Waving Flag

di laNill
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Estrazioni ***
Capitolo 2: *** Parole di troppo ***
Capitolo 3: *** Questione d'orgoglio ***
Capitolo 4: *** Volontà di vittoria ***



Capitolo 1
*** Estrazioni ***


Estrazioni
 

Il giorno in cui ci furono le estrazioni, ogni Nazione si trovava affianco al proprio allenatore, colui che li avrebbe portati alla Vittoria, a qualunque costo.
Ognuno di loro, dal primo all’ultimo, sapeva che quella non era un semplice torneo di calcio.
No. Lì c’era in gioco la loro supremazia in quanto forza e prestazione fisica unitamente a capacità tattiche e di movimento.
La Spagna era il precedente campione indiscusso dell’ultimo Campionato Europeo e anche dell'ultimo Mondiale, ed era colui che pareva essere il più tranquillo di tutti, in quella sala.
Un sorriso raggiante gli illuminava gli occhi verdi, dondolandosi appena sulla propria sedia affianco al proprio Allenatore; un sorriso che pareva far innervosire ancora di più tutti gli altri possibili suoi sfidanti che lo guardavano chi con astio e ira, chi con timore di poter finire nel suo stesso girone.
Ma non era l’unico ad essere temuto.
C’erano ben altre squadre che, quell’anno, erano al suo stesso pari e tra queste vi erano: Inghilterra, Italia, Croazia e Germania.
Squadre forti, potenti e per nulla facili da battere nonostante anche le altre non erano per nulla da sottovalutare benché queste fossero le più privilegiate per essere ai livelli di Spagna e di poter vincere gli Europei.
“ Iniziamo ora alle estrazioni. Gruppo A.. ”
A quelle parole ognuno di loro acuì l’udito, rimanendo impeccabilmente al proprio posto.
I bussolotti rotondi uscirono uno dopo l’altro, facendo fremere e tirare sospiri di sollievo ogni qual volta che si stava per pronunciare un nome.
Il primo estratto ovviamente Polonia, una delle due nazioni che accoglievano gli Europei di quell’anno, seduto a gambe accavallate, sguardo vispo nonostante le palpebre parzialmente chiuse ed espressione di chi la vittoria l’aveva già in tasca, solo per il fatto di essere padrone di casa.
A seguire Repubblica Ceca e la Grecia che, invece, non si accorse nemmeno di essere stato prescelto, supino con le palpebre abbassate e il viso appena inclinato di lato, dormente.
Ed infine l’uscita del bussolotto di Russia fu quello che li lasciò agghiacciati.
Un aurea gelida si sparse verso i diretti interessati del girone, proveniente dalla stessa Nazione che, sorridendo affabile, osservava i suoi prossimi avversari.
“C-Cosa importa? Sono io i-il capo di casa, vincerò io!” Sentenziò Polonia, nonostante un brivido freddo gli pervadeva la spina dorsale.
“Kolkolkolkol..”
Solo il miagolio del gattino che Grecia aveva in grembo sentenziò il completamento di quel gruppo.
 
Poi toccò al gruppo D.
Uno ad uno i bussolotti vennero estratti, il primo tra tutti quello di Ucraina che, preoccupata e tesa come non mai, si girava da una parte all’altra in cerca di un qualche sostegno facendo ballare il suo enorme seno; toccò poi alla Francia che, paziente, con espressione fiera e perfettamente composto sulla sua sedia attendeva chi doveva essere battuto dalla sua enorme potenza mentre, di tanto in tanto, lanciava baci vaganti alle signorine assistenti delle altre Nazioni.
Ma il nome che uscì alla fine, lo spiazzò. 
Francia - Inghilterra
Nella sala si sperse un leggero risolino di chi pareva divertire quella situazione in cui, due nazione odiate da secoli, finivano per scontrarsi in quello stesso europeo, persino da un punto di vista calcistico, mentre c’era chi osservava leggermente spaurito lo sguardo agghiacciante che Inghilterra e Francia si stavano lanciando l’uno contro l’altro.
Lo sguardo della nazione inglese pareva fiammeggiare di odio e sgomento nel vedere quel suo stesso nome affianco a quello di quel pervertito, rifilandogli una delle sue occhiate più fulminanti.
Entrambi con i nervi a fior di pelle per essere finiti contro il più acerrimo nemico, entrambi con il timore nascosto di perdere.
“Ti ammazzo, vinofilo bastardo.” Digrignò Inghilterra, tentando di mantenere un contegno affianco al proprio nuovo allenatore, stringendo per contro più che poteva il tessuto della giacca a braccia conserte.
“Non metterti in mezzo, perfettino de mierde, la vittoria è mia!” Rispondeva l’altro con lo sguardo furente, stringendo tra i denti un fazzoletto bianco uscito a buffo dall’interno della manica.
Tra i due litiganti, dietro al francese, il maggiore dei fratelli tedeschi rise di gusto.
“Chesese, l’Europeo si dimostrerà più interessante del previsto!”
 
