Until My Dying Day

di Lusio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordo ***
Capitolo 2: *** Children of the Revolution ***
Capitolo 3: *** Diamond Angel ***
Capitolo 4: *** Rhythm of the Night ***
Capitolo 5: *** Your Song ***
Capitolo 6: *** Elephant Love Medley ***
Capitolo 7: *** One Day I'll Flay Away ***
Capitolo 8: *** Spectacular Spectacular ***
Capitolo 9: *** Come What May ***
Capitolo 10: *** El Tango de Roxanne ***
Capitolo 11: *** The Show Must Go On ***
Capitolo 12: *** Io ti amo ***
Capitolo 13: *** Eternità ***



Capitolo 1
*** Ricordo ***


Ricordo

 

Quella macchina da scrivere lo aveva ossessionato per giorni, per settimane, per mesi. Ritta su quel tavolino, come una di quelle statue moderne che stavano andando così di moda in quegli anni, in attesa di essere utilizzata, di piantare su un foglio di carta la sua storia… la loro storia.

Scrivi di noi…

Ancora quelle parole così dolorose che tornavano a straziargli le orecchie.

- Ti prego, smettila! Non ce la faccio!

… così sarò sempre con te.

- Smettila di tormentarmi! Come fai ad essere con me? Tu non ci sei più, te ne sei andato per sempre, mi hai abbandonato. Non voglio sentirti nel mio cuore. Ho bisogno di sentirti accanto a me quando mi sveglio e quando vado a coricarmi, quando respiro l’aria della città fuori dalla finestra, quando scrivo…

Scrivi di noi…

- Perché non posso smettere di pensare? Perché non posso smettere di ricordarmi di te? Perché non posso smettere di amarti?

Tutte le parole che non ti ho detto… tutto quello che avresti voluto dirmi… Il nostro sogno… la nostra vita…Comunque vada… Ricordi?…

Sì, ricordava. Per questo si era mosso verso la macchina da scrivere.

L’aveva osservata da lontano, senza mai avvicinarsi ad essa, quel marchingegno che gli ricordava quanto inchiostro aveva versato per quello spettacolo che avrebbe dovuto salvare un intero mondo fatto di artisti, ballerine, poltrone foderate di velluto rosso, di lampadari di finti diamanti, di statuine orientali e che invece era naufragato, lasciandosi dietro un portone sigillato con un cartello che diceva “Fallito”; i tasti che aveva premuto per dare vita all’inno al suo amore, al loro amore rifiutato da tutti, vissuto di nascosto, consumato in quella stanza.

Come se fosse la prima e ultima volta.

Si avvicinò alla macchina da scrivere ne accarezzò i tasti, uno ad uno, soffermandosi sulle lettere che componevano il “suo” nome, passò le dita sul nastro fino a farle diventare nere per l’inchiostro, cancellando ogni residuo delle parole scritte in passato.

- E’ questo quello che vuoi? Va bene, anch’io lo voglio.

Prese una sedia, una risma di fogli e si sedette di nuovo di fronte alla machina.

Come iniziare? Mettendo un foglio nella macchina, naturalmente, ma con quale parola iniziare? Con quale lettera?

Dal principio, quindi dalla prima lettera dell’alfabeto: la A, un calice rovesciato che spargeva una storia sulla prima pagina, poi una M, per portarti in alto e poi gettarti di nuovo sulla terra, la O che ti risucchia come un abisso, una R tortuosa che ti assale come un cavallo imbizzarrito, per poi mettere una E che chiude il tutto come un cancello.

- Rimbaud, tu hai colorato le vocali*; ma io ho dato la vita a delle lettere.

Cosa aveva scritto? AMORE

Non avrebbe potuto dare un inizio più adatto. Adesso avrebbe continuato e non si sarebbe fermato più.

 

E’ iniziato tutto nel Moulin Rouge. Tutti lo conoscevano quando era ancora all’apice della sua gloria e alcuni lo ricordano con una nota di rimpianto adesso che è abbandonato al tempo inclemente.

Il Moulin Rouge era tante cose. Un locale notturno. Una sala da ballo. Un bordello. Un’isola di piaceri proibiti. Il regno di Will Schuester. Il luogo di ritrovo dei vecchi uomini d’affari, dei giovani che si affacciavano alla vita, dei ricchi signori annoiati dalla vita familiare. Il posto in cui chiunque poteva andare a divertirsi con giovani e belle creature di malaffare. Dove si poteva pagare una notte di fuoco al prezzo di un orecchino, di un anello, di un bracciale.

Un campo disseminato di ballerine di can can e di atletici giocolieri che avevano il compito di svegliare virilità sopite e di attizzare un fuoco che crepitava in petti inesperti. Fanciulle ingioiellate e truccate pesantemente con gambe e seni scoperti, ballerini che mostravano arti fasciati da strette calzamaglie; questi erano i “fiori” del Moulin Rouge. E il più bello di questi fiori era il ragazzo che amavo…

 

- Dammi la forza di scrivere il tuo nome, di riportarlo nel mio cuore, sulle mie mani e sulle mie labbra.

 

Kurt, un prostituto che vendeva il suo amore agli altri. Lo chiamavano “L’Angelo di Diamante”… e lo era. Era lui l’angelo custode del Moulin Rouge, colui che lo manteneva in piedi con la sua bellezza, la sua capacità di fingere, il suo talento, la sua crudeltà, il suo corpo. Senza di lui non sarebbe esistito nulla di quel mondo. Si faceva donare ogni cosa: denaro, gioielli, finanziamenti, per una sola notte di finzione, di false carezze e di vuoti baci e di un corpo freddo che simulava un calore ed una passione che non aveva. Per tutti era una tigre che si nascondeva dietro le sembianze di un gatto, un uccello rapace in grado di spolpare chiunque fino al midollo; ma lui era ben altro. Pochissime persone conoscevano la sua vera natura, quella che lui nascondeva dietro gli abiti sgargianti e ambigui e un lieve strato di cerone e un sorriso smagliante; io ero una di queste persone. Io ho potuto vedere ed ho potuto toccare con mano il suo vero essere. Io lo amavo.

Il ragazzo che amavo è…

 

Una parola può fermarti ed impedirti di andare avanti con la sua ineluttabile crudeltà. Perché sai che è vera e la verità è la cosa più dolorosa che esista. Ma c’è sempre qualcosa che ti spinge a continuare.

- Te l’ho promesso.

Non era tanto diversa dalla prima parola che aveva scritto. Doveva superare quella M irta come una montagna per gettarsi nello scuro abisso racchiuso nella O e lì trovare il cuore della parola, il suo nucleo che aveva la forma della R, risalire quel lungo pilastro che era la T che lo avrebbe portato verso la luna nuova, piena e scura che chiudeva la parola. O.

MORTO

Ecco, l’aveva scritto. L’aveva detto. Non poteva accettarlo.

Sì, il ragazzo che amava era morto.

C’era una macchia di sangue sul colletto della sua camicia; l’unica cosa che gli era rimasta. Il suo ultimo bacio.

Quello che senti nella mia bocca non è sangue; è la passione, è il nostro amore…

- Il nostro amore… Per te scrivo questo. Andrò avanti e se non riuscirò a proseguire, torna da me a punzecchiarmi, mio piccolo fringuello… Solo per te.

E riprese a scrivere.

 

 

 

 

Nota dell’autore

* Riferimento alla poesia “Voyelles” (“Vocali”) del poeta francese Arthur Rimbaud (1854-1891), mio autore preferito che vi consiglio caldamente.

 

Sì, sono ritornato, anche se in ritardo ma, come molti sanno, sono molto lento.

Da dove nasce questa nuova long? L’idea ha preso forma da una delle mille volte che ho rivisto “Moulin Rouge!” di Baz Luhrmann e l’impennata per scrivere mi è stata data dalle ragazze di “You’re killing me now” alle quali dedico questo mio primo capitolo.

Anticipo che questa non sarà una song-fic. E che non sarà un unico “copia-incolla” del film. E anche che, questa volta, causa impegni, mi risulterà difficile essere costante e preciso con gli aggiornamenti; se volete poi avere aggiornamenti riguardo alle mie storie, questa è la mia pagina d’autore su facebook:  http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

So che a molti potrebbe non piacere ma, come chiedo sempre, non giudicatemi per quello che scrivo ma per come lo scrivo. Fatemi sapere cosa ne pensate : D

 

Lusio

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Capitolo 2
*** Children of the Revolution ***


Children of the Revolution

 

Con un sospiro soddisfatto, Blaine Anderson si lasciò cadere sulla brandina cigolante della stanzetta che aveva affittato; il materasso era sottile  e scomodo ma poco gli importava in quel momento. Riusciva solo a pensare al fatto che era nella patria dell’arte, la città dei cantanti, degli attori, dei musicisti e degli scrittori, lontano dalla dittatura di suo padre che avrebbe voluto vederlo ammuffire dietro la scrivania della loro azienda di famiglia, a compilare moduli, firmare note di assunzione e di licenziamento, controllare le entrate ed altre cose mentalmente massacranti. Quando gli aveva parlato delle sue aspirazioni da scrittore aveva dovuto sopportare le sue urla, i suoi rimproveri, il suo chiamarlo “figlio snaturato” e mille altre cose, con sua madre che riusciva solo a disperarsi per quell’ennesima lite tra padre e figlio. Sembrava dovesse concludersi come tutte le altre volte precedenti: con Blaine che si isolava nella sua stanza; ma quella volta le cose erano andate in modo diverso.

La loro discussione, ad un certo punto, aveva preso una brutta piega e, ad una frase del padre (“Credi veramente di avere talento? Sei solo un bambino viziato che crede di poter fare tutto ma che non ha nemmeno l’ingegno per affrontare il lavoro serio!”) Blaine non ce la fece più. Sentitosi punto nel vivo, radunò in fretta e furia le sue cose, prese i soldi che si era guadagnato lavorando in una libreria della città e, senza voltarsi indietro, lasciò quella casa con l’intenzione di non farvi più ritorno.

Qualche ora dopo, quando la rabbia era sbollita e si trovava sul treno che lo avrebbe condotto alla meta che si era prefisso di raggiungere, prese coscienza del suo gesto. Si era comportato come un bambino fuggito di casa perché gli era stato negato il giocattolo desiderato, ma una cosa che aveva sempre odiato era sentirsi dire che la sua vita sarebbe stata un fallimento perché non era un ragazzo concreto e perché viveva sempre tra le nuvole, in un mondo di sogni e romanticismi futili; va bene, forse era vero, forse non sarebbe mai diventato uno scrittore famoso, forse era veramente un povero illuso ma non sarebbe rimasto bloccato in una vita monotona per poi ritrovarsi ad una certa età a domandarsi “Come sarebbero andate le cose se…”. No, avrebbe colto l’occasione, come stavano facendo tanti altri giovani come lui, sulla scia delle nuove correnti artistiche rivoluzionarie dell’epoca.

Sarebbe diventato uno di loro, uno dei “Figli della Rivoluzione”; avrebbe seguito le orme del poeta che più ammirava, Arthur Rimbaud, avrebbe fatto una vita da zingaro, da artista, precario certo, povero sicuramente, ma da artista. Avrebbe fatto la sua vita.

Ed eccolo lì, in una piccola camera ammobiliata, con un affitto ragionevole da pagare, una macchina da scrivere e tanta voglia di scrivere, di dare vita ai suoi sentimenti.

Facendo schioccare le dita, Blaine si rialzò e si sedette al tavolino,davanti alla macchina da scrivere, ansioso di mettersi all’opera; ma proprio mentre stava per battere l’indice su un primo tasto, due cose lo bloccarono: la prima fu il rendersi conto di non sapere come iniziare (la cosa peggiore che può capitare a chi scrive); la seconda, molto più strana ed inaspettata, fu un ragazzo che piombò con un gran fracasso nella sua stanza… dal soffitto per essere precisi.

Blaine saltò letteralmente dalla sedia nel vedere un ragazzo, asiatico a giudicare dai tratti somatici, svenuto a quanto sembrava, appeso ad una corda per la gamba e completamente ricoperto dal calcinaccio del soffitto. Non poté nemmeno prendere coscienza di quanto era accaduto perché la porta della stanza si aprì ed una ragazza bassina vestita “alla garçon” entrò di gran carriera.

- Oh, buongiorno – disse la ragazza, aggiustandosi i capelli, notando Blaine – Sono Rachel Berry, l’inquilina del piano di sopra, nonché “grande attrice”. Ma sono certa che avrete sentito parlare di me – concluse con una punta di vanità.

- Veramente… no – disse Blaine, sconvolto da quella “doppia” intrusione.

- Oh… be’, non ha importanza – replicò Rachel, cadendo dalle nuvole e concentrandosi sul ragazzo svenuto ancora appeso a testa in giù al centro della stanza – Cielo, che disastro! Sono desolata per il soffitto; non è mai capitata una cosa del genere. Di solito quando gli succede ha il buon gusto di trovarsi con i piedi piantati al suolo.

- In che senso “quando gli succede”? – esclamò Blaine.

- Vedete, questo mio amico, Mike, è affetto da una strana malattia: la narcolessia. In poche parole, un momento prima è perfettamente sveglio e l’istante successivo è più svenuto di una gallina con un panno sugli occhi. Io lo dicevo che accogliere uno come lui nella nostra compagnia era uno sbaglio ma…

- Rachel! Hai finito di fare conversazione?

Quelle parole sguagliate e volgari furono seguite dalla comparsa di tre volti che fecero capolino dal buco sul soffitto: il primo (quello che aveva parlato) apparteneva ad un ragazzo dalla carnagione bruna ed una curiosa cresta sulla testa, il secondo ad un ragazzo biondo con delle labbra vergognosamente grandi e il terzo ad un ragazzone dall’aria poco sveglia.

- Fantastico! – esclamò il ragazzo con la cresta – E’ svenuto di nuovo. Mi spieghi come facciamo ad andare avanti col protagonista maschile fuori uso?

- Non preoccuparti Puck – disse Rachel, tranquillamente – Con il mio talento riusciremo ad ultimare lo spettacolo.

- Non lo mettiamo in dubbio – fece il ragazzo biondo con lieve ironia – Ma sarà un po’ difficile continuare a lavorare senza protagonista maschile.

- Troveremo qualcuno che sostituirà Mike; non so dove, ma lo troveremo.

- Rachel – fece il terzo ragazzo – Perché non lo chiedi a quel ragazzo lì vicino a te? Ha la faccia del poeta innamorato.

- Questo? – valutò la ragazza, esaminando in modo inappropriato Blaine, il quale non riusciva proprio a capacitarsi di quanto stava accadendo – Sì, potrebbe fare al caso nostro.

- Bando alle ciance! – disse Puck rialzandosi, seguito dagli alti due – Rachel, recupera Mike e porta su quel ragazzo. Dobbiamo ultimare lo spettacolo entro stasera.

- Bene… eh… come ti chiami, scusa? – chiese Rachel, rimasta sola con Blaine (e Mike ancora svenuto).

- Blaine Anderson – risposa il ragazzo.

- Bene Blaine. Ti do il benvenuto nella nostra compagnia.

- Potrei almeno sapere qualcosa di più, invece di essere sballottato qui e là senza sapere niente? – fece Blaine, esasperato da quella presa di posizione.

- Scusa. E’ vero, siamo stati invadenti ma il fatto è che siamo con l’acqua alla gola. Dobbiamo portare, entro stasera, uno spettacolo teatrale per il Moulin Rouge, il noto locale qui di fronte. Uno spettacolo innovativo, che sarà portavoce degli ideali bohémien di noi Figli della Rivoluzione. Uno spettacolo che parlerà di “Libertà”, di “Verità”, di “Bellezza” e di “Amore”. E con questo spettacolo risolleveremo anche le sorti del Moulin Rouge, rendendolo un teatro vero e proprio. Allora, stavolta te lo domando ufficialmente: vuoi partecipare a questa nostra opera, Blaine?

Blaine aveva ascoltato ogni parola di Rachel, prima con titubanza, poco convinto dal fare superbo della ragazza, poi con sempre maggior interesse. Uno spettacolo, un’opera che avrebbe racchiuso gli ideali che lui stesso stava inseguendo. Solo pochi minuti fa stava lamentando il fatto di non sapere come iniziare ed ecco che gli si presentava un’opportunità, un trampolino di lancio, un inizio. La sua nuova vita non gli era mai sembrata così nitida e vicina come in quel momento. Avrebbe dovuto sostituire momentaneamente un attore; non sarebbe stato come recitare in un ruolo principale ma sarebbe stato pur sempre un inizio. Il suo inizio.

Accettò.

Dopo aver staccato Mike dalla corda, i due ragazzi salirono al piano di sopra ed entrarono nella stanza adibita a “sala prove”, una camera enorme, che prendeva luce da un’ampia vetrata sul tetto, piena di bozze di copioni, strumenti musicali, oggetti di ogni tipo, scenografie malandate, un odore di sigarette che rendeva l’aria irrespirabile. Un vero ritrovo di artisti bohémien.

A parte Rachel e Mike Chang, che venne adagiato su una brandina, gli altri componenti erano Noah Puckerman, chiamato semplicemente Puck, il ragazzo con la cresta, e Sam Evans, il ragazzo biondo dalle labbra esagerate, che erano gli addetti alla musica, e Finn Hudson, quello dall’aria poco sveglia, che era un interprete.

Misero in mano a Blaine un copione scritto a metà, gli diedero alcune indicazioni sul suo ruolo e ripresero il lavoro.

Ma quello spettacolo sembrava tutto fuorché “rivoluzionario”; Blaine se ne accorse subito. Già la storia di per sé era veramente scontata: l’amore a prima vista tra un pastore-poeta ed una ragazza di città, lo struggimento dei due amanti al limite dello stucchevole e del monotono, il lieto fine prevedibile, il tutto infarcito di frasette sdolcinate ed elogi esagerati nei confronti della protagonista, interpretata da Rachel. Certo, c’erano gli ideali dei Figli della Rivoluzione ma non erano riportati nella loro pienezza. Si avvertiva anche una certa incomprensione tra i vari attori su alcuni pezzi, sul finale da costruire, sul ruolo dei vari personaggi (tecnicamente “del personaggio”, visto che la protagonista era perennemente presente in scena). E Blaine, in mezzo alle esclamazioni di Rachel, i rimproveri di Puck, i tentativi musicali di Sam e la passività di Finn, si sentiva soffocare ed una grandissima voglia di dire la sua, di non essere un semplice “oggetto di scena”, gli premeva nel petto aspettando solo di uscire. Ed esplose quando venne ripreso il punto in cui il protagonista declamava il suo amore.

- Perché? – si azzardò a domandare Blaine e facendo voltare tutti verso di lui.

- “Perché” cosa? – chiese Rachel.

- Perché il protagonista maschile è così sicuro dei suoi sentimenti?

- Ma mi pare ovvio – rispose la ragazza – Perché la protagonista è una fanciulla bella, dotata di ogni virtù e solo un idiota non capirebbe che è la compagna perfetta.

- Sicuramente – replicò Blaine vincendo la tentazione di alzare gli occhi al cielo – Non mi azzardo a negare che il colpo di fulmine esista ma, così facendo, non rischiamo di perdere di vista il concetto di “Verità”?

- Non lo stiamo perdendo di vista – rispose Puck, infastidito da quel “novellino” che si sentiva in diritto di dire la sua – Nessun sentimento è “vero” come l’amore.

- Appunto perché è vero non può essere racchiuso in un solo concetto e dimenticando tutte le sue sfaccettature.

- Cosa vuoi dire? – chiese Finn che, assieme a Sam, sembrava più interessato.

- L’amore… - iniziò Blaine, cercando di calcolare ogni parola – Secondo me l’amore si evolve attraverso vari stadi: prima c’è l’attrazione fisica che ti porta a guardare, ad esplorare l’oggetto dei tuoi desideri; c’è poi la curiosità, la voglia di conoscere di più quella persona, apprezzare i suoi lati positivi, accettare quelli negativi; se poi capisci che sei disposto ad accettare quella persona nella sua interezza, se anche l’altra persona fa lo stesso con te, allora c’è l’amore. Quell’amore che nulla può distruggere, che vivrà per sempre, fino al loro ultimo giorno di vita. Lo so, il modo in cui ho esposto questo concetto è troppo freddo e clinico ma se mi deste la possibilità di adattarlo in un dialogo o in un monologo per lo spettacolo…

- Aspetta! – lo fermò Rachel, il sangue che le stava inondando la testa – Stai per caso dicendo che vorresti riscrivere a tuo piacimento il mio… cioè il “nostro” spettacolo?!

- Fermi tutti!

Queste ultime parole furono pronunciate da Mike che si era risvegliato e stava fissando Blaine con sguardo allucinato.

- E’ geniale! – continuò, alzandosi e avvicinandosi agli altri – Ragazzi, ma vi rendete conto? Questo tipo può essere la voce dei Figli della Rivoluzione. Potrebbe scrivere lui lo spettacolo.

- Ammetto che ha una mentalità ancora acerba – disse Sam – Ma credo anch’io che, se ben indirizzato, possa avere delle potenzialità.

- A me piace – si limitò a dire Finn, entusiasta.

- Fermi! Fermi tutti! – sbottò Rachel – Vi rendete conto di quello che state dicendo? State proponendo di buttare al vento mesi di fatica, quando dovremmo già portare almeno una trama completa entro stasera.

- Tanto non è che siamo riusciti a fare tanto – disse Puck – Tentare non ci costa nulla. Poi, questo ragazzo sembra sapere il fatto suo.

- E Schuester dove lo mettete? – chiese Rachel, imperterrita – Credete seriamente che accetterà di proporre al finanziatore uno spettacolo scritto da un ragazzino privo di esperienza? Senza offesa Blaine.

- Esperienza o no, si vede che ha talento – Finn corse in difesa di Blaine – E per quanto riguarda Schuester, ho la soluzione: Kurt. Se gli presentiamo Blaine, lui ci spianerà la strada verso Schuester.

- Sì, con Kurt sarà più semplice – convenne Sam – In fondo lui è, più o meno, uno di noi anche se ha più gioielli di un usuraio, mentre Rachel non ha nemmeno lo stile di George Sand* quando vuole indossare abiti maschili… - non poté terminare la frase, visto che gli arrivò, dritto sulla fronte, un volume de “Les Fleurs du Mal” di Baudelaire.

- Farò finta di non aver sentito – disse Rachel, tranquillamente, aggiustandosi le maniche della camicia – Se la mettete così… proviamo. Ma sappiate che non mi prenderò nessuna responsabilità nel caso in cui il piano fallisse.

- Allora Blaine – si rivolse Finn al ragazzo, rimasto in silenzio, in attesa – Vorresti scrivere il nostro spettacolo per il Moulin Rouge?

Blaine sarebbe potuto annegare nel mare di novità che lo aveva investito in modo così inaspettato. Non era trascorsa nemmeno una settimana da quando si era lasciato alle spalle la sua famiglia, la sua casa, la sua vita passata, e nemmeno un’ora da quando non sapeva come iniziare la sua nuova vita da artista ed ecco che, in un attimo, gli si era parata davanti una strada colma di possibilità, con un modo per esporre il suo pensiero, di dar vita ai sentimenti che aveva dentro e che aspettava solo una scintilla per esplodere come tanti fuochi d’artificio. Non gli erano chiare alcune parti di tutti quei discorsi come “Schuester”, “Kurt”, “finanziatore” e, francamente, non gli interessava più di tanto. In quel momento, l’importante per lui era l’opportunità che gli stavano concedendo quei Figli della Rivoluzione.

Aveva accettato di sostituire un attore svenuto; accettò di scrivere quello spettacolo bohémien.

 

* * *

 

Quella sera, si sentivano tutti in balia dell’ansia; dal buon esito di quella serata dipendevano tante cose: il salto di qualità del Moulin Rouge, una solida sicurezza per i Figli della Rivoluzione e un inizio che avrebbe segnato un futuro per Blaine. Ma, col cuore colmo di positività, speranza e tenacia, il gruppo si diresse verso il Moulin Rouge.

Blaine, stretto nello smoking che gli avevano procurato, non aveva mai visto un posto simile; come tutti i giovani aveva il suo bagaglio di esperienze in fatto di locali notturni, ma il Moulin Rouge non era come gli altri. Già visto di fuori era un vortice di luci e colori, ed era un caldo e tenue rosso a prevalere con il mulino che si ergeva sull’ingresso, quasi un’ironica beffa in mezzo a tanti altri monumenti seri ed importanti e forse era per questo che i bohémien lo preferivano agli altri luoghi di ritrovo artistici. Lì non era richiesta la concretezza e il conformismo; lì potevi abbandonare la maschera che mostravi alla società e mostrare il tuo vero io e nessuno ti avrebbe mai giudicato.

Un mondo nuovo e fuori dal tempo presente.

Attraversato l’ingresso ci si trovava in un ampio spiazzale all’aperto dove si trovavano due componenti separati del locale: la “Torre Gotica” un edificio a quattro piani, dall’aria oscura e tetra, sulla sinistra e l’ “Elefante”, al centro, una curiosa struttura a forma d’elefante indiano con tanto di finimenti e decorazioni che fungeva da alcova per i “personaggi importanti” che desideravano intrattenersi con le ballerine del Moulin Rouge.

C’era poi il secondo ingresso, quello definitivo. Una porta e subito una tenda rossa, per stuzzicare l’eccitazione di chi entrava. Poi… luci, colori e musica.

 

 

 

Nota dell’autore

* Pseudonimo di Amandine Aurore Lucile Dupin (1804-1876), scrittrice francese e femminista moderata che era solita indossare abiti maschili.

 

Penso che il giovedì sarà il giorno in cui posterò i capitoli di questa fic. visto che è il giorno in cui ho meno impegni, anche se non assicuro che gli aggiornamenti saranno settimanali. Io, per me, farò del mio meglio per essere preciso e costante.

Per tutti gli altri aggiornamenti, questo è il link della mia pagina facebook:  http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

Una bacio enorme a tutti.

 

Lusio

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Capitolo 3
*** Diamond Angel ***


Diamond Angel

 

Nel Moulin Rouge tutto sembrava sospeso tra angelico e demoniaco. Le ragazze che si esibivano erano, per la maggior parte, giovani e splendide ma con un che di trascorso sui visi pesantemente truccati e negli abiti quasi zingareschi; tra i loro passi di danza forsennati e volgari si intrufolavano, qui e là, con salti e capriole, ragazzi e uomini acconciati come saltimbanchi che divertivano o inquietavano con le loro smorfie e il loro sbucare dalle gonne danzanti delle ballerine che rispondevano a quei lazzi con urletti di piacere. I clienti più intraprendenti (in genere quelli più ubriachi) si lasciavano trascinare dall’onda della musica e delle canzoni e si dimenavano sulla pista da ballo cercando di stringere le forme delle ballerine o dei ballerini, a seconda delle preferenze.

Will Schuester, il proprietario, dirigeva tutto da una balconata sul palco dove l’orchestra suonava, invogliando clienti e ballerine al divertimento, con una voce alta e forte che riusciva a sovrastare anche il rumore delle risate, grazie anche alla posizione elevata e, soprattutto, agli anni di esperienza nel campo dell’intrattenimento e della ruffianeria.

Sul palcoscenico si stavano esibendo quelle che sembravano le “stelle del locale". Belle e irraggiungibili, diverse dalle ballerine in pista e, per questo, una vera attrazione per chi le guardava. La prima che saltava all’occhio era Lauren l’ “Arena”, chiamata così per la sua stazza fisica accentuata dalla massa di piume che decoravano il suo ampio vestito dorato, che divorava il palco e, al tempo stesso, lo sorreggeva con una grande forza di imposizione; con movenze languide e scattanti si mostrava Tina il “Fiore di Loto”, che racchiudeva in sé il fascino esotico dell’Oriente; accanto a lei si muoveva la “Regina” Quinn, la sovrana di quel palco, la più nobile in mezzo a loro, una bionda principessa degli zingari se ci si perdeva nelle ciocche rosa che decoravano la sua capigliatura; dalla parte opposta, in sincronia come un’unica anima divisa in due corpi, ballavano Santana e Brittany “les Fleurs du Mal”, i fiori proibiti uniti da un legame ancora più proibito, ostentato attraverso il contrasto tra nero e bianco, violenza e leggiadria, abito “alla garçon” e ampia sottoveste “alla greca”, e attraverso le languide carezze e i baci saffici che si scambiavano davanti al pubblico urlante; l’ultima, immobile sul palco, Mercedes la “Rose Noir” dalla quale nascevano i canti che animavano il Moulin Rouge.

Per Blaine quella era la prima destinazione e, sebbene alcuni aspetti di quel posto gli suscitassero una leggera ritrosia, si armò di tutta la determinazione di cui si sentiva provvisto in attesa dell’ “esame” a cui sarebbe stato sottoposto. Per sicurezza, decise di tenere le dita incrociate. In fondo si trovava nel mondo dell’irrazionalità.

- Va bene, ragazzi – disse Rachel, cercando di farsi sentire anche in mezzo a quel baccano – Trovatevi un tavolo e aspettate; io vado e cerco di parlare con Kurt delle innovazioni dello spettacolo. Fino ad allora, vedete di non sparpagliarvi.

- Ah, non fare la guastafeste! – esclamò Puck – Di sicuro Kurt non c’è ancora; se fosse già qui l’attenzione sarebbe tutta su di lui. Quindi, non vedo perché non dovremmo divertirci un po’. Forza ragazzi! Scateniamoci!.

E ignorando i tentativi di Rachel di riportarli all’ordine, Puck, Sam e Mike si lanciarono nella pista da ballo, afferrando al volo una ballerina ciascuno (tranne Puck che riuscì, incredibilmente, a prenderne cinque); anche Finn avrebbe voluto gettarsi nella mischia, ma Rachel gli si piantò davanti e gli sibilò minacciosamente: “Non.Pensarci.Neanche.” Al povero ragazzo non restò che prendere posto, assieme a Blaine ad uno dei tavoli posti intorno alla pista.

- Allora, ragazzi – riprese Rachel, come se stesse ripetendo un copione a memoria – Aspettatemi qui. Dirò a Kurt di te, Blaine, e cercherò di organizzare un incontro privato tra voi due, così gli potrai far leggere il pezzo che hai preparato. L’importante è convincerlo. Vado e torno.

Ed anche Rachel si infilò in quella folla di ballerine e clienti, cercando di evitare questi ultimi che sembravano in vena di allungare le mani, e sparì dalla visuale dei due ragazzi rimasti al tavolo a tenere il tempo della musica con mani e piedi. Approfittando della pausa di tutti quegli avvenimenti, Blaine decise di soddisfare almeno una delle sue curiosità.

- Chi è questo Kurt? – chiese a Finn.

- E’ la vera stella del Moulin Rouge – gli rispose il ragazzo, sorseggiando un bicchiere di liquore che gli era stato portato al tavolo – Per lo più è conosciuto col suo nome d’arte: l’ “Angelo di Diamante”*; lo chiamano così perché è bello come un angelo… o forse perché canta come un angelo… o magari per tutte e due le cose. Ha molto successo nel suo campo; si fa regalare gioielli, vestiti o, addirittura, denaro da tutti i suoi ammiratori. In poche parole, è lui che manda avanti la baracca. A prima vista può sembrare arrogante e difficile da gestire ma quando lo conosci meglio è un pezzo di pane, fidati, io lo conosco; mia madre è la sua costumista. Sii semplicemente spontaneo quando lo incontri e vedrai che riuscirai a convincerlo con il tuo stile poetico. In fin dei conti, anche lui, come noi, spera di emergere grazie alla buona riuscita di questo progetto.

Da quella descrizione approssimativa, Blaine cercò di farsi un’idea della persona con la quale avrebbe avuto a che fare e il ritratto che ne uscì dalla sua mente fu quello di un individuo non tanto diverso da lui, da Rachel, dagli altri Figli della Rivoluzione anzi, assai simile a loro per grandi linee, con la differenza che lui sembrava aver avuto la fortuna di essere già fornito di una certa notorietà nel suo campo… qualunque esso fosse. Non poté negare a se stesso di essere curioso di conoscere questo “Angelo di Diamante”; e non dovette attendere a lungo.

La musica, il canto della “Rose Noir” Mercedes, raggiunsero il loro culmine e si spensero di botto.

La tempesta di luci colorate si ridusse ad una sola colonna di luce bianca che si ergeva al centro della sala da ballo, dove ogni ballerina, saltimbanco e cliente aveva arrestato la sua danza.

- Eccolo! E’ lui – gli sibilò nell’orecchio Finn, per paura di infrangere quel silenzio, stringendogli la spalla.

