargli e
convinti che fosse meglio lasciarlo solo, uscirono tutti meno Finn che
gli si
avvicinò il più possibile per farsi sentire.
- Blaine –
iniziò – Non devi buttarti giù
così; di sicuro
non è come può sembrare.
Invece è esattamente come sembra.
- Posso anche sembrare un ragazzo
poco sveglio, ma non sono
uno stupido. Certe cose riesco a capirle, come può sentirle
un artista. Lui ti
ama, ne sono certo.
Mi ama? Non me lo ha mai nemmeno detto.
- Non saltare a conclusioni
affrettate. Vai da lui e
parlagli; vedrai che poi tutto si sistemerà.
Finn, sei tanto buono. Ma adesso, per favore,
lasciami da solo. Va’
via.
Finn non si mosse.
Va’ via.
Finn lo guardò con occhi
delusi.
- Va’ via! –
scattò Blaine, con un forte urlo che convinse
il ragazzo ad uscire, lasciandolo finalmente da solo. Con la tempesta
che
continuava dentro di lui.
Le parole di Finn avevano instillato in me il
dubbio, lasciandomi con
molti interrogativi. Ma, in mezzo a tutto, rimaneva imperterrito il
pensiero
che andava sempre e solo a Kurt, che adesso mi stava uccidendo
lentamente.
C’era solo un modo per liberarmi di quella che era diventata
una piaga aperta
nel mio petto: presi gli ultimi soldi che mi erano rimasti e tornai al
Moulin
Rouge… per l’ultima volta.
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Capitolo 12 *** Io ti amo ***
Io ti amo
Quella sera il Moulin Rouge non era
più un locale notturno,
non solo per il fatto che quella che era stata la sala da ballo era
piena di
poltroncine occupate né per il palco più grande e
coperto da un pesante drappo
cremisi, ma per la presenza di signore altolocate, mai viste
lì nei tempi dei
piaceri. Un gran bel salto di qualità, se così
poteva essere definito.
Quando il sipario si alzò,
agli occhi degli spettatori si
presentò uno degli scenari più belli che si fosse
mai visto, con quell’enorme palazzo
indiano in legno che doveva sembrare di pietra bianca, le scale che
quasi non
si vedevano in mezzo a quella folla di ballerini e cantanti agghindati
e
truccati come gli esotici abitanti dell’Oriente; qualcosa di
più lo avevano i
personaggi principali, così poteva subito saltare
all’occhio la Califfa con i suoi
ricchi
abiti e il suo stregone completamente avvolto in un lungo manto nero,
mentre il
Suonatore di sitar squattrinato si distingueva per il trucco accennato
e per
gli abiti semplici. Per il Sitar magico non occorreva molto: il suo
ingombrante
costume, unito alla stazza dell’attore, lo facevano sembrare
un violoncello con
le braccia. Ma il pezzo forte dello spettacolo fu il Principe Indiano.
Era per lui che molti erano in quel
neo-teatro; non per il
Principe ma per l’ “Angelo” vestito di
diamanti, etereo e di un altro mondo in
quelle luci multicolori e con la sua voce che stregava chiunque lo
ascoltasse.
Erano talmente presi che nessuno si accorse del suo breve silenzio
quando un
secco colpo di tosse lo bloccò; a lui potevano perdonare un
piccolo “errore”.
Su quel palco sfilò
l’intero girotondo di vicende narrate:
l’invasione della Califfa, l’inganno del Principe
Indiano e il suo incontro col
Suonatore di sitar squattrinato e il conseguente amore tra i due. Non
furono
poche le esclamazioni di indignazione di fronte ad un simile argomento
ma il
modo di recitare degli attori, la voce delle cantanti quasi impediva
loro di
lasciare la sala scandalizzati.
Il primo atto volò via in
un soffio e così anche il secondo
che si concluse con la separazione dei due amanti e la battuta finale
della
Califfa che, cingendo il Principe inginocchiato ai suoi piedi come un
condannato a morte, disse: “Lui è mio”.
Le stesse parole si sentirono della
prima fila, uscire dalla
bocca del Duca Sebastian Smythe.
* * *
Blaine non vide né il
primo né il secondo atto: entrò dal
retro del Moulin Rouge proprio mentre il pubblico applaudiva; gli
bastò quello
per capire la situazione tempistica e il suo intento era quello di
trovare
Kurt. Se fu “contento” di aver scritto lo
spettacolo, in quel momento, non fu
per la soddisfazione di aver creato un’opera apprezzata
proprio quella serata
ma per il fatto di conoscere a memoria ogni punto di quella storia;
quindi,
sapeva come gestirsi.