Fu alla fine di tutto, nel Gruppo C, che la sala trattenne il fiato, incredula, nel vedere il nome di Italia al di sotto di quello della Spagna.
Spagna - Italia
Due delle più forti nazioni d’Europa si scontravano al primo turno.
Il sorriso sul viso di Antonio andò a scemarsi, sostituito ben presto da un’espressione sgomenta e incredula mentre rizzava la schiena con la mano sul tavolo, protendendosi lievemente in avanti per tentare di osservare meglio se per caso avesse sbagliato a leggere quel nome.
“Povero Antonio, come lo compatisco.” Sussurrò Belgio poco dietro di lui, rammaricata, verso il fratello Olanda dietro di lei.
Diversamente da lui, Romano, dal lato opposto a quello dello spagnolo, percepì un sobbalzo al cuore vedendo il proprio nome su quel foglio mentre la sua espressione rimaneva totalmente neutrale se non più dura di prima, a braccia incrociate, mentre il fratello fu palesemente e drammaticamente dispiaciuto se non tremendamente colpevole di ciò.
Avrebbe dovuto battersi con Antonio, proprio nella partita iniziale del Campionato.
Si voltò parzialmente verso di lui, così come anche l’altro cercò disperatamente il suo sguardo come a scusarsi di quello che era appena accaduto, come se fosse stata colpa sua.
“Lovinit-”
L’altro lo fulminò con lo sguardo, duro, alzando una mano e, con il solo pollice, facendo un taglio orizzontale alla propria gola. Un gesto di morte, ovviamente non sua, ma dello spagnolo, assieme ad un labiale palesemente capibile.
Sei morto.
Antonio quasi sbiancò, già sapendo a quali pene sarebbe dovuto andare incontro mentre vedeva, alla fine della riunione, il gruppo italiano alzarsi e dirigersi verso l’uscita, scorgendo a malapena il volto marmoreo del piccolo romano scomparire in quella folla.
Entrambi, un unico pensiero.
“E’ la fine..”
 
To be continued.. 
 
Note dell'Autrice:
Sialve a tutti :3
L'avrete già capito dalla piccola descrizione ma ripeterlo non costa nulla; So che ci sono molte storielle su questi Euro 2012 -E devo dire che mi son divertita molto a leggerle, son troppo carine *-*-
Ma visto che le connessione tra l'Italia e la Spagna son stati davvero tanti ho pensato di riassumerli in questa storiella di pochi capitoli >w<
Non so come possa venire, la sto scrivendo di getto [e al sole °^°]; spero solo che questa storiella, su una coppia che è anche la mia otp che prediligo in assoluto, sia.. dai, carina :3 Penso di alzare il rating più in là, probabilmente fino al rosso [ovviamente non posso non fargli fare sconciate a questi due *///*]
A presto con il prossimo capitolino ^*^
Jaa nee

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Capitolo 2
*** Parole di troppo ***


Parole di troppo
[ Partita del 10 Giugno 2012 ; Spagna vs Italia ]

“Ti ammazzo, bastardo!” 
Gli inveì per la centesima volta in quella giornata memorabile per entrambe le Nazioni; non tanto memorabile per star iniziando la loro prima partita del Campionato bensì per la capacità di Romano di infilare in un'unica frase quasi una trentina di bestemmie ed insulti contro lo spagnolo che, inerte, non sapeva cos’altro avrebbe potuto fare per farlo calmare.
“Ti.. Ti prego Lovino, non dire così! Non è stata colpa mia.” 
“Non me ne frega un cazzo! Proprio con te dovevo finire nel girone!?- E non ti avvicinare, sà!” Lo ammonì duramente vedendolo aprire le braccia per abbracciarlo in una sorta di muta supplica di perdono.
“Non pensarla così.” Continuò l’iberico, tentando di stare dietro ai passi veloci dell’altro, che si muoveva spedito tra i corridoi dell’albergo dove tutte le nazioni si erano riuniti ad alloggiare. “Vedila come una sorta di amichevole; non è necessario che vinciamo per forza, no?”
Chiunque li incontrava e si trovava sulla traiettoria del percorso di Romano, si sbrigava ad arretrare, scansandosi immediatamente per non rientrare nella furia né dell’uno né anche dell’altro; da quel punto di vista, assieme alla Spagna ad incutere il maggior timore era anche l’Italia, nonostante non fosse tra le squadre più favorite.
Un timore che si era fatto più forte.
Lo sguardo dell’Italiano era qualcosa di più che un semplice infuriato, sui suoi occhi si leggeva tutto l’onore e l’orgoglio del suo popolo che non voleva perdere né essere seconda a nessuno, principalmente all’attuale campione del Mondo e d’Europa.
E Antonio lo sapeva e lo avrebbe capito anche ad un miglio di distanza; perché lui lo conosceva il suo Lovino, così come conosceva i suoi sentimenti e il suo tremendo quanto cocciuto orgoglio italiano. Continuò a sorridere sul disperato, affianco al ragazzino.
“E’ la prima partita del girone, mi Lovinito, se anche perdi potrai rifarti nelle prossime due partite. Oh.” Alzò l’indice della mancina a livello del viso, roteando gli occhi verso l’alto, come a ricordarsi di una cosa. “E poi stai parlando con il campione d’Europa e del Mondo. Anche se non vinci, nessuno te ne farà una colp-”
Quasi si pentì delle parole che gli uscirono dalla bocca, bloccandosi simultaneamente all’altro e sbiancando nel vedere i suoi occhi fiammeggiare di puro odio mentre la sua figura era accerchiata da un aurea molto poco positiva.
Forse avrebbe dovuto esporre il concetto in modo diverso..
“Quindi tu pensi di avere già la vittoria in pugno ancor prima di iniziare, eh?” Principiò Romano con tono cupo, fin troppo preso da quella situazione da lasciare che a parlare fosse il suo nervosismo e il suo orgoglio. 
“N-No, Lovino, io non..!” Le parole di scusa dello spagnolo, seriamente colpevole da ciò che aveva detto, vennero bloccate dall’avvicinarsi minaccioso di Lovino, prendendolo di petto e puntandogli l’indice contro.
“Stammi bene a sentire. Il tuo popolo non ha nulla in più a noi Italiani; siete solo una squadra che vuole solo essere al primo posto in tutto. Noi mettiamo il cuore, la passione di poter vincere e renderci fieri di essere Italiani; Voi? Voi, che neanche l’inno cantate ad inizio partita.”
E più Romano parlava, più lo sguardo di Antonio si andava facendo più duro di parola in parola, velando la sua espressione in una tremendamente più seria e più ammonitrice nei confronti dell’italiano.
“Tu e tutti i fottuti spagnoli! Se pensate sia facile batterci, vi sbagliate di grosso.”
“Romano.” Lo chiamò l’altro, con tono di voce leggermente più alto, inflessibile, severo.
Solo in quel momento, quando udì la voce di Antonio pronunciare il suo primo nome, il Sud capì di aver superato una sorta di limite, mentre incontrava le iridi verde intenso dello spagnolo e tratteneva il fiato.
Si sentì fremere il cuore, di dolore e di tutta la colpa che aveva. Era da secoli che non vedeva quello sguardo, ma mai era stato rivolto verso di lui.
“Basta così, hai detto abbastanza.” Proferì mentre prendeva la mano dell’altro e la allontanava dal proprio petto, così come allontanò brevemente e con una leggera pressione del braccio lo stesso Lovino, che si lasciò indietreggiare come di burro, non osando ribellarsi a quello sguardo.
“Mi sarebbe andato bene un pareggio, ma mi sono ricreduto. Nonostante l’amore che serbo per te, mi dispiace ma.. Se vuoi la guerra, così sia.”
Lovino sentì il cuore fermarsi per una frazione di secondo, per poi ripartire velocemente, facendogli mancare l’aria ai polmoni mentre sorreggeva lo sguardo duro dell’altro.
Aveva sbagliato, aveva detto cose troppo profonde e troppo taglienti e se ne rendeva conto.
Ma non cedeva e non indietreggiava. Sorresse quello stesso sguardo, con un altro altrettanto fermo e deciso nonostante velato dalla colpevolezza.
“Bene!”
Lo vide andarsene, dunque, e solo quando gli voltò le spalle lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, serrando i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.
“Vee! Fratellone, fratellone!” Alle sue orecchie gli giunse la voce squillante del fratello minore, che gli si parò davanti, passandogli un braccio dietro le spalle. “Oh? Quello non era Antonio?”
“Feliciano.”
“Uh? Si?” Questo lo guardò perplesso, incontrando uno sguardo duro e infuocato che lo stupì enormemente.
Non l’aveva mai visto, il fratello, in quelle condizioni. E dire che si infuriava facilmente..
“Preparati. Domani vinceremo.”
 
