Believe

di Flaren_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ronnie ***
Capitolo 2: *** Occhi di Ghiaccio ***
Capitolo 3: *** Quando il Passato ritorna ***
Capitolo 4: *** Invisibile ***
Capitolo 5: *** Perchè? ***
Capitolo 6: *** L'Inferno Nei Suoi Occhi ***
Capitolo 7: *** Tulipani dall'Olanda ***
Capitolo 8: *** Lucas alla Nutella ***
Capitolo 9: *** Hans... o Lucas? ***
Capitolo 10: *** Lucas, chi sei? ***
Capitolo 11: *** Alex ***
Capitolo 12: *** Lupo ***
Capitolo 13: *** Mi fido di te ***
Capitolo 14: *** Ti sei drogato? ***



Capitolo 1
*** Ronnie ***


"Believe"
di
Flaren







Capitolo 1: Ronnie





<< Ehi, Ronnie, secondo te è giovane il nuovo prof? >>
Alla domanda che la mia amica Alessia, per tutti Alex, mi aveva posto pochi giorni prima avevo risposto dicendo che dal nome – Lucas E. A. Evans – sembrava abbastanza vecchio, a meno che non fosse nobile. Nessuno lo aveva mai visto né sentito nominare, perciò non si poteva avere una vera idea su di lui. L’unica cosa che sapevamo era che avrebbe preso il posto di Mancini, il nostro professore di letteratura, che era andato in pensione.
Invece, l’idea che mi ero fatta del nuovo prof – sulla quarantina, alto, con gli occhiali e magari anche un po’ stempiato – era totalmente sbagliata. Anzi, dire sbagliata era un eufemismo.
Quando entrò nella classe, dove si era creato un certo chiasso, tutti pensammo che fosse un studente più grande tornato a trovare i professori, non ci sfiorò neanche l’idea che potesse essere  lui, il misterioso Evans. E invece, era proprio quel ragazzo alto, biondo miele, con gli occhi talmente chiari da sembrare color ghiaccio, il nostro nuovo professore.
Entrò in classe con naturalezza, portando con sé solo la giacca, che sistemò sulla sedia dietro la cattedra.  
Nell’aula calò il silenzio, mentre tirava fuori dal cassetto un registro rosso fiammante, nuovo di zecca. Firmò attentamente quello di classe, si sistemò la camicia bianca, di cui portava le maniche arrotolate fino ai gomiti, e finalmente ci guardò.
<< Buongiorno, ragazzi. Come avrete capito, sono il sostituto del professor Mancini, che ha deciso di godersi la sua meritatissima pensione. Immagino che abbiate delle domande per me. >>
Sofia, la reginetta della classe, alzò la mano con un sorriso accattivante. Lui le fece segno di parlare mentre le labbra rosse e perfette si aprivano in un gran sorriso, scoprendo una chiostra impressionante di denti candidi e perfetti.
<< Quanti anni ha, prof? >>
Si levò un coro di risatine, mentre Evans si appoggiava alla cattedra, incrociando le gambe fasciate da jeans scuri. Era vestito proprio come uno di noi, come uno studente, anche piuttosto figo.
<< Ne ho venticinque. Qual è il tuo nome? >>
Lei fece un altro sorrisetto, sicura del proprio fascino. << Sofia Cardi. >> rispose, sbattendo le ciglia con aria civettuola, sotto lo sguardo torvo di Edoardo, follemente innamorato di lei – ovviamente non ricambiato – fin dal primo anno.
<< Lei è americano? >> chiese qualcun’altra, probabilmente Monica, la migliore amica di Sofia.
Scosse la testa. << Nel caso non fosse evidente dal mio accento, sono inglese, di Londra. >> rispose, forse con una punta di ironia che mi fece sorridere sotto i baffi.
Mi voltai per guardarla: arrossì e abbassò la testa, mormorando qualche scusa.
Decisi di fare una domanda io. Lo guardai negli occhi, essendogli proprio davanti, e lui ricambiò il mio sguardo, forse curioso, forse infastidito.
<< Che università ha frequentato? >>
Sorrise, soddisfatto. << Una domanda molto interessante, signorina …? >>
<< Ronnie Diamante >> risposi, sistemandomi i capelli ramati sulle spalle.
Annuì, e si sfregò le mani. << Mi sono laureato all’Università di Oxford, che sicuramente voi tutti conoscete.>>
I miei occhi si accesero di entusiasmo: il mio sogno era andare ad Oxford a studiare!
<< E, mi dica, com’è? I corsi sono difficili? Secondo lei le possibilità per uno studente straniero sono molto basse? >> chiesi, a raffica, mentre i miei compagni iniziavano a parlottare. Sentii qualche risata.
Sembrò sorpreso dal mio entusiasmo, inclinò la testa di lato e sorrise. << Credo che sia l’università migliore d’Europa, e per gli studenti meritevoli, signorina Diamante, anche se stranieri, le porte sono sempre aperte.>>
Il modo in cui pronunciò il mio cognome, con un tipico accento londinese, mi fece sorridere. Si vedeva che era da poco in Italia.
<< Prof, è fidanzato? >> ci interruppe Sofia, scatenando l’ilarità generale. Vidi Claudio che tirava una gomitata a Matteo, sussurrandogli qualcosa che non sembrava nulla di lusinghiero nei suoi confronti.
Alzai gli occhi al cielo. Sempre la solita civetta.
Evans sembrò infastidito dalla sua domanda, ma non fece una piega e rispose, tranquillamente: << No, non sono fidanzato. Se lo fossi stato, non avrei lasciato Londra. >>
Lei rise, divertita, e gli fece l’occhiolino, mentre la fissavo con aria disgustata. Provarci in quel modo, davanti a tutti, con un professore, per di più … bè, ai miei occhi suonava assolutamente maleducato e vergognoso.
<< Le ragazze inglesi devono essere molto cieche o molto addormentate, Lucas. >> disse, con quello che avrebbe dovuto essere un tono seducente.
Quella volta non rise nessuno, tutti gli sguardi erano puntati su di lei, che non solo aveva continuato a fare la gattamorta con lui, ma che oltretutto lo aveva chiamato con il suo nome di battesimo.
Questo sembrò infastidirlo molto: batté una mano sulla cattedra, decisamente irritato.
<< Gradirei molto se evitaste di usare il mio nome di battesimo, signorina. Preferirei che mi chiamaste professore come fanno tutti i vostri compagni. Sono sicuro che non accadrà più. >> disse, freddo e tagliente, fissandola torvo.
Lei arrossì vistosamente e chinò il capo. << Mi scusi. >> mormorò, e mi venne da ridere.
Iniziavo ad ammirare il nuovo insegnante, soprattutto per come aveva zittito Sofia: ero sicura che non si sarebbe mai più permessa tanto, dopo essere stata ripresa davanti a tutti. Per di più, non avrebbe potuto lamentarsi né accusarlo di niente davanti a qualche compagno o amico : tutti i presenti le avrebbero detto che Evans aveva ragione, lei aveva proprio esagerato.
Dopo aver risposto a qualche altra domanda, lui si sedette di nuovo alla cattedra, e iniziò a spiegare il programma, assolutamente interessante rispetto a quello che ci avrebbe proposto Mancini: quasi totalmente incentrato sulla letteratura inglese, con ampi spazi dedicati a Shakespeare, Austen e Brontë. 
Intuii che il prof doveva nutrire un particolare amore per alcuni degli autori: Mancini avrebbe dedicato molto meno a Shakespeare, ma avrebbe quasi sorvolato sulla Austen e avrebbe dato qualche sporadico cenno alla Brontë, concentrandosi soprattutto sulla letteratura francese e russa.
Decisi che Evans mi piaceva, come insegnante. Sì, era giovane, ma sapeva il fatto suo, e per di più, oltre a d avere i miei stessi gusti letterari, il fatto che si fosse laureato ad Oxford lo innalzava ancora di più ai miei occhi.
Quando la lezione finì, mentre tutti si catapultavano fuori dalla classe per godere dell’intervallo, io misi a posto con calma i miei libri, e quando alzai la testa vidi che mi fissava, soprappensiero.
Quando se ne accorse mi sorrise, e si alzò, venendo vicino a me. << Signorina, mi sembra di aver capito che le piacerebbe frequentare Oxford.>>
Annuii energicamente. << Oh, sì, signore! Mi piacerebbe davvero moltissimo! Ho sempre pensato che sarebbe stato bellissimo poter frequentare la facoltà di lettere di Oxford …>>
<< Il suo inglese è davvero perfetto, mi sorprende. >> si complimentò, inclinando la testa da un lato. << Ha anche un buon accento britannico. Uno dei suoi genitori è madrelingua?>>
Scossi la testa, passandomi una mano fra i capelli. << No, signore. Però mia madre lo parla bene, e fin da quando ero piccola ha cercato di farmelo imparare, parlandomi in inglese il più possibile. Successivamente mi ha fatto seguire dei corsi per il perfezionamento della lingua e dell’accento, ma la maggior parte di quello che so lo devo a lei. E fin ora, mi è sempre tornato utile. >> aggiunsi, con un timido sorriso.
Era davvero molto alto, all’incirca una ventina di centimetri più di me, perlomeno. Infatti, ero costretta a tenere il mento sollevato per poterlo guardare in faccia.
Sospirò, soddisfatto, e il suo respiro dolce mi inondò il viso, facendomi rabbrividire.
<< Ah, non sa che bello poter finalmente ascoltare qualcuno che dica più di quattro parole in croce, per di più con un pessimo accento. A volte riesco a stento a trattenermi dal correggerli. >>
Risi, divertita. << Sì, in effetti ha ragione, noi italiani non abbiamo un grande accento, quello della nostra lingua madre risulta molto pesante! >>
Annuì, ridendo anche lui. << Effettivamente sì, ma il fare domande, se mi permette, poco argute non rende di certo più piacevole la conversazione, per quanto possa essere bello, almeno per voi signore, perdersi in argomenti frivoli.  Anzi, a mio parere rende un discorso ancora più fastidioso e deprimente di quello che sarebbe stato altrimenti. >>
Quasi mi persi nei suoi ragionamenti, più che altro perché quando parlava le parole sembravano scivolare dalla sua bocca come dotate di vita propria, e non riuscivo bene a concentrarmi sul concetto che voleva esprimere.
<< Non posso darle torto, ma lei è stupito perché ancora non conosce le persone in questione. >>
Rise della mie espressione esasperata, e arricciò le labbra. << Immagino che queste persone non le vadano molto a genio. >>
Alzai gli occhi al cielo. Parlare con lui era davvero facile, naturale, quasi come respirare. << Immagina bene. Raramente non mi verrebbe voglia di far diventare muta una di loro, perlomeno per provare come sarebbe la mia vita se ci fosse più silenzio. >> sbuffai, mentre lui tratteneva le risate.
<< Non posso che trovarmi d’accordo. >> commentò, con un ghigno.
Dopo un attimo di silenzio per nulla imbarazzato, anzi, molto rilassato, mi ricordai quello che dovevo dirgli.
<< Oh, professore, trovo il suo programma molto interessante. Ho sempre pensato che Mancini avrebbe dedicato poco tempo alla Austen e a Shakespeare.>>
I suoi occhi cerulei si illuminarono. << Le piace Shakespeare? Qual è la sua opera preferita? >>
<< Sembrerò prevedibile, ma ‘Romeo e Giulietta ’ è quella che preferisco in assoluto. >>
Sorrise e chiuse gli occhi.
<< Oh, ma quale luce irrompe da quella finestra lassù? Essa è l'oriente, e Giulietta è il sole.
Sorgi, bel sole, e uccidi l'invidiosa luna già malata e livida di rabbia, perché tu, sua ancella, sei tanto più luminosa di lei. Non servirla, se essa ti invidia; la sua veste virginale e d'un colore verde scialbo che piace solo agli stupidi. Gettala via!
Ma è la mia dama, oh, è il mio amore! Se solo sapesse di esserlo! Parla eppure non dice nulla.
 Come accade? È il suo sguardo a parlare per lei, e a lui io risponderò. No, sono troppo audace, non è a me che parla.>>
<<…  Due delle più belle stelle del cielo devono essere state attirate altrove e hanno pregato gli occhi di lei di scintillare nelle loro orbite durante la loro assenza. E se davvero gli occhi di lei, gli occhi del suo volto, fossero stelle? Tanto splendore farebbe scomparire le altre stelle come la luce del giorno fa scomparire la luce di una lampada: in cielo i suoi occhi brillerebbero tanto che gli uccelli si metterebbero a cantare credendo che non fosse più notte.>> completai, sotto il suo sguardo attonito.
Mi fissò, a lungo, con un’espressione che non seppi decifrare.
<< E’ una delle mie preferite. >> confessai, leggermente rossa di vergogna.
<< E’ anche una delle mie preferite. >>
Il suono della campanella, acuto e stridente come il verso di un uccello, mi fece sobbalzare.
Lui sembrò riscuotersi, prese la giacca e il registro e mi salutò. << E’ stato un vero piacere, signorina. Le auguro una buona giornata. >>
Ricambiai il suo saluto, mentre, ancora mezza stordita, mi lasciavo cadere sulla sedia. I miei compagni iniziarono a rientrare in classe, alcuni in gruppetto, altri soli.
Alex si fiondò nel posto accanto al mio.
<< Allora, com’è questo Evans? >> mi chiese, curiosa, sistemando la borsa sulla sedia.
<< Giovane, ha venticinque anni! E si è laureato a Oxford, capito?! >>
Spalancò gli occhi. << Cavolo … com’è, carino? >>
Annuii energicamente. << Sì, davvero bello, biondo con gli occhi azzurri. >>
Si morse un labbro, ridendo. << Accidenti, mi dispiace proprio essermelo perso! Comunque, già si dice in giro che abbia dato una lezione a Cardi! >>
Risi e iniziai a raccontarle quello che era successo, mentre il professore dell’ora successiva chiudeva la porta della classe e iniziava la lezione.
 
<< Allora, Ronnie, di che avete parlato tu e il prof, durante l’intervallo? >>
La voce acuta di Sofia mi arrivò da dietro di me. Sospirai, e mi voltai.
<< Niente, mi ha solo raccontato un po’ di cose su Oxford … nulla di che. >>
Inarcò un sopracciglio. << Ma davvero … scommetto che già hai perso la testa per lui, allora. Shakespeare e Oxford? Il tuo ragazzo ideale. >> mi schernì, mentre le sue amichette ridevano come delle oche.
<< Perlomeno non mi ha chiesto di smetterla di provarci con lui davanti a tutti. >> ribattei, sbuffando divertita.
Divenne rossa di rabbia. << Bè, comunque era solo un gioco. E’ troppo secchione e cervellotico per me. >>
Annuii, con finta accondiscendenza. << Certo, certo, lo immagino. Voglio dire, è proprio brutto … >>
Stizzita, si voltò e alzò i tacchi. << Su ragazze, andiamo. >> disse, portandosi via le sue amiche.
Sospirai e uscii dalla scuola, avviandomi verso casa.
Stavo camminando persa fra i miei pensieri finchè una voce familiare non mi riscosse.
<< Signorina? >>
Alzai la testa e mi ritrovai davanti proprio l’oggetto dei miei pensieri, alla guida di un’auto nera, sportiva.
Il finestrino era abbassato e lui si sporgeva in fuori per parlarmi, con un paio di occhiali da sole sulla testa.
Era dannatamente bello, pensai, stordita dal suo sorriso.
<< Salve, professore! Come mai è ancora qui? >>
<< Dovevo sistemare un paio di cose con gli altri professori di inglese. >> mi spiegò, sorridendo. << E’ tutto okay? Mi sembrava abbastanza triste, prima. >>
Arrossii. << No, è che ero solo soprappensiero. Non ero triste, non si preoccupi. >>
<< Se lo dice lei … per caso gradirebbe un passaggio fino a casa? Non ho nulla da fare, e sarebbe un vero piacere. >> si offrì, e mi fece totalmente uscire di testa.
<< E’ molto gentile da parte sua, ma la mia casa è proprio qui vicino. >> risposi, sinceramente dispiaciuta.
<< Ah. Allora a domani, buona giornata. >> disse, deluso. Mi sorrise e alzò il finestrino, sgommando via.
Rimasi per qualche secondo immobile, in attesa che i neuroni riprendessero a lavorare.
Barcollai come una matta, e una signora anziana, sull’ottantina, con lo sguardo preoccupato mi chiese se avevo bisogno di aiuto.
<< Grazie, signora, ma va tutto bene. Sono solo stanca. >>
La vecchina mi sorrise dolcemente, e io ripresi la strada di casa.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Occhi di Ghiaccio ***


Capitolo 2: Occhi di Ghiaccio




Crunch, crunch, crunch.
Il lieve rumore che proveniva dalla bocca della mia amica Alex – che stava divorando patatine durante la lezione – interruppe i miei pensieri.
<< Ehi, si sente? >> mi bisbigliò, preoccupata che il prof potesse sentirla.
<< No, non tanto. >> risposi. Effettivamente era vero, però quel lieve rumore era bastato per riprotarmi alla realtà.
<< Senti, sembri pensierosa. >> disse lei, smettendo di mangiare per qualche secondo.
<< Sì, stavo pensando a lui. >> ammisi, girandomi immediatamente verso la cattedra e fingendo di essere impegnatissima a prendere appunti.
Lo sguardo minaccioso del prof passò altrove, e io sospirai di sollievo.
<< Lui chi? >> s’informò lei, leccandosi le labbra sporche di sale.
<< Luc … Evans. >> Mi corressi all’ultimo minuto, ignorando lo sguardo sospettoso della mia migliore amica.
<< Oh, mamma, siete tutti Evans qui, Evans là … si può sapere che accidenti ha di tanto speciale? >> borbottò lei, contrariata perché tutti lo conoscevamo tranne lei.
<< Ah, bè, lo capirai appena lo vedrai. >> risposi, sorridendo con una punta di malizia.
Lei sbuffò e si dedicò di nuovo al suo pacchetto – ormai mezzo vuoto – di Crick Crock, mugugnando qualcosa di incomprensibile.
Risi tra me e me, e in quel momento la campanella suonò.
<< Ah, finalmente l’Orco ha finito! >> sospirò lei, sollevata.
L’Orco era il soprannome che Pira, il nostro prof di Scienze, si portava dietro da sempre.
Immediatamente iniziò il fracasso, provocato dai nostri ‘carissimi’ compagni di classe, che coprì anche i saluti del prof.
<< Ma quand’è che arriva sto benedetto Evans? >> sbottò Alex, dopo cinque minuti di impaziente attesa.
<< Eccolo. >> risposi, indicandolo proprio mentre entrava in classe.
Quella volta aveva una tshirt azzurra e un paio di jeans neri che lo facevano apparire un dio greco.
<< Oh. Porca. Miseria! >> disse la mia adorata compagna di banco, spalancando gli occhi. << Oh, mamma, mamma, mamma! Dio, quant’è figo! >>
<< Lo so. >> dissi, con malcelato orgoglio … Lei mi fissò stranita, ma in quel momento il prof la notò.
<< Signorina, non mi sembra di averla vista, due giorni fa. >> disse, sorridendo cortese.
Lei arrossì violentemente e balbettò: << Sì, prof, io sono Alex Lovìa. >>
Lui le sorrise di nuovo, rassicurante. << Benvenuta, signorina Lovìa. >>
Qualcuno iniziò a bisbigliare e si udì qualche risatina. << Silenzio, per favore. >>
Evans riuscì a far calare il silenzio sulla classe, e tornò alla cattedra per firmare il registro.
Alex  si girò verso di me, con gli occhi ancora spalancati.
<< OH. MIO. DIO! Ma quant’è bello? Che occhi! Ora capisco … >>
Risi e mi sistemai i capelli, come sempre quando ero nervosa. << Eh, lo so. >>
<< Ti piace, vero? >> sussurrò, fingendo di prendere appunti mentre Evans iniziava a spiegare.
Mi ricordai che lei riusciva a capire come stavo anche solo con uno sguardo.
<< Ehm … >> balbettai, alzando gli occhi e perdendomi nella figura scultorea del mio professore. Che occhi, che corpo! E poi, le sue labbra, così piene, così perfette … Immaginai come dovesse essere sentirle sopra le mie, e le sue mani sul mio corpo …
<< Bè, anche io ci farei pensieri impuri su di lui. >> commentò lei, leccandosi le labbra con malizia.
La sua voce interruppe i miei pensieri e arrossii fino alla punta dei capelli. Oh, PORCA MISERIA.
<< Alex … io … dai … >>
Le ridacchiò e puntò lo sguardo sul didietro del professore, che stava scrivendo alla lavagna.
<< Guarda che panorama! Ha un cul … >>
<< Ahh! Non voglio sentire! >> la interruppi, arrossendo di nuovo.
<< Vuoi forse dirmi che non stavi facendo pensieri pervertiti su di lui? >> chiese con nonchalance.
 << Perché dovrei? È bello, ma c’è di meglio. >> ribattei, cercando di salvarmi la faccia.
Iniziai a tormentarmi i capelli, sentendomi come se fossi tornata bambina. Oh, accidenti!
<< Ah, ecco perché non gli stacchi gli occhi di dosso. >>
Ecco, grandioso. Grandiosa figura di merda.
<< Lo guardavo perché è bello. E ha un buon profumo. >> mi difesi, punta sul vivo, cercando di sembrare indignata.
Lei alzò il viso dai suoi pseudo – appunti e mi fissò con un’espressione inorridita che, in un altro contesto, mi avrebbe fatta sbellicare dalle risate.
<< Lo sai che hai una mente deviata, vero? >>              