Il suo secondo intento era quello di
non farsi notare e,
come se fosse stato un segno del destino, vide Mike piegato
scompostamente
contro una parete: il poveretto era stato colpito da un altro dei suoi
attacchi
di narcolessia. Senza pensarci troppo, Blaine gli tolse la casacca
bianca che
indossava per lo spettacolo e se la infilò, incassando la
testa tra le spalle
per evitare di essere riconosciuto; camuffatosi, si diresse
lì dove sapeva che
si trovava il camerino di Kurt, inconsapevole del fatto che qualcuno lo
avesse
visto.
Nick, il segretario personale di
Sebastian, pensò bene di
andare ad avvisare Schuester visto che già aveva capito dove
fosse diretto
Blaine e fosse sicuro di ritrovarlo, all’occorrenza, nel caso
probabile in cui
avesse dovuto agire.
Schuester, vestito da guardia, si
trovava nelle quinte a
supervisionare l’andamento dello spettacolo; lo prese
rudemente per un braccio
con fare minaccioso.
- Il ragazzo è qui
– gli disse Nick.
- E’…
è impossibile – balbettò Will,
impallidendo sotto il
trucco di scena.
- Vi avverto, se state cercando di
imbrogliare il signor
duca…
- No, no, posso assicurarvi che non
c’è nessun imbroglio. Ho
detto chiaro e tondo a Kurt che, se non lo avesse lasciato, Blaine
sarebbe
stato ucciso.
- E vi assicuro che lo
sarà molto presto – concluse Nick
lasciandolo e andandosene.
Ma quella conversazione era stata
ascoltata da una terza
persona: Finn, imbacuccato nel suo ingombrante abito di scena,
arrampicatosi su
una delle passerelle degli addetti alle luci per vedere meglio Rachel
impegnata
nel suo ruolo, molto apprezzato dal pubblico.
In un primo momento non vi aveva
prestato molta attenzione
ma quando sentì nominati Kurt e Blaine si fece
più attento e da quelle poche
parole ricavò la soluzione a quella triste faccenda ancora
viva nel suo
ricordo. Blaine ucciso? Allora era per questo che Kurt lo aveva
respinto; per
salvarlo.
Doveva avvertirlo, subito. Peccato
solo che su quelle
passerelle non sapesse proprio come muoversi, costume a parte. Ma
doveva fare
subito qualcosa prima che le cose si complicassero ulteriormente.
Intanto, mentre questi due lati della
vicenda si
incatenavano, il filo principale delle storia raggiungeva il punto
centrale.
Quando Blaine varcò la
porta del camerino di Kurt, vide
quest’ultimo già pronto per l’ultimo
atto, con il viso bianchissimo
(“sicuramente per il cerone” pensò il
ragazzo), seduto pesantemente su una
sedia con Carole accanto che lo aiutava a prendere alcune gocce da una
fiala
d’argento vecchio. Quando Kurt si accorse della sua presenza
saltò in piedi e
lo fissò con occhi sbarrati, il petto che si muoveva
freneticamente e con
difficoltà.
- Che cosa ci fai qui? –
gli chiese, allarmato e con voce
bassa e strozzata.
- Sono venuto a pagare il conto
– rispose Blaine, con rabbia
mal contenuta.
Ricomponendosi, Kurt distolse lo
sguardo da lui, passandosi
una mano tra i capelli per sistemarli.
- Non dovresti essere qui –
disse cercando di mantenere un
tono distaccato – Vattene – concluse semplicemente,
scansandolo ed uscendo dal
camerino.
Quel gesto sprezzante ebbe
l’unico effetto di far esplodere
la rabbia di Blaine che, sotto gli occhi sconvolti di Carole, lo
seguì fuori
dal camerino e lo afferrò violentemente per un braccio
proprio mentre stava
svoltando un angolo per raggiungere il palcoscenico.
- Mi hai fatto credere di essere
importante per te. Perché
non dovrei pagarti? – gli soffiò crudelmente in
faccia con tutta la rabbia e il
disgusto che lo stava animando.
Colpito da quelle parole, Kurt si
liberò dalla sua presa e
cercò di sfuggirgli. La sua
maschera
stava per crollare di nuovo e solo il pensiero di un proiettile che
aspettava
un’occasione come quella per piantarsi nel petto di Blaine
gli dava la forza di
resistere. Ma anche il ragazzo dietro di lui era animato da una forza
grande
quanto la sua e altrettanto dolorosa.
Sentendosi perduto, Kurt
iniziò a girare per gli stretti
corridoi fino a trovarsi tra i soppalchi e le travi della scenografia,
sperando
che Blaine si perdesse lì in mezzo o che lasciasse perdere
quell’inutile
inseguimento ma era sempre dietro di lui.
- Sei stato veramente bravo, sai
– continuava a dirgli,
rabbiosamente – Ti ho creduto veramente.