E l’indomani arrivò più in fretta di quello che si aspettavano.
I fratelli Vargas da un lato, davanti alla bandiera della propria Nazione, con le tute Azzurre a fasciargli il corpo; e Antonio dal lato opposto, di fronte alla propria di bandiera, con la tuta rossa simboleggiante la Roja, la Furia Rossa.
Lo sguardo del maggiore dei fratelli cadde molte volte sulla figura della Spagna, durante il di lui inno, osservando come quegli occhi verdi, rivolti dapprima verso l’alto poi verso la croce d’argento che teneva perennemente al collo, andandola a lambire appena con le labbra, socchiudendoli, stavano facendo trapelare quanto l’animo spagnolo fosse in subbuglio, fremente ed in attesa per l’iniziare della partita.
Ed il fischio d’inizio diede il via a quella partita.
La palla non smise nemmeno per un momento di muoversi e di rotolare, tanto sui piedi italiani quanto su quelli spagnoli, entrambi veloci, motivati al massimo e con il solo obbiettivo di portarla dentro alla porta avversaria.
Tutta la determinazione di Lovino, Antonio poté vederla nei suoi tocchi di palla, nelle sue rincorse, nelle sue prese di possesso e nei suoi assalti ai giocatori della Roja per riprendere il controllo del gioco, quasi rischiando persino l’ammonizione.
Ma più Lovino correva, più la stanchezza era palpabile e alla fine del primo tempo gli italiani erano per la maggior parte a corto di fiato; lo stesso valeva per gli spagnoli che, nonostante non avessero corso quanto gli altri, dovevano comunque difendersi e cercare di riprendersi il pallone.
Antonio lo vedeva dal fiatone che aveva Romano, non poteva continuare così o sarebbe stramazzato a terra prima della fine della partita.
Romano..
E questo, nonostante la fatica, continuò a spingere e a lottare, riuscendo ad infrangere la barriera difensiva e a prendere quel tanto agognato goal che si meritava.
Esultò e gioì d’entusiasmo, urlando al suo stesso popolo per la felicità di aver fatto breccia alla Roja per poi scambiarsi un’occhiata con lo stesso Antonio, sorridendo in tralice.
Un sorriso pieno di superbia e di egocentrismo, che l’ispanico ricambiò con espressione neutrale, per nulla intimorito, solo con un velo di melanconia a macchiare il verde smeraldo delle iridi.
Non capiva, Lovino. 
Non sarebbe stato un goal a farlo innervosire come la mattina seguente, non sarebbe stata per una cosa così futile; e ciò lo rammaricava enormemente.
E mentre si voltava, ritornando in postazione, ogni suo movimento venne seguito attentamente dall’altro italiano che rimase immobile, inerme al lato del campo di gioco.
Poteva percepire un senso di vuoto pervadergli l’animo, accompagnato da quella colpevolezza che sapeva appartenergli totalmente aumentare in maniera vistosa, quasi sul punto da farlo urlare e sbattere i pugni su di un palo della porta.
Un vuoto che continuò a persistere anche dopo aver subito la rimonta spagnola, pareggiando dopo soli tre minuti; rabbia e frustrazione ma, stranamente, non era odio quello che provava per Antonio.
Era come se, una parte di lui, accettasse quel goal come punizione per ciò che aveva fatto e per ciò che gli aveva detto.
Ma non era abbastanza, quella punizione, per fargli passare quel vuoto che gli riempiva il cuore.
La partita finì, dunque.
1 – 1, Spagna e Italia pareggiano. 
Ne vincitori né vinti.
Solo una vaga tristezza e incomprensione tra i due capostipiti delle nazioni.
 