In un religioso silenzio, scese dall’alto, da una sottile altalena da acrobata, l’ “Angelo di Diamante”.

Nella penombra si potevano notare un paio di gambe accavallate, coperte da un pantalone nero da una parte e bianco dall’altra; il viso era nascosto, oltre che dalla poca luce, dal pellicciotto che ricopriva il colletto del mantello bianco che gli cadeva lungo la schiena come una cascata immobile.

Poi, la sua voce ruppe quel silenzio. Lenta, carezzevole, dalle mille sfumature, alta per farsi sentire ma morbida per imprigionare col suo dolce canto. E, nel mentre che la sua voce riempiva la sala del Moulin Rouge, l’altalena scese e girò lentamente scoprendo, pian piano, un volto bianco leggermente truccato, un naso all’insù, una bocca dalle labbra morbide che si aprivano e si chiudevano languidamente ad ogni parola, ad ogni nota che liberavano, occhi intensi, dei quali non si riusciva a distinguere bene il colore, capelli castani perfettamente sistemati. Era un angelo, un angelo caduto.

Quel volto lievemente illuminato dalla luce bianca, quel canto melodioso.

Blaine non aveva mai visto niente di più bello.

 

Il primo stadio dell’amore è l’attrazione.

 

Quando si dorme si possono fare quei sogni che ti lasciano dentro un senso di benessere, pur non essendo stati dei bei sogni, ma lasciano dietro di loro un suono, un’immagine, una luce che dona un languore che ti scioglie il cuore. Forse, quello era ciò che stava provando Blaine mentre vedeva l’ “Angelo” liberarsi, con un gesto elegante, del mantello e gettandolo in mezzo al pubblico, dove alcuni cercarono di afferrarlo al volo, mentre l’altalena scendeva giù e lo portava al centro della sala.

 

Ma c’era un’altra persona che avrebbe dovuto incontrare Kurt quella sera; il finanziatore di Schuester: Sebastian Smythe, il Duca.

 

Seduto al tavolo accanto a quello di Finn e Blaine, il giovane duca Sebastian Smythe assisteva all’entrata in scena dell’ “Angelo di Diamante”, passando dolcemente la lingua sul bocchino della sua sigaretta nel vedere le gambe di Kurt tendersi nel saltare giù dall’altalena e i muscoli si contraevano sotto l’abito elegante nel momento in cui atterrava al suolo, continuando a cantare, accompagnato dalle ballerine sul palco. Poteva vedere la sua lingua fare capolino tra le sue labbra in alcune note; quella vista fece tremare la mano di Sebastian.

Accanto a lui c’era Nick**, il suo segretario personale, un individuo possente dall’aria inquietante, al suo stesso tavolo c’era William Schuester.

- Quando potrò incontrarlo? – domandò a quest’ultimo, con un tono di voce basso e roco.

- Ho organizzato un incontro privato all’ “Elefante” tra voi e Kurt, completamente soli – rispose Schuester, con aria complice – Sono certo che rimarrete più che soddisfatto e, naturalmente, poi potremo passare agli affari.

- Gradirei far passare questa serata, Schuester – replicò Sebastian – Non sono solito buttare via il mio denaro per niente; tutto dipenderà dal vostro “Angelo” Kurt.

- Posso assicurarvi che non rimarrete deluso – corse ai ripari l’uomo, alzandosi – Ora, scusatemi, vado a dare conferma del vostro incontro a Kurt; anche lui è impaziente di conoscervi. Intanto, godetevi lo spettacolo.

E lasciò il giovane nobile intento a fissare con desiderio l’ “Angelo di Diamante” e ad immaginare che il bocchino che aveva in bocca fosse una delle bianche dita di Kurt, impegnate ad afferrare le banconote, gli anelli e le spille che i suoi spettatori gli porgevano.

Aiutandosi con la sua bacchetta da direttore d’orchestra e con anni di esperienza, Schuester si fece largo tra la folla esultante, raggiungendo il piccolo podio mobile posto al centro della sala sul quale si stava esibendo Kurt, dimenando i fianchi e alzando le gambe, senza mai risultare volgare, e continuando a cantare accompagnato da Mercedes e dalle altre ragazze sul palco che le facevano da coro. Saltò sul podio ed iniziò a ballare accanto a Kurt, mentre alcune ballerine iniziavano a girare intorno a loro, agitando le gonne e muovendosi in modo molto “eloquente”.

- Will – disse Kurt, approfittando di una parte da solista di Mercedes per rivolgersi all’uomo accanto a lui – Il Duca è qui?

- Ne dubitavi per caso? – rispose Will.

- E dov’è? – chiese nuovamente Kurt, emettendo uno squittio emozionato.

Lo sguardo di Will corse al tavolo dove aveva lasciato il duca Sebastian e…

 

Quante cose possono accaderti nella vita. Basta un gesto semplice, come porgere un fazzoletto, come uno sguardo dato per sbaglio, e tutto cambia. E tu non puoi fare nulla per impedirlo. Per me quello sguardo non fu uno sbaglio e, se anche lo fu, fu la cosa più bella che mi sia mai capitata… Nonostante tutto.

 

In pochi istanti… Finn aveva sbadatamente versato metà del suo bicchiere di liquore addosso a Sebastian, seduto dietro di lui e stava cercando, nel modo più goffo possibile, di riparare al danno fatto agitando il fazzoletto davanti al giovane duca per aiutarlo ad asciugarsi. E quella fu la scena che vide Will.

- Dietro di te – rispose a Kurt – E’ quello a cui Finn sta dando un fazzoletto.

Kurt, con un’elegante giravolta, si voltò per vedere a sua volta… ma la scena, nel frattempo, era cambiata di nuovo e quel che vide fu Finn che maneggiava un fazzoletto davanti ad un ragazzo seduto ad un tavolo con l’aria più imbarazzata che avesse mai visto.

Non si trattava del duca Sebastian; era Blaine, al quale Finn stava chiedendo in prestito il fazzoletto per sostituire il suo ormai inutilizzabile.

Ma questo Kurt non poteva saperlo. Il destino è un fattore inaspettato.

- Sei sicuro? – chiese, poco convinto dall’aspetto del ragazzo che aveva visto, facendo una seconda giravolta.

- Fa vedere – fece Will, tornando a guardare e trovandosi davanti agli occhi la stessa scena di prima, ovvero Finn che si sbracciava davanti ad un Sebastian infastidito che si stava allontanando facendosi scudo col suo segretario – Sì, è lui – continuò l’uomo rivolgendosi di nuovo a Kurt – Spero solo che quell’idiota non lo faccia scappare.

Ad un segnale di Kurt, le ballerine salirono sul podio e, alzando le loro voluminose gonne, coprirono i due alla vista degli spettatori; con questa mossa scenica, il ragazzo ne approfittò per togliersi gli abiti che indossava e mostrando l’abbigliamento che nascondeva sotto: un gilet bianco sul petto nudo, un paio di pantaloni neri molto aderenti e un paio di stivaletti bianchi.

- E’ disposto ad investire? – domandò a Will durante la preparazione, porgendogli gli abiti tolti.

- Sì – rispose – Ma tutto dipenderà da come andrà la vostra serata. Dovrai cercare di giocare bene tutte le tue carte.

- Ti sei fatto un’idea di lui? Quale tipo di ragazzo può piacergli? Timido ed indifeso? Gaio e frizzante? O sensuale tentatore? -  si informò Kurt facendo, magistralmente, a mano a mano che le elencava, un’espressione dolce e tenera, una solare ed allegra ed una vogliosa e provocante.

- Be’… penso che andrà bene – meditò in fretta Will, mettendogli in testa il suo cappello a cilindro – il “sensuale tentatore”. Non fallire, mi raccomando. Da questo incontro dipende il futuro di noi tutti; se tutto andrà come previsto, il Moulin Rouge diventerà un vero e proprio teatro e tu diventerai un vero attore.

L’ultima parte di quel discorso valse, per Kurt, tutte le parole, tutte le decisioni, tutte le raccomandazioni dette, prese e fatte fino a quel momento. Anni di sogni e mesi di preparazioni che stavano per dare frutto al riscatto di un’intera esistenza. Un vero attore… sarebbe diventato un vero attore anzi, un grande attore, non sarebbe più stato l’ “Angelo di Diamante”, ma Kurt Hummel , famoso attore teatrale. Ma, a quel pensiero, il giovane si morse le labbra; l’esperienza gli aveva insegnato che erano le azioni a contare, non i sogni. Mise, quindi, da parte quella proiezione di un suo ipotetico futuro e tornò a concentrarsi sul momento presente. Lo spettacolo doveva continuare.

- Si va in scena – disse, inclinando di lato il cilindro.

- In bocca al lupo – disse di rimando Will, scendendo dal podio e dirigendosi alla sua postazione sulla balconata dell’orchestra, visto che le ballerine erano scese per mostrare Kurt dopo il suo cambio d’abito.

Al vederlo nella sua nuova e provocante mise, il pubblico andò in visibilio e le urla, gli applausi e i fischi aumentarono di intensità ma non riuscirono ad oscurare il canto di Kurt, che si levò, deciso e sicuro, nel mezzo della sala da ballo.

Con un’altra piroetta, il ragazzo saltò dal podio e, senza smettere di cantare, si diresse con movenze feline verso il tavolo di Finn e Blaine, fermandosi davanti a lui intonando un’ultima nota delicata come una carezza.

Blaine si tirò istintivamente indietro ma non poté impedire ai suoi occhi di correre lungo il corpo di Kurt, in quel momento così vicino; dalle gambe strette nei pantaloni al petto nudo e palpitante sotto il gilet, fino agli occhi ardenti, ma dei quali non riusciva ancora a definire il colore.

- Credo che voi stiate aspettando me – gli sussurrò languidamente Kurt, nascondendo teatralmente l’affanno.

- I-io… sì, credo di s-sì – boccheggiò Blaine, sentendo la gola tremendamente secca in quel momento di fronte a quell’invito.

- Rachel è riuscita a parlarti di lui, Kurt? – chiese Finn, entusiasta.

- Lascia fare a me, Finn – lo liquidò Kurt, senza prestargli particolare attenzione e afferrando Blaine per il braccio – Su, venite a ballare. Ho scelto il mio cavaliere per questa sera – concluse rivolgendosi al resto dei clienti.

Trascinò il giovane, ancora immobilizzato dalla confusione e dalla timidezza, in mezzo alla pista da ballo e, come ad un segnale convenuto, ripresero le danze; anche le cantanti sul palco si unirono a loro, accompagnate dalla forte voce trascinante di Mercedes.

Finn, invece, rimasto al suo tavolo, si vide comparire davanti Rachel, una espressione furiosa e affaticata dipinta in volto, che si lasciò cadere pesantemente sulla sedia lasciata libera da Blaine.

- Rachel, bravissima! – la accolse Finn – E’ andato tutto come previsto!

- Ma di cosa stai parlando? – chiese Rachel, confusa.

- Come di cosa? Hai detto a Kurt di Blaine; adesso stanno ballando insieme.

- Finn, non sono riuscita nemmeno ad avvicinarmi a Kurt! – rispose la ragazza, esasperata – E’ stata un’odissea vera e propria: ho dovuto fare i salti mortali per scansare quei maledetti debosciati che cercavano di approfittarsi di me; ad uno insistente ho dovuto strappare via il parrucchino (poi ho scoperto che erano i suoi capelli veri, ma tanto li avrebbe persi comunque, visto il modo in cui sono riuscita a strapparglieli). Alla fine, come se non bastasse, ci si sono messe anche quelle pseudo-ballerine e le loro stramaledettissime gonne che non mi hanno fatto nemmeno avvicinare al podio e quando si sono, finalmente, tolte dai piedi, Kurt è corso via, io l’ho seguito di nuovo e… oh, ordinami qualcosa da bere, ti prego.

 

 

 

Nota dell’autore:

* Come già avrete notato dal titolo, ho preferito cambiare “Diamante Splendente” con questo.

** Questo “Nick” non è il Nick Duvall dei Warblers che tutti conosciamo ma è quel bastardo che nella 3x14 ha capeggiato quell’atto di bullismo nei confronti di Dave; al momento è lui il personaggio che più odio, con tutto che è comparso in due episodi e per solo pochi istanti ma tanto mi è bastato.

 

Sono entrati in scena gli altri protagonisti di questa fanfiction e quelli che hanno buona memoria avranno certamente capito a quale esibizione di Kurt mi sono ispirato per la sua entrata in scena. E, alla fine, anch’io ho introdotto Sebastian in qualcosa scritto da me; metto di nuovo le mani avanti e vi assicuro che Sebastian sarà il più IC possibile… be’, non sarà comico come il Duca del film, anzi.

Per tutto il resto, questo è il link della mia pagina facebook: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

Ciao a tutti.

 

Lusio

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Capitolo 4
*** Rhythm of the Night ***


Rhythm of the Night

 

Per Blaine sarebbe stato difficile dire se si sentisse così stordito a causa della musica, o per la confusione intorno a sé, o per il fatto che Kurt, l’ “Angelo di Diamante”, fosse letteralmente avvinghiato a lui, o per un misto di tutti e tre i motivi. Sapeva solo che aveva caldo e che riusciva a muoversi, seguendo i movimenti del ragazzo stretto a lui, per puro miracolo.

Ogni tanto riceveva delle sonore pacche sulle spalle o delle parole di incitamento da qualcuno degli uomini in pista; intravide persino Puck, circondato da ben sette ballerine dall’aria compiacente, urlargli: “Vai così!”

- Siete veramente gentile ad interessarvi al nostro piccolo spettacolo.

Le parole di Kurt lo riportarono alla realtà e il tono tranquillo e colloquiale che aveva usato lo rassicurò e gli restituì un po’ di quella schiettezza che la Natura gli aveva dato e che, proprio in quel momento, aveva deciso di abbandonarlo.

- Lo trovo un progetto interessante – rispose Blaine – Sarei onorato di partecipare.

- Davvero? – esclamò Kurt, il volto illuminato da un gran sorriso.

- Sempre che vi piaccia quello che faccio.

- Oh, non dovete preoccuparvi – lo rassicurò Kurt – Sono sicuro che mi piacerà.

- Mi hanno detto che potevamo farlo in privato.

All’ultima frase di Blaine, Kurt si avvicinò ancora di più a lui, fissandolo con occhi leggermente più scuri e mordendosi il labbro inferiore con dei denti molto piccoli.

- Ah, sì – gli soffiò in volto, cingendogli il collo con le braccia e strusciando sensualmente i fianchi contro l’inguine di Blaine.

Il giovane aspirante scrittore sentì il cuore battergli all’impazzata nel petto, vedendo Kurt accostarsi a lui in modo veramente indecente (anche se il suo subconscio usò il termine “eccitante”) e quando tentò di pensare di nuovo in maniera seria, pensò di essere stato frainteso; corse quindi ai ripari.

- Intendevo dire – specificò, con voce leggermente arrochita e tremante – una lettura in privato.

- Oh, una lettura! – esclamò Kurt, con l’aria di chi la sa lunga – Ma sì! Mi piace una buona “lettura” dopo cena. Che ne dite, allora, di continuare la nostra serata all’ “Elefante”, dopo la mia esibizione?

Senza aspettare una risposta da Blaine (che non sarebbe riuscito neanche a rispondere in quella circostanza), Kurt strofinò scherzosamente il suo naso contro quello dell’altro ragazzo, per poi allontanarsi con una risatina, facendogli l’occhiolino e buttandosi di nuovo tra le braccia dei suoi spettatori.

Blaine rimase immobile dov’era, la bocca semiaperta e le guance completamente arrossate e solo una spinta di Puck, Sam e Mike, leggermente brilli a quanto sembrava, lo mosse e i tre lo riportarono al tavolo, dove li aspettavano Finn e Rachel, congratulandosi rumorosamente con lui per il buon esito del primo incontro.

Kurt si tolse il cilindro e lo lanciò in aria, imitato da tutti i presenti e, in un vortice di cappelli che cadevano al suolo, l’ “Angelo di Diamante” risalì sulla sua altalena da acrobata che lo portò di nuovo verso l’alto; mentre sotto di lui si continuava a ballare e a cantare.

Salutò il suo pubblico, regalando sorrisi ad ogni volto che lo fissava, come ogni sera, secondo lo spettacolo ma…

 

Già allora, in quel momento. E nessuno se ne accorse; io non capii e nemmeno tu. Era inconcepibile anche solo pensarla una cosa simile.

 

Kurt sentì la voce morirgli in gola e il respiro bloccarsi; dalla bocca gli uscì solo un colpo di tosse, secco e violento come una sassata. Respirare, voleva respirare. Ma per quanto tentasse, per quanto aprisse la bocca, un muro liquido e denso impediva all’aria l’accesso ai polmoni. Voleva respirare, voleva respirare, stava soffocando. Tossiva.

Aiuto.

Un cerchio di fuoco gli prese la testa, rendendogliela leggera, rendendo ogni cosa nebulosa e sfocata. Per un attimo non sentì nulla, nemmeno i ganci dell’altalena sotto le sue mani.

Cadde.

Venne preso al volo, quasi per miracolo, da Dave Karofsky, uno dei ballerini, tra lo sbigottimento e la paura generale; Blaine si alzò di scatto non riuscendo a capire cosa fosse successo, imitato dagli altri ragazzi della compagnia. Non una sola parola infranse il silenzio che si era creato.

Dave guardò Schuester, non sapendo che fare e il proprietario, trasudando preoccupazione, gli indicò col capo i camerini; avendo compreso, il ragazzo portò via l’ “Angelo” caduto mentre alcune ballerine gli facevano strada allontanando i clienti, agitando scenicamente le gonne; altre ragazze, tra le quali le cantanti, seguirono quella specie di “processione”, spinte dalla preoccupazione o dalla curiosità.

Mentre succedeva questo, Schuester prese ad applaudire e ad esultare, chiamando “Kurt”; se aveva imparato qualcosa in quegli anni trascorsi in quel mondo era, di sicuro, il modo in cui il pubblico si faceva facilmente manovrare, come un gregge di pecore. Infatti, come aveva previsto, l’intera sala, salvo alcune eccezioni, seguì il suo esempio.

“Serata salvata in extremis”, pensò Schuester, guardando con preoccupazione la porta dei camerini.

 

* * *

 

Dave adagiò delicatamente Kurt su uno dei divanetti vecchi e consunti che si trovavano nel retropalco, dove erano collocati i camerini, e gli sistemò la testa sul bracciolo in modo che tendesse col busto verso l’alto, visto che sembrava affannato. Gli altri ballerini e le ballerine che li avevano seguiti si accalcarono intorno cercando di capire cosa fosse successo.

- Mi sa che il Duca non avrà ciò che vuole, stanotte – disse Santana, una de “les Fleurs du Mal”, facendo sentire il veleno nelle sue sprezzanti parole sopra il bisbiglio degli altri.

- Santana, smettila! – la zittì, con rabbia, Mercedes che stringeva teneramente la mano di Kurt.

In quel momento, chiamata da Dave, arrivò la costumista del Moulin Rouge, Carole Hudson, una donna sulla cinquantina dall’aria forte, pur essendo un po’ bassa e, all’apparenza, fragile, seguita da una ragazzina bionda e, a ben vedere il suo viso, portatrice di handicap.

- Cos’è successo? – si informò Carole, preoccupata, inginocchiandosi davanti a Kurt come Mercedes.

- Sembra si sia sentito male – rispose quest’ultima – E’ caduto dall’altalena durante la fine dello spettacolo.

- Becky, prendimi i sali. E voi, levatevi! Fatelo respirare.

Scattante come una trottola, la ragazzina corse in uno stanzino, spingendo via tutti quelli che si trovava davanti e ritornò subito dopo con una piccola fiala d’argento consumato e la diede a Carole. La donna la aprì e la passò sotto il naso del ragazzo che, nel sentire l’essenza forte e pungente dei sali, riaprì gli occhi di colpo e tirò un sospiro profondissimo.

Aria. Finalmente, aria.

- Kurt, tesoro – gli disse Carole, dolcemente, passandogli una mano sulla fronte – E’ tutto a posto?

- Sì… sì – rispose Kurt, con voce fievole, sorridendo – Questi… questi maledetti costumi… così stretti – continuò, respirando profondamente e sbottonandosi il gilet.

Un attimo dopo entrò nel retropalco uno degli assistenti di Schuester che si informò delle condizioni di Kurt ed ordinò a tutti gli altri di ritornare in sala e di continuare la serata.

Rimasero solo Carole, Becky e Kurt che iniziò a tossire in un modo che alla donna non piacque; il ragazzo si portò alla bocca un fazzoletto che gli stava porgendo Becky, cercando di attutire il rumore aspro e violento della tosse. Quando la crisi sembrò terminata, si sistemò meglio sul divanetto portandosi una mano alla testa che iniziava a dolergli e chiudendo gli occhi per rilassarsi un po’, dando il fazzoletto a Carole.

Ma, quando vide cosa c’era sul fazzoletto, la donna sbiancò; quel piccolo quadrato di seta ricamata, uno dei tanti doni che l’ “Angelo di Diamante” aveva avuto da uno dei suoi clienti, aveva una macchia di sangue rosso scuro, proprio sul punto che aveva incontrato le labbra di Kurt.

 

* * *

 

- Dai Carole, sbrigati – la incentivò Kurt, davanti allo specchio, un’ora dopo – Il Duca mi starà di certo aspettando, non voglio giocarmi questa occasione.

- Non devi preoccuparti, Kurt – lo rassicurò la donna, sistemandogli il cravattino – Lo avrai senz’altro conquistato.

- E’ inutile che mi sistemi in questo modo – disse il ragazzo indicando il cravattino – Tanto non baderà nemmeno a come sono vestito; gli interesserà di più come togliermi di dosso tutti questi strati.

- Bisogna sempre, in ogni circostanza, fare buona impressione. Vedrai, tra un po’ ti ritroverai a recitare nei più importanti teatri del mondo accanto ad artisti come Sarah Bernhardt.

Kurt si concesse, ancora per qualche istante, di sognare. Poteva permetterselo, in fondo, grazie alla sua tenacia, alla teatralità che lo rendeva sicuro di sé e dei suoi intenti; aveva visto come quel giovane duca lo stesse mangiando con gli occhi, era praticamente già fatta e dopo quella notte, un’ennesima notte di finzione e lusinga, avrebbe avuto la sua strada per il successo sgombra di ostacoli.

- Diventerò un grande attore, Carole – disse con decisione e sicurezza – E, finalmente, potrò volare via di qui.

Un sonoro cinguettio lo riportò alla realtà; Farinelli* il canarino, che era anche la “mascotte” del Moulin Rouge, si agitò freneticamente nella sua gabbietta cercando di attirare l’attenzione dei due presenti.

- Scusa Farinelli – rise Kurt, agitando scherzosamente l’indice dentro la gabbietta – Volevo dire “voleremo” via di qui.

E il canarino agitò le ali, come se già volesse prendere il volo portandosi dietro l’intera gabbietta.

Vedere quel ragazzo, che aveva accudito come fosse un figlio suo, ridere spensieratamente dopo quanto era accaduto, dopo un’intera anche se breve esistenza passata ad offrirsi agli altri per sopravvivere, fece male al cuore di Carole; aveva sempre saputo che quella non era la vita adatta a Kurt, non si sarebbe spiegata altrimenti il suo forte desiderio di andare via, inseguire i suoi sogni, e che si era gettato in quel mondo perché non aveva avuto altre possibilità di scelta, ma si era sempre chiesta “se avesse avuto un’altra via?”, “se la vita gli avesse concesso un’altra scelta?”. Probabilmente il Kurt dei primi anni l’avrebbe colta al volo, mentre il Kurt attuale… chissà, era molto bravo a fingere; avrebbe potuto facilmente rifiutarla fingendo di desiderarla e viceversa. Ma in quel momento non era il Kurt che si esibiva al Moulin Rouge e si vendeva per soldi, era solo Kurt con un vestito poco casto che giocava con un canarino. Era solo Kurt. Gli posò un bacio sulla fronte, facendo attenzione a non scompigliargli i capelli, poi gli porse una piccola fiala.

- Kurt, per favore, prendi un po’ di queste gocce – disse.

- Cosa sono? – chiese lui, fissando la fiala con curiosità.

- E’ un antibiotico**, per evitare che ti ricapiti di nuovo un mancamento.

- Ah, Carole, è stato solo un caso – la rassicurò Kurt con leggerezza – Le luci, il movimento, la confusione, l’abito che era troppo succinto, non è stato nulla di grave.

- Per favore Kurt, prendile – lo pregò Carole, preoccupata – Fallo per me; mi sono molto spaventata. Poi, non potrà che farti bene. Ti prego, Kurt.

Dopo un momento di riflessione, Kurt sospirò rassegnato e prese quelle gocce di antibiotico, augurandosi che ne valesse la pena; non sarebbe stato per niente una buona cosa mostrarsi assonnato o nauseato durante l’incontro col Duca. Proprio riguardo a quest’ultimo, arrivò Schuester tutto trafelato. La serata doveva essersi conclusa in quel momento.

- Kurt, è tutto a posto? – si informò.

- Tranquillo Will, sto alla grande – gli rispose Kurt, mostrandosi in tutto il suo fascino perverso – Che ne dici? Sono abbastanza “sensuale e tentatore” per il nostro Duca?

- Oh Kurt! – esclamò Will, coprendosi gli occhi – E’ meglio se ti copri con un cappotto o rischi di farlo svenire, anzi “venire” troppo presto.

- Che sboccato che sei – disse Kurt, fingendosi scandalizzato ma senza nascondere la sua risata – Fatemi gli auguri, vado a fare la storia del Moulin Rouge.

Il ragazzo uscì facendosi largo tra la folla di ballerine e ballerini che gli auguravano “buona fortuna”, gli facevano apprezzamenti spinti o lo fulminavano con occhiate piene di invidia e lui accoglieva ogni cosa a testa alta con un sorriso. Uscito dal locale, andò dritto all’ “Elefante” che si ergeva al centro dello spazio aperto e, all’ingresso, riconobbe la testa riccioluta e l’aria da pesce fuor d’acqua del giovane Duca; gli si avvicinò con passo leggero e lo salutò con lo sguardo più languido di cui era capace.

- Buonasera; spero di non avervi fatto attendere.

- N-no… no, anzi – balbettò Blaine, non sapendo se spostare lo sguardo sul volto (e quindi sugli occhi) di Kurt o sul suo corpo da mozzare il fiato – Come state? Vi siete sentito male?

- Oh, che carino ad interessarvi tanto, ma non dovete preoccuparvi. A me piace avere l’attenzione di tutti quando esco di scena e sono anche disposto a simili colpi di scena per averla. Prendetela come una piccola anticipazione delle mie doti da attore. E adesso, pensiamo a noi – concluse, aprendo la porta e invitando Blaine ad entrare.

Quando la porta si chiuse alle loro spalle, Rachel e gli altri, che avevano spiato ogni mossa dei due giovani, si avvicinarono all’ “Elefante” sprizzando entusiasmo da tutti i pori.

- Santo cielo! – esclamò Rachel, saltando dalla gioia – Sono andati direttamente all’ “Elefante”; questo vuol dire che ormai abbiamo lo spettacolo in tasca. Visto ragazzi, il mio piano ha funzionato.

- Il “tuo” piano? – la fulminò Puck.

- Va bene, il “nostro” piano – lo liquidò Rachel – Comunque, adesso non ci resta che fare quello che ogni persona in attesa di una buona notizia farebbe.

- Aspettare? – tirò a indovinare Finn.

- No, spiare.

 

* * *

 

Kurt fece accomodare Blaine nel suo boudoir personale e la cosa non aiutò per niente quest’ultimo, almeno l’arredamento non lo fece: tutto in stile indiano con ampi tendaggi che scendevano lungo i muri, statue di divinità orientali, strumenti musicali della medesima fattura con l’unica eccezione di un pianoforte e (a vederle, Blaine temé che le tempie gli scoppiassero tanta fu la quantità di sangue che sentì salirgli alla testa) riproduzioni di alcune posizioni del Kamasutra sopra un letto ampio e rotondo coperto di cuscini; su un tavolinetto c’erano frutta, dolci ed una bottiglia di champagne con due bicchieri; un balcone che dava una splendida vista del cielo stellato e delle luci della vita notturna della città.

- Prego, fate come se foste a casa vostra; col vostro permesso, io vado a darmi una sistemata – disse Kurt, scomparendo dietro un paravento decorato con motivi floreali.

Non sapendo che fare e trovando una pessima idea quella di sedersi, visto che l’unico posto era il letto, Blaine si avvicinò al balcone, sperando che l’aria fresca della sera gli desse un po’ di refrigerio e lasciò correre l’occhio sugli ultimi clienti che lasciavano il Moulin Rouge, sgolandosi mentre cantavano canzoni d’operetta e nelle case si accendevano le luci per combattere il buio che si faceva sempre più forte con l’avanzare della notte.

- Come vi sembra questo posto. E’ abbastanza “poetico” per voi?

La voce di Kurt lo fece voltare verso l’interno e… no, non poteva essere vero! Sicuramente doveva trattarsi di un sogno visto che Kurt, in quel momento, era davanti a lui con solo i pantaloni neri addosso, i piedi nudi e una leggera vestaglia che gli lasciava scoperta un’ampia parte del suo petto e la stessa espressione sensuale che gli aveva già rivolto troppe volte in quella prima serata. L’unica risposta che gli uscì fu un mugolio d’assenso dovuto alla gola secca.

- Gradite qualcosa, prima di iniziare? – chiese Kurt, voltandosi verso il tavolino – Magari un bicchiere di champagne?

- Forse è meglio andare subito al sodo, se a voi non dispiace – proruppe Blaine tutto d’un fiato, desiderando solo che quella situazione altamente equivoca finisse subito.

Quella richiesta infastidì non poco Kurt; aveva avuto a che fare con persone un po’ “bramose” ma che almeno fingevano di avere un minimo di educazione, cosa che quel “Duca” non aveva, a quanto sembrava. Ma lamentarsi non era il suo compito. Quindi, riprese la sua espressione da tentatore e, tenendo lo sguardo fisso davanti a lui, andò verso il letto e vi si distese languidamente.

- Come volete – sussurrò slacciandosi il nodo della vestaglia che gli scivolò lungo la spalla, scoprendo un capezzolo con una carezza – Allora, venite qui così andiamo subito al sodo.

- I-io… io preferirei farlo in piedi – trovò la forza di dire Blaine, guardandosi le scarpe tirate a lucido.

Con fare stupito ma accondiscendente, Kurt fece per rialzarsi dal letto ma Blaine lo fermò subito.

- Non dovete alzarvi per forza – disse – Il fatto è che… si tratta di un affare lungo e vorrei che voi steste comodo. Quello che faccio potrà sembrarvi un po’ strano ma sono certo che se siete aperto e preparato potrebbe piacervi.

- Ne sono sicuro – esclamò Kurt guardando, con occhi sbarrati, la parte inferiore del corpo di Blaine.

Era fatta, doveva solo leggergli quella parte dello spettacolo che aveva buttato giù su un foglio che tirò fuori dalla tasca interna della giacca ma quando alzò lo sguardo su Kurt, sentì la voce mancargli nuovamente: il giovane si stava muovendo sul letto con le stesse movenze di un gatto, lasciando che la vestaglia lo scoprisse in più punti, a seconda del movimento: una spalla, il petto, un braccio, la schiena. E lo fissava con desiderio in modo insistente, lasciando che dei piccoli versetti gli uscissero dalla bocca.

Era decisamente troppo per Blaine che si girò cercando di togliersi dalla testa quell’immagine che aveva appena visto e, al tempo stesso, fece dei respiri profondi, schiarendosi la gola e battendo la lingua sul palato per recuperare un po’ di voce.

- Va tutto bene? – chiese Kurt, notando il suo strano atteggiamento.

- Sì… s-sì è… è solo che – balbettò Blaine – sono un po’ nervoso. Mi ci vuole un po’ per avere l’ispirazione adatta.

Quelle parole chiarirono le idee di Kurt che si alzò e si avvicinò a Blaine con aria comprensiva.

- Ah sì, non preoccupatevi – disse – Ora ci pensa papino.

E, senza nemmeno avere il tempo di pensare, Blaine sentì la mano di Kurt afferrargli le intimità.

- Questo vi ispira? – chiese Kurt, spingendolo verso il letto, dove vi affondarono in un groviglio di cuscini e lenzuola di seta – Facciamolo.

- Che… che cosa? – tentò di dire Blaine senza trovare la forza di ribellarsi.