- Blaine vattene –
continuava a ripetergli Kurt, il respiro
sempre più pesante e la testa che iniziava a girargli
pericolosamente.
- Perché non posso pagarti
come tutti gli altri? E’ così che
si fa con quelli come te – gli ringhiò contro
Blaine.
- No, ti prego – fece Kurt,
ormai allo stremo – Blaine… va’
via… subito… ti prego…
La pietà che gli causarono
quelle parole strozzate non
fecero che aumentare la sua rabbia che, però,
iniziò a rivoltarsi contro di
lui, mostrandogli quello che stava facendo come riflesso in uno
specchio e per
zittire quei rimorsi rincarò la dose delle sue parole che
acquistarono un tono
lamentoso e un desiderio di finirla subito.
Kurt, di rimando, non ce la faceva
più ed era sul punto di
arrendersi definitivamente quando vide un bagliore proprio davanti a
loro,
spuntare da dietro un pannello di legno, una rivoltella seguita da uno
sguardo
di ghiaccio. Quell’immagine bastò a ridargli un
ultimo disperato accenno di
forza.
- Ti prego, vattene via subito!
– urlò a Blaine, voltandosi
verso di lui e spingendolo via.
- No, fammi pagare! –
reagì il ragazzo afferrandolo per le
braccia e spingendolo contro una rientranza tra alcuni dei pannelli
– Fammi
pagare e dimmi che non era vero niente!
E in un secondo furono invasi da una
luce fortissima,
proprio mentre Nick stava per puntare la rivoltella contro di loro.
Due assi di legno si erano aperte,
trascinando Kurt e Blaine
nella finzione dello spettacolo sotto lo sguardo curioso del pubblico e
quello
sconvolto di tutte le persone presenti in scena, anzi
dell’intero cast.
Quell’inaspettata entrata
in scena non sfuggì nemmeno a
Sebastian che si irrigidì sulla sua poltroncina.
Per qualche secondo ci fu solo un
fastidioso silenzio che
nessuno sul palco sapeva come interrompere; ma Rachel, con la sua
innata
presenza di spirito, riprese in mano la situazione.
- Ha, ha! – rise a pieni
polmoni, rivolgendosi al pubblico
in maniera teatrale – Io non mi lascio imbrogliare; anche se
si è messo una
maschera e usa un travestimento, i miei occhi non mi ingannano.
Perché è lui:
il Suonatore di sitar squattrinato.
A quel colpo di genio, dal pubblico
si sollevarono
esclamazioni di sorpresa e qualche risatina mentre sul palco, tra gli
attori,
la calma sembrava ben lontana dall’essere tornata dato che
nessuno ebbe il
coraggio di muoversi o di dire qualcosa; solo Blaine sembrò
contento
dell’uscita di Rachel.
Volevano lo spettacolo? Bene, lo
avrebbero avuto. Avrebbe
concluso quella storia come tutti volevano; come Kurt voleva.
Trascinò Kurt,
stringendolo per il polso, fino al centro del
palco dove lo lasciò cadere violentemente, piegato in due
dall’affanno che lo
aveva preso accompagnato dalla consapevolezza di essere sotto lo
sguardo di
tante persone.
- Questo ragazzo è vostro
adesso – riecheggiò la voce di
Blaine nel silenzio della sala; tirò fuori i soldi dalla
tasca interna della
sua giacca – Ho pagato il mio prostituto –
ringhiò, lanciando le banconote in faccia
a Kurt, tra lo sconvolgimento del pubblico e degli attori e di Finn,
ancora
sulla passerella tra i tendaggi superiori del sipario, che fissavano
costernati
quel dramma che si stava consumando lì senza poter fare
nulla per impedirlo –
Non ti devo niente e non sei più niente per me. Grazie per
avermi guarito dalla
mia ridicola ossessione per l’amore – concluse, la
voce che divenne poco a poco
sempre più flebile fino a ridursi ad un singhiozzo strozzato.
Aveva fatto ciò che doveva
fare, eppure non si sentiva
meglio, non provava sollievo anzi, si sentiva peggio di prima. Non
riusciva
nemmeno a vedere in modo nitido. Quando aveva iniziato a piangere? Non
se ne
era nemmeno reso conto. Forse fu un bene: non vide che le stesse
lacrime
stavano inondando gli occhi di Kurt. Comunque Blaine aveva
“recitato la sua
parte”; non gli restava che uscire di scena.
Scese dal palco cercando di mantenere
un’aria indifferente
ma lasciando trasparire ciò che veramente provava nella
rigidezza dei suoi
movimenti, ignorando Rachel, Puck, Sam e tutti gli altri che lo
guardavano con
rammarico, senza voltarsi indietro per vedere Kurt, scosso dai
singhiozzi, che
allungava una mano sulle assi del palco nella sua direzione sperando di
fermarlo con quel solo gesto.