Un ricciolo fece capolino da una delle porte dello spogliatoio, su cui vi era segnato il nome della squadra.
Espana.
“Oi, Antonio? Quiere hablar con usted.¡Ven aquí!
Lo sguardo smeraldino dell’ispanico, appena toltosi la maglietta, si spostò su una figura vestita di un colore nettamente diverso da quello della Roja, l’opposto, il complementare. Una figura che lo lasciò momentaneamente perplesso, con le iridi appena dilatate, non capendo.
“Potrei parlarti un momento..?”

Nota dell'Autrice:
Rieccomi *-* 
Fatto subito, no? Di solito aggiorno a distanza di settimane, siatene felici (?) u_u'
Ho detto che avrei paralto del rapporto e delle connessioni, in questo Europeo, tra Italia e Spagna tramite una mini storiella e.. appunto per questo, ho pensato di metterci un filo conduttore di fondo, che ha inizio proprio da questo chappettino :3
Come sempre, spero di non annoiarvi e ringrazio tutti quelli che hanno seguito/seguiranno questa piccola schieffuola >w<
A presto :3


Ah, mi stavo per scordare.
FORZA FRATELLI D'ITALIA!

Ps. Antonio, sai quanto ti adori ma il mio cuore italiano scalpita *^*
..E poi hai vinto un pò troppe cose, vedi di darti una regolata. Oh è^é

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Capitolo 3
*** Questione d'orgoglio ***


Questione d'orgoglio


Avevano deciso di andare in una delle salette private dell’hotel, poco distanti dalla hall, in qualche modo separati dal resto della sala in modo da poter parlare indisturbati.
“E’ strano che tu voglia parlarmi faccia a faccia.” Sospirò con un leggero sorriso la nazione spagnola, sedendosi e poggiando i gomiti sulle ginocchia, lasciando andare il resto del braccio, guardando il ragazzino dal basso verso l’alto. “Che succede, Feli?”
Il Nord sorrise divertito, sedendosi di fronte a lui e, facendo perno con i palmi delle mani sui cuscini del divanetto, ai lati del corpo, dondolandosi appena.
“Vee ~! Non posso parlare con il fratellone Spagna? E io che volevo farti i complimenti per la partita.” Si lamentò con finto tono dispiaciuto, piegando il labbro inferiore e gonfiando appena le guance con espressione da cucciolo così bastonato che all’iberico gli si illuminarono gli occhi, fiondandosi su di lui ad abbracciarlo e strusciare appena il capo su quello dell’altro.
“Oh! Quanto sei gentile! Ita-chan, sei sempre così carino.”
Ma perché tuo fratello non può essere come te? Si chiese tra sé e sé, sospirando depresso, lasciando la presa sul minore dei fratelli ma continuando a sorridergli solare, lo stesso sorriso sereno che illuminava il viso dell’altro.
“Ma è vero! Sei stato bravo a tenerci testa; ti avremmo potuto fare taaaanti altri goal ma tu hai difeso bene. Dopotutto sei il campione in carica, ve?” Continuò Feliciano, guardando in alto pensieroso, per poi ritornare con gli occhi ridenti al viso del maggiore. “Un pareggio è un risultato buono, credo! Non dispiace né a me, né a te, no?”
“Ma a Romano sì.. vero?”
L’aveva capito subito, Antonio, che Feliciano si trovava di fronte a lui per un motivo.
E quel motivo era il Sud Italia.
Lo guardò in tralice, il sorriso del minore che andava leggermente affievolendosi per far spazio ad uno appena amareggiato.
“Lo conosci bene, il fratellone. Una parità non gli sarebbe mai andata bene contro di te; questa volta, però, pare che se la sia presa più del previsto.”
Antonio spostò lo sguardo in avanti, unendo le mani e stringendole le une con le altre, al pensiero della figura di Romano con lo sguardo dapprima fiero e orgoglioso, sostituito poi da uno più laconico e irritato per uno sbaglio che non voleva ammettere.
Li conosceva quegli occhi, era stato guardato così tante di quelle volte che ne aveva perso il conto, prendendolo come uno dei residui del comportamento infantile dell’italiano.
Sapeva come prenderlo ma, quella volta, c’era di mezzo l’orgoglio nazionale di entrambi. Lo sapeva e aveva cercato fin dall’inizio di mantenere calme le acque, ma a quanto pareva era stato tutto inutile.
“Feli, tu e Romano siete una grande squadra e una grande Nazione. Ma, diversamente da te, Romano questo ancora non lo capisce e reagisce di conseguenza come se tutti vi considerassero ancora come degli.. inutili.”
“Ti sbagli, Antonio.” Lo interruppe il Nord, stranamente pacato con gli occhi appena socchiusi. 
Una reazione che lasciò lo spagnolo interdetto, mentre lo ascoltava. “Il fratellone questo lo sa bene, ed è per questo che si sta comportando così, credo. Non so cosa sia successo tra di voi la scorsa volta, Romano non vuole dirmelo.”
“C’è solo stata una discussione.” Rispose sospirando l’altro, abbassando gli smeraldi a terra.
“Una discussione che pare vi stia facendo dividere.. non è così?”
A quella verità il cuore di Antonio ebbe un sussulto, consapevole che la situazione sarebbe potuta anche peggiorare ulteriormente.
“Feli..”
Feliciano si sporse appena in avanti, avvicinandosi un poco di più al viso abbronzato dell’altro e sorridendogli dolcemente.
“Antonio, penso che Romano voglia solo essere capito dalla persona che più gli sta cuore. E.. Penso che lo stesso valga anche per te.”
“FELICIANO!”
La voce irruenta del fratello si sparse per tutta la sala, facendo voltare di scatto tanto il diretto interessato quanto anche lo spagnolo attendendo la figura minuta dell’altro pezzo di Italia girare l’angolo e guardarli innervosito, entrambi.
E ciò accadde dopo pochi secondi, vedendogli in viso un espressione stizzita che si tramutò ben presto in stupore alla vista della Spagna.
“Che..?” Fu solo per poco che l’italiano ebbe un attimo di smarrimento, nell’incontrare gli occhi smeraldini della nazione maggiore. Anzi, fu quasi sul punto di voler dire qualcosa, ma mordendosi il labbro, il viso velato di stupore e colpa, ritornò duro come pochi minuti prima. “Si può sapere che stai facendo? Domani abbiamo un’altra partita o vuoi adagiarti sugli allori!? Vatti ad allenare con gli altri, muoviti!”
Non lo guardò né gli rivolse parola.
Se lo avrebbe fatto, era sicuro che la sua voce e la sua determinazione avrebbero vacillato.
Prese di peso il minore, dunque, e lo trascinò per il polso mentre l’altro si lasciava trasportare.
“Uuuh! Perdonami perdonami! Ah, ci rivediamo stasera fratellone Spagna! Ciao~” E detto ciò sparì dall’angolo dove era apparso il fratello.
Iniziò a correre, dunque, con la stessa baldanza e gioia che lo contraddistingueva portandosi di fronte a Romano. 
Fu per caso che, con la coda dell’occhio, Veneziano scorse il pugno che il maggiore assestò al muro al suo fianco mentre gli leggeva negli occhi una sofferenza che stentava a trattenere.
 