- Non lo indovinate? – gli chiese di rimando l’ “Angelo” facendo scontrare sensualmente i loro bacini.

 

* * *

 

- Senti qualcosa, Rachel? – domandò Finn alla ragazza mentre, con l’aiuto di Puck, Mike e Sam, la teneva sospesa, a testa in giù, davanti ad una finestrella del boudoir.

I cinque si erano arrampicati sulla cima dell’ “Elefante”, dove c’era un piccolo terrazzo con delle panche ed una tettoia, grazie ad una delle corde alle quali venivano appese le lanterne per illuminare lo spiazzo, e in quel momento stavano cercando di “controllare” l’andamento della situazione e, visto che Rachel era la più leggera, lei era stata scelta per essere calata per le gambe verso una delle finestrelle. Non poteva vedere molto ma qualcosa riuscì a sentire.

“Non sentite quanta poesia?”

- Kurt sta ascoltando il pezzo di Blaine – disse la ragazza – La sta chiamando “poesia”.

“Su, liberate la tigre”.

- Sembra molto preso, gli sta persino suggerendo qualche pezzo da aggiungere.

“O mio Dio! E’ enorme!”

- Ragazzi, è fatta! Dice che ha un “enorme” talento!

 

* * *

 

- Avanti, iniziamo la nostra “lettura”- esclamò Kurt, aumentando il movimento dei suoi fianchi.

- Per favore! – scattò Blaine, svincolandosi dalla presa del ragazzo e saltando giù dal letto e rifugiandosi contro il muro.

Sconvolto da quella reazione, Kurt si sollevò in ginocchio non sapendo cosa dire.

- Scusatemi – continuò Blaine, dopo essersi un po’ calmato – E’ solo che… sto provando tante cose in questo momento e non sono bravo con le parole; è una cosa che mi hanno sempre rimproverato. Ma vorrei, almeno, provare ad esprimermi con quelle poche parole che ho.

Blaine si interruppe, aspettando una eventuale chiarificazione, una parola da parte di Kurt, ma quest’ultimo rimase in silenzio, ancora più stupito da tutto quel preambolo e si sedette in modo più composto, curioso di sapere dove volesse andare a parare quel “Duca”.

Quella calma diede un po’ di coraggio a Blaine, che sentì la voce tornargli normale e il tremolio alle gambe placarsi; la cosa migliore sarebbe stata tornare a leggere i suoi appunti ma qualcosa lo fermò: un nuovo possibile inizio.

Notava solo in quel momento gli occhi di Kurt illuminati dalle luci del boudoir, non più finti e lascivi ma nudi e dubbiosi e naturali.

Sentì l’irrefrenabile desiderio di ricominciare da loro e, stavolta, niente lo avrebbe bloccato.

- Guardate le stelle – iniziò, voltandosi verso il balcone.

 

 

 

Nota dell’autore:

* Come vedete, ho inserito anche il nostro Pavarotti solo che, vista l’ambientazione e l’epoca, ho preferito dargli il nome del famoso castrato italiano.

** L’uso di antibiotici come la rifampicina e l’isoniazide fa parte del trattamento per la cura della tubercolosi; alla fine dell’ottocento, però, era molto più diffuso l’intervento chirurgico e la tecnica del pneumotorace ma per esigenze di trama ho preferito prendermi questa licenza narrativa.

 

Dal prossimo capitolo mi aspetto gioie e dolori. Poi vedrete.

Ringrazio sempre chi mi segue e, per qualunque cosa, questo è il link della mia pagina: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

 

Lusio

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Capitolo 5
*** Your Song ***


Your Song

 

Se guardo le stelle vedo i tuoi occhi.

E’ una frase scontata e priva d’effetto, lo so: tutti i grandi poeti l’hanno già ampiamente utilizzata ma la mia intelligenza è così limitata che posso solo ripetere le loro parole per esprimermi.

Spero che tu capisca cosa voglio dire. Stai sorridendo; mi trovi divertente, vero? Ti faccio ridere col mio sentimentalismo e la mia poesia stucchevole?

Sì, ridi! Ti prego, ridi! I tuoi occhi diventano ancora più luminosi e belli mentre ridi, anche se le palpebre li coprono, la loro lucentezza riesce a superarle. Ridi. E’ una canzone la tua risata. Mi chiedo se sono verdi o blu; i tuoi occhi, intendo. Non riesco ad indovinarne il colore, so solo che mi piace, mi piace quando ogni parte del tuo volto è naturale e genuino come adesso, non come prima, quando sembrava coperto da una maschera che rendeva tutto finto e osceno. Non voglio offenderti, ti sto solo aprendo il mio animo.

Ritorno sempre ai tuoi occhi; non posso farne a meno, mi sento felice se li guardo.

Ancora non capisco cosa provo, è tutto confuso eppure dovrebbe essere chiaro. Continuo ad usare frasi scontate e prevedibili.

Magari se ti conoscessi meglio potrei chiarirmi le idee e le mie parole assumerebbero un valore più grande, ma ho bisogno del tuo aiuto. Come faccio a conoscerti se tu non me lo permetti? Non è difficile, devi solo parlare come sto facendo io in questo momento, senza vergogna, confessando tutti i tuoi sogni, le tue paure, i tuoi momenti più lieti e quelli più tristi, senza alcuna vergogna, come se fossimo vecchi amici, due fratelli che condividono tutto tranne il sangue.

E poi, quando ci saremo completati a vicenda, imboccandoci l’un l’altro con le parole, potrei iniziare ad accarezzarti la mano, a stringerla, ad avvicinarmi un po’ di più, continuare a parlare fino a sfinirci, addormentarci fianco a fianco, il fiato dell’uno che accarezza la bocca dell’altro, riscaldandola, svegliarci nello stesso momento e sorridere perché sappiamo di non essere soli ma di avere l’un l’altro.

Incomincio ad essere un po’ più intraprendente e tu mi stai ascoltando con più attenzione e più serenità; quindi, qualcosa sta già accadendo. Forse siamo già amici. Per quanto la cosa mi renda felice, non mi basta, c’è qualcosa che mi manca. Ho un po’ di vergogna ma troverei un po’ di coraggio se mi dicessi che anche per te è incompleto quello che provi; ma certamente chiedo troppo.

Ma più ti guardo, più sento il suono che ti esce dalle labbra mentre stai sorridendo e più cresce in me la voglia di abbracciarti, accarezzarti, dirti tante cose. Vorrei tantissimo baciarti. Adesso veramente ardisco troppo.

Lasciami quindi iniziare con una semplice carezza, sarà breve, non te ne accorgerai neanche.

Ci siamo avvicinati ancora un po’ e amo tutto ciò. Ora lo so, l’ho capito; amo questo sorriso, amo questi occhi, amo tutto quello che sto provando.

La vita mi sembra più bella ora che ti ho incontrato.

Queste sono le mie parole; trovane l’essenza.

 

Ogni parola pronunciata era stata un passo di Blaine che li aveva avvicinati e un tassello della maschera di Kurt che cadeva mostrando un volto attento coperto, però, dal velo dell’interessamento.

Sulla scia delle parole, Blaine si inginocchiò davanti a Kurt, che era rimasto seduto sul letto, accostando il suo volto a quello di lui, riducendo l’ultima frase in un sussurro soffiato sulle labbra.

- Non riesco a crederci – disse Kurt, la voce tremante e un sorriso imbarazzato sul volto – Mi sono innamorato di un giovane bellissimo, pieno di talento e che è anche un duca.

Blaine fu costretto ad appoggiare entrambe le mani sul pavimento per sostenersi, visto che quanto aveva sentito, unito a quanto aveva detto nell’ispirazione, aveva aumentato il ritmo del suo cuore. “Innamorato”, “innamorato”, “innamorato”, questa parola in pochi attimi gli riempì le orecchie per poi venire spazzata via da un’altra.

- Duca? – ripeté, leggermente confuso.

- Non che il titolo sia importante, è chiaro! – si affrettò a dire Kurt, ridacchiando.

- Ma io non sono un duca – chiarì Blaine – Sono uno scrittore.

Subito Kurt smise di ridere e le sue labbra si piegarono in giù e i suoi occhi mostrarono incredulità e costernazione.

- Come?! – esclamò, rialzandosi e allontanandosi da Blaine.

- Sono uno scrittore – si limitò a ripetere il ragazzo, rialzandosi a sua volta.

- Uno scrittore?! Non siete il Duca Sebastian Smythe?

- No, io mi chiamo Blaine Anderson. Pensavo che Rachel…

- Aspettate! Rachel? – lo fermò Kurt, capendo in un attimo cos’era accaduto – O mio Dio! Non sarete, per caso, uno di quegli artisti bohémien squattrinati della cerchia di Rachel?!

- Be’… in un certo senso… sì – rispose Blaine che, avendo capito di essere stato scambiato per un altro, aveva solo voglia di sparire per l’imbarazzo.

Sentendo la conferma alla sua paura, Kurt coprì un grido di rabbia e si lasciò sfuggire una violenta serie di imprecazioni incomprensibili per un orecchio poco allenato come quello di Blaine ma perfettamente udibile da Rachel, ancora fuori dalla finestra ad origliare che, voltatasi verso i suoi compagni, pallida in volto, disse:

- Temo che qualcosa sia andato storto; Kurt ha appena detto che vuole uccidermi.

Intanto, nel boudoir, Kurt si trovava ad affrontare le difficoltà inaspettate sorte dal nulla in quella serata; la prima fra tutte: il vero Duca. Se quel tipo con la faccia da pesce lesso non era Sebastian Smythe, dov’era quest’ultimo? E, soprattutto, cosa avrebbe pensato trovandolo in compagnia di quella specie di “poeta”?

Aveva bisogno di una delle sue interpretazioni dell’ultimo minuto per salvare la situazione, peccato solo che l’ansia gli impedisse di riflettere razionalmente. L’unica cosa che gli venne in mente fu quella di andare incontro al Duca Sebastian Smythe, nel caso stesse venendo da lui e distrarlo in modo da permettere a quel ricciolino di liberare la stanza senza farsi vedere. Sì, si poteva ancora salvare il salvabile.

Senza nemmeno darsi una sistemata o legarsi la vestaglia in vita, si fiondò verso la porta e la aprì ma ciò che vide nel piccolo corridoio lo gelò e lo costrinse a richiuderla: Will in compagnia di un giovane alto, dall’aria distinta (il vero Duca, sicuramente) si stava dirigendo verso il boudoir.

- Oh santo Dio! – esclamò disperato, guardando Blaine che era rimasto immobile dov’era, non sapendo cosa fare – Presto, nascondetevi nel…

- Kurt, ragazzo mio – disse Will Schuester entrando nella stanza, seguito da Duca Sebastian – Sei presentabile? Il nostro duca è ansioso di conoscerti.

Kurt avrebbe pensato fino all’ultimo dei suoi giorni che quello che fece in quella frazione di secondi, nella quale si era aperta la porta, era stata la sua “improvvisazione” più veloce e disperata: si era aperto completamente la vestaglia creando un “muro” con le braccia tra i nuovi ospiti e Blaine, che ebbe il buonsenso di accucciarsi davanti a lui, per non farsi vedere. Tocco finale: Kurt fu lesto a voltarsi, mostrando all’interessato il suo petto bianco e palpitante e lo stesso sorriso languido che aveva regalato a Blaine solo qualche minuto prima.

- Mio caro Duca – miagolò Kurt, spostandosi lentamente verso il tavolino per permettere a Blaine di nascondersi meglio dietro di esso – Fremevo dal desiderio di fare la vostra conoscenza.

Sebastian Smythe, senza falsi pudori, lasciò correre uno sguardo ardente di desiderio lungo le forme pallide che quel ragazzo bellissimo esibiva così volentieri davanti a lui e, avvicinandosi tranquillamente e con aria sicura, afferrò con delicatezza , ma anche decisione, la mano che Kurt gli stava offrendo, respirando profondamente il dolce profumo che emanavano le sue carni.

- Il desiderio era reciproco Kurt Hummel, “Angelo di Diamante” – disse Sebastian, accarezzando quella mano con le labbra, dando una scarica lungo la schiena di Kurt con la sua voce roca – Spero vivamente che questa serata insieme ci permetta di “approfondire” maggiormente questa nostra conoscenza.

- Allora, io tolgo il disturbo – disse Will, facendo l’occhiolino ai due – Divertitevi!

E l’uomo uscì saltellando dal boudoir.

Essendosi assicurato, con la coda dell’occhio, che Blaine fosse ben nascosto dietro il tavolino, lontano dagli occhi di fuoco di Sebastian,prese gentilmente a quest’ultimo il cappello e i guanti posandoli sul letto dove si sedette comodamente aspettando che il giovane duca lo raggiungesse. Ma, a quanto pareva Sebastian non sembrava avere tutta questa fretta.

- Penso che non sarebbe una cattiva idea scambiare quattro chiacchiere davanti a qualcosa da mangiare.

 - No! – scattò su Kurt fermando Sebastian che si stava girando proprio verso il tavolino – Non… trovate che sia una bella serata? – domandò, mostrandosi calmo, indicando la vista fuori il balcone.

- Incantevole – si limitò a rispondere Sebastian guardandolo leggermente sconcertato facendo per voltarsi nuovamente verso il cibo sul tavolino.

Senza starci troppo a pensare, Kurt lanciò un sonoro acuto e iniziò ad agitare freneticamente le braccia e a sgambettare, portando le gambe fin quasi all’altezza della sua testa ed intonando un’allegra canzone del suo repertorio.

- Ho tanta voglia di ballare! – esclamò, avvicinandosi a Sebastian – Vi prego, ballate con me.

- Se non vi dispiace – disse il Duca, confuso da quello strano atteggiamento – vorrei prima bere un po’ di champagne.

- No!!! – urlò Kurt agitatissimo, fermando nuovamente Sebastian che gli lanciò uno sguardo, se possibile, ancora più sconvolto.

Kurt avrebbe tanto voluto non sentirsi con l’acqua alla gola, almeno non in quel momento; ogni secondo che passava lo spingeva sempre più nel suo mare di difficoltà. Doveva pensare subito a qualcosa. E, inaspettatamente, l’occhio gli cadde proprio su Blaine che stava facendo capolino da dietro il tavolino; forse quel tipo gli poteva essere utile.

- Perdonatemi, mio caro Duca ma… sto… provando tante cose in questo momento – tentò di ricordare le parole che gli aveva detto Blaine – e non sono… bravo con… - continuò seguendo i suggerimenti di Blaine che, avendo compreso la situazione, gli stava suggerendo tutto con gesti e scandendo le parole con le labbra - … le parole.

Poteva funzionare, potevano continuare con quel piccolo intrigo alla “Cyrano di Bergerac”, peccato che Blaine, sbadatamente, urtò la mano contro uno dei calici provocando un rumore di vetro incrinato che risvegliò Sebastian dallo stato di riflessione nel quale era caduto nel cercare di comprendere cosa Kurt stesse dicendo.

Temendo che potesse girarsi, Kurt tentò un’ultima azione disperata: si gettò in ginocchio davanti a Sebastian afferrandogli i fianchi e premendo il volto contro il suo inguine. E’ inutile dire che quell’ennesimo gesto strano non dispiacque molto al giovane duca; per tutta la serata non aveva fatto altro che pensare a quel ragazzo così avvenente ed invitante, immaginando quanto si sarebbero “divertiti” insieme e, in quel momento, se lo ritrovava ai suoi piedi, con le labbra che accarezzavano il suo bassoventre; riuscì quasi a sentire la morbidezza di quella pelle attraverso la stoffa dei pantaloni.

- Non so come spiegarlo ma, da quando vi ho visto, ho provato il forte desiderio di esservi più vicino – riprese Kurt cercando di far passare la sua agitazione per eccitazione e notando che Sebastian sembrava “gradire” molto quelle sue parole. In un’altra occasione si sarebbe goduto il momento a sua volta, peccato solo che la sua priorità in quel momento fosse permettere e Blaine di uscire – Permettetemi questa intraprendenza, mio caro Duca.

Kurt si rialzò il più lentamente possibile, strusciando il suo corpo contro quello leggermente tremante di Sebastian, lasciandogli sentire e assaporare il suo respiro, il battito del suo cuore, il suo profumo lieve reso acre da un sottile strato di sudore, permettendogli di vedere ogni più piccolo dettaglio del suo viso: gli occhi verdi ed azzurri al tempo stesso (quello destro leggermente più chiuso dell’altro), il naso all’insù, le labbra rosee e carnose, la pelle nivea accarezzata da qualche ciocca di capelli castani sopra le orecchie. Sebastian, nella sua giovinezza e nel suo vigore, aveva avuto tanti giovani di ambo i sessi, innocenti ed esperti, ne aveva conosciuto il respiro, il movimento, l’odore, ne aveva toccato ogni centimetro di carne e forse qualcuno o qualcuna di questi e quelle li aveva desiderati un po’ di più ma ciò che ricordava di loro era nulla in confronto a quel ragazzo che stava avvicinando il volto al suo, facendo incontrare le loro labbra con una carezza dolce e sensuale che si fece poi più profonda; come se fosse la cosa più normale del mondo, iniziarono a mordersi le labbra a vicenda per assaporarne la morbidezza, le loro lingue si incrociarono, lottando in modo frenetico e desideroso mandando scariche piacevoli lungo la schiena.

Kurt approfondì ancora di più quel contatto incrociando le braccia dietro la nuca di Sebastian, approfittando di quella posizione per tenerlo fermo e per indicare a Blaine l’uscita, in modo che si togliesse definitivamente di torno.

- E’ veramente bellissimo – sussurrò Sebastian, la voce ancora più roca, quando si staccarono per riprendere fiato.

- Sì – disse Kurt, di rimando, continuando a tenere d’occhio Blaine che stava per aprire la porta ed uscire di soppiatto – Proprio in questo momento, assieme a voi, mi rendo conto che la vita è più bella.

- Cosa volete dire?

Kurt strozzò in gola la risposta visto il rumore che Blaine aveva causato, notando che all’ingresso del boudoir si era piazzato il segretario personale di Sebastian, richiudendo la porta con uno scatto secco; con l’ennesima mossa disperata, lanciò un gemito di disperazione gettandosi in modo scomposto sul letto.

- Oh, Duca! – esclamò, ostentando un dolore esagerato – Perché siete così crudele? Non capite quale effetto potete avere su un povero ragazzo come me? Vi prego, prendetemi ora! – con una presa salda, afferrò Sebastian per il suo smoking e lo trascinò su di sé, sul letto, baciandolo, affondandogli le dita nei capelli, strusciando i fianchi contro il suo accenno di erezione, liberando versi di puro piacere e lasciando che anche il giovane duca si desse da fare, stringendogli le membra e leccandogli il collo con aria famelica. E, sempre con un braccio libero, Kurt indicò a Blaine, premuto contro il muro, di andarsene stavolta verso il balcone.

Con l’unico desiderio di uscire da quella situazione imbarazzante, Blaine scivolò verso il balcone salvo poi rendersi conto che lo spazio lì era molto esiguo e l’altezza leggermente considerevole.

Come se avesse compreso al volo i suoi pensieri, Kurt decise di dare un taglio definitivo a quella farsa.

- Oh, sì avete ragione – disse, fingendo di ansimare – Dovremo aspettare la sera della prima dello spettacolo.

- Come? Aspettare? – fece Sebastian, spiazzato da quella uscita.

- Non è il caso che aggiungiate altro – continuò Kurt rialzandosi, continuando a tenere Sebastian per lo smoking e portandolo verso la porta, senza permettergli di girarsi e vedere Blaine – Il vostro sangue freddo mi colpisce, ma avete ragione: l’attesa renderà tutto più bello, alla fine. Ma ora è meglio che andiate.

- Ma sono appena arrivato – tentò di ribellarsi Sebastian, contrariato da quella interruzione.

- Ci vedremo ogni giorno, alle prove dello spettacolo, vero? La vostra magnanimità e i vostri finanziamenti ci saranno di grande aiuto in tutto questo; per il resto dobbiamo solo aspettare. Andate!

Lanciando parole a raffica, Kurt condusse il Duca verso la porta, la aprì e lo spinse fuori, per poi rivolgersi con uno sguardo furente verso Blaine, rimasto in disparte in quegli ultimi secondi.

- Tu, razza di idiota! – gli urlò contro o, almeno, sembrò che stesse urlando visto che la sua voce parve come bloccata da qualcosa, una mano che gli stringeva la gola – Hai idea di quello che sarebbe accaduto se ti avesse scoperto?! – il resto della frase si perse in un sibilo partorito da un volto bianco e tremante e fu seguito da un tremendo ansimare.

Blaine fu lesto ad afferrarlo prima che potesse cadere a terra svenuto. Proprio non ci voleva!

“Miseria ladra!” pensò “Adesso cosa può accadere di peggio?”

Ma quello non era proprio il momento adatto, non con Kurt svenuto tra le braccia, non era pesante ma non era nemmeno tanto leggero e Blaine si trovava anche in svantaggio per quanto riguardava il fattore “altezza”; cercando di essere delicato, nei limiti del possibile, lo portò verso il letto buttandocelo sopra, pesantemente, finendo anche lui addosso al ragazzo. Ed ecco che il peggio arrivò.

- Perdonatemi Kurt – disse Sebastian, rientrando inaspettatamente nella stanza – Ho dimenticato… - e si interruppe quando vide Blaine steso sul letto addosso a Kurt – E questo cosa significa? – chiese con voce gelida e inquietante, mentre la sua mano, tradendo una forte emozione, richiudeva violentemente la porta.

- N-no… scusate… non è… - balbettò Blaine, cercando di giustificare la situazione equivoca.

- Oh, Duca! – trillò Kurt ripresosi, a quanto sembrava, proprio in quel momento e accortosi subito di quanto stava accadendo – Che gradito ritorno il vostro. Vorrei approfittarne per presentarvi… l’autore del nostro spettacolo – concluse indicando Blaine per poi spingerlo via e rialzarsi.

- Ah, l’ “autore” – mormorò Sebastian, per niente convinto, mantenendo il suo tono freddo.

- Sì, l’ho fatto venire qui per una “prova straordinaria” – fu lesto a rispondere Kurt.

- Mi credete davvero così stupido? – fece Sebastian con l’ira che iniziava a trasparire dalle sue parole – Dovrei credere che così discinto, tra le braccia di un uomo, in un boudoir, dentro un “elefante”, voi stavate…

Il fiume di parole del Duca fu interrotto da un rumore di vetri e da varie esclamazioni che si conclusero quando Rachel, il viso arrossato e alcuni frammenti di vetro tra i capelli, seguita dai ragazzi della compagnia che stavano inciampando l’uno sull’altro nello stretto balcone, entrò come se niente fosse.

- Buonasera – salutò Rachel, con voce acuta, scuotendosi di dosso i frammenti di vetro – Spero che la prova stia proseguendo bene. Scusate il ritardo ma ci siamo trovati davanti una lastr… cioè, una fila di gente che non potete nemmeno immaginarvi. Riprendiamo dall’inizio – concluse lanciando un’occhiata d’intesa a Kurt e Blaine.

- Grazie per avermi sostituito – disse Mike, spingendo Blaine di lato.

- Noi accordiamo gli strumenti – Puck e Sam corsero al pianoforte.

- Volete qualcosa da bere? – chiese Finn sventolando una bottiglia di assenzio sotto il naso del Duca.

- Kurt, vorreste spiegarmi? – esclamò, svincolandosi da Finn.

- Ma certo, mio caro Duca. Volete fare silenzio, voi altri?! – li zittì Kurt per poi tornare a rivolgersi a Sebastian con voce suadente – Vedete, il vostro incontro, quei pochi minuti trascorsi in vostra compagnia mi hanno talmente ispirato che ho sentito il bisogno di radunare qui la nostra compagnia e di iniziare subito a lavorare per lo spettacolo.

- E come mai Schuester non è qui a supervisionare? – replicò Sebastian ancora poco convinto.

- Non volevo disturbarlo con…

- Ma si può sapere cosa sta succedendo qui?! – esclamò Will, precipitandosi proprio in quel momento nel boudoir e fissando con sgomento Rachel e tutti gli altri.

- Will, allora sei venuto anche tu – lo fermò Kurt correndogli incontro e stritolandogli il polso – Ma non era il caso; il Duca Sebastian sa tutto della “prova straordinaria”.

- La… “prova straordinaria”? – domandò esitante Schuester.

- Sì, per introdurre i suoi consigli artistici. E’ per questo che è così ansioso di finanziarci.

Quell’ultima parola fu sufficiente per illuminare gli occhi di Will e a fargli capire l’essenziale di quel caos.

- Caro Duca, voi ci onorate con il vostro amore per l’arte – disse – La nostra Rachel sarà felicissima di mettere la sua penna a vostra disposizione.

- Io non sto più scrivendo lo spettacolo – disse Rachel, infastidita da quel coltello che le giravano nella piaga aperta nel orgoglio.

- Che cosa?! – esclamò Will sconvolto.

- Per favore Will, lo sanno tutti – si affrettò a dire Kurt – Infatti, il Duca è già stato conquistato dalla bravura del nostro nuovo autore – concluse indicando Blaine.

- Oh sì, certo! – si corresse Will – Allora non avete nulla di cui preoccuparvi; siamo nelle esperte e fidate mani… di…

- Blaine – si presento il ragazzo, sottovoce.

- Blaine! – annunciò Schuester per poi indicare la porta – Duca Sebastian, visto che sembra tutto deciso potremmo già andare a firmare qualche documento.

- Non c’è fretta Schuester – si fece finalmente sentire Sebastian, accomodandosi sul letto – Prima di investire vorrei sapere di cosa parla questo spettacolo. Dai vostri commenti si direbbe un vero capolavoro.

L’euforia che aveva animato il boudoir al sapere che la “doppia” missione era riuscita, dopo alti e bassi, venne spazzata via da quella richiesta e un gelido e imbarazzante silenzio cadde sui presenti, incapaci di rispondere.

- Ma certo… lo spettacolo – Will fu il primo a scuotersi – Rachel, di’ al Duca di cosa parla.

Probabilmente una persona come Rachel non avrebbe avuto problemi ad intavolare una presentazione così, su due piedi, ma il massimo che riuscì a fare fu balbettare mezze frasi, intimorita dallo sguardo magnetico che Sebastian le stava puntando addosso e, soprattutto, perché una vera e propria storia non c’era.

- Il nostro spettacolo parla d’amore – le venne in aiuto Blaine, spostando l’attenzione dei presenti su di sé.

- “Amore”? – fece Sebastian – Un argomento un po’ scontato.

- No! – si inalberò Blaine – Parla dell’amore vero; di quell’amore che non può essere distrutto da nulla. La storia si svolge in… in India – continuò, guardando lo stile del boudoir; ecco, poteva inventare la storia lì, sul momento, bastava guardarsi intorno e il suo sguardo cadde su Kurt che, come tutti, lo fissava incuriosito e allora Blaine sentì l’ispirazione tornargli – Lì regna un Principe; il più bel principe che esista al mondo. E il suo regno viene invaso da… - automaticamente, guardò Sebastian, che non sembrava per niente preso, ma per evitare qualche sgradito problema spostò gli occhi su… Rachel – da una Perfida Califfa. Per salvare il suo regno ed il suo popolo, il Principe Indiano deve sedurla e fare in modo che lei lo sposi ma, la notte in cui dovrebbe incontrarla, scambia uno scrit… No! – si interruppe e afferrò un sitar che si trovava in mezzo agli altri strumenti indiani – Un… un Suonatore di sitar squattrinato per la Califfa.

- Un momento – lo interruppe Sebastian senza scomporsi – Come fa una persona a scambiare un uomo per una donna?

- Oh, be’… il Suonatore di sitar era travestito da Califfa perché recitava in una commedia. Sarà tutto frutto del caso, lui non intenderà ingannare il Principe Indiano, semplicemente si troveranno l’uno sulla strada dell’altro – continuò rivolgendosi a Kurt.

 

Lo lessi nei tuoi occhi: avevi capito che ti stavo chiedendo scusa, nel mio modo maldestro, ma in quel momento eri troppo concentrato sullo spettacolo e sul Duca, come tutti… E non capisti che già ti stavo aprendo il mio cuore. Forse nemmeno io lo capivo ancora; sapevo solo che eri tu ad ispirarmi.

 

- E si innamorano. Quindi, per…

- Ho capito bene? – esclamò Sebastian, facendosi più attento e stendendo le labbra in un sorrisetto malizioso – “Si innamorano”? Un amore omosessuale. Non vi sembra una scelta ardita?

- Perché ardita? – si fece avanti Rachel, battagliera – Il nostro spettacolo sarà il portavoce degli ideali dello spirito bohèmien e, secondo questi nostri ideali, mostreremo la libertà e la verità che sono parti integranti del sentimento d’amore.

Sebastian, senza perdere la sua espressione, si mostrò pronto ad ascoltare il seguito della storia, lasciando scorrere uno sguardo carico di desiderio su Kurt.

- Allora, i due giovani devono nascondere il loro amore – continuò Blaine, cercando di ignorare il modo in cui Sebastian ostentava il suo apprezzamento per Kurt – E da qui si susseguono le loro varie vicende.

- Del tipo?

- Il suo sitar – si fece avanti Sam, cogliendo al volo un’idea – Il sitar del Suonatore è magico: è in grado di parlare e di dire solo la verità.

- Ed io sarò il Sitar magico! – saltò su Finn strappando il sitar dalle mani di Blaine, guadagnandosi una serie di occhiate basite da parte dei presenti.

- Tu sarai il Sitar?! – esclamò Rachel senza nemmeno la forza di alzare il tono di voce tanto era rimasta scioccata da quell’affermazione – Ti sembra credibile un sitar alto quasi due metri e dalla stazza di un armadio a due ante?

- Be’… è… è un sitar magico quindi… può anche essere un sitar di grandi dimensioni – si difese Finn.

- Credo quindi – continuò Rachel, approfittandone per mettere anche del suo nello spettacolo – che il “Sitar magico alto due metri che dice solo la verità” farà scoprire i due amanti e la Perfida Califfa, folle di gelosia, deciderà di vendicarsi sui due per l’oltraggio subito…

- Ma loro tentano di fuggire – attaccò Puck, scavalcando la ragazza – Quindi, la Perfida Califfa li fa inseguire dal suo Stregone di corte che, con un incantesimo riporta il Principe Indiano al castello separandolo dal Suonatore di sitar squattrinato che si ritrova solo e disperato con solo il Sitar magico e… e… - non riuscì a continuare, trovandosi a corto di idee.

- E intona il suo canto d’amore – continuò Kurt, con le guance che gli si tingevano di rosso – ed è in quel preciso istante che il Principe Indiano lo sente e lo invoca a sua volta, sperando che possano ritrovarsi.

Il suo tono non era brillante e malizioso come lo era stato fino a quel momento anzi, Blaine credé di aver sentito la vera voce di Kurt proprio in quell’istante. Era scomparso l’ “Angelo di Diamante” e al suo posto c’era solo un ragazzo che parlava di una cosa semplice con un modo di esprimersi ancora più semplice ma venato da un sottile sentimento.

“Chi sei tu?” si ritrovò a pensare.

 

Il secondo stadio dell’amore è la curiosità.

 

- Per grandi linee, questa è la storia che rappresenteremo – concluse Blaine, dopo aver catturato un altro po’ dell’immagine di Kurt – E per quanto riguarda il finale, ci lavoreremo e vedremo cosa ne verrà fuori.

- Allora, Duca – disse Will, ansioso – cosa ne pensate?

In quegli ultimi minuti Sebastian era rimasto tranquillamente seduto a fissare e ad ascoltare gli artisti ed i loro suggerimenti, giocherellando con il suo bocchino, lasciando prendere un po’ di vita ai suoi occhi quando li posava su Kurt che lo ricambiava con un affascinante sorriso.

- “Per grandi linee” – disse facendo il verso a Blaine – lo trovo interessante e… sì – continuò, guardando di nuovo l’ “Angelo di Diamante” – sarei proprio curioso di sapere come finirà questa storia.

 

 

 

Nota dell’autore:

Non sono molto soddisfatto di questo capitolo visto che gli avvenimenti che ho descritto si accavallano così velocemente che mi è stato difficile mettere del mio. Ma spero che la parte iniziale vi sia piaciuta; per me vale più del capitolo intero.  

Per qualsiasi curiosità o altro, mi trovate qui: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

E vi comunico che il prossimo capitolo verrà postato in anticipo, mercoledì 16 per la precisione visto che giovedì prossimo sarò fuori città per l’intera giornata.