Intanto Finn si torturava il labbro
inferiore nel tentativo
di ricordarsi quella battuta che continuava a sfuggirgli e che, ne era
sicuro,
avrebbe potuto risolvere quella situazione.
Era sceso da quel palco; adesso
doveva solo uscire da quel
posto maledetto, dove era nato tutto, in mezzo a quelle due mura di
spettatori
che continuavano a fissarlo incuriositi. Nella prima fila
incrociò lo sguardo
vittorioso del Duca Sebastian; aveva vinto lui, ma non aveva vinto
niente, solo
un pezzo di carne senza anima… no, basta! Da quel preciso
momento avrebbe
smesso di pensare a lui; niente più “Angelo di
Diamante”, niente più “Principe
Indiano”… niente più Kurt. Si
lasciò scivolare di dosso la casacca del
Suonatore di sitar e si diresse verso l’uscita, con passo
pesante.
- Quel suonatore di sitar non ti ama
– declamò Rachel,
riprendendosi, cercando di non mostrare incertezza nelle sue parole
– Hai
visto? Lascia il regno. Guardie, aiutate il mio principe a rialzarsi.
Subito, Will emerse dal gruppo delle
guardie
inginocchiandosi accanto a Kurt e aiutandolo a rialzarsi.
- Kurt, è meglio
così, credimi – gli sussurrò
– Ricorda: lo
spettacolo deve continuare.
- No… no… -
mormorò Kurt, la voce affogata dalle lacrime.
A malincuore Will condusse Kurt
accanto a Rachel che
continuò a recitare.
- Ed ora, mio diletto sposo, innalza
la tua voce al cielo e
canta la nostra felicità.
Ma dalla gola di Kurt non
uscì niente; solo un urlo
proveniente dall’altro si sentì.
- Sì, me la ricordo!
Blaine! “La cosa più grande che tu
possa imparare è amare e lasciarti amare”.
Quella frase piovve inaspettata sulla
testa degli attori e
per Kurt fu come una pioggia benefica. Con una decisione composta,
lenta e
quieta, lasciò la mano di Rachel e si voltò verso
la platea; lì, nel buio della
sala si sentivano ancora i lenti passi di Blaine. Avrebbe dovuto
concludere lo
spettacolo con la parte finale rimaneggiata per compiacere Sebastian ma
non
poté, non ci riuscì; non era così che
doveva finire la storia. Adesso lo aveva
capito.
Avanzò, Rachel che lo
fissava stupita, Mercedes e le ragazze
che cercarono di fare scena inchinandosi ai suoi piedi senza perderlo
d’occhio,
Dave e Becky sui gradini del “tempio” con le mani
atteggiate in un gesto
benedicente, Will che non osò muoversi. Nella prima fila
Sebastian si irrigidì
nuovamente.
Ma per Kurt non esisteva
più niente se non quei passi che si
facevano sempre più deboli. Fu a loro che si rivolse.
Aspetta.
Fermati solo
un momento e permettimi di parlarti; sarai libero di andartene quando
avrò
finito, se vorrai.
Scusami.
Voglio
iniziare così. Scusami se ti ho allontanato, se non sono
ritornato in quel
posto che solo noi conosciamo e che solo a noi apparteneva; se
l’ho fatto avevo
le mie buone ragioni ma che, adesso, non hanno più
importanza.
Tu hai
sofferto tanto
ma credi, forse, che io non abbia sofferto allo stesso modo? Ci sono
dei
momenti in cui il carnefice soffre più della sua vittima ed
è quest’ultima a
causarne il dolore colpendolo a sua volta a morte. Quante volte ti ho
colpito
io? Quando ti ho rifiutato e non ho più incrociato i miei
occhi con i tuoi.
Quanti sono stati i tuoi colpi? Ogni volta che hai urlato il mio nome,
che mi
hai chiamato, equivale ad un colpo.
Non voglio
più questo.
Non voglio continuare a soffrire, facendoti soffrire.
Forse non ho
diritto
di cercarti, io adesso, ma vorresti rifiutarmi questa grazia?
Ti prego,
fermati! Non
andare. Ecco, così, rallenta i tuoi passi.
Dovrei dirti
tante
cose ma adesso mi sembra tutto senza importanza. Tutto si riduce ad una
sola
cosa.
Avevo paura
e non ho
voluto dirtelo perché non volevo rischiare di soffrire
ancora come ho già
sofferto ma non è questo che voglio; quello che voglio
è qui, con te.
Io ti amo.
Blaine, mio
scrittore
troppo sentimentale, mio suonatore di sitar squattrinato, Blaine.
Ti amo, non
per
sempre, ma in questo istante e in tutti quelli che passerò
con te.
Basta.
Se vuoi,
adesso puoi
andartene.