Di nuovo un pareggio.
Due partite su tre finite con un cazzo di pareggio, e non c’era nulla di più umiliante e snervante per Romano in quel momento, seduto sulle poltroncine della sala dei colloqui, affianco il fratello.
Negli altri posti, presenti anche tutte le altre Nazioni.
Erano in attesa di sapere le ultime direttive sulle partite finali di quella prima parte d’Europeo, concluse le quali si sarebbe passato alle sfide vere e proprie e, cosa più importante, alle eliminazioni dirette.
Se ne stava stravaccato, con il piede destro sopra al ginocchio sinistro e un braccio a tenersi sullo schienale dietro la schiena del minore dei fratelli, la cui visibile ansia era tremendamente e dannatamente contagiosa.
“La vuoi smettere di battere quei cazzo di piedi a terra e ti dai una calmata?” Lo ammonì, vedendolo sobbalzare.
“Mi-Mi dispiace, sono.. così agitato. E se ci buttassero fuori!?”
“Stai zitto! Perché devi pensare a ste cose!? Datti una calmata e finiscila; sono già abbastanza nervoso di mio per quei cazzoni che stanno facendo un casino boia!”
E i due a cui Romano si stava riferendo non erano altri che Arthur e Francis, che continuavano ad insultarsi e lanciarsi oggetti nonostante si trovassero ai due lati opposti della sala.
“E’ tutta colpa tua, depravato del cazzo! Se solo non avessi pareggiato con te, ora non mi troverei in questo casino!” sbraitò l’inglese, riferendosi alla sua possibile squalificazione se solo non avesse vinto la prossima partita.
“Oh, mon dieu, sei così in basso da dare la colpa agli altri per il fatto di non essere buono al calcio..” Rispose tranquillo il biondo, smuovendosi i capelli con gesto elegante, scostando solo all’ultimo secondo una tazzina da thè che l’altro gli aveva tirato.
Shut the fuck up! Il calcio l’ho inventato io, tu sei solo un decimo del mio livello!”
“Prova a ripeterlo, tracannatore di thè!”
Fu all’arrivo del commissario Europeo che i chiacchiericci e gli insulti si abbassarono tanto da annullarsi del tutto, lasciando solo un silenzio d’attesa e di tensione.
La situazione era piuttosto semplice ed anche abbastanza intuibile dai risultati ottenuti.
A Romano degli altri Stati non fregava un emerito cazzo, per cui acuì le orecchie solo quando giunse il turno dell’Italia.
Avrebbe potuto proseguire, sì, ma con diverse condizioni che la limitavano molto, e primo fra tutte era la vittoria o la sconfitta della partita tra Spagna e Croazia ad essere la decisiva in assoluto.
Perché il destino dell’Italia, in quel momento, era appeso alle sorti di quella partita.
Ovviamente avrebbe dovuto vincere contro l’Irlanda, non avrebbe potuto permettersi né un’ulteriore pareggio né men che meno una sconfitta ma, nonostante ciò, né Romano né Feliciano avrebbero potuto avere la totale conferma di poter passare ai quarti di finale.
E, a quella notizia, lo sguardo del Sud si spalancò, riducendo le iridi a due piccole saette mentre volgeva, di getto, il viso attonito verso l’unico che avrebbe potuto salvarlo. 
Spagna.
L’unico e, in quella situazione, anche l’ultimo a cui avrebbe potuto solo lontanamente chiedere un favore.
Uno sguardo che venne ricambiato dal maggiore, meno stupito dell’altro ma comunque leggermente preoccupato da come sarebbe potuta andare a finire.
Potevano percepire il rimbombo del cuore sullo sterno l’uno dell’altro, che batteva veloce e prepotente quasi ad avvertirli di smetterla e di pensare a giocare in maniera più tranquilla e serena.
Principalmente quello dell’italiano martellava con più vigore, pompando sangue che, anche se solo brevemente, gli imporporò appena le gote nel sentire su di sé lo sguardo smeraldino dell’altro, così intenso da lasciare l’ansia e la paura di una loro possibile sconfitta quasi in secondo piano, sostituito da un sentimento che stava a tutti i costi sopprimendo.
Si guardarono, Romano teso come una corda di violino mentre percepiva, invece, il rilassamento del minore, abbandonato sullo schienale del divano.
“Fiuu, per lo meno non siamo ancora fuori. Non sei felice, fratel-?” 
“Vargas, vi è andata male anche quest’anno eh!” La voce roca e con accento straniero di Croazia li fece ritornare con i piedi per terra, ad entrambi, incontrando la figura snella della Nazione che era andata a portarsi affianco dello spagnolo.
“Mi dispiace per voi, ma si mormora già che per voi ci possa essere il biscotto. Ve lo ricordate?” Rise di gusto mentre i due fratelli sbiancavano e fremevano appena al ricordo degli Europei di qualche anno prima. La delusione e lo sconforto per non essere riusciti a proseguire proprio per una partita finita con l’ultimo dei risultati con cui si sarebbe potuta concludere.
Una situazione che si stava ripetendo, e questa volta la paura la percepivano il doppio dell’ultima volta, già sentori degli animi turbati del loro popolo con la stessa paura che aleggiava nei loro occhi, in quell’istante.
Occhi scuri, appartenenti al maggiore, andarono a cercare di nuovo quelli verdi di Antonio, in una muta richiesta di soccorso, di aiuto. Parevano gridarlo, parevano chiederglielo con disperazione e lo spagnolo parve morire di fronte ad uno sguardo così, proveniente dalla persona che più amava al mondo mentre percepiva il braccio di Croazia circondargli le spalle.
“Se non lo avete capito, se anche noi pareggiassimo voi ve ne andreste comunque a casa.”
Antonio lo guardò in tralice, vagamente innervosito sia per quella vicinanza non concessa sia per le parole e un atteggiamento di scherno che non potevano essere accettati da una Nazione quale era la Spagna nel mentre gli occhi di Romano venivano oscurati da alcuni ciuffi di frangia.
“Fr-Fratellone..” Si lagnò Feliciano, sfiorandogli un braccio quasi spaventato.
“Il vostro Europeo è agli sgoccioli, Italiani!”
“Oi-” Antonio fu sul punto di intervenire, ma un tono duro e aggressivo, con un marcato accento dialettale, si sparse per tutta la sala.
“Taci, pezzo di merda!” 
E le labbra che l’avevano pronunciato non erano di nessun’altri che di Romano Vargas, alzatosi e con una luce furente nello sguardo diretta unicamente verso Croazia, il quale arretrò appena alla vista di un espressione del genere.
Spagna ebbe un sussulto al cuore. 
Da quand’è che era diventato così grande e autoritario, Romano..?
“Pensi che abbiamo paura di un bastardo come te? Mpf, ma fammi il piacere. Sei solo un cazzone che sa solo parlare e dar fiato alla bocca inutilmente. Siamo stati noi ad insegnarvi il calcio e vuoi fare il fottuto genio? Devi solo che andare a fanculo!”
“Veramente sono stato io ad insegnarlo, il calcio..” Borbottò Inghilterra di sfuggita, punto nell’orgoglio, lasciando continuare.
“Vedremo tra due giorni ciò che sarete in grado di fare, fottuti bastardi! E vedremo chi arriverà in finale! Stronzi!”
Detto ciò, prendendo per mano il fratello minore, si incamminò verso l’uscita a passo deciso e autoritario.
E ogni passo che venne fatto dall’italiano, ogni fiato che uscì fuori dalle sue labbra, ogni sguardo che lanciò di stralcio nella sua direzione, Antonio non ne perse uno.
Stupito, ma tremendamente fiero.