Ringrazio tutte le persone che mi seguono, che hanno inserito questa fanfiction tra le preferite, le ricordate e le seguite e chi recensisce. Mi fate sentire realizzato.

 

Lusio 

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Capitolo 6
*** Elephant Love Medley ***


Elephant Love Medley

 

- Blaine! Hey, Blaine! Su apri!

Finn, già un po’ alticcio dopo mezzo bicchiere di assenzio, stava bussando da un bel po’ alla porta della stanza di Blaine; inutilmente quest’ultimo aveva cercato di ignorare lui e i suoi strepiti e quindi, alla fine, fu costretto ad aprirgli.

- Finn! – lo riprese, esasperato – Potresti finirla! Sto cercando di scrivere le bozze dello spettacolo.

- Ma lascia perdere le bozze; le potrai scrivere tranquillamente domani. Vieni da noi, piuttosto: stasera si festeggia. Non c’è niente di meglio di una buona notte di bagordi per togliersi di dosso la fatica di un’intera giornata. Dai, vieni! Ci sono anche le ragazze del Moulin Rouge e anche qualche ballerino se ti interessa.

Naturalmente a Blaine non erano sfuggiti i rumori, le risate, i canti provenienti dall’appartamento sopra la sua testa e il buco sul soffitto, coperto alla meno peggio con alcune assi, non attutiva certo il chiasso.

- Ti ringrazio per il pensiero Finn – disse il ragazzo, cercando di mantenere la calma – ma non mi sento in vena stasera; preferisco restare qui.

- Se è perché hai paura di Rachel, non devi preoccuparti: non è più infuriata per il fatto che le hai tolto il ruolo da protagonista anzi ha detto che il ruolo della Califfa è il più focoso dello spettacolo… o forse ha detto che voleva dare fuoco al copione, non ricordo.

- Va bene Finn – fece Blaine capendo che era inutile discutere con il ragazzo davanti a lui vista la sua ebbrezza alcolica – Torno a dirti che non sono interessato. Torna pure di sopra, per favore.

- Va bene, come vuoi – si arrese Finn, voltandosi e salendo le scale con passo barcollante e tenendosi stretto al corrimano – Non sai cosa ti perdi.

Invece Blaine lo sapeva benissimo: gli bastava semplicemente tendere un orecchio e ascoltare il rumore causato dai loro festeggiamenti. In quel momento, lui avrebbe solo voluto isolarsi completamente da tutto quello che lo circondava per poter scrivere in santa pace; aveva trovato la sua occasione, l’aveva colta al volo, poteva finalmente esprimersi, tirar fuori ciò che sentiva… e, ancora una volta non riusciva a trovare un inizio. La cosa che veramente lo faceva infuriare era il sapere che un istante prima era in grado di tirar fuori una storia dal nulla e il momento successivo non sapeva come riportarla su carta. La penna batteva insistentemente sul foglio lasciandosi dietro delle misere macchie d’inchiostro e qualche parola priva di qualunque significato. Niente appunti, solo descrizioni, qualche mezza frase. Dopo quasi un’ora buona gli uscì questa frase:

“I tuoi occhi sono verdi o blu?”

Ed un’altra:

La vita sembra più bella ora che ti ho incontrato”.

Ed un nome che voleva venire fuori a forza:

“Kurt”.

Non riusciva a smettere di pensare a lui; gli ritornavano alla mente il suo modo di comportarsi malizioso e lascivo e falso quando lo aveva scambiato per il Duca Sebastian, sostituiti poi da quel suo intervento, semplice e spontaneo, riguardo alla storia e all’amore del Principe Indiano e del Suonatore di sitar con voce naturale ed uno sguardo accorato. Due volti per una sola persona.

“Chi sei tu, ‘Angelo di Diamante’?” pensò “Chi sei veramente, Kurt?”

Blaine guardò fuori dal piccolo balcone della stanza; da lì si vedeva il Moulin Rouge con i suoi edifici annessi. Poteva vedere anche l’ “Elefante”, dove la luce del boudoir era accesa e poteva veder muoversi la sua figura.

Sembrava che anche Kurt lo stesse guardando.

“Tu mi impedisci di iniziare”.

 

* * *

 

Quella serata movimentata aveva portato qualcosa di buono, a parte il finanziamento del Duca Sebastian naturalmente e, adesso che era tutto finito, Kurt poteva pensarlo in tutta tranquillità: avrebbe trascorso una tranquilla notte, da solo, nel boudoir dell’ “Elefante”. Secondo i primi intenti avrebbe dovuto condividere il letto con Sebastian ma, dopo quanto avvenuto, quest’ultimo aveva deciso di rimandare al prossimo futuro il loro “incontro”, lasciando libera quella stanza comoda e lussuosa.

Kurt non disprezzava la sua stanzetta ma non era così idiota da non apprezzare il boudoir. E lo avrebbe “apprezzato” per tutta la notte, mangiucchiando quello che era rimasto sul tavolino e stiracchiandosi piacevolmente in quel letto invitante; un primo assaggio della vita che lo aspettava.

Sì, i suoi sogni si sarebbero presto realizzati.

Grandi teatri dove poter recitare, le luci della ribalta che avrebbero illuminato il suo viso coperto di cerone, il pubblico che lo applaudiva e lo acclamava. Il solo pensiero faceva traboccare il suo cuore di gioia.

Non avrebbe più avuto bisogno di niente, si sarebbe lasciato alle spalle quella vita che iniziava a pesargli; avrebbe avuto il Duca Sebastian Smythe ad aiutarlo, certo questo implicava una vita da mantenuto ma poco importava, purché gli venisse concessa l’occasione di diventare un grande attore.

Più che “volere”, Kurt sentiva che tutto quello gli doveva essere concesso. Ne aveva passate tante nella sua breve esistenza, anzi troppe: aveva conosciuto la fame, la miseria, le strade fredde e sporche dei quartieri più malfamati, aveva dovuto soffocare il senso della vergogna e del pudore per guadagnarsi il pane, e non nei modi più onesti. Se si fermava a riflettere, c’erano molte cose del suo passato che avrebbe volentieri cancellato ma non si sarebbe mai pentito di nulla; ogni sua azione, per quanto negativa e anche crudele fosse stata, lo aveva condotto lì, dove si trovava in quel momento.

“In questo nostro mondo non c’è spazio per il pentimento” era stato uno dei tanti consigli che Will Schuester gli aveva elargito, da quando lo aveva raccolto dalla strada per portarlo alle luci del Moulin Rouge.

Ma volle porre fine a quei pensieri e lasciarsi andare al morbido conforto di quella tranquilla stanza da letto.

Sentendosi accaldato (e temendo di avere un nuovo mancamento) andò al balcone e lo aprì, lasciando che l’aria della viva notte del quartiere bohémien entrasse nel boudoir. Nel palazzo di fronte al Moulin Rouge si sentivano gli schiamazzi causati dal festino organizzato dalla compagnia di Rachel, al quale erano andati anche Mercedes, Tina, Dave, Lauren e tutti gli altri per festeggiare la realizzazione dello spettacolo che avrebbe segnato l’inaugurazione del loro Teatro.

Notò una luce accesa nella stanza sotto quella dove si teneva la festa; c’era una figura fuori il balconcino, immobile. Anche se distante, Kurt credé di riconoscere quel nuovo ragazzo, l’ “autore” dello spettacolo; Blaine, aveva detto di chiamarsi. Che tipo strano. Solo qualche ora prima, Kurt lo avrebbe fatto volare dal balcone senza troppi problemi ma, dopo che tutto si era risolto, trovava divertente quanto accaduto. Doveva ammettere che era bravo, aveva dimostrato una certa inventiva nel tirar fuori quello spettacolo dal nulla, anche se ci avevano messo del loro anche lui e gli altri; peccato che fosse tutto un po’ troppo melenso per i suoi gusti.

Mentre era immerso in questi pensieri si accorse che la figura al balcone era scomparsa.

Scacciando un leggero senso di delusione e smarrimento, Kurt, con una leggera scrollata di spalle, imboccò i ripidi e stretti scalini che dal balcone portavano alla terrazza sull’ “Elefante”, desideroso di godersi a modo suo quella limpida nottata. Arrivato si lasciò andare su una delle panche, sporgendosi col capo per catturare ogni singola stella che sarebbe riuscito a contare. Ce ne era un gruppo di dieci sulla traiettoria del suo sguardo, altri dieci gruppi di dieci intorno a quello ed altri dieci intorno ad ognuno di essi, da qui all’infinito, come i desideri delle persone.

C’era una tale pace intorno a lui, come se quel terrazzo fosse elevato al cielo.

Un rumore lo destò dai suoi pensieri; voltatosi di scatto vide quel ragazzo, Blaine, aggrappato ad uno dei pilastri della tettoia per non cadere.

- Scus-scusa, non volevo spaventarti – si affrettò a dire Blaine, vedendo Kurt saltare in piedi, preso alla sprovvista da quell’intrusione.

- Cosa vuoi? – chiese basito – Come hai fatto a salire?

- Mi sono arramp… cioè sono salito grazie a questa corda – rispose Blaine, indicando la stessa corda delle luminarie usata da Rachel e gli altri per arrampicarsi a loro volta – Io volevo scusarmi per quanto è accaduto e volevo, soprattutto, ringraziarti per averci aiutato con l’idea dello spettacolo.

- Ah, sì certo – fece Kurt, dandosi un contegno – E, comunque, i ragazzi hanno ragione: hai molto talento. Sono sicuro che farai un ottimo lavoro. Ma credo che sia meglio ritirarci – continuò, sentendosi leggermente in imbarazzo in quel momento – domani sarà una giornata importante. Se vuoi evitare di scendere per quella corda puoi passare dal boudoir.

Vedendo Kurt girarsi per scendere, Blaine prese il coraggio a due mani e lo fermò desideroso di fargli quella domanda che gli stava dando il tormento da quando si erano lasciati la prima volta.

- Aspetta – esclamò, facendo voltare Kurt che lo guardò senza nascondere una vena di impazienza – Prima, quando noi…

 

“Noi” cosa? Cosa potevo dire? Come potevo spiegare quello che era successo tra noi in quei pochi minuti? Ancora non lo capivo appieno. Permettimi di correggermi.

 

- Quando hai pensato che fossi il Duca Sebastian, hai detto di esserti innamorato di me e… volevo sapere se…

- Se stessi recitando? – lo anticipò Kurt, riprendendo la sua aria sicura e spavalda.

- Sì – disse Blaine desideroso e, al tempo stesso, timoroso di sentire la risposta.

- Ovvio – si limitò a rispondere Kurt crudelmente.

Quella tenue luce di speranza che aveva illuminato gli occhi di Blaine venne spazzata via dalla realtà di quelle parole ed offuscata dall’imbarazzo e dalla delusione. Il ragazzo rimase in silenzio, non sapendo che fare e, nel vedere il suo smarrimento, Kurt non se la sentì di infierire.

- Blaine, ma lo hai capito chi sono? – disse, avvicinandosi di nuovo alla panca – Sono uno che viene pagato per far credere agli altri quello che vogliono credere.

- Già – riuscì a dire Blaine, con voce debole ma cercando di dare l’impressione di essere divertito – Che sciocco sono stato a pensare che potessi… interessarti ad uno come me.

- Se ti può consolare – continuò Kurt con leggerezza – io non posso innamorarmi di nessuno.

- Non puoi innamorarti! – esclamò Blaine sconvolto, non potendo credere ad una cosa così… contro natura – Ma una vita senza amore è terribile!

- Sei serio? – replicò Kurt, trattenendo una risata di scherno per poi innervosirsi per quella frase che, alle sue orecchie, suonava come una presa in giro nei suoi confronti se non un rimprovero – Quanto si vede che hai vissuto nella bambagia e non hai dovuto sopportare quello che io ho subito. Sai cos’è veramente terribile? Vivere in mezzo alla strada, senza una casa tua, chiedendo l’elemosina, rubando o peggio per poter mangiare un pezzo di pane. Tieniti per te queste romanticherie poetiche, per favore.

Ogni volta che si trovava con lui, Blaine trovava difficile parlare e in quel momento sentiva di più quella difficoltà riconoscendo le sue ragioni e la verità delle sue parole. Eppure, per quanto potesse dargli ragione, per quanto potesse comprendere, sentiva il bisogno di esporgli a sua volta le sue ragioni.

- Non puoi pensarlo davvero – disse, lasciando Kurt di stucco – Mi risulterebbe difficile crederci. E’ vero, la vita è difficile e dura ed è più che legittimo desiderare di viverla senza patire la fame e la miseria ma non puoi dire che vivere senza amore non è altrettanto terribile. Puoi vivere nel più ricco dei palazzi, ma senza amore ci sarà sempre qualcosa che ti rende incompleto perché è questo l’amore: una parte di noi stessi.

- Una parte che, probabilmente, in me manca vista quanto poco mi tocchino le tue parole – disse Kurt, tornando a sedersi sulla panca – Quindi torno a ripetertelo: non sprecare il fiato.

Incoraggiato da quel gesto, Blaine prese posto sulla panca di fronte a quella di Kurt; con quel suo sarcastico rifiuto di ascoltare sembrava quasi sfidarlo e se c’era una cosa che veramente gli piaceva era l’affrontare una sfida quando gli si presentava. Era pronto a rispondere.

- Permettimi di continuare e, tranquillo, per me questo non è sprecare il fiato. Se vuoi la mia opinione…

- Non credo di volerla – lo interruppe Kurt ridacchiando.

- Poniamo il caso che tu la voglia –Blaine non si arrese – Se vuoi la mia opinione, dicevo, anche tu sai cos’è l’amore.

- E cosa te lo farebbe pensare? – chiese Kurt incuriosito e divertito.

- Le tue stesse parole, il modo in cui hai parlato dei due innamorati separati.

- Per favore, stavo solo cercando di allungare il brodo dello spettacolo, come tutti gli altri.

- Ma ho sentito bene il suono di quelle frasi, il tono che hai usato, la luce che ho scorto nei tuoi occhi…

- O Dio! – esclamò Kurt, scoppiando a ridere – Devo farti i complimenti per la tua fervida immaginazione, sono certo che farai strada nel campo della scrittura.

- L’immaginazione si nutre sempre della realtà che l’occhio vede. Quindi, se anche ho ingigantito quanto credo di aver visto, sono certo di non sbagliarmi.

- Senti, Blaine, finiamola con i giri di parole; perché te la stai prendendo così a cuore? Non ti sarai innamorato di me?

Non aveva posto quella domanda con serietà anzi si sarebbe aspettato una risata come risposta; invece alla sua ironia seguì un silenzio interrotto da un breve singulto. Tornò a fissare Blaine e lo vide con le guance arrossate e la bocca che si apriva e si chiudeva senza emettere alcun suono.

- Ti prego, dimmi che non è vero – scoppiò a ridere Kurt lasciandosi andare disteso sulla panca – Tu sei innamorato di me?

- Io… ecco, non lo so. Non credo.

- E allora finiamola con questi giochi – continuò Kurt ancor ansimante per le risate – Penso di aver capito cosa vuoi.

Trasformando abilmente il suo riso in un sorriso, lo stesso che gli aveva mostrato quando lo credeva Sebastian, il ragazzo si alzò dalla sua panca e, ancheggiando in modo esplicito e vistoso, si avvicinò a quella di Blaine accomodandosi accanto a lui, talmente vicino che le loro gambe si toccavano e i loro respiri si mischiavano in un unico fiato.

- Con me puoi parlare apertamente – sussurrò lasciando scivolare un dito lungo la fila di bottoni della camicia di Blaine – Se vuoi possiamo trascorrere veramente la nostra “seratina” iniziata per sbaglio anzi, visto che lavori per lo spettacolo dal Moulin Rouge, per te si tratterebbe di un bel servizio gratuito. Allora, cosa ne pensi? E’ questo che vuoi, vero?

Stava fingendo di nuovo, non era lui; questo Blaine lo capì subito. Quando Kurt gli si fece più vicino si sentì pervadere da un senso di fastidio che lo spinse ad alzarsi e ad allontanarsi lasciando il ragazzo più perplesso di prima.

- No, scusami – disse Blaine – Non è questo che voglio, no.

 

“Rispetto”, necessaria avvisaglia dell’amore.

 

- Non andrai molto lontano con questo tuo romanticismo – fece Kurt rilassandosi sulla panca – Fossi in te mi darei una svegliata.

In quel momento la curiosità divenne reciproca, anche se in modi e quantità diverse in ciascuno dei due; il trovarsi davanti un essere dai mille volti ed un altro dai modi nuovi e imprevedibili, il primo stuzzicato dal comportamento diverso del secondo, il secondo desideroso di sfilare dal viso del primo ogni sua maschera, una ad una, per poter scoprire di nuovo la realtà che aveva solo intravisto.

- Cosa devo capire? – riprese Kurt – Che veramente ti sei “innamorato” di me?

- Non lo so. Potrei innamorarmi se me lo lasci fare – rispose semplicemente Blaine.

- Certo che sei proprio strano – rise Kurt ma nella sua risata non c’era traccia di scherno e si placò subito per essere sostituita da una leggera rassegnazione – E mi dispiace molto per te visto che ti toccherà restare col cuore “gonfio d’amore” o spezzato o tutti e due.

- Potrei evitare questa “terribile” evenienza col tuo aiuto.

- Cosa vuoi dire?

- Tu mi permetti di innamorarmi di te ed io proverò a farti innamorare di me.

Kurt non scoppiò a ridere come avrebbe voluto fare; non riuscì né a dire né a fare niente tanto quella proposta lo sconcertò. Con un moto di stizza si alzò e fece per attraversare il terrazzino e scendere.

- Fammi il favore di smetterla con queste stupidaggini e, per favore, adesso vattene.

- Che c’è? – fece Blaine sperando di calmarlo rivolgendoglisi con un tono allegro – Hai paura che io riesca a convincerti.

- Per favore, ti ho detto smetterla! – esclamò Kurt voltandosi verso di lui – Sono abituato ad aver a che fare con persone che fanno di me ciò che vogliono ma non lascio che ci si prenda gioco di me in questo modo.

A quello scatto accorato, Blaine si vergognò delle sue parole e provo una fitta allo stomaco nel sentirsi addosso lo sguardo acceso di Kurt.

- Scusami – mormorò – Non volevo offenderti. Ma su quanto ho detto ero serio; questo devi concedermelo – terminò con un moto di orgoglio.

- Bene, te lo concedo – disse Kurt, scosso da quelle ultime parole – Ma non cambia niente.

- Sì, invece. Lasciamelo fare, non ti costa nulla, non hai nulla da perdere…

- Al contrario, ho molto da perdere. Sin da quando ero piccolo ho dovuto imparare a non fidarmi e a non legarmi troppo a nessuno; era la mia unica difesa contro un mondo che non mi ha dato niente, ecco perché so essere così falso e, se occorre, anche crudele e non posso certo dolermi di ciò che sono. Non nego che, qualche volta, mi sia capitato di immaginare di avere una vita come tutti la vogliono… con accanto qualcuno da amare. Ma non è una vita per quelli come me.

- Come fai a dirlo? Se tu la vuoi…

- Se anche la volessi è impossibile che io trovi qualcuno disposto a starmi accanto.

- Ma, scusa, ed io?

- Non dubito che i tuoi sentimenti siano sinceri ma quanto dureranno? Prima o poi, ti passerà questa sbandata, te ne andrai e a me non resterà niente se non un oceano di illusioni infrante.

- No… no, io…

- Blaine – disse definitivamente Kurt – E’ meglio se te ne vai.

E senza aspettare un possibile saluto o una richiesta di qualunque genere, il ragazzo si voltò e scese le ripide e strette scale con passo fluido ma, arrivato al balcone, la mano di Blaine lo fermò, afferrandolo per il braccio e costringendolo a voltarsi.

- Non sperare di mandarmi via così – disse con decisione – Ti prego, lasciamelo fare. Non ti chiedo di farlo per me, ma per te.

Ormai stufo di quella storia, Kurt si svincolò dalla presa e, colto da un’idea, atteggiò le labbra ad un sorriso malizioso.

- Bene – disse – Allora voglio metterti alla prova. Vediamo quanto è forte questo tuo “sentimento”; io deciderò se darti o meno questa possibilità e tu dovrai aspettare su questo balcone, senza muoverti e senza salire sul terrazzo ma non è un obbligo: se pensi che non ne valga la pena potrai scendere per dove sei salito e allora io avrò avuto ragione su di te.

Il balcone era molto piccolo e non permetteva molto movimento e i gradini erano così stretti che stare seduti sarebbe stato molto più faticoso che stare in piedi e la cosa a Kurt non dispiaceva per nulla, soprattutto se in palio c’era l’espressione stupita di Blaine, rimasto senza parole.

- Ah, e per inciso – continuò Kurt rientrando nel boudoir – io impiego molto, molto, molto tempo per decidere. Ti auguro una buona notte, Blaine.

E, strizzandogli un occhio, chiuse le ante in vetro del balcone e si immerse nel tepore della stanza lasciandosi alle spalle l’aria fresca della notte e Blaine.

Sentiva il bisogno impellente di dimenticare quanto prima le parole di Blaine per smorzare sul nascere qualunque involontario moto di speranza (ma poi, speranza in cosa?) che sarebbe stata solo causa di inutile malessere. Evitando di voltarsi verso il balcone, afferrò un grappolo d’uva e si gettò sul letto; solo in quel momento, mentre la morbidezza del materasso lo inondava piacevolmente, si accorse di essere rimasto con i muscoli in tensione per tutto quel breve tempo passato con Blaine.

“Basta con queste stupidaggini” pensò.

 Gustandosi i dolci acini d’uva, Kurt si rilassò e, dopo un po’, si arrese alla stanchezza accumulata e si addormentò.

Si risvegliò con in bocca il sapore fastidioso dell’uva che stava già digerendo, si sgranchì facendo rotolare per terra uno dei cuscini che aveva sotto le spalle e, incespicando tra le lenzuola, si trascinò verso il tavolinetto, prese la bottiglia di champagne e ne bevve una lunga sorsata. Quando la fragranza pungente della bevanda ebbe coperto quello disgustoso lasciato dal cibo, gettò lo sguardo su un piccolo orologio in ebano intarsiato: tra la selva immota di fiori, foglie e cherubini di legno, le lancette indicavano le quattro e mezza. Erano trascorse un bel po’ di ore da quando…

Si voltò verso il balcone, diviso tra la curiosità e una leggera ansia.

Non c’era nessuno.

“Lo sapevo” pensò, facendo per gettarsi nuovamente sul letto, ma si bloccò quando vide un piede spuntare dalle scale. Pieno di sbalordimento, andò verso le ante del balcone e le aprì; disteso in modo scomposto, le braccia cinte intorno ai fianchi, c’era Blaine mezzo intontito dal sonno che lo fissò con sguardo spento e stanco.

- Non so sei più testardo o più stupido – disse Kurt – Dai, entra – concluse aiutandolo ad alzarsi e portandolo nel boudoir.

Lo fece sedere sul letto e gli porse un bicchiere di champagne, per poi sedersi accanto a lui. Aveva avuto una conferma, non quella che si aspettava, ma pur sempre una conferma.

- Allora, ci tieni davvero a dimostrare che hai ragione? – constatò.

- Veramente, credo di tenere di più a te – mormorò Blaine, la voce arrochita dall’aria fredda della notte.

- Senti senti – ridacchiò Kurt, stavolta lusingato e intenerito dalle parole del ragazzo – E cosa ti piace di più di me?

- I tuoi occhi – rispose Blaine senza esitazione.

La risposta sbalordì non poco Kurt.

- In genere sono l’ultima cosa che gli altri vedono di me – disse malinconicamente poi, colto da uno sprazzo di divertimento infantile, si coprì gli occhi – Di che colore sono? – domandò.

- Sono un misto di azzurro e verde, non saprei nemmeno trovare un termine per definirlo – rispose prontamente Blaine poi, coprendosi gli occhi a sua volta, aggiunse – Adesso indovina tu il colore dei miei occhi.

A quella domanda inaspettata Kurt sgranò gli occhi non sapendo come rispondere; al sorriso divertito di Blaine reagì con una risata liberatoria e sincera. Non ricordava di aver mai riso così di gusto in vita sua. Né di aver mai visto degli occhi dal colore bruno-dorato come quelli del ragazzo davanti a lui.

- Bene – riprese quando si furono calmati – Sei libero di capire i sentimenti che ti smuovono tanto e anche di provare a convincermi e a farmi cambiare idea. Però ti avverto: sono un amante difficile e capriccioso, sono abituato a ricevere molto e a dare poco e, cosa più importante, ho bisogno di essere libero, non dovrai assolutamente obbligarmi a fare cose che non voglio e non dovrai mai impedirmi di fare ciò che voglio. Non ti renderò in alcun modo le cose facili, sappilo. Sei disposto ad accettare tutte le mie condizioni?

- Sì, ad ogni condizione che vorrai pormi – acconsentì Blaine senza esitazione, col cuore gonfio di felicità e con un germoglio di sentimento che stava iniziando a fiorire dentro di lui.

- Adesso, se vuoi puoi baciarmi. Non è così che si fa? – fece Kurt avvicinandoglisi per baciarlo sulle labbra; ma, in mezzo a tutte le stranezze di Blaine avrebbe dovuto aspettarsi anche quella: il ragazzo si allontanò come se avesse avuto timore di essere morso.

- Scusami – sussurrò – Vorrei tanto baciarti, più di ogni altra cosa ma non così, non come se fosse un obbligo da parte tua. Vorrei, anzi voglio che tu mi baci perché sei tu a volerlo.

Kurt non era abituato a ricevere quel rispetto che Blaine gli stava elargendo così generosamente e non avrebbe potuto in alcun modo lamentarsi visto che, tecnicamente, il ragazzo si stava attenendo alle sue condizioni. Si tirò indietro a sua volta e si piegò su se stesso non sapendo cosa fare; notando il suo imbarazzo, Blaine si alzò pronto a togliere il disturbo.

- Credo che andrò, adesso, si è fatto tardi. Magari domani parliamo più tranquillamente – disse, dirigendosi nuovamente verso il balcone – Penso che scenderò dal tetto; non è così che si fa? – concluse ammiccando.

Kurt lo lasciò fare ma, quando sentì il rumore delle ante che si aprivano, si alzò e gli corse incontro.

- No, dai! Resta ancora un po’ – disse afferrandolo per il braccio.

E non aggiunse altro; rimasero semplicemente a fissarsi con aria imbarazzata con un mezzo sorriso in volto. Alla fine, fu Kurt a prendere un’iniziativa definitiva.

- So già che mi rovinerai gli affari – disse, facendoglisi più vicino – E questo te lo do perché voglio dartelo.

E Kurt colmò la distanza tra di loro e lasciò che le loro labbra si accarezzassero, senza approfondire il contatto, godendo della semplicità di quel gesto così pulito.

Per Blaine fu come bere da un calice che aveva atteso a lungo e riusciva solo a pensare che quel calice aveva delle labbra morbidissime.

E quella fu la prima volta in cui Kurt non sentì la necessità di fingere: mentre lo baciava stava sorridendo.

 

* * *

 

- Finn! Entra dentro! Non fare l’idiota!

Rachel impuntò i piedi sul pavimento nel disperato tentativo di tenere fermo un fin troppo ubriaco Finn che si stava sporgendo pericolosamente dalla finestra; sembrava molto interessato a qualcosa che stava succedendo davanti a lui, al Moulin Rouge o, più precisamente, all’ “Elefante”.

- Quei due si innamoreranno, te lo dico io – biascicò il ragazzo, la voce impastata e lo sguardo illuminato.

 

 

 

Nota dell’autore:

Per me questa è la prima di una lunga serie di “prove del nove”, ovvero “capitoli nei quali investo tantissimo”. Certe cose le prendo troppo di petto, è vero.

Da qui in avanti la storia entra nel vivo, come tutti saprete.

Ringrazio tutti coloro che continuano a leggere e hanno inserito questa mia fanfiction tra le preferite, le seguite e le ricordate. E per qualunque aggiornamento, domanda o altro, questo il link della mia pagina ufficiale: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

Ciao a tutti.

 

Lusio

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Capitolo 7
*** One Day I'll Flay Away ***


One Day I’ll Fly Away

 

Quel semplice pezzo di carta, quel contratto rappresentava il risultato di anni di fatica e di lavoro per Will Schuester, uomo dalle grandi aspirazioni, partito da zero, con pochi soldi in tasca ed una sola pietra dalla quale era venuto fuori il Moulin Rouge, un semplice locale all’inizio, poi uno dei centri più famosi e conosciuti della nazione (che avesse una pessima reputazione aveva ben poca importanza) e adesso un teatro. Niente più spettacoli da cabaret e spogliarelli, ma spettacoli veri e propri, drammi, commedie, vaudeville; il Moulin Rouge sarebbe stato ricordato per sempre come il “Teatro dei Bohèmien” e tutti i suoi ragazzi avrebbero potuto avere un futuro migliore.

Col cuore in gola per la contentezza, ma mantenendo un’aria composta, avvicinò il contratto ed una penna al Duca Sebastian Smythe seduto di fronte a lui, nel suo “ufficio”, ex-ripostiglio per gli oggetti di scena; era presente, in piedi dietro il suo padrone, silenzioso ed inquietante, Nick il servitore del Duca.

- Bene, mio carissimo Duca – incominciò – Adesso che avete un quadro ampio di tutto, non vedo alcun motivo per rimandare oltre la vostra firma per la vostra gentile concessione.

- Certo Schuester – disse Sebastian, la voce roca e sicura come sempre – Ma avrete certamente notato che la somma richiesta è una cifra non indifferente e, come vi ho detto, non sono solito buttare via il mio denaro; voglio quindi avere la sicurezza che non andrò a rimetterci. Ecco, quindi le mie condizioni: esigerò un diritto sulla proprietà, nel nostro caso sul Moulin Rouge…

- Perdonatemi Duca ma… - lo interruppe Will, allarmato da quell’imposizione, per poi venire interrotto a sua volta.

- Dite pure che è per sfiducia, che sono un malfidato, non mi interessa; sto solo salvaguardando i miei interessi e se, per caso, farete anche un solo “scherzetto”, il mio servitore, Nick – indicò la figura dagli occhi di ghiaccio dietro di lui – vi insegnerà come si portano avanti questi affari nel solo modo che voi, gente di spettacolo, riuscite a capire.

Di fronte alla calma con la quale erano state dette quelle parole, Will sentì il sangue gelarglisi nelle vene.

- Tutto questo è già nel contratto. E c’è un altro punto importante: la mia e la vostra firma su questo contratto legherà Kurt Hummel a me; dopo il vostro spettacolo d’apertura sarò io ad occuparmi della sua carriera. Non dovete preoccuparvi; lo farò diventare un grande attore ed io sarò il suo mecenate. Chiedo solo di avere l’ “esclusiva” su di lui, in tutti i sensi. Spero di essere stato chiaro.

- Chiarissimo – si affrettò a rispondere Will.

- Forse potrei sembrarvi possessivo o geloso ma non è così. Semplicemente non sopporto che altri tocchino le mie cose.

Will non seppe se essere più disgustato da quelle parole o sconvolto dal tono calmo col quale erano state dette anzi, la voce di Sebastian aveva mantenuto il suo calore come se non avesse smesso un istante di parlare con un amante. Non poteva negarlo: tutto in quel duca lo spaventava; non osava immaginare in quale possibile trappola stava spingendo Kurt. Ma non c’era solo lui in tutto questo; c’era in gioco l’avvenire di tante altre persone che avevano dato il massimo di loro per giungere a quel punto e tornare indietro avrebbe significato il fallimento e la miseria per tutti, soprattutto dopo le condizioni di Sebastian. Forse, sarebbe bastato solo tenerselo buono; sembrava molto ben disposto nei confronti di Kurt quindi non c’era da preoccuparsi.

Eppure, quando firmò, sentì un fastidioso peso al cuore, invece Sebastian, non appena ebbe firmato a sua volta, allargò ancora di più il suo sorriso.

 

* * *

 

Will comunicò, tra la gioia e l’esultanza generale, le innovazioni che i finanziamenti del Duca Sebastian avevano comportato, evitando di riferire i particolari delle condizioni da lui poste riguardo il diritto sulla proprietà e, soprattutto, riguardo Kurt.