Basta.
Fammi solo
capire che
mi hai ascoltato.
Basta. Non voglio sentire altro… solo
quelle parole. Ti prego,
ripetile.
Ti amo.
Ancora.
Ti amo.
Ancora.
Ti amo.
E’ questa la nostra canzone.
Siamo noi,
due e uno.
E’ tutto passato?
Per me
sì. Per te?
Adesso che ti stringo, adesso che ti bacio,
dimentico il dolore e la
tristezza.
E’
questa la felicità?
Sentirsi liberi. Voglio urlarlo. Ti amo.
Ti amo e ti amerò fino al
mio ultimo giorno di vita.
Quando Kurt e Blaine, stretti,
insieme sul palco, gli occhi
lucidi di lacrime e le guance arrossate per lo sforzo che entrambi
avevano
fatto per parlarsi ai due lati opposti della sala, tremanti per
l’emozione,
ebbero finito di aprirsi il cuore a vicenda (non avevano recitato,
questo lo
avevano capito tutti, tranne il pubblico) le persone sedute iniziarono
ad
applaudire, alcune sinceramente commosse, altre con una leggera
titubanza per
quell’eccessiva dichiarazione. Ma gli applausi ci furono.
Invece Sebastian, livido di rabbia e
con i denti serrati,
non perse tempo a fissare i due giovani sul palco, ma fece cenno a
Nick, che
aveva guadagnato posizione nella seconda quinta di destra e che, a quel
via
libera, puntò la rivoltella in direzione di Blaine e Kurt.
- O mio Dio! State attenti!
Il secondo urlo di Finn fu seguito da
uno schianto, una
pioggia di pezzi di legno che mancò di poco alcuni ballerini
in scena, e dallo
stesso Finn che volteggiò in alto, appeso per una corda,
urlante, finendo nella
seconda quinta per poi ricomparire, più basso, da dove era
uscito trascinandosi
dietro Nick che ruzzolò sul palco con l’attore
imbacuccato nel suo costume; la
rivoltella scivolò in mezzo alle ragazze, terrorizzandole.
- Vogliono ucciderti! –
gridò nuovamente, agitatissimo, Finn
rimettendosi goffamente in piedi.
- Non era questa la battuta!
– sbottò Rachel, coprendosi
subito la bocca, essendosi accorta della gaffe appena fatta; ma il
pubblico non
le diede peso e iniziò a ridere, sinceramente divertito da
quel nuovo colpo di
scena.
- Attenti! Ha una pistola –
continuò Finn, indicando Nick
che arrancava per riprendere la rivoltella.
- Guardie! Prendeteli! –
declamò Rachel, senza controllare
la lingua e sbracciandosi in maniera esasperata.
- Vive la via de bohéme!
– saltò su Puck agitando il suo
bastone da stregone e colpendo una delle luminarie della scena e
facendo
saltare anche le altre.
In quel caos di luci che saltavano e
di ballerine e
ballerini che si agitavano e correvano di qua e di là, Nick
si rialzò e si fece
largo tra la folla, cercando di afferrare la sua rivoltella che veniva
spinta
via da ogni piede che aveva la fortuna di camminarci sopra. Ma ecco
che,
finalmente, riuscì a raggiungerla, si chinò per
prenderla… quando un pugno di
Tina lo raggiunse alla nuca, facendolo ruzzolare sulle assi del palco.
Intontito dal colpo, Nick quasi non si accorse del calcio di Quinn che
gli
arrivò sulla mascella e lo fece rotolare
all’indietro.
Dolorante, si rialzò ma
una gomitata di Brittany nello
stomaco ed una di Santana nella schiena, nello stesso momento, lo fece
piegare
in due favorendo il calcio nel fondoschiena infertogli da Mercedes che
lo fece
cadere nuovamente ma, stavolta, non poté rialzarsi visto che
Lauren, con la sua
stazza non indifferente, si gettò su di lui, rialzandosi
subito lasciandolo
quasi irrigidito.
Nella baraonda generale, Nick
ritrovò la forza bastante per
alzarsi e, per suo fortuna, durante quegli sballottamenti di cui era
stato
vittima si era anche ritrovato con la rivoltella in mano. Si rimise in
piedi e
vide davanti a sé Kurt e Blaine; puntò la
rivoltella e…
Le porte in legno che formavano la
struttura del “Tempio
Indiano” si aprirono con violenza, scaraventandolo
dall’altro lato del palco.
- Nessun problema! –
esclamò Mike, in maniche di camicia,
entrando dalle porte – Sono qui, possiamo continuare.
Continuare? Benissimo. Lo spettacolo
sarebbe continuato…
come volevano loro.