<< Ok, ok. Va bene! >> mi arresi alle richieste insistenti di Alex che mi spingeva a parlare con lui.
<< Senti, è un dio, ti piace e sembra interessato a te. Mica te lo devi sposare! >>
La sua logica era inoppugnabile, così sospirai e le baciai sulla guancia.
Lei mi mostrò il pollice alzato con un sorriso a trentadue denti, e uscì dalla classe, lasciandomi sola con Evans.
<< Oh, signorina Diamante. >>
La sua voce mi giunse da dietro e sussultai.
<< Ronnie. >> lo corressi automaticamente, senza voltarmi, con il cuore in gola.
<< Ronnie. >> ripeté.
Il modo in cui la sua voce calcò sul mio nome mi fece venire i brividi.
<< Ronnie è il diminutivo di … ? >>
<< Veronica. >> risposi, e mi voltai.
Immediatamente i suoi occhi, così chiari, così incredibilmente affascinanti, attirarono i miei, e per un attimo mi persi in quell’azzurro così maledettamente attraente. Sembrava che nei suoi occhi ci fosse tutto il mondo.
<< Oh, Veronica. È un bellissimo nome. >> sospirò, e per un attimo temetti che non sarei più riuscita a parlare.
Adorai il suo accento inglese, e fece sembrare il mio nome molto più bello di quello che era.
<< Gr-grazie. Anche il suo nome è molto bello. >> risposi, con il fiato corto.
Che cosa accidenti mi stava facendo? Io non mi facevo incantare così dai primi occhi azzurri che vedevo, dannazione!
<< Lucas? A me non è mai piaciuto particolarmente, sa? >>
Osservai le sue labbra muoversi, scoprendo i denti assurdamente perfetti, e per un attimo mi venne voglia di allungare una mano e sfiorargli quella bocca che avrebbe fatto uscire di testa qualsiasi donna.
La mia mano si allungò automaticamente, ma la dirottai verso i miei capelli, maledicendomi mentalmente.
<< Invece penso che sia davvero bello, mi piace! >> ribattei, riprendendo il controllo dei miei pensieri.
Mi sorrise, arricciando il naso in un modo adorabile. Incrociò le caviglie, come lo avevo visto fare la prima volta che era entrato in classe.
<< Davvero le piace? Ho sempre pensato che fosse brutto, ma se mi dice così … >>
Di nuovo mi ritrovai a fissargli le labbra, e quando me ne accorsi deglutii e strinsi la mano a pungo.
Era così bello, così perfetto … stentavo a credere che una persona come lui esistesse realmente. Era bello, intelligente, spiritoso e affascinante, eppure non era fidanzato! Che fosse … ?
No, assolutamente no, pensai. Non credo che sia gay.
Già, sarebbe un vero peccato’. La mia coscienza parlò per me. Sarebbe stato un vero spreco!
<< S-sì. È uno dei miei nomi preferiti, ma all’inglese è ancora più bello! >>
<< La lezione è finita, puoi darmi del tu. >> mi sussurrò, catturando di nuovo i miei occhi nei suoi.
Si sporse in avanti verso di me, facendomi arrivare alle narici il suo profumo, dolce eppure muschiato.
<< Se non ti da fastidio, ovviamente. >> aggiunse precipitosamente, aggrottando le sopracciglia, preoccupato.
Il mio stomaco iniziò a fare le capriole, e deglutii, continuando a fissare i suoi occhi, diventati incredibilmente dolci e caldi.
<< Non … non mi da fastidio. >>
<< Sembra imbarazzata. >> ribatté, arricciando le labbra.
Oh, accidentaccio!
Non devo farmi prendere dal panico, non devo farmi prendere dal panico, continuai a ripetere nella mia mente, cercando disperatamente una buona scusa per spiegare il mio – evidentemente chiarissimo – imbarazzo.
<< Non si preoccupi, non volevo metterla a disagio. >> si scusò. La sua voce era più bassa, sembrava sinceramente dispiaciuto. E … quella voce era maledettamente sensuale.
Aveva ragione Alex, avevo una mente deviata! Stavo facendo pensieri pervertiti sul mio professore di letteratura! Bè, comunque ne avevo tutte le ragion … ok, la situazione stava diventando preoccupante.
<< E’ sicura di sentirsi bene? >> mi chiese lui, chiaramente preoccupato.
Mi accorsi che ero rimasta in silenzio, immersa nei miei pensieri impuri su di lui, facendo la figura della pazza.
<< Mi scusi! Ero … distratta! >> spiegai impetuosamente, arrossendo per la millesima volta.
<< Oh, ecco … a cosa stava pensando, se mi permette? >>
Ecco, grandioso.
<< Io … stavo pensando … che lei mi dovrebbe dare del tu! >>
Sembrò deluso, e arricciò nuovamente le labbra, apparentemente scontento.
<< Bè, lei mi sta dando ancora del lei … >>
Ops. Ero un disastro!
<< Scusami, mi dimentico facilmente le cose. Sono un caso disperato. >> sbuffai, avvilita.
<< Non si … non preoccuparti. Succede. >>
Mi sorrise, e desiderai di potermi perdere nelle sue labbra. La testa iniziò a girarmi, e cercai disperatamente di aggrapparmi a un banco per non cadere.
A un soffio dal pavimento, lui mi afferrò da un braccio, salvandomi da una rovinosa caduta.
Il suo viso era incredibilmente vicino al mio, e per un attimo pensai che mi avrebbe baciata. I suoi occhi erano spalancati dalla sorpresa, sembravano ancora più grandi di quello che erano. Erano incredibilmente dolci e spiazzati, e mi fecero tenerezza.
Li guardai di nuovo e capii di che colore erano: lo stesso azzurro pallido, quasi bianco, che ha il cielo durante alcune giornate di sole.
Dalla sua mano, stretta sul mio braccio, sembravano partire scosse elettriche che raggiungevano ogni parte del mio corpo, e che mi stordivano all’inverosimile.
Senza che me ne accorgessi, allungai una mano e gli sfiorai una guancia con la punta delle dita.
Quel gesto avventato sembrò riscuoterlo: mi fissò negli occhi ancora per un attimo, poi mi lasciò il braccio e si ritrasse, voltandosi di scatto.
<< Credo che lei debba andare. >> disse, freddo e distaccato, come se tutto il nostro dialogo precedente non fosse mai esistito. Capii che era un ordine dal modo in cui la sua voce calcò sull’ultima parola.
Si girò verso di me, i suoi occhi erano gelidi, sembravano di ghiaccio, avevano perso tutta la dolcezza che avevo intravisto poco prima
Sobbalzai, spaventata dal suo repentino sbalzo d’umore, e annuii. << S-sì, certo, mi scusi. Devo andare. >>
Sperai che mi chiamasse, che mi spiegasse, ma non lo fece.
Lasciò semplicemente che me ne andassi, lasciandolo lì, in quella classe disordinata, con le mani strette a pugno e un’espressione indecifrabile sul viso.

Flar's Notes *****************************

Salve, gente! Rieccomi con un'altra - ennesima - storia *-*
Questa mi piace particolarmente, e spero che piaccia allo stesso modo anche a voi.
Lucas e Ronnie sembrano affiatati, eppure la reazione di lui è quasi inspiegabile. Perchè fa così, cos'è che lo spinge a rifiutare le attenzioni di Ronnie, che si suppone desideri? Mah, lo scopriremo insieme!
Un bacione,
Flar

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Capitolo 3
*** Quando il Passato ritorna ***


Capitolo 3: Quando il Passato ritorna






<< Veronica! >>
E adesso che c’è?, mi chiesi sconsolata, fermandomi, ormai rassegnata all’aver perso la mia mezz’ora in compagnia del mio iPod.
Spensi la musica, sospirando, e mi voltai.
Oh, ora si spiegava tutto. Ecco Alberto Re-dei-Nerd Santini con quel botolo del suo insopportabile coniglio peloso con problemi mentali – Puffy, il mostriciattolo, era convinto di essere un cane, e così Santini e la sua famiglia lo trattavano come tale. Lo so, è da folli. Ma i Santini tutto erano tranne che normali.
Lui mi rivolse un sorriso a trentadue denti, neanche fossi un’apparizione. Ma, in fondo, era Santini, perciò nulla di strano. Strano è un eufemismo, parlando di lui.
<< Ehm, ciao, Santini. Come mai già in piedi? >> gli chiesi, con un sorriso tiratissimo, di cui non sembrò accorgersi.
Dio, quanto detestavo quando mi chiamavano Veronica! Io odiavo il mio nome, e trovavo che Ronnie fosse molto più carino. Veronica  era troppo da spocchiosa snob e con la puzza sotto il naso, a mio parere.
Intanto stavo pensando al modo più cortese di scappare via dal coniglio matto e dal suo padrone squilibrato, valutando se fosse meglio dirgli che avevo un’intollerabile voglia di correre per l’isolato, oppure fingere di avere un mancamento.
<< Dovevo portare a spasso Puffy. >> rispose, guardando con adorazione quella palla dal colore indefinito. << Tu, invece? >>
<< Mi sono svegliata presto e ho deciso che un po’ di aria fresca non mi avrebbe fatto male. >>
Tentai di sorridergli, reprimendo l’impulso di sistemargli quegli occhialetti tondi, che gli stavano per cadere dal naso. Sorrise di nuovo e si leccò le labbra, facendomi inorridire. Mica ci avrebbe provato con me, vero?!
 << E’ da un po’ che non parliamo, noi due. >> esclamò, facendomi sobbalzare, dopo un lungo e imbarazzato silenzio.
Perché, era mai esistito un ‘noi due’?
<< Eh, già. >>
Risposta del secolo. Ma era tutto quello che potevo tirar fuori, dopo aver passato una notte insonne pensando al comportamento da pazzo di… no, non ci dovevo pensare.
<< E’ passato tanto tempo da quando ci siamo conosciuti, vero? >> sparai improvvisamente, senza neanche pensarci, tentando di distrarmi.
Io e Santini frequentavamo le stesse scuole dall’asilo, ma non eravamo mai stati particolarmente amici, per sua grande tristezza.
Un suo lato positivo? Potevi dirgli qualsiasi cosa, confessargli di essere un serial killer, dirgli che avevi intenzione di sposare Brad Pitt, e non avrebbe fatto una piega, ti avrebbe sostenuto e incoraggiato in ogni caso. Era la persona perfetta con cui parlare se avevi improvvisi momenti di follia: tanto, più matti di Alberto non si poteva essere.
Infatti, alla mia domanda assolutamente insensata, rispose con un altro – ennesimo – sorriso, mettendo in mostra il suo apparecchio alla Willy Wonka quand’era bambino. << Già, sbaglio o la prima volta che ci siamo parlati avevamo entrambi tre anni e stavi piangendo perché Galante e quel suo amico deficiente, Arcangeli, ti avevano attaccato una gomma da masticare ai capelli? >>
Arricciai le labbra, e risi. Avevo dimenticato quel particolare, in fondo non avevo una memoria del genere… bè, Santini era una specie di Einstein, un genio, quindi non mi sorpresi più di tanto.
<< Già, quei due sono amiconi già da allora, eh? >> chiesi, incredula.
Stranamente, i due non erano mai stati bocciati, e quindi ci eravamo ritrovati a frequentare anche il liceo assieme.
Nella mia classe eravamo in venti, di cui dieci erano miei vecchi compagni. Era normale, dopotutto, visto che le nostre famiglie erano molto amiche fin da quando i nostri genitori frequentavano l’università.
Lui alzò gli occhi al cielo, alzando le mani esasperato. << Li preferivo all’asilo, sai? Adesso fanno di peggio, che attaccare gomme ai capelli delle ragazze … ma già da lì avremmo dovuto capire i tipi. >>
Risi di nuovo, aveva un’espressione davvero comica. Non ricordavo che Santini potesse essere così .. bè, normale. Di solito parlava per enigmi!
Anche lui rise, e poi si passò una mano fra i capelli biondicci, che teneva cortissimi, quasi a spazzola. Bè, perlomeno non aveva i capelli unti.
Non era brutto, Santini. Era solo … bambino. Un eterno Peter Pan, non si era mai staccato dalla sua playstation e dal suo malvagio coniglio-cane, e non sembrava farsi alcun problema.
<< In effetti sì. All’asilo Galante me lo avrà chiesto minimo cinquecento volte, di diventare la sua fidanzata! Alla fine gli dissi di sì, solo che due giorni dopo scoprii che si era fidanzato anche con Sofia, e lì finì la nostra grande amicizia. >> declamai, in tono tragico.
Galante era un idiota e lo sarebbe sempre stato. Solo perché era carino, ricco e strafottente pensava di avere il mondo in mano. Se fossimo stati in un libro, mi sarei innamorata di lui, lui sarebbe cambiato per me, e avremmo avuto il nostro “per sempre felici e contenti”,  ma fortunatamente non era successo – e mai sarebbe accaduto, poco ma sicuro.
<< Bè, succede. >>
In quel momento, il coniglio-cane, che era rimasto fino a quel momento buono e calmo – un vero miracolo – a leccarsi il pelo, iniziò a dare di matto, e a iniziare a tirare il guinzaglio. Sì, avete capito bene, Santini portava sempre, tutte le mattine, il suo botolo a fare una passeggiata… con il guinzaglio, proprio come se fosse stato un cane.
<< Ehi, Puffy, stai buono, bello. >> tentò di tranquillizzarlo Santini.
Bello?! Eh, come no! Se quella vecchia palla di pelo puzzolente era bella, io ero Babbo Natale.
Il dolce coniglietto sembrò intuire i miei pensieri, perché si sarebbe avventato sulle mie gambe, se non avesse avuto il guinzaglio.
Lo guardai con sfida, mentre Santini lo vezzeggiava e lo prendeva in braccio, come se fosse stato un bambino piccolo.
Ma era possibile che non capisse quanto era malvagia quella bestiaccia?!
<< Uhm, Santini, credo che sia meglio che torni a casa … sai, devo cambiarmi le scarpe e fra un po’ dobbiamo andare a scuola. >>
Dopotutto, erano le sette e mezza, avevo tutto il tempo di tornare a casa e cambiarmi con calma, ma sperai che non si ricordasse che vivevo a due passi dal liceo.
Era meglio evitarli, lui e il suo cane-coniglio.
<< Certo, certo, Veronica, tanto anche Puffy deve tornare a casa, si sta infreddolendo qui fuori. Non è vero, Puffy? >> chiese, parlandogli come se quel coso fosse intelligente, guardandolo con profonda adorazione e riverenza.
Okay, era definitivo. Era matto. Come accidenti faceva ad avere freddo, sotto tutto quel pelo???
Il conigliastro, dal canto suo, sembrò soddisfatto, e strofinò il muso peloso sulla faccia di Santini.
Rabbrividii di disgusto, fingendo un sorriso estasiato.
<< Vuoi tenerlo un po’ in braccio, Veronica? È un coniglio molto socievol … >>
Oh, no, ci mancava pure quello!
<< No, no, tranquillo, devo scappare, ci vediamo a scuola. Ciao! >> esclamai precipitosamente, interrompendolo, per evitare una spiacevole situazione.
<< Sì, ok. >> rispose, senza essere neanche turbato, e tornò al suo delizioso animaletto.
Era definitivo, quel coniglio aveva una malsana influenza su di lui.
Ma che accidenti di persone conoscevo???
 

<< Veronica, dove sei stata? >>
Ecco, perfetto. Ci mancava solo quella scimmia di mia sorella Giada!
La sua vocetta stridula era esattamente quello che non avrei mai voluto sentire alle otto meno un quarto de sabato mattina.
<< Ero andata a fare una passeggiata, ora mi cambio e vado a scuola. >> risposi, senza neanche voltarmi.
Scelsi un paio di jeans decenti, mentre la streghetta mi seguiva.
<< E perché sei andata a fare una passeggiata? >> insistette, sospettosa, con le mani sui fianchi, neanche fosse stata mia madre.
<< Perché mi andava, ora sparisci, mi devo cambiare. >>
Lei sbuffò rumorosamente, ma non replicò, e uscì dalla mia stanza, con uno svolazzo dei capelli legati in due codini.
Mi vestii con calma, e diedi una ripassatina al trucco, guardandomi attentamente allo specchio. Ero indecisa se tenere i capelli legati oppure no, ma alla fine li lasciai sciolti. Mi accorsi che erano diventati proprio lunghi, mi arrivavano quasi a metà schiena, come una colata rame fuso.
<< Stai bene. >>
Sobbalzai sentendo la voce profonda di mio padre, ma poi gli sorrisi.
<< Grazie, papà. >>
Sorrise anche lui, sistemandosi la giacca. << Di niente, piccola. >>
Mi voltai e gli posai un bacio sulla guancia, prima di prendere il mio beautycase dal lavandino.
<< Vado a scuola, ci vediamo per pranzo. >> lo salutai, ma scosse la testa, passandosi una mano fra i capelli ormai brizzolati.
<< No, oggi sono in facoltà, torno più tardi. >>
<< Ok, va bene allora ci vediamo dopo. >>
Sorrise per un attimo e poi avanzò a passi pesanti verso il soggiorno, mentre io infilavo il beautycase nella mia borsa, e afferravo la giacca dalla sedia dove l’avevo posata pochi minuti prima.
<< Non fai colazione? >> mi chiese Giada, fermandomi quando ero ormai sulla porta di casa.
<< No, piccola spia, farò colazione al bar. >> sospirai, mentre lei gongolava soddisfatta di quell’appellativo, lisciandosi i capelli castani. Doveva essere un vizio di famiglia.
Il pigiama rosa con gli orsacchiotti in quel momento la fece sembrare proprio bambina, nonostante avesse dodici anni appena compiuti. Non che i codini aiutassero molto.
<< Okay, ciao. >> mi defilai, e uscii, preparandomi mentalmente alla mia giornata.
In fondo, erano solo quattro ore, avrei potuto resistere. Già, quattro ore … di cui una con lui.
Chi era quel deficiente che aveva messo due lezioni di Letteratura di seguito?!
 

<< Allora, tu e Evans? Ieri mica mi hai detto tutto, eh! >> si lamentò Alessia, tirando fuori il suo lato pettegolo. << Dai, racconta. >>
Sospirai, era inutile cercare di farla demordere. << Niente, Alex, te l’ho detto, non c’è stato niente. >>
La sera prima avevamo parlato al telefono, e le avevo raccontato più o meno la verità, tralasciando il suo saluto – se poteva chiamarsi così – e della mia quasi caduta.
Lei, per tutta risposta, sbuffò, infilandosi un enorme pezzo di Kit Kat in bocca.
<< Dai, non ci credo! Davvero, niente di niente? >>
<< Niente. >> decretai, e lei si sciolse un po’.
Si era tagliata e scurita i capelli biondi, e stava proprio bene, era impossibile negarlo. << Bè, ieri sera, dopo aver parlato con te, l’ho cercato sui Facebook … >>
Annuii, fingendomi interessata, cercando di non far trasparire che l’avevo fatto anche io … cavolo, la sua foto del profilo era da sbavo! Se non avesse aggiunto alle informazioni personali anche il mestiere, non ci avrei creduto che faceva il professore, sembrava più che altro uno di quei modelli da copertina.
<< … e l’ho aggiunto fra gli amici. >> concluse, dopo un attimo di suspense.
Rischiai di strozzarmi con la mia stessa saliva, e continuai a tossire per un trenta secondi buoni, durante i quali mi batté delicatamente una mano sulla schiena, sospirando rassegnata.
<< Tu … hai fatto cosa? >> chiesi, minacciosa, quando mi fui ripresa.
<< L’ho aggiunto su Facebook. >> ripeté, perfettamente calma e a suo agio.
Oh, no. No, non poteva essere vero, accidenti! Sperai con tutto il cuore che lui non l’avesse accettata, perché altrimenti prima o poi lei avrebbe scoperto che ci eravamo quasi baciati … ok, dire quasi era un po’ troppo, però comunque … qualcosa era cambiato, lo avevo visto nei suoi occhi! Eppure, un secondo dopo era così diverso, sembrava addirittura un’altra persona!
<< No, perché l’hai fatto? Non ti avrà mica accettata, vero? >> indagai, mentre lei continuava a mangiare i suoi Kit Kat.
<< No, non ancora. Comunque, sai che non gli parlerei mai di te, se tu non chiedessi esplicitamente di farlo… anche se la tua reazione mi lascia sospettare che sia successo qualcosa, ieri. >>
Ecco, c’ero cascata come un’oca. Se non fosse davvero successo nulla, non avrei reagito come una pazzoide. Mi ero fregata da sola.
<< Va bene, va bene, hai vinto, Alex. >> mi arresi. << Abbiamo parlato un po’, mi ha detto che fuori dalle lezioni potevo dargli del tu … >>
<< CHE COSA? >>
Tutte le persone nel raggio di tre banchi si girarono verso di noi, e io le feci segno di abbassare la voce. Dopotutto, avrebbe dovuto essere un’esercitazione di latino, serviva silenzio, anche se la prof si era allontanata dalla classe per un attimo.
<< Ah, scusa. >>
Alzai gli occhi al cielo, e sbuffai.
<< Bè, che vuoi, non puoi dirmi una cosa del genere e sperare che non reagisca, scusa, eh. >> si difese, arricciando le labbra.
<< Okay, va bene. Mi ha detto, in pratica, che fuori dalle lezioni non era necessario che lo chiamassi Professore, tutto qui, va bene? Posso continuare oppure hai altri gridolini da fare? >> chiesi, sarcastica, mentre lei mi scimmiottava.
<< Okay, Miss Permalosità, puoi andare avanti. >>
<< Non sono permalosa, è che mi da fastidio che tutti ci fissino … e non vorrei che queste cose si sapessero in giro, perciò tienitele per te, ok? >>
Lei mi fissò, fingendosi offesa. << Ehi, per chi mi hai preso? Non sono mica Sofia, eh! >>
Ci voltammo entrambe a guardarla, ovviamente si stava sistemando i capelli riccissimi, quella mattina raccolti in una treccia.
Ridacchiammo entrambe, e Alex si girò, ridendo come una scema.
<< Ehm, Ronnie, sbaglio o quello è il tuo principe azzurro? >>
Oh, no, era già passata la prima ora – e non avrei mai pensato di dirlo. Cavolo, lui era l’unica persona che non volevo vedere! Avevo paura di girarmi e incontrare i suoi occhi, freddi come l’ultima volta che mi aveva guardata.
<< Diamante dovrebbe uscire un attimo. >>
Quella non era la voce di Lucas, era la bidella! Mi voltai di scatto, c’era qualcosa che non andava.
Mi alzai come un automa, e uscii dalla classe.
Fuori di lì c’era Lucas, evidentemente corrucciato, e … no, non poteva essere! Accanto a lui c’era Hans, il ragazzo tedesco con cui avevo rotto mesi prima, che non sentivo da secoli … che era su una sedia a rotelle.
 