Grazie al denaro offerto dal Duca avrebbero potuto pagare non solo le spese per le scenografie, i costumi e tutto il necessario per lo spettacolo ma anche quelle per la sistemazione della pista da ballo per renderla un teatro vero e proprio. Non era stata ancora decisa una data precisa; tutto era lasciato ai tempi di preparazione dello spettacolo e dell’allestimento ma con la manodopera dei costruttori assunti da Sebastian e la forza di volontà di tutte le ballerine e ballerini e delle cantanti di punta del locale, tutto sarebbe stato pronto in un mese o poco più. Una bella sfida per tutti, soprattutto per Blaine a cui spettava il compito di scrivere e dirigere lo spettacolo. Tra bozze e parti aggiunte man mano, poté dare indicazioni per ruoli, scenografie e costumi ed una prima scena introduttiva completa. Per il resto, si sarebbe rimboccato le maniche e avrebbe portato lo spettacolo completo quanto prima.

Le parti principali furono subito assegnate; ognuno poteva già fare la sua parte in quel progetto.

Anche Kurt. Soprattutto Kurt. “Angelo di Diamante” e “Principe Indiano”, ma anche “ragazzo di piacere”; quest’ultimo ruolo, al momento, era quello che richiedeva più attenzione, come anche il Duca Sebastian.

Dopo che Will ebbe fatto l’annuncio a tutti, chiamò da parte Kurt e gli disse che Sebastian voleva parlargli nel suo vecchio camerino. Non c’era molto da capire e questo Kurt lo sapeva.

 

Odiavi quello che facevi, in seguito l’ho capito. Per te era solo un modo di sopravvivere. Se ne avessi avuta la possibilità, forse, avresti deciso di vivere diversamente la tua vita.

 

Il suo camerino, sebbene fosse il migliore, non era molto grande ed era diverso dagli altri perché era singolo mentre gli altri erano usati in comune da più gruppi; ma l’aspetto e lo stile arrangiato del luogo sembrava non interessare a Sebastian, tranquillamente seduto su una delle due sedie che c’erano come se si fosse trattata della poltrona di un salotto, perfettamente a suo agio, con il canarino Farinelli silenzioso nella sua gabbietta. Quando Kurt entrò, Sebastian si alzò galantemente.

- Buongiorno – lo salutò con un inchino.

- Mio caro Duca è un piacere rivedervi – fece Kurt di rimando.

- Vi prego, chiamatemi per nome e spero che anche voi mi permettiate di fare lo stesso… Kurt – concluse senza spettare il permesso.

- Naturalmente Duc… Sebastian – disse Kurt, pronunciando quel nome come se fosse stata una carezza.

Nel sentirlo, nel vederlo, Sebastian gli si accostò con aria cupida, senza staccargli gli occhi di dosso; Kurt, abituato a simili sguardi, lo lasciò fare anzi iniziò ad accarezzarsi una gamba col dito medio cercando di sembrare intimidito ma ostentando una velata malizia.

- Schuester vi ha comunicato i piani per lo spettacolo? – domandò Sebastian tranquillamente, portandosi davanti al ragazzo.

- Sì e sappiate che non potremo mai esprimervi appieno la nostra gratitudine, io e tutti gli altri.

- Oh, sono sicuro che sicuro che potrete col successo che avrà il vostro spettacolo e, credo, che voi avrete molte altre occasioni per dimostrarvi la vostra gratitudine, non credete? – fece sfiorandogli una ciocca di capelli che gli ricadeva sulla fronte.

Approfittando del gesto, Kurt gli si avvicinò ancora di più con il viso ma arretrando col resto del corpo fino a scontrarsi col muro permettendo a Sebastian un “accesso dominante”; non si sbagliò, era proprio quello a cui il giovane aristocratico puntava. La già poca distanza tra loro fu colmata e rimase solo un velo d’aria a dividerli.

- Non chiederei di meglio, Sebastian – disse Kurt, giocando sfacciatamente con quel nome.

- Credete veramente che una lunga attesa possa rendere qualcosa ancora più bello?

Quella domanda riportò alla mente di Kurt il suo frettoloso tentativo dell’altra sera; in quel momento non aveva pensato seriamente alla cosa in sé e adesso non sapeva se essere contento o no di quello stratagemma. Non era un conoscitore dell’animo umano ma era abbastanza esperto sulla mentalità di certi uomini e capì al volo quello che passava per la mente di Sebastian. Un velato desiderio che tutto finisse subito, forse dettato dall’atmosfera eccitante che si stava creando, gli fece quasi rispondere con un secco “no” ma, alla fine di un veloce calcolo, il capire che mantenerlo sulle spine sarebbe stato molto più vantaggioso e, per un istante, quasi inconsapevolmente, il ricordo delle parole di Blaine, lo fece propendere per un’affermazione.

- Sì, lo credo – caricò quelle semplici parole di una forte emozione, pronunciandole con un sussurro.

- Molto bene – disse Sebastian, la voce più roca del normale – Allora credo che il nostro sodalizio sarà veramente piacevole. Ma fino ad allora – continuando con lentezza ed esplorando ogni punto di quella carnagione bianca con le sue dita ardenti – nulla ci impedisce di continuare ad incontrarci.

- E cosa gradireste fare durante questi nostri incontri? – la distanza tra loro non esisteva più.

- Desidero “assaggiare” ciò che mi viene offerto.

Le dita di Sebastian scesero lungo il collo di Kurt fino al primo bottone della camicia che indossava, sganciandolo; lo sentì fremere deliziosamente e il gemito strozzato che lo sentì emettere gli mandò la mente in estasi. Sganciò poi il secondo bottone, poi il terzo, poi il quarto scoprendo, piano piano, la fossetta della gola, il petto liscio e leggermente scolpito. Trattenendo il fiato, gli afferrò l’orlo laterale della camicia sbottonata a metà e gliela abbassò liberando una spalla tremante ed un pettorale sviluppato sul quale faceva bella mostra di sé, sfiorato dalla stoffa, un roseo capezzolo.

Quando il suo sguardo bramoso incontrò di nuovo quello sottomesso di Kurt, con i suoi occhi lucidi, Sebastian capì di desiderarlo davvero, come non aveva mai desiderato qualcuno.

Gli afferrò la vita facendo scontrare i loro bacini e affondò il viso nell’incavo del suo collo respirando a pieni polmoni il profumo che emanava; assaporò la morbidezza di quella carne leccandola fino alla spalla che, in uno scatto di desiderio, morse delicatamente.

Stupito ed eccitato da quegli scatti appassionati, Kurt si lasciò andare a quella morsa rovente lasciandosi sfuggire morbidi gemiti ai quali si unirono quelli frementi di Sebastian che, lasciata la spalla ormai rossa e umida di saliva, scese fino al capezzolo delineandone i contorni con la punta della lingua rendendolo duro e teso; con un gemito ancora più forte lo morse leggermente ed iniziò a succhiarlo con voracità e strappando a Kurt un urlo di piacere.

Alla fine, Sebastian si staccò dal capezzolo di Kurt e, ormai giunto alla fine della sua resistenza, lo girò di spalle e lo premé con violenza contro il muro, facendolo gemere di dolore; con una violenza maggiore gli si avventò contro, premendo il suo membro eccitato contro i glutei sodi del ragazzo e iniziando a muoversi freneticamente e in modo sempre più scomposto, quasi urlando per il piacere, continuando a far scorrere le mani lungo quel corpo che lo stava facendo impazzire di desiderio. Continuò a spingere finché, con un verso strozzato, si lasciò andare contro Kurt, anch’egli ansimante e arrossato.

Nel camerino si sentì solo il cinguettio spaventato di Farinelli.

Abbandonando le sue sembianze di pantera, Sebastian tornò a strusciare il viso con molta più lentezza e piacere, lungo il collo e la nuca di Kurt, emettendo dei sospiri di piacere.

- Siete così dolce – ansimò voltando verso di sé il viso di Kurt e baciandolo languidamente sulle labbra e accarezzandogliela con la lingua – Oh, Kurt.

E Kurt lo lasciò fare perché quello era il suo compito.

 

* * *

 

- Sentite, non credo di essere in grado di memorizzare delle battute così difficili – si lamentò Finn, sfogliando le pagine dove Blaine aveva segnato alcune battute per lui.

- Hai scelto tu di fare il Sitar magico – disse Rachel, intenta a preparare il pranzo su un piccolo fornellino – Dovevi capirlo subito che sarebbe stata una della parti più importanti.

- Sì, ma il problema è questo stile troppo… non so come dire… troppo esagerato.

- Trattandosi di uno strumento musicale – intervenne Blaine, intento a scrivere freneticamente, alla macchina da scrivere, scene e battute che aveva ideato con l’intento poi di strutturarle e ordinarle – ho pensato che fosse giusto farlo parlare in modo poetico.

- Accidenti! – sbuffò Finn – Ci impiegherò un’eternità per impararle tutte.

- Almeno le tue battute le hai già; io devo ancora vederle su carta – disse Rachel, lanciando un’occhiataccia a Blaine.

- Un po’ di pazienza Rachel, sto pensando anche alla tua parte – le rispose il ragazzo; a dire il vero, non era mai riuscito a scrivere così facilmente come in quel momento; gli bastava stare in compagnia di Finn e Rachel o degli altri per tirare fuori un personaggio con tutte le sue caratteristiche e le sue sfaccettature, come un sitar un po’ scordato che riusciva a tirar fuori le sue perle di saggezza o una califfa capricciosa con una grande voce. Eppure continuava a sfuggirgli il Principe Indiano; aveva descritto in poche ore le pene d’amore del Suonatore di sitar squattrinato e anche la sua dichiarazione al principe, ma quest’ultimo rimaneva una figura muta, fredda come una statua, persa su uno sfondo.  Riusciva a vedere i contorni del suo viso, la ricchezza dei suoi gioielli, i fini ricami dei suoi abiti esotici, la maschera che mostrava alla Califfa, ma non trovava la sua essenza.

 

Cosa dice il Principe Indiano al suo Suonatore di sitar? Dimmelo Kurt.

 

Dopo qualche momento si sentì bussare; Finn andò ad aprire e fece il suo ingresso Kurt; non aveva addosso uno dei suoi abiti eccentrici anzi, era vestito in maniera sobria e sulla pelle non c’era alcuna traccia di fondotinta, era lui semplicemente. Quando lo vide, Blaine sentì il cuore traboccargli di gioia.

- Kurt – lo salutò Rachel – Cosa c’è? Sei venuto a trovarci nei bassifondi?

- Ho sentito Puck, Sam e Mike dire che avrebbero mangiato alla locanda visto che oggi cucinavi tu ed era curioso di sapere quanto è tremenda la tua cucina – rispose spiritosamente Kurt, causando una reazione offesa da parte della ragazza che iniziò ad inveire contro i suoi denigratori.

- Sfida la sorte, allora, e resta a pranzo – lo invitò Finn dandogli una pacca sulla spalla.

- Non ti aspettare un pranzo da re – lo avvisò Rachel.

- Tranquilla, conosco i tuoi standard – scherzò Kurt; vide Blaine in piedi al centro della stanza che lo guardava emozionato e lo salutò – Ciao Blaine.

- Ciao Kurt.

Quella piccola intesa non sfuggì a Finn che, per certe cose, aveva occhio.

Quando Rachel ebbe finito di cucinare, versò la sua minestra di verdure (allungata con un bel po’ d’acqua) in quattro scodelle di porcellana che, sicuramente, avevano conosciuto tempi migliori e, assieme ai tre ragazzi, iniziò a sorbire la sua “creazione”, seduti chi su una sedia chi sul letto di Blaine (si trovavano nella sua stanza). Non era un capolavoro di culinaria ma era comunque buono e la compagnia che si fecero l’un l’altro rese quel semplice pasto molto più buono.

Tra le altre cose si ritrovarono a parlare delle parti che Blaine aveva già scritto.

- E, non ti dico, a me ha dato una marea di battute difficilissime, tipo questa – disse Finn, cercando quella battuta tra i fogli – Eccola: “La cosa più grande che tu possa imparare è amare e lasciarti amare”.

- E’ una frase molto bella – disse Kurt – Da dove l’hai tirata fuori, Blaine?

- L’ho ricavata da una citazione di un poeta latino*, solo che la sua versione diceva: “Non ti chiedo di amarmi, ma di lasciarti amare”. Io ho voluto calare la mano sull’uguale importanza di amare e di lasciarsi amare e ne è venuto fuori questo calco. Anzi, Finn ti starò col fiato sul collo finché non la avrai imparata a memoria perché questa è una delle battute più importanti.

- E hai già scritto qualche battuta mia? – domandò Kurt, sinceramente interessato.

- A dire il vero no – rispose Blaine, mesto – Sei molto difficile da scoprire… cioè, il Principe Indiano è un personaggio molto difficile da delineare.

- Be’, visto che stiamo parlando della mia parte e che si tratta anche di un ruolo da protagonista, potrei trattenermi un po’ e aiutarti a scrivere le mie battute. Tanto, con i lavori che stanno facendo al Moulin Rouge non ho serate da fare.

Blaine sarebbe voluto saltare in piedi, prendere Kurt e riempirlo di baci ma sapeva che non avrebbe apprezzato un gesto così alla presenza di Finn e Rachel; tra le altre cose gli aveva chiesto di mantenere segreto questo loro… “rapporto”? Non sapeva come definirlo. Comunque non dovevano assolutamente lasciar trapelare niente o avrebbero rischiato molto se il Duca Sebastian li avesse scoperti. Per questo, Blaine si trattenne mordendosi le labbra.

Ma Finn colse anche quell’atteggiamento e venne in aiuto del ragazzo.

- Allora, dato che siamo in vena di prove – disse, posando la sua scodella vuota e facendo lo stesso con quella di Rachel e prendendo quest’ultima per un braccio – io e la mia ragazza ci ritiriamo nella nostra sala prove. Così mi aiuti un po’ con la mia parte, Rachel.

- Aspetta – cercò di liberarsi la ragazza – dovrei lavare le scodelle prima.

- Ci penserai più tardi alle scodelle. Adesso andiamo.

E la trascinò fuori dalla stanza, facendo l’occhiolino ai due ragazzi, sconcertati da quel siparietto.

Rimasti soli si lasciarono andare ad una risata liberatoria.

- Che tipi che sono quei due – esclamò Blaine.

- Sono tra le persone più buone che io conosca, nonostante i loro lati negativi e ti assicuro che ne hanno parecchi.

Piombarono nuovamente in un silenzio fastidioso; si sentivano peggio di quegli stucchevoli innamorati dei romanzetti del settecento. Ma entrambi potevano bilanciarsi a vicenda: Blaine con la sua timida sicurezza, Kurt con la sua innocente spregiudicatezza.

- Vuoi baciarmi? – chiese Kurt, confermando la sua caratteristica.

- Sì – rispose prontamente Blaine, negando la sua.

Kurt gli si avvicinò, gli prese il volto tra le mani, lasciò che i loro nasi si incontrassero e…

- Prima, pensiamo a scrivere le battute per lo spettacolo – gli soffiò sulle labbra.

Blaine si lasciò sfuggire un sorriso e la tensione e l’imbarazzo che li aveva attanagliati scomparve per non fare più ritorno, nella parte più remota dei loro animi, soppiantata da una confidenza che preannunciava una radiosa fioritura.

Prese carta e penna ed iniziò a scrivere, con l’ “Angelo di Diamante” accanto a sé.

 

Il Principe Indiano iniziò a parlare al suo Suonatore di sitar squattrinato.

 

Parlarono e scrissero tantissimo quel giorno, quel tanto che bastava per iniziare a delineare quella storia che assumeva i loro tratti, riflesso di quella storia che loro stessi stavano vivendo da un solo giorno. Ripresero tutto quello che si erano detti e lo misero in bocca al principe e al suonatore di sitar facendoli vivere davanti ai loro occhi. Erano loro, il suonatore innamorato del suo principe freddo e pronto al sacrificio per il suo popolo.

Quando il sole iniziò a tramontare, i due ragazzi si lasciarono andare sul letto di Blaine, un foglio ed una penna tra le mani per segnare qualche altra idea.

- Quindi, secondo te, il Principe non dovrebbe dire subito quella frase al Suonatore? – chiese Blaine.

- No – rispose Kurt – Altrimenti dove andrebbe a finire il tuo “realismo”?

- E quando gliela dirà?

- Alla fine.

- E come gliela dirà?

Kurt ci pensò un po’ e, intanto, si avvicinò da più al ragazzo sdraiatogli accanto.

- “Ti amo e ti amerò fino al mio ultimo giorno di vita” – rispose.

Senza fretta, Blaine iniziò ad accarezzargli il viso e, con tutta la delicatezza di cui era capace, iniziò a baciarlo.

- E tu, quando me la dirai? – gli chiese, con un filo di voce, a pochi centimetri dalle sue labbra.

- Non oggi – gli rispose Kurt, la voce incrinata dall’emozione.

 

 

 

Nota dell’autore:

* “Non ut ames oro, verum ut amare sinas” (Ovidio, Heroides, XV, verso 96). Non so se quello che ho detto è vero ma la frase del film mi ha sempre ricordato questa citazione latina, quindi ho deciso di approfittarne e dire la mia a riguardo. Concedetemelo.

 

Capitolo semi-originale stavolta, con tanto di scena Kurtastian (quei due insieme mi intrigano, devo confessarlo) e approfondimento del personaggio di Finn. Spero che l’abbiate gradito : D

Per tutti gli aggiornamenti e qualunque domanda  o curiosità questo è il link della mia pagina: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

Grazie a tutte le care persone che continuano a seguirmi.

 

Lusio

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Capitolo 8
*** Spectacular Spectacular ***


Spectacular Spectacular

 

I giorni che seguirono furono un carosello inarrestabile di prove, lavori, fatica e grandissime soddisfazioni.

Mentre il Moulin Rouge veniva reso sempre più un vero teatro, mentre il palco veniva allestito scenicamente e si iniziavano a fissare le prime poltroncine per gli spettatori, lo spettacolo prendeva forma, con la sua storia, le sue scene, la sua schiera di personaggi. Tutti avevano un ruolo da interpretare: Kurt sarebbe stato il “Principe Indiano” naturalmente, mentre Rachel e Finn avrebbero impersonato rispettivamente la “Califfa” e il “Sitar magico”; alla fine, per il ruolo del “Suonatore di sitar squattrinato” era stato scelto Mike mentre Puck sarebbe stato lo “Stregone”; Sam, invece, aveva scelto di gestire la musica quindi avrebbe diretto l’orchestra.

Vista la scelta di inserire anche delle canzoni per valorizzare appieno le doti degli attori, erano stati inseriti i personaggi delle “Sacerdotesse del Sacro Tempio”, i panni delle quali sarebbero stati vestiti dalle stelle del Moulin Rouge, Mercedes, Tina, Quinn, Lauren, Santana e Brittany. C’era poi l’atletico Dave Karofsky che aveva il phisique du role della “Divinità del Tempio” e gli venne affiancata un’entusiasta Becky, la giovane assistente di Carole, nel ruolo del piccolo “Spiritello benefico”. Sì, lo spettacolo stava prendendo veramente forma.

Anche Will Schuester avrebbe partecipato come comparsa (una delle guardie del Principe) più per supervisionare lo spettacolo dall’interno che per altro. Per il resto, tutti gli altri, ballerine e ballerini, avrebbero composto il coro di sudditi ed altri.

Certo, non tutto filava liscio; a cominciare dal fatto che il copione era in continua costruzione e ciò era fastidioso per la maggior parte del cast, c’erano poi i problemi singoli: Mike che ogni tanto aveva i suoi attacchi di narcolessia che lo facevano rimanere incosciente per ore, Finn che aveva seri problemi a memorizzare le sue battute, Rachel con la sua abitudine di restare in scena più di quanto richiedesse la sua parte. Ma si andava avanti.

Dietro le pagine di quel copione , intanto, si stava formando un altro tipo di storia, più difficile, più lunga, più vera. I due protagonisti dovevano tenerla segreta, peccato che intorno a loro ci fossero troppi muri con occhi e orecchie; ma non se ne accorgevano, troppo presi dalla novità che stavano vivendo. Per loro l’importante era che il Duca Sebastian non lo venisse a sapere.

 

L’ultimo stadio dell’amore è l’accettazione; quando accetti la persona amata nella sua interezza e se anche questa persona fa lo stesso con te, allora c’è l’amore.

Non so quando fu amore, non so dire il momento esatto. Semplicemente, un giorno come gli altri, ti ho visto ed ho capito che volevo solo te e nessun altro. E’ molto più difficile per me capire quando tu hai capito di ricambiarmi. Ma forse non esiste un momento preciso in cui ci si innamora; si segue semplicemente un’evoluzione, o una formazione; l’amore è un sentimento che ha bisogno di allenarsi, un po’ come Finn quando memorizzava le sue battute. Forse era successo questo.

Tu non mi concedevi nulla e a me stava bene; volevo solo che rimanessi con me.

Alla fine, fui io il primo a dire “quella frase”.

 

“Oh, labbra che ridete sulla mia bocca in sogno,

nell’attendere l’altro riso più spaventoso.

Su, presto, adesso svegliati. Di’, l’anima è immortale?”

Dopo aver passato un’altra giornata a scrivere (mancavano poche scene per completare lo spettacolo), Blaine e Kurt si erano raggomitolati sul letto, come facevano da qui ad un bel po’ di tempo, che ormai non sembrava più tanto scomodo. Non facevano nulla di che, semplicemente appuntavano qualcosa su fogli volanti, per lo più parlavano, della loro vita privata, delle loro aspirazioni, imparando a conoscersi un po’ di più, o si baciavano e si stringevano; era quasi sempre Kurt a guidare la situazione, lui la iniziava, lui la finiva, lui decideva cosa fare. Quel giorno aveva adocchiato alcuni libri che Blaine aveva riposto alla meglio su uno scaffale traballante e afferratone uno aveva chiesto al ragazzo di leggerglielo; era un volume di poesie di Verlaine.

Blaine gliele lesse tutte, una dopo l’altra ed ogni volta che si fermava per riprendere fiato Kurt lo pregava di continuare, la voce sempre più incrinata dall’emozione; più andava avanti, più Blaine leggeva buttando un occhio sul libro e l’altro sul volto del ragazzo steso accanto a lui: i suoi occhi erano vivi e lucidi di lacrime e dalle labbra socchiuse si levava un respiro spezzato dai singhiozzi. Gli sembrò così fragile in quel momento, più vero e sincero. Era bellissimo.

- Ti amo – gli uscì con un sussurro.

Kurt rimase impassibile; forse pensò che Blaine gli stesse leggendo un’altra poesia. Ad un certo punto si riscosse e, asciugatosi gli occhi, fissò il ragazzo con sguardo basito. La sua bocca non ebbe alcun accenno di movimento, né sembrò dare l’impressione di voler dire qualcosa; si limitò a prendergli la mano e a stringerla.

- Leggimene un’altra, per favore – disse, tornando a fissare il vuoto.

E Blaine, continuando a tenergli la mano, riprese a leggere; un occhio sul libro e un occhio su Kurt.

“Ecco qui frutti e fiori, ecco qui foglie e rami,

e poi ecco il mio cuore: batte solo per te.

Non straziarlo, ti prego, con le tue bianche mani

E sia l’umile dono dolce ai tuoi occhi belli.”*

 

Ti ho tanto cercato, ti ho inseguito a lungo e continuo tuttora, come una falena attirata dalla luce di una lanterna, e non riesco a prenderti. Mi sfuggi dalle dita dopo esserti fatto prendere per un solo istante affinché potessi sentire quanto erano morbide le tue labbra, il sapore della tua bocca, la sensazione della tua lingua, il contatto con la tua pelle e l’odore di sudore coperto da uno strato di profumo dopo una giornata di prove.

Baciarti, scrivere sulla tua pelle solleticandoti con la penna per sentirti ridere. Rimanendo semplicemente distesi sul letto, abbracciati e strofinandoci il volto a vicenda come fanno i gatti; ed io che aspettavo sempre che anche tu mi dicesti quella frase. Te la elemosinavo come un bambino.

“Mi ami?”

Tacevi, con un sorriso biricchino dipinto in faccia e non me la prendevo perché in te tutto era sincerità, sincerità solo per me e per nessun altro. Per gli altri l’ “attore”, per me “Kurt”.

Te lo urlavo con un sussurro, “Ti amo”, per farmi sentire da te.

Ascoltami.

Mi senti? Continuo ad urlartelo. “Ti amo”.

 

Tutto proseguiva per il meglio: il Moulin Rouge abbandonava le sembianze del locale per acquistare sempre più quelle del teatro, mentre lo spettacolo si avvicinava alla sua definitiva conclusione; mancava solo quella conclusione che tardava ad arrivare, visto che ogni “incontro di lavoro” dell’autore con il protagonista terminava sempre con una nuova scena da aggiungere.

La cosa non infastidiva nessuno, tutti erano pronti a sudare sette e più camice per qualche scena in più ma c’era qualcuno che da quei giorni di lavoro non stava guadagnando nulla.

Sebastian aveva molto autocontrollo e sapeva gestire i suoi sentimenti e le sue voglie ma qualcosa, anzi qualcuno, stava facendo vacillare la sua compostezza e quel “qualcuno” era Kurt, con il suo corpo e la sua voce e quegli sguardi che gli donava così generosamente, ma solo quelli gli concedeva, assieme a qualche carezza e a qualche bacio che si concludeva sempre con una lingua vorace che esplorava la bocca dell’ “Angelo di Diamante”. Si sentiva esplodere e il fatto di dover aspettare la sera della prima per averlo lo faceva morire dal desiderio.

Non poteva fare altro che aspettare, stargli accanto il più possibile per sopperire a quella mancanza e intrattenersi a cena con lui, nella “Torre Gotica” che Schuester aveva messo a sua disposizione, proprio come quella sera, dopo una lunga sessione di prove estenuanti.

Peccato che Sebastian non avesse considerato un dettaglio: quel fastidioso “scrittore” che lo teneva separato dall’oggetto dei suoi desideri con quelle maledette scene da scrivere. Ed anche in quel momento venne a disturbarli.

- Scusate se vi disturbo – disse avvicinandosi a loro due seduti – ma, signor Hummel, ci sarebbe quella scena da ultimare: “l’incontro segreto dei due amanti nell’umile capanna del Suonatore di sitar squattrinato”. Potremmo lavorarci stasera se non vi è di troppo disturbo.

- Certo che è di disturbo – disse Sebastian, fulminandolo con lo sguardo – Io e il signor Hummel abbiamo una cena alla “Torre Gotica”, stasera.

- Be’, non è una scena importante…

- Come osate dire una cosa simile! – scattò Kurt, alzandosi e fronteggiando Blaine – “L’incontro segreto dei due amati” è una delle scene più importanti dello spettacolo. Ci lavoreremo su fino a quando non ne sarò soddisfatto.

- Ma, Kurt… - tentò di replicare Sebastian.

- Mio caro Sebastian – lo prevenne Kurt – Perdonatemi, ma l’arte viene prima di tutto per me, a differenza di certa gente – concluse lanciando un’occhiataccia a Blaine e andandosene.

Mai come in quel momento Sebastian avrebbe voluto afferrare quel dannato imbrattacarte e ammazzarlo di bastonate, soprattutto vedendo quel mezzo sorrisetto che aveva stampato sulla faccia mentre si “scusava” e si allontanava nella stessa direzione presa da Kurt. Maledetto!

Mentre scariche di rabbia gli sfuggivano dai denti serrati, il Duca si diresse di gran carriera verso Schuester intento a sistemare gli ultimi particolari per le prove del giorno successivo e lo strattonò violentemente.

- Schuester! Dovete fare qualcosa! – esclamò.

- Ho già fatto tutto – replicò Will, colto alla sprovvista – Ho predisposto per la vostra cena di stasera e…

- Potete strozzarvi voi con quella cena – lo interruppe Sebastian, la sua solita compostezza crollata – Kurt non fa che perdere tempo con quel tizio che scrive lo spettacolo. Vi avverto, voglio che Kurt venga da me stasera, non accetterò alcuna scusa; lo voglio da me questa sera stessa. Se volete posso ricordarvi le mie “condizioni” nel nostro accordo; vedete voi come regolarvi.

- Sì certo, caro Duca – fece Will, bianco in volto – Farò il possibile; Kurt sarà da voi stasera.

Alle parole di Schuester, Sebastian sembrò riconquistare il suo fare posato e ritornò a sedersi.

 

* * *

 

Soffocando le risate, Kurt e Blaine uscirono fuori dai tendaggi, tra i quali si erano nascosti. Non la smisero un secondo di baciarsi e stringersi.

- Vieni stasera? – chiese Blaine, ricoprendo di baci il contorno delle labbra di Kurt.

- Sì, sì – rispose il ragazzo, trattenendo a malapena una risatina – Stasera, alle otto.

- Me lo prometti?

- Sì, ma adesso vai.

- E ti stai innamorando?

- Vai! – esclamò Kurt, spingendolo via, lasciando che la risata gli scoppiasse rumorosamente in bocca.

Lanciandogli altri baci con la mano, Blaine andò via saltellando goffamente solo per portarsi dietro il suono di quella risata. Invece, Kurt si sistemò i capelli e la camicia e, continuando a sorridere, fece per andare nel suo camerino; ma la figura di Will che gli si parò davanti lo fece arretrare di qualche passo: era scuro in volto, con una rabbia mista ad agitazione negli occhi.

- Sei impazzito! – esclamò Will, con un urlo strozzato – Come puoi permetterti una simile leggerezza?! Il Duca vanta un diritto di proprietà sul Moulin Rouge, sta finanziando il nostro spettacolo, vuole fare di te un vero attore e tu che fai? Ti metti ad amoreggiare con lo scrittore!?

- Will, ma cosa ti viene in mente? – reagì Kurt con nonchalance, mostrandosi stupito da quell’affermazione.

- Vi ho visti insieme! Non negarlo – sbottò Will.

Il sorriso di leggerezza sul volto di Kurt si infranse e al suo posto comparve una pallida costernazione.

- E’... è solo una piccola infatuazione… - si schernì – Non è niente… è solo… non è niente.

- Questa “piccola infatuazione” deve finire – gli ordinò duramente Schuester – Vai da Blaine e digli che dovete smetterla con questi incontri. Il Duca ti aspetta, stasera. Non possiamo permetterci simili rischi – concluse lapidario andandosene e lasciandolo solo.

Solo.

Ancora solo, com’era sempre stato; non sarebbe cambiato niente anzi, tutto sarebbe ritornato come prima. Prima di cosa? Cosa era successo in quell’ultimo periodo? C’era stato un cambiamento, lo sentiva, qualcosa che si era trovato davanti e che lo faceva soffrire al pensiero di doversene privare.

Ma cosa gli stava succedendo? Stava veramente pensando quelle cose? Sì, le stava pensando, e allora? Non aveva mai avuto nulla dalla vita, non aveva niente se non un oceano di sogni; niente da toccare perché lo voleva, nessuno con cui parlare semplicemente. No, adesso lo aveva; Blaine che lo accarezzava senza farlo sentire un oggetto, Blaine che lo ascoltava e gli rispondeva, Blaine che diceva di amarlo… Blaine, che era Blaine e niente più e gli bastava. E doveva rinunciarci. Come al solito, doveva essere lui a sacrificarsi per tutti; quanto lo infastidiva! Comunque, era nel suo interesse: Sebastian era così generoso con lui, lo avrebbe aiutato a diventare un attore, sarebbe volato via da lì; era così che doveva andare. E allora perché si sentiva così male?

Gli sembrava tutto così vuoto e ovattato; l’immagine di Blaine si faceva sempre più lontana e l’unica cosa che Kurt avrebbe voluto fare era inseguirla, prenderla per sentirla vera sotto le sue dita.

Giocavano a farsi il solletico a vicenda e Blaine sbatteva in continuazione la testa contro la ringhiera di ferro del letto ma non smetteva un secondo di ridere. Ridevano insieme.

Ma c’era Sebastian che lo aspettava; Sebastian con il suo fuoco, con il suo desiderio… con nient’altro. E c’erano Will, Mercedes e le ragazze, Rachel, Finn e tutti gli altri che avevano bisogno di lui. C’erano i suoi sogni… assieme a Blaine.

No, doveva smetterla! Non era più lui, non avrebbe mai pensato quelle cose. Doveva andare; doveva…

Kurt sentì di nuovo quella orribile e familiare sensazione stritolargli i polmoni.

No! Ti prego, no!

 

Come potevo sapere che in quegli ultimi giorni fatali una forza, più oscura della gelosia di Sebastian e più potente del mio amore, si stava impossessando di Kurt. Perché non me lo hai detto? Avrei potuto fare qualcosa; avrei potuto portarti via; avrei potuto… tante cose. Quali erano inutili? E quale poteva essere quell’unica giusta?