Finn attaccò con
l’inizio della canzone finale dello
spettacolo originale, seguito a ruota da Mercedes e le ragazze, da Mike
e Puck
e poi da tutte le ballerine e i ballerini. Portandosi al centro della
scena, le
mani unite, anche Kurt e Blaine si unirono al coro di voci.
Ma anche gli altri vollero la loro
parte in quel finale.
Rachel si liberò del turbante e delle pesanti vesti da
califfa e si affiancò a
Finn e Sam saltò dalla postazione dell’orchestra,
agitando la sua bacchetta da
direttore. E anche Dave e Becky scesero dalla loro postazione e si
unirono al
gruppo e non solo; al ragazzo non sfuggì Nick, ancora armato
di rivoltella che
si dirigeva verso un punto migliore dove colpire, quindi gli
lanciò tra le
gambe il suo scettro da divinità, facendolo precipitare
giù dal palco. Ma, con
un’ostinazione fastidiosa, fece nuovamente capolino,
intontito e pesto, la rivoltella
ancora in mano. Sinceramente stufata, Becky si sfilò un
sandalo e glielo lanciò
contro, colpendolo in mezzo agli occhi e atterrandolo definitivamente.
La rivoltella sfuggì di
mano a Nick e finì proprio ai piedi
di Sebastian che stava affogando nella sua stessa rabbia. Non appena
vide
l’arma, la afferrò con un unico pensiero in testa.
“Come voglio io. Lo
spettacolo deve finire come voglio io.”
Si lanciò come una furia
contro il palco, la rivoltella in
mano ma, prima che potesse accorgersene, un pugno di Will Schuester gli
arrivò
dritto in faccia e lo fece precipitare in mezzo ai due schieramenti di
poltrone
dove il pubblico applaudiva entusiasta a quella performance finale,
mentre il
cast si diradava ai lati lasciando la scena al Principe Indiano e al
suo
Suonatore di sitar.
Sebastian aveva perso ma la sconfitta
non gli avrebbe tolto
una cosa importante: la dignità. Ignorando gli sguardi di
alcune persone, si
rimise in piedi sistemandosi la giacca e pulendosi l’angolo
della bocca
insanguinata con un gesto elegante. Si voltò e, a testa alta
e con portamento
fiero, uscì dal teatro senza voltarsi indietro.
Intanto la canzone dei due amanti
terminò e il sipario calò
su di loro, mentre il pubblico continuava ad applaudire.
Gli applausi si estesero anche sul
palco, dove la gioia e la
soddisfazione erano esplosi con fragore nella folla esultante di attori
che si
abbracciavano e urlavano di entusiasmo. E, in mezzo a loro
c’erano Kurt e
Blaine, stretti l’uno all’altro, la tristezza di
qualche minuto fa spazzata via,
felici.
- Kurt – riuscì
semplicemente a dire Blaine, sorridendogli e
baciandolo – Comunque vada.
- Comunque vada –
mormorò Kurt, sorridendogli e baciandolo a
sua volta, la voce un po’ più bassa e affaticata.
- Tenetevi pronti per i saluti finali
– annunciò un tecnico.
Tutti si disposero, pronti a
prendersi i loro applausi. Il
sipario iniziò ad aprirsi e Blaine avanzò,
assieme agli altri, continuando a
tenere per mano Kurt; ma quest’ultimo non si mosse.
Quando Blaine si voltò
verso di lui, lo vide pallido, la
bocca spalancata come se non riuscisse…
Perdonatemi, non ce la faccio a continuare.
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Capitolo 13 *** Eternità ***
Eternità
Tempo, fermati un istante, solo uno; giusto il
tempo di ricordare
com’era non in quel momento. No, non quello! Non ce la faccio
a vederlo così
pallido e tremante. Voglio ricordarlo come era quando lo vidi la prima
volta,
quando le sue guance avevano ancora quel tenue colore rosato, quando
facevamo
l’amore credendo di avere una vita intera davanti. Ma
è tutto così mutevole.
Ora è l’ “Angelo di Diamante”
che scende dalla sua altalena da acrobata del
Moulin Rouge, ora è Kurt stretto tra le mie braccia, nel
nostro letto, ora è
Kurt stretto tra le mie braccia sulle assi di un palco, senza
più respiro e
freddo come il ghiaccio e un rivolo di sangue sulla sua bocca
sorridente.
Sei volato via, angelo mio.
Vide come se ogni cosa fosse ovattata
e rallentata
dall’acqua: Kurt che scivola per terra, avvinghiato alla sua
mano, la bocca
spalancata alla disperata ricerca di aria; poi un colpo di tosse e uno
zampillo
di sangue. E gli altri sembravano non accorgersi di nulla.
Avrebbe voluto urlare ma non riusciva
ad emettere alcun
suono e riuscì a muoversi un istante prima che il corpo di
Kurt urtasse le
assi.