Flar's Notes **************************

Lo so, questo capitolo è lungo e noioso, e non è la cosa migliore che abbia mai scritto, ma voi abbiate pietà ... sono i virus della febbre che mi fanno scrivere così D:
Grazie a tutti, e lasciate anche un commentino, che non vi mangio mica ;)
Flar


PS: Non odio affatto i conigli, non pensate male... però un mio amico ha davvero un coniglio simile a Puffy! E lo tratta proprio come un cane -.-"
Ecco il Puffy della storia, per chi fosse interessata:



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Capitolo 4
*** Invisibile ***


Capitolo 4: Invisibile






 

Guardai prima Lucas, poi Hans, poi di nuovo l’altro.
<< Hans? Non capisco … >> dissi, confusa, fissando dubbiosa la gamba ingessata del tedesco.
Lucas sembrò riscuotersi dalle sue elucubrazioni apparentemente funeree, e spiegò, rapido e asciutto:
<< Non siamo riusciti a mandarlo via, dice che è il tuo fidanzato e che ti deve parlare. Ha minacciato di chiamare la polizia per maltrattamenti a un disabile, se non l’avessimo fatto entrare. >>
Guardai di nuovo Hans, incredula. << Lui non è il mio fidanzato! >>
<< Lo so, mi hai lasciato perché sono stato un idiota, ma io … >> iniziò, per poi alzarsi in piedi, sorprendendo tutti.
Automaticamente, afferrai il suo braccio, temendo che potesse cadere, ma sembrava perfettamente in grado di camminare.
<< Tranquilla, posso farcela. >> mi rassicurò, con il suo buffo accento tedesco, che alle mie orecchie suonava ancora più forte, forse perché era da tanto che non lo sentivo.
Sotto gli occhi stupefatti di tutti saltellò su un piede fino a raggiungermi, e mi accarezzò una guancia.
<< Sono stato stupido, lo so, ti chiedo scusa, davvero. Ich liebe dich, Ronnie. Ti amo. >>
<< Scusatemi, non credo che questo sia il luogo né tantomeno il momento adatto per discutere di questioni private. Signore, è pregato di tornare alla fine delle lezioni, la mia alunna ha una lezione da seguire. >> intervenne Lucas, brusco, con un tono tale che neanche il cocciutissimo Hans osò protestare.
<< Va bene, Ronnie, aspetterò che tu finisca. >> acconsentì a malincuore, e si lasciò cadere di schianto sulla sedia a rotelle. Intercettò il mio sguardo e sorrise. << Ti spiegherò tutto, promesso. >>
Annuii e feci ritorno in classe, seguita da Lucas.
<< Più tardi parleremo anche di questo. >> sussurrò lui, rabbioso, lasciandomi stupefatta, per poi sedersi alla cattedra e iniziare la lezione.
Era quell’”anche” a preoccuparmi. Intendeva sicuramente parlarmi del nostro quasi bacio, poco ma sicuro.
Cazzo.
Per tutta l’ora mi tormentai i capelli, arrotolandoli intorno alle dita per poi lasciarli andare, continuando a guardare l’orologio e battendo nervosamente un piede per terra.
Alex continuava a guardarmi, sbuffando esasperata, ma non fece nulla per calmarmi, sapeva che non avrebbe funzionato.
Continuai a fissare il grande orologio appeso alla parete, come se potessi far avanzare le lancette più velocemente. Il suo ticchettio, leggero ma non impercettibile, iniziò ben presto a darmi sui nervi, e, irritata, cercai qualcos’altro su cui concentrare la mia attenzione.
<< Nervosetta, Diamante? >>
La voce stridula e insopportabile  della cara e dolce Sofia mi graffiò le orecchie.
Mi voltai verso di lei e le rivolsi un sorriso finto pieno di veleno. << Oh, che cara a preoccuparsi! No, sta’ pure tranquilla, va tutto benissimo. >>
Lei mi sorrise di rimando, inviperita dalla mia risposta, e prima che potesse controbattere mi girai di nuovo, segretamente soddisfatta. Almeno si sarebbe stata zitta per un po’.
<< Bel colpo, Veronica. >> mi sussurrò Santini, dal banco accanto al mio. Ronnie, porca miseria! Ronnie, non Veronica, Ron-nie!  << E’ viola dalla rabbia. >>
Ridacchiò e poi torno ai suoi appunti, dopo che gli ebbi rivolto un sorriso rapido e leggermente irritato.
Perché continuava a chiamarmi Veronica? Sapevano tutti che lo odiavo, il mio nome intero!
<< Già, e fossi in te, aspetterei che sia fuori dalle scatole, prima di andare via da scuola. Meglio lasciare che sia arrivata a casa. >> aggiunse Alex con una smorfia.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo, ma annuii. Tanto sarei comunque dovuta rimanere per parlare con Lucas e Hans.
Dopo più o meno un altro millennio, quella dannata campanella suonò, e mi ritrovai a sperare che non fosse ancora successo. Cazzo, cosa mi avrebbe detto? E se avesse voluto dirmi che ero solo una ragazzina e che a lui non piacevo neanche un po’? Cazzo, cazzo, cazzo.
Iniziai a sudare freddo, ma non mi mossi dal mio banco, facendo segno ad Alex di andare pure.
Lui restò alla cattedra, guardò distrattamente il suo orologio – mi fermai ad osservare come il cinturino in pelle nera rendesse il suo polso tremendamente sexy -, e poi iniziò a rimettere a posto i suoi fogli, senza nemmeno degnarmi d’uno sguardo.
Mi decisi e tossicchiai per attirare la sua attenzione. Alzò la testa e annuì, con l’aria stanca, e poi si alzò, e io lo imitai.
<< Ronnie. >>
<< S-sì? >> annaspai, cercando di non andare in iperventilazione.
<< Da cosa inizio? Il tuo fidanzato oppure il … resto? >> chiese, calcando aggressivamente sulla parola ‘fidanzato’.
Cazzo.
<< Lui non è il mio fidanzato, ci siamo lasciati alla fine dell’estate. >> misi subito in chiaro.
Sembrò rabbonirsi un po’. << Va bene, ma dovrai comunque dirgli di non tornare più, non voglio problemi, ok? È la prima volta che succede una cosa simile, e fa’ in modo che non ci sia una seconda, per favore. >>
Annuii seria. << Sì, certo. Glielo dirò appena esco. Non sapevo neanche che fosse in città … lui è abbastanza impulsivo. >> spiegai, con tono di scuse. Accidenti ad Hans, cavolo! Ma proprio quel giorno doveva presentarsi a fare il teatrino fuori dalla mia classe? Cazzo, cazzo, cazzo.
Mi guardò, dubbioso. << Direi che si era capito. Per questa volta passi, ma non voglio più scenate fuori della mia classe, intesi? >>
<< Sì, certo. Non accadrà più. >> promisi, impaziente. Perché non si decideva e non la smetteva di parlare di Hans.
Mi fece un rapido cenno con il capo, soprappensiero, e si voltò, ma lo richiamai quasi subito.
<< Non dovevi parlarmi di altro? >>
Annuì gravemente e tornò a guardarmi, serio.
 << Senti. Ronnie, gradirei che tu non facessi parola di quello che è successo ieri pomeriggio … perché non accadrà più. >>
No! Non poteva dire in quel modo! L’aveva sentita anche lui l’elettricità che c’era stata tra di noi, quella sensazione nello stomaco che mi diceva che …
<< No! Perché? Non … puoi dire così ! >> esclamai, afferrandolo d’istinto per un braccio.
I suoi occhi corsero immediatamente al punto in cui lo stringevo e, con delicatezza, ma deciso, mi costrinse ad aprire le dita, e lasciai cadere la mano lungo i fianchi.
<< Sono il tuo professore, e ho sette anni più di te, Ronnie. >> mi fece notare dolcemente.
Scossi la testa, incredula. << Tra qualche mese farò diciotto anni! E poi … anche tu lo volevi. >> lo accusai, puntandogli un dito contro il petto.
Sbuffò, esasperato. << Non nego che in un’altra situazione … >> iniziò, ma poi tornò a fissarmi negli occhi, freddo e duro. << Senti, non si può. Non credo che sia corretto né dovremmo fare niente del genere. Io sono il professore e tu l’alunna, chiaro? Non cambierà nulla. >>
Non potevo crederci. Per quanto cercassi di negarlo, lui mi attraeva. Volevo conoscerlo e stare con lui.
<< Chi l’ha detto che non si può, Lucas?Sei tu a dirlo. Sai benissimo che stai solo blaterando stronzate. Sono solo scuse. Anche tu lo volevi.  >> sibilai furibonda, sputando una parola dopo l’altra, riempiendole di accusa e delusione.
Sembrò colto alla sprovvista dalla mia reazione infuriata, forse si aspettava lacrime e suppliche – che non sarebbero arrivate.
<< Io … sono il tuo professore. >> annaspò, qualcosa di valido con cui ribattere.
<< Hai solo sette anni più di me, l’hai detto tu stesso. Sono pochi. C’è gente che se ne passa quindici ed oltre. Hans me ne passa cinque. >>
Si morse le labbra, sapeva che avevo ragione. Per un attimo i suoi occhi assurdamente azzurri si addolcirono, per poi tornare di ghiaccio un secondo dopo.
<< Non sono la persona giusta per te. >> ringhiò, e quella volta fu lui ad afferrare me. << Non voglio guai, non voglio problemi. Quello che voglio è insegnare, e avere una vita tranquilla, punto. Nient’altro. Se avessi voluto questo genere di contrattempi, sarei rimasto a Londra. Voglio stare da solo, per una volta nella mia vita. Lascia stare, non sono la persona giusta. >>
<< Lo. Sai. Che. Non. È. Vero. >> sillabai, come se parlassi a un deficiente, livida di rabbia.
I suoi occhi si strinsero a due fessure, e ruggì, stringendo la presa sulle mie spalle. Era davvero arrabbiato, non pensavo che potesse farmi quasi paura. Sembrava un angelo vendicatore, bellissimo ma inarrestabile.
<< Io non voglio che tu mi giri attorno, Veronica. >> ringhiò, mentre i suoi occhi, duri e freddi come il ghiaccio, si piantavano nei miei. Scrutai  a lungo quel ghiaccio, sperando di trovarci un barlume di ripensamento, qualcosa che potesse farmi capire che mentiva, ma non trovai nulla. Era sincero. Maledettamente e schifosamente sincero. << Mi hai capito? >>
Annuii, e lui mi lasciò andare, e mi massaggiai le spalle doloranti. Presi la mia borsa e la giacca, e mi avviai verso l’uscita.
<< Non sono solo un contrattempo. >> sussurrai, sull’orlo delle lacrime, passandogli accanto.
Si voltò verso di me e allungò una mano, come a volermi trattenere. Il suo volto era indecifrabile, sembrava afflitto; gli occhi azzurri erano quasi grigi, spenti.
Non me ne curai; girai sui tacchi ed uscii dalla porta senza voltarmi indietro. Il messaggio era stato chiaro, non mi voleva. Non voleva contrattempi. Benissimo, non glieli avrei dati.
Tanto non me ne importava un cazzo di lui, che morisse!  Che andasse all’inferno, non ci sarei stata neanche se mi avesse pregata! Con Hans sarei stata di nuovo felice e lui l’avrei dimenticato nel giro di due giorni, punto e a capo, nuovo capitolo.
Quanto sapevo che non era vero.
 
Da quel giorno, smise di parlarmi, se non il minimo indispensabile per il rapporto prof-studente.
A me stava bene, anzi, era anche meglio.
Okay, non mi stava bene per niente. Mi aspettavo che venisse a scusarsi, che mi dicesse che gli dispiaceva, qualsiasi cosa, ma di certo non che m’ignorasse quasi del tutto.
Ogni volta che faceva finta di non vedere la mia mano alzata, oppure in cui mi dava la parola con un cenno, senza mai guardarmi in faccia, scorgevo con la coda dell’occhio Sofia e le sue amichette ridere sotto i baffi.
Probabilmente gioivano perché era palese che fosse successo qualcosa, tra me e lui: da un giorno all’altro, aveva smesso di interrogarmi e mi ignorava del tutto.
Per lui, non esistevo più.


Flar's Notes *************************************

Ciao a tutte, ragazze ^^ Come state? Bene, spero!
Scusate se ho aspettato tanto a scrivere questo nuovo capitolo, ma ho avuto un lutto in famiglia e così non ho avuto molto tempo :'(
Spero che lasciate un commentino, mi farebbe davvero contenta...
un bacio.


 

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Capitolo 5
*** Perchè? ***


Capitolo 4: Perchè?



Novembre
 
Continuai a preparare le mie cose, ignorandolo del tutto, come ormai ero abituata a fare.
Matematica, Filosofia, Letteratura, Greco…
Controllai per l’ultima volta che i libri e i quaderni ci fossero tutti.
<< Ehm-ehm. >> tossicchiò lui, per annunciarmi la sua presenza.
Ero sorpresa: era più di un mese che non si rivolgeva a me direttamente, senza usare come tramiti i miei amici o altri professori. Comunque stessero le cose, badai bene che la mia sorpresa non trapelasse per niente.
<< Sì, prof? >> chiesi, senza neanche alzare lo sguardo dai miei libri.
<< Io … vorrei che preparasse una relazione su Shakespeare e Wilde da presentare alla classe.>>
Alzai lo sguardo verso il suo, stranamente caldo, e inarcai un sopracciglio. << No. >>
Spalancò gli occhi, boccheggiando. << Come ha detto? >>
Sbuffai. << Mi ha sentito. NO. >> ribattei, sfrontata, guardandolo negli occhi.
La rabbia luccicò metallica nei suoi occhi di ghiaccio, mentre la bocca si storceva in una smorfia. << Non era una domanda, non ha possibilità di scelta, signorina. >>
Risi, sardonica. << Qualcosa mi dice che starò male quel giorno, professore. >>
La sua espressione si indurì ulteriormente: ormai le labbra erano una linea sottilissima, gli occhi ridotti a due fessure. << Sta seriamente rischiando di prendere un 2, Diamante. >>
Era la prima volta che mi chiamava per solo per cognome.
Feci una smorfia di superiorità. << Si accomodi, per me può mettermi anche 1. Io quella relazione non la farò né ora né mai. >> affermai, superba e sfacciata come non mai.
Penso che se avesse potuto prendermi e costringermi, lo avrebbe fatto, tanto erano serrati i suoi pugni dalla rabbia. Le nocche erano bianche, sembravano voler bucare la pelle liscia e perfetta che le ricopriva.
Senza degnarlo d’uno sguardo, presi la mia borsa e me ne andai.
Arrivata, alla porta della classe, la sua voce mi fermò.
<< Perché? >>
Una sola parola, ma sembrava contenere un’ondata indescrivibile di sentimenti. Rabbia, indecisione, irritazione, dubbio … forse dolore?
Mi voltai quel tanto che serviva per vederlo di spalle, con i pugni ancora serrati, e lo sguardo fisso su dov’ero qualche istante prima.
<< Lo sai perché. >> sussurrai, prima di voltare di nuovo il viso.
<< Non è abbastanza. >>
La sua voce mi raggiunse e si perse, rimbombando tra i corridoi freddi e ormai vuoti.
Mi sentii improvvisamente sola.
 
Driin, driin, driin!
Afferrai di malavoglia il cellulare, e risposi senza nemmeno fermarmi a guardare chi stesse disturbando.
<< Pronto? Chi è? >>
<< Ron, sono io. >>
<< Ciao, Alex. >>
<< Ohi, senti … >> iniziò lei, vistosamente in difficoltà. Ultimamente non ci eravamo sentite molto, preferivo stare sola. << Io, Bìa e Sissi andiamo a fare shopping giovedì, ti andrebbe di venire con noi? >>
<< Ehm, no, grazie. Devo studiare. >> risposi, ripetendo la scusa che ormai non era credibile nemmeno per me. A causa di tutti i pomeriggi che avevo passato sui libri, quando non avevo nient’altro da fare, la mia media era un incrollabile 8.
Lei sbuffò, il suono ingigantito dal microfono ultrasensibile del mio cellulare. << Stronzate, non devi studiare proprio un bel niente! Giovedì dopo scuola vieni con noi, che ti piaccia oppure no. E non ammetto repliche. >> mi minacciò.
Alex poteva diventare davvero pericolosa, quando voleva.
<< Tua madre è già al corrente di tutto ed è entusiasta, dice che stai troppo tempo chiusa in casa. >> mi comunicò, anticipando la mia prossima scusa.
<< Lei però non sa che Evans mi ha mollato una relazione su Shakespeare e Wilde per venerdì. >> ribattei, aggrappandomi all’ultima scusa che mi rimaneva. Non volevo uscire con loro e trovarmi a discutere di ragazzi e vestiti. A quel punto meglio fare quella roba per Evans.
<< Oh. >> Alex sembrava spiazzata. << Bè … quando te l’ha chiesto? >>
<< Prima di uscire da scuola. >>
<< Ah. >> Sembrava indecisa. << Benissimo, allora! Facciamo sabato, così non devi studiare niente. Avverto subito Bìa e Sissi! Ciao, buono studio. >>
L’irritante tu-tu del telefono mi riempì le orecchie prima che potessi anche solo pensare di farle cambiare idea.
Grandioso, sembrava che non avessi molte altre chance.
 
Venerdì.
 
<< Signorina Diamante, ha preparato la relazione? >>
Il momento era arrivato.
Alzai lentamente il viso e lo guardai negli occhi. << No. >> mentii, arrogante.
La sua rabbia montò improvvisamente, facendo arrossare il suo bel volto. << Le metto zero, Diamante. E farà media. >>
Feci spallucce, incurante, mentre un brusio si levava dalla classe. Era praticamente impossibile recuperare uno zero entro il primo trimestre. Avrei dovuto prendere due 10 - cosa impossibile, dato che già avevo un 8, e che i voti erano tre - per avere la sufficienza. E anche prendendo due 8, avrei avuto un 5 in pagella.
E poi, nessun professore metteva mai zero. Una volta Goliardi, quello di Latino, aveva messo ½ ad Arcangeli, ma giusto perché non aveva azzeccato una sola parola del testo di Livio. E poi gli aveva fatto rifare il compito.
Ma zero non era mai successo, mai, in cinque anni di liceo.
<< Prof, Ronnie ha fatto la relazione! >> esclamò Alessia,  alzandosi in piedi, attirandosi il mio sguardo inferocito.
No, cazzo! Doveva stare zitta!
<< Signorina Lovìa, lei cosa ne sa? >> le chiese lui, serissimo.
Lei ignorò il mio sguardo omicida e rispose: << Stamattina ho preso in prestito un libro dalla sua borsa, e ho visto la relazione in una foderina. >>
Promisi a me stessa che avrei fatto a pezzi Alessia. Cazzo, che stronza! Sapeva benissimo che non volevo consegnarla, gliel’avevo anche detto!
<< Mi consegni la relazione, Diamante. >>
<< Lovìa si è sbagliata, non ce l’ho. Non l’ho nemmeno fatta. >> ringhiai, balzando in piedi anch’io.
<< Subito! >> ordinò il professore, sbattendo una mano sulla cattedra. I sussulti della classe furono percettibilissimi, nonostante cercassero tutti di fingere di non stare ascoltando. In realtà, gli sguardi dei miei compagni erano puntati su noi tre, specialmente me e lui.
<< Ho detto che non- l’ho- fatta. >> sillabai, come se stessi parlando a un deficiente. << Venga a controllare, se vuole. >>
La mia sfida aleggiò nell’aria per qualche secondo, poi lui si alzò di scatto, facendo cadere la sua sedia a terra, e in un lampo afferrò la mia borsa, rovesciandone il contenuto davanti ai miei occhi con un rumore che sembrò infernale, in quel silenzio sbigottito e innaturale.
Spostò libri e aprì quaderni, ma la relazione, accartocciata nella mia mano, non riuscì a trovarla.
Sorrisi trionfante, ma in quel momento mi accorsi di aver fatto un errore: nella fretta, ero riuscita a sfilare dalla foderina solo la prima parte, mentre la seconda era ancora lì dentro, facendo bello sfoggio di sé.
Pregai che non la vedesse, e invece non fu così.
Diede una rapida letta al foglio, e poi mi fulminò con lo sguardo. << Mi dia l’altro foglio. >> ordinò, ma quella volta non mi opposi.
Aprii la mano e stirai il foglio, consegnandoglielo. Lo prese con calma e lo lesse rapidamente, e mi sembrò di scorgere un lampo di sorpresa nei suoi occhi.
La classe era ancora pietrificata, quando alzò gli occhi e mi ordinò di seguirlo fuori dalla classe.
<< Si può sapere che diavolo ti prende? >>
<< Si può sapere cosa ti autorizza a frugare nella mia borsa? >> ribattei, invelenita.
<< Ascolta, questa relazione è critica, brillante, una delle migliori che abbia mai letto. Perché ti comporti così con me? >>
Risi, incredula. << Come fai a farmi questa domanda? Mi hai ignorata per mesi! Cos’è, solo adesso ti ricordi che esisto? Solo adesso ti ricordi che sono una studentessa come tutti gli altri? Non sono io, il contrattempo, qui, Lucas. >> ringhiai, puntandogli un dito contro il petto, sfiorando la camicia celeste che indossava. << Non sono io il problema. >>



Flar's Notes **********************
Salve ragazze ^^ come state? Vi sono mancata? Spero di sì ^^
Che ne dite della storia, vi sta piacendo? Mi piacerebbe davvero che fosse così! Lasciate pure un commento, non mordo e non mangio carne umana, lol *sorride e fa una linguaccia*
Buona serata a tutti,
Flar

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Capitolo 6
*** L'Inferno Nei Suoi Occhi ***


Capitolo 4: L'Inferno Nei Suoi Occhi



 

<< Non sono io il problema. >>
Rimase in silenzio un attimo, sorpreso, ma poi alzò lo sguardo e nei suoi occhi non vidi che rabbia. << Chi te lo dice, ragazzina? Cosa ti dice di non essere tu, il mio problema? Bè, ti sbagli. Sei un problema.  È un problema, quando una ragazzina delle superiori si prende una sbandata per te. È un problema, se sei il suo professore e rischi di venire buttato fuori. È un problema, se scappi in un’altra nazione per stare lontano da cuori, amori, amici e persone che ti rompono il cazzo ventiquattr’ore al giorno! >> continuò, gridando, totalmente fuori controllo. La furia permeava ogni sua parola, non l’avevo mai visto in quel modo.
Spaventata, arretrai senza staccare gli occhi da lui, finchè non mi ritrovai con le spalle al muro, e iniziai a sentire i sudori freddi. Ero in trappola.
<< O forse no? Pensi che non sia un problema? Pensi di potermi trattare come uno dei tuoi amichetti? Sono il tuo professore, ragazzina, non il primo che passa. Non puoi trattarmi come se fossimo alla pari, perché non lo siamo. Non lo siamo perché io sarò sempre un gradino più in alto, e non ti permetterai mai più di rivolgerti a me con quel tono. Mai più. Perché se io ti dico di fare una cosa, la fai, senza se e senza ma.
Chi credi di essere, mia moglie, mia madre, mia sorella, per rivolgerti a me in quel modo? Chi pensi di essere, Veronica? Per me non sei altro che una delle tante ragazzine a cui cerco di far capire cosa c’è dietro le opere di Wilde, di Shakespeare, di Tolstoj, cosa c’è dietro quelle copertine che fingono di aver aperto!  Forse perché conosci due frasi di Shakespeare pensi di essere mia pari? Fidati, non lo sei
Tu disprezzi le tue compagne perché sono come delle pozzanghere, sotto la superficie non c’è proprio nulla, e per questo ti senti superiore. Talmente superiore da poterti permettere di fare i capricci come una bambina viziata, di puntare i piedi e rispondere a un professore. Se ci avessi provato con il professor Goliardi, ti avrebbe presa per un orecchio e sbattuta dal preside a calci nel sedere, e sarei davvero tentato di fare lo stesso. Mi hai umiliato di fronte a tutta la classe, facendo credere di essere superiore a me, dimostrando che puoi fare quello che vuoi quando vuoi. E quindi - e ascoltami bene perché non lo ripeterò una seconda volta – ti dico che non puoi fare quello che vuoi quando vuoi. Non puoi, perché la prossima volta che ti azzarderai a trattarmi in un modo diverso da quello che riserveresti agli altri professori, alzerò il telefono e riferirò tutto ai tuoi genitori, come avrei già dovuto fare dieci minuti fa. Mi sono spiegato? >>
Il suo viso era duro, sembrava un'altra persona. Nessuno mi aveva mai parlato a quel modo, nemmeno i miei genitori, mai.
Le lacrime avevano iniziato a traboccare dai miei occhi già all’inizio del suo monologo, e perciò annuii, tremando, cercando di non singhiozzare.
<< Mi sono spiegato? >> ripeté, gridando, e i suoi occhi, che sembravano quasi neri, lampeggiarono. << Sono stato chiaro, Veronica? >>
Annuii di nuovo, mentre le mie guance si bagnavano ancora. Le mie lacrime, la mia paura, non lo commossero per niente, restò inflessibile e, se possibile, ancora più duro.  << S-sì. >>
<< Benissimo. Lo zero se lo tiene e farà media, e oltretutto avrà una nota disciplinare sul registro di classe e sul diario, accompagnata da una lettera mia per i suoi genitori, signorina. >> mi informò, più controllato, riprendendo il tono da professore.
Si voltò di nuovo verso di me e mi fissò per un eterno secondo.
Perché fai così, Lucas? Cos’è che ti ho fatto?
Nei suoi occhi la rabbia continuava ad ardere. Chiunque si sarebbe terrorizzato, davanti al suo viso trasfigurato dall’ira. Se mi avessero detto che mi avrebbe uccisa, ci avrei creduto. Sembrava capace di fare qualunque cosa, anche di uccidermi a mani nude dopo avermi torturata.
Non c’era umanità in quegli occhi, nessuna pietà, nessuna comprensione. C’era solo odio, odio per me, per i miei compagni, per il mondo intero, per un mondo che non aveva benevolenza per nessuno.
In quegli occhi, c’era l’inferno, il mio inferno. Quegli occhi avevano sentenziato la mia condanna a morte, e in quel momento iniziai a morire.
Mi lasciò lì, atterrita e in lacrime, schiacciata addosso al muro sporco e ruvido del corridoio. Mi lasciai scivolare per terra, appoggiai la testa sulle braccia e piansi, senza fermarmi mai.
Nessuno venne a disturbarmi, nemmeno la bidella, che mi lanciò solo sguardi di solidarietà dall’altra parte del corridoio. Avevo sempre voluto bene a quella bidella, anche se non sapevo nemmeno come si chiamava. Quando ero al primo anno, mi ero chiusa in bagno, presa da una crisi nervosa, e lei mi aveva aiutata a calmarmi offrendomi una camomilla. Ma in quel momento, una camomilla non mi sarebbe servita a nulla, volevo solo stare lì e piangere, per me, per lui, per come mi aveva trattata. Le lacrime non avrebbero risolto nulla, ma era l’unica cosa che potevo fare, prima di preoccuparmi di tutto il resto.
 