Nota dell'Autrice:
E rieccomi, un poco depressa per la finale ma vabbeh.. si vince e si perde :3
Dico solo che, a differenza di quanto pensa o dice qualcuno, non è affatto stata un umiliazione. La Spagna era forte e lo sapevamo tutti ed era evidente, noi l'abbiamo arginata nella prima partita ma ieri sera siamo arrivati alla fine di un Europeo con ferite e dolori di chi ha combattuto con tutte le forze per arrivare a questo traguardo.
E, da mettere in conto, poi che è da poco che la nazionale è stata riformata ed è stato merito di Prandelli poco prima dell'inizio dell'Europeo a farlo; troppo poco tempo diversamente alla regina Spagna che invece è da anni che fatica per ottenere degli ottimi -visti i traguardi che ha raggiunto- ridultati!
Sono orgogliosa della nostra nazionale che ha dato, davvero, il massimo per farci felice; non ce l'abbiam fatta, okei, ma siam secondi in Europa. 
Ora ci aspettano Confederation Cup e Mondiali.
DAJE VARGAS *-*
...
..
*Momento serietà mode: off*
Ok, ritornando alla ficcy 8D
Alla fine di questo capitolo devo ammettereche ci ho messo un pò della mia incazzatura nei confronti dei poveri Croati -mi dispiace ç^ç ma l'allenatore mi stava sulle palle e dava per scontata l'italia a differenza di del Bosque .-.
E Romano che se ne esce con la sua solita eleganza italiana *coffcoff* u_u''
Mentre Antonio, povero, freme per riabbracciare e dare tanti bacini al suo pomodorino *^*
Spero vi sia piaciuto anche questo!
Al prossimo capitolo, dunque ^*^

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Capitolo 4
*** Volontà di vittoria ***