 

Kurt si piegò in due mentre una tosse violenta gli sconquassava il petto e una bruciante scia di sangue gli zampillava in gola e si riversava nella sua bocca. La tosse, il sapore ferroso del sangue, quella sensazione di soffocamento. Aprì la bocca alla ricerca disperata di un po’ d’aria ma quel fiume che gli usciva dalla bocca ogni volta tossiva glielo impediva. Si aggrappò ad un angolo di muro ma le gambe non lo ressero e sentì le braccia diventargli sempre più deboli; stavolta non ci fu nessuno a prenderlo al volo e cadde pesantemente per terra con un ultimo tentativo di prendere fiato, una tosse persistente e gocce di sangue che cadevano dalla bocca, privo di sensi.

Attirati da quell’ansimare preoccupante e da quella tosse violenta, Dave e Becky, che stavano posando alcuni oggetti di scena, fecero capolino nel corridoio dove videro Kurt svenuto.

- Cosa gli è successo? – fece Becky, bianca in volto, mentre Dave si chinava su Kurt per accertarsi delle sue reali condizioni.

- Non lo so – le rispose il ragazzo, preoccupato – Va’ a chiamare Carole; io lo porto nel suo camerino.

E mentre la ragazzina correva via, Dave prese Kurt in braccio con la stesa delicatezza con la quale avrebbe preso un uccellino ferito e lo adagiò sul divanetto del suo camerino; a tenerlo in braccio si era accorto di quanto fosse leggero.

Pochi minuti dopo arrivò, trafelata, seguita da Becky, Carole che si gettò in ginocchio accanto a Kurt armeggiando con la fiala dei sali sotto il suo naso, cercando di farlo rinvenire.

- Dave, va a chiamare il dottore, presto! – esclamò agitatissima.

 

* * *

 

Will aveva seguito, da dietro la porta della sala da pranzo della “Torre Gotica”, ogni movimento di Sebastian seduto alla tavola imbandita, sperando di cogliere nel suo volto di ghiaccio qualche segno di nervosismo o di rabbia. Se lo sarebbe aspettato già quando era definitivamente passata l’ora in cui sarebbe dovuto arrivare Kurt, invece si respirava la stessa aria gelida che il Duca sembrava portarsi dietro come un’ombra.  L’unica cosa “viva” in quel momento sembrava la sigaretta accesa di Sebastian che si consumò piano piano, tracciando una scia di cenere sul tavolo di mogano e disperdendo il fumo nell’aria.

Quando nel bocchino non rimase nulla e il cibo divenne talmente freddo da risultare immangiabile, Sebastian si alzò tranquillamente e si diresse verso la porta dove si trovò faccia a faccia con Will, la fronte grondante sudore.

- Schuester, sono certo che avete una spiegazione – disse Sebastian con la sua solita calma inquietante.

Will si passò velocemente un fazzoletto sul volto, cercando disperatamente di pensare a qualcosa, di trovare una via d’uscita e, disperato, disse la prima cosa che gli passò per la testa:

- E’ andato in chiesa a confessarsi.

Sebastian rimase per qualche istante a fissarlo in silenzio per poi scoppiare a ridere nervosamente.

- Confessarsi?! – esclamò, divertito e sbigottito allo stesso tempo – Mi avete preso per un idiota, forse?

- No, mio caro Duca – si affrettò a dire Will, riordinando le idee in fretta e furia – Vedete, ero molto restio a comunicarvelo ma Kurt mi ha detto, in confidenza, che non se la sentiva di incontrarvi col peso delle sue colpe addosso; voleva essere “pulito” prima di farsi toccare da voi. Ci teneva tantissimo. Mi ha detto che si sente diverso quando è con voi; mi ha detto che si sente… vergine.

- Vergine – sussurrò Sebastian, facendosi serio ed attento, scandendo ogni lettera di quella parola.

- Sì – continuò Will, incoraggiato da quell’interesse – Lo fate sentire come una creatura non ancora toccata, lo fate fremere come nessuno ha mai fatto. Lo avete conquistato; sente di appartenervi anima e corpo.

L’interesse di Sebastian assunse in un attimo una vistosa vena di compiacimento e il suo sorriso lo dimostrò.

- Ma davvero? – disse compiaciuto – Non ho mai avuto il piacere di toccare qualcuno ancora “vergine”.

Will poté nuovamente dirsi tranquillo.

 

Ancora una volta le brillanti bugie di Schuester avevano evitato un sicuro disastro; ma nessuna bugia, per quanto ingegnosa, poteva salvare Kurt.

 

Quando Will era ritornato, furioso, al Moulin Rouge con l’intenzione di fare a Kurt una sonora lavata di capo, non si aspettava di trovarsi davanti ad una scena come quella che vide nel camerino dell’ “Angelo di Diamante”: quest’ultimo steso sul divano, apparentemente addormentato, bianco e affannato con Carole seduta accanto a lui con gli occhi lucidi e, in disparte, un uomo anziano (il dottore, uno dei loro clienti occasionali).

- Cos’è successo? – si informò Will, preoccupato.

- Kurt si è sentito di nuovo male – spiegò Carole con un filo di voce – Becky e Dave lo hanno trovato svenuto per terra, allora abbiamo chiamato il dottore e… - non poté continuare perché la voce le si spezzò in gola.

- Signor Schuester devo darvi una brutta notizia – disse il dottore – Ho visitato il signor Hummel e i suoi sintomi indicano una sola cosa: tubercolosi.

- Come? – esclamò Will, sconvolto da quella diagnosi – E cosa dobbiamo fare per curarlo.

- La malattia ha ormai raggiunto uno stadio avanzato; potrete ricorrere agli antibiotici se avrà di nuovo queste crisi ma, a parte questo, non si può fare niente. Sta morendo.

“Morendo”. Kurt, quel ragazzo pieno di vita e di sogni da realizzare. Will non riuscì a dire nulla e Carole non ebbe nemmeno la forza di versare una lacrima tanto era assurdo quello scherzo del destino.

- Non dovrà saperlo, Carole; né lui né nessun altro – si riscosse Will, ricordando a malincuore le loro priorità – Lo spettacolo deve continuare.

Nel silenzio che seguì si sentì a malapena Kurt mormorare, nel delirio:

“Blaine… Devo andare da Blaine…”

 

 

 

Nota dell’autore:

* Questi estratti sono rispettivamente la conclusione della poesia “Versi per essere calunniato” e l’inizio di “Green” entrambe del poeta francese Paul Verlaine (1844 – 1896).

 

Sono certo che adesso inizierete ad odiarmi visto che da questo capitolo abbandoniamo il divertimento ed entriamo nello straziante vero e proprio. Piccola nota: tenete bene a mente il comportamento di Dave che, mi sono accorto solo adesso, è importante.

E il prossimo capitolo… Come What May.

Per qualsiasi cosa, questo è il link della mia pagina:  http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

Grazie a tutte le care persone che continuano a seguirmi.

Un bacio a tutti e ciaooooo!!!!!!

 

Lusio

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Capitolo 9
*** Come What May ***


Come What May

 

Era ormai giorno inoltrato quando Kurt entrò nell’appartamento di Blaine; trovò quest’ultimo intento a ricopiare una scena alla macchina da scrivere. Era scuro in volto e a malapena lo degnò di uno sguardo.

- Ciao – provò a salutarlo Kurt.

- Ciao – gli rispose Blaine con voce incolore, continuando a scrivere.

Visto che sembrava non volergli rivolgere la parola, Kurt si tolse le scarpe e si sedette sul letto, aspettando che Blaine finisse; ma anche quando sembrò aver terminato il suo lavoro, Blaine rimase in silenzio, continuando a battere a vuoto sui tasti della macchina. Si riscosse solo quando Kurt coprì un colpo di tosse con la mano e credé che stesse cercando di attirare la sua attenzione.

- Dove sei stato ieri notte? – gli chiese, col cuore gonfio.

- Non mi sono sentito bene e sono rimasto al Moulin Rouge – rispose Kurt.

Blaine si alzò dalla sedia per sedersi sul letto, di fronte a Kurt, guardandolo con gli occhi aggrottati.

- Non mi devi mentire – fece, la voce bassa e greve.

- Non ti sto mentendo – esclamò il ragazzo, sfuggendo a quello sguardo – Forse è meglio se la finiamo qui.

Sentì Blaine prendere un respiro profondo e riuscì ad immaginare il suo desiderio di prendergli la mano e chiedergli scusa, spaventato da quelle parole.

- Sarebbe la cosa migliore – continuò Kurt, cercando di ignorarlo – Ormai lo sanno quasi tutti, anche Will, e chi non lo sa lo sospetta. Se il Duca venisse a saperlo sarebbe un disastro. La sera della prima dovrò andare a letto con lui, lo sai.

Blaine serrò la mascella e strinse i pugni.

- Riusciresti a sopportarlo? Non credo proprio; guarda come stai reagendo adesso. Ti prego, finiamola qui. E’ stato tutto molto bello e magari è meglio così: ne conserveremo un bel ricordo e ognuno per la sua strada.

- No! – si ribellò Blaine – Non puoi dirmi di fare questo, non puoi chiedermi di fare come se queste settimane non contassero nulla.

- E cosa pretendi? – reagì Kurt – Che tutto continui come sempre? Anche quando la faccenda dello spettacolo sarà conclusa, quando io me ne sarò andato via di qui?

- Ma… ma io… io ti…

-Ti scongiuro non dirlo! – lo interruppe, alzandosi – Ma perché devi rendere tutto così complicato? Non sarei dovuto venire qui – continuò, iniziando a fare avanti e indietro per la stanza, mordendosi le labbra e premendo la mano sugli occhi che iniziavano a bruciargli – Non avrei nemmeno dovuto…

- Che cosa? – chiese Blaine, sul punto di arrabbiarsi vedendo che si era interrotto – “Non avresti dovuto accettare la mia proposta?” Hai il coraggio di affermare che, per te, tutto questo non ha contato nulla?

- Non mettermi in bocca parole che non ho detto.

- Allora, se vogliamo essere franchi, te lo dico; sì, vorrei che tutto questo continuasse. Non mi importa della gelosia, sono disposto a tapparmi occhi e orecchie per non vedere né sentire e se te ne andrai ti seguirò dovunque andrai e, se le porte del tuo Duca mi saranno chiuse, resterò fuori, sotto la tua finestra, accontentandomi semplicemente di vederti perché ti amo e ti amerò per sempre, questo nessuno potrà mai impedirlo.

- Basta! Finiscila! – urlò Kurt, le lacrime che iniziavano a scorrergli sulle guance – Vorrei tanto non averti mai incontrato; non mi sentirei così male se non fosse accaduto.

- Cosa vuoi dire? – chiese Blaine, attirato da quelle ultime parole.

Col capo premuto contro il vetro, respirando pesantemente e torcendosi le mani, mentre le lacrime gli inondavano il volto, Kurt rimase in silenzio, incapace di reagire.

- Che cosa mi hai fatto? – riuscì a dire, alla fine – Non lo so nemmeno io; so solo che quando sto insieme a te mi sento veramente bene. Se mi assopisco sul tuo letto e mi sveglio con te accanto, ho voglia di sorridere… Io non lo so cosa mi è successo… non riesco a parlare…

- Allora non parlare – disse Blaine cingendolo da dietro le spalle e premendo le labbra sulla sua nuca – Non dire nulla se non vuoi, va bene così; mi va bene tutto quello che fai. Passa tutto il tempo che vuoi col Duca, realizza tutti i tuoi sogni, ma non chiedermi di lasciarti. Io ti amo. Kurt.

Scuotendosi dalla sua sofferente fermezza, Kurt si voltò nella presa di Blaine in modo da cingerlo a sua volta e iniziò a baciarlo freneticamente, con tutto il bisogno di un’intera esistenza e con la paura di un ultimo giorno di vita.

- Voglio fare l’amore con te – gli sussurrò sulle labbra.

Blaine iniziò a tremare, come anche Kurt, l’uno tra le braccia dell’altro. Paura e desiderio uniti in un’unica sensazione.

- Non ho mai fatto l’amore con nessuno; per me è sempre stato un “soddisfare un cliente”. Adesso voglio sapere cosa si prova, quanto è diverso ed è te che voglio.

Se ne avessero avuto la forza avrebbero riso e pianto nello stesso momento ma in loro c’era solo il desiderio di baciarsi, stringersi, sentirsi completi almeno per quella volta, poi avrebbero riso e pianto per tutto il tempo che volevano.

In quel momento c’erano solo loro due e nient’altro, ogni cosa spogliata della sua importanza.

- Kurt – mormorò Blaine, mentre si lasciavano cadere sul letto.

 

Fermiamoci un istante, uno solo. Voglio assaporare questo momento con gli occhi così da capire perché è così bello.

Se tu potessi immaginare come mi sento.

Perché piangi?

Perché sono così felice.

Voglio assaggiare ancora il sapore delle tue labbra.

Continua a toccarmi; le tue mani sono così calde e desidero le tue dita sporche di inchiostro.

Hai sconfitto la mia forza; ora sono tenera argilla nelle tue mani.

E tu hai fatto crollare tutte le mie convinzioni.

Per sempre questo tocco, per sempre questo bacio, per sempre l’amore con te.

Adesso nei miei sogni ci sei anche tu e il tuo non è un piccolo spazio.

Cos’è questa?

La nostra canzone.

Ancora un bacio e poi un altro. Sei così bello: scateni in me sensazioni mai provate.

Ancora una volta. Voglio fare ancora l’amore con te. Così vorrei morire.

Non parlare di morte; l’unica cosa che voglio è vivere il resto dei miei giorni accanto a te.

Ancora una volta e poi un’altra ancora; ognuna come se fosse la prima e l’ultima.

Canta, come solo tu riesci a cantare, arricciando le corde le mio cuore, rendendomi così felice da farmi soffrire.

Le tue dita impugnano le corde che muovono il mio corpo, lasciandomi inerme alla mercè della tua passione.

Soffia su quella candela, il sole sta sorgendo.

Asciuga anche tu le tue lacrime come io sto facendo con le mie per vederti meglio nella luce di questo nuovo sentimento.

Celebriamo le nostre nozze in questo letto. Non posso offrirti nulla se non me stesso.

Ti prego, dimmelo.

Comunque vada, ti amo e ti amerò fino al mio ultimo giorno di vita.

Io non ce la faccio.

Non importa se non vuoi dirlo; io lo dirò tante volte, lo urlerò a gran voce anche per te.

Restiamo qui… insieme…

Insieme…

Amore.

 

* * *

 

Si era giunti, finalmente, all’ultimo giorno di prove; alla prima mancavano ventiquattro ore o poco più. E al Moulin Rouge si stava provando l’ultima scena, il finale che Blaine aveva portato qualche giorno prima, con le guance arrossate, gli occhi lucidi e un sorriso che in quell’isola del piacere non si era mai visto; solo poche persone come Carole, Finn, Mercedes e Dave notarono che anche Kurt aveva un sorriso identico e preciso a quello dell’autore.

Il finale era quello che tutti si aspettavano ma non era scontato: l’amore tra il Principe Indiano e il Suonatore di sitar squattrinato trionfava ma rimaneva un’incognita sul loro futuro ma per loro aveva poca importanza: il fatto che si amassero contava più di ogni altra cosa. La Perfida Califfa poteva disperarsi nella sua rabbia con quei gesti esagerati che Rachel ci metteva, il Sitar magico poteva tornare a parlare attraverso le note visto che Finn ancora non riusciva a ricordare la sua battuta più importante, la Divinità del Tempio benediceva il loro amore incrociando le braccia assieme allo Spiritello benefico e tutti intonavano l’ultima canzone assieme ai due amanti. E’ tutto perfetto.

Forse furono questi i pensieri che sfioravano Sebastian in quei rari momenti in cui non era concentrato su Kurt.

- Questo finale è veramente idiota – disse una voce piena di veleno dietro di lui.

Sebastian si voltò e vide Santana, quella creola delle “Fleurs du Mal”; come molti anche lui era stato più volte stuzzicato dal pensiero di intrattenersi con entrambe quelle ragazze che non si separavano. Non si sentiva molto attratto dal corpo femminile ma anche Santana e Brittany parevano gradire poco le attenzioni maschili; avevano qualcosa in comune e poteva sembrare interessante come esperienza.

- Voi dite? – chiese Sebastian prendendo una lunga boccata dalla sua sigaretta nel suo immancabile bocchino.

- Ho due occhi anch’io – rispose Santana – Converrete con me che è un finale assurdo. Perché mai un principe indiano dovrebbe scegliere uno “scrittore” squattrinato.

Per un attimo Sebastian credé di aver sentito male. Uno “scrittore” squattrinato? Forse Santana si era sbagliata. No, sapeva benissimo cosa aveva detto; aveva calcato proprio su quella parola.

- Oh! – fece la ragazza, con l’aria di chi finge di correggersi – Volevo dire “un suonatore squattrinato” – concluse con tono allusivo, lanciando un’occhiata alle spalle di Sebastian per poi ritornare da Brittany che l’aspettava in una parte della sala, con Quinn ed altre ballerine.

Sebastian si voltò nella direzione che Santana sembrava avergli indicato… e vide quello “scrittore”, Blaine. Come guardava Kurt, come gli stava sempre vicino, come gli sfiorava le mani. “Il Suonatore di sitar squattrinato”.
Delle sottili, gelide, fiamme iniziarono a percorrergli le vene e un oscuro desiderio rabbioso gli si piantò in petto.

La prova si concluse in quel momento e tutti si voltarono verso di lui; aspettavano il suo verdetto finale.

Allora, il giovane duca si ricompose e, con tutta la calma possibile, sfilò la sigaretta dal bocchino e la spense per terra, cacciando fuori l’ultima boccata di fumo e guardando tutte le persone sul palco con aria di superiorità.

- Questo finale non mi piace – sentenziò tranquillamente, giocherellando col bocchino e gettando tutti nella costernazione.

- Non vi piace il finale, Duca? – fece Schuester, intimorito – Come mai?

- Semplice: non è affatto credibile. Perché il Principe Indiano dovrebbe scegliere un suonatore di sitar squattrinato alla Califfa che gli sta offrendo una sicurezza ed una stabilità per tutta la sua vita; quello è “vero amore”. Quando il Suonatore avrà soddisfatto la sua lussuria lascerà il Principe senza niente.

Sebastian poté sentire con soddisfazione l’occhiataccia che Blaine gli lanciò da dietro il suo banco.

- Suggerisco di cambiare il finale, con il Principe che sceglie la Califfa.

- Ma scusate – intervenne Finn, con tono conciliante – Un finale così non esprimerebbe i nostri ideali di “Verità”, “Bellezza”, “Libertà” e “Am…”

- Io me ne infischio della vostra stupida dottrina! – scattò Sebastian; il bocchino si ruppe con un forte schiocco nella sua mano – Perché il Principe non può scegliere la Califfa?

- Perché lui non vi ama!

Tutti i presenti, completamente assorbiti e partecipi di quella situazione si voltarono verso la persona che aveva urlato quella frase: Blaine, il volto arrossato e le vene del collo gonfie come sul punto si esplodere, che si guardò intorno smarrito, voltandosi verso Kurt che lo fissava con occhi sgranati per poi ritornare su Sebastian, cosciente di ciò che aveva detto.

- Lui… lui non la ama – balbettò con un filo di voce – N-non… non la ama… la Califfa… non la ama…

- Ora capisco – mormorò Sebastian facendo correre il suo sguardo da Blaine, ora pallido come un cencio, a Kurt che aveva assunto un’aria indifferente – Schuester, questo finale deve essere riscritto, con il Principe che sceglie la Califfa e sarà senza la “canzone d’amore degli amanti”. Verrà provata domani e dovrà essere pronta per la prima di domani sera.

- Domani sera?! – esclamò Will, costernato – Ma, Duca, è impossibile…

- Will! – lo interruppe Kurt, con aria indignata – Ma vi rendete conto di come state trattando il nostro povero Duca?

Lanciando un’occhiata di sufficienza a Blaine, scese dal palco e si diresse verso Sebastian.

- Non dategli retta; questi sciocchi scrittori si lasciano trascinare dal sentimentalismo – continuò avvicinandosi a lui con fare sinuoso, fino ad arrivargli a pochi centimetri dal viso – Perché voi ed io non ceniamo insieme stasera e, magari, domani faremo sapere a Schuester come “noi” vogliamo che finisca lo spettacolo – concluse, accarezzando maliziosamente il colletto della camicia di Sebastian.

Quest’ultimo ricambiò il sorriso perverso che Kurt gli stava rivolgendo. Dietro di lui notò Blaine, con espressione smarrita e turbata in volto.

 

* * *

 

Kurt si appoggiò alla parete dei camerini comuni, premendo le mani sulle tempie per contenere il dolore alla testa che iniziava a farsi sentire e prendendo dei lunghi e profondi respiri. Non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua. Mai come in quei pochi minuti le cose sarebbero potute crollare definitivamente e, per fortuna, era riuscito nuovamente a sedare quella tempesta. Avrebbe voluto risparmiarsi quell’eventualità…

A chi avrebbe voluto risparmiarla? A se stesso o a Blaine?

Si staccò dalla parete e si diresse verso il suo camerino quando sentì due mani tremanti afferrarlo per un braccio.

- Non voglio che tu vada a letto con lui – mormorò come una preghiera Blaine, uscendo dal buio di un angolo vuoto.

Le sue membra non smettevano di tremare e gli occhi erano gonfi di lacrime; guardò Kurt implorante, senza vergognarsi di mostrare la sua debolezza. Kurt sentì il cuore stringersi ma capì di doversi dimostrare più forte.

- Devo farlo – disse – Potrebbe rovinare tutto.

Blaine avrebbe voluto replicare ma le lacrime glielo impedirono e riuscì solo a scuotere il capo.

- Me lo hai promesso – continuò Kurt, prendendogli il volto tra le mani, per fermarlo – Mi hai promesso che non saresti stato geloso; non farmi stare ancora più male di quanto già io non stia, ti prego. Devo andare – fece per andarsene in fretta, per evitare un ulteriore strazio.

Blaine lo afferrò con più forza e disperazione di prima; affondò il viso nel suo petto per soffocare il pianto silenzioso e ficcando le unghie nella schiena di Kurt, strappandogli un gemito, per non lasciarlo andare.

Resta con me.

- Blaine – sussurrò dolcemente Kurt, accarezzandogli i ricci neri – Va tutto bene. Non è niente. Domani sarà tutto passato ed io verrò da te; resterò con te tutto il tempo che vorrai. Andrà tutto bene; comunque vada. Ricordi? Ricordi?

- Comunque vada – trovò la forza di ripetere Blaine allentando la presa.

Avvertì il delicato tocco delle labbra di Kurt sulle sue per poi sentirlo volare via… Il suo angelo.

 

* * *

 

La notte fuori era mille volta più luminosa; nella “Torre Gotica” regnava non un’oscurità totale ma qualcosa che aveva le sembianze del buio. Un’ entità nata da tutto quanto c’era stato di negativo in quell’ultima giornata: rabbia, sospetto, dolore. L’unico chiarore proveniva da due candele sul tavolo, dalla cenere rossiccia di una sigaretta, dal volto diafano di Kurt che emerse dall’ombra dell’ingresso, venato da scie scure. Anche gli occhi lussuriosi di Sebastian diedero un po’ di luce in quella sala.

- Mio caro Sebastian, spero di non avervi fatto attendere – disse l’ “Angelo di Diamante”, cercando di non lasciarsi soffocare dal buio e dal male che covava nel suo petto.

 

 

 

Nota dell’autore:

Non ho molto da dire su questo capitolo, a dire il vero. Semplicemente, questo, assieme al prossimo, è il capitolo che più ho amato scrivere anche se è breve. Forse perché è quello in cui ho messo molto di me.

Il prossimo sarà… be’, vedrete.

Per qualunque cosa, questa è la mia pagina: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

Ringrazio sempre di tutto cuore le carissime persone che continuano a seguirmi.

Ciaoooo!!!!

 

Lusio

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Capitolo 10
*** El Tango de Roxanne ***


El Tango de Roxanne

 

- Assieme a voi arriva sempre il sole.

Il complimento di Sebastian alle orecchie di Kurt suonò quasi come una presa in giro visto il buio nel quale brancolavano; ma il ragazzo continuò a interpretare la sua parte.

- Mi lusingate troppo – disse con ostentata ritrosia; senza nemmeno accorgersene scansò la mano del Duca che andò ad accarezzargli il braccio.

 - Spero che il nostro giovane scrittore non abbia versato troppe lacrime per la nostra serata – disse Sebastian, fingendo di non essersi accorto di nulla.

- Ah, ve ne siete accorto anche voi – fece Kurt ridacchiando e andando ad accomodarsi su un triclinio – Sì, quel ragazzo ha una ridicola ossessione per me. E io, capirete, lo assecondo perché ha talento. Lui ci serve… ma solo fino a domani sera.

- Sì, domani sera – disse Sebastian, la sua voce ancora più roca di quanto già non fosse – E fino ad allora non pensiamo a quello scrittore, a Schuester, al Moulin Rouge e allo spettacolo. Qui ci siamo solo noi due. Dopo avervi assaggiato, desidero solo assaporarvi… Le vostre labbra…

Sebastian si stese su Kurt, facendo presa con le braccia sullo schienale e il bracciolo del triclinio per non gravargli addosso; il ragazzo poté vedere le vene delle sue mani gonfiarsi e i muscoli contrarsi per lo sforzo. Quando sentì il fiato bollente del Duca sul viso, gettò la testa all’indietro affinché potesse prendere dalla sua bocca ciò che desiderava.

Kurt non aveva mai sentito le proprie labbra così rigide e fredde come in quel momento; ebbero un cedimento solo quando vide, nella parete chiusa dei suoi occhi, l’immagine di Blaine.

Poteva recitare così.

 

Lui era andato alla “Torre Gotica” per salvarci tutti. E noi, da parte nostra, non potevamo fare altro che aspettare.

 

Al Moulin Rouge si respirava un’aria ancora più asfissiante di quella della “Torre Gotica” anzi, si soffocava e lì c’erano troppe luci tremolanti ad illuminarla e quelle luci si riflettevano nelle gocce di sudore sulle fronti di molti dei presenti e nei bicchieri colmi di assenzio che si passavano tra di loro. Finn ne aveva già bevuti tre e riusciva a malapena a muoversi sulla sua sedia traballante; persino Rachel, accanto a lui, non aveva la forza di parlare e muoversi.

Anche Blaine aveva bevuto, ma tutto quel bruciante liquore non riusciva ad impedirgli di pensare, a stordirlo completamente.

Gli unici suoni che riecheggiavano nella sala erano uno sporadico colpo di tosse, i biscotti sgranocchiati da Lauren l’ “Arena”, i tacchi di Tina il “Fiore di Loto”, l’unica che aveva la forza (o l’agitazione) per camminare su e giù e le unghie di Dave che graffiavano il legno di una delle balconate. Se si fosse teso maggiormente l’orecchio si sarebbe potuto sentire, attraverso quel silenzio assordante, un unico urlo.

“Corri tempo”.

Ad interrompere quella silenziosa agitazione ci pensò l’unica persona che sembrava divertirsi lì in mezzo.

Lesta come un gatto, senza far smuovere nemmeno le pieghe della vestaglia che indossava, Santana si sedette sulle gambe di Blaine, cingendogli laidamente le spalle e la nuca.

- Non preoccuparti “uccellino innamorato” – disse con una voce gonfia di stucchevolezza e di scherno – Avrai il tuo finale quando il Duca finirà… dentro… Kurt.

A quella scansione crudele, Blaine non ci vide più. Provò l’irrefrenabile desiderio di distruggere quel sorriso che la ragazza si stava divertendo a sbattergli in faccia, far saltare tutti quei denti, uno ad uno, farle sputare sangue, veleno e bile, gonfiarle il volto fino a renderla orribile, farla soffrire come lui stava soffrendo in quel momento.

Questi suoi stessi pensieri lo spaventarono.

Spinse via da sé, con violenza, Santana facendola sbattere contro il tavolo accanto, facendo cadere per terra, in frantumi, alcuni bicchieri. La ragazza reagì istintivamente a quell’attacco e si gettò nuovamente su Blaine, le unghie laccate di rosso protese contro di lui come degli artigli.

- Non provare a mettermi le mani addosso, schifoso! – gli urlò prima che Brittany e Mike la fermassero al volo.

La bionda prese la mora tra le sue braccia, cercando di calmarla, accarezzandole i capelli e baciandole le labbra; a quel dolce contatto le membra di Santana smisero di tremare per la rabbia.

Ma, ormai, il silenzio era stato infranto e ricascarci sarebbe stato insopportabile per gli altri che si misero a fissare quella scena con interesse. In quel momento il protagonista sembrava essere ancora Blaine, ma il posto di Santana era stato preso da Mike che fronteggiava il ragazzo con occhi severi.  

- Mai innamorarsi di chi vende il proprio corpo; finisce sempre male – disse l’asiatico, in un crescendo di rabbia che culminò in quel “male” urlato a pieni polmoni; difficilmente si sarebbe riconosciuto in lui l’ “asiatico narcolettico” che cadeva addormentato nei momenti meno opportuni.

Come personaggi che si muovevano su un palcoscenico, Blaine si tirò indietro, rifugiandosi nell’ombra di un tendaggio, mentre Mike avanzò verso il centro della ex-sala da ballo.

- Volete che vi racconti una storia su un simile amore finito male? – chiese guadagnandosi un interesse ancora maggiore da parte di chi lo circondava – Allora, ascoltatemi bene. Abbiamo un ballo alla “Casa del Pesco”, uno dei più famosi bordelli di Pechino; questa è la storia di una prostituta.

L’attenzione si spostò su un nuovo personaggio, introdotto in quella piéce: Tina, ferma sulla gradinata dell’ingresso, intenta ad aggiustarsi il reggicalze, la gonna sollevata a mostrare la gamba bianca e bellissima e la sua biancheria nera di pizzo. Ad accoglierla in quella scenetta ci furono i versi e i fischi di apprezzamento del pubblico maschile. Vistasi al centro dell’attenzione, la ragazza scese dalle scale, ridendo volgarmente, portandosi al centro della scena, i capelli corvini che le cadevano lungo le spalle, una delle quali era lasciata scoperta dal seducente abito rosso che indossava; il suo sguardo era messo più in evidenza dal trucco sbavato.

- E di un uomo – continuò Mike – che si innamora di lei. Guarda e impara Blaine – concluse rivolgendosi al ragazzo nell’ombra per poi concentrarsi sulla ragazza davanti a lui.

I due orientali si fronteggiarono come due guerrieri pronti al combattimento, girando in tondo e diminuendo la distanza che li separava ad ogni giro che facevano, fino a trovarsi ad un respiro di distanza. I violini iniziarono a suonare.

- Prima c’è desiderio – riprese Mike, accarezzando il viso di Tina – Poi passione – le loro mani si incontrarono con un battito.

Si strinsero dolcemente. Ad un certo punto, Mike si accorse di un cambiamento; tre ballerini avevano iniziato a girare attorno a loro, fissando Tina con desiderio; la ragazza protese delicatamente un braccio verso uno di loro facendosi scoprire dall’asiatico.

- Poi sospetto – si staccò da lei e la tenne stretta per il polso – Gelosia, rabbia, tradimento – un nuovo crescendo con la sua presa che si faceva sempre più forte e la ragazza arretrava a piccoli passi scattanti – Quando l’amore si da al miglior offerente non può esserci fiducia e senza fiducia non c’è amore – lasciò la presa – La gelosia. Sì, la gelosia ti farà diventare pazzo.

Un ultimo grido, più forte e disperato.

Blaine strinse un lembo del tendaggio fino a strapparlo.

Tina si lasciò cadere fra le braccia dei tre ballerine.

Kurt e Sebastian iniziarono la loro cena.

L’ultima danza iniziò al suono dei violini.

 

Balla, mia piccola farfalla, balla. Tra le braccia di altri, balla. Bella e leggiadra come quando ti ho vista la prima volta, quando mi offristi il tuo corpo ed io presi il tuo cuore per divorarlo; adesso tu prendi il mio cuore e ci balli sopra, con le tue scarpette e i tuoi tacchi a spillo. E balli. Balla.

Io non ho preso il suo cuore per divorarlo. L’ho serbato, perché è ciò che ho di più prezioso. E lui non ha straziato il mio.

Sei stato uno stupido; dovevi farlo. In questo momento soffriresti di meno.

Non sto soffrendo.

Sì, invece, come me adesso mentre rivivo il mio passato. Aprì gli occhi e guarda com’è la realtà.