Ere - o forse solo qualche minuto - dopo, una mano gentile si posò sulla mia spalla, e nonostante le lacrime e gli occhi rossi e gonfi, riuscii a vedere Alex, inginocchiata accanto a me, e Santini, in piedi dietro di lei, con qualcosa in mano. Entrambi sorridevano, comprensivi.
<< Ehi, Ronnie. >> sussurrò lei, asciugandomi gli occhi con le dita, gelide sulla mia pelle incandescente.
Le feci un debole sorriso, più per farla contenta che per altro.
<< Ronnie, non preoccuparti. Va tutto bene. >> mi consolò Santini, sedendosi alla mia destra. Almeno per una volta mi aveva chiamata Ronnie.
Annuii, e lui mi fece una goffa carezza sui capelli.
<< Santini ha persuaso la signora della portineria a firmarti un permesso per uscire prima, è stato fantastico. >> m’informò Alex, senza nascondere una punta di ammirazione, accarezzandomi il dorso della mano. << Puoi tornare a casa anche subito, quello stronzone di Evans non si è opposto. Anche perché se lo avesse fatto gli avrei staccato le palle a morsi e le avrei fatte mangiare ai porci. >>
Risi del suo tono furibondo, immaginandomi la scena. Non che dubitassi che ne fosse davvero capace.
<< Sì, è stato davvero una figlio di puttana. >> rincarò la dose Santini, indignato. << Nessuno ha fiatato, in classe, finchè non ha smesso di urlarti addosso. È stato davvero un animale, si sarebbe dovuto trattenere, avevamo paura che alzasse le mani su di te. >>
Santini che dice le parolacce. Doveva essere sceso lo spirito di Alex su di lui. L’insulto più “colorito” che lo avessi sentito pronunciare prima di allora era “scemo”.
<< Neanche Cardi ha commentato. Saremmo crollati tutti di fronte a quella sfuriata, anche Arcangeli. >> aggiunse Alex, rabbrividendo. << E’ stata una cosa da paura, deve averti terrorizzata. >>
Arcangeli, uno dei motivi per cui vivevo: fargli saltare i nervi, a lui e al suo amico, Galante – di nome e non di fatto, ovviamente.
<< S-sì, faceva davvero paura. Sembrava assatanato. >> scherzai, cercando di metterla sul ridere, nonostante fossi ancora terrorizzata.
Risero entrambi, ma erano ancora preoccupati.
<< Stai bene, comunque? >> mi chiese Santini, apprensivo.
Risi istericamente. << Diciamo che potrei stare meglio, Albe. >>
<< Già, scusa. Domanda idiota. >>
<< Fa niente. >>
Dopo qualche secondo, Alex mi chiese se volevo un passaggio a casa – lei aveva il motorino.
<< La posso accompagnare io. >>
Automaticamente ci girammo tutti e tre verso Hans, che fece la sua entrata trionfale, con gli occhiali da sole e una giacca di pelle nera sottobraccio; infatti, aveva ripreso a camminare qualche settimana prima.
Negli ultimi tempi eravamo ritornati amici, per così dire. Mia madre stravedeva per lui, e non poteva che essere contenta che ci fossimo riavvicinati: Hans era indubbiamente il bravo ragazzo che ogni madre vorrebbe per la propria figlia - era gentile, educato e intelligente.
I suoi occhi verdi – l’unico tedesco bruno e con gli occhi verdi l’avevo beccato io – erano preoccupati, nonostante cercasse di sorridere rilassato.
<< Piccola, perché sei in questo stato? >>
Corse al mio fianco e mi fece alzare, appena vide in che stato ero, con il trucco sbavato, gli occhi gonfi e i capelli scompigliati.
<< Ehm, il nostro prof le ha gridato addosso di tutto e di più. >> spiegò Santini, rialzandosi anche lui.
<< Sì, è stato davvero una testa di cazzo, stronzo, figlio di puttana. >> confermò Alex, sotto lo sguardo indagatore del  tedesco.
<< Quell’uomo è morto. >> annunciò lui, furente, stringendomi forte tra le braccia. Mi sentii subito al sicuro, e affondai il viso sul suo collo. << Non preoccuparti, piccola mia. Ora ci sono io, e gli insegno come si tratta una signora. >>
Sorrisi, ma l’ora finì e, ovviamente, lui uscì dalla classe, ritrovandosi proprio davanti a noi.
Hans se ne accorse e mi appoggiò di nuovo a terra, con infinita delicatezza, lasciandomi nelle mani di Alex come se potessi rompermi da un momento all’altro, lanciandosi furente contro l’inglese, ignorando totalmente i miei deboli richiami.
<< Senti, tu, come ti permetti di parlare in quel modo a una signora? >> ringhiò il primo, puntandogli un dito contro.
L’altro inarcò leggermente le sopracciglia. << Non mi sembra siano affari tuoi. È una questione tra me… >> iniziò, lanciandomi un’occhiata tagliente. << … e la signorina. >>
<< Invece sono affari suoi, se si comporta come un barbaro. >> lo spalleggiò Alex, mollandomi a sua volta a Santini. Iniziavo a sentirmi leggermente sminuita.
<< Lovìa, perché non usa la sua capacità oratoria rispondere alle mie interrogazioni, invece di fare scena muta? >>
Alex divenne viola fino alla punta dei capelli, e sputò tra i denti: << Lei è un mostro. >>
Lui non fece una piega, e si voltò, pronto ad andarsene, ma Hans lo afferrò per un braccio e lo costrinse a guardarlo.
<< Ti avverto, inglese dei miei stivali, se ti azzarderai ad avvicinarti di nuovo a lei, o a rivolgerle una parola che non sia rispettosa,  ti verrò a cercare. E quando si tratta di lei, ti assicuro che posso diventare molto violento. >> disse, con una voce bassa e minacciosa che mi fece venire i brividi.
Evans si scrollò con facilità il suo braccio di dosso, e rise, sardonico. << Non mi sembri in grado di fare minacce, nazista. Ti schiaccerei con un dito. >>
Il bruno si sporse verso di lui, bellicoso, ma Alex e la bidella corsero a separarli.
<< Hans, lascia perdere. Non ne vale la pena. >> sibilò la prima, sprezzante, e lui annuì, senza però smettere di fissare in cagnesco il biondo.
<< Professor Evans, si dia un contegno. >> intimò invece la bidella. << Ha già fatto piangere una studentessa, vuole anche scatenare una rissa?>>
Senza dire un’altra parola, Evans si voltò e percorse il corridoio in un lampo, sparendo dietro un angolo.
<<  Scusatelo, deve avere la luna storta, oggi. >> sospirò la signora, alzando gli occhi al cielo.
<< Sarà meglio che impari a controllarsi. >> sibilò Hans, per poi tornare ad avvolgere le braccia intorno alla mia vita.
Sorrisi, ma dentro stavo ancora piangendo. Stavo ancora bruciando nel mio inferno personale.


Flar's Notes ************************
Saaalve, ragazze ^^ Eccomi qui di nuovo. Approfitto della febbre per scrivere, stamattina mi è venuta l'ispirazione, e così... lo so, sono una scrittrice malvagia >.< Ma un colpo di scena era necessario, i clichè sono belli fino ad un certo punto u.u
Ma sono pronta ad essere linciata, se volete ^^
Spero solo che con questa sfuriata Lucas non sia calato ai vostri occhi... sono cattiva e quindi vi tengo in sospeso fino al prossimo aggiornamento, ma presto si inizieranno a spiegare un po' di cose, promesso :3
E Hans sta iniziando a piacermi di più, sembrava troppo mammoletta prima, e poi... bè, ovviamente non è una di quelle persone che si tolgono facilmente dai piedi, perciò... eccolo qua :D
Detto questo... boh, grazie mille a tutte, siete tante a seguire la storia o ad averla tra le ricordate/preferitre, e vi ringrazio tantissimo, ma soprattutto grazie a quelle anime pie che recensiscono sempre i miei capitoli folli ^^ Ragazze, siete grandiii!
Flar <3 *w*

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Capitolo 7
*** Tulipani dall'Olanda ***


Capitolo 7: Tulipani dall'Olanda




 

<< Quel troio. >> sbuffò Hans, guidandomi verso la sua moto – che conoscevo bene. Una volta aveva provato a farmela guidare e per un pelo non eravamo finiti giù per una scarpata.
<< Troio? >> chiesi, incredula, trattenendo a stento le risa.
<< Sì, troio. >> confermò, guardandomi perplesso.  << Troia al maschile, no? >>
Scoppiai a ridere vedendo la sua espressione assolutamente confusa. << No, Hans! Non si dice troio, solo troia! >>
<< E al maschile? >>
<< Non esiste al maschile! Al massimo dici puttaniere o donnaiolo, non troio! >>
<< Ah. >>
Poverino, la sua espressione era da fotografare, totalmente spiazzato. << Io ho sempre detto troio. >> si scusò. << Noi  in Germania diciamo Hurenbock, pensavo si traducesse con troio. >>
<< Però è carino, troio. Anche se non so quanto si addica a lui, non credo vada a puttane, sai? È un bravo ragazzo. >>
Inarcò un sopracciglio perfettamente disegnato, scettico. << Un bravo ragazzo non ti urla addosso, Ronnie. Io mai lo avrei fatto. E nemmeno ti avrei fatta piangere, mai. >>
<< E’ stata colpa mia, Hans. Ha ragione, non posso trattarlo come se fosse mio fratello, è il mio professore. Con Goliardi non lo avrei mai fatto.>> replicai automaticamente, infastidita. Mi irritava che si paragonasse a Lucas.
<< Cosa fai, lo difendi? È stato un coniglione! >> protestò, corrucciato.
Scoppiai di nuovo a ridere, mi stavo immaginando il viso angelico di Lucas con i dentoni e le orecchie da coniglio. Esilarante! << Coglione, Hans. Hoden.  >> gli spiegai, appellandomi a quel poco di tedesco che ricordavo. << Coniglione è un coniglio grosso. Gross Hase. Capito?>>
S’illuminò e annuì. << Hoden è coglione , Hase è coniglione. Capito. >>
<< Ma tu non avevi imparato l’italiano? Un paio di mesi in Germania e ti sei già dimenticato tutto? >> lo presi in giro, scherzosa.
<< Shh, che tu non sai una parola di tedesco! >> ribatté, porgendomi il casco. Me lo infilai in testa e salii sulla sua moto, aggrappandomi a lui, e sorrisi.
Coniglione? Solo Hans avrebbe potuto fare un errore del genere, pensai divertita.
 
Salutai il tedesco e feci per rientrare in casa, ma quella piccola peste di Giada, mia sorella, uscì a razzo dal portone, fiondandosi in braccio a lui.
<< Hans! Sei tornato! >> esclamò, felice come una pasqua, manco fosse stato un’apparizione divina.
Lui rise e poi la scaricò a terra sciogliendo il suo abbraccio strangolatore. << Sì, ora vado all’università di Roma. Sempre Economia, però. Ho ottenuto il trasferimento qualche giorno fa. >> annunciò, rivolto a me.
<< Ah … wow! Che bello! >> esclamai, ancora stupita, sperando che non si aspettasse che tornassimo insieme. Stavamo bene insieme, ma non ero sicura di aver tempo e voglia per riprovarci con lui. Non avevo neanche mai capito se lo amavo o no, eravamo sempre stati lontani …
<< Quindi siete tornati insieme? >> chiese la nana, non riuscendo a frenare la sua linguaccia.
La insultai mentalmente.
<< Non ancora. >> mi anticipò Hans, lasciandomi a bocca aperta. Non ne avevamo mai parlato!
<< Ma allora tornerete insieme? >> insistette ancora, mandandomi fuori di testa.
<< Non sono affari tuoi! >> sbottai.  Lei e suoi capelli piastrati!
<< Ohi, tesoro, calmati, eh! Era solo una domanda! >>
<< Non. Chiamarmi. Tesoro. >> ringhiai, sillabando ogni parola. Io e Giada non eravamo mai andate davvero d’accordo, neanche da piccole. Forse perché lei era una vipera velenosa, sulla retta via per diventare una truzza bimbaminchia di prim’ordine. Bastava ascoltarla parlare al telefono con le sue due migliori amiche, Oly e Carly – Olivia e Carlotta -, che lei chiamava “cucciola”, “pulcina” e chi più ne ha ne metta. Avevano formato anche una specie di club, formato solo da loro tre, ovviamente; insomma, la fiera del ridicolo.
Tutto ciò aveva solo contribuito a rendermela più odiosa che mai, visto che io detestavo tutte le persone che si comportavano come lei, a partire dalle mie adorate compagne di classe, quali Cardi e le sue amichette.
<< Ronnie ha avuto una giornata molto stressante oggi, lasciala tranquilla, ok, piccola peste? >> intervenne lui, sedando il litigio sul nascere.
Giada s’illuminò, tutta contenta. << Se me lo chiedi tu, Hans, lo faccio. >>
Lui rise, e io lo salutai imbronciata, per poi salire fino in camera mia, lasciandoli a farsi le moine da fratello maggiore-sorellina minore.
Scaricai la borsa sulla scrivania, mi sfilai le scarpe togliendole con i piedi e mi buttai sul letto, addormentandomi all’istante.
 
 
Il fastidiosissimo suono del citofono mi svegliò di soprassalto, e sbirciando l’orologio scoprii che avevo dormito almeno due ore, erano le quattro e mezza, e io non avevo ancora pranzato, mi ricordò il mio stomaco, brontolando. Sospirai e ignorai il brontolio, mettendo la testa sotto il cuscino: di certo sarebbe andato qualcuno ad aprire a quel rompiscatole che mi aveva svegliata.
Proprio mentre stavo per riaddormentarmi, la voce petulante di Giada mi chiamò da fuori la porta.
<< Veronicaaa, c’è un ragazzo per te! >>
<< Non voglio vedere nessuno! >> sbuffai. << Mandalo via. >>
<< Gli avevo detto che eri con Hans, ma non mi ha creduto. Insiste per vederti! Cosa vuole da te? >> chiese, sospettosa. Sapevo bene che Hans era il suo beniamino, e di certo pensava che quel povero ragazzo – Santini, poco ma sicuro – potesse essere un mio altro pretendente.
<< Chi è? >> sospirai, abbandonando l’idea di fare un altro sonnellino.
<< Non lo so, ma ti vuole. >> rispose, seccata.
<< Ok, digli che fra dieci minuti arrivo. >>
<< Va bene. >> sbuffò, e sentii i suoi passi allontanarsi lungo il corridoio.
Mi guardai allo specchio, ero in un caso disperato: i miei adorati capelli erano ridotti uno schifo, il trucco era colato, rendendomi praticamente uno zombie, e avevo i vestiti tutti stropicciati.
Okay che era Santini, ma non volevo spaventarlo, avrebbe pensato che mi fossi trasformata in una strega.
Entrai nel mio bagno, afferrando lo struccante, e poi mi misi all’opera, rimuovendo tutto il trucco. Applicai una linea sottile di eye-liner nero e un po’ di ombretto, aggiungendo anche un tocco di matita.
Passai poi ai capelli, affondando senza pietà nei nodi con la spazzola, riempiendo le setole di capelli – ma tanto li avevo foltissimi. Presi una maglietta carina dall’armadio e la indossai mentre scendevo per le scale, lanciando quella vecchia davanti alla porta della lavanderia.
<< E’ in salotto. >> m’informò Giada, con un paio di biscotti in mano, passandomi accanto e iniziando a salire le scale.
Percorsi il corridoio ed entrai nella stanza, notando subito i divani vuoti. Poi, alzai lo sguardo, e lo vidi, girato di spalle, con il viso rivolto verso la grande finestra che dava sulla parte più bella di Roma.
Udendomi arrivare, si voltò verso di me, e sorrise, fugace.
<< Ciao, Ronnie. >>
In quel momento pensai che fosse bellissimo.
 
 
Lucas POV
 
<< Ciao, Ronnie. >>
La sua espressione era davvero buffa, sembrava a metà tra il sorpreso e l’incazzato. Effettivamente, non che avesse molti motivi per essere contenta di vedermi, dato che le avevo urlato addosso di tutto. Strinsi i pugni al ricordo del suo viso in lacrime, totalmente sconvolto. Avevo sfogato due mesi di frustrazione per una classe di incompetenti su quella povera ragazza, l’unica che mi desse soddisfazioni, perché per una volta si era rifiutata di fare qualcosa che le avevo chiesto, che oltretutto era un approfondimento, e aveva quindi tutti i diritti di declinare la richiesta. Non era da me comportarmi così, non ero mai esploso così con una ragazza, non era nel mio carattere, eppure il suo rifiuto mi aveva dato alla testa. Non riuscivo a spiegarmelo, non riuscivo a capire cosa avesse scatenato la mia reazione. Forse perché davo per scontato che mi avrebbe detto sì? In fondo, sapevo che adorava Shakespeare e Wilde… aveva rifiutato unicamente perché ero io a chiederglielo. Mi odiava, ecco cos’era. Ero riuscito a farmi odiare dall’unica ragazza di cui non trovassi soffocante la presenza, ed ero stato io stesso ad allontanarla, comportandomi in modo gelido e scostante.
Ma, anche se avessi fatto diversamente, non sarebbe cambiato niente.
<< Professore >> disse, fredda, riprendendo contegno. << Cosa ci fa in casa mia? >>
<< Sono venuto a scusarmi per il mio comportamento maleducato e ignobile di stamattina. Spero mi possa perdonare … le ho portato qualcosa. >> aggiunsi, porgendole il grande mazzo di fiori che avevo comprato poco prima in una delle fiorerie più rinomate di Roma – sarei dovuto andare lì comunque, visti i gusti della signorina. << So che sono i suoi preferiti. >>
Lei prese automaticamente dalle mie mani il mazzo di tulipani screziati, frastornata. << Sono…bellissimi. Grazie. >>
<< Ha dei gusti raffinati. >> mi complimentai. << Non avevo mai incontrato nessuna ragazza a cui piacessero i tulipani screziati. Questi vengono direttamente dall’Olanda. >>
<< Sono bellissimi. >> disse, a mo’ di spiegazione, inclinando la testa da un lato. Mi fece sorridere, sembrava così indifesa…
<< E ho anche qualcos’altro per farmi perdonare. Un invito a cena. >>
Lei fece una faccia strana e mi parve di sentire un brontolio. << O, se preferisce, anche un invito per un … gelato. >> proposi, trattenendo le risate. Probabilmente era troppo impegnata con il suo amichetto per pranzare, pensai con rabbia. << Mi hanno detto che Portofino è deliziosa, come gelateria. Sempre che il suo fidanzato non abbia qualcosa in contrario. >> aggiunsi, notando la sua faccia dubbiosa.
Sospirò. << Quante volte glielo devo dire che non è il mio fidanzato? Semplicemente, è che siamo a novembre … davvero vorrebbe un gelato? E poi… non ho detto che la perdono. È stato molto cattivo. >>
Il suo bel viso s’intristì, e mi sentii – per l’ennesima volta – l’essere più malvagio dell’intero cosmo.
<< Lo so, e per questo le chiedo scusa. Non è da me comportarmi in quel modo, non riesco a spiegarmi come sia potuto succedere, ma non voglio che lei pensi questo di me. Scusa, Ronnie. >> dissi, passando a darle del tu, per rendere meno informale la mia richiesta di scuse. << Ti assicuro che non succederà mai più, e prometto che non ti ignorerò più, giuro. Non te lo meriti, e sì, hai ragione: il problema sono io, non tu, e…>>
<< Okay, okay. Mi hai convinta. Adesso basta con le scuse oppure mi commuoverò, e non ho intenzione di farmi colare nuovamente il trucco. >> m’interruppe, con una risata spontanea, naturale. Anche i suoi meravigliosi occhi dorati si accesero, e mi venne naturale ridere con lei. << E comunque non è stata solo colpa tua. Mi sono comportata male e ti ho trattato irrispettosamente.Scusami anche tu.>>
Arrossì e mi fece sorridere con tenerezza. << Perdonata. >>
Il suo stomaco brontolò di nuovo. Poverina, probabilmente era dalle 7 del mattino che non mangiava.
<< E quindi? Niente gelato? Se hai qualcos’altro da proporre… >>
Sembrò pensarci su. << Non saprei cosa ti piacerebbe. >>
<< Qualcosa di tipicamente italiano? >> suggerii. Ero lì da qualche mese, e tra gli impegni vari non ero riuscito ad assaggiare molto della cucina locale, che però sembrava tutta deliziosa.
S’illuminò. << So dove andare! >> esclamò, trionfante.