Volontà di vittoria


“Oddio, che cazzo ho fatto!?” 
Era da un buono quarto d’ora che Romano si lagnava e disperava, rannicchiato in un angolo della propria stanza, tremante e depresso fino all’inverosimile per ciò che aveva appena avuto il coraggio di fare.
Aveva insultato Croazia ma, contemporaneamente, anche tutte le altre Nazioni.
Per la miserie, si era autodefinito insegnante assoluto del calcio.
Ma che cazzo gli era saltato in mente!?
Le accuse di Croazia lo avevano fatto andare su tutte le furie, facendogli uscire fuori una superbia che, in condizioni normali, di fronte a Stati di quel calibro non avrebbe mai mostrato, ed invece lo aveva fatto, forse pure fin troppo. E come risultato ora aveva una paura esagerata delle conseguenze.
Se avrebbe fatto una figura di merda, come si sarebbe mostrata, l’Italia, di fronte agli altri? Con che faccia tosta avrebbe potuto guardare i membri d’Europa?
“Stupido, stupido, stupido! Perché non sono stato zitto!? Dannazione!”
Continuava, prendendosi la testa tra le mani e scuotendola, gli occhi sbarrati da un terrore melodrammatico e, forse, anche esagerato.
“Sù, fratellone, non fare così! Ci hai difeso, sei stato grandissimo!” Lo rassicurò il minore, sorridendogli solare, dandogli piccole pacche sulla spalla.
“Vorrei vedere te al mio posto, deficiente!” Lo attaccò, scostandogli stizzito la mano, alzandosi e sospirando sconfortato. “Non sarai te quello che verrà preso in giro, dopo la scenata che ha fatto!”
“Non lo saremo, Romano! Tutti hanno fiducia in noi e nelle nostre potenzialità.” Spiegò placido il Nord, avvicinandolo.
Allungò la mano, dunque, posandola a sfiorargli il petto, sul punto dove era situato il cuore, Vita del meridione.
“Puoi sentirlo, giusto? Come lo sento anche io; La nostra gente ha fiducia, ci crede e ci ha creduto dall’inizio.”
Romano rimase in silenzio, lo sguardo basso, acconsenziente nonostante una lievissima velatura di riluttanza, lasciando che l’altro lo abbracciasse.
“Sì.. ovvio che lo sento, dannazione..” Un borbottio appena percettibile accompagnò il movimento delle braccia a ricambiare il gesto d’affetto del minore, mentre nascondeva il viso dai capelli scuri e stringeva il tessuto della maglia.
Doveva vincere, a qualunque costo. Avevano la stoffa, la tenacia, il cuore e la forza per riuscire nell’impresa e lo avrebbero fatto, per loro, per la sua gente, per dimostrare al mondo che non erano più dei deboli. 
E, in qualche modo, anche per lui.
 
Il giorno della partita, il Nord e il Sud erano più carichi di qualunque altra partita fin’ora disputata, tanto da lasciare stupite le Nazione che, quella sera, erano rimaste in Hotel a vedersi il match dallo schermo della hall, vedendoli passare in gran carriera.
Erano partiti nel primo pomeriggio, Italia e Irlanda in un bus e Spagna assieme alla Croazia in un altro.
Poco prima di partire, Romano si voltò appena indietro, volendo scorgere la figura di Antonio per un’ultima volta prima delle partite decisive. Sussultò, imbarazzandosi, nel vedere come ancor prima di lui, l’altro si era voltato completamente nella sua direzione, con sguardo fermo e deciso rivolto unicamente verso di lui.
Non dissero né fecero alcun segno o gesto di saluto. 
Si guardarono, soltanto. E l’italiano capì ciò che lo spagnolo voleva dirgli. 
Sapeva che la paura di quel biscotto e di una partita già decisa in precedenza aleggiava negli animi dei due fratelli, e per il proprio orgoglio, un aiuto non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederglielo. Ma Lovino sapeva che il gioco di Antonio non era così sporco come quello di molti Stati e su quel punto non aveva alcun dubbio. 
Nonostante quella situazione, la sua fiducia era totale.
Ma, c’era qualcosa in quegli occhi, che lo tradiva, stonava; e non capiva cos’era.. 
Antonio..
 