Non voglio vedere e questa non è la realtà.

Realtà unica e concreta, mia dolce farfalla che balla da un fiore all’altro. Come ti scoprono le membra e le accarezzano come io ho fatto per primo. No! Non sono stato il primo, solo un illuso che lo sperava e nulla più e tu che fingevi.

Lui non finge con me; i suoi occhi me lo dicono ogni volta che mi guardano.

Con te non finge ma quando tu non ci sei cosa succede? Io mi feci questa domanda e cosa trovai?  

 

Tutti si muovono nella sala; chi afferra la mano di qualcuno ed inizia a ballare, chi si getta a terra spossato dal caldo e dall’atmosfera, chi afferra una ragazza per la vita non più magra e la trascina in una zona più intima. Ma tutti si muovono nella sala, tutti diventano personaggi.

Cosa fate? Niente, semplicemente stiamo vivendo.

La ragazza fugge tra la folla e si mostra in alto, vicina e irraggiungibile, vola la piccola farfalla.

 

Voglio andare via di qui.

Devo catturarti mia piccola sconsiderata traditrice, devi sapere quanto ho sofferto.

Fa caldo. Fa troppo caldo. Soffoco.

Resta e guarda la mia caccia o se vuoi scappare prendi questo coltello; io posso farlo anche a mani nude.

Non lo voglio questo coltello; che si perda in questa foresta di gambe che danzano violentemente e di corpi svenuti.

Vieni qui, piccola mia. Ti sto aspettando.

Voglio uscire.

 

Fermate questa scena. Passiamo ad un’altra.  

 

Terminata la cena Sebastian chiamò, con uno schiocco di dita, un cameriere che emerse dalla penombra con un astuccio blu in mano, lo diede al Duca e ritornò nel buio che lo inghiottì. Perfettamente a suo agio in quella atmosfera, Sebastian si avvicinò a Kurt, seduto all’altra estremità del tavolo, portando l’astuccio come se si fosse trattato del suo stesso cuore e parlando come all’unico amante che desiderasse.

- Dopo lo spettacolo di domani non sarete più un semplice cantante di cabaret, ma un attore. Non dovrete più vivere nella miseria; trascorrerete i vostri giorni nell’agiatezza e vi basterà solo chiedere ed io soddisferò ogni vostro desiderio. Intanto, questo è per voi.

Aprì l’astuccio e mostrò ad un impressionato Kurt una bellissima e ricca spilla di diamanti: sullo sfondo blu chiaro del cuscinetto spiccava nella sua forma di colomba con lucenti pietre preziose sugli occhi, sul becco, sulle ali, su ogni piuma.

- Accettatelo – continuò Sebastian, appuntandoglielo al petto, in quel punto in cui sentiva il cuore di Kurt battere all’impazzata – Accettatelo, come un dono della Califfa al suo Principe Indiano.

- E… e il finale? – chiese Kurt, una leggera paura nella voce.

- Voi darete il lieto fine a Schuester e a tutti i vostri amici. Voi “Angelo di Diamante”, custode e protettore del Moulin Rouge.

E fece unire di nuovo le loro labbra a suggellare una compravendita giunta alla sua firma definitiva.

 

Riprendete.

 

Tornate a muovervi, spianate la strada verso la mia farfalla fedifraga.

Torno a scappare da qui. Arranco verso l’uscita sperando in un po’ d’aria fresca.

La mia voce si accavalla ad un’eco lontana che mi sembra di riconoscere. Ho bisogno di aria per respirare; ho bisogno di spazio aperto per sentirla meglio.

Anche voi ballate, adesso, come lei. Vi ha contagiati. L’amore è un tarlo, è una malattia che ti afferra e ti soffoca come un cespuglio di rovi. Siete tutti malati. Pazzi come ero io e come sono tornato ad essere.

Anche l’aria qui fuori è torrida; bramo delle gocce di pioggia. Eccole, ci sono, sta piovendo. No, forse sto immaginando tutto. Ma che importa! Preferisco vivere in un’illusione.

Perché non aprite le finestre? Perché non mi fate respirare? Avete paura che voli via? Almeno lasciatemi poggiare la fronte sul vetro. Merito anch’io un po’ di refrigerio.

Le corde dei violini sono talmente tese che basterebbe sfiorarle per farle saltare. I tacchi di voi altre puttane invece possono rompere le assi del pavimento; solo le braccia dei vostri clienti vi impediscono di precipitare. Si infrangono gocce di sudore.

Gambe sorreggetemi, non abbandonatemi proprio ora. Non voglio nemmeno sentire un soffio di quello che sta succedendo. La mia stanzetta. Magari lo troverò lì. Corri ammasso di muscoli e organi, sputa fiato dai polmoni.

I miei polmoni bruciano. Fammi respirare, ti scongiuro, solo un po’ d’aria della notte. Baciami pure ma concedimi un respiro. Qui alla finestra. No! Non baciarmi la nuca. Solo lui può baciarmi in quel punto.

Continuate a ballare. Continuate a suonare. L’ho quasi raggiunta.

Gambe non abbandonatemi adesso. Dove sono? Attraverso questa pioggia immaginaria vedo la finestra della stanza in cui ti trovi. Amore, sei lì.

Sei venuto. Non alzare lo sguardo, non guardarmi, mi impedisci di recitare bene… ti vedo e non penso e non parlo… Amore…Comunque vada… Di chi sono queste labbra che mi baciano? Non le riconosco… non sono le tue…

 

- No! – si scansò Kurt staccandosi dall’abbraccio di Sebastian, premendo maggiormente il corpo contro il vetro dell’anta del balcone.

- No? – mormorò Sebastian, stupito per poi seguire la scia dello sguardo di Kurt, vedendo una figura arrancare accanto al muro opposto al locale, piegato in due e scosso da tremiti – Ma guarda un po’ chi c’è; il nostro Suonatore di sitar squattrinato – concluse, graffiando il vetro con l’unghia.

Con un senso di nausea crescente, Kurt si allontanò dall’anta e si riportò al centro della sala da pranzo, per pentirsene subito dopo quando si vide circondato dal buio; sentì i passi di Sebastian dietro di lui. Si voltò, con già pronte le parole per rabbonirlo ma, prima che potesse anche solo emettere un suono, il giovane aristocratico lo afferrò con violenza per la gola e lo spinse facendolo cadere contro il tavolo.

- Non ti azzardare a parlare – gli soffiò sul viso, gli occhi pieni di rabbia, mentre Kurt cercava disperatamente di svincolarsi da quella morsa graffiandogli il braccio e battendogli il petto – Non sopporto venire dopo qualcun altro. No, non dovevi farlo. Non dovevi farlo.

E la mano libera di Sebastian corse sul petto di Kurt, dove pochi minuti prima aveva appuntato la spilla.

 

I violini riprendono a suonare.

I ballerini e le ballerine riprendono a muoversi.

Mike e Tina si inseguono e si sfuggono.

Blaine arranca sulla sua strada.

Dave Karofsky esce dalla sala da ballo.

Kurt vorrebbe urlare ma non può.

Sebastian strappa via la spilla assieme ad un pezzo della giacca di Kurt.

Riprende la danza.

 

Ti ho quasi presa. Ti dibatti tra mille braccia e per me è facile trovarti.

Sono qui, nella mia stanza ma adesso vorrei essere da te. Perché ti ho visto? Voglio stare con te.

Morirò. Mi ucciderà. I bottoni della mia camicia saltano. Uno schiaffo mi fa finire contro il pavimento; mi afferra per i capelli e mi rimette in piedi.

Adesso sei qui, di nuovo tra le mie braccia, come un tempo… ma non è più come allora, tu lo sai e tremi di paura.

Voglio venire da te ma le gambe non mi reggono… un fiotto di vomito mi esce dalla bocca e si unisce alle mie lacrime già versate. Ora riesco solo a lanciare il mio urlo nella gola libera. Riesco a sentire il tuo urlo.

Le sue mani mi graffiano e mi strappano pezzi di camicia; i suoi denti mi divorano. Non sei tu, amore. Mi ribello e finisco di nuovo sul tavolo. E’ su di me.

Non volerai più, mia bella farfallina. Il tuo bel collo sottile si spezza come il gambo di un giglio.

Sono un mostro… non vengo da te… Perdonami… Amore… Ti amo…

Non sono nulla, ormai. Sotto queste mani sono solo un pezzo di carne. Il fracasso dell’argenteria, del legno, un tonfo sordo e sono libero.

 

Nel Moulin Rouge si interrompe la musica; tutti prendono coscienza di ciò che hanno fatto nel delirio (colpa dell’assenzio, dicono alcuni) e ritornano al loro silenzio. Mike e Tina, invece, si ritirano in uno dei camerini a consumare quella notte contro una delle pareti di legno.

Nella sua stanza Blaine si aggrappa alla finestra, cercando di respirare quanta più aria può mentre le sue braccia e le sue gambe non la smettono di tremare e le labbra sono smosse da un nome: “Kurt”.

Nella “Torre Gotica” Kurt vede Sebastian per terra, una scia rossa al lato della fronte e, in piedi col pugno ancora teso, c’è Dave; il suo angelo custode, l’amico che lo afferra ogni volta che rischia di cadere, colui che lo ama in silenzio, da lontano.

- Vieni, ti porto da Blaine – dice porgendogli la mano e sembra che voglia dire “Per te sono disposto a fare tutto.”

 

 

 

Nota dell’autore:   

Questo è stato il capitolo che più ho amato scrivere in assoluto, prova ne è che l’ho scritto in soli tre giorni (un record per me). Il fatto è che quando ho pensato a questa versione Glee di “Moulin Rouge!”, questa è stata la prima scena che mi è venuta in mente. Precisa e identica a come l’ho scritta e sappiate che il passaggio dal passato al presente è voluto.

Per la scansione delle “voci”: sottolineato (Mike), grassetto corsivo (Blaine) e corsivo (Kurt).

Per il resto, chiedo scusa ai fan di Sebastian per il suo eccessivo OOC ma mi serviva ai fini della storia.

Il personaggio di Ninì è di Santana ma per “El Tango de Roxanne” non ho proprio potuto fare a meno di utilizzare Tina visto che è a lei che penso quando vedo quella scena. Se non riuscite ad immaginarlo, andate a dare un’occhiata ai servizi fotografici che Jenna ha fatto per “Tyler Shields”.

E per il lieve Kurtofsky finale… mi credete se vi dico che mi è uscito fuori mentre scrivevo, senza nemmeno pensarci? Poi ho detto: “Ci sta alla perfezione”.

Per qualunque cosa, per qualsiasi domanda, ecco il link per la mia pagina http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

Un grazie di cuore a tutte le care persone che continuano a seguirmi.

 

Lusio

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Capitolo 11
*** The Show Must Go On ***


The Show Must Go On

 

La tempesta esterna sembrava essersi placata; solo quella dentro Blaine non accennava a placarsi. Aspettava che il mondo la smettesse di girare come un carosello impazzito. L’ansia di poco prima era scomparsa ma rimaneva un’amarezza dolorosa, segno di un momento mancato che chiedeva solo perdono.

Quando sentì la porta aprirsi e quel singhiozzo, con quella inflessione vocale che avrebbe riconosciuto tra mille, avvertì le forze ritornargli. Era lui. Kurt con Dave dietro di lui.

Blaine avrebbe tanto voluto che non si avvicinasse per non sentire ancora di più la morsa del senso di colpa che lo attanagliava ma Kurt gli si gettò tra le braccia prima che potesse scansarlo. Piangeva e il ragazzo riuscì a scorgere un segno rosso sull’angolo della sua bocca. Si sentì ancora più male.

- Non ce l’ho fatta – singhiozzò Kurt contro la sua camicia – Non ho potuto… ti ho visto lì fuori e non ho più potuto… e Sebas… il Duc… lui se ne è accorto e…

- Calmati. Ti prego calmati – tentò di calmarlo Blaine, frenandolo per non sentire quello che temeva.

- Blaine non ce l’ho fatta… non voglio più farlo… non voglio più fingere…

- Non dovrai più fingere – lo interruppe Blaine – Ce ne andremo via di qui se tu vuoi.

Spiazzato da quella proposta, Kurt rialzò il viso, placando i singhiozzi e guardando il ragazzo con una nuova luce negli occhi.

- Via? – domandò stupito – Ma lo spettacolo?

- Non mi importa dello spettacolo; mi importa solo di te. Se tu vuoi, ti porterò via.

Kurt aveva sempre accarezzato, in cuor suo, l’idea di andare via da lì un giorno, come un famoso attore sull’onda del suo successo nascente, come uno che era riuscito a superare le difficoltà e le miserie che la vita gli aveva dato per la sua bassa estrazione. Aveva fatto di tutto per raggiungere quell’obbiettivo e adesso, inaspettata, gli si presentava una scelta mai considerata, ed era una sua scelta, nessuno che lo obbligava.

Quello sguardo, quella mano tesa. La sua strada sembrava così priva di ostacoli.

- Mi porterai via? Andremo via insieme?

- Se tu lo vuoi.

- Sì, lo voglio – disse Kurt, baciandolo con trasporto.

Rimasero stretti per tutto il tempo che ritennero necessario, fino a quando non si furono entrambi calmati. Il primo a destarsi fu Blaine; l’alba sarebbe sorta tra poche ore e avevano poco tempo.

- Dave, per favore – disse, rivolgendosi al ragazzo rimasto sulla porta – accompagna Kurt a prendere le sue cose; nessuno deve vederlo, mi raccomando.

- Stai tranquillo Blaine, nessuno si accorgerà di lui – rispose Dave, con un nodo alla gola e il cuore traboccante di emozioni contrastanti.

- Io ti aspetto qui – si rivolse Blaine a Kurt dandogli un ultimo bacio.

Kurt andò da Dave e insieme si apprestarono ad uscire ma prima che potessero arrivare alla rampa delle scale, Blaine si affacciò alla porta della sua stanza.

- Kurt – lo chiamò – Comunque vada.

- Comunque vada – gli rispose Kurt, regalandogli un sorriso.

 

* * *

 

Will Schuester aveva sempre sperato di non trovarsi in una situazione come quella che stava vivendo ma il destino era di una crudeltà immensa e lo aveva spinto in una faccenda ancora peggiore di quanto si sarebbe aspettato. Poteva dirsi fortunato se la stanza era più illuminata, peccato solo che questo gli permettesse di vedere meglio gli occhi furenti e rabbiosi del Duca Sebastian che si faceva medicare il taglio che aveva al lato della fronte da uno dei camerieri.

- Mio caro Duca… io… - balbettò Will – Non… non so proprio dirvi quanto io sia dispiaciuto…

- Ovvio che lo siete – soffiò Sebastian, interrompendolo, i denti serrati per la rabbia e per il fastidio del graffio – E vi dispiacerà ancora di più quando avrò spazzato via questo schifo di luogo.

- Se magari mi permetteste di parlare con Kurt… se mi deste qualche ora per convincerlo…

- Non voglio nessun “se”; voglio certezze – scattò, allontanando il cameriere con un ceffone – E’ tutta colpa di quel ragazzo; lui lo ha incantato con tutti quei suoi discorsi sull’amore. Ascoltatemi bene Schuester perché ve lo dirò una sola volta: dite a Kurt che lo spettacolo dovrà finire come voglio io e che deve venire da me quando cala il sipario… o farò uccidere il ragazzo.

Quelle ultime parole rimbombarono nella sala come un tuono assordante.

- Uccidere? – esclamò Will costernato.

Dal buio emerse Nick, il segretario personale del Duca; con un bagliore, una pistola comparve nella sua mano.

- Uccidere – confermò tranquillamente Sebastian.

 

* * *

 

Arrivato nel suo camerino, Kurt prese alla rifusa tutti gli oggetti di valore che possedeva e che sarebbero serviti a lui e a Blaine per tirare avanti, per i primi tempi, gettandoli in una piccola valigia che tirò fuori da sotto il letto. Non accese nemmeno la luce per timore che qualcuno lo notasse, per questo saltò quando vide la piccola stanza illuminarsi. Si girò verso la porta e vide Will, scuro in volto, con Carole dietro di lui; Dave era stato spinto dall’altra parte del camerino per permettere loro di entrare.

- Dave, vattene – gli ordinò Schuester.

- No… no io… - tentò di replicare Dave.

- Dave, per favore esci – Carole lo tirò gentilmente per la camicia e lo fece uscire dal camerino per poi chiudere la porta. Rimasero solo loro tre lì dentro.

- Mi sorprendi, Kurt – disse Will, con amarezza – Fuggi via come un ladro.

- Non sperare di fermarmi, Will – replicò Kurt, battagliero, riprendendo a radunare le sue cose.

- Cosa vorresti fare?

- Non si capisce? – fece con ovvietà il ragazzo.

- E non pensi a tutti noi? – reagì Schuester – Avresti il coraggio di lasciarci alla vendetta del Duca?

A quel colpo basso Kurt ebbe un momento di esitazione e si fermò, martoriandosi il labbro inferiore con i denti, provando un tremendo senso di vergogna.

- Sei riuscito a dirigere questo posto senza problemi per anni – disse con voce bassa – Riuscirai a gestire la situazione ugualmente. Non sono io che sorreggo questo posto; non sono il suo angelo custode e da questa sera in poi non sarò più nemmeno l’ “Angelo di Diamante”.

- Hai dunque intenzione di scappare via con Blaine?

- Sì – Kurt chiuse la valigia con un colpo secco.

- Dovresti evitare gesti avventati; ti avverto che il Duca farà uccidere Blaine.

- Cosa? – scattò il ragazzo, impallidendo e stringendo le dita attorno al manico della valigia fino a farsi sbiancare le nocche – No, non può farlo, non potrebbe.

- Non hai ancora capito che tipo è? E’ folle di gelosia e se non andrai da lui la sera della prima ha intenzione di farlo uccidere.

Will sperò, per un attimo, di averlo convinto ma, con sua grande costernazione, vide la paura sul volto di Kurt sparire per essere sostituita da un fuoco che non gli aveva mai visto negli occhi.

- Lui non ci fa paura – disse, le labbra stese in un sorriso da combattente.

- Ti consiglio di riflettere attentamente – tentò ancora Will.

- Ho riflettuto ed ho deciso – fu lesto a replicare Kurt.

Gettò lontano da sé la valigia che si aprì, spargendo sul pavimento il suo contenuto.

- Che significa? – si inalberò Schuester, sconvolto da quel gesto.

- Non ho più bisogno di te – urlò Kurt, il fuoco nel suo sguardo ancora più vivo – Per tutta la vita mi hai sempre fatto credere che volessi solo quello che gli altri erano disposti a pagare. Ma Blaine mi ama. Lui mi ama, lui… lui… mi ama. E questo vale più di ogni altra cosa. Ce ne andiamo via, lontano da te, lontano da Sebastian, lontano dal Moulin Rouge. Addio.

E, scansandolo, fece per aprire la porta e andarsene via per sempre. Ma qualcosa lo fermò, con la mano che a malapena sfiorava la maniglia: quella frase, l’ultimo disperato tentativo di Will di fermarlo.

- Stai morendo, Kurt.

Dopo il primo istante di sbigottimento, Kurt sentì una risata salirgli dal petto, una risata di sincero divertimento per quell’assurdità. Quanto si vedeva che Will era con l’acqua alla gola, visto che non riusciva nemmeno a ideare qualcosa di credibile per trattenerlo.

- Cos’è questa? Un’altra delle tue bugie? – chiese, ridacchiando crudelmente, voltandosi leggermente indietro.

- Vorrei tanto che lo fosse – disse Will, col cuore in gola.

A quella reazione, Kurt si voltò completamente verso di lui, iniziando ad innervosirsi sul serio.

- Cosa diavolo stai dicendo? – lo attaccò.

- E’ la verità – gli rispose amaramente l’uomo – Hai presente quei malori, quei mancamenti che ti prendono? Il dottore ci ha detto che si tratta di tubercolosi.

Speriamo sempre di non dover vivere quei momenti orribili in cui ci sentiamo crollare il mondo addosso e, quando ci piombano tra capo e collo, cerchiamo disperatamente un appiglio, qualcosa per sostenerci, tanta è la paura di sentirci completamente esposti ed indifesi.

Più o meno, era così che Kurt si sentiva. Una parte di lui non voleva credere alle parole di Will e un’altra si faceva largo nella sua testa, urlando a gran voce ciò che non voleva sentire. Il suo sguardo corse a Carole. Sì, Carole! Lei non gli aveva mai mentito… e non lo fece nemmeno quella volta.

Il mondo crollò nell’istante in cui vide le lacrime negli occhi della donna.

Poi non ci fu nulla se non dei rumori attutiti, un palcoscenico illuminato che si allontanava fino a sparire, l’immagine di Blaine di fronte a lui con la mano tesa che si faceva sempre più sfocata.

Sto morendo… Blaine… Io sto morendo.

Non sentiva più niente, di nuovo, e si preparò ad avvertire la fredda durezza del pavimento; invece ci fu il calore delle morbide braccia di Carole, il suo seno materno profumato di lavanda, che lo adagiò sulla sedia della sua specchiera. L’odore dei trucchi e la sua ombra nello specchio sembravano venire da un mondo remoto. L’unica cosa reale e vicina fu il cinguettio di Farinelli.

- Kurt – gli disse una voce lontana mentre un’ombra gli stringeva la mano – Kurt manda via Blaine; è inutile continuare a soffrire così.

Lui non mi lascerebbe mai. Non capì se le avesse dette o solo pensate quelle parole.

- Non se crede che tu non tieni a lui.

Cosa?

- Sei un bravissimo attore; fagli credere che lui non significa niente per te.

No, ti prego, no. Non chiedermi di fare questo. Lacrime bollenti iniziarono a scivolargli sulle guance gelide.

- Non c’è altro modo. Usa il tuo talento.

No. No.

- Fallo soffrire per salvargli la vita. Cerca di capire; lo spettacolo deve continuare.

Ma… io lo amo.

La mano fantasma liberò la sua e la voce si fece più amara e distante.

- Non tutti hanno il diritto di amare.

Non c’era più niente intorno a lui, solo il canto di Farinelli e i suoi pensieri dolorosi.

 

* * *

 

Se qualcuno dei clienti abituali del Moulin Rouge fosse entrato in quel luogo avrebbe pensato di aver sbagliato posto visto che del vecchio locale non era rimasto più niente: la sala da ballo era stata riempita interamente di poltroncine e sul palco pendeva un enorme sipario che gli dava un aspetto più imponente. E, in continuo movimento, tecnici, appaltatori, costumiste e ricamatrici che ultimavano i loro lavori.

Ormai era quasi tutto finito e questo, Will Schuester lo sapeva e non poteva lasciare che ogni cosa venisse spazzata via, non in quel momento. Un gruppetto allegro di ballerine e ballerini che gli passò davanti gli sbatté in faccia quella necessità.

“Abbandona i sentimenti e pensa alle cose più concrete” era solito dire a se stesso e agli altri ma dopo quanto aveva detto a Kurt, sentiva il forte desiderio di aver sempre avuto torto con quella frase, eppure non poteva permettere che la vita di tante persone venisse sacrificata per la felicità di uno solo. Era sbagliato tanto l’uno quanto l’altro ma non aveva scelta.

Il sole era ormai sorto quando vide una figura uscire dal palco e dirigersi verso l’uscita dove lo stava aspettando. Fasciato nei suoi abiti neri che lo facevano sembrare ancora più magro, le guance colorate da un velo di fondotinta per combattere il pallore, gli occhi rossi per le troppe lacrime, Kurt si fece largo in mezzo alle due file di poltrone, con l’andatura fiera di un condottiero.

- Ci hai pensato? – gli chiese Will, quando se lo trovò davanti.

- Sì, ho riflettuto – rispose Kurt, la voce vuota – E ho deciso. E’ come hai detto tu: lo spettacolo deve continuare; ed io, ormai, sono morto. Non ho il diritto di tenere legato a me chi è vivo – con un gesto vanitoso, si aggiustò il cilindro e avanzò verso la porta d’ingresso – Si va in scena – concluse lanciando un sorriso sghembo a Will.

Non era il suo vero volto; indossava di nuovo la sua maschera, stavolta in equilibrio precario. Sorrideva ed era spaventoso.

Kurt si diresse con passo spedito verso il palazzo dove abitava Blaine, aggirando tutti gli ostacoli che gli si paravano davanti e scavalcando quello scoglio interiore che cercava di fermare. Quando arrivò al palazzo ed iniziò a salire le scale, lasciò che i suoi occhi smettessero di vedere e un velo nero gli coprisse la vista e che il sangue gli rimbombasse nelle orecchie; non vedere e non sentire, forse, avrebbe facilitato il suo compito. Lo sperò con tutto se stesso fino alla fine ma quando aprì la porta della sua stanza e se lo vide davanti, sul balcone contro la tenue luce del mattino con il suo sorriso pieno d’aspettativa, il velo cadde e il sangue smise di scorrere.

Grazie a Dio, quel sorriso scomparve quando Blaine lo vide senza nessuna valigia e con l’aria stranita.

- Cos’è successo, Kurt? – chiese, temendo qualcosa di terribile.

- Io resto qui.

Kurt poteva vedere e sentire ma poteva anche parlare e le sue parole potevano aprire ciò che non avrebbe voluto sentire; quindi, parlò, veloce e lapidario come un colpo di fucile.

- Quando sono ritornato al Moulin Rouge, Sebastian è venuto da me e mi ha offerto tutto, tutto quello che ho sempre desiderato. Ad una sola condizione: non devo vederti mai più.

Le parole, però, non poterono impedirgli di vedere il mutare del viso di Blaine che passò da un’espressione preoccupata ad una di costernazione fino a ridursi ad un sorriso nervoso ed incredulo. Erano entrambi vulnerabili e senza difesa.

- Mi dispiace – si limitò ad aggiungere Kurt voltandosi per andarsene.

Blaine rimase spiazzato da quell’ondata di parole senza senso e, vedendo Kurt uscire, si mosse velocemente verso la porta, lo afferrò e lo riportò nella stanza.

- Cosa stai dicendo? – chiese costernato.

- Non ti ho mai promesso nulla – rispose il ragazzo – Sapevi fin dall’inizio chi ero.

- Ma che significa? E tutto quello che ci siamo detti? E i nostri piani – ormai Blaine era disperato.

- Non mi aspetto che tu capisca – esclamò Kurt, liberandosi dalla presa di Blaine e acquistando un po’ della sua vecchia energia – Sai qual è la differenza tra te e me? Il fatto che tu sei libero di andartene quando vuoi, niente ti trattiene. Ma il Moulin Rouge è la mia casa, la mia famiglia è qui. Non abbiamo altro da dire.

Disse quelle parole con una tale violenza e una tale velocità che si ritrovò subito senza fiato e il respiro gli divenne pesante. No, non un’altra crisi, non in quel momento! Voltò la testa per evitare che Blaine notasse un qualche cambiamento nella sua espressione ma il ragazzo sembrò non accorgersene perché gli parlò; non riuscì a sentire le sue parole piene di nervosismo, sapeva solo che doveva andarsene; non poteva lasciarsi andare proprio in quel momento. Quella debolezza poteva essergli fatale. Tentò di uscire da quella stanza ma due mani (le riconobbe subito) lo afferrarono e gli impedirono di scappare. E sentì contro il suo orecchio una richiesta rabbiosa.

- Dimmi la verità!

- Vuoi la verità? – a causa della crisi imminente la voce gli uscì come un sibilo crudele, perfetto per lo scopo che doveva ottenere – La verità è che io sono il Principe Indiano e ho scelto la Califfa. E’ così che finisce la storia.

Le mani che lo stringevano allentarono la presa e il viso di Blaine si fece bianco e senza emozione alcuna; Kurt ne approfittò e andò via, lasciando il ragazzo nella tempesta interiore che lo stava distruggendo.

Blaine non riuscì a pensare. Le uniche cose che gli rimbombavano nella testa erano alcune battute dello spettacolo; per esprimersi in quel frangente avrebbe potuto usare solo quelle. E le parole di Mike.

“La gelosia ti farà diventare pazzo”.

Allora era quella la gelosia? Quella rabbia, quel dolore. Quel desiderio di riavere con sé l’oggetto dei suoi desideri. Si accorse che lui non c’era più; se ne era andato, lo aveva lasciato solo. Per stare tra le braccia di quel duca. Lì, al Moulin Rouge. Blaine lo voleva con sé, ne aveva bisogno.

Fece tutte le rampe di scale a rotta di collo e si gettò in mezzo alla strada. Anche allora gli sembrò di correre sotto una pioggia scrosciante ma chi camminava per la medesima strada avrebbe detto, senza esitazione che c’era un bel sole. La tempesta era solo nella sua anima e nell’anima di Kurt, raggomitolato su se stesso; per lui le lacrime erano come gocce che scivolavano sul vetro della sua finestra.

Giunto al Moulin Rouge, Blaine lo chiamò urlando a squarciagola, tentò di entrare ma due degli operai che lavoravano nel locale lo allontanarono di peso; lui non si arrese e si dibatté disperatamente tra le braccia dei due uomini continuando a chiamare Kurt, ignorando il groppo che gli si stava formando in gola. Alla fine, uno degli operai fu costretto a dargli un pugno sulla mascella, bloccando la sua ennesima invocazione e stordendolo. Blaine si lasciò andare sul ciglio del marciapiede, sul punto di soffocare nel sapore ferroso del suo stesso sangue e le tempie che gli pulsavano dolorosamente e in pochi secondi perse conoscenza.

Quando si riprese, sotto di lui non c’erano più le dure e fredde mattonelle della strada ma il sottile materasso del suo letto. Pioveva anche lì dentro? No, quella sensazione di bagnato era causata da un panno umido che Rachel, il viso ancora coperto dal trucco di scena per le prove, gli stava premendo sul labbro. Roteando gli occhi per la stanza, Blaine vide che erano presente anche gli altri ragazzi, anche loro acconciati per le ultime prove, che lo fissavano con sguardi desolati. Gli parlarono ma non li sentì e, ad un certo punto, smise anche di vederli, piantando gli occhi sul soffitto cadente.

Capendo che era impossibile continuare a parlargli e convinti che fosse meglio lasciarlo solo, uscirono tutti meno Finn che gli si avvicinò il più possibile per farsi sentire.

- Blaine – iniziò – Non devi buttarti giù così; di sicuro non è come può sembrare.

Invece è esattamente come sembra.

- Posso anche sembrare un ragazzo poco sveglio, ma non sono uno stupido. Certe cose riesco a capirle, come può sentirle un artista. Lui ti ama, ne sono certo.

Mi ama? Non me lo ha mai nemmeno detto.

- Non saltare a conclusioni affrettate. Vai da lui e parlagli; vedrai che poi tutto si sistemerà.

Finn, sei tanto buono. Ma adesso, per favore, lasciami da solo. Va’ via.

Finn non si mosse.

Va’ via.

Finn lo guardò con occhi delusi.

- Va’ via! – scattò Blaine, con un forte urlo che convinse il ragazzo ad uscire, lasciandolo finalmente da solo. Con la tempesta che continuava dentro di lui.

 

Le parole di Finn avevano instillato in me il dubbio, lasciandomi con molti interrogativi. Ma, in mezzo a tutto, rimaneva imperterrito il pensiero che andava sempre e solo a Kurt, che adesso mi stava uccidendo lentamente. C’era solo un modo per liberarmi di quella che era diventata una piaga aperta nel mio petto: presi gli ultimi soldi che mi erano rimasti e tornai al Moulin Rouge… per l’ultima volta.   

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Capitolo 12
*** Io ti amo ***


Io ti amo

 

Quella sera il Moulin Rouge non era più un locale notturno, non solo per il fatto che quella che era stata la sala da ballo era piena di poltroncine occupate né per il palco più grande e coperto da un pesante drappo cremisi, ma per la presenza di signore altolocate, mai viste lì nei tempi dei piaceri. Un gran bel salto di qualità, se così poteva essere definito.

Quando il sipario si alzò, agli occhi degli spettatori si presentò uno degli scenari più belli che si fosse mai visto, con quell’enorme palazzo indiano in legno che doveva sembrare di pietra bianca, le scale che quasi non si vedevano in mezzo a quella folla di ballerini e cantanti agghindati e truccati come gli esotici abitanti dell’Oriente; qualcosa di più lo avevano i personaggi principali, così poteva subito saltare all’occhio la Califfa con i suoi ricchi abiti e il suo stregone completamente avvolto in un lungo manto nero, mentre il Suonatore di sitar squattrinato si distingueva per il trucco accennato e per gli abiti semplici. Per il Sitar magico non occorreva molto: il suo ingombrante costume, unito alla stazza dell’attore, lo facevano sembrare un violoncello con le braccia. Ma il pezzo forte dello spettacolo fu il Principe Indiano.