Nota: Il mio tedesco viene da Internet, perciò perdonatemi eventuali errori, oppure segnalatemeli, li correggerò subito ^^
Grazie per la pazienza.


Flar's Notes *****************************
Eccomi! Lo so, sono un pochino in ritardo, ma ho messo il Lucas POV ^^ Spero basti per farmi perdonare ^^
Ve lo sareste aspettato, Lucas che chiede scusa e la invita a cena? Ehm, non credo che un ragazzo italiano lo farebbe mai -.-" Cioè, a parte una piccola minoranza u.u
Fare il POV del nostro Lucas, però, mi è piaciuto un sacco, e penso quindi di metterne altri anche nei prossimi capitoli!
Un bacio grande grande,
la vostra Flar.

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Capitolo 8
*** Lucas alla Nutella ***


Capitolo 8: Lucas alla Nutella


Lucas POV
 
<< Ehm, Ronnie …. Sei sicura che questa … cosa sia mangiabile? >> le chiesi, dubbioso, fissando l’enorme cono gelato che mi aveva messo in mano, dopo averci messo su un’improponibile quantità di crema al cioccolato – solo lei poteva avere un barattolo di quella roba chiamata Nutella nella borsa  -, averci fatto spruzzare su praticamente mezzo chilo di panna e poi del cioccolato fuso, e per finire la commessa ci aveva aggiunto nocciole tritate e cacao in polvere.
La ragazza della gelateria  sembrava parecchio in confidenza con Ronnie, si erano salutate come vecchie amiche, e alla fine le aveva anche fatto un occhiolino, che avevo intravisto per sbaglio quando ero andato a pagare alla cassa, dall’altra parte del negozio.
La pizza siciliana era stata deliziosa, ma quel gelato abnorme non mi convinceva più di tanto.
<< Sì, certo! >> ribatté, quasi offesa. << E’ buonissimo! Provalo, e poi giudica. >>
Non ero mai stato un amante del cioccolato, ma dopotutto quella roba non poteva essere più pericolosa di mia cugina Lily con in mano una scatola di trucchi, pronta a testarla sul primo malcapitato – che quasi sempre ero io, Sebastian era un asso a nascondersi da lei.
Perciò, avvicinai quella specie di cono gigante traboccante di gelato e cioccolata sotto varie forme, e diedi una timida leccata.
<< Com’è? >> chiese lei, raggiante, dando un morso gigante al suo, e poi chiudendo gli occhi, in estasi.
<< Uhm … buono! >> risposi, sorpreso anche io. Quella cosa doveva avere praticamente 10000 calorie, ma era deliziosa.
<< Bè, che ti avevo detto io? Uomo di poca fede. >> disse, scuotendo la testa, fingendosi delusa, riponendo il barattolo di Nutella nella sua borsa – che doveva contenere al suo interno all’incirca mezzo cosmo.
<< Scusa, ma non mi piace granché il cioccolato. >> mi scusai, continuando a mangiare il gelato.
Lei strabuzzò gli occhi e mi guardò, spostando la sua attenzione su di me. << Come sarebbe a dire che “non ti piace granché il cioccolato”? >> mi chiese, incredula.
Arrossii, non pensavo che l’avrebbe presa in quel modo. << Cioè, non mi fa impazzire … preferisco il salato al dolce, ecco. >>
<< Preferisci il salato al dolce??? >>. La sua domanda era più un urlo, isterico e incredulo allo stesso tempo. << Ma che avete in testa voi inglesi?! I dolci sono la cosa più deliziosa del mondo! >>
Arrossii di nuovo. << Cioè, sì, sono buoni, ma da noi fanno meglio le cose salate, ecco. >> spiegai, imbarazzato. Per essere così magra pensavo facesse una dieta come tutte le sue amiche, invece vedevo che non era affatto così – e mi piaceva.
Una delle mie ex era stata la persona più ossessionata dalla linea del mondo, pensavo pesasse quarantacinque chili o poco più, ed era sempre a dieta. Poi era pure matta, ma quello era un discorso a parte.
<< Dobbiamo rimediare! Sbrigati a mangiare quel gelato, ti porto nella migliore pasticceria di Roma! >> spiegò, sbrigativa, facendo sparire in due morsi in suo. Come accidenti aveva fatto a mangiare un cono da venti persone in poco meno di … tre secondi?
<< Dai, dai, sbrigati! >> m’incitò, afferrando una mia mano e trascinandomi dalla parte opposta della strada, iniziando a camminare velocemente. << Tranquillo, è a due passi da qui! >>
Non potei fare altro che annuire, cercando di non farmi cadere il gelato addosso.
Non potevo negare che mi stesse piacendo, comunque. Molto probabilmente Ronnie era matta da legare – ma in fondo era italiana, e ne avevo visti abbastanza di matti, da quando ero a Roma … -, ma era vera, spontanea, naturale. Lei non fingeva mai, né quando mi urlava addosso che ero un deficiente, né quando mi affrontava davanti a una classe di ragazzini liceali, né quando piangeva a dirotto.
Forse una cosa di lei l’avevo capita, dopotutto.
 
Ronnie POV
 
Non potevo crederci che non gli piacessero i dolci! Prima di quel giorno non aveva neanche mai assaggiato la Nutella! Voglio dire … chi cavolo non ha mai assaggiato la Nutella?!
Decisi che dovevo redimerlo, non si può stare in Italia senza averla masi assaggiata!
Nutella … gnam.
Mentre lo guidavo senza esitazioni per il Lungotevere, diretti alla pasticceria più buona del mondo. Speravo che almeno lì Lucas avrebbe deposto le armi e accettato che i dolci erano meglio del salato.
Con la coda dell’occhio lo vidi leccare il gelato cercando allo stesso tempo di non perdere il passo né macchiarsi, e mi venne da ridere. Io avevo già finito da ere!
Rise anche lui, ma poi si guardò intorno e rimase incantato. Gli ippocastani stavano iniziando a perdere le foglie, e coloravano di rosso, arancione e giallo quel tiepido pomeriggio di metà novembre. La temperatura era più calda di quello che era di solito, e a me non poteva che fare piacere – detestavo il freddo, come anche l’umido.
Invece, il fiume, stranamente pulito, gorgogliava allegramente, scrosciando sui sassi e creando piccole cascate di qua e di là, mentre i gabbiani si godevano il sole nuotando pigramente.
<< Dove siamo? Non mi sembra di esser mai passato da qui. >>
<< Come non ci sei mai passato? Siamo a Ponte Milvio, una delle zone che preferisco della città. >> spiegai, incredula. Ma quello aveva mai messo il naso fuori dal liceo oppure no? << Ma non hai girato per Roma? >>
Arrossì di nuovo. Era bellissimo quando arrossiva, e sentii una stretta allo stomaco. Aveva la pelle chiara, da bravo inglese, e così quando s’imbarazzava sembrava paonazzo.
<< In realtà non molto, non conosco bene la città e ultimamente non ho avuto molto tempo … >> spiegò, inclinando la testa da un lato.
<< Oh, bè, ma non passi di qui per andare al Liceo? >> chiesi, curiosa. Era la strada più breve e comoda per arrivarci, quasi tutti la percorrevano.
Sorrise, divertito. << No, abito da tutt’altra parte. Via degli Scipioni, se sai dov’è … >>
Ovvio che non prendeva quella strada, viveva a due passi dal Liceo! Quasi vicino casa mia, solo che io abitavo più avanti.
<< Sì che la conosco. Ecco perché non passi di qui. >> balbettai, arrossita.
Mi sorrise di nuovo, un sorriso caldo e sincero che gli illuminò quei favolosi occhi azzurri, quel giorno dello stesso colore del cielo. << Non potevi saperlo. E tu, invece? Mi sembra che mi avessi detto che nemmeno tu abiti lontano dalla scuola. >>
Mi sistemai una ciocca dietro l’orecchio, riprendendo a camminare. << In effetti non lontano da dove vivi, però più avanti. Via Ottaviano. >> dissi, con un sorriso, certa che almeno quella la conoscesse.
<< Oh, certo. >> s’illuminò. << Ci passo spesso quando non ho nulla da fare. È un posto molto rilassante. >>
Annuii, anche io l’avevo sempre pensato. << Sì, sono d’accordo. >>
Camminammo in silenzio per qualche secondo, ognuno perso nei proprio pensieri.
Poi, alzai la testa e lo guardai. << Se posso chiedertelo … come mai sei venuto qui a Roma? Non ti trovavi bene a Londra? >> chiesi, curiosa. Quella era una domanda che volevo fargli già da parecchio tempo, era davvero intrigante: perché un brillante neolaureato inglese dovrebbe trasferirsi a Roma per diventare un sottopagato professore del Liceo?
La mia domanda sembrò spiazzarlo. << Ehm, no, non è questo. È una storia un po’ complicata. >> rispose, evasivo. 
 << E non ne vuoi parlare, giusto? >>
<< Giusto. >> sorrise. << Però se hai altre domande … immagino che la tua curiosità sia difficile da tenere a freno. >>mi stuzzicò, divertito.
<< Ehi, sono una signora! Non sono curiosa. >> mi difesi, fingendomi offesa.
<< Certo, certo. Quindi deduco che non hai domand…>>
<< Okay, hai vinto. Sono curiosa. >> lo interruppi, prima che mi costringesse ad ammetterlo in un modo più umiliante.
Ghignò, trionfante. << Bene, allora. Chiedi pure, mentre andiamo. >>
Ci riflettei su per qualche secondo, e poi m’illuminai. << Da quale parte di Londra vieni? >>
<< Kensington. >> rispose, ammiccando.
Cavoli. Ecco spiegata la macchina nera che aveva: Kensington era il quartiere più snob dell’intera città.
<< La conosco, ci sono stata, quando ero a Londra. >> dissi, sorridendo. Lui non mi sembrava affatto snob.
<< Quindi sei già stata a Londra? >> disse, ma più che una domanda suonava come un’affermazione.
Annuii, passandomi per l’ennesima volta una mano tra i capelli. << Sì, ci sono stata con la mia famiglia. >>
Forse era solo la mia immaginazione, ma mi parve di vederlo stringere le labbra alla parola “famiglia”. Chissà che non c’entrasse la sua, nel motivo per cui si era trasferito a Roma, da solo.
<< Ho notato che hai un’adorabile sorellina. >> ghignò, divertito. << Mi ha guardato malissimo per tutto il tempo; non credo di esserle molto simpatico. >>
Alzai gli occhi al cielo.<< A le non sta simpatico nessuno. >> Quasi nessuno, pensai.  <<  Dolce e adorabile come il succo di limone con l’aceto.>>
Rise, divertito, lanciando indietro la testa, mentre le sue labbra perfette si aprivano sui denti candidi e scintillanti. << Mi sembra di sentire Sebastian. >>
<< Chi è Sebastian? >> chiesi subito. << Tuo fratello? >>
Il sorriso sparì dalle sue labbra, e tornò improvvisamente serio. << No, non è mio fratello. >>
Non mi diede altre informazioni e io non gliele chiesi, nonostante fossi mortalmente curiosa di saperne di più sulla sua famiglia.
<< Allora, siamo arrivati? >> chiese, cercando di distrarmi.
Ci riuscì. << Manca proprio un minuto. >> lo tranquillizzai, prendendolo di nuovo per mano  e guidandolo davanti alla vetrina. Aveva le mani lisce e morbidissime, e nonostante scrivesse moltissimo a penna, non sentii nessun callo dello scrittore. Le dita erano lunghe e sottili, aggraziate … le mani di un pianista. << Ecco qui, questo è Pompi, la migliore pasticceria di Roma. >>
Lui sbirciò nella vetrina stracolma di ogni tipo di dolce, curioso. << In effetti c’è un profumino delizioso. >> ammise, annusando l’aria.
<< Pompi è il maestro del tiramisù, spero ti piaccia. >> lo informai, entrano dentro il negozio e trascinandolo con me.
<< Tiramisù? Questo lo fanno anche in Inghilterra. >> disse, sorridendo compiaciuto.
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai. << Se non hai provato quello di Pompi non puoi dire di aver mangiato un tiramisù. >>
Okay, quel ragazzo era un caso disperato.
 
Uscimmo di lì che era quasi sera, con tre  tiramisù enormi – uno per mia madre, non mi avrebbe mai perdonata se non glielo avessi comprato, e due per lui, che aveva totalmente perso la testa per il dolce di Pompi.
<< E’ delizioso. Non so come faccia a farli così buoni! >> esclamò, con gli occhi da drogato. Forse gliene avevo fatto mangiare un po’ troppo.
<< Te l’avevo detto, io … >>
<< Sì, ma non pensavo potesse farli così! Alla signora Hopkins piaceranno un sacco! >> sentenziò, con gli occhi puntati sui tiramisù incartati che portava in mano. Forse farli portare a lui non era stata una grande idea.
<< Signora Hopkins? >>
<< Sì, la signora che è venuta con me da Londra … quando ero piccolo era la mia tata, adesso è più una governante, mi vizia da morire. E adora i dolci. Un  po’ come te. >> disse, pensieroso. << Però tu sei più magra. E più bella. >> aggiunse, ripensandoci, e mi sorrise.
Arrossii per il complimento e abbassai lo sguardo, imbarazzata. << Grazie. >> mormorai.
<< Seriamente, non so come fai a mangiarti tutta quella roba ed essere così magra! >> esclamò, allegro.
Sbuffai, riprendendomi dall’imbarazzo. << Parla lui! Hai mangiato tre volte quello che ho mangiato io! >>
<< Non è vero! >> protestò lui, indignato.
<< Ti sei mangiato otto tiramisù! >> esclamai, incredula e divertita allo stesso tempo.
<< Erano piccoli! >> si difese, facendo una smorfia sdegnata.
Scoppiai a ridere di fronte alla sua espressione, e lui fece altrettanto.
<< Dillo che adori stuzzicarmi! >> mi provocò, ridendo.
Sembrava un dio greco, con la luce del tramonto che gli illuminava il viso. Le nuvole che si tingevano lentamente di arancione conferivano al tutto un’immagine romantica e magica. Eravamo soli, io e lui, davanti a quel tramonto spettacolare sul Tevere.
Pensai per l’ennesima volta che fosse bellissimo.



Flar's Notes **********************
Ma salve! ^_^ Mi aspettavate? Un altro Lucas POV, come promesso ;) Contente? :D
Scusate ma Lucas rimane il mio preferito... Ronnie/Lucas forever *-* Lunnie... no... Rocas... okay, sono disgustosi DDD:: se per caso trovate un nome carino per la coppia ditemelo subito ^^
Rans... Hannie... ancora peggio DDD:
va bè... lasciamo stare ;)
Quindi bando alle ciance, Flaren, chiudi il becco! u.u Eccovi il chappy... good reading ;)
Flar

PS: Lo so, razza di deviate, che con il titolo pensavate altro, ma per quello dovrete aspettare :DDDD Scusate, questa idiozia mi è sfuggita -_-

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Capitolo 9
*** Hans... o Lucas? ***


Capitolo 9: Hans... o Lucas?



 

Lucas POV
 
<< E’ stato un bellissimo pomeriggio, grazie, Ronnie. >>
Lei arrossì e sentii una stretta allo stomaco. Cavolo, che mi sta succedendo?
<< Grazie a te, casomai. >> rispose lei, abbassando lo sguardo, ancora imbarazzata.
Forse mi ero spinto troppo il là con lei, non dovevo dimenticare che ero sempre il suo professore …
<< Credo di dover andare. >> mormorai, senza guardarla.
Lei alzò lo sguardo e lo puntò su di me, per poi distoglierlo rapidamente. << Sì. E… grazie per i fiori. >>
Le feci un mezzo sorriso, tentando di spezzare quell’imbarazzo che si era creato tra di noi, che durante tutto il pomeriggio non ci aveva mai sfiorato. Perché? Semplicemente perché per un paio d’ore io ero stato Lucas e lei Ronnie, nient’altro, nessun professore e nessuna studentessa. E desideravo disperatamente che fosse ancora così, non volevo che tornasse a essere fredda e scostante con me… anche se non avrei potuto amarla, e mi dispiaceva. In quel momento desiderai di potermi innamorare di lei, ma tutto il carico di ricordi che seguì mi mozzò il fiato. No, non potevo amare nessuno.
Ma quel momento era finito, esploso come una bolla di sapone, e stavamo tornando nei ruoli che ci portavamo cuciti addosso, e forse non era che un bene. Entrare troppo in confidenza sarebbe stato sbagliato, visto che non avrei potuto che farla soffrire e soffrire a mia volta.
<< Ciao, allora. >> la salutai, con un sorriso sincero.
Anche lei mi sorrise, ma prima che potessi anche solo allontanarmi di un paio di metri mi fermò: << Lucas… a proposito di fiori, come hai fatto a sapere che i tulipani screziati sono i miei preferiti? >>
Mi voltai e, nel vedere la sua espressione sospettosa, risi di cuore, tornando da lei.
<< Diciamo che è una storia abbastanza complicata. >>
Ronnie inarcò un sopracciglio, in attesa. << Credo di volerla sapere lo stesso. >>
Nascosi un sorriso, ero certo che avrebbe detto in quel modo.
Mi schiarii la voce. << Allora… volevo regalarti un mazzo di fiori, ero deciso per le rose, ma poi ho pensato che potevano non piacerti… >> Già, come quella volta che Sebastian ne aveva regalato un mazzo alla fidanzata, con cui aveva litigato, e lei gli era corsa dietro insultandolo e lanciandogli una scarpa accusandolo di volerla uccidere – infatti, ne era allergica. Meglio evitare e andare sul sicuro. << Così, ho pensato di informarmi. Sono andato dalla signorina Lovìa, ma come immagini … >>
Lasciai la frase in sospeso, certo che avrebbe capito, alzando gli occhi al cielo. Quella ragazza mi odiava, poco ma sicuro. Dal profondo del suo cuore di ferro.
Lei fece lo stesso, sbuffando. << Non hai scelto esattamente la persona migliore a cui chiedere, sei stato fortunato che non ti abbia detto di regalarmi un mazzo di mimose. Quelli non sono fiori, sono un ammasso informe di palline gialle. >> bofonchiò, protestando.
Aggrottai la fronte, sorpreso. << Non ti piacciono le mimose? E allora cosa ti regalano l’otto marzo? >>
<< Le odio. E poi, sinceramente penso che la Festa della Donna sia anch’essa inutile. Non deve esserci un giorno speciale per fare regali, essere gentili e portare fuori a cena le proprie fidanzate, mogli o compagne. È una cosa estremamente maschilista. >>
La ragazza si faceva sempre più interessante, nei suoi occhi chiari leggevo tutta l’indignazione e la stizza femminile. Che avesse ragione?
<< Non ci avevo mai pensato. >> ammisi. In effetti, forse avrei dovuto fare a mia zia più regali, anche senza una ricorrenza speciale. Ronnie mi stava facendo sentire una persona ingrata, e mi ripromisi che al più presto avrei chiamato la mia famiglia. Dopotutto, era un po’ che non li sentivo.
<< Bè, ora sai come la penso. Tornando a noi … i tulipani? >> chiese, tornando all’argomento precedente, curiosa. In effetti, la storia le sarebbe dovuta piacere.
<< Ah, sì. Dicevo … sono andato da Lovìa, che era al corso pomeridiano di teatro, e le ho chiesto gentilmente se sapesse quali erano i tuoi fiori preferiti. Ovviamente, mi ha sbraitato contro, riempiendomi d’insulti e mandandomi a quel paese – penso che anche questo sia un insulto, visto il modo in cui l’ha detto-, e poi mi ha cacciato di malo modo, mentre mi colpiva con la borsa per farmi andare via. Lì ho capito che Lovìa è una persona parecchio violenta e irascibile, così l’ho lasciata stare – mi ha lasciato un bel livido sulla spalla, quella pazza. >>
Mentre parlavo, osservai il viso di Ronnie, alla ricerca delle sue reazioni. Da quel che potevo vedere, si stava trattenendo dal ridermi in faccia, le lacrimavano anche gli occhi.
Contento di averla rallegrata, continuai: << Quindi, dicevo, dopo essere stato malmenato da Lovìa, sono andato a vedere sull’elenco della sua classe chi altri facesse corsi pomeridiani, e ho trovato Cardi e Bellini a quello di teatro, Giuliani a matematica e Santini a informatica. Poiché mi avevi detto che Cardi e Bellini non rientrano nelle tue simpatie, ho provato prima con Giuliani – che mi ha guardato strano e ha fatto spallucce – e poi con Santini, che è arrossito e mi ha detto di non saperlo. Ero sicuro che invece lo sapesse, così l’ho persuaso… >> O meglio, praticamente minacciato. <<…a dirmi quello che sapeva, e così ho saputo che ti piacciono i tulipani, mi ha detto che quando eri piccola spesso li portavi con te a scuola. Però, non si ricordava quale fosse la varietà che preferivi, ma era sicuro che Lovìa lo sapesse. Quindi, l’ho convinto >> Okay, forse più che persuasione era corruzione, ma era meglio che Ronnie non lo sapesse. << ad andare da Lovìa a chiederglielo con qualche scusa, e così ho saputo quali erano i tuoi fiori preferiti. >>
Sorrisi, soddisfatto di me stesso.
Lei non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere, tra le lacrime. << Oddio… malmenato da Alex… e poi… Santini… come lo hai ricattato? >> mi chiese, ansimando, cercando di darsi un contegno – senza esito, era ancora rossa in viso, eppure era incantevole. Si morse le labbra per non ridere di nuovo, e mi resi conto di quanto fosse bella. Aveva le guance rosse, che risaltavano sulla pelle chiara, quasi diafana, mentre gli occhi erano allegri e leggermente lucidi. Una dea.
<< Ehi! Non l’ho ricattato! >> protestai, fingendomi indignato. Okay, forse ci aveva preso. Accidenti.
Arricciò le labbra. << Allora cosa gli hai promesso? Santini non è il tipo che va in giro a regalare informazioni come se fossero noccioline. >>
Tossii, cercando qualcosa d’intelligente da dire. Nada. << Ehm … solo che gli avrei alzato il voto di condotta.>> ammisi. E che lo avrei aiutato a convincere gli altri professori che interagiva bene con la classe. Per la sua introversione, la condotta, oltre ad educazione fisica, era l’unica pecca sulle sue pagelle costellate di nove e dieci. Avevo osservato bene quel ragazzo, e qualche dubbio iniziava a sorgermi, anche se tutti i professori mi avevano rassicurato con una risata, spiegando la sua asocialità con un semplice “Santini è superdotato. Trova opprimente la compagnia di chi non ha la sua intelligenza, mi sembra più che comprensibile, ma si deve sforzare a parlare con i suoi compagni”. Comunque dicessero, io restavo del parere che quel ragazzo avesse qualcosa che non andava, era troppo bambino, troppo perfezionista, troppo schematico. Santini non riusciva a lavorare se non aveva le matite perfettamente appuntite, il foglio perfettamente dritto, penna e gomma nuove, e se per caso faceva una sbavatura sul foglio, ricominciava tutto daccapo: era capace di ricopiare anche un foglio intero per un segno microscopico. Davvero troppo, troppo strano.
Un lampo di comprensione attraversò gli occhi di Ronnie, che annuì, soprappensiero. A cosa stava pensando?
 