Con quei pensieri, dunque, ognuno si diresse ai propri campi da gioco.
Gli occhi chiari, color nocciola, degli Italiani puntati in alto con l’inno che gli riempiva il cuore.
Gli occhi verdi e brillanti della Spagna puntati sul proprio cuore, sulla propria Nazione, con la croce d’argento tenuta stretta tra le dita della mano.
Furono partite sofferte, giocate al massimo delle loro potenzialità e abilità, nessun momento di pausa, nessuna interruzione o presa di fiato, solo un grandissimo desiderio di uscirne vincitori.
Tanto Romano quanto Feliciano sapevano. 
Sapevano di non essere i favoriti e, ogni volta che sbagliavano, guardandosi reciprocamente negli occhi tra il fiatone e il rimbombo delle urla dagli spalti, quel dubbio e quella paura tornavano a farsi più prepotenti che mai.
Ma subito venivano scacciati dalle abilità dei propri giocatori e dal loro cuore di volere una vittoria che stavano sudando con fatica.
E alla fine avvenne.
Il primo Goal e la gioia dell’Italia esplose tra gli spalti e in tutta la Nazione.
I due fratelli potevano nitidamente sentire il cuore pulsare e pompare sangue in maniera massiccia mentre dentro le orecchie risuonavano le grida di gioia, di esultanza e di felicità per quella rete da parte di tutto lo stivale.
Ma non era finita.
La sola vittoria non bastava per passare alle semifinali, e lo sapevano bene.
In panchina, una radiolina era sempre accesa a rendere partecipi gli Azzurri rimasti come riserve della situazione nella partita della Spagna.
E dopo aver segnato il secondo goal, agli ultimi minuti alla fine della partita, in quel momento dove i giocatori poteva riprendere momentaneamente fiato, vennero informati.
“La Spagna non ha ancora segnato. Nessuno dei due ha segnato!” Diceva concitato un giovane, con una cuffietta inforcata nelle orecchie. “Se finisce zero a zero potremmo persino arrivare primi nel girone, dicono!”
Ma nonostante quella piccola ed insignificante esuberanza del giocatore, Romano era rimasto impietrito sul posto, osservato preoccupato dal minore.
“Fratellone..”
Perché? Perché quel bastardo non aveva ancora segnato? Che era successo?
Gli ritornarono alla mente quegli occhi che lo guardarono poco prima di entrare dentro il bus, ricordò la durezza e il coraggio che gli aveva infuso, ma c’era dell’altro.
E quel qualcosa, in quel momento, gli stava distruggendo l’animo di angoscia.
Ricominciarono il gioco, gli ultimi minuti di quella partita che pareva essere più lunga dei 90 minuti usuali e, al suono del fischio finale, invece di esultare per la vittoria, tutti i giocatori andarono a sentire ciò che succedeva nell’altra partita.
In ansia, in tremenda e logorante ansia.
Feliciano aveva corso svelto, diretto verso la panchina, seguito da un Romano che si limitò a camminare, non volendo sentire. 
Aveva paura, un immensa paura.
E se..
“ANTONIO! Antonio ha segnato!”
E quell’urlo appena stridulo del fratello minore, quasi lo stordì.
Attimi di smarrimento, lasciando che il suo cervello metabolizzasse la cosa, per poi piegare le labbra in un leggero sorriso di gioia ed infine esplodere in un urlo liberatorio mentre correva verso il suo gemello e lo abbracciava, felice, tremendamente felice.
Erano salvi, non era ancora finita. 
Non per l’Italia!
 
Ritornarono in Hotel quella sera stessa, non prima di aver fatto foto, autografi ed interviste ai giornalisti della loro stessa Nazione.
Il cuore ancora che batteva forte, in autobus intonarono cori e schiamazzarono di gioia assieme ai tecnici della squadra, urlando ed esultando della vittoria ottenuta nemmeno fossero ubriachi.
Appena rientrarono, nella hall ad attenderli c’erano gli stessi che li avevano visti uscire quel pomeriggio, magari con qualche bottiglia di vino in più e qualche vestito in meno, per alcuni.
“Ce l’avete fatta a tornare, complimenti!” Li accolse un ridente Francis, verso il quale subito si andò a fiondare Feliciano, coccolato - forse fin troppo - dalle mani e dagli occhi del cugino.
“Siamo stati bravi, eh? Eh?” Continuava a cantilenare il settentrione, per poi accorgersi della figura bionda e robusta di Ludwig uscire dall’ascensore, e accorrendo subito ad abbracciarlo. “Doitsu! Doitsu! Ci hai visti? Siamo stati bravi? Abbiamo vinto!”
“Non che ci fosse qualcosa da perdere con quel bastardo e inutile di un fratello.” Borbottò Inghilterra, a gambe l’una sopra l’altra, sorseggiando una tazza di thè con sguardo stizzito, riferendosi al fratello maggiore Irlanda.
“Uh?Dov’è Antonio?Voglio ringraziare anche lui, vee!” 
Si intromise il Nord, dopo aver dato una occhiata fuggevole al maggiore che, anche se non voleva farlo notare, stava setacciando ogni angolo della sala con lo sguardo in cerca degli occhi dell’ispanico.
“Mh? E’ tornato prima di voi, ha esultato come uno scemo e poi se n’è andato a dormire. Era stremato, ha detto.” Spiegò il biondo francese, sorseggiando del vino rosso.
Non se lo fece ripetere due volte.
Fregandosene di tutto, Romano scattò verso le scale in direzione della sua stanza.
Doveva parlargli, assolutamente.
Doveva dirgliele, quelle parole che non ebbe avuto il coraggio di pronunciare qualche giorno prima, in presenza del fratello minore.
Doveva spiegarsi, scusarsi, ringraziare e capire.
Capire cosa gli era successo quella sera.
 
“Ma dove và così di corsa?” Borbottò Arthur dopo un momento di perplessità, spostando poi i diamanti verdi al liquido color del miele all’interno della piccola tazzina. “Cos’è, ancora euforico per una semplice partita?”
“Mmh, mon cher, tu non le capisci queste cose.”
La voce melodiosa e appena smaliziata del francese lo fece rabbrividire, scorgendolo tremendamente vicino al suo viso.
“Che cazzo vuoi dire, idiot!?”
Una mano andò a sfiorargli il mento, scendendo sul collo niveo dell’inglese, facendolo diventare paonazzo.
“Voglio dire che farà le stesse cose che faremo noi domani sera, non so se mi sono spiegato..” 
“M-Ma.. Ch.. SHUT THE FUCK UP, IDIOT!” 


Nota dell'Autrice:
Cieeeo :3
I know. I know. E' tipo da.. tre giorni? Che non aggiorno e mi dispiace ç^ç
Non è tanto lungo e, dai, un pò di rilevanza la ha perchè *tadadada* fa da preludio al capitolo hot della serieh 8D
..Ok, iniziamo col dire che non dovete immaginarvi chissà quali sconciate da parte di Antonio e Romano, ho deciso che dal rosso direi di cambiare con un arancione u.u''
E al prossimo capirete che non è così selvaggia e esageratamente descritta la cosa .. o sì?
Bhè, alla prossima e GRAZIE davvero a chi mi sta seguendo, a chi recensisce ed a chi sta mettendo la storia tra seguite/preferite *me commossa* *-*
A presto ^*^

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