Kurt. Che cos’hai? Dimmi che ti sta
succedendo.
Non poteva rispondere, se non con
singulti e versi
strozzati; solo i suoi occhi sembravano gridare
“aiuto”.
Anche gli altri, in quel momento, si
accorsero di quanto
stava accadendo e si avvicinarono allarmati; tra la folla si fece largo
anche
Carole. In mezzo ai mormori dei presenti si poté distinguere
solo Schuester che
ordinava di tenere chiuso il sipario e di cercare un dottore.
Tranquillo Kurt, stanno chiamando un dottore. Stai
tranquillo.
Non ho
bisogno di un
dottore. E’ inutile.
Ma cosa dici? Adesso verrà un dottore,
ti porterà in ospedale e lì ti
cureranno.
No, Blaine.
E’
inutile. Sto morendo.
No, non stai morendo. Non stai morendo.
Blaine. Ho
la
tubercolosi. Io sto morendo.
No, Kurt, ti prego.
Perdonami
per non
avertelo detto.
Ti prego Kurt, smettila. Adesso viene il dottore;
guarirai, lo so. Tu
sei forte.
Non
baciarmi. Sono
contagioso; rischi di infettarti.
Non mi importa.
No, Blaine.
Non farlo.
Ecco, ti ho baciato. Mi sono infettato e posso
continuare a baciarti,
non mi importa più di nulla.
Sei un
idiota, Blaine.
Nella mia bocca c’è solo il sangue e la malattia.
Questo non è sangue; è la
foga che abbiamo messo nei nostri primi baci
e l’unica malattia è quello che provo per te.
Devi
lasciarmi andare.
Io ti amo.
Anch’io
ti amo.
Resta con me. Non mi lasciare.
Scrivi di
noi… scrivi
la nostra storia… così sarò sempre con
te.
Resteremo insieme sempre, sempre. Ti cureremo, mi
prenderò cura di te.
Realizzeremo tutti i nostri sogni, insieme. Per sempre insieme.
Tutte le
parole che
non ti ho detto… tutto quello che avresti voluto
dirmi… Il nostro sogno… La
nostra vita… Comunque vada… Ricordi?
No… No…
Promettimelo.
Ti amo. Ti amo. Ti amo.
Ho freddo.
Stringimi;
dammi un po’ di calore.
Ti amo. Ti amo.
Non riesco a
respirare; il sangue mi soffoca.
Ti amo.
Tienimi
ancora un po’
con te. Amore.
Sono qui, con te; non ti lascerò. Li
senti? Stanno tutti piangendo; e a
me fanno solo ridere. Perché lo fanno? Tu sei ancora qui;
adesso verrà il
dottore e ti guarirà. Non devono piangere, vero? Vero Kurt?
Perché non mi dici
nulla? Hai tanto male. Non farmi spaventare, dimmi qualcosa, qualsiasi
cosa;
intona anche solo una nota. Hai una voce così bella, falla
sentire a tutti. Ti
ricordi cosa ti dicevo quando facevamo l’amore? Che riesci ad
arricciare le
corde del mio cuore quando canti. Dai, fammi sentire ancora come canti.
Solo
una canzone. No, hai ragione: non devi sforzarti se stai male. Scusami
ma mi
sono spaventato. Sei così freddo. Vuoi che ti stringa
ancora? Non voglio farti
male. Per favore, portatemi una coperta per Kurt. Perché
state lì, fermi, a
piangere? Vi ho chiesto una coperta; Kurt ha freddo. Per favore. Non lo
posso
lasciare, altrimenti andrei a prendergliela io. Ma lui ha bisogno di
me.
Tranquillo, sono qui, non ti lascio. Ma perché non mi parli?
Dimmi qualcosa, ti
prego. Ti prego. I tuoi occhi sono così vuoti e sei
così freddo. No, non lo
toccate! Non me lo portate via! Devo stare con lui. Io sono suo e lui
è mio. Io
lo amo e lui mi ama, me lo ha detto, lo avete sentito tutti. Lasciatelo
stare,
lui resta qui con me. Kurt, tranquillo, io sono qui. Non ti lascio.
Amore.
Portami con te.
Quanto tempo è passato da quel momento?
Giorni, settimane, mesi, non lo
so. Ma un giorno come gli altri mi sono seduto alla mia macchina da
scrivere e
ho raccontato questa storia. La nostra. E quella di tanti altri.
Il Duca ottenne la sua vendetta. Impugnò
il contratto e fece sgombrare
il Moulin Rouge di tutti i suoi abitanti per poi abbandonarlo al tempo
e alla
sua crudeltà. Mi dissero, poi, che quando venne a conoscenza
della morte di
Kurt, due lacrime gli solcarono il viso; non provai pena per lui ma,
adesso,
penso di averlo compreso: anche lui, a modo suo, aveva amato.