Ronnie POV
 
Sgattaiolai in casa, ancora pensierosa, cercando di non dare nell’occhio. Proprio mentre stavo per salire le scale, mi ritrovai davanti mia madre.
<< Veronica, tua sorella mia ha detto che sei andata con un ragazzo, che è venuto qua. Chi era? Dove siete andati? >>
Sospirai. Mi aveva chiamata Veronica – brutto segno -, e aveva usato un tono freddo e scostante. Doveva averla davvero infastidita, che non l’avessi avvertita.
<< Era il mio prof di Letteratura, ma’. Stiamo organizzando una presentazione sulle opere di Shakespeare, e quindi mi ha chiesto se avevo il pomeriggio libero per progettare i dettagli. >> m’inventai,
improvvisando sul momento, sperando che se la bevesse.
Lei strinse gli occhi. << E un professore regala fiori? >>
<< Quello era un semplice gesto di cortesia, lui è inglese, un vero gentleman. Ti ricordi che Mancini è andato in pensione? Luc … ehm, Evans è il sostituto. >> le spiegai con pazienza, certa che non sapesse nemmeno chi era, Mancini. La memoria non era esattamente la migliore qualità della mamma.
Infatti, la vidi corrugare la fronte, cercando di ricordare chi fosse Mancini.
<< Il prof di Letteratura. >> le suggerii, rapida, sperando che non avesse inteso la presentazione di Shakespeare come uno spettacolo teatrale. Di certo sarebbe stato complicato organizzarne una, e di certo Cardi e Bellini non mi avrebbero aiutata.
<< Ah, giusto. Comunque, il prossimo giorno di ricevimento verrò a conoscere questo Evans. >> mi annunciò, con l’aria minacciosa.
Annuii, sapendo che probabilmente se lo sarebbe dimenticato di lì a un paio d’ore. Mi voltai e iniziai a salire le scale, ma lei mi richiamò.
<< Signorina? >>
Mi voltai, esasperata. << Sì, che c’è? >>
<< Attenta a quello che fai. >>
Alzai gli occhi al cielo e finsi che fosse un consiglio inutile, ma in realtà mi aveva colpita. Come aveva fatto ad intuire quello che pensavo di lui?
 

Mentre ascoltavo la musica in camera mia, il mio cellulare iniziò a suonare, e risposi con un sospiro.
<< Hans, che c’è? >>
La sua voce era cupa e sembrava di umore nero. << Prima sono passato da casa tua perché avevi lasciato uno dei tuoi libri a me e pensavo che magari ti servisse, ma Giada mi ha detto che non c’eri. Che eri con un tipo biondo. >>
<< Sì, e allora? >> sibilai, già irritata.
<< Allora? Due secondi prima ti fa piangere e poi ci esci? È il tuo professore, non puoi uscire con lui! È vecchio! >>
<< Hans, primo, tu sei più giovane di lui di due anni; secondo, sono affari miei; terzo, non iniziare con le scenate di gelosia, ok? Non stiamo più insieme. >>
Lui ringhiò, aggressivo. << Senti, tu puoi fare quello che vuoi, hai ragione, ma non tollero che esci con un vecchio. Tua madre lo sa? >>
<< Sì, Hans, lo sa. E poi, non ci esco insieme, è stato solo per chiedermi scusa. >>
Lui rise, velenoso. << E dimmi, durante questa “uscita di scuse”, siete stati professore ed alunna?Fammi indovinare… NO. Solo perché è inglese ed è andato ad Oxford, non significa un minghia! >>
<< Una minchia, Hans. Se non sai le parole, non le dire, che ci fai solo una figura di merda! >> sbottai, incazzata.
<< Non parlarmi in quel mod… >> iniziò, sbraitando, ma prima che potesse finire, gli attaccai il telefono in faccia. Mi richiamò un sacco di volte, ma misi il silenzioso, e tentai di rilassarmi con un po’ di musica classica, senza esito.
Dopo qualche minuto, Giada spuntò nella mia camera, con in mano il telefono.
<< E’ Hans. Piuttosto arrabbiato. >> m’informò, tranquillamente, e io le ordinai di dirgli che dormivo.
<< Scusa, ma ha detto che ti deve parlare assolutamente e che sa che sei in casa. Altrimenti parla con la mamma. >>
Con un ringhio animalesco, le strappai il telefono dalle mani.
<< Hans, che cazzo vuoi? >> lo aggredii, rabbiosa.
<< Farti ragionare! Essere lasciato per un damerino inglese non lo accetto! >>
<< Hans, noi ci siamo lasciati prima ancora che lo conoscessi, porca miseria! Tra noi è finita, lo vuoi capire?>>
<< Ronnie, potrebbe non essere finito niente! Sono venuto a Roma per te, per riprovarci! Lo so che ho fatto un sacco di cazzate, ma posso rimediare … se me ne dai la possibilità! Non posso, se ti fissi con quel demente britannico. >> spiegò, addolcendosi.
Sospirai rumorosamente. << Non te l’ho chiesto io di farlo, Hans. Possiamo essere amici, non di più. >>
Non rispose per parecchio.
<< Pronto? Ci sei? >> chiesi, stanca.
<< Sì. È per lui? >>
Ci riflettei su. Era per Lucas? Lui mi attraeva, era innegabile. Mi attraeva e lui era attratto da me – o così speravo. Ma? Ma lui era il professore, io la studentessa. Lui era misterioso e indecifrabile e non riuscivo a capire cosa davvero volesse; forse non lo sapeva neanche lui. Sarebbe stato possibile qualcosa tra di noi? Forse no. In fondo, cosa avrebbe dovuto trovare in me, lui, che era così perfetto, così… uomo?
<< No, non è per lui. >>
O forse sì.

Flar's Notes*******************************

Lo so, sono un po' in ritardo, sono una disgraziata, ma tra compiti, pranzi e uova di Pasqua mi sono un po' persa. Scusatemi, adesso ci sono ;) Avevo pensato di sospendere la storia per le vacanze, per poter permettere a tutte di leggerla senza problemi di assenze varie, ma poi ho pensato... "No, vabbè, se non pubblico chi rimane mi strangola D:" e così... eccomi qui ^^
Non so voi, ma io, ad immaginarmi Lucas preso a "borsate" da Alex, mi sono divertita un sacco, infatti mi sono messa a ridere pensandoci, attirandomi gli sguardi preoccupati dei parenti che pensavano: "Forse Julie ha qualche problema mentale DDDDD:"
Oh, già, nel caso non lo avessi già detto, Julie sono io - grazie al cavolo -.-" . Nome osceno uscito fuori dalla mente oscura di mio padre -.-"
Okay, va bene, la smetto di annoiarvi e vi dico... Buona Pasqua (in ritardo) e Buona Pasquetta (per questo dovrei essere in tempo ^^)
Un bacione a tutte!

PS: La storia dei tulipani, con annesso inseguimento e malmenamento di Lucas, è per te, Fflang. Con tanto amore e un ringraziamento speciale per sopportare sempre le mie follie ^^
Il Lucas POV ovviamente è per te, Areis, che butti sempre il tuo tempo a scrivermi recensioni chilometriche che non merito -_-"
E poi, un ringraziamento molto molto molto speciale anche
a marzo2000, la prima a credere in me e in Believe (lo so, scusate la battuta, sono un caso perso -.-" Non per dire, ma ci ho messo 800 anni per capire come collegare i vostri nick alle vostre pagine -.-" sono un caso disperato.), e ad Ally salvatore e Lady_Mon, che hanno recensito la storia ;)
Grazie anche a tutte quelle che hanno inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate (siete un sacco! *-*), e soprattutto a quelle che leggono soltanto. Siete tutte meravigliose.
Okay, adesso me ne vado davvero e vi lascio in pace. ^^"
Flar.

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Capitolo 10
*** Lucas, chi sei? ***


Capitolo 10: Lucas, chi sei?


 

Lucas POV

Bene, ok. Mi ero ripromesso di farlo, e quindi dovevo assolutamente mantenere la parola. Forse. Ma anche no.
No, meglio lasciar perdere, pensai, rigirandomi l’iPhone nero tra le mani.
Pensa a quello che ti ha detto Ronnie. Sei un ingrato, Lucas. Alza quel cazzo di telefono e chiamali subito, saranno preoccupati a morte, sono mesi che non ti fai vivo.
Le voci nella mia testa continuavano ad essere insistenti, quindi con un sospiro cercai il numero di casa nella rubrica – come se non lo sapessi a memoria – e premetti il tasto di chiamata.
Tu … tu … tu …
Mi ritrovai a pregare che nessuno rispondesse, ma sapevo che c’era una possibilità su un miliardo. C’era sempre qualcuno a casa.
« Buonasera, qui casa Evans. » rispose infatti una voce, fredda ed informale. « I signori non ci sono, ma potete lasciare un messag… »
« Sono Lucas, mi passi la signora, per favore. » tagliai corto, già infastidito. Non conoscevo quella domestica, Pierre o Janine mi avrebbero riconosciuto subito.
« Oh. » si lasciò sfuggire la donna. « In questo caso la chiamo subito, signore. Le chiedo solo la pazienza di attendere un minuto, la Sua telefonata non era prevista. »
« Aspetterò. » risposi, sbrigativo, già stanco di tutta quella deferenza.
« Benissimo, allora. La signora arriva subito. »
La musichetta dell’attesa – Per Elisa, di Beethoven – mi riempì l’orecchio destro, e tamburellai nervosamente sul piano liscio e immacolato del tavolo circolare della cucina. Conoscendola, avrei scommesso che ci avrebbe messo parecchio, invece probabilmente era schizzata via alla velocità della luce dal tavolo dove stava prendendo il tè con i miei fratelli o con le amiche, perché la musichetta si arrestò quasi subito.
« Oh, Signore, Lucas! Ma dov’eri finito? Mi hai fatta preoccupare! Non rispondi alle chiamate, non ti fai vivo, la signora Hopkins lo stess … »
« Hai ragione, scusa, mamma. » la interruppi, seriamente in colpa.
Non la chiamavo quasi mai mamma, e infatti la sentii ringalluzzirsi. A volte proprio non riuscivo a chiamarla con quell’appellativo così affettuosocon cui lei sognava sempre di sentirsi chiamare, era come se le parole mi morissero in gola … come se stessi facendo un torto alla mia vera madre.
« Non preoccuparti, l’importante è che tu stia bene … sei ancora a Roma? Stai tornando a casa? »
« Sì e no. » ammisi, sentendomi nuovamente un ingrato, quando percepii la speranza che nutriva nell’ultima domanda. « Sì, sono ancora a Roma, e no, non sto tornando a casa. Non penso che tornerò tanto presto … di certo non prima della fine dell’anno scolastico, a giugno. »
« Oh. » sospirò, senza riuscire a nascondere la sua delusione. « Però … » iniziò, più allegra. « Però potresti venire a trovarci, un giorno! Un weekend, magari … o, se preferisci, veniamo n… »
« Penso di non voler vedere ancora nessuno. Ho bisogno di stare da solo. » la interruppi, prima che potesse illudersi. Volevo bene a tutti, ma avevo bisogno di tempo per far guarire tutte le ferite, e vedermi di nuovo pronto a stare accanto alle persone che amavo. In un certo senso, stavo cercando di allontanarmi anche da loro, per non ferirli e non ferire me stesso.
« Come vuoi. » si arrese. « Però sai bene quello che penso al riguardo, e se fosse per me sarei già venuta a riportarti a casa seduta stante. Neanche tuo padre tollera questo tuo atteggiamento, sai che non hai colpa per quello che è successo » ribadì, forse per la miliardesima volta. Insisteva a considerarmi suo figlio a tutti gli effetti – l’anno prima mi avrebbe fatto commuovere -, alla pari di Will, Seb o Lily, e proprio come una madre non riusciva a vedere che la colpa di tutto quello che era successo era stata solo mia. Se solo fossi stato più attento, se fossi stato meno preso da me stesso …
« E’ inutile che continui a rimproverarti per ciò che non potevi impedire. » mormorò, intuendo i miei pensieri.
« Forse lo è, ma non posso fare a meno di pensarci. » ammisi, con la voce roca.
I ricordi ancora mi perseguitavano, a volte mi svegliavo nel cuore della notte con il cuore che mi batteva all’impazzata, neanche la lontananza fisica mi aveva aiutato molto.
« Spero che troverai ciò che cerchi, lì in Italia. »
Sorrisi, amaro. « E’ quello che spero anche io »
 Stavo cercando me stesso, quello che ne rimaneva, e capire chi ero diventato. Anzi, chi ero e basta. Non lo sapevo più nemmeno io.
« Ehi! Mamma, c’è Lucas al telefono e non me lo dici? »
L’inconfondibile voce di Seb raggiunse anche me, e sorrisi automaticamente.
Sentii rumori strani per qualche secondo, ma poi di nuovo lui: « Fratello, sei in vivavoce, così ti sentono tutti. Lily e Will stanno arrivando. » m’informò, allegro come sempre.
« Ottimo, scommetto che Will muore dalla voglia di rivedermi. » commentai, secco. Tra me e lui non era mai corso buon sangue, e pensavo che fosse perché mi aveva sempre visto come un rivale, in qualsiasi ambito, anche in amore. Quando era successo, lui aveva incolpato me … continuavo a negarlo, ma uno dei motivi per cui avevo radunato le mie cose ed ero scappato dall’aria - diventata opprimente – di quella casa era lui.
« Già, lo sai che stravede per te. »
« Sebastian! » lo richiamò l’altra, quasi scandalizzata.
« Che c’è, mamma? È vero. Will lo detesta, e nessuno sa perché. »
« Sempre a parlar bene di me, eh, fratellino? » intervenne una voce più profonda, ma al tempo stesso più ruvida, sebbene assomigliasse molto a quella del fratello minore.
« Oh, ciao Will. » lo salutò lui, incurante. « C’è Lucas al telefono. »
« Lo so, non sono mica sordo. »
« Uhm, ciao, William. » intervenni, prima che la loro conversazione degenerasse, anche se solo pronunciare quelle parole mi fece venire l’amaro in bocca.
« Ciao, Lucas. Ancora in Italia o torni qui? »
« Puoi stare tranquillo, rimango ancora un po’. » risposi, freddo, percependo chiaramente nella sua domanda un interesse di certo non indifferente.
« Ragazzi … » ci riprese la mamma, bonaria, ma ben sapendo che non sarebbe bastato.
« Bè, ero venuto solo per dirvi che Lily minaccia di uccidere tutti se non parla anche lei con Lucas. » sputò tra i denti il mio adorato fratellastro. Era invidioso, poco ma sicuro. Come sempre.
« Benissimo, allora ciao. » lo congedai, sbrigativo, e di certo lui fu ben felice di andarsene.
« Scusalo, fratello. Lo sai com’è fatto. » si scusò Seb, per lui. Immaginai che stesse scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo.
« Fin troppo bene. » replicai, a denti stretti. Ma se avessi voluto dire qualcos’altro, non avrei potuto, perché la voce acuta e squillante dell’ultimogenita mi trapassò i timpani.
« Lucas! Dov’è Lucas?! Se ha chiuso giuro che lo ammazzo! »
Risi di cuore, sentendo quelle parole. « Tranquilla, Lils, sono ancora qui. Per poco, ma ci sono. »
La sentii sbuffare sonoramente ed intimare a Sebastian di farle posto.
« Perché, cosa dovresti fare? » chiese.
« Bè, devo correggere diciotto compiti di Letteratura, preparare la lezione per martedì, e magari, se riesco, anche quella per venerdì … mi hanno mollato due giorni di fila, una tortura. » la informai, fingendomi esasperato. In realtà, adoravo il mio lavoro, ma soprattutto correggere i compiti. Quello di Ronnie era sempre quello che mi capitava per mano per primo, in un modo o nell’altro. Adoravo soprattutto le parti in cui chiedevo di riflettere sopra brani, oppure di dare pareri personali. Era brillante, con una mente assolutamente fuori dal comune, e la cosa che mi sorprendeva era che scriveva sempre cose molto personali, dappertutto era possibile vedere che lei credeva davvero in ogni singola frase che aveva scritto.
Già, non come altri, che scrivevano ciò che pensavano volessi sentirmi dire, lei non fingeva mai. Ma soprattutto, quando scriveva mi lasciava entrare un po’ nella sua anima, nei suoi pensieri, e non riuscivo a negare quelle visioni non mi piacessero, perché erano incantevoli. Lei era incantevole.
« Ronnie … » mormorai ad alta voce, senza averne l’intenzione.
« Ehi, chi è questa Ronnie?! » s’intromise subito la piccola peste.
« Già, fratello, sei lì da pochi mesi e già hai fatto strage di cuori? Vengo anch’io a trovarmi una ragazza italiana! » scherzò, ridendo.
« Una ragazza? » chiese anche la mamma, che probabilmente stava facendo altro per lasciarmi un po’ di intimità con i miei fratelli.
Cazzo. « Ehm, no, nessuna ragazza. È una solo studentessa molto, molto brava. Stavi dando un’occhiata al suo compito. » mentii, sperando che se la bevessero. « Sono davvero in ritardo e se non comincio subito dovrò passarci sopra la notte. »
« Oh, certo, ti lasciamo lavorare! » s’intromise la mamma, premurosa.
« Ma io ancora non ci ho parlato per bene! » protestò Lily, imbronciata.
« Tranquilla, piccola peste, domani mi racconti tutto quello che vuoi, ok? » la rassicurai, con un sorriso.
« Va bene. » accettò, di buon grado, già allegra alla prospettiva di riempirmi di discorsi su ragazzi, amiche e trucco. Benvenuto inferno.
« Bè, allora ci si sente presto, fratello. Fatti vivo, ok? Mi sei mancato. » mi salutò Seb, caloroso.
« Anche tu mi sei mancato, Seb. »
« Chiama, ogni tanto, Lucas. » si raccomandò ancora la mamma.
« Te lo prometto, mamma. Vi voglio bene. A presto. » li salutai, e chiusi la telefonata.
Il mio primo pensiero? Ronnie.
 
Ronnie POV
 
« Mamma, questo dove lo metto? » chiesi, soppesando un sacchetto di fragole.
« Uhm, in frigo. Guarda se c’è posto giù in basso. »
Lottando con l’insalata, riuscii a far entrare in quel coso straripante anche le fragole.
« Bene, abbiamo finito. » annunciai, soddisfatta, chiudendo l’anta del frigorifero.
« Sì, grazie dell’aiuto. »
« Di nulla. »
Feci per andarmene, ma lei mi richiamò.
«Ronnie, vorrei parlarti ancora di quel ragazzo, Lucas. »
Rimasi interdetta, non mi sembrava di averle mai detto che si chiamava così!
« Hans mi ha parlato di lui. » spiegò, e io ringhiai. Quel figlio di puttana! «E’ preoccupato per te, dice che lui è una persona violenta e che teme possa farti del male. Ti vuole molto bene, lo sai. »
« Allora, mettiamo in chiaro una cosa. » iniziai, furente, giurando a me stessa che Hans me l’avrebbe pagata, e cara, molto cara.  « Lucas non è affatto una persona violenta, anzi. È un vero gentleman, pensa, la sua famiglia è di Kensington! »
La sua espressione cambiò improvvisamente, facendosi interessata. « Kensington? Come hai detto che si chiama, di cognome? »
« Evans. Perché? » chiesi, confusa. Cosa c’entrava, ora, come si chiamava?
Lei s’illuminò, probabilmente dimenticando tutto il discorso convincente che doveva averle sciorinato quel grandissimo stronzo chiamato Hans Wangdorf.
« Quegli Evans? » chiese, con uno scintillio preoccupante negli occhi castani.