Era per lui che molti erano in quel neo-teatro; non per il Principe ma per l’ “Angelo” vestito di diamanti, etereo e di un altro mondo in quelle luci multicolori e con la sua voce che stregava chiunque lo ascoltasse. Erano talmente presi che nessuno si accorse del suo breve silenzio quando un secco colpo di tosse lo bloccò; a lui potevano perdonare un piccolo “errore”.

Su quel palco sfilò l’intero girotondo di vicende narrate: l’invasione della Califfa, l’inganno del Principe Indiano e il suo incontro col Suonatore di sitar squattrinato e il conseguente amore tra i due. Non furono poche le esclamazioni di indignazione di fronte ad un simile argomento ma il modo di recitare degli attori, la voce delle cantanti quasi impediva loro di lasciare la sala scandalizzati.

Il primo atto volò via in un soffio e così anche il secondo che si concluse con la separazione dei due amanti e la battuta finale della Califfa che, cingendo il Principe inginocchiato ai suoi piedi come un condannato a morte, disse: “Lui è mio”.

Le stesse parole si sentirono della prima fila, uscire dalla bocca del Duca Sebastian Smythe. 

 

* * *

 

Blaine non vide né il primo né il secondo atto: entrò dal retro del Moulin Rouge proprio mentre il pubblico applaudiva; gli bastò quello per capire la situazione tempistica e il suo intento era quello di trovare Kurt. Se fu “contento” di aver scritto lo spettacolo, in quel momento, non fu per la soddisfazione di aver creato un’opera apprezzata proprio quella serata ma per il fatto di conoscere a memoria ogni punto di quella storia; quindi, sapeva come gestirsi.

Il suo secondo intento era quello di non farsi notare e, come se fosse stato un segno del destino, vide Mike piegato scompostamente contro una parete: il poveretto era stato colpito da un altro dei suoi attacchi di narcolessia. Senza pensarci troppo, Blaine gli tolse la casacca bianca che indossava per lo spettacolo e se la infilò, incassando la testa tra le spalle per evitare di essere riconosciuto; camuffatosi, si diresse lì dove sapeva che si trovava il camerino di Kurt, inconsapevole del fatto che qualcuno lo avesse visto.

Nick, il segretario personale di Sebastian, pensò bene di andare ad avvisare Schuester visto che già aveva capito dove fosse diretto Blaine e fosse sicuro di ritrovarlo, all’occorrenza, nel caso probabile in cui avesse dovuto agire.

Schuester, vestito da guardia, si trovava nelle quinte a supervisionare l’andamento dello spettacolo; lo prese rudemente per un braccio con fare minaccioso.

- Il ragazzo è qui – gli disse Nick.

- E’… è impossibile – balbettò Will, impallidendo sotto il trucco di scena.

- Vi avverto, se state cercando di imbrogliare il signor duca…

- No, no, posso assicurarvi che non c’è nessun imbroglio. Ho detto chiaro e tondo a Kurt che, se non lo avesse lasciato, Blaine sarebbe stato ucciso.

- E vi assicuro che lo sarà molto presto – concluse Nick lasciandolo e andandosene.

Ma quella conversazione era stata ascoltata da una terza persona: Finn, imbacuccato nel suo ingombrante abito di scena, arrampicatosi su una delle passerelle degli addetti alle luci per vedere meglio Rachel impegnata nel suo ruolo, molto apprezzato dal pubblico.

In un primo momento non vi aveva prestato molta attenzione ma quando sentì nominati Kurt e Blaine si fece più attento e da quelle poche parole ricavò la soluzione a quella triste faccenda ancora viva nel suo ricordo. Blaine ucciso? Allora era per questo che Kurt lo aveva respinto; per salvarlo.

Doveva avvertirlo, subito. Peccato solo che su quelle passerelle non sapesse proprio come muoversi, costume a parte. Ma doveva fare subito qualcosa prima che le cose si complicassero ulteriormente.

Intanto, mentre questi due lati della vicenda si incatenavano, il filo principale delle storia raggiungeva il punto centrale.

Quando Blaine varcò la porta del camerino di Kurt, vide quest’ultimo già pronto per l’ultimo atto, con il viso bianchissimo (“sicuramente per il cerone” pensò il ragazzo), seduto pesantemente su una sedia con Carole accanto che lo aiutava a prendere alcune gocce da una fiala d’argento vecchio. Quando Kurt si accorse della sua presenza saltò in piedi e lo fissò con occhi sbarrati, il petto che si muoveva freneticamente e con difficoltà.

- Che cosa ci fai qui? – gli chiese, allarmato e con voce bassa e strozzata.

- Sono venuto a pagare il conto – rispose Blaine, con rabbia mal contenuta.

Ricomponendosi, Kurt distolse lo sguardo da lui, passandosi una mano tra i capelli per sistemarli.

- Non dovresti essere qui – disse cercando di mantenere un tono distaccato – Vattene – concluse semplicemente, scansandolo ed uscendo dal camerino.

Quel gesto sprezzante ebbe l’unico effetto di far esplodere la rabbia di Blaine che, sotto gli occhi sconvolti di Carole, lo seguì fuori dal camerino e lo afferrò violentemente per un braccio proprio mentre stava svoltando un angolo per raggiungere il palcoscenico.

- Mi hai fatto credere di essere importante per te. Perché non dovrei pagarti? – gli soffiò crudelmente in faccia con tutta la rabbia e il disgusto che lo stava animando.

Colpito da quelle parole, Kurt si liberò dalla sua presa e cercò di sfuggirgli. La sua  maschera stava per crollare di nuovo e solo il pensiero di un proiettile che aspettava un’occasione come quella per piantarsi nel petto di Blaine gli dava la forza di resistere. Ma anche il ragazzo dietro di lui era animato da una forza grande quanto la sua e altrettanto dolorosa.

Sentendosi perduto, Kurt iniziò a girare per gli stretti corridoi fino a trovarsi tra i soppalchi e le travi della scenografia, sperando che Blaine si perdesse lì in mezzo o che lasciasse perdere quell’inutile inseguimento ma era sempre dietro di lui.

- Sei stato veramente bravo, sai – continuava a dirgli, rabbiosamente – Ti ho creduto veramente.

- Blaine vattene – continuava a ripetergli Kurt, il respiro sempre più pesante e la testa che iniziava a girargli pericolosamente.

- Perché non posso pagarti come tutti gli altri? E’ così che si fa con quelli come te – gli ringhiò contro Blaine.

- No, ti prego – fece Kurt, ormai allo stremo – Blaine… va’ via… subito… ti prego…

La pietà che gli causarono quelle parole strozzate non fecero che aumentare la sua rabbia che, però, iniziò a rivoltarsi contro di lui, mostrandogli quello che stava facendo come riflesso in uno specchio e per zittire quei rimorsi rincarò la dose delle sue parole che acquistarono un tono lamentoso e un desiderio di finirla subito.

Kurt, di rimando, non ce la faceva più ed era sul punto di arrendersi definitivamente quando vide un bagliore proprio davanti a loro, spuntare da dietro un pannello di legno, una rivoltella seguita da uno sguardo di ghiaccio. Quell’immagine bastò a ridargli un ultimo disperato accenno di forza.

- Ti prego, vattene via subito! – urlò a Blaine, voltandosi verso di lui e spingendolo via.

- No, fammi pagare! – reagì il ragazzo afferrandolo per le braccia e spingendolo contro una rientranza tra alcuni dei pannelli – Fammi pagare e dimmi che non era vero niente!

E in un secondo furono invasi da una luce fortissima, proprio mentre Nick stava per puntare la rivoltella contro di loro.

Due assi di legno si erano aperte, trascinando Kurt e Blaine nella finzione dello spettacolo sotto lo sguardo curioso del pubblico e quello sconvolto di tutte le persone presenti in scena, anzi dell’intero cast.

Quell’inaspettata entrata in scena non sfuggì nemmeno a Sebastian che si irrigidì sulla sua poltroncina.

Per qualche secondo ci fu solo un fastidioso silenzio che nessuno sul palco sapeva come interrompere; ma Rachel, con la sua innata presenza di spirito, riprese in mano la situazione.

- Ha, ha! – rise a pieni polmoni, rivolgendosi al pubblico in maniera teatrale – Io non mi lascio imbrogliare; anche se si è messo una maschera e usa un travestimento, i miei occhi non mi ingannano. Perché è lui: il Suonatore di sitar squattrinato.

A quel colpo di genio, dal pubblico si sollevarono esclamazioni di sorpresa e qualche risatina mentre sul palco, tra gli attori, la calma sembrava ben lontana dall’essere tornata dato che nessuno ebbe il coraggio di muoversi o di dire qualcosa; solo Blaine sembrò contento dell’uscita di Rachel.

Volevano lo spettacolo? Bene, lo avrebbero avuto. Avrebbe concluso quella storia come tutti volevano; come Kurt voleva.

Trascinò Kurt, stringendolo per il polso, fino al centro del palco dove lo lasciò cadere violentemente, piegato in due dall’affanno che lo aveva preso accompagnato dalla consapevolezza di essere sotto lo sguardo di tante persone.

- Questo ragazzo è vostro adesso – riecheggiò la voce di Blaine nel silenzio della sala; tirò fuori i soldi dalla tasca interna della sua giacca – Ho pagato il mio prostituto – ringhiò, lanciando le banconote in faccia a Kurt, tra lo sconvolgimento del pubblico e degli attori e di Finn, ancora sulla passerella tra i tendaggi superiori del sipario, che fissavano costernati quel dramma che si stava consumando lì senza poter fare nulla per impedirlo – Non ti devo niente e non sei più niente per me. Grazie per avermi guarito dalla mia ridicola ossessione per l’amore – concluse, la voce che divenne poco a poco sempre più flebile fino a ridursi ad un singhiozzo strozzato.

Aveva fatto ciò che doveva fare, eppure non si sentiva meglio, non provava sollievo anzi, si sentiva peggio di prima. Non riusciva nemmeno a vedere in modo nitido. Quando aveva iniziato a piangere? Non se ne era nemmeno reso conto. Forse fu un bene: non vide che le stesse lacrime stavano inondando gli occhi di Kurt. Comunque Blaine aveva “recitato la sua parte”; non gli restava che uscire di scena.

Scese dal palco cercando di mantenere un’aria indifferente ma lasciando trasparire ciò che veramente provava nella rigidezza dei suoi movimenti, ignorando Rachel, Puck, Sam e tutti gli altri che lo guardavano con rammarico, senza voltarsi indietro per vedere Kurt, scosso dai singhiozzi, che allungava una mano sulle assi del palco nella sua direzione sperando di fermarlo con quel solo gesto.

Intanto Finn si torturava il labbro inferiore nel tentativo di ricordarsi quella battuta che continuava a sfuggirgli e che, ne era sicuro, avrebbe potuto risolvere quella situazione.

Era sceso da quel palco; adesso doveva solo uscire da quel posto maledetto, dove era nato tutto, in mezzo a quelle due mura di spettatori che continuavano a fissarlo incuriositi. Nella prima fila incrociò lo sguardo vittorioso del Duca Sebastian; aveva vinto lui, ma non aveva vinto niente, solo un pezzo di carne senza anima… no, basta! Da quel preciso momento avrebbe smesso di pensare a lui; niente più “Angelo di Diamante”, niente più “Principe Indiano”… niente più Kurt. Si lasciò scivolare di dosso la casacca del Suonatore di sitar e si diresse verso l’uscita, con passo pesante.

- Quel suonatore di sitar non ti ama – declamò Rachel, riprendendosi, cercando di non mostrare incertezza nelle sue parole – Hai visto? Lascia il regno. Guardie, aiutate il mio principe a rialzarsi.

Subito, Will emerse dal gruppo delle guardie inginocchiandosi accanto a Kurt e aiutandolo a rialzarsi.

- Kurt, è meglio così, credimi – gli sussurrò – Ricorda: lo spettacolo deve continuare.

- No… no… - mormorò Kurt, la voce affogata dalle lacrime.

A malincuore Will condusse Kurt accanto a Rachel che continuò a recitare.

- Ed ora, mio diletto sposo, innalza la tua voce al cielo e canta la nostra felicità.

Ma dalla gola di Kurt non uscì niente; solo un urlo proveniente dall’altro si sentì.

- Sì, me la ricordo! Blaine! “La cosa più grande che tu possa imparare è amare e lasciarti amare”.

Quella frase piovve inaspettata sulla testa degli attori e per Kurt fu come una pioggia benefica. Con una decisione composta, lenta e quieta, lasciò la mano di Rachel e si voltò verso la platea; lì, nel buio della sala si sentivano ancora i lenti passi di Blaine. Avrebbe dovuto concludere lo spettacolo con la parte finale rimaneggiata per compiacere Sebastian ma non poté, non ci riuscì; non era così che doveva finire la storia. Adesso lo aveva capito.

Avanzò, Rachel che lo fissava stupita, Mercedes e le ragazze che cercarono di fare scena inchinandosi ai suoi piedi senza perderlo d’occhio, Dave e Becky sui gradini del “tempio” con le mani atteggiate in un gesto benedicente, Will che non osò muoversi. Nella prima fila Sebastian si irrigidì nuovamente.

Ma per Kurt non esisteva più niente se non quei passi che si facevano sempre più deboli. Fu a loro che si rivolse.  

 

Aspetta. Fermati solo un momento e permettimi di parlarti; sarai libero di andartene quando avrò finito, se vorrai.

Scusami. Voglio iniziare così. Scusami se ti ho allontanato, se non sono ritornato in quel posto che solo noi conosciamo e che solo a noi apparteneva; se l’ho fatto avevo le mie buone ragioni ma che, adesso, non hanno più importanza.

Tu hai sofferto tanto ma credi, forse, che io non abbia sofferto allo stesso modo? Ci sono dei momenti in cui il carnefice soffre più della sua vittima ed è quest’ultima a causarne il dolore colpendolo a sua volta a morte. Quante volte ti ho colpito io? Quando ti ho rifiutato e non ho più incrociato i miei occhi con i tuoi. Quanti sono stati i tuoi colpi? Ogni volta che hai urlato il mio nome, che mi hai chiamato, equivale ad un colpo.

Non voglio più questo. Non voglio continuare a soffrire, facendoti soffrire. 

Forse non ho diritto di cercarti, io adesso, ma vorresti rifiutarmi questa grazia?

Ti prego, fermati! Non andare. Ecco, così, rallenta i tuoi passi.

Dovrei dirti tante cose ma adesso mi sembra tutto senza importanza. Tutto si riduce ad una sola cosa.

Avevo paura e non ho voluto dirtelo perché non volevo rischiare di soffrire ancora come ho già sofferto ma non è questo che voglio; quello che voglio è qui, con te.

Io ti amo.

Blaine, mio scrittore troppo sentimentale, mio suonatore di sitar squattrinato, Blaine.

Ti amo, non per sempre, ma in questo istante e in tutti quelli che passerò con te.

Basta.

Se vuoi, adesso puoi andartene.

Basta.

Fammi solo capire che mi hai ascoltato.

Basta. Non voglio sentire altro… solo quelle parole. Ti prego, ripetile.

Ti amo.

Ancora.

Ti amo.

Ancora.

Ti amo.

E’ questa la nostra canzone.

Siamo noi, due e uno.

E’ tutto passato?

Per me sì. Per te?

Adesso che ti stringo, adesso che ti bacio, dimentico il dolore e la tristezza.

E’ questa la felicità? Sentirsi liberi. Voglio urlarlo. Ti amo.

Ti amo e ti amerò fino al mio ultimo giorno di vita.

 

Quando Kurt e Blaine, stretti, insieme sul palco, gli occhi lucidi di lacrime e le guance arrossate per lo sforzo che entrambi avevano fatto per parlarsi ai due lati opposti della sala, tremanti per l’emozione, ebbero finito di aprirsi il cuore a vicenda (non avevano recitato, questo lo avevano capito tutti, tranne il pubblico) le persone sedute iniziarono ad applaudire, alcune sinceramente commosse, altre con una leggera titubanza per quell’eccessiva dichiarazione. Ma gli applausi ci furono.

Invece Sebastian, livido di rabbia e con i denti serrati, non perse tempo a fissare i due giovani sul palco, ma fece cenno a Nick, che aveva guadagnato posizione nella seconda quinta di destra e che, a quel via libera, puntò la rivoltella in direzione di Blaine e Kurt.

- O mio Dio! State attenti!

Il secondo urlo di Finn fu seguito da uno schianto, una pioggia di pezzi di legno che mancò di poco alcuni ballerini in scena, e dallo stesso Finn che volteggiò in alto, appeso per una corda, urlante, finendo nella seconda quinta per poi ricomparire, più basso, da dove era uscito trascinandosi dietro Nick che ruzzolò sul palco con l’attore imbacuccato nel suo costume; la rivoltella scivolò in mezzo alle ragazze, terrorizzandole.

- Vogliono ucciderti! – gridò nuovamente, agitatissimo, Finn rimettendosi goffamente in piedi.

- Non era questa la battuta! – sbottò Rachel, coprendosi subito la bocca, essendosi accorta della gaffe appena fatta; ma il pubblico non le diede peso e iniziò a ridere, sinceramente divertito da quel nuovo colpo di scena.

- Attenti! Ha una pistola – continuò Finn, indicando Nick che arrancava per riprendere la rivoltella.

- Guardie! Prendeteli! – declamò Rachel, senza controllare la lingua e sbracciandosi in maniera esasperata.

- Vive la via de bohéme! – saltò su Puck agitando il suo bastone da stregone e colpendo una delle luminarie della scena e facendo saltare anche le altre.

In quel caos di luci che saltavano e di ballerine e ballerini che si agitavano e correvano di qua e di là, Nick si rialzò e si fece largo tra la folla, cercando di afferrare la sua rivoltella che veniva spinta via da ogni piede che aveva la fortuna di camminarci sopra. Ma ecco che, finalmente, riuscì a raggiungerla, si chinò per prenderla… quando un pugno di Tina lo raggiunse alla nuca, facendolo ruzzolare sulle assi del palco. Intontito dal colpo, Nick quasi non si accorse del calcio di Quinn che gli arrivò sulla mascella e lo fece rotolare all’indietro.

Dolorante, si rialzò ma una gomitata di Brittany nello stomaco ed una di Santana nella schiena, nello stesso momento, lo fece piegare in due favorendo il calcio nel fondoschiena infertogli da Mercedes che lo fece cadere nuovamente ma, stavolta, non poté rialzarsi visto che Lauren, con la sua stazza non indifferente, si gettò su di lui, rialzandosi subito lasciandolo quasi irrigidito.

Nella baraonda generale, Nick ritrovò la forza bastante per alzarsi e, per suo fortuna, durante quegli sballottamenti di cui era stato vittima si era anche ritrovato con la rivoltella in mano. Si rimise in piedi e vide davanti a sé Kurt e Blaine; puntò la rivoltella e…

Le porte in legno che formavano la struttura del “Tempio Indiano” si aprirono con violenza, scaraventandolo dall’altro lato del palco.

- Nessun problema! – esclamò Mike, in maniche di camicia, entrando dalle porte – Sono qui, possiamo continuare.

Continuare? Benissimo. Lo spettacolo sarebbe continuato… come volevano loro.

Finn attaccò con l’inizio della canzone finale dello spettacolo originale, seguito a ruota da Mercedes e le ragazze, da Mike e Puck e poi da tutte le ballerine e i ballerini. Portandosi al centro della scena, le mani unite, anche Kurt e Blaine si unirono al coro di voci.

Ma anche gli altri vollero la loro parte in quel finale. Rachel si liberò del turbante e delle pesanti vesti da califfa e si affiancò a Finn e Sam saltò dalla postazione dell’orchestra, agitando la sua bacchetta da direttore. E anche Dave e Becky scesero dalla loro postazione e si unirono al gruppo e non solo; al ragazzo non sfuggì Nick, ancora armato di rivoltella che si dirigeva verso un punto migliore dove colpire, quindi gli lanciò tra le gambe il suo scettro da divinità, facendolo precipitare giù dal palco. Ma, con un’ostinazione fastidiosa, fece nuovamente capolino, intontito e pesto, la rivoltella ancora in mano. Sinceramente stufata, Becky si sfilò un sandalo e glielo lanciò contro, colpendolo in mezzo agli occhi e atterrandolo definitivamente.

La rivoltella sfuggì di mano a Nick e finì proprio ai piedi di Sebastian che stava affogando nella sua stessa rabbia. Non appena vide l’arma, la afferrò con un unico pensiero in testa.

“Come voglio io. Lo spettacolo deve finire come voglio io.”

Si lanciò come una furia contro il palco, la rivoltella in mano ma, prima che potesse accorgersene, un pugno di Will Schuester gli arrivò dritto in faccia e lo fece precipitare in mezzo ai due schieramenti di poltrone dove il pubblico applaudiva entusiasta a quella performance finale, mentre il cast si diradava ai lati lasciando la scena al Principe Indiano e al suo Suonatore di sitar.

Sebastian aveva perso ma la sconfitta non gli avrebbe tolto una cosa importante: la dignità. Ignorando gli sguardi di alcune persone, si rimise in piedi sistemandosi la giacca e pulendosi l’angolo della bocca insanguinata con un gesto elegante. Si voltò e, a testa alta e con portamento fiero, uscì dal teatro senza voltarsi indietro.

Intanto la canzone dei due amanti terminò e il sipario calò su di loro, mentre il pubblico continuava ad applaudire.

Gli applausi si estesero anche sul palco, dove la gioia e la soddisfazione erano esplosi con fragore nella folla esultante di attori che si abbracciavano e urlavano di entusiasmo. E, in mezzo a loro c’erano Kurt e Blaine, stretti l’uno all’altro, la tristezza di qualche minuto fa spazzata via, felici.

- Kurt – riuscì semplicemente a dire Blaine, sorridendogli e baciandolo – Comunque vada.

- Comunque vada – mormorò Kurt, sorridendogli e baciandolo a sua volta, la voce un po’ più bassa e affaticata.

- Tenetevi pronti per i saluti finali – annunciò un tecnico.

Tutti si disposero, pronti a prendersi i loro applausi. Il sipario iniziò ad aprirsi e Blaine avanzò, assieme agli altri, continuando a tenere per mano Kurt; ma quest’ultimo non si mosse.

Quando Blaine si voltò verso di lui, lo vide pallido, la bocca spalancata come se non riuscisse…

 

Perdonatemi, non ce la faccio a continuare.

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Capitolo 13
*** Eternità ***


Eternità

 

Tempo, fermati un istante, solo uno; giusto il tempo di ricordare com’era non in quel momento. No, non quello! Non ce la faccio a vederlo così pallido e tremante. Voglio ricordarlo come era quando lo vidi la prima volta, quando le sue guance avevano ancora quel tenue colore rosato, quando facevamo l’amore credendo di avere una vita intera davanti. Ma è tutto così mutevole. Ora è l’ “Angelo di Diamante” che scende dalla sua altalena da acrobata del Moulin Rouge, ora è Kurt stretto tra le mie braccia, nel nostro letto, ora è Kurt stretto tra le mie braccia sulle assi di un palco, senza più respiro e freddo come il ghiaccio e un rivolo di sangue sulla sua bocca sorridente.

Sei volato via, angelo mio.

 

Vide come se ogni cosa fosse ovattata e rallentata dall’acqua: Kurt che scivola per terra, avvinghiato alla sua mano, la bocca spalancata alla disperata ricerca di aria; poi un colpo di tosse e uno zampillo di sangue. E gli altri sembravano non accorgersi di nulla.

Avrebbe voluto urlare ma non riusciva ad emettere alcun suono e riuscì a muoversi un istante prima che il corpo di Kurt urtasse le assi.

Kurt. Che cos’hai? Dimmi che ti sta succedendo.

Non poteva rispondere, se non con singulti e versi strozzati; solo i suoi occhi sembravano gridare “aiuto”.

Anche gli altri, in quel momento, si accorsero di quanto stava accadendo e si avvicinarono allarmati; tra la folla si fece largo anche Carole. In mezzo ai mormori dei presenti si poté distinguere solo Schuester che ordinava di tenere chiuso il sipario e di cercare un dottore.

 

Tranquillo Kurt, stanno chiamando un dottore. Stai tranquillo.

Non ho bisogno di un dottore. E’ inutile.

Ma cosa dici? Adesso verrà un dottore, ti porterà in ospedale e lì ti cureranno.

No, Blaine. E’ inutile. Sto morendo.

No, non stai morendo. Non stai morendo.

Blaine. Ho la tubercolosi. Io sto morendo.

No, Kurt, ti prego.

Perdonami per non avertelo detto.

Ti prego Kurt, smettila. Adesso viene il dottore; guarirai, lo so. Tu sei forte.

Non baciarmi. Sono contagioso; rischi di infettarti.

Non mi importa.

No, Blaine. Non farlo.

Ecco, ti ho baciato. Mi sono infettato e posso continuare a baciarti, non mi importa più di nulla.

Sei un idiota, Blaine. Nella mia bocca c’è solo il sangue e la malattia.

Questo non è sangue; è la foga che abbiamo messo nei nostri primi baci e l’unica malattia è quello che provo per te.

Devi lasciarmi andare.

Io ti amo.

Anch’io ti amo.

Resta con me. Non mi lasciare.

Scrivi di noi… scrivi la nostra storia… così sarò sempre con te.

Resteremo insieme sempre, sempre. Ti cureremo, mi prenderò cura di te. Realizzeremo tutti i nostri sogni, insieme. Per sempre insieme.

Tutte le parole che non ti ho detto… tutto quello che avresti voluto dirmi… Il nostro sogno… La nostra vita… Comunque vada… Ricordi?

No… No…

Promettimelo.

Ti amo. Ti amo. Ti amo.

Ho freddo. Stringimi; dammi un po’ di calore.

Ti amo. Ti amo.

Non riesco a respirare; il sangue mi soffoca.

Ti amo.

Tienimi ancora un po’ con te. Amore.

Sono qui, con te; non ti lascerò. Li senti? Stanno tutti piangendo; e a me fanno solo ridere. Perché lo fanno? Tu sei ancora qui; adesso verrà il dottore e ti guarirà. Non devono piangere, vero? Vero Kurt? Perché non mi dici nulla? Hai tanto male. Non farmi spaventare, dimmi qualcosa, qualsiasi cosa; intona anche solo una nota. Hai una voce così bella, falla sentire a tutti. Ti ricordi cosa ti dicevo quando facevamo l’amore? Che riesci ad arricciare le corde del mio cuore quando canti. Dai, fammi sentire ancora come canti. Solo una canzone. No, hai ragione: non devi sforzarti se stai male. Scusami ma mi sono spaventato. Sei così freddo. Vuoi che ti stringa ancora? Non voglio farti male. Per favore, portatemi una coperta per Kurt. Perché state lì, fermi, a piangere? Vi ho chiesto una coperta; Kurt ha freddo. Per favore. Non lo posso lasciare, altrimenti andrei a prendergliela io. Ma lui ha bisogno di me. Tranquillo, sono qui, non ti lascio. Ma perché non mi parli? Dimmi qualcosa, ti prego. Ti prego. I tuoi occhi sono così vuoti e sei così freddo. No, non lo toccate! Non me lo portate via! Devo stare con lui. Io sono suo e lui è mio. Io lo amo e lui mi ama, me lo ha detto, lo avete sentito tutti. Lasciatelo stare, lui resta qui con me. Kurt, tranquillo, io sono qui. Non ti lascio. Amore. Portami con te.

 

Quanto tempo è passato da quel momento? Giorni, settimane, mesi, non lo so. Ma un giorno come gli altri mi sono seduto alla mia macchina da scrivere e ho raccontato questa storia. La nostra. E quella di tanti altri.

Il Duca ottenne la sua vendetta. Impugnò il contratto e fece sgombrare il Moulin Rouge di tutti i suoi abitanti per poi abbandonarlo al tempo e alla sua crudeltà. Mi dissero, poi, che quando venne a conoscenza della morte di Kurt, due lacrime gli solcarono il viso; non provai pena per lui ma, adesso, penso di averlo compreso: anche lui, a modo suo, aveva amato.

Delle persone che avevano composto la corte del più famoso locale notturno dell’intera Europa, non rimase più nessuno. Da soli o in gruppetti volarono via come foglie al vento per finire chi al suo paese d’origine, chi in una stradina buia della città, chi alla ricerca di un nuovo posto dove stare. Tra i miei più grandi rimpianti ci sarà sempre quello di essermi chiuso qui dentro, ignorando i richiami e la consolazione degli unici amici che avevo e che, alla fine, sono andati via. Dovunque siano Finn, Rachel, Puck, Mike e Sam e tutte le altre splendide persone che ho conosciuto, spero che abbiano trovato il loro posto nel mondo e che siano felici e, se un giorno leggeranno queste mie parole, chiedo loro perdono per non aver riconosciuto anche il loro dolore in quanto accaduto.

Ed io?

Io sono rimasto qui, dove posso ancora sentire la tua presenza. Qui, dove ti ho visto la prima volta, dove ho potuto conoscerti, imparare ad amarti, vedere chi si nascondeva sotto la maschera dell’angelo perverso ricoperto di diamanti. Qui, dove abbiamo fatto l’amore per la prima volta, dove ci siamo feriti a vicenda. Qui, dove il mondo ha visto quanta forza avevamo insieme.

Ho aspettato, come una possibile liberazione, quel mal sottile che ti ha strappato a me; l’avrei accettato come il modo per poterti riabbracciare. Non è venuto; i sintomi non si sono presentati e sono rimasto qui. Invece, sei venuto tu da me, a chiedermi di ricordare quella promessa.

E adesso ho capito.

Siamo di nuovo insieme, non perché io sono morto e ti ho raggiunto; perché tu sei di nuovo vivo, attraverso la nostra storia, la nostra canzone. Sei rinato da queste lettere d’inchiostro e sei con me nei giorni in cui mi riaffaccio alla vita e nelle notti in cui sogno i tuoi occhi e il tuo sorriso.

Non morirai più ed io resterò vivo assieme a te. Fino a quando ogni cosa materiale e immateriale cesserà di esistere e anche oltre.

Noi due. Non più Principe Indiano e Suonatore di sitar squattrinato. Né Angelo di Diamante e giovane scrittore sentimentale. Né Kurt e Blaine. Solo noi due. E l’amore nostro; l’amore che durerà per sempre.

 

Stendendo le braccia irrigidite e schioccando le dita, Blaine si alzò dal tavolino. Era stanchissimo ma si sentiva felice, come non si era più sentito in quegli ultimi mesi. Il suo cuore era più leggero e il suo senso di solitudine sembrava essere stato dissipato.

Desideroso di far entrare un po’ di luce si diresse al balcone e lo spalancò, respirando a pieni polmoni la fresca aria del mattino. Il sole era bellissimo quel giorno. Luminoso come i suoi occhi, come il suo sorriso. Perché erano i suoi occhi e il suo sorriso, lì nel cielo.

- Buongiorno Farinelli – disse Blaine al canarino nella sua gabbietta appesa al muro esterno.

L’uccellino gli rispose con un allegro trillo.

 

 

 

Fine

 

 

 

Nota dell’autore:

Ed ecco che ho terminato questa seconda long. All’inizio era solo un’idea che, pensavo, avrebbe fatto la muffa nel mio cervello ma poi, su preghiera delle ragazze del gruppo di “You’re killing me now”, ho deciso di iniziarla.

E quella che era nata come una long-fic, è diventata una specie di lettera dove ho scritto tutto quello che provavo in certi momenti. Preferisco non aggiungere altro.

Nel congedarmi, ringrazio tutte le carissime persone che hanno letto questo mio obbrobrio, chi ne ha recensito i capitoli, chi l’ha inserita tra le preferite, tra le ricordate e tra le seguite. Non sapete quanto mi faccia piacere tutto ciò.

Che altro posso dire? Non sono bravo con i saluti ed altro. Vi ringrazio ancora di tutto cuore : D

E vi avviso che presto posterò una OS su una coppia da me inventata (e che, credo, mi farà odiare da tre quarti del fandom) e sto lavorando su una mini-long Quinn-centric sul… Titanic (niente a che vedere con Cameron, sia chiaro). E c’è poi quest’altra OS che ho postato la settimana scorsa, spero vi possa interessare: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1128132&i=1

Per tutti gli aggiornamenti ed eventuali curiosità, questo è il link della mia pagina facebook: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

Ciaoooo a tutti. Alla prossima.

 

Lusio

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