Delle persone che avevano composto la corte del
più famoso locale notturno
dell’intera Europa, non rimase più nessuno. Da
soli o in gruppetti volarono via
come foglie al vento per finire chi al suo paese d’origine,
chi in una stradina
buia della città, chi alla ricerca di un nuovo posto dove
stare. Tra i miei più
grandi rimpianti ci sarà sempre quello di essermi chiuso qui
dentro, ignorando
i richiami e la consolazione degli unici amici che avevo e che, alla
fine, sono
andati via. Dovunque siano Finn, Rachel, Puck, Mike e Sam e tutte le
altre
splendide persone che ho conosciuto, spero che abbiano trovato il loro
posto
nel mondo e che siano felici e, se un giorno leggeranno queste mie
parole,
chiedo loro perdono per non aver riconosciuto anche il loro dolore in
quanto
accaduto.
Ed io?
Io sono rimasto qui, dove posso ancora sentire la
tua presenza. Qui,
dove ti ho visto la prima volta, dove ho potuto conoscerti, imparare ad
amarti,
vedere chi si nascondeva sotto la maschera dell’angelo
perverso ricoperto di
diamanti. Qui, dove abbiamo fatto l’amore per la prima volta,
dove ci siamo
feriti a vicenda. Qui, dove il mondo ha visto quanta forza avevamo
insieme.
Ho aspettato, come una possibile liberazione, quel
mal sottile che ti
ha strappato a me; l’avrei accettato come il modo per poterti
riabbracciare.
Non è venuto; i sintomi non si sono presentati e sono
rimasto qui. Invece, sei
venuto tu da me, a chiedermi di ricordare quella promessa.
E adesso ho capito.
Siamo di nuovo insieme, non perché io
sono morto e ti ho raggiunto;
perché tu sei di nuovo vivo, attraverso la nostra storia, la
nostra canzone.
Sei rinato da queste lettere d’inchiostro e sei con me nei
giorni in cui mi
riaffaccio alla vita e nelle notti in cui sogno i tuoi occhi e il tuo
sorriso.
Non morirai più ed io resterò
vivo assieme a te. Fino a quando ogni
cosa materiale e immateriale cesserà di esistere e anche
oltre.
Noi due. Non più Principe Indiano e
Suonatore di sitar squattrinato. Né
Angelo di Diamante e giovane scrittore sentimentale. Né Kurt
e Blaine. Solo noi
due. E l’amore nostro; l’amore che
durerà per sempre.
Stendendo le braccia irrigidite e
schioccando le dita,
Blaine si alzò dal tavolino. Era stanchissimo ma si sentiva
felice, come non si
era più sentito in quegli ultimi mesi. Il suo cuore era
più leggero e il suo
senso di solitudine sembrava essere stato dissipato.
Desideroso di far entrare un
po’ di luce si diresse al
balcone e lo spalancò, respirando a pieni polmoni la fresca
aria del mattino.
Il sole era bellissimo quel giorno. Luminoso come i suoi occhi, come il
suo
sorriso. Perché erano i suoi occhi e il suo sorriso,
lì nel cielo.
- Buongiorno Farinelli –
disse Blaine al canarino nella sua
gabbietta appesa al muro esterno.
L’uccellino gli rispose con
un allegro trillo.
Fine
Nota
dell’autore:
Ed ecco che ho terminato questa
seconda long. All’inizio era
solo un’idea che, pensavo, avrebbe fatto la muffa nel mio
cervello ma poi, su
preghiera delle ragazze del gruppo di “You’re
killing me now”, ho deciso di
iniziarla.
E quella che era nata come una
long-fic, è diventata una
specie di lettera dove ho scritto tutto quello che provavo in certi
momenti.
Preferisco non aggiungere altro.
Nel congedarmi, ringrazio tutte le
carissime persone che
hanno letto questo mio obbrobrio, chi ne ha recensito i capitoli, chi
l’ha
inserita tra le preferite, tra le ricordate e tra le seguite. Non
sapete quanto
mi faccia piacere tutto ciò.
Che altro posso dire? Non sono bravo
con i saluti ed altro.
Vi ringrazio ancora di tutto cuore : D
E vi avviso che presto
posterò una OS su una coppia da me
inventata (e che, credo, mi farà odiare da tre quarti del
fandom) e sto
lavorando su una mini-long Quinn-centric sul… Titanic
(niente a che vedere con
Cameron, sia chiaro). E c’è poi
quest’altra OS che ho postato la settimana
scorsa, spero vi possa interessare: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1128132&i=1
Per tutti gli aggiornamenti ed
eventuali curiosità, questo è
il link della mia pagina facebook: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
Ciaoooo a tutti. Alla prossima.
Lusio
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