Flar's Notes *********************************************
Salve ragazze ^^ Eccomi qui, son puntualissima, una settimana precisa ;)
Come avrete notato, questo capitolo (siamo già al decimo! *-*) è incentrato su Lucas e sulla sua storia. Avrete capito un po' di più di lui, spero ;) Lo so, mi ucciderete per esser così misteriosa, ma altrimenti il nostro Lucas non avrebbe nemmeno un millesimo del suo fascino ;)
eìDetto questo, vi lascio, domani mi interroga in greco e, detto sinceramente, me la sto facendo sotto >.<
Per favore, almeno sei, almeno seiiiii.... ops, scusate ^^"
Un bacio ;)

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Capitolo 11
*** Alex ***


Capitolo 11: Alex



 

« Sei assolutamente sicura che sia Evans con la ‘e’ e non con l’‘h’? » mi chiese di nuovo, forse per la miliardesima volta, continuando a camminare su e giù per la stanza.
« Sì, mamma. » ripetei, esasperata. « Si può sapere perché t’interessa così tanto? »
« M’interessa perché … Andrew Evans nel 2005 è stato candidato per essere eletto Primo Ministro Britannico. » annunciò con tono solenne e io alzai gli occhi al cielo, sbuffando.
« Sai quanti Evans ci saranno a Londra? Migliaia! Non è detto che sia suo padre, mamma!  » sbottai, alzandomi dalla poltrona, decisa ad andarmene. Era davvero un discorso ridicolo!
« Aspetta! » mi fermò. « Ragiona, le cose combaciano. Il ragazzo è di Kensington, ha frequentato Oxford…»
« Mamma, non c’entra nulla. Non può essere semplicemente un ragazzo londinese qualsiasi? E poi, pensi che un politico così importante permetterebbe che suo figlio finisca in Italia per diventare un professore sottopagato e senza possibilità di carriera? » continuai, categorica.
Le s’illuminarono gli occhi. « Magari è un figlio illegittimo! E quindi il padre gli da dei soldi perché  si allontani dalla Gran Bretagna  e non si venga a sapere della sua esistenza … »
« Certo, come no. Magari è nato da un’elfa e suo padre in realtà è Babbo Natale travestito che nel tempo libero è un serio politico inglese, ma che a dicembre si trasferisce al Polo Nord. » ironizzai.
 Mia madre guardava troppi film.
« Brava, scherzaci su, però poi non dire che io non ti avevo avvertita. » sbottò, stizzita.
« Va bene. » proruppi, seriamente esasperata. « La prossima volta che lo vedrò glielo chiederò, così ti convinci, ok, mamma? »
Oh, dio. Stavo seriamente iniziando a pensare che mia madre avesse problemi. Ahah, Lucas figlio illegittimo di un politico, costretto quindi a nascondersi in Italia? Degno di un film americano.
Mia madre aveva decisamente una fantasia sfrenata.
                                       
 
Qualche giorno dopo, davanti al liceo, vidi Alex arrivare stranamente presto – era nota per essere sempre, costantemente in ritardo -, con un paio di occhiali da sole scuri, nonostante fosse novembre inoltrato.
« Ehi, Alex, gli occhiali da sole a novembre li porti solo tu, comunque. » scherzai, alzando la voce.
Lei accelerò, tenendo lo sguardo basso e mi raggiunse in un lampo.
« Shh! » m’intimò, controllando se qualcuno dei pochi ragazzi che già c’erano si fosse accorto di niente. Fortunatamente, nessuno badava a noi.
« Alex, mi stai facendo preoccupare. » annunciai, mentre mi trascinava verso l’ingresso secondario, che quasi nessuno usava mai.
« Zitta e seguimi. » sibilò, continuando a trascinarmi per un braccio. « Adesso ti spiego. »
Iniziavo seriamente ad essere inquieta: non era da Alex comportarsi così, proprio no, non lei che era sempre allegra e frizzante, a volte anche troppo.
« Ho un problema. » sussurrò, continuando a guardarsi intorno.
« Oh, mio dio! Sei incinta? » esclamai. Adesso sì che mi era tutto chiaro! In effetti, negli ultimi giorni l’avevo vista sempre pallid…
« Ma tu sei tutta scema! Che cazzo ti urli? Ma che incinta e incinta! » sbottò, ma potrei giurare di aver visto le sue labbra incurvarsi verso l’alto. « Ho un problema peggiore. »
Con un sospiro, si tolse gli occhiali da sole, scoprendo un livido violaceo intorno all’occhio. Era già molto visibile, segno che non era recentissimo, forse della sera prima. Appena lo vidi, capii quello che doveva essere successo.
« Si vede tanto, vero? » sussurrò, la voce tremante per le lacrime.
« Chi è stato? » chiesi, preoccupata.
Non mi rispose, ma il suo silenzio fu eloquente.
« E’ stato tuo padre, vero? »
Lei fece un impercettibile cenno affermativo con il capo, sbattendo velocemente le ciglia per non far scendere le lacrime lungo le guancie.
« Alex, devi denunciarlo. » dissi, abbracciandola. Lei non ama il contatto fisico – tantomeno baci e
abbracci -, ma non fece storie. Non quella volta.
« No. »
Non era la prima volta che succedeva, ma suo padre non le aveva mai lasciato segni in volto. Quando era ubriaco se la prendeva con lei o con la madre, ma di solito le aggrediva a parole, mai fisicamente, così mi diceva Alex. La cosa peggiore era che da sobrio era una persona adorabile, dolcissimo sia con la moglie che con la figlia, e invece alcune sere beveva così tanto da risvegliarsi senza ricordarsi nulla – o così diceva - di quello che aveva fatto da ubriaco. Ovvero, insultare moglie e figlia.
Una volta, lei mi aveva confidato che in certi momenti avrebbe preferito essere picchiata a sangue.
Quella volta, sembrava fosse successo.
Il signor Lovìa aveva davvero superato il limite. La storia andava avanti da poco più di due anni, da quando i signori avevano iniziato ad avere problemi coniugali. Anna voleva lasciarlo, ma un giorno il marito era tornato a casa ubriaco fradicio e l’aveva picchiata e violentata. Da quel momento, nessuno in casa Lovìa parlò più di separazione, anche se lui almeno una volta ogni due settimane diventava un mostro.
« Alex, questa volta è diverso, ti ha picchiata. Devi dirlo a qualcuno, almeno a un professore! »
Lei si staccò da me e mi fissò implorante. « No, e anche tu non devi dire niente! Ha giurato che non succederà più! »
« Questa volta se lo ricordava? » ribattei, dura. Temevo per Alex, ed ero assolutamente sicura che denunciarlo fosse la cosa migliore da fare.
Lei abbassò gli occhi, sapevo bene che mai una sola volte il signor Lovìa aveva ammesso di ricordare ciò che aveva fatto.
« No, ma ne sono certa. Non accadrà più. »
« Va bene, allora sai che facciamo? Vieni a stare da me per un po’, i miei non faranno domande. Oggi pomeriggio, dopo scuola, passiamo a prendere un paio di cose a casa tua, e io verrò con te. Okay, Alex? »
Lei annuì, sorridendomi piano, riconoscente. « Va bene, Ronnie. Ora, però … »
Sembrava davvero in imbarazzo, e io la incoraggiai a proseguire, confusa. « Avresti del correttore? Non voglio che si veda … »
Annuii, tirandolo fuori dalle borsa, e applicandolo sul livido, tentando di essere più delicata possibile: era gonfio e sembrava fare davvero male.
« Ne hai altri? » chiesi, preoccupata che potesse averle fatto davvero male.
« No … solo uno sul fianco. »
Le feci alzare la maglietta, scoprendo una grossa macchia rossastra sotto le costole.
« Alex, questo è grave! » esclamai, inorridita dalla violenza che doveva aver usato quel mostro.
« No, non c’è niente di rotto, me lo ha controllato mamma. » sussurrò, riabbassandosi in fretta la tshirt.
« Passerà in fretta. Ora andiamo, la campanella ha già suonato »
La guardai preoccupata, certa che nessuna campanella avesse suonato. La mia paura era che nascondesse qualcosa di più grave che non voleva rivelarmi.
Ma soprattutto, ero certa che bisognasse fare qualcosa: Alex non poteva vivere per sempre nel terrore.
Sospirai, e la seguii su per le scale del liceo. La giornata si prospettava lunga e faticosa.
 
Lucas POV
 
Un paio di giorni dopo alla telefonata con la mia famiglia, dopo la lezione, vidi Ronnie rimanere in classe.
Le sorrisi, sistemando in fretta le mie cose. Ultimamente, quei minuti erano diventati piacevolissimi, per me. Ogni tanto, lei si fermava a fare quattro chiacchiere, e ogni volta mi sorprendeva, tirando fuori argomenti nuovi, oppure commentando qualche fatto odierno, lasciandomi sempre a bocca aperta per la sua arguzia.
« Ciao, Ronnie. Qualcosa da chiedere sulla lezione? » scherzai. Lei capiva sempre tutto quello che spiegavo, e se faceva domande erano sempre intelligenti e sensate. « Cime Tempestose non è il mio romanzo preferito, ma non si può negare che Emily Bronte sia brillante. Magari un po’ tetra, ma brillante. »
« No, mi chiedevo solo come mai mettere Cime Tempestose a questo punto. Voglio dire, abbiamo appena finito Shakespeare, poi Wilde … »
Risi, leggero. « Certo, ho fatto un salto temporale, ma così riuscirete davvero a capire la differenza di stile che c’è tra Shakespeare, Wilde e Bronte. È più che palpabile, direi. Sono stili totalmente differenti,  specialmente dal punto di vista stilistico. Più tardi paragoneremo anche Austen, ma si tratta di differenze diverse. »
« Mi piace il suo programma. »
« Grazie, ma oggi mi sembrava particolarmente intenta a parlare con Lovìa. » scherzai di nuovo, canzonandola. « Pensavo riuscisse a stare più attenta, durante le mie lezioni. »
Lei avvampò, e sorrisi, certo di averla messa in imbarazzo.
« Prof, era una cosa seria … » tentò di spiegare.
« Seria? Quanto seria? » intervenni, preoccupato. La sua espressione era grave.
« Mi dispiace, ma non riguarda me, e ho giurato di non farne parola. Però è una cosa molto seria, e vorrei chiederle di non menzionare nulla agli altri professori. »
« Certamente. » promisi, pur restando confuso. E, soprattutto, ero deciso a scoprire di cosa si trattasse.
« Puoi dirmelo, non dirò nulla a nessuno, te lo giuro su quanto ho di più caro al mondo.»
« Non posso, Lucas. »
Mi aveva detto di no? Perché mi aveva detto no? Non si fidava di me? Nessuno diceva mai no a me! Nessuno mi aveva mai negato nulla: quando desideravo qualcosa, me la prendevo, e basta, E se non potevo averla da solo, qualcuno la prendeva per me. Nessuno diceva no a Lucas Evans, dannazione!
« Per favore. » dissi, piantando gli occhi nei suoi, cercando di convincerla. « Sono preoccupato per voi, se è qualcosa di grave voglio saperlo, potrei potervi aiutare. »
La vidi tentennare per un istante, indecisa sul da farsi, ma poi scosse di nuovo la testa. « Mi dispiace, ma farei del male a molte persone, se te lo dicessi. Non riguarda me, altrimenti lo sapresti già … posso solo dirti di non preoccuparti. »
« Non mi basta … se la metti così deve essere qualcosa di davvero molto grave! Ho bisogno di sapere che non siete in pericolo, me lo impone la legge. » mentii, ignorando del tutto se ci fosse una legge anche per quello. In Italia le cose erano così complicate! Chissà cosa potevano aver combinato quelle due! Magari erano state importunate da stupidi ragazzetti della loro età … al solo pensiero, ribollii di rabbia.
« Non siamo in pericolo, ma se lo dovessimo essere ti avvertirò, va bene? » chiese, cercando al tempo stesso di accontentare me e nel frattempo di non tradire l’amica.
Annuii frustrato. « Va bene. » Avrei voluto sapere di più, ma non mi avrebbe detto nient’altro.
Dovevo assolutamente sapere qual era il problema. Se c’entrava quello schifoso tedesco, allora io … lo avrei fatto a pezzettini, quello stronzetto.
« Mhh, Lucas, ora che ci penso … per caso il politico Andrew Evans è tuo padre? » mi chiese, alzando gli occhi al cielo.
 Cazzo. Feci una risatina, che suonò abbastanza credibile. « Evans è un cognome comunissimo, a Londra e in Inghilterra in generale. » spiegai.
« Infatti, gliel’avevo detto, io! » esclamò, con l’aria trionfante di chi sa di aver ragione.
Mi divertì il suo sguardo, non sapeva quanto aveva torto.
« Perché, chi lo voleva sapere? » chiesi, curioso. Chi poteva aver collegato me a lui? Lovìa? O forse Santini?
« Mia madre. » sbuffò, alzando gli occhi al cielo. « Era convinta che fossi un figlio illegittimo costretto a scappare in Italia per nascondersi. »
Mica tanto lontano dalla realtà, la mamma a quanto pare aveva una fervida immaginazione, ma di certo ci aveva quasi preso.
Risi, fingendomi divertito. « Bè, succede. Magari legge molti libri del genere. »
« No, film. Comunque, adesso le potrò finalmente dire che Arthur Evans non è tuo padre. »
Già, infatti. È mio zio.

Flar's Notes **************************
Lo so, scusate, questo capitolo non mi convince molto, ma non volevo farvi aspettare troppo (io DETESTO aspettare -.-")
Adesso scusate, devo proprio scappare, alla prossima ^^
Fatemi sapere se questo capitolo dice troppe cose tutte insieme -.-"
Flar

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Capitolo 12
*** Lupo ***


Capitolo 12: Lupo


Lucas POV
Dannazione, non mi aveva scoperto per un soffio! Ma cavolo, era arrivata vicina, tremendamente vicina … grazie a Dio quando ero a Eton avevo studiato anche recitazione. Porca miseria, non pensavo che la madre di Ronnie potesse collegare me a mio zio … era passato più di un decennio, accidenti!
E se la madre avesse chiacchierato troppo, magari con qualche amico giornalista, non ci sarebbe voluto molto prima che qualcuno notasse l’effettiva somiglianza … per la prima volta nella mia vita odiai gli occhi azzurri tipici della famiglia Evans. Cazzo. E se qualcuno avesse notato la somiglianza tra me e mio zio … non ci sarebbe voluto molto per capire che un rampollo di una famiglia del genere non va in un altro Paese per diventare un professore sottopagato – ricevevo davvero una miseria, poco più di mille euro al mese – in un liceo qualsiasi… sarebbe bastato scavare un po’, e chiunque ricordasse gli eventi dell’anno precedente non ci avrebbe messo molto a fare due più due … mettendo in mezzo anche i miei genitori, magari … già immaginavo i titoli sui giornali scandalistici! Sarebbero arrivati i paparazzi da ogni dove, e la mia tranquillità precaria sarebbe definitivamente andata a farsi fottere. 
Dovevo assolutamente parlare con la madre di Ronnie, e in fretta, anche.
Perché non posso stare in pace? Perché io? Perché adesso? Perché?
E come se non bastasse, dovevo anche cercare di capire in che guaio si fossero cacciate Ronnie e la sua amica. Quella era capace di picchiare il capo di una gang o roba simile!
Dio, quanti problemi.
 
Ronnie POV
« Mamma, Alex starà da noi per un po’. » annunciai, entrando in salotto, dove lei stava lavorando al pc.
« Spero non sia un gran disturbo. » aggiunse la diretta interessata, timidamente.
La mamma si alzò in piedi, sorridente. « Ma no, Alessia, che disturbo e disturbo! Lo sai che qui sei sempre la benvenuta … Ronnie, dì a Giada di aiutarti a fare il letto per lei, stasera.
« Grazie mille. » la ringraziò l’altra, e poi salimmo in camera mia.
Lei posò la borsa a terra, sul tappeto bianco, e poi si buttò sul mio letto a peso morto.
« Non mi va di tornare a casa mia. » si lamentò, con la faccia sepolta su un cuscino.
« Tranquilla, verrò con te. Se vuoi può venire anche Santini. »
Lei sbuffò sonoramente. « Se, lui. Quello non si sa nemmeno difendere da Cardi, figurati se può essere d’aiuto. Uno come Hans servirebbe! »
Incrociai le braccia, contrariata. « Assolutamente no. Hans non verrà da nessuna parte. » iniziai, ma mi balenò in mente un’idea: e se fosse venuto Lucas? « Potrebbe venire Lucas con noi » suggerii, infatti.
Lei alzò la testa, per squadrarmi con aria  decisamente irritata. « Manco per sogno! Lucas, come lo chiami tu, è un professore. Anche se voi siete amici picci pocci e roba simile, non lo voglio tra i piedi. » sentenziò, irremovibile.
« Primo, non siamo “amici picci pocci”, e secondo, è abbastanza alto e forte da tenere testa a tuo padre, in caso. » replicai. « Non possiamo andare noi due da sole, ci serve un maschio - che non sia Hans. »
Lei si mise seduta, senza mollare però il mio cuscino. Sembrò rifletterci sopra, ma poi s’illuminò. « E se venissero Galante e Arcangeli? »
Feci una smorfia a sentire quei due nomi. « Sì, proprio, scommetto che muoiono dalla voglia di aiutarci. E poi, cosa potrebbero fare quei due bellimbusti, se non specchiarsi in giro? Sono praticamente delle mammolette! »
Okay, non erano mammolette, ma sinceramente l’idea di condividere l’aria con uno dei due – o peggio, con tutti e due – mi dava il voltastomaco. Erano dei completi, totali, innegabili idioti che passavano i pomeriggi tra le gambe di una ragazza diversa ogni giorno, oppure a lucidarsi i muscoli frutto di ore e ore in palestra.
« Però anche il padre di Arcangeli lo picchiava … » mormorò lei, chinando la testa.
Vero, lo avevo dimenticato. Tutto ciò prima che la madre si decidesse a buttarlo fuori di casa, con l’aiuto dello zio.
« Sì, ma … » iniziai, cercando qualcosa per replicare, ma non ne trovai. « E Galante, il suo amichetto? »
« Lui può non venire. » ammise lei, e io sospirai. Meglio uno che due. Sempre se Arcangeli avesse accettato.
« Mi arrendo. Proviamo con Arcangeli. Lo devo chiamare ora? »
«Prima lo facciamo, meglio è. »
Annuii, e afferrai il cellulare, cercando nella rubrica il numero che mai avevo usato. Con un sospiro, feci partire la chiamata.
« Oh, chi è? »
La solita finezza. « Ehm, ciao, Lupo,  sono Ronnie. » lo salutai, impacciata.
« Ah, ciao. Dimmi. »
Perlomeno tagliava corto, anche se il tono non era scortese. « Bè, ecco, Alex passerà un po’ di tempo a casa mia, e ci servirebbe qualcuno che ci accompagni a casa sua per prendere un po’ di vestiti … sai, nel caso … »
« Nel caso il padre dia di matto. » completò lui, amaro.
« Bè, sì. » ammisi, rossa in volto. « E’ che non ci è venuto nessun altro in ment…»
« Va bene, arrivo. » m’interruppe, sorprendendomi. Mi ero aspettata di doverlo pregare, e magari di dovermi offrire di fargli i compiti per un mese. « Siete a casa tua?»
« S-sì. Ti ricordi dov… »
 « Sì, sì, tranquilla, la settimana scorsa ho dovuto accompagnare a casa tua mia madre. Sono ancora a scuola, il tempo di arrivare  e sono da voi. A dopo. » disse, e chiuse la conversazione.
Praticamente, aveva fatto tutto lui. A meno che non  soffrissi di amnesia, quello non poteva essere Lupo Arcangeli. Forse avevo battuto la testa?
« Allora? Ha detto di sì? »
Annuii, ancora scossa. « Sembrava di buon umore. »
« Meno male. » sospirò lei, sollevata.
Una decina di minuti dopo mi squillò il cellulare, e scendemmo giù.
Vidi subito la moto rossa fiammante di Arcangeli, che da lontano sembrava pure bello.
Giacca di pelle, camicia bianca, jeans scuri. Se non lo avessi conosciuto mi sarebbe parso anche piuttosto attraente.
« Scusate il ritardo, ma Francesco mi ha trattenuto. »
Già, l’adorabile Franceschino, il suo amichetto del cuore.
« Ehm, ma voi avete qualcosa  per venirmi dietro? In tre non entriamo, sulla moto. »
Cavolo, non ci avevo pensato. « Bè, Alex ha il motorino … »
« Già, che è parcheggiato nel garage di casa mia. » disse lei, abbattuta.
« Una sola di voi due può venire. » sentenziò lui, come se non fosse già ovvio.
« Vengo io. » affermai, allora. Non avevo nessuna intenzione di far passare ad Alex più tempo del necessario in quella casa.
« No. » mi corresse l’altra. « Tu non sai quello che mi serve, e poi, così potrò spiegare tutto a mamma. »
« Ma … » tentai di replicare, scioccata. Lei. In quella casa. Sola. Con Arcangeli? Magari quello se la filava e poi l’avevamo fatta, la frittata.
« Non correrà rischi. So bene cosa si deve fare in certi casi. » mi rassicurò lui, e un’ombra passò nei suoi occhi verdi.
« Va bene. » mi arresi. « Però dovete muovervi, ok? »
« Ok. » assentì lui, e porse un casco rosso alla mia amica.
Mentre lei si dirigeva verso la moto, ammirandola – adorava quel genere di cose -, io afferrai Arcangeli per un braccio. « Guida piano, ha tutto ha uno dei fianchi distrutti, con un livido enorme. » gli sussurrai.
Lui annuì gravemente. « Da quel che sapevo, Lovìa non alzava le mani sulla sua famiglia! Solo una volta è successo! »
« Sì, di solito usa insulti e improperi, ma penso che l’altra sera sia successo qualcosa di grave … era davvero scossa. »
« Capisco. Farò attenzione. »
Quel lato serio di Lupo mi colpì, non lo avevo mai visto in quel modo, senza dire stronzate e senza scherzare.
« Sarà meglio per te. »
 
Alex POV
« Dai, sali. Non morde mica. » scherzò, ma non era perché avevo paura che continuavo a fissare la sua moto senza salirci sopra.
«E’ una Yamaha R1, vero? Però ci hai fatto qualche miglioramento … » osservai, girando intorno a quella meraviglia. Avrei baciato il terreno di una discarica per averne una simile!
« Sì. Il motore è stato potenziato, è diventata un vero gioiellino. » mi spiegò, ammirato. « Ti interessi di motori? »
« Sono l’unica femmina in una tribù di cugini maschi. Per forza di cose, sì. » assentii, ridendo. « Mio cugino ha una Honda DN 01. Non male, ma questa è meglio. »
« Grazie. »
Sembrava compiaciuto, doveva tenerci molto. « E la tua BMW che fine ha fatto? »
« Bè, ce l’ho ancora, in garage. Questa è stata un regalo per i miei diciotto anni. »
« Ah, capisco. Magari me ne regalassero una così! »
Rise.« Diciamo che ci ho messo due anni per convincere mia madre. Comunque, facciamo il nostro giro? » chiese, indicando con un cenno del capo il casco che avevo in mano.
Sospirai. « O ora o mai più. »
M’infilai il casco e salii dietro di lui, stringendolo con un braccio, mentre con l’altro salutavo Ronnie, che era decisamente preoccupata. Povera, le stavo dando un sacco di problemi.
« Tieniti forte. » mi avvertì lui, e io obbedii, e feci bene: due secondi dopo stavamo sfrecciando alla velocità della luce sulla strada, schivando auto e pedoni per miracolo.
« A quanto arriva? »
« Con i miglioramenti? Anche a duecento! » gridò, per farsi sentire nonostante il rombo del motore e il vento che sfrecciava con noi.
Gridai, quando evitammo per un pelo un tir che aveva frenato di scatto, e quando, arrivati in una via libera, accelerò ancora di più, il mio grido si trasformò in eccitazione. Avevo sempre adorato le moto, i loro rombi, e soprattutto chi le guidava.
Inchiodò bruscamente proprio davanti al portone di casa mia, e sospirai. Il viaggio era durato così poco?
« Al ritorno lo rifacciamo? » chiesi, implorante, e lui rise, togliendosi il caso. Rise ancora, mostrando i denti candidi e perfetti – quando eravamo alle medie aveva portato anche lui l’apparecchio.
« Scusa, non ci sento tanto, una pazza isterica mi ha urlato nell’orecchio tutto il tempo. »
« Bah, chiudi il becco, Arcangeli. » sbuffai, tirandogli la borsa addosso per scherzare.
Scosse la testa, massaggiandosi teatralmente un orecchio, e io sospirai. Almeno mi ero fatta quattro risate.
« Su, andiamo. » sospirai, e lui mi diede una pacca sulla spalla che per poco non mi fece cadere, comprensivo.
Stavo per affrontare mio padre, e per di più con l’ultima persona con cui mi sarei aspettata di farlo: Lupo Arcangeli – che poi, che cacchio di nome gli avevano dato?! Lupo? Bleah.

Flar's Notes ****************************
Scusate, ma sono giù di morale, e non so come sia venuto fuori questo capitolo... il fatto è che io non riesco a scrivere se non sono motivata, e mi sembra che la storia non vi stia piacendo più di tanto adesso :'(
Non sono il tipo che implora recensioni, però un commentino me lo lascereste? Per favore >.<
Scusate, è un periodo abbastanza difficile adesso per me, perdonatemi lo sfogo >.<
Un bacio dalla vostra depressa Flar

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Capitolo 13
*** Mi fido di te ***


Capitolo 13: Mi fido di te


 

Lucas POV

Dlin Dlon.
Una signora sulla cinquantina, un po’ attempata, mi aprì la porta.
« Sì? »
« Sono il professore di Ronnie, vorrei parlare con la signora. » annunciai, con un sorriso sapiente.
Lei, sorprendendomi, alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
« Ha sbagliato indirizzo. »
« Ma … sul campanello c’è scritto Diamante. » protestai, testardo, certo che non volesse farmi incontrare la signora.
Lei alzò nuovamente gli occhi al cielo.
« Sì, ma i Diamante che cerca lei vivono nel palazzo di fronte. » mi spiegò, acida, indicandomelo con un dito attraverso la grande finestra che avevo alle spalle.
Arrossii. « Oh, mi scusi. »
« Tanto ormai siamo abituati. » bofonchiò lei, chiudendomi la porta in faccia senza tanti complimenti.
Bella figura, bravo, Lucas.
Scesi al piano terra e mi diressi al palazzo che la signora mi aveva indicato, e notai che anche lì c’era un Diamante.
Salii fino all’ultimo piano, presi un bel respiro e suonai.
Dlin Dlon.
La scena sembrava quasi uguale, se non che mi aprì una signora più giovane, un po’ rotondetta e con un sorriso gentile, che mi ricordò la signora Hopkins, e mi mise a mio agio.
« Desidera? »
« Salve, sono il professore di Ronnie, e dovrei incontrare la signora Diamante. » la informai, con un sorriso.
Lei annuì, e mi fece strada. « Prego, entri pure. La signora la sta aspettando? »
« Le ho fatto inviare un messaggio attraverso la scuola, quindi penso di sì. »
« Benissimo. »
Mi guidò per la casa – attraverso una porta aperta intravidi il salotto dove avevo chiesto scusa a Ronnie -, e infine si fermò davanti a una porta chiusa.
Bussò tre volte, e senza attendere la risposta entrò, facendomi segno di seguirla.
Quella che presumevo fosse la madre di Ronnie era seduta a una scrivania, e stava scrivendo qualcosa al computer.
« Signora, è arrivato il professore di Ronnie. »
Lei si voltò, sistemandosi gli occhiali sul naso, e sorrise. « Certamente. Grazie, Rosa. »
L’altra sorrise e si dileguò.
« Prego, spostiamoci in salotto. » m’invitò, mentre finiva quello che stava facendo. Percorremmo un lungo corridoio, e infine mi portò in quella stanza. Con un nodo allo stomaco notai che i miei fiori, quelli che avevo regalato a Ronnie, erano in bella vista dentro un raffinato vaso di cristallo.
Riscuotendomi dai miei pensieri, mi sedetti in fretta, e poco dopo lei m’imitò.
« Allora, aveva detto che voleva vedermi. »
« Può benissimo darmi del tu, signora. »
Lei rise, affabile. « Va bene, allora. Di cosa volevi parlarmi? »
Esitai un attimo, indeciso, ma alla fine optai per la verità. « Ronnie mi ha detto che lei voleva conoscermi, che aveva …» esitai un attimo, ma poi presi un respiro e finii la frase. « …delle domande per me. »
 
Ronnie POV
 
Guardai nervosamente il mio orologio, come ormai facevo da almeno un’ora. Chissà dov’erano quei due! Cercavo di negarlo, ma ero preoccupata.
Gelato, Nutella, Palestra o Televisione?, pensai, cercando il modo migliore per rilassarmi. Definitivo, gelato, Nutella e televisione. Che la palestra andasse a quel paese.
Con in mano una vaschetta di gelato e il mio caro barattolo di Nutella, aprii la porta del salone – dove c’era la tv più grande -, ma mi ritrovai davanti … Lucas, che rideva, allegro, con … mia madre?
Sbarrai gli occhi, certa di essermi persa qualcosa.
« Oh, ciao, Ronnie. Hai visto chi c’è? » mi salutò la mamma, giuliva.
« Ehm, già. » balbettai, rossa in viso, constatando in quel momento di avere una tuta oscena da bambina di prima elementare.
« Tranquilla, non ho parlato a tua madre dei pessimi voti che prendi nella mia materia. » scherzò lui, per mettermi a mio agio.
La mamma rise forte – evidentemente, lui le piaceva.
« Benissimo, allora a presto, Lucas! »
Cos’era, si chiamavano pure per nome?!
« Certamente, Elena! » disse lui, raggiante, e poi mi chiese di accompagnarlo alla porta.
Annuendo come un automa, feci quello che mi aveva chiesto, con ancora la Nutella e il gelato in mano.
« Allora, ciao anche a te, Ronnie. » mi sussurrò, dolcemente, ammiccando.
« Ehm, sì, certo. A domani. » balbettai, di nuovo rossa in viso.
Appena fu uscito, mi chiusi la porta alle spalle con un sospiro, con ancora i battiti accelerati.
Poco dopo, marciai decisa verso il salotto, per avere spiegazioni da mia madre.
« Cosa ci faceva lui qui? » chiesi, inviperita, senza mezzi termini. Se me lo avesse detto mi sarei vestita meglio!
« Oh, niente, è solo venuto a dirmi dei tuoi progressi a scuola, e poi mi ha anche assicurato di non essere il figlio di Arthur Evans. Peccato, mi sembrava anche che si assomigliassero un po’ … ma, in fondo, tutti gli inglesi si assomigliano, no? » chiese, retorica, come per giustificarsi.
Io alzai gli occhi al cielo, in un implicito ‘Te l’avevo detto ’.
« Comunque » continuò lei. « E’ davvero un ragazzo perbene. Educato, gentile, rispettoso … un vero gentleman. »
Sbuffai, pensando che quella che adesso stava praticamente adorando in ginocchio Lucas era anche quella che lo aveva implicitamente accusato di provarci con me e di essere un maniaco sessuale. Alla faccia della coerenza.
« Sì, lo so, mamma. Te l’ho detto io per prima. » ribattei, acida, uscendo dal salotto per andare a posare quello che avevo in mano.
 Mi era passata la voglia di nutella e gelato.
 
Alex POV


Facendo segno ad Arcangeli di fare silenzio, aprii la porta di casa.
Sgattaiolammo dentro, sperando che non ci fosse nessuno in casa, e lo guidai verso la mia stanza.
Quando passammo davanti alla porta della cucina, però, una voce venne dal salotto.
« Alessia, sei tu? » chiese mia madre, La sua voce era timorosa, tremante, come se avesse appena smesso di piangere.
« Sì, mamma. » sospirai, alzando la voce per farmi sentire. Mi diressi verso il salone, e Lupo fece per seguirmi, ma lo bloccai mettendogli una mano sul petto, scuotendo la testa. Non volevo che mia madre sapesse che c’era qualcuno con me, forse si sarebbe vergognata. Le botte che avevo preso erano destinate a lei. Ovviamente, lui non mi ascoltò, anzi, mi precedette, testardo.
Sbuffa, ma non protestai: non era il momento giusto per mettersi a litigare – e lui lo sapeva.
« Ciao, mamma. » la salutai.
« Salve, signora. » disse in vece lui, rispettoso.
Il volto della mamma, tremendamente pallido, si aprì in un sorriso debole. « Oh, ciao, Lupo. Sei venuto per accompagnare Alessia? »
Lui annuì, grave.« Sissignora. » assentì, e poi si fece un po’ da parte per farmi parlare con lei con un minimo di privacy. Apprezzai.
Mi piegai sulle ginocchia, per avere il viso alla sua altezza – lei era seduta.
« Mamma, vado a stare da Ronnie per un po’. »
Mi aspettavo pianti, grida, suppliche, ma invece non ci fu nulla del genere: lei annuì semplicemente, stringendo le labbra.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma improvvisamente le si rovesciarono gli occhi all’indietro, e perse conoscenza.
Nel panico, la scossi, e poi provai a tirarle qualche schiaffo, ma non servì a nulla … era così pallida … chiamai Lupo, gridando disperata.
Lui mi raggiunse in un attimo, e chiamò immediatamente un’ambulanza.
« Cazzo, perché arrivi ci vorranno più di venti minuti! » imprecò, alzando la voce.
Tentai di pensare lucidamente, pensando a un altro modo per fare arrivare la mamma in ospedale, mentre lui le controllava i battiti cardiaci. La moto non andava bene, sarebbe servita … una macchina. La SMART della mamma!
« Cercai le chiavi nel mobiletto dell’ingresso, e le lanciai a lui, che le prese al volo.
« Ma che … ? »
« Sono le chiavi della macchina della mamma. È una SMART, e io non so guidare una macchina, devi portarla all’ospedale. Subito! »
« I-io?» chiese, incredulo.
« Sì, tu!» gridai.« Mi fido di te, Lupo.»
« Va bene.» acconsentì, e sollevò la mamma tra le braccia, senza sforzo.
« Per di qua! »
Corremmo giù per le scale fino ad arrivare al garage.
Lui aprì la macchina, e depose la mamma sul sedile del passeggero.
Si fermò a guardarmi, ma gli gridai di non pensare a me.
« Mi fido di te! » esclamai, tra le lacrime, avvicinandomi al suo finestrino.
Sperai disperatamente che fosse stata una buona scelta.

Flar's Notes ***************************************************
Lo so, lo so, lo so. Sono in ritardo di una settimana, ma ho avuto una marea di cose da fare e questo capitolo l'ho finito due secondi fa, e solo perchè non sono andata a scuola - sono dai miei nonni, domani è il loro 50° anniversario.
Quindi scusatemi, imploro perdono ç_ç
Oltretutto, non è neanche uno dei miei migliori capitoli, ma giuro che il prossimo sarà meglio. GIURO.
E poi, e poi, e poi... boh. Mi son dimenticata. Va bè, scusate ancora e buona domanica >.<
Flar

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Capitolo 14
*** Ti sei drogato? ***


Capitolo 14: Ti sei drogato?

Lucas POV
 
Bene, missione compiuta.
Parlare con la madre di Ronnie, fatto.
Chiamare a casa, fatto.
Correggere i compiti del IIIB, fatto.
Smettere di pensare a Ronnie, fat… ehm.
E devo ancora scoprire cosa trama con la sua amichetta,pensai, imbronciato. Effettivamente dovevo ancora fare un paio di cose.
Odiavo non sapere, essere tenuto all’oscuro, era forse la cosa che detestavo di più al mondo. Nessuno mi teneva mai nascosto qualcosa, perché tutti sapevano che non ero il tipo di persona che va in giro a distribuire segreti come se fossero noccioline. Eppure, Ronnie era stata irremovibile. Poco ma sicuro, ero cocciuto, e avrei scoperto cosa nascondevano, a qualsiasi costo. Quelle due avrebbero potuto cacciarsi in chissà quale guaio – Ronnie era responsabile, ma Lovìa avrebbe pure potuto attentare alla vita del presidente degli Stati Uniti, non mi sarei nemmeno sorpreso troppo.
Pensai tra me e me che avrei dovuto parlare anche con i genitori di Lovìa, la ragazza non andava granché bene nella mia materia.
Dio, nemmeno quando ero a Londra ero così stressato,pensai, mentre mi spogliavo. Lanciai la giacca sulla sedia della scrivania, ma qualcosa cadde dalla tasca.
Mi chinai per raccoglierla, e vidi che era uno di quei contenitori per pillole, in quel caso di una marca di sonniferi leggeri. Non ne avevo mai avuto bisogno, ma per una volta decisi di fare un eccezione, un buon sonno era proprio quello che mi serviva. A giudicare dalle istruzioni per l’uso, una pillola mi avrebbe steso per due ore buone.
Cercai di ricordarmi come fossero finite quelle pillole nella mia giacca, probabilmente le avevo sequestrate a qualche studente.
Comunque fosse, presi una di quelle pillole e la mandai giù, mollando il contenitore sulla scrivania.
Mi sdraiai sotto le lenzuola e, prima ancora che il farmaco potesse fare effetto, sprofondai in un sonno profondo e senza sogni.
 
Lupo POV

 
Era passata almeno un’ora, se non di più, da quando la madre di Alessia era stata ricoverata. Ancora quei cazzo di medici non ci avevano detto nulla sulle sue condizioni, e lei era disperata. Avevo gli allenamenti di calcio, ma non potevo certo mollarla lì da sola, così avevo mandato a quel paese Francesco ed ero rimasto.
Io ero seduto, lei continuava a camminare nervosamente su e giù, mangiandosi le unghie.
Da quello che avevo capito avendo due sorelle femmine, era che non voleva ricevere stupide menzogne del tipo “oh, stai tranquilla, sono sicuro che è solo un calo di zuccheri”.
Vista come era ridotta la signora, sarebbe stato un miracolo se fosse stato “solo un calo di zuccheri”.
Sapevo però che forse una cosa avrebbe potuto aiutarla.
« Una volta … a mia madre … è successa una cosa simile. » mormorai, avvicinandomi a lei.
Mi guardò, quegli occhi incredibilmente espressivi fissi nei miei. « Quando? »
« Due anni fa. Mio padre l’aveva picchiata. Era ridotta … malissimo. » raccontai, rivivendo le immagini che avevo provato in tutti i modi a dimenticare. « Lei aveva scoperto che lui aveva un’amante … e anche un figlio piccolo … lo aveva insultato … e lui l’ha picchiata finchè non ha smesso. Era svenuta. Io ero fuori casa, ero in giro a cazzeggiare … lei mi aveva chiamato prima di affrontarlo, voleva il mio aiuto, io ero il più grande, l’unico maschio … ma io non ho risposto perché ero convinto che non fosse importante … sai, una commissione o roba simile … non potevo immaginare … »
La guardai supplichevole, come se lei avesse potuto rassicurarmi, come se avesse potuto dirmi che no, non era colpa mia, che non potevo saperlo. Ogni persona a cui l’avevo raccontato – pochissime, quasi nessuna – mi aveva detto in quel modo; avevo cercato anche io di crederci, ma non ci ero riuscito. Lo sapevo che era colpa mia. Lo sapevo che, se le avessi risposto, non avrebbe dovuto affrontare la sua ira da sola. Non lo avrei permesso. Se fossi stato lì, non sarebbe successo. E invece, terrorizzata, aveva raccontato di essere caduta malamente, aveva sorriso a me e alle mie sorelle, mentendoci.
Per colpa mia, quell’inferno era durato giorni, settimane e mesi, per lei.
Perché era sempre stata tutta colpa mia.
 
Alex POV

« … non potevo immaginare … »
Mentre Lupo parlava, io cercavo di immedesimarmi in lui. Iniziavo a capirlo, a vedere una logica dietro ai suoi comportamenti scostanti, a tratti gelidi, a tratti arroganti.
Le lacrime che si stavano raccogliendo nei suoi occhi mi avevano fatto capire che lui non si era mai perdonato davvero, che continuava a incolparsi per quello che era successo a sua madre.
Sapevo che dopo la fuga del padre, lui e la sua famiglia si erano ritrovati senza un soldo e coperti di debiti – la madre non lavorava, non ne avevano mai avuto bisogno -, e solo grazie ai genitori di lei e a uno zio erano riusciti a pagare tutto. La madre aveva poi iniziato a lavorare per l’azienda della sua famiglia, che si occupava di enogastronomia, e da allora le cose erano andate per il verso giusto.
Lui ce l’aveva fatta. Potevo farcela anche io, ci sarei riuscita.
Sarebbe andato tutto per il verso giusto, mi ripetei, continuamente, cercando io stessa di crederci.
Mentre tentavo di dare un senso alla mia vita, quella matta della mia migliore amica mi si catapultò in braccio, e allora non riuscii più a trattenermi. Piansi con lei per tutto, per ogni momento in cui mi ero chiusa in camera mia, tappandomi le orecchie per non sentire, gli occhi per non vedere. Piansi per mio padre, per mia padre e per me stessa, e perché era l’unica cosa che potevo fare, l’unica via d’uscita.
In quel momento ero impotente, esattamente come lo ero sempre stata.
 
Lucas POV
 
Quando mi svegliai, fu come se il mondo fosse improvvisamente cambiato. Mi sentivo incredibilmente leggero, come se non fossi fatto più di carne ma di aria, come se avessi perso il mio corpo. Tutti i colori erano più vividi, più accesi, un mondo colorato. Sembrava tutto più bello, più irreale, più incredibile.
Il mondo sembrava aver ritrovato la sua pace, la sua voglia di vivere. Mi ritrovai a fissare adorante la luce del sole che si rifletteva sulla mia abat-jour bianca, creando effetti incredibili.
Era tutto così bello.
Mi alzai in piedi e iniziai a camminare, e una marea di suoni, odori e percezioni mi travolsero, mentre mi pareva di volare. Era una sensazione meravigliosa, mi sentivo euforico e contemporaneamente confuso per quel cambiamento. Le mie percezioni erano amplificate, come se mentre dormivo il mio corpo fosse cambiato.
Guardandomi allo specchio, mi sembrò di essere meravigliosamente bello e attraente, quando per tutta la vita non ne ero stato poi così sicuro.
Era tutto così meraviglioso! La mia scrivania sembrava un’opera d’arte, era tutta colorata e lucida e bella e meravigliosa. Era tutto bellissimo.
Uscii dalla mia stanza e un profumo di fiori mi avvolse, inebriandomi. Afferrai un fiore dal primo vaso che vidi e lo annusai, con un sorriso adorante. Riuscivo a vederne la bellezza, mi sembrava quasi di percepirne l’odore sulla lingua. Era come se l’odore fosse uguale al sapore. Come se non ci fosse distinzione tra l’uno e l’altro.
Era tutto così bello!
« Ma … cosa sta facendo? »
Mi guardai intorno e da un corridoio scintillante di luce vidi la signora Hopkins. Le corsi incontro e la abbracciai forte.
« Oh, qui è tutto così bello! Lo vedi anche tu? È tutto così scintillante … così colorato! E smettila di darmi del lei, noi siamo fratelli. Siamo tutti figli della terra! Io ti voglio tanto bene! »
Lei si districò da me, e io la guardai, intristito.
« Certo … è sicuro di sentirsi bene? »
« Devi darmi del tu! » esclamai, imperioso. « Devi darmi del tu. » ripetei, cantilenando.
Lei continuò a fissarmi con uno sguardo strano, e io iniziai a gongolare, tutto contento. Anche lei mi voleva bene!
« Come vuoi … comunque, nel caso t’interessasse, non è tutto “così bello”. La madre di una tua alunna è stata ricoverata d’urgenza, me l’ha detto Betty, la domestica della famiglia Andretti. Pensa a quella povera ragazza! » disse, tutta corrucciata.
Dal mio stato di euforia passai al terrore più nero. La presi per le spalle e iniziai a scuoterla.
« La madre di chi? Di quella famiglia? La ragazza si chiama Ronnie, Veronica? Si chiama Diamante? »
Lei scosse il capo, cercando di tranquillizzarmi. « No, stia tranquillo! La signora si chiama Lovìa. Betty dice che la figlia e la sua migliore amica sono in ospedale da quasi tre ore. E dice che ci sia anche un … »
« … ragazzo. » completai io,  scioccato, pensando immediatamente a Santini. « In che ospedale sono? Presto, dimmelo! »
« E’ quello poco distante da qui … quello a via degli Scipioni. Ma non si preoccupi, la signora sta ben … »
Prima che potesse finire, mi catapultai in strada, iniziando a correre a perdifiato. Arrivai lì in pochi minuti, scansando le persone e guadagnandomi diversi improperi, ma non me sbatteva un fico secco.
« L-la signora Lovìa. » balbettai, in un bagno di sudore, alla ragazza della reception.
« Sì, camera 301. È sicuro di sentirs…»
 Schizzai su per le scale, finchè non finii addosso a qualcuno, proprio al terzo piano.
« M-mi scusi … » balbettai, mentre l’anziana signora contro cui ero andato a sbattere mi agitava contro il bastone.
« Ma … Lucas … cosa ci fai qui? » esclamò una voce fin troppo familiare, alle mi spalle.
Mi voltai di scatto e le saltai al collo. « Ronnie! Stai … bene … ero … preoccupato. » ansimai, stringendola forte. Il terrore si trasformò di nuovo in euforia.« Sei così bella … »
Lei guardò con gli occhi fuori dalle orbite. « Lucas … che cosa hai preso? Sei drogato? »
Risi, tornando ad abbracciarla. « Chi, io? Nooo… ho preso solo un sonnifero … sai, per dormire … quando ti metti sul letto e poi fai ronf …» le spiegai, continuando a ridere.
« Oh, mio dio … che sonnifero era? Dove lo hai preso? » chiese, con un’adorabile filino di preoccupazione nella voce.
« Erano nelle mie tasche … non li ho rubati! Erano lì e dicevano che mi avrebbero fatto fare ronf, e io avevo taaanto sonnoo, e poi … e adesso è tutto così beello …»
« Oh, dio santissimo! Quelli non erano sonniferi, Lucas! »
Risi di nuovo e cercai di baciarla. « No, tesoro, sì invece … ho dormito per ore intere … »
Mi distrassi quando vidi un cagnolino su una sedia, tutto solo e abbandonato.
« Ma ciao, bel cagnolino … sei tutto solo … vuoi un bacino? E te lo do io un bacino … sei così bello … e qui è tutto così verde … io vi voglio bene! Voglio bene a tutti! » gridai, e abbracciai un dottore.
« Tu sei un brav’uomo. » continuai, battendogli una mano sulla spalla. « Fai guarire la bua alle persone, e poi sono tutti felici. Il mondo è bellissimo! La vita è be…»
« Ma che cazzo fa, professore? »
Un ragazzo mi trascinò via, ma io lo stesso riuscii a dire a tutti quanto gli volevo bene, era cattivo non dirlo. Anche se una donna sembra un topo devi dirle che è bellissima, diceva mio nonno. Però le bugie sono cattive, e quindi io dissi a una signora-topo che era un bellissimo roditore.
Non riuscivo a capire perché non avesse apprezzato il complimento, era un topo carino. Era una bella cosa da dire, a me piacevano di più i criceti, però lei era un bel topo davvero. Aveva anche dei baffetti deliziosi! Voglio dire, a chi è che non piacciono i topi con i baffetti?


Flar's Notes *****************************************
Lo so, lo so, lo so. Sono passati 2 mesi dall'ultimo aggiornamento e probabilmente voi siete tutti in vacaqnza e quindi nessuno leggerà questo nuovo capitolo, e chi lo farà si sarà già dimenticato la storia, quindi va bè, scrivo tanto per scrivere. Lo so che sono imperdonabile, ma vi giuro che ho avuto diversi problemi... innanzitutto, blocco totale dello scrittore, e poi ... bè... è morto un mio amico in un incidente d'auto, a soli 18 anni.
Quindi... non dico che sia una scusa, ma cercate di capirmi. Però adesso il blocco sembra essere sparito, quindi rieccomi... Chi di voi mi segue ancora potrebbe dirmelo? Va banissimo anche un MP... no, sapete, magari è il caso che cancelli la storia e la ripubblichi da capo... >.<
Comunque, grazie mille a tutte per l'attenzione, un bacio :3

PS: sto cercando di fare un nuovo banner perchè il vecchio è una schifezza, ma sono leggermente negata... nel caso qualcuna di voi avesse voglia di perdere tempo e pazienza a fare un banner per questa storia... bè, basta che lo dica >.<

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